• Gaz de schiste : l’État français dissimule des importations massives depuis les États-Unis
    https://disclose.ngo/fr/article/gaz-de-schiste-etat-francais-dissimule-des-importations-massives-depuis-le

    Depuis fin 2021, la France a importé plus de 4,5 milliards de mètres cubes de gaz naturel liquéfié (GNL) issu quasi exclusivement de gaz de schiste. Ce gaz ultra-polluant a notamment été acheté par le groupe Engie, dont l’État français est l’actionnaire de référence. Lire l’article

  • La corsa ai suoli agricoli italiani dei nuovi “lupi solari”: una speculazione da fermare

    Mediatori immobiliari senza troppi scrupoli vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi, stanchi o indebitati, offrendo loro cifre più alte del valore di mercato. È il risultato di una transizione energetica impostata male e gestita peggio. E che favorisce i ricchi a scapito dei poveri. L’analisi-appello di Paolo Pileri.

    “Professore, come comportarsi quando aziende del fotovoltaico contattano offrendo cifre parecchio allettanti per acquisire suoli agricoli per installarci pannelli (non “agrivoltaico”)? Grazie”. È il messaggio che ho ricevuto una mattina di marzo alle dieci. Non è il primo che ricevo e temo non sarà l’ultimo.

    Diciamo però che sono la minima parte della minima parte dei casi che ci saranno in giro per le nostre campagne, letteralmente assaltate da mediatori immobiliari senza troppi scrupoli che vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi o stanchi o indebitati, così sono più facili da convincere a vendere offrendo loro cifre più alte del valore di mercato dei terreni agricoli.

    È quanto abbiamo sempre temuto e detto fin dall’inizio delle prime versioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È il risultato di una transizione energetica fatta partire sgommando e sbandando alla prima curva. Una corsa partita sciaguratamente senza regole (ma probabilmente hanno voluto così) che ha fatto drizzare le antenne a tutti gli speculatori dell’energia che hanno a loro volta sguinzagliato mediatori, geometri, architetti e perfino sindaci a cercare terre da comprare.

    Per convincere gli agricoltori stanno usando la leva della fretta. Mostrano tanti soldi e gli dicono che è questo e solo questo il momento giusto per vendere, inducendo il proprietario a decidere senza pensarci troppo. Questo sarebbe il libero mercato? Ho saputo di funzionari di società energetiche che si sono presentati negli uffici di piccoli Comuni facendo pressione per ottenere segnalazioni di terreni e di possibili persone facilmente convincibili a vendere. Pazzesco, eppure accade. E continuerà ad accadere dappertutto.

    Il messaggio di stamattina arrivava dal Friuli. Quando tutti questi speculatori solari avranno acquistato terre per fare i loro comodi, cominceranno a bussare minacciosi alle porte delle Regioni e del governo (che nel frattempo hanno emesso solo leggi deboli e regolamenti colabrodo) per chiedere facilitazioni e norme che deroghino alle poche regole che esistono, che non mettano loro i bastoni tra le ruote così da poter mettere a terra i pannelli che vogliono nel tempo che vogliono. Loro vogliono metterli a terra, non gli interessa l’agrivoltaico che, comunque (e lo ribadisco) è un dramma lo stesso per l’agricoltura, il paesaggio e il suolo.

    Agli speculatori solari non basta massimizzare i loro guadagni, vorranno anche essere celebrati come eroi green: non mi stupirà vederli sponsorizzare il prossimo festival di Sanremo o il campionato di calcio o magari le Olimpiadi 2026. E puntualmente la politica li porterà in trionfo.

    Possibile che non riusciamo in questo Paese a fare una cosa bene e nell’interesse di tutti e dell’ambiente? Possibile che non riusciamo a proteggere i deboli e frenare quelli che tirano fuori sempre le unghie per graffiare? Qui ci vuole poco. Essendo in clamoroso ritardo sulla pannellizzazione, avevamo (e forse abbiamo ancora) il vantaggio di costruire una regia pubblica forte, intelligente e senza stupidi compromessi, in grado di orientare il mercato nella direzione zero impattante e zero esclusiva. Già perché questo far west della caccia alle terre solari è tutto a vantaggio dei ricchi che hanno i soldi contanti contro i poveri cristi agricoltori che, alla fine, cederanno. Non sono i piccoli e poveri risparmiatori che stanno cercando terre per mettere pannelli. Non siamo davanti a una transizione energetica che sta proteggendo i più poveri.

    Per non parlare delle lunghe mani delle mafie, della ‘ndrangheta. Chissà che non stia già accadendo. Il governo e i governi regionali stanno monitorando? Oppure sono presi dal dare la caccia ai lupi che si aggirano per Courmayeur o nel Monferrato o in Val Seriana? Perché questo fa notizia anche se quei lupi naturali non fanno alcun male, se non a qualche gallina o pecora (che puntualmente mamma Stato ripaga), mentre i lupi solari non fanno notizia eppure sono pericolosissimi, famelici e ridurranno in brandelli paesaggi e agricolture.

    Dobbiamo tutti insieme stanare questi lupi solari e non smettere di denunciare questa assurda pratica che inoltre spopolerà le terre agricole più di quanto già sono spopolate. Dobbiamo chiedere ai governi, regionali e statale, di intervenire per disciplinare la questione una volta per tutte e in modo uniforme sul territorio nazionale. Non possiamo permetterci consumi di suolo solari, né possiamo permetterci di ferire mortalmente l’agricoltura, non possiamo permettere di perdere produzione alimentare, non possiamo perdere agricoltori. I pannelli solari vanno posizionati sui tetti dei capannoni logistici, commerciali e industriali prima di tutto, su tettoie da realizzare in tutti i posteggi pubblici con più di 50 auto, sopra gli impianti di depurazione, nelle stazioni di rifornimento carburanti, lungo le autostrade, e così via. Solo quando avremo finito di piazzarli da quelle parti, potremo pensare a nuove superfici. Ma non l’inverso. Non è possibile che in questo Paese si opti sempre per il “vincere facile”, aprendo sempre nuovi fronti alle speculazioni e alla insostenibilità. Bisogna opporsi. Bisogna parlarne. Bisogna stanare queste pratiche.

    https://altreconomia.it/la-corsa-ai-suoli-agricoli-italiani-dei-nuovi-lupi-solari-una-speculazi
    #spéculation #terres #énergie #transition_énergétique #compétition #agriculture #photovoltaïque #énergie_solaire #panneaux_solaires #sol #agrivoltaico #fermes_solaires #ferme_solaire

    • Le tante zone d’ombra lasciate dal boom dell’agri-fotovoltaico

      La transizione verso le energie rinnovabili è una necessità globale, ma non per questo esente da scelte. In Sicilia i progetti di una multinazionale sono l’occasione per chiedersi se la direzione presa sia quella giusta.

