• Migranti, nei centri italiani in Albania un rotolo di carta igienica a persona a settimana

    I paradossi del #bando da 34 milioni di euro pubblicato dal Viminale per la gestione delle strutture. Applicata la procedura di estrema urgenza, negoziazione tra tre soli operatori economici, una sola settimana di tempo per la manifestazione d’interesse.

    Un appalto da 34 milioni di euro e un rotolo di carta igienica a settimana per migrante. Basterebbe questo paradosso a bollare come frettoloso e sommario il bando per l’affidamento dei servizi per i centri di accoglienza e trattenimento dei richiedenti asilo che il governo Meloni prevede di aprire in Albania entro il 20 maggio. Una improbabile corsa contro il tempo per un’operazione che ancora manca del requisito di legittimità giuridico fondamentale ma che la premier intende giocarsi in vista della campagna elettorale per le Europee del 9 giugno.

    Misteriose ragioni di estrema urgenza

    E dunque ecco il ricorso a «#ragioni_di_estrema_urgenza» ( che non si sa quali siano visto che gli sbarchi sono nettamente diminuiti) per giustificare la procedura negoziale riservata a tre soli concorrenti che, nel giro di soli sette giorni, dovrà aggiudicare l’affidamento dei servizi di accoglienza e di gestione dei tre centri previsti dove i lavori non sono neanche cominciati: quello nel porto di Shengjin, adibito allo screening sanitario, all’identificazione e alla raccolta delle richieste di asilo, e i due di Gjader, la struttura di accoglienza da 880 posti dove i migranti resteranno (teoricamente) per un mese in attesa di conoscere l’esito della procedura accelerata di frontiera, e il Cpr da 144 posti dove verranno trasferiti quelli destinati al rimpatrio.

    Si risparmia sull’igiene dei migranti

    Il bando è stato pubblicato il 21 marzo, con avviso di manifestazione di interesse che si concluderà nel tempo record di una settimana. Un appalto da 34 milioni di euro a cui si aggiungono i rimborsi ( non quantificabili) di servizi di trasporto, utenze, raccolta dei rifiuti, manutenzione ordinaria e straordinaria, e dell’assistenza sanitaria. Non proprio quattro spiccioli, a fronte dei quali, però, spulciando il bando si trovano vere e proprie “perle”. Sull’igiene personale dei migranti, tanto per cominciare, chi si aggiudicherà l’appalto, potrà risparmiare: un solo rotolo di carta igienica a settimana a testa dove i richiedenti asilo attenderanno ( in detenzione amministrativa) l’esito della richiesta di asilo. Rotoli che, chissà poi perchè, diventeranno sei a settimana per gli sfortunati che, a fronte del diniego, verranno trasferiti nell’ala destinata a Cpr.

    Solo un cambio di abiti a stagione

    Nel kit di primo ingresso nei centri solo un paio di mutande e un paio di calze e, più in generale, un solo cambio di abiti a stagione.E dunque, a differenza dei centri di accoglienza italiani dove i migranti sono liberi e possono procurarsi altri abiti, i richiedenti asilo portati in Albania saranno detenuti e costretti ad indossare sempre gli stessi. Avranno il detersivo per lavarli due volte a settimana, nel frattempo evidentemente staranno in pigiama. Almeno si consoleranno con il cibo che prevede persino la pizza e il dolce due volte a settimana.

    Per raccontare la loro storia alla commissione d’asilo che deciderà il loro destino o per comparire davanti ai giudici di Roma, competenti sui ricorsi, dovranno accontentarsi di un collegamento da remoto, con tutte le limitazioni in tema di diritti che nascono dalle difficoltà di espressione e comprensione.

    Magi: “Un gigantesco spot elettorale”

    «Una bella photo-opportunity elettorale - commenta Riccardo Magi di Più Europa - Giorgia Meloni vuole allestire questi centri in fretta e furia e usarli come un gigantesco spot a pochi giorni dal voto a spese degli italiani».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/03/23/news/migranti_centri_albania_bando_viminale-422362144

    #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #coût #urgence #gestion #appel_d'offre #externalisation

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Protocollo Italia-Albania: il Viminale avvia la gara milionaria per la gestione dei centri

      Dal bando pubblicato il 21 marzo dalla prefettura di Roma emergono i primi dettagli dell’accordo contro i migranti: solo per le spese vive e il personale delle strutture, due hotspot e un Centro di permanenza per il rimpatrio, sono assicurati al gestore privato quasi 40 milioni di euro all’anno. I tempi sono strettissimi, le europee incombono

      Il ministero dell’Interno ha pubblicato i bandi di gara per la gestione delle nuove strutture per i migranti in Albania che diventeranno operative, documenti alla mano, entro il 20 maggio 2024. Un primo passo concreto verso la messa in pratica del protocollo annunciato dal Governo Meloni con Tirana lo scorso 6 novembre 2023 -poi ratificato dal Parlamento a fine febbraio 2024- e che prevede di dislocare i naufraghi soccorsi in operazioni di salvataggio in mare sul territorio albanese. Più precisamente in tre strutture con una capienza totale che supera i mille posti disponibili: due hotspot, ovvero i centri di identificazione, che in Italia troviamo nei cosiddetti “punti di crisi”, principali punti di sbarco (Lampedusa, Pozzallo e Taranto tra gli altri), più un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) dove trattenere coloro che sono in attesa di essere espulsi nel proprio Paese d’origine. La spesa annuale stimata è pari a quasi 40 milioni di euro, calcolando esclusivamente il costo a persona (pro-capite pro-die), che però esclude diverse spese vive (dal trasporto all’assistenza sanitaria fino alle utenze).

      La gara è stata pubblicata il 21 marzo e individua nella prefettura di Roma la stazione appaltante, la quale ha scelto di attivare una procedura negoziata con cui consulterà un “numero congruo di operatori economici” per aggiudicare i servizi all’ente gestore. Un bando di questo genere può essere giustificato solo in casi di estrema urgenza. E secondo il ministero l’affidamento in oggetto, essendo un presupposto fondamentale per “l’attuazione del Protocollo tra Italia e Albania in conformità ai tempi ed agli adempimenti che risultano necessari per rispettare, alle scadenze previste, gli impegni assunti dal Governo della Repubblica Italiana”, rientra tra quelle procedure basate proprio su “ragioni di estrema urgenza”.

      La prima struttura è sita nella città portuale di Shenjin e sarà a tutti gli effetti un hotspot. “Una struttura dimensionata per l’accoglienza, senza pernottamento, dei migranti condotti in porto e destinati alle procedure di screening sanitario, identificazione e raccolta delle eventuali domande di asilo, all’esito delle quali i migranti saranno trasferiti presso le strutture di Gjader”. Gjader è la seconda località coinvolta dove saranno costruite le altre due strutture: un centro destinato “all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale” con un’accoglienza massima a regime di 880 migranti, e un altro, sempre nella stessa città albanese che sarà invece un Centro di permanenza per il rimpatrio, che ricalca quelli presenti sul territorio italiano, con una capienza fino a 144 persone. A Gjader saranno disponibili poi 168 posti per alloggi di servizio, di cui 60 riservati al personale dell’ente gestore.

      Come detto, i corrispettivi riconosciuti pro-capite pro-die, secondo la tipologia di centro ed il relativo numero degli ospiti presenti, ammontano “presuntivamente a complessivi 33.950.139 euro annui”. La gara d’appalto ha una durata di due anni, prorogabili fino ad un massimo di altri due. Sono esclusi dai quasi 40 milioni di euro, invece, i costi di trasporto, le utenze idriche, elettriche, del servizio di raccolta rifiuti, la connessione wifi e la manutenzione ordinaria e straordinaria. Così come quelli per la “predisposizione e manutenzione dei presidi antincendio” e quelli “relativi all’assistenza sanitaria”.

      Proprio questo è uno degli aspetti paradossali affrontati dal bando. Per la struttura sita nel porto di Shenjin si prevede “un ambulatorio medico dedicato per assistenza sanitaria, inclusa la stabilizzazione di condizioni cliniche ai fini del trasferimento” con “una sala per visite ambulatoriali, una stanza per osservazioni brevi con tre posti letto e una stanza di isolamento con due posti”.

      Invece nel sito di Gjader verrà di fatto allestito un vero e proprio “mini ospedale”. Vengono previste “tre sale per visite ambulatoriali, due stanze per osservazioni brevi (ognuna dotata di tre posti letto), una medicheria, una sala operatoria e una recovery room, un laboratorio analisi, una stanza per diagnostica per immagini (rx ed ecografia), una per visite psicologiche/psichiatriche all’uopo utilizzabile anche per consulenze in telemedicina e due stanze di isolamento”. Una struttura in cui opererà un elevatissimo numero di personale sanitario. Oltre a medici e infermieri per l’attività standard, viene prevista una équipe operativa 24 ore al giorno formata rispettivamente da: “medico specialista in anestesia-rianimazione, medico specialista in chirurgia generale, medico specialista in ortopedia con competenze chirurgiche, personale medico specialista in psichiatria, un infermiere strumentista, un operatore socio-sanitario (in caso di attivazione della sala operatoria), un tecnico di laboratorio, un tecnico di radiologia, un personale medico specialista in radiologia”.

      L’ente gestore, oltre a fornire kit di primo ingresso, sia igienici sia vestiari e a garantire la fornitura dei pasti e l’informativa legale, dovrà garantire la predisposizione di “appositi locali e strumenti tecnici che assicurino la connessione alla rete e il collegamento audio-visivo nel rispetto della privacy e della libertà di autodeterminazione del beneficiario per l’eventuale audizione da remoto davanti alle Commissioni territoriali, nonché davanti al Tribunale ordinario e ad altri uffici amministrativi”. In altri termini: saranno implementate delle stanze per svolgere le audizioni di chi, una volta richiesto asilo, dovrà affrontare l’iter per vedersi o meno riconosciuto il permesso di soggiorno. Tutto inevitabilmente online. Dovrà esserci anche un locale “al fine di tutelare la riservatezza della persona nei colloqui con il proprio legale” o favorire l’incontro con “eventuali visitatori ammessi”. La prefettura di Roma, dovrà essere messa a conoscenza “di ogni notizia di rilievo inerente la regolare conduzione della convivenza e le condizioni del centro e tenuta di un registro con gli eventuali episodi che hanno causato lesioni a ospiti od operatori”, nonché la consegna della certificazione di idoneità al trattenimento.

      La gara è aperta fino al 28 marzo. La prefettura valuterà le offerte pervenute da imprese o cooperative già attive nel settore con un fatturato complessivo, negli ultimi tre esercizi disponibili, non inferiore a cinque milioni di euro. Non certo piccole realtà dell’accoglienza. L’avvio dell’operatività dei centri è prevista non oltre il 20 maggio 2024. Quindici giorni prima di quella data, il ministero dell’Interno potrà confermare o meno l’effettivo avvio a pieno regime oppure anche con “una ricettività progressiva rispetto a quella massima prevista nelle more del completamento degli eventuali lavori di allestimento”. L’importante è partire: le elezioni europee di inizio giugno incombono.

      https://altreconomia.it/protocollo-italia-albania-il-viminale-avvia-la-gara-milionaria-per-la-g

  • #Wauquiez veut surveiller les #trains et #lycées régionaux avec l’#intelligence_artificielle

    #Laurent_Wauquiez a fait voter le déploiement de la #vidéosurveillance_algorithmique dans tous les lycées et trains d’#Auvergne-Rhône-Alpes, profitant de l’#expérimentation accordée aux #Jeux_olympiques de Paris.

    Laurent Wauquiez savoure. « Nous avions pris position sur la vidéosurveillance pendant la campagne des régionales. Depuis, les esprits ont bougé », sourit le président de la région Auvergne-Rhône-Alpes, en référence à l’expérimentation de la #vidéosurveillance algorithmique (#VSA) accordée dans le cadre des Jeux olympiques de Paris. Surfant sur l’opportunité, il a fait voter jeudi 21 mars en Conseil régional sa propre expérimentation de vidéosurveillance « intelligente » des lycées et des trains d’Auvergne-Rhône-Alpes.

    L’ancien patron des Républicains (LR) justifie cette avancée technosécuritaire par l’assassinat du professeur #Dominique_Bernard dans un lycée d’Arras en octobre. Pour l’élu, cette tragédie « confirme la nécessité de renforcer la #sécurité des lycées ».

    Reste que cette expérimentation n’est pour l’instant pas légale. Laurent Wauquiez va demander au Premier ministre, Gabriel Attal, la permission d’élargir la loi pour couvrir les lycées et les transports régionaux. « L’expérimentation des JO est faite pour tester ce qui sera appliqué. Il faut en profiter », défend Renaud Pfeffer, vice-président délégué à la sécurité de la région Auvergne-Rhône-Alpes.

    Selon la délibération votée par le Conseil régional, cette #technologie qui combine vidéosurveillance et intelligence artificielle peut détecter huit types d’événements prédéterminés : « le non-respect du sens de circulation, le franchissement d’une zone interdite, la présence ou l’utilisation d’une arme, un départ de feu, un mouvement de foule, une personne au sol, une densité trop importante, un colis abandonné. » Les événements sont ensuite vérifiés par un agent, qui décide des mesures à prendre.

    L’expérimentation doit durer deux ans

    L’exécutif régional promet d’utiliser cette vidéosurveillance algorithmique « sans mettre en œuvre de reconnaissance faciale, ni d’identification de données biométriques [qui permettent d’identifier une personne]. » « On est sur du situationnel, pas sur de l’individu », insiste #Renaud_Pfeffer. Des promesses auxquelles ne croit pas Marne Strazielle, directrice de la communication de l’association de défense des droits et libertés sur internet La Quadrature du net. « En réalité, l’#algorithme identifie des actions qui peuvent être rattachées à son auteur », insiste-t-elle.

    Cette expérimentation est programmée pour durer deux ans dans les trains, #gares, lycées et #cars_scolaires. Les flux vidéos seront examinés au #Centre_régional_de_surveillance_des_transports (#CRST) aménagé en gare de Lyon Part-Dieu. « Les caméras sont prêtes », assure Renaud Pfeffer. Depuis son arrivée à la tête de la Région en 2016, Laurent Wauquiez l’a généreusement équipée en vidéosurveillance : 129 gares sont surveillées par 2 300 caméras, dont les images sont visionnées en temps réel au CRST. 285 lycées, 750 cars et la totalité des rames ferroviaires sont également équipés.

    « L’illusion d’avoir une approche pratique de l’insécurité »

    Pour défendre son projet, l’exécutif régional s’appuie sur la loi du 19 mai 2023, adoptée pour les Jeux olympiques de Paris et qui autorise l’expérimentation à grande échelle de la VSA par la police nationale jusqu’au 31 mars 2025. « On n’a le droit à la sécurité que pendant les Jeux olympiques et que à Paris ? On ne peut pas tester [la VSA] pour nos enfants, contre les problèmes de drogue ? », s’offusque Laurent Wauquiez.

    « Cette technologie permet aux décideurs politiques d’offrir l’illusion d’avoir une approche pratique de l’insécurité car ils mettent en place un dispositif, dénonce Marne Strazielle. Mais ce n’est pas parce qu’on enregistre et détecte une action dans l’espace public qu’elle va moins se produire. Souvent, cela ne fait que déplacer le problème. Il faut faire le travail de comprendre pourquoi elle s’est produite et comment la réduire. »

    La #Commission_nationale_de_l’informatique_et_des_libertés (#Cnil), qui n’a pas été consultée par l’équipe de Laurent Wauquiez, rappelle à Reporterre sa position de principe, qui « considère que la mise en œuvre de caméras augmentées conduit fréquemment à limiter les droits des personnes filmées ». Pour l’autorité administrative indépendante, « le déploiement de ces dispositifs dans les espaces publics, où s’exercent de nombreuses libertés individuelles (liberté d’aller et venir, d’expression, de réunion, droit de manifester, liberté de culte, etc.), présente incontestablement des risques pour les droits et libertés fondamentaux des personnes et la préservation de leur anonymat ».

    https://reporterre.net/Wauquiez-veut-surveiller-les-trains-et-lycees-regionaux-avec-l-intellige
    #surveillance #IA #AI #France #JO #JO_2024

    • La région #AURA vote le déploiement de la VSA dans les gares et les lycées

      Il en rêvait, il l’a fait. Un article de Reporterre nous apprend que Laurent Wauquiez a fait voter jeudi 21 mars en Conseil régional, le déploiement de la vidéosurveillance algorithmique dans tous les lycées et trains d’Auvergne-Rhône-Alpes, profitant de l’expérimentation accordée aux Jeux olympiques de Paris.

      Actuellement 129 gares seraient surveillées par 2 300 caméras, dont les images sont visionnées en temps réel au CRST. 285 lycées, 750 cars et la totalité des rames ferroviaires seraient également équipés.

      Selon la délibération votée par le Conseil régional, l’équipement de ces caméras avec la vidéosurveillance automatisée pourra détecter huit types d’événements prédéterminés : « le non-respect du sens de circulation, le franchissement d’une zone interdite, la présence ou l’utilisation d’une arme, un départ de feu, un mouvement de foule, une personne au sol, une densité trop importante, un colis abandonné. ». Les événements seront ensuite vérifiés par un agent, qui décidera des mesures à prendre.

      L’exécutif régional promet d’utiliser cette vidéosurveillance algorithmique « sans mettre en œuvre de reconnaissance faciale, ni d’identification de données biométriques [qui permettent d’identifier une personne]. » Cependant, comme l’a très bien démontré la Quadrature du Net, la VSA implique nécessairement une identification biométrique.

      La VSA et la reconnaissance faciale reposent sur les mêmes algorithmes d’analyse d’images, la seule différence est que la première isole et reconnaît des corps, des mouvements ou des objets, lorsque la seconde détecte un visage.

      La VSA est capable de s’intéresser à des « événements » (déplacements rapides, altercations, immobilité prolongée) ou aux traits distinctifs des personnes : une silhouette, un habillement, une démarche, grâce à quoi ils peuvent isoler une personne au sein d’une foule et la suivre tout le long de son déplacement dans la ville. La VSA identifie et analyse donc en permanence des données biométriques.

      « En réalité, l’algorithme identifie des actions qui peuvent être rattachées à son auteur » (Marne Strazielle, directrice de la communication de La Quadrature du net.)

      Ce sont généralement les mêmes entreprises qui développent ces deux technologies. Par exemple, la start-up française Two-I s’est d’abord lancé dans la détection d’émotion, a voulu la tester dans les tramways niçois, avant d’expérimenter la reconnaissance faciale sur des supporters de football à Metz. Finalement, l’entreprise semble se concentrer sur la VSA et en vendre à plusieurs communes de France. La VSA est une technologie biométrique intrinsèquement dangereuse, l’accepter c’est ouvrir la voie aux pires outils de surveillance.
      "Loi J.O. : refusons la surveillance biométrique", La Quadrature du Net

      Cela fait longtemps que M. Wauquiez projette d’équiper massivement cars scolaires et inter-urbains, gares et TER d’Auvergne-Rhône-Alpes en caméras et de connecter le tout à la reconnaissance faciale.

      En juin 2023, nous avions déjà sorti un article sur le sujet, au moment de la signature d’une convention entre la région Auvergne Rhône Alpes, le préfet et la SNCF, autorisant le transfert aux forces de sécurité, des images des caméras de vidéosurveillance de 129 gares sur les quelque 350 que compte la région AURA.

      Depuis fin 2023, il demande également d’utiliser à titre expérimental des "logiciels de reconnaissance faciale" aux abords des lycées pour pouvoir identifier des personnes "suivies pour radicalisation terroriste".

      Une mesure qui a déjà été reconnue comme illégale par la justice, comme l’a rappelé le media Reporterre. En 2019 un projet de mise en place de portiques de reconnaissance faciale à l’entrée de lycées à Nice et Marseille avait été contesté par La Quadrature du net et la LDH. La Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), qui avait déjà formulé des recommandations, a rendu à l’époque un avis qui jugeait le dispositif pas nécessaire et disproportionné.

      Mais cela qui n’arrêtera Laurent Wauquiez, celui-ci a déclaré qu’il allait demander au Premier ministre, Gabriel Attal, la permission d’élargir la loi pour couvrir les lycées et les transports régionaux...

      La CNIL, qui n’a pas été consultée par l’équipe de Laurent Wauquiez, a rappelé à Reporterre sa position de principe, qui « considère que la mise en œuvre de caméras augmentées conduit fréquemment à limiter les droits des personnes filmées ».

      Pour elle, « le déploiement de ces dispositifs dans les espaces publics, où s’exercent de nombreuses libertés individuelles (liberté d’aller et venir, d’expression, de réunion, droit de manifester, liberté de culte, etc.), présente incontestablement des risques pour les droits et libertés fondamentaux des personnes et la préservation de leur anonymat ».

      Des dizaines d’organisations, parmi lesquelles Human Rights Watch, ont adressé une lettre publique aux députés, les alertant sur le fait que les nouvelles dispositions créent un précédent inquiétant de surveillance injustifiée et disproportionnée dans les espaces publics, et menacent les droits fondamentaux, tels que le droit à la vie privée, la liberté de réunion et d’association, et le droit à la non-discrimination.

      Résistons à la #VSA et à la technopolice !


      https://halteaucontrolenumerique.fr/?p=5351

  • Jolie trouvaille de Princertitude sur X
    https://twitter.com/princertitude/status/1768569994005148068

    Harry Oudini, en charge du suivi de la production, nous explique comment un fortuit devient programmé en quelques versions .
    « Cela permet de sortir des chiffres intéressant en commission ’enquête parlementaire, c’est un bel outil »

    #centrale_nucléaire #EdF

  • France : #Tricastin : 4 fois trop d’#hydrocarbures dans l’eau

    Publié le 22 février 2024, un très discret et très succin communiqué d’#EDF annonce sans le dire une #pollution du #Rhône. Un dépassement des concentrations en hydrocarbures dans les rejets de la #centrale_nucléaire du Tricastin (#Drôme) a été mesuré il y a 2 mois. L’industriel ne précise pas l’origine de cette pollution qui est pourtant révélatrice de dysfonctionnements sur le site.

    "Défaut ponctuel d’exploitation", c’est l’explication "la plus probable" selon EDF. L’industriel semble accorder bien peu d’importance au fait d’avoir très largement dépassé ses autorisations de #rejets dans l’environnement. En effet, un taux de 46.6 mg/l a été mesuré fin décembre 2023 dans les rejets de l’installation, alors que la limite est fixée à 10 mg/l. Plus de 4 fois la concentration maximale autorisée.

    Les eaux provenant des zones industrielles du site (comme la salle des machines par exemple) sont susceptibles d’être polluées par des hydrocarbures (#huiles, #pétrole et #dérivés). Elles passent par un système appelé #déshuileur : par un procédé de décantation dans des bassins, les hydrocarbures - qui restent en surface - sont séparés de l’eau avant qu’elle ne soit rejetée dans le milieu naturel (en l’occurrence le Rhône pour la centrale du Tricastin). Quand EDF parle de mesure en sortie de déshuileur, c’est donc bien après le procédé de (soi-disant) dépollution et avant le rejet dans l’environnement. Mais pour qui ne connaît pas le fonctionnement des installations, il n’est pas évident de saisir qu’il s’agit bien d’une pollution.

    Malgré le peu de lignes accordées à la description des faits, EDF prend soin de préciser dans son communiqué qu’il n’y a aucun impact pour l’environnement. Pourtant, ponctuel ou pas, tout déversement de produit chimique dans la nature est une pollution, une altération du milieu naturel qui vient s’ajouter à tous les précédents. Peut-être pour appuyer un peu plus sur le caractère "sans gravité", EDF annonce que les faits sont classés au plus bas niveau de l’échelle INES [1], l’échelle des incidents nucléaires. Sans préciser qu’elle est utilisée uniquement pour les faits qui impliquent de la radioactivité. Ce qui n’est pas le cas de cette pollution chimique. Il est donc normal que l’incident en question ne soit pas classé sur l’échelle INES : il n’a rien à y faire. Ce qui ne veut pas dire qu’il est sans gravité ou sans conséquences.

    Outre le communiqué laconique de l’industriel et son annonce plus que tardive (2 mois après les faits), outre l’art du discourt qui élude toute mention de pollution et ne favorise pas - loin de là - une compréhension des faits, la fréquence des mesures et la surveillance des installations posent questions.

    Que des mesures ne soient faites qu’une fois par mois, est-ce suffisant quand il s’agit de surveiller ce qui est déversé dans l’environnement ? Comment l’exploitant peut-il détecter - et encore mieux, stopper - des rejets qui ne respectent pas les limites fixées pour leurs teneurs en substances chimiques ? Comment, avec un prélèvement tous les 30 jours, détecter des dysfonctionnements du système de dépollution des eaux et réagir à temps pour épargner l’environnement ?
    Surveiller de près le fonctionnement du dispositif anti-pollution, l’entretenir et le nettoyer régulièrement pourrait éventuellement venir contre-carrer des prélèvements et des analyses trop peu fréquents. De même, débusquer les fuites d’huiles et agir dès que l’une d’elle est détectée pourrait aussi renforcer la prévention et la lutte contre les pollutions générées par le site industriel. En d’autres termes, surveiller plus et mieux les équipements pour éviter et résoudre au plus tôt les "défauts d’exploitation". Mais manifestement, ce n’est pas comme ça marche à la centrale EDF du Tricastin.

