• Chili : Femmes autochtones et paysannes engagées dans le processus de reconstruction depuis les incendies dévastateur

    ANAMURI, en partenariat avec la communauté autochtone Lof Relmu Rayen Chod Lafken et le groupe environnemental Entre Cerros, tiendra un événement de solidarité le 9 mars au Cerro Achupallas, à Viña del Mar. Cet événement rend hommage aux femmes touchées par les incendies tragiques, commémore les victimes et soutient les familles affectées. Voici l’appel lancé par ANAMURI à cet égard.

    Avec la force des femmes, revoir la lutte et l’espoir
    8 mars, journée internationale des femmes travailleuses

    ANAMURI réitère l’appel de La Vía Campesina en ce 8 mars. « Nous continuerons à renforcer la lutte pour l’égalité, la paix et les alliances ville-campagne, qui nous met au défi de construire de nouvelles relations de genre entre les êtres humains, mais aussi de prendre soin de la Terre Mère, de rester organisé·es, uni·es face et résistant à l’extractivisme, au capitalisme et au patriarcat dans nos territoires, de défendre et préserver la biodiversité, les semences, nos biens communs et les connaissances ancestrales. Nous continuons à construire un mouvement, à révolutionner les cœurs et les esprits, tout en luttant pour la souveraineté populaire, la souveraineté alimentaire, la souveraineté de nos peuples et communautés, et la souveraineté des femmes. »

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/03/15/chili-femmes-autochtones-et-paysannes-engagees

    #feminisme #chili

  • CrimethInc. : There’s No Such Thing as a Free Helicopter Ride : On the Death of Sebastián Piñera
    https://fr.crimethinc.com/2024/02/08/theres-no-such-thing-as-a-free-helicopter-ride-on-the-death-of-sebast

    That Sebastián Piñera should die in a helicopter is a case of unsurpassable poetic justice.

    “Free helicopter rides” has long been a meme among fascists inspired by the extrajudicial murders of leftists that the Argentine and Chilean governments carried out. The personal helicopter pilot of Chilean dictator Augusto Pinochet openly admitted that he repeatedly murdered prisoners by throwing them into the ocean from his helicopter. As head of state, Piñera inherited and perpetuated Pinochet’s legacy, forcing capitalism on the Chilean population despite brave and widespread resistance.

    This is not the first time that we have outlived our oppressors—and it will not be the last. Below, we share a statement from our dear comrades in Chile on this historic occasion.

    #chili

  • Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
    #eau #agriculture #finance #financiarisation #fonds_de_pension #private_equity #Public_sector_pension_investment_board (#Psp) #petits_fruits #myrtilles #Olmos #Pérou #Huancabamba #industrie_agro-alimentaire #avocats #exportation #amandes #ressources_hydriques #extractivisme #Hortifruit #Huelva #Espagne #fraises #Doñana #fruits_rouges #Maroc #Renewable_resources_group #Mexique #Emirats_arabes_unis (#EAU) #Al_Dahra #Egypte #Soudan #Roumanie #Louis_Dreyfus_Company #Guido_De_Nadai #Chypre #Mohamed_Elsarky #Kellog’s #Godiva_chocolatier #United_biscuits #Danone #Gil_Adotevi #Chili

  • "El derecho de vivir en paz" de Victor Jara, un hymne de résistance dans le Chili en lutte.

    « Composé en 1969, le morceau était dédié à Ho CHi Minh et aux Vietnamiens, confrontés à des guerres sans fins, dans le cadre de la décolonisation, puis de la guerre froide. Au-delà du message anti-impérialiste, les paroles revendiquent le droit à vivre en paix, décemment. Ce message a une portée universelle, ce qui explique sans doute la reprise du titre en 2019. Tout en gardant le refrain, les manifestants ajoutent des paroles qui portent les revendications du moment : la fin des privatisations et de la misère, une nouvelle Constitution... La pandémie de Covid place un temps l’opposition sous l’éteignoir, mais, là encore, le pouvoir ne peut se débarrasser des mots du poète. En plein confinement, la soprano Ayleen Jovita Romero rompt le silence du couvre-feu en interprétant "Te recuerdo Amanda" et "El derecho de vivir en paz" depuis son logement. Comme le montre la vidéo ci-dessus, une salve d’applaudissement, provenant des immeubles alentours, salue la performance.

    C° : Les tenants de la dictature, puis du néolibéralisme, n’ont jamais pu se débarrasser de la voix et des mots de Jara. Tel le sparadrap du capitaine Haddock, ils collent aux basques des bourreaux d’un chanteur dont la mémoire continue d’être entretenue par la gauche chilienne.
    Le Stade National de Santiago, où fut supplicié le chanteur, a été rebaptisé en 2003 Estadio Victor Jara. Juste hommage à l’une des nombreuses victimes de Pinochet, dont le nom ne mérite d’atterrir en revanche que dans les poubelles de l’histoire. »

    https://lhistgeobox.blogspot.com/2024/01/el-derecho-de-vivir-en-paz-de-victor.html

  • Chile searches for those missing from Pinochet dictatorship with the help of artificial intelligence

    At the end of August, Chilean president Gabriel Boric launched the Search Plan for more than 1,000 Chileans. Today, old judicial documents, many typewritten, have been digitized to apply cutting edge technology and cross-reference data.

    On Monday 15 January, at the inauguration of the “Congress of the Future” in Santiago, President Gabriel Boric stated that artificial intelligence, the theme of the 13th version of the conference, “will play an important role in the search for our #missing detainees.” He was referring to the #Search_Plan to find over 1,000 individuals who were victims of the Augusto Pinochet dictatorship (1973-1990), which his Administration presented on August 30, 2023, on the eve of the September 11 commemoration of the 50th anniversary of the coup d’état that ousted Salvador Allende, the socialist president.

    The plan, spearheaded by Justice Minister Luis Cordero, is an initiative that is intended to become a permanent State policy. According to Justice data, after the dictatorship in Chile there were 1,469 victims of forced disappearance and of these, 1,092 are missing detainees, while 377, who were executed, are missing as well. So far only 307 have been identified.

    To embark on this new search, which has already been initiated by the courts, Cordero tells EL PAÍS that he is working with two main sources. On the one hand, the judicial investigations, which comprise millions of pages. And on the other, the administrative records of the cases that are scattered around state agencies. These include the Human Rights Program, created in 1997, which falls under the Ministry of Justice, as well as previous investigations in military Prosecutor’s Offices (which used to close the cases) and the files that provided the basis for the 1991 National Commission for Truth and Reconciliation Report, driven by the former president, Patricio Aylwin (1990-1994), and in which an account of the victims was given for the first time.

    Typewritten documents

    Unsholster, a company specialized in data analysis, data science and software development, whose general manager is the civil engineer Antonio Díaz-Araujo, is behind the technological analysis of the information. The Human Rights Program has already digitalized the information, while the Judicial Branch is 80% digitalized. The firm was awarded the project in a bidding process in the context of the Search Plan — it is in charge of the implementation of artificial intelligence.

    Something of relevance in this investigation is that the judicial files, separated according to each case, were processed in the old Chilean justice system (changed in 2005), which implies that the judges’ inquiries are on paper — most of them have the pages sewn into a notebook by hand, written on typewriters, and there are even several handwritten parts. These are the ones containing statements, black and white photographs, photocopies of photos, forensic reports and old police reports.

    However, in addition, the judicial inquiries that have been undertaken since 2000 will provide a more up-to-date and crucial basis of information in the analysis. Since then, hundreds of cases that had been shelved during the dictatorship have been reopened by judges with exclusive dedication to cases of human rights violations with sentences.

    Cordero points out that “there is a lot of information in the hands of the State and there is no human capacity to process it, because it needs to be interconnected. For example, there are testimonies that appear in some files and not in others. And, in addition, depending on the judges, there were lines of investigation, so there may have been precedents that were useful for some and not for others.” For this reason, the justice minister says artificial intelligence can play a key role, as he believes that in these cases, the cross-referencing of information will be crucial.

    “All that information is in judicial and administrative files, and what digitization accomplishes first is to integrate them in one place. And then to work with artificial intelligence, which allows us to reduce the investigation gaps using algorithms, which are being tested, and which can read, for example, dates, names, places, for instance, in those files,” the minister adds.
    4.7 million pages and counting

    Unsholster is currently in the pre-project stage, before it starts programming, Díaz-Araujo explains to EL PAÍS. “But we have already touched on most of the file types that we will need to deal with,” he says. The documents that have been coming in, scanned sheet by sheet, are in folders, in PDF format, and therefore do not correspond to a logic that allows data to be searched because they are recorded as images. For this reason, the first step has been to start applying OCR (Optical Character Recognition) technology so that they can be transformed into data.

    They already have information — which does not yet include the thousands of files of the Judicial Branch — totaling 46,768 PDF files, which amounts to more than 4.7 million pages. “If a person were to read every one of those pages, out loud and without understanding or relating facts, they would probably spend eight hours a day reading for 27 years,” explains the civil engineer.

    Once those files are moved to pages, Díaz-Araujo says, “a big classification tree is created, which allows you to classify pages that have images, manuscripts, typewritten pages, or Word-style files. And then you start to apply, on each one of them, the best OCR” for each type of page, because the key, he adds, lies in “what material is brought to each one.”

    Another stage, he explains, is to create different types of dictionaries and entities “that can be learned with use.” For example, nicknames of people, places, streets (many have changed names since the dictatorship), ways of writing and dates.

    This implies, he says, creating a topology of entities in the reading, using technology, of each of the texts “that is capable of rapidly correlating different pages, people, places and dates in a highly flexible way.” He gives an example: “Many of the offenders may have nicknames, and several of them may be written in different ways, but that doesn’t mean that they won’t be linked. What you do is create technology that is capable of suggesting other correlations to the analyst as they occur over time.”

    Therefore, he elaborates, “there is artificial intelligence in the classification of documents; there is high intelligence in transforming documents from an image to searchable data and then, there is a lot of it, in the creation of entities that enable the connection of some documents with others. And, finally, the most necessary thing in a platform is that it should be about the possibility of competing algorithms, with artificial intelligence or without, on this data. But it should not be bound to a technology, because the biggest issue is being open to new technologies of the future. If you keep it closed, it becomes a stumbling block.”

    He continues: “Another key point of this platform is that the original data, and the transformed data, are retained. But you can continue to create other data on top of that. There is no time machine that kind of freezes the ability to produce more algorithms and more information with new platforms in the future.”
    Contreras and Krassnoff

    Five months after technology was first applied to the nearly 47,000 documents of Unsholster’s Human Rights Program, it is already possible, thanks to the implementation of the initial OCR on the identification documents, to find thousands of mentions of at least four military officers who were part of Pinochet’s secret police, the feared DINA (National Intelligence Directorate).

    Manuel Contreras, its director general, sentenced at the time of his death in 2015 to 526 years in prison for hundreds of crimes, appears 2,800 times; Pedro Espinoza and Miguel Krassnoff, both serving sentences in Punta Peuco prison, 2,079 and 2,954 mentions, respectively. And Marcelo Moren Brito, who was the torturer of Ángela Jeria, the mother of former socialist president, Michelle Bachelet, 2,284 times.

    For now they are only mentions. But from now on, names, facts, dates and places can be linked and related, says Díaz-Araujo.

    https://english.elpais.com/international/2024-01-18/chile-searches-for-those-missing-from-pinochet-dictatorship-with-the

    #Chili #intelligence_artificielle #identification #fosses_communes #dictature #AI #IA

  • Le Mexique et le Chili portent le conflit israélo-palestinien devant la CPI pour « crimes » - Laminute.info
    https://laminute.info/2024/01/19/le-mexique-et-le-chili-portent-le-conflit-israelo-palestinien-devant-la-c

    Le Mexique et le Chili ont exprimé jeudi leur profonde préoccupation face à la violence croissante pendant le conflit prolongé entre Israël et la Palestine, ce qui les a amenés à renvoyer des crimes potentiels devant la Cour pénale internationale (CPI).

    Dans un communiqué, le ministère mexicain des Affaires étrangères a fait valoir que la CPI était le forum approprié pour établir une responsabilité pénale potentielle, « qu’elle soit commise par des agents de la puissance occupante ou de la puissance occupée ».

    « L’action du Mexique et du Chili est due à l’inquiétude croissante suscitée par la dernière escalade de la violence, en particulier contre des cibles civiles », indique le communiqué.

    Israël n’est pas membre du tribunal basé à La Haye et ne reconnaît pas sa compétence.

    Mais le procureur de la CPI a souligné que sa cour était compétente pour juger les crimes de guerre potentiels perpétrés par des membres du Hamas en Israël et par des Israéliens à Gaza.

    Le Mexique a cité « de nombreux rapports des Nations Unies qui détaillent de nombreux incidents qui pourraient constituer des crimes relevant de la compétence de la CPI ».

