• Il cotone “sporco e insostenibile” di #Zara ed #H&M e la distruzione del #Cerrado

    La Ong inglese #Earthsight ha condotto un’inchiesta per un anno lungo la filiera di questa fibra tessile: i due marchi della fast fashion avrebbero immesso sul mercato 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nella savana tropicale che copre un terzo del Brasile. “Il sistema di filiera ‘etica’ su cui si basano questi colossi è fondamentalmente difettoso”

    Se negli ultimi anni avete acquistato vestiti di cotone, asciugamani o lenzuola di H&M o Zara “probabilmente sono macchiati del saccheggio del Cerrado”, un’area ricchissima di biodiversità che copre quasi un quarto della superficie del Brasile. Sam Lawson, direttore della Ong britannica Earthsight, non usa mezzi termini per commentare l’esito dell’inchiesta “Fashion crimes. The European retail giants linked to dirty Brazilian cotton”, pubblicata l’11 aprile, che analizza la lunga e insostenibile filiera di questa fibra dalla produzione (in Brasile) alla lavorazione (in Paesi come Indonesia e Bangladesh), fino alla commercializzazione in Europa (Italia compresa) dove, secondo le stime di Earthsight, i due brand avrebbero messo in commercio prodotti realizzati con 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nel Cerrado.

    Ma andiamo con ordine. L’inchiesta di Earthsigh prende le mosse proprio dal grande Paese latinoamericano che, negli ultimi dieci anni, ha guadagnato crescente importanza nel mercato globale del cotone, di cui oggi è il secondo esportatore mondiale “e si prevede che entro il 2030 supererà gli Stati Uniti”. Il cuore di questa produzione si concentra in uno degli ecosistemi più fragili e preziosi del mondo: il Cerrado, una grande savana tropicale che ospita una delle più importanti aree di biodiversità al mondo, dove vivono oltre seimila specie di alberi così come centinaia di rettili, mammiferi, anfibi e uccelli.

    La sopravvivenza di questo inestimabile patrimonio è minacciata dalla deforestazione illegale che nel 2023 ha raggiunto livelli record, con un aumento del 43% rispetto al 2022. “Circa la metà della vegetazione nativa del Cerrado è già andata perduta, soprattutto per far posto all’espansione dell’agrobusiness”, evidenzia il report. Milioni di litri d’acqua vengono prelevati regolarmente dai fiumi e dalle falde per irrigare i campi di cotone, la cui coltivazione richiede l’utilizzo di 600 milioni di litri di pesticidi ogni anno.

    L’inchiesta di Earthsight analizza in particolare il ruolo di due dei principali produttori di cotone brasiliani: il gruppo Horita e SLC Agrícola che controllano enormi aziende e centinaia di migliaia di ettari di terreno. “Nel 2014 l’agenzia ambientale dello Stato di Bahia ha rilevato 25mila ettari deforestati illegalmente nelle aziende agricole di Horita a Estrondo -si legge nel report-. Nel 2020 la stessa agenzia ha dichiarato di non essere riuscita a trovare i permessi per altri 11.700 ettari deforestati dall’azienda tra il 2010 e il 2018”. Tra il 2010 e il 2019 l’azienda è stata multata complessivamente più di venti volte, per un totale di 4,5 milioni di dollari, per violazioni ambientali.

    https://i0.wp.com/altreconomia.it/app/uploads/2024/04/7.-Cerrado-accumulated-deforestation-1987-2022.png

    Altrettanto gravi, le denunce rivolte a SLC Agrícola: tre aziende, tutte coltivate a cotone, hanno cancellato per sempre 40mila ettari di Cerrado nativo negli ultimi 12 anni. E, sebbene l’azienda abbia adottato una politica “zero deforestazione” nel 2021, è accusata di aver distrutto altri 1.356 ettari di vegetazione nel 2022. Accuse che hanno spinto il fondo pensionistico pubblico della Norvegia a ritirare i propri investimenti nella società brasiliana.

    Al termine di un lavoro d’inchiesta di un anno -durante il quale hanno analizzato migliaia di registri di spedizione, relazioni aziendali, elenchi di fornitori e siti web– i ricercatori di Earthsight hanno ricostruito la filiera che porta il cotone coltivato illegalmente nel Cerrado nei negozi di Zara ed H&M e poi negli armadi di milioni di persone. I ricercatori hanno identificato otto produttori di abbigliamento asiatici che utilizzano il cotone Horita e SLC e che allo stesso tempo forniscono alle due società di fast fashion milioni di capi di cotone finiti. Tra questi figura l’indonesiana PT Kahatex “il più grande acquirente di cotone contaminato Horita e SLC che abbiamo trovato”. H&M è il secondo cliente dell’azienda indonesiana, da cui ha acquistato milioni di paia di calzini, pantaloncini e pantaloni che sono poi stati messi in vendita nei negozi del gruppo negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, in Svezia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Spagna, in Francia, in Polonia, in Irlanda, in Italia.

    Il cotone sporco del Cerrado è finito anche negli stabilimenti di Jamuna Group, uno dei maggiori conglomerati industriali del Bangladesh: “Nei negozi Zara in Europa, fino ad agosto 2023, sono stati venduti per 235 milioni di euro jeans e altri capi in denim confezionati da Jamuna, circa 21.500 paia al giorno -si legge nel report-. Inditex importa i capi prodotti da Jamuna in Spagna e nei Paesi Bassi, da dove li distribuisce ai suoi negozi Zara, Bershka e Pull&Bear in tutta Europa”. Complessivamente, secondo le stime che i ricercatori hanno elaborato consultando i registri delle spedizioni il Gruppo Horita e SLC Agrícola hanno esportato direttamente almeno 816mila tonnellate di cotone da Bahia verso i mercati esteri tra il 2014 e il 2023. Una quantità di materia prima sufficiente a produrre dieci milioni di capi d’abbigliamento e prodotti per la casa tra lenzuola, tovaglie e tende.

    Ma come è stato possibile, si sono chiesti i ricercatori, che le catene di approvvigionamento dei due marchi di moda siano state “contaminate” da cotone brasiliano legato a deforestazione e land grabbing? “Parte della risposta sta nel fatto che le loro politiche etiche sono piene di falle. Ma soprattutto, il sistema di filiera etica su cui si basano è fondamentalmente difettoso”.

    Il riferimento è al fatto che, nel tentativo di presentarsi come sostenibili e responsabili, i due brand si sono affidati a un sistema di certificazione denominato Better Cotton (BC). “Il cotone che abbiamo collegato agli abusi ambientali a Bahia ne riportava il marchio di qualità. Questo non dovrebbe sorprendere dal momento che Better Cotton è stata ripetutamente accusata di greenwashing e criticata per non aver garantito la piena tracciabilità delle catene di approvvigionamento”, scrivono i ricercatori di Earthsight nel rapporto. Evidenziando come, sebbene dal primo marzo 2024 le regole di BC siano state aggiornate, rimangano comunque una serie di criticità e di punti deboli. A partire dal fatto che il cotone proveniente da terreni disboscati illegalmente prima del 2020 venga ancora certificato.

    “È ormai molto chiaro che i crimini legati ai beni che consumiamo devono essere affrontati attraverso la regolamentazione, non attraverso le scelte dei consumatori -conclude Sam Lawson, direttore di Earthsignt-. Ciò significa che i legislatori dei Paesi consumatori dovrebbero mettere in atto leggi forti con un’applicazione rigorosa. Nel frattempo, gli acquirenti dovrebbero pensarci due volte prima di acquistare il prossimo capo di abbigliamento in cotone”.

    https://altreconomia.it/il-cotone-sporco-e-insostenibile-di-zara-ed-hm-e-la-distruzione-del-cer
    #industrie_textile #coton #mode #déforestation #Brésil #rapport #chiffres #statistiques #SLC_Agrícola #Horita #SLC #fast-fashion #land_grabbing #accaparement_de_terres #Better_Cotton #greenwashing #green-washing

    • Fashion Crimes: The European Retail Giants Linked to Dirty Brazilian Cotton


      Key Findings:

      - The world’s largest fashion brands, H&M and Zara, use cotton linked to land grabbing, illegal deforestation, violence, human rights violations and corruption in Brazil.
      - The cotton is grown by two of Brazil’s largest agribusinesses – SLC Agrícola and the Horita Group – in western Bahia state, a part of the precious Cerrado biome, which has been heavily deforested in recent decades to make way for industrial-scale agriculture.
      - Unlike in the Amazon, deforestation in the Cerrado is getting worse. The biome is home to five per cent of the world’s species. Many face extinction due to habitat loss if current deforestation trends are not reversed.
      - For centuries, traditional communities have lived in harmony with nature. These communities have seen their lands stolen and suffered attacks by greedy agribusinesses serving global cotton markets.
      - The tainted cotton in H&M and Zara’s supply chains is certified as ethical by the world’s largest cotton certification scheme, Better Cotton, which has failed to detect the illegalities committed by SLC and Horita. Better Cotton’s deep flaws will not be addressed by a recent update to its standards.
      - Failure by the fashion sector to monitor and ensure sustainability and legality in its cotton supply chains means governments in wealthy consumer markets must regulate them. Once in place, rules must be strictly enforced.

      https://www.earthsight.org.uk/fashion-crimes

  • Legal fiction of non-entry in EU asylum policy

    The fiction of ’#non-entry' is a claim that states use in border management to deny the legal arrival of third-country nationals on their territory, regardless of their physical presence, until granted entry by a border or immigration officer. It is usually applied in transit zones at international airports between arrival gates and passport control, signifying that the persons who have arrived have not yet entered the territory of the destination country. Although physically present, they are not considered to have legally entered the country’s official territory until they have undergone the necessary clearance. In the EU, all Member States make use of the fiction of non-entry in transit zones at ports of entry, but usually in a non-asylum context. In 2018, Germany was one of the first Member States to extend this concept to include land crossings. Since the mass arrival of asylum-seekers in 2015-2016, other Member States too have increasingly looked into ways of using this claim to inhibit asylum-seekers’ entry to their territory and thereby avoid the obligation under international law to provide them with certain protection and aid. This, however, may lead to a risk of refoulement, as the fiction of non-entry limits asylum-seekers’ movement and access to rights and procedures, including the asylum procedure. This is a revised edition of a briefing published in March 2024.

    #pacte #asile #migrations #réfugiés #droit_d'asile #fiction_juridique #fiction_légale #legal_fiction #non-entrée #aéroports #territoire #géographie #zones_frontalières #zones_de_transit #présence_physique

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    ajouté à la métaliste sur #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    ajouté à la métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
    https://seenthis.net/messages/795053

  • Le militantisme écologiste est-il aussi impopulaire qu’on le pense ?
    https://theconversation.com/le-militantisme-ecologiste-est-il-aussi-impopulaire-quon-le-pense-2

    Éco-terroriste, khmers verts, ayatollah de l’écologie… Les qualificatifs se sont multipliés ces dernières années pour condamner toute action des militants écologistes jugée trop radicale. Ce raidissement a atteint son apogée à l’issue de Sainte-Soline et de la tentative du gouvernement de dissoudre les Soulèvements de la Terre.

