• INFO RMC - Le parquet de Paris a requis le renvoi devant le tribunal correctionnel de Christophe Ruggia pour agressions sexuelles sur mineur de 15 ans par personne ayant autorité sur Adèle Haenel. Dans son réquisitoire définitif rendu mercredi 6 février 2024 que RMC a pu consulter, le parquet de Paris retient donc deux circonstances aggravantes à l’encontre de Christophe Ruggia pour « plusieurs épisodes d’attouchement de nature sexuelle » datant de courant 2001 alors qu’Adèle Haenel avait 12 ans jusqu’au 10 février 2004.https://rmc.bfmtv.com/actualites/police-justice/faits-divers/affaire-adele-haenel-le-parquet-de-paris-requiert-un-proces-contre-christ
    #pédocriminalité #justice#Adèle_Haenel

  • Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
    #eau #agriculture #finance #financiarisation #fonds_de_pension #private_equity #Public_sector_pension_investment_board (#Psp) #petits_fruits #myrtilles #Olmos #Pérou #Huancabamba #industrie_agro-alimentaire #avocats #exportation #amandes #ressources_hydriques #extractivisme #Hortifruit #Huelva #Espagne #fraises #Doñana #fruits_rouges #Maroc #Renewable_resources_group #Mexique #Emirats_arabes_unis (#EAU) #Al_Dahra #Egypte #Soudan #Roumanie #Louis_Dreyfus_Company #Guido_De_Nadai #Chypre #Mohamed_Elsarky #Kellog’s #Godiva_chocolatier #United_biscuits #Danone #Gil_Adotevi #Chili

  • Quand l’archéologie des « mauvaises herbes » bouscule l’Histoire (et le futur) de l’agriculture - Geo.fr
    https://www.geo.fr/environnement/archeobiologie-quand-banales-mauvaises-herbes-adventices-bousculent-histoire-agr

    Des scientifiques des universités britanniques de Sheffield et d’Oxford ont constitué le catalogue le plus exhaustif des adventices – communément appelées « mauvaises herbes ». D’après leur analyse, l’Histoire de l’agriculture est loin d’être celle d’une simple transition d’un modèle extensif vers un schéma intensif.

    Alors que les agriculteurs se mobilisent en Europe pour défendre le droit à un revenu décent, une nouvelle base de données unique en son genre nous invite à replacer les pratiques agricoles dans leur contexte géographique et historique – avec ceci de particulier (et de surprenant) que ses contributeurs n’ont pas retracé le parcours des variétés cultivées… mais celui des « adventices ».

    Au-delà de leur réputation de « mauvaises herbes », ces plantes qui s’immiscent spontanément dans et autour des champs s’avèrent en effet des indices précieux, éclairant à la fois le passé agricole de l’humanité – et peut-être également son avenir face au changement climatique.

    Agriculture intensive ou extensive ?

    Le domaine fascinant de l’archéobotanique, ou l’étude des relations entre les sociétés humaines et le monde végétal par l’analyse des restes végétaux trouvés en contexte archéologique, vise notamment à décrire l’économie végétale des sociétés anciennes et à reconstituer les pratiques agricoles (université de Genève).

    En identifiant les adventices présentes, les spécialistes de cette discipline pourront désormais se référer à un catalogue précis afin de connaître les caractéristiques écologiques de ces plantes, et en déduire si l’agriculture était plutôt extensive ou au contraire intensive – un terme qui fait référence non pas à l’usage de pesticides modernes mais au fait d’optimiser la productivité, avant même l’essor de la chimie.

    Développé par des scientifiques des universités britanniques de Sheffield et d’Oxford à l’issue de trois décennies de recherche, le catalogue des adventices (gratuit et en accès libre) recense quelque 928 espèces végétales en Eurasie et en Afrique du nord, présentes dans les champs de céréales et de légumineuses cultivés sans engrais de synthèse et sans herbicides.

    « Dans les environnements agricoles modernes, où les cultures sont minutieusement gérées et où tout ce qui n’est pas désiré est éliminé, il peut être difficile de suivre les changements à long terme des environnements et des espèces végétales. En étudiant les populations historiques d’adventices au lieu des cultures, les données offrent aux chercheurs un moyen unique de voir ce qui a été perdu et gagné au fil du temps », explique dans un communiqué le Pr John Hodgson, qui a contribué aux recherches.

    Fertilisation, arrosage et désherbage à l’âge du bronze

    « Nous avons tendance à penser que l’agriculture a commencé de manière non intensive et qu’elle s’est progressivement intensifiée au fil du temps. Cependant, nous avons trouvé des sites du Néolithique [entre 6 000 et 2 200 ans avant notre ère] et de l’âge du bronze [-2 200 ans à -800 ans] qui remettent en cause cette croyance », détaille la Pr Glynis Jones, de l’université de Sheffield (communiqué).

    L’archéologue explique qu’à ces périodes, de petites parcelles de terre étaient cultivées de manière intensive, avec des pratiques telles que la « fertilisation, l’arrosage et le désherbage de cultures comme le blé ou l’orge ». Autrement dit, « des endroits où l’effort humain était important pour la culture des plantes ».

    « Nous avons également constaté que les sites de l’âge du fer [-800 ans à -450 ans] et de la période romaine qui s’étendaient sur des zones plus vastes étaient cultivés de manière moins intensive, ce qui signifie que les cultures pouvaient être plus nombreuses, mais qu’elles n’étaient pas exploitées de manière aussi intensive qu’auparavant puisqu’elles couvraient des zones plus vastes », compare-t-elle.

    Reste désormais à élargir ce catalogue des adventices à d’autres régions du monde – afin que les spécialistes des peuples d’Amérique, d’Afrique sub-saharienne, d’Asie et d’ailleurs puissent disposer eux aussi d’un nouvel outil puissant pour comprendre les liens tissés par ces populations avec la terre nourricière…

  • (Ma mère, vous revient-il encore, après plus de vingt années, ce poids plus lourd en vous, par les lourds soleils ? Je pense à votre jeunesse d’alors, ma mère, petite sœur, qui n’aviez pas l’âge de Maria ; sous votre robe, sous votre peau, j’avais chaud aussi, et vous me traîniez comme un de ces fruits d’été dont vous aviez envie… ah ! ma mère, comme je vous adore d’être restée inconnue !)

    [...]

    « Mère, que quinze années me tombent dessus encore et que je les passe à me poivrer et à aimer, et qu’ensuite je meure, si de l’amour que je porte n’a éclos que l’amour ! Tout sera oublié, comme ces impressions que je laisse se gaspiller, tiédeur des soirs, fraîcheur des couloirs, déclin de la prison vers l’automne, je ne vous retrouverai pas. »

    La Cavale Partie I Chapitre IX

    #maternité #mère #adoption

  • For Democratic Governance of Universities: The Case for Administrative Abolition

    In this essay, we argue for administrative abolition, that is, the elimination of all college presidents, provosts, deans and other top level administrators who we argue form a parasitical group that was developed over time in order to exercise both political and financial control over faculty, staff and students. We examine the way that the idea of “shared governance” disguises the de facto dictatorship of administration over faculty self-governance, explore the history of how this power grab took place and furthermore explore alternative forms of faculty self-management in both US history and abroad (especially in Latin America).

    https://muse.jhu.edu/article/917791

    #université #ESR #abolitionnisme #abolitionnisme_administratif #gouvernance #gouvernance_démocrtique #gouvernance_partagée #dictature_de_l'administration #auto-gouvernance #alternative #administration

  • Documentaire • "Loterie Nationale, 2.0 : évolution ou dérive ?"
    https://staging.rtc.be/info/societe/loterie-nationale-20-evolution-ou-derive/1515786

    Dans le cadre d’Actu L, RTC a reçu Thomas Rorive pour son documentaire "Loterie Nationale, 2.0 : évolution ou dérive ?", en mai 2023. Il s’agit d’un reportage long format sur le monde des jeux de hasard et singulièrement sur la position quasi-monopolistique de la Loterie Nationale. Alors, la Loterie Nationale évolue-t-elle avec son temps ou au contraire bénéficie-t-elle des largesses de son actionnaire, l’Etat Belge, c’est l’enjeu de ce reportage.

    -- Permalien

    #addiction #belgique

  • L’ADN comme source de preuve en matière pénale : ne croyez pas tout savoir.
    https://threadreaderapp.com/thread/1721211030355759495.html

    Beaucoup d’experts pensent maîtriser leur discours, beaucoup de magistrats lui donnent une force qu’il n’a pas, trop d’avocats le négligent.

    Voici un « cas historique » français qui va faire date. ⬇️
    Avant de vous exposer ce cas hors norme, faisons un rapide état des lieux.

    #ADN #preuve (ou pas) #FNAEG #experts_en_génétique #justice #droit_pénal #police #transfert_d'ADN

  • La #CSNP invite à mieux anticiper l’impact de l’#IA sur la société
    https://www.banquedesterritoires.fr/la-csnp-invite-mieux-anticiper-limpact-de-lia-sur-la-societe

    Après un premier avis en 2020 sur l’#intelligence_artificielle (IA) centré sur sa dimension économique, la commission supérieure du numérique et des postes (CSNP) revient sur le sujet dans son avis(https://csnp.fr/wp-content/uploads/2024/01/AVIS-N%C2%B02024-01-du-17-JANVIER-2024-pour-mieux-encadrer-lusage-de-lintellige) n°2024-01 du 17 janvier 2024. Les parlementaires insistent plus particulièrement sur les enjeux sociétaux de l’IA, le tsunami de l’#IA_générative étant passé par là. Signé de Mireille Clapot, députée de la Drôme et présidente de la CSNP, l’avis souligne l’urgence à réguler l’IA tout en invitant les pouvoirs publics à amortir ses effets sociétaux et à contribuer à l’émergence d’une IA frugale.

    #régulation #formation #administrations_publiques

  • Les corps sont devant les écrans - Contre Attaque
    https://contre-attaque.net/2024/01/02/les-corps-sont-devant-les-ecrans

    « Toutes les raisons de faire une révolution sont là. Il n’en manque aucune. Le naufrage de la politique, l’arrogance des puissants, le règne du faux, la vulgarité des riches, les cataclysmes de l’industrie, la misère galopante, l’exploitation nue, l’apocalypse écologique – rien ne nous est épargné, pas même d’en être informés. Toutes les raisons sont réunies, mais ce ne sont pas les raisons qui font les révolutions, ce sont les corps. Et les corps sont devant les écrans. »
    Le comité invisible

  • DRY JANUARY, ÉCOLOGIE : POURQUOI LE POUVOIR A-T-IL SI PEUR DE LA SOBRIÉTÉ ? - Blast le souffle de l’info
    https://video.blast-info.fr/w/9885ed4e-386b-4b3b-bcb5-dc2e454939e6

    Est-ce que tu fais le dry january ? C’est LA question que l’on vous a peut-être déjà posée ce mois-ci. Le Dry January ou défi de janvier est une initiative qui consiste à ne pas boire d’alcool pendant un mois pour faire le point sur sa consommation et prendre de la distance. En France, c’est la 5ème édition de ce mouvement né au Royaume-Uni en 2013, et cette année pourrait être record puisqu’un tiers des Français envisageait d’arrêter de boire durant le mois de janvier… Cette pause permettrait en partie de reposer son foie, de gagner en qualité de sommeil, de retrouver une meilleure concentration, de regagner de l’énergie mais aussi de mieux maîtriser sa consommation d’alcool à long terme.
    Pourtant, malgré tous ces bienfaits pour la santé, le dry january n’est pas soutenu par les pouvoirs publics, mais essentiellement par des acteurs privés et associatifs. Alors que la consommation d’alcool représente un enjeu de santé publique majeur en France. Elle est à l’origine chaque année de 41 000 décès et de 30 000 nouveaux cas de cancers. 22% des Français déclarent avoir une consommation à risque, qui dépassent les plafonds recommandés. C’est-à-dire pas plus de 2 verres par jour et 10 par semaine.
    Mais comme avec la consommation en général et la nécessaire sobriété face à la situation écologique, le gouvernement prône, une fois encore, de petits changements à la marge, plutôt qu’une action d’envergure. Les lobbies semblent toujours faire la loi, peu importe les dizaines de milliers de vies qui sont en jeu…
    Alors, face aux enjeux de santé majeurs mais aussi face à l’urgence écologique, ne serait-il pas temps de réhabiliter la sobriété ? Pourquoi les politiques en ont-ils si peur ? Et quel est le véritable poids des lobbies mais aussi de la norme sociale face à la sobriété ?
    Réponses dans cette émission de Paloma Moritz.

    #alcoolisme #addiction #sobriété #lobby_des_alcooliers #ANEV (association nationale des élus de la vigne et du vin)

  • Blinne Ní Ghrálaigh: Lawyer’s closing statement in ICJ case against Israel praised

    This was the powerful closing statement in South Africa’s genocide case against Israel.

    Senior advocate #Blinne_Ní_Ghrálaigh addressed the International Court of Justice on day one of the hearing.