      Verde in primavera, dorato d’estate, l’entroterra della Sicilia offre panorami a perdita d’occhio. Agrumeti, campi di grano, colline lasciate a foraggio. Spostarsi da Catania a Trapani significa attraversare l’isola da una parte all’altra: la prima con le sue testimonianze greco-romane, la seconda che risuona ancora oggi delle influenze arabe. A collegarle c’è un’autostrada che sembra tutt’altro, tra cantieri infiniti, cambi di corsia e lunghi tratti in cui non ci si sente granché sicuri. L’andatura forzatamente lenta permette di accorgersi di come questi territori stiano a poco a poco cambiando. Bianche pale eoliche a incoronare le colline e scintillanti pannelli solari che costeggiano il guard rail sono una presenza a cui, con il passare dei chilometri, l’occhio si abitua.

      D’altra parte non è un mistero che la Sicilia stia vivendo un nuovo boom legato alle energie rinnovabili: a inizio anni Duemila a farla da padrone furono gli investimenti nell’eolico, con tanto di tentativi di lucrarci sopra da parte di Cosa nostra; da qualche tempo, invece, è diventata terra d’elezione per i campi solari.

      Le emergenze internazionali legate alla crisi climatica e i riflessi geopolitici del conflitto russo-ucraino costituiscono la cornice entro cui, oggi, le istituzioni sono chiamate a definire le strategie energetiche. L’impegno dell’Ue sul fronte delle rinnovabili è forte: il Pnrr prevede miliardi di euro di finanziamento per la produzione di energia verde. In quest’ottica – regioni come la Sicilia – diventano ricettori naturali degli investimenti: l’isola è terra di vento e, soprattutto, di sole.

      Ma quali sono le conseguenze a livello territoriale dei crescenti interessi legati alle rinnovabili e ai fondi stanziati per la loro promozione?

      IrpiMedia, con il supporto di Journalismfund Europe, ha deciso di andare sui territori, nel tentativo di capire meglio gli impatti sociali di un fenomeno destinato a segnare il futuro dei luoghi che viviamo. Per farlo abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su due progetti – uno in fase di realizzazione a #Paternò, in provincia di Catania, e l’altro a #Mazara_del_Vallo (Trapani) – che nell’ultimo anno hanno attirato l’interesse dell’opinione pubblica.

      A realizzarli è #Engie, multinazionale del settore che ha da poco chiuso un accordo con #Amazon. Il colosso dell’e-commerce da tempo è impegnato a portare avanti, a livello internazionale, un programma di finanziamento degli impianti di produzione di energia rinnovabile. «Questi con Engie rappresentano i nostri primi progetti su larga scala in Italia, ci daranno una mano nel percorso che ci porterà a usare il cento per cento di energia rinnovabile entro il 2030», ha detto, a fine 2020, il direttore di #Amazon_Energy #Nat_Sahlstrom. La dichiarazione, a una prima lettura, potrebbe far pensare che tra qualche anno le attività di Amazon in tutto il pianeta saranno alimentate direttamente da energia verde. In realtà tra la multinazionale che fa capo a #Jeff_Bezos e le aziende produttrici, come Engie, sono stati sottoscritti dei #power_purchase_agreement (#Ppa).

      Un mare di silicio

      Carcitella è il nome di una contrada che si trova al confine tra i comuni di Mazara del Vallo e Marsala. Immersa nelle campagne trapanesi, è solcata da un reticolo di piccole strade provinciali. È da queste parti che si trova uno degli impianti realizzati da Engie. Dietro una recinzione metallica, ci sono filari e filari di pannelli solari: 122 mila moduli fotovoltaici per una potenza complessiva di 66 megawatt.

      «Sole, énergie». La voce – un italiano stentato che ripiega presto nel francese – arriva dalle nostre spalle. Un uomo ci viene incontro, pochi passi per distaccarsi dalle decine di pecore che lo attorniano. Si chiama Mohamed ed è arrivato in gommone dalla Tunisia, l’Africa da qui dista poche ore. Non ha ancora quarant’anni, ma ne dimostra molti di più: Mohamed è arrivato in Italia sperando di spostarsi in Francia e fare il cuoco, ma si è ritrovato a fare il pastore. «Neuf euros par jour. La casa? Petite», spiega, descrivendo il misero compenso ricevuto in cambio della disponibilità di portare al pascolo le pecore dall’alba al tramonto. Mohamed è uno dei tanti che hanno assistito al lento cambiamento di #contrada_Carcitella.

      L’impianto di Mazara del Vallo è stato inaugurato a fine maggio da Engie alla presenza delle autorità. La notizia, che ha trovato spazio sui media nazionali, è di quelle che colpiscono: «Avviato il più grande impianto agrovoltaico d’Italia». Oltre alla partnership con Amazon e alle dimensioni – sommando i progetti su Mazara e Paternò si superano i 200 mila moduli solari su una superficie di 185 ettari – il principale motivo che ha attirato l’attenzione generale sta infatti nella tecnologia utilizzata da Engie. L’agrovoltaico (o agri-fotovoltaico) prevede l’installazione dei pannelli su terreni agricoli, con accorgimenti tali – a partire dalla loro altezza rispetto al suolo – da dare la possibilità di impiantare colture nella parte sottostante. Nel caso di Mazara e Paternò si parla di piante officinali e per fienagioni e l’uso di alberi di mandorlo e ulivo per delimitare i perimetri dell’impianto. «I nostri progetti – fa sapere Engie a IrpiMedia – puntano a valorizzare i terreni mediante l’attuazione del piano agronomico che ha accompagnato il progetto autorizzato dalla Regione».

      L’obiettivo dichiarato è quello di salvaguardare il consumo di suolo e ottimizzare le aree utilizzate. «La Sicilia vanta le maggiori superfici coltivate a biologico in Italia e gli impianti con tecnologia agro-fotovoltaica soddisfano la strategia regionale per lo sviluppo sostenibile», ha dichiarato nella primavera del 2021 Nello Musumeci, oggi ministro del governo Meloni ma all’epoca presidente della Regione Siciliana.

      Ma per quanto le parole di Musumeci potrebbero portare a pensare a un ruolo centrale delle istituzioni nella gestione della transizione verso le rinnovabili, la realtà è che mentre a livello sovranazionale l’Ue ha definito le risorse a disposizione per intraprendere il percorso, fino a oggi l’Italia ha rinunciato alla possibilità di governare il fenomeno. Legiferando, semmai, nella direzione opposta: verso una normativa che renda ancora più libera l’iniziativa imprenditoriale dei leader di settore, lasciando al mercato l’onere della pianificazione. Ma ciò, così come accaduto tante altre volte in passato e in molti altri campi, comporta il rischio di vedere affermarsi le logiche della massimizzazione del profitto, a discapito di aspetti fondamentali per il benessere collettivo a medio-lungo termine.
      Tra maglie sempre più larghe e rinunce

      Le richieste di autorizzazione che hanno portato alla costruzione degli impianti di Paternò e Mazara del Vallo sono state presentate alla Regione, nel 2018, dalla FW Turna, società successivamente acquisita da Engie. Entrambi i progetti sono stati sottoposti al vaglio della commissione chiamata a valutare l’impatto ambientale, ottenendo il via libera condizionato al rispetto di alcune modifiche da apportare.

