• Soutien à des maraîchers à #Nyons, où leur habitat est menacé par les autorités
    https://ricochets.cc/Soutien-a-des-maraichers-a-Nyons-ou-leur-habitat-est-menace-par-les-autori

    Tout près de Nyons, à Les Pilles, un coupe de maraîchers bio résiste pour pouvoir poursuivre leur activité. Un événement de soutien est prévu le 09 septembre. << Depuis nous mettons toutes nos forces à exploiter cette terre dans le plus strict respect de la nature : serres non chauffées, utilisation exclusive de traitements confectionnés à base de plantes, arrêt de l’utilisation du tracteur, plantation de haies… dans le but de recréer un sol vivant et de favoriser la biodiversité. Pour ce faire (...) #Les_Articles

    / Nyons, #Agriculture, #Autonomie_et_autogestion, #Ecologie

    https://ricochets.cc/IMG/distant/html/watchvFxhJmN552e-86cee9c.html

  • Siphonner les pauvres pour alimenter les riches et la Croissance
    https://ricochets.cc/Siphonner-les-pauvres-pour-alimenter-les-riches-et-la-Croissance.html

    Les pauvres sont pauvres, mais ils sont nombreux, et y a toujours moyen de les ponctionner davantage. Les nombreux minces filets font les grandes rivières de fric qui irriguent non-stop les plus riches et la valorisation du Capital. Vive le ruissellement ! Et puis les dirigeants du système en place considèrent sans doute que les pauvres mécontents auront toujours le « choix » d’émigrer vers des contrées temporairement plus propices ? Et puis il suffirait de travailler dur et de faire des efforts pour « (...) #Les_Articles

    / Travail, emploi, entreprise..., #Le_monde_de_L'Economie, Autoritarisme, régime policier, (...)

    #Travail,_emploi,_entreprise... #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...

  • Così la fine del #reddito_di_cittadinanza colpisce le donne vittime di violenza

    Secondo l’Istat il 38% delle donne inserite in un percorso di uscita dalla violenza ha subìto anche violenza economica e il 60% non ha autonomia finanziaria. Molte di loro per ricominciare avevano fatto ricorso al Rdc: adesso non ne usufruiranno più. I percorsi protetti sono rischio ed è possibile che tornino dal partner maltrattante

    Quando ha lasciato il marito che la picchiava, Alessia aveva sei figli da mantenere. Lavorava ma ha scelto di licenziarsi per mettersi in sicurezza. Arrivare a fine mese era difficile, soprattutto in una città costosa come Roma. Così è finita in una casa rifugio per donne vittime di violenza. Ha fatto domanda per ricevere il reddito di cittadinanza, che dopo qualche mese le è stato riconosciuto: insieme agli assegni familiari, arrivava a prendere circa 1.600 euro al mese. Con i soldi messi da parte, Alessia (il nome è di fantasia, come gli altri di questo articolo) si è poi trasferita con i figli in un piccolo paese nel Sud Italia: ha trovato un nuovo lavoro, e questo le ha permesso di ricominciare.

    Dal primo gennaio 2024 il reddito di cittadinanza verrà definitivamente sospeso, e questo rischia di compromettere i percorsi di uscita dalla violenza di molte donne. “Grazie al reddito di cittadinanza molte donne hanno lasciato il maltrattante e hanno trovato il coraggio di iniziare una nuova vita”, spiega Federica Scrollini, operatrice del centro antiviolenza BeFree di Roma. “Quel sostegno economico è stato volàno per la ricerca di una nuova autonomia che comprende casa, lavoro, cura di stesse e dei figli. Senza questa base di partenza, molti percorsi di fuoriuscita dalla violenza non vedranno la luce. D’altronde, con un mercato del lavoro in asfissia, i servizi sociali ridotti dall’osso e l’ennesima crisi economica alle porte, dove possiamo andare senza soldi?”.

    Secondo l’Istat il 38% delle donne inserite in un percorso di uscita dalla violenza ha subìto anche violenza economica. Il 60% non ha autonomia finanziaria, quota che sale al 69% se si considera la fascia tra i 18 e i 29 anni. Alcune di loro per ricominciare hanno fatto ricorso al reddito di cittadinanza, che da gennaio 2024 sarà sostituito dall’assegno di inclusione, concesso a tutte le famiglie con un minore, una persona con disabilità o con più di 60 anni, oppure con componenti svantaggiati inseriti in programmi di cura e assistenza certificati dalla pubblica amministrazione. L’importo è fino a 6mila euro l’anno, 500 al mese, più un contributo affitto di 3.360 euro l’anno, 280 al mese: il totale è di un massimo di 780 euro al mese, l’equivalente del reddito di cittadinanza. La misura prevede alcune agevolazioni per le donne vittime di violenza: nel conteggio dell’Isee, le donne potranno costituire nucleo familiare indipendente da quello del marito, e non avranno l’obbligo di partecipare percorsi di inclusione lavorativa, né di accettare le proposte di lavoro eventualmente offerte. “Il problema è che l’assegno esclude di fatto le donne che non hanno figli a carico, anche se si trovano in una situazione di difficoltà economica”, denuncia l’organizzazione ActionAid.

    Per le donne che non hanno figli, dal primo settembre c’è la possibilità di richiedere il supporto per la formazione e lavoro, pensato per le famiglie con una persona in grado di lavorare (i cosiddetti “occupabili”). Questo sussidio però è molto più ridotto -350 euro al mese- ed è vincolato alla partecipazione a progetti di formazione e di accompagnamento al lavoro individuati dal governo. Il limite massimo di Isee per ottenerlo, inoltre, è stato abbassato a 6mila euro, molto meno rispetto ai 9.360 euro del reddito di cittadinanza: gli “occupabili” che si trovano nella fascia intermedia restano senza aiuti. ActionAid ha lanciato quindi una petizione per chiedere al governo di garantire reddito, lavoro e autonomia abitativa affinché le donne non ricadano nella violenza.

    “Nei nostri servizi ci sono diverse donne che ancora ricevono il reddito di cittadinanza”, afferma Simona Lanzoni, vicepresidente della fondazione Pangea e coordinatrice della rete nazionale antiviolenza Reama, che ha aperto lo sportello Mia Economia sulla violenza economica. “Da gennaio rischiano di perdere quella sicurezza economica: ancora non sappiamo che cosa succederà. Comunque il reddito di cittadinanza non era una misura risolutiva: è utile in una fase iniziale, ma poi oltre quello che cosa c’è? In Italia mancano i sostegni al lavoro”.

    Lo sa bene Mara, brasiliana, arrivata in Italia da giovane. Per molti anni è stata vittima di violenza in ambito familiare, e ha anche subìto un abuso sessuale. Poi c’è stata la denuncia alla polizia: quando è arrivata in casa rifugio, aveva quasi cinquant’anni e non aveva niente in mano. Sono state le operatrici ad aiutarla a fare domanda per il reddito di cittadinanza: percepiva circa 700 euro al mese, e così si è sentita pronta a intraprendere un tirocinio, che da solo non le avrebbe garantito un guadagno sufficiente a sopravvivere. Dalla casa rifugio è passata alla casa di semi-autonomia: il tirocinio si è trasformato in un’assunzione, anche se a tempo determinato. Il contratto però le viene rinnovato di mese in mese, e il compenso non è sufficiente a pagare un affitto. Così Mara sta pensando di tornare in Brasile.

    Un altro strumento pensato per aiutare le donne che escono da una situazione di violenza e si trovano in condizione di povertà è il reddito di libertà: istituito nel 2020, consiste in un contributo economico di 400 euro al mese per un massimo di dodici mesi. Per il periodo tra il 2020 e il 2022 la misura è stata finanziata con 12 milioni di euro, a cui si aggiungono 1,8 milioni per il 2023: in tutto ne hanno potuto beneficiare meno di 3mila donne, un numero molto ridotto se si considera che secondo l’Istat ogni anno sarebbero circa 21mila le persone che avrebbero i requisiti per accedervi. In più non sono state adottate linee guida nazionali per valutare lo stato di bisogno delle richiedenti e oggi vige il principio del “chi prima arriva meglio alloggia”: le donne possono fare domanda e risultare idonee, ma una volta finiti i fondi non otterranno comunque il contributo.

    “Abbiamo molte donne che aspettano di ricevere il reddito di libertà”, spiega Mariangela Zanni, presidente del Centro Veneto Progetti Donna e consigliera dell’associazione nazionale Donne in rete contro la violenza(D.i.Re), che in Italia raccoglie più di cento centri antiviolenza e più di 50 case rifugio. “Si tratta di una misura importante, ma i finanziamenti sono pochi e le liste di attesa sono lunghe”.

    La violenza economica continua così ad essere uno dei principali strumenti di controllo sulla donna da parte del maltrattante. “La privazione del salario, l’impedimento di lavorare, l’obbligo a prendersi cura da sole dei figli, impedisce a molte donne che subiscono violenza di avere un’autonomia economica”, conclude Anita Lombardi, operatrice dello sportello di orientamento al lavoro del centro antiviolenza Casa delle donne di Bologna. “Per questo tutti gli strumenti che danno un sostegno economico, a partire dal reddito di cittadinanza fino al reddito di libertà, sono importanti affinché venga assicurato a queste donne il diritto a progettare la propria vita in libertà e autonomia”.

    https://altreconomia.it/cosi-la-fine-del-reddito-di-cittadinanza-colpisce-le-donne-vittime-di-v

    #revenu_de_Base #rdb #revenu_universel #Italie #femmes #violence_domestique #VSS #violences_sexuelles #violence_économique #autonomie_financière #autonomie #reddito_di_libertà

  • Nous gaspillons des milliards dans une révolution robotique qui n’arrivera pas Matthew Lynn - The Daily Telegraph

    Les espoirs placés dans la révolution robotique de la décennie 2020 se sont heurtés à des défis majeurs. Des échecs retentissants dans le domaine des robots cuisiniers et des taxis autonomes ont mis en évidence les limites techniques, les coûts élevés et les exigences de perfectionnement auxquels font face les innovations robotiques. Malgré les investissements massifs, la transition vers une automatisation généralisée semble encore lointaine et complexe.

