• Permessi in mano straniera : il vero #business è rivenderli

    La crescita della domanda delle materie prime critiche ha rimesso le miniere al centro dell’agenda politica italiana. Ma sono compagnie extra-UE a fare da protagoniste in questa rinascita perché la chiusura delle miniere negli anni ’80 ha spento l’imprenditoria mineraria italiana.

    “Nelle #Valli_di_Lanzo l’attività mineraria risale al XVIII secolo, quando il cobalto era utilizzato per colorare di blu tessuti e ceramiche. Poi l’estrazione non era più conveniente e le miniere sono state chiuse negli anni ‘20” dice a IE Domenico Bertino, fondatore del museo minerario di Usseglio, Piemonte. Adesso, grazie a una società australiana, i minatori potrebbero tornare a ripopolare le vette alpine.

    Secondo Ispra quasi tutti i 3015 siti attivi in Italia dal 1870 sono dismessi o abbandonati. Ma la crescita della domanda di materie prime critiche (CRM) ha fatto tornare le miniere al centro dell’agenda politica.

    “Abbiamo 16 materie critiche in miniere che sono state chiuse oltre trent’anni fa. Era più facile far fare l’estrazione di cobalto in Congo, farlo lavorare in Cina e portarlo in Italia” ha detto a luglio il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso, ribadendo la volontà del governo di riaprire le miniere. Oltre al cobalto in Piemonte, ci sono progetti per la ricerca di piombo e zinco in Lombardia, di litio nel Lazio e di antimonio in Toscana.

    I protagonisti di questa “rinascita mineraria”, che dovrebbe rendere l’Italia meno dipendente da paesi terzi, sono compagnie canadesi e australiane. Dei 20 permessi di esplorazione attivi, solo uno è intestato a una società italiana (Enel Green Power).

    La ragione è che “le scelte politiche fatte negli anni ‘80 hanno portato alla chiusura delle miniere. E così la nostra imprenditoria mineraria si è spenta e la nuova generazione ha perso il know how” spiega Andrea Dini, ricercatore del CNR.

    La maggior parte sono junior miner, società quotate in borsa il cui obiettivo è ottenere i permessi e vendere l’eventuale scoperta del giacimento a una compagnia mineraria più grande. “Spesso quando la società mineraria dichiara di aver scoperto il deposito più grande del mondo, il più ricco, il più puro, cerca solo di attrarre investitori e far decollare il valore del titolo” spiega Alberto Valz Gris, geografo ed esperto di CRM del Politecnico di Torino, promotore di una carta interattiva (http://frontieredellatransizione.it) che raccoglie i permessi di ricerca mineraria per CRM in Italia.

    Tra le junior miner presenti in Italia spicca Altamin, società mineraria australiana che nel 2018 ha ottenuto i primi permessi di esplorazione (https://va.mite.gov.it/it-IT/Oggetti/Info/1760) per riaprire le miniere di cobalto di Usseglio e Balme, in Piemonte. “Finora sono state effettuate solo analisi in laboratorio per capire la qualità e quantità del cobalto” spiega Claudio Balagna, appassionato di mineralogia che ha accompagnato in alta quota gli esperti di Altamin. “Ma da allora non abbiamo saputo più nulla", dice a IE Giuseppe Bona, assessore all’ambiente di Usseglio, favorevole a una riapertura delle miniere che potrebbe creare lavoro e attirare giovani in una comunità sempre più spopolata.

    A Balme, invece, si teme che l’estrazione possa inquinare le falde acquifere. “Non c’è stato alcun dialogo con Altamin, quindi è difficile valutare quali possano essere i risvolti eventualmente positivi" lamenta Giovanni Castagneri, sindaco di Balme, comune che nel 2020 ha ribadito l’opposizione “a qualsiasi ricerca mineraria che interessi il suolo e il sottosuolo”.

    “Le comunità locali sono prive delle risorse tecniche ed economiche per far sentire la propria voce” spiega Alberto Valz Gris.

    Per il governo Meloni la corsa alla riapertura delle miniere è una priorità, con la produzione industriale italiana che dipende per €564 miliardi di euro (un terzo del PIL nel 2021) dall’importazione di materie critiche extra-UE. Tuttavia, a oggi, non c’è una sola miniera di CRM operativa in Italia.

    Nel riciclo dei rifiuti le aziende italiane sono già molto forti. L’idea è proprio di puntare sull’urban mining, l’estrazione di materie critiche dai rifiuti, soprattutto elettronici, ricchi di cobalto, rame e terra rare. Ma, in molti casi, la raccolta e il riciclo di queste materie è oggi ben al di sotto dell’1%. “Un tasso di raccolta molto basso, volumi ridotti e mancanza di tecnologie appropriate non hanno permesso lo sviluppo di una filiera del riciclaggio delle materie critiche”, dice Claudia Brunori, vicedirettrice per l’economia circolare di ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Oltre alla mancanza di fondi: nel PNRR non sono previsti investimenti per le materie prime critiche.

    Un’altra strategia è estrarre CRM dalle discariche minerarie. Il Dlgs 117/08 fornisce indicazioni sulla gestione dei rifiuti delle miniere attive, ma non fornisce riferimenti per gli scarti estrattivi abbandonati. Così “tali depositi sono ancora ritenuti rifiuti e non possono essere considerati nuovi giacimenti da cui riciclare le materie” denuncia l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che chiede una modifica normativa che consenta il recupero delle risorse minerarie.

    https://www.investigate-europe.eu/it/posts/permessi-in-mano-straniera-il-vero-business-rivenderli
    #extractivisme #Alpes #permis #mines #minières #Italie #terres_rares #matières_premières_critiques #transition_énergétique #Alberto_Valz_Gris #permis_d'exploration #Usseglio #Piémont #Adolfo_Urso #plomb #zinc #Lombardie #Latium #Toscane #antimoine #Enel_Green_Power #junior_miner #Altamin #Australie #Balme #urban_mining #recyclage #économie_circulaire #déchets

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • On a adoré : Ada & Zangemann. Un conte sur les logiciels, le skateboard et la glace à la framboise – Open science : évolutions, enjeux et pratiques
    https://openscience.pasteur.fr/2023/12/11/on-a-adore-ada-zangemann-un-conte-sur-les-logiciels-le-skateboar

    On a adoré : Ada & Zangemann. Un conte sur les logiciels, le skateboard et la glace à la framboise
    11 décembre 2023 CeRIS - Institut Pasteur

    “Ada & Zangemann. Un conte sur les logiciels, le skateboard et la glace à la framboise” a tout pour plaire.

    C’est tout d’abord un livre illustré très agréable avec un récit très bien construit, le premier du genre à aborder la thématique des logiciels libres et du numérique en général. Petits et grands ne pourront pas rester insensibles au personnage si inspirant d’Ada, une jeune fille curieuse, ingénieuse et généreuse, pour qui partage et autonomie est initialement une question de survie.

    C’est ensuite une belle histoire de commun et de partage : les auteurs allemands de l’ouvrage, Matthias Kirschner (texte) et Sandra Brandstätter (dessins), ont publié l’ouvrage sous licence Creative Commons BY-SA. Cela a permis, entre autres, de belles initiatives de traductions, comme pour la version française qui a donné lieu à un projet pédagogique collaboratif. Il a été traduit de l’allemand vers le français par une centaine d’élèves de 13 à 19 ans issus de quatre établissements, qui se sont répartis le travail en se coordonnant grâce au numérique.

    Coup de chapeau aux remarquables C&F Éditions d’avoir publié cet ouvrage. Les versions epub et pdf de Ada & Zangemann sont à prix libre (gratuit + une éventuelle contribution pour C&F Éditions si vous le souhaitez). Vous pouvez redistribuer cette version gratuite comme vous le souhaitez, en ajoutant un lien vers la version imprimée. Pour information, Matthias Kirschner a décidé de reverser tous les droits d’auteur issus des ventes du livre en version papier à la Free Software Foundation Europe, dont il est président.

    Résumé éditeur : “Zangemann est un inventeur mondialement connu et immensément riche. Enfants et adultes adorent ses fabuleuses inventions. Mais soudain, gros problème : les skateboards électroniques des enfants buggent et les glaces ont toutes le même parfum. Que se passe-t-il ? Ada, jeune fille curieuse, va découvrir comment Zangemann contrôle ses produits depuis son ordinateur en or. Avec ses amis, elle va bricoler des objets informatisés qui échappent aux décisions de Zangemann. Un livre pour les enfants et jeunes ados qui pourrait bien leur transmettre le plaisir de bricoler. Un livre sur l’informatique libre, la camaraderie et le rôle des filles pour une technique au service de l’autonomie. Un conte vivant et superbement illustré.”

    Édition originale : Ada & Zangemann, Ein Märchen über Software, Skateboards und Himbeereis. © dpunkt.verlag GmbH, 2022.
    Édition française : Ada et Zangemann, Un conte sur les logiciels, le skateboard et la glace à la framboise. C&F Éditions, 2023. ISBN 978-2-37662-075-4

    #Ada_Zangemann

  • Adrian Daub, La Pensée selon la tech. Le paysage intellectuel de la Silicon Valley
    https://journals.openedition.org/questionsdecommunication/32235

    https://cfeditions.com/pensee-tech

    La Pensée selon la tech est un livre passionnant pour qui s’intéresse aux influences intellectuelles et philosophiques des gourous de la tech américaine et aux stratagèmes des entreprises du secteur de la Silicon Valley. Il montre par quels procédés communicationnels la Silicon Valley transforme à son avantage une réalité souvent peu brillante. Elle n’invente pas nécessairement les idées mais les absorbe de manière très superficielle pour servir ses intérêts. Des lieux communs teintés d’académisme s’enracinent dans des traditions américaines anciennes et le tissu local. Leur banalité facilite leur recyclage, tandis que la passivité dispense de toute discussion. Entrepreneurs, bailleurs de fonds, leaders d’opinion, journalistes continuent à exporter les théories et le style de la Silicon Valley, grâce aux enseignements de la contre-culture des années 1960.

    Observateur clairvoyant, A. Daub livre un témoignage vivant issu de son vécu professoral dans le campus de Stanford. Des anecdotes servent d’accroches à des propos plus généraux tout en les illustrant. Le lecteur est fréquemment pris à partie. L’essai tire sa dynamique de ces effets de style et de sa liberté de ton. Il est loin d’être neutre : l’auteur livre un regard sans concession sur des pratiques qui ont droit de cité mais qui sont tout sauf égalitaires. On devine une certaine indignation sous la dénonciation de la casse sociale qui touche les femmes et tout un pan invisibilisé de travailleurs démunis. C’est pourquoi A. Daub montre la voie vers une pensée critique sur cette partie du monde que beaucoup de pays envient et cherchent à copier sans prendre garde à ses spécificités et ses côtés sombres. Son livre sonne comme un avertissement à ne pas reproduire le modèle tel quel. Il pousse à faire évoluer la représentation que l’on s’en fait et la vision des professionnels du secteur.

    #Adrian_Daub #Silicon_Valley

  • Ada & Zangemann : retour sur une bonne impression - LinuxFr.org
    https://linuxfr.org/news/ada-zangemann-retour-sur-une-bonne-impression

    Posté par Benoît Sibaud (site web personnel) le 11/12/23 à 09:30. Édité par Ysabeau. Modéré par Ysabeau. Licence CC By‑SA.

    C’est l’histoire d’un livre découvert au boulot et d’une première dépêche écrite dans un train traversant l’Europe. Et c’est aussi l’histoire d’un ouvrage illustré Ada & Zangemann - Un conte sur les logiciels, le skateboard et la glace à la framboise, écrit par Matthias Kirschner (président de la FSFE) et illustré par Sandra Brandstätter, pour promouvoir notamment le logiciel libre avec pédagogie auprès des enfants (de 6 à 106 ans).