      A partire dal 2019, al vertice della commissione Via-Vas c’è stato #Aurelio_Angelini. Professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università di Enna, Angelini è stato incaricato dal governatore Musumeci in seguito a uno scandalo che aveva travolto i precedenti vertici della commissione, accusati di avere piegato il proprio operato agli interessi di #Vito_Nicastri e #Paolo_Arata. Il primo è un trapanese accusato di essere uno dei principali volti imprenditoriali del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, l’altro un ex parlamentare nazionale di Forza Italia e successivamente consulente della Lega. In coppia, Nicastri e Arata avrebbero pagato mazzette per corrompere funzionari regionali e ottenere vantaggi su progetti per la realizzazione di impianti per biometano, mini-eolico e fotovoltaico.

      Angelini ha guidato la commissione fino a dicembre scorso, quando è stato rimosso dal nuovo governatore Renato Schifani. Una decisione arrivata dopo mesi di frizioni, con il docente che era stato accusato di fare da tappo agli investimenti sulle rinnovabili in Sicilia per i troppi no dati dalla commissione. «Sono stato vittima di una campagna diffamatoria partita con alcune dichiarazioni di Confindustria e divulgando numeri di fantasia», commenta Angelini.

      «Hanno raccontato frottole a ripetizione. Uno studio indipendente di Public Affairs Advisors e Elemens ma anche il rapporto Fer di Terna – continua – hanno dimostrato che in questi anni la Sicilia è stata in vetta alle classifiche sull’efficienza delle pubbliche amministrazioni per il rilascio delle autorizzazioni ambientali».

      Una cosa è certa: a essere interessati alla Sicilia per la realizzazione di parchi solari sono tanti. Per accorgersene basta navigare nel portale che raccoglie le richieste di autorizzazione. Sono centinaia i progetti finiti sui tavoli della Regione. Un flusso costante interrotto soltanto dalla modifica alla normativa che per gli impianti di una certa dimensione ha disposto che le valutazioni ambientali vengano fatte non più dalle Regioni, ma dal ministero.

      Tra i proponenti si trovano società spagnole, tedesche, ma anche altre con sedi in Cina e nelle isole Cayman. L’obiettivo della Regione è quello di passare dalla potenza di 1,8 gigawatt del 2018 a 4 gigawatt entro il 2030. «Il percorso verso la decarbonizzazione è obbligatorio a meno di non voler pregiudicare definitivamente il futuro del pianeta, ma ciò non può prescindere dalla considerazione di altri fattori», mette in guardia Angelini. Il riferimento va in primo luogo alla localizzazione degli impianti, che il più delle volte interessano aree a destinazione agricola, e chiama in causa direttamente il ruolo delle istituzioni. «La terra serve innanzitutto a produrre cibo – commenta -. Viviamo in un’epoca in cui gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità e la desertificazione, sono destinati a determinare una drastica riduzione delle produzioni. Per questo – sottolinea – bisognerebbe capire che non possiamo permetterci di ipotecare i terreni per la produzione di energia. E questo non significa rinunciare alla transizione ecologica. Le alternative esistono, serve la volontà di adottarle».

      A inizio 2022, la Regione Siciliana ha approvato il nuovo piano energetico che delinea le strategie per lo sviluppo delle rinnovabili. In precedenza, la commissione guidata da Angelini, esaminando la bozza di piano, aveva dato una serie di prescrizioni rimaste però inattuate. Tra queste c’era la definizione delle aree non idonee all’installazione degli impianti. «L’indirizzo era quello di garantire maggiori tutele per le aree agricole di pregio, ma la politica ha deciso di non raccogliere le nostre indicazioni – commenta l’ex presidente della Cts – Questa non è l’unica stortura: il piano dice chiaramente che la localizzazione degli impianti debba avvenire privilegiando le discariche e le cave dismesse, i siti già compromessi dal punto di vista ambientale e le aree industriali e artigianali. Invece assistiamo alla continua presentazione di progetti fotovoltaici su zone agricole».

      Parlando della grandezza dei progetti – quelli di Engie non sono neanche i più vasti – Angelini ne fa anche una questione socio-economica. «Dovremmo ragionare sul tipo di futuro che vogliamo. Parlare genericamente di rinnovabili non basta. La storia ci dice che l’energia, la sua produzione, è legata a doppio filo con la libertà. Si fanno le guerre per garantirsi l’autonomia energetica. Siamo certi che la scelta migliore sia quella di andare verso un futuro con nuovi monopolisti dell’energia, anziché favorire lo sviluppo delle comunità energetiche?»

      Le comunità energetiche e l’autoconsumo collettivo sono pratiche che permettono a soggetti privati e pubblici di costruire e gestire impianti di produzione di energia rinnovabile pensati principalmente per uno “in loco”. In particolare l’autoconsumo collettivo è portato avanti dagli abitanti di un unico edificio mentre le comunità energetiche sono delle entità più ampie, solitamente un complesso di condomini, piccole e medie imprese ed enti pubblici, purché siano allacciati alla stessa cabina di trasformazione d’energia. In pratica la comunità energetica investe nella costruzione di un impianto, come ad esempio un fotovoltaico sui tetti dei condomini, così da iniziare l’autoproduzione e l’autoconsumo dell’energia rinnovabile.

      «Queste collettività sono pensate per produrre e consumare energia da fonti rinnovabili in loco, così da ridurre le bollette, e non per scopi di lucro, ecco perché la legge dispone che per poter prendere parte alle comunità energetiche sia necessario dimostrare che la produzione e la commercializzazione di energia non sia la fonte principale di guadagno», puntualizza Gianni Girotto, che da parlamentare nazionale del Movimento 5 Stelle è stato il promotore delle comunità energetiche in Italia.

      Il concetto alla base delle comunità energetiche è la produzione di energia diffusa e distribuita su un territorio molto più vasto ma allo stesso tempo molto meno impattante rispetto alle classiche centrali o ai campi eolici e fotovoltaici. I benefici principali, oltre ad una riduzione delle bollette, riguardano anche le spese nazionali del trasporto di energia. Produrre e condurre l’energia da un luogo a un altro ha dei costi ingenti per lo Stato e avere più comunità energetiche sparse in tutto il territorio alleggerirebbe la rete nazionale. Secondo i dati aggiornati a fine 2022, esistono solo 46 attività di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche. «Un risultato ancora scarso – ammette Girotto – in parte dovuto al Covid che ha cancellato l’argomento dalle discussioni, in parte da una mancanza di reale volontà politica di promuovere le comunità».

      Ad oggi infatti si aspettano ancora i decreti attuativi per definire alcuni che regolamentano, ad esempio, le comunità energetiche più grandi. Per ora sono possibili comunità energetiche basate sulle cabine di trasformazione secondarie, che sono circa 600 mila in tutta Italia, su cui si possono costituire comunità grandi quanto un piccolo isolato o una via per le città più grandi. «Ma se si regolamentassero le comunità energetiche che si allacciano alle cabine primarie, si potrebbero formare comunità grandi quanto diversi comuni così da contribuire significativamente alla riduzione delle necessità di importazioni energetiche che sono più costose ed estremamente più inquinanti», conclude Girotti.

      Quale futuro spetterà alle comunità energetiche è un capitolo ancora tutto da scrivere. Quel che finora pare evidente è che a dettare legge sono ancora i colossi del settore. Aziende che, per loro natura, hanno come obiettivo primario quello di sfruttare economicamente al meglio le opportunità offerte dalle leggi.