    Les années 2020 étaient censées être la décennie où la révolution robotique décollait réellement. Nous serions tous en train de rouler dans des taxis contrôlés par ordinateur, de prendre des boissons auprès de robots barmans et de rentrer chez nous dans des maisons nettoyées par des serviteurs androïdes efficaces. Mais cela n’est pas encore arrivé et c’est pas pour demain.


    Au lieu de cela, à San Francisco, les voitures sans conducteur se détraquent ; tandis qu’en Grande-Bretagne, une start-up financée par des millions de dollars pour fabriquer des robots chefs a connu un échec spectaculaire. En réalité, la révolution des robots s’effondre – et des milliards sont sur le point d’être gaspillés dans le processus.

    Ce fut une semaine qui donne à réfléchir pour les évangélistes de l’industrie robotique. Vous pensez peut-être que San Francisco avait suffisamment de problèmes avec les vagabonds et la criminalité de rue, mais elle a désormais ajouté les taxis sans conducteur excentriques à sa liste de défis.

    Quelques jours après que l’unité Cruise de General Motors ait obtenu l’autorisation d’exploiter une flotte de taxis entièrement contrôlés par ordinateur, le chaos a éclaté dans les rues, obligeant à réduire de moitié le nombre de ces véhicules. L’un d’eux a heurté un camion de pompiers, tandis qu’un camion entièrement vide a été impliqué dans une collision avec un autre véhicule.


    Ce démarrage tumultueux n’est certainement pas ce que l’entreprise espérait, et il ne semble pas non plus susceptible d’inciter d’autres villes à permettre à Cruise, ou à des concurrents comme Waymo de Google, de déployer leurs véhicules sur leurs routes en toute liberté.

    De ce côté-ci de l’Atlantique, la startup spécialisée dans les robots cuisiniers, Karakuri, qui avait reçu d’importants financements, notamment de la part d’Ocado et du gouvernement, connaît actuellement des difficultés majeures. Les 4 millions de livres sterling investis par Ocado pour acquérir une participation de 20 % ont pratiquement été perdus, tout comme la majeure partie des autres investissements. En fin de compte, les actifs restants de l’entreprise ont été vendus pour seulement 350 000 livres sterling.

    Ses machines sophistiquées conçues pour préparer des sushis parmi une gamme de plats, remplaçant les chefs traditionnels, ont eu du mal à trouver une place rentable sur le marché. De même, Creator, une entreprise américaine qui construisait un restaurant de hamburgers entièrement géré par des robots, a fermé ses portes en mars.

    Pendant ce temps, il y a peu d’indications que les robots sont en train de conquérir le monde. Très peu d’entre nous possèdent encore des robots aspirateurs, et bien qu’il existe de nombreuses tondeuses à gazon automatisées sur le marché, la plupart d’entre nous préfèrent toujours la méthode traditionnelle de tonte manuelle dans le jardin.

    Mis à part quelques essais, la plupart de nos colis Amazon sont toujours livrés par des êtres humains, et nous continuons à acheter des produits auprès de vendeurs réels plutôt que d’opter pour des solutions électroniques. L’automatisation a eu un certain impact sur notre vie quotidienne. Les caisses en libre-service sont désormais courantes pour effectuer des achats rapides, et les chatbots sont là pour répondre à des questions simples lorsque nous souscrivons une nouvelle assurance.

    Cependant, il est frappant de constater à quel point la robotique a eu jusqu’à présent peu d’impact et combien de startups autrefois prometteuses ont été laissées de côté.

    Et ce, malgré d’énormes investissements. En 2021, l’industrie du capital-risque a injecté 17 milliards de dollars (13 milliards de livres sterling) dans le secteur, et presque autant l’année dernière, et ce n’est que l’argent destiné aux start-ups. Les grandes entreprises ont investi encore plus. Et il devrait y avoir une forte demande.

    Nous sommes tous conscients des pénuries de main-d’œuvre souvent paralysantes au Royaume-Uni, mais elles sont tout aussi graves en Allemagne, aux États-Unis et dans de nombreuses autres économies développées.

    Dans des secteurs comme l’hôtellerie et la logistique, les entreprises se plaignent constamment du manque de personnel. On pourrait penser qu’elles seraient enthousiastes à l’idée de faire appel à des robots pour effectuer le travail à leur place, mais malgré tous les investissements consentis, il n’y a pas grand-chose à montrer pour le moment. En réalité, trois défis majeurs se dressent devant elles.

    Tout d’abord, la technologie n’est généralement pas suffisamment performante. Il est relativement facile de créer une présentation convaincante pour attirer des investissements de sociétés de capital-risque et de concevoir un prototype capable d’accomplir quelques tâches simples en laboratoire. Cependant, transformer ce prototype en un produit fini pouvant être fabriqué en série est une tout autre histoire. Jusqu’à présent, il y a peu de preuves montrant que de nombreuses startups de robotique ont réussi à passer de la phase de développement à une intégration réussie dans le monde réel.

    Deuxièmement, le coût est souvent trop élevé. Pour ne prendre qu’un exemple, il existe déjà un certain nombre de robots barmen parmi lesquels choisir, et peut-être que certains d’entre eux préparent même un Martini assez décent. Mais une recherche rapide sur le Web révèle qu’ils coûtent généralement entre 116 000 et 151 000 euros pièce. C’est beaucoup.

    Il en va souvent de même pour les robots chefs, les serveuses ou le personnel d’enregistrement. Le simple fait est que les robots sont généralement conçus pour remplacer les compétences de bas niveau, qui, de toute évidence, se situent à l’extrémité la moins chère du marché du travail. Il est difficile de justifier de payer 116 000 euros pour un robot barman alors que vous pouvez en embaucher un vrai pour 29 000 euros par an.

    Bien sûr, avec des volumes plus importants et des séries de production plus longues, le coût de nombreux robots pourrait commencer à baisser, mais les prix devront baisser considérablement avant qu’ils ne deviennent réellement une proposition commercialement viable. Les entreprises ne remplaceront pas les gens par des machines tant qu’elles ne seront pas payées pour le faire.

    Enfin, les tâches pour lesquelles les robots pourraient être utilisés nécessitent des niveaux de perfection qu’ils ne peuvent pas encore atteindre. Personne ne veut d’un taxi sans chauffeur.

    robots #robot #travail #robotique #algorithme #robotisatio #automatisation #intelligence_artificielle #technologie #économie #capitalisme #santé #en_vedette #ia #numérique #société #startups

    Source : https://www.telegraph.co.uk/business/2023/08/27/robotics-revolution-falling-flat-metal-face
    Traduction : https://lemediaen442.fr/nous-gaspillons-des-milliards-dans-une-revolution-robotique-qui-narrive

  • Migration : « Inscrivons l’obligation d’identification des défunts anonymes dans le droit européen »

    La recherche d’identité des migrants morts en mer ou sur le territoire européen doit être systématisée afin de permettre aux familles de retrouver leurs proches disparus, plaident quatre professionnels de la médecine légale et des droits humains, dans une tribune au « Monde ».

    Le 9 août, quarante et une personnes ont été portées disparues au large des côtes de Lampedusa (Italie). Les témoignages des quatre survivants nous permettent de savoir que l’embarcation était partie des côtes tunisiennes avec quarante-cinq passagers, dont trois enfants. Cette énième tragédie vient s’ajouter à la longue liste des drames survenus en mer ces dernières années. Elle survient près de dix ans après le naufrage du 3 octobre 2013, là encore au large de Lampedusa, l’une des plus grandes tragédies maritimes du XXIe siècle.

    Dans la nuit du 13 au 14 juin, le naufrage d’une embarcation au large des côtes grecques a entraîné la disparition de plusieurs centaines de personnes. En raison de l’absence de renflouage de l’épave et d’examens médico-légaux, l’identité des hommes, femmes et enfants disparus dans cette tragédie ne sera pas formellement établie.

    Cette absence de collecte de #données_post_mortem ainsi que l’absence d’activation de #procédures de collecte de #données_ante_mortem des proches des #disparus soulèvent de nombreuses questions éthiques et juridiques. Elles entravent en effet la possibilité pour les proches des défunts de faire leur #deuil en l’#absence de #corps, ou d’engager les démarches administratives habituelles en cas de décès, démarches qui nécessitent précisément un #certificat_de_décès.

    Au cours des décennies 2000 et 2010, les #disparitions_anonymes au sein et aux portes de l’Europe ont significativement augmenté. Ce phénomène est intimement lié à la dangerosité croissante des migrations transfrontalières, et notamment des traversées par voies maritimes. Au-delà des disparus en mer, dont l’identité précise demeure bien souvent inconnue, il faut reconnaître la hausse des disparitions anonymes sur le territoire européen. Nous observons l’arrivée croissante, dans nos services médico-légaux de Paris et de Milan, de corps sans aucun élément d’identité et pour lesquels la prise en charge ne fait pas l’objet d’un protocole. Si ce #protocole existe pour les victimes de catastrophe, il est rarement appliqué aux morts du quotidien.

