• Ecco quello che hanno fatto davvero gli italiani “brava gente”

    In un libro denso di testimonianze e documenti, #Eric_Gobetti con “I carnefici del duce” ripercorre attraverso alcune biografie i crimini dei militari fascisti in Libia, Etiopia e nei Balcani, smascherando una narrazione pubblica che ha distorto i fatti in una mistificazione imperdonabile e vigliacca. E denuncia l’incapacità nazionale di assumersi le proprie responsabilità storiche, perpetuata con il rosario delle “giornate della memoria”. Ci fu però chi disse No.

    “I carnefici del duce” è un testo che attraverso alcune emblematiche biografie è capace di restituire in modo molto preciso e puntigliosamente documentato le caratteristiche di un’epoca e di un sistema di potere. Di esso si indagano le pratiche e le conseguenze nella penisola balcanica ma si dimostra come esso affondi le radici criminali nei territori coloniali di Libia ed Etiopia, attingendo linfa da una temperie culturale precedente, dove gerarchia, autoritarismo, nazionalismo, militarismo, razzismo, patriarcalismo informavano di sé lo Stato liberale e il primo anteguerra mondiale.

    Alla luce di tali paradigmi culturali che il Ventennio ha acuito con il culto e la pratica endemica dell’arbitrio e della violenza, le pagine che raccontano le presunte prodezze italiche demoliscono definitivamente l’immagine stereotipa degli “italiani brava gente”, una mistificazione imperdonabile e vigliacca che legittima la falsa coscienza del nostro Paese e delle sue classi dirigenti, tutte.

    Anche questo lavoro di Gobetti smaschera la scorciatoia autoassolutoria dell’Italia vittima dei propri feroci alleati, denuncia l’incapacità nazionale di assumere le proprie responsabilità storiche nella narrazione pubblica della memoria – anche attraverso il rosario delle “giornate della memoria” – e nell’ufficialità delle relazioni con i popoli violentati e avidamente occupati dall’Italia. Sì, perché l’imperialismo fascista, suggeriscono queste pagine, in modo diretto o indiretto, ha coinvolto tutta la popolazione del Paese, eccetto coloro che, nei modi più diversi, si sono consapevolmente opposti.

    Non si tratta di colpevolizzare le generazioni (soprattutto maschili) che ci hanno preceduto, afferma l’autore,­ ma di produrre verità: innanzitutto attraverso l’analisi storiografica, un’operazione ancora contestata, subissata da polemiche e a volte pure da minacce o punita con la preclusione da meritate carriere accademiche; poi assumendola come storia propria, riconoscendo responsabilità e chiedendo perdono, anche attraverso il ripudio netto di quel sistema di potere e dei suoi presunti valori. Diventando una democrazia matura.

    Invece, non solo persistono ambiguità, omissioni, false narrazioni ma l’ombra lunga di quella storia, attraverso tante biografie, si è proiettata nel secondo dopoguerra, decretandone non solo la radicale impunità ma l’affermarsi di carriere, attività e formazioni che hanno insanguinato le strade della penisola negli anni Settanta, minacciato e condizionato l’evolversi della nostra democrazia.

    Di un sistema di potere così organicamente strutturato – come quello che ha retto e alimentato l’imperialismo fascista – pervasivo nelle sue articolazioni sociali e culturali, il testo di Gobetti ­accanto alle voci dei criminali e a quelle delle loro vittime, fa emergere anche quelle di coloro che hanno detto no, scegliendo di opporsi e dimostra che, nonostante tutto, era comunque possibile fare una scelta, nelle forme e nelle modalità più diverse: dalla volontà di non congedarsi dal senso della pietà, al tentativo di rendere meno disumano il sopravvivere in un campo di concentramento; dalla denuncia degli abusi dei propri pari, alla scelta della Resistenza con gli internati di cui si era carcerieri, all’opzione netta per la lotta di Liberazione a fianco degli oppressi dal regime fascista, a qualunque latitudine si trovassero.

    È dunque possibile scegliere e fare la propria parte anche oggi, perché la comunità a cui apparteniamo si liberi dagli “elefanti nella stanza” – così li chiama Gobetti nell’introduzione al suo lavoro –­ cioè dai traumi irrisolti con cui ci si rifiuta di fare i conti, che impediscono di imparare dai propri sbagli e di diventare un popolo maturo, in grado di presentarsi con dignità di fronte alle altre nazioni, liberando dalla vergogna le generazioni che verranno e facendo in modo che esse non debbano più sperimentare le nefandezze e i crimini del fascismo, magari in abiti nuovi. È questo autentico amor di patria.

    “I carnefici del duce” – 192 pagine intense e scorrevolissime, nonostante il rigore della narrazione,­ è diviso in 6 capitoli, con un’introduzione che ben motiva questa nuova ricerca dell’autore, e un appassionato epilogo, che ne esprime l’alto significato civile.

    Le tappe che vengono scandite scoprono le radici storiche dell’ideologia e delle atrocità perpetrate nelle pratiche coloniali fasciste e pre-fasciste; illustrano la geopolitica italiana del Ventennio nei Balcani, l’occupazione fascista degli stessi fino a prospettarne le onde lunghe nelle guerre civili jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso; descrivono la teoria e la pratica della repressione totale attuata durante l’occupazione, circostanziandone norme e regime d’impunità; evidenziano la stretta relazione tra la filosofia del regime e la mentalità delle alte gerarchie militari.


    Raccontano le forme e le ragioni dell’indebita appropriazione delle risorse locali e le terribili conseguenze che ne derivarono per le popolazioni, fino a indagare l’inferno, il fenomeno delle decine e decine di campi d’internamento italiani, di cui è emblematico quello di Arbe. Ciascun capitolo è arricchito da una testimonianza documentaria, significativa di quanto appena esposto. Impreziosiscono il testo, oltre ad un’infinità di note che giustificano quasi ogni passaggio – a riprova che nel lavoro storiografico rigore scientifico e passione civile possono e anzi debbono convivere – una bibliografia e una filmografia ragionata che offrono strumenti per l’approfondimento delle questioni trattate.

    https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/ecco-quello-che-hanno-fatto-davvero-gli-italiani-brava-gente
    #Italiani_brava_gente #livre #Italie #colonialisme #fascisme #colonisation #Libye #Ethiopie #Balkans #contre-récit #mystification #responsabilité_historique #Italie_coloniale #colonialisme_italien #histoire #soldats #armée #nationalisme #racisme #autoritarisme #patriarcat #responsabilité_historique #mémoire #impérialisme #impérialisme_fasciste #vérité #résistance #choix #atrocités #idéologie #occupation #répression #impunité #camps_d'internement #Arbe

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    • I carnefici del Duce

      Non tutti gli italiani sono stati ‘brava gente’. Anzi a migliaia – in Libia, in Etiopia, in Grecia, in Jugoslavia – furono artefici di atrocità e crimini di guerra orribili. Chi furono ‘i volenterosi carnefici di Mussolini’? Da dove venivano? E quali erano le loro motivazioni?
      In Italia i crimini di guerra commessi all’estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent’anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell’inferno. L’hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, ‘buoni italiani’, che scelsero l’orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858151396
      #patrie #patriotisme #Grèce #Yougoslavie #crimes_de_guerre #camps_de_concentration #armes_chimiques #violence #brutalité

  • Tic tac. 62 décharges marines d’armes, parfois chimiques, sont laissées à l’abandon le long des côtes de la Manche et atlantiques. Comme ces obus, fréquemment observés par les plongeurs à l’île de Groix. Mais face au risque, l’État oppose le « secret défense ». Une enquête d’Actu.fr sur les décharges d’armes chimiques au large des côtes françaises : une « bombe à retardement ».
    https://splann.org/glane-pour-vous-dans-la-presse-en-juin-2022
    Enquête. Des décharges d’armes chimiques au large des côtes françaises : une "bombe à retardement" | Enquêtes d’actu
    https://actu.fr/societe/des-decharges-d-armes-chimiques-au-large-des-cotes-francaises-une-bombe-a-retar

    Des décharges marines d’armes parfois chimiques polluent les océans depuis un siècle. Le risque de destruction de toute vie est réel. L’État oppose le « secret-défense ».


    #splann #tic_tac

  • Rapid Response : Decolonizing Italian Cities

    Anti-racism is a battle for memory. Enzo Traverso well underlined how statues brought down in the last year show “the contrast between the status of blacks and postcolonial subjects as stigmatised and brutalised minorities and the symbolic place given in the public space to their oppressors”.

    Material traces of colonialism are in almost every city in Italy, but finally streets, squares, monuments are giving us the chance to start a public debate on a silenced colonial history.

    Igiaba Scego, Italian writer and journalist of Somali origins, is well aware of the racist and sexist violence of Italian colonialism and she points out the lack of knowledge on colonial history.

    “No one tells Italian girls and boys about the squad massacres in Addis Ababa, the concentration camps in Somalia, the gases used by Mussolini against defenseless populations. There is no mention of Italian apartheid (…), segregation was applied in the cities under Italian control. In Asmara the inhabitants of the village of Beit Mekae, who occupied the highest hill of the city, were chased away to create the fenced field, or the first nucleus of the colonial city, an area off-limits to Eritreans. An area only for whites. How many know about Italian apartheid?” (Scego 2014, p. 105).

    In her book, Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città (2014), she invites us to visually represent the historical connections between Europe and Africa, in creative ways; for instance, she worked with photographer Rino Bianchi to portray Afro-descendants in places marked by fascism such as Cinema Impero, Palazzo della Civiltà Italiana and Dogali’s stele in Rome.

    Inspired by her book, we decided to go further, giving life to ‘Decolonizing the city. Visual Dialogues in Padova’. Our goal was to question ourselves statues and street names in order to challenge the worldviews and social hierarchies that have made it possible to celebrate/forget the racist and sexist violence of colonialism. The colonial streets of Padova have been re-appropriated by the bodies, voices and gazes of six Italian Afro-descendants who took part in a participatory video, taking urban traces of colonialism out of insignificance and re-signifying them in a creative way.

    Wissal Houbabi, artist “daughter of the diaspora and the sea in between“, moves with the soundtrack by Amir Issa Non respiro (2020), leaving her poetry scattered between Via Cirenaica and Via Libia.

    “The past is here, insidious in our minds, and the future may have passed.

    The past is here, even if you forget it, even if you ignore it, even if you do everything to deny the squalor of what it was, the State that preserves the status of frontiers and jus sanguinis.

    If my people wanted to be free one day, even destiny would have to bend”.

    Cadigia Hassan shares the photos of her Italian-Somali family with a friend of hers and then goes to via Somalia, where she meets a resident living there who has never understood the reason behind the name of that street. That’s why Cadigia has returned to via Somalia: she wants to leave traces of herself, of her family history, of historical intertwining and to make visible the important connections that exist between the two countries.

    Ilaria Zorzan questions the colonial past through her Italo-Eritrean family photographic archive. The Italians in Eritrea made space, building roads, cableways, railways, buildings… And her grandfather worked as a driver and transporter, while her Eritrean grandmother, before marrying her grandfather, had been his maid. Ilaria conceals her face behind old photographs to reveal herself in Via Asmara through a mirror.

    Emmanuel M’bayo Mertens is an activist of the Arising Africans association. In the video we see him conducting a tour in the historic center of Padova, in Piazza Antenore, formerly Piazza 9 Maggio. Emmanuel cites the resolution by which the municipality of Padova dedicated the square to the day of the “proclamation of the empire” by Mussolini (1936). According to Emmanuel, fascism has never completely disappeared, as the Italian citizenship law mainly based on jus sanguinis shows in the racist idea of ​​Italianness transmitted ‘by blood’. Instead, Italy is built upon migration processes, as the story of Antenor, Padova’s legendary founder and refugee, clearly shows.

    Mackda Ghebremariam Tesfau’ questions the colonial map in Piazza delle Erbe where Libya, Albania, Ethiopia and Eritrea are marked as part of a white empire. She says that if people ignore this map it is because Italy’s colonial history is ignored. Moreover, today these same countries, marked in white on the map, are part of the Sub-saharan and Mediterranean migrant routes. Referring then to the bilateral agreements between Italy and Libya to prevent “irregular migrants” from reaching Europe, she argues that neocolonialism is alive. Quoting Aimé Césaire, she declares that “Europe is indefensible”.

    The video ends with Viviana Zorzato, a painter of Eritrean origin. Her house, full of paintings inspired by Ethiopian iconography, overlooks Via Amba Aradam. Viviana tells us about the ‘Portrait of a N-word Woman’, which she has repainted numerous times over the years. Doing so meant taking care of herself, an Afro-descendant Italian woman. Reflecting on the colonial streets she crosses daily, she argues that it is important to know the history but also to remember the beauty. Amba Alagi or Amba Aradam cannot be reduced to colonial violence, they are also names of mountains, and Viviana possesses a free gaze that sees beauty. Like Giorgio Marincola, Viviana will continue to “feel her homeland as a culture” and she will have no flags to bow her head to.

    The way in which Italy lost the colonies – that is with the fall of fascism instead of going through a formal decolonization process – prevented Italy from being aware of the role it played during colonialism. Alessandra Ferrini, in her ‘Negotiating amnesia‘,refers to an ideological collective amnesia: the sentiment of an unjust defeat fostered a sense of self-victimisation for Italians, removing the responsibility from them as they portrayed themselves as “brava gente” (good people). This fact, as scholars such as Nicola Labanca have explained, has erased the colonial period from the collective memory and public sphere, leaving colonial and racist culture in school textbooks, as the historian Gianluca Gabrielli (2015) has shown.