    Le ministre chilien des Affaires étrangères, Alberto van Klaveren, a déclaré jeudi aux journalistes à Santiago que son pays était « intéressé à soutenir l’enquête sur d’éventuels crimes de guerre » où qu’ils puissent se produire.

    Le Mexique a déclaré qu’il suivait de près l’affaire présentée la semaine dernière devant la Cour internationale de Justice (CIJ) dans laquelle l’Afrique du Sud accusait Israël d’avoir perpétré le génocide à Gaza et exigeait que la Cour ordonne une suspension d’urgence de la campagne militaire israélienne.

    #Mexique #Chili #CPI #CIJ

  • Un énorme gâchis ?
    https://laviedesidees.fr/Un-enorme-gachis

    L’échec des tentatives du #Chili pour se donner une nouvelle #constitution est l’occasion de revenir sur les processus constituants. Un peuple peut-il vouloir pour lui-même une telle transformation, ou vaut-il mieux continuer de réformer l’actuelle constitution, bien qu’héritée de la #dictature ?

    #International
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20240116_chili.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240116_chili.pdf

  • Mine games

    Rare earths are to the 21st century what coal was to the 19th and oil to the 20th. Our everyday electronics - and Europe’s climate goals - depend on them. But China controls almost all supply chains. Can Europe free itself from this dependence?

    Your mobile has them. Your laptop as well. They are likely in the toothbrush you used this morning. E-scooters are full of them. So are electric cars.

    Rare earths and other minerals are essential for wind and solar power installations, defence, and for the gadgets that we now rely upon in our daily lives. The demand for critical raw materials is going to skyrocket in the years ahead, far beyond current supply.

    There is no “climate neutrality” ahead without them. This implies more mining than ever before. “We, eight billion of us, will use more metal than the 108 billion people who lived before us,” according to Guillaume Pitrón, author of the book Rare Metals War.

    The political headache is that Europe depends heavily on imports of these critical raw materials, primarily from China.

    China controls EU supply of critical raw materials
    The trade in rare earths and other materials is controlled by the Chinese. Russia and Chile are significant suppliers as are some European nations.

    European dependency on Russian gas was a wake-up call last year, when Russia invaded Ukraine. Now the EU urgently wants to reduce the similar dependency on Chinese supplies of rare earth elements, lithium, bismuth, magnesium and a series of other critical minerals.

    European consumers have for decades not had to be much concerned with the environmental destruction and pollution that often comes with mining. Now, governments haste to revive mining across the continent – and to fast-track processes that otherwise may take a decade or more.

    https://www.youtube.com/watch?v=qzw9-1G9Sok

    Investigate Europe reporters have unearthed what lies beneath these “green mining” ambitions. We have broken into a mountain of dilemmas, challenges and questions that come with Europe’s pressing need for minerals.

    To what extent will Europe be practically able to revive a mining industry that it has long abandoned? How can governments secure social acceptance for new mines if they are to fast-track permit processes? What kind of autonomy can come in an industry dominated by global companies?

    https://www.investigate-europe.eu/themes/investigations/critical-raw-materials-mining-europe
    #minières #mines #extractivisme #Europe #Chine #dépendance #indépendance #terres_rares #neutralité_climatique #transition_énergétique #importation #lithium #bismuth #magnésium #green_mining #industrie_minière #autonomie

    disponible en plusieurs langues, français notamment :
    https://www.investigate-europe.eu/fr/themes/investigations/critical-raw-materials-mining-europe

    • Écocides et #paradis_fiscaux : révélations sur les dérives du soutien européen à l’industrie minière

      Pour développer l’industrie des #batteries_électriques ou des éoliennes, l’Union européenne finance des entreprises minières au travers du programme #Horizon. Une partie de ces fonds soutient des sociétés impliquées dans des catastrophes environnementales, voire, pour l’une d’entre elles, domiciliée dans un paradis fiscal.

      C’est une immense tâche blanche, un entrelacs de tuyaux et de cuves, au milieu d’un écrin vert-bleu, à l’embouchure du fleuve Amazone, au #Brésil. Ici, l’usine de la société minière française #Imerys a laissé un souvenir amer aux communautés autochtones. En 2007, plusieurs dizaines de familles ont été contraintes à l’exil lorsque le leader mondial de la production de minéraux industriels a déversé 200 000 m3 de #déchets_toxiques dans les rivières alentour. #Cadmium, #baryum et autres #métaux_lourds cancérigènes se sont déposés au fond des cours d’eau dans lesquels puisent les populations, aux confins de la plus grande forêt pluviale du monde.

      De l’autre côté du globe, dans le #désert_de_Gobi, en #Mongolie, #Orano, (ex-#Areva), exploite des gisements d’#uranium. Cette fois, le géant français du combustible nucléaire est suspecté d’avoir injecté dans le sol « d’énormes quantités d’#acide_sulfurique », contaminant les #eaux_souterraines au #strontium — mortel à très haute dose — et à l’#arsenic, selon une enquête judiciaire mongole. « Moutons, chèvres, chevaux qui naissent handicapés, eau souterraine polluée, femmes qui font des fausses couches… » : l’association locale #Eviin_huch_eh_nutgiin_toloo, interrogée récemment par Reporterre, énumère les conséquences sanitaires potentiellement désastreuses de l’exploitation d’Orano.

      Plus loin au sud, près de l’équateur, l’île d’#Halmahera, en #Indonésie, fait face aux effets dévastateurs de l’exploitation récente de #nickel, à #Weda_Bay, en partie détenue par le groupe métallurgique et minier français, #Eramet. Là aussi, les terres sont détruites, et les populations autochtones déplacées. Sa filiale calédonienne, la société #Le_Nickel, est à l’origine d’une importante #pollution au #fuel constatée en avril 2023. Environ 6 000 litres de combustible se seraient échappés d’une conduite percée.

      Ces trois sociétés françaises n’ont pas pour seul point commun d’être impliquées dans des scandales environnementaux : elles bénéficient des largesses du programme européen Horizon. D’après notre enquête, la société française Eramet a touché 1,9 million d’euros, entre 2019 et 2022. Quant à Orano et Imerys, elles ont reçu respectivement 2,3 millions d’euros et 312 637 euros du programme européen. Parmi les prérequis indispensables à l’obtention de ces #subventions, figurait celui de « ne pas nuire à l’un des six objectifs environnementaux » présent au cœur du “#green_deal” européen, le #pacte_vert, en français. À commencer par la prévention contre les #risques_de_pollution ou la protection des écosystèmes. Sollicitée, la Commission européenne se contente de déclarer qu’elle accorde « une attention approfondie » aux enjeux environnementaux.

      Quinze sociétés impliquées dans des crimes environnementaux

      Doté d’un budget de 95 milliards d’euros sur sept ans (2021-2027), le programme européen Horizon, initié en 2014, et financé en grande partie sur fonds publics, a pour mission de soutenir la #recherche et l’innovation au sein de l’Union européenne. Avec l’émergence des besoins en batteries électriques, en #éoliennes et autres industries liées au secteur de la #transition_énergétique, ce soutien se dirige en grande partie vers le secteur minier, d’après notre analyse des données mises en ligne par l’UE. Avec une nette accélération ces dernières années : sur les 667 millions d’euros réservés à ce type de projets, entre 2014 et 2023, près de la moitié ont été attribués à partir de 2020.

      Projets financés par le programme de l’UE Horizon, en lien avec la loi sur les #matières_premières_critiques

      Depuis 2014, Horizon a financé 95 projets de ce type. Ceux-ci ont reçu 667 millions d’euros distribués entre 1 043 organisations. Les 67 présentés dans le graphique ont reçu plus de 2 millions d’euros.

      En plus des trois entreprises françaises ayant bénéficié du fonds Horizon malgré leur lien avec des pollutions environnementales, Disclose et Investigate Europe ont identifié douze autres sociétés problématiques. À chaque fois, celles-ci ont été impliquées dans des catastrophes environnementales. Leurs liens avec lesdites catastrophes sont accessibles en quelques clics sur Internet.

      Un exemple : l’entreprise minière suédoise #Boliden. Elle a perçu près de 2,7 millions d’euros dans le cadre de huit appels à projets Horizon. La dernière fois, c’était en novembre 2019. Or, cette société spécialisée dans la production de #zinc et de #cuivre a un lourd passif en matière de dégradation des écosystèmes. En 1998, près de Séville, en Espagne, le barrage d’un bassin de décantation d’une mine de #pyrite lui appartenant s’est rompu, déversant des eaux polluées sur plus de 40 km de terres agricoles. Dans les années 1980, Boliden a également été épinglé pour avoir exporté des milliers de tonnes de #déchets_miniers depuis la Suède vers #Arica, au nord du #Chili. Les #boues_toxiques d’arsenic liées au stockage sont pointées par des locaux pour être vraisemblablement à l’origine de #cancers et #maladies chez des milliers de résidents, lui valant d’être un cas d’étude dans un document du Parlement européen.

      Défaillances en chaîne

      Les données analysées réservent d’autres surprises. Alors que l’Union européenne ne cesse de défendre la nécessité de réduire sa dépendance vis-à-vis de la Chine et de la Russie, surtout depuis la pandémie et le conflit russo-ukrainien, le #programme_Horizon semble souffrir de quelques défaillances. Et pour cause, selon l’examen détaillé des entreprises bénéficiaires, il est arrivé à au moins trois reprises que les fonds versés par l’UE terminent soit sur le compte en banque d’un acteur étatique chinois, soit sur celui d’oligarques russes.

      Dans le premier cas, il s’agit du dossier déposé par la #Soil_Machine_Dynamics, une entreprise britannique leader dans le domaine de la robotique sous-marine. Celle-ci a reçu 3,53 millions d’euros du budget d’Horizon pour un projet baptisé #Vamos. Il visait à développer une technique permettant d’extraire des minéraux à des profondeurs jusque-là inaccessibles. Le projet a démarré le 1er février 2015. Mais, cinq jours plus tard, le fonds d’investissement privé Inflexion a cédé l’entreprise à #Zhuzhou_CSR_Times_Electric, dont l’actionnaire majoritaire est l’État chinois. Le projet Vamos, passé sous pavillon chinois, est resté actif jusqu’au 31 janvier 2019.

      Le second cas fait référence à la société #Aughinish_Alumina. L’entreprise basée en Irlande raffine la #bauxite, la roche dont est extraite l’#alumine utilisée pour produire l’#aluminium. En 2018, elle a reçu 563 500 euros en provenance de l’Union européenne pour sa participation à un projet visant à étudier la réutilisation des résidus de bauxite. Or, cette entreprise minière appartient depuis 2007 à #Rusal, un groupe russe qui domine le secteur et dont l’un des principaux actionnaires n’est autre qu’#Oleg_Deripaska. Réputé proche de Vladimir Poutine, ce dernier figure sur la liste des oligarques russes sanctionnés par le Royaume-Uni et les États-Unis… et l’Europe.

      Des fonds publics européens atterrissent dans un paradis fiscal

      Un autre cas intrigue, celui de la société #Lancaster_Exploration_Limited, spécialisée dans l’exploration de terres rares. L’entreprise a participé à un projet Horizon qui promettait de développer de nouveaux « modèles d’exploration pour les provinces alcalines et de carbonatite » destinés à l’industrie européenne de haute technologie. Pour ce projet, elle a perçu plus de 168 000 euros de la part de l’Europe, alors que son siège social est situé dans les #îles_Vierges britanniques, paradis fiscal notoirement connu. Interrogé sur ce cas précis, un porte-parole de la Commission européenne explique que l’institution peut mettre fin à un contrat la liant avec une société qui se serait rendue coupable d’infractions avec ses « obligations fiscales » ou qui aurait été « créé sous une juridiction différente, avec l’intention de contourner les obligations fiscales, sociales ou autres obligations légales dans le pays d’origine. »

      Reste à savoir si l’Union européenne prendra des mesures contre des sociétés ne respectant manifestement pas leurs obligations. D’autant plus que l’acquisition d’une souveraineté dans le secteur des #matières_premières critiques et des terres rares est l’une des priorités affichées par l’exécutif européen. La Commission a d’ailleurs présenté, en mars dernier, le #Critical_Raw_Materials_Act, consistant à relancer l’activité minière sur le continent. Grâce, notamment, aux centaines de millions d’euros que le programme Horizon destine aux professionnels du secteur.

      https://www.investigate-europe.eu/fr/posts/eu-horizon-scheme-millions-funding-mining-companies-environmental
      #paradis_fiscal #fisc #évasion_fiscale #écocide

  • Tirer des leçons de l’échec de la « #révolution » par les urnes au #Chili (1970-1973)
    https://www.frustrationmagazine.fr/chili

    On l’a dit dans notre article bilan de la lutte contre la réforme des retraites à partir des réflexions de Juan Chingo : la pensée stratégique est de plus en plus absente au sein du camp anticapitaliste. C’est comme si, après trente ans de néolibéralisme, la mémoire des luttes avait été effacée. La stratégie consistant […]

    #Décrypter_-_International #On_a_vu,_lu,_joué

  • Evgeny Morozov : We Need a Nonmarket Modernist Project
    An interview with Evgeny Morozov
    https://jacobin.com/2023/12/evgeny-morozov-interview-technology-sovereignty-global-south-development-cy

    Cybersyn et les leçons à tirer pour atteindre l’indépendance technologique

    12.6.2023 Interview by Simón Vázquez

    Evgeny Morozov has spent more than a decade studying the transformations unleashed by the internet. He became famous with two internationally awarded books, The Net Delusion: The Dark Side of Internet Freedom (2012) and To Save Everything, Click Here: The Folly of Technological Solutionism (2013), before turning to study the connection between technology, political economy, and philosophy.