    Si cette dernière a été rejetée par le Conseil d’État, les critiques en impopularité ne sont pas sans effet sur les mouvements eux-mêmes. Dans cette logique, Extinction Rebellion, outre-Manche, a fait le choix en décembre 2022 d’arrêter (temporairement) les actions disruptives pour créer un mouvement plus large et populaire, sentant le vent tourner face à un gouvernement et des médias conservateurs de plus en plus hostiles.

    #militantisme #désobéissance_civile #ZAD

  • Espagne : plus de 60 corps de migrants retrouvés en mer d’Alboran, en 2023 - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/56554/espagne--plus-de-60-corps-de-migrants-retrouves-en-mer-dalboran-en-202

    Espagne : plus de 60 corps de migrants retrouvés en mer d’Alboran, en 2023
    Par Marlène Panara Publié le : 19/04/2024
    Sur l’ensemble de l’année dernière, 67 cadavres ont été repêchés par les autorités espagnoles dans la mer d’Alboran. Située entre le Maroc, l’ouest de l’Algérie et le sud de l’Espagne, cette route migratoire a été traversée cette année-là par plus de 6 400 migrants, soit une augmentation de 61% en un an.
    La mer d’Alboran, un « cimetière de migrants ». D’après le ministère de l’Intérieur espagnol cité par El Debate, 67 corps ont été récupérés dans la zone en 2023, au large d’Almeria. Novembre a été le mois le plus meurtrier, avec 11 cadavres repêchés. Et entre juin et septembre, période où de nombreuses embarcations affluent dans le sud de l’Espagne, 27 ont été extraits de la mer.
    Toujours en 2023, 6 433 personnes réparties dans 492 bateaux ont été secourues par les autorités dans ces eaux, soit 61% de plus qu’en 2022. Juillet constitue la période la plus chargée pour les sauveteurs en mer : 1 339 personnes ont été secourues ce mois-là.
    Ce passage est généralement emprunté par les migrants algériens et marocains. Ils prennent la mer à bord de petits bateaux en fibre de verre depuis les côtes du royaume chérifien et d’Algérie, direction l’Andalousie. D’après l’ONG Caminando Fronteras, ce chemin « s’est véritablement consolidé en 2022 ». Mais si la distance à parcourir est moindre que sur les autres routes migratoires en Méditerranée, la traversée reste tout aussi dangereuse. Et les naufrages, nombreux.
    En 2024, trois personnes sont mortes et sept sont toujours activement recherchées après que leur bateau a coulé au large de Motril, dans le sud de l’Espagne, le 22 mars. L’embarcation était partie d’Algérie six jours auparavant. Et le 27 février, huit personnes sont décédées dans le naufrage de leur embarcation, un zodiac parti de la ville de Béni Chiker, près de Nador. Quatre victimes ont été identifiées pour le moment, selon la section de l’Association marocaine des droits humains (AMDH) à Nador.
    Depuis le début de l’année, une partie des exilés qui empruntent cette route a débarqué sur l’ilot d’Alboran, situé à 88km d’Almeria, et à 56km de Nador, au Maroc. Fin février, près de 200 personnes y sont arrivées en deux jours. Deux semaines avant, 89 migrants avaient aussi débarqué sur l’ilot.
    Mais sur ce petit territoire inhabité qui n’abrite que 21 militaires, rien n’est prévu pour accueillir les exilés. Alors face à l’augmentation des arrivées, le gouvernement espagnol a validé, le 17 avril, la construction d’un centre d’hébergement d’urgence pour migrants. D’un montant de 1,3 millions d’euros, ces nouvelles installations seront conçues « pour améliorer et optimiser » les infrastructures de l’île. Fin février, les exilés avaient en effet attendu plusieurs jours avant d’être évacués vers l’Espagne continentale, en raison des intempéries rendant impossible la navigation. Un homme qui présentait de forts symptômes d’hypothermie, une femme et quatre mineurs avaient, eux, quitté le territoire en hélicoptère avec les secours.L’exilé transféré n’avait en revanche pas survécu. Il est mort à l’hôpital d’Almeria six jours après son transfert, le 1er mars.
    Les deux frères « n’étaient pas très riches, mais ils n’étaient pas pauvres non plus », avait raconté à InfoMigrants leur cousine, Sarah*. « Mais depuis toujours, ils voient des gens revenir d’Europe avec des voitures neuves. Ils s’imaginent que de l’autre côté de la mer, c’est l’Eldorado »."Je pense que ce qui les a convaincus de partir, c’est de voir des vidéos de jeunes sur TikTok et Instagram qui filment leur traversée en musique, et célèbrent leur arrivée en Andalousie, pensait-elle. À l’écran, ça a l’air très facile".

    #Covid-19#migrant#migration#espagne#mediterranee#traversee#mortalite#alboran#zodiac#sante#mineur#femme#imaginairemigratoire

  • The pact kills : l’istituzionalizzazione della fine del diritto d’asilo nell’UE

    Un documento dell’Associazione #Open_Your_Borders di Padova sul nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo.

    Il 10 aprile il Parlamento europeo ha approvato il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, frutto di un lungo negoziato cominciato nel 2020 tra Parlamento, Consiglio e Commissione.

    Prima di entrare in vigore, dovrà essere votato anche dal Consiglio dell’UE, l’organo in cui risiedono i rappresentanti dei governi dei 27 stati membri, la cui votazione è attesa entro la fine di aprile.

    In sintesi, questo Nuovo Patto prevede una serie di riforme del sistema di gestione dei flussi migratori e della richiesta di protezione internazionale nel territorio dell’Unione Europea e, in particolare, raccoglie al suo interno dieci proposte di legge che vanno brutalmente a rafforzare l’approccio securitario della ormai consolidata “fortezza Europa”, costituita dalle 27 nazioni, sulle 43 + 7 dell’Europa geografica.

    È evidente che i tempi e i contenuti di questa mossa hanno chiare motivazioni elettoralistiche in vista delle elezioni Europee, con il riposizionamento dei vari partiti nazionali in funzione sia della propria affermazione locale che della futura riaggregazione in probabili inedite coalizioni. Infatti “il Patto” è stato approvato trasversalmente con 301 voti favorevoli, 269 contrari e 51 astensioni.

    La coalizione di centrodestra governativa guidata da Giorgia Meloni è risultata non omogenea, con lo spostamento di Fratelli d’Italia (attualmente all’opposizione in Europa) a favore e con la Lega che ha confermato il proprio voto contrario, probabilmente perché considera la linea adottata troppo moderata e poco sovranista.

    Con motivazioni opposte, si sono schierati contrari anche il PD (che è organico dell’attuale maggioranza in UE) e il Movimento 5 stelle.

    Si rincorrono i toni trionfalistici per la “decisione storica” presa, dipinta come “un enorme risultato per l’Europa”, “un solido quadro legislativo su come affrontare la migrazione e l’asilo nell’Unione europea” e per una fantomatica e propagandistica “vittoria italiana” sottolineata da Meloni, nonostante il tanto criticato Regolamento di Dublino (per cui è il paese di primo ingresso l’unico responsabile di esaminare le richieste di protezione internazionale e di gestire e trattenere al suo interno le persone migranti) sia stato di fatto rafforzato.

    Noi, in questa giornata buia per il diritto d’asilo europeo e per la libertà di movimento internazionale, vediamo solo un consolidamento di pratiche di violazione dei diritti umani, che sono già attuate e condivise da parecchio tempo, sia alle frontiere che nei territori degli Stati dell’Unione Europea, in vista di quello che si prospetta come un inasprimento e allargamento del conflitto mediorientale e di una sempre maggiore instabilità di tutta l’area del Sahel (testimoniato da 7 colpi di Stato in pochi anni e dalla guerra solo apparentemente interna in Sudan che continua nell’indifferenza generale) dove si stanno giocando gli interessi egemonici in Africa dei due blocchi politici ed economici contrapposti, con Stati Uniti e Francia su tutti da un lato, e paesi Brics (Russia, Cina, India, ecc.) dall’altro.

    Con l’Unione Europa dal peso politico inconsistente tra le due parti e i suoi Stati membri che si percepiscono (erroneamente) come meta di approdo per tutti i movimenti di fuga delle popolazioni, i confini esterni dell’Unione diventano in primis la rappresentazione materiale da blindare assolutamente a scopo preventivo.

    Di seguito, analizziamo nello specifico le nuove norme per noi più critiche e problematiche.
    1) Procedure accelerate e sommarie per la richiesta di protezione internazionale

    Il Nuovo Patto divide in maniera importante i percorsi di richiesta di protezione internazionale, con l’applicazione di una procedura accelerata e generalizzata basata soprattutto sulla provenienza geografica legata alla classificazione dei cosiddetti “Stati sicuri” e non sulla storia individuale delle persone.

    Il testo prevede che tali procedure accelerate – che dovrebbero durare al massimo 12 settimane – siano svoltedirettamente nelle zone di frontiera, con il trattenimento di migliaia di persone in centri di detenzione posizionati ai confini degli Stati dell’Unione Europea.

    Lo svolgimento dell’esame approssimativo delle richieste sulla base della nazionalità porterà quindi ad un aumento generalizzato delle espulsioni, limitando la possibilità di richiesta di asilo, in violazione del principio internazionale del non respingimento, ma anche, ad esempio, al diritto alle cure mediche e al ricongiungimento familiare.

    Il criterio basato sullo Stato di provenienza è già stato eccezionalmente usato per velocizzare l’ingresso e l’integrazione diffusa delle persone rifugiate ucraine – però limitato a donne, bambin* e anzian*. Tale applicazione, causata dal conflitto Russia-Ucraina, che evidentemente ci tocca da vicino sia per posizione geografica che etnica, ha però contestualmente escluso l’evacuazione di tutti gli altri “non bianchi” presenti in quel territorio per motivi di lavoro, di studio o in transito migratorio. Anche per questo motivo, utilizzare solamente il criterio di provenienza geografica di origine senza considerare le specificità delle persone nelle procedure accelerate è funzionale alla negazione dell’asilo, in quanto arbitraria e strumentale da parte degli Stati.
    2) Un nuovo regolamento di screening (ovvero l’esercizio della bio-politica)

    Le persone richiedenti asilo non possono scegliere se seguire una procedura tradizionale (che richiede molti mesi) o accelerata, ma vengono divisi e indirizzati in base al loro profilo, stilato attraverso un nuovo e uniforme regolamento di screening obbligatorio inserito nell’Eurodac, creando così una enorme banca dati comune: questa “procedura di frontiera” preliminare, da farsi entro 7 giorni dall’arrivo, comprende identificazione, raccolta dei dati biometrici, controlli sanitari e di sicurezza, controllo di eventuali trasferimenti e precedenti, il tutto a partire dai 6 anni di età. Questa procedura sarà adottata principalmente per le persone richiedenti asilo che per qualche motivo vengono considerati un “pericolo” per i paesi dell’Unione, per coloro che provengono dai paesi considerati “sicuri” e per chi proviene da paesi che, anche per altri motivi, hanno un tasso molto basso (sotto il 20 per cento) di domande d’asilo accolte.
    3) Introduzione del concetto di “finzione del non ingresso”

    Il patto introduce il concetto di “finzione giuridica di non ingresso”, secondo il quale le zone di frontiera sono considerate come non parte del territorio degli Stati membri. Questo interessa in particolare l’Italia, la Grecia e la Spagna per gli sbarchi della rotta mediterranea, mentre sono più articolati “i confini” per la rotta balcanica. Durante le 12 settimane di attesa per l’esito della richiesta di asilo, le persone sono considerate legalmente “non presenti nel territorio dell’UE”, nonostante esse fisicamente lo siano (in centri di detenzione ai confini), non avranno un patrocinio legale gratuito per la pratica amministrativa e tempi brevissimi per il ricorso in caso di un primo diniego (e in quel caso rischiano anche di essere espulse durante l’attesa della decisione che li riguarda). In assenza di accordi con i paesi di origine (come nella maggioranza dei casi), le espulsioni avverranno verso i paesi di partenza.