    ICJ: Blinne Ní Ghrálaigh’s powerful closing statement in South Africa case against Israel
    https://www.youtube.com/watch?v=ttrJd2aWF-Y&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.thenational.sco

    https://www.thenational.scot/news/24042943.blinne-ni-ghralaigh-lawyers-closing-statement-icj-case-israel

    #Cour_internationale_de_justice (#CIJ) #Israël #Palestine #Afrique_du_Sud #justice #génocide

    • Israël commet-il un génocide à #Gaza ? Le compte rendu d’une #audience historique

      Alors que les massacres israéliens à Gaza se poursuivent, l’Afrique du Sud a tenté de démontrer, jeudi 11 et vendredi 12 janvier devant la justice onusienne, qu’un génocide est en train d’être commis par Israël à Gaza.

      « Une #calomnie », selon l’État hébreu.

      Devant le palais de la Paix de #La_Haye (Pays-Bas), la bataille des #mots a commencé avant même l’audience. Jeudi 11 janvier au matin, devant la #Cour_de_justice_internationale_des_Nations_unies, des manifestants propalestiniens ont exigé un « cessez-le-feu immédiat » et dénoncé « l’#apartheid » en cours au Proche-Orient. Face à eux, des familles d’otages israélien·nes ont montré les photos de leurs proches kidnappés le 7 octobre par le Hamas.

      Pendant deux jours, devant 17 juges internationaux, alors que les massacres israéliens à Gaza continuent de tuer, de déplacer et de mutiler des civils palestiniens (à 70 % des femmes et des enfants, selon les agences onusiennes), le principal organe judiciaire des Nations unies a examiné la requête, précise et argumentée, de l’Afrique du Sud, destinée à imposer au gouvernement israélien des « #mesures
      _conservatoires » pour prévenir un génocide de la population palestinienne de Gaza.

      La première et plus urgente de ces demandes est l’arrêt immédiat des #opérations_militaires israéliennes à Gaza. Les autres exigent des mesures urgentes pour cesser les tueries, les déplacements de population, faciliter l’accès à l’eau et à la nourriture, et prévenir tout génocide.

      La cour a aussi entendu les arguments d’Israël, qui nie toute #intention_génocidaire et a martelé son « #droit_à_se_défendre, reconnu par le droit international ».

      L’affaire ne sera pas jugée sur le fond avant longtemps. La décision sur les « mesures conservatoires », elle, sera rendue « dès que possible », a indiqué la présidente de la cour, l’États-Unienne #Joan_Donoghue.

      Rien ne dit que les 17 juges (dont un Sud-Africain et un Israélien, Aharon Barak, ancien juge de la Cour suprême israélienne, de réputation progressiste mais qui n’a jamais critiqué la colonisation israélienne) donneront raison aux arguments de l’Afrique du Sud, soutenue dans sa requête par de nombreux États du Sud global. Et tout indique qu’une décision sanctionnant Israël serait rejetée par un ou plusieurs #vétos au sein du #Conseil_de_sécurité des Nations unies.

      Cette #audience solennelle, retransmise sur le site de l’ONU (revoir les débats du jeudi 11 et ceux du vendredi 12), et relayée par de nombreux médias internationaux, a pourtant revêtu un caractère extrêmement symbolique, où se sont affrontées deux lectures radicalement opposées de la tragédie en cours à Gaza.

      « Israël a franchi une limite »

      Premier à prendre la parole, l’ambassadeur sud-africain aux Pays-Bas, #Vusi_Madonsela, a d’emblée replacé « les actes et omissions génocidaires commis par l’État d’Israël » dans une « suite continue d’#actes_illicites perpétrés contre le peuple palestinien depuis 1948 ».

      Face aux juges internationaux, il a rappelé « la Nakba du peuple palestinien, conséquence de la #colonisation_israélienne qui a [...] entraîné la #dépossession, le #déplacement et la #fragmentation systématique et forcée du peuple palestinien ». Mais aussi une « #occupation qui perdure depuis cinquante-six ans, et le siège de seize ans imposé [par Israël] à la bande de Gaza ».

      Il a décrit un « régime institutionnalisé de lois, de politiques et de pratiques discriminatoires, mises en place [par Israël – ndlr] pour établir sa #domination et soumettre le peuple palestinien à un apartheid », dénonçant des « décennies de violations généralisées et systématiques des #droits_humains ».

      « En tendant la main aux Palestiniens, nous faisons partie d’une seule humanité », a renchéri le ministre de la justice sud-africain, #Ronald_Ozzy_Lamola, citant l’ancien président Nelson Mandela, figure de la lutte contre l’apartheid dans son pays.

      D’emblée, il a tenté de déminer le principal argument du gouvernement israélien, selon lequel la procédure devant la Cour internationale de justice est nulle et non avenue, car Israël mènerait une #guerre_défensive contre le #Hamas, au nom du #droit_à_la_légitime_défense garanti par l’article 51 de la charte des Nations unies – un droit qui, selon la Cour internationale de justice, ne s’applique pas aux #Territoires_occupés. « Gaza est occupée. Israël a gardé le contrôle de Gaza. [...] Ses actions renforcent son occupation : la légitime défense ne s’applique pas », insistera un peu plus tard l’avocat Vaughan Lowe.

      « L’Afrique du Sud, affirme le ministre sud-africain, condamne de manière catégorique la prise pour cibles de civils par le Hamas et d’autres groupes armés palestiniens le 7 octobre 2023. Cela étant dit, aucune attaque armée contre le territoire d’un État, aussi grave soit-elle, même marquée par la commission des #crimes atroces, ne saurait constituer la moindre justification ni le moindre prétexte, pour se rendre coupable d’une violation, ni sur le plan juridique ni sur le plan moral », de la #convention_des_Nations_unies_pour_la_prévention_et_la_répression_du_crime_de_génocide, dont est accusé l’État hébreu.

      « La réponse d’Israël à l’attaque du 7 octobre, a-t-il insisté, a franchi cette limite. »

      Un « génocide » au caractère « systématique »

      #Adila_Hassim, principale avocate de l’Afrique du Sud, s’est évertuée à démontrer méthodiquement comment Israël a « commis des actes relevant de la définition d’#actes_de_génocide », dont elle a martelé le caractère « systématique ».

      « Les Palestiniens sont tués, risquent la #famine, la #déshydratation, la #maladie, et ainsi la #mort, du fait du siège qu’Israël a organisé, de la #destruction des villes, d’une aide insuffisante autorisée à atteindre la population, et de l’impossibilité à distribuer cette maigre aide sous les #bombardements incessants, a-t-elle énuméré. Tout ceci rend impossible d’avoir accès aux éléments essentiels de la vie. »

      Adila Hassim s’est attelée à démontrer en quoi la #guerre israélienne cochait les cases du génocide, tel qu’il est défini à l’article 2 de la convention onusienne : « Des actes commis dans l’intention de détruire, en tout ou en partie, un groupe national, ethnique, racial ou religieux. »

      Le « meurtre des membres du groupe », premier élément du génocide ? Adila Hassim évoque le « meurtre de masse des Palestiniens », les « 23 000 victimes dont 70 % sont des femmes ou des enfants », et « les 7 000 disparus, présumés ensevelis sous les décombres ». « Il n’y a pas de lieu sûr à Gaza », dit-elle, une phrase empruntée aux responsables de l’ONU, répétée de nombreuses fois par la partie sud-africaine.

      Hasssim dénonce « une des campagnes de bombardement les plus lourdes dans l’histoire de la guerre moderne » : « 6 000 bombes par semaine dans les trois premières semaines », avec des « #bombes de 900 kilos, les plus lourdes et les plus destructrices », campagne qui vise habitations, abris, écoles, mosquées et églises, dans le nord et le sud de la bande de Gaza, camps de réfugié·es inclus.

      « Les Palestiniens sont tués quand ils cherchent à évacuer, quand ils n’ont pas évacué, quand ils ont pris la #fuite, même quand ils prennent les itinéraires présentés par Israël comme sécurisés. (...) Des centaines de familles plurigénérationelles ont été décimées, personne n’ayant survécu (...) Personne n’est épargné, pas même les nouveau-nés (...) Ces massacres ne sont rien de moins que la #destruction_de_la_vie_palestinienne, infligée de manière délibérée. » Selon l’avocate, il existe bien une #intention_de_tuer. « Israël, dit-elle, sait fort bien combien de civils perdent leur vie avec chacune de ces bombes. »

      L’« atteinte grave à l’intégrité physique ou mentale de membres du groupe », et la « soumission intentionnelle du groupe à des conditions d’existence devant entraîner sa destruction physique totale ou partielle », autres éléments constitutifs du génocide ? Adila Hassim évoque « la mort et la #mutilation de 60 000 Palestiniens », les « civils palestiniens arrêtés et emmenés dans une destination inconnue », et détaille le « #déplacement_forcé de 85 % des Palestiniens de Gaza » depuis le 13 octobre, sans retour possible pour la plupart, et qui « répète une longue #histoire de #déplacements_forcés de masse ».

      Elle accuse Israël de « vise[r] délibérément à provoquer la faim, la déshydratation et l’inanition à grande échelle » (93 % de la population souffrent d’un niveau critique de faim, selon l’Organisation mondiale de la santé), l’aide empêchée par les bombardements et qui « ne suffit tout simplement pas », l’absence « d’eau propre », le « taux d’épidémies et de maladies infectieuses qui s’envole », mais aussi « les attaques de l’armée israélienne prenant pour cible le système de santé », « déjà paralysé par des années de blocus, impuissant face au nombre de blessures ».

      Elle évoque de nombreuses « naissances entravées », un autre élément constitutif du génocide.

      « Les génocides ne sont jamais annoncés à l’avance, conclut-elle. Mais cette cour a devant elle 13 semaines de #preuves accumulées qui démontrent de manière irréfutable l’existence d’une #ligne_de_conduite, et d’#intentions qui s’y rapportent, justifiant une allégation plausible d’actes génocidaires. »

      Une « #déshumanisation_systématique » par les dirigeants israéliens

      Un autre avocat s’avance à la barre. Après avoir rappelé que « 1 % de la population palestinienne de Gaza a été systématiquement décimée, et qu’un Gazaoui sur 40 a été blessé depuis le 7 octobre », #Tembeka_Ngcukaitobi décortique les propos des autorités israéliennes.

      « Les dirigeants politiques, les commandants militaires et les représentants de l’État d’Israël ont systématiquement et explicitement exprimé cette intention génocidaire, accuse-t-il. Ces déclarations sont ensuite reprises par des soldats, sur place à Gaza, au moment où ils anéantissent la population palestinienne et l’infrastructure de Gaza. »

      « L’intention génocidaire spécifique d’Israël, résume-t-il, repose sur la conviction que l’ennemi n’est pas simplement le Hamas, mais qu’il est à rechercher au cœur même de la société palestinienne de Gaza. »

      L’avocat multiplie les exemples, encore plus détaillés dans les 84 pages de la requête sud-africaine, d’une « intention de détruire Gaza aux plus hauts rangs de l’État » : celle du premier ministre, #Benyamin_Nétanyahou, qui, à deux reprises, a fait une référence à #Amalek, ce peuple que, dans la Bible (I Samuel XV, 3), Dieu ordonne d’exterminer ; celle du ministre de la défense, qui a comparé les Palestiniens à des « #animaux_humains » ; le président israélien #Isaac_Herzog, qui a jugé « l’entièreté de la nation » palestinienne responsable ; celle du vice-président de la Knesset, qui a appelé à « l’anéantissement de la bande de Gaza » (des propos condamnés par #Nétanyahou) ; ou encore les propos de nombreux élus et députés de la Knesset appelant à la destruction de Gaza.

      Une « déshumanisation systématique », dans laquelle les « civils sont condamnés au même titre que le Hamas », selon Tembeka Ngcukaitobi.

      « L’intention génocidaire qui anime ces déclarations n’est nullement ambiguë pour les soldats israéliens sur le terrain : elle guide leurs actes et leurs objectifs », poursuit l’avocat, qui diffuse devant les juges des vidéos où des soldats font eux aussi référence à Amalek, « se filment en train de commettre des atrocités contre les civils à Gaza à la manière des snuff movies », ou écoutent un réserviste de 95 ans les exhorter à « tirer une balle » sur leur « voisin arabe » et les encourager à une « destruction totale ».

      L’avocat dénonce le « manquement délibéré de la part du gouvernement à son obligation de condamner, de prévenir et de réprimer une telle incitation au génocide ».

      Après une plaidoirie technique sur la capacité à agir de l’Afrique du Sud, #John_Dugard insiste : « Gaza est devenu un #camp_de_concentration où un génocide est en cours. »

      L’avocat sud-africain #Max_du_Plessis exhorte la cour à agir face à Israël, qui « depuis des années (...) s’estime au-delà et au-dessus de la loi », une négligence du droit rendue possible par l’#indifférence de la communauté internationale, qui a su, dans d’autres conflits (Gambie, Bosnie, Ukraine) décider qu’il était urgent d’agir.

      « Gaza est devenu inhabitable », poursuit l’avocate irlandaise #Blinne_Ni_Ghralaigh. Elle énumère d’autres chiffres : « Au rythme actuel », égrène-t-elle, « 247 Palestiniens tués en moyenne chaque jour », dont « 48 mères » et « plus de 117 enfants », et « 629 blessés ». Elle évoque ces enfants dont toute la famille a été décimée, les secouristes, les enseignants, les universitaires et les journalistes tués dans des proportions historiques.