    Et cette histoire évolue : nouvelles traductions, nouvelles versions imprimées notamment en français, nouveaux éloges, etc.

    Couverture de la version imprimée en français

    Les évolutions :

    deux traductions supplémentaires sont disponibles, en catalan et danois, portant le total à 8 langues disponibles
    deux versions imprimées supplémentaires, en italien (par StreetLib ou Lulu.com) et surtout, par notre lectorat francophone, en français aux éditions C&F, ISBN 978-2-37662-075-4 (depuis le 1er décembre 2023) (annoncée par deux journaux d’Alexis Kauffmann 1 et 2 ; Alexis dont le rôle dans l’existence de la version française est explicité dans la première dépêche, et que je m’empresse de citer : ce livre est 4x libre :
    son histoire parle de libre (et, sans vouloir spoiler, ça parle aussi d’exercice citoyen de la démocratie)
    sa licence est libre : la Creative Commons By-SA
    sa traduction a été réalisée collaborativement par une centaine d’élèves qui se sont coordonnés sur les outils libres de La Digitale
    sa chaîne d’édition est libre : HTML, CSS, JavaScript Paged.js + typographie libre Luciole
    la liste des éloges du lectorat s’est allongée et les premières en français ont été ajoutées. Sans compter celles d’Alexis et moi sur Linuxfr.org, une émission de France Culture, des retours de Frédéric Couchet (délégué général de l’April), et Stéphane Bortzmeyer, ou bien encore #adaZangemann sur Mastodon, ou lors de OSXP 2023
    la version française a été soutenue par le ministère français de l’Éducation nationale notamment pour que tout le monde puisse accéder librement aux versions numériques du livre le jour de sa sortie.
    cette nouvelle dépêche est encore écrite lors d’une traversée de l’Europe en train, il y a une certaine continuité.

    Citant de nouveau Alexis : Si le livre vous a plu, n’hésitez pas à en parler autour de vous et à en commander des versions papiers pour vous ou vos proches (à l’approche de Noël !). Cela permettra également de témoigner que le modèle «  payant/papier gratuit/numérique  » est viable économiquement et de convaincre d’autres éditeurs de l’adopter à l’avenir. et pour cette édition française, Matthias Kirschner a décidé de reverser tous les droits d’auteur issus des ventes du livre en version papier à la Free Software Foundation Europe.

    #Ada_Zangemann

  • Blog Stéphane Bortzmeyer : Fiche Ada & Zangemann
    https://www.bortzmeyer.org/ada-zangemann.html

    Par Stéphane Bortzmeyer

    Ce livre pour enfants a pour but de sensibiliser au rôle du logiciel dans nos sociétés. Difficile aujourd’hui d’avoir quelque activité que ce soit, personnelle ou professionnelle, sans passer par de nombreux programmes informatiques qui déterminent ce qu’on peut faire ou pas, ou, au minimum, encouragent ou découragent certaines actions. Les enfants d’aujourd’hui vont vivre dans un monde où ce sera encore plus vrai et où il est donc crucial qu’ils apprennent deux ou trois choses sur le logiciel, notamment qu’il existe du logiciel libre.

    Le livre est originellement écrit en allemand, je l’ai lu dans la traduction française, publiée chez C&F Éditions. Il a été écrit à l’initiative de la FSFE.

    Donc, l’histoire. Zangemann (un mélange de Jobs, Gates, Zuckerberg et Musk) est un homme d’affaires qui a réussi en fabriquant entre autres des objets connectés dont il contrôle complètement le logiciel, et il ne se prive pas d’appliquer ses règles suivant sa volonté du moment. Les utilisateurices des objets sont désarmé·es face à ces changements. Ada est une petite fille qui commence par bricoler du matériel (c’est plus facile à illustrer que la programmation) puis comprend le rôle du logiciel et devient programmeuse (de logiciels libres, bien sûr). Je ne vous raconte pas davantage, je précise juste, pour mes lecteurices programmeur·ses que ce n’est pas un cours de programmation, c’est un conte pour enfants. Le but est de sensibiliser à l’importance du logiciel, et d’expliquer que le logiciel peut être écrit par et pour le peuple, pas forcément par les Zangemann d’aujourd’hui.

    Le livre est sous une licence libre. J’ai mis une illustration sur cet article car la licence est compatible avec celle de mon blog, et cela vous permet de voir le style de la dessinatrice : ada-zangemann.png

    Je n’ai par contre pas aimé le fait que, à part pour les glaces à la framboise, les logiciels ne soient utilisés que pour occuper l’espace public sans tenir compte des autres. Zangemann programme les planches à roulette connectées pour ne pas rouler sur le trottoir et donc respecter les piétons ? Ada écrit du logiciel qui permet aux planchistes d’occuper le trottoir et de renverser les personnes âgées et les handicapé·es. L’espace public est normalement un commun, qui devrait être géré de manière collective, et pas approprié par les valides qui maitrisent la programmation. Le film « Skater Girl » représente bien mieux cette tension entre planchistes et autres utilisateurs. Un problème analogue se pose avec les enceintes connectées où la modification logicielle va permettre de saturer l’espace sonore (un comportement très macho, alors que le livre est censé être féministe) et de casser les oreilles des autres. Remarquez, cela illustre bien le point principal du livre : qui contrôle le logiciel contrôle le monde.

    Le livre parait en français le premier décembre. La version originale est déjà disponible, ainsi que la version en anglais.

    #Ada_Zangemann

  • Le livre en partie traduit par les élèves de Guingamp repris et offert par le ministre Gabriel Attal
    https://www.ouest-france.fr/bretagne/guingamp-22200/le-livre-en-partie-traduit-par-les-eleves-de-guingamp-repris-et-offert-
    https://media.ouest-france.fr/v1/pictures/MjAyMzEyMWE2MzE2NTM2YWM4MWIxMjA0YzllZGY3M2Q2MGVkZjE?width=1260&he

    Le livre Ada et Zangemann, en partie traduit par des élèves du collège Prévert de Guingamp (Côtes-d’Armor), a terminé dans les mains du ministre de l’Éducation nationale, Gabriel Attal, lundi 4 décembre, à Bonn. Il a annoncé en faire cadeau à tous les parlementaires. De quoi ravir les élèves et leur professeure.
    Le ministre de l’Éducation nationale, Gabriel Attal, a distribué à tous les parlementaires de l’assemblée parlementaire franco-allemand un livre en partie traduit par des élèves du collège Prévert de Guingamp.
    Le ministre de l’Éducation nationale, Gabriel Attal, a distribué à tous les parlementaires de l’assemblée parlementaire franco-allemand un livre en partie traduit par des élèves du collège Prévert de Guingamp. | CAPTURE D’ÉCRAN
    Ouest-France Donovan GOUGEON. Publié le 06/12/2023 à 19h30

    C’est un clin d’œil qui devrait ravir les élèves du collège Prévert de Guingamp. Alors que des élèves guingampais ont mené un travail de traduction, avec leur professeure Annaïck Richomme, d’un livre allemand, Ada et Zangemann, ce dernier s’est retrouvé dans les mains du ministre de l’Éducation nationale, Gabriel Attal, lundi 4 décembre 2023.

    C’était à Bonn en Allemagne, à l’occasion de l’Assemblée parlementaire franco-allemande (APFA).
    De quoi « faire plaisir à nos élèves »

    Le ministre a annoncé, lors de son audition, l’offrir à tous les parlementaires présents. « C’est un livre pour enfants qui parle du potentiel et des risques associés aux technologies et qui parle notamment du rôle des lois, a-t-il exprimé, le livre en main. C’est surtout un livre allemand qui a été traduit par une centaine d’élèves germanistes en France, avec leurs professeurs, dans plusieurs établissements. Grâce au numérique, ils ont travaillé tous ensemble. »

    De quoi « faire plaisir à nos élèves » appuie la principale du collège Prévert, Geneviève Roussel. Trois autres établissements en France avaient pris part à l’opération. « Ils sont, je crois, la plus belle incarnation de ces liens que nous avons le devoir et la capacité par ces actions de renforcer encore », a ajouté le ministre.

    #Ada_Zangemann #Guingamp

  • Aurore Bergé annonce des « travaux d’intérêt général pour les parents défaillants »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/12/10/aurore-berge-annonce-la-creation-d-une-commission-sur-la-parentalite_6204883

    Dans un entretien à « La Tribune Dimanche », la ministre des solidarités détaille également la mise en place d’une commission sur la parentalité, coprésidée par le pédopsychiatre Serge Hefez.

    Parmi les [...] mesures confirmées samedi, « des travaux d’intérêt général pour les parents défaillants, le paiement d’une contribution financière pour les parents d’enfants coupables de dégradations auprès d’une association de victimes et une amende pour les parents ne se présentant pas aux audiences qui concernent leurs enfants »

    « J’ai une certitude : nous ne pouvons pas nous passer des parents, ni faire sans eux, ni contre eux », a encore dit la ministre (...).

    #famille #société_punitive

  • Next - Un roman graphique explique les logiciels libres aux enfants
    https://next.ink/119505/un-roman-graphique-explique-les-logiciels-libres-aux-enfants

    Ada & Zangemann est roman graphique de 60 pages qui se présente comme un « conte sur les logiciels, le skateboard et la glace à la framboise ». Il a été créé pour expliquer l’intérêt des logiciels libres aux enfants, mais semble aussi intéresser les adultes peu au fait de leurs vertus.

    Ce livre a été publié par la maison C&F Éditions, dirigée par Hervé Le Crosnier, dont la liste des auteurs fait référence en matière de numérique. On y trouve en effet des ouvrages de Stéphane Bortzmeyer, danah boyd, Anne Cordier, Cory Doctorow, Olivier Ertzscheid, Xavier de La Porte, Helen Nissenbaum, Tristan Nitot, Zeynep Tüfekçi, Fred Turner...
    Le risque d’enfermement et de dépendance…

    Elle raconte l’histoire d’Ada (en référence à Ada Lovelace, la première personne à avoir réalisé un véritable programme informatique), une jeune fille curieuse, et de Zangemann, un inventeur mondialement connu et immensément riche, semble-t-il inspiré de Steve Jobs et Elon Musk. Les enfants et adultes « adorent ses fabuleuses inventions », qui vont des skateboards sonores à la machine à glace capable de mixer n’importe quel parfum.

    Or, résume François Saltiel dans sa chronique numérique Un Monde connecté sur France Culture, Zangemann prend « un malin plaisir à imposer ses goûts grâce à ces millions de machines connectées dont il est le seul à avoir la clef », jusqu’à ce que soudainement, les skateboards électroniques des enfants buguent et les glaces ont « toutes le même parfum ».

    Ada va alors découvrir comment Zangemann « contrôle ses produits depuis son ordinateur en or ». Elle découvre également, « sur un Internet libre », comment bricoler et programmer avec ses amis des objets informatisés qui échappent aux décisions de Zangemann, « pour tenter de reprendre la main sur ce monde numérique, et ne plus en être une esclave ».

    #Ada_Zangemann #Logiciel_Libre

    • Malheureusement Ada n’apprend pas comment « bricoler » un logement décent, une fileuse à laine, et des outils de maraichage, afin qu’elle, ses amis, et sa famille puissent subvenir à leurs besoins sans argent et sans informatique, et donc n’être réellement plus des esclaves. 🤓

      (Parce que bon vouloir ne plus être esclave en perpétuant sans jamais l’évoquer l’esclavage très direct et massif des milliers d’africains dans les mines à la fois des métaux de l’informatique + et des millions d’africains et asiatiques dans les décharges quand on les jette + de tous ceux qui extraient l’uranium pour nos consos électriques d’informatique en augmentation permanente, etc, etc. Bon. Bah. Libération bourgeoise quoi.)