    Tale concetto creadelle pericolose “zone grigie” in cui le persone in movimento, trattenute per la procedura accelerata di frontiera, non potranno muoversi sul territorio né tantomeno accedere a un supporto esterno. Tutto questo in spregio del diritto internazionale e della tutela della persona che, sulla carta, l’UE si propone(va) di difendere.
    4) L’istituzione di un meccanismo di “solidarietà obbligatoria” e l’esternalizzazione dei confini

    All’interno di una narrazione in cui le persone in movimento sono un onere da cui gli Stati Europei cercano di sottrarsi, viene istituito un meccanismo di “accettazione obbligatoria” di ricollocamento e trasferimento delle persone migranti, ma solo in caso di non precisate impennate di arrivi. Gli Stati potranno però scegliere se “accettare” un certo numero di migranti o, in alternativa all’accoglienza, fornire supporto operativo al paese d’arrivo, inviando del personale o mezzi, oppure pagare una quota di 20mila euro per ogni richiedente che si rifiutano di accogliere, da versare in un fondo comune dell’Unione Europea.

    I soldi versati in questo fondo comune, oltre a poter essere redistribuiti tra i paesi di frontiera (come l’Italia), potranno essere utilizzati per sostenere e finanziare «azioni nei paesi terzi o in relazione ad essi che hanno un impatto diretto sui flussi migratori verso l’UE» ossia paesi, come Libia e Tunisia da cui le persone migranti partono per raggiungere l’Europa.

    Un meccanismo disumanizzante e che trasforma le persone e le garanzie dei diritti umani in merci barattabili con un compenso economico destinabile a rafforzare i confini ancora più esternamente.

    Un ulteriore sviluppo è dato dalla delocalizzazione della zona di frontiera, attraverso la creazione di hotspot al di fuori dei confini nazionali, come nel caso dei futuri centri italiani in Albania.

    L’adozione di questo Nuovo Patto – non ancora definitivo, si ricorda – dimostra come i valori di accoglienza e “integrazione” e il diritto alla libertà di movimento, previsto dall’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, vengano sgretolati di fronte ad una sempre più marcata diffidenza, chiusura e difesa della sovranità nazionale.

    Con la recrudescenza dei nazionalismi negli Stati Europei e la loro incapacità di agire con una lungimiranza alternativa e una visione decolonializzata nello scacchiere geopolitico, la tutela degli individui e della dignità umana viene “semplicemente” sostituita da inquietanti concetti privi di senso legati alla purezza della nazione e dell’etnia e alla difesa, in modalità securitaria e repressiva, della patria e della tradizione, che si traducono in istituzionalizzazione e normalizzazione dell’agire violento ai confini della UE e in una crescente esternalizzazione della frontiera attraverso il respingimento delle persone razzializzate nell’ultimo Paese di partenza, con l’intento dichiarato di voler scoraggiare la mobilità verso l’Europa.

    https://www.meltingpot.org/2024/04/the-pact-kills-listituzionalizzazione-della-fine-del-diritto-dasilo-nell
    #pacte #asile #migrations #réfugiés #droit_d'asile #procédure_accélérée #pays_sûrs #rétention #frontières #rétention_aux_frontières #screening #Eurodac #procédure_de_frontière #biométrie #fiction_juridique #zones_frontalières #solidarité_obligatoire #externalisation #relocalisation #fiction_légale #legal_fiction

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    ajouté à la métaliste sur #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    ajouté à la métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
    https://seenthis.net/messages/795053

  • Olivier Cyran sur X : « Le drone tueur qui diffuse des pleurs de bébé pour attirer les morts de faim hors de leur cachette et pouvoir les exécuter plus facilement. Dire que cette chose a été pensée, conçue, fabriquée et mise en service par des gens certainement fiers d’avoir si bien fait leur travail. » / X
    https://twitter.com/OlivierCyran/status/1780657225054482566

    War on Gaza : Israeli drones lure Palestinians with crying children recordings then shoot them | Middle East Eye
    https://www.middleeasteye.net/news/disturbing-recordings-crying-infants-played-israeli-quadcopters-lure-

  • Opinion | The Point: Conversations and insights about the moment. - The New York Times
    https://www.nytimes.com/live/2024/04/02/opinion/thepoint#avian-flu-cows-outbreak

    The discovery of the country’s second human case of H5N1 avian flu, found in a Texas dairy farm worker following an outbreak among cows, is worrying and requires prompt and vigorous action.

    While officials have so far said the possibility of cow-to-cow transmission “cannot be ruled out,” I think we can go further than that.

    The geography of the outbreak — sick cows in Texas, Idaho, Michigan, Ohio and New Mexico — strongly suggests cows are infecting each other as they move around various farms. The most likely scenario seems to be that a new strain of H5N1 is spreading among cows, rather than the cows being individually infected by sick birds.

    Avian flu is not known to transmit well among mammals, including humans, and until now, almost all known cases of H5N1 in humans were people in extended close contact with sick birds. But a cow outbreak — something unexpected, as cows aren’t highly prone to get this — along with likely transmission between cows, means we need to quickly require testing of all dairy workers on affected farms as well as their close contacts, and sample cows in all the dairy farms around the country.

    It is possible — and much easier — to contain an early outbreak when an emergent virus isn’t yet adapted to a new host and perhaps not as transmissible. If it gets out and establishes a foothold, then all bets are off. With fatality rates estimated up to 50 percent among humans, H5N1 is not something to gamble with.

    Additionally, H5N1 was found in the unpasteurized milk of sick cows. Unpasteurized milk, already a bad idea, would be additionally dangerous to consume right now.

    Public officials need to get on top of this quickly, and transparently, telling us the uncertainties as well as their actions.

    The government needs to gear up to potentially mass-produce vaccines quickly (which we have against H5N1, though they take time to produce) and ensure early supplies for frontline and health care workers.

    It’s possible that worst-case scenarios aren’t going to come true — yet. But evolution is exactly how viruses get to do things they couldn’t do before, and letting this deadly one have time to explore the landscape in a potential new host is a disastrously bad idea.

    #H5N1 #Zeynep_Tufekci #contagion #Santé_publique

  • #Etats-Unis : #Harvard, #Yale et #Berkeley décident de se retirer du prestigieux #classement des facultés de droit

    Trois grandes #universités américaines ont annoncé quitter la liste des meilleures facultés de droit, invoquant une méthodologie qui dissuaderait notamment des milliers d’étudiants de postuler à cause des frais de scolarité trop élevés.

    Trop cher et élitiste l’enseignement supérieur aux Etats-Unis ? Deux de ses principaux piliers, les universités de Harvard et Yale, appartenant à l’Ivy League (groupe réunissant les huit établissements privés américains les plus prestigieux), semblent en prendre soudainement conscience. Jeudi, elles ont annoncé leur décision de se retirer du classement annuel des meilleures facultés de droit, publié dans le magazine US News & World Report. Vendredi, c’était au tour de l’université de Berkeley de se joindre à elles. En cause ? Une méthodologie qui ne prend pas en compte le droit d’intérêt général (droit pro bono, emplois dans des organismes à but non lucratif…) et dissuade les étudiants les plus démunis de postuler dans ces cursus aux frais de scolarité élevés. Des effets pervers qui semble leur sauter soudain aux yeux après presque trente ans de présence dans cette liste.

    Le classement est important aux yeux des étudiants mais aussi des employeurs, qui se basent chaque année sur le US News & World Report. Il prend en compte plusieurs paramètres tels que la vie étudiante, la qualité des programmes des établissements, les frais de scolarité, la réputation, les notes des étudiants et des résultats au Law School Admission Test (le concours d’admission à la faculté de droit), les taux de réussite au barreau et d’insertion professionnelle. L’obtention d’un diplôme dans l’une des universités les mieux classées ouvre ainsi les portes à des stages prestigieux et des emplois d’associés très bien rémunérés dans de grands cabinets d’avocats.
    Un classement « profondément défectueux »

    Néanmoins, US News & World Report dissuaderait des milliers d’étudiants qui n’ont pas les moyens de s’inscrire à de grandes universités aux frais de scolarité astronomiques. Heather Gerken, la doyenne de la faculté de droit de Yale, explique dans une déclaration publiée mercredi sur le site de l’université que ce classement serait « profondément défectueux et découragerait les étudiants de la classe ouvrière ». Un avis partagé par son homologue de Berkeley, Erwin Chemerinsky. Le classement inciterait les écoles à accepter les candidatures d’étudiants aux revenus élevés qui n’ont pas besoin d’emprunt bancaire pour financer leur cursus.

    « En raison de l’importance accordée à la sélectivité, et plus particulièrement aux résultats au concours d’admission et à la moyenne générale des étudiants admis, les écoles sont incitées à refuser des étudiants prometteurs qui n’ont peut-être pas les ressources nécessaires pour participer à des cours de préparation aux examens », a déclaré Heather Gerken. Les écoles sont ainsi encouragées à attirer les étudiants les mieux notés avec des bourses au mérite plutôt de cibler des bourses pour ceux qui ont le plus besoin d’une aide financière, comme les étudiants qui sont issus de familles de la classe moyenne ou ouvrière.

    Après cette annonce qui a eu l’effet d’une bombe dans le monde de l’enseignement supérieur, d’autres établissements se demandent maintenant s’il ne serait pas temps de se retirer aussi de ce classement. Le doyen de l’université de Pennsylvanie, également membre de l’Ivy League, a indiqué vouloir « évaluer ce problème et évaluer un processus avant de prendre [une] décision. ».
    50 000 dollars de frais par an

    Ce n’est pas la première fois que le sujet des frais de scolarités est abordé aux Etats-Unis. Le démocrate Bernie Sanders, sénateur du Vermont, plaide depuis dès années pour la gratuité des frais de scolarité en master. Selon US News Data, les frais auraient augmenté de 4 % dans les universités privées, comparé à l’année dernière. En moyenne, les frais de scolarité s’élèveraient à près de 50 000 dollars par an (pareil en euros) pour les étudiants qui fréquentent les plus grandes facultés de droit privé, sans compter toutes les dépenses faites pour les livres et le logement. A Harvard, c’est plus de 70 000 dollars ; 69 000 pour Yale et Berkeley.