      « Il s’agit, dit-elle, du premier génocide de l’Histoire dont les victimes diffusent leur propre destruction en temps réel, dans l’espoir vain que le monde fasse quelque chose. » L’avocate dévoile à l’écran les derniers mots du docteur #Mahmoud_Abu_Najela (Médecins sans frontières), tué le 23 novembre à l’hôpital Al-Awda, écrits au feutre sur un tableau blanc : « À ceux qui survivront. Nous avons fait ce que nous pouvons. Souvenez-vous de nous. »

      « Le monde, conclut Blinne Ni Ghralaigh, devrait avoir #honte. »

      La réponse d’Israël : une « calomnie »

      Vendredi 12 janvier, les représentants d’Israël se sont avancés à la barre. Leur argumentation a reposé sur deux éléments principaux : un, la Cour internationale de justice n’a pas à exiger de « mesures conservatoires » car son armée ne commet aucun génocide ; deux, si génocide il y a, il a été commis par le Hamas le 7 octobre 2023.

      Premier à prendre la parole, #Tal_Becker, conseiller juridique du ministère des affaires étrangères israélien, invoque l’Histoire, et le génocide infligé aux juifs pendant la Seconde Guerre mondiale, « le meurtre systématique de 6 millions de juifs dans le cadre d’une destruction totale ».

      « Israël, dit-il, a été un des premiers États à ratifier la convention contre le génocide. » « Pour Israël, insiste-t-il, “#jamais_plus” n’est pas un slogan, c’est une #obligation_morale suprême. »

      Dans « une époque où on fait bon marché des mots, à l’heure des politiques identitaires et des réseaux sociaux », il dénonce une « #instrumentalisation » de la notion de génocide contre Israël.

      Il attaque une présentation sud-africaine « totalement dénaturée des faits et du droit », « délibérément manipulée et décontextualisée du conflit actuel », qualifiée de « calomnie ».

      Alors que les avocats sud-africains avaient expliqué ne pas intégrer les massacres du Hamas dans leur requête devant la justice onusienne, car « le Hamas n’est pas un État », Tal Becker estime que l’Afrique du Sud « a pris le parti d’effacer l’histoire juive et tout acte ou responsabilité palestiniens », et que les arguments avancés « ne se distinguent guère de ceux opposés par le Hamas dans son rejet d’Israël ». « L’Afrique du Sud entretient des rapports étroits avec le Hamas » et le « soutient », accuse-t-il.

      « C’est une guerre qu’Israël n’a pas commencée », dit-il en revenant longuement, images et enregistrements à l’appui, sur les atrocités commises par le Hamas et d’autres groupes palestiniens le 7 octobre, « le plus important massacre de juifs en un jour depuis la #Shoah ».

      « S’il y a eu des actes que l’on pourrait qualifier de génocidaires, [ils ont été commis] contre Israël », dit-il, évoquant le « #programme_d’annihilation » des juifs par le Hamas. « Israël ne veut pas détruire un peuple, poursuit-il. Mais protéger un peuple : le sien. »

      Becker salue les familles d’otages israéliens présentes dans la salle d’audience, et montre certains visages des 130 personnes kidnappées dont le pays est toujours sans nouvelle. « Y a-t-il une raison de penser que les personnes que vous voyez à l’écran ne méritent pas d’être protégées ? », interroge-t-il.

      Pour ce représentant de l’État israélien, la demande sud-africaine de mesures conservatoires revient à priver le pays de son droit à se défendre.

      « Israël, poursuit-il, se défend contre le Hamas, le Djihad palestinien et d’autres organisations terroristes dont la brutalité est sans limite. Les souffrances sont tragiques, sont déchirantes. Les conséquences sont parfaitement atroces pour les civils du fait du comportement du Hamas, qui cherche à maximiser les pertes de civils alors qu’Israël cherche à les minorer. »

      Becker s’attarde sur la « #stratégie_méprisable » du Hamas, une « méthode de guerre intégrée, planifiée, de grande ampleur et odieuse ». Le Hamas, accuse-t-il, « a, de manière systématique, fondu ses opérations militaires au sein de zones civiles densément peuplées », citant écoles, mosquées et hôpitaux, des « milliers de bâtiments piégés » et « utilisés à des fins militaires ».

      Le Hamas « a fait entrer une quantité innombrable d’armes, a détourné l’aide humanitaire ». Remettant en cause le chiffre « non vérifié » de 23 000 victimes (pourtant confirmé par les Nations unies), Tal Becker estime que de nombreuses victimes palestiniennes sont des « militants » qui ont pu prendre « une part directe aux hostilités ». « Israël respecte le droit », martèle-t-il. « Si le Hamas abandonne cette stratégie, libère les otages, hostilités et violences prendront fin. »

      Ponte britannique du droit, spécialiste des questions juridiques liées aux génocides, #Malcom_Shaw embraie, toujours en défense d’Israël. Son discours, technique, est parfois interrompu. Il se perd une première fois dans ses notes, puis soupçonne un membre de son équipe d’avoir « pris [sa] #plaidoirie pour un jeu de cartes ».

      Shaw insiste : « Un conflit armé coûte des vies. » Mais Israël, dit-il, « a le droit de se défendre dans le respect du #droit_humanitaire », citant à l’audience les propos de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, le 19 octobre 2023. Il poursuit : « L’#usage_de_la_force ne peut constituer en soi un acte génocidaire. » « Israël, jure-t-il, ne cible que les cibles militaires, et ceci de manière proportionnée dans chacun des cas. »

      « Peu d’éléments démontrent qu’Israël a eu, ou a, l’intention de détruire tout ou partie du peuple palestinien », plaide-t-il. Shaw estime que nombre de propos tenus par des politiciens israéliens ne doivent pas être pris en compte, car ils sont « pris au hasard et sont sortis de leur contexte », parce qu’ils témoignent d’une « #détresse » face aux massacres du 7 octobre, et que ceux qui les ont prononcés n’appartiennent pas aux « autorités pertinentes » qui prennent les décisions militaires, à savoir le « comité ministériel chargé de la sécurité nationale » et le « cabinet de guerre ».

      Pour étayer son argumentation, Shaw cite des directives (non publiques) de Benyamin Nétanyahou destinées, selon lui, à « éviter un désastre humanitaire », à proposer des « solutions pour l’approvisionnement en eau », « promouvoir la construction d’hôpitaux de campagne au sud de la bande de Gaza » ; les déclarations publiques de Benyamin Nétanyahou à la veille de l’audience (« Israël n’a pas l’intention d’occuper de façon permanente la bande de Gaza ou de déplacer sa population civile ») ; d’autres citations du ministre de la défense qui assure ne pas s’attaquer au peuple palestinien dans son ensemble.

      « La requête de l’Afrique du Sud brosse un tableau affreux, mais incomplet et profondément biaisé », renchérit #Galit_Rajuan, conseillère au ministère de la justice israélien, qui revient longuement sur les #responsabilités du Hamas, sa stratégie militaire au cœur de la population palestinienne. « Dans chacun des hôpitaux que les forces armées israéliennes ont fouillés à Gaza, elles ont trouvé des preuves d’utilisation militaire par le Hamas », avance-t-elle, des allégations contestées.

      « Certes, des dommages et dégâts ont été causés par les hostilités dans les hôpitaux, parfois par les forces armées israéliennes, parfois par le Hamas, reconnaît-elle, mais il s’agit des conséquences de l’utilisation odieuse de ces hôpitaux par le Hamas. »

      Rajuan martèle enfin qu’Israël cherche à « atténuer les dommages causés aux civils » et à « faciliter l’aide humanitaire ». Des arguments connus, que de très nombreuses ONG, agences des Nations unies et journalistes gazaouis présents sur place réfutent régulièrement, et que les journalistes étrangers ne peuvent pas vérifier, faute d’accès à la bande de Gaza.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/120124/israel-commet-il-un-genocide-gaza-le-compte-rendu-d-une-audience-historiqu

    • Gaza, l’accusa di genocidio a Israele e la credibilità del diritto internazionale

      Il Sudafrica ha chiesto l’intervento della Corte internazionale di giustizia dell’Aja per presunte violazioni di Israele della Convenzione sul genocidio del 1948. Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, presente alla storica udienza, aiuta a comprendere il merito e le prospettive

      “Quello che sta succedendo all’Aja ha un significato che va oltre gli eventi in corso nella Striscia di Gaza. Viviamo un momento storico in cui la Corte internazionale di giustizia (Icj) ha anche la responsabilità di confermare se il diritto internazionale esiste ancora e se vale alla stessa maniera per tutti i Paesi, del Nord e del Sud del mondo”. A parlare è Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, già nel team legale delle vittime di Gaza di fronte alla Corte penale internazionale (Icc), che ha sede sempre all’Aja.

      Non vanno confuse: l’aula di tribunale ripresa dalle tv di tutto il mondo l’11 e il 12 gennaio scorsi, infatti, con il team legale sudafricano schierato contro quello israeliano, è quella della Corte internazionale di giustizia, il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, che si esprime sulle controversie tra Stati. L’Icc, invece, è indipendente e legifera sulle responsabilità penali individuali.

      Il 29 dicembre scorso il Sudafrica ha chiesto l’intervento della prima per presunte violazioni da parte di Israele della Convenzione sul genocidio del 1948, nei confronti dei palestinesi della Striscia di Gaza. Un’udienza storica a cui Mariniello era presente.

      Professore, qual era innanzi tutto l’atmosfera?
      TM A mia memoria mai uno strumento del diritto internazionale ha avuto tanto sostegno e popolarità. C’erano centinaia, probabilmente migliaia di persone all’esterno della Corte, emittenti di tutto il mondo e apparati di sicurezza, inclusi droni ed elicotteri. Sentire anche le tv più conservatrici, come quelle statunitensi, parlare di Palestina e genocidio faceva comprendere ancora di più l’importanza storica dell’evento.

      In estrema sintesi, quali sono gli elementi più importanti della tesi sudafricana?
      TM Il Sudafrica sostiene che Israele abbia commesso atti di genocidio contro la popolazione di Gaza, ciò significa una serie di azioni previste dall’articolo 2 della Convenzione sul genocidio, effettuate con l’intento di distruggere del tutto o in parte un gruppo protetto, in questo caso i palestinesi di Gaza. Questi atti, per il Sudafrica, sono omicidi di massa, gravi lesioni fisiche o mentali e l’imposizione di condizioni di vita volte a distruggere i palestinesi, come l’evacuazione forzata di circa due milioni di loro, la distruzione di quasi tutto il sistema sanitario della Striscia, l’assedio totale all’inizio della guerra e la privazione di beni essenziali per la sopravvivenza. Ciò che caratterizza un genocidio rispetto ad altri crimini internazionali è il cosiddetto “intento speciale”, la volontà cioè di voler distruggere del tutto o in parte un gruppo protetto. È l’elemento più difficile da provare, ma credo che il Sudafrica in questo sia riuscito in maniera solida e convincente. Sia in aula sia all’interno della memoria di 84 pagine presentata, vi sono, infatti, una serie di dichiarazioni dei leader politici e militari israeliani, che proverebbero tale intento. Come quella del premier Benjamin Netanyahu che, a inizio guerra, ha invocato la citazione biblica di Amalek, che sostanzialmente significa: “Uccidete tutti gli uomini, le donne, i bambini e gli animali”. O una dichiarazione del ministro della Difesa, Yoav Gallant, che ha detto che a Gaza sono tutti “animali umani”. Queste sono classiche dichiarazioni deumanizzanti e la deumanizzazione è un passaggio caratterizzante tutti i genocidi che abbiamo visto nella storia dell’umanità.

      Qual è stata invece la linea difensiva israeliana?
      TM Diciamo che l’impianto difensivo di Israele è basato su tre pilastri: il fatto che quello di cui lo si accusa è stato eseguito da Hamas il 7 ottobre; il concetto di autodifesa, cioè che quanto fatto a Gaza è avvenuto in risposta a tale attacco e, infine, che sono state adottate una serie di precauzioni per limitare l’impatto delle ostilità sulla popolazione civile. Israele, inoltre, ha sollevato il tema della giurisdizione della Corte, mettendola in discussione, in quanto non vi sarebbe una disputa in corso col Sudafrica. Su questo la Corte si dovrà pronunciare, ma a tal proposito è stato ricordato come Israele sia stato contattato dal Sudafrica in merito all’accusa di genocidio e non abbia risposto. Questo, per l’accusa, varrebbe come disputa in corso.

      Che cosa chiede il Sudafrica?
      TM In questo momento l’accusa non deve dimostrare che sia stato commesso un genocidio, ma che sia plausibile. Questa non è un’udienza nel merito, siamo in una fase d’urgenza, ma di richiesta di misure cautelari. Innanzitutto chiede il cessate fuoco, poi la rescissione di tutti gli ordini che possono costituire atti di genocidio. Si domanda alla Corte di imporre un ordine a Israele per preservare tutte le prove che potrebbero essere utili per indagini future e di porre fine a tutti gli atti di cui il Sudafrica lo ritiene responsabile.