    • C’est complètement vrai.
      Mais on peut aussi objecter que le logiciel libre ne doit pas tant être pris pour son coté « logiciel » (donc silicium, métaux rares, pollution, voracité énergétique...) mais pour son coté « libre », qui est plutôt une exception dans un monde néo-capitaliste.

      Et de plus, comme ce sujet touche majoritairement les bourgeois, c’est l’occasion rêvée de leur inculquer des notions libristes, avec l’espoir qu’un jour, ils feront le parallèle avec autre chose que l’informatique : la propriété intellectuelle, la presse, l’éthique, la terre, les communs, les frontières, l’argent...

      Se dire que ce n’est pas du temps perdu que d’aller éduquer une fille de grands-bourgeois pour éventuellement contrecarrer tout ce qu’elle apprendra en école de commerce. Forger une rebelle de salon, quoi.

      Ada attagirl !

      On avait déjà entamé ce débat : https://seenthis.net/messages/986827

  • Halte aux clichés : les jeunes savent écrire et ils aiment ça | Actualités | CIDJ
    https://www.cidj.com/actualite/halte-aux-cliches-les-jeunes-savent-ecrire-et-ils-aiment-ca
    https://www.cidj.com/sites/default/files/styles/og_image/public/2023-12/jeunes_ecriture_passion_etude_2023.webp?itok=6PpFS-QW

    Loin des clichés, les ados écrivent. Pas toujours en vers, mais parfois à la plume ! C’est le constat à tirer de la nouvelle enquête « Les adolescents et leurs pratiques de l’écriture au XXIe siècle : nouveaux pouvoirs de l’écriture ? », réalisée par Christine Mongenot et Anne Cordier. Pour arriver à cette conclusion, Lecture Jeunesse et l’INJEP, l’Institut national de la jeunesse et de l’éducation populaire, ont compilé les réponses de 1 500 jeunes Français âgés de 14 à 18 ans, mais aussi réalisé une cinquantaine d’entretiens individuels.
    Peu importe le support pour peu qu’il y ait l’allégresse

    Pour cette enquête, l’Observatoire de la lecture des ados a souhaité analyser toutes les formes possibles d’écriture. Et un chiffre en particulier sort du lot : « Au total, 92 % des jeunes ont une activité de scripteur déclarée ». Comprendre le « scripteur » par « l’émetteur » d’un message écrit. Parmi ces jeunes interrogés, 59% estiment écrire « tous les jours ou presque ». Et ces écrits ne sont pas essentiellement scolaires : SMS, liste de course, rédaction de fanfiction ou de bande dessinée, tweets ou posts Instagram …

    Le rapport insiste sur le fait que : « les jeunes écrivant sur les réseaux sociaux rédigent plus que la moyenne quels que soient les types d’écrits considérés, et quels que soient les formats ou les supports (+13 %, pour les messages ou mots d’amour, +7 % pour les messages écrits à la main à des amis, +16 % pour les brouillons de publications sur les réseaux sociaux, +10 % pour des contenus sur un blog ou +6 % pour des histoires et fanfictions) ».
    Des billets et des fictions au format électronique

    Envoyer un DM (message privé sur Instagram) serait moins littéraire que de rédiger des vers à la Rimbaud ? En pratique, le rapport démontre que ces nouvelles façons d’écrire bénéficient de moins de reconnaissance que les formats considérés comme plus scolaires.

    L’enquête relève un sentiment d’illégitimité chez beaucoup de jeunes à se définir comme « scripteur », lorsque ces derniers ne pratiquent pas une activité d’écriture encadrée, comme la rédaction d’une lettre, d’un essai ou d’une carte.

    Souvent moins valorisés par leurs aînés, les écrits publiés sur les réseaux sociaux sont pourtant des sources de créativité chez les jeunes. L’étude souligne d’ailleurs que 39 % des jeunes interrogés écrivent occasionnellement ou régulièrement des paroles de chansons ou de rap, 43 % des histoires ou des fanfictions, et que près d’un jeune sur trois participe à l’écriture de traductions de mangas !

    #Ecriture #Adolescents #Anne_Cordier

  • Ada & Zangemann, épisode 3, la publication française - LinuxFr.org
    https://linuxfr.org/users/akauffmann/journaux/ada-zangemann-episode-3-la-publication-francaise

    Journal Ada & Zangemann, épisode 3, la publication française
    Posté par Alexis Kauffmann (site web personnel) le 04/12/23 à 22:11. Licence CC By‑SA.
    Étiquettes :

    logiciel_libre livre livre_numérique diy gafam éducation éducation_nationale

    4 déc. 2023

    Le livre libre qui parle du libre Ada & Zangemann a déjà donné lieu à une dépêche (où l’on évoquait sa traduction française) et un journal (où l’on évoquait la sortie prochaine du livre en français chez C&F Éditions).

    Le livre est paru officiellement le 1er décembre dernier avec, comme promis, ses versions numériques intégrales (PDF et ePUB accessible) disponibles à prix libre sur le site de l’éditeur.

    Vous pouvez donc le lire avant d’acheter (et le lire sans l’acheter aussi).

    Pour rappel, ce livre est 4x libre :
    – son histoire parle de libre (et, sans vouloir spoiler, ça parle aussi d’exercice citoyen de la démocratie)
    – sa licence est libre : la Creative Commons BY-SA
    – sa traduction a été réalisée collaborativement par une centaine d’élèves qui se sont coordonnés sur les outils libres de La Digitale
    – sa chaîne d’édition est libre : HTML, CSS, JavaScript Paged.js + typographie libre Luciole

    Le ministère de l’Éducation nationale a soutenu le projet notamment pour que tout le monde puisse accéder librement aux versions numériques du livre le jour de sa sortie.

    Si le livre vous a plu, n’hésitez pas à en parler autour de vous et à en commander des versions papiers pour vous ou vos proches (à l’approche de Noël !). Cela permettra également de témoigner que le modèle « payant/papier gratuit/numérique » est viable économiquement et de convaincre d’autres éditeurs de l’adopter à l’avenir.

    –> https://cfeditions.com/ada

    P.S : Pour cette édition française, Matthias Kirschner a décidé de reverser tous les droits d’auteur issus des ventes du livre en version papier à la Free Software Foundation Europe.

    P.P.S. : J’ai offert ce livre à des amis (adultes) qui n’ont rien à voir avec le numérique et encore moins avec le numérique libre. Après l’avoir lu, ils m’ont dit : « Ah, OK, on comprend mieux ce que tu fais désormais et pourquoi tu t’intéresses à tout ça » ;)

    #Ada_Zangemann

  • #José_Vieira : « La #mémoire des résistances face à l’accaparement des terres a été peu transmise »

    Dans « #Territórios_ocupados », José Vieira revient sur l’#expropriation en #1941 des paysans portugais de leurs #terres_communales pour y planter des #forêts. Cet épisode explique les #mégafeux qui ravagent le pays et résonne avec les #luttes pour la défense des #biens_communs.

    Né au Portugal en 1957 et arrivé enfant en France à l’âge de 7 ans, José Vieira réalise depuis plus de trente ans des documentaires qui racontent une histoire populaire de l’immigration portugaise.

    Bien loin du mythe des Portugais·es qui se seraient « intégré·es » sans le moindre problème en France a contrario d’autres populations, José Vieira s’est attaché à démontrer comment l’#immigration_portugaise a été un #exode violent – voir notamment La Photo déchirée (2001) ou Souvenirs d’un futur radieux (2014) –, synonyme d’un impossible retour.

    Dans son nouveau documentaire, Territórios ocupados, diffusé sur Mediapart, José Vieira a posé sa caméra dans les #montagnes du #Caramulo, au centre du #Portugal, afin de déterrer une histoire oubliée de la #mémoire_collective rurale du pays. Celle de l’expropriation en 1941, par l’État salazariste, de milliers de paysans et de paysannes de leurs terres communales – #baldios en portugais.

    Cette #violence étatique a été opérée au nom d’un vaste #projet_industriel : planter des forêts pour développer économiquement ces #territoires_ruraux et, par le même geste, « civiliser » les villageois et villageoises des #montagnes, encore rétifs au #salariat et à l’ordre social réactionnaire de #Salazar. Un épisode qui résonne aujourd’hui avec les politiques libérales des États qui aident les intérêts privés à accaparer les biens communs.

    Mediapart : Comment avez-vous découvert cette histoire oubliée de l’expropriation des terres communales ou « baldios » au Portugal ?

    José Vieira : Complètement par hasard. J’étais en train de filmer Le pain que le diable a pétri (2012, Zeugma Films) sur les habitants des montagnes au Portugal qui sont partis après-guerre travailler dans les usines à Lisbonne.

    Je demandais à un vieux qui est resté au village, António, quelle était la définition d’un baldio – on voit cet extrait dans le documentaire, où il parle d’un lieu où tout le monde peut aller pour récolter du bois, faire pâturer ses bêtes, etc. Puis il me sort soudain : « Sauf que l’État a occupé tous les baldios, c’était juste avant que je parte au service militaire. »

    J’étais estomaqué, je voulais en savoir plus mais impossible, car dans la foulée, il m’a envoyé baladé en râlant : « De toute façon, je ne te supporte pas aujourd’hui. »

    Qu’avez-vous fait alors ?

    J’ai commencé à fouiller sur Internet et j’ai eu la chance de tomber sur une étude parue dans la revue de sociologie portugaise Análise Social, qui raconte comment dans les années 1940 l’État salazariste avait pour projet initial de boiser 500 000 hectares de biens communaux en expropriant les usagers de ces terres.

    Je devais ensuite trouver des éléments d’histoire locale, dans la Serra do Caramulo, dont je suis originaire. J’ai passé un temps fou le nez dans les archives du journal local, qui était bien sûr à l’époque entièrement dévoué au régime.

    Après la publication de l’avis à la population que les baldios seront expropriés au profit de la plantation de forêts, plus aucune mention des communaux n’apparaît dans la presse. Mais rapidement, des correspondants locaux et des éditorialistes vont s’apercevoir qu’il existe dans ce territoire un malaise, qu’Untel abandonne sa ferme faute de pâturage ou que d’autres partent en ville. En somme, que sans les baldios, les gens ne s’en sortent plus.

    Comment sont perçus les communaux par les tenants du salazarisme ?

    Les ingénieurs forestiers décrivent les paysans de ces territoires comme des « primitifs » qu’il faut « civiliser ». Ils se voient comme des missionnaires du progrès et dénoncent l’oisiveté de ces montagnards peu enclins au salariat.

    À Lisbonne, j’ai trouvé aussi une archive qui parle des baldios comme étant une source de perversion, de mœurs légères qui conduisent à des enfants illégitimes dans des coins où « les familles vivent presque sans travailler ». Un crime dans un régime où le travail est élevé au rang de valeur suprême.

    On retrouve tous ces différents motifs dans le fameux Portrait du colonisé d’Albert Memmi (1957). Car il y a de la part du régime un vrai discours de colonisateur vis-à-vis de ces régions montagneuses où l’État et la religion ont encore peu de prise sur les habitants.

    En somme, l’État salazariste veut faire entrer ces Portugais reculés dans la modernité.

    Il y a eu des résistances face à ces expropriations ?

    Les villageois vont être embauchés pour boiser les baldios. Sauf qu’après avoir semé les pins, il faut attendre vingt ans pour que la forêt pousse.

    Il y a eu alors quelques histoires d’arrachage clandestin d’arbres. Et je raconte dans le film comment une incartade avec un garde forestier a failli virer au drame à cause d’une balle perdue – je rappelle qu’on est alors sous la chape de plomb du salazarisme. D’autres habitants ont aussi tabassé deux gardes forestiers à la sortie d’un bar et leur ont piqué leurs flingues.