    Founder of the knowledge curation platform The Syllabus, his most recent work is The Santiago Boys, a nine-episode podcast focused on the experimental Chilean model in socialism led by Salvador Allende’s Unidad Popular from 1970–73. It tells of radical engineers’ strivings to achieve technological sovereignty, the development of the Cybersyn project to manage the nationalization of the economy, and the country’s fight against ITT, the great technological multinational of the time.

    Morozov has presented his work in Brazil, Chile, and Argentina, ending his tour in New York, in a joint event with Jacobin. Simon Vázquez spoke to him about what it has to tell us about creating socialism today.

    Simón Vázquez

    In several interviews you have argued that it is necessary to involve workers in decisions on technological development, instead of betting on technocratic solutions. Could you explain the problems of imposing technical visions that do not have popular support?

    Evgeny Morozov

    The technocratic solution in the case of today’s digital economy usually comes from the neoliberal right (or center) and insists on the need to police the platforms and what they do in order to improve competition and make it easier for consumers to move across platforms. Such solutions have traditionally been more prevalent in Europe than in the United States, partly for ideological reasons (under the influence of the Chicago School, Americans have been quite lenient in enforcing antitrust rules) and partly for geopolitical reasons (Washington doesn’t want to overregulate its own companies, fearing that their place might be taken by Chinese rivals).

    So, it’s Europe that thinks that it can resolve the problems of the digital economy through more regulation. Some of it might, of course, be useful and necessary, but I think that such a technocratic approach has often been underpinned by a certain blindness toward geopolitics and industrial strategy and even the crisis of democracy that we can observe across the globe. It’s fine for the neoliberal technocrats to fake this blindness, but this would be a mistake for the more progressive and democratic forces to rally behind such calls. The problems of the digital economy won’t be resolved by regulation alone — not least because the digital economy, in both its Chinese and American versions, wasn’t created by regulation alone.

    Simón Vázquez

    On the Left, and more specifically among socialists, there is a debate on planning and technology that in recent years has given rise to the emergence of a current known as cybercommunism. Do you identify with it, and what criticisms would you raise against it?

    Evgeny Morozov

    My main critique of their project is that it’s both too narrow and too broad in its ambitions. The way I see it, it’s an effort to deploy mathematical modeling and computation in order to administer what Karl Marx called the “realm of necessity.” I don’t doubt that for some basic basket of goods necessary for a good life — e.g. housing, clothing, food — an approach like this might be necessary. But I think we also have to be critical of the strict distinction that Marx draws between the realm of necessity and the realm of freedom; the latter he mostly leaves undefined. But that’s precisely where creativity and innovation happen, while the realm of necessity is mostly the realm of social reproduction. Cybercommunism, like Marx, leaves the realm of freedom undertheorized, and, as a result, it doesn’t seem to have a sharp vision for what computers can do when it comes to enabling these more creative pursuits.

    Contrast this to neoliberalism. It starts by refusing a strict distinction between the two realms, arguing that the market is both a system for satisfying our basic needs and demands — and an infrastructure for managing and taming complexity, i.e. the source of the new, the creative, and the unexpected. If you look at the digital economy, you see this fusionist logic playing out in full force: when we play, we also “work,” as it generates value for the platforms. And as we “work,” we also play, as work has become something very different from the Fordist times.

    The Left has traditionally rejected such fusion of the two realms, complaining of the biopolitical turn in modern capitalism, etc. But what if such a fusion is something the Left should embrace? And if so, how could the traditional answer to the neoliberal market as the central feature of the alternative system — i.e. the mathematical plan — be sufficient, given that it doesn’t seek to accomplish anything in the realm of freedom?

    To put it at a higher level of abstraction, neoliberalism is market civilization, as it merges the progressive logic of society becoming ever-more complex and different with the market as the main instrument for achieving it. A better name for it would be “market modernism.” To counter this civilization, we need a “nonmarket modernism” of some kind. Cybercommunism does okay on the “nonmarket” part, but I’m not at all sure it even understands the challenge and the need to solve the “modernist” part of the equation.

    Simón Vázquez

    Why turn back now to the experience of Cybersyn, a proto-internet project to use telex and computers to organize the economy? What is the political purpose of bringing up “what ifs” of the paths not taken? And what does “postutopia” mean, in this context?

    Evgeny Morozov

    Well, the most obvious reason for doing this is to sensitize the global public to the fact that the digital economy and society we have today are not the result of some natural tendencies of internet protocols but, rather, the result of geopolitical struggles, with winners and losers. I don’t think it’s correct to see Cybersyn as an alternative technological infrastructure, because, at the end of the day, there was nothing unique or revolutionary in its telex network or the software that it used or its Operations Room.

    A better lens on it is as a contribution to an alternative economic system, whereby computers could have been used to better aid in the management of enterprises in the public sector. Similar management systems existed in the private sector for a long time — Stafford Beer, the brains behind Cybersyn, was already preaching them in the steel industry a decade before Cybersyn.

    The uniqueness of Cybersyn is that it came out of Allende’s broader efforts to nationalize companies deemed strategic to the economic and social development of Chile, all of it informed by an interesting blend of structural economics from the United Nations Economic Commission for Latin America and the Caribbean (CEPAL) and dependency theory. It’s the end of that project — not just of Cybersyn — that we should be mourning. That’s why in my public interventions after the publication of the podcast, I’ve been so keen to stress the existence of what I call the “Santiago School of technology” (as counterpart to the Chicago School of economics). I think that once we realize that Allende and many of the economists and diplomats around him did have a vision for a very different world order, Cybersyn — as the software that was supposed to help bring that vision about in the domestic context — acquires a very different meaning.

    Simón Vázquez

    In addition to offering a counterhistory of the Chicago Boys, one of the most interesting arguments you offer is that they were not the true innovators of the time, but that their work was limited to thwarting, in the hands of the dictator Augusto Pinochet, Chile’s technological development and the Santiago Boys’s alternative to the incipient neoliberal model. Could you reflect on the contribution you make to the intellectual history of economic thought?

    Evgeny Morozov

    Well, throughout the presidency of Eduardo Frei Montalva, who preceded Allende, and then, of course, during Allende’s own rule, the Chilean economists that we know as the “Chicago Boys” had several kinds of critique to advance. One was of the corrupt and rentierist nature of the Chilean state; here the critique was that various interest groups leveraged their connection to the state to get favorable treatment and shield themselves from competition.

    The other critique was that of policy prescriptions that came out of CEPAL and dependency theory; most of those policies went against the idea that economic development should be left to the market (instead, they defended, first, the idea of industrialization through import substitution, and, then, the need to protect national technological autonomy and sovereignty).

    So, some of the Chicago Boys saw the Allende period as a consequence rather than the cause of a deeper crisis inside the Chilean society and economy; they really saw the workers and the peasants who elected Unidad Popular as just one of the many interest groups fighting to defend their interests inside a state system perceived to be corrupt and sectarian.

    Whatever the substance of the Chicago critique, I think we err in seeing them as some kind of perceptive and pioneering economists who stepped in to save Chile with a heavy dose of neoliberalism. While Unidad Popular did make some errors in running the economy, it did have a coherent — and far more relevant — political vision of what Chile should do to be an independent, autonomous, and well-developed state in the global economy. Some might say that Chile, for all its inequality, got there. I think it didn’t get at all where it may have been — and where it may have been had it only followed the prescriptions of Allende’s Santiago Boys would have been today’s South Korea or Taiwan, countries that punch far above their weight technologically.

    Simón Vázquez

    Another contribution you make in the podcast is to recover the tradition of dependency theory. In the last answer you imply that if Allende’s project had been allowed to prosper, today Latin America would be more just, as well as richer, and Chile, an alternative technological power, with a technological development model different from that of Silicon Valley. But what does dependency theory tell us about contemporary debates in the digital economy?

    Evgeny Morozov

    Dependency theory is a radicalization of CEPAL’s structural economics, which traditionally preached the importance of industrialization. It’s not very different from today’s digital gurus preaching the importance of digitalization. Dependency theorists, however, saw that industrialization in itself cannot be the main objective; economic and social development is. And, as they found out, the relationship between industrialization and development is not linear.

    Sometimes, more industrialization (which often worked as a euphemism for foreign direct investment) means more development; but sometimes it can mean no development or even underdevelopment. It was a debate rife with all sorts of intermediate concepts like Fernando Henrique Cardoso’s “associated development” or “dependent development,” which sought to show that countries can still develop even if industrialization is led primarily by foreign capital. The more radical theorists like Ruy Mauro Marini, Theotonio dos Santos, and Andre Gunder Frank argued that technological autonomy — the development of the country’s own technological base — is a prerequisite to the kind of industrialization that could lead to meaningful development.

    In today’s terms, it would mean that digitalization conducted without a prior commitment to digital sovereignty is likely to create new dependencies and obstacles to development, especially as countries now have to swallow giant bills for cloud computing, artificial intelligence, microchips, etc. The dependencies are, of course, not just economic but also geopolitical, which explains why the United States has been so keen to block China’s efforts to achieve technological sovereignty in areas like 5G and microchips.

    Simón Vázquez

    From this idea of subverting unequal relations, there is the question of industrial planning and state direction of the development process. What do you think was the contribution of Stafford Beer and the Chilean radical engineers in understanding, if not planning, the politics of cybernetic management?

    Evgeny Morozov

    Beer didn’t come to these questions from the more conventional questions of allocation and distribution that would normally be present in debates about national planning. Rather, he came to this agenda from the corporate environment, where it was much more important to think about how to adapt to a future that is always changing. In this sense, corporations tend to be humbler than nation states; they take future as it is, instead of thinking that they can bend it to their own national objectives. One of the consequences of this epistemic humility practiced by Beer was his insistence that while the world was getting even more complex, complexity was a good thing — at least as long as we have the right tools to survive its effects. That’s where computers and real-time networks came into play.

    That’s one part that I still find extremely relevant about Cybersyn, as I made it clear in my remarks about cybercommunism. If we accept that the world is going to become even more complex, we need to develop tools of management — and not just tools of allocation and planning. I find this humility about one’s ability to predict the future and then bend it to one’s will rather useful, not least because it goes against the usual modernist temptation to act like an omniscient and omnipotent god.

    Simón Vázquez

    Stafford Beer talked in his books about designing freedom; you talk about “planning freedom” and governing complexity. Can you elaborate on how this agenda would fit in, within what you pointed out earlier, the importance of talking about the “sphere of freedoms”?

    Evgeny Morozov

    As I explained above, the contribution of Beer to the traditional socialist agenda (with its statist focus on satisfying the most immediate needs of the population) has been to show that there’s much that computers can do in the realm of freedom as well; they are not just tools to be used in the realm of necessity. Beer’s thought closes the door to the kind of technophobic attitude that is still common among some on the Left; he thought — on my view correctly — that just ignoring the question of technology and organization would result in undesirable, highly inefficient outcomes.

    We kind of know it intuitively, which is why we use simple technologies — from traffic lights to timetables — to enhance social coordination without bringing in chaos. But what if such technologies do not have to be so simple? Can’t they be more advanced and digital? Why trust the neoliberal account that the only way to coordinate social action at scale is via the market? That’s where, I think, Beer’s approach is very useful. If start with a very flexible, plastic account of human beings as always evolving and becoming, then we probably want to give them the tools by which they can push themselves (and the collectives they form) in new, completely unexpected, and untried directions and dimensions.

    What’s happened these past two decades is that Silicon Valley has gotten there before the leftists did. That’s why we have tools like WhatsApp and Google Calendar facilitating the coordination of millions of people, with a nontrivial impact on the overall productivity. In this case, social coordination occurs, more complexity is produced, and society moves forward. But it doesn’t happen — contrary to the neoliberal narrative — by means of the price system, but, rather, by means of technology and language.

    This Silicon Valley model, as we discovered more recently, is not without its costs, including politically and economically (just look at the proliferation of disinformation online or the concentration of artificial intelligence [AI] capabilities — the consequence of all this data being produced and gathered — in the hands of a number of corporate giants). So, this neoliberal nonmarket complexity comes at a huge price. What the Left should be thinking about are alternative non-neoliberal ways to deliver similar — and, perhaps, even better — infrastructure for social coordination.