      Da questo punto di vista, uno dei primi effetti lo si è notato sul mercato immobiliare dei terreni. Le aziende, infatti, preferiscono trattare con i privati. «Rinunciando ad avere un ruolo centrale nella pianificazione dello sviluppo energetico dell’isola, la Regione sta perdendo l’opportunità di avere introiti da questi investimenti – spiega il professore Aurelio Angelini -. Se si lavorasse alla promozione della realizzazione degli impianti nelle discariche pubbliche o nelle cave dismesse, si potrebbero indire gare per l’affidamento di queste aree ai privati, ottenendo in cambio un canone annuale». Così, però, non sta avvenendo e ad accorgersene è innanzitutto chi con la compravendita degli immobili ci lavora.

      «Fino a qualche anno fa, da queste parti un ettaro di terreno agricolo veniva venduto intorno ai 15 mila euro a ettaro. Oggi per meno di 35 mila non lo si trova», racconta un professionista del settore. Lo incontriamo nel suo studio di Mazara del Vallo, a meno di dieci chilometri dall’impianto di Engie. Ha accettato di parlarci soltanto a condizione di mantenere l’anonimato. «La domanda di terreni per installare pannelli solari è cresciuta in maniera spropositata e l’innalzamento dei prezzi è stata la naturale conseguenza – spiega – Per molti proprietari si tratta di cifre che difficilmente guadagnerebbero lavorando la terra».

      Si potrebbe pensare che per gli immobiliaristi siano periodi di vacche grasse. «Ma non è così, io negli ultimi anni sono riuscito a vendere soltanto un terreno destinato a fotovoltaico. Chi ci guadagna davvero sono i sensali». La senseria è l’attività di mediazione portata avanti spesso in maniera informale da soggetti non qualificati. «Per le società che arrivano da fuori, magari dal Nord Italia o dall’estero, sono dei veri procacciatori di affari e non importa se non siano professionisti del settore, si sanno muovere». Quando gli chiediamo in cosa consista tale capacità, chiarisce: «Spesso sono allevatori, conoscono molto bene le campagne e chi sono i proprietari. Come guadagnano? Si dice che prendano una percentuale dal venditore».

      Ancora oggi in Sicilia il legame con la terra è forte. Può capitare per esempio che un terreno, passando di generazione in generazione nelle mani di sempre più eredi, resti incolto ma comunque ben saldo all’interno del patrimonio di famiglia. La nuova propensione a cederli, e il coinvolgimento di intermediari di fortuna, è un fenomeno che non è passato inosservato anche negli ambienti investigativi. Inevitabile chiedersi se dietro l’attività dei procacciatori possa esserci anche il peso della criminalità: «A oggi non sono emerse evidenze che portino a sostenere un coinvolgimento delle famiglie mafiose nella fase di individuazione dei terreni da destinare alle rinnovabili, ma è chiaro – sottolinea – che quella del sensale è una figura ambigua. Si tratta spesso di soggetti che si muovono in zone grigie. D’altra parte storicamente la mafia siciliana ha avuto un legame forte con la terra, basti pensare al ruolo dei campieri, che si occupavano della guardiania».
      Di chi sono le aree utilizzate da Engie

      «I terreni sono stati acquisiti direttamente dai proprietari». A negare il coinvolgimento di intermediari di fortuna nelle trattative per l’acquisizione delle aree su cui realizzare gli impianti di Mazara del Vallo e Paternò è la stessa Engie. «Nel primo caso il terreno è stato in larga parte acquistato da una singola proprietà, mentre i terreni di Paternò erano frazionati su pochi proprietari terrieri locali», specificano dagli uffici della multinazionale.

      Una versione che trova conferma anche nelle parole di Francesca Adragna, 54enne originaria di Trapani ma residente in Toscana che, insieme al fratello, era la proprietaria dei terreni scelti da Engie per installare i pannelli. «Non abbiamo avuto sensali che si sono interessati alla trattativa, so bene che in Sicilia girano molti sedicenti intermediatori, ma nel nostro caso non è accaduto». Dai documenti visionati da IrpiMedia risulta che a chiedere al Comune di Mazara del Vallo la certificazione di destinazione urbanistica da presentare alla Regione è stata una terza persona. «È stato incaricato da mio fratello, ritengo sia un tecnico», chiosa la donna. Per poi specificare di avere deciso «di vendere questi terreni perché si tratta di un’eredità e, vivendo io fuori dalla Sicilia, occuparsene era sempre più complicato».

      Continuando a scorrere le centinaia di pagine di documenti che accompagnano il progetto presentato alla Regione, ci si imbatte anche su un’altra serie di proprietari. I loro terreni vengono tirati in ballo nella parte riguardante i lavori per la stazione elettrica e i relativi raccordi alla rete di trasmissione nazionale (Rtn) al servizio del campo fotovoltaico. Anche in questo caso sono nomi che per motivi diversi, in alcuni casi legati a passate vicende giudiziarie che nulla hanno a che vedere con l’iter che ha portato alla realizzazione dell’impianto di Engie, sono noti all’opinione pubblica.

      Tra loro ci sono Maria e Pietro Maggio. I due sono discendenti della famiglia Poiatti, rinomati industriali della pasta. Maria attualmente è presidente del consiglio d’amministrazione della società. A loro sono intestate due vaste particelle indicate come vigneti e terreni seminativi utilizzate per la realizzazione della stazione elettrica e per i raccordi alla Rtn. Dai documenti emerge che quest’ultima parte ha interessato anche alcuni terreni di proprietà di Marina Scimemi. La donna, 47 anni, è figlia di Baldassarre Scimemi, l’ex presidente della Banca Agraria di Marsala e vicepresidente dell’Istituto Bancario Siciliano che a inizio anni Novanta venne accusato di essere a disposizione di Cosa nostra. Gli inquirenti accusavano l’uomo di avere elargito crediti a condizioni di favore e fornito una sponda per il riciclaggio del denaro. Per quelle vicende, Scimemi è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

      Nei documenti presentati da Engie compare anche il nome del 41enne Francesco Giammarinaro. Il padre, Pino, è stato deputato regionale della Democrazia Cristiana nella prima metà degli anni Novanta. Una carriera politica costruita all’ombra della corrente andreottiana e vicino a Nino e Ignazio Salvo, i cugini di Salemi – lo stesso paese di Giammarinaro – che per decenni hanno avuto in mano la riscossione dei tributi in Sicilia, grazie anche ai legami con Cosa nostra. Anche per Pino Giammarinaro i problemi con la giustizia non sono mancati: arrestato nel 1994, ha patteggiato i reati di concussione e corruzione, mentre è stato assolto dall’accusa di concorso esterno. A partire dagli anni Duemila, il suo patrimonio è stato sottoposto a misure di prevenzione che hanno portato alla confisca. Tra i beni su cui sono stati posti i sigilli c’è anche il terreno di contrada San Nicola di Corsone. Nel progetto presentato da Engie si menziona l’appezzamento quando si fa riferimento al tracciato dell’elettrodotto aereo; area che per questo sarebbe stata sottoposta a vincolo preordinato all’esproprio.