    Mais la mémoire de ces résistances a peu été transmise. Aujourd’hui, avec l’émigration, il ne reste plus rien de cette mémoire collective, la plupart des vieux et vieilles que j’ai filmés dans ce documentaire sont déjà morts.

    Comment justement avez-vous travaillé pour ce documentaire ?

    Quand António me raconte cette histoire d’expropriation des baldios par l’État, c’était en 2010 et je tournais un documentaire, Souvenirs d’un futur radieux. Puis lorsqu’en 2014 un premier incendie a calciné le paysage forestier, je me suis dit qu’il fallait que je m’y mette.

    J’ai travaillé doucement, pendant trois ans, sans savoir où j’allais réellement. J’ai filmé un village situé à 15 kilomètres de là où je suis né. J’ai fait le choix d’y suivre des gens qui subsistent encore en pratiquant une agriculture traditionnelle, avec des outils de travail séculaires, comme la roue celte. Ils ont les mêmes pratiques que dans les années 1940, et qui sont respectueuses de l’écosystème, de la ressource en eau, de la terre.

    Vous vous êtes aussi attaché à retracer tel un historien cet épisode de boisement à marche forcée...

    Cette utopie industrialiste date du XIXe siècle, des ingénieurs forestiers parlant déjà de vouloir récupérer ces « terres de personne ». Puis sous Salazar, dans les années 1930, il y a eu un débat intense au sein du régime entre agrairistes et industrialistes. Pour les premiers, boiser ne va pas être rentable et les baldios sont vitaux aux paysans. Pour les seconds, le pays a besoin de l’industrie du bois pour décoller économiquement, et il manque de bras dans les villes pour travailler dans les usines.

    Le pouvoir central a alors même créé un organisme étatique, la Junte de colonisation interne, qui va recenser les baldios et proposer d’installer des personnes en leur donnant à cultiver des terres communales – des colonies de repeuplement pour résumer.

    Finalement, l’industrie du bois et de la cellulose l’a emporté. La loi de boisement des baldios est votée en 1938 et c’est en novembre 1941 que ça va commencer à se mettre en place sur le terrain.

    Une enquête publique a été réalisée, où tout le monde localement s’est prononcé contre. Et comme pour les enquêtes aujourd’hui en France, ils se sont arrangés pour dire que les habitants étaient d’accord.

    Qu’en est-il aujourd’hui de ces forêts ? Subsiste-t-il encore des « baldios » ?

    Les pinèdes sont exploitées par des boîtes privées qui font travailler des prolos qui galèrent en bossant dur. Mais beaucoup de ces forêts ont brûlé ces dernière décennies, notamment lors de la grande vague d’incendies au Portugal de 2017, où des gens du village où je filmais ont failli périr.

    Les feux ont dévoilé les paysages de pierre qu’on voyait auparavant sur les photos d’archives du territoire, avant que des pins de 30 mètres de haut ne bouchent le paysage.

    Quant aux baldios restants, ils sont loués à des entreprises de cellulose qui y plantent de l’eucalyptus. D’autres servent à faire des parcs d’éoliennes. Toutes les lois promues par les différents gouvernements à travers l’histoire du Portugal vont dans le même sens : privatiser les baldios alors que ces gens ont géré pendant des siècles ces espaces de façon collective et très intelligente.

    J’ai fait ce film avec en tête les forêts au Brésil gérées par les peuples autochtones depuis des siècles, TotalEnergies en Ouganda qui déplace 100 000 personnes de leurs terres pour du pétrole ou encore Sainte-Soline, où l’État aide les intérêts privés à accaparer un autre bien commun : l’eau.

    https://www.mediapart.fr/journal/culture-et-idees/021223/jose-vieira-la-memoire-des-resistances-face-l-accaparement-des-terres-ete-

    #accaparement_de_terres #terre #terres #dictature #histoire #paysannerie #Serra_do_Caramulo #communaux #salazarisme #progrès #colonisation #colonialisme #rural #modernité #résistance #incendie #boisement #utopie_industrialiste #ingénieurs #ingénieurs_forestiers #propriété #industrie_du_bois #Junte_de_colonisation_interne #colonies_de_repeuplement #cellulose #pinèdes #feux #paysage #privatisation #eucalyptus #éoliennes #loi #foncier

  • One in Five People Check Their Phones During Sex – Yes, Really
    https://www.vice.com/en/article/m7bk9v/checking-phone-during-sex-study

    « Five to one baby,
    One in five »
    chantait Jim Morrisson (The Doors)
    Bon, à l’époque il parlait des fumeurs de joints en Californie...

    “I once had an ex-boyfriend who was addicted to gambling,” Katy, whose name has been changed for privacy reasons, tells VICE. “We were having sex doggy style and he started going really slow, for ages. I looked around and he was on his phone, checking his bets.”

    Understandably, this was a bit of a mood killer. As Katy puts it, “You can see why we broke up.” But, while Katy’s ex-boyfriend’s bedroom behaviour might have been the final straw for their relationship, he’s not alone. New research indicates up to one in five people check their phone during sex.

    #Téléphone #Addiction #Sexe

  • Cette #hospitalité_radicale que prône la philosophe #Marie-José_Mondzain

    Dans « Accueillir. Venu(e)s d’un ventre ou d’un pays », Marie-José Mondzain, 81 ans, se livre à un plaidoyer partageur. Elle oppose à la #haine d’autrui, dont nous éprouvons les ravages, l’#amour_sensible et politique de l’Autre, qu’il faudrait savoir adopter.

    En ces temps de crispations identitaires et même de haines communautaires, Marie-José Mondzain nous en conjure : choisissons, contre l’#hostilité, l’hospitalité. Une #hospitalité_créatrice, qui permette de se libérer à la fois de la loi du sang et du #patriarcat.

    Pour ce faire, il faut passer de la filiation biologique à la « #philiation » − du grec philia, « #amitié ». Mais une #amitié_politique et proactive : #abriter, #nourrir, #loger, #soigner l’Autre qui nous arrive ; ce si proche venu de si loin.

    L’hospitalité fut un objet d’étude et de réflexion de Jacques Derrida (1930-2004). Née douze ans après lui, à Alger comme lui, Marie-José Mondzain poursuit la réflexion en rompant avec « toute légitimité fondée sur la réalité ou le fantasme des origines ». Et en prônant l’#adoption comme voie de réception, de prise en charge, de #bienvenue.

    Son essai Accueillir. Venu(e)s d’un ventre ou d’un pays se voudrait programmatique en invitant à « repenser les #liens qui se constituent politiquement et poétiquement dans la #rencontre de tout sujet qu’il nous incombe d’adopter ».

    D’Abraham au film de Tarkovski Andreï Roublev, d’Ulysse à A. I. Intelligence artificielle de Spielberg en passant par Antigone, Shakespeare ou Melville, se déploie un plaidoyer radical et généreux, « phraternel », pour faire advenir l’humanité « en libérant les hommes et les femmes des chaînes qui les ont assignés à des #rapports_de_force et d’#inégalité ».

    En cette fin novembre 2023, alors que s’ajoute, à la phobie des migrants qui laboure le monde industriel, la guerre menée par Israël contre le Hamas, nous avons d’emblée voulu interroger Marie-José Mondzain sur cette violence-là.

    Signataire de la tribune « Vous n’aurez pas le silence des juifs de France » condamnant le pilonnage de Gaza, la philosophe est l’autrice d’un livre pionnier, adapté de sa thèse d’État qui forait dans la doctrine des Pères de l’Église concernant la représentation figurée : Image, icône, économie. Les sources byzantines de l’imaginaire contemporain (Seuil, 1996).

    Mediapart : Comment voyez-vous les images qui nous travaillent depuis le 7 octobre ?

    Marie-José Mondzain : Il y a eu d’emblée un régime d’images relevant de l’événement dans sa violence : le massacre commis par le Hamas tel qu’il fut en partie montré par Israël. À cela s’est ensuite substitué le tableau des visages et des noms des otages, devenu toile de fond iconique.

    Du côté de Gaza apparaît un champ de ruines, des maisons effondrées, des rues impraticables. Le tout depuis un aplomb qui n’est plus un regard humain mais d’oiseau ou d’aviateur, du fait de l’usage des drones. La mort est alors sans visages et sans noms.

    Face au phénomène d’identification du côté israélien s’est donc développée une rhétorique de l’invisibilité palestinienne, avec ces guerriers du Hamas se terrant dans des souterrains et que traque l’armée israélienne sans jamais donner à voir la moindre réalité humaine de cet ennemi.

    Entre le visible et l’invisible ainsi organisés, cette question de l’image apparaît donc extrêmement dissymétrique. Dissymétrie accentuée par la mise en scène des chaînes d’information en continu, qui séparent sur les écrans, avec des bandes lumineuses et colorées, les vues de Gaza en ruine et l’iconostase des otages.

    C’est avec de telles illustrations dans leur dos que les prétendus experts rassemblés en studio s’interrogent : « Comment retrouver la paix ? » Comme si la paix était suspendue à ces images et à la seule question des otages. Or, le contraire de la guerre, ce n’est pas la paix − et encore moins la trêve −, mais la justice.

    Nous assistons plutôt au triomphe de la loi du talion, dont les images deviennent un levier. Au point que visionner les vidéos des massacres horrifiques du Hamas dégénère en obligation…

    Les images deviennent en effet une mise à l’épreuve et une punition. On laisse alors supposer qu’elles font suffisamment souffrir pour que l’on fasse souffrir ceux qui ne prennent pas la souffrance suffisamment au sérieux.

    Si nous continuons à être uniquement dans une réponse émotionnelle à la souffrance, nous n’irons pas au-delà d’une gestion de la trêve. Or la question, qui est celle de la justice, s’avère résolument politique.

    Mais jamais les choses ne sont posées politiquement. On va les poser en termes d’identité, de communauté, de religion − le climat très trouble que nous vivons, avec une indéniable remontée de l’antisémitisme, pousse en ce sens.

    Les chaînes d’information en continu ne nous montrent jamais une carte de la Cisjordanie, devenue trouée de toutes parts telle une tranche d’emmental, au point d’exclure encore et toujours la présence palestinienne. Les drones ne servent jamais à filmer les colonies israéliennes dans les Territoires occupés. Ce serait pourtant une image explicite et politique…

    Vous mettez en garde contre toute « réponse émotionnelle » à propos des images, mais vous en appelez dans votre livre aux affects, dans la mesure où, écrivez-vous, « accueillir, c’est métamorphoser son regard »…

    J’avais écrit, après le 11 septembre 2001, L’#image peut-elle tuer ?, ou comment l’#instrumentalisation du #régime_émotionnel fait appel à des énergies pulsionnelles, qui mettent le sujet en situation de terreur, de crainte, ou de pitié. Il s’agit d’un usage balistique des images, qui deviennent alors des armes parmi d’autres.

    Un tel bombardement d’images qui sème l’effroi, qui nous réduit au silence ou au cri, prive de « logos » : de parole, de pensée, d’adresse aux autres. On s’en remet à la spontanéité d’une émotivité immédiate qui supprime le temps et les moyens de l’analyse, de la mise en rapport, de la mise en relation.

    Or, comme le pensait Édouard Glissant, il n’y a qu’une poétique de la relation qui peut mener à une politique de la relation, donc à une construction mentale et affective de l’accueil.

    Vous prônez un « #tout-accueil » qui semble faire écho au « Tout-monde » de Glissant…

    Oui, le lien est évident, jusqu’en ce #modèle_archipélique pensé par Glissant, c’est-à-dire le rapport entre l’insularité et la circulation en des espaces qui sont à la fois autonomes et séparables, qui forment une unité dans le respect des écarts.