    Simón Vázquez

    Why do you think socialists have given up on some of these concepts? Does it have something to do with the intellectual defeat of Marxism in the Cold War? Or with not having paid enough attention to the debates in the Global South?

    Evgeny Morozov

    I think the answers have to do primarily with the overall intellectual dead end reached both by Western Marxism and its more radicalized versions. The more moderate camp bought into the neoliberal dichotomy between the market and the plan, accepting the former as a superior form of social coordination, especially after the collapse of the Soviet Union. Someone like Jürgen Habermas is a good illustration of this attitude: he accepts the increasing complexity of social systems, but he simply cannot see any alternative to reducing complexity by means of the market or law, with technology being nothing more than applied science.

    The more radical strands — the ones that culminated in cybercommunism — didn’t fully engage with critiques of Soviet planning and its incongruence with liberal democracy that came from the Soviet bloc during the Cold War. I am thinking of people like György Márkus, who, without renouncing Marxism, did write many profound critiques of what Marxists get wrong about — to cite Engels — the shift to the “administration of things” under communism.

    There’s also a certain naive view of technology propelling the broader Marxist project, with its insistence on maximizing the productive forces (something that only the abolition of class relations under communism can achieve). This seems to ignore the highly political nature of striving for efficiency: what might be efficient for some might be inefficient for others. So, to proclaim that, objectively speaking, every technology would have some kind of objectively stated optimum toward which we must aim seems to be misguided. It’s just not what we know from science and technology studies.

    This is not to say that such value conflicts are best resolved in the market — they aren’t — but I see no point in Marxists denying that they do exist. And once we acknowledge that they exist, then one may want to optimize for something other than efficiency — perhaps, what we want as a result of public policy is to maximize the emergence of polyvalent interpretations of a given technology, so that new interpretations of it and its uses can emerge in the communities using it.

    That said, some Marxist thinkers — Raymond Williams, for example — have thought about complexity as a value that the Left should go after. Simplicity, as an overarching goal, just doesn’t easily square with progressivism as an ideology of the new and the different. And I think that Williams got it right: the answer to greater complexity lies in culture, broadly conceived.

    So, instead of trying to answer to the neoliberals by claiming that the right counterpart to the market is the plan, perhaps the Left should be arguing that the right counterpart to the economy — as an organizing goal and method of this market modernism I’ve already mentioned — is culture, conceived not just as high culture but also the mundane culture of the everyday. After all, it’s as productive of innovations as the “economy” — we just don’t have the right system of incentives and feedback loops to scale them up and have them propagated through other parts of society (this is what capitalism excels at when it comes to innovations by individual entrepreneurs).

    Simón Vázquez

    There are many debates in the European Union, the United States, and China about technological sovereignty. In many cases, they are capitalist visions, trying to protect national industries and escape what we could call free markets. You have used this same concept on several occasions in your interviews in Brazil. How does this type of digital autonomy differ and what dimensions does it comprise?

    Evgeny Morozov

    Well, there’s a pragmatic element to it and a utopian element. Pragmatically, I don’t think that technological sovereignty in the near term is achievable without reliance on some kind of domestic counterparts to the American and Chinese providers of the same services, be they in the sphere of cloud computing, 5G, or AI. On a more utopian plane, we are talking about a policy agenda that would harvest these services not in order to preach the gospel of start-ups and incubators — as often happens when the likes of Emmanuel Macron talk about it — but would actually push for a more sophisticated industrial agenda. In the Global South’s case, it would mean shifting away from a development model tied to exporting raw materials, as these economies (especially in Latin America) have done traditionally. But both on utopian and pragmatic grounds, it’s important to keep this discussion tethered to a discussion about economics — and not just about innovation or national security. Without economics, the agenda of technological sovereignty will always be flat and somewhat one-dimensional.

    Simón Vázquez

    Given the current geopolitical correlation of forces, the existence of progressive governments in Latin America, and the consolidation of the BRICS as an active nonaligned movement in the ongoing “Cold War 2.0” between the United States and China, do you think that the Global South can be a kind of global outpost, an inclusive vanguard in terms of technology? What forms do you think a digital internationalism would take in this context?

    Evgeny Morozov

    I don’t quite see where else this opposition to the hegemony of Silicon Valley can come from. It has to rely on regional and international partnerships and alliances, for the simple reason that the costs involved are too huge. But the extra factor is to avoid getting into individual negotiations with the likes of Google and Amazon. While I don’t believe in the techno-feudal thesis that preaches that these companies are not as powerful as nation-states, they do have the American state behind them — and often that state is, in fact, more powerful than the states in the Global South. That’s why it’s important to reexamine past efforts at such cooperation that had technological sovereignty as their goal, the Andean Pact being the foremost example.

    Signed by five nations in Peru, this pact’s main objective was to overcome external trade barriers and promote regional cooperation to foster industrialization and economic development. Orlando Letelier, Chile’s foreign minister under Allende, led the negotiations, highlighting the need to address the exploitation derived from technological property and dependence on foreign companies. Letelier proposed the creation of something like a technological equivalent of the International Monetary Fund (IMF), the Andean Pact, to facilitate developing countries’ access to technological advances and patents. These are the kind of ideas at the international level that we need today.

    Andean Community
    https://en.m.wikipedia.org/wiki/Andean_Community

    The Andean Community (Spanish: Comunidad Andina, CAN) is a free trade area with the objective of creating a customs union comprising the South American countries of Bolivia, Colombia, Ecuador, and Peru. The trade bloc was called the Andean Pact until 1996 and came into existence when the Cartagena Agreement was signed in 1969. Its headquarters are in Lima, Peru.

    #Chili #Andean_Pact #cybersyn #technologie #cybernétique #Weltraumkommumismus #histoire #socialisme #marxisme #impérialisme #tiers_monde #développement

    • Je vois, c’est le vieux principe du diable qui chie toujours sur le plus gros tas de merde. Tu élabores un truc et quelqu’un de très connu vend mille fois mieux sa paraphrase que ton travail original. Il faut avoir une mission à accomplir pour s’aventurer dans la cour des grands, n’est-ce pas?

      Il y a encore d’autres sources

      Stafford Beer and the legacy of Cybersyn: seeing around corners 🔍
      Emerald Group Publishing Limited; Emerald (MCB UP ); Emerald Group Publishing Ltd.; Emerald (ISSN 0368-492X), Kybernetes, #6/7, 44, pages 926-934, 2015 jun
      Raul Espejo, Dr; Leonard, Allenna

      Black Box / Steuerungsdispositiv: Cybersyn oder das Design des Gestells
      De Gruyter, pages 21-40, 2020 sep 21

      Cloud computing: views on Cybersyn
      Emerald Group Publishing Limited; Emerald (MCB UP ); Emerald Group Publishing Ltd.; Emerald (ISSN 0368-492X), Kybernetes, #9, 41, pages 1396-1399, 2012 oct 12
      Lin, Yi; Andrew, Alex M.

      Big Data, Algorithmic Regulation, and the History of the Cybersyn Project in Chile, 1971–1973
      Publishing House Technologija; MDPI AG; Multidisciplinary Digital Publishing Institute (MDPI); Basel: MDPI AG, 2012- (ISSN 2076-0760), Social Sciences, #4, 7, pages 65-, 2018 apr 13
      Loeber, Katharina

      Performance management, the nature of regulation and the CyberSyn project
      Emerald Group Publishing Limited; Emerald (MCB UP ); Emerald Group Publishing Ltd.; Emerald (ISSN 0368-492X), Kybernetes, #1/2, 38, pages 65-82, 2009 feb 13
      Espejo, R.

      #cybersyn #Chili

  • Mine de lithium dans l’Allier : le rapport qui dévoile une bombe toxique
    https://disclose.ngo/fr/article/mine-de-lithium-dans-lallier-le-rapport-qui-devoile-une-bombe-toxique

    Il y a un an, le gouvernement a annoncé l’ouverture, dans l’Allier, de la plus grande mine de lithium d’Europe. D’après un rapport inédit dévoilé par Disclose et Investigate Europe, le secteur, fortement contaminé à l’arsenic et au plomb, présente « un risque significatif pour l’environnement et la santé humaine ». Une véritable bombe à retardement passée sous silence par les autorités. Lire l’article

  • Les #voitures_électriques assoiffent les #pays_du_Sud

    Pour extraire des #métaux destinés aux voitures électriques des pays les plus riches, il faut de l’eau. Au #Maroc, au #Chili, en #Argentine… les #mines engloutissent la ressource de pays souffrant déjà de la sécheresse.

    #Batteries, #moteurs… Les voitures électriques nécessitent des quantités de métaux considérables. Si rien n’est fait pour limiter leur nombre et leur #poids, on estime qu’elles pourraient engloutir plusieurs dizaines de fois les quantités de #cobalt, de #lithium ou de #graphite que l’on extrait aujourd’hui.

    Démultiplier la #production_minière dans des proportions aussi vertigineuses a une conséquence directe : elle pompe des #ressources en eau de plus en plus rares. Car produire des métaux exige beaucoup d’eau. Il en faut pour concentrer le métal, pour alimenter les usines d’#hydrométallurgie, pour les procédés ultérieurs d’#affinage ; il en faut aussi pour obtenir les #solvants et les #acides utilisés à chacun de ces stades, et encore pour simplement limiter l’envol de #poussières dans les mines. Produire 1 kilogramme de cuivre peut nécessiter 130 à 270 litres d’eau, 1 kg de nickel 100 à 1 700 l, et 1 kg de lithium 2 000 l [1].

    Selon une enquête de l’agence de notation étatsunienne Fitch Ratings, les investisseurs considèrent désormais les #pénuries_d’eau comme la principale menace pesant sur le secteur des mines et de la #métallurgie. Elle estime que « les pressions sur la ressource, comme les pénuries d’eau localisées et les #conflits_d’usage, vont probablement augmenter dans les décennies à venir, mettant de plus en plus en difficulté la production de batteries et de technologies bas carbone ». Et pour cause : les deux tiers des mines industrielles sont aujourd’hui situées dans des régions menacées de sécheresse [2].

    L’entreprise anglaise #Anglo_American, cinquième groupe minier au monde, admet que « 75 % de ses mines sont situées dans des zones à haut risque » du point de vue de la disponibilité en eau. La #voiture_électrique devait servir à lutter contre le réchauffement climatique. Le paradoxe est qu’elle nécessite de telles quantités de métaux que, dans bien des régions du monde, elle en aggrave les effets : la sécheresse et la pénurie d’eau.

    Au Maroc, la mine de cobalt de #Bou_Azzer exploitée par la #Managem, qui alimente la production de batteries de #BMW et qui doit fournir #Renault à partir de 2025, prélèverait chaque année l’équivalent de la consommation d’eau de 50 000 habitants. À quelques kilomètres du site se trouvent la mine de #manganèse d’#Imini et la mine de #cuivre de #Bleida, tout aussi voraces en eau, qui pourraient bientôt alimenter les batteries de Renault. Le groupe a en effet annoncé vouloir élargir son partenariat avec Managem « à l’approvisionnement de #sulfate_de_manganèse et de cuivre ».

    Importer de l’eau depuis le désert

    Importer du cobalt, du cuivre ou du manganèse depuis la région de Bou Azzer, cela revient en quelque sorte à importer de l’eau depuis le désert. Les prélèvements de ces mines s’ajoutent à ceux de l’#agriculture_industrielle d’#exportation. À #Agdez et dans les localités voisines, les robinets et les fontaines sont à sec plusieurs heures par jour en été, alors que la température peut approcher les 45 °C. « Bientôt, il n’y aura plus d’eau, s’insurgeait Mustafa, responsable des réseaux d’eau potable du village de Tasla, lors de notre reportage à Bou Azzer. Ici, on se sent comme des morts-vivants. »

    Un des conflits socio-environnementaux les plus graves qu’ait connus le Maroc ces dernières années s’est produit à 150 kilomètres de là, et il porte lui aussi sur l’eau et la mine. Dans la région du #Draâ-Tafilalet, dans la commune d’Imider, la Managem exploite une mine d’#argent, un métal aujourd’hui principalement utilisé pour l’#électricité et l’#électronique, en particulier automobile. D’ailleurs, selon le Silver Institute, « les politiques nationales de plus en plus favorables aux véhicules électriques auront un impact positif net sur la demande en argent métal ». À Imider, les prélèvements d’eau croissants de la mine d’argent ont poussé les habitants à la #révolte. À partir de 2011, incapables d’irriguer leurs cultures, des habitants ont occupé le nouveau réservoir de la mine, allant jusqu’à construire un hameau de part et d’autre des conduites installées par la Managem. En 2019, les amendes et les peines d’emprisonnement ont obligé la communauté d’Imider à évacuer cette #zad du désert, mais les causes profondes du conflit perdurent.