      Come valuta le due memorie?
      TM La deposizione del Sudafrica è molto solida e convincente, sia in merito agli atti genocidi sia all’intento genocidiario. E credo che anche alla luce dei precedenti della Corte lasci veramente poco spazio di manovra. Uno dei punti di forza è che fornisce anche una serie di prove in merito a quello che è successo e che sta accadendo a Gaza: le dichiarazioni dei politici israeliani, cioè, hanno ricevuto un’implementazione sul campo. Sono stati mostrati dei video di militari, ad esempio, che invocavano Amalek, la citazione di Netanyahu.

      In realtà il Sudafrica non si limita allo scontro in atto, ma parla di una sorta Nakba (l’esodo forzato dei palestinesi) ininterrotto.
      TM Ogni giurista dovrebbe sempre analizzare qualsiasi ostilità all’interno di un contesto e per questo il Sudafrica fa riferimento a 75 anni di Nakba, a 56 di occupazione militare israeliana e a 16 anni di assedio della Striscia.

      Come valuta la difesa israeliana?
      TM Come detto, tutto viene ricondotto all’attacco di Hamas del 7 ottobre e a una risposta di autodifesa rispetto a tale attacco. Ma esiste sempre un contesto per il diritto penale internazionale e l’autodifesa -che per uno Stato occupante non può essere invocata- non può comunque giustificare un genocidio. L’altro elemento sottolineato dal team israeliano, delle misure messe in atto per ridurre l’impatto sui civili, è sembrato più retorico che altro: quanto avvenuto negli ultimi tre mesi smentisce tali dichiarazioni. Basti pensare alla privazione di beni essenziali e a tutte le informazioni raccolte dalle organizzazioni internazionali e dagli organismi delle Nazioni Unite. A Gaza non esistono zone sicure, ci sono stati casi in cui la popolazione evacuata, rifugiatasi nelle zone indicate da Israele, è stata comunque bombardata.

      Ora che cosa pensa succederà?
      TM La mia previsione è che la Corte si pronuncerà sulle misure cautelari entro la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, quando alcuni giudici decadranno e saranno sostituiti. In alcuni casi ha impiegato anche solo otto giorni per pronunciarsi. Ora ci sono delle questioni procedurali, altri Stati stanno decidendo di costituirsi a sostegno di Israele o del Sudafrica.

      Che cosa implica tale sostegno?
      TM La possibilità di presentare delle memorie. La Germania sosterrà Israele, il Brasile, i Paesi della Lega Araba, molti Stati sudamericani, ma non solo, si stanno schierando con il Sudafrica.

      Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha dichiarato che non si tratta di genocidio.
      TM L’Italia non appoggerà formalmente Israele dinnanzi all’Icj. La Francia sarà neutrale. I Paesi del Global South stanno costringendo quelli del Nord a verificare la credibilità del diritto internazionale: vale per tutti o è un diritto à la carte?

      Se la Corte decidesse per il cessate il fuoco, quali sarebbero le conseguenze, visto che non ha potere politico?
      TM Il parere della Corte è giuridicamente vincolante. Il problema è effettivamente di esecuzione: nel caso di un cessate il fuoco, se non fosse Israele ad attuarlo, dovrebbe intervenire il Consiglio di sicurezza.

      Con il rischio del veto statunitense.
      TM Siamo sul terreno delle speculazioni, ma se la Corte dovesse giungere alla conclusione che Israele è responsabile di un genocidio a Gaza, onestamente riterrei molto difficile un altro veto degli Stati Uniti. È difficile al momento prevedere gli effetti dirompenti di un’eventuale decisione positiva della Corte. Certo è che, quando si parla di Israele, la comunità internazionale, nel senso dei Paesi occidentali, ha creato uno stato di eccezione, che ha sempre posto Israele al di sopra del diritto internazionale, senza rendersi conto che le situazioni violente che viviamo in quel contesto sono il frutto di questo eccezionalismo anche a livello giuridico. Fino a quando si andrà avanti con questo contesto di impunità non finiranno le spirali di violenza.

      https://altreconomia.it/gaza-laccusa-di-genocidio-a-israele-e-la-credibilita-del-diritto-intern

    • La Cour internationale de justice ordonne à Israël d’empêcher un génocide à Gaza

      Selon la plus haute instance judiciaire internationale, « il existe un #risque réel et imminent qu’un préjudice irréparable soit causé » aux Palestiniens de Gaza. La Cour demande à Israël de « prendre toutes les mesures en son pouvoir pour prévenir la commission […] de tout acte » de génocide. Mais n’appelle pas au cessez-le-feu.

      Même si elle n’a aucune chance d’être appliquée sur le terrain, la #décision prise vendredi 26 janvier par la plus haute instance judiciaire des Nations unies marque incontestablement un tournant dans la guerre au Proche-Orient. Elle intervient après quatre mois de conflit déclenché par l’attaque du Hamas le 7 octobre 2023, qui a fait plus de 1 200 morts et des milliers de blessés, conduit à la prise en otage de 240 personnes, et entraîné l’offensive israélienne dans la bande de Gaza, dont le dernier bilan s’élève à plus de 25 000 morts.

      La Cour internationale de justice (CIJ), basée à La Haye (Pays-Bas), a expliqué, par la voix de sa présidente, la juge Joan Donoghue, « être pleinement consciente de l’ampleur de la #tragédie_humaine qui se joue dans la région et nourri[r] de fortes #inquiétudes quant aux victimes et aux #souffrances_humaines que l’on continue d’y déplorer ». Elle a ordonné à Israël de « prendre toutes les #mesures en son pouvoir pour prévenir la commission à l’encontre des Palestiniens de Gaza de tout acte » de génocide.

      « Israël doit veiller avec effet immédiat à ce que son armée ne commette aucun des actes » de génocide, affirme l’#ordonnance. Elle « considère également qu’Israël doit prendre toutes les mesures en son pouvoir pour prévenir et punir l’incitation directe et publique à commettre le génocide à l’encontre des membres du groupe des Palestiniens de la bande de Gaza ».

      La cour de La Haye, saisie à la suite d’une plainte de l’Afrique du Sud, demande « en outre » à l’État hébreu de « prendre sans délai des #mesures_effectives pour permettre la fourniture des services de base et de l’#aide_humanitaire requis de toute urgence afin de remédier aux difficiles conditions d’existence auxquelles sont soumis les Palestiniens de la bande de Gaza ».

      Enfin, l’ordonnance de la CIJ ordonne aux autorités israéliennes de « prendre des mesures effectives pour prévenir la destruction et assurer la conservation des #éléments_de_preuve relatifs aux allégations d’actes » de génocide.

      La juge #Joan_Donoghue, qui a donné lecture de la décision, a insisté sur son caractère provisoire, qui ne préjuge en rien de son futur jugement sur le fond des accusations d’actes de génocide. Celles-ci ne seront tranchées que dans plusieurs années, après instruction.

      La cour « ne peut, à ce stade, conclure de façon définitive sur les faits » et sa décision sur les #mesures_conservatoires « laisse intact le droit de chacune des parties de faire valoir à cet égard ses moyens » en vue des audiences sur le fond, a-t-elle poursuivi.

      Elle considère cependant que « les faits et circonstances » rapportés par les observateurs « suffisent pour conclure qu’au moins certains des droits » des Palestiniens sont mis en danger et qu’il existe « un risque réel et imminent qu’un préjudice irréparable soit causé ».

      Environ 70 % de #victimes_civiles

      La CIJ avait été saisie le 29 décembre 2023 par l’Afrique du Sud qui, dans sa requête, accuse notamment Israël d’avoir violé l’article 2 de la Convention de 1948 sur le génocide, laquelle interdit, outre le meurtre, « l’atteinte grave à l’intégrité physique ou mentale de membres du groupe » visé par le génocide, l’imposition de « conditions d’existence devant entraîner sa destruction physique totale ou partielle » ou encore les « mesures visant à entraver les naissances au sein du groupe ».

      Le recours décrit longuement une opération militaire israélienne qualifiée d’« exceptionnellement brutale », « tuant des Palestiniens à Gaza, incluant une large proportion de femmes et d’enfants – pour un décompte estimé à environ 70 % des plus de 21 110 morts [au moment de la rédaction du recours par l’Afrique du Sud – ndlr] –, certains d’entre eux apparaissant avoir été exécutés sommairement ».

      Il soulignait également les conséquences humanitaires du déplacement massif des populations et de la destruction massive de logements et d’équipements publics, dont des écoles et des hôpitaux.

      Lors des deux demi-journées d’audience, jeudi 11 et vendredi 12 janvier, le conseiller juridique du ministère des affaires étrangères israélien, Tal Becker, avait dénoncé une « instrumentalisation » de la notion de génocide et qualifié l’accusation sud-africaine de « calomnie ».

      « C’est une guerre qu’Israël n’a pas commencée », avait poursuivi le représentant israélien, affirmant que « s’il y a eu des actes que l’on pourrait qualifier de génocidaires, [ils ont été commis] contre Israël ». « Israël ne veut pas détruire un peuple mais protéger un peuple : le sien. »
      Gaza, « lieu de mort et de désespoir »

      La CIJ, de son côté, a fondé sa décision sur les différents rapports et constatations fournis par des organisations internationales. Elle cite notamment la lettre du 5 janvier 2024 du secrétaire général adjoint aux affaires humanitaires de l’ONU, Martin Griffiths, décrivant la bande de Gaza comme un « lieu de mort et de désespoir ».

      L’ordonnance rappelle qu’un communiqué de l’Organisation mondiale de la santé (OMS) du 21 décembre 2023 s’alarmait du fait que « 93 % de la population de Gaza, chiffre sans précédent, est confrontée à une situation de crise alimentaire ».

      Le 12 janvier 2024, c’est l’Office de secours et de travaux des Nations unies pour les réfugiés de Palestine dans le Proche-Orient (UNRWA) qui lançait un cri d’alerte. « Cela fait maintenant 100 jours que cette guerre dévastatrice a commencé, que la population de Gaza est décimée et déplacée, suite aux horribles attaques perpétrées par le Hamas et d’autres groupes contre la population en Israël », s’alarmait-il.

      L’ordonnance souligne, en miroir, les multiples déclarations de responsables israéliens assumant une répression sans pitié dans la bande de Gaza, si nécessaire au prix de vies civiles. Elle souligne que des rapporteurs spéciaux des Nations unies ont même pu s’indigner de « la rhétorique manifestement génocidaire et déshumanisante de hauts responsables du gouvernement israélien ».

      La CIJ pointe par exemple les propos du ministre de la défense Yoav Gallant du 9 octobre 2023 annonçant « un siège complet de la ville de Gaza », avant d’affirmer : « Nous combattons des animaux humains. »

      Le 12 octobre, c’est le président israélien Isaac Herzog qui affirmait : « Tous ces beaux discours sur les civils qui ne savaient rien et qui n’étaient pas impliqués, ça n’existe pas. Ils auraient pu se soulever, ils auraient pu lutter contre ce régime maléfique qui a pris le contrôle de Gaza. »

      Et, à la vue des intentions affichées par les autorités israéliennes, les opérations militaires dans la bande de Gaza ne sont pas près de s’arrêter. « La Cour considère que la situation humanitaire catastrophique dans la bande de Gaza risque fort de se détériorer encore avant qu’elle rende son arrêt définitif », affirme l’ordonnance.

      « À la lumière de ce qui précède, poursuivent les juges, la Cour considère qu’il y a urgence en ce sens qu’il existe un risque réel et imminent qu’un préjudice irréparable soit causé aux droits qu’elle a jugés plausibles avant qu’elle ne rende sa décision définitive. »

      Si la décision de la CIJ est juridiquement contraignante, la Cour n’a pas la capacité de la faire appliquer. Cependant, elle est incontestablement une défaite diplomatique pour Israël.

      Présente à La Haye, la ministre des relations internationales et de la coopération d’Afrique du Sud, Naledi Pandor, a pris la parole à la sortie de l’audience. Si elle a regretté que les juges n’aient pas appelé à un cessez-le-feu, elle s’est dite « satisfaite que les mesures provisoires » réclamées par son pays aient « fait l’objet d’une prise en compte » par la Cour, et qu’Israël doive fournir un rapport d’ici un mois. Pour l’Afrique du Sud, lancer cette plainte, a-t-elle expliqué, « était une façon de s’assurer que les organismes internationaux exercent leur responsabilité de nous protéger tous, en tant que citoyens du monde global ».

      Comme l’on pouvait s’y attendre, les autorités israéliennes ont vivement critiqué les ordonnances d’urgence réclamées par les juges de La Haye. Si le premier ministre, Benyamin Nétanyahou, s’est réjoui de ce que ces derniers n’aient pas réclamé, comme le demandait l’Afrique du Sud, de cessez-le-feu – « Comme tout pays, Israël a le droit fondamental de se défendre. La CIJ de La Haye a rejeté à juste titre la demande scandaleuse visant à nous priver de ce droit », a-t-il dit –, il a eu des mots très durs envers l’instance : « La simple affirmation selon laquelle Israël commet un génocide contre les Palestiniens n’est pas seulement fausse, elle est scandaleuse, et la volonté de la Cour d’en discuter est une honte qui ne sera pas effacée pendant des générations. »

      Il a affirmé vouloir continuer « à défendre [ses] citoyens dans le respect du droit international ». « Nous poursuivrons cette guerre jusqu’à la victoire absolue, jusqu’à ce que tous les otages soient rendus et que Gaza ne soit plus une menace pour Israël », a ajouté Nétanyahou.