    Transformer l’émotion en action

    Une telle réalité s’inscrit dans un contexte plus général où les sciences médico-légales ont fait des progrès significatifs, notamment en ce qui concerne le prélèvement, le croisement et l’archivage des données morphologiques, biométriques et génétiques. La mise en œuvre d’efforts concertés à l’échelle européenne permettrait d’appliquer le #cadre_législatif qui donnerait une chance à ces #corps_anonymes d’être un jour identifiés.

    En inscrivant dans le #droit européen une obligation étatique d’identification des #défunts_anonymes, imposant la collecte de données scientifiques ante mortem auprès des proches (photographies, radiographies, matériel clinique et génétique) et la comparaison avec les données post mortem recueillies lors d’#autopsies complètes sur les corps anonymes, il nous serait ainsi possible de mettre en place et de consolider des #bases_de_données biométriques contenant les caractéristiques et #profils_génétiques afin de maximiser les chances d’identifier les corps anonymes.

    En réponse à l’onde de choc suscitée par le naufrage du 18 avril 2015, l’Italie avait pris l’initiative de renflouer l’épave du chalutier située à 400 mètres de profondeur, afin de permettre à des travaux d’identification des quelque mille victimes d’être engagés. Cette initiative n’a pas été reconduite lors des naufrages successifs et, dans un silence relatif, nos sociétés se sont habituées à ce que des hommes, des femmes et des enfants puissent disparaître sans laisser de trace et sans que leurs proches soient dûment informés.

    Alors que nous nous préparons à commémorer les 10 ans de la tragédie du 3 octobre 2013, il nous semble nécessaire de transformer l’émotion en action. Nous appelons à un engagement collectif pour mettre en œuvre les efforts nécessaires afin d’accélérer et de garantir la recherche d’identité des défunts anonymes, rendant ainsi à leurs familles les proches disparus qu’elles recherchent encore. Cela ne peut se faire sans un nouvel effort législatif à l’échelle de l’Europe.

    #Charles_Autheman, consultant international spécialisé dans les droits humains ; #Cristina_Cattaneo, professeure titulaire en médecine légale à l’institut Labanof, université de Milan ; #Tania_Delabarde, anthropologue légiste, Institut médico-légal de Paris ; #Bertrand_Ludes, professeur de médecine légale, directeur de l’Institut médico-légal de Paris

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/30/migration-inscrivons-l-obligation-d-identification-des-defunts-anonymes-dans

    #décès #morts #mourir_aux_frontières #identification #biométrie

  • ★ Le parlement est la représentation politique de la société bourgeoise - GLJD

    (...) Nous faisons partie du peuple, cette partie du peuple qui exprime de manière presque corporelle son rejet total de ce qu’est la démocratie parlementaire, mais surtout en affirmant de manière très simple qu’on ne perçoit pas de changement fondamental dans notre vie à voter ou à ne pas voter. Tant de politiciens nous ont trompés, nous ont volés. En votant pour eux, la vie allait changer. Mais au lendemain des élections, les petits chefs commandaient toujours à l’usine. Les inspecteurs inspectaient toujours les enseignants et les fins de mois étaient toujours aussi difficiles. La domination du petit peuple continuait. Parfois même avec un changement de gouvernement. Les gens essayaient la gauche puis revenaient à la droite, c’est ce qu’on appelait l’alternance. De nos jours, avec le RN, on parle de tripartition de la politique française. C’est un nouveau terme pour dire qu’il y a maintenant trois pôles qui aspirent au pouvoir et non plus deux comme auparavant (...)

    #politique #bourgeoisie #capitalisme #parlementarisme #vote #élections #politiciens #gauche #droite #extrêmedroite #abstention #antiélectoralisme #antiétatisme #anarchisme #anticapitalisme #émancipation #autogestion

    ⏩ Lire l’article complet...

    ▶️ https://le-libertaire.net/le-parlement-est-la-representation-politique-de-la-societe-bourgeoise

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  • Coop ou pas coop de trouver une alternative à la grande distribution ?

    Un #magasin sans client, sans salarié, sans marge, sans contrôle, sans espace de pouvoir où la confiance règne vous y croyez ? Difficile, tant le modèle et les valeurs de la grande distribution, et plus largement capitalistes et bourgeoises ont façonnés nos habitus. Néanmoins, parmi nous certains cherchent l’alternative : supermarchés coopératifs, collaboratifs, épiceries participatives, citoyennes, etc. Des alternatives qui pourtant reprennent nombre des promesses de la grande distribution et de ses valeurs. Les épiceries “autogérées”, “libres” ou encore en “gestion directe” tranchent dans ce paysage. Lieux d’apprentissage de nouvelles habitudes, de remise en cause frontale du pouvoir pyramidal et pseudo-horizontal. Ce modèle sera évidemment à dépasser après la révolution, mais d’ici-là il fait figure de favori pour une #émancipation collective et individuelle.

    Le supermarché : une #utopie_capitaliste désirable pour les tenants de la croyance au mérite

    Le supermarché est le modèle hégémonique de #distribution_alimentaire. #Modèle apparu seulement en 1961 en région parisienne il s’est imposé en quelques décennies en colonisant nos vies, nos corps, nos désirs et nos paysages. Cette utopie capitaliste est devenue réalité à coup de #propagande mais également d’adhésion résonnant toujours avec les promesses de l’époque : travaille, obéis, consomme ; triptyque infernal où le 3e pilier permet l’acceptation voire l’adhésion aux deux autres à la mesure du mérite individuel fantasmé.

    Malgré le succès et l’hégémonie de ce modèle, il a parallèlement toujours suscité du rejet : son ambiance aseptisée et criarde, industrielle et déshumanisante, la relation de prédation sur les fournisseurs et les délocalisations qui en découlent, sa privatisation par les bourgeois, la volonté de manipuler pour faire acheter plus ou plus différenciant et cher, le greenwashing (le fait de servir de l’écologie de manière opportuniste pour des raisons commerciales), etc., tout ceci alimente les critiques et le rejet chez une frange de la population pour qui la recherche d’alternative devient motrice.

    C’est donc contre ce modèle que se (re)créent des #alternatives se réclamant d’une démarche plus démocratique, plus inclusive, ou de réappropriation par le citoyen… Or, ces alternatives se réalisent en partant du #modèle_dominant, jouent sur son terrain selon ses règles et finalement tendent à reproduire souvent coûte que coûte, parfois inconsciemment, les promesses et les côtés désirables du supermarché.
    Comme le dit Alain Accardo dans De Notre Servitude Involontaire “ce qu’il faut se résoudre à remettre en question – et c’est sans doute la pire difficulté dans la lutte contre le système capitaliste -, c’est l’#art_de_vivre qu’il a rendu possible et désirable aux yeux du plus grand nombre.”
    Le supermarché “coopératif”, l’épicerie participative : des pseudo alternatives au discours trompeur

    Un supermarché dit “coopératif” est… un supermarché ! Le projet est de reproduire la promesse mais en supprimant la part dévolue habituellement aux bourgeois : l’appellation “coopératif” fait référence à la structure juridique où les #salariés ont le #pouvoir et ne reversent pas de dividende à des actionnaires. Mais les salariés ont tendance à se comporter collectivement comme un bourgeois propriétaire d’un “moyen de production” et le recrutement est souvent affinitaire : un bourgeois à plusieurs. La valeur captée sur le #travail_bénévole est redistribuée essentiellement à quelques salariés. Dans ce type de supermarché, les consommateurs doivent être sociétaires et “donner” du temps pour faire tourner la boutique, en plus du travail salarié qui y a lieu. Cette “#coopération” ou “#participation” ou “#collaboration” c’est 3h de travail obligatoire tous les mois sous peine de sanctions (contrôles à l’entrée du magasin pour éventuellement vous en interdire l’accès). Ces heures obligatoires sont cyniquement là pour créer un attachement des #bénévoles au supermarché, comme l’explique aux futurs lanceurs de projet le fondateur de Park Slope Food le supermarché New-Yorkais qui a inspiré tous les autres. Dans le documentaire FoodCoop réalisé par le fondateur de la Louve pour promouvoir ce modèle :”Si vous demandez à quelqu’un l’une des choses les plus précieuses de sa vie, c’est-à-dire un peu de son temps sur terre (…), la connexion est établie.”

    L’autre spécificité de ce modèle est l’#assemblée_générale annuelle pour la #démocratie, guère mobilisatrice et non propice à la délibération collective. Pour information, La Louve en 2021 obtient, par voie électronique 449 participations à son AG pour plus de 4000 membres, soit 11%. Presque trois fois moins avant la mise en place de cette solution, en 2019 : 188 présents et représentés soit 4,7%. À Scopeli l’AG se tiendra en 2022 avec 208 sur 2600 membres, soit 8% et enfin à la Cagette sur 3200 membres actifs il y aura 143 présents et 119 représentés soit 8,2%

    Pour le reste, vous ne serez pas dépaysés, votre parcours ressemblera à celui dans un supermarché traditionnel. Bien loin des promesses de solidarité, de convivialité, de résistance qui n’ont su aboutir. Les militants voient de plus en plus clairement les impasses de ce modèle mais il fleurit néanmoins dans de nouvelles grandes villes, souvent récupéré comme plan de carrière par des entrepreneurs de l’#ESS qui y voient l’occasion de se créer un poste à terme ou de développer un business model autour de la vente de logiciel de gestion d’épicerie en utilisant ce souhait de milliers de gens de trouver une alternative à la grande distribution.