    This difficulty in coming to terms with the colonial past was clearly visible in the way several white journalists and politicians reacted to antiracist and feminist movements’ request to remove the statue of journalist Indro Montanelli in Milan throughout the BLM wave. During the African campaign, Montanelli bought the young 12-year-old-girl “Destà” under colonial concubinage (the so‑called madamato), boasting about it even after being accused by feminist Elvira Banotti of being a rapist. The issue of Montanelli’s highlights Italy’s need to think critically over not only colonial but also race and gender violence which are embedded in it.

    Despite this repressed colonial past, in the last decade Italy has witnessed a renewed interest stemming from bottom-up local movements dealing with colonial legacy in the urban space. Two examples are worth mentioning: Resistenze in Cirenaica (Resistances in Cyrenaica) in Bologna and the project “W Menilicchi!” (Long live Menilicchi) in Palermo. These instances, along with other contributions were collected in the Roots§Routes 2020 spring issue, “Even statues die”.

    Resistenze in Cirenaica has been working in the Cyrenaica neighbourhood, named so in the past due to the high presence of colonial roads. In the aftermath of the second world war the city council decided unanimously to rename the roads carrying fascist and colonial street signs (except for via Libya, left as a memorial marker) with partisans’ names, honouring the city at the centre of the resistance movement during the fascist and Nazi occupation. Since 2015, the collective has made this place the centre of an ongoing laboratory including urban walks, readings and storytelling aiming to “deprovincialize resistances”, considering the battles in the ex-colonies as well as in Europe, against the nazi-fascist forces, as antiracist struggles. The publishing of Quaderni di Cirene (Cyrene’s notebooks) brought together local and overseas stories of people who resisted fascist and colonial occupation, with the fourth book addressing the lives of fighter and partisan women through a gender lens.

    In October 2018, thanks to the confluence of Wu Ming 2, writer and storyteller from Resistenze in Cirenaica, and the Sicilian Fare Ala collective, a public urban walk across several parts of the city was organized, with the name “Viva Menilicchi!”. The itinerary (19 kms long) reached several spots carrying names of Italian colonial figures and battles, explaining them through short readings and theatrical sketches, adding road signs including stories of those who have been marginalized and exploited. Significantly, W Menilicchi! refers to Palermitan socialists and communists’ battle cry supporting king Menelik II who defeated the Italian troops in Aduwa in 1896, thus establishing a transnational bond among people subjected to Italian invasion (as Jane Schneider explores in Italy’s ‘Southern Question’: Orientalism in One Country, South Italy underwent a socio-economic occupation driven by imperial/colonial logics by the north-based Kingdom of Italy) . Furthermore, the urban walk drew attention to the linkage of racist violence perpetrated by Italians during colonialism with the killings of African migrants in the streets of Palermo, denouncing the white superiority on which Italy thrived since its birth (which run parallel with the invasion of Africa).

    These experiences of “odonomastic guerrillas” (street-name activists) have found creative ways of decolonising Italian history inscribed in cities, being aware that a structural change requires not only time but also a wide bottom-up involvement of inhabitants willing to deal with the past. New alliances are developing as different groups network and coordinate in view of several upcoming dates, such as February 19th, which marks the anniversary of the massacre of Addis Ababa which occurred in 1937 at the hands of Italian viceroy Rodolfo Graziani.

    References:
    Gabrielli G. (2015), Il curriculo “razziale”: la costruzione dell’alterità di “razza” e coloniale nella scuola italiana (1860-1950), Macerata: Edizioni Università di Macerata.
    Labanca, N. (2002) Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna: Il Mulino.
    Scego, I. (2014) Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Roma: Ediesse.
    Schneider J (ed.) (1998) Italy’s ‘Southern Question’: Orientalism in One Country, London: Routledge.

    https://archive.discoversociety.org/2021/02/06/rapid-response-decolonizing-italian-cities

    #décolonisation #décolonial #colonialisme #traces_coloniales #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #statues #Padova #Padoue #afro-descendants #Cadigia_Hassan #via_Somalia #Ilaria_Zorzan #Emmanuel_M’bayo_Mertens #Mackda_Ghebremariam_Tesfau #Piazza_delle_erbe #Viviana_Zorzato #Via_Amba_Aradam #Giorgio_Marincola #Alessandra_Ferrini

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    • #Negotiating_Amnesia

      Negotiating Amnesia is an essay film based on research conducted at the Alinari Archive and the National Library in Florence. It focuses on the Ethiopian War of 1935-36 and the legacy of the fascist, imperial drive in Italy. Through interviews, archival images and the analysis of high-school textbooks employed in Italy since 1946, the film shifts through different historical and personal anecdotes, modes and technologies of representation.

      https://vimeo.com/429591146?embedded=true&source=vimeo_logo&owner=3319920



      https://www.alessandraferrini.info/negotiating-amnesia

      En un coup d’oeil, l’expansion coloniale italienne :

      #amnésie #film #fascisme #impérialisme #Mussolini #Benito_Mussolini #déni #héritage #mémoire #guerre #guerre_d'Ethiopie #violence #Istrie #photographie #askaris #askari #campagna_d'Africa #Tito_Pittana #Mariano_Pittana #mémoire #prostitution #madamato #madamisme #monuments #Romano_Romanelli #commémoration #mémoriel #Siracusa #Syracuse #nostalgie #célébration #Axum #obélisque #Nuovo_Impero_Romano #Affile #Rodolfo_Graziani #Pietro_Badoglio #Uomo_Nuovo #manuels_scolaires #un_posto_al_sole #colonialismo_straccione #italiani_brava_gente #armes_chimiques #armes_bactériologiques #idéologie

    • My Heritage ?

      My Heritage? (2020) is a site-specific intervention within the vestibule of the former Casa d’Italia in Marseille, inaugurated in 1935 and now housing the Italian Cultural Institute. The installation focuses on the historical and ideological context that the building incarnates: the intensification of Fascist imperial aspirations that culminated in the fascistization of the Italian diaspora and the establishment of the Empire in 1936, as a result of the occupation of Ethiopia. As the League of Nations failed to intervene in a war involving two of its members, the so-called Abyssinian Crisis gave rise to a series of conflicts that eventually led to the WW2: a ‘cascade effect’. On the other hand, the attack on the ‘black man’s last citadel’ (Ras Makonnen), together with the brutality of Italian warfare, caused widespread protests and support to the Ethiopian resistance, especially from Pan-African movements.

      Placed by the entrance of the exhibition Rue d’Alger, it includes a prominent and inescapable sound piece featuring collaged extracts from texts by members of the London-based Pan-African association International African Friends of Ethiopia - CLR James, Ras Makonnen, Amy Ashwood Garvey - intertwined with those of British suffragette Sylvia Pankhurst and Italian anarchist Silvio Corio, founders of the newspaper New Times and Ethiopian News in London.

      Through handwritten notes and the use of my own voice, the installation is a personal musing on heritage as historical responsibility, based on a self-reflective process. My voice is used to highlight such personal process, its arbitrary choice of sources (related to my position as Italian migrant in London), almost appropriated here as an act of thinking aloud and thinking with these militant voices. Heritage is therefore intended as a choice, questioning its nationalist uses and the everlasting and catastrophic effects of Fascist foreign politics. With its loudness and placement, it wishes to affect the visitors, confronting them with the systemic violence that this Fascist architecture outside Italy embodies and to inhibit the possibility of being seduced by its aesthetic.



      https://www.alessandraferrini.info/my-heritage

      #héritage

    • "Decolonizziamo le città": il progetto per una riflessione collettiva sulla storia coloniale italiana

      Un video dal basso in cui ogni partecipante produce una riflessione attraverso forme artistiche differenti, come l’arte figurativa, la slam poetry, interrogando questi luoghi e con essi “noi” e la storia italiana

      Via Eritrea, Viale Somalia, Via Amba Aradam, via Tembien, via Adua, via Agordat. Sono nomi di strade presenti in molte città italiane che rimandano al colonialismo italiano nel Corno d’Africa. Ci passiamo davanti molto spesso senza sapere il significato di quei nomi.

      A Padova è nato un progetto che vuole «decolonizzare la città». L’idea è quella di realizzare un video partecipativo in cui ogni partecipante produca una riflessione attraverso forme artistiche differenti, come l’arte figurativa, la slam poetry, interrogando questi luoghi e con essi “noi” e la storia italiana. Saranno coinvolti gli studenti del laboratorio “Visual Research Methods”, nel corso di laurea magistrale “Culture, formazione e società globale” dell’Università di Padova e artisti e attivisti afrodiscendenti, legati alla diaspora delle ex-colonie italiane e non.

      «Stavamo preparando questo laboratorio da marzo», racconta Elisabetta Campagni, che si è laureata in Sociologia a marzo 2020 e sta organizzando il progetto insieme alla sua ex relatrice del corso di Sociologia Visuale Annalisa Frisina, «già molto prima che il movimento Black Lives Matter riportasse l’attenzione su questi temi».

      Riscrivere la storia insieme

      «Il dibattito sul passato coloniale italiano è stato ampiamente ignorato nei dibattiti pubblici e troppo poco trattato nei luoghi di formazione ed educazione civica come le scuole», si legge nella presentazione del laboratorio, che sarà realizzato a partire dall’autunno 2020. «C’è una rimozione grandissima nella nostra storia di quello che ricordano questi nomi, battaglie, persone che hanno partecipato a massacri nelle ex colonie italiane. Pochi lo sanno. Ma per le persone che arrivano da questi paesi questi nomi sono offensivi».

      Da qui l’idea di riscrivere una storia negata, di «rinarrare delle vicende che nascondono deportazioni e uccisioni di massa, luoghi di dolore, per costruire narrazioni dove i protagonisti e le protagoniste sono coloro che tradizionalmente sono stati messi a tacere o sono rimasti inascoltati», affermano le organizzatrici.

      Le strade «rinarrate»

      I luoghi del video a Padova saranno soprattutto nella zona del quartiere Palestro, dove c’è una grande concentrazione di strade con nomi che rimandano al colonialismo. Si andrà in via Amba Aradam, il cui nome riporta all’altipiano etiope dove nel febbraio 1936 venne combattuta una battaglia coloniale dove gli etiopi vennero massacrati e in via Amba Alagi.

      Una tappa sarà nell’ex piazza Pietro Toselli, ora dedicata ai caduti della resistenza, che ci interroga sul legame tra le forme di resistenza al fascismo e al razzismo, che unisce le ex-colonie all’Italia. In Italia il dibattito si è concentrato sulla statua a Indro Montanelli, ma la toponomastica che ricorda il colonialismo è molta e varia. Oltre alle strade, sarà oggetto di discussione la mappa dell’impero coloniale italiano situata proprio nel cuore della città, in Piazza delle Erbe, ma che passa spesso inosservata.

      Da un’idea di Igiaba Scego

      Come ci spiega Elisabetta Campagni, l’idea nasce da un libro di Igiaba Scego che anni fa ha pubblicato alcune foto con afrodiscendenti che posano davanti ai luoghi che celebrano il colonialismo a Roma come la stele di Dogali, vicino alla stazione Termini, in viale Luigi Einaudi.

      Non è il primo progetto di questo tipo: il collettivo Wu Ming ha lanciato la guerriglia odonomastica, con azioni e performance per reintitolare dal basso vie e piazze delle città o aggiungere informazioni ai loro nomi per cambiare senso all’intitolazione. La guerriglia è iniziata a Bologna nel quartiere della Cirenaica e il progetto è stato poi realizzato anche a Palermo. Un esempio per il laboratorio «Decolonizzare la città» è stato anche «Berlin post colonial», l’iniziativa nata da anni per rititolare le strade e creare percorsi di turismo consapevole.

      Il progetto «Decolonizzare la città» sta raccogliendo i voti sulla piattaforma Zaalab (https://cinemavivo.zalab.org/progetti/decolonizzare-la-citta-dialoghi-visuali-a-padova), con l’obiettivo di raccogliere fondi per la realizzazione del laboratorio.

      https://it.mashable.com/cultura/3588/decolonizziamo-le-citta-il-progetto-per-una-riflessione-collettiva-sull

      #histoire_niée #storia_negata #récit #contre-récit

    • Decolonizzare la città. Dialoghi Visuali a Padova

      Descrizione

      Via Amba Alagi, via Tembien, via Adua, via Agordat. Via Eritrea, via Libia, via Bengasi, via Tripoli, Via Somalia, piazza Toselli… via Amba Aradam. Diversi sono i nomi di luoghi, eventi e personaggi storici del colonialismo italiano in città attraversate in modo distratto, senza prestare attenzione alle tracce di un passato che in realtà non è ancora del tutto passato. Che cosa significa la loro presenza oggi, nello spazio postcoloniale urbano? Se la loro origine affonda le radici in un misto di celebrazione coloniale e nazionalismo, per capire il significato della loro permanenza si deve guardare alla società contemporanea e alle metamorfosi del razzismo.