    Cet incident, déclaré aux autorités car significatif pour l’environnement [2], montre très clairement que le fonctionnement de l’installation et l’organisation d’EDF ne permettent pas de prévenir les pollutions ni de préserver le milieu naturel. Et malheureusement, le cas du Tricastin n’est pas isolé, pour preuve les nombreuses déclarations de dépassement des limites autorisées dans les rejets liquides des centrales nucléaires (voir notre cartEau). EDF est loin, très loin de se donner les moyens de limiter la casse environnementale produite par son activité industrielle.
    Ce que dit EDF :

    Evénements significatifs de décembre 2023

    Publié le 22/02/2024

    Les évènements significatifs suivants ont été déclarés au niveau 0 en dessous de l’échelle INES à l’Autorité de sûreté nucléaire. Ils n’ont eu aucune conséquence sur la sûreté des installations ou sur l’environnement.

    29 décembre 2023, événement significatif environnement

    Conformément à la réglementation, les équipes réalisent un prélèvement mensuel afin d’analyser la quantité d’hydrocarbures en sortie du déshuileur. Le résultat est de 46,6 mg/l pour une limite autorisée de 10 mg/l. Les analyses effectuées en janvier 2024 ne montrent pas de dépassement. Un défaut ponctuel d’exploitation est la cause la plus probable.

    https://www.edf.fr/la-centrale-nucleaire-du-tricastin/les-actualites-de-la-centrale-nucleaire-du-tricastin/evenements-significatifs-de-decembre-2023

    [1] INES : International nuclear and radiological event scale (Échelle internationale des événements nucléaires et radiologiques) - Description et niveaux ici - https://www.asn.fr/Lexique/I/INES

    [2] Événements significatifs : incidents ou accidents présentant une importance particulière en matière, notamment, de conséquences réelles ou potentielles sur les travailleurs, le public, les patients ou l’environnement. https://www.asn.fr/Lexique/E/Evenement-significatif En dessous des évènements significatifs, il y a les évènements dits « intéressants », et encore en dessous les « signaux faibles ». Un évènement catégorisé « significatif » est donc déjà « en haut de l’échelle » d’importance des évènements

    https://www.sortirdunucleaire.org/France-Tricastin-4-fois-trop-d-hydrocarbures-dans-l-eau

    #rivière #nucléaire #pollution_de_l'eau

  • Réadmission des migrants venant d’Europe : #Soueisssya, ciblée pour un centre de transit ?

    Mine de rien, les autorités mauritaniennes et européennes seraient avancées dans leur projet de « #partenariat_renforcé » dans la lutte contre l’immigration clandestine entre les deux rives. Malgré la levée du ton de l’Opposition, le projet commun est déjà -si l’on en croit des sources autorisées- bien lancé. Le dernier déplacement conjoint de la présidente de la commission européenne, Urusla Van Der Leyen, et du premier Ministre espagnol, Pedro Sanchez, attesterait de l’importance de la question pour les deux parties.
    Les discussions entre les deux parties, entamées de plus plusieurs mois, auraient même déjà identifiée la zone de Soueissiya, 60 km de notre capitale économique, sur la route de Nouakchott, pour élire le futur centre de rétention des immigrés interceptés en haute mer.
    Pour ce faire, un autre accord de statut pour les forces du Frontex devrait permettre aux gardes-frontières européens de patrouiller, avec les garde-côtes mauritaniens, pour intercepter les candidats à l’immigration clandestine.
    Ces derniers qui voient les filets se resserrer sur eux pourraient donc être interceptés et renvoyés vers ce centre de reflux où ils devraient être recueillis dans l’optique de les faire retourner chez eux. En plus de soutien sonnant et trébuchant, l’UE aurait également accéder à des demandes locales pour la construction de tronçons routiers entre Boulenouar, 98km, et Tmeimichatt, 319 km sur la voie ferrée. Le projet de centre en lui-même sera bien équipé et gardé. Rien n’a été donc jusqu’à présent scellé. La date butoir du 7 mars 2024 où séjournera une Haute délégation de l’UE à Nouakchott permettra d’entrevoir plus de transparence, peut-être, dans ce dossier qui fait couler beaucoup d’encre. Il aidera, en tout cas, à estomper les supputations qui vont bon train sur cette délicate question.
    Si officiellement on évoque l’enveloppe de 210 millions d’euros, d’ici la fin de l’année, l’investissement européen, pour convaincre la partie mauritanienne, est estimé à quelques 522 millions d’euros.
    Néanmoins, les autorités mauritaniennes dénient tout accord avec l’UE permettant de recaser sur leur territoire d’immigrés chassés d’Europe. La perspective de renvoi d’immigrés, en majorité africains, serait pour le moins imprudente au moment où la Mauritanie tient les brides de l’UA.

    https://ladepeche.mr/?p=8575
    #externalisation #migrations #asile #réfugiés #Mauritanie #accord #partenariat #Europe #UE #EU #centre_de_transit #centre_de_rétention #rétention #détention_administrative #Frontex

    • La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano

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      La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano
      Nagi Cheikh Ahmed
      6 Marzo 2024

      La Mauritania è un paese situato nell’angolo nord-occidentale del continente africano e affacciato sull’oceano Atlantico: questa sua posizione è strategica ed estremamente importante per le persone migranti che cercano di raggiungere il continente europeo e l’arcipelago spagnolo delle Canarie. Negli ultimi anni, infatti, il paese ha registrato un significativo aumento del numero di migranti che lo attraversano nel tentativo di raggiungere le isole spagnole e altri paesi dell’Unione Europea. Le stime indicano che questo aumento potrebbe essere il risultato del rafforzamento delle misure contro le migrazioni nei paesi limitrofi che portano a deviare le rotte verso nuovi percorsi, rendendo la Mauritania un luogo di transito sempre più “attraente” per raggiungere l’Europa.

      È in questo contesto che la Spagna e lo Stato africano stanno avanzando nella costruzione di una forte partnership per combattere l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza dei confini attraverso una serie di misure e azioni. Questi sforzi includono la cooperazione nello scambio di informazioni di intelligence, la formazione delle forze di sicurezza e della guardia nazionale, nonché il rafforzamento del controllo delle frontiere e un supporto operativo per lo sviluppo di capacità nell’affrontare tale fenomeno. Secondo i dati spagnoli, l’83% dei migranti che attualmente arrivano alle isole Canarie sono transitati dalla Mauritania.
      I migranti come strumento di pressione e ricatto

      Di fronte alle crescenti tensioni attorno le questioni migratorie, i Paesi europei cercano di trovare “soluzioni” che garantiscano una riduzione del flusso di migranti verso i loro confini. È quella che viene definita la politica di esternalizzazione delle frontiere, ossia una politica di “estensione” dei confini per impedire ai migranti di raggiungere o avvicinarsi al loro territorio, attraverso accordi con diversi Paesi africani considerati punti di transito potenziali per i migranti africani. L’accordo contro l’immigrazione tra la Spagna e la Mauritania è un altro esempio evidente di come i Paesi europei sfruttino le necessità finanziarie dei paesi poveri. Questo accordo che si basa su sforzi congiunti per la lotta all’immigrazione, riflette chiaramente la dinamica tra la necessità di sicurezza europea e la necessità finanziaria dei paesi africani, sollevando controversie sul costo umano che viene pagato in questo processo.

      Nella politica internazionale contemporanea, l’immigrazione emerge come una delle questioni più controverse e complesse, specialmente quando viene utilizzata come strumento di pressione nelle negoziazioni politiche ed economiche. La Turchia, con la sua posizione geografica unica tra l’Europa e il Medio Oriente, ha utilizzato abilmente l’immigrazione nelle sue negoziazioni con l’Unione Europea. L’accordo del 2016 è stato un punto di svolta, in cui l’Unione Europea ha accettato di pagare miliardi di euro ad Ankara in cambio del controllo del flusso di rifugiati verso l’Europa. Questo accordo ha dimostrato come i paesi possano sfruttare le crisi migratorie per rafforzare le loro posizioni economiche e politiche.

      Come la Turchia, anche il Marocco ha sfruttato la sua posizione come principale porta d’accesso all’Europa per ottenere concessioni finanziarie e commerciali dalla Spagna e dall’Unione Europea, e persino posizioni politiche nel suo conflitto con il Fronte Polisario. Controllando i flussi migratori, il Marocco ha rafforzato la sua posizione come partner chiave dell’Unione Europea nella lotta contro l’immigrazione irregolare, migliorando così le sue relazioni economiche e politiche con l’Europa.

      Oltre a Turchia e Marocco, il comportamento di Russia e Bielorussia emerge come un esempio evidente di sfruttamento delle questioni migratorie per il ricatto politico contro l’Unione Europea. Questi due paesi hanno facilitato l’accesso dei migranti ai confini orientali europei, creando una crisi migratoria artificiale mirata a esercitare pressione politica ed economica. La Bielorussia, sotto la guida di Alexander Lukashenko, ha utilizzato l’immigrazione come mezzo per rispondere alle sanzioni europee imposte contro di essa. Facilitando il passaggio dei migranti verso Lituania, Lettonia e Polonia, la Bielorussia ha cercato di creare problemi di sicurezza e umanitari all’Unione Europea, costringendola a rinegoziare i termini delle sanzioni e le relazioni diplomatiche.

      Anche la Mauritania vuole partecipare

      Considerati i numerosi accordi bilaterali sottoscritti negli ultimi anni, anche il governo mauritano cerca opportunità per trarre vantaggio da questa situazione ottenendo guadagni politici e finanziari. Pertanto, l’uso dei migranti come strumento di ricatto riflette una strategia che consente alla Mauritania di richiedere più supporto e assistenza dall’Unione Europea in cambio della sua cooperazione nella lotta contro l’immigrazione irregolare e l’arresto del flusso di migranti. La Mauritania, che trova difficoltà nel controllare i suoi vasti confini, potrebbe tollerare l’ingresso dei migranti nel suo territorio, al fine di accumularne un gran numero per dimostrare la sua necessità di fronte all’Europa e quindi ottenere supporto e assistenza finanziaria, ignorando tutti i rischi che tali politiche potrebbero comportare per un paese già fragile con una infrastruttura carente, trascurando i diritti di migliaia di migranti.

      Il governo nega, ma i documenti confermano

      L’accordo stipulato tra la Mauritania e l’Unione Europea per combattere il fenomeno dell’immigrazione irregolare ha sollevato polemiche a livello locale, considerato come un “accordo” tra le due parti per insediare i migranti sul territorio mauritano in cambio di un pacchetto di aiuti finanziari, cosa che le autorità negano. Alcuni media indipendenti hanno riportato l’intenzione dell’Unione Europea di offrire subito 220 milioni di euro di aiuto alla Mauritania: questa proposta è emersa durante un incontro tenutosi giovedì 8 febbraio nella capitale Nouakchott, tra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e il presidente mauritano Mohamed Ould Ghazouani.

      Il Ministero dell’Interno mauritano ha negato ciò, affermando che la Mauritania “non sarà una patria alternativa per i migranti irregolari“, confermando al contempo di aver avviato negoziazioni preliminari con l’Unione Europea “su una bozza di dichiarazione congiunta relativa all’immigrazione, in linea con la roadmap discussa tra le parti a Bruxelles l’11 dicembre 2023“. Il ministero ha aggiunto in una dichiarazione che “le negoziazioni tra le parti rimarranno aperte, al fine di raggiungere un’intesa comune che serva gli interessi di entrambe le parti in materia di immigrazione legale e lotta contro l’immigrazione irregolare, tenendo conto delle sfide che la Mauritania affronta in questo campo, lontano da ciò che alcuni promuovono riguardo l’ipotesi di insediare i migranti irregolari in Mauritania”.

      Il ministero ha negato con enfasi qualsiasi ipotesi di accordo che punti a rendere la Mauritania un luogo dove insediare, accogliere o ospitare temporaneamente migranti stranieri irregolari, affermando che queste voci sono completamente infondate e che questo argomento non è stato affatto discusso, non è all’ordine del giorno e non è assolutamente contemplato. Il ministero ha dichiarato che gli incontri tra le parti hanno discusso la bozza del documento, allo scopo di “avvicinare i punti di vista riguardo ciò che stabilisce un accordo equilibrato e giusto che garantisca il rispetto della sovranità e degli interessi comuni di entrambe le parti, e sia in linea con le convenzioni e le leggi internazionali in materia di immigrazione“.

      Il ministero ha sottolineato che gli incontri continueranno a esaminare e analizzare i termini del documento, incluso ciò che sarà discusso durante l’incontro previsto tra la Mauritania e l’Unione Europea che si terrà nuovamente a Nouakchott giovedì 7 marzo. Tuttavia, il documento ottenuto dai media, relativo al verbale di discussione tra una delegazione mauritana e l’Unione Europea a Bruxelles il 9 febbraio 2024, mostra nei suoi termini l’accettazione della Mauritania di accogliere i rifugiati e i migranti espulsi dall’Europa, al fine di assisterli nella loro integrazione e “facilitare” la loro vita.

      Il documento non parla chiaramente dell’accoglimento da parte della Mauritania di re-insediare in modo permanente i migranti espulsi dagli Stati dell’Ue sul suo territorio, ma c’è un punto che rivela senza ambiguità la sua disponibilità ad accogliere i migranti espulsi dall’Europa, in assenza totale di qualsiasi meccanismo specifico per il successivo rimpatrio nei loro paesi d’origine.

      Questa estrema ambiguità getta diversi dubbi sulla serietà delle misure adottate, specialmente quando si considerano le enormi difficoltà che anche i paesi europei, con le loro vastissime risorse, incontrano nell’identificare i migranti che spesso sono senza documenti. Sembra che la soluzione europea si limiti a liberarsi del problema, rimpatriando i migranti in Mauritania senza considerare il loro destino successivo, il che significa che alla fine rimarranno in Mauritania a tempo indeterminato.

      Questo approccio ignora deliberatamente le cause profonde dell’immigrazione, come i cambiamenti climatici, i conflitti e le violazioni dei diritti umani, che spingono le persone a rischiare la vita in cerca di una loro sicurezza e di una possibilità di vita dignitosa. Concentrandosi esclusivamente sulla deportazione, l’Unione Europea dimostra una certa indifferenza verso la sofferenza delle persone più vulnerabili, ignorando così gli obblighi internazionali relativi alla protezione dei rifugiati e ai diritti umani, che garantiscono il diritto delle persone a presentare domande di protezione internazionale basate sulle loro storie personali e a dare loro tempo sufficiente per elaborare le richieste di protezione e asilo.

      D’altra parte, la firma di tali accordi con la Mauritania solleva serie domande sulla situazione della sicurezza e dei diritti umani nel paese. La disponibilità ad accettare questi migranti senza misure chiare per proteggerli o rispettare i loro diritti trascura gravemente l’assenza di tutele civili e sociali, a causa del pessimo record della Mauritania in materia di diritti umani.

      «Le relazioni internazionali sul Paese mettono in luce violazioni continue che includono schiavitù, discriminazione, detenzione arbitraria e repressione della libertà di espressione.»

      Ad esempio, lunedì 4 marzo 2024 in Mauritania è iniziato il processo contro due giovani. Una ragazza di 19 anni è stata arrestata lo scorso luglio e la pubblica accusa le ha imputato il “reato di derisione e insulto al Profeta Maometto“, chiedendo la sua incarcerazione. È inoltre accusata di utilizzare i social media per offendere l’Islam, reati per cui il codice penale mauritano prevede la pena di morte. L’altro giovane è un mauritano che aveva abbracciato il cristianesimo da tempo e viveva in Germania, dove aveva chiesto protezione, ma le autorità tedesche non hanno riconosciuto la sua richiesta e lo hanno deportato in Mauritania, dove è stato arrestato immediatamente all’arrivo in aeroporto ed è in carcere da mesi. In questo momento, c’è una grande carenza di informazioni sul loro stato di salute fisico e psicologico. Le autorità stanno facendo pressione per oscurare il processo e non parlare di queste vicende, il tutto si svolge in un’atmosfera cupa. Questi due casi sono anche esemplificativi dei seri dubbi sulla volontà della Mauritania di fornire protezione ai migranti e ai rifugiati rimpatriati.

      Inoltre, l’assenza di legislazione specifica per regolare lo status di rifugiati e migranti in Mauritania complica la possibilità di garantire efficacemente i diritti di queste categorie. Senza un quadro legale chiaro che regoli le procedure di asilo e immigrazione, e garantisca la protezione necessaria, rifugiati e migranti rimangono in una posizione legale precaria, esposti a rischi e senza diritti tangibili.

      Il fatto che l’Europa firmi tali accordi ignorando la realtà in Mauritania costituisce una chiara violazione dei trattati internazionali che proibiscono il trasferimento di migranti in paesi dove potrebbero affrontare il rischio di incarcerazione o discriminazione, e subire trattamenti inumani e degradanti. Questo accordo, per gli esperti del diritto, contraddice esplicitamente perfino gli approcci di sicurezza adottati dall’Europa nel settembre 2015, quando la Commissione Europea ha proposto un progetto per creare una lista comune dei “paesi di origine e transito sicuri“, dove i richiedenti asilo che passano attraverso il paese indicato potrebbero essere rimpatriati. Paesi considerati appunto “sicuri” in quanto le procedure relative alle loro richieste di asilo dovrebbero essere in linea con gli standard del diritto internazionale ed europeo sui rifugiati. Tuttavia, l’Unione Europea non ha incluso la Mauritania in questa lista dei paesi sicuri. Quindi, come può l’Europa firmare tali accordi con un paese che non considera sicuro?
      Verso un nuovo orizzonte

      L’incontro congiunto di giovedì 7 marzo nella capitale Nouakchott deve essere considerato come un momento cruciale che richiede una profonda riflessione e una revisione delle basi e dei principi su cui si fondano tali accordi. Entrambe le parti dovrebbero guardare con occhi critici alle esperienze passate, valutando i risultati e gli impatti reali delle politiche adottate sui diritti umani e sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

      C’è un bisogno urgente di adottare un approccio più inclusivo e umano nel trattare le questioni dell’immigrazione, un approccio che vada oltre le misure di sicurezza e restrittive per includere le dimensioni sociali e umane. Questo approccio dovrebbe concentrarsi sul diritto e sulla libertà dell’individuo di muoversi e migrare, piuttosto che limitarsi alla semplice gestione dei flussi migratori o tutt’al più a deviare i tragitti da un paese all’altro.

      È anche essenziale rafforzare i meccanismi di trasparenza e responsabilità nell’attuazione e nel monitoraggio degli accordi. L’Unione Europea e la Mauritania devono garantire che le politiche sull’immigrazione siano conformi agli obblighi internazionali e rispettino i diritti umani e la dignità di tutte le persone. La cooperazione internazionale in materia di immigrazione non dovrebbe portare a minare questi diritti o ignorare le difficili condizioni umane affrontate da migranti e rifugiati.

      È richiesto inoltre che la Mauritania lavori per migliorare il suo approccio sui diritti umani e rafforzare la protezione per migranti e rifugiati sul suo territorio. Ciò dovrebbe includere la riforma delle leggi e delle pratiche che permettono l’arresto arbitrario e la discriminazione, e fornire meccanismi efficaci per il ricorso e la protezione legale degli individui.

      Dall’altro lato, spetta all’Unione Europea non solo fornire supporto finanziario e tecnico, ma anche lavorare con la Mauritania e altri paesi partner per sviluppare politiche sull’immigrazione giuste ed eque, che rispettino i diritti e la dignità umana di tutte le persone, indipendentemente dal loro status migratorio.

      La sfida che l’Unione Europea e la Mauritania devono affrontare non è solo rinnovare questi accordi, ma reinventarli in modo che realizzino sicurezza e stabilità e, allo stesso tempo, rispettino i diritti umani e promuovano lo sviluppo sostenibile e inclusivo.

      Questo incontro congiunto a Nouakchott dovrebbe essere un’opportunità per presentare una nuova visione della cooperazione in materia di immigrazione, una visione basata sulla responsabilità condivisa, solidarietà e rispetto reciproco. Infine, l’obiettivo dovrebbe essere costruire un futuro in cui le persone possano vivere con dignità e sicurezza nei loro paesi, o scegliere di migrare come un diritto e non come una necessità imposta dalla disperazione.

      https://www.meltingpot.org/2024/03/la-mauritania-diventera-un-centro-di-accoglienza-per-i-migranti-espulsi-

    • Migration : petit à petit, l’UE verrouille des accords fragiles avec les pays tiers

      Ce jeudi, la secrétaire d’Etat de Moor, accompagne la commissaire européenne aux Affaires intérieures à Nouakchott pour signer un mémorandum d’accord migratoire avec la Mauritanie. Après la Turquie, la Libye, et la Tunisie récemment, ces accords se multiplient autant que les critiques qui les entourent.

      Ce dimanche, partis de Mauritanie, six migrants voulant rallier l’Europe ont péri dans leur traversée. 65 autres personnes, également à bord de leur pirogue, sont toujours portées disparues. En 2023, plus de 40.000 personnes ont risqué leur vie dans l’Atlantique – près de 1.000 en sont mortes – en voulant rejoindre l’Espagne via les îles Canaries au départ de l’Afrique de l’Ouest. Une hausse sans précédent (+ 160 % par rapport à 2022) que les autorités locales ont du mal à gérer. C’est dans ce contexte que la commissaire européenne aux Affaires intérieures Ylva Johansson, le ministre de l’Intérieur espagnol Fernando Grande-Marlaska et notre secrétaire d’Etat à l’Asile et la Migration Nicole de Moor se rendent à Nouakchott ce jeudi afin de signer un mémorandum d’accord avec la Mauritanie.

      Ce protocole d’accord s’inscrit dans la lignée de celui, polémique, conclu en juillet dernier avec la Tunisie. Avec ces « partenariats stratégiques mutuellement bénéficiaires », la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen entend « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des pays partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants embarquent ou prennent la route pour l’UE. L’idée est que les pays de départ ou de transit bloquent l’arrivée de migrants vers les côtes européennes et réadmettent leurs citoyens en séjour illégal dans l’UE en échange d’investissements ou de coups de pouce économiques. Contacté, il est question, pour l’exécutif européen, de passer d’autres « partenariats sur mesure » similaires avec l’Egypte, prochainement. Voire avec le Maroc ? Bref, petit à petit, la Commission complète sa carte du pourtour méditerranéen.

      Stratégie électoraliste

      « Ce type d’accord n’est pas nouveau », avance Eleonora Frasca, chercheuse doctorante sur la coopération entre l’UE et les pays africains en matière d’immigration (UCLouvain). « Il y a notamment celui passé avec la Libye ou encore avec la Turquie. Mais le deal passé avec Ankara, aussi critiqué soit-il, avait le mérite de prévoir des fonds pour l’accueil et l’accompagnement des exilés sur le sol turc. Ce qui a disparu des accords qui ont suivi et qui se concentrent sur les aspects sécuritaires. »

      Certes, la coopération migratoire n’est pas neuve. Ce qui l’est davantage, c’est la stratégie de communication de l’UE autour de ce type de deal, pointe Eleonora Frasca : « On déplace des membres de la Commission pour en faire un événement majeur. » Florian Trauner, doyen de la Brussels School of Governance (VUB) et spécialiste de la politique migratoire de l’UE, y lit une stratégie électoraliste. « Ces accords symbolisent une politique migratoire plus restrictive. En année électorale, les dirigeants européens envoient un signal à la population : “Regardez, on empêche les migrants d’arriver en Europe.” » Pour lui, cela montre aussi que les Etats membres s’accordent plus facilement sur une politique d’externalisation des frontières plutôt que sur une réponse solidaire. « La négociation du nouveau pacte sur la migration et l’asile l’illustre très bien. »

      Ces annonces et ces signatures en grande pompe contrastent avec l’opacité des négociations. « Les pourparlers avec la Tunisie hier, la Mauritanie aujourd’hui et l’Egypte demain en sont les parfaits exemples. Il est très difficile, voire impossible, de suivre les discussions. On assiste à un processus “d’informalisation ou de déformalisation” du droit international auquel l’UE contribue de manière significative, ainsi qu’à la multiplication d’instruments de droit non contraignant », regrette la chercheuse de l’UCLouvain. Pour son collègue de la VUB, ces accords informels sont par définition plus flexibles, moins contraignants juridiquement et politiquement. « Ce qui arrange les deux parties. Ils permettent, pour les pays tiers, de mettre hors du débat public ces arrangements souvent contestés par la population locale. »

      Le « chantage » aux migrants

      Et puis ces accords reposent sur le bon vouloir des régimes en place. En témoignent les soubresauts dans l’application de l’accord tunisien, décrié puis accepté… par le même président qui l’avait signé. « L’exemple récent du Niger est criant », ajoute Eleonora Frasca. « Depuis le coup d’Etat de juillet dernier et l’abrogation d’une loi réprimant le trafic illicite de migrants, l’UE est très préoccupée. »

      Florian Trauner soulève un autre « danger » : le « chantage » aux migrants. « Sachant l’Europe divisée, sensible et fragile quand il s’agit d’immigration, les pays tiers en jouent pour négocier, notamment de l’argent. Ce n’est pas pour rien qu’autant de migrants sont arrivés à Lampedusa depuis la Tunisie cet été… » Et le doyen de la Brussels School of Governance de citer les pressions d’Erdogan en 2020 afin que l’Europe appuie ses initiatives en Syrie ou encore le jeu du Maroc avec l’Espagne sur la question du Sahara occidental. Par ailleurs, pointent nos deux experts, ces accords sont passés avec des pays loin d’être des exemples en termes de respect des droits fondamentaux. L’exemple tunisien est encore une fois parlant : la situation déplorable des migrants en Tunisie ne s’est pas améliorée depuis la signature, dénoncent les ONG.