      «Non ne so nulla, quel terreno ormai non è né di mio figlio né tantomeno mio. Rientra tra quelli sequestrati, da oltre dieci anni non ci appartiene», taglia corto Pino Giammarinaro, raggiunto telefonicamente da IrpiMedia. Sul punto, però, fa chiarezza Engie specificando che, per quanto nella documentazione presentata alla Regione si menzioni la particella 4, «il terreno confina con la nuova stazione elettrica ma non è interessato dalla nostra opera».

      Uva pregiata a basso costo

      Girare per la provincia di Trapani senza imbattersi in qualche vigneto è praticamente impossibile. Rosso, bianco o rosè, da queste parti si beve bene. Tuttavia, chi la terra la lavora praticamente da sempre si è accorto che qualcosa sta cambiando. Anzi, che forse è già cambiato. «Un tempo questa era una delle zone con più vigneti al mondo. Di questo passo, invece, continuare a coltivare viti non varrà più la pena». A parlare è il titolare di una delle tante aziende agricole che hanno sede nell’estremità occidentale della Sicilia. Ci accoglie in un ampio salone per parlare di come in meno di un decennio la redditività delle produzioni sia crollata. «Non è una sensazione, lo dicono i numeri e i bilanci – spiega l’uomo – Chi produce uva da vino da queste parti guadagna molto meno che altrove. Io non so se c’entri qualcosa, ma questo problema è coinciso con il periodo in cui hanno iniziato a costruire impianti per le rinnovabili. Prima c’è stato il boom dell’eolico, adesso sembra che tutti vogliano fare parchi fotovoltaici».

      L’imprenditore suggerisce di confrontare i listini delle cantine sociali. In provincia di Trapani ce ne sono tante, c’è chi lavora con proprie etichette e chi vende il vino sfuso ad altre aziende. Una delle più affermate è Cantine Ermes, attiva non solo nell’isola. Guardando il bilancio del 2022, in cui sono contenuti i dati relativi agli acconti pagati ai soci per i conferimenti effettuati nel corso della vendemmia 2021, si legge che l’uva Chardonnay è stata pagata da 10 a 38 euro al quintale, mentre chi ha portato uva Frappato ha incassato come acconto un massimo di 40 euro al quintale. Per le stesse tipologie di vitigno, una cantina di Riesi, in provincia di Caltanissetta, nella stessa annata ha elargito ai propri soci 60 euro al quintale per lo Chardonnay e da 47 a 52 euro per il Frappato. Le differenze sono marcate anche se si confrontano altri vitigni.

      Stabilire una diretta correlazione tra la bassa redditività dell’uva trapanese e il boom del fotovoltaico non è semplice, ma il calo dei profitti ha fatto crescere il numero di produttori che si chiedono se sia il caso andare avanti. A pensarla così è Giovanni Di Dia, segretario Flai Cgil in provincia di Trapani e a sua volta piccolo produttore. «La specificità del caso trapanese rende difficile pensare che sia determinata soltanto da logiche di mercato – afferma – La tentazione di pensare all’influenza di fattori esterni c’è, perché davvero non si capisce come in altre province si possano liquidare decine di euro in più a quintale. Non si tratta di fare confronti con l’altra parte del Paese, ma di spostarsi di un centinaio di chilometri».

      Quella dei produttori di uva è solo una delle tante perplessità che accompagnano, non solo in Sicilia e non solo in Italia, la corsa al fotovoltaico. E come in tutte le occasioni in cui bisogna fare di fretta, i rischi di perdersi qualcosa per strada sono alti. Chiedersi cosa ne sarà di aree come contrada Carcitella da qui in avanti è fondamentale, perché ne va del modo in cui immaginiamo il futuro e il rapporto con i luoghi che viviamo. In questo senso, il caso Engie dimostra come a essere favoriti, anche sul fronte della remunerazione dei terreni ceduti alle multinazionali, siano spesso grossi proprietari terrieri. Famiglie che in qualche modo ancora oggi rappresentano il volto del latifondo. Per il professore Angelini il discorso, dunque, va oltre la scelta tra rinnovabili – in questo caso il fotovoltaico – e fonti fossili. «Vogliamo sostituire i padroni dell’energia con nuovi monopolisti o vogliamo una società di produttori più equa e democratica?»

      #Sicile #corruption

      voir aussi:
      https://seenthis.net/messages/1007935

  • Leur sobriété et la nôtre | Tribune | 04.07.22

    https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/040722/leur-sobriete-et-la-notre

    faites ce que je dis, pas ce que je fais

    Les 400 puits de pétrole et le gigantesque oléoduc entre l’Ouganda et la Tanzanie qui composent le projet EACOP menacent d’émettre 34 millions de tonnes équivalent CO2 par an. Petit ordre de grandeur : la réduction d’émissions annuelle permise par une division par 2 de l’éclairage public extérieur en France ne représenterait que 0,5% de ce qu’émettra EACOP. Alors peut-être est-il temps de fermer le robinet des pipelines avant celui du lavabo quand on se brosse les dents ?

    #Engie #Total #foutage_de_gueule

  • La Face cachée des #énergies_vertes

    Voitures électriques, éoliennes, panneaux solaires… La transition énergétique laisse entrevoir la promesse d’un monde plus prospère et pacifique, enfin libéré du pétrole, de la pollution et des pénuries. Mais cette thèse officielle s’avère être un mythe : en nous libérant des combustibles fossiles, nous nous préparons à une nouvelle dépendance à l’égard des métaux rares. De graves problèmes écologiques et économiques pour l’approvisionnement de ces ressources stratégiques ont déjà commencé. Et si le « monde vert » qui nous attend se révélait être un nouveau cauchemar ?

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/61421_1

    #film #film_documentaire #documentaire

    #COP21 #COP_21 #transition_énergétique #technologie #technologies_vertes #voiture_électrique #énergies_propres #extractivisme #mines #green-washing #greenwashing #délocalisation_de_la_pollution #pétrole #métaux_rares #néodyme #cobalt #graphite #lithium #photovoltaïque #énergie_solaire #énergie_éolienne #éolienne #solaire #dépendance #RDC #République_démocratique_du_Congo #Australie #Chili #Bolivie #Indonésie #Chine #industrie_minière #Mongolie #Terres_rares #eaux_usées #radioactivité #réfugiés_des_technologies_vertes #eau #IDPs #déplacés_internes #cuivre #santé #Chuquicamata #cancer #Aliro_Boladas #centrales_à_charbon #modèle_économique_extractiviste #énergies_renouvelables #engie #Norvège #charbon #hypocrisie #green_tech #zéro_émissions #changement_climatique #Jean-Louis_Borloo #ADEME #Renault #bornes_électriques #Rapport_Syrota #Jean_Sirota #BYD #EDF #Photowatt #Péchiney_métallurgie #magnésium #nationalisme_des_ressources #Bolivie #recyclage #déchets #décharges_sauvages #Neocomp #fausse_transition #sobriété #progrès_technologique #décroissance #énergies_renouvelables

    –-

    déjà signalé par @odilon sur seenthis :
    https://seenthis.net/messages/888273

    • « La face positive des énergies vertes »

      Le documentaire « La face cachée des énergies vertes » est passé fin novembre sur Arte. Truffé d’erreurs et d’arguments partisans, allant jusqu’à comparer le problème des pales d’éoliennes, soit disant non recyclables, à celui posé par les déchets nucléaires !