    Ces écarts assument la #conflictualité et organisent le champ des rapports, des mises en relation, naviguant ainsi entre deux écueils : l’#exclusion et la #fusion.

    Comment ressentir comme un apport la vague migratoire, présentée, voire appréhendée tel un trop-plein ?

    Ce qui anime mon livre, c’est de reconnaître que celui qui arrive dans sa nudité, sa fragilité, sa misère et sa demande est l’occasion d’un accroissement de nos #ressources. Oui, le pauvre peut être porteur de quelque chose qui nous manque. Il nous faut dire merci à ceux qui arrivent. Ils deviennent une #richesse qui mérite #abri et #protection, sous le signe d’une #gratitude_partagée.

    Ils arrivent par milliers. Ils vont arriver par millions − je ne serai alors plus là, vu mon âge −, compte tenu des conditions économiques et climatiques à venir. Il nous faut donc nous y préparer culturellement, puisque l’hospitalité est pour moi un autre nom de la #culture.

    Il nous faut préméditer un monde à partager, à construire ensemble ; sur des bases qui ne soient pas la reproduction ou le prolongement de l’état de fait actuel, que déserte la prospérité et où semble s’universaliser la guerre. Cette préparation relève pour moi, plus que jamais, d’une #poétique_des_relations.

    Je travaille avec et auprès d’artistes − plasticiens, poètes, cinéastes, musiciens −, qui s’emparent de toutes les matières traditionnelles ou nouvelles pour créer la scène des rapports possibles. Il faut rompre avec ce qui n’a servi qu’à uniformiser le monde, en faisant appel à toutes les turbulences et à toutes les insoumissions, en inventant et en créant.

    En établissant des #zones_à_créer (#ZAC) ?

    Oui, des zones où seraient rappelées la force des faibles, la richesse des pauvres et toutes les ressources de l’indigence qu’il y a dans des formes de précarité.

    La ZAD (zone à défendre) ne m’intéresse effectivement que dans la mesure où elle se donne pour but d’occuper autrement les lieux, c’est-à-dire en y créant la scène d’une redistribution des places et d’un partage des pouvoirs face aux tyrannies économiques.

    Pas uniquement économiques...

    Il faut bien sûr compter avec ce qui vient les soutenir, anthropologiquement, puisque ces tyrannies s’équipent de tout un appareil symbolique et d’affects touchant à l’imaginaire.

    Aujourd’hui, ce qui me frappe, c’est la place de la haine dans les formes de #despotisme à l’œuvre. Après – ou avant – Trump, nous venons d’avoir droit, en Argentine, à Javier Milei, l’homme qui se pose en meurtrier prenant le pouvoir avec une tronçonneuse.

    Vous y opposez une forme d’amitié, de #fraternité, la « #filia », que vous écrivez « #philia ».

    Le [ph] désigne des #liens_choisis et construits, qui engagent politiquement tous nos affects, la totalité de notre expérience sensible, pour faire échec aux formes d’exclusion inspirées par la #phobie.

    Est-ce une façon d’échapper au piège de l’origine ?

    Oui, ainsi que de la #naturalisation : le #capitalisme se considère comme un système naturel, de même que la rivalité, le désir de #propriété ou de #richesse sont envisagés comme des #lois_de_la_nature.

    D’où l’appellation de « #jungle_de_Calais », qui fait référence à un état de nature et d’ensauvagement, alors que le film de Nicolas Klotz et Élisabeth Perceval, L’Héroïque lande. La frontière brûle (2018), montre magnifiquement que ce refuge n’était pas une #jungle mais une cité et une sociabilité créées par des gens venus de contrées, de langues et de religions différentes.

    Vous est-il arrivé personnellement d’accueillir, donc d’adopter ?

    J’ai en en effet tissé avec des gens indépendants de mes liens familiaux des relations d’adoption. Des gens dont je me sentais responsable et dont la fragilité que j’accueillais m’apportait bien plus que ce que je pouvais, par mes ressources, leur offrir.

    Il arrive, du reste, à mes enfants de m’en faire le reproche, tant les font parfois douter de leur situation les relations que je constitue et qui tiennent une place si considérable dans ma vie. Sans ces relations d’adoption, aux liens si constituants, je ne me serais pas sentie aussi vivante que je le suis.

    D’où mon refus du seul #héritage_biologique. Ce qui se transmet se construit. C’est toujours dans un geste de fiction turbulente et joyeuse que l’on produit les liens que l’on veut faire advenir, la #vie_commune que l’on désire partager, la cohérence politique d’une #égalité entre parties inégales – voire conflictuelles.

    La lecture de #Castoriadis a pu alimenter ma défense de la #radicalité. Et m’a fait reconnaître que la question du #désordre et du #chaos, il faut l’assumer et en tirer l’énergie qui saura donner une forme. Le compositeur Pascal Dusapin, interrogé sur la création, a eu cette réponse admirable : « C’est donner des bords au chaos. »

    Toutefois, ces bords ne sont pas des blocs mais des frontières toujours poreuses et fluantes, dans une mobilité et un déplacement ininterrompus.

    Accueillir, est-ce « donner des bords » à l’exil ?

    C’est donner son #territoire au corps qui arrive, un territoire où se créent non pas des murs aux allures de fin de non-recevoir, mais des cloisons – entre l’intime et le public, entre toi et moi : ni exclusion ni fusion…

    Mon livre est un plaidoyer en faveur de ce qui circule et contre ce qui est pétrifié. C’est le #mouvement qui aura raison du monde. Et si nous voulons que ce mouvement ne soit pas une déclaration de guerre généralisée, il nous faut créer une #culture_de_l’hospitalité, c’est-à-dire apprendre à recevoir les nouvelles conditions du #partage.

    https://www.mediapart.fr/journal/culture-et-idees/271123/cette-hospitalite-radicale-que-prone-la-philosophe-marie-jose-mondzain
    #hospitalité #amour_politique

    via @karine4

    • Accueillir - venu(e)s d’un ventre ou d’un pays

      Naître ne suffit pas, encore faut-il être adopté. La filiation biologique, et donc l’arrivée d’un nouveau-né dans une famille, n’est pas le modèle de tout accueil mais un de ses cas particuliers. Il ne faut pas penser la filiation dans son lien plus ou moins fort avec le modèle normatif de la transmission biologique, mais du point de vue d’une attention à ce qui la fonde : l’hospitalité. Elle est un art, celui de l’exercice de la philia, de l’affect et du lien qui dans la rencontre et l’accueil de tout autre exige de substituer au terme de filiation celui de philiation. Il nous faut rompre avec toute légitimité fondée sur la réalité ou le fantasme des origines. Cette rupture est impérative dans un temps de migrations planétaires, de déplacements subjectifs et de mutations identitaires. Ce qu’on appelait jadis « les lois de l’hospitalité » sont bafouées par tous les replis haineux et phobiques qui nous privent des joies et des richesses procurées par l’accueil. Faute d’adopter et d’être adopté, une masse d’orphelins ne peut plus devenir un peuple. La défense des philiations opère un geste théorique qui permet de repenser les liens qui se constituent politiquement et poétiquement dans la rencontre de tout sujet qu’il nous incombe d’adopter, qu’il provienne d’un ventre ou d’un pays. Le nouveau venu comme le premier venu ne serait-il pas celle ou celui qui me manquait ? D’où qu’il vienne ou provienne, sa nouveauté nous offre la possibilité de faire œuvre.

      https://www.quaidesmots.fr/accueillir-venu-e-s-d-un-ventre-ou-d-un-pays.html
      #livre #filiation_biologique #accueil

  • La Pédagogie noire
    Je découvre ce concept de #Pédagogie_noire dans le livre de Catherine Dufour sur #Ada_Lovelace, dont l’éducation a été dictée par les préceptes de Moritz Schreber

    https://regardconscient.net/archi14/1401pedagogienoire2.html

    Quelles empreintes un enfant élevé selon les principes de la Pédagogie noire conservera-t-il inévitablement du long calvaire de son enfance ? La répression quasi systématique de son élan vital peut-elle avoir d’autres conséquences qu’une altération durable de son équilibre intérieur et de ses facultés naturelles à établir des relations harmonieuses avec ses semblables ? Les promoteurs de cette idéologie prétendent que les privations imposées par la nature puis par l’éducation sont « le premier pas vers le sens moral, le fondement de nos sentiments et par conséquent de notre sociabilité[21] » ou encore que, par la discipline éducative, « les plus hautes aspirations de l’intelligence et du cœur peuvent de même être éveillées et satisfaites[22]. » Cependant, ils ne cachent pas leur volonté de briser la vitalité de l’enfant par les moyens les plus violents afin d’être « maître de l’enfant pour toujours » – comme l’écrivait le Dr Schreber. Une séquelle durable d’un tel traitement sera de priver le jeune adulte de sa capacité à exercer naturellement sa sensibilité. N’ayant pas été respecté dans son intégrité physique et psychique, il prendra difficilement en compte celle des autres, notamment des personnes faibles ou dépendantes. Plus grave encore : l’histoire démontre qu’une éducation fondée sur le déni des besoins essentiels de l’enfant, loin de développer son sens moral, débouche au contraire sur les idéologies les plus inhumaines. Ce lien de causalité a été amplement confirmé par les travaux d’Alice Miller sur le succès du nazisme en Allemagne par exemple[23].

    #Alice_Miller #Katharina_Rutschky
    #enfance #éducation_violente #traumatisme #barbarie

    et tout les proverbes merdiques qui découle de l’éducation au capitalisme « c’est pour ton bien » "qui le veut le peut" « qui aime bien châtie bien »

    Appareil de Moritz Schreber pour empêcher les enfants d’ouvrir la bouche

    @mad_meg mêmes tortures que pour les femmes :/

  • Guerre Hamas-Israël : 500 personnalités de la culture appellent à une « marche silencieuse » dimanche à Paris
    https://www.liberation.fr/culture/guerre-hamas-israel-500-personnalites-de-la-culture-appellent-a-une-march

    Cette fois-ci, ce ne sont pas les présidents des deux chambres mais plus de 500 personnalités de la culture qui appellent à une marche. Un rassemblement qui se veut « silencieux, solidaire, humaniste et pacifique », dimanche 19 novembre à Paris. Elle « s’ouvrira avec une seule longue banderole blanche. Pas de revendication politique, ni de slogan. Drapeaux blancs, mouchoirs blancs sont les bienvenus », écrit dans un communiqué un collectif dénommé « Une autre voix », présidé par l’actrice Lubna Azabal. Tous souhaitent que « cesse immédiatement » la « guerre fratricide » entre Palestiniens et Israéliens.

    Le parcours du cortège se veut très symbolique : il doit partir de l’Institut du monde arabe, rejoindre le Musée d’art et d’Histoire du judaïsme pour gagner finalement la place des Arts et métiers. « Les mots « choix » et « clan » nous sont imposés », regrette le collectif. « À cette injonction de choisir un camp à détester, il est urgent de faire entendre une autre voix : celle de l’union, est-il encore écrit. La voix de l’union, c’est la voix multiple, polyphonique, vivante, c’est la preuve du lien si puissant qui existe en France entre les citoyens juifs, musulmans, chrétiens, athées et agnostiques ».