      Mais ces arrangements sont-ils « efficaces » ? S’il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées grâce aux accords, Florian Trauner les a étudiés sur dix ans, entre 2008 et 2018. « Hormis l’accord passé avec la Turquie qui a montré des résultats dans la prise en charge par Ankara des réfugiés syriens, ces accords ont un bilan modeste. Les pays des Balkans jouent le jeu, mais les pays africains peu ou pas du tout », constate-t-il. « A court terme, ces arrangements peuvent paraître efficaces parce qu’ils font écho à une réduction des entrées irrégulières », explique Eleonora Frasca. « On a dans un premier temps diminué les flux au départ de la Libye, ils se sont alors dirigés vers la Tunisie. Raison pour laquelle on a passé un accord avec Tunis, dont on voit timidement les résultats… Mais les migrations s’adaptent et se réorganisent. Ça ne sert à rien de passer des accords avec tous les pays africains, cela rend juste les routes de plus en plus dangereuses. »

      https://www.lesoir.be/572896/article/2024-03-06/migration-petit-petit-lue-verrouille-des-accords-fragiles-avec-les-pays-tiers

    • La Mauritanie, nouvelle voie d’entrée de migrants vers l’Union européenne... qui réagit

      L’Union européenne a initié jeudi un nouveau partenariat en matière de migration avec la Mauritanie, État d’Afrique du Nord-Ouest par où transitent des migrants vers les îles Canaries (Espagne). La route des îles Canaries, passant par une dangereuse traversée dans l’Atlantique, est davantage fréquentée ces derniers temps. Plus de 12.000 personnes l’ont empruntée sur les deux premiers mois de cette année, soit plus de six fois plus que sur la même période l’an dernier.

      Ce partenariat doit ouvrir la voie à un financement européen afin de soutenir la gestion des migrations - notamment la lutte contre le trafic de migrants -, ainsi que la sécurité et la stabilité, l’aide humanitaire en faveur des réfugiés et le soutien aux communautés d’accueil.

      Une déclaration en ce sens a été signée à Nouakchott par la commissaire aux Affaires intérieures, Ylva Johansson, et le ministre mauritanien de l’Intérieur, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine, en présence de son homologue espagnol, Fernando Grande-Marlaska, et de la secrétaire d’État belge à l’Asile et à la Migration, Nicole de Moor, au nom de la présidence belge du Conseil. « Nous avons besoin de partenariats avec ces pays d’Afrique du Nord pour prévenir les départs irréguliers et les pertes de vies humaines. Une gestion efficace des migrations constitue un défi européen nécessitant une réponse collective », a déclaré Mme de Moor.

      Le partenariat vise entre autres à renforcer les capacités des garde-frontières mauritaniens, en accroissant la coopération avec Frontex, l’agence européenne de garde-frontières et garde-côtes, pour ce qui est de la formation et des équipements. La coopération sur les opérations de recherche et de sauvetage sera aussi intensifiée. L’UE veut également appuyer les efforts de la Mauritanie dans ses capacités d’accueil, en particulier des plus vulnérables. Dans le pays résident quelque 150.000 réfugiés du Mali. Des enquêtes conjointes doivent aussi aider à prévenir la migration irrégulière.

      La coopération sera renforcée en matière de retour et de réadmission en ce qui concerne les Mauritaniens en séjour irrégulier dans l’UE, « dans le respect de leurs droits et de leur dignité », assure la Commission dans un communiqué. Comme c’est le cas pour d’autres accords en gestation, ou pour l’accord controversé avec la Tunisie, l’UE vise un partenariat large. Il visera donc aussi la création de perspectives d’emploi (accès à la formation professionnelle et au financement pour les entreprises), mais aussi la promotion de la migration légale (mobilité des étudiants, chercheurs et entrepreneurs). Le mois dernier, la présidente de la Commission Ursula von der Leyen avait annoncé, lors d’un déplacement en Mauritanie, la mobilisation de 210 millions d’euros en faveur de ce pays.

      L’UE cherche encore à nouer un autre partenariat stratégique de ce type avec l’Égypte, qui est non seulement un pays de transit, mais aussi de départ et de destination. « Des Égyptiens quittent leur pays, qui est le cinquième pays d’entrée dans l’UE, tandis que de nombreuses autres personnes fuient vers l’Égypte. Un partenariat solide est plus que nécessaire pour ne pas les laisser seuls dans cette tâche difficile », selon Mme de Moor.

      https://www.rtbf.be/article/la-mauritanie-nouvelle-voie-d-entree-de-migrants-vers-l-union-europeenne-qui-re

  • A Milano più #smog in periferia che in centro, tassi di decesso doppi

    La concentrazione di inquinamento è maggiore in confronto al passato in periferia rispetto al centro e questo sta comportando anche un aumento considerevole dei decessi tra i residenti, visto che i quartieri limitrofi a quelli centrali sono in media anche quelli più popolati soprattutto tra gli over 65.

    I tassi di decesso nelle aree periferiche sono in particolare raddoppiati, con Milano caso esemplare dei grandi centri urbani italiani dove in media sono più alti fino al 60% nei quartieri lontani dal centro con meno verde, ad alta densità di traffico di traffico e di abitanti over 65.

    A determinare questa nuova tendenza sono il mix smog-condizioni socio-economiche più sfavorevoli, che inducono stili di vita peggiori come fumo, obesità e minore attività fisica con effetto moltiplicativo della mortalità, rispetto alle aree più centrali delle città. Questa l’allerta lanciata dai circa 200 scienziati da tutto il mondo, riuniti a Milano nella conferenza ’RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health 2024’, co-organizzata dalla Fondazione Menarini in collaborazione con Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, e dall’Imperial College di Londra. E gli esperti studiano il modello londinese. La capitale britannica ha deciso di estendere il divieto di circolazione dei veicoli più inquinanti a tutta l’area metropolitana (suscitando non poche polemiche).
    L’allerta arriva a pochi giorni dal varo della nuova direttiva europea sulla qualità dell’aria e alla luce dei dati di una indagine condotta dall’Agenzia per la tutela della salute di Milano (Ats-Mi) recentemente pubblicata sulla rivista Epidemiologia&Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia. La ricerca dimostra che nei quartieri di periferia dove passano le tangenziali, con meno verde e più densamente abitate, con molti cittadini over 65, il tasso di decessi attribuibile a biossido di azoto e polveri sottili può aumentare molto rispetto a quello registrato nelle aree limitrofe al centro, meno urbanizzate o più ricche di verde e nei quartieri centrali dove il traffico è solitamente soggetto a limitazioni.

    Con una popolazione di quasi 1,4 milioni di abitanti, ricorda la ricerca, Milano è la seconda città metropolitana d’Italia, storicamente afflitta dal problema dello smog sia per le numerose fonti di emissione che la accomunano alla Pianura Padana (industriali, residenziali, da traffico e da allevamenti intensivi) che, aggiunte al ristagno dell’alta pressione e alle particolari condizioni orografiche, non favoriscono la dispersione degli inquinanti atmosferici. Per valutare gli effetti sanitari a lungo termine sulla popolazione, l’Agenzia per la Tutela della Salute di Milano (Ats-Mi) ha condotto uno studio con cui ha stimato i livelli di concentrazione media degli inquinanti (No2, Pm10 e Pm2.5) per il 2019 con una risoluzione spaziale senza precedenti, pari a 25 metri quadrati. I dati sono stati poi incrociati con le informazioni sanitarie e anagrafiche. «I risultati - dichiara Sergio Harari, co-presidente del congresso, della Divisione di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Divisione di Medicina Interna dell’Ospedale San Giuseppe MultiMedica IRCSS e dell’Università di Milano - permettono di definire una vera e propria mappa dell’inquinamento e dei suoi effetti, quartiere per quartiere e rivelano, per la prima volta, che biossido di azoto e polveri sottili hanno tassi di decesso per 100.000 abitanti che possono arrivare fino al 60% in più in alcune zone della periferia milanese rispetto al centro città». Tra i vari inquinanti l’impatto maggiore nel capoluogo lombardo lo ha avuto «il Pm2,5, responsabile del 13% delle morti per cause naturali (160 su 100mila abitanti) e del 18% dei decessi per tumore al polmone - ha spiegato Pier Mannuccio Mannucci, della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico -. Per quanto riguarda Le conseguenze più pesanti si hanno in zone periferiche come Mecenate, Lorenteggio e Bande Nere dove i tassi di decesso superano i 200 per 100mila abitanti, mentre in pieno centro i tassi si assestano attorno a 130». A ’salvare’ le zone centrali, secondo la ricerca, sono le zone a traffico limitato (Ztl) che giocano un ruolo molto importante nel ridurre inquinanti ed effetti deleteri sulla salute.

    https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2024/03/01/piu-smog-in-periferia-che-in-centro-tassi-di-decesso-doppi_88aa7f71-0797-48cc-9
    #pollution #pollution_de_l'air #air #Milan #Italie #rapport #étude #santé #centre-ville #périphérie #mortalité

  • Comment la société française a appris à mépriser les « paysans » et leurs « #patois »

    Les manifestations récentes par lesquelles le monde agricole français a fait entendre ses protestations et ses revendications ont, une fois de plus, fait apparaître des différences profondes, voire des fractures, entre le monde rural et le monde urbain et plus encore entre des images valorisantes de l’urbanité et dévalorisantes de la ruralité.

    La France moderne a été construite depuis Paris, lieu de la puissance politique, en développant un sentiment de supériorité de la capitale sur « la province » (le singulier est significatif) et des villes (supposées modernes) sur les campagnes (supposées arriérées). Au lieu d’être fédérale, vu sa diversité, « la France est un pays dont l’unité a été construite à coups de cravache […] par l’autorité de l’État central », selon Jean Viard.

    Les normes sociales valorisées ont donc été celles, urbaines, de la ville-capitale érigée en phare de l’État hypercentralisé. On le voit, par exemple, dans le fait qu’en français le mot urbain a le double sens « de la ville » et « poli, courtois » et que le mot paysan a le double sens de « rural, agricole » et « rustre, grossier ». Ce mode de relation est clairement confirmé par une analyse sociolinguistique plus large, comme on va le voir ci-après. En effet, la sociolinguistique a pour but d’étudier principalement deux choses : les effets de l’organisation d’une société sur les langues qu’on y parle et ce que la place faite aux langues révèle de l’organisation de cette société.
    Paris, ses bourgeois et leur langue érigés en modèle

    C’est en effet la langue de la capitale qui a été imposée notamment à partir de la Révolution française à l’ensemble des populations progressivement rattachées à la France. Elle est considérée comme la langue « normale » en France. Et c’est le français des classes supérieures parisiennes qui a été prescrit comme modèle d’expression. Ainsi le grammairien Vaugelas définissait-il ce « bon français » en 1647 :

    « La façon de parler de la plus saine partie de la Cour […] Quand je dis la cour, j’y comprends les femmes comme les hommes, et plusieurs personnes de la ville où le prince réside. »

    La prétendue supériorité universelle du français, par opposition à toutes les autres langues et d’autant plus aux « patois régionaux », affirmée dès 1784 par le pamphlétaire Rivarol, est régulièrement reprise dans les discours étatiques jusqu’à aujourd’hui, par exemple par le président de la République lui-même lorsqu’il inaugure une cité qui cultive les mythes sur la langue française.

    Tout au long du XIXe siècle, la construction de la nation française passe par cette vision de la langue française, que l’école de la IIIe République (1870-1940) est chargée de mettre en œuvre de façon particulièrement offensive.

    En 1951, le phonéticien Pierre Fouché poursuit cette vision suprémaciste de la langue de Paris et de ses classes dominantes en établissant pour l’enseignement une norme de prononciation du français sur le modèle d’une « conversation soignée chez des Parisiens cultivés ».
    Les « patois pauvres et corrompus » des campagnes « provinciales »

    Quant aux autres langues de France, comme on les appelle depuis 1999, elles ont, à l’inverse, été disqualifiées par le nom de « patois » au départ méprisant, par l’association au seul monde rural et à une arriération prétendue. L’origine du mot « patois » est discutée, mais il est très probable qu’il vienne du verbe « patoiller » qui veut dire soit « marcher dans la boue, barboter, patauger », soit « gesticuler, parler en faisant des signes avec les mains ». Dans les deux cas, c’est un terme péjoratif à l’origine.

    Or, tout ceci est doublement faux : ces langues étaient aussi celles des villes (à Marseille par exemple le provençal était la langue générale jusque dans les années 1920) et d’intellectuels (Frédéric Mistral, licencié en droit, a reçu le prix Nobel de littérature pour son œuvre toute en provençal).

    Mais les préjugés sont fondés sur un aveuglement pour ne voir que ce que l’on veut voir. Ainsi, on lit dans l’Encyclopédie (1765) :

    « Patois : Langage corrompu tel qu’il se parle presque dans toutes les provinces : chacune a son patois ; ainsi nous avons le patois bourguignon, le patois normand, le patois champenois, le patois gascon, le patois provençal, etc. On ne parle la langue que dans la capitale. »

    Le Dictionnaire de Furetière (1690) précisait :

    « Langage corrompu et grossier tel que celui du menu peuple, des paysans, et des enfants qui ne savent pas encore bien prononcer. »

    À la création de la 1ere République française, ses responsables considéraient ainsi que dans les provinces on parlait « ces jargons barbares et ces idiomes grossiers » à « éradiquer » (Rapport Barrère, publié en 1794). Pourquoi ? Parce que « nous n’avons plus de provinces et nous avons encore environ trente patois qui en rappellent les noms » dont « deux idiomes très dégénérés » et parce que « l’homme des campagnes, peu accoutumé à généraliser ses idées, manquera toujours de termes abstraits » à cause de cette « inévitable pauvreté de langage, qui resserre l’esprit » disait le Rapport Grégoire (publié en 1794). Il ajoutait « les nègres de nos colonies, dont vous avez fait des hommes, ont une espèce d’idiome pauvre », ne mesurant pas le racisme linguistique de son propos.

    Le mépris des provinciaux, des ruraux et de leurs langues, alimentés par ces préjugés conjugués, a été sans borne. Il a culminé au XIXe siècle sous la forme d’un véritable racisme, dont celui contre les Bretons ou les Méridionaux, bien attesté.

    À l’époque l’étude scientifique des langues n’existait pas encore. La sociolinguistique, qui se développe à partir des années 1950-1970, a montré par la suite que toutes les langues sont égales (y compris celles dites « patois ») : aucune n’est supérieure ou inférieure à une autre en raison de ses caractéristiques proprement linguistiques. Ce sont les hiérarchisations sociales qui se reflètent en hiérarchisation des langues ou de leurs variétés locales ou sociales particulières.

    Hélas, comme on l’observe trop souvent et encore plus à l’époque des « fake news », les connaissances scientifiques ont du mal à remplacer les croyances répandues dans l’opinion publique. C’est d’autant plus le cas quand il s’agit de langues en France, pays où a été instaurée une véritable religion nationale de la langue française accompagnée d’une sorte d’excommunication des autres langues.

    En conséquence, cette conception est encore présente de nos jours. Le Trésor de la Langue française (CNRS) la décrit ainsi :

    « Patois : Parler essentiellement oral, pratiqué dans une localité ou un groupe de localités, principalement rurales. Système linguistique restreint fonctionnant en un point déterminé ou dans un espace géographique réduit, sans statut culturel et social stable […]. Langage obscur et inintelligible. Synonymes : baragouin, charabia, jargon. »

    Le « plouc » et son parler aussi méprisés l’un que l’autre

    Aujourd’hui encore, le stéréotype du « plouc » est fortement voire principalement constitué de caractéristiques linguistiques (“phrase, accent, prononciation, langue”), comme le montre l’étude de Corentin Roquebert, qui conclut :

    « On peut relever l’association forte entre des catégories et des objets plus ou moins valorisés socialement, ce qui favorise l’expression d’un jugement social positif ou négatif sur une population : le beauf comme personnage raciste et sexiste, le hipster branché et cool qui n’aime pas le mainstream, la prononciation et l’accent du plouc. »

    Les préjugés glottophobes contre des « patois » supposés employés (uniquement) par des « paysans » sont toujours là. Et même quand les « paysans » et autres « provinciaux » ont finalement adopté le français, bon gré mal gré, on continue à stigmatiser les traces de leurs “patois” dans leurs façons de parler français : mots locaux, expressions, tournures, et surtout accent…

    Le pseudo raisonnement, fondé sur des préjugés, est circulaire : les « patois » ne sont pas de vraies langues puisqu’ils sont parlés par des « paysans »/les « paysans » sont des rustres puisqu’ils parlent « patois ». Les deux stéréotypes négatifs projetés simultanément sur les « paysans » et sur les « patois » (ou les « accents » qu’il en reste), associés les uns aux autres, se renforcent réciproquement et produisent un mépris de classe renforcé.

    https://theconversation.com/comment-la-societe-francaise-a-appris-a-mepriser-les-paysans-et-leu

    #mépris #France #fracture #rural #urbain #villes #campagnes #ruralité #dévalorisation #province #ville-capitale #centralisme #sociolinguistique #langue #bon_français #patois_régionaux #langues_régionales #Rivarol #mythe #nation #Etat-nation #Pierre_Fouché #préjugés #aveuglement #racisme_linguistique #préjugés #racisme #hiérarchisation #plouc #accents #mépris_de_classe

    • Le rapport de domination, en France, entre la capitale et le reste du pays est un fait difficilement contestable. Comme l’indique ce texte, cela se voit notamment par l’obligation, dictée par le pouvoir central d’État, établi à Paris, d’adopter sur tout le territoire la même langue. Pour autant, cet héritage centralisateur ne me semble pas être la seule explication dans la construction d’une idéologie de classe méprisante à l’encontre du monde paysan.

      On pourrait croire, en lisant ce texte, que le pays se résumait à un clivage entre Paris et « la province », cette dernière étant assimilée au « monde paysan », or le pays a compté quand même nombres de grandes villes sur le territoire, qui ont constitué autant de métropoles locales dont l’importance dans le développement du capitalisme en France a été tout aussi déterminante que celle de Paris. Ce n’est pas pour rien qu’aujourd’hui, le concept politique de « métropole » fait vibrer nombre de représentants de la classe dominante en Europe, y compris en France (et en Île-de-France).

      Témoignage personnel anecdotique : une partie de ma famille est nantaise et j’ai été frappé de constater à quel point les expressions de mépris anti-paysan, quasi-raciste, revenaient dans les propos de mes oncles et tantes. Cela dépasse de loin ce que j’ai entendu, en comparaison, à Paris, en tous cas, pour cette génération-là.

  • AYER NO, HOY SI, ¿Y MAÑANA? Exploring further the issues of legal uncertainty, opacity, and alterations in the entry criteria for the #CETI in Melilla

    Exploring recent changes in access to the CETI in Melilla, this article addresses legal insecurity, lack of transparency and changes in admission criteria. From the context of Melilla to the experiences of Latin American migrants, it reveals the shortcomings of the system and the ongoing struggle for rights.

    https://en.solidarywheels.org/informes
    https://en.solidarywheels.org/_files/ugd/0a7d28_f46a4434524342228757205389c8ed22.pdf

    #rapport #Melilla #Espagne #Maroc #frontières #migrations #réfugiés #Solidarity_Wheels #centre_d'accueil #hébergement #accueil #centre_temporaire #violence #violence_systématique #violences_policières

  • Pour une ville « passante, poreuse et profonde »
    https://metropolitiques.eu/Pour-une-ville-passante-poreuse-et-profonde-une-attention-a-l-experi

    Issu d’une enquête sur les interactions entre espaces publics et espaces privés dans des villes des Suds comme des Nords, le livre richement illustré de David Mangin et Soraya Boudjenane plaide pour un #urbanisme attentif à l’expérience du piéton. Le sujet des #rez-de-chaussée et de leur rapport à l’espace public préoccupe aujourd’hui largement les métiers de l’urbain, autour de la revitalisation des centres-villes en déshérence, ou plus généralement de nouvelles interventions en faveur de rez-de-chaussée #Commentaires

    / #fabrique_de_la_ville, #architecture, #centre-ville, #commerce, urbanisme, #espace_public, (...)