    #La_Louve, le premier supermarché de ce genre, a ouvert à Paris en 2016. Plus de 4000 membres, pour plus d’1,5 million d’euros d’investissement au départ, 3 années de lancement et 7,7 millions de chiffre d’affaires en 2021. À la création il revendiquait des produits moins chers, de fonctionner ensemble autrement, ne pas verser de dividende et de choisir ses produits. Cette dernière est toujours mise en avant sur la page d’accueil de leur site web : “Nous n’étions pas satisfaits de l’offre alimentaire qui nous était proposée, alors nous avons décidé de créer notre propre supermarché.” L’ambition est faible et le bilan moins flatteur encore : vous retrouverez la plupart des produits présents dans les grandes enseignes (loin derrière la spécificité d’une Biocoop, c’est pour dire…), à des #prix toujours relativement élevés (application d’un taux de 20% de marge).

    À plus petite échelle existent les épiceries “participatives”. La filiation avec le #supermarché_collaboratif est directe, avec d’une cinquantaine à quelques centaines de personnes. Elles ne peuvent généralement pas soutenir de #salariat et amènent des relations moins impersonnelles grâce à leur taille “plus humaine”. Pour autant, certaines épiceries sont des tremplins vers le modèle de supermarché et de création d’emploi pour les initiateurs. Il en existe donc avec salariés. Les marges, selon la motivation à la croissance varient entre 0 et 30%.

    #MonEpi, startup et marque leader sur un segment de marché qu’ils s’efforcent de créer, souhaite faire tourner son “modèle économique” en margeant sur les producteurs (marges arrières de 3% sur les producteurs qui font annuellement plus de 10 000 euros via la plateforme). Ce modèle très conforme aux idées du moment est largement subventionné et soutenu par des collectivités rurales ou d’autres acteurs de l’ESS et de la start-up nation comme Bouge ton Coq qui propose de partager vos données avec Airbnb lorsque vous souhaitez en savoir plus sur les épiceries, surfant sur la “transition” ou la “résilience”.

    Pour attirer le citoyen dynamique, on utilise un discours confus voire trompeur. Le fondateur de MonEpi vante volontiers un modèle “autogéré”, sans #hiérarchie, sans chef : “On a enlevé le pouvoir et le profit” . L’informatique serait, en plus d’être incontournable (“pour faire ce que l’on ne saurait pas faire autrement”), salvatrice car elle réduit les espaces de pouvoir en prenant les décisions complexes à la place des humains. Pourtant cette gestion informatisée met toutes les fonctions dans les mains de quelques sachant, le tout centralisé par la SAS MonEpi. De surcroit, ces épiceries se dotent généralement (et sont incitées à le faire via les modèles de statut fournis par MonEpi) d’une #organisation pyramidale où le simple membre “participe” obligatoirement à 2-3h de travail par mois tandis que la plupart des décisions sont prises par un bureau ou autre “comité de pilotage”, secondé par des commissions permanentes sur des sujets précis (hygiène, choix des produits, accès au local, etc.). Dans certains collectifs, le fait de participer à ces prises de décision dispense du travail obligatoire d’intendance qui incombe aux simples membres…

    Pour finir, nous pouvons nous demander si ces initiatives ne produisent pas des effets plus insidieux encore, comme la possibilité pour la sous-bourgeoisie qui se pense de gauche de se différencier à bon compte : un lieu d’entre-soi privilégié où on te vend, en plus de tes produits, de l’engagement citoyen bas de gamme, une sorte d’ubérisation de la BA citoyenne, où beaucoup semblent se satisfaire d’un énième avatar de la consom’action en se persuadant de lutter contre la grande distribution. De plus, bien que cela soit inconscient ou de bonne foi chez certains, nous observons dans les discours de nombre de ces initiatives ce que l’on pourrait appeler de l’#autogestion-washing, où les #inégalités_de_pouvoir sont masqués derrière des mots-clés et des slogans (Cf. “Le test de l’Autogestion” en fin d’article).

    L’enfer est souvent pavé de bonnes intentions. Et on pourrait s’en contenter et même y adhérer faute de mieux. Mais ne peut-on pas s’interroger sur les raisons de poursuivre dans des voies qui ont clairement démontré leurs limites alors même qu’un modèle semble apporter des réponses ?

    L’épicerie autogérée et autogouvernée / libre : une #utopie_libertaire qui a fait ses preuves

    Parfois nommé épicerie autogérée, #coopérative_alimentaire_autogérée, #épicerie_libre ou encore #épicerie_en_gestion_directe, ce modèle de #commun rompt nettement avec nombre des logiques décrites précédemment. Il est hélas largement invisibilisé par la communication des modèles sus-nommés et paradoxalement par son caractère incroyable au sens premier du terme : ça n’est pas croyable, ça remet en question trop de pratiques culturelles, il est difficile d’en tirer un bénéfice personnel, c’est trop beau pour être vrai…Car de loin, cela ressemble à une épicerie, il y a bien des produits en rayon mais ce n’est pas un commerce, c’est un commun basé sur l’#égalité et la #confiance. L’autogestion dont il est question ici se rapproche de sa définition : la suppression de toute distinction entre dirigeants et dirigés.

    Mais commençons par du concret ? À #Cocoricoop , épicerie autogérée à Villers-Cotterêts (02), toute personne qui le souhaite peut devenir membre, moyennant une participation libre aux frais annuels (en moyenne 45€ par foyer couvrant loyer, assurance, banque, électricité) et le pré-paiement de ses futures courses (le 1er versement est en général compris entre 50€ et 150€, montant qui est reporté au crédit d’une fiche individuelle de compte). À partir de là, chacun.e a accès aux clés, au local 24h/24 et 7 jours/7, à la trésorerie et peut passer commande seul ou à plusieurs. Les 120 foyers membres actuels peuvent venir faire leurs courses pendant et hors des permanences. Ces permanences sont tenues par d’autres membres, bénévolement, sans obligation. Sur place, des étagères de diverses formes et tailles, de récup ou construites sur place sont alignées contre les murs et plus ou moins généreusement remplies de produits. On y fait ses courses, pèse ses aliments si besoin puis on se dirige vers la caisse… Pour constater qu’il n’y en a pas. Il faut sortir une calculatrice et calculer soi-même le montant de ses courses. Puis, ouvrir le classeur contenant sa fiche personnelle de suivi et déduire ce montant de son solde (somme des pré-paiements moins somme des achats). Personne ne surveille par dessus son épaule, la confiance règne.

    Côté “courses”, c’est aussi simple que cela, mais on peut y ajouter tout un tas d’étapes, comme discuter, accueillir un nouveau membre, récupérer une débroussailleuse, participer à un atelier banderoles pour la prochaine manif (etc.). Qu’en est-il de l’organisation et l’approvisionnement ?

    Ce modèle de #commun dont la forme épicerie est le prétexte, cherche avant tout, à instituer fondamentalement et structurellement au sein d’un collectif les règles établissant une égalité politique réelle. Toutes les personnes ont le droit de décider et prendre toutes les initiatives qu’elles souhaitent. “#Chez_Louise” dans le Périgord (Les Salles-Lavauguyon, 87) ou encore à #Dionycoop (St-Denis, 93), comme dans toutes les épiceries libres, tout le monde peut, sans consultation ou délibération, décider d’une permanence, réorganiser le local, organiser une soirée, etc. Mieux encore, toute personne est de la même manière légitime pour passer commande au nom du collectif en engageant les fonds disponibles dans la trésorerie commune auprès de tout fournisseur ou distributeur de son choix. La trésorerie est constituée de la somme des dépôts de chaque membre. Les membres sont incités à laisser immobilisé sur leur fiche individuelle une partie de leurs dépôts. Au #Champ_Libre (Preuilly-Sur-Claise, 37), 85 membres disposent de dépôts moyens de 40-50€ permettant de remplir les étagères de 3500€ selon l’adage, “les dépôts font les stocks”. La personne qui passe la commande s’assure que les produits arrivent à bon port et peut faire appel pour cela au collectif.

    D’une manière générale, les décisions n’ont pas à être prises collectivement mais chacun.e peut solliciter des avis.

    Côté finances, à #Haricocoop (Soissons, 02), quelques règles de bonne gestion ont été instituées. Une #créditomancienne (personne qui lit dans les comptes bancaires) vérifie que le compte est toujours en positif et un “arroseur” paye les factures. La “crédito” n’a aucun droit de regard sur les prises de décision individuelle, elle peut seulement mettre en attente une commande si la trésorerie est insuffisante. Il n’y a pas de bon ou de mauvais arroseur : il voit une facture, il paye. Une autre personne enfin vérifie que chacun a payé une participation annuelle aux frais, sans juger du montant. Ces rôles et d’une manière générale, toute tâche, tournent, par tirage au sort, tous les ans afin d’éviter l’effet “fonction” et impliquer de nouvelles personnes.

    Tout repose donc sur les libres initiatives des membres, sans obligations : “ce qui sera fait sera fait, ce qui ne sera pas fait ne sera pas fait”. Ainsi, si des besoins apparaissent, toute personne peut se saisir de la chose et tenter d’y apporter une réponse. Le corolaire étant que si personne ne décide d’agir alors rien ne sera fait et les rayons pourraient être vides, le local fermé, les produits dans les cartons, (etc.). Il devient naturel d’accepter ces ‘manques’ s’il se produisent, comme conséquence de notre inaction collective et individuelle ou l’émanation de notre niveau d’exigence du moment.