    « Ici, on se sent comme des morts-vivants »

    Autre exemple : au Chili, le groupe Anglo American exploite la mine de cuivre d’#El_Soldado, dans la région de #Valparaiso. Les sécheresses récurrentes conjuguées à l’activité minière entraînent des #coupures_d’eau de plus en plus fréquentes. Pour le traitement du #minerai, Anglo American est autorisé à prélever 453 litres par seconde, indique Greenpeace, tandis que les 11 000 habitants de la ville voisine d’#El_Melón n’ont parfois plus d’eau au robinet. En 2020, cette #pénurie a conduit une partie de la population à occuper l’un des #forages de la mine, comme au Maroc.

    #Désalinisation d’eau de mer

    L’année suivante, les associations d’habitants ont déposé une #plainte à la Cour suprême du Chili pour exiger la protection de leur droit constitutionnel à la vie, menacé par la consommation d’eau de l’entreprise minière. Face au mouvement de #contestation national #No_más_Anglo (On ne veut plus d’Anglo), le groupe a dû investir dans une usine de désalinisation de l’eau pour alimenter une autre de ses mégamines de cuivre au Chili. Distante de 200 kilomètres, l’usine fournira 500 litres par seconde à la mine de #Los_Bronces, soit la moitié de ses besoins en eau.

    Les entreprises minières mettent souvent en avant des innovations technologiques permettant d’économiser l’eau sur des sites. Dans les faits, les prélèvements en eau de cette industrie ont augmenté de façon spectaculaire ces dernières années : l’Agence internationale de l’énergie note qu’ils ont doublé entre 2018 et 2021. Cette augmentation s’explique par la ruée sur les #métaux_critiques, notamment pour les batteries, ainsi que par le fait que les #gisements exploités sont de plus en plus pauvres. Comme l’explique l’association SystExt, composée de géologues et d’ingénieurs miniers, « la diminution des teneurs et la complexification des minerais exploités et traités conduisent à une augmentation exponentielle des quantités d’énergie et d’eau utilisées pour produire la même quantité de métal ».

    Réduire d’urgence la taille des véhicules

    En bref, il y de plus en plus de mines, des mines de plus en plus voraces en eau, et de moins en moins d’eau. Les métaux nécessaires aux batteries jouent un rôle important dans ces conflits, qu’ils aient lieu au Maroc, au Chili ou sur les plateaux andins d’Argentine ou de Bolivie où l’extraction du lithium est âprement contestée par les peuples autochtones. Comme l’écrit la politologue chilienne Bárbara Jerez, l’#électromobilité est inséparable de son « #ombre_coloniale » : la perpétuation de l’échange écologique inégal sur lequel est fondé le #capitalisme. Avec les véhicules électriques, les pays riches continuent d’accaparer les ressources des zones les plus pauvres. Surtout, au lieu de s’acquitter de leur #dette_écologique en réparant les torts que cause le #réchauffement_climatique au reste du monde, ils ne font qu’accroître cette dette.

    Entre une petite voiture de 970 kg comme la Dacia Spring et une BMW de plus de 2 tonnes, la quantité de métaux varie du simple au triple. Pour éviter, de toute urgence, que les mines ne mettent à sec des régions entières, la première chose à faire serait de diminuer la demande en métaux en réduisant la taille des véhicules. C’est ce que préconise l’ingénieur Philippe Bihouix, spécialiste des matières premières et coauteur de La ville stationnaire — Comment mettre fin à l’étalement urbain (Actes Sud, 2022) : « C’est un gâchis effroyable de devoir mobiliser l’énergie et les matériaux nécessaires à la construction et au déplacement de 1,5 ou 2 tonnes, pour in fine ne transporter la plupart du temps qu’une centaine de kilogrammes de passagers et de bagages », dit-il à Reporterre.

    « C’est un #gâchis effroyable »

    « C’est à la puissance publique de siffler la fin de partie et de revoir les règles, estime l’ingénieur. Il faudrait interdire les véhicules électriques personnels au-delà d’un certain poids, comme les #SUV. Fixer une limite, ou un malus progressif qui devient vite très prohibitif, serait un bon signal à envoyer dès maintenant. Puis, cette limite pourrait être abaissée régulièrement, au rythme de sortie des nouveaux modèles. »

    C’est loin, très loin d’être la stratégie adoptée par le gouvernement. À partir de 2024, les acheteurs de véhicules de plus de 1,6 tonne devront payer un #malus_écologique au poids. Les véhicules électriques, eux, ne sont pas concernés par la mesure.

    LES BESOINS EN MÉTAUX EN CHIFFRES

    En 2018, l’Académie des sciences constatait que le programme de véhicules électriques français repose sur « des quantités de lithium et de cobalt très élevées, qui excèdent, en fait et à technologie inchangée, les productions mondiales d’aujourd’hui, et ce pour satisfaire le seul besoin français ! » En clair : si on ne renonce pas à la voiture personnelle, il faudra, pour disposer d’une flotte tout électrique rien qu’en France, plus de cobalt et de lithium que l’on en produit actuellement dans le monde en une année.

    L’Agence internationale de l’énergie estime que la demande de lithium pour les véhicules électriques pourrait être multipliée par 14 en 25 ans, celle de cuivre par 10 et celle de cobalt par 3,5. Simon Michaux, ingénieur minier et professeur à l’Institut géologique de Finlande, a calculé récemment que si l’on devait électrifier les 1,4 milliard de voitures en circulation sur la planète, il faudrait disposer de l’équivalent de 156 fois la production mondiale actuelle de lithium, 51 fois la production de cobalt, 119 fois la production de graphite et plus de deux fois et demie la production actuelle de cuivre [3]. Quelles que soient les estimations retenues, ces volumes de métaux ne pourraient provenir du recyclage, puisqu’ils seraient nécessaires pour construire la première génération de véhicules électriques.

    https://reporterre.net/Les-voitures-electriques-assoiffent-les-pays-du-Sud
    #eau #sécheresse #extractivisme #résistance #justice #industrie_automobile #métaux_rares

    • #Scandale du « cobalt responsable » de BMW et Renault au Maroc

      Pour la fabrication des batteries de leurs véhicules électriques, BMW et Renault s’approvisionnent en cobalt au Maroc en se vantant de leur politique d’achat éthique. « Cette publicité est mensongère et indécente. L’extraction de cobalt dans la mine de Bou Azzer, au sud du Maroc, se déroule dans des conditions choquantes, au mépris des règles les plus élémentaires de sécurité, du droit du travail et de la liberté d’association », s’insurgent plusieurs responsables syndicaux et associatifs, basés en France et au Maroc.

      Pour la fabrication des batteries de leurs véhicules électriques, BMW et Renault s’affichent en champions de la mine responsable. Depuis 2020, la marque allemande s’approvisionne en cobalt au Maroc auprès de la Managem, grande entreprise minière appartenant à la famille royale. En 2022, Renault l’a imité en signant un accord avec le groupe marocain portant sur l’achat de 5000 tonnes de sulfate de cobalt par an pour alimenter sa « gigafactory » dans les Hauts de France. Forts de ces contrats, les deux constructeurs automobiles ont mené des campagnes de presse pour vanter leur politique d’achat de matières premières éthiques, BMW assurant que « l’extraction de cobalt par le groupe Managem répond aux critères de soutenabilité les plus exigeants » en matière de respect des droits humains et de l’environnement.

      Cette publicité est mensongère et indécente. L’extraction de cobalt dans la mine de Bou Azzer, au sud du Maroc, se déroule dans des conditions choquantes, au mépris des règles les plus élémentaires de sécurité, du droit du travail et de la liberté d’association. Elle est responsable de violations de droits humains, d’une pollution majeure à l’arsenic et menace les ressources en eau de la région, comme l’ont révélé l’enquête de Celia Izoard sur Reporterre et le consortium d’investigation réunissant le quotidien Süddeutsche Zeitung, les radiotélévisions allemandes NDR et WDR et le journal marocain Hawamich (2).

      Une catastrophe écologique

      Les constructeurs automobiles n’ont jamais mentionné que la mine de Bou Azzer n’est pas seulement une mine de cobalt : c’est aussi une mine d’arsenic, substance cancérigène et hautement toxique. Depuis le démarrage de la mine par les Français en 1934, les déchets miniers chargés d’arsenic ont été massivement déversés en aval des usines de traitement. Dans les oasis de cette région désertique, sur un bassin versant de plus de 40 kilomètres, les eaux et les terres agricoles sont contaminées. A chaque crue, les résidus stockés dans les bassins de la mine continuent de se déverser dans les cours d’eau.

      A Zaouit Sidi-Blal, commune de plus de 1400 habitants, cette pollution a fait disparaître toutes les cultures vivrières à l’exception des palmiers dattiers. Les représentants de la commune qui ont mené des procédures pour faire reconnaître la pollution ont été corrompus ou intimidés, si bien que la population n’a fait l’objet d’aucune compensation ou mesure de protection.

      Dans le village de Bou Azzer, à proximité immédiate du site minier, treize familles et une vingtaine d’enfants se trouvent dans une situation d’urgence sanitaire manifeste. Faute d’avoir été relogés, ils vivent à quelques centaines de mètres des bassins de déchets contenant des dizaines de milliers de tonnes d’arsenic, au milieu des émanations d’acide sulfurique, sans argent pour se soigner.

      Depuis vingt ans, la mine de Bou Azzer, exploitée en zone désertique, n’a cessé d’augmenter sa production. Le traitement des minerais consomme des centaines de millions de litres d’eau par an dans cette région durement frappée par la sécheresse. Les nappes phréatiques sont si basses que, dans certains villages voisins de la mine, l’eau doit être coupée plusieurs heures par jour. A l’évidence une telle exploitation ne peut être considérée comme « soutenable ».

      Mineurs sacrifiés

      Les conditions d’extraction à Bou Azzer sont aussi alarmantes qu’illégales. Alors que le recours à l’emploi temporaire pour les mineurs de fond est interdit au Maroc, des centaines d’employés de la mine travaillent en contrat à durée déterminée pour des entreprises de sous-traitance. Ces mineurs travaillent sans protection et ne sont même pas prévenus de l’extrême toxicité des poussières qu’ils inhalent. Les galeries de la mine s’effondrent fréquemment faute d’équipement adéquat, entraînant des décès ou des blessures graves. Les entreprises sous-traitantes ne disposent d’aucune ambulance pour évacuer les blessés, qui sont transportés en camion. Les nombreux mineurs atteints de silicose et de cancer sont licenciés et leurs maladies professionnelles ne sont pas déclarées. Arrivés à la retraite, certains survivent avec une pension de moins de 100 euros par mois et n’ont pas les moyens de soigner les maladies contractées dans les galeries de Bou Azzer.

      Enfin, si la Managem prétend « promouvoir les libertés syndicales et les droits d’association », la situation politique du Maroc aurait dû amener BMW et Renault à s’intéresser de près à l’application de ces droits humains. Il n’existe à Bou Azzer qu’un syndicat aux ordres de la direction, et pour cause ! En 2011-2012, lors de la dernière grande grève sur le site, les tentatives d’implanter une section de la Confédération des travailleurs ont été violemment réprimées. Les mineurs qui occupaient le fond et qui n’exigeaient que l’application du droit du travail ont été passés à tabac, des grévistes ont été torturés et poursuivis pour « entrave au travail », de même que les membres de l’Association marocaine pour les droits humains qui soutenaient leurs revendications.

      Comment, dans ces conditions, les firmes BMW et Renault osent-elles vanter leurs politiques d’achat de « cobalt responsable » ? Au regard ne serait-ce que des lois sur le devoir de vigilance des entreprises, elles auraient dû prendre connaissance de la situation réelle des mineurs et des riverains de Bou Azzer. Elles auraient dû tout mettre en œuvre pour faire cesser cette situation qui découle d’infractions caractérisées au droit du travail, de l’environnement et de la santé publique. Mieux encore, elles devraient renoncer à la production en masse de véhicules qui ne sauraient être ni soutenables ni écologiques. Les luxueuses BMW i7 pèsent 2,5 tonnes et sont équipées de batteries de 700 kg. La justice sociale et l’urgence écologique imposent aux constructeurs automobiles et aux dirigeants de prendre leurs responsabilités : adopter des mesures drastiques pour réduire le poids et le nombre des véhicules qui circulent sur nos routes. La « transition » pseudo-écologique portée par les pouvoirs publics et les milieux économiques ne doit pas ouvrir la voie au greenwashing le plus éhonté, condamnant travailleurs et riverains à des conditions de travail et d’environnement incompatibles avec la santé et la dignité humaines et renforçant des logiques néocoloniales.

      (1) Tous nos remerciements à Benjamin Bergnes, photographe, qui nous cède le droit de disposer de cette photo dans le cadre exclusif de cette tribune.