    • TRIBUNE
      MARCHE SILENCIEUSE 19 NOVEMBRE 2023
      Le 7 octobre 2023, le monde s’est réveillé éventré.
      Les viscères de son humanité entre les mains.
      Le 7 octobre 2023, les vies de 1450 civils Israéliens ont été broyées, exterminées, détruites, assassinées, un massacre perpétré par les milices terroristes du Hamas. [bilan revu à la baisse : 1200 morts d’après Israel https://seenthis.net/messages/1025914 pour ce qui est du nombre combattants ou civils palestiniens mort le 7 ou de ses suites en Israël, la vantardise fait parfois dire 3000, d’autre fois 1000..., ndc]
      Le 7 octobre 2023, 240 civils israéliens ont été kidnappés et demeurent introuvables [4 ont été relâchées, une trentaine seraient morts sous les bombes israéliennes, selon le Hamas, ndc]. Depuis le 7 octobre 2023, il y a eu le 8, le 9, le 10... jusqu’à ce jour et jusqu’à quand ? Depuis le 7 octobre 2023, le sang ne cesse de couler, depuis, des milliers de civils palestiniens meurent à leur tour, ils meurent toutes les heures, tous les jours sous les bombardements de l’armée israélienne. Et le nombre des morts s’ajoute aux nombres des malheurs, il se multiplie à chaque heure.
      A ce nombre hors du nombre, il faut multiplier la peine de chaque individu par dix, par vingt, car pour une seule de ces vies perdues, ce sont dix, vingt vies effondrées, dévastées, de frères, de sœurs, mères, amis, amours, enfants, bambins, pères, repères. Somme incalculable de chagrins.
      Depuis le 7 octobre 2023, l’horreur et la souffrance déchirent palestiniens et israéliens selon une mathématique monstrueuse qui dure déjà depuis longtemps.
      Cette guerre fratricide, nous touche toutes et tous, et peu importe nos raisons ou affinités de part et d’autre du mur, nous souhaitons qu’elle cesse et que les deux peuples puissent enfin vivre en paix.
      Deux peuples pris en otage de politiques que nous ne pouvons maîtriser, qui nous dépassent et dont nous sommes les témoins impuissants.
      Aujourd’hui le monde est dramatiquement divisé.
      Aujourd’hui nos rues sont divisées.
      Une vague immense de haine s’y installe peu-à-peu et tous les jours actes antisémites [des "actes", qui comportent des injures ou des posts sur les RS, bien mieux comptabilisés que le même type d’"actes" anti-arabes, ndc] et violences en tous genres surgissent dans nos vies.
      Les mots « choix » et « clan » nous sont imposés : « Choisis ton clan » ! Mais quand la mort frappe, on ne pleure ni ne se réjouit en fonction de son lieu de naissance. On se tait, on prie, on pleure avec ses proches, on a de la compassion, on est humain. À cette injonction de choisir un camp à détester, il est urgent de faire entendre une autre voix :
      Celle de l’union.
      La voix de l’union, c’est la voix multiple, polyphonique, vivante, c’est la preuve du lien si puissant qui existe en France entre les citoyens Juifs, Musulmans, Chrétiens, Athées et Agnostiques, c’est la voix jumelle à laquelle s’ajoutent celles de toutes les humanités, toutes les bontés, toutes les empathies et tous les ébranlements. Cette voix-là existe, car ces consciences-là, ces utopies-là, ces amitiés-là, ces amours-là existent.
      C’est la voix qui est à l’unisson de nos cœurs et plus que jamais il est urgent de la faire entendre. Ensemble.
      Urgent que cette voix-là se mette en marche et retisse maille à maille les tissus déchirés de nos rues.
      Cette voix forte et unie n’a pas besoin de parler [sic, ndc] parce que le silence, nos visages et nos corps côte-à-côte sont la plus belle réponse aux vociférations de tous les extrêmes. [mais berdol c’est quoi ces conneries ?]
      C’est pourquoi nous organisons une marche silencieuse, solidaire, humaniste et pacifique qui s’ouvrira avec une seule longue banderole blanche.
      Pas de revendication politique [pas de #cessez-le-feu !!!], ni de slogan. Drapeaux blancs, mouchoirs blancs sont les bienvenus...
      Rejoignez-nous le dimanche 19 novembre à 14h.
      Nous partirons de l’Institut du Monde Arabe vers le Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme pour aller vers la place des Arts et métiers.
      Collectif « Une Autre Voix, Ensemble »

      On en a pas finit avec ce constat du XXeme siècle : La culture est en charge de la sujétion subjective.

      #manif_silencieuse #adeptes_des_terrasses #culture #apolitisme

    • Critiquées pour leur silence face à la guerre Israël-Hamas, les personnalités de la culture ont choisi de manifester « en silence », « une autre façon de s’exprimer parce qu’ on n’y arrive pas », a résumé sur France 5 l’actrice Julie Gayet, membre du collectif.

      https://www.lemonde.fr/culture/article/2023/11/19/guerre-israel-hamas-la-marche-silencieuse-a-l-appel-du-monde-culturel-reunit

    • deux dimanches de suite, le premier "contre l’antisémitisme", l’autre pour "l’union entre nous", deux dimanches contre le cessez-le-feu.

      Lubna Azabal le 20 novembre 2023
      https://www.europe1.fr/societe/le-monde-de-la-culture-organise-une-marche-silencieuse-pour-lunion-et-la-pai

      « Pas de slogan politique, aucune revendication. Pas de banderole, pas de drapeaux, évidemment. Aucune association n’y est conviée et évidemment, aucun politique", détaille l’actrice Lubna Azabal, à l’initiative de cette marche. "Je veux que le seul et unique message qu’on entende, c’est celui de l’union entre nous. On ne demande pas la paix là-bas, on n’est pas légitimes pour demander quoi que ce soit à ce niveau-là. Par contre, le fait d’importer cette guerre qui est à 4.500 kilomètres ici, ça c’est insupportable et indécent. »

      Rima Abdul Malak (ministre de la culture) était là, déclarant
      « J’ai trouvé leur appel très bien écrit, assez lumineux... »
      https://www.bfmtv.com/politique/gouvernement/marche-pour-la-paix-j-ai-trouve-leur-appel-tres-bien-ecrit-assez-lumineux-aff

      #caniches_de_la_culture

  • Le scandale de la disparition de 7 milliards d’euros de l’association patronale de garantie des salaires embarrasse l’#Unédic
    https://www.lejdd.fr/societe/le-scandale-de-la-disparition-de-7-milliards-deuros-de-lassociation-patronale-

    Le scandale de la disparition de 7 milliards d’euros de l’association patronale de garantie des salaires embarrasse l’Unédic

    Des milliards évaporés sans que personne ne s’inquiète. Des salariés qui portent plainte après avoir découvert qu’une partie de l’argent du fonds de garantie patronal ne leur est pas parvenue. Les révélations de l’ex-directrice du régime de garantie des salaires ont conduit à l’ouverture d’une enquête. Mais tout est fait pour décrédibiliser Houria Aouimeur-Milano.
    Raphaël Stainville

    #paywall

    • C’était dans Le Monde il y a une semaine, mais, en effet, pratiquement pas repris dans le reste des médias…

      L’ex-directrice du régime de garantie des salaires n’obtient pas le statut de lanceuse d’alerte
      https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/11/07/l-ex-directrice-du-regime-de-garantie-des-salaires-n-obtient-pas-le-statut-d

      Le conseil de prud’hommes de Paris a rejeté, mardi 7 novembre, la demande d’Houria Aouimeur, qui affirmait avoir révélé au grand jour un détournement de fonds de plusieurs milliards d’euros, au détriment du dispositif permettant de payer les travailleurs employés dans des entreprises en difficulté.

      C’est un coup dur pour celle qui affirmait avoir révélé le scandale des entreprises en difficulté. Mardi 7 novembre, Houria Aouimeur, l’ancienne directrice nationale du régime de garantie des salaires AGS, a été déboutée de toutes ses demandes par le conseil de prud’hommes de Paris. Elle réclamait, en particulier, le statut de lanceuse d’alerte dans une affaire de détournement de fonds, mais les juges, saisis en référé, ont refusé de lui donner gain de cause.

    • L’affaire prend une nouvelle dimension, à l’automne 2022, lorsque l’Unédic – l’employeur des personnels du régime AGS, donc de Mme Aouimeur – s’intéresse aux « frais de mission, de réception et de déplacement » de la directrice nationale et de ses proches collaborateurs. Une première « évaluation » met en évidence des dépenses très élevées : notes de restaurants, courses en taxi… Une autre expertise – du cabinet PwC – parvient à des constats similaires tout en pointant du doigt des contrats et des marchés passés avec des prestataires dans des conditions irrégulières. Du fait de tous ces « manquements », l’Unédic – qui est le patron de Mme Aouimeur – décide de la licencier, en février, pour « faute lourde ».

      Mme Aouimeur réfute les accusations portées contre elle, tout en soutenant que la rupture de son contrat de travail est une mesure de représailles destinée à la faire taire, après avoir mis au grand jour des détournements de fonds colossaux. Elle a engagé plusieurs procédures, dont l’une vise à obtenir l’annulation de son licenciement et la réintégration à son poste, en invoquant le fait qu’elle a été une lanceuse d’alerte.

      Mais le conseil de prud’hommes de Paris, statuant en « départage » (c’est-à-dire à l’issue d’une audience présidée par un magistrat professionnel), considère que Mme Aouimeur « ne peut revendiquer [ce] statut ». Dans son ordonnance rendue mardi, que Le Monde a pu consulter, il fait notamment valoir qu’elle avait été recrutée « avec pour mission spécifique d’engager un audit » sur des « anomalies » détectées dans le régime AGS au cours des semaines précédant son embauche. Elle en « a rendu compte à la direction de l’Unédic, dans le cadre de l’exécution de son contrat de travail », ce qui a conduit cette dernière à déposer plainte. Autrement dit, Mme Aouimeur a rempli la tâche qui lui était dévolue – ni plus ni moins.
      « C’est une décision importante car elle protège les vrais lanceurs d’alerte de ceux et celles qui se prévalent de ce statut, de mauvaise foi, à des fins personnelles, pour masquer leurs propres turpitudes », réagit Me Frédéric Benoist, l’avocat de l’Unédic. De son côté, Me Stéphanie Lamy, l’avocate de Mme Aouimeur, exprime sa déception : « C’est un message décourageant envoyé aux lanceurs d’alerte. » Le dossier n’est pas clos pour autant. L’ex-responsable du régime AGS a l’intention de faire appel de l’ordonnance prononcée mardi. Par ailleurs, elle a saisi les prud’hommes pour contester, sur le fond, la rupture de son contrat de travail. L’audience aura lieu le 28 mars 2024.
      https://archive.ph/GM93D

    • Oui, tout le monde sait que le JDD est passé à l’extrême droite. Mais il reste peut-être quelques journalistes de qualité à qui on avait promis un papier …

  • «Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri»
    https://www.meltingpot.org/2023/11/trattenuti-una-radiografia-del-sistema-detentivo-per-stranieri

    Un sistema inumano e costoso, inefficace e ingovernabile, che negli anni ha ottenuto un solo risultato evidente: divenire lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 rappresentano quasi il 50% delle persone in ingresso in un Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) e quasi il 70% dei rimpatri. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18% degli arrivi via mare nel 2018-2023. Quasi il 70% dei rimpatri dai CPR è di soli cittadini tunisini. Sono questi i tratti caratteristici del sistema dei CPR raccolti nel report “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per (...)

  • Swâmi Petaramesh ⛱ est au Canada, le pays où il est plus facile de fumer des pétards que de téter une vapoteuse.

    Même la vape SAY COMPLIQUAY. Ma cigarette électronique est tombée de le fenêtre de l’hôtel. 4 étages de rebonds pour finir sur un toit inaccessible.
    Adieu petit ange parti trop tôt 😭😭😭

    Alors j’en ai racheté une mais je n’ai pas trouvé le même modèle (hélas), et celle que j’ai achetée est franchement DTL alors que la mienne était entre MTL et RDTL.
    Bon du coup mon e-liquide est bien trop fluide pour ça et ça fuit de partout 😭

    Et puis j’ai découvert que le réservoir de ma nouvelle clopette est de seulement 2 ml et c’est la misère, faut le remplir tout le temps 😫
    J’ai pensé que je m’étais fait avoir avant de découvrir qu’en British Columbia SAY LA LOI : 2ml maximum le réservoir. Les fourbes ! Pourquoi ?