      Jeudi, à la veille de la décision de la CIJ, le New York Times avait révélé que les autorités israéliennes avaient fourni aux juges de La Haye une trentaine de documents déclassifiés, censés démonter l’accusation de génocide, parmi lesquels « des résumés de discussions ministérielles datant de la fin du mois d’octobre, au cours desquelles le premier ministre Benyamin Nétanyahou a ordonné l’envoi d’aide, de carburant et d’eau à Gaza ».

      Cependant, souligne le quotidien états-unien, les documents « ne comprennent pas les ordres des dix premiers jours de la guerre, lorsqu’Israël a bloqué l’aide à Gaza et coupé l’accès à l’électricité et à l’eau qu’il fournit normalement au territoire ».

      Nul doute que cette décision de la plus haute instance judiciaire des Nations unies va renforcer les appels en faveur d’un cessez-le-feu. Après plus de quatre mois de combats et un bilan lourd parmi la population civile gazaouie, Nétanyahou n’a pas atteint son objectif d’éradiquer le mouvement islamiste. Selon les Israéliens eux-mêmes, près de 70 % des forces militaires du Hamas sont intactes. De plus, les familles d’otages toujours aux mains du Hamas ou d’autres groupes islamistes de l’enclave maintiennent leurs pressions.

      Le ministre palestinien des affaires étrangères Riyad al-Maliki s’est réjoui d’une décision de la CIJ « en faveur de l’humanité et du droit international », ajoutant que la communauté international avait désormais « l’obligation juridique claire de mettre fin à la guerre génocidaire d’Israël contre le peuple palestinien de Gaza et de s’assurer qu’elle n’en est pas complice ». Le ministre de la justice sud-africain Ronald Lamola, cité par l’agence Reuters, a salué, lui, « une victoire pour le droit international ». « Israël ne peut être exempté du respect de ses obligations internationales », a-t-il ajouté.

      De son côté, la Commission européenne a appelé Israël et le Hamas à se conformer à la décision de la CIJ. L’Union européenne « attend leur mise en œuvre intégrale, immédiate et effective », a-t-elle souligné dans un communiqué.

      La France avait fait entendre pourtant il y a quelques jours une voix discordante. Le ministre des affaires étrangères Stéphane Séjourné avait déclaré, à l’Assemblée nationale, qu’« accuser l’État juif de génocide, c’est franchir un seuil moral ». Dans un communiqué publié après la décision de la CIJ, le ministère a annoncé son intention de déposer des observations sur l’interprétation de la Convention de 1948, comme le lui permet la procédure. « [La France] indiquera notamment l’importance qu’elle attache à ce que la Cour tienne compte de la gravité exceptionnelle du crime de génocide, qui nécessite l’établissement d’une intention. Comme le ministre de l’Europe et des affaires étrangères a eu l’occasion de le noter, les mots doivent conserver leur sens », indique le texte.

      Les États-Unis ont estimé que la décision était conforme à la position états-unienne, exprimée à plusieurs reprises par Joe Biden à son allié israélien, de réduire les souffrances des civils de Gaza et d’accroître l’aide humanitaire. Cependant, a expliqué un porte-parole du département d’État, les États-Unis continuent « de penser que les allégations de génocide sont infondées » et notent « que la Cour n’a pas fait de constat de génocide, ni appelé à un cessez-le-feu dans sa décision, et qu’elle a appelé à la libération inconditionnelle et immédiate de tous les otages détenus par le Hamas ».

      C’est dans ce contexte que se déroulent des discussions pour obtenir une trêve prolongée, la deuxième après celle de novembre, qui avait duré une semaine et permis la libération de plusieurs dizaines d’otages.

      Selon les médias états-uniens, Israël a proposé une trêve de 60 jours et la libération progressive des otages encore retenu·es. Selon ce projet, a affirmé CNN, les dirigeants du Hamas pourraient quitter l’enclave. Selon la chaîne d’informations américaine, « des responsables américains et internationaux au fait des négociations ont déclaré que l’engagement récent d’Israël et du Hamas dans des pourparlers était encourageant, mais qu’un accord n’était pas imminent ».

      Le Washington Post a révélé jeudi que le président américain Joe Biden allait envoyer dans les prochains jours en Europe le directeur de la CIA, William Burns, pour tenter d’obtenir un accord. Il devrait rencontrer les chefs des services de renseignement israélien et égyptien, David Barnea et Abbas Kamel, et le premier ministre qatari Mohammed ben Abdulrahman al-Thani. Vendredi soir, l’Agence France-Presse (AFP) a affirmé qu’ils se retrouveraient « dans les tout prochains jours à Paris », citant « une source sécuritaire d’un État impliqué dans les négociations ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/260124/la-cour-internationale-de-justice-ordonne-israel-d-empecher-un-genocide-ga

  • En Espagne, le mouvement « Adolescence sans portable » crée un débat national
    https://www.france24.com/fr/europe/20240107-en-espagne-le-mouvement-adolescence-sans-portable-cr%C3%A9e-un-d%

    La mesure a déjà fait réfléchir le gouvernement. Le 13 décembre 2023, la ministre de l’Éducation, Pilar Alegría, a proposé aux communautés autonomes d’interdire le téléphone en primaire et de restreindre son utilisation au secondaire, en fonction de chaque établissement.

    L’ Espagne pense à réfréner le fléau électronique qui fait des ravages sur les enfants. En france on en est encore à se trainer Babylala de la Régression et son interdiction de robes.

    #addiction_numérique

  • Chodowieckistraße und Co. in Berlin: Diese Straßennamen kann kein Mensch aussprechen
    https://www.berliner-zeitung.de/panorama/chodowieckistrasse-und-co-in-berlin-diese-strassennamen-kann-kein-m

    Wenn’s weita nüscht is ...

    3.1.2024 von Anne Vorbringer - An manchen Straßennamen scheitern selbst alte Hauptstadthasen. Oder wissen Sie auf Anhieb, wie man die Chodowieckistraße in Prenzlauer Berg korrekt ausspricht?

    Im vergangenen Jahr haben die Sprachexperten der E-Learning-Plattform Preply untersucht, welche international bekannten Lebensmittel von den Deutschen am häufigsten falsch ausgesprochen werden. Dazu wurden knapp 500 Begriffe daraufhin analysiert, wie häufig deren Aussprache bei Google eingegeben wird.

    Die Top Fünf wurde von „Bruschetta“ angeführt, das Röstbrot aus dem italienischen Antipasti-Segment wird hierzulande mindestens genauso oft bestellt wie falsch ausgesprochen, was auch für Spezialitäten wie Ciabatta, Tagliatelle und Gnocchi gilt. Letztere werden in deutschen Restaurants gerne zu „Gnotschi“, „Gnoki“ oder „Noschi“ verhunzt.

    Leider gibt es noch keine statistisch verwertbare Erhebung zu den am häufigsten falsch ausgesprochenen Berliner Straßennamen, aber wir sind uns ziemlich sicher, dass unsere fünf Beispiele es in jedes derartige Ranking schaffen würden.

    1. Prenzlauer Berg: Chodowieckistraße

    Als mein Ex-Freund damals aus unserer gemeinsamen Vorderhauswohnung in der sehr leicht auszusprechenden Dunckerstraße auszog, waren wir nicht sonderlich gut aufeinander zu sprechen. In meinem emotionalen Verlassenwerden-Tief galt es, auch Kleinigkeiten mit einer gewissen Schadenfreude zu betrachten. Zum Beispiel den Umstand, dass auf dem angespannten Berliner Innenstadt-Mietmarkt nur noch eine Hinterhofbutze in der Chodowieckistraße für ihn frei war.

    Ausgerechnet in der Chodowieckistraße, hahahaha, dachte ich. Nun würde er jedem Taxifahrer buchstabieren müssen, wo er nach seinen Kneipenabenden mit den Kumpels hinkutschiert werden will. Schließlich hat es die kurze, parallel zur Danziger Straße verlaufende Chodowieckistraße aussprachetechnisch in sich und selbst Profis wissen nicht, was eigentlich richtig ist.

    Ich jedenfalls habe in Taxis schon alles gehört, von „Chodowjetzkistraße“, gesprochen mit „zk“, über „Chodowikki-“ bis „Schodowikkistraße“ – also mit sch und doppeltem k. Benannt ist die Straße in Prenzlauer Berg nach dem 1726 in Danzig geborenen und 1801 in Berlin verstorbenen Maler, Radierer und Kupferstecher Daniel Nikolaus Chodowiecki.

    Dessen Nachname wird laut Duden „Chodowjetski“ ausgesprochen, polnische Muttersprachler schlagen auf anderen Plattformen eher ein „Hoddowjetski“ vor. Zum Üben für die nächste Taxifahrt haben wir Ihnen einen YouTube-Link herausgesucht. Dass der Fahrer Sie dann auch versteht, dafür übernehmen wir allerdings keine Garantie. Mein Ex-Freund jedenfalls hat es irgendwann aufgegeben und bat immer darum, an der Ecke Danziger und Prenzlauer Allee rausgelassen zu werden.

    2. Grünau: Rabindranath-Tagore-Straße

    Früher hieß die vom Adlergestell bis zur Regattastraße verlaufende Rabindranath-Tagore-Straße im schönen Grünau mal schnöde-einfach Straße 900. Doch dann erfolgte auf Vorschlag des Indologen Professor Walter Ruben zum 100. Geburtstag des Nobelpreisträgers Rabindranath Tagore die Umbenennung nach dem 1861 in Kalkutta geborenen Philosophen und Dichter.

    Der Schriftsteller Stefan Heym hat in der Rabindranath-Tagore-Straße gewohnt und erzählte Ende der Neunzigerjahre in der Zeit diese hübsche Anekdote zu seiner Adresse: „Die DDR wollte von Indien anerkannt werden, nannte deshalb unsere Straße Tagorestraße, und da sagte jener Indologe zum Bürgermeister: Es gibt drei Brüder Tagore. Die könne man verwechseln, wenn man nicht deutlich mache, welchen man meint. Deshalb heißt die Straße Rabindranath Tagore, und alle Pförtner von Hotels, in denen ich je einkehrte, mussten ‚Rabindranath Tagore‘ in ihre Bücher schreiben.“

    Auch heute noch hat sich an der Unaussprechlichkeit und Unbuchstabierbarkeit wenig geändert, berichtet ein Kollege aus Grünau. Selbst bei Google Maps herrscht Zungenbrecherpotenzial, und wenn das Kartennavi auf dem Handy die „Rabbindrannattrgorr-Straße“ ausspricht, will man sich vor Lachen kringeln und vergisst dabei unter Umständen, auf den Verkehr zu achten. Auch nicht ungefährlich.

    3. Wedding: Malplaquetstraße

    Malplakat? Malplack? Wasnochmal? Die Malplaquetstraße in Wedding stellt wohl selbst Anwohner vor Schwierigkeiten. Sie reicht von der Nazarethkirchstraße bis zur Seestraße, so viel steht fest. Doch wie spricht man sie nur korrekt aus?

    Lesen wir zunächst im Kauperts Straßenführer durch Berlin nach. Dort heißt es: „In der äußerst blutigen Schlacht bei Malplaquet am 11.9.1709 vernichteten während des Spanischen Erbfolgekriegs die vereint kämpfenden preußischen, österreichischen und britischen Truppen – unter Führung von John Churchill Marlborough – die Armee Ludwigs XIV. von Frankreich. Der verlustreich erkämpfte Sieg wurde nicht genutzt und hatte auch nicht die erhoffte kriegsentscheidende Wirkung.“

    Verlustreich, aber namensgebend: die Schlacht bei MalplaquetHeritage Images/imago

    Und weiter: „Vorher Straße Nr. 45, Abt. X/1 des Bebauungsplanes. 1888 entschied der Magistrat von Berlin anlässlich des 200. Geburtstags Friedrich Wilhelms I., der als Kronprinz in den Niederlanden seine Feuertaufe erhalten hatte, eine Anzahl Weddinger Straßen nach Ereignissen und Personen des Spanischen Erbfolgekriegs (1701–1714) zu benennen. So erhielt auch die Malplaquetstraße ihren Namen.“

    Malplaquet liegt in Nordfrankreich und wird demzufolge très français ausgesprochen und betont: malplakee.

    4. Tiergarten: John-Foster-Dulles-Allee

    John Foster Dulles war ein amerikanischer Politiker, der unter US-Präsident Dwight D. Eisenhower von 1953 bis 1959 als Außenminister der Vereinigten Staaten diente. Er war bekannt für seine kompromisslose Haltung gegenüber der Sowjetunion im Kalten Krieg und betrachtete den Kommunismus als „moralisches Übel“.