    En 2017, Sanders, ainsi que plusieurs de ses collègues, ont présenté au Congrès le plan « College for All », une législation qui rendrait entre autres l’enseignement supérieur gratuit pour des millions de personnes. Malgré le soutien de plusieurs associations, la proposition de loi n’a pas encore abouti. La décision de Harvard, Yale et Berkeley pourrait relancer le débat.

    https://www.liberation.fr/international/amerique/etats-unis-harvard-yale-et-berkeley-decident-de-se-retirer-du-prestigieux
    #ranking #USA #retrait #abandon #université #ESR

    • University of Zurich withdraws from international university ranking

      The University of Zurich is withdrawing from the university ranking published by the #Times_Higher_Education magazine. The ranking creates false incentives, the university announced on Wednesday.

      According to the Swiss university, rankings often focus on measurable output, creating an incentive to increase the number of publications rather than prioritise the quality of content.

      The university added that rankings also suggest that they comprehensively measure the university’s diverse achievements in research and teaching. The University of Zurich will therefore no longer provide data to the ranking.

      In the last ranking for 2024 published in September 2023, the University of Zurich was ranked 80th among the world’s best universities.

      https://www.swissinfo.ch/eng/education/university-of-zurich-quits-international-university-ranking/73693006
      #Suisse #Zurich #université_de_Zurich

    • Why UU is missing in the THE ranking

      You may have heard: Utrecht University has not been included in the Times Higher Education (THE) World University Ranking 2024.
      Too much stress on competition

      UU has chosen not to submit data. A conscious choice:

      – Rankings put too much stress on scoring and competition, while we want to focus on collaboration and open science.
      – In addition, it is almost impossible to capture the quality of an entire university with all the different courses and disciplines in one number.
      – Also, the makers of the rankings use data and methods that are highly questionable, research shows. For example, universities have to spend a lot of time providing the right information.

      What are further reasons for not participating? How are other universities dealing with this? And what is the position of university association UNL? DUB wrote an informative article (Dutch). UNL shared this position earlier as well as an advisory report
      external link
      (pdf, Dutch) to deal responsibly with rankings. In addition, AD wrote the article ’Utrecht University no longer appears in world rankings and this is why’ (Dutch, paywall).
      Sticking together

      It is important that universities - more so than now - join forces when it comes to dealing responsibly with rankings (in line with the aforementioned advice from UNL). We advise students to mainly compare the content and nature of programmes and researchers to look at the nature and quality of research programmes.

      https://www.uu.nl/en/news/why-uu-is-missing-in-the-the-ranking
      #Utrecht

  • Des #mines pour sauver la planète ?

    Pour réaliser la #transition_énergétique, il faudrait extraire en vingt ans autant de métaux qu’au cours de toute l’histoire de l’humanité. C’est « l’un des grands #paradoxes de notre temps », constate #Celia_Izoard.

    Journaliste, traductrice et philosophe, Celia Izoard examine depuis plusieurs années les impacts sociaux et écologiques du développement des nouvelles technologies. Ce nouvel ouvrage s’intègre dans cette veine en explorant les effets délétères de la transition énergétique et numérique.

    La #transition verte nécessite d’extraire du #sous-sol des quantités colossales de #métaux. Ils seront ensuite destinés à la production des énergies bas carbone qui sauveront la planète. Cette course aux métaux supposée sauver la planète du dérèglement climatique n’aggrave-t-elle pas le chaos écologique, les dégâts environnementaux et les inégalités sociales ?

    Celia Izoard mène une vaste enquête sur ce phénomène mondial, inédit et invisible. Si d’autres ouvrages ont également mis en avant l’insoutenabilité physique d’une telle transition, la force de ce livre est d’élaborer un panorama de cette question grâce à des enquêtes de terrain et une analyse fournie sur les aspects culturels, politiques, économiques et sociaux des mines et des métaux.

    Le #mythe de la #mine_verte

    Au début du livre, Celia Izoard part à la recherche des mines du XXIe siècle, « responsables », « relocalisées », « 4.0 », ou encore « décarbonées, digitales et automatisées ». Par un argumentaire détaillé et une plongée dans des mines en #Espagne ou au #Maroc, l’autrice démontre que derrière ce discours promu par les institutions internationales, les dirigeants politiques et les milieux d’affaires se cache un autre visage. Celui de la mine prédatrice, énergivore et destructrice. Celui qui dévore l’habitat terrestre et le vivant.

    De façon locale, le processus de « radicalisation » de la mine industrielle est détaillé par le prisme de ses ravages sociaux. La mine est avant tout « une gigantesque machine de #déracinement » (p. 54), qui vide des espaces en expropriant les derniers peuples de la planète. En outre, la mine contemporaine expose les populations à diverses maladies et à l’intoxication. Dans la mine de #Bou-Azzer au Maroc, on extrait du « #cobalt_responsable » pour les #voitures_électriques ; mineurs et riverains souffrent de cancers et de maladies neurologiques et cardiovasculaires.

    L’ampleur globale de la #prédation du #secteur_minier au XXIe siècle est aussi esquissée à travers la production grandissante de #déchets et de #pollutions. Le secteur minier est l’industrie la plus polluante au monde. Par exemple, une mine industrielle de #cuivre produit 99,6% de déchets. Stockés à proximité des #fosses_minières, les stériles, de gigantesques volumes de roches extraits, génèrent des dégagements sulfurés qui drainent les #métaux_lourds contenus dans les roches et les font migrer vers les cours d’#eau. Les tuyaux des usines crachent en permanence les #résidus_toxiques qui peuvent, en fonction du #minerai traité, se composer de #cyanure, #acides, #hydrocarbures, #soude, ou des #poisons connus comme le #plomb, l’#arsenic, le #mercure, etc. Enfin, les #mines_zéro_carbone sont des #chimères car elles sont toutes très énergivores. La quantité nécessaire pour extraire, broyer, traiter et raffiner les métaux représentent environ 8 à 10% de l’#énergie totale consommée dans le monde, faisant de l’#industrie_minière un principal responsable du dérèglement climatique.

    La face sombre de la transition énergétique

    Dans la seconde partie, Celia Izoard montre que les élites sont « en train d’enfouir la crise climatique et énergétique au fond des mines » (p. 62). Cet impératif d’extraire des métaux pour la transition coïncide avec le retour de la question des #matières_premières sur la scène publique, dans un contexte où les puissances occidentales ont perdu leur hégémonie face à la Chine et la Russie.

    Depuis quand la transition implique-t-elle une relance minière et donc le passage des #énergies_fossiles aux métaux ? Cet argument se diffuse clairement à la suite de la publication d’un rapport de la Banque mondiale en 2017. En collaboration avec le plus gros lobby minier du monde (l’ICMM, International Council on Mining and Metals), le rapport stipule que l’industrie minière est appelée à jouer un rôle majeur dans la lutte contre le changement climatique – en fournissant des technologies bas carbones. #Batteries électriques, rotors d’éoliennes, électrolyseurs, cellules photovoltaïques, câbles pour la vague d’électrification mondiale, toutes ces infrastructures et technologies requièrent néanmoins des quantités faramineuses de métaux. La transition énergétique des sociétés nécessiterait d’avoir recours à de nombreux métaux de base (cuivre, #nickel, #chrome ou #zinc) mais aussi de #métaux_rares (#lithium, #cobalt, #lanthanide). L’#électrification du parc automobile français exige toute la production annuelle de cobalt dans le monde et deux fois plus que la production annuelle de lithium.

    Au XXIe siècle, la matière se rappelle donc brusquement aux puissances occidentales alors qu’elles s’en rêvaient affranchies dans les années 1980. Pourtant, les sociétés occidentales n’avaient évidemment jamais cessé de se fournir en matières premières en s’approvisionnant dans les mines et les industries délocalisées des pays du Sud. Ce processus de déplacement avait d’ailleurs contribué à rendre invisible la mine et ses pollutions du paysage et de l’imaginaire collectif.

    Sous l’étendard de la transition qui permet d’anticiper les contestations environnementales et de faire adhérer les populations à cette inédite course mondiale aux métaux se cache le projet d’une poursuite de la croissance et des modes de vie aux besoins énergétiques et métalliques démesurés. Cette nouvelle légende de l’Occident capitaliste justifie une extraction de métaux qui seront également destinés aux entreprises européennes du numérique, de l’automobile, l’aérospatial, l’armement, la chimie, le nucléaire et toutes les technologies de pointe.

    « Déminer le #capitalisme »

    Ce #livre explore ensuite dans une troisième partie l’histoire du capitalisme à travers celle de la mine et des métaux. Elle montre comment s’est fondé un modèle extractiviste reposant sur des idéologies : le Salut, le Progrès, le Développement – et désormais la Transition ? L’extractivisme est permis par l’élaboration et le développement d’un ensemble de croyances et d’imaginaires qui lui donnent une toute puissance. C’est ce que Celia Izoard nomme : la « #cosmologie_extractiviste » (p. 211). Accompagnée par une législation favorable et des politiques coloniales menées par l’État et la bourgeoisie, puis par l’industrialisation au XIXe siècle, cette matrice a favorisé notre dépendance à un régime minier. Aux yeux du peuple amazonien des Yanomamis, les Blancs sont des « mangeurs de terre » (p. 215).

    Comment sortir de cette vision du monde occidental structuré autour de la mine dont l’objectif est l’accumulation de capital et de puissance. La solution minière, comme technologique, à la crise climatique est un piège, affirme Celia Izoard. Le mouvement climat doit passer par la #décroissance_minérale, par un « sevrage métallique autant qu’un sevrage énergétique » (p. 291). La réduction des consommations énergétiques et matérielles est une solution réaliste. Le quotidien des occidentaux est surminéralisé à l’instar de l’objet emblématique de notre surconsommation quotidienne de métaux : le smartphone. Il contient à lui seul, sous la forme d’alliage complexe, plus de 50 métaux. Les métaux ne devraient-ils pas être réservés aux usages déterminés comme essentiels à la vie humaine ?

    Pour sortir du #régime_minier, il est d’abord urgent de rendre visible la surconsommation de métaux dans le débat public. D’une part, cela doit passer par des mesures politiques. Instaurer un bilan métaux au même titre que le bilan carbone car l’idéologie de la transition a créé une séparation illusoire entre les ressources fossiles toxiques (charbon, pétrole et gaz) et l’extraction métallique, considérée comme salutaire et indispensable. Ou encore cibler la surconsommation minérale des plus riches en distinguant émissions de luxe et émissions de subsistance, comme le propose déjà Andreas Malm. D’autre part, pour « déminer le capitalisme » (p. 281), cela devra passer par un processus de réflexions et de débats collectifs et démocratiques, de mouvements sociaux et de prises de consciences individuelles, en particulier dans les pays hyperindustrialisés dont la surconsommation de métaux est aberrante.