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_rottmann.pdf

  • En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/07/en-italie-le-suicide-d-un-jeune-guineen-jette-une-lumiere-crue-sur-les-centr

    En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    Par Allan Kaval (Rome, correspondant)
    . VINCENZO PINTO / AFP Le suicide d’un détenu a lancé une nouvelle alarme sur la situation problématique des centres de rétention italiens et sur les conditions de vie qui y règnent. Dimanche 4 février, Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, a mis fin à ses jours dans le centre de séjour pour les rapatriements (CPR) de Ponte Galeria, au sud-ouest de Rome. La mort du jeune homme a déclenché des protestations de la part d’autres détenus qui ont mis feu à leurs matelas et se sont confrontés aux forces de l’ordre. Ces dernières ont usé du gaz lacrymogène et ont arrêté quatorze personnes retenues dans le centre, à l’issue d’un épisode qui est loin d’être isolé.
    Quelques jours avant son suicide, M. Sylla avait ainsi été transféré du CPR de Trapani, en Sicile, à la suite, là aussi, d’un mouvement de protestation des migrants détenus. Avant de se pendre, il a écrit sur le mur de sa nouvelle cellule : « Si je meurs, j’aimerais qu’on envoie mon corps en Afrique, ma mère en sera contente. Les militaires italiens ne connaissent rien sauf l’argent. L’Afrique me manque beaucoup et ma mère aussi, elle ne doit pas pleurer pour moi. Paix à mon âme, que je repose en paix. » Le parquet a ouvert une enquête pour incitation au suicide.
    Grâce à son statut de parlementaire, le député et secrétaire général du parti libéral + Europa, Riccardo Magi, a pu se rendre, dimanche, à l’intérieur du CPR de Ponte Galeria, entre deux vagues d’affrontements avec les forces de l’ordre. « Comme dans tous les CPR que j’ai pu visiter, la situation à l’intérieur est indigne, dit-il au Monde. Les personnes détenues disent ne pas avoir eu de plat chaud depuis des semaines. Il n’y a pas d’eau chaude, pas de literie correcte, un état de saleté généralisé. Les détenus qui ne sont pas révoltés sont comateux à cause des psychotropes qui leur sont administrés pour les rendre inoffensifs. »
    L’usage de médicaments à des fins de contrôle dans les centres de rétention a été établi par une enquête de la revue italienne Altreconomia. En dehors des rares travaux journalistiques de cette nature, qui recueillent des informations filtrant difficilement de l’intérieur, et des témoignages des parlementaires et garants des droits qui peuvent s’y rendre, la réalité de ces sites est largement invisible.
    Les CPR sont au nombre de dix en Italie, gérés par des prestataires privés, répartis sur l’ensemble du territoire, pour une capacité de l’ordre du millier de détenus. Les personnes qui y sont enfermées sont des étrangers en situation irrégulière n’ayant pas fait de demande d’asile ou venant de pays sûrs et faisant l’objet d’une procédure d’expulsion. « Les CPR sont des trous noirs juridiques, où tous les droits à la défense sont entravés, explique Salvatore Fachile, spécialiste en droit de l’asile au cabinet d’avocat Antartide, à Rome. Leurs téléphones étant saisis, les détenus ont des possibilités très limitées de communication avec l’extérieur et de contact avec des avocats pour contester leur détention. »
    Fixée à trente jours, lors de la mise en place des centres de rétention de cette nature, en 1998, la limite de la période de détention a progressivement augmenté pour être portée, en 2023, à dix-huit mois, par le gouvernement dominé par l’extrême droite de la présidente du conseil italien, Giorgia Meloni. Le nombre de détenus passés par les CPR – moins de 6 400 en 2022 – ne représente qu’une fraction du nombre de personnes arrivées irrégulièrement sur le territoire italien, estimé à près de 158 000, et du nombre d’étrangers en situation irrégulière en Italie, soit plus de 500 000. De plus, les procédures d’expulsion sont complexes, et Rome ne dispose pas toujours d’un accord de réadmission avec les pays d’origine. Ainsi, selon le rapport de 2023 du garant national des droits des personnes détenues ou privées de liberté, au terme de leur détention dans les CPR, environ la moitié des étrangers concernés restent sur le sol italien, retournant le plus souvent à une situation d’illégalité.
    Si l’efficacité des CPR est contestée par l’opposition, le gouvernement de Giorgia Meloni a répété l’objectif d’ériger un de ces centres de rétention dans chacune des vingt régions italiennes. Son ambition va même au-delà du territoire national. En novembre 2023, il a été conclu avec Tirana un accord pour l’installation de deux centres de rétention de droit italien en territoire albanais. Sur ces sites doivent être détenus des hommes – jugés non vulnérables et venant de pays sûrs – secourus hors des eaux européennes par les navires militaires italiens. En cours de ratification, cet accord permettrait la création de centres de rétention extraterritoriaux, plus éloignés encore des regards extérieurs.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#guinee#centredesejourpourrapatriement#retention#sante#santementale#mortalité#psychotrope#suicide#albanie

  • En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/07/en-italie-le-suicide-d-un-jeune-guineen-jette-une-lumiere-crue-sur-les-centr

    En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    Par Allan Kaval (Rome, correspondant)
    . VINCENZO PINTO / AFP Le suicide d’un détenu a lancé une nouvelle alarme sur la situation problématique des centres de rétention italiens et sur les conditions de vie qui y règnent. Dimanche 4 février, Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, a mis fin à ses jours dans le centre de séjour pour les rapatriements (CPR) de Ponte Galeria, au sud-ouest de Rome. La mort du jeune homme a déclenché des protestations de la part d’autres détenus qui ont mis feu à leurs matelas et se sont confrontés aux forces de l’ordre. Ces dernières ont usé du gaz lacrymogène et ont arrêté quatorze personnes retenues dans le centre, à l’issue d’un épisode qui est loin d’être isolé.
    Quelques jours avant son suicide, M. Sylla avait ainsi été transféré du CPR de Trapani, en Sicile, à la suite, là aussi, d’un mouvement de protestation des migrants détenus. Avant de se pendre, il a écrit sur le mur de sa nouvelle cellule : « Si je meurs, j’aimerais qu’on envoie mon corps en Afrique, ma mère en sera contente. Les militaires italiens ne connaissent rien sauf l’argent. L’Afrique me manque beaucoup et ma mère aussi, elle ne doit pas pleurer pour moi. Paix à mon âme, que je repose en paix. » Le parquet a ouvert une enquête pour incitation au suicide.
    Grâce à son statut de parlementaire, le député et secrétaire général du parti libéral + Europa, Riccardo Magi, a pu se rendre, dimanche, à l’intérieur du CPR de Ponte Galeria, entre deux vagues d’affrontements avec les forces de l’ordre. « Comme dans tous les CPR que j’ai pu visiter, la situation à l’intérieur est indigne, dit-il au Monde. Les personnes détenues disent ne pas avoir eu de plat chaud depuis des semaines. Il n’y a pas d’eau chaude, pas de literie correcte, un état de saleté généralisé. Les détenus qui ne sont pas révoltés sont comateux à cause des psychotropes qui leur sont administrés pour les rendre inoffensifs. »
    L’usage de médicaments à des fins de contrôle dans les centres de rétention a été établi par une enquête de la revue italienne Altreconomia. En dehors des rares travaux journalistiques de cette nature, qui recueillent des informations filtrant difficilement de l’intérieur, et des témoignages des parlementaires et garants des droits qui peuvent s’y rendre, la réalité de ces sites est largement invisible.
    Les CPR sont au nombre de dix en Italie, gérés par des prestataires privés, répartis sur l’ensemble du territoire, pour une capacité de l’ordre du millier de détenus. Les personnes qui y sont enfermées sont des étrangers en situation irrégulière n’ayant pas fait de demande d’asile ou venant de pays sûrs et faisant l’objet d’une procédure d’expulsion. « Les CPR sont des trous noirs juridiques, où tous les droits à la défense sont entravés, explique Salvatore Fachile, spécialiste en droit de l’asile au cabinet d’avocat Antartide, à Rome. Leurs téléphones étant saisis, les détenus ont des possibilités très limitées de communication avec l’extérieur et de contact avec des avocats pour contester leur détention. »
    Fixée à trente jours, lors de la mise en place des centres de rétention de cette nature, en 1998, la limite de la période de détention a progressivement augmenté pour être portée, en 2023, à dix-huit mois, par le gouvernement dominé par l’extrême droite de la présidente du conseil italien, Giorgia Meloni. Le nombre de détenus passés par les CPR – moins de 6 400 en 2022 – ne représente qu’une fraction du nombre de personnes arrivées irrégulièrement sur le territoire italien, estimé à près de 158 000, et du nombre d’étrangers en situation irrégulière en Italie, soit plus de 500 000. De plus, les procédures d’expulsion sont complexes, et Rome ne dispose pas toujours d’un accord de réadmission avec les pays d’origine. Ainsi, selon le rapport de 2023 du garant national des droits des personnes détenues ou privées de liberté, au terme de leur détention dans les CPR, environ la moitié des étrangers concernés restent sur le sol italien, retournant le plus souvent à une situation d’illégalité.
    Si l’efficacité des CPR est contestée par l’opposition, le gouvernement de Giorgia Meloni a répété l’objectif d’ériger un de ces centres de rétention dans chacune des vingt régions italiennes. Son ambition va même au-delà du territoire national. En novembre 2023, il a été conclu avec Tirana un accord pour l’installation de deux centres de rétention de droit italien en territoire albanais. Sur ces sites doivent être détenus des hommes – jugés non vulnérables et venant de pays sûrs – secourus hors des eaux européennes par les navires militaires italiens. En cours de ratification, cet accord permettrait la création de centres de rétention extraterritoriaux, plus éloignés encore des regards extérieurs.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#guinee#centredesejourpourrapatriement#retention#sante#santementale#mortalité#psychotrope#suicide#albanie

  • En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/07/en-italie-le-suicide-d-un-jeune-guineen-jette-une-lumiere-crue-sur-les-centr

    En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    Par Allan Kaval (Rome, correspondant)
    . VINCENZO PINTO / AFP Le suicide d’un détenu a lancé une nouvelle alarme sur la situation problématique des centres de rétention italiens et sur les conditions de vie qui y règnent. Dimanche 4 février, Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, a mis fin à ses jours dans le centre de séjour pour les rapatriements (CPR) de Ponte Galeria, au sud-ouest de Rome. La mort du jeune homme a déclenché des protestations de la part d’autres détenus qui ont mis feu à leurs matelas et se sont confrontés aux forces de l’ordre. Ces dernières ont usé du gaz lacrymogène et ont arrêté quatorze personnes retenues dans le centre, à l’issue d’un épisode qui est loin d’être isolé.
    Quelques jours avant son suicide, M. Sylla avait ainsi été transféré du CPR de Trapani, en Sicile, à la suite, là aussi, d’un mouvement de protestation des migrants détenus. Avant de se pendre, il a écrit sur le mur de sa nouvelle cellule : « Si je meurs, j’aimerais qu’on envoie mon corps en Afrique, ma mère en sera contente. Les militaires italiens ne connaissent rien sauf l’argent. L’Afrique me manque beaucoup et ma mère aussi, elle ne doit pas pleurer pour moi. Paix à mon âme, que je repose en paix. » Le parquet a ouvert une enquête pour incitation au suicide.
    Grâce à son statut de parlementaire, le député et secrétaire général du parti libéral + Europa, Riccardo Magi, a pu se rendre, dimanche, à l’intérieur du CPR de Ponte Galeria, entre deux vagues d’affrontements avec les forces de l’ordre. « Comme dans tous les CPR que j’ai pu visiter, la situation à l’intérieur est indigne, dit-il au Monde. Les personnes détenues disent ne pas avoir eu de plat chaud depuis des semaines. Il n’y a pas d’eau chaude, pas de literie correcte, un état de saleté généralisé. Les détenus qui ne sont pas révoltés sont comateux à cause des psychotropes qui leur sont administrés pour les rendre inoffensifs. »
    L’usage de médicaments à des fins de contrôle dans les centres de rétention a été établi par une enquête de la revue italienne Altreconomia. En dehors des rares travaux journalistiques de cette nature, qui recueillent des informations filtrant difficilement de l’intérieur, et des témoignages des parlementaires et garants des droits qui peuvent s’y rendre, la réalité de ces sites est largement invisible.
    Les CPR sont au nombre de dix en Italie, gérés par des prestataires privés, répartis sur l’ensemble du territoire, pour une capacité de l’ordre du millier de détenus. Les personnes qui y sont enfermées sont des étrangers en situation irrégulière n’ayant pas fait de demande d’asile ou venant de pays sûrs et faisant l’objet d’une procédure d’expulsion. « Les CPR sont des trous noirs juridiques, où tous les droits à la défense sont entravés, explique Salvatore Fachile, spécialiste en droit de l’asile au cabinet d’avocat Antartide, à Rome. Leurs téléphones étant saisis, les détenus ont des possibilités très limitées de communication avec l’extérieur et de contact avec des avocats pour contester leur détention. »
    Fixée à trente jours, lors de la mise en place des centres de rétention de cette nature, en 1998, la limite de la période de détention a progressivement augmenté pour être portée, en 2023, à dix-huit mois, par le gouvernement dominé par l’extrême droite de la présidente du conseil italien, Giorgia Meloni. Le nombre de détenus passés par les CPR – moins de 6 400 en 2022 – ne représente qu’une fraction du nombre de personnes arrivées irrégulièrement sur le territoire italien, estimé à près de 158 000, et du nombre d’étrangers en situation irrégulière en Italie, soit plus de 500 000. De plus, les procédures d’expulsion sont complexes, et Rome ne dispose pas toujours d’un accord de réadmission avec les pays d’origine. Ainsi, selon le rapport de 2023 du garant national des droits des personnes détenues ou privées de liberté, au terme de leur détention dans les CPR, environ la moitié des étrangers concernés restent sur le sol italien, retournant le plus souvent à une situation d’illégalité.
    Si l’efficacité des CPR est contestée par l’opposition, le gouvernement de Giorgia Meloni a répété l’objectif d’ériger un de ces centres de rétention dans chacune des vingt régions italiennes. Son ambition va même au-delà du territoire national. En novembre 2023, il a été conclu avec Tirana un accord pour l’installation de deux centres de rétention de droit italien en territoire albanais. Sur ces sites doivent être détenus des hommes – jugés non vulnérables et venant de pays sûrs – secourus hors des eaux européennes par les navires militaires italiens. En cours de ratification, cet accord permettrait la création de centres de rétention extraterritoriaux, plus éloignés encore des regards extérieurs.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#guinee#centredesejourpourrapatriement#retention#sante#santementale#mortalité#psychotrope#suicide#albanie

  • Migranti, patto Italia-Albania : sì dalla Corte costituzionale albanese all’accordo

    Cinque giudici supremi su nove non si oppongono all’intesa Roma-Tirana sui centri temporanei di accoglienza. Ora l’ultimo passaggio parlamentare in Albania, poi l’implementazione dell’accordo

    La Corte costituzionale albanese vota a favore dell’accordo per la realizzazione dei centri di accoglienza dei migranti siglato dai governi italiano e albanese. A sostenerlo è una nota della Consulta che conferma così le anticipazioni del Corriere.

    La decisione

    Secondo le fonti 5 giudici – su 9 – della Consulta locale hanno stabilito che l’intesa siglata a Roma dai premier Giorgia Meloni ed Edi Rama risulta «conforme» alla costituzione albanese. Dopo questo pronunciamento ora è atteso un veloce passaggio parlamentare per approvare l’accordo.

    Le motivazioni

    «La Corte ha valutato che il “protocollo sulla migrazione” non stabilisce confini territoriali e neppure altera l’integrità territoriale della Repubblica d’Albania, pertanto non costituisce un accordo relativo al territorio dal punto di vista fisico», si legge nella nota ufficiale. E ancora: «La Corte ha valutato che nelle due zone in cui agisce il protocollo, si applica il diritto albanese, oltre al diritto italiano» e che «la Corte ha constatato che per i diritti e le libertà umane opera una giurisdizione duplice, il che significa che la giurisdizione italiana nelle due zone in questione non esclude la giurisdizione albanese». L’accordo, poi, «non crea nuovi diritti e libertà costituzionali e non impone restrizioni aggiuntive ai diritti e alle libertà umane esistenti, al di là di quanto previsto dall’ordinamento giuridico albanese».

    Il patto

    Lo scorso novembre Meloni e Rama hanno siglato l’intesa che prevede la realizzazione in Albania di due centri per l’identificazione e l’accoglienza dei migranti salvati nel Mediterraneo. La prima struttura, quella di «registrazione», secondo l’accordo dovrebbe sorgere al porto di Shëngjin, nel nord del Paese, mentre nell’entroterra dovrebbe essere costruito un centro di permanenza a Gjadër. Tirana si è offerta di accogliere fino a 3 mila migranti in attesa di sapere se possono mettere piede nel territorio italiano o devono essere rimpatriati, il tutto a spese di Roma. Il protocollo ha una validità di cinque anni, prorogabili automaticamente di altri cinque in assenza di rilievi da parte italiana o albanese.

    Il ricorso

    L’accordo era stato però fortemente osteggiato dall’opposizione albanese che, dopo aver raccolto le firme necessarie, aveva portato il patto Roma-Tirana alla Corte costituzionale. Il 13 dicembre scorso i giudici albanesi hanno ammesso il ricorso e lo scorso 18 gennaio hanno iniziato a esaminarlo. Due i punti da chiarire, in particolare: il presunto mancato rispetto della procedura di negoziazione e firma e la possibile violazione dei diritti umani.

    Il voto

    Negli ultimi giorni la Consulta ha poi ricevuto ulteriori documenti dalla parte ricorrente – oltre alle «memorie» difensive del governo – e dopo diverse ore di confronto, anche acceso, 5 giudici non muovono obiezioni all’accordo, gli altri 4 sì.

    https://www.corriere.it/politica/24_gennaio_29/migranti-patto-italia-albania-si-corte-costituzionale-albanese-all-accordo-

    #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres #cour_constitutionnelle #justice #accord

    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Accordo Meloni-Rama: via libera della Corte costituzionale albanese

      Con cinque voti a favore e quattro contrari, la Corte costituzionale albanese ha convalidato il protocollo stipulato tra il premier Rama e la sua omologa Meloni sulla creazione di centri di accoglienza per migranti sul suolo albanese

      Ieri pomeriggio (29 gennaio) la Corte costituzionale albanese si è pronunciata sulla conformità del protocollo bilaterale stipulato il 6 novembre scorso sul trasferimento dei migranti nei centri situati a Gjadër e presso il Porto di Shëngjin.

      Il protocollo “è conforme alla Costituzione” cita il comunicato stampa della Corte, dando così il via libera al processo di ratifica da parte del Parlamento.

      Nella sua argomentazione, la Corte sostiene che il protocollo non incide sull’integrità territoriale dell’Albania sotto l’aspetto fisico. Nelle due aree previste per l’accoglienza dei migranti vige la giurisdizione albanese, oltre a quella italiana. Rimangono inoltre in vigore le norme del diritto internazionale in materia di migrazione e diritto di asilo, le cui convenzioni sono già ratificate da entrambi i paesi.

      La firma del protocollo tra i due premier si basa sul trattato di amicizia stipulato tra i due paesi nel 1995, il quale secondo la Corte funge da accordo quadro che permette al governo albanese di non necessitare della previa concessione di un mandato plenipotenziario di negoziazione da parte del Presidente della Repubblica.

      Il ricorso per incostituzionalità è stato presentato il 6 dicembre scorso da 30 deputati dell’opposizione provenienti dalle file del Partito Democratico e del Partito della Libertà.

      A seguito del pronunciamento della Corte, immediata è stata la reazione del promotore del ricorso, l’onorevole Gazment Bardhi sui social, il quale ha dichiarato : “Negare la trasparenza e soprattutto eludere l’opportunità di un parere consultivo da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono una chiara indicazione che la Corte costituzionale ha perso fin dall’inizio l’opportunità di fare giustizia su questo caso”.

      Non sono mancate neanche le reazioni da parte delle organizzazioni della società civile. “La Corte costituzionale ha ignorato il fatto che sull’accordo non sono stati consultati i cittadini, soprattutto gli abitanti di quelle aree, e non sono stati nemmeno interpellati i gruppi di interesse”, recita il comunicato di Qëndresa Qytetare (Resistenza civica), associazione civica attiva nella promozione dei diritti dei cittadini.

      In segno di protesta, un gruppo di giovani ha deposto simbolicamente una corona di fiori all’ingresso della Corte costituzionale, per simboleggiare il “decesso” della giustizia.

      Nelle prossime settimane verrà pubblicata la decisione della Corte sulla Gazzetta Ufficiale, dando così il via al processo di ratifica da parte del Parlamento. Il Partito Socialista al governo detiene attualmente la maggioranza di 74 deputati sui 140 complessivi.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Accordo-Meloni-Rama-via-libera-della-Corte-costituzionale-albanese-2

    • Albanie : la Cour constitutionnelle approuve l’accord avec l’Italie sur l’externalisation des demandes d’asile

      Bloqué par une procédure judiciaire, l’accord migratoire entre Rome et Tirana a finalement obtenu le feu vert de la Cour constitutionnelle albanaise. D’ici quelques mois, l’Albanie accueillera donc deux centres d’accueil pour les demandeurs d’asile secourus dans les eaux italiennes, malgré les nombreuses critiques visant le projet.

      Feu vert pour le projet italien. Lundi 29 janvier, la Cour constitutionnelle albanaise a approuvé la construction dans le pays de deux centres d’accueil pour les migrants secourus dans les eaux italiennes. L’accord entre Tirana et Rome « ne nuit pas à l’intégrité territoriale de l’Albanie », a tranché la Cour, faisant fi des nombreuses critiques d’ONG et de l’opposition albanaise qui l’avait saisie estimant que l’accord « violait la Constitution albanaise ».

      « Nous ne vendons pas un morceau de terre de l’Albanie », s’est défendu dans une interview à l’AFP le ministre albanais de l’Intérieur, Taulant Balla. « Nous offrons ces terres à l’Italie comme nous le faisons habituellement lorsque nous établissons une ambassade ».

      Cet accord ne nuit pas non plus, selon le communiqué de la Cour, « aux droits humains et aux libertés », et est « conforme à la Constitution albanaise ». Il doit maintenant être ratifié par le Parlement, ce qui devrait être une formalité puisque le Premier ministre et signataire de l’accord, le socialiste Edi Rama, y dispose d’une majorité.

      https://twitter.com/ecre/status/1752248412777353397

      Signé en novembre entre les deux pays, le texte prévoit l’ouverture d’un centre dans le port de Shëngjin (nord), servant à l’enregistrement des demandeurs d’asile. La structure sera construite sur un périmètre d’environ 240 mètres, et sera entouré d’une clôture de 4 mètres de haut, rehaussée de barbelés. Le centre de Gjader, lui, hébergera les migrants dans l’attente d’une réponse à leur demande d’asile.

      Ces deux centres qui seront gérés par l’Italie sur le territoire d’un pays qui ne fait pas partie de l’Union européenne (UE) - mais y aspire - pourront accueillir jusqu’à 3 000 migrants arrivés en Italie par voie maritime.
      Entre 650 et 750 millions d’euros

      Avec ce traité, les migrants récupérés en mer ne débarqueront pas en Italie, et ne fouleront même pas son sol. Ils seront directement emmenés vers les ports albanais. Rome contourne ainsi la responsabilité légale d’accueil qui lui incombe lorsqu’un demandeur d’asile est secouru sur son territoire, maritime en l’occurrence.

      En Italie, l’accord, avant même son éventuelle entrée en vigueur, a suscité de très nombreuses critiques. « Publicité électorale » en vue des élections européennes de juin, « inutile et coûteux », « inhumain et illégitime » : les députés d’opposition italiens n’ont pas manqué de dénoncer durement cet accord au cours du débat parlementaire.

      Ils en ont également critiqué le coût, estimé entre 650 et 750 millions d’euros sur cinq ans. Les dépenses pour la construction de ces deux centres et des infrastructures nécessaires, pour leur fonctionnement, pour la sécurité ainsi que pour les soins médicaux des demandeurs d’asile seront en effet couvertes à 100% par la partie italienne, selon les autorités albanaises.

      Un coût prohibitif qui s’ajoutent aux nombreuses critiques d’ONG et d’institutions contre le projet. L’International Rescue Committee (IRC) a fustigé un accord « déshumanisant », quand Amnesty International dénonçait une « proposition irréalisable, nuisible et illégale ».

      Le Conseil de l’Europe, lui, avait considéré en novembre que ce « régime d’asile extraterritorial se caractérise par de nombreuses ambiguïtés légales ». Il risque « d’aboutir à un traitement différent entre ceux dont les demandes d’asile seront examinées en Albanie et ceux pour qui cela se déroulera en Italie », avait estimé la commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatovic dans un communiqué.

      Cela n’a pas empêché les députés italiens d’adopter le projet le 24 janvier, par 155 voix pour et 115 contre, avec deux abstentions. Le Sénat, où la coalition ultraconservatrice au pouvoir de Giorgia Meloni dispose d’une large majorité parlementaire, devrait aussi l’approuver sans difficulté.
      Faciliter les expulsions

      Le nombre de personnes tentant de rejoindre l’Europe via l’Italie a beaucoup augmenté l’an dernier. Selon le ministère italien de l’Intérieur, 157 652 personnes ont débarqué sur les côtes italiennes en 2023, contre 105 131 en 2022.

      Depuis quelques mois, Rome multiplie donc les mesures pour dissuader les exilés de débarquer sur son sol. Le 28 novembre, la Chambre des députés a voté à la majorité le décret Cutro 2, qui fixe notamment les conditions d’hébergement des exilés sur son sol. Avec la nouvelle législation par exemple, toute personne reconnue coupable, même avec une peine non définitive, de blessures corporelles sur des individus mineurs ou infirmes ne pourra entrer en Italie.

      Aussi, le délai de recours contre l’expulsion d’un étranger titulaire d’un titre de séjour de longue durée dans l’Union européenne est réduit de 30 à 15 jours.

      Le 24 septembre, un centre d’hébergement flambant neuf a par ailleurs été inauguré à Pozzallo en Sicile. Il accueillera uniquement les exilés provenant de « pays sûrs », qui ont donc très peu d’espoir d’obtenir une protection en Italie. Objectif affiché de cette nouvelle structure ? Accélérer le traitement des demandes d’asile, et donc les expulsions.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/54855/albanie--la-cour-constitutionnelle-approuve-laccord-avec-litalie-sur-l

    • La Corte costituzionale albanese approva il Protocollo Meloni-Rama con un voto politico, ma contro la legislazione dell’Unione Europea

      1. Le notizie di agenzia diffuse in Italia non hanno fornito le motivazioni del voto della Corte Costituzionale albanese che, a stretta maggioranza (5 contro 4), ha dichiarato che il Protocollo Italia-Albania sulla esternalizzazione delle procedure di identificazione e asilo non viola la Costituzione albanese. Una decisione che non chiude affatto la questione della conrarietà del Protocollo con la legislazione dell’Unione Europea e con principi altrettanto rilevanti e di immediata applicazione sanciti dalla Costituzione italiana. Rimane poi una consistente parte dei parlamentari albanesi, oggi all’opposizione, che continua a ritenere che non sia stata rispettata la procedura per la negoziazione e la stipula dell’accordo, in quanto il suo oggetto rientrerebbe nella categoria di accordi che necessitano dell’autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 121, co. 1, lett. a) e b) della Costituzione, in quanto riguarda questioni di territorialità e diritti fondamentali. Se la decisione della Corte Costituzionale albanese sembra escludere la necessità della autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica, rimane aperta, anche in Albania la questione della possibile lesione dei diritti fondamentali della persona nei due nuovi centri che l’Italia dovrebbe aprire e gestire sotto giurisdizione italiana in territorio albanese.