    Übel gerät bisweilen auch die Aussprache seines Namens in Berlin, ist nach Dulles doch eine kleine, vom Spreeweg bis zur Scheidemannstraße reichende Allee benannt. Die lässt von „Dallas“ über „Dulls“ bis hin zu „Dulli“ allerlei verhunzungstechnische Alternativen zu. Entscheiden Sie selbst, wie sehr Sie den Ami ärgern wollen, etwa wenn Sie das nächste Mal das Haus der Kulturen der Welt ansteuern, das in der John-Foster-Dulles-Allee 10 ansässig ist.

    5. Friedenau: Handjerystraße

    Von „Hand-cherie“ über „Händ-dschäry“ bis „Hand-jerri“ ist eigentlich aussprachetechnisch alles drin in der Friedenauer Handjerystraße, die von der Varziner Straße bis zur Bundesallee und Stubenrauchstraße führt. Benannt ist sie nach dem Politiker Nicolaus Prinz Handjery, der 1836 in Konstantinopel zur Welt kam und 1900 in Dresden starb.

    Wenn’s hilft: Auch eine Pflanze ist nach Handjery benannt. Der Bergahorn „Prinz Handjery“ hat einen breit ovalen bis kugelförmigen Wuchs.Agefotostock/imago

    Der Kauperts weiß: „Der Sohn eines russischen Staatsrats stammte aus einer vornehmen griechischen Familie. Seit 1845 mit seiner Familie in Preußen lebend, erhielt Handjery 1851 das preußische Bürgerrecht, 1854 legte er in Berlin das Abitur ab und studierte dann in Berlin und Bonn Jura. 1858–1861 diente er im Garde-Kürassier-Regiment. Nach dem Examen und juristischer Tätigkeit beim Berliner Stadtgericht und der Potsdamer Regierung wirkte Handjery von 1870 bis 1885 als Landrat des Kreises Teltow und vertrat den Kreis im Abgeordnetenhaus und im Reichstag. 1885 wurde Handjery Regierungspräsident in Liegnitz, bis er 1895 wegen Krankheit aus seinen Ämtern ausschied und zurückgezogen in Berlin lebte. Seine Grabstätte befindet sich auf dem Alten St.-Matthäus-Kirchhof, Großgörschenstraße.“

    Lässt man sich den Wikipedia-Artikel über den Juristen laut vorlesen, so spricht dort eine weibliche Stimme den Namen eher wie folgt aus: „Nikolaus Handjerü.“ Gibt man das wiederum in die Google-Sprachsuche ein, schlägt die Maschine Seiten vor wie „Handjob zum Nikolaus“. Das dürfte die Verwirrung endgültig komplett machen. Zumal es in Berlin gleich zwei Handjerystraßen gibt: Die andere liegt in Adlershof.

    #Berlin #Geschichte #Straßen #Handjerystraße #Adlershof #Friedenau #Tiergarten #John-Foster-Dulles-Allee #Wedding #Malplaquetstraße #Grünau #Rabindranath-Tagore-Straße #Prenzlauer_Berg #Chodowieckistraße

  • Le Pain de silence

    « “Sans doute n’as-tu jamais été un enfant ” dit ma mère sans remuer les lèvres, sans prononcer une syllabe ni un mot, avec ces yeux tristes, en veilleuse que je lui ai toujours vus, comme si elle avait en permanence tiré le rideau sur sa vie, comme si elle avait pu bien sûr être là face à moi, avec son corps et sans pouvoir exprimer ce qui l’habitait, nulle syllabe, aucun mot, depuis tant de temps, un temps qui me dépassait, me submergeait… »

    https://www.editionszoe.ch/auteur/adrien-pasquali
    #livre #Adrien_Pasquali #silence #migrations #Suisse #migrants_italiens #émigration_italienne

    • #Adrien_Pasquali, constructeur d’une maison de mots, a été vaincu par le silence

      L’écrivain suisse d’origine italienne Adrien Pasquali s’est donné la mort mardi à Paris. Il a récemment publié son dernier livre, « Le Pain de silence », aux Editions Zoé à Genève. Romancier, traducteur et brillant universitaire, Pasquali était chargé de cours en littérature romande aux Universités de Lausanne et de Genève. Hommage

      A 40 ans, Adrien Pasquali a choisi de mettre fin à ses jours. La nouvelle est brutale, la stupeur, l’émotion, la consternation sont vives chez tous ses amis et collègues. Le Pain de silence, son dernier roman, vient de paraître (Samedi Culturel du 13 mars) : force nous est aujourd’hui de déchiffrer dans ce récit haletant le testament d’un écrivain pris dans un étau implacable. Le silence, qu’il attaque, qu’il conjure, qu’il apprivoise, a été le plus fort, et il n’aura plus été possible à l’écrivain de différer le point final.

      Romancier, traducteur et brillant universitaire, Adrien Pasquali, né en 1958 à Bagnes, appartenait aux immigrés de la « seconde génération », celle qu’on dit parfois maudite, déracinée, sans lieu ni langue. Après le Collège de St-Maurice, Pasquali fait ses études à l’Université de Fribourg. Sa thèse de doctorat, dirigée par Jean Roudaut, porte sur Adam et Eve de Ramuz. Lecteur de français aux Universités de Saint-Gall, puis de Zurich, Pasquali vivait à Paris depuis plusieurs années, près de ses deux fils, qui comptaient pour lui plus que tout. Depuis 1997, il était chargé de cours en littérature romande aux Universités de Lausanne et Genève. Pasquali était associé au projet d’édition des romans de Ramuz en Pléiade.

      Si la déchirure de l’émigration est omniprésente dans l’univers de Pasquali, ce n’est pas sur le mode de la dénonciation ou de l’analyse : elle aura été une toute-puissante incitation à se construire, dans le langage, une maison de mots. La littérature aura été pour lui une façon d’opposer les formes et la fiction au non-être, une façon de rendre éloquent un silence originel. L’impressionnante bibliographie d’Adrien Pasquali témoigne du rempart qu’il a tenté de construire. A relire l’œuvre à la lumière du dernier livre, et du regard douloureusement lucide qu’il porte sur l’incompatibilité, vécue dans l’enfance, d’une langue et d’un monde irréel parce que non transmis, on est frappé par la constance des thèmes et la cohérence obstinée de l’interrogation pathétique reprise de livre en livre, selon des stratégies, un raffinement et un savoir-faire toujours renouvelés.

      En automne 1982, Ecriture publie le premier texte de Pasquali, lauréat du concours « Qui je lis ? » lancé par la revue. Ce texte, avec une sincérité sans équivoque, fait entendre la voix du futur écrivain : il y rend hommage à ses parents, originaires de la région de Gênes, venus en Valais pour y travailler : « Ils n’emportaient que leur statut, leur condition, une image de laggiù et l’amour qui est le leur ». Cette tendresse ne sera jamais démentie. Le premier récit, Eloge du migrant, est d’ailleurs dédié à ses parents. Le thème de la filiation et des origines hante toute l’œuvre, sans acrimonie. La référence à l’Italie est constante, terre de migration, terre d’enfance et de paysages lumineux. En rapport sans doute avec cette quête des origines, la passion de Pasquali pour la critique génétique.

      Dans son texte de 1982, l’écrivain évoque sa passion pour la littérature romande, dans laquelle il va trouver une forme d’identité. Lisant Corinna Bille, Crisinel, Haldas ou, surtout, Ramuz : « Je découvrais le pays de cet autre qui me forçait bien obligeamment à découvrir le mien ». Dans un récit, L’Histoire dérobée, la narration progressera de pastiche en pastiche, imitant successivement le style de sept « grands intercesseurs » romands. Ce premier texte de 1982 conjure aussi « le miracle de l’inachèvement » : de textes fragmentaires et discontinus aux romans en compositions cycliques, d’énigmes en quêtes irrésolues, et jusqu’à la longue phrase éperdue du dernier récit, ou dans les essais qu’il a consacrés à l’inachèvement, on constate chez Pasquali la hantise de la clôture et du point final.

      Le « silence éloquent »

      La plupart des romans contiennent une réflexion sur leur propre statut, sur leur propre dispositif narratif. Après les audaces expérimentales des premiers livres, les deux derniers récits, La Matta et Le Pain de silence, atteignent une transparence et une force d’évocation poétique à la fois plus puissantes et plus souveraines. Autoréflexion et narration s’harmonisent ici grâce à une langue maîtresse de tous ses enjeux.

      La traduction a été une autre manière, pour Pasquali, de pratiquer un « silence éloquent » : il a été le traducteur d’Alice Ceresa et de Giovanni Orelli, de Mario Lavaggetto et tout récemment, d’Aurelio Buletti (Ed. Empreintes, 1998). A l’impossible inscription dans un seul moule linguistique aura fait place, ici, une invitation à habiter dans la diversité des langues.

      Les sections de français des Universités de Lausanne et Genève rendront hommage à l’œuvre d’Adrien Pasquali lors d’une manifestation dans le courant du mois de mai.

      https://www.letemps.ch/culture/adrien-pasquali-constructeur-dune-maison-mots-vaincu-silence

  • Les #outils de #gestion de #projet #opensource offrent plusieurs avantages, notamment la #flexibilité, l’#adaptabilité et la #transparence. Je sais de quoi je parle car j’utilise actuellement #ProjeQtOr chez mon #employeur pour gérer mes projets. Quelques bonnes raisons d’utiliser ces outils : la possibilité de #personnaliser et de modifier le #code #source pour répondre à des besoins spécifiques, ce qui les rend plus flexibles que les #solutions #propriétaire.
    https://michelcampillo.com/blog/3176.html

  • I grandi marchi della fast fashion non vogliono rinunciare al petrolio russo

    Nel 2023 le due principali società produttrici di poliestere, l’indiana #Reliance industries e la cinese #Hengli group, hanno continuato a utilizzare il greggio di Mosca. La maggior parte dei brand -da #Shein a #H&M, passando per #Benetton- chiude un occhio o promette impegni generici. Il dettagliato report di #Changing_markets.

    Quest’anno i principali produttori globali di poliestere, la fibra tessile di origine sintetica derivata dal petrolio, non solo non hanno interrotto i propri legami con la Russia ma al contrario hanno incrementato gli acquisti della materia prima fondamentale per il loro business. È quanto emerge da “#Crude_Couture”, l’inchiesta realizzata da Changing markets foundation pubblicata il 21 dicembre, a un anno di distanza dalla precedente “Dressed to kill” che aveva svelato i legami segreti tra i principali marchi della moda e il petrolio di Mosca.

    “Quest’indagine -si legge nell’introduzione- evidenzia il ruolo fondamentale svolto dall’industria della moda nel perpetuare la dipendenza dai combustibili fossili e segnala una preoccupante mancanza di azione per rompere i legami con il petrolio russo”. Un’inazione, sottolineano i ricercatori, che sta indirettamente finanziando la guerra in Ucraina. E non si tratta di un contributo di poco conto: le fibre sintetiche, infatti, pesano per il 69% sulla produzione di fibre e il poliestere è di gran lunga il più utilizzato, lo si può trovare infatti nel 55% dei prodotti tessili attualmente in circolazione. Se non ci sarà una netta inversione di tendenza, si stima che entro il 2030 quasi tre quarti di tutti i prodotti tessili verranno realizzati a partire da combustibili fossili.

    Il poliestere è fondamentale per l’esistenza dell’industria del fast fashion, e ancora di più per i marchi di moda ultraveloce come Shein: un’inchiesta pubblicata da Bloomberg ha mostrato che il 95% dei capi prodotti dal marchio di moda cinese conteneva materiali sintetici mentre per brand come #Pretty_Little_Thing, #Misguided e #Boohoo la percentuale era dell’83-89%.

    Al centro delle due inchieste realizzate da Changing markets ci sono due importanti produttori di questo materiale: l’indiana #Reliance_industries (con una capacità produttiva stimata in 2,5 milioni di tonnellate all’anno) e la cinese #Hengli_group. I filati e i tessuti che escono dai loro stabilimenti vengono venduti ai produttori di abbigliamento di tutto il mondo che, a loro volta, li utilizzano per confezionare magliette, pantaloni, cappotti, scarpe e altri accessori per importanti brand. Su 50 marchi presi in esame in “Dressed to kill” 39 erano direttamente o indirettamente collegati alle catene di fornitura di Hengli group or Reliance industries, tra questi figurano #H&M, #Inditex (multinazionale spagnola proprietaria, tra gli altri, di #Bershka e #Zara), #Adidas, #Uniqlo e #Benetton.

    Anche dopo la pubblicazione di “Dressed to kill”, Reliance e Hengli hanno continuato ad acquistare petrolio russo. A marzo 2023 l’India ha acquistato da Mosca la quantità record di 51,5 milioni di barili di greggio: “Insieme a Nayara Energya, la principale compagnia petrolifera indiana, Reliance industries ha rappresentato più della metà (52%) delle importazioni totali”, si legge nell’inchiesta. In crescita anche le importazioni cinesi (+11,7% rispetto all’anno precedente). “Nel maggio 2023, #Hengli_Petrochemical ha ricevuto 6,44 milioni di barili di greggio russo, come riportato dai dati di tracciamento delle navi dell’agenzia Reuters -scrivono gli autori del report-. Queste tendenze rivelano il persistente legame tra le aziende di moda che si riforniscono da questi produttori di poliestere e il petrolio russo”. Oltre alla violazione delle sanzioni imposte a Mosca da diversi governi, compresi quello degli Stati Uniti e dell’Unione europea.

