L’avete mai visto un “villaggio attrezzato” per Rom? Un recinto che sorge nel nulla, tra ferrovia e autostrada, fuori dal raccordo anulare, con il primo bar a 3 km. Recinti e video-sorveglianze invece 24 ore su 24. Nel campo di via Salone, uno dei campi per soli Rom del comune di Roma, il più grande d’Europa, una ventina di km sull’A24 e la Tiburtina, non c’è alcun servizio pubblico. E’ troppo pericoloso camminare su strade senza marciapiede per i bambini. Il servizio di pulmini impiega due ore facendoli arrivare con al meno un ora di ritardo a scuola diventando facili bersagli delle maestre.
Bisogna vederlo il documentario “Container 158” di Stefano Liberti e Enrico Parenti, che sarà proiettato in anteprima oggi al Festival Internazionale del Film di Roma (ore 11.00 am presso la sala MAXXI, ingresso libero). Per vedere sulla pelle delle famiglie la discriminazione istituzionale, quella orchestrata dall’ex sindaco Alemanno & co, ma ancora oggi dall’amministrazione di Roma che continua ad attuare la politica dei campi: la segregazione su base etnica per la quale l’Italia fu varie volte condannata dal Consiglio d’Europa.
1200 persone – tutti rom – raggruppati insieme (perché rom). Di varie origine: serbi, montenegrini, bosniaci, reduci del conflitto bosniaco e dall’implosione dell’ex Jugoslavia, ancora inspiegabilmente apolidi, senza passaporti e senza possibilità di richiedere la cittadinanza italiana. Container accatastati come in un gioco “Lego” solo che qua ci vivono intere famiglie e lo spazio tra i container non supera i due metri. In quello della famiglia di Miriana Halilovic, in 22.5 metri quadri, dalla nascita dei gemelli a luglio 2013 vivono in sei. Tre anni in una roulotte, in un campo sovraffollato senza alcuna certezza di aver un giorno accesso ad un alloggio adeguato o all’edilizia popolare.
Il documentario si addentra nella quotidiana sopravvivenza in quel carcere invisibile. Remi il meccanico ambulante senza officina che aspetta che qualcuno gli porti una macchina o un motorino da aggiustare; Giuseppe che all’alba va in giro col furgone a cercare il ferro, tradizionale settore del riciclaggio e “differenziata” artigianale del metallo dove spiccano i Rom. E Brenda che avrebbe da piccola voluto fare la dottoressa ma oggi diciottenne non ha né documenti, né cittadinanza, né prospettiva. Tutte storie che palesano l’ipocrisia dell’amministrazione comunale che chiede sempre ai Rom di integrarsi, mentre li rinchiude in campi a parte, fuori da tutto e da tutti, distanti kilometri dalla prima scuola e dal primo panificio. Ti confino ai margini, ma ti devi integrare.
C’è qualcosa di dolce però in questo documentario, girato da dentro, come se i registi avessero anche loro vissuto in un container, frequentato le albe gelide o il sole bollente dalla minuscola apertura che in una casa si chiamerebbe finestra ma qua è una fessura; lavato i vestiti in una bacinella di plastica, o giocato a calcio con bimbi non più a disagio davanti alla cinepresa. Per restituire le voci vere, le parole e frustrazioni di quei ragazzi pieni di sogni infranti su quei recinti. Bambini che si sentono italiani e Rom, non sanno “cosa significhi la parola “zingari” solo che è quella che loro (i gagé, NdA) ci appiccicano addosso”. Belle quelle riprese, camera in pugno, che seguono alle spalle bimbi liberi farsi strada tra le erbe folli delle periferie, tra binari, rottami e parcheggi. Non-luoghi, dove crescere un’infanzia discriminata.
Flash di poesia anche. Una bimba-principessa sorge dalle pozzanghere, un gingostyle danzato con le nonne, l’operazione salvataggio di un cucciolo, la scuola marinata, il nulla della giornata che si afferra. La fantasia richiesta per inventare una sopravvivenza tra riciclaggi e lavori di fortuna, l’arrabattarsi di uomini parcheggiati da millenni, rimasti liberi.
Container 158, prodotto da ZaLab e realizzato con il sostegno di Open Society Foundations e con il patrocinio di Amnesty international Italia, Consiglio d’Europa – ufficio di Venezia, Associazione 21 Luglio - è da vedere: dà immagini alla discriminazione mai cessata contro questo popolo. Oggi ancora dalle autorità italiane, nel cuore dell’Europa.