      La ratifica del Protocollo da parte della Camera dei deputati in Italia ha lasciato aperte questioni che neppure la Corte costituzionale albanese ha risolto. Il riconoscimento dell’Albania non solo come “paese terzo sicuro”, ma come territorio nel quale si dovrebbe esercitare la “giurisdizione italiana”, non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      La Direttiva “rimpatri” 2008/115/CE si applica esclusivamente ai “cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare” (art.2). salva la possibilità di deroga nei casi di respingimento in frontiera, nel rispetto del principio di non refoulement (art.33 Conv. Ginevra 1951), delle procedure e delle garanzie fissate dall’art. 13 del Codice frontiere Schengen e in ogni caso dei divieti di respingimento collettivo richiamati anche dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Secondo il vigente Regolamento Dublino n.604/2013, “ Ogni Stato membro mantiene la possibilità di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro, nel rispetto delle norme e delle garanzie previste dalla direttiva 2013/32/UE”. La norma fa però riferimento a persone che comunque abbiano già uno status di richiedente asilo. Al riguardo la direttiva procedure appena citata individua chiaramente come ambito di applicazione il territorio degli Stati membri. In particolare, l’articolo 3 della direttiva 2013/32/UE (procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale) prevede che la direttiva si applichi “a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri” e che invece non si applichi “alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri”. Analogamente, l’articolo 3 della direttiva 2013/33/UE (norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) prevede che la direttiva si applichi a “tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi che manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese la frontiera, le acque territoriali, o le zone di transito, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio inqualità di richiedenti, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di protezione internazionale ai sensi del diritto nazionale” e che la direttiva non si applica invece “alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri”.

      Non si può neppure ritenere che il Protocollo firmato da Giorgia Meloni e da Edi Rama si collochi al di fuori del diritto dell’Unione europea, come pure era stato rilevato da qualche esponente della Commissione a Bruxelles, perchè se si arrivasse a questa conclusione la discriminazione tra le persone soccorse in acque internazionali e sbarcate in Albania, rispetto a quelle salvate nelle stesse acque internazionali, sempre da navi militari italiane, risulterebbe incompatibile con il principio di non discriminazione, affermato nella Costituzione italiana (art.3), nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nella Convenzione europea sui diritti dell’Uomo. Come rileva la stessa Commissione europea, peraltro, al Protocollo “si applicano le leggi italiane, che comunque devono rispettare quelle comunitarie”.

      In ogni caso, non si può valutare il Protocollo Italia-Albania, e il relativo Disegno di legge di ratifica in Italia, come se il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo approvato con una intesa politica dal Conisglio dell’Unione Europea del dicembre dello scorso anno, fosse già un atto legislativo. Si deve dunque considerare ancora come termine di paragone la vigente legislazione europea, comprensiva anche della Direttiva rimpatri 2008/115/CE e del Regolamento Dublino n. 604/2013, che non sono stati ancora sostituiti, modificati o rifusi secondo le norme più restrittive che si vorrebbero introdurre con il nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, concordato tra rappresentanti del Consiglio, e del Parlamento pochi mesi fa, ma ancora privo di qualsiasi valenza normativa.

      2. Come al solito le notizie sui fatti reali, dunque sulla reale portata della sentenza della Corte costituzionale albanese sono assai rare ma, per quanto accessibili, possiamo riprendere le poche fonti di informazione che hanno riportato i contenuti della decisione dei giudici albanesi, mentre in Italia si è rimasti al livello della propaganda politica a favore, o contro i partiti di governo. Partiti che nel parlamento italiano hanno una tale maggioranza da fare approvare tutti i provvedimenti che varano, anche nelle forme semplificate dei decreti legge, che di fatto espropriano le assemblee elettive, grazie anche al ricorso sistematico al voto di fiducia, di quel potere di controllo sull’esecutivo che rimane l’ultima traccia di un pluralismo democratico che oggi in Italia, come del resto in altri paesi europei, e nella stessa Albania, non esiste più. E la vicenda del Protocollo Italia-Albania lo conferma in pieno, sempre che poi dai progetti di legge e dalle campagne elettorali si passi ai fatti. E dunque alla realizzazione delle due grandi strutture di accoglienza/detenzione che il Protocollo prevede siano costruite in Albania e gestite “sotto la piena giurisdizione italiana”, anche se ormai è chiaro che sarà necessario ricorrere al concorso delle forze di polizia albanesi, quantomeno per i trasferimenti in territorio albanese e per le procedure di rimpatrio forzato dagli aeroporti di quel paese.

      Secondo quanto riferito dal sito “Politiko”, la Corte costituzionale albanese ha ritenuto che “il diritto internazionale vincolante per la Repubblica d’Albania, relativo alle questioni relative all’immigrazione e all’asilo, è applicabile anche dalle autorità italiane a causa della ratifica degli accordi internazionali da parte della Repubblica d’Italia. In base a questa analisi, la Corte non non ha messo in dubbio l’esistenza della responsabilità dello Stato albanese per le questioni regolate dal Protocollo sulle Migrazioni, che trae origine non solo da norme costituzionali, ma anche dal diritto internazionale che regola la responsabilità degli Stati nell’ambito della sua attuazione extraterritoriale”. La Corte Costituzionale albanese ha quindi ritenuto che “in materia di diritti e libertà dell’uomo opera una doppia giurisdizione, il che significa che la giurisdizione italiana nei due ambiti in questione non esclude la giurisdizione albanese,”

      Sulla base di questa considerazione, come riferisce la stessa fonte, la Corte Costituzionale albanese è giunta alla conclusione che il Protocollo sulle migrazioni non rientra nella categoria degli accordi internazionali previsti dalla lettera b) del punto 1 dell’articolo 121 della Costituzione perché, in sostanza, non crea nuovi diritti e libertà costituzionali, né comporta ulteriori restrizioni ai diritti umani e alle libertà esistenti, oltre a quelle previste dall’ordinamento giuridico albanese. E dunque, “tenendo conto che da un lato la questione costituzionale in esame costituisce una innovazione nella giurisprudenza albanese, in particolare per la nozione di accordo internazionale sotto il profilo giurisdizionale relativo alla sovranità, e dall’altro il Protocollo sulla Migrazione non afferma in una qualsiasi delle sue disposizioni che il governo albanese è privato della giurisdizione sul territorio albanese, la Corte ha analizzato se il governo albanese disponesse dei poteri adeguati per la negoziazione e la firma del protocollo in questione. A questo proposito, “la Corte ha valutato che il Trattato di Amicizia e Cooperazione tra la Repubblica d’Albania e la Repubblica Italiana, del 1995, costituisce un accordo quadro internazionale che, ai sensi dell’articolo 180 della Costituzione, si considera ratificato ai sensi della Costituzione e costituisce base sufficiente per il Protocollo sulla migrazione dovrà essere negoziato con l’autorizzazione del Primo Ministro e poteri conferiti dal Ministro degli Affari Esteri, nonché firmato dallo stesso Primo Ministro. Per questi motivi, la Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania, in base agli articoli 131, comma 1, lettera “b” e 134, punto 1, lettera “c”, della Costituzione, nonché degli articoli 52 e 52/a , lettera “a”, della legge n. 8577 del 10.02.2000 “Sull’organizzazione e il funzionamento della Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania”, decide a maggioranza che il Protocollo tra il Consiglio dei Ministri della Repubblica d’Albania e il Governo della Repubblica italiana, “Sul rafforzamento della cooperazione nel campo dell’immigrazione”, è conforme alla Costituzione consentendo la sua ratifica da parte dell’Assemblea. Secondo quanto riportato dalla stessa fonte, “La decisione finale sarà resa motivata entro i termini di legge previsti dalla legge n. 8577 del 10.02.2000 “Sull’organizzazione e il funzionamento della Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania”, come modificato dal Regolamento sulle procedure giudiziarie della Corte Costituzionale. In base all’articolo 52/a, comma 2, della legge organica, la decisione finale è comunicata al Presidente, all’Assemblea e al Consiglio dei ministri ed è inviata per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La decisione definitiva entra in vigore al momento della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e con l’entrata in vigore decade automaticamente la misura sospensiva”.

      3. Fatta la dovuta riserva sulla mancanza di una decisione finale e di un iter parlamentare che in Albania, a differenza di quanto successo in Italia, non si presenta affatto agevole, anche alla luce della strettissima maggioranza con cui la Corte costituzionale albanese ha dato via libera all’approvazione della legge di ratifica del Protocollo Meloni-Rama, le motivazioni della decisione dei giudici albanesi fin qui trapelate sembrerebbero corrispondere alle integrazioni apportate in Italia, in sede di ratifica del Protocollo, con una aggiunta importante sulla doppia giurisdizione, italiana e albanese, alla quale sarebbero sottoposti i due centri di accoglienza/detenzione, ammesso che si riesca ad aprirli, a Shengjin porto nel quale dovrebbe effettuarsi la identificazione e la selezione delle persone migranti e a Gijader struttura ubicata nella regione più interna del paese. Dove si dovrebbe realizzare la coesistenza, all’interno dell’area concessa all’Italia dalle autorità albanesi, di una parte destinata ad Hotspot, per le procedure accelerate in frontiera, ed una parte destinata a funzionare come centro per i rimpatri (CPR), alle quali dovrebbe aggiungersi una terza sezione destinata a carcere vero e proprio per quei migranti che si dovessero rendere responsabili di reati all’interno delle altre strutture. Insomma persino un carcere di alta sicurezza, il tutto formalmente sotto giurisdizione italiana, ma apprendiamo adesso dalla legge di ratifica in Italia, e dalla Corre costituzionale albanese, anche sotto la legislazione albanese, non sappiamo con quale compatibilità con il dettato della Costituzione italiana.

      La previsione che i centri in Albania, e dunque le persone che ci saranno deportate, potranno essere soggette alla legislazione, e dunque alla giurisdizione “europea, italiana ed albanese” costituisce soltanto un sotterfugio per aggirare gli ostacoli che venivano da parte albanese per la ratifica del Protocollo, di fronte alla previsione di una “piena giurisdizione italiana” da esercitare in territorio albanese, come hanno affermato da mesi i politici italiani, ma la soluzione inventata per quadrare il cerchio solleva problemi di compatibilità con il diritto internazionale dei rifugiati, con le normative europee vincolanti (alle quali l’Albania non è tenuta) in materia di procedure di protezione internazionale e di rimpatri forzati, e con le norme della Costituzione italiana in materia di uguaglianza (art.3), di asilo (art.10), di libertà personale (art.13), di diritti di difesa (art.24) e di ordine gerarchico delle fonti normative (art.117). Di certo la presenza di persone private della libertà personale all’interno delle strutture che si dovrebbero aprire in base al Protocollo Italia-Albania rende impossibile qualunque assimilazione al regine territoriale delle ambasciate italiane all’estero. Come rimane una mera dichiarazione di principio che il trattamento e la condizione giuridica delle persone sbarcate in Albania da navi militari italiane possa risultare del tutto corrispondente alla condizione giuridica delle persone migranti sbarcate in Italia e accolte o trattenute in centri italiani, siano Hotspot o Centri per il rimpatrio (CPR). Nè sembra che siano state richiamate con la dovuta evidenza, anche per le persone sbarcate in Albania, le norme che in Italia permettono il riconoscimento di una delle diverse forme di protezione speciale, soprattutto nei casi in cui ricorrano divieti di espulsione o di respingimento, anche con riferimento agli obblighi costituzionali dello Stato italiano.

      Gravi criticità rimangono evidenti nella individuazione dei soggetti cd. “vulnerabili”, che nella maggior parte dei casi dovrebbe avvenire nel tragitto dal luogo dei soccorsi in acque internazionali al porto di sbarco in Albania. Come si ricava dagli atti parlamentari, nella seduta della Camera dei deputati del 15 gennaio 2024, il rappresentante del Governo ha affermato che lo screening dei soggetti vulnerabili (considerando tali, “secondo la vigente normativa, i minori, minori non accompagnati, disabili, anziani, donne, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta, persone affette da gravi malattie o disturbi mentali, persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, vittime di mutilazioni genitali”) dovrebbe essere effettuato “nelle fasi immediatamente successive al loro soccorso o recupero, per mezzo di assetti navali a disposizione delle autorità statali, in modo da escludere che coloro che presentino vulnerabilità siano condotti in Albania”; il rappresentante del Governo ha anche affermato che “l’obiettivo dello screening preventivo da esperire a bordo di strutture idonee in mare, ove il migrante possa trovare un luogo sicuro in attesa della prossima destinazione, sarebbe dunque quello di alleviare l’impatto delle attività sui soggetti fragili riducendo il numero di stranieri da trasportare in Italia in un momento successivo, in relazione alle diverse posizioni accertate”. Il rappresentante del Governo ha rilevato infine che “resta ferma la possibilità di effettuare eventuali, ulteriori valutazioni di condizioni di vulnerabilità successivamente allo sbarco in Albania, presso le strutture adibite all’identificazione e alla primissima accoglienza. Al riguardo, osserva che non di rado la condizione di vulnerabilità può non essere immediatamente rilevabile mediante lo screening preventivo a bordo (ad esempio, coloro che si dichiarano vittime di tratta di esseri umani), richiedendo approfondimenti in una fase successiva” (Camera dei deputati, Commissioni I e III, seduta del 15 gennaio 2024)

      Si nota come nelle prime notizie diffuse dal governo Meloni circa navi di soccorso che trasferissero migranti salvati, o “recuperati” in acque internazionali si facesse ricferimento esclusivamente a navi militari italiane, e nel testo del Protocollo a “mezzi delle competenti autorità italiane, mentre con il disegno di legge di ratifica si è passati alla formula “assetti navali a disposizione delle autorità statali,“,con la previsione di una ingente somma di danaro da destinare evidentememte al noleggio di navi civili, per il trasporto dei naufraghi, perchè di naufraghi si tratta, verso l’Albania (e forse anche dall’Albania verso l’Italia). Rimangono assolutamente oscure, ed a alto rischio di violazione di diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, le modalità di trasferimento e/o trasbordo (in acque internazionali ?) degli stessi naufraghi dalla prima nave soccorritrice, che presumibilmente sarà una nave militare italiana, verso una seconda nave (civile ?) che dovrebbe poi trasferirli e sbarcarli in un porto albanese. Si potrebbe anche configurare una ennesima forma anomala (senza convalida giurisdizionale) di trattenimento amministrativo a bordo dei traghetti, come si è già verificato durante l’emergenza da Covid 19 a bordo delle cd. “navi quarantena”.

      Non sembra comunque ammissibile operare una qualsiasi sorta di pre-idntificazione in assenza di mediatori, interpreti e di una adeguata informazione, già a bordo delle navi militari o civili che siano, che hanno operato i soccorsi in acque internazionali, e ritornare dunque alla prassi degli “sbarchi selettivi”, distinguendo, e separando, già su queste stesse navi soggetti vulnerabili e non vulnerabili, operando di fatto quella stessa distinzione tra i naufraghi già ritenuta illegittima dal Tribunale di Catania lo scorso anno.

      In ogni caso non sembra possibile escludere che, già a bordo degli “assetti navali a disposizione delle autorità statali”, le persone soccorse in acque internazionali godano dei diritti fondamentali riconosciuti dalle Convenzioni internazionali e dall’ordinamento italiano.. Quanti saranno soccorsi in acque internazionali e si trovano a bordo di ” assetti navali a disposizione delle autorità statali”, non possano essere sbarcati in Albania, dove veranno sottoposte anche alla legislazione albanese, ed ai poteri concorrenti della polizia albanese, senza una preventiva convalida giurisdizionale, e dunque sulla base della mera discrezionalità di polizia, subendo nei fatti un respingimento collettivo, senza alcuna possibilità di ricorso. Come se le persone soccorse in mare, dunque naufraghi, fossero riducibili alla condizione di oggetto e non più di soggetto di diritti, forse non “carichi residuali”, ma pur sempre “carichi” da sbarcare in un porto straniero, una volta esclusa, in modo che non potrà che risultare approssimativo, la loro vulnerabilità. Per non parlare dei trattamenti inumani o degradanti ai quali gli stessi naufraghi potrebbero essere sottoposti durante i lunghi trasferimenti, fino a quando rimarranno su navi militari evidentemente prive di adeguati spazi ricettivi, dai luoghi degli eventi di soccorso al porto albanese.

      4. Con il voto della Camera in Italia, e adesso con questa decisione della Corte costituzionale albanese, si è completamente disattesa la dichiarazione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, che aveva espresso “preoccupazione” per l’accordo. Secondo Turk, “Questi trasferimenti in Albania per adempiere alle procedure di asilo e di rimpatrio evitano importanti questioni relative ai diritti umani, in particolare la libertà dalla detenzione arbitraria e la necessità di garantire adeguate procedure di asilo, compresi lo screening e l’identificazione”.

      Non si vede soprattutto come le “procedure accelerate in frontiera” pure previste da Direttive europee e dalla legislazione italiana, possaono essere applicate sulla base di una finzione, come se la frontiera o il territorio prossimo alla frontiera (italiana) potesse delocalizzarsi fino all’esterno dell’Unione europea, in Albania. E dunque come se il diritto dell’Unione Europea fosse applicabile su persone che si trovano all’esterno degli Stati membri, Ed è proprio la recentissima decisione della Corte costituzionale albanese, che afferma il principio della doppia giurisdizione, a svelare i diversi profili di contrasto tra le prevision delle Direttive europee e il Protocollo Italia-Albania, come specificato nel disegno di legge di ratifica approvato in Italia dalla Camera.

      Per avviare i lavori di costruzione dei nuovi centri di accoglienza detenzione previsti in Albania “sotto giurisdizione italiana”, ma anche albanese, occorre ancora un voto del Parlamento albanese, dopo che la Corte costituzionale albanese avrà pubblicato tutte le sue motivazioni, ed il completamento dell’iter della legge di ratifica in Italia, con il voto del Senato. Non sembra prevedibile che le maggioranze assolute di cui dispongono Giorgia Meloni ed Edi Rama nei rispettivi parlamenti nazionali possano fallire l’obiettivo della ratifica del Protocollo. Dunque si può attendere l’ennesima ventata di propaganda con l’avvio dei lavori di costruzione e di riadattamento delle strutture previste a Shengjin e a Gijader proprio quando la campagna elettorale per le europee entrerà nel vivo. Difficile atttendersi in questa fase una posizione critica da parte di esponenti delle istituzioni europee, come la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, o la Commissaria europea agli Interni Ylva Johansson, che hanno in vista il supporto della Meloni per uno scambio di voti nell’indicazione delle prossime presidenze europee. Al di là della propaganda, imane però il nodo del contrasto tra le norme internazionali, i principi costituzionali italiani, e le previsioni del Protocollo Italia-Albania. Una questione democratica, che non riguarda soltanto le persone migranti che saranno sbarcate in Albania.

      Si dovranno monitorare da vicino tutte le prassi amministrative che potrebbero seguire in materia di “procedure accelerate in frontiera” per i richiedenti asilo, e di trattenimento e di allontanamento forzato, per tutti coloro che neppure saranno ammessi ad una procedura di protezione internazionale, oppure saranno denegati in tempi tanto brevi da non consentire un esercizio effettivo dei diritti di difesa. Ammesso che, oltre la propaganda elettorale, le strutture di contenimento e di deportazione in Albania (perchè di questo si tratta) dei migranti soccorsi nelle acque internazionali del Mediterraneo siano davvero attivate. Anche se, a fronte dei tempi di trattenimento sempre più lunghi, non si raggiungeranno i numeri iperbolici promessi dalla Meloni (3000 persone al mese, 36.000 persone trattenute in un anno), ci si dovrà preparare ad una raffica di ricorsi a difesa delle singole persone soccorse in alto mare, pre-identificate su una nave italiana, deportate in Albania. Ricorsi che si dovranno sostenere ai più alti livelli della giurisdizione nazionale ed internazionale. Perchè fino a quando i governi non riusciranno a controllare del tutto la magistratura, rischio sempre più concreto anche a fronte della prevedibile valanga di destra che caratterizzerà le prossime elezioni europee, la giurisdizione, come l’informazione indipendente, rimangono gli unici argini per la difesa della democrazia e dei diritti umani in Europa, ed anche in Albania, se gli albanesi sperano davvero tanto di entrare nell’Unione Europea.

      https://www.a-dif.org/2024/01/30/la-corte-costituzionale-albanese-approva-il-protocollo-meloni-rama-con-un-vot

    • La Cassazione rinvia il “Decreto Cutro” alla Corte di Giustizia UE: in dubbio le “procedure accelerate in frontiera”, e dunque anche il Protocollo Italia-Albania

      1. Come era prevedibile dopo la requisitoria della Procura generale, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, con una “ordinanza interlocutoria”, ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla norma del Decreto Cutro che prevede il pagamento di una cauzione da parte dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri per evitare il trattenimento amministrativo durante la cd. “procedura accelerata in frontiera”. La stessa Corte di Cassazione ha chiesto che la questione pregiudiziale sia trattata con procedimento d’urgenza; sospendendo il giudizio sui ricorsi presentati dal governo, tramite l’Avvocatura dello Stato, contro la mancata convalida dei decreti di trattenimento emessi dal Questore di Ragusa, pronunciata dai giudici Apostolico e Cupri del Tribunale di Catania. Il procedimento di fronte alla Corte di Cassazione proseguirà dunque dopo la pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, ma alcune motivazioni adottate dai giudici della Cassazione potranno avere effetti immediati sulle procedure accelerate in frontiera, in particolare sulle norme che a tale riguardo prevedono il trattenimento amministrativo generalizzato dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri, qualora in assenza di documenti identificativi non venga prestata una garanzia finanziaria , e quindi anche sulla attuazione del Protocollo Italia-Albania, che punta proprio ad esternalizzare le procedure accelerate in frontiera e la detenzione amministrativa prevista nei loro confronti dal “Decreto Cutro”.

      Per quanto la Corte di Cassazione sembri accogliere quasi per intero le motivazioni della Procura generale che, a sua volta, riprendeva le principali tesi del ricorso del governo rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, è evidente che il dubbio e quindi la questione posta dai giudici italiani alla Corte di Giustizia dell’Unione europea riguarda un punto centrale del “Decreto Cutro” (legge 50 del 2023) e dunque la legittinità dei provvedimenti adottati dalla questura di Ragusa, nella fase di prima applicazione del decreto nel centro Hotspot di Modica-Pozzallo, con il trattenimento dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri”, trattenimento che non era stato convalidato dai giudici del Tribunale di Catania. Tra le altre motivazioni di fatto e di diritto per cui i decreti di trattenimento adottati dal questore di Ragusa non potevano essere convalidati, i giudici Apostolico e Cupri osservavano che l’art. 6-bis del d.lgs. n. 142 del 2015, come modificato dal cd. “Decreto Cutro”, prevede una garanzia finanziaria la cui prestazione si configura non come misura effettivamente alternativa al trattenimento, ma come un requisito imposto al richiedente asilo, proveniente da un “paese terzo sicuro”, per evitare il trattenimento amministrativo, requisito che nella pratica non si sarebbe mai potuto adempiere.

      La Corte di Cassazione, a sezioni unite, riconduce la maggior parte dei motivi di ricorso del governo alla questione pregiudiziale che solleva davanti alla Corte di Giustizia UE e dunque ” al rapporto tra la valutazione caso per caso – che si richiede sia espressa in motivazione da parte dell’autorità amministrativa per il trattenimento alla frontiera onde stabilirne la necessità, la ragionevolezza e la proporzionalità a fronte della effettiva impraticabilità di misure alternative – e la prestazione della garanzia finanziaria, che, per come disciplinata dal diritto interno, non appare sintonica con il fine perseguito”. Tutte le altre motivazioni dei ricorsi presentati dal governo sembrano dunque assorbite da questa questione, e pertanto la Corte di Cassazione non tratta, e quindi neppure smentisce, i diversi rilievi di fatto e di diritto che avevano spinto il Tribunale di Catania, con diversi provvedimenti, a negare la convalida dei decreti di trattenimento adottati dal Questore di Ragusa. Anche se poi si afferma “La necessità di sollevare questione pregiudiziale interpretativa degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE per emanare la sentenza discende altresì da una prognosi, ad una prima valutazione, di non manifesta infondatezza dei motivi del ricorso del Ministero dell’interno e del Questore della Provincia di Ragusa attinenti al profilo della “erronea affermazione della non applicabilità della procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis d.lgs. n. 25/2008 e degli artt. 31, 33 e 43, direttiva 2013/32/UE”. “Prognosi ad una prima valutazione” che però non affronta specificamente i diversi problemi di legittimità dei decreti di trattenimento del questore di Ragusa non convalidati dal Tribunale di Catania. Il rinvio alla Corte di Giustizia riguarda comunque i primi casi affrontati dalla dott.ssa Apostolico, mentre la Cassazione si è riservata di decidere su altri otto successivi ricorsi del governo, sui quali potrebbe pronunciarsi dopo la decisione dei giudici di Lussemburgo, magari per giustificare comunque la legittimità degli ulteriori decreti di trattenimento adottati dal Questore di Ragusa.