      Il dibattito sul passato coloniale italiano è stato ampiamente ignorato nei dibattiti pubblici e troppo poco trattato nei luoghi di formazione ed educazione civica come le scuole. L’esistenza di scritti, memorie biografiche e racconti, pur presente in Italia, non ha cambiato la narrazione dominante del colonialismo italiano nell’immaginario pubblico, dipinto come una breve parentesi storica che ha portato civiltà e miglioramenti nei territori occupati (“italiani brava gente”). Tale passato, però, è iscritto nella toponomastica delle città italiane e ciò ci spinge a confrontarci con il significato di tali vie e con la loro indiscussa presenza. Per questo vogliamo partire da questi luoghi, e in particolare da alcune strade, per costruire una narrazione dal basso che sia frutto di una ricerca partecipata e condivisa, per decolonizzare la città, per reclamare una lettura diversa e critica dello spazio urbano e resistere alle politiche che riproducono strutture (neo)coloniali di razzializzazione degli “altri”.

      Il progetto allora intende sviluppare una riflessione collettiva sulla storia coloniale italiana, il razzismo, l’antirazzismo, la resistenza di ieri e di oggi attraverso la realizzazione di un video partecipativo.

      Esso è organizzato in forma laboratoriale e vuole coinvolgere studenti/studentesse del laboratorio “Visual Research Methods” (corso di laurea magistrale “Culture, formazione e società globale”) dell’Università di Padova e gli/le artisti/e ed attivisti/e afrodiscendenti, legati alla diaspora delle ex-colonie italiane e non.

      Il progetto si propone di creare una narrazione visuale partecipata, in cui progettazione, riprese e contenuti siano discussi in maniera orizzontale e collaborativa tra i e le partecipanti. Gli/Le attivisti/e e artisti/e afrodiscendenti con i/le quali studenti e studentesse svolgeranno le riprese provengono in parte da diverse città italiane e in parte vivono a Padova, proprio nel quartiere in questione. Ognuno/a di loro produrrà insieme agli studenti e alle studentesse una riflessione attraverso forme artistiche differenti (come l’arte figurativa, la slam poetry…), interrogando tali luoghi e con essi “noi” e la storia italiana. I partecipanti intrecciano così le loro storie personali e familiari, la storia passata dell’Italia e il loro attivismo quotidiano, espresso con l’associazionismo o con diverse espressioni artistiche (Mackda Ghebremariam Tesfaù, Wissal Houbabi, Theophilus Marboah, Cadigia Hassan, Enrico e Viviana Zorzato, Ilaria Zorzan, Ada Ugo Abara ed Emanuel M’bayo Mertens di Arising Africans). I processi di discussione, scrittura, ripresa, selezione e montaggio verranno documentati attraverso l’utilizzo di foto e filmati volti a mostrare la meta-ricerca, il processo attraverso cui viene realizzato il video finale, e le scelte, di contenuto e stilistiche, negoziate tra i diversi attori. Questi materiali verranno condivisi attraverso i canali online, con il fine di portare a tutti coloro che sostengono il progetto una prima piccola restituzione che renda conto dello svolgimento del lavoro.

      Le strade sono un punto focale della narrazione: oggetto dei discorsi propagandistici di Benito Mussolini, fulcro ed emblema del presunto e mitologico progetto di civilizzazione italiana in Africa, sono proprio le strade dedicate a luoghi e alle battaglie dove si sono consumate le atrocità italiane che sono oggi presenze fisiche e allo stesso tempo continuano ad essere invisibilizzate; e i nomi che portano sono oggi largamente dei riferimenti sconosciuti. Ripercorrere questi luoghi fisici dando vita a dialoghi visuali significa riappropriarsi di una storia negata, rinarrare delle vicende che nascondono deportazioni e uccisioni di massa, luoghi di dolore, per costruire narrazioni dove i protagonisti e le protagoniste sono coloro che tradizionalmente sono stati messi a tacere o sono rimasti inascoltati.

      La narrazione visuale partirà da alcuni luoghi – come via Amba Aradam e via lago Ascianghi – della città di Padova intitolati alla storia coloniale italiana, in cui i protagonisti e le protagoniste del progetto daranno vita a racconti e performances artistiche finalizzate a decostruire la storia egemonica coloniale, troppo spesso edulcorata e minimizzata. L’obiettivo è quello di favorire il prodursi di narrazioni dal basso, provenienti dalle soggettività in passato rese marginali e che oggi mettono in scena nuove narrazioni resistenti. La riappropriazione di tali luoghi, fisica e simbolica, è volta ad aprire una riflessione dapprima all’interno del gruppo e successivamente ad un pubblico esterno, al fine di coinvolgere enti, come scuole, associazioni e altre realtà che si occupano di questi temi sul territorio nazionale. Oltre alle strade, saranno oggetto di discussione la mappa dell’impero coloniale italiano situata proprio nel cuore della città, in Piazza delle Erbe, e l’ex piazza Toselli, ora dedicata ai caduti della resistenza, che ci interroga sul legame tra le forme di resistenza al fascismo e al razzismo, che unisce le ex-colonie all’Italia.

      Rinarrare la storia passata è un impegno civile e politico verso la società contemporanea. Se anche oggi il razzismo ha assunto nuove forme, esso affonda le sue radici nella storia nazionale e coloniale italiana. Questa storia va rielaborata criticamente per costruire nuove alleanze antirazziste e anticolonialiste.

      Il video partecipativo, ispirato al progetto “Roma Negata” della scrittrice Igiaba Scego e di Rino Bianchi, ha l’obiettivo di mostrare questi luoghi attraverso narrazioni visuali contro-egemoniche, per mettere in discussione una storia ufficiale, modi di dire e falsi miti, per contribuire a dare vita ad una memoria critica del colonialismo italiano e costruire insieme percorsi riflessivi nuovi. Se, come sostiene Scego, occupare uno spazio è un grido di esistenza, con il nostro progetto vogliamo affermare che lo spazio può essere rinarrato, riletto e riattraversato.

      Il progetto vuole porsi in continuità con quanto avvenuto sabato 20 giugno, quando a Padova, nel quartiere Palestro, si è tenuta una manifestazione organizzata dall’associazione Quadrato Meticcio a cui hanno aderito diverse realtà locali, randunatesi per affermare la necessita’ di decolonizzare il nostro sguardo. Gli interventi che si sono susseguiti hanno voluto riflettere sulla toponomastica coloniale del quartiere Palestro, problematizzandone la presenza e invitando tutti e tutte a proporre alternative possibili.

      https://cinemavivo.zalab.org/progetti/decolonizzare-la-citta-dialoghi-visuali-a-padova

      https://www.youtube.com/watch?v=axEa6By9PIA&t=156s

  • L’oublieuse mémoire coloniale italienne

    Commencée avant le fascisme, galvanisée par Mussolini, la colonisation par l’Italie de la Libye, de la Somalie et de l’Ethiopie fut marquée par de nombreuses atrocités,loin du mythe d’une occupation douce. Longtemps refoulés, ces souvenirs commencent à ressurgir

    Tout commence dans le centre de Rome, sur l’Esquilin, la plus haute des sept collines antiques. Plus précisément dans la cage d’escalier d’un immeuble sans ascenseur, situé à deux pas de la piazza Vittorio. Dans ce quartier à deux pas de la gare Termini, les prix de l’immobilier sont beaucoup plus modestes que dans le reste du centre, si bien que l’Esquilin est devenu, depuis une vingtaine d’années, un lieu de concentration de l’immigration africaine et asiatique, ce qui n’est pas sans provoquer des tensions le squat, occupé depuis 2003 par les militants néofascistes de CasaPound, est juste à côté.

    C’est donc là, en rentrant chez elle, épuisée, dans la touffeur d’une après-midi de fin d’été 2010, qu’Ilaria Profeti se retrouve nez à nez avec un jeune homme arrivé d’Ethiopie par la route des migrants. Dans un italien presque sans accent, celui-ci lui assure, documents à l’appui, qu’il est le petit-fils de son père, Attilio, un homme de 95 ans qui est resté, sa longue vie durant, plus que discret sur ses jeunes années de « chemise noire » fasciste, en Abyssinie.

    Levons toute ambiguïté : la scène qui vient d’être décrite est tout à fait vraisemblable, mais elle est issue d’une oeuvre de fiction. Il s’agit en réalité des premières pages d’un roman, le superbe Tous, sauf moi (Sangue giusto), de Francesca Melandri (Gallimard, 2019), qui dépeint avec une infinie subtilité les angles morts de la mémoire coloniale italienne. Le fil conducteur de la narration est le parcours sinueux d’un vieil homme dont le destin finalement assez ordinaire a valeur d’archétype.

    Issu d’un milieu plutôt modeste, Attilio Profeti a su construire à sa famille une position plutôt enviable, en traversant le mieux possible les différents mouvements du XXe siècle. Fasciste durant sa jeunesse, comme l’immense majorité des Italiens de son âge, il est parti pour l’Ethiopie, au nom de la grandeur impériale. Après la chute de Mussolini et la fin de la guerre, il parviendra aisément à se faire une place au soleil dans l’Italie du miracle économique, jouant de son physique avantageux et de ses amitiés haut placées, et enfouissant au plus profond de sa mémoire le moindre souvenir de ses années africaines, les viols, les massacres, les attaques chimiques. C’est ce passé, refoulé avec une certaine désinvolture, qui revient hanter ses enfants, trois quarts de siècle plus tard, sous les traits d’un jeune homme d’une vingtaine d’années, arrivé à Rome après une interminable traversée.

    Comme l’héroïne de Tous, sauf moi, Francesca Melandri vit sur l’Esquilin, au dernier étage d’un immeuble à la population mélangée. Et à l’image d’Ilaria, c’est sur le tard qu’elle a découvert ce pan escamoté de l’histoire italienne. « Quand j’étais à l’école, on ne parlait pas du tout de ce sujet-là, confie-t-elle depuis sa terrasse dominant les toits de la ville. Aujourd’hui ça a changé, il y a eu une prise de conscience, et de nombreux travaux universitaires. Pourtant cette histoire n’est jamais rappelée par les médias. Lorsqu’on parle du dernier attentat à la bombe à Mogadiscio, qui se souvient des liens entre Italie et Somalie ? Quand des bateaux remplis de migrants érythréens sont secourus ou coulent avant d’être sauvés, qui rappelle que l’Erythrée, nous l’appelions "l’aînée des colonies" ? »

    Le plus étrange est qu’à Rome, les traces du passé colonial sont légion, sans que personne n’ait jamais pensé à les effacer. Des stèles près desquelles personne ne s’arrête, des bâtiments anonymes, des noms de rue... rien de tout cela n’est explicité, mais tout est à portée de main.

    Comprendre les raisons de cette occultation impose de revenir sur les conditions dans lesquelles l’ « Empire » italien s’est formé. Création récente et n’ayant achevé son unité qu’en 1870, alors que la plus grande partie du monde était déjà partagée en zones d’influence, le royaume d’Italie s’est lancé avec du retard dans la « course » coloniale. De plus, il ne disposait pas, comme l’Allemagne qui s’engage dans le mouvement à la même époque, d’une puissance industrielle et militaire susceptible d’appuyer ses prétentions.

    Visées impérialistes

    Malgré ces obstacles, l’entreprise coloniale est considérée par de nombreux responsables politiques comme une nécessité absolue, à même d’assurer une fois pour toutes à l’Italie un statut de grande puissance, tout en achevant le processus d’unification du pays nombre des principaux avocats de la colonisation viennent de la partie méridionale du pays. Les visées impérialistes se dirigent vers deux espaces différents, où la carte n’est pas encore tout à fait figée : la Méditerranée, qui faisait figure de champ naturel d’épanouissement de l’italianité, et la Corne de l’Afrique, plus lointaine et plus exotique.

    En Afrique du Nord, elle se heurta vite à l’influence française, déjà solidement établie en Algérie. Ses prétentions sur la Tunisie, fondées sur la proximité de la Sicile et la présence sur place d’une importante communauté italienne, n’empêcheront pas l’établissement d’un protectorat français, en 1881. Placé devant le fait accompli, le jeune royaume d’Italie considérera l’initiative française comme un véritable acte de guerre, et la décennie suivante sera marquée par une profonde hostilité entre Paris et Rome, qui poussera le royaume d’Italie à s’allier avec les grands empires centraux d’Allemagne et d’Autriche-Hongrie plutôt qu’avec sa « soeur latine .

    Sur les bords de la mer Rouge, en revanche, la concurrence est plus faible. La première tête de pont remonte à 1869, avec l’acquisition de la baie d’Assab (dans l’actuelle Erythrée) par un armateur privé, pour le compte de la couronne d’Italie. Cette présence s’accentue au cours des années 1880, à mesure du recul de l’influence égyptienne dans la zone. En 1889, est fondée la colonie d’Erythrée, tandis que se structure au même moment la Somalie italienne. Mais l’objectif ultime des Italiens est la conquête du my thique royaume d’Abyssinie, qui s’avère plus difficile que prévu.

    En 1887, à Dogali, plusieurs centaines de soldats italiens meurent dans une embuscade menée par un chef abyssin, le ras Alula Engida. Cette défaite marque les esprits, mais ce n’est rien à côté de la déconfiture des forces italiennes lors de la bataille d’Adoua, le 1er mars 1896, qui porte un coup d’arrêt durable aux tentatives italiennes de conquête.

    Seul pays africain indépendant (avec le Liberia), l’Ethiopie peut désormais se targuer de devoir sa liberté à une victoire militaire. Le négus Menelik II y gagne un prestige considérable. Côté italien, en revanche, cette défaite est un électrochoc. Ressentie comme une honte nationale, la déroute des troupes italiennes entraîne la chute du gouvernement Crispi et freine durablement l’im périalisme italien.