    Toute personne peut décider et faire, mais… osera-t-elle ? L’épicerie libre ne cherche pas à proposer de beaux rayons, tous les produits, un maximum de membres et de chiffre d’affaires, contrairement à ce qui peut être mis en avant par d’autres initiatives. Certes cela peut se produire mais comme une simple conséquence, si la gestion directe et le commun sont bien institués ou que cela correspond au niveau d’exigence du groupe. C’est à l’aune du sentiment de #légitimité, que chacun s’empare du pouvoir de décider, de faire, d’expérimenter ou non, que se mesure selon nous, le succès d’une épicerie de ce type. La pierre angulaire de ces initiatives d’épiceries libres et autogouvernées repose sur la conscience et la volonté d’instituer un commun en le soulageant de tous les espaces de pouvoir que l’on rencontre habituellement, sans lequel l’émancipation s’avèrera mensongère ou élitiste. Une méfiance vis-à-vis de certains de nos réflexes culturels est de mise afin de “s’affranchir de deux fléaux également abominables : l’habitude d’obéir et le désir de commander.” (Manuel Gonzáles Prada) .

    L’autogestion, l’#autogouvernement, la gestion directe, est une pratique humaine qui a l’air utopique parce que marginalisée ou réprimée dans notre société : nous apprenons pendant toute notre vie à fonctionner de manière autoritaire, individualiste et capitaliste. Aussi, l’autogestion de l’épicerie ne pourra que bénéficier d’une vigilance de chaque instant de chacun et chacune et d’une modestie vis-à-vis de cette pratique collective et individuelle. Autrement, parce que les habitudes culturelles de domination/soumission reviennent au galop, le modèle risque de basculer vers l’épicerie participative par exemple. Il convient donc de se poser la question de “qu’est-ce qui en moi/nous a déjà été “acheté”, approprié par le système, et fait de moi/nous un complice qui s’ignore ?” ^9 (ACCARDO) et qui pourrait mettre à mal ce bien commun.

    S’affranchir de nos habitus capitalistes ne vient pas sans effort. Ce modèle-là ne fait pas mine de les ignorer, ni d’ignorer le pouvoir qu’ont les structures et les institutions pour conditionner nos comportements. C’est ainsi qu’il institue des “règles du jeu” particulières pour nous soutenir dans notre quête de #confiance_mutuelle et d’#égalité_politique. Elles se résument ainsi :

    Ce modèle d’épicerie libre diffère ainsi très largement des modèles que nous avons pu voir plus tôt. Là où la Louve cherche l’attachement via la contrainte, les épiceries autogérées cherchent l’#appropriation et l’émancipation par ses membres en leur donnant toutes les cartes. Nous soulignons ci-dessous quelques unes de ces différences majeures :

    Peut-on trouver une alternative vraiment anticapitaliste de distribution alimentaire ?

    Reste que quelque soit le modèle, il s’insère parfaitement dans la #société_de_consommation, parlementant avec les distributeurs et fournisseurs. Il ne remet pas en cause frontalement la logique de l’#économie_libérale qui a crée une séparation entre #consommateur et #producteur, qui donne une valeur comptable aux personnes et justifie les inégalités d’accès aux ressources sur l’échelle de la croyance au mérite. Il ne règle pas non plus par magie les oppressions systémiques.

    Ainsi, tout libertaire qu’il soit, ce modèle d’épicerie libre pourrait quand même n’être qu’un énième moyen de distinction sociale petit-bourgeois et ce, même si une épicerie de ce type a ouvert dans un des quartiers les plus défavorisés du département de l’Aisne (réservée aux personnes du quartier qui s’autogouvernent) et que ce modèle génère très peu de barrière à l’entrée (peu d’administratif, peu d’informatique,…).

    On pourrait aussi légitimement se poser la question de la priorité à créer ce type d’épicerie par rapport à toutes les choses militantes que l’on a besoin de mettre en place ou des luttes quotidiennes à mener. Mais nous avons besoin de lieux d’émancipation qui ne recréent pas sans cesse notre soumission aux logiques bourgeoises et à leurs intérêts et institutions. Une telle épicerie permet d’apprendre à mieux s’organiser collectivement en diminuant notre dépendance aux magasins capitalistes pour s’approvisionner (y compris sur le non alimentaire). C’est d’autant plus valable en période de grève puisqu’on a tendance à enrichir le supermarché à chaque barbecue ou pour approvisionner nos cantines et nos moyens de lutte.

    Au-delà de l’intérêt organisationnel, c’est un modèle de commun qui remet en question concrètement et quotidiennement les promesses et les croyances liées à la grande distribution. C’est très simple et très rapide à monter. Aucune raison de s’en priver d’ici la révolution !
    Le Test de l’Autogestion : un outil rapide et puissant pour tester les organisations qui s’en réclament

    À la manière du test de Bechdel qui permet en trois critères de mettre en lumière la sous-représentation des femmes et la sur-représentation des hommes dans des films, nous vous proposons un nouvel outil pour dénicher les embuscades tendues par l’autogestion-washing, en toute simplicité : “le test de l’Autogestion” :

    Les critères sont :

    - Pas d’AGs ;

    - Pas de salarié ;

    - Pas de gestion informatisée.

    Ces 3 critères ne sont pas respectés ? Le collectif ou l’organisme n’est pas autogéré.

    Il les coche tous ? C’est prometteur, vous tenez peut être là une initiative sans donneur d’ordre individuel ni collectif, humain comme machine ! Attention, le test de l’autogestion permet d’éliminer la plupart des faux prétendants au titre, mais il n’est pas une garantie à 100% d’un modèle autogéré, il faudra pousser l’analyse plus loin. Comme le test de Bechdel ne vous garantit pas un film respectant l’égalité femme-homme.

    Il faut parfois adapter les termes, peut être le collectif testé n’a pas d’Assemblée Générale mais est doté de Réunions de pilotage, n’a pas de salarié mais des services civiques, n’a pas de bureau mais des commissions/groupe de travail permanents, n’a pas de logiciel informatique de gestion mais les documents de gestion ne sont pas accessibles sur place ?
    Pour aller plus loin :

    Le collectif Cooplib fait un travail de documentation de ce modèle de commun et d’autogestion. Ses membres accompagnent de manière militante les personnes ou collectifs qui veulent se lancer (= gratuit).

    Sur Cooplib.fr, vous trouverez des informations et des documents plus détaillés :

    – La brochure Cocoricoop

    – Un modèle de Statuts associatif adapté à l’autogestion

    – La carte des épiceries autogérées

    – Le Référentiel (règles du jeu détaillées)

    – Le manuel d’autogestion appliqué aux épiceries est en cours d’édition et en précommande sur Hello Asso

    Ces outils sont adaptés à la situation particulière des épiceries mais ils sont transposables au moins en partie à la plupart de nos autres projets militants qui se voudraient vraiment autogérés (bar, librairie, laverie, cantine, camping,…). Pour des expérimentations plus techniques (ex : garage, ferme, festival,…), une montée en compétence des membres semble nécessaire.

    D’autres ressources :

    – Quelques capsules vidéos : http://fede-coop.org/faq-en-videos

    – “Les consommateurs ouvrent leur épiceries, quel modèle choisir pour votre ville ou votre village ?”, les éditions libertaires.

    https://www.frustrationmagazine.fr/coop-grande-distribution
    #alternative #grande_distribution #supermarchés #capitalisme #épiceries #auto-gestion #autogestion #gestion_directe #distribution_alimentaire

    sur seenthis :
    https://seenthis.net/messages/1014023

  • Covid : solidarité, humanité, responsabilité

    _Un fil de Jacques Caplat publié sur twitter https://twitter.com/nourrirlemonde/status/1696080159911100741 et sur mastodon https://piaille.fr/@JacquesCaplat@eldritch.cafe/110966999186302514
    enregistrement via @karacole à venir_

    « Lors de mes conférences et réunions, la plupart des participant·e·s s’étonnent de me voir porter un masque. J’en suis extrêmement déçu et préoccupé, venant de militant·e·s paysan·ne·s et écolo. »

    Explications cruciales 🔽​🔽​🔽​

    Je vais commencer par un peu d’anthropologie, avant de revenir à l’épidémiologie et à la responsabilité politique.

    1) Ce qui fonde l’humain

    Depuis notamment les travaux du paléoanthropologue kenyan Richard Leakey, il est admis que l’un des facteurs clefs dans l’évolution du primate vers Sapiens a été le soin solidaire : le groupe prend soin des plus faibles, des malades, des blessés, des bébés, des vieux. J’insiste : la vie en société et la solidarité envers les plus faibles est un des préalables au développement de l’humanité en tant que telle, c’est consubstantiel à l’humain. Cela n’a pas à être « expliqué » puisque c’est un facteur initial, une condition préalable.

    Sans solidarité envers les vulnérables, nous perdons notre humanité.

    Or cette solidarité signifie par définition refuser la simple « sélection naturelle ». Permettre aux myopes d’avoir une vie normale grâce à des lunettes, et donc d’avoir des familles et des enfants, c’est refuser que les myopes soient éliminés de l’humanité. Permettre aux bébés malades de survivre aux maladies infantiles (raison principale de « l’augmentation de l’espérance de vie » qui est une moyenne), c’est refuser que certains profils génétiques soient éliminés de l’humanité.

    Il faut donc le dire clairement : celleux qui pensent qu’il faut laisser mourir les personnes vulnérables à telle ou telle maladie se placent, fondamentalement et par définition, en dehors de l’humanité. C’est précisément pourquoi l’eugénisme est une abomination.