    Non content de contourner l’obstacle de la « transition énergétique », l’extractivisme pousse les frontières toujours plus loin, justifiant la conquête de nouveaux eldorados : le Groenland, les fonds océaniques, voire les minerais extraterrestres. Face au processus de contamination et de dégradation de la planète mené par le secteur minier et industriel, les luttes contre les projets s’intensifient. Récemment, ce sont les Collas, peuple indigène du Chili, qui s’opposent aux géants miniers. Ces derniers ont pour projet d’extraire du lithium dans le salar de Maricunga ; cela entraînera le pompage de millions de mètres cubes d’eau dans les profondeurs des déserts de sel, ces emblèmes de la cordillère des Andes. La communauté colla en sera d’autant plus affaiblie d’autant plus qu’elle souffre déjà de l’exode urbain et de l’assèchement de la région. Les éleveurs devront aussi abandonner leurs élevages et s’engager vers les immenses cités minières de la région. En outre, la transhumance, la biodiversité, une quarantaine d’espèces sauvages locales (le flamant rose chilien, les vigognes ou les guanacos, etc.), sont menacées. Appuyés par leur porte-parole Elena Rivera, ils ne comptent pas se laisser faire et ont fait un recours au Tribunal environnemental de Santiago, qui traite des nombreuses controverses écologiques dans le pays. Au XXIe siècle, les débats et luttes organisés autour de l’extraction au Chili, deuxième pays concentrant le plus de lithium sur la planète, prouvent que les pauvres et les derniers peuples de la planète sont en première ligne face aux effets délétères sous-jacents à la « transition verte ».

    https://laviedesidees.fr/Des-mines-pour-sauver-la-planete
    #changement_climatique #climat #extractivisme

  • Une collègue vient de m’annoncer que #SciHub n’est plus mis à jour... donc impossible de trouver via ce canal les #articles_scientifiques récents...
    C’est une très mauvaise nouvelle... est-ce que des @seenthis·ien·nes en savent quelque chose ? Des alternatives se dessinent ?

    Sur #Z-library et #Libgen plutôt #livres qu’articles...

    Announcement : Sci-Hub has been paused, NO NEW ARTICLES will be downloadable via Sci-Hub until further notice
    https://www.reddit.com/r/scihub/comments/lofj0r/announcement_scihub_has_been_paused_no_new

    #édition_scientifique #scihub

    • Non, pas plus de nouvelles que ça de mon côté sur le devenir de scihub. Et oui, zlib ça ne remplace pas. Et trop peu de collègues jouent le jeu de déposer leurs articles acceptés sur les plateformes du type HAL. Dans mon labo, un mail a encore été envoyé il y a peu pour rappeler qu’on avait parfaitement le droit de faire ces dépôts, et que les clauses d’exclusivité édictées par les revues étaient du bullshit.

    • Les collègues qui ne mettent pas leurs texte sur #HAL, je ne comprends pas non plus...
      Mais cela ne résoudrait pas le problème... et, de manière plus radicale, je ne comprends pas comment les collègues peuvent continuer à publier dans des revues prédatrices... mais ça... c’est un combat encore plus difficile à mener... surtout vu la tournure que prennent (et que beaucoup ont déjà pris depuis bien lurettes) les universités...

    • le bot télégram : scihubot est toujours dispo (mais nécessite l’installation de l’appli)

      il suffit de poster un message avec le lien du papier et il donne un pdf en réponse...

      après les papiers très récents sont toujours difficile à dégôter

    • merci à vous toustes... je comprends la « radicalité » de @freakonometrics, mais ceci dit il y a des articles qui méritent d’être lus, même si ils faut les trouver derrière paywall (et même quand les chercheur·es mettent sur HAL ou similaires, parfois iels ne mentionnent pas les numéros de page... ce qui fait que c’est plus compliqué de les citer)...
      @ant1 le problème n’est pas l’accès à sci-hub en tant que tel, mais que sci-hub a arrêter de mettre des nouveaux articles... mais je vais peut-être essayer le bot télégram (vu que j’ai l’appli déjà).
      Toujours aussi une alternative : écrire aux auteur·es... généralement ça marche bien :-)

    • @freakonometrics , j’entends bien ton point de vue, mais pour moi il y a un hic, et même deux : déjà utiliser la notion de « mérite » pour faire un tri dans les papiers, je m’en garderais bien, terrain glissant.

      Par ailleurs, si j’ai besoin d’utiliser un résultat existant dans un papier, genre un théorème démontré par bidule, publié dans une revue prédatrice et non partagé sur HAL ou autre, je fais quoi ? Si je ne cite pas, sûr que je vais me faire reprendre par les relecteur·ices du papier. Et là je leur dit quoi ? Non désolé je ne vais pas citer bidule car iel n’a pas mis son papier en open access ? Ça m’étonnerait que ça passe.

      Et oui @cdb_77 , on oublie souvent qu’il petit mail aux auteur·es suffit souvent (et peut permettre éventuellement d’engager la discussion sur le problème de l’accès aux articles).

  • IDF Drone Bombed World Central Kitchen Aid Convoy Three Times, Targeting Armed Hamas Member Who Wasn’t There - Israel News - Haaretz.com
    https://www.haaretz.com/israel-news/2024-04-02/ty-article/.premium/idf-bombed-wck-aid-convoy-3-times-targeting-armed-hamas-member-who-wasnt-there/0000018e-9e75-d764-adff-9eff29360000

    IDF Drone Bombed World Central Kitchen Aid Convoy Three Times, Targeting Armed Hamas Member Who Wasn’t There

    Marc Owen Jones sur X :
    https://twitter.com/marcowenjones/status/1775138349361037426

    This haaretz report, apparently based on a defence source raises more questions than it answers.

    Some points.

    1) Firstly, the source acknowledges that there were 3 missiles fired from a drone. There’s no doubt that the operators knew it was an aid convoy. This isn’t in question.

    2) Upon destroying the first truck the source claims survivors got out and entered another truck.

    3) The second truck was then attacked

    4) The survivors then got out and were attacked a third time

    5) These multiple strikes were done on three different vehicles the IDF knew to belong to aid workers

    6) The defence official initially claimed a single Hamas operative got in the vehicle.

    They then say he stayed at the warehouse. At what point did they know his movements? If they knew his movements why wait till he was among aid workers.

    7) Even if the presence of a Hamas member, on what basis does one Hamas member justify attacking three vehicles and 7 civilians

    8) Furthermore, if the IDF attacked each vehicle in succession, they are implying that the terrorist survived the 1st and 2nd strike. (How did they know he survived?)

    9) Indeed, if the IDF can tell that one Hamas operative survived they could target him alone surely?

    10) Why would they wait till he departed in the vehicle to attack if this put all three vehicles in danger? Indeed, this implies the IDF protocol is to destroy all vehicles in a convoy if they see any survivors?

    11) What this tell us is that the IDF will kill an almost unlimited or undefined number of civilians in order to potentially kill one Hamas member of unspecific rank or commitment

    12) While we know that this is more or less how Israel operates, it also likely that they they are providing a cover story to hide a deliberate targeted attack on @WCKitchen

  • Opinion | Who’s to Blame for Those Kate Middleton Conspiracies? |Conversations and insights about the moment. - The New York Times
    https://www.nytimes.com/live/2024/03/26/opinion/thepoint#kate-middleton-russia-interference

    Par Zeyneo Tufekci

    Who’s to Blame for Those Kate Middleton Conspiracies?

    A British government source, reportedly, told the British newspaper The Telegraph that “hostile state actors” — China, Russia and Iran — are “fueling disinformation about the Princess of Wales to destabilize the nation.” British morning shows promptly picked up the story, comparing it to election interference.

    It’s certainly possible that countries with a history of online conspiracy mongering played some role in amplifying the most salacious rumors about Catherine, the Princess of Wales. But it’s also undeniable that large numbers of people — and celebrities and newspapers and everything else — were intensely interested in the princess’s whereabouts.

    The claim about foreign bots and the Princess of Wales is just the latest of similar claims of foreign interference or social media manipulation made without convincing public evidence. Young people are dissatisfied with President Biden’s policies over the Israel-Hamas war? Blame TikTok. Consumer sentiment soured amid high inflation and housing prices? Must be social media!

    If our institutions turn foreign meddling on social media into the new “the dog ate my homework,” it will become an easy excuse to ignore public dissatisfaction with divisive policies. And how will such claims be believable when they actually involve consequential foreign meddling in elections?

    There is nothing mysterious about the Kate Middleton rumors and conspiracies. She completely disappeared from view amid conflicting claims about her whereabouts. Then photo agencies conceded that the one photo the palace released of her and her children was doctored. Because the royals cultivate a headline-grabbing parasocial relationship with the public, the topic merged with the global water cooler chat online and rumors ran wild.

    But there is a lesson. Kensington Palace is the latest institution to discover that lying to the public will make people suspicious. Mistrust will swirl on social media, as valid questions and bonkers conspiracies percolate.

    It was true for the pandemic and for the war in Gaza. It’s true in the royals’ case, too. Western institutions should first worry about shoring up their own behavior. Then they can talk about meddling — with evidence, please.

    #Zeynep_Tufekci #C_est_la_faute_aux_rezosociaux

    • Je suis arrivé à cet âge où il y a des théories du complot sur une certaine Kate Middleton, mais je ne le savais pas, et je m’en fous.

      Avant, c’était les vedettes secondaires qui font la couverture du journal télé vendu à la caisse du supermarché : ça fait bien 25 ans qu’à chaque fois je me demande « mais qui est cette personne ? ». Je vois que maintenant, j’arrive même à passer à côté des théories du complot des interwebz.

    • Elle est belle la traduction Mozilla !

      Espoir pour les jeunes pédales au zoo de Berlin : Meng Meng a été inficiellement récupéré

      Les femelles panda ne sont fertiles que quelques jours par an. Meng Meng, dans le zoo de Berlin, a été inficiellement inficiellement. En quelques mois, il apparaît si la mission a réussi.

      Pour comparer avec Glegle :

      Hoffnung auf Panda-Nachwuchs im Zoo Berlin: Meng Meng wurde besamt

      Pandaweibchen sind nur wenige Tage im Jahr fruchtbar. Meng Meng im Berliner Zoo wurde nun besamt. In einigen Monaten zeigt sich, ob die Mission erfolgreich war.

  • Berliner Gebietsreform 1938
    https://de.m.wikipedia.org/wiki/Verwaltungsgeschichte_Berlins


    Grenzänderungen der Berliner Bezirke zum 1. April 1938

    Aus heutiger Sicht zeigt die Karte einen Bezirk zuviel, dafür fehlen ein bzw. zwei neue im Osten der Stadt.