    Adoua est un tournant. L’historien et ancien sénateur de gauche Miguel Gotor est l’auteur d’une remarquable synthèse sur le XXe siècle italien, L’Italia nel Novecento. Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon (« L’Italie du XIXe siècle. De la défaite d’Adoua à la victoire d’Amazon » Einaudi, 2019, non traduit). Pour lui, c’est là-bas, sur les hauteurs de la région du Tigré, par cette humiliation retentissante, que le XXe siècle italien a commencé.

    L’aventure coloniale italienne s’est ouverte de façon peu concluante, mais l’aspiration à l’empire n’a pas disparu. La décomposition de l’Empire ottoman offrira à Rome une occasion en or, en lui permettant, en 1911-1912, de s’implanter solidement en Cyrénaïque et en Tripolitaine. « Souvent la conquête de ce qui allait devenir la Libye est évacuée un peu vite, mais c’est un moment très important. Pour l’armée italienne, c’est une répétition, un peu comme a pu l’être la guerre d’Espagne, juste avant la seconde guerre mondiale », souligne Miguel Gotor. Ainsi, le 1er novembre 1911, un aviateur italien lâche quatre grenades sur des soldats ottomans, réalisant ainsi le premier bombardement aérien de l’histoire mondiale.

    « La conquête des côtes d’Afrique du Nord est importante, certes, mais la Libye est juste en face de la Sicile, au fond c’est du "colonialisme frontalier". La colonie au sens le plus "pur", celle qui symboliserait le mieux l’idée d’empire, ça reste l’Abyssinie », souligne Miguel Gotor. Aussi les milieux nationalistes italiens, frustrés de ne pas avoir obtenu l’ensemble de leurs revendications territoriales au sortir de la première guerre mondiale, continueront à nourrir le rêve de venger l’humiliation d’Adoua.

    Le fascisme naissant ne se privera pas d’y faire référence, et d’entretenir le souvenir : les responsables locaux du parti se feront appeler « ras », comme les chefs éthiopiens. A partir de la fin des années 1920, une fois le pouvoir de Mussolini solidement établi, les prétentions coloniales deviendront un leitmotiv des discours officiels.

    Aussi la guerre de conquête déclenchée contre l’Ethiopie en 1935 est-elle massi vement soutenue. L’effort est considérable : plus de 500 000 hommes sont mobilisés. Face à un tel adversaire, le négus Haïlé Sélassié ne peut résister frontalement. Le 5 mai 1936, les soldats italiens entrent dans la capitale, Addis-Abeba, et hissent le drapeau tricolore. Quatre jours plus tard, à la nuit tombée, depuis le balcon du Palazzo Venezia, en plein coeur de Rome, Mussolini proclame « la réapparition de l’Empire sur les collines fatales de Rome » devant une foule de plusieurs centaines de milliers de personnes.

    « C’est bien simple, à ce moment-là, en Italie, il est à peu près impossible d’être anti fasciste », résume Miguel Gotor. Dans la foulée de ce succès, le roi Victor-Emmanuel III est proclamé empereur d’Ethiopie ; Benito Mussolini peut désormais se targuer d’avoir bâti un empire. La faillite d’Adoua avait été causée par un régime parle mentaire inefficace et désorganisé ? La victoire de 1936 est due, elle, aux vertus d’une Italie rajeunie et revigorée par le fascisme. La machine de propagande tourne à plein régime, l’assentiment populaire est à son sommet. « Ce moment-là est une sorte d’apogée, et à partir de là, la situation du pays se dégrade, analyse Miguel Gotor. Ar rivent les lois raciales, l’entrée en guerre... tout est réuni pour nourrir une certaine nostalgie de l’épopée éthiopienne. »

    Mécanisme de refoulement

    Le rêve impérial sera bref : il ne survivra pas à la défaite militaire et à la chute du fascisme. L’Ethiopie est perdue en 1941, la Libye quelques mois plus tard... Le traité de Paris, conclu en 1947, met officiellement un terme à une colonisation qui, dans les faits, avait déjà cessé d’exister depuis plusieurs années. Tandis que l’Ethiopie indépendante récupère l’Erythrée, la Libye est placée sous la tutelle de la France et du Royaume-Uni. Rome gardera seulement une vague tutelle sur la Somalie, de 1949 à 1960.

    Le projet d’empire colonial en Méditerranée et en Afrique, qui fut un des ciments de l’assentiment des Italiens à Mussolini, devient associé pour la plupart des Italiens au régime fasciste. L’un et l’autre feront l’objet du même mécanisme de refoulement dans l’Italie de l’après-guerre. Les dirigeants de l’Italie républicaine font rapidement le choix de tourner la page, et ce choix est l’objet d’un profond consensus qui couvre tout le spectre politique (le premier décret d’amnistie des condamnations de l’après-guerre remonte à 1946, et il porte le nom du dirigeant historique du Parti communiste italien Palmiro Togliatti). Les scènes de liesse de la Piazza Venezia ne seront plus évoquées, et avec elles les faces les plus sombres de l’aventure coloniale. Même la gauche transalpine, qui prendra fait et cause pour les mouvements anticoloniaux africains (notamment le FLN algérien) n’insistera jamais sur le versant italien de cette histoire.

    « Cela n’est pas étonnant, la mémoire est un phénomène sélectif, et on choisit toujours, consciemment ou non, ce qu’on va dire à ses enfants ou ses petits-enfants », remarque le jeune historien Olindo De Napoli (université de Naples-Frédéric-II), spécialiste de la période coloniale. « Durant l’immédiat après-guerre, ce sont les témoins qui parlent, ce sont eux qui publient », remarque l’his torien. Ainsi de la collection d’ouvrages L’Italia in Africa éditée sous l’égide du ministère des affaires étrangères, emblématique de la période. « Ces volumes sont passionnants, mais il y a certains oublis, qui vont vite poser des problèmes. »

    Parmi ces « oublis », la question la plus centrale, qui fera le plus couler d’encre, est celle des massacres de civils et de l’usage de gaz de combat, malgré leur interdiction par les conventions de Genève, lors de la guerre d’Ethiopie. Dans les années 1960, les études pionnières d’Angelo Del Boca et Giorgio Rochat mettront en lumière, documents officiels à la clé, ce pan occulté de la guerre de 1935-1936. Ils se heurteront à l’hostilité générale des milieux conservateurs.

    Un homme prendra la tête du mouvement de contestation des travaux de Del Bocaet Rochat : c’est Indro Montanelli (1909-2001), considéré dans les années 1960 comme le journaliste le plus important de sa géné ration. Plume du Corriere della Sera (qu’il quittera pour fonder Il Giornale en 1974), écrivain d’essais historiques à l’immense succès, Montanelli était une figure tutélaire pour toute la droite libérale.

    Comme tant d’autres, il avait été un fasciste convaincu, qui s’était porté volontaire pour l’Ethiopie, et il n’a pris ses distances avec Mussolini qu’en 1943, alors que la défaite était apparue comme certaine. Ra contant « sa » guerre à la tête d’une troupe de soldats indigènes, Montanelli la décrit comme « de longues et belles vacances », et qualifie à plusieurs reprises d’ « anti-Italiens » ceux qui font état de massacres de civils et d’usage de gaz de combat. La polémique durera des années, et le journaliste sera bien obligé d’admettre, à la fin de sa vie, que les atrocités décrites par Rochat et Del Bocaavaient bien eu lieu, et avaient même été expressément ordonnées par le Duce.

    A sa manière, Montanelli incarne parfaitement la rhétorique du « bon Italien » (« Italia brava gente »), qui sera, pour toute une génération, une façon de disculper l’homme de la rue de toute forme de culpabilité collective face au fascisme. Selon ce schéma, contrairement à son allié allemand, le soldat italien ne perd pas son humanité en endossant l’uniforme, et il est incapable d’actes de barbarie. Ce discours atténuant la dureté du régime s’étend jusqu’à la personne de Mussolini, dépeint sous les traits d’un chef un peu rude mais bienveillant, dont le principal tort aura été de s’allier avec les nazis.

    Ce discours trouve dans l’aventure coloniale un terrain particulièrement favorable. « Au fond, on a laissé s’installer l’idée d’une sorte de colonisation débonnaire, analyse Olindo De Napoli, et ce genre de représentation laisse des traces. Pourtant la colonisation italienne a été extrêmement brutale, avant même le fascisme. En Ethiopie, l’armée italienne a utilisé des soldats libyens chargés des basses oeuvres, on a dressé des Africains contre d’autres Africains. Et il ne faut pas oublier non plus que les premières lois raciales, préfigurant celles qui seront appliquées en 1938 en Italie, ont été écrites pour l’Ethiopie... Il ne s’agit pas de faire en sorte que des enfants de 16 ans se sentent coupables de ce qu’ont fait leurs arrière-grands-pères, il est seulement question de vérité historique. »

    Désinvolture déconcertante

    Malgré les acquis de la recherche, pour le grand public, la colonisation italienne reste souvent vue comme une occupation « douce », par un peuple de jeunes travailleurs prolétaires, moins racistes que les Anglais, qui se mélangeaient volontiers avec les populations locales, jusqu’à fonder des familles. L’archétype du colon italien tombant amoureux de la belle Abyssine, entretenu par les mémoires familiales, a lui aussi mal vieilli. Là encore, le parcours d’Indro Montanelli est plus qu’éclairant. Car aujourd’hui, si sa défense de l’armée italienne apparaît comme parfaitement discréditée, ce n’est plus, le concernant, cet aspect de sa vie qui fait scandale.

    En effet, on peut facilement trouver, sur Internet, plusieurs extraits d’entretiens télévisés remontant aux années 1970 et 1980, dans lesquelles le journaliste raconte avec une désinvolture déconcertante comment, en Ethiopie, il a « acheté régulièrement » à son père, pour 350 lires, une jeune fille de 12 ans pour en faire sa femme à plusieurs reprises, il la qualifie même de « petit animal docile », devant un auditoire silencieux et appliqué.

    Célébré comme une gloire nationale de son vivant, Indro Montanelli a eu l’honneur, à sa mort et malgré ces déclarations sulfureuses, de se voir dédié à Milan un jardin public, au milieu duquel trône une statue de lui. Au printemps 2019, cette statue a été recouverte d’un vernis de couleur rose par un collectif féministe, pour rappeler cet épisode, et en juin 2020, la statue a de nouveau été recouverte de peinture rouge, en lointain écho au mouvement Black Lives Matter (« les vies noires comptent ») venu des Etats-Unis.

    Indro Montanelli mérite-t-il une statue dans l’Italie de 2021 ? La question a agité les journaux italiens plusieurs jours, au début de l’été, avant que la polémique ne s’éteigne d’elle-même. Pour fondée qu’elle soit, la question semble presque dérisoire eu égard au nombre de témoignages du passé colonial, rarement explicités, qui subsistent un peu partout dans le pays.

    Cette situation n’est nulle part plus visible qu’à Rome, que Mussolini rêvait en capitale d’un empire africain. L’écrivaine italienne Igiaba Scego, née en 1974 de parents réfugiés somaliens, y a dédié un passionnant ouvrage, illustré par les photographies de Rino Bianchi (Roma negata, Ediesse, réédition 2020, non traduit).

    Passant par la stèle laissée à l’abandon de la piazza dei Cinquecento, face à la gare Termini, dont la plupart des Romains ignorent qu’elle a été baptisée ainsi en mémoire des 500 victimes italiennes de l’embuscade de Dogali, ou l’ancien cinéma Impero, aujourd’hui désaffecté, afin d’y évoquer l’architecture Art déco qui valut à la capitale érythréenne, Asmara, d’être classée au patrimoine de l’Unesco, la romancière fait une station prolongée devant le siège romain de la FAO (l’Organisation des Nations unies pour l’alimentation et l’agriculture), construit pour abriter le siège du puissant ministère de l’Afrique italienne.

    Devant ce bâtiment tout entier dédié à l’entreprise coloniale, Benito Mussolini avait fait ériger en 1937 un obélisque haut de 24 mètres et vieux d’environ seize siècles, ramassé sur site d’Axoum, en Ethiopie. Il s’agissait, rappelle Igiaba Scego, de faire de ce lieu « le centre de la liturgie impériale .

    La république née sur les ruines du fascisme s’était engagée à restituer cette prise de guerre à la suite des traités de 1947, mais après d’innombrables vicissitudes, le monument est resté en place jusqu’en 2003, où le gouvernement Berlusconi choisit de le démonter en trois morceaux avant de le renvoyer à Axoum, à ses frais.

    En 2009, la mairie de Rome a fait installer sur la même place, à deux pas de cet espace vide, une stèle commémorative afin « de ne pas oublier le passé . Mais curieusement, celle-ci a été dédiée... à la mémoire des attentats du 11-Septembre. Comme s’il fallait enfouir le plus profondément possible ce souvenir du rêve impérial et de la défaite, la ville a choisi de faire de ce lieu le symbole d’une autre tragédie. « Pourquoi remuer ces his toires horribles ? Pensons plutôt aux tragédies des autres. Le 11-Septembre était parfait », note, sarcastique, Igiaba Scego.