      Autre exemple : ce documentaire assène que les énergies vertes et que les batteries nécessitent obligatoirement l’utilisation de terres rares. Ce n’est pourtant pas du tout l’avis de l’Ademe. D’autre part, le photovoltaïque n’utilise jamais de terres rares. Et pour l’éolien et les voitures électriques, leur utilisation dans les moteurs à aimants permanents permet de gagner en performances, mais cet usage n’est ni systématique, ni indispensable.

      Cet article présente :

      – La quinzaine d’erreurs grossières parmi les très nombreuses qui émaillent ce documentaire.
      – Le cercle vertueux du photovoltaïque et de l’éolien : plus on en installe, plus on réduit les émissions de gaz carbonique.
      – Que nos voitures contiennent davantage de terres rares que les voitures électriques sans moteurs à aimants permanents.
      – Pour qui roule le journaliste Guillaume Pitron, à l’origine de ce documentaire.

      En se fondant sur les avis qui se colportent, principalement sur la production des terres rares utilisées dans les énergies vertes, Guillaume Pitron, qui a enquêté dans une douzaine de pays, nous fait visiter quelques sites d’exploitation qui portent atteinte à l’environnement et à la santé des travailleurs.

      Hélas ce documentaire est gâché autant par sa partialité, que par de très nombreuses erreurs grossières.

      https://www.passerelleco.info/article.php?id_article=2390
      https://seenthis.net/messages/894307

    • Geologic and anthropogenic sources of contamination in settled dust of a historic mining port city in northern Chile: health risk implications

      Chile is the leading producer of copper worldwide and its richest mineral deposits are found in the Antofagasta Region of northern Chile. Mining activities have significantly increased income and employment in the region; however, there has been little assessment of the resulting environmental impacts to residents. The port of Antofagasta, located 1,430 km north of Santiago, the capital of Chile, functioned as mineral stockpile until 1998 and has served as a copper concentrate stockpile since 2014. Samples were collected in 2014 and 2016 that show elevated concentrations of As, Cu, Pb, and Zn in street dust and in residents’ blood (Pb) and urine (As) samples. To interpret and analyze the spatial variability and likely sources of contamination, existent data of basement rocks and soil geochemistry in the city as well as public-domain airborne dust were studied. Additionally, a bioaccessibility assay of airborne dust was conducted and the chemical daily intake and hazard index were calculated to provide a preliminary health risk assessment in the vicinity of the port. The main conclusions indicate that the concentrations of Ba, Co, Cr, Mn, Ni, and V recorded from Antofagasta dust likely originate from intrusive, volcanic, metamorphic rocks, dikes, or soil within the city. However, the elevated concentrations of As, Cd, Cu, Mo, Pb, and Zn do not originate from these geologic outcrops, and are thus considered anthropogenic contaminants. The average concentrations of As, Cu, and Zn are possibly the highest in recorded street dust worldwide at 239, 10,821, and 11,869 mg kg−1, respectively. Furthermore, the contaminants As, Pb, and Cu exhibit the highest bioaccessibilities and preliminary health risk indices show that As and Cu contribute to elevated health risks in exposed children and adults chronically exposed to dust in Antofagasta, whereas Pb is considered harmful at any concentration. Therefore, an increased environmental awareness and greater protective measures are necessary in Antofagasta and possibly other similar mining port cities in developing countries.

      https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5922233

      #santé #mines

    • L’association #Vernunftkraft

      Aufgeklärte und deshalb zu Recht besorgte Bürger dieses Landes (https://www.vernunftkraft.de/bundesinitiative) erkennen hinsichtlich der Rationalität energiepolitischer Entscheidungen nicht hinnehmbare Defizite.

      Die Zerstörung von Wäldern zwecks Ansiedlung von volkswirtschaftlich sinnlosen Windindustrieanlagen ist dabei die Spitze des Eisbergs.

      Zentrale Elemente der gegenwärtigen Energiepolitik sind extrem unvernünftig.

      Daher möchten wir der Vernunft Kraft geben.
      https://www.vernunftkraft.de

    • La guerre des métaux rares. La face cachée de la transition énergétique et numérique

      En nous émancipant des énergies fossiles, nous sombrons en réalité dans une nouvelle dépendance : celle aux métaux rares. Graphite, cobalt, indium, platinoïdes, tungstène, terres rares… ces ressources sont devenues indispensables à notre nouvelle société écologique (voitures électriques, éoliennes, panneaux solaires) et numérique (elles se nichent dans nos smartphones, nos ordinateurs, tablettes et autre objets connectés de notre quotidien). Or les coûts environnementaux, économiques et géopolitiques de cette dépendance pourraient se révéler encore plus dramatiques que ceux qui nous lient au pétrole.

      Dès lors, c’est une contre-histoire de la transition énergétique que ce livre raconte – le récit clandestin d’une odyssée technologique qui a tant promis, et les coulisses d’une quête généreuse, ambitieuse, qui a jusqu’à maintenant charrié des périls aussi colossaux que ceux qu’elle s’était donné pour mission de résoudre.

      http://www.editionslesliensquiliberent.fr/livre-La_guerre_des_m%C3%A9taux_rares-9791020905741-1-1-

      #livre #Guillaume_Pitron

    • Rapport ADEME 2012 :

      Énergie et patrimoine communal : enquête 2012

      L’enquête « Énergie et patrimoine communal » est menée tous les cinq ans depuis 1990. Elle porte sur les consommations d’énergie et les dépenses payées directement par les communes sur trois cibles principales : le patrimoine bâti, l’éclairage public et les carburants des véhicules.

      https://www.ademe.fr/energie-patrimoine-communal-enquete-2012

      –—

      Rapport ADEME 2015 :


      Scénarios 2030-2050 : une vision énergétique volontariste

      Quel mix énergétique pour les années 2030-2050 ? L’ADEME actualise son scénario Énergie Climat et propose des mesures pour contribuer à la déclinaison du plan CLIMAT.

      Les objectifs ambitieux du Plan Climat lancé par Nicolas Hulot, ministre de la Transition écologique et solidaire, confirment la stratégie volontariste de la France pour la transition énergétique. Dans le contexte actuel de mise à jour de la Stratégie nationale bas carbone (SNBC) et de la Programmation pluriannuelle de l’énergie (PPE), l’actualisation du scénario énergie-climat de l’ADEME vient contribuer aux réflexions pour mettre en oeuvre ces objectifs.

      Cette contribution est double : d’une part, l’actualisation des « Visions énergétiques » de l’ADEME, qui souligne l’enjeu que représente l’atteinte des objectifs ambitieux inscrits dans la loi, et d’autre part, l’étude « Propositions de mesures de politiques publiques pour un scénario bas carbone », qui propose une liste de mesures concrètes à mettre en oeuvre.

      https://www.ademe.fr/recherche-innovation/construire-visions-prospectives/scenarios-2030-2050-vision-energetique-volontariste

    • En #Géorgie, la révolte de la “capitale du #manganèse” contre une exploitation hors de contrôle

      Le développement de technologies comme les voitures électriques a fait grimper la demande de manganèse. À #Tchiatoura, où cette ressource est abondante, on en paie les conséquences : excavations à tout-va, paysage saccagé, maisons qui s’effondrent, et main-d’œuvre mal payée.