      Premiers signataires :

      Annie Thébaud-Mony, Association Henri-Pézerat

      Alice Mogwe, présidente de la Fédération internationale pour les droits humains

      Patrick Baudouin, président de la Ligue des droits de l’Homme

      Agnès Golfier, directrice de la Fondation Danielle-Mitterrand

      Lawryn Remaud, Attac France

      Jawad Moustakbal, Attac Maroc/CADTM Maroc

      Hamid Majdi, Jonction pour la défense des droits des travailleurs, Maroc

      Pascale Fouilly, secrétaire générale du syndicat national des mineurs CFDT, assimilés et du personnel du régime minier de sécurité sociale

      Marie Véron, coordinatrice de l’Alliance écologique et sociale (qui réunit les Amis de la Terre, Attac, la Confédération paysanne, FSU, Greenpeace France, Oxfam France et Solidaires)

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      https://reporterre.net/BMW-et-Renault-impliques-dans-un-scandale-ecologique-au-Maroc

      https://reporterre.net/Mines-au-Maroc-la-sinistre-realite-du-cobalt-responsable

      https://reporterre.net/Au-Maroc-une-mine-de-cobalt-empoisonne-les-oasis

      https://www.tagesschau.de/investigativ/ndr-wdr/umweltstandards-bmw-zulieferer-kobalt-marokko-100.html

      https://www.sueddeutsche.de/projekte/artikel/wirtschaft/bou-azzer-arsen-umweltverschmutzung-e-autos-bmw-e972346

      https://www.ndr.de/der_ndr/presse/mitteilungen/NDR-WDR-SZ-Massive-Vorwuerfe-gegen-Zulieferer-von-BMW,pressemeldungndr24278.html

      https://www.br.de/nachrichten/bayern/schmutzige-kobalt-gewinnung-vorwuerfe-gegen-bmw-zulieferer,TvPhd4K

      https://www.dasding.de/newszone/bmw-zulieferer-marokko-verdacht-umwelt-arbeit-kobalt-100.html

      https://hawamich.info/7361

      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/131123/scandale-du-cobalt-responsable-de-bmw-et-renault-au-maroc

    • Scandale du cobalt marocain : lancement d’une enquête sur BMW

      À la suite de l’enquête de Reporterre et de médias internationaux sur l’extraction de « cobalt responsable » au Maroc pour les voitures électriques, l’autorité fédérale allemande de contrôle a engagé une procédure contre BMW.

      La mine de cobalt de Bou Azzer, qui alimente la production de batteries de BMW et qui doit fournir Renault à partir de 2025, intoxique les travailleurs et l’environnement. À la suite de nos enquêtes sur ce scandale, l’Office fédéral allemand du contrôle de l’économie et des exportations (Bafa) a ouvert une enquête sur le constructeur automobile BMW. Le gouvernement a confirmé cette information après une question écrite du groupe parlementaire de gauche Die Linke le 25 novembre, selon le quotidien Der Spiegel.

      L’autorité de contrôle pourrait infliger des sanctions à BMW pour avoir enfreint la loi sur le devoir de vigilance des entreprises. Depuis 2020, BMW fait la promotion de son « approvisionnement responsable » au Maroc sans avoir mené d’audit dans cette mine de cobalt et d’arsenic, comme l’a révélé notre investigation menée conjointement avec le Süddeutsche Zeitung, les chaînes allemandes NDR et WDR et le média marocain Hawamich.
      Les mineurs en danger

      Privés de leurs droits syndicaux, les mineurs y travaillent dans des conditions illégales et dangereuses ; les déchets miniers ont gravement pollué les oasis du bassin de l’oued Alougoum au sud de Ouarzazate, où l’eau des puits et les terres présentent des concentrations en arsenic plus de quarante fois supérieures aux seuils.

      En vigueur depuis janvier 2023, la loi allemande sur le devoir de vigilance vise à améliorer le respect des droits humains et de l’environnement dans les chaînes d’approvisionnement mondiales. Comme dans la loi française, les grandes entreprises ont l’obligation de prévenir, d’atténuer ou de mettre fin à d’éventuelles violations.

      Mais les moyens de contrôle de l’autorité fédérale sont ridiculement insuffisants pour faire appliquer cette loi, estime Cornelia Möhring, députée et porte-parole du parti de gauche Die Linke au Bundestag, interviewée par Reporterre : « Le cas de BMW, qui se vante d’exercer sa responsabilité environnementale et sociale “au-delà de ses usines” et qui a préféré ignorer la réalité de cette extraction, est emblématique, dit-elle. Il montre que le volontariat et l’autocontrôle des entreprises n’ont aucun sens dans un monde capitaliste. Face au scandale du cobalt, le gouvernement fédéral doit maintenant faire la preuve de sa crédibilité en ne se laissant pas piétiner par l’une des plus grandes entreprises allemandes. »

      « L’autocontrôle des entreprises n’a aucun sens »

      Le propriétaire de BMW, Stefan Qandt, est le quatrième homme le plus riche d’Allemagne, souligne Cornelia Möhring. En cas d’infraction avérée au devoir de vigilance, les sanctions maximales prévues par l’autorité de contrôle allemande sont une exclusion des marchés publics pour une durée de trois ans ou une amende allant jusqu’à 2 % du chiffre d’affaires annuel du groupe (celui de BMW était de 146 milliards d’euros en 2022). Le constructeur s’est déclaré prêt à « exiger de son fournisseur des contre-mesures immédiates » pour améliorer la situation à Bou Azzer. De son côté, la députée Cornelia Möhring estime qu’« une action en justice à l’encontre de BMW pour publicité mensongère serait bienvenue ».

      Quid de Renault, qui a signé en 2022 un accord avec l’entreprise Managem pour une fourniture en cobalt à partir de 2025 pour les batteries de ses véhicules ? Il a lui aussi fait la promotion de ce « cobalt responsable » sans avoir enquêté sur place. Interrogé par Reporterre, le constructeur automobile assure qu’« un premier audit sur site mené par un organisme tiers indépendant » sera mené « très prochainement », et qu’« en cas de non-respect des normes et engagements ESG [environnementaux, sociaux et de gouvernance] du groupe, des mesures correctives seront prises pour se conformer aux normes ». Reste à savoir quelles « normes » pourraient protéger les travailleurs et l’environnement dans un gisement d’arsenic inévitablement émetteur de grands volumes de déchets toxiques.

      https://reporterre.net/Scandale-du-cobalt-marocain-l-Etat-allemand-va-enqueter-sur-BMW

  • #Chili, la révolution par ou sans les armes ?
    https://laviedesidees.fr/Chili-la-revolution-par-ou-sans-les-armes

    Le MIR, parti de gauche extraparlementaire qui fut actif avant la dictature de Pinochet, a construit sa voie dans un #marxisme ouvert. Eugénia Palieraki le replace dans l’histoire des gauches latino-américaines et au-delà.

    #Histoire #révolution
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20231027_chili.pdf
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20231027_chili.docx

  • Il est temps de déclassifier l’ensemble des documents portant sur les relations Nixon-Kissinger-Pinochet

    Le 25 août 2023, la Central Intelligence Agency (CIA) a discrètement publié sur son site web deux documents sur le coup d’Etat militaire au Chili. Ils avaient été classés top secret pendant un demi-siècle. Il s’agissait du President’s Daily Brief-PDB [document présenté chaque matin au président des Etats-Unis, faisant le résumé d’informations classifiées liées à la « sécurité nationale »] du matin du 11 septembre 1973 – le jour du coup d’Etat – et du 8 septembre 1973, moment où l’armée chilienne finalisait ses plans pour renverser le gouvernement démocratiquement élu du socialiste Salvador Allende. Les documents nouvellement publiés se sont avérés pratiquement impossibles à trouver et à lire sur le site web de la CIA, car noyés parmi des dizaines d’autres PDB précédemment déclassifiés. Le département d’Etat a fini par envoyer un communiqué indiquant les liens. La publication des PDB était « conforme à notre engagement en faveur d’une plus grande transparence », selon ce communiqué. « Nous restons déterminés à travailler avec nos partenaires chiliens pour tenter d’identifier d’autres sources d’information afin de mieux faire connaître les événements marquants de notre histoire commune. »

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/09/28/il-est-temps-de-declassifier-lensemble-des-doc

    #international #chili #usa

  • Chili 73 : aux origines du coup d’État militaire
    https://spectremedia.org/podcast/chili-73-aux-origines-du-coup-detat-militaire/?playing=1441

    Dans ce double épisode de rentrée, on revient sur ce qui s’est joué il y a exactement 50 ans au Chili : un coup d’État militaire mené contre le président élu Salvador Allende, qui mit fin à l’expérience de l’Unité populaire. L’installation de la dictature anéantit l’espoir pour des millions de Chilien-nes, appartenant notamment à la classe ouvrière et à la paysannerie, d’une sortie de la misère pour beaucoup mais plus profondément d’une société socialiste et démocratique mettant fin à l’exploitation et à toute forme d’oppression. Pour cela, j’ai rencontré Franck Gaudichaud, spécialiste des luttes sociales et politiques en Amérique latine, auteur de plusieurs livres sur le Chili et en particulier sur la séquence allant de l’élection d’Allende, en septembre 1970, au coup d’Etat militaire du 11 septembre 1973, ces « mille jours qui bouleversèrent le monde » pour reprendre le titre de l’un de ses ouvrages. Dans ce 1er volet, on revient tout d’abord sur l’expérience de la gauche au pouvoir et la grande peur que celle-ci engendra du côté des classes dominantes, malgré le légalisme d’Allende et le caractère graduel des réformes. Dès la victoire de celui-ci, les forces de l’oligarchie, appuyées par les Etats-Unis, prirent ainsi des initiatives pour l’empêcher d’accéder au pouvoir puis l’empêcher de gouverner. Après le sabotage économique et le blocage institutionnel, qui n’empêchèrent pas l’Unité populaire de progresser électoralement, c’est vers l’option d’un coup d’État qu’ils se tournent en 1973.

    Chili 73 : la dictature de Pinochet, une contre-révolution néolibérale
    https://spectremedia.org/podcast/chili-73-la-dictature-de-pinochet-une-contre-revolution-neoliberale/?episode=1447

    Dans ce double épisode de rentrée, on revient sur ce qui s’est joué il y a exactement 50 ans au Chili : un coup d’État militaire mené contre le président élu Salvador Allende, qui mit fin à l’expérience de l’Unité populaire. L’installation de la dictature anéantit l’espoir pour des millions de Chilien-nes, appartenant notamment à la classe ouvrière et à la paysannerie, d’une sortie de la misère pour beaucoup mais plus profondément d’une société socialiste et démocratique mettant fin à l’exploitation et à toute forme d’oppression. Pour cela, j’ai rencontré Franck Gaudichaud, spécialiste des luttes sociales et politiques en Amérique latine, auteur de plusieurs livres sur le Chili et en particulier sur la séquence allant de l’élection d’Allende, en septembre 1970, au coup d’Etat militaire du 11 septembre 1973, ces « mille jours qui bouleversèrent le monde » pour reprendre le titre de l’un de ses ouvrages. Dans ce 2nd volet, on revient particulièrement sur la manière dont s’est déroulé concrètement le coup d’État et l’installation d’une dictature militaire sous la férule du général Pinochet, une dictature féroce à l’égard des militant-es de gauche et qui engagea le pays dans une contre-révolution néolibérale extrêmement brutale, une « thérapie de choc » qui a marqué très durablement le Chili.

    #audio #podcast #Chili #histoire #Chili #1973 #Ugo_Palheta #fascisme #Franck_Gaudichaud

  • Les deux fantômes qui hantent le Chili

    D’un côté, un médecin, les urnes et la démocratie. De l’autre, un coup d’État général, des armes et une dictature. Parmi les protagonistes du 11 septembre 1973, le panthéon chilien devrait pouvoir choisir facilement. Et pourtant…

    « Continuez à savoir que, beaucoup plus tôt que tard, vous ouvrirez à nouveau les grandes voies par lesquelles passe l’homme libre, pour construire une société meilleure »
    Des deux côtés de l’échiquier politique, presque tous les Chiliens connaissent le dernier communiqué de Salvador Allende, d’où provient cette citation. Ce discours, appelé « de las alamedas », est prononcé le 11 septembre 1973 – lors du coup d’État fomenté par le général Augusto Pinochet – par le président chilien élu en 1970. Allende est enfermé dans le palais présidentiel de La Moneda, avec quelques amis proches et des armes brandies. Il sait qu’il ne sortira pas vivant du bâtiment présidentiel. Dans ce dernier discours à la population, Allende entend laisser « une leçon morale qui punira le crime, la lâcheté et la trahison » ainsi que le témoignage « d’un homme digne et loyal à la patrie ». 50 ans plus tard, comme il l’avait prédit, le « métal tranquille » de sa voix continue de résonner et le premier président marxiste démocratiquement élu de l’histoire du Cône Sud reste l’une des figures centrales de l’histoire mondiale de la gauche au XXe siècle.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/09/17/les-deux-fantomes-qui-hantent-le-chili

    #international #chili

  • Evgeny Morozov, essayiste : « Le Chili d’Allende nous rappelle à quel point le contrôle de la technologie est un enjeu géopolitique »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/09/11/evgeny-morozov-essayiste-le-chili-d-allende-nous-rappelle-a-quel-point-le-co

    ENTRETIENLe journaliste revient, dans un podcast, sur l’incroyable parcours des Santiago Boys, ces ingénieurs chiliens qui voulaient affranchir leur pays de la dépendance technologique américaine.