    A une quinzaine de kilomètres de là, dans le décor grandiose et écrasant du Musée de la civilisation romaine, en plein centre de ce quartier de l’EUR où la mémoire du fascisme est omniprésente, l’ethno-anthropologue Gaia Delpino est confrontée à un autre chantier sensible, où s’entrechoquent les mémoires. Depuis 2017, elle travaille à fusionner en un même lieu les collections du vieux musée ethnologique de Rome (Musée Pigorini) et du sulfureux Musée colonial inauguré en 1923, dont les collections dormaient dans des caisses depuis un demi-siècle.

    D’une fascinante complexité

    Lorsqu’on lui parle de l’odyssée de l’obélisque d’Axoum, elle nous arrête tout de suite : « C’est bien simple : ce qui a été réalisé là-bas, c’est exactement l’inverse de ce qu’on veut faire. » Restituer ces collections dans leur contexte historique tout en articulant un message pour l’Italie d’aujourd’hui, permettre à toutes les narrations et à toutes les représentations de s’exprimer dans leur diversité... L’entreprise est d’une fascinante complexité.

    « Les collections du MuséePigorini ont vieilli bien sûr, comme tous ces musées ethnographiques du XIXe siècle qui véhiculaient l’idée d’une supériorité de la civilisation occidentale. Le Musée colonial, lui, pose d’autres problèmes, plus singuliers. Il n’a jamais été pensé comme autre chose qu’un moyen de propagande, montrant à la fois les ressources coloniales et tout ce qu’on pourrait en tirer. Les objets qui constituent les collections n’ont pas vu leur origine enregistrée, et on a mis l’accent sur la quantité plus que sur la qualité des pièces », expliqueGaia Delpino.

    Sur des centaines de mètres de rayonnages, on croise pêle-mêle des maquettes de navires, des chaussures, des outils et des objets liturgiques... L’accumulation donne le vertige. « Et ce n’est pas fini, nous recevons tous les jours des appels de personnes qui veulent offrir des objets ayant appartenu à leur père ou à leur grand-père, qu’ils veulent nous confier comme une réparation ou pour faire un peu de place », admet l’anthropologue dans un sourire.

    Alors que le travail des historiens peine à se diffuser dans le grand public, où les représentations caricaturales du système colonial, parfois instrumentalisées par la politique, n’ont pas disparu, le futur musée, dont la date d’ouverture reste incertaine pour cause de pandémie, risque d’être investi d’un rôle crucial, d’autant qu’il s’adressera en premier lieu à un public scolaire. « Ce qu’il ne faut pas oublier, c’est que parallèlement à ce difficile travail de mémoire, la population change. Aujourd’hui, dans nos écoles, il y a aussi des descendants de victimes de la colonisation, italienne ou autre. Nous devons aussi penser à eux », précise Gaia Delpino.

    Retournons maintenant au centre de Rome. En 2022, à mi-chemin du Colisée et de la basilique Saint-Jean-de-Latran, une nouvelle station de métro doit ouvrir, dans le cadre du prolongement de la ligne C. Depuis le début du projet, il était prévu que celle-ci soit baptisée « Amba Aradam », du nom de la large artère qui en accueillera l’entrée, appelée ainsi en souvenir de la plus éclatante des victoires italiennes en Ethiopie.

    Ce nom était-il opportun, alors que les historiens ont établi que cette victoire écrasante de l’armée fasciste avait été obtenue au prix de 10 000 à 20 000 morts, dont de nombreux civils, et que les troupes italiennes avaient obtenu la victoire en faisant usage d’ypérite (gaz moutarde), interdit par les conventions de Genève ? Le 1er août 2020, la mairie a finalement fait savoir que la station serait dédiée à la mémoire de Giorgio Marincola.

    Pour le journaliste Massimiliano Coccia, qui a lancé cette proposition avec le soutien de collectifs se réclamant du mouvement Black Lives Matter, « revenir sur notre passé, ce n’est pas détruire ou incendier, mais enrichir historiquement notre cité . Et on peut choisir de célébrer la mémoire d’un résistant italo-somalien tué par les nazis plutôt que celle d’une des pages les plus sombres de l’histoire coloniale italienne.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/02/05/libye-somalie-ethiopie-l-oublieuse-memoire-coloniale-italienne_6068846_3232.

    #Italie #colonialisme #colonisation #Mussolini #fascisme #Libye #Somalie #Ethiopie #atrocités #occupation_douce #mémoire #mémoire_coloniale #occultation #impérialisme #Corne_de_l'Afrique #baie_d'Assab #royaume_d'Abyssinie #Alula_Engida #bataille_d'Adoua #Menelik_II #Crispi #Adoua #Tigré #Cyrénaïque #Tripolitaine #colonialisme_frontalier #Abyssinie #Haïlé_Sélassié #propagande #traité_de_Paris #refoulement #mémoire #massacres #gaz #Indro_Montanelli #gaz_de_combat #bon_Italien #Italia_brava_gente #barbarie #humanité #lois_raciales #vérité_historique #culpabilité #viol #culture_du_viol #passé_colonial #Igiaba_Scego #monuments #toponymie #toponymie_politique #Axoum #stèle #Musée_Pigorini #musée #Musée_colonial #Amba_Aradam #ypérite #gaz_moutarde #armes_chimiques #Giorgio_Marincola #Black_Lives_Matter

    L’article parle notamment du #livre de #Francesca_Melandri, « #sangue_giusto » (traduit en français par « Tous, sauf moi »
    https://seenthis.net/messages/883118

    ajouté à la métaliste sur le #colonialisme_italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    ping @cede

  • « Irak, destruction d’une nation » : la série documentaire événement à voir en avant-première sur Mediapart | Documentaires | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/studio/documentaires/international/irak-destruction-d-une-nation-la-serie-documentaire-evenement-voir-en-avan

    Des premiers jours de la guerre Iran-Irak, en 1980, à la défaite de l’État islamique, en 2017, quatre documentaires exceptionnels racontent quarante ans de conflits qui ont conduit le pays au chaos et ont changé le monde.

    Des premiers jours de la guerre Iran-Irak, en 1980, à la défaite de l’État islamique, en 2017, cette série documentaire de Jean-Pierre Canet, diffusée dimanche 31 janvier sur France 5 et à voir en avant-première sur Mediapart, raconte quarante ans de conflits qui ont conduit l’Irak au chaos.

    Une histoire irakienne autant qu’américaine et française où se mêlent intérêts diplomatiques, économiques et militaires, racontée par ceux qui l’ont vécue, à Washington, Paris ou en Irak. Une plongée sur 40 ans qui ont changé le monde.

    Épisode 1 – L’allié

    Aux premiers jours de 1980, Saddam Hussein, alors perçu comme un moderniste par les nations occidentales, s’engage dans une guerre totale contre son voisin iranien. L’Europe et les États-Unis voient le raïs comme un bouclier contre l’obscurantisme islamiste des mollahs.

    Épisode 2 – L’adversaire

    Persuadé que les grandes puissances le laisseront faire, Saddam Hussein envahit le #Koweït le 2 août 1990. Américains, Britanniques et Français s’accordent pour punir l’Irak, sans vraiment chercher de solution diplomatique. La guerre du Golfe enclenchée en janvier 1991 est aussi rapide que dévastatrice : les Irakiens sous un déluge de feu voient leurs infrastructures rasées. 100 000 soldats et au moins 60 000 civils meurent. S’ensuit un embargo long de douze ans, qui va faire payer au peuple irakien la mégalomanie de son président.

    Épisode 3 – Le condamné

    Pour une partie de la classe politique américaine, faire chuter le dictateur irakien est une obsession. Les attentats du 11 septembre 2001 leur offrent une opportunité unique d’y parvenir. Pour justifier la guerre à venir, Washington ment et accuse Saddam Hussein de posséder des armes de destruction massive et d’avoir soutenu les terroristes d’Al-Qaïda. Après une guerre éclair, la Maison Blanche administre le pays dans l’improvisation. Le chaos s’installe. D’un statut de libérateurs, les soldats américains deviennent des envahisseurs aux yeux des Irakiens.

    Épisode 4 – Le fantôme

    En 2007, en pleine guerre civile, le fantôme de #SaddamHussein, exécuté un an plus tôt pour crimes contre l’humanité, plane sur l’#Irak. Le raïs était un dictateur, mais il avait réussi à tenir le peuple irakien composé de sunnites, de chiites, et de minorités ethniques et religieuses. Les Américains, eux, sont dépassés par la violence qui déchire le pays où le terrorisme islamiste prospère. À coups de millions de dollars, ils financent les tribus sunnites pour combattre #Al-Qaïda et soutenir le nouveau régime. Mais #BarackObama décide le retrait des troupes américaines d’Irak en 2011 et laisse ainsi le champ libre au voisin iranien qui impose son influence. Une seconde guerre civile éclate.

  • Des gaz lacrymogènes très toxiques utilisés contre les manifestants à Portland - Basta !
    https://www.bastamag.net/manifestants-Portland-gaz-lacrymogenes-toxiques-hexachloroethane-repressio

    Fin mai les citoyens de #Portland dans l’Oregon commencent à manifester en réaction au meurtre de George Floyd, tué par un policier. Début juillet, la police locale est renforcée par des unités de la police fédérale dans le cadre de l’opération Diligent Valor, lancée par Donald Trump. Un rapport de l’association Physicians for Human Rights publié en octobre montre que les polices, locale et fédérale, ont fait un usage disproportionné et excessif de la force en recourant, entre autres, à des lanceurs de balles en caoutchouc et à des grenades lacrymogène à base de hexachloroéthane (HC) [1]. Ce composé chimique a longtemps été utilisé par l’industrie militaire pour créer du brouillard artificiel sur le champ de bataille. Il peut devenir hautement toxique. Et certaines de ces grenades fumigènes HC avaient expiré depuis 15 ans.

    https://phr.org/our-work/resources/now-they-just-seem-to-want-to-hurt-us-portland-oregon

    #Black_Lives_Matter #armes_chimiques #industrie_militaire

  • L’impensé colonial de la #politique_migratoire italienne

    Les sorties du Mouvement Cinq Étoiles, au pouvoir en Italie, contre le #franc_CFA, ont tendu les relations entre Paris et Rome en début d’année. Mais cette polémique, en partie fondée, illustre aussi l’impensé colonial présent dans la politique italienne aujourd’hui – en particulier lors des débats sur l’accueil des migrants.

    Au moment de déchirer un billet de 10 000 francs CFA en direct sur un plateau télé, en janvier dernier (vidéo ci-dessous, à partir de 19 min 16 s), #Alessandro_Di_Battista savait sans doute que son geste franchirait les frontières de l’Italie. Revenu d’un long périple en Amérique latine, ce député, figure du Mouvement Cinq Étoiles (M5S), mettait en scène son retour dans l’arène politique, sur le plateau de l’émission « Quel temps fait-il ? ». Di Battista venait, avec ce geste, de lancer la campagne des européennes de mai.
    https://www.youtube.com/watch?v=X14lSpRSMMM&feature=emb_logo


    « La France, qui imprime, près de Lyon, cette monnaie encore utilisée dans 14 pays africains, […] malmène la souveraineté de ces pays et empêche leur légitime indépendance », lance-t-il. Di Battista cherchait à disputer l’espace politique occupé par Matteo Salvini, chef de la Ligue, en matière de fermeté migratoire : « Tant qu’on n’aura pas déchiré ce billet, qui est une menotte pour les peuples africains, on aura beau parler de ports ouverts ou fermés, les gens continueront à fuir et à mourir en mer. »

    Ce discours n’était pas totalement neuf au sein du M5S. Luigi Di Maio, alors ministre du travail, aujourd’hui ministre des affaires étrangères, avait développé à peu près le même argumentaire sur l’immigration, lors d’un meeting dans les Abruzzes, à l’est de Rome : « Il faut parler des causes. Si des gens partent de l’Afrique aujourd’hui, c’est parce que certains pays européens, la #France en tête, n’ont jamais cessé de coloniser l’Afrique. L’UE devrait sanctionner ces pays, comme la France, qui appauvrissent les États africains et poussent les populations au départ. La place des Africains est en Afrique, pas au fond de la Méditerranée. »

    À l’époque, cette rhétorique permettait au M5S de creuser sa différence avec la Ligue sur le dossier, alors que Matteo Salvini fermait les ports italiens aux bateaux de migrants. Mais cette stratégie a fait long feu, pour des raisons diplomatiques. Celle qui était alors ministre des affaires européennes à Paris, Nathalie Loiseau, a convoqué l’ambassadrice italienne en France pour dénoncer des « déclarations inacceptables et inutiles ». L’ambassadeur français à Rome a quant à lui été rappelé à Paris, une semaine plus tard – en réaction à une rencontre de dirigeants du M5S avec des « gilets jaunes » français.

    En Italie, cet épisode a laissé des traces, à l’instar d’un post publié sur Facebook, le 5 juillet dernier, par le sous-secrétaire aux affaires étrangères M5S Manlio Di Stefano. À l’issue d’une rencontre entre Giuseppe Conte, premier ministre italien, et Vladimir Poutine, il écrit : « L’Italie est capable et doit être le protagoniste d’une nouvelle ère de #multilatéralisme, sincère et concret. Nous le pouvons, car nous n’avons pas de #squelettes_dans_le_placard. Nous n’avons pas de #tradition_coloniale. Nous n’avons largué de bombes sur personne. Nous n’avons mis la corde au cou d’aucune économie. »

    Ces affirmations sont fausses. Non seulement l’Italie a mené plusieurs #guerres_coloniales, jusqu’à employer des #armes_chimiques – en #Éthiopie de 1935 à 1936, dans des circonstances longtemps restées secrètes –, mais elle a aussi été l’un des premiers pays à recourir aux bombardements, dans une guerre coloniale – la guerre italo-turque de 1911, menée en Libye. Dans la première moitié du XXe siècle, l’Italie fut à la tête d’un empire colonial qui englobait des territoires comme la Somalie, la Libye, certaines portions du Kenya ou encore l’Éthiopie.