    I ricercatori di Changing markets hanno quindi deciso di tracciare un bilancio e hanno inviato un questionario a 43 brand (compresi i 39 già presi in esame in “Dressed to kill”) per verificare se avessero interrotto i rapporti con Reliance ed Hengli. Appena 18 hanno risposto alle domande e solo due aziende (Esprit e G Star Raw) hanno dichiarato di aver tagliato i ponti con i due produttori. Una terza (Hugo Boss) si è impegnata a eliminare gradualmente il poliestere e il nylon: “Le altre rimangono in silenzio o minimizzano l’urgenza della crisi ucraina con vaghe promesse di cambiamento a diversi anni di distanza o con false soluzioni, come il passaggio al poliestere riciclato, per lo più da bottiglie di plastica”, si legge nel report.

    Tre società (H&M, C&A e Inditex) hanno risposto al questionario “distogliendo l’attenzione” dal legame con il petrolio russo per enfatizzare future strategie di transizione dal poliestere vergine a quello riciclato (da bottiglie di plastica) o verso materiali di nuova generazione. H&M ad esempio ha dichiarato la propria intenzione di non approvvigionarsi più di poliestere vergine entro il 2025 “tuttavia non ha chiarito le sue attuali pratiche per quanto riguarda i fornitori di poliestere legati al petrolio russo”. Analogamente, la catena olandese C&A afferma di volersi concentrare su materiali riciclati e di nuova generazione senza fornire informazioni sui legami con i fornitori oggetto dell’inchiesta. Nemmeno la spagnola Inditex ha risposto alle domande in merito a Reliance ed Hengli. Anche l’italiana Benetton avrebbe fornito risposte insufficienti o generiche: “Si è impegnata vagamente a una transizione verso materiali ‘preferiti’ -scrivono gli autori dell’inchiesta-, senza specificare però l’approccio ai materiali sintetici”.

    Tra quanti non hanno risposto al questionario c’è proprio Shein ma i suoi legami con il produttore indiano di poliestere sono evidenti: a maggio 2023 infatti le due società hanno sottoscritto un accordo in base al quale il colosso può utilizzare le capacità di approvvigionamento, l’infrastruttura logistica e l’ampia rete di negozi fisici e online di Reliance Retail, segnando così il ritorno di Shein in India dopo una pausa di tre anni. “Poiché il poliestere rappresenta il 64% del mix di materiali del brand e il 95,2% dell’abbigliamento di contiene plastica vergine, l’imminente collaborazione con Reliance suggerisce che una parte significativa delle circa 10mila novità giornaliere di Shein potrebbe in futuro essere derivata da prodotti di plastica vergine prodotti grazie a petrolio russo”, conclude il report.

    https://altreconomia.it/i-grandi-marchi-della-fast-fashion-non-vogliono-rinunciare-al-petrolio-

    #Russie #pétrole #fast-fashion #mode #polyester #rapport #textile #industrie_textile #industrie_de_la_mode

    • Fossil Fashion

      Today’s fashion industry has become synonymous with overconsumption, a snowballing waste crisis, widespread pollution and the exploitation of workers in global supply chains. What is less well known is that the insatiable fast fashion business model is enabled by cheap synthetic fibres, which are produced from fossil fuels, mostly oil and gas. Polyester, the darling of the fast fashion industry, is found in over half of all textiles and production is projected to skyrocket in the future. Our campaign exposes the clear correlation between the growth of synthetic fibres and the fast fashion industry – one cannot exist without the other. The campaign calls for prompt, radical legislative action to slow-down the fashion industry and decouple it from fossil fuels.

      Crude Couture: Fashion brands’ continued links to Russian oil

      December 2023

      Last year, our groundbreaking ‘Dressed to Kill’ investigation delved deep into polyester supply chains, unveiling hidden ties between major global fashion brands and Russian oil. We exposed Russia’s pivotal role as a primary oil supplier for key polyester producers India’s Reliance Industries and China’s Hengli Group, which were found to be supplying fibre for the apparel production of numerous fashion brands.

      Now, a year later, we returned to the fashion companies to evaluate if they have severed ties with these suppliers. Shockingly, our latest report reveals an alarming trend: the two leading polyester producers are increasingly reliant on war-tainted Russian oil in 2023. Despite prior warnings about these ties, major fashion brands continue to turn a blind eye, profiting from cheap synthetics, while Ukraine suffers. Only two companies – Esprit and G Star Raw – said they cut ties with the two polyester producers, while Hugo Boss committed to phase out polyester and nylon. The others remain silent or downplay the urgency of the Ukrainian crisis with vague promises of change several years ahead or with false solutions, such as switching to recycled polyester – mostly from plastic bottles. This investigation sheds light on the fashion industry’s persistent dependance on fossil fuel and their lack of action when it comes to climate change and fossil fuel phase out.

      https://changingmarkets.org/portfolio/fossil-fashion

  • « Wolfgang #Schäuble et Jacques #Delors : une logique, un couple, des enfants »

    Qui aura la garde ? :-D :-D :-D

    Faisons l’#amour, avant de nous dire #adieu... :-D :-D :-D

    « L’un défendait l’#austérité budgétaire et voulait l’appliquer à toute l’#Europe. L’autre représentait cette deuxième #gauche acquise au #libéralisme bruxellois et au #Marché unique. Le premier assumait fort bien son statut de père fouettard. Le second s’accommoda mal d’une impossible Europe sociale. Mais, ils finirent d’une certaine façon par faire bon ménage dans une UE faites de critères, de normes et de technocratie. (...) »

    #politique #comique #fédéralisme #social #humour #tragique #fraternité #changement #seenthis #vangauguin

    https://www.marianne.net/economie/wolfgang-schauble-et-jacques-delors-une-logique-un-couple-des-enfants#utm_

  • Ada & Zangemann — Wikipédia
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Ada_%26_Zangemann

    Ada & Zangemann est sur Wikipédia...

    Ada & Zangemann, Un conte sur les logiciels, le skateboard et la glace à la framboise est un livre jeunesse d’origine allemande écrit par Matthias Kirschner et illustré par Sandra Brandstätter. Il raconte l’histoire d’Ada, une jeune fille curieuse et débrouillarde qui va entraîner ses camarades à ne pas laisser la technologie aux mains d’un seul homme, le capricieux et abusif Zangemann. Souveraineté, sobriété, mixité, inclusion, le livre aborde de nombreux thèmes liés au numérique et permet de mieux comprendre le logiciel libre et sa culture.

    L’ouvrage original a été placé par ses auteurs sous licence libre (Creative Commons by-sa) afin d’en favoriser la circulation et les traductions. La traduction française est originale puisque réalisée par plus d’une centaine d’élèves dans le cadre d’un projet pédagogique.

    #Ada_Zangemann

  • #François_Héran : « A vouloir comprimer la poussée migratoire à tout prix, on provoquera l’inverse »

    Le professeur au Collège de France estime, dans une tribune au « Monde », que la #régularisation « au compte-gouttes » des étrangers prévue dans la loi adoptée le 19 décembre finira en réalité par accroître l’immigration irrégulière, tant l’offre et la demande de travail sont fortes.

    La #loi_sur_l’immigration votée mardi 19 décembre n’est ni de droite ni de gauche. Quoi qu’en dise le président de la République, elle a sa source à l’#extrême_droite. Lors des débats du mois de mars, les sénateurs Les Républicains (LR) avaient repris en chœur les formules outrancières du Rassemblement national (RN) :« #submersion_migratoire », « #chaos_migratoire », « #immigration_hors_de_contrôle », « #explosion » des demandes d’asile, etc. Or les #données disponibles, rassemblées par Eurostat et l’ONU, ne disent rien de tel. C’est entendu, en France, comme dans le reste de l’Occident libéral, la migration progresse depuis l’an 2000, de même que la demande de refuge, mais de façon linéaire et non pas exponentielle quand on fait la part de la pandémie de Covid-19 en 2020-2021.

    Comment peut-on soutenir que la #migration_familiale vers notre pays serait une « #pompe_aspirante » qu’il faudrait réduire à tout prix, alors qu’elle est en recul depuis dix ans à force d’être prise pour cible par les lois antérieures ? Au sein de ce courant, une faible part relève du « #regroupement_familial » stricto sensu, soit 14 000 personnes par an environ, conjoints ou enfants mineurs, réunis en vertu d’un droit qui n’a rien d’automatique, contrairement à une légende tenace. Mais l’#erreur la plus flagrante, celle qui alimente largement la nouvelle loi, consiste à vouloir priver les étrangers, selon les mots prononcés par Eric Ciotti, le patron des Républicains, à l’issue du vote, des avantages « du modèle social le plus généreux d’Europe, qui fait de la France la #destination_privilégiée pour les migrants ». Il s’agit là d’une #croyance jamais démontrée.

    Marchands d’#illusion

    Il ne suffit pas, en effet, de constater que tel dispositif d’#aide_sociale existant en France au bénéfice des migrants est sans équivalent à l’étranger ou affiche un montant supérieur, pour qu’on puisse en conclure que la France serait plus « attractive ». Ceci vaut pour tous les dispositifs visés par la loi : allocation pour demandeur d’asile, aide médicale d’Etat, aide au logement, droit du sol, accès à la naturalisation…

    La seule démonstration qui vaille consiste à examiner les « #préférences_révélées », comme disent les économistes, c’est-à-dire à vérifier si les demandeurs de séjour ou d’asile ont effectivement privilégié la France comme destination depuis cinq ou dix ans, dans une proportion nettement supérieure à celle de son poids démographique ou économique au sein de l’Union européenne. Or, il n’en est rien, au vu des données d’Eurostat rapportées à la population et à la richesse de chaque pays. La France réunit 13 % de la population de l’Union européenne et 18 % de son PIB, mais n’a enregistré que 5 % des demandes d’asile déposées en Europe depuis 2013 par les réfugiés du Moyen-Orient, et 18 %, pas plus, des demandes d’origine africaine. Comment croire qu’elle pourra durablement se défausser sur les pays voisins après la mise en œuvre du Pacte européen ? Les politiciens qui font cette promesse à l’opinion sont des marchands d’illusions.

    Trop de loi tue la loi. A vouloir comprimer la poussée migratoire à tout prix au lieu de la réguler de façon raisonnable, on provoquera l’inverse du résultat recherché. Loin de tarir l’afflux des immigrés en situation irrégulière, la régularisation au compte-gouttes finira par l’accroître, tant sont fortes l’offre et la demande de travail. On a beau multiplier les effectifs policiers aux frontières, les entrées irrégulières ne cessent de progresser, quitte à se frayer de nouvelles voies.

    S’il est heureux que la régularisation des travailleurs sans papiers ne dépende plus du bon vouloir de l’employeur, le renforcement des pouvoirs du préfet dans la décision finale va dans le mauvais sens. A l’heure actuelle, déjà, comme l’a rappelé un avis sur la loi de finances 2023, un tiers au moins des préfets n’utilisent pas la #circulaire_Valls sur les #admissions_exceptionnelles_au_séjour, par idéologie ou par manque de moyens. La nouvelle loi fera d’eux plus que jamais des potentats locaux, en creusant l’#inégalité_de_traitement entre les territoires. Dans son rapport de 2013 sur le « #droit_souple », le Conseil d’État avait salué la circulaire Valls, censée rapprocher les critères de régularisation d’une #préfecture à l’autre au profit de l’« #équité_de_traitement ». C’est le contraire qui s’est produit, et l’ajout de critères civiques n’atténuera pas le caractère local et subjectif des décisions.

    Le contraire du #courage

    On nous oppose l’#opinion_publique, la fameuse « attente des Français » véhiculée par les sondages. Faut-il rappeler que la #démocratie ne se réduit pas à la #vox_populi et à la « #sondocratie » ? Elle implique aussi le respect des minorités et le respect des #droits_fondamentaux. Les enquêtes menées avec rigueur sur des échantillons suffisamment solides révèlent que les opinions recueillies sur le nombre des immigrés, leur utilité ou leur comportement dépendent fortement des affiliations politiques : les répondants ne livrent pas des #constats mais des #jugements.

    Dès que les questions précisent les contextes et les situations, comme c’est le cas de l’enquête annuelle de la Commission nationale consultative des droits de l’homme, les opinions se font plus nuancées, le niveau de tolérance augmente. Mais les recherches qui font état de ces résultats ne peuvent s’exposer dans les limites d’une tribune, et rares sont les quotidiens qui font l’effort de les exposer.

    Osera-t-on enfin porter un regard critique sur les formules magiques ressassées ces derniers mois ? La « #fermeté », d’abord, affichée comme une qualité positive a priori, alors que la fermeté n’a aucune #valeur indépendamment du but visé : de grands démocrates ont été fermes, mais de grands autocrates aussi. Il en va de même du « #courage », tant vanté par les LR (le projet de loi initial « manquait de courage », le nouveau texte est « ferme et courageux », etc.), comme s’il y avait le moindre courage à caresser l’opinion publique dans le sens de ses #peurs.