    Alors donc il me faut un liquide plus visqueux (avec un ratio plus de VG et moins de PG) mais aussi un taux de nicotine 2x plus faible parce que le coil DTL de ma nouvelle clope envoie beaucoup plus de vapeur.

    Oui SAY COMPLIQUAY la cigarette électronique. Viscosité, dosage en nicotine, arôme du produit, type de résistance, réglage de la puissance, ouverture du débit d’air, on s’y perd.

    Donc je cherche une boutique de vape. À Vancouver autant tu as des boutiques de cannabis largement visibles tous les cent mètres, autant t’as 3 boutiques de vape qui se courent après.
    Avec des vitrines encore plus opaques et camouflées que des sex shop, SAY LA LOI.

    Je trouve la première, camouflée dehors, genre Apple store dedans. Ils vendent cent modèles de cigarettes électroniques mais AUCUN LIQUIDE ! Mais ⁉️

    Une heure après je trouve un épicier chinois dont une pancarte dit VAPE. Il a un seul modèle de liquide caché derrière son comptoir, il ne comprend rien de ce que je demande, adieu.

    20 minutes après je trouve la 3e. Le type a tous les goûts de fruits de l’univers, fraise, mangue, melon plus chocolat et noix de coco et malabar, mais tabac, non. Il dit que c’est introuvable. Putain 🤯

    Je rentre à l’hôtel, Google Maps, déter, je trouve une autre boutique qui a l’air importante, j’y vais.
    Le type me dit que la nicotine normale c’est old school et qu’il a surtout des sels de nicotine (beaucoup plus forts, la biodisponibilité est supérieure, le dosage différent)..

    Et en plus il a un zillion de tous les fruits du monde mais très très peu de tabac 😫 Misère 🤯
    Il finit par en trouver mais voilà les dosages sont différents et indiqués par bouteille et non au ml. Je suis trop fatigué pour faire des règles de trois 🤯

    Au final en cherchant longtemps il finit par dénicher un bouteille old-old-school qui correspond à peu près à ce que je cherche avec un étiquetage compréhensible mais putain quoi 🤯🤯🤯

    C’est qd même bizarre un pays où les rues empestent la beuh et où t’as un magasin de cannabis tous les 100m, mais où ceux de vape sont planqués comme des sex-shop et où la pancarte de l’hôtel te dit que tu t’exposes à une amende de 250$ si tu vapotes sur le BALCON de ta chambre.

  • Des policiers falsifient des documents pour expulser des ados #sans-papiers

    Le ministère de l’Intérieur affirme qu’Ibrahim a 22 ans. Il en a pourtant six de moins. Pour pouvoir expulser des étrangers, des policiers font grandir des mineurs non accompagnés d’un simple coup de crayon. Une pratique illégale.

    (#paywall)

    https://www.streetpress.com/sujet/1698051854-policiers-falsifient-documents-expulser-adolescents-sans-pap
    #falsification #âge #expulsion #France #asile #migrations #réfugiés #adolescents #jeunes #majeurs #mineurs #faux_en_écriture_publique

    ping @karine4 @isskein

    signalé par @colporteur ici:
    https://seenthis.net/messages/1022663

  • #Panneaux_solaires dans les champs : la fronde des paysans

    La multiplication des projets « agrivoltaïques » en #France suscite une inquiétude croissante. Des agriculteurs et militants refusent que l’on détourne les #terres_agricoles pour de l’#électricité.


    « Bientôt, on n’aura plus d’agriculteurs mais des gardiens de #parcs_photovoltaïques qui enlèveront les mauvaises herbes… » À Mouterre-sur-Blourde, dans les vallons calmes de « la petite Suisse » du sud de la Vienne, la mise en vente d’une ferme de 500 brebis a vite suscité l’appétit des entreprises photovoltaïques, qui démarchent industriels et agriculteurs pour installer des panneaux solaires.

    Alertée par un voisin éleveur, Isabelle Moquet, retraitée membre de la toute jeune association Les Prés survoltés a commencé à se renseigner sur ces projets dits « agrivoltaïques ». « Qu’on pose des panneaux sur un hangar, dans une ancienne carrière ou des parkings, très bien. Mais il n’y a aucune urgence à en mettre dans les champs », dit-elle. C’est pourtant bien vers les terres agricoles que se tournent la plupart des énergéticiens.

    La rentabilité des projets sur les toitures des particuliers leur apparaît trop faible, et ils jugent trop lourdes les contraintes réglementaires sur les zones artificialisées, souvent polluées ou à l’inverse riches d’une nouvelle biodiversité protégée. Contrairement aux anciennes carrières ou aux friches industrielles, le foncier agricole représente aussi un immense stock de surfaces planes et sans obstacles, une topographie propice au développement de projets sur des dizaines d’hectares, plus rentables.

    Alors, pour installer à moindre coût et au plus vite les 100 GW de puissance photovoltaïque d’ici 2050 promis par la programmation pluriannuelle de l’énergie, les terres arables sont l’eldorado des promoteurs et l’#agrivoltaïsme leur promesse. Au total, selon l’#Agence_de_la_transition_écologique (#Ademe), en 2022, près de 200 installations photovoltaïques sur terrains agricoles existaient déjà en France. Et près de 1 000 projets seraient en gestation, selon la Fédération française des producteurs agrivoltaïques, pour couvrir à terme jusqu’à 500 000 hectares.

    « Agri et voltaïsme, ce sont deux mots qui ne vont pas ensemble »

    Le 26 septembre dernier, plus de 200 organisations agricoles, associations écologistes locales, mais aussi des partis politiques et syndicats ont signé ensemble une tribune appelant à une opposition massive à tous les projets en cours de développement « sur des terres agricoles, naturelles ou forestières ». Les signataires dénoncent une pratique relevant « du marketing et visant à légitimer un opportunisme foncier et financier dans un contexte difficile pour le monde paysan ».

    Avec Attac et les Amis de la Terre, la Confédération paysanne est en première ligne de cette bataille contre l’#agrivoltaïsme. Pour Laurence Marandola, nouvelle porte-parole du syndicat paysan, « agri et voltaïsme, ce sont deux mots qui ne vont pas ensemble. Ce qu’on craint et qu’on observe déjà sur terrain, c’est une #concurrence entre les deux activités, la production d’énergie et l’#alimentation ». La revendication du syndicat : « Un moratoire sur le PV [photovoltaique] au sol tant que toutes les surfaces en toitures et déjà artificialisées qui peuvent l’être ne sont pas couvertes. Quand on en sera là, on rediscutera des besoins du PV au sol. »

    Refus et manifestations

    Cette prise de position intervient après une année riche en mobilisations, avec plusieurs temps d’échanges sur le sujet lors du rassemblement des Résistantes dans le Larzac ou des Rencontres paysannes de Bure et la mobilisation de près de 300 manifestants dans le Lot contre le projet de TotalÉnergies d’installer 19 hectares de panneaux photovoltaïques en plein Quercy.

    Plus à l’ouest, à Lacour, petit village du Tarn-et-Garonne de moins de 200 habitants, les panneaux solaires du groupe Valeco pourraient bientôt recouvrir 120 hectares de terres agricoles. La perspective alarme certains élus et habitants : en août dernier, une conseillère municipale et trois villageois ont saisi le tribunal administratif de Toulouse pour faire invalider la délibération ouvrant la porte aux développeurs photovoltaïques.

    L’agrivoltaïsme inquiète aussi au sein même du monde agricole traditionnel, circonspect devant l’afflux et l’appétit foncier des développeurs de l’énergie solaire. Certaines chambres d’agriculture ont élaboré des chartes pour encadrer les projets, avant même le vote de la loi d’accélération de la production d’énergies renouvelables en février dernier. Un travail qui a permis par exemple aux territoires d’élevage du Massif central de s’opposer à tout projet.

    Dans un document voté en 2019, la chambre d’agriculture de l’Aveyron affirmait que tout « projet s’implantant dans les espaces à vocation agricole sera refusé ». Dans ces terroirs où on arrive encore à installer des jeunes agriculteurs, les craintes se portent particulièrement sur la transmission, et la succession après des départs en retraite.

    Les grandes surfaces de prairies sont particulièrement dans le radar des promoteurs, alors le monde de l’élevage se méfie. « Ce que je ne veux pas, c’est que les brebis servent de prétexte pour mettre des panneaux », explique Mickael Tichit, président de la section ovine de la FDSEA de Lozère, la section départementale du syndicat agricole majoritaire (FNSEA).

    Il s’oppose à l’agrivoltaïsme pour, d’une part, le risque de spéculation sur la terre — « pour quelques projets qui vont donner de la valeur à des terres qui n’en ont pas, on va plomber toute la filière » — et pour d’autre part la mise en danger des agriculteurs qui louent des terres — « un propriétaire va forcément se poser la question de ce qui est plus intéressant entre louer à un jeune et avoir le revenu des panneaux ».

    Au sein de l’industrie elle-même, certaines voix alertent sur les dérives de l’agrivoltaïsme. « L’État s’est totalement désengagé de la politique énergétique. Il l’a laissée à la logique privée, qui cherche la croissance et la multiplication des projets. Sur dix ou vingt projets, tu en auras un seul qui se réalisera effectivement. Et, au passage, ça crée un désordre territorial énorme, avec un prix des terres dérégulé », explique Alice [*], cheffe de projet renouvelables depuis six ans au sein d’une entreprise de l’énergie.

    « Abandonnez cette parcelle »

    Pour convaincre les agriculteurs, les chambres d’agriculture et les services de l’État, les développeurs mettent en avant les bénéfices supposés que l’agrivoltaïsme aurait pour l’agriculture. Certes, les panneaux seront installés sur une parcelle agricole mais, juré, ce sera sans gêner la culture et même en lui apportant ombrage et protection contre la grêle, les pics de chaleur ou le gel, avancent-ils.

    « En réalité, on n’avait aucun contenu scientifique étayant cette thèse mais seulement quelques rapports produits par les développeurs eux-mêmes, sans données chiffrées précises sur le long terme », dit Guillaume Schmidt, ingénieur qui a travaillé dans un bureau d’études lyonnais entre 2020 et 2022. « Parfois, on disait tout simplement : “Abandonnez cette parcelle où l’on va poser des panneaux. Elle a de mauvais rendements de toute façon, rabattez-vous sur une autre.” »

    Guillaume Schmidt a fini par quitter son entreprise, écœuré par le rapport de force entre industriels et agriculteurs, trop défavorable au monde paysan selon lui. « On négocie avec des agriculteurs qui ont beaucoup de mal à vivre de leur activité, ils placent d’immenses espoirs financiers dans les projets agrivoltaïques. »

    Pour les industriels, le terrain de négociation est parfait. Impossible ou presque pour un paysan pris à la gorge par les dettes de renoncer à 3 500 euros par an et par hectare en louant ses terres à un développeur, là où un gros industriel ne verra pas le besoin d’installer des panneaux solaires sur le toit de ses usines ou ses parkings pour faire davantage de marges.

    Depuis leurs entreprises respectives, Guillaume et Alice ont également observé les jeux d’influence locaux, les tensions et les petits arrangements entre élus, chambres d’agriculture et préfectures autour de l’installation de panneaux photovoltaïques sur des terres agricoles. « Certaines chambres d’agriculture facturaient des études agronomiques pour le compte de développeurs photovoltaïques. Derrière, ce sont ces mêmes instances qui donnent un avis consultatif au préfet sur la pertinence d’installer des panneaux sur telle ou telle exploitation. Il y a un risque évident de conflit d’intérêts », explique Guillaume Schmidt.