    Cette sortie erronée du sous-secrétaire d’État italien a au moins un mérite : elle illustre à merveille l’impensé colonial présent dans la politique italienne contemporaine. C’est notamment ce qu’affirment plusieurs intellectuels engagés, à l’instar de l’écrivaine et universitaire romaine de 45 ans #Igiaba_Scego. Issue d’une famille somalienne, elle a placé la #question_coloniale au cœur de son activité littéraire (et notamment de son roman Adua). Dans une tribune publiée par Le Monde le 3 février, elle critique sans ménagement l’#hypocrisie de ceux qui parlent du « #colonialisme_des_autres ».

    À ses yeux, la polémique sur le franc CFA a soulevé la question de l’effacement de l’histoire coloniale en cours en Italie : « Au début, j’étais frappée par le fait de voir que personne n’avait la #mémoire du colonialisme. À l’#école, on n’en parlait pas. C’est ma génération tout entière, et pas seulement les Afro-descendants, qui a commencé à poser des questions », avance-t-elle à Mediapart.

    Elle explique ce phénomène par la manière dont s’est opéré le retour à la démocratie, après la Seconde Guerre mondiale : #fascisme et entreprise coloniale ont été associés, pour mieux être passés sous #silence par la suite. Sauf que tout refoulé finit par remonter à la surface, en particulier quand l’actualité le rappelle : « Aujourd’hui, le corps du migrant a remplacé le corps du sujet colonial dans les #imaginaires. » « Les migrations contemporaines rappellent l’urgence de connaître la période coloniale », estime Scego.

    Alors que le monde politique traditionnel italien évite ce sujet délicat, la question est sur la table depuis une dizaine d’années, du côté de la gauche radicale. Le mérite revient surtout à un groupe d’écrivains qui s’est formé au début des années 2000 sous le nom collectif de Wu Ming (qui signifie tout à la fois « cinq noms » et « sans nom » en mandarin).

    Sous un autre nom, emprunté à un footballeur anglais des années 1980, Luther Blissett, ils avaient déjà publié collectivement un texte, L’Œil de Carafa (Seuil, 2001). Ils animent aujourd’hui le blog d’actualité politico-culturelle Giap. « On parle tous les jours des migrants africains sans que personne se souvienne du rapport historique de l’Italie à des pays comme l’Érythrée, la Somalie, l’Éthiopie ou la Libye », avance Giovanni Cattabriga, 45 ans, alias Wu Ming 2, qui est notamment le co-auteur en 2013 de Timira, roman métisse, une tentative de « créoliser la résistance italienne » à Mussolini.

    Dans le sillage des travaux du grand historien critique du colonialisme italien Angelo Del Boca, les Wu Ming ont ouvert un chantier de contre-narration historique qui cible le racisme inhérent à la culture italienne (dont certains textes sont traduits en français aux éditions Métailié). Leur angle d’attaque : le mythe d’une Italie au visage bienveillant, avec une histoire coloniale qui ne serait que marginale. Tout au contraire, rappelle Cattabriga, « les fondements du colonialisme italien ont été posés très rapidement après l’unification du pays, en 1869, soit huit ans à peine après la création du premier royaume d’Italie, et avant l’annexion de Rome en 1870 ».

    La construction nationale et l’entreprise coloniale se sont développées en parallèle. « Une partie de l’identité italienne s’est définie à travers l’entreprise coloniale, dans le miroir de la propagande et du racisme que celle-ci véhiculait », insiste Cattabriga. Bref, si l’on se souvient de la formule du patriote Massimo D’Azeglio, ancien premier ministre du royaume de Sardaigne et acteur majeur de l’unification italienne qui avait déclaré en 1861 que « l’Italie est faite, il faut faire les Italiens », on pourrait ajouter que les Italiens ont aussi été « faits » grâce au colonialisme, malgré les non-dits de l’histoire officielle.
    « La gauche nous a abandonnés »

    Au terme de refoulé, Cattabriga préfère celui d’oubli : « D’un point de vue psychanalytique, le refoulé se base sur une honte, un sentiment de culpabilité non résolu. Il n’y a aucune trace de ce sentiment dans l’histoire politique italienne. » À en croire cet historien, l’oubli colonial italien deviendrait la pièce fondamentale d’une architecture victimaire qui sert à justifier une politique de clôture face aux étrangers.

    « Jouer les victimes, cela fait partie de la construction nationale. Notre hymne dit : “Noi fummo da sempre calpesti e derisi, perché siam divisi” [“Nous avons toujours été piétinés et bafoués, puisque nous sommes divisés” – ndlr]. Aujourd’hui, le discours dominant présente les Italiens comme des victimes des migrations pour lesquelles ils n’ont aucune responsabilité. Cette victimisation ne pourrait fonctionner si les souvenirs de la violence du colonialisme restaient vifs. »

    Un mécanisme identique serait à l’œuvre dans la polémique sur le franc CFA : « On stigmatise la politique néocoloniale française en soulignant son caractère militaire, à quoi on oppose un prétendu “style italien” basé sur la coopération et l’aide à l’Afrique. Mais on se garde bien de dire que l’Italie détient des intérêts néocoloniaux concurrents de ceux des Français », insiste Cattabriga.

    L’historien Michele Colucci, auteur d’une récente Histoire de l’immigration étrangère en Italie, est sur la même ligne. Pour lui, « l’idée selon laquelle l’Italie serait un pays d’immigration récente est pratique, parce qu’elle évite de reconnaître la réalité des migrations, un phénomène de longue date en Italie ». Prenons le cas des Érythréens qui fuient aujourd’hui un régime autoritaire. Selon les chiffres des Nations unies et du ministère italien de l’intérieur, ils représentaient environ 14 % des 23 000 débarqués en Italie en 2018, soit 3 300 personnes. Ils ne formaient l’année précédente que 6 % des 119 000 arrivés. De 2015 à 2016, ils constituaient la deuxième nationalité, derrière le Nigeria, où l’ENI, le géant italien du gaz et du pétrole, opère depuis 1962.

    « Les migrations de Somalie, d’Éthiopie et d’Érythrée vers l’Italie ont commencé pendant la Seconde Guerre mondiale. Elles se sont intensifiées au moment de la décolonisation des années 1950 [la Somalie est placée sous tutelle italienne par l’ONU de 1950 à 1960, après la fin de l’occupation britannique – ndlr]. Cela suffit à faire de l’Italie une nation postcoloniale. » Même si elle refuse de le reconnaître.

    Les stéréotypes coloniaux ont la peau dure. Selon Giovanni Cattabriga, alias Wu Ming 2, « [ses collègues et lui ont] contribué à sensibiliser une partie de la gauche antiraciste, mais [il n’a] pas l’impression que, globalement, [ils soient] parvenus à freiner les manifestations de racisme » : « Je dirais tout au plus que nous avons donné aux antiracistes un outil d’analyse. »

    Igiaba Scego identifie un obstacle plus profond. « Le problème, affirme-t-elle, est qu’en Italie, les Afro-descendants ne font pas partie du milieu intellectuel. Nous sommes toujours considérés un phénomène bizarre : l’école, l’université, les rédactions des journaux sont des lieux totalement “blancs”. Sans parler de la classe politique, avec ses visages si pâles qu’ils semblent peints. »

    Ce constat sur la « blanchitude » des lieux de pouvoir italiens est une rengaine dans les milieux militants et antiracistes. L’activiste Filippo Miraglia, trait d’union entre les mondes politique et associatif, en est convaincu : « Malgré les plus de cinq millions de résidents étrangers présents depuis désormais 30 ans, nous souffrons de l’absence d’un rôle de premier plan de personnes d’origine étrangère dans la politique italienne, dans la revendication de droits. À mon avis, c’est l’une des raisons des défaites des vingt dernières années. »

    Miraglia, qui fut président du réseau ARCI (l’association de promotion sociale de la gauche antifasciste fondée en 1957, une des plus influentes dans les pays) entre 2014 et 2017 (il en est actuellement le chef du département immigration) et s’était présenté aux législatives de 2018 sur les listes de Libres et égaux (à gauche du Parti démocrate), accepte une part d’autocritique : « Dans les années 1990, les syndicats et les associations ont misé sur des cadres d’origine étrangère. Mais ce n’était que de la cooptation de personnes, sans véritable ancrage sur le terrain. Ces gens sont vite tombés dans l’oubli. Certains d’entre eux ont même connu le chômage, renforçant la frustration des communautés d’origine. »

    L’impasse des organisations antiracistes n’est pas sans rapport avec la crise plus globale des gauches dans le pays. C’est pourquoi, face à cette réalité, les solutions les plus intéressantes s’inventent sans doute en dehors des organisations traditionnelles. C’est le cas du mouvement des Italiens de deuxième génération, ou « G2 », qui réunit les enfants d’immigrés, la plupart nés en Italie, mais pour qui l’accès à la citoyenneté italienne reste compliqué.

    De 2005 à 2017, ces jeunes ont porté un mouvement social. Celui-ci exigeait une réforme de la loi sur la nationalité italienne qui aurait permis d’accorder ce statut à environ 800 000 enfants dans le pays. La loi visait à introduire un droit du sol, sous certaines conditions (entre autres, la présence d’un des parents sur le territoire depuis cinq ans ou encore l’obligation d’avoir accompli un cycle scolaire complet en Italie).

    Ce mouvement était parvenu à imposer le débat à la Chambre basse en 2017, sous le gouvernement de Matteo Renzi, mais il perdit le soutien du même Parti démocrate au Sénat. « La gauche a commis une grave erreur en rejetant cette loi, estime Igiaba Scego, qui s’était investie dans la campagne. Cette réforme était encore insuffisante, mais on se disait que c’était mieux que rien. La gauche nous a abandonnés, y compris celle qui n’est pas représentée au Parlement. Nous étions seuls à manifester : des immigrés et des enfants d’immigrés. Il y avait de rares associations, quelques intellectuels et un grand vide politique. À mon avis, c’est là que l’essor de Matteo Salvini [le chef de la Ligue, extrême droite – ndlr] a commencé. »

    Certains, tout de même, veulent rester optimistes, à l’instar de l’historien Michele Colucci qui signale dans son ouvrage le rôle croissant joué par les étrangers dans les luttes du travail, notamment dans les secteurs de l’agriculture : « Si la réforme de la nationalité a fait l’objet de discussions au sein du Parlement italien, c’est uniquement grâce à l’organisation d’un groupe de personnes de deuxième génération d’immigrés. Ce mouvement a évolué de manière indépendante des partis politiques et a fait émerger un nouvel agenda. C’est une leçon importante à retenir. »

    https://www.mediapart.fr/journal/international/241219/l-impense-colonial-de-la-politique-migratoire-italienne?onglet=full
    #colonialisme #Italie #impensé_colonial #colonisation #histoire #migrations #causes_profondes #push-factors #facteurs_push #Ethiopie #bombardements #guerre_coloniale #Libye #histoire #histoire_coloniale #empire_colonial #Somalie #Kenya #Wu_Ming #Luther_Blissett #littérature #Luther_Blissett #contre-récit #contre-narration #nationalisme #construction_nationale #identité #identité_italienne #racisme #oubli #refoulement #propagande #culpabilité #honte #oubli_colonial #victimes #victimisation #violence #néocolonialisme #stéréotypes_coloniaux #blanchitude #invisibilisation #G2 #naturalisation #nationalité #droit_du_sol #gauche #loi_sur_la_nationalité #livre

    –—
    Mouvement #seconde_generazioni (G2) :

    La Rete G2 - Seconde Generazioni nasce nel 2005. E’ un’organizzazione nazionale apartitica fondata da figli di immigrati e rifugiati nati e/o cresciuti in Italia. Chi fa parte della Rete G2 si autodefinisce come “figlio di immigrato” e non come “immigrato”: i nati in Italia non hanno compiuto alcuna migrazione; chi è nato all’estero, ma cresciuto in Italia, non è emigrato volontariamente, ma è stato portato qui da genitori o altri parenti. Oggi Rete G2 è un network di “cittadini del mondo”, originari di Asia, Africa, Europa e America Latina, che lavorano insieme su due punti fondamentali: i diritti negati alle seconde generazioni senza cittadinanza italiana e l’identità come incontro di più culture.

    https://www.secondegenerazioni.it

    ping @wizo @albertocampiphoto @karine4 @cede

  • L’utilisation massive de #gaz_lacrymogènes inquiète les #scientifiques du monde entier
    https://m.reporterre.net/L-utilisation-massive-de-gaz-lacrymogenes-inquiete-les-scientifiques-d

    L’utilisation massive des #gaz #lacrymogènes pour #réprimer les #foules est alarmante : aspergés en grande quantité, de manière répétée, ou dans des milieux confinés, ils se révèlent dangereux comme le montrent plusieurs #études_scientifiques.

    [...]