    L’essayiste d’origine biélorusse Evgeny Morozov. YANN LEGENDRE
    Né en 1984, Evgeny Morozov est un journaliste et essayiste d’origine biélorusse. Observateur attentif de l’impact des nouvelles technologies, il s’intéresse à l’histoire du numérique, des outils informatiques autres que ceux provenant de la Silicon Valley. Il est notamment l’auteur de Pour tout résoudre, cliquez ici ! L’aberration du solutionnisme technologique (FYP, 2014). Cinquante ans après le coup d’Etat du 11 septembre 1973, Evgeny Morozov vient de publier un podcast sur le Chili de Salvador Allende, intitulé « The Santiago Boys » (en anglais, gratuit, disponible sur les grandes plates-formes de streaming et sur le site The-santiago-boys.com). Dans cette enquête qui entremêle la cybernétique et l’espionnage, le journaliste décrit le projet développé au Chili au début des années 1970 pour piloter l’économie nationale grâce à un réseau de télex et d’ordinateurs, et sortir d’une relation de dépendance technologique vis-à-vis des Etats-Unis.

    Dans votre podcast, vous revenez sur un aspect méconnu du projet de Salvadore Allende pour transformer le Chili et l’emmener sur la voie du socialisme : de nouvelles technologies ont été développées sur place pour moderniser l’économie. Pouvez-vous nous expliquer en quoi consistait le réseau informatique alors imaginé ?

    Après son élection à la présidence en 1970, Salvador Allende s’est en effet appuyé sur une équipe d’une quinzaine d’ingénieurs qui ont lancé le projet Cybersyn (cybernétique et synergie). Mais plus d’une centaine de personnes ont participé à ce projet, certaines venaient de l’étranger, du Royaume-Uni, d’Argentine, du Brésil. L’ambition était de suivre en temps réel la production des entreprises du pays grâce à un réseau de télex et des programmes informatiques ad hoc. Poussé par la nécessité, le pays a en effet dû faire le choix de l’innovation.

    Lire aussi : Article réservé à nos abonnés Le Chili commémore dans la division le cinquantième anniversaire du coup d’Etat militaire

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    En 1971, rapidement après l’élection d’Allende, le pays a fait face à une crise due au manque de ressources managériales pour administrer les centaines de sociétés nationalisées. Les Etats-Unis en ont conscience et font tout pour inciter les gestionnaires chiliens à s’installer en Amérique du Nord. La situation est rendue encore plus difficile par le « blocus invisible », comme on disait à l’époque, auquel se livre Washington, qui empêche la livraison de nouvelles technologies ou des pièces nécessaires à leur entretien.

    C’est ce contexte de crise qui a amené Fernando Flores, un jeune technocrate de l’administration chilienne, à se mettre en quête d’une solution. Il s’est alors tourné vers un consultant et théoricien britannique, Stafford Beer (1926-2002), un pionnier de la gestion cybernétique des organisations. Ensemble, Stafford Beer et Fernando Flores ont conçu ce projet. Dix critères, ou dix variables, devaient être suivis dans chaque usine, et les données devaient être envoyées par télex à un ordinateur central, qui se trouvait à Santiago, pour y être traitées par un logiciel créé par Stafford.

    Une pièce aux allures futuristes, œuvre du designer allemand Gui Bonsiepe, permettait d’accéder aux informations recueillies par cet ordinateur. On y trouvait notamment des fauteuils disposant de touches et de boutons intégrés aux accoudoirs, qui reliaient l’utilisateur au système informatique. Sur les murs se trouvaient plusieurs écrans afin de visualiser les données reçues. Le projet a pris une telle importance que Fernando Flores a été nommé ministre de l’économie et des finances en 1972.

    Cybersyn, c’est un peu les big data d’aujourd’hui. Le projet cherchait à identifier ce qui constituait la norme et ce qui s’en écartait afin de pouvoir traiter tout éventuel problème. L’ensemble de l’Etat et pas uniquement l’industrie devait être soumis au même traitement. Après le coup d’Etat du 11 septembre 1973, Cybersyn a, bien entendu, disparu.

    Vous expliquez que l’opposition entre le Chili d’Allende et l’Amérique de Richard Nixon, qui occupait alors la Maison Blanche, est en grande partie un affrontement technologique. Qu’est-ce qui vous fait dire cela ?

    Cybersyn a acquis à notre époque un statut culte auprès de certaines communautés en ligne, mais, au-delà de cette nostalgie, ce projet met en scène un enjeu souvent oublié, la dimension géopolitique du contrôle de la technologie. A l’époque, le Chili vivait dans une forme de dépendance face à ce qui était alors un géant des télécommunications, International Telephone and Telegraph, plus connu sous le sigle ITT. Cette société n’est plus que l’ombre de ce qu’elle était, mais elle occupait dans les années 1960-1970 une place équivalente à celle des géants de la Silicon Valley aujourd’hui.

    Lire aussi : Article réservé à nos abonnés Ce que raconte vraiment « la dernière photo » de Salvador Allende, le président chilien qui s’est donné la mort après le coup d’Etat militaire de 1973

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    Après s’être implanté à Puerto Rico et à Cuba, grâce aux capitaux fournis par Wall Street, ITT rachète les réseaux de télécommunication partout en Amérique du Sud, puis se contente de gérer sa rente, refusant d’investir dans les endroits les plus pauvres et les plus reculés. Différents pays parviennent à s’en débarrasser dans les années 1960, mais ce n’est pas le cas du Chili, et son développement économique en souffre.

    Il faut dire que ITT disposait de puissants alliés. Aux Etats-Unis, l’entreprise était intégrée au sein de l’appareil de sécurité nationale. Les intérêts de l’entreprise se confondaient avec ceux du pays. Après avoir dirigé la CIA de 1961 à 1965, John McCone rejoint en 1966 le conseil d’administration de ITT. En 1973, il a admis, devant une sous-commission du Sénat sur les multinationales et leur influence dans les pays où elles étaient implantées, que ITT avait offert 1 million de dollars à la CIA en 1970 pour financer une campagne visant à empêcher Allende de devenir président.

    Comment cet affrontement technologique était-il interprété à l’époque ?

    Dès les années 1960, différents économistes, généralement d’inspiration marxiste, développent la théorie de la dépendance, qui observe que la technologie est un moyen par lequel les pays du Sud peuvent être maintenus dans un état de sujétion, sans pouvoir s’affirmer dans l’économie mondiale, parce qu’ils n’ont pas la maîtrise des technologies. A l’inverse, les Etats-Unis pouvaient continuer de contrôler une part importante de l’économie mondiale par l’exercice d’une domination technologique.

    Ces débats ont également existé en France, portés principalement par le best-seller de Jean-Jacques Servan-Schreiber, Le Défi américain (Denoël, 1967). Onze ans plus tard, le rapport Nora-Minc, rédigé par Simon Nora et Alain Minc à la demande de Valéry Giscard d’Estaing, plaide sur un ton moins nationaliste pour une plus grande intervention de l’Etat, afin de soutenir le développement de l’informatique en France.

    Lire aussi une archive de 1978 : Article réservé à nos abonnés Le rapport de MM. Nora et Minc sur " l’informatisation de la société "

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    La critique des géants technologiques va très loin à l’époque. ITT est même la cible de différents attentats, aux Etats-Unis et en Europe, y compris en France. En 1974, une usine de Sonolor, l’une de ses filiales, est incendiée à La Courneuve par un groupe clandestin qui veut ainsi souhaiter la bienvenue au nouvel ambassadeur chilien, nommé pour remplacer le poète Pablo Neruda.

    Encore aujourd’hui, nous peinons à comprendre le poids géopolitique des nouvelles technologies. Le système néolibéral, qui prône l’interdépendance entre les économies nationales, est toujours le point de vue dominant, alors qu’en réalité la majorité des pays du globe sont tributaires de technologies étrangères, généralement américaines. Contrairement à ce que pense votre président, Emmanuel Macron, le développement de start-up ou d’incubateurs ne changera rien à l’affaire, l’autonomie en la matière repose sur la maîtrise de technologies de grande ampleur, comme l’intelligence artificielle.

    Pourquoi a-t-on oublié ceux que vous appelez « Santiago Boys » ?

    Le coup d’Etat puis la dictature en Chili ont fait que l’on s’est bien davantage intéressé au rôle pris par les Chicago Boys, des économistes chiliens formés à l’université de Chicago par Milton Friedman et Arnold Harberger, deux grands défenseurs du néolibéralisme. Ce sont les Chicago Boys qui ont veillé au déploiement de politiques de dérégulation et de libéralisation de l’économie au Chili. Leur pays a servi de terrain d’expérimentation et bientôt de modèle pour la mise en place de ce programme économique ailleurs dans le monde, notamment au Royaume-Uni sous Margaret Thatcher et aux Etats-Unis sous Ronald Reagan. Pour les tenants de ce courant d’idées, la technologie participe à une saine « destruction créatrice ». Cette vision est toujours à l’œuvre aujourd’hui. Elle continue d’inspirer la Silicon Valley où la disruption est tant vantée.

    Lire aussi notre archive (2001) : La revanche de Milton Friedman

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    Les Santiago Boys, ces ingénieurs qui ont voulu réaliser la vision d’un Chili souverain et socialiste, ont été complètement oubliés. Cinquante ans après le coup d’Etat, j’ai voulu leur rendre hommage et comprendre quelle était leur conception des nouvelles technologies. Ils ne versaient pas dans un travers actuel qui prétend que l’on pourra bientôt remplacer l’être humain grâce à l’intelligence artificielle. Cybersyn devait augmenter les individus, permettre à un manageur, voire aux ouvriers, d’identifier les problèmes, d’intervenir et de les corriger.

    Qu’est-il arrivé aux Santiago Boys après le coup d’Etat ?

    Plusieurs d’entre eux se sont exilés. Partir à l’étranger était plus facile pour ceux qui occupaient un rôle moins important, car ils n’ont pas été immédiatement arrêtés. D’autres ont choisi la clandestinité. Le plus important d’entre eux, Fernando Flores, a passé trois ans dans différents camps de travail et camps de concentration créés par le régime d’Augusto Pinochet. Fernando Flores était d’ailleurs à la Moneda, le palais présidentiel, le jour du coup d’Etat.

    Stafford Beer, le consultant britannique, n’était pas au Chili le 11 septembre 1973, mais il a été profondément marqué par ces événements. Il s’est peu à peu coupé du monde. Fernando Flores a pris le chemin inverse. Une fois libéré, il est parti pour la Californie, il a obtenu un doctorat à Berkeley, puis il est devenu consultant, ce qui lui a permis de faire fortune. Chercheur à Stanford et à Berkeley, il a écrit un livre avec Terry Winograd, un spécialiste de l’intelligence artificielle et une figure très influente de la Silicon Valley. Flores a fait un retour à la politique en 2001, il a alors été élu sénateur au Chili, poste qu’il a quitté en 2009. Il vit toujours en Californie.

    Lire aussi une archive de 1970 : Article réservé à nos abonnés Stafford Beer et l’art de gérer scientifiquement les entreprises

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    Marc-Olivier Bherer

    #Cybersin #Evgeny_Morozov

  • Chili hier, Chili aujourd’hui

    Communiqué de la LDH

    Il y a 50 ans, le 11 septembre 1973, Salvador Allende, président du Chili, élu démocratiquement le 4 novembre 1970, est renversé par un coup d’Etat des forces armées du pays. L’armée chilienne intervient après des mois de déstabilisations du pays orchestrées par l’organisation Patrie et liberté, le parti national et par les Etats-Unis. Le général Pinochet prend le pouvoir.

    Assiégé dans le palais de la Moneda, Salvador Allende se suicide après avoir prononcé deux allocutions radiophoniques au peuple chilien : « Ils ont la force, ils pourront nous asservir ; mais on n’arrête pas les mouvements sociaux, ni par le crime ni par la violence. »

    La répression organisée dès l’arrivée des militaires au pouvoir est féroce. Des milliers de personnes sont arrêtées, torturées ou exécutées dans les casernes et dans le stade de Santiago. Des milliers de personnes sont portées disparues et près de 250 000 Chiliens s’exilent.