    Mit Wirkung zum 1. April 1938 wurden zahlreiche Begradigungen der Bezirksgrenzen sowie einige größere Gebietsänderungen vorgenommen. Dabei kamen unter anderem

    – die Siedlung #Eichkamp vom Bezirk Wilmersdorf zum Bezirk #Charlottenburg
    – der westliche Teil von #Ruhleben vom Bezirk Charlottenburg zum Bezirk #Spandau
    - der nördlich des #Berlin-Spandauer_Schifffahrtskanal s gelegene Teil der #Jungfernheide vom Bezirk Charlottenburg zu den Bezirken #Reinickendorf und #Wedding
    - #Martinikenfelde vom Bezirk Charlottenburg zum Bezirk #Tiergarten
    – das Gebiet um den #Wittenbergplatz und den #Nollendorfplatz vom Bezirk Charlottenburg zum Bezirk #Schöneberg
    – das Gebiet südlich der #Kurfürstenstraße vom Bezirk #Tiergarten zum Bezirk Schöneberg
    – ein großer Teil des #Grunewald s vom Bezirk #Wilmersdorf zum Bezirk #Zehlendorf
    – ein Teil von #Dahlem vom Bezirk Zehlendorf zum Bezirk Wilmersdorf
    - der östliche Rand des Bezirks Zehlendorf (in Dahlem nur ein schmaler Streifen, sich in Richtung Süden verbreiternd bis hin zu einem größeren Gebiet im Südosten) zum Bezirk #Steglitz
    - #Späthsfelde vom Bezirk #Neukölln zum Bezirk #Treptow
    – Bohnsdorf vom Bezirk Köpenick zum Bezirk Treptow
    #Oberschöneweide und die #Wuhlheide vom Bezirk #Treptow zum Bezirk #Köpenick
    - die westlich der #Ringbahn gelegenen Gebiete von #Boxhagen-Rummelsburg und #Friedrichsberg vom Bezirk #Lichtenberg zum Bezirk #Friedrichshain, damals #Horst-Wessel-Stadt.
    - #Wilhelmsruh vom Bezirk #Reinickendorf zum Bezirk #Pankow
    - das Gebiet um die #Wollankstraße westlich der Berliner #Nordbahn vom Bezirk Pankow zum Bezirk #Wedding.

    Bereits in den Jahren 1928 und 1937 war es zu Verschiebungen zwischen Schöneberg und Tempelhof gekommen.

    Unmittelbar nach Ende des Zweiten Weltkriegs machte die sowjetische Militärverwaltung aus heute unbekannten Gründen #Friedenau zwischen dem 29. April und dem 30. Juni 1945 zum 21. Bezirk mit Willy Pölchen (KPD) als Bezirksbürgermeister; danach wurde Friedenau wieder wie vorher ein Ortsteil von Schöneberg. Entsprechend bestand in der Zeit das #Amtsgericht_Friedenau.

    #Berlin #Geschichte #Verwaltung #Bezirke #Nazis

  • Croatie : le président #Zoran_Milanović appelle à la haine contre les migrants

    21 mars - 7h50 : Le président Zoran Milanović, officiellement non candidat aux élections législatives du 17 avril, mais qui mène, de fait, la campagne du Parti social-démocrate (SDP), accélère sa transformation en « Trump croate ». Il a publié trois posts sur Facebook, évoquant respectivement la guerre en Ukraine, les fonds européens et la crise des migrants.

    A ce sujet, il écrit : « La Croatie est confrontée au problème de la migration. Mais aujourd’hui, il ne s’agit plus des migrants comme en 2015, lorsque nous avions une approche humaine et ouverte, mais aussi calculée de ce problème, lorsque moi-même, en tant que Premier ministre, cherchais comment aider ces gens. Aujourd’hui, tout est différent parce que les migrants arrivent ici avec une stratégie et veulent seulement bénéficier de l’aide sociale. Certes, ceux qui fuient les persécutions, la guerre ou le génocide doivent être protégés, mais les migrants d’aujourd’hui ne fuient pas pour cela. Ces personnes sont ici illégalement et doivent être traitées comme telles. Continuons à être honnêtes et sympathiques à leur égard, mais ne soyons pas idiots. La frontière croate est sacrée, des gens sont morts pour elle pendant la guerre, des gens se sont soulevés pour résister, des brigades ont été formées - pour que l’on sache ce qui nous appartenait. Aidons ceux qui en ont besoin, mais protégeons avant tout le peuple croate ! »

    #anti-migrants #anti-réfugiés #appel_à_la_haine #Croatie #racisme #xénophobie #migrations #réfugiés #Milanović #Milanovic

  • CrimethInc. : Germany: The Fight against the Tesla Gigafactory : Some Occupy the Forest, Some Shut Down the Power Grid
    https://fr.crimethinc.com/2024/03/08/germany-the-fight-against-the-tesla-gigafactory-some-occupy-the-fores

    For several years now, locals, anarchists, environmentalists, and others have been engaged in a struggle against a Tesla “gigafactory” in the small town of Grünheide, only five kilometers southeast of Berlin. This is the biggest factory producing electric cars for Tesla in all of Europe. Many important issues converge in this conflict: the struggle between global capitalism and local ecosystems, the question of what counts as “sustainable” and who gets to define it, the power that billionaires like Elon Musk have acquired and are using to reshape our society in line with their authoritarian vision.

    #zad #tesla #bagnole

  • SAINTE SOLINE, AUTOPSIE D’UN CARNAGE

    Le 25 mars 2023, une #manifestation organisée par des mouvements de défense de l’environnement à #Sainte-Soline (#Deux-Sèvres) contre les #megabassines pompant l’#eau des #nappes_phréatiques pour l’#agriculture_intensive débouche sur de véritables scènes de guerre. Avec près de 240 manifestants blessés, c’est l’une des plus sanglantes répressions de civils organisée en France depuis le 17 octobre 1961 (Voir en fin d’article le documentaire de Clarisse Feletin et Maïlys Khider).

    https://www.off-investigation.fr/sainte-solineautopsie-dun-carnage
    Vidéo :
    https://video.off-investigation.fr/w/9610c6e9-b18f-46b3-930c-ad0d839b0b17

    #scène_de_guerre #vidéo #répression

    #Sainte_Soline #carnage #méga-bassines #documentaire #film_documentaire #violences_policières #violence #Gérald_Darmanin #résistance #militarisation #confédération_paysanne #nasse
    #off_investigation #cortège #maintien_de_l'ordre #gaz_lacrymogènes #impuissance #chaos #blessés #blessures #soins #élus #grenades #LBD #quads #chaîne_d'élus #confusion #médic #SAMU #LDH #Serge_Duteuil-Graziani #secours #enquête #zone_rouge #zone_d'exclusion #urgence_vitale #ambulances #évacuation #plainte #justice #responsabilité #terrain_de_guerre #désinformation #démonstration_de_force #récit #contre-récit #mensonge #vérité #lutte #Etat #traumatisme #bassines_non_merci #condamnations #Soulèvements_de_la_Terre #plainte

    à partir de 1h 02’26 :

    Hélène Assekour, manifestante :

    « Moi ce que je voudrais par rapport à Sainte-Soline c’est qu’il y ait un peu de justice. Je ne crois pas du tout que ça va se faire dans les tribunaux, mais au moins de pouvoir un peu établir la vérité et que notre récit à nous puisse être entendu, qu’il puisse exister. Et qu’il puisse même, au fil des années, devenir le récit qui est celui de la vérité de ce qui s’est passé à Sainte-Soline ».

    • question « un peu de vérité », il y avait aussi des parlementaires en écharpe, sur place, gazé.es et menacé.es par les quads-à-LBD comme le reste du troupeau alors qu’ils protégeaient les blessés étendus au sol ; personne n’a fait de rapport ?

      Il y a eu une commission d’enquête parlementaire aussi, je crois, qui a mollement auditionné Gérald ; pas de rapport ?

  • #Zorin_OS 17.1 Released with Better Windows App Support + More
    https://www.omgubuntu.co.uk/2024/03/zorin-os-17-1-released-debuts-new-education-edition

    A new version of Zorin OS is available for download. Zorin OS 17.1 is the follow up to Zorin OS 17, which was released in December. It is based on Ubuntu 22.04.4 LTS and ships with the latest HWE stack pulled from Ubuntu 23.10, meaning users get a newer Linux kernel and a set of updated graphics drivers. Beyond foundations, the new Zorin OS 17.1 update improves the distro’s (nifty) Windows app integration by including the (epic) Wine 9.0 release and the (underrated) Bottles utility. “We’ve expanded our built-in database to detect installer files for popular Windows apps and games. […] You’re reading Zorin OS 17.1 Released with Better Windows App Support + More, a blog post from OMG! Ubuntu. Do not reproduce elsewhere without (...)

    #News #Distro_Release

    • encore une socialiste qui s’ignore dirait Milei… qui emploie aussi le mot #zurdito, petit gaucher

      Qué dicen los expertos sobre las palabras de Milei en el Colegio Cardenal Copello - LA NACION
      https://www.lanacion.com.ar/sociedad/discursos-ideologizados-en-las-aulas-que-dicen-los-expertos-sobre-las-p

      “Cuando ustedes miran todo lo que es lo políticamente correcto, es socialista. Hay mucha gente que es socialista sin saberlo, por eso me paré en el Foro de Davos y les dije a todos que son unos ‘zurditos’. Por eso, la rebelión natural debía ser liberal, estábamos tan contaminados de socialismo, teníamos tanto rojo encima que lo natural era la revolución liberal. Además, los jóvenes llevan menos tiempo expuestos al mecanismo de lavado de cerebro de la educación pública, ya sea de gestión estatal o privada”.

      discours du 06/03/24 dans son ancien collège à Villa Devoto, quartier de Buenos Aires

      le (ultra-)libéralisme, c’est ça la vraie révolution !

    • Vous me direz, le truc n’est pas nouveau : trouver des accointances entre l’extrême droitisme et l’extrême gauchisme. La fameuse théorie du « fer à cheval » : les extrêmes se rejoignent. Et puis citer Marx, ça pose son homme, non ?
      Plus loin de nous, un des quatre notables protagonistes du film de Pasolini (Salò ou les 120 Journées de Sodome) se fait la réflexion suivante : « Nous les fascistes, sommes les seuls vrais anarchistes, bien sûr quand nous sommes maîtres de l’État. En fait, la seule vraie anarchie est celle du pouvoir. »
      Quant au « Joker de Buenos Aires », ne se définissait-il pas comme un « anarchiste de droite » pendant sa tumultueuse campagne électorale ?

      Comme quoi créer de la confusion dans l’opinion est une stratégie plus ou moins payante en politique.