    « De nombreux rapports indiquent que l’utilisation et le mauvais usage de ces produits chimiques peuvent causer des blessures graves », indiquent les auteurs. Sur plus de 5.000 cas, ils relèvent notamment deux #morts (un pour des problèmes pulmonaires et un dû à l’impact de la grenade). 58 cas « d’#incapacité_permanente » sont aussi signalés, dont 14 personnes avec des #symptômes_psychiatriques_persistants, et 23 avec des problèmes respiratoires chroniques. 8 % des problèmes de santé documentés « étaient sévères et ont nécessité une intervention médicale professionnelle », indiquent-ils encore. « Nos recherches démontrent qu’il y a un sévère risque de mauvais usage » des #armes_chimiques en #manifestation, concluent-ils. « Elles peuvent potentiellement porter atteinte aux libertés en causant des blessures, en intimidant les communautés et en menant à une escalade de la violence. »

  • Statistiques de la conférence de presse des organisations syriennes et de la défense civile aujourd’hui sur les résultats de la récente campagne sur les zones libérées, #Idlib :
    - 600 victimes
    - 5 marchés populaires ciblés
    - 22 installations médicales ont été détruites
    - La fermeture de 55 établissements médicaux
    - Utilisation de chlore à Canibiet
    - 80 enfants tués
    - 50 écoles ciblées
    - 45 000 enfants sont sortis de l’éducation
    Déplacés 307 000 plus de 50 000 familles
    - 27 mosquées détruits
    - Destruction de 9 fours de production du pain
    - Brûler des cultures avec du Phosphore

    #guerre #conflit #victimes #statistiques #chiffres #phosphore #armes_chimiques Canibiet #destruction #écoles #enfants #déscolarisation #morts #décès

    Reçu d’un ami réfugié syrien qui vit à Grenoble, via whatsapp, le 01.06.2019

    • Stop the carnage: doctors call for an end to Syria hospital airstrikes

      Dozens of prominent doctors have called for urgent action to halt the bombing campaign by Syrian and Russian planes that has targeted more than 20 hospitals in Syria’s north-west, putting many out of action and leaving millions of people without proper healthcare.

      Coordinates for many of those hit had been shared with the regime and its Russian backers by the United Nations in an effort to protect civilians. The Syrian opposition were promised war planes would avoid identified sites on bombing raids; instead they have endured more than a month of fierce attacks.

      Since late April, in defiance of a truce brokered by Moscow and Ankara last year, regular airstrikes on opposition-held territory in northern Idlib province have killed hundreds of civilians and displaced hundreds of thousands more, rights groups say.

      They have also destroyed key parts of the healthcare system, says a letter from doctors around the world published in the Observer. “We are appalled by the deliberate and systematic targeting of healthcare facilities and medical staff,” they warned. “Their [the medical staff’s] job is to save lives, they must not lose their own in the process.”

      Signatories include Denis Mukwege, a gynaecologist who won the Nobel peace prize last year, Peter Agre, a physician who won the Nobel prize in chemistry in 2003, MP and doctor Sarah Wollaston, and Terence English, former president of the Royal College of Surgeons, as well as David Nott, a surgeon who works in war zones, and Zaher Sahloul, a Syrian exile, doctor and founder of a medical charity. They urged the UN to investigate the targeting of listed hospitals and asked the international community to put pressure on Russia and Syria to stop targeting medical centres and reverse funding cuts to surviving hospitals and clinics that are now overwhelmed by refugees.

      One paediatrician, Abdulkader Razouk, described to the Observer how he and his colleagues evacuated an entire hospital including dialysis patients, mothers in labour and premature babies in incubators, as airstrikes began in their town, at least 12 miles from the frontline. “After the airstrikes, but before the direct attack, we knew the hospital would be targeted,” he said in a phone interview about the Tarmala hospital, which was eventually hit on 10 May. “Only a few medical staff stayed to provide emergency response.”
      Letters: The BBC’s wish for a finger in every pie
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      The airstrike destroyed more than half the hospital and much of its equipment from beds and generators to the operating theatres, emergency services and pharmacy. Staff went back briefly to hunt through the rubble for any supplies that survived the onslaught but the building is now abandoned. “It would be impossible to rebuild and reopen now,” Razouk said. “The airstrikes are continuing and still targeting the hospital until this moment, even though it’s empty.”

      The May bombing was not the first attack on the hospital. That came in 2015, first with the Syrian military’s wildly inaccurate barrel bombs, and later by Russian missiles, that destroyed a residential building next door but spared the clinic itself. In 2018 there was a direct hit on the clinic but then it was able to reopen after repairs.

      However the damage after the latest attack was so severe that it is beyond repair, and anyway most of the civilians it served have fled, Razouk said.

      “This was the worst attack, it has been very tough, there is no possibility whatsoever to continue work there,” he said. “Life can’t return to this area, especially under these brutal attacks. There are no people, not even animals, there’s nothing left in there, it’s like a doomed land. There is no hope to go back.”

      He and other staff are opening a new temporary hospital near the Turkish border, where most of the residents of Tarmala have fled and are now living in refugee camps. It will have some of the neonatal incubators and dialysis machines evacuated before the strike, but there is a desperate need for more supplies.

      Around 80 medical facilities – including clinics and hospitals – have been shut because of damage in attacks or because of fear they will be targeted, said Mohamad Katoub from the Syrian American Medical Society. The huge number of refugees displaced by attacks has left those that are still operating overwhelmed.

      “The tactic of attacking health and other civilian infrastructure in Syria is not new, displacement is not new, these are all chronic issues. But this is the biggest displacement ever, and it is much further beyond our capacity as NGOs to respond,” he said.

      Turkey, which backs Idlib’s rebel groups, is already home to 3.6 million Syrians and faces the dilemma of whether or not to absorb any of the newly displaced. A group were reportedly planning a protest march to the border at the weekend.

      The de-escalation deal brokered last autumn saved Idlib and the surrounding countryside from an impending government assault. At the time, aid agencies warned that a military campaign would put the lives of 3 million civilians at risk, and trigger the worst humanitarian crisis of an already protracted and bloody war.

      But the agreement has unravelled since January, when the hardline Islamist group Hayat Tahrir al-Sham (HTS) wrested control of the area from more moderate rebels.

      Damascus and Moscow have said the HTS takeover legitimises the current campaign against Idlib as they are targeting terrorists not covered by the ceasefire deal.

      Many civilians in Idlib now feel they have been caught between the harsh rule of HTS and the intensified regime assault, and say that life has all but ground to a halt.

      “I was studying at Idlib university but I’ve had to stop going. So has my sister,” said 22-year-old Raja al-Assaad, from Ma’arat al-Nu’maan, which has been under heavy attack.

      “Some people have left to try to go to Turkey but the truth is that there is nowhere to go. Nowhere in Idlib is safe. And in my town we already have lots of people who have been displaced from lots of other areas of Syria.”

      “All normal life has shut down and there is nothing for us to do except wait for death.”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/02/doctors-global-appeal-stop-syria-bombing-hospitals-idlib

    • Russie/Syrie : Nouveau recours à des #armes interdites

      Ces attaques qui aggravent les souffrances des civils violent les normes du #droit_international.

      Les forces armées russes et syriennes ont utilisé de manière indiscriminée des armes interdites en vertu du droit international contre des zones civiles dans le nord-ouest de la Syrie au cours des dernières semaines, a déclaré Human Rights Watch aujourd’hui. Selon les Nations Unies, cette région est actuellement habitée par environ trois millions de civils, dont au moins la moitié sont des personnes déplacées ayant fui d’autres régions du pays.

      Depuis le 26 avril 2019, l’alliance militaire russo-syrienne a mené quotidiennement des centaines d’attaques contre des groupes antigouvernementaux dans les gouvernorats d’Idlib, de #Hama et d’#Alep,, tuant environ 200 civils, dont 20 enfants. L’alliance a utilisé contre des zones civiles densement peuplées des armes à sous-munitions et des armes incendiaires, pourtant interdites selon le droit international, ainsi que des barils d’explosifs (« #barrel_bombs ») largués sur ces zones, d’après des secouristes, des témoins et des informations disponibles via des sources en accès libre. Le 17 mai, le Conseil de sécurité des Nations Unies a tenu une deuxième réunion d’urgence au sujet de la situation dans le nord-ouest de la Syrie, sans pour autant élaborer une stratégie précise pour protéger les civils qui y résident.

      « L’alliance militaire russo-syrienne utilise de manière indiscriminée contre des civils piégés une panoplie d’armes pourtant interdites par le droit international », a déclaré Lama Fakih, directrice par intérim de la division Moyen-Orient à Human Rights Watch. « Entretemps, la Russie exploite sa présence au Conseil de sécurité des Nations Unies pour se protéger et pour protéger son allié à Damas, et pour poursuivre ces exactions contre des civils. »

      Les armes à sous-munitions peuvent être lancées depuis le sol par des systèmes d’artillerie, des roquettes et des projectiles, ou bien larguées depuis le ciel. Elles explosent généralement dans l’air, dispersant plusieurs petites bombes, ou sous-munitions, au-dessus d’une vaste zone. De nombreuses sous-munitions n’explosent toutefois pas lors de l’impact initial, ce qui laisse au sol de dangereux fragments explosifs qui, à l’instar des mines terrestres, peuvent mutiler et tuer, des années après.

      Les armes incendiaires, qui produisent de la chaleur et du feu par le bais de la réaction chimique d’une substance inflammable, provoquent des brûlures atroces et sont capables de détruire des maisons et d’autres structures civiles.

      La Convention de 2008 sur les armes à sous-munitions interdit l’utilisation d’armes à sous-munitions, tandis que le Protocole III de la Convention sur les armes classiques interdit certaines utilisations des armes incendiaires. La Russie et la Syrie ne font pas partie des 120 pays ayant adhéré à la Convention sur les armes à sous-munitions, mais la Russie est un État partie au Protocole sur les armes incendiaires.

      https://www.hrw.org/fr/news/2019/06/03/russie/syrie-nouveau-recours-des-armes-interdites

    • La battaglia per Idlib

      Dal 26 aprile le forze del governo siriano, sostenute dall’assistenza militare russa, hanno intensificato un’offensiva a Idlib, nella provincia nord-occidentale della Siria, l’ultima roccaforte dell’opposizione armata al presidente Assad. A Idlib vivono quasi tre milioni di persone, metà delle quali sfollate internamente. Per questo gli accordi di Astana firmati proprio dalla Russia, insieme a Turchia e Iran, indicavano Idlib come una zona di de-escalation delle violenze. Un accordo però che non sembra più aver valore. Ieri la Russia ha bloccato una dichiarazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, con la quale il consiglio voleva lanciare un allarme per l’intensificarsi del intorno alla provincia di Idlib, con l’intento di scongiurare un disastro umanitario.

      Anche nel conflitto libico i civili sono quelli a pagare il prezzo più alto. Attualmente in Libia ci sono oltre 1 milione di persone bisognose di assistenza umanitaria e protezione. Non solo migranti e rifugiati, ma anche sfollati libici che vivono in condizioni di estrema marginalità sociale, senza accesso a cure e servizi essenziali e martoriati dal conflitto in corso. La campagna #Oltrelefrontiere ” promossa da CIR vuole migliorare il livello di protezione di migranti, rifugiati e sfollati interni, fornendo assistenza umanitaria e promuovendo la ricerca di soluzioni durature, per contribuire alla progressiva normalizzazione delle loro condizioni di vita.

      https://www.raiplayradio.it/articoli/2019/06/Rai-Radio-3-Idlib-Siria-4e42d346-f7d0-4d71-9da3-7b293f2e7c89.html

  • La Présidence et le Gouvernement utilisent-ils des #armes chimiques contre le peuple et les policiers ? - News/Actualités-Vigi Ministère de l’Intérieur
    https://vigimi.fr/f/actualites-fr/entry/la-presidence-et-le-gouvernement-des-armes-chimiques-contre-ses-citoyens-et-s

    Les multiples informations scientifiques collectées relatives à la #dangerosité certaine et prouvée de l’agent CS sous toutes ses formes (aérosol de cristaux de CS dilués dans un solvant lui aussi identifié comme dangereux, grenade à poudre de cristaux secs de CS, munition combinée explosif et poudre de CS, etc.) doivent être communiquées à nos collègues et aux citoyens afin que chacun prenne ses responsabilités et puisse aussi vite que possible procéder aux examens qui s’imposent.

    Si l’on ajoute le nombre de nos collègues à celui des citoyens qui ont été exposés à ces gaz dans toute la France depuis novembre 2018, cela représente plus de 200,000 citoyens ce qui peut représenter une véritable catastrophe sanitaire.

    Nous demandons que soient clarifiées nos devoirs et nos responsabilités concernant l’usage de ces munitions et nos droits en matière de santé, de soin, de suivi médical régulier, de reconnaissance d’invalidité éventuelle et d’indemnisation.

  • Gaz lacrymogène: à #Montpellier, l’inquiétude grandit - Page 1 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/040419/gaz-lacrymogene-montpellier-suffoque

    « On est plus chaud ! Plus chaud ! Plus chaud qu’le #lacrymo ! » Ce slogan entendu quasiment chaque samedi dans le cortège des « gilets jaunes » symbolise la volonté de ne pas se retirer des rues du centre-ville de Montpellier, malgré la volonté des forces de l’ordre de disperser les manifestants. Mais les contestataires pourraient bien déchanter.