    2) Le Covid est actuellement endémique

    Du fait de l’irresponsabilité insoutenable de la plupart des gouvernements, particulièrement en France, le Covid s’est installé profondément.

    Je sais qu’un grand nombre d’entre vous pensent qu’il est maintenant mineur. Soyez honnêtes : si vous le pensez, vous vous mentez à vous-même pour éviter de changer vos habitudes de vie (exactement comme le font les climatonégationnistes : même mécanisme de déni). Car qui peut réellement et sérieusement penser que supprimer le thermomètre suffirait à éliminer la fièvre ?!? Soyez honnêtes (bis) : vous savez bien que tous les indicateurs de suivi du Covid ont été éliminés (quasiment plus de tests PCR, plus de remontées statistiques) et que c’est la SEULE raison de sa disparition du paysage médiatique.

    En acceptant cette mystification, vous jouez le jeu du gouvernement, que le Covid dérange à la fois parce qu’il montre son incompétence gravissime et parce qu’il perturbe l’économie.

    Les médias partagent une responsabilité, en acceptant de ne plus parler du sujet, en jouant le jeu de son invisibilisation artificielle.

    La réalité, très facile à vérifier via les publications scientifiques ou le suivi de la présence du SARS-Cov-2 dans les eaux usées (indicateur indiscutable et édifiant), est que le Covid continue à circuler constamment à un haut niveau – et en plus avec une nouvelle « vague » qui débute. Le Covid n’est pas une maladie saisonnière comme la grippe, il circule toute l’année.

    Et la rentrée scolaire va amplifier la nouvelle vague actuelle, puisque le brassage des enfants à l’école est le premier facteur de diffusion (ce fait, totalement admis et évident dans la littérature scientifique mondiale depuis deux ans, a été nié en France par les irresponsables qui nous dirigent : ce déni français est un motif supplémentaire de colère extrême).

    3) Les conséquences sanitaires et humaines du Covid

    Bien sûr, le Covid tue, et ce fait suffit déjà à ce que nous mettions en œuvre tous les moyens possibles pour le limiter. Mais c’est d’une certaine façon bien pire : il handicape à un taux très supérieur à sa létalité. S’il ne tue que 0,1% des personnes atteintes, il laisse des séquelles gravissimes chez 5 à 10% (voire 20%) des malades. Ces séquelles (notamment neurologiques et cardiaques) sont très bien documentées par les épidémiologistes et virologues à l’échelle mondiale, mais scandaleusement étouffées en France, selon la logique de déni que j’évoquais précédemment.

    Ce que l’on appelle les « Covid-longs » touchent environ 2 millions de personnes en France, provoquant plusieurs centaines de milliers d’arrêts de travail prolongés – ce qui explique d’ailleurs l’apparente baisse actuelle du chômage, qui correspond en fait tout simplement au remplacement des salarié·e·s en arrêts-maladie !
    https://www.nature.com/articles/s41579-022-00846-2

    Le Covid se transmet par la respiration (aérosols) mais ce n’est pas une maladie « respiratoire » comme on l’a cru au tout-début : c’est une maladie qui s’installe dans l’organisme entier et dont les affections les plus graves touchent le cœur et le système nerveux (notamment le cerveau).

    Par ailleurs, du fait de ces séquelles, les systèmes immunitaires fragilisés sont plus sensibles à d’autres maladies. À moyen et long terme, de nombreuses morts vont être attribuées à des « grippes », « crises cardiaques », « maladies auto-immunes », « AVC », etc., alors qu’elles ne seraient pas advenues sans une infection préalable de la personne par le Covid. Ça n’apparaît pas dans les statistiques des « morts du Covid » mais c’est bien une mortalité due au Covid !

    Pour votre info, plus souvent vous attrapez le Covid, plus vous risquez de telles fragilisations immunitaires et un Covid-long.

    Certains ici vont hausser les épaules et grogner « catastrophisme » alors que je cite les travaux internationaux indiscutables et faisant consensus. Si vous poussez ce soupir condescendant, vous réagissez exactement comme les climatonégationnistes.

    4) Un virus aéroporté

    Il n’y a plus aucune discussion scientifique sur la transmission du Covid : il est aéroporté.

    Oubliez les consignes simplistes de 2020 sur la « distanciation », car nous ne parlons pas ici de gouttelettes projetées à un mètre (postillons, toux, éternuements). Ces projections sont certes concentrées en SARS-Cov-2 et doivent être évitées, mais elles sont dérisoires par rapport au mode principal de transmission : la respiration.

    Les aérosols de respiration se diffusent comme la fumée de cigarette. Même si le malade vous tourne le dos, même s’il est à 20 mètres de vous à l’autre bout de la salle, ses aérosols finiront par vous atteindre si vous restez plusieurs dizaines de minutes dans la même pièce fermée.

    Dès lors, la protection ne s’obtient pas par la distanciation mais par l’aération et par le port d’un masque.

    Dans un monde idéal où le gouvernement serait responsable et compétent, un grand programme d’aération des salles publiques aurait été lancé depuis deux ans (écoles, hôpitaux, restaurants, cinémas, salles de réunion, EHPAD…). En l’absence d’une telle aération, il n’y a qu’une seule solution pour éviter de diffuser le Covid dans une pièce fermée : porter un masque. Et par pitié : un masque FFP2, car les masques chirurgicaux protègent très peu (uniquement si 100% des gens le portent, et très rigoureusement ajusté).

    Est-il vraiment nécessaire de rappeler que les trois-quart des porteurs du Covid sont asymptomatiques ? Est-il vraiment nécessaire de rappeler que même si vous n’avez aucun symptôme vous pouvez en être porteur et qu’il faut donc que VOUS portiez un masque même si vous ne pensez pas être malade ?

    5) Les « vulnérables » n’ont plus de vie sociale

    En l’absence de politique partagée de protection solidaire contre le Covid, les personnes dites « vulnérables » sont en danger de mort. En effet, les personnes immunodéprimées (notamment du fait des soins contre un cancer, ou ayant bénéficié d’une greffe, etc.), avec handicap génétique, dialysées, avec grave affection cardiaque, âgées, etc., ont un risque considérable de mourir si elles développent un Covid. Elles doivent donc absolument éviter de l’attraper. La question de la transmission est cruciale.

    Dans une salle fermée, si ces personnes vulnérables portent un masque mais que tous les autres n’en portent pas, il n’y a pas de protection suffisante. Pour que les masques protègent les vulnérables, il faut que tout le monde porte un masque.

    L’argument « portez le masque si vous avez peur mais laissez moi ne pas en porter » est une ignominie. D’une part parce qu’il place sur le terrain de la « peur » le fait de ne pas vouloir mourir (c’est abject), ensuite parce qu’il s’agit d’une insulte à l’épidémiologie et à la responsabilité médicale. Non, il ne suffit pas que les vulnérables portent un masque. Il faut que nous portions tou·te·s un masque.

    Comme ce n’est pas le cas, les personnes vulnérables n’ont pas d’autre solution que de s’interdire toute vie sociale. Iels ne peuvent plus aller au ciné, au restaurant, dans des réunions, dans des conférences, à des concerts, etc.

    https://www.francetvinfo.fr/sante/maladie/coronavirus/face-au-covid-19-la-vie-en-pointille-des-immunodeprimes-ca-fait-trois-a

    6) Être humains et responsables

    Admettre cet état de fait, c’est abdiquer notre humanité. Ne pas porter de masque, c’est soit considérer comme « normal » que les personnes vulnérables n’aient plus de vie sociale, soit encore pire et considérer comme « pas grave » qu’une partie de l’humanité meurt alors qu’on pourrait facilement l’éviter. 😱​

    Car nous ne parlons pas ici d’un dilemme du tramway. Il ne s’agit pas de choisir entre « X morts » ou « Y morts ». Il s’agit juste de choisir entre « X morts » ou « mon confort personnel ». Celleux qui osent invoquer leur « liberté de ne pas porter de masque » placent leur confort personnel devant les vies humaines. Iels disent explicitement préférer que des gens meurent plutôt que de faire un effort qui ne coûte pourtant presque rien. C’est juste intolérable, inexcusable. C’est très précisément se placer en dehors de l’histoire humaine (cf. mon point 1 ci-dessus).

    Incidemment, ces cyniques sont très mal placés pour donner la leçon sur l’inaction climatique puisqu’iels font exactement la même chose : préférer « ne rien changer à nos habitudes de vie » plutôt que faire preuve de solidarité humaine. Nous aimerions tou·te·s que « la crise climatique soit finie ». Nous aimerions tou·te·s que « le Covid soit fini ». Mais nier la crise climatique ou le Covid ne servira à rien.

    7) Pallier l’inaction politique

    Alors bien sûr, les premiers irresponsables sont les gouvernements populistes, à commencer par le gouvernement français.

    Début 2022, Emmanuel Macron a promis un grand programme d’aération des écoles et lieux public. Depuis : rien, rien, rien.

    En 2020, le gouvernement avait nié l’importance des masques pour ne pas avoir à affronter sa responsabilité dans leur pénurie en France à l’époque, et cette turpitude a encore des conséquences aujourd’hui par la minimisation de l’importance des masques.

    Depuis un an, les hôpitaux n’imposent plus le masque, y compris dans des services dont les malades sont particulièrement vulnérables au Covid (cardiologie) : c’est un niveau d’irresponsabilité effroyable et criminelle.