  • N.N. – No Name, No Nation, Not Necessary, No Noise
    https://www.meltingpot.org/2024/03/n-n-no-name-no-nation-not-necessary-no-noise

    di Diego Saccora, Lungo la rotta balcanica APS e Andrea Rizza Goldstein, Arci Bolzano-Bozen É a partire dalla fine del 2017 che il flusso delle persone in movimento per le rotte dei Balcani ha cominciato a interessare in maniera sempre più consistente la Bosnia-Erzegovina. Se all’inizio del 2018 la via di accesso principale passava dal Montenegro e prima ancora dalla Grecia e dall’Albania, già qualche segnale di quella che sarebbe poi diventata la via più utilizzata dal 2019 lo si registrava lungo le rive del fiume Drina, al confine tra Serbia e Bosnia-Erzegovina. Uno degli indicatori di questi attraversamenti, (...)

    #Notizie #Confini_e_frontiere #Redazione

  • #A69 – Une #Répression abjecte, un pouvoir grotesque
    https://bascules.blog/2024/03/01/a69-une-repression-abjecte-un-pouvoir-grotesque

    Par FRACAS le média des combats écologiques Sur les recommandations de notre amie Geneviève Azam 💗, on vous parle aujourd’hui de la lutte contre l’A69, où la répression contre les militants de la Crem’Arbre, prend un tour super inquiétant. (Dans ce débrief, on ne va pas revenir sur les innombrables raisons pour lesquelles ce projet […]

    #Les_mobilisations,_les_luttes,_la_mémoire_des_luttes #Nations_unies #ZAD


    https://2.gravatar.com/avatar/2cef04a2923b4b5ffd87d36fa9b79bc27ee5b22c4478d785c3a3b7ef8ab60424?s=96&d=

  • La #rémunération hors norme d’#Arnaud_Rousseau, président de la #FNSEA, à la tête du groupe #Avril

    L’émission de France 2 « Complément d’enquête », consacrée jeudi soir à la FNSEA, révèle le montant de la rémunération d’Arnaud Rousseau par sa société Avril : 187 000 euros en 2022. Sans compter ses autres revenus liés à ses multiples casquettes.

    Le chiffre est dix fois supérieur au revenu moyen des agriculteurs et agricultrices du pays. Président du conseil d’administration du groupe Avril et président du syndicat de la FNSEA, Arnaud Rousseau a touché en 2022 une rémunération supérieure à 187 000 euros de la part de la société spécialisée dans le colza et le tournesol. C’est ce que révèle l’émission de France 2 « Complément d’enquête », dans un long format consacré à la FNSEA, diffusé jeudi 29 février à partir de 23 heures (https://www.france.tv/france-2/complement-d-enquete/5714862-agriculture-pour-qui-roule-la-fnsea.html).

    Rapportée à une moyenne mensuelle, cette rémunération, dans laquelle sont inclus des jetons de présence et des avantages en nature – voiture et logement de fonction –, est équivalente à plus de 15 500 euros par mois. L’information de l’équipe de « Complément d’enquête » a été confirmée par le directeur juridique du groupe Avril. Il a toutefois été précisé à France 2 que « ce que perçoit Arnaud Rousseau est confidentiel ».

    Ce montant ne fait pas le tour des rémunérations d’Arnaud Rousseau, dont l’ensemble des revenus est, à l’évidence, encore supérieur. L’homme est en effet président de la FNSEA – où il touche des indemnités d’élu –, exploitant agricole à la tête de plusieurs structures bénéficiaires des aides publiques de la PAC – dont Mediapart révélait les montants l’an dernier –, vice-président de la chambre d’agriculture de la région Île-de-France, vice-président de la FOP (Fédération française des producteurs d’oléagineux et de protéagineux), et maire de sa commune.
    Des manœuvres pour empêcher la reconnaissance de maladies liées aux pesticides

    Dans son enquête, le magazine de France 2 révèle également comment la FNSEA a tenté de manœuvrer pour empêcher la reconnaissance de maladies liées aux pesticides. Au cours de réunions rassemblant expert·es et partenaires sociaux pour décider de la reconnaissance de maladies professionnelles agricoles, le syndicat majoritaire des exploitantes et exploitants agricoles s’est notamment opposé, en 2011, à la reconnaissance de la maladie de Parkinson et, en 2013, à la reconnaissance du lymphome non hodgkinien. L’une et l’autre seront tout de même reconnus respectivement en 2012 et en 2015.

    La reconnaissance de maladies liées aux pesticides permet aux victimes de toucher, via la MSA, la Mutuelle sociale agricole, des indemnités à vie. Plus il y a de maladies reconnues, plus les cotisations sociales des exploitantes et exploitants agricoles sont susceptibles d’augmenter. À ce jour, de nombreuses victimes sont obligées d’aller jusqu’en justice pour faire reconnaître leur maladie.

    https://www.mediapart.fr/journal/ecologie/290224/la-remuneration-hors-norme-d-arnaud-rousseau-president-de-la-fnsea-la-tete
    #agriculture

    • Le groupe Avril, présidé par le patron de la FNSEA, carbure aux frais de l’État

      L’entreprise d’Arnaud Rousseau est devenue leader sur le marché des « #biocarburants ». Son or jaune, c’est le #colza. La société a prospéré grâce à une réglementation sur mesure et à un important #rabais_fiscal.

      Le 30 mars 2022, à quelques jours du premier tour de l’élection présidentielle, la #Fédération_nationale_des_syndicats_d’exploitants_agricoles (FNSEA) organise un « grand oral » des candidats à la fonction suprême à l’occasion de son congrès annuel qui se tient à Angers (Maine-et-Loire). Emmanuel Macron intervient, en vidéo, depuis son QG de campagne. Et il fait cette promesse : « Je voulais ici vous le dire très clairement. Le Crit’Air 1 sera attribué aux véhicules qui roulent en permanence au B100. C’était, je le sais, attendu. »

      Le #B100 ? C’est un #carburant fait d’#huile_de_colza. Les #poids_lourds roulant exclusivement avec ce produit vont donc obtenir la #vignette qui autorise à circuler dans les « #zones_à_faibles_émissions » (#ZFE) mises en place dans les grandes agglomérations pour limiter la pollution locale. Deux semaines plus tard, le 16 avril, l’arrêté paraît au Journal officiel. On est entre les deux tours de la présidentielle, il n’y a eu aucune consultation publique.

      La décision ne tombe pas du ciel. Elle est particulièrement favorable à une société étroitement liée à la FNSEA : Avril, quatrième groupe agroalimentaire français, qui a lancé trois ans et demi plus tôt l’Oleo100, un carburant B100. De la graine de colza qu’il achète auprès des coopératives de producteurs comme sur les marchés mondiaux, et qu’il fait passer dans ses usines de trituration, le groupe Avril tire à la fois un produit sec – ce qu’on appelle les tourteaux, destinés à l’alimentation animale – et une huile végétale. C’est cette huile qui fait tourner des moteurs Diesel.

      L’entreprise est présidée par Arnaud Rousseau, alors premier vice-président de la FNSEA et dans les starting-blocks pour succéder à sa présidente, Christiane Lambert – il prendra la tête du syndicat un an plus tard. L’attribution de la vignette vient compléter un arsenal règlementaire qui contribue directement aux bénéfices mirobolants du groupe : grâce à un important rabais fiscal et à la vente, en plus de son propre carburant, de « certificats » censés aider à la décarbonation des transports, le groupe Avril, via sa filiale Saipol, dégage des dizaines de millions d’euros de bénéfices sur un produit à la rentabilité hors normes. Loin, très loin, de ce que touchent réellement agricultrices et agriculteurs. Et sans que l’écologie y gagne.

      Le jour même de l’intervention d’Emmanuel Macron au congrès de la FNSEA, Arnaud Rousseau se réjouit de la nouvelle dans un communiqué de la FOP (Fédération française des producteurs d’oléagineux et de protéagineux), qu’il préside également à ce moment-là : « L’ensemble des acteurs de la filière française des huiles et protéines végétales se félicite de l’obtention de la vignette Crit’Air 1 pour le B100, carburant 100 % végétal », écrit-il.

      La mesure était, de fait, attendue. Une présentation commerciale de l’Oleo100 auprès de potentiels clients évoquait déjà, début 2021, la future vignette en indiquant « actions en cours pour Crit’Air 1 et classification “véhicule propre” ».

      Elle ne fait certes pas grand bruit mais certains s’en émeuvent. Le sénateur (Europe Écologie-Les verts) Jacques Fernique s’est étonné de cette décision discrétionnaire, prise au profit d’un seul produit. « Cette évolution réglementaire soudaine interpelle […] au sortir d’un premier quinquennat marqué par la tenue de la convention citoyenne pour le climat et à l’orée d’un second, placé, selon le président de la République, sous le signe d’une “méthode nouvelle” associant l’ensemble des acteurs et dont l’écologie serait “la politique des politiques” », dit-il dans une question adressée au Sénat le 14 juillet 2022.

      Répondant à nos questions, le service communication d’Avril le reconnaît : « La demande de classification Crit’Air 1 a été portée par les différentes associations professionnelles représentatives des industriels producteurs de B100, des constructeurs et des transporteurs ». On peut d’ailleurs relever sur le site de la Haute Autorité pour la transparence de la vie publique (HATVP) que le groupe déclare avoir mené des actions de lobbying auprès de décideurs sur le sujet.

      Côté producteurs de B100, ces associations, précise-t-il, ce sont « Estérifrance, le syndicat français des producteurs de biocarburants de type Ester méthylique d’acide gras [type dont fait partie l’huile de colza – ndlr] », et « l’European Biodiesel Board, une association européenne visant à promouvoir l’utilisation des biocarburants dans l’UE ». La filiale Saipol d’Avril fait partie de l’une et de l’autre.
      Un « biocarburant » polluant

      L’an dernier, le député (MoDem) Mohamed Laqhila posait une question similaire à l’Assemblée nationale, s’interrogeant sur la différence de « traitement » entre le B100 et le HVO, alors même que ce dernier « est homologué dans de nombreux pays européens depuis plusieurs années ».

      Le HVO est un autre carburant alternatif qui peut être composé, celui-là, à partir d’huiles usagées, de graisses animales et de déchets. Autrement dit, sans recourir aux terres agricoles. Mais les véhicules roulant au HVO, eux, ne sont pas autorisés dans les centres-villes classés ZFE.

      Pourquoi une telle distinction ? Au regard de ce que dit la science, elle n’a pas lieu d’être. « Dans un moteur, la combustion du B100 se traduit par plus de NOx [oxydes d’azote – ndlr] qu’un carburant fossile, explique le chercheur Louis-Pierre Geffray, de l’institut Mobilités en transition. Ces NOx supplémentaires sont normalement traités par le système antipollution du véhicule, mais il n’y a aucune raison objective qui explique pourquoi, en usage réel, ce biocarburant est classé Crit’Air 1, à la différence du HVO et du diesel qui sont restés en Crit’Air 2. »

      AirParif, qui observe la qualité de l’air en Île-de-France, est arrivé aux mêmes conclusions en comparant les émissions du diesel et des carburants alternatifs.