    L’ambassade de France à Santiago permettra à 800 personnes d’échapper aux camps et tortures de la dictature chilienne.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/09/14/chili-hier-chili-aujourdhui

    #international #chili

  • Salvador Allendes Tochter besucht Berlin : „Ich werde seine letzte Umarmung nicht vergessen“
    https://www.berliner-zeitung.de/mensch-metropole/salvador-allendes-tochter-besucht-berlin-ich-werde-seine-letzte-uma

    Les relations entre la gauche chilienne et celle de l’Allemagne de l’Est sont toujours proches. Cinquante ans après l’assassinat de son père Isabel Allende, fille du président socialiste chilien, rend visite au quartier de Berlin bâtisé en son honneur.

    13.9.2023 von Torsten Harmsen - Genau 50 Jahre ist es her, dass in Chile das Militär gegen den gewählten Präsidenten Salvador Allende putschte. Als der Präsidentenpalast La Moneda beschossen wurde, waren auch Allendes Töchter Beatriz und Isabel bei ihrem Vater. Sie folgten schließlich seiner Anordnung, den Palast mit den anderen Frauen und Kindern zu verlassen, bevor Kampfjets mit der Bombardierung begannen. Allende, der seinen Amtssitz bewaffnet verteidigte, verließ den Palast nicht lebend. Für viele Menschen war jener Tag des Putsches ein großer Schock.

    Isabel Allende, die an jenem 11. September 1973 alles hautnah miterleben musste, besucht 50 Jahre danach Berlin, auf Einladung der SPD. Sie ist die jüngste von drei Töchtern, die Salvador Allende mit seiner Frau Hortensia Bussi hatte. Mitunter wird sie mit der gleichnamigen Schriftstellerin Isabell Allende verwechselt. Diese ist jedoch eine Nichte zweiten Grades von Allende.

    Am kommenden Sonntag, dem 17. September, wird Allendes Tochter Isabel nach Köpenick fahren. „Sie hatte den Wunsch, das Allende-Viertel zu besuchen“, heißt es in der Ankündigung des Heimatvereins Köpenick. Sie ist zum ersten Mal hier. Geplant sind ein Rundgang durch das Viertel, eine kleine Rede an der Büste Salvador Allendes, die vom Künstler Dietrich Rohde stammt, und ein Besuch im Kiezklub.
    Im Köpenicker Neubauviertel heißen Straßen nach Allende und Neruda

    Marie Isabel Allende Bussi wurde 1945 in Santiago de Chile geboren. Sie studierte Soziologie, arbeitete unter anderem als Wissenschaftlerin und Assistenzprofessorin einer Journalistenschule, begleitete ihren Vater bei Wahlkampagnen, wirkte am Aufbau der neuen Gesellschaft in Chile mit. Nach dem Putsch ging sie mit Mutter und Schwestern ins Exil nach Mexiko, wo sie unter anderem einen Abschluss in Politik machte und sich gegen Pinochets Diktatur engagierte.

    Etwa eine Million Chilenen verließen während der Militärdiktatur Pinochets das Land. Davon gingen etwa 30.000 nach Europa. Die DDR nahm etwa 2000 von ihnen auf. Hier spielten die Ideen Allendes eine große Rolle. Dieser hatte nach seinem Wahlsieg 1970 mit dem Linksbündnis Unidad Popular mitten in einer bürgerlichen Demokratie eine sozialistische Revolution in Gang gesetzt. Nach deren Niederschlagung – stark forciert durch verdeckte CIA-Operationen – kamen vor allem viele Sozialisten und Kommunisten in die DDR. Symbolik spielte dabei eine große Rolle.

    Weithin bekannt wurde zum Beispiel das Köpenicker Allende-Viertel – ein Neubaugebiet, das ab 1971 auf dem Köpenicker Amtsfeld nahe der Altstadt entstanden war. Hier wurden am 3. November 1973, nicht einmal acht Wochen nach dem Militärputsch, Straßen nach Salvador Allende und Pablo Neruda benannt, dem bekannten chilenischen Dichter und Literaturnobelpreisträger. Auch die neue Schule erhielt den Namen Allendes. Ein Jahr später kam noch die Pablo-Neruda-Schule dazu. Weitere Namensgebungen folgten.
    Die Sozialistische Partei als das „Haus der Familie Allende“

    Immer wieder gab es im Allende-Viertel Besuche von bekannten Vertretern der zerschlagenen Unidad Popular – oft im Rahmen politischer Veranstaltungen. Es kamen unter anderem Gladys Marin, Generalsekretärin des Kommunistischen Jugendverbandes, Osvaldo Puccio, der einstige Privatsekretär Allendes, und Luis Corvalán, der Generalsekretär der Kommunistischen Partei Chiles. Puccio und Corvalán hatten beide in Konzentrationslagern des Pinochet-Regimes gesessen. Vor allem Letzterer war sehr bekannt aufgrund einer großen Kampagne für seine Freilassung, die dann 1976 im Austausch gegen einen sowjetischen Dissidenten erfolgte.

    Isabel Allende war damals nicht in der DDR, sondern in Mexiko. Als sich die Chilenen 1988 in einem Referendum gegen eine weitere Amtszeit Pinochets aussprachen, kehrte sie nach Chile zurück. Sie setzte die Tradition ihres Vaters fort, engagierte sich in der 1989 wieder zugelassenen Sozialistischen Partei, die sie das „Haus der Familie Allende“ nennt. Ihr Vater hatte 1933 die Partido Socialista de Chile mitbegründet.

    Als Pinochet 1998 in London verhaftet wurde, setzte sich Isabel Allende für dessen Auslieferung nach Spanien ein. Dort sollte ihm der Prozess gemacht werden. Zu diesem kam es nie. Die Phase des demokratischen Neubeginns in Chile – genannt Transition – war sehr kompliziert und widersprüchlich. 1993 kandidierte Allende erstmals erfolgreich für das Abgeordnetenhaus. Dreimal schaffte sie die Wiederwahl als Abgeordnete, bevor sie 2009 die Wahl zur Senatorin gewann. Von 2014 bis 2015 fungierte sie als Präsidentin des Senats – als erste Frau überhaupt. Von 2015 bis 2017 war sie Vorsitzende der Sozialistischen Partei – erneut als erste Frau.

    Erinnerung an die Wärme, unendliche Liebe und den Humor des Vaters

    Heute ist sie Senatorin für den Wahlkreis der Region von Valparaiso. Sie engagiert sich vor allem für eine Reform der Verfassung. Erst am 11. September hielt sie eine Rede auf dem Platz vor La Moneda. Sie wandte sich gegen „Geschichtsrevisionisten“, die durch Verdrehung der Fakten versuchten, die Unidad Popular und Präsident Allende für den Staatsstreich verantwortlich zu machen.

    Die wahren Täter seien diejenigen, die die Institutionen zerstört, den Präsidentenpalast bombardiert hätten, die Tausende Chilenen verfolgten, folterten, ermordeten und verschwinden ließen. „Der Staatsstreich war ein Verbrechen“, und es gebe keinen Kontext, keine politische Ideologie, keinen Zufall und keinen Grund, um die Enteignung des Volkswillens und der Menschenwürde zu legitimieren, so die Senatorin.

    „Heute, wo die Demokratie in der Welt neuen autoritären Bedrohungen ausgesetzt ist, ist es notwendiger denn je, das Engagement jedes Einzelnen für die Demokratie zu erneuern“, sagte Isabel Allende. Und sie erinnerte sich daran, dass sie an jenem 11. September, dem Tag des Putsches, mit ihrer ältesten Schwester Beatriz in den Präsidentenpalast gegangen war, um ihren Vater zu unterstützen. Er schickte sie fort, bevor das Militär den Palast aus der Luft bombardierte. Sie sagte: „Ich werde seine letzte Umarmung, seine Wärme, seine unendliche Liebe und seinen Humor nicht vergessen.“

    Der Treffpunkt für den Besuch von Isabel Allende ist am 17. September, 11 Uhr, im Allende-Viertel in Köpenick, Kieztafel in der Pablo-Neruda-Straße neben dem Allende-Center.

    #Chili #DDR #Berlin #réfugiés #histoire #socialisme #Köpenick #Salvador-Allende-Straße

  • M. Lautréamont - Parlament und Panzer – Lehren aus dem Putsch in #Chile 1973
    https://communaut.org/de/parlament-und-panzer-lehren-aus-dem-putsch-chile-1973-0

    Ein Koordinierungszusammenschluss aus Cordones Industriales, die «Coordinadora Provincial de Cordones Industriales», wandte sich in diesem Sinne am 5. September 1973, nur sechs Tage vor dem Militärputsch, per Brief an den Präsidenten Allende. Darin hielten sie fest: «Wir fordern die Aufhebung des Waffenkontrollkontrollgesetzes. Dieses, sogenannte ‹verfluchte Gesetz›, hat nur dazu gedient, die Arbeiter durch Razzien in Fabriken und Arbeiterquartieren zu schikanieren. Das Gesetz dient den reaktionären Kräften als Generalprobe, um sich gegen die Arbeiter zu stellen, sie einzuschüchtern und die tragenden Figuren der Bewegung zu identifizieren.»

    Im selben Brief wurde ausserdem vehement beteuert, dass viele Entscheidungen der Regierung die reaktionären Kräfte gestärkt haben, rechte Kräfte im Aufschwung seien und dass ein Putsch eine unmittelbare Bedrohung sei: «Wir sind absolut davon überzeugt, dass historisch gesehen der Reformismus, der den Dialog mit denjenigen sucht, die uns immer und immer wieder verraten haben, der schnellste Weg zum Faschismus ist. […] Wir sind nicht nur der Meinung, dass wir uns rasant in Richtung Faschismus bewegen, sondern auch, dass uns die Mittel zur Selbstverteidigung vorenthalten werden.»

    #Chili

  • Le néolibéralisme au bout de la mitraillette

    Le coup d’État contre le gouvernement du président chilien Salvador Allende qui a eu lieu le 11 septembre 1973, a brutalement et violemment fermé la voie que plusieurs pays d’Amérique latine étaient en train de construire vers un État-providence et la souveraineté sur leurs ressources naturelles. Le Chili a préfiguré ce qui allait se passer dans le monde au cours des dix années suivantes : la contre-offensive de l’impérialisme, notamment étasunien, contre les politiques de redistribution des revenus, le développement industriel endogène et la construction de ce que l’on a appelé l’État-providence, explique Éric Toussaint, fondateur du Comité pour l’abolition des dettes illégitimes (www.cadtm.org) et membre du conseil scientifique de l’Association pour la Taxation des Transactions Financières (ATTAC) France.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/09/11/chili-50-ans-apres-lignominie

    #international #chili

  • Chili 1973


    Il y a cinquante ans le 11 septembre 1973 le putsch des généraux chiliens contre le gouvernement de l’Unidad Popular inaugure l’age du néo libéralisme.
    Voici quelques références à l’époque quand la victoire du socialisme était à l’ordre du jour.

    Chili / Unidad Popular / Cybersyn

    23.10.2020 The Last Colonial Massacre : Latin America in the Cold War by Greg Grandin
    https://seenthis.net/messages/882479
    Le régime Pinochet dans un plus grand contexte historique

    28.2.2023 Die kontrollierte Abwicklung der Sowjetunion | Telepolis
    https://seenthis.net/messages/828049

    11.9.2019 Zum 11. September in Chile : « Man weiß sehr wenig über Allendes Zeit » | amerika21
    https://seenthis.net/messages/801329
    A propos de Cybersyn etc.

    20.1.2023 Le pacte d’Adriana
    https://seenthis.net/messages/753544
    film documentaire sur l’implication d’une famille dans la terreur de Pinochet

    23.12.2018 Quilapayún & Isabel Parra à Berlin en 1971 - Ayúdame Valentina
    https://seenthis.net/messages/746592
    De l’importance de la solidarité avec le Chili pour l’Allemagne socialiste / une histoire en musique

    18.8.2018 Cybernetic Revolutionaries | Technology and Politics in Allende’s Chile
    https://seenthis.net/messages/715783

    17.8.2023 On Cybernetics / Stafford Beer
    https://seenthis.net/messages/715741

    17.8.2023 Ángel Parra - Litany for a computer and a baby about to be born
    https://seenthis.net/messages/715740

    11.9.2016The Coup in Chile | Jacobin
    https://seenthis.net/messages/523639

    15.12.2015 Nachruf Gaston Salvatore : Salonkämpfer - Kultur - Tagesspiegel
    https://seenthis.net/messages/440224
    Le putsch des généraux a forcé un nombre important de chiliens à s’exiler en Allemagne. Nous leur devons de la reconnaissance pour leur riches connaissances et oeuvres.

    Victor Jara en Peru - 17 de julio de 1973
    https://seenthis.net/messages/407642

    #Chili #cybernétique #Unidad_Popular #putsch #socialisme #néolibéralisme