    En effet, ces deux dernières semaines, pour la première fois depuis le début du mouvement, un nombre important d’entre eux se plaint de la dégradation de leur #santé. Les témoignages sont nombreux et les symptômes vont tous dans le même sens : fatigues chroniques anormales, difficultés respiratoires, saignements du nez, céphalées, pics de tension, diarrhées et nausées.

    Une boucle Telegram, application de messagerie sécurisée, a été ouverte par Christophe, membre de la cellule communication au sein de l’assemblée des gilets jaunes de Montpellier, afin de recueillir ces témoignages. « J’ai des essoufflements au moindre effort. J’ai la sensation d’étouffement. Mon amplitude respiratoire est diminuée », écrit Hamida. « Les nuits sont difficiles. J’ai un gros mal de gorge, ma toux est douloureuse et j’ai mal aux poumons », peut-on lire également. Ou encore : « Je suis HS ! Je tousse grave et crache très jaune, j’ai la gorge irritée. » Des personnes, jusque-là non diagnostiquées comme asthmatiques, auraient même été prises de crises d’asthme.

  • « Les gaz lacrymogènes, outils de répression des insectes et des émeutiers », Jean-Baptiste Fressoz
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/02/27/les-gaz-lacrymogenes-outils-de-repression-des-insectes-et-des-emeutiers_5428

    Dans sa chronique, le chercheur Jean-Baptiste Fressoz retrace l’histoire des gaz utilisés par les forces de l’ordre contre les manifestants, et récemment les « gilets jaunes ».

    Chronique. La répression policière des « gilets jaunes » et la disparition des insectes − annoncée par des scientifiques pour le début du XXIIe siècle — partagent une origine commune qui remonte à la fin de la première guerre mondiale, au moment où les gaz de combat sont reconvertis à un usage civil, à la fois comme phytosanitaires pour nettoyer les champs et comme gaz lacrymogènes pour réprimer grévistes et émeutiers.

    En 1918, Amos Fries (1873-1963), l’énergique chef du service de la guerre chimique (CWS) de l’armée américaine, est désemparé : il est à la tête de 44 000 hommes, et surtout il a organisé un immense programme de recherche auquel collaborent 1 700 scientifiques. Il est en train d’inventer la guerre du futur et, soudainement, avec l’armistice, le CWS est en passe d’être démantelé.

    L’opinion publique est révulsée par les gaz de combat. La Chambre des représentants ratifie la convention de Washington puis celle de Genève, qui interdisent la guerre chimique. Pour Fries, c’est tout simplement incompréhensible : les gaz sont un moyen plus moderne, moins meurtrier, moins sanglant, plus propre en somme, de faire la guerre.
    Pour justifier son existence et son financement, le CWS doit convaincre l’état-major américain et l’opinion publique que les gaz peuvent trouver des usages en temps de paix. Amos Fries lance alors deux projets parallèles, l’un sur les pesticides, l’autre sur les grenades lacrymogènes.

    Le rêve d’une nature libre d’insectes

    Comme l’a bien montré l’historien Edmund Russell dans War and Nature (Cambridge University Press, 2001, non traduit), la première guerre mondiale a ouvert la voie aux #pesticides modernes : nouvelles molécules, nouveaux moyens d’épandage, et surtout nouvelle culture de l’éradication. Dans la propagande américaine, les Allemands étaient souvent comparés à des insectes qu’il fallait écraser et, réciproquement, les insectes étaient dépeints comme les ennemis de l’humanité, et cela d’autant plus facilement que le typhus (transmis par les puces) faisait des ravages dans les tranchées.

    En plein conflit, Stephen Allen Forbes (1844-1930), l’un des plus grands écologues américains déclarait : « La lutte entre l’homme et les insectes a commencé bien avant la civilisation, elle a continué sans armistice jusqu’à maintenant et continuera jusqu’à ce que l’espèce humaine prévale. » C’est durant la première guerre mondiale que naît le rêve d’une nature purgée des insectes et que commencent les grandes campagnes d’éradication, qui perdureront jusque dans les années 1970.

    La première guerre mondiale met aussi en évidence l’intérêt de la chloropicrine, une molécule jusqu’alors obscure, qui est un fongicide, mais qui possède aussi la particularité de provoquer des pleurs et des vomissements. Elle est moins connue que le gaz moutarde, mais il s’agit pourtant de l’arme chimique la plus utilisée pendant le conflit. Active à faible dose et pénétrant plus facilement dans les masques à gaz, elle était utilisée en guise de préliminaire : pris de pleurs et de suffocations, le soldat arrachait son masque, s’exposant ainsi à d’autres gaz plus dangereux. La chloropicrine est l’ancêtre des gaz lacrymogènes.

    Les Etats-Unis d’après-guerre offrent un terrain propice aux expérimentations policières : alors que de grandes grèves éclatent et qu’on agite le spectre d’une révolution bolchevique, les gaz lacrymogènes sont vantés par Amos Fries comme un outil de maintien de l’ordre à la fois plus efficace et plus humain que la matraque. Contrairement à cette dernière, ils laissent peu de traces et surtout ils individualisent l’émeutier pris dans une douleur atroce alors que les batailles rangées avec la police renforçaient la cohésion des foules. A partir de 1921, des petites entreprises montées par d’anciens du CWS fournissent les forces de police américaines en grenades lacrymogènes.
    Cent ans plus tard, on peut dire qu’Amos Fries et ses collègues ont triomphé : la guerre millénaire de l’humanité contre les insectes est en passe d’être gagnée, et les gaz lacrymogènes sont abondamment utilisés partout où la révolte gronde. L’ordre règne dans les champs et dans les rues.

    #gaz_lacrymogène #maintien_de_l'ordre #armes_chimiques #police

  • Armes chimiques : Washington, Paris et Londres avertissent Damas - L’Orient-Le Jour
    https://www.lorientlejour.com/article/1130804/armes-chimiques-washington-paris-et-londres-avertissent-damas.html

    « Que les choses soient claires : si le régime syrien emploie des armes chimiques, nous réagirons très fortement, et ils feraient bien de réfléchir un bon moment avant une quelconque décision », a affirmé John Bolton.

    Les Etats-Unis, la France et le Royaume-Uni ont averti mardi le président syrien Bachar el-Assad qu’ils ne laisseraient pas impunie toute utilisation d’armes chimiques par le régime de Damas dans son offensive pour reprendre la province d’Idleb.

    Utile avertissement diront certains, préparation d’un énième #false_flag répondront les autres. On n’avance pas beaucoup en #syrie

    • Titre totalement débile !

      Pour une chronique passionnante de l’histoire et la marginalisation de l’#OIAC (Organisation pour l’interdiction des #armes_chimiques) #OPCW avec les ignominies usuelles des Cheney, Bolton et consorts,…

      Irak (avril 2002)

      Finalement l’assemblée extraordinaire se tient sous forte pression américaine. L’Amérique Latine et l’Afrique s’abstiennent, tandis que le Brésil ne soutient pas José Bustani, le président Cardoso ne voulant pas risquer d’indisposer Washington. S’alignant sur le diktat des Etats-Unis, les pays occidentaux votent massivement pour le départ du Directeur général. Seule, et à la surprise générale, la France s’abstient ! La Russie, la Biélorussie, l’Iran, le Mexique, Cuba et le Soudan appuient José Bustani. Autre surprise : l’Inde qui avait soutenu de bout en bout le maintien du directeur de l’OIAC fait défection au dernier moment ! On apprend quelques jours plus tard que Washington a livré à New Delhi des systèmes radar de nouvelle génération dont les Etats-Unis bloquaient la vente depuis plusieurs années.

      cf. aussi https://fr.wikipedia.org/wiki/José_Bustani

      Syrie (2013 et suivantes)

      Initialement, l’OIAC disposait de 211 inspecteurs payés par l’Organisation sous la direction technique et politique du Directeur général. Désormais, les inspecteurs sont, majoritairement prêtés à l’Organisation et payés par leur gouvernement. En 2013, suite à l’accord noué par John Kerry et Sergueï Lavrov lors du G-20 de Saint-Pétersbourg sur le démantèlement des armes chimiques syriennes, l’OIAC aurait dû être l’acteur principal de sa mise en œuvre. Une fois encore Washington a tout fait pour que l’Organisation soit marginalisée alors que la Syrie avait – de fait – accepté la convention. Par conséquent, les inspections de l’OIAC auraient dû commencer dans ce pays, conformément à l’esprit et la lettre de la convention.

      En violation avec la Convention qui stipule que les armes chimiques doivent être détruites sur le territoire même du pays concerné, les armes syriennes ont été – soit-disant – démantelées sur un bateau croisant en Méditerranée et rejetées à la mer en violation aussi de toutes les directives onusiennes de protection de l’environnement. Selon les procédures de l’OIAC, les armes chimiques doivent être détruites dans des installations ad hoc prévues à cet effet, en sachant que leur coût est supérieur à celui des armes elles-mêmes ! La question de la destruction des armes chimiques syriennes demeure des plus opaques, comme celle de leurs utilisations maintes fois dénoncées par Washington et ladite communauté internationale.

  • Trois sociétés belges ont exporté un composant du #gaz_sarin vers la Syrie
    Trois sociétés belges ont vendu un composant du gaz sarin à des entreprises syriennes avec l’aval de la douane belge qui n’a apparemment pas tenu compte de l’interdiction en vigueur depuis 2014, révèle mercredi une enquête menée par le magazine Knack, citée aussi par Le Soir. Au total, 24 livraisons litigieuses ont eu lieu entre mai 2014 et décembre 2016, orchestrées par trois entreprises anversoises, #A.A.E. #Chemie_Trading, #Annex_Customs et #Danmar_Logistics, désormais poursuivies par la justice belge.
    http://www.lalibre.be/actu/international/trois-societes-belges-ont-exporte-un-composant-du-gaz-sarin-vers-la-syrie-5a
    #Syrie #guerre #commerce_d'armes #armes_chimiques #armement #armes #Belgique

  • Le régime syrien accusé une nouvelle fois d’ #attaque_chimique
    https://www.mediapart.fr/journal/international/080418/le-regime-syrien-accuse-une-nouvelle-fois-d-attaque-chimique

    Une attaque chimique au chlore, peut-être mêlé à du sarin, aurait ciblé l’enclave rebelle de la #Ghouta. Le régime de Bachar el-Assad et les Russes réfutent l’information, mais les États-Unis la prennent au sérieux et évoquent des représailles.

    #International #armes_chimiques #Russie #Syrie

  • Le régime syrien accusé une nouvelle fois d’une #attaque_chimique
    https://www.mediapart.fr/journal/international/080418/le-regime-syrien-accuse-une-nouvelle-fois-d-une-attaque-chimique

    Une attaque chimique au chlore, peut-être mêlé à du sarin, aurait ciblé l’enclave rebelle de la #Ghouta. Le régime de Bachar el-Assad et les Russes réfutent l’information, mais les États-Unis la prennent au sérieux et évoquent des représailles.

    #International #armes_chimiques #Russie #Syrie

  • L’enquête sur les #armes_chimiques en Syrie en suspense à l’ONU
    http://www.lemonde.fr/international/article/2017/10/24/l-onu-va-se-positionner-sur-l-enquete-sur-les-armes-chimiques-en-syrie_52050

    Est-ce que l’enquête sur les attaques menées en Syrie avec des armes chimiques va être prolongée ? C’est la question que va se poser le Conseil de sécurité des Nations unies (ONU), qui doit voter mardi sa poursuite ou non, ont rapporté lundi 23 octobre des diplomates.

    Cette mesure risque d’être bloquée par un veto de la Russie – alliée du régime du président syrien Bachar Al-Assad –, qui souhaite au préalable pouvoir consulter un rapport devant être publié jeudi, à propos de l’attaque au sarin menée en avril contre le village de #Khan_Cheikhoun, qui avait fait plus de 80 morts.

    Les Etats-Unis avaient réclamé la tenue d’un vote sur le projet de résolution présenté la semaine dernière visant à permettre au comité d’experts de l’ONU et de l’Organisation pour l’interdiction des armes chimiques de poursuivre pendant une année supplémentaire leurs travaux pour identifier les auteurs des attaques aux armes chimiques au cours des six ans de guerre en Syrie.

    L’ambassadrice américaine auprès de l’ONU, Nikki Haley, avait pressé vendredi le Conseil de sécurité « d’agir maintenant » pour soutenir cette prolongation. Le mandat actuel du comité d’enquête – baptisé Joint Investigative Mechanism – s’achève le 18 novembre.

    Le titre initial était, comme l’indique l’adresse : L’ONU va se positionner sur l’enquête sur les armes chimiques en Syrie. Il a été modifié moins d’une heure plus tard pour introduire ce… #en_suspense. Et donc, prolongation ou … suspension, l’affaire est en suspens ;-)

  • UN-Untersuchungsbericht Chan Scheichun -
    Regime verübte C-Waffen-Angriff

    http://www.taz.de/UN-Untersuchungsbericht-Chan-Scheichun/!5445774 - 2017-09-06

    "Die #UNO legt sich fest: Der Giftgasangriff auf den syrischen Rebellenort Chan Scheichun wurde von der Regierung durchgeführt."

    #Syrien #Chemiewaffen #Sarin #ChanScheichun #Nahost-Politik

    trouvé ici: https://diasp.eu/posts/6013680
    via http://02mydafsoup-01.soup.io/post/631689905/UN-Untersuchungsbericht-Chan-Scheichun-Regime-ver-bte