      Interrogé sur le sujet, le ministère des finances – auquel est maintenant rattachée la Direction générale de l’énergie et du climat qui avait signé l’arrêté en question – indique que le B100 permet des réductions d’autres émissions. Et que si le HVO est exclu, c’est qu’il n’y a pas de moteur permettant de s’assurer qu’« il ne sera utilisé que du carburant HVO ».

      Ce traitement favorable au carburant issu de l’huile de colza n’est pas anecdotique. Il fait partie du « business model » d’Avril, mastodonte présent dans dix-neuf pays, au chiffre d’affaires, en 2022, de 9 milliards d’euros. Depuis longtemps, le groupe développe une stratégie d’influence auprès de la puissance publique comme auprès des gros acteurs du secteur, afin de s’assurer une position hégémonique sur le marché.

      Comme Mediapart l’avait écrit, une importante niche fiscale était déjà favorable, au cours des années 2000 et 2010, à un produit du groupe Avril – qui s’appelait alors Sofiprotéol –, le diester.
      De niche fiscale en niche fiscale

      Les bonnes affaires avec la bénédiction de l’État ne se sont pas arrêtées là. Dès son homologation par arrêté ministériel, en avril 2018, le B100 a bénéficié d’un énorme rabais fiscal. Cette année-là, Avril déclare à la HATVP l’action de lobbying suivante : « défendre les intérêts de la filière française lors des révisions du dispositif fiscal d’incitation à l’incorporation de biocarburants ».

      Sept mois après l’arrêté ministériel, Saipol annonçait le lancement de l’Oleo100. La société est la première sur le coup. Les concurrents n’arriveront que dans un second temps - un an plus tard pour la coopérative Centre ouest céréales, trois ans plus tard pour Bolloré. Eux et une poignée d’autres resteront minoritaires sur le marché.

      Cette ristourne fiscale donne un sacré avantage au B100 sur les autres carburants : il n’est taxé qu’à hauteur de 118,30 euros par mètre cube. Le produit alternatif HVO, commercialisé entre autres par TotalEnergies, Dyneff ou encore le néerlandais Neste, est imposé au même niveau que le diesel issu du pétrole, soit une taxe à hauteur de 607,5 euros par mètre cube.

      Pour l’État, la perte est substantielle. Elle pèse 489,20 euros par mètre cube de B100. Pour l’année 2023 où la filiale Saipol d’Avril, a vendu, selon ses propres chiffres, 185 000 mètres cubes d’Oleo100, ce manque à gagner dans les recettes publiques s’élève à 90,5 millions d’euros.

      Le ministère des finances dément avoir mis en place un traitement privilégié. « Aucune mesure favorisant un groupe n’a été prise. » Bercy explique la différence de taxation entre B100 et HVO par leurs caractéristiques chimiques. Le B100 est « un carburant qui ne peut être utilisé qu’avec des moteurs dédiés, et dans le cadre de flottes captives de camions spécifiquement conçus pour ce carburant. Son utilisation est donc particulièrement encadrée et restrictive ». À l’inverse, le HVO pouvant être utilisé dans différents types de moteur, le contrôle de sa bonne utilisation n’est pas possible.

      Au total, selon les chiffres d’Avril, la société présidée par Arnaud Rousseau a vendu environ 360 000 m³ d’Oleo100 depuis 2020. Ce sont plus de 176 millions d’euros qui ne sont pas allés dans les caisses de l’État. Et ce trou dans les recettes fiscales pourrait encore se creuser : selon nos informations, les projections du groupe continuent de suivre une courbe ascendante, avec l’estimation que le marché du B100 avoisinera les 600 000 m³ en 2025.

      Même si le B100 est moins émetteur de gaz à effet de serre que le gazole ordinaire, l’apport écologique de ce développement n’est pas avéré. « La fiscalité très avantageuse sur le B100 se traduit par un fort développement de ce carburant, au détriment de l’incorporation de renouvelables dans le diesel classique B7 vendu à la pompe aux particuliers, fait valoir le chercheur Louis-Pierre Geffray. Car, sur l’ensemble des carburants, l’incorporation d’énergies issues de productions agricoles en concurrence avec l’alimentation humaine est limitée par le cadre réglementaire européen à 7 %, et ce seuil a été atteint en France. » Au bénéfice du B100, donc, et au détriment des autres carburants. « Ce qui ne se justifie que partiellement en termes de vertu environnementale », souligne le chercheur.

      Dans une note publiée l’année dernière par l’Institut du développement durable et des relations internationales (Iddrri), ce chercheur et deux de ses collègues relèvent en outre que la culture de colza est très consommatrice de produits phytosanitaires. C’est « la deuxième culture française la plus traitée » aux pesticides, et elle absorbe en moyenne 170 kilos par hectare d’engrais azoté, estiment-ils, soulignant par ailleurs que la consommation française d’huile de colza est très dépendante des importations.

      Fin 2021, la fiscalité du B100 a d’ailleurs été étrillée par la Cour des comptes, qui avait mis en exergue, dans un rapport sur le développement des biocarburants, des taux d’imposition « sans aucune rationalité », conduisant à un système « qui n’est pas conforme à la réglementation européenne sur la taxation des produits énergétiques ». De fait, le niveau d’imposition du B100 est plus de deux fois inférieur au minimum fixé par la directive européenne sur la taxation de l’énergie pour les équivalents au gazole routier.

      La stratégie de maximisation du quatrième groupe agroalimentaire français ne s’est pas arrêtée là. Ces dernières années, il a étendu son emprise du côté des acheteurs de carburant. C’est ainsi qu’il a noué des partenariats avec des constructeurs automobiles – Renault Trucks, Volvo Trucks, Man, Scania –, comme l’écrivait Transport Infos l’an dernier, mais aussi signé des contrats avec des sociétés de la logistique et des transports. L’objectif ? garantir des débouchés pour son carburant, en concevant des modèles de véhicules qui ne peuvent rouler qu’au B100, et en incitant des transporteurs à se tourner vers ces nouveaux poids lourds.

      Depuis le projet de loi de finances (PLF) 2020, une nouvelle niche fiscale est apparue : l’achat de tels véhicules, pour les entreprises qui en font l’acquisition, entraîne, suivant le poids de l’engin, une déduction d’impôt de 5 à 15 %. C’est ce que le secteur appelle le « suramortissement ».
      Le bénéfice de Saipol, une info « confidentielle »

      Il est, enfin, encore une politique publique qui contribue directement aux juteuses affaires du groupe Avril sans pour autant contribuer efficacement à la décarbonation du secteur pour laquelle elle a été conçue. C’est celle des « certificats ». Ce système complexe, mis en place en 2019 – au départ pour pousser le secteur des carburants vers la décarbonation –, est un marché secondaire, où ne s’échangent plus des matières premières, mais des tickets permettant d’éviter des pénalités de l’État. Un mécanisme semblable aux droits à polluer pour le CO2.

      –—

      Le marché des certificats

      Le marché des certificats permet à un fournisseur de gazole qui a dépassé le seuil obligatoire d’incorporation de 9 % d’énergie renouvelable dans son produit de vendre l’équivalent de son surplus sous forme de certificats. C’est le cas de la filiale Saipol d’Avril, dont le produit Oleo100 est constitué à 100 % de renouvelable, et qui peut donc vendre des certificats pour 91 % de ses volumes.

      À l’inverse, le fournisseur n’ayant pas atteint ce seuil des 9 % achète les certificats qui lui permettent de combler virtuellement l’écart. S’il ne le fait pas, des pénalités, plus douloureuses pour ses comptes, lui sont imposées par l’État. C’est la taxe incitative relative à l’utilisation d’énergie renouvelable dans le transport (Tiruert).

      Le principe de ce mécanisme, non réglementé et opaque, est de donner aux fournisseurs abondants en renouvelables une assise financière confortable de façon à ce qu’ils poursuivent dans cette voie, afin d’obtenir, sur l’ensemble de la production française de carburant le mix attendu par les directives européennes. Cela génère donc pour eux deux sources de revenu : la vente du biocarburant en lui-même, et la vente des certificats.

      Le premier est indexé sur le prix du gazole, vendu quelques centimes au-dessous. Pour les seconds, les prix ne sont pas publics. Selon nos informations, ces certificats s’échangeaient l’année dernière autour de la coquette somme de 900 euros par mètre cube de carburant renouvelable – en ce début d’année, le prix était descendu à 700 euros.

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      La filiale d’Avril vend à la fois son produit Oleo100 et des certificats qui lui sont associés. C’est ainsi qu’elle dégage, sur son carburant, une marge incongrue. Celle-ci pèserait, pour la seule année 2023, entre 110 et 150 millions d’euros (voir en annexes notre calcul à partir du prix de vente du carburant, du coût de production et de la vente des certificats).

      Si l’on retient le bas de la fourchette, cela donnerait un taux de marge d’environ 29 %. Soit une rentabilité digne de l’industrie du luxe - en 2023, le taux de marge de LVMH, qui a publié ses chiffres en début d’année, était de 26,5 %...

      Comment justifier ce profit colossal que les contribuables financent pour partie ? Contacté, Arnaud Rousseau ne nous a pas répondu. Il n’est que le président « non exécutif » du groupe, nous précise le groupe Avril, lequel nous indique que le montant des bénéfices et du chiffre d’affaires de la filiale Saipol en 2023 est une information « confidentielle ».

      À l’évidence, l’activité biocarburants, avec ces dispositifs et traitements fiscaux particuliers, est la locomotive du groupe. En 2022, où le chiffre d’affaires d’Avril avait fait un bond à 9 milliards d’euros, la filiale Saipol dégageait, selon les derniers comptes disponibles, 135,5 millions d’euros de bénéfices. Ce qui représentait plus de 50 % du résultat net du groupe Avril.

      Depuis le début du mouvement de colère du monde agricole, l’un des principaux arguments d’Arnaud Rousseau pour maintenir la pression et obtenir la levée d’un maximum de contraintes pour le secteur est d’invoquer la fonction nourricière de l’agriculture et la nécessité de préserver la souveraineté alimentaire de la France.

      Il l’a répété sur France 2, sur RTL et sur France Inter ces dernières semaines : « Notre objectif, c’est de produire pour nourrir. » Devant les grilles du parc des expositions Paris Expo, Porte de Versailles à Paris, peu avant l’ouverture du Salon de l’agriculture samedi matin, où il réclamait « une vision » et « des réponses » du chef de l’État, le patron de la FNSEA le disait encore : « Produire pour nourrir, pour nous ça a du sens. La souveraineté alimentaire et faire en sorte que dans ce pays on continue à produire une des alimentations les plus sûres du monde, dont on est fiers […], tout cela, ça a du sens pour nous. »

      L’activité phare du mastodonte qu’il préside bénéficie pourtant déjà des attentions du gouvernement, et n’a rien à voir avec le fait de nourrir la population : elle fait tourner des bus et des camions, et elle rapporte énormément d’argent.

      https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/290224/le-groupe-avril-preside-par-le-patron-de-la-fnsea-carbure-aux-frais-de-l-e
      #fiscalité #fisc