    Leur utilité reste à prouver

    Dans le Massif central, Alice a constaté que face au refus des chambres d’agriculture et d’une partie du monde agricole, la stratégie des promoteurs est l’usure : « Ils parient sur une stratégie de long terme : il y aura un moment où les chambres opposées aux projets agrivoltaïques seront obligées de céder sous pression de l’État », qui a d’importants objectifs de production à atteindre.

    L’adhésion de la FNSEA à la coprésidence de France agrivoltaïsme, principal lobby du secteur, et le vote de la loi d’accélération de la production d’énergie renouvelable en février 2023 pourraient justement être le signal tant attendu. Mais encore faudrait-il que ces technologies fassent la preuve de leur utilité pour le monde agricole.

    https://reporterre.net/Panneaux-solaires-dans-les-champs-la-fronde-des-paysans
    #énergie #photovoltaïque #énergie_photovoltaïque #agriculture #terres #aménagement_du_territoire

  • Au #Sénégal, la farine de poisson creuse les ventres et nourrit la rancœur

    À #Kayar, sur la Grande Côte sénégalaise, l’installation d’une usine de #farine_de_poisson, destinée à alimenter les élevages et l’aquaculture en Europe, a bouleversé l’économie locale. Certains sont contraints d’acheter les rebuts de l’usine pour s’alimenter, raconte “Hakai Magazine”.
    “Ils ont volé notre #poisson”, affirme Maty Ndau d’une voix étranglée, seule au milieu d’un site de transformation du poisson, dans le port de pêche de Kayar, au Sénégal. Quatre ans plus tôt, plusieurs centaines de femmes travaillaient ici au séchage, au salage et à la vente de la sardinelle, un petit poisson argenté qui, en wolof, s’appelle yaboi ou “poisson du peuple”. Aujourd’hui, l’effervescence a laissé place au silence.

    (#paywall)

    https://www.courrierinternational.com/article/reportage-au-senegal-la-farine-de-poisson-creuse-les-ventres-

    #élevage #Europe #industrie_agro-alimentaire

    • Un article publié le 26.06.2020 et mis à jour le 23.05.2023 :

      Sénégal : les usines de farines de poisson menacent la sécurité alimentaire

      Au Sénégal, comme dans nombre de pays d’Afrique de l’Ouest, le poisson représente plus de 70 % des apports en protéines. Mais la pêche artisanale, pilier de la sécurité alimentaire, fait face à de nombreuses menaces, dont l’installation d’usines de farine et d’huile de poisson. De Saint-Louis à Kafountine, en passant par Dakar et Kayar… les acteurs du secteur organisent la riposte, avec notre partenaire l’Adepa.

      Boum de la consommation mondiale de poisson, accords de #pêche avec des pays tiers, pirogues plus nombreuses, pêche INN (illicite, non déclarée, non réglementée), manque de moyens de l’État… La pêche sénégalaise a beau bénéficier de l’une des mers les plus poissonneuses du monde, elle fait face aujourd’hui à une rapide #raréfaction de ses #ressources_halieutiques. De quoi mettre en péril les quelque 600 000 personnes qui en vivent : pêcheurs, transformatrices, mareyeurs, micro-mareyeuses, intermédiaires, transporteurs, etc.

      Pourtant, des solutions existent pour préserver les ressources : les aires marines protégées (AMP) et l’implication des acteurs de la pêche dans leur gestion, la création de zones protégées par les pêcheurs eux-mêmes ou encore la surveillance participative… Toutes ces mesures contribuent à la durabilité de la ressource. Et les résultats sont palpables : « En huit ans, nous sommes passés de 49 à 79 espèces de poissons, grâce à la création de l’aire marine protégée de Joal », précise Karim Sall, président de cette AMP.

      Mais ces initiatives seront-elles suffisantes face à la menace que représentent les usines de farine et d’huile de poisson ?

      Depuis une dizaine d’années, des usines chinoises, européennes, russes, fleurissent sur les côtes africaines. Leur raison d’être : transformer les ressources halieutiques en farines destinées à l’#aquaculture, pour répondre à une demande croissante des consommateurs du monde entier.

      Le poisson détourné au profit de l’#export

      Depuis 2014, la proportion de poisson d’élevage, dans nos assiettes, dépasse celle du poisson sauvage. Les farines produites en Afrique de l’Ouest partent d’abord vers la #Chine, premier producteur aquacole mondial, puis vers la #Norvège, l’#Union_européenne et la #Turquie.

      Les impacts négatifs de l’installation de ces #usines sur les côtes sénégalaises sont multiples. Elles pèsent d’abord et surtout sur la #sécurité_alimentaire du pays. Car si la fabrication de ces farines était censée valoriser les #déchets issus de la transformation des produits de la mer, les usines achètent en réalité du poisson directement aux pêcheurs.

      Par ailleurs, ce sont les petits pélagiques (principalement les #sardinelles) qui sont transformés en farine, alors qu’ils constituent l’essentiel de l’#alimentation des Sénégalais. Enfin, les taux de #rendement sont dévastateurs : il faut 3 à 5 kg de ces sardinelles déjà surexploitées [[Selon l’organisation des Nations unies pour l’agriculture et l’alimentation (FAO)]] pour produire 1 kg de farine ! Le poisson disparaît en nombre et, au lieu d’être réservé à la consommation humaine, il part en farine nourrir d’autres poissons… d’élevage !

      Une augmentation des #prix

      Au-delà de cette prédation ravageuse des sardinelles, chaque installation d’usine induit une cascade d’autres conséquences. En premier lieu pour les mareyeurs et mareyeuses mais aussi les #femmes transformatrices, qui achetaient le poisson directement aux pêcheurs, et se voient aujourd’hui concurrencées par des usines en capacité d’acheter à un meilleur prix. Comme l’explique Seynabou Sene, transformatrice depuis plus de trente ans et trésorière du GIE (groupement d’intérêt économique) de Kayar qui regroupe 350 femmes transformatrices : « Avant, nous n’avions pas assez de #claies de #séchage, tant la ressource était importante. Aujourd’hui, nos claies sont vides, même pendant la saison de pêche. Depuis 2010, quatre usines étrangères se sont implantées à Kayar, pour transformer, congeler et exporter le poisson hors d’Afrique, mais elles créent peu d’#emploi. Et nous sommes obligées de payer le poisson plus cher, car les usines d’#exportation l’achètent à un meilleur prix que nous. Si l’usine de farine de poisson ouvre, les prix vont exploser. »

      Cette industrie de transformation en farine et en huile ne pourvoit par ailleurs que peu d’emplois, comparée à la filière traditionnelle de revente et de transformation artisanale. Elle représente certes un débouché commercial lucratif à court terme pour les pêcheurs, mais favorise aussi une surexploitation de ressources déjà raréfiées. Autre dommage collatéral enfin, elle engendre une pollution de l’eau et de l’air, contraire au code de l’environnement.

      La riposte s’organise

      Face à l’absence de mesures gouvernementales en faveur des acteurs du secteur, l’#Adepa [[L’Adepa est une association ouest-africaine pour le développement de la #pêche_artisanale.]] tente, avec d’autres, d’organiser des actions de #mobilisation citoyenne et de #plaidoyer auprès des autorités. « Il nous a fallu procéder par étapes, partir de la base, recueillir des preuves », explique Moussa Mbengue, le secrétaire exécutif de l’Adepa.

      Études de terrain, ateliers participatifs, mise en place d’une coalition avec différents acteurs. Ces actions ont permis d’organiser, en juin 2019, une grande conférence nationale, présidée par l’ancienne ministre des Pêches, Aminata Mbengue : « Nous y avons informé l’État et les médias de problèmes majeurs, résume Moussa Mbengue. D’abord, le manque de moyens de la recherche qui empêche d’avoir une connaissance précise de l’état actuel des ressources. Ensuite, le peu de transparence dans la gestion d’activités censées impliquer les acteurs de la pêche, comme le processus d’implantation des usines. Enfin, l’absence de statistiques fiables sur les effectifs des femmes dans la pêche artisanale et leur contribution socioéconomique. »

      Parallèlement, l’association organise des réunions publiques dans les ports concernés par l’implantation d’usines de farines et d’huile de poisson. « À Saint-Louis, à Kayar, à Mbour… nos leaders expliquent à leurs pairs combien le manque de transparence dans la gestion de la pêche nuit à leur activité et à la souveraineté alimentaire du pays. »

      Mais Moussa Mbengue en a conscience : organiser un plaidoyer efficace, porté par le plus grand nombre, est un travail de longue haleine. Il n’en est pas à sa première action. L’Adepa a déjà remporté de nombreux combats, comme celui pour la reconnaissance de l’expertise des pêcheurs dans la gestion des ressources ou pour leur implication dans la gestion des aires marines protégées. « Nous voulons aussi que les professionnels du secteur, conclut son secrétaire exécutif, soient impliqués dans les processus d’implantation de ces usines. »

      On en compte aujourd’hui cinq en activité au Sénégal. Bientôt huit si les projets en cours aboutissent.

      https://ccfd-terresolidaire.org/senegal-les-usines-de-farines-de-poisson-menacent-la-securite-a

      #extractivisme #résistance

  • Cet éclairage autour du documentaire Derrière nos écrans de fumée jette un regard #critique sur la manière dont les #reseauxsociaux affectent notre vie quotidienne. Il exprime le ras-le-bol de voir de plus en plus d’ #adolescents obsédés par leur #smartphone et la #technologie, à tel point qu’ils ne prêtent plus attention à leur #environnement. Ils sont constamment connectés, discutant en ligne de leurs « likes » ou de dilemmes vestimentaires plutôt que de s’engager dans le monde réel.
    http://exportation.medianewsonline.com/ecrans-de-fumee.html

  • Adrian Daub, La Pensée selon la tech. Le paysage intellectuel de la Silicon Valley | Cairn.info
    https://www.cairn.info/revue-questions-de-communication-2023-1-page-441.htm

    La Pensée selon la tech est un livre passionnant pour qui s’intéresse aux influences intellectuelles et philosophiques des gourous de la tech américaine et aux stratagèmes des entreprises du secteur de la Silicon Valley. Il montre par quels procédés communicationnels la Silicon Valley transforme à son avantage une réalité souvent peu brillante. Elle n’invente pas nécessairement les idées mais les absorbe de manière très superficielle pour servir ses intérêts. Des lieux communs teintés d’académisme s’enracinent dans des traditions américaines anciennes et le tissu local. Leur banalité facilite leur recyclage, tandis que la passivité dispense de toute discussion. Entrepreneurs, bailleurs de fonds, leaders d’opinion, journalistes continuent à exporter les théories et le style de la Silicon Valley, grâce aux enseignements de la contre-culture des années 1960.


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    Observateur clairvoyant, A. Daub livre un témoignage vivant issu de son vécu professoral dans le campus de Stanford. Des anecdotes servent d’accroches à des propos plus généraux tout en les illustrant. Le lecteur est fréquemment pris à partie. L’essai tire sa dynamique de ces effets de style et de sa liberté de ton. Il est loin d’être neutre : l’auteur livre un regard sans concession sur des pratiques qui ont droit de cité mais qui sont tout sauf égalitaires. On devine une certaine indignation sous la dénonciation de la casse sociale qui touche les femmes et tout un pan invisibilisé de travailleurs démunis. C’est pourquoi A. Daub montre la voie vers une pensée critique sur cette partie du monde que beaucoup de pays envient et cherchent à copier sans prendre garde à ses spécificités et ses côtés sombres. Son livre sonne comme un avertissement à ne pas reproduire le modèle tel quel. Il pousse à faire évoluer la représentation que l’on s’en fait et la vision des professionnels du secteur.

    #Adrian_Daub #Pensée_tech #Silicon_Valley