      La grogne sociale monte depuis 2019 dans le district de Tchiatoura, ancienne “capitale” soviétique de la production de manganèse. Depuis trois mois, 3 500 mineurs sont en #grève pour réclamer la hausse de leurs salaires (qui ne dépassent pas 250 euros) et une meilleure assurance maladie. À la mi-mai, quelques mineurs du village de #Choukrouti, près de Tchiatoura, se sont cousus la bouche et ont entamé une #grève_de_la_faim, rapporte le site géorgien Ambebi.

      Face au silence des autorités locales et nationales, depuis le 31 mai, dix familles font un sit-in devant l’ambassade des États-Unis (la puissance occidentale la plus influente en Géorgie), à Tbilissi, la capitale. “Les gens réclament des compensations pour leur maison et demandent l’aide des diplomates étrangers”, pour rappeler à l’ordre la compagnie privée #Georgian_Manganese, filiale géorgienne de la société britannique #Stemcor, explique le site Ekho Kavkaza.

      Les habitants protestent contre les dégâts écologiques, économiques et culturels causés par une extraction intensive à ciel ouvert du manganèse. Utilisé dans la fabrication de l’acier, la demande pour ce métal est en forte croissance, notamment pour les besoins de l’industrie des véhicules électriques, des piles, des batteries et circuits électroniques.

      #paywall

      https://www.courrierinternational.com/article/degats-en-georgie-la-revolte-de-la-capitale-du-manganese-cont

    • En #Géorgie, la révolte de la “capitale du #manganèse” contre une exploitation hors de contrôle

      Le développement de technologies comme les voitures électriques a fait grimper la demande de manganèse. À #Tchiatoura, où cette ressource est abondante, on en paie les conséquences : excavations à tout-va, paysage saccagé, maisons qui s’effondrent, et main-d’œuvre mal payée.

      La grogne sociale monte depuis 2019 dans le district de Tchiatoura, ancienne “capitale” soviétique de la production de manganèse. Depuis trois mois, 3 500 mineurs sont en #grève pour réclamer la hausse de leurs salaires (qui ne dépassent pas 250 euros) et une meilleure assurance maladie. À la mi-mai, quelques mineurs du village de #Choukrouti, près de Tchiatoura, se sont cousus la bouche et ont entamé une #grève_de_la_faim, rapporte le site géorgien Ambebi.

      Face au silence des autorités locales et nationales, depuis le 31 mai, dix familles font un sit-in devant l’ambassade des États-Unis (la puissance occidentale la plus influente en Géorgie), à Tbilissi, la capitale. “Les gens réclament des compensations pour leur maison et demandent l’aide des diplomates étrangers”, pour rappeler à l’ordre la compagnie privée #Georgian_Manganese, filiale géorgienne de la société britannique #Stemcor, explique le site Ekho Kavkaza.

      Les habitants protestent contre les dégâts écologiques, économiques et culturels causés par une extraction intensive à ciel ouvert du manganèse. Utilisé dans la fabrication de l’acier, la demande pour ce métal est en forte croissance, notamment pour les besoins de l’industrie des véhicules électriques, des piles, des batteries et circuits électroniques.

      #paywall

      https://www.courrierinternational.com/article/degats-en-georgie-la-revolte-de-la-capitale-du-manganese-cont

  • Engie Solutions et le Pays Haut Val d’Alzette signent le premier contrat smart city en péri-urbain
    https://www.environnement-magazine.fr/territoires/article/2021/01/28/132173/engie-solutions-pays-haut-val-alzette-signent-premier-contrat

    Engie Solutions et la communauté de communes Pays Haut Val d’Alzette, en région Grand Est, ont signé le 21 janvier le premier contrat smart city d’un territoire péri-urbain. Un territoire numérique et intelligent au service des habitants... C’est ce que promet le projet phare baptisé Eclor. Le président de la communauté de communes Pays Haut Val d’Alzette (CCPHVA), Patrick Risser, et Marc Chebille, directeur délégué territoire Nord et Est d’Engie Solutions villes et collectivités ont signé le 21 janvier (...)

    #Engie #Two-I #algorithme #CCTV #biométrie #facial #reconnaissance #vidéo-surveillance #masque #surveillance (...)

    ##_

  • La #convention de #mécénat de la licence #BNP de #PSL enfin dévoilée

    Le collectif PSL contre-attaque, formé à l’origine en opposition à l’ouverture du #diplôme « #Sciences_pour_un_monde_durable » en 20191, a obtenu la convention de mécénat liant l’université PSL (#Paris_Sciences_et_Lettres) et la banque #BNP_Paribas, dans le cadre du financement de cette formation niveau #licence.

    Depuis les débuts de cette formation sur le développement durable financée par la BNP Paribas, pollueur de renom, PSL clamait que la convention qui la liait à la BNP était un document confidentiel. La direction de PSL en avait même refusé l’accès aux élu·es du Conseil d’administration ! Après plusieurs demandes restées sans réponse, PSL contre-attaque a saisi la Commission d’accès aux documents administratifs (CADA), qui nous a donné raison. PSL n’avait alors toujours pas communiqué la convention, et le collectif avait donc commencé un recours au tribunal administratif. Finalement, PSL nous a enfin envoyé la convention avec la BNP !

    Voici les éléments saillants de la convention ainsi que les doutes qui subsistent encore.

    • Le mépris du droit. PSL s’engage à être libre de « tout engagement qui l’empêcherait de signer le présent accord », au mépris de la loi qui prévoit que ce genre de document est public.

    • L’obsession de la #confidentialité. Sur les sept pages de la convention, une page complète est dédiée à la confidentialité. On comprend d’ailleurs mieux que PSL rechigne à fournir la convention quand on voit que la BNP se réserve le droit de résilier la convention, et de cesser le paiement en cas de divulgation de la convention !

    • La BNP Paribas ne s’engage à payer que de 2019 à 2024. Que deviendra la licence quand la source de financement s’arrêtera ? De plus, la convention est très peu contraignante pour la BNP, qui peut également rompre ses engagements sans gros dommages.

    • La clause de #protection_de_l’image de la BNP (article 7.3) : PSL s’engage à « ne faire aucune déclaration ni commentaire public susceptible de porter atteinte à l’image ou à la réputation du mécène ». Ce paragraphe très critiqué lors de la première version de la convention est assorti d’une mention qui protège la #liberté_pédagogique. Nous voilà rassuré·es. Néanmoins, prenons le problème autrement : pourquoi PSL accepte-t-elle de se bâillonner ? Comment former correctement au changement climatique sans parler des responsables, qui financent les énergies fossiles depuis des décennies et refusent d’en sortir malgré la catastrophe climatique à venir ?