    La #démagogie est le contraire du courage ; la parole « décomplexée » n’est qu’un discours sans scrupule. Le vrai courage aurait été de rééquilibrer les discours destinés à l’opinion publique en exposant les faits, si contrastés soient-ils. Le président de la République avait souhaité « un compromis intelligent au service de l’intérêt général » : il a entériné une #compromission irréfléchie qui lèse nos #valeurs_fondamentales.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/12/21/francois-heran-a-vouloir-comprimer-la-poussee-migratoire-a-tout-prix-on-prov

    #loi_immigration #France #19_décembre_2023 #chiffres #statistiques #fact-checking #afflux #idées_reçues #propagande #discours

    voir aussi cet extrait :
    https://mastodon.social/@paul_denton/111617949500160420

    ping @isskein @karine4

  • Logiciels libres - L’Humanité
    https://www.humanite.fr/sciences/gafam/logiciels-libres

    Logiciels libres
    2min
    Mise à jour le 18.12.23 à 15:36

    Noël approche, c’est donc l’heure des contes pour enfants. En voici un recommandé par votre chroniqueur scientifique pour petits et grands. C’est l’histoire d’Ada, une petite fille très débrouillarde, d’un ploutocrate de l’informatique (Zangemann), mais aussi d’un président 1.

    Dans le petit monde d’Ada, les choses importantes sont les skateboards et les glaces. Dont elle ne peut pas profiter car sa maman n’a pas de sous. En outre, elles sont sous la coupe d’un informaticien devenu richissime, imposant à tous, y compris à l’État, des logiciels qui lui permettent de contrôler… les skateboards et les machines à glace (entre autres). Une image enfantine de la domination des Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) sur le monde réel.

    #Ada_Zangemann

  • Émission Libre à vous ! diffusée mardi 12 décembre 2023 sur radio Cause Commune - Libre à lire !
    https://www.librealire.org/emission-libre-a-vous-diffusee-mardi-12-decembre-2023-sur-radio-cause-co

    verbatim de la partie de l’émission « Libre à vous » diffusée sur la radio Cause commune consacrée à Ada & Zangemann.

    Livre illustré Ada & Zangemann

    Frédéric Couchet : On va changer de sujet. Deuxième sujet, justement pour la diversité, ça va être important. Je crois que c’est Florence qui a proposé qu’on parle de cela, je ne sais plus.

    Florence Chabanois : Je croyais que c’était toi.

    Frédéric Couchet : Peut-être moi, on a tous proposé un sujet. C’est toi qui as proposé le deuxième dont on va parler après.
    Là, on va parler d’un livre illustré qui vient de paraître, qui s’appelle Ada & Zangemann, un conte sur les logiciels, le skateboard et la glace à la framboise. Il a été écrit par Matthias Kirschner qui est le président de la Free Software Foundation Europe, la Fondation pour le logiciel libre en Europe, et qui est mis en dessin par Sandra Brandstätter ; il fait 56 pages, au tarif de 15 euros, sachant que ce livre illustré est sous licence libre, donc la version PDF est en ligne. On a une version papier pour 15 euros, qu’on peut commander chez l’éditeur, pareil les références sont sur libreavous.org.
    Qui l’a lu ? Je vous l’ai envoyé à l’avance. Florence l’a lu.

    Isabelle Carrère : Moi aussi.

    Emmanuel Charpentier : Moi aussi.

    Frédéric Couchet : Qui veut commencer ? Isabelle, peut-être, parce que sur le salon Open Source Experience, tu n’as pas beaucoup parlé. Que peux-tu dire de ce livre illustré ?

    Isabelle Carrère : J’ai trouvé ça très sympathique. J’en parlais avant l’émission, j’ai regretté qu’il n’y ait pas un endroit dans le PDF et peut-être dans le livre pour que les parents qui liraient ça à leurs enfants puissent dire : pourquoi Ada, qu’est-ce que c’est que ce nom ? Qu’est-ce que ça représente ? C’est dommage que ça ne soit pas dit. Pareil pour Zangemann.
    Je crois que ce que j’ai préféré c’est la glace à la framboise. Je trouve génial la façon très intelligente de présenter le fait que c’est nul à chier qu’il y ait quelqu’un qui décide pour nous qu’il n’y aura qu’une seule chose, et là c’est le parfum du jour. On ne va pas tout dévoiler de l’histoire, mais quand même, il y a une affaire dans laquelle il est dit qu’il y a quelqu’un, un grand chef, un grand maître, qui décide qu’aujourd’hui le goût de la glace c’est la framboise, point. Il n’y aura rien d’autre, il n’y aura pas vanille, il n’y aura pas praline, rien du tout. Je trouve que c’est futé comme façon de présenter le fait qu’il est super important d’arrêter la concentration des pouvoirs et d’arrêter le fait qu’il n’y ait pas un choix.

    Emmanuel Charpentier : Il va falloir que tu nous expliques Ada, quand même, je pense que plein d’auditeurs ne savent pas à quoi tu fais référence. Vas-y.

    Isabelle Carrère : Moi j’ai parlé de la glace à la framboise ! C’est à toi !

    Frédéric Couchet : C’est toi qui as commencé pour Ada !

    Emmanuel Charpentier : Ada, c’est le nom d’un langage de programmation, n’est-ce pas !

    Isabelle Carrère : Bien sûr ! C’est surtout le prénom de quelqu’un.

    Emmanuel Charpentier : Exactement, Ada Lovelace, née Ada Byron, la première programmeuse, en tout cas qu’on considère comme telle, une femme exceptionnelle, sur laquelle on attend des films et des œuvres un peu plus fortes que les quelques biographies qui sont déjà sorties. On rappelle que les premiers programmeurs sont des programmeuses et c’est vrai aussi de l’époque moderne, c’est-à-dire Seconde Guerre mondiale, débuts de la programmation dans les années 60, c’était avant tout des femmes qui étaient là. Ça s’est transformé avec le temps, mais il y a quand même une origine intéressante.

    Isabelle Carrère : Je ne suis pas sûre que ça soit avec le temps que ça s’est transformé.

    Emmanuel Charpentier : Avec l’argent peut-être !

    Isabelle Carrère : Je pense que c’est plutôt parce qu’on s’est rendu compte, soudainement, qu’il y a un pouvoir, là, qu’on ne pouvait pas laisser ce pouvoir-là aux femmes. Par contre, la vraie question serait : si on avait laissé l’informatique plus aux mains des femmes où en serait-on, là, maintenant ? Eh bien je ne sais pas dire ! Je ne pense pas qu’on en serait juste à trouver une petite place pour les hommes, je ne crois pas. Qu’est-ce que ce serait devenu ? Est-ce qu’on aurait une société à ce point encline à tout numériser, tout informatiser ? Je ne suis pas sûre.

    Frédéric Couchet : Petite précision sur Ada Lovelace : sur libreavous.org, vous pouvez rechercher [libreavous.org/45], on a consacré une émission à sa biographie écrite par Catherine Dufour, il y a trois/quatre ans, Ada ou la beauté des nombres. En tout cas, écoutez-la et lisez Catherine Dufour parce que c’est une autrice formidable.
    Concernant le sujet que vous venez d’aborder, je vous conseille notamment la lecture de Les oubliées du numérique, d’Isabelle Collet, qui a aussi écrit pas mal d’articles. Je crois qu’elle est intervenue l’an dernier à l’Open Source Experience, il est possible que ça ait été filmé [1]. Isabelle Collet est une informaticienne, sociologue et spécialiste des questions de genre à l’Université de Genève ; Les oubliées du numérique et les vidéos d’isabelle Collet.
    Florence, qu’as-tu pensé du livre illustré ?

    Florence Chabanois : J’ai beaucoup aimé. Il a des imperfections, mais l’informatique, aujourd’hui, gérer la partie matérielle, mais aussi software, c’est quand même avoir du pouvoir que parce que c’est ça qui va influencer la vie de chacun et chacune. Je trouve que c’est un message qui est assez bien transmis, le côté « on n’est pas obligé de subir les décisions des personnes qui sont sur des modèles propriétaires et de ne pas avoir d’influence dessus ».
    J’ai bien aimé que l’héroïne soit une fille.
    Après, effectivement, ça traite un sujet, et quand même pas trop tout ce qui est inclusion, n’est-ce pas Isabelle. Effectivement, on ne parle pas de handicap ou d’orientation sexuelle, mais, en même temps, c’est une première étape, l’idée c’est qu’on puisse l’enrichir. Je trouve qu’il a le mérite d’exister. Pour expliquer le logiciel libre aux enfants, je trouve que c’est plutôt réussi, pour le coup.
    Enfin, le message « quand c’est gratuit, en fait c’est vous qui êtes le produit » est quand même aussi un peu transmis. C’est aussi quelque chose que j’apprécie.

    Frédéric Couchet : Pas mal de personnes ont commenté ce livre. D’ailleurs, je vais citer une partie de l’avis d’Isabelle Collet dont je viens juste de parler : « La force de ce livre c’est de proposer une vraie histoire qu’on a envie de découvrir et pas juste une histoire prétexte à un message d’orientation scolaire ou professionnelle. Cette histoire se démarque de beaucoup de récits de ce type. Pour une fois, on n’a pas une fille seule contre tous qui se bat pour réussir son rêve, mais une fille bien entourée par un groupe de copains et copines qui construisent avec elle un monde nouveau. Non seulement ce livre met en valeur une fille ingénieuse et passionnée de technique, mais également un groupe de jeunes qui, à sa suite, se réapproprient la technique pour la partager avec la cité. » C’était l’avis d’Isabelle Collet. Et on a l’avis d’un informaticien, Stéphane Bortzmeyer, qu’on a également reçu dans l’émission – on va finir par avoir reçu tout le monde dans Libre à vous !. Il a bien aimé, mais il met un petit bémol, je vais vous lire le bémol, je vais vous demander ce que vous en pensez : « Je n’ai, par contre, pas aimé le fait que, à part pour les glaces à la framboise, les logiciels ne soient utilisés que pour occuper l’espace public sans tenir compte des autres. Zangemann programme les planches à roulettes connectées pour ne pas rouler sur le trottoir donc respecter les piétons. Ada écrit du logiciel qui permet aux planchistes d’occuper le trottoir et de renverser les personnes âgées et les personnes handicapées. L’espace public est normalement un commun qui devrait être géré de manière collective et pas approprié par les valides qui maîtrisent la programmation. Un problème analogue se pose avec les enceintes connectées où la modification du logiciel va permette de saturer l’espace sonore, un comportement très macho, alors que le livre est censé être féministe, et de casser les oreilles des autres. Remarquez, cela illustre bien le point principal du livre : qui contrôle le logiciel contrôle le monde. » Est-ce que vous avez eu ce sentiment-là ? Ou pas du tout ? Isabelle.

    Isabelle Carrère : Je partagerais ça en effet. Comme le disait fort justement Florence tout à l’heure : c’est déjà ça, c’est un début. Oui, ce n’est pas parfait et cela fait partie des choses qu’on peut lui reprocher, effectivement, mais comme on pourrait reprocher d’autres choses sur la façon dont ce groupe d’enfants d’abord, petit à petit des adultes qui viennent. Il y a des choses qui ne sont effectivement pas suffisantes, mais il est déjà là ! Mais je suis d’accord, cela est une problématique.

    Frédéric Couchet : Manu, Florence ? Pas obligés.

    Florence Chabanois : En tout cas, j’aime beaucoup son commentaire, en effet, il pointe des problématiques sont réelles. La plupart des personnes, au moins une moitié de la population, n’a pas forcément conscience du côté espace partagé, que ce soit sonore ou public. Je trouve très cool que Stéphane le dise et le souligne.
    Je pense aussi qu’il y a le côté virilisme qui est plutôt encouragé chez les enfants : c’est marrant d’aller bousculer les gens. Quand on est enfant, c’est mieux, c’est plus prestigieux d’embêter les autres que d’être juste sages. Ce livre surfe un peu sur cette vague, mais je pense que c’est aussi ce qui peut faire son succès dans le sens où les enfants vont, malheureusement peut-être, apprécier ce côté coquin.

    Frédéric Couchet : On précise qu’une possibilité de faire connaître ce livre, au-delà de la famille et des amis, c’est dans des écoles.
    Je précise aussi qu’il y a beaucoup de textes, contrairement à ce qu’on pourrait croire, c’est effectivement un illustré, mais il y a quand même beaucoup de textes et, comme ce sont 56 pages, par rapport à l’âge des enfants, ce n’est pas forcément dès le premier âge, il faut peut-être un accompagnant ou une lecture commune avec un parent. Manu.

    Emmanuel Charpentier : Je pense que ce n’est pas un conte pour enfants, je pense que c’est un conte tout court qui s’adresse très bien aux adultes. Il permet d’aborder des problématiques : la mairie, les choix de vie en société, il y a des choix bien plus élevés. Même le fait d’être bloqué avec un fournisseur de technique : Zangermann est le fournisseur officiel des logiciels de la mairie et la mairie est bien embêtée pour s’en débarrasser. Je pense que ça passe bien au-dessus de la tête des enfants, de celle des adultes aussi, d’où l’intérêt d’un conte qui va essayer d’aborder ce sujet. Je trouve que c’est plutôt bien amené.

    #Ada_Zangemann