      2. Dopo un richiamo a vari precedenti della Corte di Giustizia UE, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermano come “Da tali pronunce si evince, tra l’altro, che gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33 ostano a che un richiedente protezione internazionale venga trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità; ostano pure a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura. L’eccezionalità della misura del trattenimento e la soggezione della stessa ai principi di necessità e proporzionalità inducono a giustificare il trattenimento solo qualora non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive, il cui catalogo è esemplificato dall’art. 8, paragrafo 4. Le misure «alternative» al trattenimento non sono definite nel dettaglio; si tratta comunque di limitazioni dei diritti umani dei richiedenti che, se non ingerenti quanto il trattenimento, non di meno devono applicarsi, quando comunque vi siano motivi legittimi per il trattenimento, sulla base di una valutazione caso per caso di necessità, ragionevolezza e proporzionalità”. Si osserva in particolare come “Il punto fondamentale – allora – è dato dal nesso tra la previsione della garanzia come misura alternativa al trattenimento e la valutazione caso per caso che si richiede ai fini della decisione di trattenimento, da esprimere necessariamente nella motivazione del provvedimento dell’autorità amministrativa”. Sfidiamo chiunque a trovare una qualsiasi traccia di motivazione individuale su questo specifico punto nei decreti di trattenimento adottati dalla questura di Ragusa, nei casi di mancata convalida da parte della giudice Apostolico di Catania. Oggetto a suo tempo di una violenta campagna di odio e di diffamazione. Ma analoghe perplessità sulla motivazione persistono anche nei casi delle successive mancate convalide dei decreti di trattenimento adottati dalla Questura di Ragusa sulle quali è intervenuto il giudice Cupri, dello stesso Tribunale di Catania, a fronte di una parvenza di motivazione, che però le Sezioni Unite della Cassazione non hanno preso in considerazione, limitandosi al rilievo della questione pregiudiziale ed al rinvio ai giudici di Lussemburgo. Questioni complesse, che comunque impongono considerazioni differenziate sui dieci procedimenti, esaminati in tempi diversi dai giudici Apostolico e Cupri, con riferimento ai singoli casi, che non potrano certo essere eluse dopo la soluzione della questione pregiudiziale da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Intanto prendiamo atto che i dubbi sollevati dai giudici catanesi che non hanno convaldato i decreti di trattenimento amministrativo disposti dal Questore di Ragusa sono stati, almeno in parte, condivisi anche dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite.

      La Corte, dopo avere affermato con la richiamata ” prognosi ad una prima valutazione”, di condividere i motivi di ricorso del governo e del Questore di Ragusa, afferma infatti un principio di diritto che va decisamente in favore dei provvedimenti di mancata convalida del trattenimento adottati dal Tribunale di Catania, ed a tale riguardo basta leggere le motivazioni dei giudici catanesi e confrontarle con la carente motivazione che si riscontra nei provvedimenti adottati dalla Questura di Ragusa nei confronti dei richiedenti asilo trattenuti in procedura accelerata “in frontiera” nel centro Hotspot di Modica-Pozzallo. Nelle ordinanze della dott.ssa Apostolico che non convalidava il trattenimento amministrativo si leggeva appunto come il provvedimento del questore non fosse corredato da una motivazione “idonea”, in quanto privo di una “valutazione su base individuale delle esigenze di protezione manifestate, nonché della necessità e proporzionalità della misura in relazione alla possibilità di applicare misure meno coercitive”.

      Secondo la Corte di Cassazione, “Il provvedimento che dispone il trattenimento deve essere corredato da motivazione, la quale esamini la necessità, la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura rispetto alla specifica finalità, nonché l’effettiva impraticabilità delle misure alternative, sulla base di una valutazione caso per caso. Se così è, dovrebbe ostare all’osservanza del diritto dell’Unione una normativa nazionale che sia interpretata ed applicata nel senso che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente, e ancor più che sia trattenuto perché non abbia prestato idonea garanzia finanziaria, stabilita in maniera rigida e non adattabile alla situazione individuale; vale a dire con modalità come quelle che si evincono nella riportata legislazione nazionale” .Nei provvedimenti adottati dal Questore di Ragusa non si rinviene traccia della valutazione “caso per caso” che la Corte di cassazione sembra ritenere una condizione imprescindibile di legittimità del trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri. Non si vede dunque su quali elementi la Corte di Cassazione, in sede di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, fondi la sua”prognosi, ad una prima valutazione, di non manifesta infondatezza dei motivi del ricorso del Ministero dell’interno e del Questore della Provincia di Ragusa attinenti al profilo della “erronea affermazione della non applicabilità della procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis d.lgs. n. 25/2008 e degli artt. 31, 33 e 43, direttiva 2013/32/UE“. E’ probabile che i giudici della Cassazione su questo punto dirimente non si pronuncino in attesa della decisione della Corte di giustizia UE, ma comunque. al di là della loro “prognosi ad una prima valutazione” (politica?),sembrano confermare i rilievi del Tribunale di Catania che ha rilevato il carattere illegittimo dei decreti di trattenimento adottati dalla Questura di Ragusa.

      3. Quanto riportato dalle principali agenzie di informazione e contenuto nella parte finale della decisione della Cassazione, secondo cui “ Il rinvio pregiudiziale attiene a una questione sul sistema europeo comune di asilo, il quale costituisce uno degli elementi fondamentali dell’obiettivo dell’Unione europea relativo all’istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione nell’Unione”, contiene una affermazione ovvia che non può coprire la contraddizione interna presente nella decisione della stessa Corte di Cassazione. La Corte, a sezioni unite, afferma pregiudizialmente di propendere per le tesi del governo e del questore di Ragusa, ricorrenti rappresentati dall’avvocatura dello Stato, ma fornisce motivazioni che vanno a rafforzare le motivazioni dei giudici catanesi, che non vengono certo definite “apparenti” come nel ricorso presentato dalla stessa avvocatura dello Stato. Motivazioni che, almeno sul punto della “garanzia finanziaria”, vengono sostanzialmente riprese proprio dai giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

      Non sappiamo per quanto tempo resterà sospeso il procedimento davanti alla Corte di Cassazione relativo ai ricorsi del governo e del questore di Ragusa contro i provevdimenti del Tribunale di Catania, in attesa di una decisione, che pure è stata richiesta con procedura d’urgenza, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Procedura d’urgenza che può essere adottata solo” in casi eccezionali”, e su questo punto di ammissibilità dovranno pronunciarsi entro alcune settimane i giudici europei. Di certo questa questione rimane aperta a Lussemburgo e lascia in sospeso l’operatività del cd. Decreto Cutro con riferimento alle procedure accelerate in frontiera previste per i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri. Le conseguenze dei profili dubbi del trattenimento amministrativo generalizzato dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri” , che si sono già tradotti nel blocco delle “procedure accelerate in forntiera” presso il centro Hotspot di Modica-Pozzallo, potrebbero ricadere anche sull’attuazione del Protocollo Italia-Albania, ammesso che si riesca a superare le gravi problematiche attinenti le strutture logistiche e gli adempimenti procedurali, previsti dalla legge di ratifica in corso di approvazione al Senato, per non parlare degli ineludibili profili di conrrasto con la normativa euro-unitaria, se non di incostituzionalità, che sembrano tanto gravi da bloccarne la effettiva applicazione. Se la prestazione di una “garanzia finanziaria” per evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri” desta già tali perplessità per le persone che vengono sbarcate in territorio italiano, cosa potrebbero pensare i giudici italiani e le corti internazionali di una analoga “garanzia finanziaria” nel caso di persone “trasportate” in Albania ? Oppure, queste persone sarebbero escluse dalla possibilità di prestare una analoga garanzia finanziaria, ancora prevista dalla legislazione italiana, con evidente violazione della normativa europea e del principio di non discriminazione?

      Non rimane che attendere un esercizio imparziale della giurisdizione, con provvedimenti motivati sulla base del principio di legalità e non per ragioni politiche, sia in Italia che davanti alla Corte di Giustizia UE, per garantire il prncipio di non discriminazione, la certezza del diritto, le garanzie sulla libertà personale previste dalla Costituzione italiana e dalla normativa cogente europea, i diritti di difesa e, non da ultimo, il diritto alla protezione internazionale ed il divieto di espulsioni o respingimenti collettivi. Intanto nella fase finale della ratifica da parte del Parlamento italiano del controverso Protocollo Italia-Albania, sarebbe opportuno che si tenesse conto di quanto osservato dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, e del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europa, anche al fine di evitare i ricorsi alla Corte costituzionale italiana che si potrebbero sollevare se si arriverà ad una prima applicazione del trattenimento amministrativo “generalizzato” nelle “procedure accelerate in frontiera” in territorio albanese, nelle aree concesse in uso alle autorità italiane, ma sotto la “doppia giurisdizione” italiana ed albanese, come ha ribadito ancora di recente la Corte Costituzionale albanese.

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 17.04.27

      == Migranti: avvocata, Cassazione conferma rilievi Apostolico =

      (AGI) – Ragusa, 8 feb. – “La Corte di Cassazione ha confermato i dubbi interpretativi che sono sorti dalla emissione del decreto Cutro”. Lo ha detto all’AGI Rosa Emanuela Lo Faro, avvocata di buona parte dei Migranti coinvolti nel procedimento per il quale la Corte Suprema ha sospeso la decisione sui trattenimenti nel Cpr di Pozzallo rinviado la materia alla Corte di giustizia europea. “Con questa ordinanza interlocutoria – ha proseguito Lo Faro – si chiarisce che le ordinanze della dott.ssa Apostolico avevano il solo scopo di applicare il diritto italiano in maniera conforme al diritto Unionale. Non fare politica o attaccare i politici, ma preservare la liberta’ di ogni singolo individuo”. (AGI) Rg3/Fab 081704 FEB 24

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 16.34.05

      >>>ANSA/’Corte Ue si pronunci su fidejussione per i migranti’

      Ordinanza della Cassazione. Legale,confermati dubbi sul dl Cutro (di Marco Maffettone) (ANSA) – ROMA, 08 FEB – Il decreto Cutro finisce all’attenzione dei giudici della Corte di Giustizia Europea. E’ quanto stabilito dalle Sezioni unite civili di Cassazione che chiedono ai giudici della Ue di pronunciarsi, in tema di migranti provenienti da Paesi sicuri, sul segmento del decreto approvato dal Governo a settembre relativo alla garanzia finanziaria di circa 5mila euro che un richiedente asilo deve versare per evitare di essere trattenuto in un centro alla frontiera in attesa dell’esito dell’iter della domanda di protezione. In due ordinanze “interlocutorie” i giudici della Suprema Corte, accogliendo sostanzialmente la richiesta del procuratore generale, sollecitano ai giudici europei un intervento in via d’urgenza. Le Sezioni unite erano chiamate a vagliare 10 ricorsi del ministero dell’Interno sulle ordinanze con cui il tribunale di Catania non ha convalidato, nei mesi scorsi, i trattenimenti di alcuni migranti tunisini a Pozzallo, in applicazione di quanto disposto dal decreto Cutro. Nei due provvedimenti, entrambi di una ventina di pagine, le Sezioni Unite civili chiedono alla Corte Ue se le norme del Parlamento europeo e del Consiglio del 2013 “ostino”, in tema di garanzia finanziaria, “una normativa di diritto interno”. In particolare il quesito posto ai giudici con sede in Lussemburgo riguarda “gli articoli 8 e 9 della direttiva Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale” e se “ostino a una normativa di diritto interno che contempli, quale misura alternativa al trattenimento del richiedente (il quale non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente), la prestazione di una garanzia finanziaria il cui ammontare è stabilito in misura fissa – spiega la Cassazione – anziché in misura variabile senza consentire alcun adattamento dell’importo alla situazione individuale del richiedente, né la possibilità di costituire la garanzia stessa mediante intervento di terzi, sia pure nell’ambito di forme di solidarietà familiare”. In questo modo “imponendo modalità suscettibili di ostacolare la fruizione della misura alternativa da parte di chi non disponga di risorse adeguate, nonché precludendo la adozione di una decisione motivata che esamini e valuti caso per caso la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura in relazione alla situazione del richiedente”. Per il legale di sei dei 10 migranti trattenuti dal questore di Ragusa e poi liberati dai giudici etnei Iolanda Apostolico e Rosario Cuprì, con questa decisione la “Cassazione ha confermato i dubbi interpretativi che sono sorti dalla emissione del decreto Cutro. Qui in Italia le leggi non sono chiare, perché dovrebbero essere compatibili con le norme internazionali e non si capisce se lo sono. Per questo la Suprema Corte ha investito della questione la Corte Ue”, afferma l’avvocato Rosa Maria Lo Faro. In merito alla “proceduta accelerata” nei trattenimenti, nell’udienza del 30 gennaio scorso, l’ufficio del pg rappresentato in aula da dall’avvocato generale Renato Finocchi Ghersi e dal sostituto procuratore generale Luisa De Renzis, l’ha definita “legittima e conforme alla legge”. Nella requisitoria il Pg ha sostenuto che “non si può trascurare quanto affermato dall’Avvocatura dello Stato circa la situazione di emergenza a Lampedusa, caratterizzata da flussi consistenti e ravvicinati in quella zona e dall’elevato numero delle domande di protezione internazionale così da rendere difficilmente gestibile la trattazione della domanda nel luogo di arrivo”. (ANSA). 2024-02-08T16:33:00+01:00 ANSA

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 15.20.22

      Migranti: Albano (Md), verdetto Cassazione conferma Apostolico

      Migranti: Albano (Md), verdetto Cassazione conferma Apostolico (ANSA) – ROMA, 08 FEB – “La decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di chiedere la verifica di conformità al diritto Ue di alcune norme del decreto Cutro – dichiara la presidente di Magistratura democratica Sivia Albano – conferma che gli attacchi nei confronti della giudice Apostolico erano privi di senso anche sul piano giuridico. Le Sezioni unite confermano che c’è un problema di conformità alla direttiva delle norme che prevedono una garanzia finanziaria come alternativa alla detenzione nei centri”. “Quando il giudice rileva profili di illegittimità delle norme per la non conformità al diritto della Ue o alla Costituzione, – prosegue Albano – non lo fa certo per fare opposizione al Governo, ma esercita la funzione che la Costituzione e i trattati gli attribuiscono”. “Ciò significa anche – conclude Albano – che la pronuncia delle Sezioni unite non dovrebbe essere caricata di significati, in un senso o nell’altro. E’ un fisiologico controllo di legittimità: quello della Corte di Cassazione, quello della giudice Apostolico, quello di tutti i giudici che hanno ragionevolmente espresso dubbi su quel decreto”. (ANSA). 2024-02-08T15:20:00+01:00 COM-ANSA

      https://www.a-dif.org/2024/02/08/la-cassazione-rinvia-il-decreto-cutro-alla-corte-di-giustizia-ue-in-dubbio-le

  • 4-5-6 mars 2024 : #Procès en #appel concernant l’#incendie des #Tattes

    Non, ce n’est pas fini. Oui, ça fera 10 ans cette année.

    Et C. Hauswirth, responsable en 2014 de la sécurité incendie de tous les #CHC (#centres_d’hébergement_collectifs) du canton n’est toujours pas déclaré coupable ni condamné.

    Et les sinistrés (une quarantaine, dont 1 mort et 2 personnes gravement lésées dans leur santé physique et psychique) ne sont toujours pas dédommagés et n’ont toujours pas tous reçu un permis B. Parmi eux, Ayop Aziz, vous vous rappelez ? Maudet avait essayé de l’expulser vers l’Espagne quelques mois après la catastrophe où Ayop s’était gravement blessé en sautant du 3ème étage pour échapper aux flammes. Il est toujours là, avec une balafre sur le front et un « papier blanc » qui ne donne droit qu’à l’aide d’urgence (10 fr. par jour pour vivoter dans notre ville).

    (Pour rappel de ce qui s’est dit au procès de décembre 2022, voir : Procès des Tattes : 8 ans pour rendre l’injustice : https://solidaritetattes.ch/4-5-6-mars-2024-proces-en-appel-concernant-lincendie-des-tattes)

    « La lenteur de la #justice »… on se dit que c’est normal, il y a tellement de cas à traiter, les fonctionnaires ne peuvent pas faire mieux, ne peuvent pas aller plus vite. Mais la lenteur de la justice, ce n’est pas un problème de désorganisation dans les institutions qui doit susciter notre compréhension : c’est une volonté politique malhonnête qui permet à la justice de ne pas s’appliquer.

    Car comment rendre justice dans l’affaire des Tattes, après tellement d’années, pour obtenir les témoignages de personnes qui ont quitté la Suisse pour la plupart d’entre elles ? Comment rendre justice aux plaignants de Giffers qui ont subi les violences des Protectas, alors qu’après plusieurs années ils ont disparu dans d’autres pays européens, vivant dans la rue pour plusieurs d’entre eux ? Comment rendre justice, après plusieurs années, en ce qui concerne le suicide d’Ali Reza, décédé en 2019, alors que sa famille vit à l’autre bout du monde et que ses amis sont dispersés en Suisse et ailleurs ?

    4-5-6 mars 2024 : 10 ans pour rendre l’injustice.

    Réservez déjà ces dates pour venir soutenir les personnes incriminées et les avocates qui les défendent !

    reçu le 29.01.2024, via la mailing-list de #Solidarité_Tattes

    #asile #migrations #réfugiés #Suisse #Genève

    –—

    sur l’incendie des Tattes, voir aussi :
    https://seenthis.net/messages/910972

    • Interview par Solidarité Tattes de Me Laïla Batou

      À la suite du procès, Viviane Luisier de Solidarité Tattes a interviewé Me Laïla Batou, avocate de cinq parties plaignantes au procès de l’incendie du Foyer des Tattes, afin d’avoir son impression sur les suites de cette affaire.

      Sol. Tattes : Cette semaine se terminait le procès des responsables de l’incendie du Foyer des Tattes devant la Cour d’Appel. Pourquoi s’agit-il d’une affaire d’intérêt public ?

      Me Laïla Batou : Il y a un enjeu humanitaire, car elle interpelle sur la façon dont Genève traite les personnes les plus vulnérables, mais aussi un enjeu démocratique, dans le fait que l’Etat se retrouve à juger l’un de ses agents. Cette procédure met en jeu la séparation des pouvoirs.

      Sol. Tattes : Dix ans après les faits, est-ce que la situation n’est pas complètement embourbée ?

      Me L.B. : Pas du point de vue de la procédure. Au contraire, on commence enfin à y voir plus clair dans le déroulement des faits et les responsabilités qu’ils révèlent. Il a été difficile d’amener le fonctionnaire en charge de la sécurité du Foyer (ci-après : le Coordinateur incendie) sur le banc des accusés. Mais c’est sur ses manquements que se sont focalisés les débats d’appel.

      Sol. Tattes : Pourquoi n’était-il pas en cause depuis le début ?

      Me L.B. : Au lendemain du drame, tout le monde est tombé sur les occupants de la chambre qui a pris feu. C’étaient les coupables idéaux : l’un et l’autre avaient des petits casiers judiciaires, ils étaient ivres au moment des faits et avaient cuisiné et fumé dans une chambre alors que c’était interdit par le règlement du foyer. Et pourtant, on pouvait légitimement s’étonner qu’un départ de feu puisse avoir de telles conséquences : deux asphyxies dont une mortelle, et une quarantaine de défenestrations… N’y avait-il pas un problème plus structurel ? La procureure Viollier, alors en charge du dossier, a accepté de se poser la question.

      Deux explications se sont alors affrontées : la nôtre, qui mettait en cause la sécurité du foyer, et celle du responsable de cette sécurité, pour qui les victimes avaient cédé à la panique pour des raisons « culturelles ». Rapidement, nous sommes parvenus à montrer que les agents de sécurité présents sur le site s’étaient comportés de façon complètement erratique, et que c’est ce qui avait donné cette ampleur au drame. Il a fallu plus de temps pour faire entendre que ces agents n’avaient peut-être pas été correctement instruits et formés, ce qui était de la responsabilité du Coordinateur incendie.

      Sol. Tattes : Quelles ont été les étapes de cette prise de conscience ?

      Me L.B. : Aussi étonnant que cela puisse paraître, après quatre incendies dévastateurs sur le site dont il était responsable, le Coordinateur incendie a d’abord été entendu comme témoin par le Ministère public. La Procureure Viollier a toutefois décidé de faire expertiser le bâtiment, et elle a eu le bon sens de confier cette tâche à des experts non-genevois. L’expertise, livrée en 2017, arrivait à la conclusion que vu son utilisation, notamment son extrême densité de peuplement, le bâtiment était si dangereux que se posait la question de sa fermeture immédiate !

      La responsabilité du Coordinateur incendie ne pouvait plus être écartée d’un revers de main. Il a donc été réentendu en procédure, non plus en qualité de témoin cette fois-ci, mais en qualité de « personne appelée à donner des renseignements », soit un possible futur prévenu. Les déclarations qu’il a faites à ce moment-là étaient particulièrement accablantes pour lui : il en ressortait que les procédures qu’il avait mises en place pour gérer l’apparition d’un sinistre étaient extrêmement confuses, même à ses propres yeux.

      Sol. Tattes : Il a donc été mis en prévention ?

      Me L.B. : Pas du tout. Malgré les conclusions de l’expertise et malgré ses déclarations complètement aberrantes, la nouvelle Procureure en charge du dossier l’a tout simplement sorti de la procédure. Elle a renvoyé en jugement les deux occupants de la chambre d’où était parti le feu et deux agents de sécurité qui avaient eu le réflexe d’éteindre le feu avant d’évacuer le bâtiment.

      Nous avons dû saisir l’autorité de recours pour forcer la Procureure à mettre en accusation le Coordinateur incendie.

      Ce n’était là qu’une étape. Car au procès de première instance, la Procureure a pour ainsi dire plaidé son acquittement dans son réquisitoire, ce qui est pour le moins inhabituel. Plus inhabituel encore : l’un des plaignants, soit l’Hospice général lui-même, présent au procès pour demander l’indemnisation de son dommage matériel, a lui aussi plaidé en faveur de ce prévenu – qui n’était autre que son propre agent !

      Sol. Tattes : Et alors, le résultat des courses ?

      Me L.B. : Le juge ne s’est pas senti contraint d’examiner sérieusement la violation, par le Coordinateur, de son devoir de diligence. Il n’a pas daigné constater que les mesures prises par le Coordinateur sur ce site à hauts risques étaient gravement insuffisantes, voire qu’elles avaient accru le danger pour les résidents. Le juge n’a pas non plus tenu compte de la désinvolture que trahissaient les déclarations confuses et contradictoires du Coordinateur tout au long de la procédure.

      C’est ainsi qu’il a condamné les deux agents de sécurité qui avaient privilégié l’extinction sur le sauvetage, et le résident de la chambre d’où le feu est parti. Il a en revanche été contraint d’acquitter l’autre résident accusé, qui n’avait fait que passer la soirée dans la chambre qui a brûlé.

      Sol. Tattes : Pourquoi dites-vous que les mesures prises par le Coordinateur ont accru le danger pour les résidents ?

      Me L.B. : Pour prévenir le risque incendie, il y a trois axes d’intervention : le constructif, le technique et l’organisationnel.

      S’agissant du constructif, le Coordinateur a fait installer des portes coupe-feu en métal qui, en cas d’incendie, ne peuvent plus s’ouvrir sans clé dans le sens de l’entrée, même avec des outils de force. Or, il a omis d’équiper ces portes de serrures SI. S’agissant du technique, il a fait installer une centrale de détection d’incendie, mais cette dernière n’était pas, ou pas encore, raccordée au SIS. Autrement dit, pour être alertés, et ensuite pour accéder au bâtiment, les pompiers dépendaient de « quelqu’un » sur le site.

      C’est une situation assez dangereuse. En tous cas, cela suppose que ce « quelqu’un » soit défini avec précision, qu’il sache exactement ce qu’il doit faire et qu’il développe des réflexes : c’est l’axe organisationnel.

      Or, les agents de sécurité présents sur le site pensaient tous que la centrale de détection avertissait directement les pompiers ! Ils ignoraient aussi que les pompiers n’avaient pas de clés permettant d’accéder aux étages.

      Sol. Tattes : Mais cela n’explique pas pourquoi les résidents se sont défenestrés…

      Me L.B. : Les agents de sécurité ont manifestement paniqué à la vue du feu. Ils ont cherché à l’éteindre avant que les pompiers aient été alertés et avant d’évacuer le bâtiment, et pour cela ils ont ouvert la chambre en feu. La fumée a envahi le chemin de fuite, bloquant les résidents encore endormis dans leurs chambres. La plupart ont été réveillés en sursaut alors que le bâtiment était déjà sens dessus-dessous. Personne n’avait jamais pris la peine de leur dire ce qu’il fallait faire en cas de feu, ni même de leur fournir le numéro de téléphone des pompiers. Personne n’était là pour leur dire quoi faire, et ils n’avaient aucune instruction à remobiliser pour calmer la panique.

      Sol. Tattes : Le Coordinateur incendie pouvait-il s’attendre à un tel mouvement de panique ?

      Me L.B. : Evidemment. D’abord, parce que les risques liés à la panique en cas d’incendie sont notoires, ce qu’il savait en tant qu’expert. Ensuite et surtout, parce que des personnes s’étaient déjà défenestrées lors de l’incendie de 2011, avec un bilan de 13 blessés dont cinq graves.

      Sol. Tattes : Mais était-il vraiment en mesure de le prévenir ?