    D’une manière générale, pour le Covid comme pour la crise climatique, le gouvernement cherche à culpabiliser les Français·es et à leur demander des efforts individuels (voire à les brimer), au lieu d’assumer sa responsabilité politique.

    OK. Mais cette critique politique ne nous autorise pas à la politique du pire, ne nous autorise pas à ne rien faire et laisser mourir les vulnérables.

    Certains réseaux anarchistes et syndicaux agissent heureusement et mettent en place des procédures sanitaires responsables. C’est le cas par exemple ici de « Révolution permanente » (cf. image).

    Des comptes et sites partagent les ressources sur « l’autodéfense sanitaire » pour lutter contre les maladies aéroportées, tels @/arra ou @/cabrioles

    L’aération des lieux publics limiterait considérablement la transmission et permettrait donc une vie sociale pour tou·te·s, mais aurait également un effet d’atténuation des vagues et du « niveau endémique constant », ce qui réduirait le taux de mutation (plus on laisse circuler le virus avec le mythe délirant de « l’immunité collective » qui signifie en fait « abjection eugéniste », plus on favorise le nombre de mutations et la vitesse d’apparition de nouveaux variants) et qui réduirait progressivement la pandémie jusqu’à l’éteindre peu à peu.

    À défaut d’une telle action politique collective, nous avons une responsabilité humaine élémentaire : porter un masque dans les lieux clos. Cela ne se discute pas, sauf à nier toutes les valeurs humaines.

    #Covid #OuiAuMasque #AutoDéfenseSanitaire #CovidIsAirborne #CovidIsNotOver
    archivage https://web.archive.org/web/20230829205538/https://eldritch.cafe/@JacquesCaplat/110966999112891150

  • Marseille : des policiers du RAID tuent un jeune père de famille début juillet
    https://ricochets.cc/Marseille-des-policiers-du-RAID-tuent-un-jeune-pere-de-famille-debut-juill

    Cette affaire tragique et scandaleuse illustre une fois de plus la réalité du système policier français : des flics en roue libre, surarmés et surprotégés, qui tirent à tout va des munitions potentiellement létales avec des armes de guerres sur des personnes désarmées ne présentant aucun danger sérieux. Avec aussi des méthodes mafieuses pour étouffer l’affaire. Fermer les yeux ou faire l’autruche ne fera pas disparaître le problème du système policier. COMMENT LE RAID A TUÉ MOHAMED B. Une colonne (...) #Les_Articles

    / #Procès,_justice,_répression_policière_ou_judiciaire, Autoritarisme, régime policier, démocrature...

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...

  • FRUSTRATION MAGAZINE | Coop ou pas coop de trouver une alternative à la grande distribution ?

    Un supermarché dit “coopératif” est… un supermarché ! Le projet est de reproduire la promesse mais en supprimant la part dévolue habituellement aux bourgeois : l’appellation “coopératif” fait référence à la structure juridique où les salariés ont le pouvoir et ne reversent pas de dividende à des actionnaires. Mais les salariés ont tendance à se comporter collectivement comme un bourgeois propriétaire d’un “moyen de production” et le recrutement est souvent affinitaire : un bourgeois à plusieurs. La valeur captée sur le travail bénévole est redistribuée essentiellement à quelques salariés. Dans ce type de supermarché, les consommateurs doivent être sociétaires et “donner” du temps pour faire tourner la boutique, en plus du travail salarié qui y a lieu. Cette “coopération” ou “participation” ou “collaboration” c’est 3h de travail obligatoire tous les mois sous peine de sanctions (contrôles à l’entrée du magasin pour éventuellement vous en interdire l’accès). Ces heures obligatoires sont cyniquement là pour créer un attachement des bénévoles au supermarché, comme l’explique aux futurs lanceurs de projet le fondateur de Park Slope Food le supermarché New-Yorkais qui a inspiré tous les autres.

    #autogestion #supermarché #coopératives #scop

  • L’impossible autogestion du système industriel
    https://ricochets.cc/L-impossible-autogestion-du-systeme-industriel.html

    Une partie de la gauche pense encore qu’il suffirait de virer patrons et actionnaires, et d’autogérer le système industriel de production inchangé, pour que tout s’arrange. Rien n’est moins vrai, y compris sur le plan social - les règles capitalistes imposent leurs modalités d’exploitation quels que soient les gestionnaires aux manettes des entreprises. D’autres ont raison de dire qu’en sortant vraiment du capitalisme (en finir avec le capital, la concurrence, la valeur, l’emploi capitaliste, voir la (...) #Les_Articles

    / #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, #Autonomie_et_autogestion, Le monde de (...)

    #Le_monde_de_L'Economie
    https://antitechresistance.org/demolir-mythe-autogestion-industrie
    https://mouais.org/hydrogene-le-nouveau-colonialisme-vert-en-afrique-du-nord

  • Collision, irruption dans des lieux publics, chutes... une série d’incidents freine l’expansion des robots-taxis à San Francisco Belga - LaLibre.be

    Mardi dernier, un des robots-taxis Cruise a ignoré un panneau signalant un chantier.

    Après une semaine d’incidents bizarres, comiques ou franchement inquiétants avec des taxis sans chauffeurs à San Francisco, l’autorité californienne met un frein aux projets d’expansion de la compagnie Cruise.

    Parmi ces incidents au cours des sept derniers jours, il est question d’un groupe de robots-taxis qui ont roulé ensemble vers une plage de la ville durant la nuit du 11 août avant de s’arrêter et de bloquer un carrefour quinze minutes durant.


    Une série d’incidents freine l’expansion des robots-taxis à San Francisco ©2023 Getty Images

    Mardi dernier, un de ces robots-taxis Cruise a aussi ignoré un panneau signalant un chantier et a roulé directement dans du ciment frais, pour s’y engluer.

    Plus inquiétant, un de ces véhicules autonomes s’est engagé dans un carrefour alors que le feu était vert mais qu’un camion de pompiers s’élançait toutes sirènes hurlantes. Le camion de pompier a embouti le robot-taxi et son unique passager a dû être hospitalisé.

    .@Cruise car trying to go down a street while emergency services respond to a fire just now

if you’re in #sf right now, how are you feeling about the new regulation expanding AI taxi services in the bay area ? Vidéo https://twitter.com/zachurey/status/1690173279221448704
    -- Zach Farley (@zachurey) August 12, 2023

    Après cette collision, l’autorité a annoncé ouvrir une enquête et affirmé que l’entreprise Cruise, appartenant à General Motor, allait diminuer de moitié sa flotte à 50 robot-taxis en journée et 150 durant la nuit.

    Dans une déclaration, Cruise a affirmé vouloir collaborer avec cette autorité, mais aussi confirmé souhaiter déployer des milliers de robot-taxis dans la ville californienne.

    Une autre entreprise, Waymo, détenue par Alphabet dont dépend aussi Google, nourrit les mêmes ambitions.

    Cette enquête survient après un vote controversé de la California Public Utilities Commission (CPUC), chargée de superviser les véhicules autonomes, en faveur des requêtes de ces deux entreprises pour proposer des courses payantes dans toute la ville de San Francisco, de jour comme de nuit.

    Jusqu’à présent, elles étaient limitées : Cruise opère un service de robots-taxis payants la nuit et Waymo expérimente avec des volontaires, gratuitement (ou moyennant paiement, mais avec un humain sur le siège du conducteur).

    #daube #echec #fantasme #MDR #Technologisme #véhicules_autonomes #smartphone #réseaux #embouteillages #robots-taxis #Taxi #autonomes_fahren #robotisation #innovation #intelligence_artificielle #robot #algorithme 

    Source : https://www.lalibre.be/international/amerique/2023/08/20/collision-irruption-dans-des-lieux-publics-chutes-une-serie-dincidents-frein

  • Cédric de Queiros, Réflexions sur une épidémie, 2020 – Et vous n’avez encore rien vu…
    https://sniadecki.wordpress.com/2023/08/18/queiros-epidemie

    Un texte fort honnête, ne faisant pas l’impasse sur le fait que c’est pas pendant une grosse crise en plein milieu qu’on peut tout d’un coup retrouver plein d’autonomie. Car durant des crises de cette ampleur là, il est relativement difficile de se passer des moyens industriels et/ou étatiques pour « calmer », diminuer (mais certainement pas résoudre vraiment) les problèmes.

    Enfin la liquidation des services publics, et en particulier la dégradation des systèmes de santé, induites par les politiques néolibérales (dans les pays industrialisés où ces systèmes de santé existent) joue aussi un rôle décisif dans la mortalité de la maladie. On sait par exemple qu’il y a un lien direct entre le nombre de lits disponibles en réanimation dans un pays et le nombre de morts que va y faire l’épidémie. C’est l’aspect le plus visible et le plus commenté dans les médias du lien entre l’épidémie et l’état de notre société ; cet aspect est évidemment réel mais ne doit pas faire oublier les liens plus profonds évoqués ci-dessus : il s’agit dans un cas du traitement de la crise, et dans l’autre de ces causes et de sa prévention.

    […]

    On voit ici, une fois de plus, que si les productions de notre époque sont catastrophiques, ce n’est pas nécessairement parce que des choses absolument nouvelles adviennent, mais aussi parce qu’elles adviennent à une échelle et à un rythme qui sont eux tout-à-fait inédits.