      Me L.B. : Bien entendu. Il avait constaté depuis 2011 qu’il devait installer des consignes sur le comportement à adopter en cas d’incendie dans tous les bâtiments, et ne s’est jamais exécuté. De même, il connaissait depuis 2013 son obligation légale de procéder à deux exercices d’évacuation pour entraîner son personnel et les résidents. Non seulement il n’en a organisé qu’un seul, en avril 2014 ; mais en plus il en a exclu un bâtiment entier : celui des hommes célibataires en cours de procédure d’asile ou déboutés, dont il craignait qu’ils prennent d’assaut les bus TPG ou n’investissent le magasin IKEA situé à proximité. Le premier juge n’aurait jamais dû recevoir cet argument : le Coordinateur n’est pas garant des intérêts d’IKEA ou des TPG, c’est à la police de s’en occuper. Lui, son travail, c’est de protéger la vie et la sécurité de tous les résidents du Foyer, sans distinction de sexe ou de statut légal.

      Sol. Tattes : Et maintenant, que va-t-il se passer ? Quels sont vos pronostics ?

      Me L.B. : C’est un dossier sensible, et une page sombre de l’Histoire de Genève, mais Genève peut faire mieux, si elle accepte de se remettre en question sur la base des faits tels qu’ils se sont réellement produits. Ce n’est pas facile, pour l’Etat, d’admettre que l’Etat a fauté, mais ce dossier ne permet pas vraiment de tirer une autre conclusion. Personnellement, je continue de croire à la séparation des pouvoirs.

      reçu le 09.03.2024, via la mailing-list de #Solidarité_Tattes

  • France : Gravelines : Série noire à la centrale, 5 accidents en 5 semaines

    https://www.sortirdunucleaire.org/France-Gravelines-Serie-noire-a-la-centrale-5-accidents-en-5-sema

    Mi janvier 2024, plusieurs interventions sont en cours sur le réacteur 1 de la centrale #nucléaire de Gravelines (Nord), qui fonctionne à pleine puissance. En lançant ces opérations en même temps, EDF n’a pas anticipé que son réacteur serait privé de plusieurs systèmes qui doivent être pleinement fonctionnels. Manque d’analyse, mauvaise gestion et absence de vision globale, ce nouvel incident montre un sérieux défaut de compétences de l’exploitant nucléaire. Et il n’y a pas que sur le réacteur 1 que les problèmes se multiplient : c’est le 5ème accident déclaré par le site en à peine 5 semaines.

  • En Israël, la colère gronde sous l’unité nationale | Libé | 21.01.24

    (...) la contestation enfle dans le pays. Alors que l’opposition se prépare, de plus en plus d’Israéliens réclament des élections, avec l’espoir de déloger Benyamin Nétanyahou.

    https://www.liberation.fr/international/moyen-orient/en-israel-la-gronde-couve-sous-lunite-nationale-20240121_IYVE4HZLXBGRRIKE

    C’était un rare moment de télévision, impensable il y a encore quelques semaines. Jeudi soir, dans l’émission d’enquête de grande écoute Uvda, sur la chaîne la plus populaire du pays, un membre du cabinet de guerre israélien a ouvertement critiqué la politique de Benyamin Nétanyahou.

    « Ce qu’il se passe à Gaza aujourd’hui, c’est que les buts de guerre n’ont pas été accomplis », a dit l’ancien général Gadi Eisenkot, membre du parti centriste de Benny Gantz, Unité nationale. « Ceux qui parlent d’une défaite totale [du Hamas] ne disent pas la vérité », a ajouté l’ancien général, court et corpulent, assis au milieu d’une bibliothèque, habillé tout de noir. « Est-ce que les décideurs sont honnêtes avec le public ? » demande la journaliste. « Non », répond simplement Eisenkot.

    Ses commentaires lui ont valu quelques critiques, mais Gadi Eisenkot est intouchable : en décembre, il a perdu son fils et son neveu à Gaza. Ancien chef d’Etat-major, et membre du cabinet de guerre, il est plus que quiconque à même de comprendre la réalité et les implications des actions militaires israéliennes. Et quand il laisse flotter que des élections sont nécessaires « dans les mois qui viennent », c’est un message clair : l’opposition n’attendra pas la fin d’une guerre qui sera longue, comme l’a encore promis Benyamin Nétanyahou jeudi soir, pour forcer le pays à aller aux urnes.

    Le Premier ministre semble cerné. Les familles d’otages ont amené, pour la première fois, la contestation devant sa villa balnéaire de Césarée, dans le nord d’Israël, vendredi. Samedi, des milliers d’Israéliens se sont rassemblés à Tel-Aviv pour exiger son départ. Les critiques fusent sur le nouveau budget du gouvernement et son manque d’allocations aux déplacés et au social. Cette contestation enfle, de semaine en semaine, rappelant désormais les mois d’avant le 7 octobre.

    « Reconstruire l’espace démocratique »

    Sur l’autoroute Ayalon, le grand boulevard qui contourne Tel-Aviv par l’est, de nouveaux panneaux publicitaires crient « Nous avons besoin d’élections » en blanc sur fond bleu. Tous les jours, près d’un million de véhicules passent devant ce message. La campagne, très coûteuse, est anonyme. Derrière, il y aurait « des vétérans des manifestations contre la réforme judiciaire et quelques personnes de la tech » souffle un membre du QG de la Lutte, l’organisation fédératrice des différentes associations de contestation de ces derniers mois. Toutes sont en train de prendre le pouls, comprendre quel serait le bon moment pour quitter les eaux calmes de l’unité nationale et se lancer dans la tempête électorale.

    « Cela ne sert à rien tant que Benny Gantz est encore au gouvernement », explique Ronen Koehler, le regard doux et intelligent. Cet ancien capitaine sous-marinier reconverti dans la tech fait partie du leadership de Frères d’armes. De toute la Lutte, cette association de réservistes est de loin la plus institutionnalisée. Depuis les bureaux vitrés, un espace de coworking reconverti à Herzliya, la Silicon Valley israélienne, l’œil se perd dans l’horizon méditerranéen. L’étendue des activités de l’association est impressionnante : son mode opératoire volontaire et souple, ses poches profondes, l’expertise variée de ses 400 bénévoles et leurs carnets d’adresses bien fournis en a fait l’acteur incontournable de la mobilisation civile qui a suivi la déclaration de guerre le 7 octobre.

    Aujourd’hui, dans ces bureaux, des couturières hipster cousent des pochettes en textile sur mesure pour les soldats d’unités d’élite, d’anciens officiers forment des équipes d’urgence pour les villages proches des frontières, des psychologues aident les déplacés des frontières sud et nord. Mais on parle aussi du jour d’après. « Ce que nous voulons, c’est reconstruire l’espace démocratique en encourageant nos membres à rejoindre la vie civique, de comprendre que c’est important de travailler dans le service public, même si on y gagne moins d’argent, explique Ronen Koehler. Il faut que nos valeurs laïques, libérales, reviennent sur le devant de la scène. Que nous nous battions pour le cœur des Israéliens. » C’est un projet ambitieux, en miroir presque parfait de ce qu’a fait l’extrême droite colonisatrice israélienne ces quinze dernières années. Aujourd’hui, cette dernière, bien qu’elle ne représente « que 5 % de la population » insiste Ronen Koehler, détermine la teneur du débat politique. Et cela est aussi vrai en temps de guerre.

    Rhétorique guerrière

    Nétanyahou et ses partenaires sont en campagne depuis au moins la mi-décembre, et l’opposition a pris une longueur de retard, et qui continue de s’allonger. Certes, la colère est grande contre le Premier ministre et les sondages le donnent perdant à tous les coups. Mais au-delà de sa rhétorique guerrière et de ses sorties messianiques, il est le seul à proposer un projet simple et cohérent pour ce jour d’après : il n’y aura pas de retour au monde d’avant le 7 octobre. Et donc, pas de concessions faites aux Palestiniens, qui meurent encore et encore à Gaza.

    C’est ce qu’il a déclaré avec emphase pendant une conférence de presse jeudi soir : « Israël gardera le contrôle sécuritaire de tout le territoire à l’ouest du Jourdain. » Ce qui a rendu furieux Joe Biden, qui voudrait au moins construire une paix durable sur les ruines de Gaza, détruite avec les dollars américains. Benyamin Nétanyahou lui aurait cependant assuré au téléphone vendredi que ses propos ne fermaient pas la porte à un Etat palestinien. Le chef du Likoud a toujours excellé à ce numéro d’équilibriste entre la pression américaine et celle de son public israélien.

    Si des élections devaient se tenir aujourd’hui, c’est sans doute Benny Gantz qui deviendrait Premier ministre, à la tête d’un gouvernement de centre droit guerrier, sans projet politique clair. L’opposition israélienne semble encore croire que se débarrasser de Nétanyahou changera tout, que c’est la clé d’un nouveau départ. Mais cela revient à ne pas voir la soif de réponses constructives à leurs problèmes communs des sociétés israélienne et palestinienne, traumatisées. Ce manque d’un projet politique ambitieux ne leur permettra pas de couper l’herbe sous les pieds de l’extrême droite.

  • France : #Gravelines : #EDF déverse des #déchets (trop) radioactifs en mer

    Quand l’industriel prend la nature pour une décharge

    Début décembre 2023, la centrale de Gravelines (Hauts-de-France) a déversé dans la mer les déchets liquides radioactifs qu’elle produit. Les alarmes ont retenti au bout de quelques secondes, alertant sur leur niveau de radioactivité et de dangerosité.

    La bonne nouvelle c’est que les alarmes fonctionnent. La mauvaise c’est que EDF prend la mer pour une décharge et y déverse ses déchets sans vérifier avant ce qu’il y a dedans. Il aura fallu 23 secondes pour que les alarment se déclenchent et que les rejets soient arrêtés. Durant près d’une demie minute, EDF a déversé dans la nature trop de radioactivité, plus que ce qui lui est autorisé.

    Les réacteurs nucléaires produisent lors de leur fonctionnement toutes sortes de déchets et de résidus, chimiques et/ou radioactifs, de différents niveau de dangerosité. Certains sont liquides, d’autres gazeux, d’autres solides. Seuls les déchets solides sont envoyés vers des filières extérieures, les substances liquides et gazeuses finissent dans la nature, après avoir été plus ou moins traitées. C’est que EDF, comme toutes les industries, a obtenu des autorités un droit à polluer : il a des autorisations de rejets. Mais il ne peut pas déverser n’importe quoi n’importe quand n’importe où dans la nature, il y a des conditions précises et des limites fixées pour les rejets de chaque substance.

    C’est justement ces autorisations que EDF n’a pas respectées. Il a lancé le déversement du contenu d’un réservoir de déchets liquides produits en zone nucléaire dans la nuit du 2 au 3 décembre 2023, sans en vérifier au préalable la teneur. Au bout de 23 secondes les alarmes signalant trop radioactivité se sont déclenchées, et les rejets en mer ont été interrompus. EDF ne dit pas si tout ce qui a été déversé durant ces 23 secondes a été récupéré ou pas. Il est probable qu’une partie du contenu du réservoir radioactif ait atteint la mer avant que EDF ne ferme les écoutilles. L’industriel ne précise pas non plus quels types de radioéléments étaient présents, ni en quelle concentration, pas plus qu’il ne dit quelle(s) limite(s) a été dépassée.
    Une chose est sûre : ces limites existent pour limiter la dangerosité de ces rejets. Selon leur niveau de concentration, les substances radiochimiques peuvent être très néfastes, pour l’homme et pour les écosystèmes. EDF a prévenu les autorités quelques jours après l’incident. Le public lui, ne sera averti que 3 semaines après, par un bref communiqué qui n’explique rien.

    Pourquoi les équipes de conduite ont autorisé ce rejet radioactif alors qu’il ne respectait pas les limites ? Problème de place et d’espace de stockage de ces déchets liquides produits en permanence sur le site nucléaire ? « Oubli » d’une étape dans la procédure ? Quoiqu’il en soit, l’incident montre bien que pour EDF, respecter ses autorisations de rejet et penser avant tout à préserver l’environnement n’est pas la priorité. Sa priorité semble plutôt d’aller vite, et de continuer à produire. Quitte à mal faire et à faire mal. Sachant que le site nucléaire comporte déjà 6 réacteurs et que EDF voudrait en construire deux autres, les accidents relevant d’une mauvaise gestion - déjà très fréquents (voir le bandeau à droite de cet article) - ne risquent pas de s’arrêter.

    Ce que dit EDF :

    Les évènements significatifs déclarés à l’Autorité de sûreté nucléaire en décembre 2023

    Publié le 21/12/2023

    Le 2 décembre en fin d’après midi, un réservoir d’effluents liquides dilués (KER) de l’ilôt nucléaire est mis à la disposition du service Conduite afin d’effectuer un rejet réglementé dans l’environnement naturel. Dans la nuit du 2 ou 3 décembre, l’opération est engagée, contrôlée par les chaines de mesure de radioprotection (KRT) qui assurent notamment la surveillance et le respect des seuils de rejet fixé par les décrets.

    Au bout de 23 secondes, ces chaines déclenchent et stoppent automatiquement le rejet, en raison d’un dépassement du seuil d’alarme. Cet écart n’a pas eu de conséquence sur l’environnement et a été déclaré à l’Autorité de sûreté nucléaire le 6 décembre 2023 en événement relevant du domaine Environnement.

    https://www.edf.fr/la-centrale-nucleaire-de-gravelines/les-actualites-de-la-centrale-nucleaire-de-gravelines/les-evenements-significatifs-declares-a-lautorite-de-surete-nucleaire-en-decembr

    https://www.sortirdunucleaire.org/France-Gravelines-EDF-deverse-des-dechets-trop-radioactifs-en-mer
    #radioactivité #déchets_nucléaires #résidus #pollution #centrale_nucléaire #incident

  • Quando l’arte di strada rigenera. Dentro le “Trame” di #Grosseto

    Contro la desertificazione del centro storico della città maremmana, il collettivo #Clan ha immaginato nel 2020 il #festival_Trame, con l’obiettivo di ridare colore alle serrande chiuse. Chiamando a dipingerle artisti da tutta Italia.

    “Serrande chiuse per arte aperta” è il modo più immediato per descrivere Trame, il festival di arte urbana che dal 2020 sta contribuendo alla rigenerazione del centro storico di Grosseto, la “Kansas City” di Luciano Bianciardi, una città di circa 80mila abitanti persa in mezzo alla Maremma, in una delle zone meno antropizzate d’Italia. Quattro edizioni dell’evento hanno permesso di trasformare 50 serrande, grazie ad artisti arrivati da tutta Italia tramite residenze finalizzate alla rigenerazione territoriale.

    Trame è un’iniziativa del Collettivo libero anti noia (Clan) e nasce dall’osservazione di un contesto comune a molti altri centri urbani. “Il Collettivo è nato nel 2012 da un gruppo di amici per promuovere e diffondere la cultura in tutte le sue forme, dall’attività artistica alla promozione del territorio. Abbiamo una sede in centro dal 2018, grazie al progetto ‘Pop up lab’, promosso dal Comune di Grosseto e dalla Regione Toscana per contrastare la desertificazione dei centri storici. Quando ci siamo insediati in questa ‘viettina tremenda’ ci siamo resi conto che la maggior parte delle saracinesche erano abbassate, ormai le persone vivono altrove, i servizi sono rarefatti”, sottolinea Giada Breschi, tra i fondatori di Clan.

    “A Grosseto il centro è la nuova periferia, che le persone non frequentano anche perché -continua- non ha senso passeggiare di fronte alle serrande chiuse”. A meno che queste non diventino delle vere opere d’arte, come hanno immaginato i soci di Clan, due dei quali, Giada e Mara, lavorano per l’associazione culturale. “La prima edizione di Trame, nel 2020, l’anno della pandemia da Coivd-19, è stata senz’altro la più difficile, anche perché dovevamo ‘confrontarci’ con la diffidenza dei proprietari degli immobili -ricorda Breschi-. Edizione dopo edizione, però, tutti si sono resi conto che le opere sono realizzate da professionisti e in tanti hanno iniziato a proporci le loro serrande. Inizialmente abbiamo fatto degli appelli ma anche proposto un questionario online, per capire quali tipologie di azioni risultavano più gradite ai cittadini come esempi di riqualificazione. Abbiamo poi attaccato cartelli su tutti i garage del centro storico: ‘Vuoi trasformare la tua serranda in un’opera d’arte?’. Con tutti i proprietari stringiamo un accordo”.

    Gli artisti invece arrivano a Grosseto grazie a una call nazionale. Ogni edizione di Trame ha avuto un tema. Quella del 2023, ad esempio, è stata “Facciamo tempesta”, dove la tempesta e ciò che scuote e scardina lo status quo, tanto più importante in provincia, “dove ci si sente tagliati fuori dai centri dove le cose accadono e le uniche burrasche che sembrano colpirci sono quelle che il cambiamento, invece che alimentarlo, lo affogano”, spiega il documento elaborato da Clan.

    Sono 50 le serrande di Grosseto “trasformate” dalle quattro edizioni del festival

    Nel 2023 sono stati selezionati otto artisti, sulla base dei progetti inviati. Grazie al contributo della Fondazione CR Firenze, che sostiene il progetto, vengono ospitati a Grosseto per tre giorni e ricevono un rimborso per le spese di viaggio, vitto e alloggio oltre a quelle per dipingere. “Arrivano qui sapendo di trovare le serrande pronte, perché la pulizia e anche il ripristino del fondo lo facciamo noi”, spiega Breschi.

    In questi anni hanno lavorato nella città toscana alcuni nomi importanti della street art italiana, come Luogo Comune, Exit/Enter e Ginevra Giovannoni, in arte Rame 13. “Ogni intervento dialoga con il palazzo, con le vie, questo è un elemento a cui teniamo molto e su cui concentriamo la nostra attività a livello curatoriale”, sottolinea Breschi. Per completare l’azione di rigenerazione territoriale, i soci di Clan accompagnano le persone attraverso il museo a cielo aperto organizzando il “Trame street tour”.

    “Ogni intervento dialoga con il palazzo, con le vie, questo è un elemento a cui teniamo molto e su cui concentriamo la nostra attività a livello curatoriale” – Giada Breschi

    “Anche se tramite il nostro sito chiunque può scoprire in autonomia tutte le serrande -racconta Breschi- a noi piace di più raccontare le storie degli artisti ed è bello farlo attraverso i più giovani, a partire dai laboratori di mediazione artistica che teniamo nelle scuole. Tornando a casa con questa ‘scoperta’, i bambini poi portano i genitori a fare il giro delle serrande: le mappe le costruiamo insieme a loro. Lavoriamo dalle materne alle superiori, con laboratori ovviamente differenziati. Alle secondarie di secondo grado dopo il tour si chiede agli insegnanti di far vedere i documentari che pubblichiamo per ogni edizione, chiedendo loro poi di collegare l’arte contemporanea locale al super-contemporaneo delle serrande. A quelli delle medie chiediamo invece di realizzare una loro idea di street art”.

    In inverno i laboratori si tengono al Molino Hub, un centro di promozione culturale e artistica ricavato all’interno delle Mura medicee della città: un altro dei progetti del Collettivo libero anti noia che il 2 dicembre 2023 ha ospitato l’atto finale di Trame 2023, con la presentazione del docu-film realizzato durante la quarta edizione del festival di arte urbana e della nuova street art map, per camminare nel centro storico di Grosseto con altri occhi.

    https://altreconomia.it/quando-larte-di-strada-rigenera-dentro-le-trame-di-grosseto
    #Italie #street-art #art_de_rue #graffitis #festival #régénération_urbaine #villes #urban_matter #centre-ville #désertification #art

  • Au niveau européen, un pacte migratoire « dangereux » et « déconnecté de la réalité »

    Sara Prestianni, du réseau EuroMed Droits, et Tania Racho, chercheuse spécialiste du droit européen et de l’asile, alertent, dans un entretien à deux voix, sur les #risques de l’accord trouvé au niveau européen et qui sera voté au printemps prochain.

    Après trois années de discussions, un accord a été trouvé par les États membres sur le #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile la semaine dernière. En France, cet événement n’a trouvé que peu d’écho, émoussé par la loi immigration votée au même moment et dont les effets sur les étrangers pourraient être dramatiques.

    Pourtant, le pacte migratoire européen comporte lui aussi son lot de mesures dangereuses pour les migrant·es, entre renforcement des contrôles aux frontières, tri express des demandeurs d’asile, expulsions facilitées des « indésirables » et sous-traitance de la gestion des frontières à des pays tiers. Sara Prestianni, responsable du plaidoyer au sein du réseau EuroMed Droits, estime que des violations de #droits_humains seront inévitables et invite à la création de voies légales qui permettraient de protéger les demandeurs d’asile.

    La chercheuse Tania Racho, spécialiste du droit européen et de l’asile et membre du réseau Désinfox-Migrations, répond qu’à aucun moment les institutions européennes « ne prennent en compte les personnes exilées », préférant répondre à des « objectifs de gestion des migrations ». Dans un entretien croisé, elles alertent sur les risques d’une approche purement « sécuritaire », qui renforcera la vulnérabilité des concernés et les mettra « à l’écart ».

    Mediapart : Le pacte migratoire avait été annoncé par la Commission européenne en septembre 2020. Il aura fait l’objet de longues tergiversations et de blocages. Était-ce si difficile de se mettre d’accord à 27 ?

    Tania Racho : Dans l’état d’esprit de l’Union européenne (UE), il fallait impérativement démontrer qu’il y a une gestion des migrations aux #frontières_extérieures pour rassurer les États membres. Mais il a été difficile d’aboutir à un accord. Au départ, il y avait des mesures pour des voies sécurisées d’accès à l’Union avec plus de titres économiques : ils ont disparu au bénéfice d’une crispation autour des personnes en situation irrégulière.

    Sara Prestianni : La complexité pour aboutir à un accord n’est pas due à la réalité des migrations mais à l’#instrumentalisation du dossier par beaucoup d’États. On l’a bien vu durant ces trois années de négociations autour du pacte : bien que les chiffres ne le justifiaient pas, le sujet a été fortement instrumentalisé. Le résultat, qui à nos yeux est très négatif, est le reflet de ces stratégies : cette réforme ne donne pas de réponse au phénomène en soi, mais répond aux luttes intestines des différents États.

    La répartition des demandeurs d’asile sur le sol européen a beaucoup clivé lors des débats. Pourquoi ?

    Sara Prestianni : D’abord, parce qu’il y a la fameuse réforme du #règlement_Dublin [qui impose aux exilés de demander l’asile dans le pays par lequel ils sont entrés dans l’UE - ndlr]. Ursula von der Leyen [présidente de la Commission – ndlr] avait promis de « #dépasser_Dublin ». Il est aujourd’hui renforcé. Ensuite, il y a la question de la #solidarité. La #redistribution va finalement se faire à la carte, alors que le Parlement avait tenté de revenir là-dessus. On laisse le choix du paiement, du support des murs et des barbelés aux frontières internes, et du financement de la dimension externe. On est bien loin du concept même de solidarité.

    Tania Racho : L’idée de Dublin est à mettre à la poubelle. Pour les Ukrainiens, ce règlement n’a pas été appliqué et la répartition s’est faite naturellement. La logique de Dublin, c’est qu’une personne qui trouve refuge dans un État membre ne peut pas circuler dans l’UE (sans autorisation en tout cas). Et si elle n’obtient pas l’asile, elle n’est pas censée pouvoir le demander ailleurs. Mais dans les faits, quelqu’un qui voit sa demande d’asile rejetée dans un pays peut déposer une demande en France, et même obtenir une protection, parce que les considérations ne sont pas les mêmes selon les pays. On s’interroge donc sur l’utilité de faire subir des transferts, d’enfermer les gens et de les priver de leurs droits, de faire peser le coût de ces transferts sur les États… Financièrement, ce n’est pas intéressant pour les États, et ça n’a pas de sens pour les demandeurs d’asile.

    D’ailleurs, faut-il les répartir ou leur laisser le libre #choix dans leur installation ?

    Tania Racho : Cela n’a jamais été évoqué sous cet angle. Cela a du sens de pouvoir les laisser choisir, parce que quand il y a un pays de destination, des attaches, une communauté, l’#intégration se fait mieux. Du point de vue des États, c’est avant tout une question d’#efficacité. Mais là encore on ne la voit pas. La Cour européenne des droits de l’homme a constaté, de manière régulière, que l’Italie ou la Grèce étaient des États défaillants concernant les demandeurs d’asile, et c’est vers ces pays qu’on persiste à vouloir renvoyer les personnes dublinées.

    Sara Prestianni : Le règlement de Dublin ne fonctionne pas, il est très coûteux et produit une #errance continue. On a à nouveau un #échec total sur ce sujet, puisqu’on reproduit Dublin avec la responsabilité des pays de première entrée, qui dans certaines situations va se prolonger à vingt mois. Même les #liens_familiaux (un frère, une sœur), qui devaient permettre d’échapper à ce règlement, sont finalement tombés dans les négociations.

    En quoi consiste le pacte pour lequel un accord a été trouvé la semaine dernière ?

    Sara Prestianni : Il comporte plusieurs documents législatifs, c’est donc une #réforme importante. On peut évoquer l’approche renforcée des #hotspots aux #frontières, qui a pourtant déjà démontré toutes ses limites, l’#enfermement à ciel ouvert, l’ouverture de #centres_de_détention, la #procédure_d’asile_accélérée, le concept de #pays-tiers_sûr que nous rejetons (la Tunisie étant l’exemple cruel des conséquences que cela peut avoir), la solidarité à la carte ou encore la directive sur l’« instrumentalisation » des migrants et le concept de #force_majeure en cas d’« #arrivées_massives », qui permet de déroger au respect des droits. L’ensemble de cette logique, qui vise à l’utilisation massive de la #détention, à l’#expulsion et au #tri des êtres humains, va engendrer des violations de droits, l’#exclusion et la #mise_à_l’écart des personnes.

    Tania Racho : On met en place des #centres_de_tri des gens aux frontières. C’est d’une #violence sans nom, et cette violence est passée sous silence. La justification du tri se fait par ailleurs sur la nationalité, en fonction du taux de protection moyen de l’UE, ce qui est absurde car le taux moyen de protection varie d’un pays à l’autre sur ce critère. Cela porte aussi une idée fausse selon laquelle seule la nationalité prévaudrait pour obtenir l’asile, alors qu’il y a un paquet de motifs, comme l’orientation sexuelle, le mariage forcé ou les mutilations génitales féminines. Difficile de livrer son récit sur de tels aspects après un parcours migratoire long de plusieurs mois dans le cadre d’une #procédure_accélérée.

    Comment peut-on opérer un #tri_aux_frontières tout en garantissant le respect des droits des personnes, du droit international et de la Convention de Genève relative aux réfugiés ?

    Tania Racho : Aucune idée. La Commission européenne parle d’arrivées mixtes et veut pouvoir distinguer réfugiés et migrants économiques. Les premiers pourraient être accueillis dignement, les seconds devraient être expulsés. Le rush dans le traitement des demandes n’aidera pas à clarifier la situation des personnes.

    Sara Prestianni : Ils veulent accélérer les procédures, quitte à les appliquer en détention, avec l’argument de dire « Plus jamais Moria » [un camp de migrants en Grèce incendié – ndlr]. Mais, ce qui est reproduit ici, c’est du pur Moria. En septembre, quand Lampedusa a connu 12 000 arrivées en quelques jours, ce pacte a été vendu comme la solution. Or tel qu’il est proposé aujourd’hui, il ne présente aucune garantie quant au respect du droit européen et de la Convention de Genève.

    Quels sont les dangers de l’#externalisation, qui consiste à sous-traiter la gestion des frontières ?

    Sara Prestianni : Alors que se négociait le pacte, on a observé une accélération des accords signés avec la #Tunisie, l’#Égypte ou le #Maroc. Il y a donc un lien très fort avec l’externalisation, même si le concept n’apparaît pas toujours dans le pacte. Là où il est très présent, c’est dans la notion de pays tiers sûr, qui facilite l’expulsion vers des pays où les migrants pourraient avoir des liens.

    On a tout de même l’impression que ceux qui ont façonné ce pacte ne sont pas très proches du terrain. Prenons l’exemple des Ivoiriens qui, à la suite des discours de haine en Tunisie, ont fui pour l’Europe. Les États membres seront en mesure de les y renvoyer car ils auront a priori un lien avec ce pays, alors même qu’ils risquent d’y subir des violences. L’Italie négocie avec l’#Albanie, le Royaume-Uni tente coûte que coûte de maintenir son accord avec le #Rwanda… Le risque, c’est que l’externalisation soit un jour intégrée à la procédure l’asile.

    Tania Racho : J’ai appris récemment que le pacte avait été rédigé par des communicants, pas par des juristes. Cela explique combien il est déconnecté de la réalité. Sur l’externalisation, le #non-refoulement est prévu par le traité sur le fonctionnement de l’UE, noir sur blanc. La Commission peut poursuivre l’Italie, qui refoule des personnes en mer ou signe ce type d’accord, mais elle ne le fait pas.

    Quel a été le rôle de l’Italie dans les discussions ?

    Sara Prestianni : L’Italie a joué un rôle central, menaçant de faire blocage pour l’accord, et en faisant passer d’autres dossiers importants à ses yeux. Cette question permet de souligner combien le pacte n’est pas une solution aux enjeux migratoires, mais le fruit d’un #rapport_de_force entre les États membres. L’#Italie a su instrumentaliser le pacte, en faisant du #chantage.

    Le pacte n’est pas dans son intérêt, ni dans celui des pays de premier accueil, qui vont devoir multiplier les enfermements et continuer à composer avec le règlement Dublin. Mais d’une certaine manière, elle l’a accepté avec la condition que la Commission et le Conseil la suivent, ou en tout cas gardent le silence, sur l’accord formulé avec la Tunisie, et plus récemment avec l’Albanie, alors même que ce dernier viole le droit européen.

    Tania Racho : Tout cela va aussi avoir un #coût – les centres de tri, leur construction, leur fonctionnement –, y compris pour l’Italie. Il y a dans ce pays une forme de #double_discours, où on veut d’un côté dérouter des bateaux avec une centaine de personnes à bord, et de l’autre délivrer près de 450 000 visas pour des travailleurs d’ici à 2025. Il y a une forme illogique à mettre autant d’énergie et d’argent à combattre autant les migrations irrégulières tout en distribuant des visas parce qu’il y a besoin de #travailleurs_étrangers.

    Le texte avait été présenté, au départ, comme une réponse à la « crise migratoire » de 2015 et devait permettre aux États membres d’être prêts en cas de situation similaire à l’avenir. Pensez-vous qu’il tient cet objectif ?

    Tania Racho : Pas du tout. Et puisqu’on parle des Syriens, rappelons que le nombre de personnes accueillies est ridicule (un million depuis 2011 à l’échelle de l’UE), surtout lorsqu’on le compare aux Ukrainiens (10 millions accueillis à ce jour). Il est assez étonnant que la comparaison ne soit pas audible pour certains. Le pacte ne résoudra rien, si ce n’est dans le narratif de la Commission européenne, qui pense pouvoir faire face à des arrivées mixtes.

    On a les bons et mauvais exilés, on ne prend pas du tout en compte les personnes exilées, on s’arrête à des objectifs de #gestion alors que d’autres solutions existent, comme la délivrance de #visas_humanitaires. Elles sont totalement ignorées. On s’enfonce dans des situations dramatiques qui ne feront qu’augmenter le tarif des passeurs et le nombre de morts en mer.

    Sara Prestianni : Si une telle situation se présente de nouveau, le règlement « crise » sera appliqué et permettra aux États membres de tout passer en procédure accélérée. On sera donc dans un cas de figure bien pire, car les entraves à l’accès aux droits seront institutionnalisées. C’est en cela que le pacte est dangereux. Il légitime toute une série de violations, déjà commises par la Grèce ou l’Italie, et normalise des pratiques illégales. Il occulte les mesures harmonisées d’asile, d’accueil et d’intégration. Et au lieu de pousser les États à négocier avec les pays de la rive sud, non pas pour renvoyer des migrants ou financer des barbelés mais pour ouvrir des voies légales et sûres, il mise sur une logique sécuritaire et excluante.

    Cela résonne fortement avec la loi immigration votée en France, supposée concilier « #humanité » et « #fermeté » (le pacte européen, lui, prétend concilier « #responsabilité » et « #solidarité »), et qui mise finalement tout sur le répressif. Un accord a été trouvé sur les deux textes au même moment, peut-on lier les deux ?

    Tania Racho : Dans les deux cas, la seule satisfaction a été d’avoir un accord, dans la précipitation et dans une forme assez particulière, entre la commission mixte paritaire en France et le trilogue au niveau européen. Ce qui est intéressant, c’est que l’adoption du pacte va probablement nécessiter des adaptations françaises. On peut lier les deux sur le fond : l’idée est de devoir gérer les personnes, dans le cas français avec un accent particulier sur la #criminalisation_des_étrangers, qu’on retrouve aussi dans le pacte, où de nombreux outils visent à lutter contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Il y a donc une même direction, une même teinte criminalisant la migration et allant dans le sens d’une fermeture.

    Sara Prestianni : Les États membres ont présenté l’adoption du pacte comme une grande victoire, alors que dans le détail ce n’est pas tout à fait évident. Paradoxalement, il y a eu une forme d’unanimité pour dire que c’était la solution. La loi immigration en France a créé plus de clivages au sein de la classe politique. Le pacte pas tellement, parce qu’après tant d’années à la recherche d’un accord sur le sujet, le simple fait d’avoir trouvé un deal a été perçu comme une victoire, y compris par des groupes plus progressistes. Mais plus de cinquante ONG, toutes présentes sur le terrain depuis des années, sont unanimes pour en dénoncer le fond.

    Le vote du pacte aura lieu au printemps 2024, dans le contexte des élections européennes. Risque-t-il de déteindre sur les débats sur l’immigration ?

    Tania Racho : Il y aura sans doute des débats sur les migrations durant les élections. Tout risque d’être mélangé, entre la loi immigration en France, le pacte européen, et le fait de dire qu’il faut débattre des migrations parce que c’est un sujet important. En réalité, on n’en débat jamais correctement. Et à chaque élection européenne, on voit que le fonctionnement de l’UE n’est pas compris.

    Sara Prestianni : Le pacte sera voté avant les élections, mais il ne sera pas un sujet du débat. Il y aura en revanche une instrumentalisation des migrations et de l’asile, comme un outil de #propagande, loin de la réalité du terrain. Notre bataille, au sein de la société civile, est de continuer notre travail de veille et de dénoncer les violations des #droits_fondamentaux que cette réforme, comme d’autres par le passé, va engendrer.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/281223/au-niveau-europeen-un-pacte-migratoire-dangereux-et-deconnecte-de-la-reali
    #pacte #Europe #pacte_migratoire #asile #migrations #réfugiés

  • La dérive d’un centre pour mineurs délinquants du Groupe SOS | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/231223/la-derive-d-un-centre-pour-mineurs-delinquants-du-groupe-sos

    La dérive d’un centre pour mineurs délinquants du Groupe SOS

    Tensions parmi les salariés, violences avec les jeunes, absence de formation… Ouvert en 2003 sur le causse de Mende pour éloigner de leur milieu les adolescents placés par la justice, le centre éducatif renforcé Lozère navigue de crise en crise.

    Nicolas Cheviron

    23 décembre 2023 à 16h22

    Mende (Lozère).– Le lieu est isolé, sur un plateau boisé à mille mètres d’altitude, dans le département le moins peuplé de France. C’est sur le causse de Mende que le centre éducatif renforcé (CER) Lozère a ouvert ses portes en 2003. Géré par le Groupe SOS, il offre une mise au vert et un nouveau départ à des ados promis autrement à la prison. S’il peine à fonctionner, aucune crise n’avait cependant atteint la violence de celle que vient de traverser l’établissement.

    Quand il découvre le centre, le 11 juin 2019, Tarik Zail est plein d’enthousiasme. Les locaux sont flambant neufs, avec des chambres individuelles, des espaces communs spacieux et fonctionnels, bien loin de la rusticité de la bergerie réaménagée qui a hébergé le CER pendant les quinze années précédentes. Le cadre est charmant, au milieu des pins. Idéal pour une rupture avec le monde urbain, ses tentations et ses névroses.

    L’optimisme du nouveau directeur est cependant de courte durée. « Rapidement, des choses m’interpellent. Je comprends qu’on est davantage sur de la répression que sur de l’éducation », affirme-t-il. Il y a les sanctions, comme celle « consistant à faire dormir un jeune dehors, sous tente, en plein hiver », note-t-il, ou encore le recours au détecteur de métaux pour fouiller les jeunes. Une pratique réprouvée par la direction de la protection judiciaire de la jeunesse (PJJ), autorité de tutelle du centre.
    [...]

    https://jpst.it/3w4UG

    #centre_éducatif_renforcé #CER #Groupe_SOS #centre_pour_mineurs_délinquants #protection_judiciaire_de_la_jeunesse #PJJ

  • Former Israeli negotiator’s perspective on the war in #Gaza | Centre Stage - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=rLi2tXUR48M&pp=ygUbamF6ZWVyYSBlbmdsaXNoIGRhbmllbCBsZXZ5

    In this episode of #CentreStage, #Daniel_Levy discusses the war in Gaza from historical, inter-faith, and geopolitical perspectives. Levy is the president of the U.S./Middle East Project, and served as an Israeli negotiator at Taba under Prime Minister Ehud Barak, and under Prime Minister Yitzhak Rabin during Oslo B negotiations.
    Daniel Levy discusses the Palestinian right of return, the consequences of the Oslo negotiations, and addresses anti-Semitism and Islamophobia.

  • Union européenne : accord décisif pour la réforme de la politique migratoire
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/12/20/union-europeenne-accord-decisif-pour-la-reforme-de-la-politique-migratoire_6

    Union européenne : accord décisif pour la réforme de la politique migratoire
    Par Philippe Jacqué (Bruxelles, bureau européen)
    A Bruxelles, le futur pacte migratoire n’aura entraîné ni psychodrame, ni crise politique. Mercredi 20 décembre, à 8 h 17, un accord a été trouvé au terme de quarante-huit heures de négociations acharnées entre les représentants des Etats membres et les eurodéputés pour réformer la politique migratoire européenne. Les négociateurs ont validé les cinq règlements les plus importants du pacte. « Nous avons fait une percée sur les cinq piliers-clés du pacte sur les migrations et l’asile, a clamé, mercredi matin sur le réseau social X, le vice-président de la Commission, Margaritis Schinas. L’Europe tient enfin ses promesses en matière de migration. »
    « Ce pacte permettra une meilleure protection des frontières extérieures de l’Union, mettra en place plus de solidarité entre Etats et protégera mieux les plus vulnérables et les demandeurs d’asile, le tout fondé sur les valeurs de l’Europe », a assuré dans une vidéo la commissaire européenne aux affaires intérieures, Ylva Johansson. Pour la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, « ce pacte garantira une réponse européenne efficace à ce défi européen ». « L’extrême droite rêvait d’un échec, l’extrême gauche s’est battue pour faire échouer les négociations, mais nous sommes parvenus à dépasser nos clivages pour construire une majorité au centre », assurait l’eurodéputée Fabienne Keller (Renew Europe).
    Après deux ans d’échanges stériles
    L’emphase des déclarations des responsables européens est à la mesure du soulagement de la Commission, qui a proposé dès 2020 aux Etats membres une vaste refonte de la politique migratoire, après l’échec de la réforme portée par la Commission Juncker. Après deux ans d’échanges stériles, les négociations autour de cette réforme se sont accélérées une fois que les sujets ont été séparés en plusieurs textes, facilitant les discussions.
    Avec l’augmentation, ces deux dernières années, des arrivées de migrants irréguliers, un consensus, toujours plus dur et ferme pour renforcer les frontières de l’UE, a progressivement émergé entre les Vingt-Sept. Paradoxalement, l’arrivée au pouvoir de la dirigeante italienne d’extrême droite Giorgia Meloni a facilité l’adoption de certains textes, l’Italie jouant nettement le jeu d’une approche européenne et plus seulement nationale. Cette refonte de la politique migratoire dans l’UE prévoit une harmonisation des règles d’accueil des migrants. Les Etats conservent la responsabilité des personnes arrivant chez eux et devront procéder à l’examen d’asile, mais des mesures ont été prévues pour soulager les pays en première ligne, qu’il s’agisse des pays du sud de l’Europe, où arrive l’essentiel des migrants venant d’Afrique ou d’Asie via différentes routes migratoires, ou des pays d’Europe orientale faisant face à une instrumentalisation géopolitique, à l’image des arrivées orchestrées en 2021 par la Biélorussie en Pologne et en Lituanie.
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    Concrètement, un système de « solidarité obligatoire » est prévu en cas de pression migratoire forte. Les Etats membres disposant de capacités d’accueil ou de moyens devront soit accueillir certains demandeurs d’asile, soit soutenir financièrement ou par des dons en nature les Etats en première ligne. La principale innovation de cette réforme est cependant le développement d’un filtrage aux frontières de l’Europe, doublée d’une procédure accélérée d’étude des demandes d’asile. Seuls les mineurs isolés seront exonérés de cette procédure à la frontière, au contraire des familles accompagnées de leurs enfants. Dans la dernière ligne droite des débats, les eurodéputés espéraient faire évoluer les Etats sur ce point et inclure les familles avec mineurs. Sans succès.
    Cette nouvelle procédure accélérée aux frontières concernera notamment les migrants des pays dont le taux d’acceptation de l’asile est inférieur à 20 %, ainsi que tous les demandeurs qualifiés de « risque pour la sécurité ». Selon un diplomate au fait des discussions, « un Afghan, dont l’asile est aujourd’hui accepté à 90 % dans l’UE, pourra faire sa demande d’asile dans le pays où il arrive. En revanche, les migrants ne venant pas d’une zone de guerre ou n’étant pas persécutés verront leur demande traitée à la frontière ». Au bout de cette période, les pays pourront organiser le retour de ces personnes dans leurs pays d’origine ou vers des Etats tiers dits « sûrs », étant donné que les chances d’obtenir l’asile sont très faibles, justifient les Etats.
    Quelque 30 000 places d’accueil devront au minimum être offertes selon le pacte pour recevoir les demandeurs d’asile et procéder à l’examen de leur demande. « Comme nous prévoyons des procédures de trois mois maximum, nous pourrons accueillir par ce biais quelque 120 000 personnes chaque année en Europe », calcule un diplomate. Cela reste néanmoins théorique, la complexité des textes du pacte, ainsi que les diverses dérogations prévues – un des dix règlements prévoit de larges dérogations en cas de crise migratoire avérée – vont rendre très difficile son application de manière homogène dans l’ensemble des pays.
    Cela va surtout entraîner la multiplication de centres de rétention fermés, qui risquent d’être rapidement saturés. A la fin de novembre, l’agence Frontex avait enregistré quelque 355 000 entrées irrégulières dans l’UE depuis le début de l’année, en hausse de 17 % par rapport à la même période de 2022. Les ONG critiquent d’ores et déjà ce pacte : « Il existe actuellement un risque majeur que le pacte aboutisse à un système mal rodé, coûteux et cruel qui s’effondre au moment de sa mise en œuvre et laisse des problèmes cruciaux sans réponse », jugeaient récemment une cinquantaine d’ONG, dont Amnesty International, la Cimade ou Save the Children, dans une lettre ouverte aux colégislateurs négociant le pacte.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#FRONTEX#ONG#pactemigratoire#demandeurasile#MNA#filtrage#centrederetention

  • MSF dénonce « des violences sans fin » dans les centres de détention de migrants à Tripoli
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/12/19/msf-cesse-ses-operations-en-libye-et-denonce-des-violences-sans-fin-dans-les

    MSF dénonce « des violences sans fin » dans les centres de détention de migrants à Tripoli
    Propos recueillis par Nissim Gasteli (Tunis, correspondance)
    Médecins sans frontières (MSF) a mis un terme à sa mission à Tripoli en décembre, après plus de huit années de présence sur place à soigner et apporter une assistance humanitaire aux migrants, réfugiés et demandeurs d’asile enfermés dans les centres de détention de la capitale libyenne. L’organisation publie à cette occasion un rapport sur les violences perpétrées sur les migrants détenus par les responsables des centres d’Abou Salim et Ain Zara. De retour de Libye, Julie Melichar, responsable des affaires humanitaires de MSF et autrice du rapport, dénonce dans un entretien au Monde, un « cycle de violences sans fin sponsorisé par l’Union européenne ».
    A quoi ressemblent ces centres de détention ?
    Ce ne sont pas des prisons comme on les imagine, ce sont d’énormes hangars surpeuplés, localisés à différents endroits de Tripoli et dans le reste du pays, où s’entassent des milliers d’hommes, de femmes et d’enfants, principalement originaires d’Afrique de l’Ouest, du Soudan, d’Erythrée, de Syrie, de Palestine… Il y a beaucoup d’enfants et de mineurs non accompagnés, les plus jeunes sont nés dans les centres. En 2022, un quart de nos patients avait moins de 19 ans.
    Comment ces personnes se retrouvent-elles détenues ?
    La majorité des personnes interceptées en mer en tentant de fuir la Libye et ramenées de force par les garde-côtes libyens grâce au soutien matériel et financier de l’Union européenne finissent dans ces centres de détention. Il y a aussi des personnes arrêtées arbitrairement dans l’espace public, chez elles, sur leur lieu de travail, parfois lors de campagnes d’arrestations de masse.
    Ces détentions sont totalement arbitraires. Les personnes sont arrêtées sans réelle raison et n’ont aucun moyen de contester leur détention ou de connaître sa durée. Leur seule solution est alors de tenter de fuir au péril de leur vie ou de payer d’importantes sommes d’argent à travers un système informel d’extorsion pour être libérées. Les différents rapports de l’ONU à ce sujet sont clairs : plusieurs de ces centres sous la responsabilité officielle des autorités pénitentiaires sont une entreprise dans laquelle sont impliquées des milices armées, responsables de divers trafics.
    Quelles sont les conditions de vie dans ces centres ?
    Les conditions sont désastreuses. Les gens dorment le plus souvent à même le sol. La nourriture est de mauvaise qualité et trop faible en quantité. L’eau manque, pour boire comme pour se laver. Les biens de première nécessité aussi : les femmes ont été obligées de fabriquer des protections hygiéniques avec des vieux tee-shirts ou des bouts de couvertures sales et des couches pour leurs enfants avec des sacs plastiques. L’hygiène est catastrophique : les toilettes débordent souvent car elles ne sont pas adaptées à un si grand nombre de personnes. Je vous laisse imaginer l’odeur qui règne dans ce genre de lieu, c’est inhumain. Nous avons traité énormément de cas d’insomnies, de pensées suicidaires, de traumatismes psychologiques, de maladies de la peau, gastro-intestinales, directement liés à ces conditions inhumaines et aux mauvais traitements.
    Ces personnes sont aussi soumises à d’autres formes de violence…
    La liste des atteintes aux droits humains est malheureusement très longue. Nous avons recueilli de nombreux témoignages de violences sexuelles et de viols dans la prison d’Abou Salim. Quand les femmes et enfants arrivent à la prison, les gardes les forcent à se déshabiller, procèdent à des fouilles, en cherchant jusqu’entre leurs jambes et dans les couches des bébés, en touchant leurs zones intimes.Dans tous les centres, nous avons observé des violences indiscriminées, des personnes battues avec des barres de fer, des tuyaux, des bâtons. Certains sont parfois soumis, sous la menace, au travail forcé. A Ain Zara, en 2023, on nous a rapporté cinq décès du fait de violences ou d’un manque d’accès à des soins médicaux.
    L’Union européenne (UE) a-t-elle une responsabilité dans cette situation ?
    Au fil des années, l’UE et certains Etats membres, dont l’Italie, ont mis en place un système pour s’assurer que les personnes ne puissent plus arriver sur son territoire depuis la Libye. Ils ont pour cela soutenu les garde-côtes libyens financièrement et matériellement, en leur livrant des bateaux. Des dizaines de milliers de personnes qui tentent de fuir le pays sont ainsi interceptées et renvoyées de force, en violation complète du droit international car le pays n’est pas considéré comme sûr. Elles y subissent des violences sans fin, qualifiées par l’ONU de « crimes contre l’humanité », puis tentent à nouveau de s’enfuir avant d’être interceptées. J’ai rencontré des personnes qui ont été renvoyées dix fois en Libye.
    Ce dont MSF a été témoin dans les centres est la conséquence directe des politiques d’externalisation des frontières et du contrôle migratoire mis en place par l’UE. Elle est l’architecte de ce cycle de violences sans fin dans lequel se trouvent coincées des milliers de personnes.
    Pourquoi avoir attendu de partir de Libye pour dénoncer ces violations ?
    Nous sommes fondamentalement opposés à la détention arbitraire des personnes exilées en Libye et en apportant des soins dans ces centres, il y a le risque de légitimer voire faciliter l’existence de ce système. Cependant, il y avait un impératif humanitaire à tenter d’améliorer tant que possible leurs conditions médicales et humanitaires. A plusieurs reprises, MSF a dénoncé la situation dans ces centres, mais ça a toujours été un exercice d’équilibriste rempli de dilemmes éthiques pour maintenir un accès à ces personnes qui ont besoin d’aide et s’assurer de protéger nos collègues libyens.
    Aujourd’hui, il y a un risque que les centres de détention deviennent des trous noirs complets parce que les seuls acteurs qui restent présents dans ces centres sont largement financés par des fonds européens et n’ont donc pas l’indépendance qu’a MSF pour dénoncer les graves atteintes aux droits humains.
    Nissim Gasteli(Tunis, correspondance)

    #Covid-19#migrant#migration#libye#italie#UE#MSF#centredetention#violence#sante#demandeurasile#refugie