    […]

    Ces mesures sont à l’image de notre société : inégalitaires et injustes, autoritaires et infantilisantes, et souvent arbitraires voire irrationnelles. Elles sont une opportunité rêvée pour les gouvernants d’accélérer les transformations de la société auxquels ils aspirent (numérisation, état d’urgence permanent) qui, toutes, vont dans le sens d’une perte toujours aggravée de liberté. Mais il n’y a à peu près personne pour remettre en cause le principe de ces mesures ; tout simplement parce que personne n’a rien de mieux à proposer pour faire face à cette crise, étant donné la situation dans laquelle se trouve notre société. Aussi mauvaises et horribles que soient ces mesures de confinement autoritaire, elles ont probablement une certaine efficacité ; et si les États ne les avaient pas prises, la situation – en tout cas la propagation de l’épidémie – aurait sans doute été aggravée.

    Le texte publié dans le Creuse-citron n°62 devrait donc, pour correspondre à notre situation actuelle, être modifié comme suit : « Les gouvernements font partie du problème sanitaire et écologique en cours, mais si ils ne font pas partie de la solution, ils sont quand même les seuls à disposer d’un remède d’urgence, qui permettra au moins de limiter la casse… en attendant la prochaine fois. »

    Les gouvernements sont effectivement des pyromanes-pompiers, mais dans la situation d’urgence dans laquelle nous nous trouvons, avec la dépendance dans laquelle nous sommes tombés depuis si longtemps, il n’y a pas d’autre choix que de s’en remettre à ces pompiers-là, car ce sont les seuls disponibles.

    […]

    La situation de crise aiguë que nous vivons est un révélateur de notre situation ordinaire, avant la crise, et certainement après elle. La pandémie révèle l’ampleur de notre dépendance à l’État, à la médecine industrielle, aux moyens de communication de masse, à la grande distribution, aux marchandises produites dans des pays lointains, aux transports internationaux, etc. Et elle illustre cruellement la folie de cette dépendance. Nous avons les meilleures raisons – sensibles, morales, politiques, « écologiques », ou même esthétiques – de rejeter ces réalités aliénantes. Mais nous dépendons de chacune d’elles. Et bien évidemment cette dépendance ne date pas de la crise – mais la crise les aggrave, mortellement, et en somme, grotesquement. C’est ce que les auteurs de Catastrophisme, administration du désastre, et soumission durable (Jaime Semprun & René Riesel, éd. l’Encyclopédie des nuisances, 2008) appellent « l’incarcération dans le monde industriel ».

    […]

    Il est possible que le Covid-19 apparaisse après coup comme un épisode relativement mineur, au regard des événements plus graves (pandémies ou autre) qui lui succéderont inévitablement à plus ou moins brève échéance. Mais il aura illustré assez clairement que ce n’est pas pendant une crise que l’on peut arriver à construire plus d’autonomie et plus de liberté ; quand la crise est là, il est le plus souvent trop tard. Ceux qui se sont penchés sérieusement « au-dessus du gouffre nucléaire » nous l’avait déjà dit de longue date

    #covid #santé #crise #capitalisme #États #autonomie #anti-industriel

  • Doctorante, elle donnait des cours à la fac en étant au RSA

    Faire une thèse en #autofinancement relève du #parcours_du_combattant. À 33 ans, Clémence Moullé Prévost sort de sept ans et demi de doctorat en histoire de l’art et archéologie à l’Université de Rennes 2. Elle raconte la précarité, le #stress, l’#angoisse, avec en toile de fond, les dysfonctionnements d’une #université exsangue.

    La Rennaise Clémence Moullé Prévost, 33 ans, est l’un des personnages principaux du documentaire « Prof de fac, une vocation à l’épreuve », tourné à l’université Rennes 2. Pendant sept ans et demi, elle y a mené une thèse en histoire des arts, en autofinancement. De 2014 à 2022, elle a dû enchaîner les #petits_boulots en plus des heures de cours qu’elle donnait à la fac pour financer sa recherche.

    « Je suis la première à avoir fait des #études_supérieures dans ma famille », témoigne Clémence Moullé Prévost. Au cours de son master en histoire de l’art à Rennes 2, elle a fait un mémoire sur le patrimoine archéologique de l’île de Chypre. « Ça m’a passionné. J’ai donc déposé une proposition de sujet de thèse qui a été acceptée. » Mais elle n’a pas eu de financement. « En sciences humaines, c’est très compliqué de décrocher un contrat doctoral », donc la plupart des doctorants doivent s’autofinancer.

    Dès sa première année de ma thèse, l’étudiante a enchaîné les petits jobs. « J’ai été animatrice de colo, j’ai gardé les enfants, j’ai donné des cours particuliers, j’ai été surveillante d’internat la nuit et même agent d’accueil dans un musée. »

    Un salaire tous les six mois

    En 2016, Clémence Moullé Prévost a commencé à donner des cours à la fac en tant qu’attachée temporaire #vacataire (ATV). « C’était l’opportunité de commencer à enseigner à l’université, et au début c’était un complément de revenu. » Mais peu à peu, l’étudiante s’est rendue compte qu’il y avait beaucoup de choses clochait. « On ne savait jamais quand on allait signer notre contrat. Il y a même une année où je n’ai pas signé mon contrat avant novembre. »

    Le vrai problème, c’est que la rémunération n’est pas mensualisée, « on est payé qu’à la fin de chaque semestre, en fonction du nombre d’heures qu’on a données. Donc parfois, on ne reçoit notre paye que fin février, alors qu’on enseigne depuis la rentrée » . Financièrement, c’est très compliqué à gérer, ça crée du stress, de l’angoisse permanente…

    « Tu passes en mode survie »

    La première conséquence de tout ça, c’est la précarité. « Dans les pires mois, je me retrouvais au RSA. Je gagnais 500 € avec les APL. Tu passes en mode survie. Tu te retrouves à manger des pâtes ou à sauter des repas. » Faute de moyens financiers, elle « squattait chez des amies » . La jeune femme a contracté des dettes, notamment un prêt étudiant qu’elle doit encore rembourser.

    « Socialement, c’est hyper compliqué, parce que tu n’as pas de #revenu fixe, ni de vrai #statut_social. Ça impacte aussi la #vie_affective, parce qu’on ne peut pas se projeter. Parfois, ça crée une forme de #dépendance_financière vis-à-vis du conjoint. »

    « On le fait parce que ça a du sens »

    La recherche permanente d’argent impacte ses études. « Sur ces sept ans et demi d’études, je n’ai finalement passé que peu de temps à faire des recherches et à écrire ma thèse. »

    Malgré tout, elle a tenu bon. « Quand on fait une thèse, on le fait parce que ça a du #sens. Parce que ça repousse un peu la frontière de la connaissance de notre société. »

    Le parcours du combattant de Clémence n’est pas terminé. Aujourd’hui, elle n’est toujours pas titularisée et candidate à des contrats temporaires. « Il faut parfois cinq ans pour pouvoir obtenir un poste d’enseignante-chercheuse… »

    Contacté, le service communication de Rennes 2 n’a pas répondu à notre sollicitation.

    https://www.ouest-france.fr/bretagne/rennes-35000/temoignage-doctorante-elle-donnait-des-cours-a-la-fac-en-etant-au-rsa-b

    #ESR #thèse #doctorat #précarité #salaire #facs

    • c’est emmerdant que comme bien du monde des salariés des facs qui ont cru échapper à la prolétarisation dépendent du #RSA et de la prime d’activité. en même temps, ça pourrait peut-être contraindre à voir au-delà de chez son employeur particulier, ce qui vaut pour les gilets jaunes (auxquels on a répondu par un nouveau paramètrage coûteux de la prime d’activité en faveur des SMIC temps plein, aux détriment des moins employé.e.s) et pour les travailleurs précaires de tous secteurs, intellos compris.

      #prime_d'activité

  • 🛑 🛑 LA DISSOLUTION DES SOULÈVEMENTS DE LA TERRE EST SUSPENDUE ! Contre Attaque

    « Une bonne nouvelle dans la morosité ambiante. Le 21 juin dernier, après avoir réprimé dans le sang la mobilisation de Sainte-Soline, le gouvernement enfonçait le clou en prononçant la dissolution des Soulèvements de la Terre. C’était une offensive inédite : pour la première fois, les autorités utilisaient cette procédure d’exception contre une immense coalition écologiste réunissant des centaines de collectifs et des dizaines de milliers de membres (...) »

    🌍 #soulevementsdelaterre #écologie #anticapitalisme
    ⚡️ #Darmanin #macronie #dissolution #répression #autoritarisme
    #onnedissoutpasunsoulèvement #solidarité

    ⏩ Lire l’article complet...
    https://contre-attaque.net/2023/08/11/la-dissolution-des-soulevements-de-la-terre-est-suspendue

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  • Continuité logique au journal JDD : du macronisme extrémiste autoritaire au néo-fascisme assumé
    https://ricochets.cc/Continuite-logique-au-journal-JDD-du-macronisme-extremiste-autoritaire-au-

    Les médias dominants, comme une large part de la classe politicienne, glissent vers l’extrême-droite. Nouveau média touché, le JDD. DANS LES MÉDIAS DOMINANTS : LE GRAND REMPLACEMENT FASCISTE A partir de cette semaine, le Journal du Dimanche, hebdomadaire à grand tirage, est officiellement dirigé par un fasciste. Le JDD c’est un journal diffusé à 130 000 exemplaires chaque dimanche, avec une ligne macroniste, pro-police, pro-patronale, et toujours servile. Le JDD, c’est une propriété du milliardaire (...) #Les_Articles

    / Autoritarisme, régime policier, démocrature..., #Mouvements_et_courants_autoritaires

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...