    • Le « comité de suivi et d’information », comportant des membres de la BNP à 50 %, et dont le rôle est de « garantir les orientations stratégiques du projet ». Face au tollé suscité par l’ingérence de la BNP dans le contenu de la formation, PSL et la BNP se sont payées de mots en assurant que le comité ne jouera pas de rôle pédagogique et académique. Décider des orientations stratégiques d’une licence, sans jouer de rôle académique ou pédagogique, cela ne va pas de soi !

    • Le montant apporté par la BNP n’a pas été communiqué ; cependant, on peut l’estimer à environ 8 millions d’euros sur 5 ans.

    • La présence d’autres mécènes : les informations à disposition sont contradictoires. Dans une interview récente au Monde4, Alain Fuchs, le président de PSL qui a chapeauté la création de cette formation, prétend que d’autres mécènes sont présents (#Foncia et #Engie). Il l’a aussi affirmé en Conseil d’administration de PSL. Cependant, dans un courrier relatif à nos démarches pour accéder aux conventions, #Alain_Fuchs indiquait à propos des #conventions_de_mécénat : « Il n’en existe qu’une à ce jour ». Ces conventions ne nous ont pas été communiquées, alors que la CADA nous a donné raison pour obtenir ces documents s’ils existent.

    Pour la présence d’autres mécènes, comme pour les autres points cités, la direction de PSL donne des informations obscures, tient un double discours et se tient parfois à la limite de la légalité.

    La convention de mécénat peut être consultée dans son intégralité sur ce fil Twitter ou ci-dessous.

    https://academia.hypotheses.org/31013
    #green-washing #BNPSL #privatisation #financement #université #France #facs

  • Juste une feuille d’un media « mainstream » pour entrer en matière. Est-ce que certain·es d’entre vous ont de quoi alimenter le sujet ?

    « Ce n’est juste pas possible » : les salariés d’EDF disent non au plan Hercule | LCI
    https://www.lci.fr/societe/augmentation-du-prix-de-l-electricite-de-la-frequence-des-coupures-et-dumping-so

    Cela fait 18 mois maintenant que les organisations syndicales d’EDF mènent un combat acharné contre le plan Hercule. Demandé par la Commission européenne pour éviter que les aides d’Etat à l’électricien français ne viennent fausser la concurrence, ce dernier prévoit la séparation des activités du groupe public en trois pôles : un « EDF Bleu », qui comprendrait les activités nucléaires et resterait public ; un « EDF Vert » pour les énergies renouvelables, dont 35% seraient cotés en Bourse ; et, une filiale « EDF Azur » qui gérerait l’activité hydroélectrique.

    #électricité #énergie #EDF #Engie #privatisation

    • Hercule : le nouvel accès de folie de Jupiter !
      https://www.youtube.com/watch?v=uz3IWCnVHRY

      J’ai l’impression qu’on a des anarchistes de la concurrence au gouvernement ! Le train roulait, ils l’ont cassé, désorganisé, il y a vingt ans. L’hôpital tournait, ils l’ont broyé, désorganisé, par la réduction des coûts et la concurrence. C’est au tour du service public de l’électricité d’être, aujourd’hui, désorganisé par la concurrence la concurrence...

      Mais même le patronat pourrait se réveiller et dire à la Macronie : « Oh ! Bousiller le pays, ça suffit ! »

      (Je sais : les anarchistes ne veulent pas l’absence d’ordre, mais un ordre sans pouvoir. Tandis qu’aujourd’hui, on a l’inverse : un pouvoir sans ordre.)

    • Bon, c’est très orienté :
      Hercule : un projet de pillage insupportable

      À l’appel des syndicats, les salariés d’EDF se sont massivement mobilisés contre le projet « Hercule ». Ils font bien. De quoi s’agit-il ? Démanteler le géant public français. Il avait été créé en 1946, dans la foulée de la loi de nationalisation de l’énergie. Un projet venu du Conseil National de la Résistance. Le ministre communiste Marcel Paul le portait.

      L’énergie est un secteur stratégique pour la vie d’un pays. La stabilité et la fiabilité de son système d’approvisionnement est une question capitale. L’énergie est un bien commun. Sa gestion publique est primordiale. L’urgence écologique implique de garder la maîtrise de toute la chaîne de production et de distribution. Autrement, il sera impossible de planifier sur le long-terme la bifurcation. Un pôle public de l’énergie est donc nécessaire. Quoi que décide aujourd’hui Macron, nous reconstituerons le pôle public le moment venu. Et sur ce dossier comme sur d’autres une enquête approfondie permettra d’établir la responsabilité de chaque personne ayant participé au pillage du domaine public.

      La situation est grave. Le projet « Hercule » porterait le coup fatal à EDF. Il est l’aboutissement d’un plan de la Commission européenne ourdi de longue date. Obsédée par la concurrence, aiguillonnée par les lobbies, celle-ci s’emploie à déréguler le secteur de l’énergie française depuis de longues années. Il y a encore vingt ans, EDF était en situation de monopole sur toute la chaîne de l’électricité française. Mais la Commission européenne n’est pas seule fautive. Les gouvernements successifs, de droite et socio-libéraux ont empilé les lois pour casser ce monopole public. Depuis le début, leur but est de permettre l’émergence d’acteurs privés. C’est toujours le même mythe : là où l’État se retire, le marché fait pousser cent fleurs odorantes, efficaces et compétitives. Naturellement c’est une vue de l’esprit. Surtout en France où le capitalisme national est très faible et peu audacieux. À quelques exceptions près il s’agit d’un capitalisme parasitaire de l’État et souvent purement tributaire.

      En tous cas le zèle et l’activisme ont été au rendez-vous de tous les gouvernements. En 2004, les entités EDF et GDF sont séparées et deviennent des sociétés anonymes. Deux ans plus tard, GDF est privatisée par sa fusion avec Suez. En 2007, le secteur du gaz et de l’électricité est entièrement ouvert à la concurrence. En 2011, le gouvernement Fillon vote la loi sur la Nouvelle Organisation du Marché de l’Électricité (NOME). Cette loi introduit un mécanisme complexe : l’Accès régulé à l’électricité nucléaire historique (Arenh). Celui-ci impose à EDF de revendre à prix coûtant 25% de sa production d’électricité à ses concurrents privés. Le mécanisme arrive à échéance en 2025. La Commission européenne fait pression pour permettre ensuite à l’ensemble des fournisseurs d’accéder à 100 % de la production nucléaire d’EDF à un prix de vente régulé par les pouvoirs publics.

      Les libéraux sont actuellement pris au piège de leurs propres obsessions. D’un côté, ils s’entêtent dans l’obsession idéologique d’ouverture à la concurrence. Elle était censée faire baisser les prix. Cela ne s’est jamais vérifié. Au contraire, le prix de l’électricité a depuis augmenté de 50%. Mais l’introduction du mécanisme de l’Arenh a fait perdre de nombreux clients à EDF. De l’autre, les libéraux tentent quoiqu’il en coûte de sauver le soldat nucléaire. Les problèmes sont majeurs et multiples. EDF est accablé d’une dette de près de 60 milliards d’euros dont la moitié résulte du fiasco des EPR. Six nouveaux réacteurs sont en projet pour la modique somme de 46 milliards d’euros. Opérer le grand carénage des centrales pour prolonger leur utilisation va coûter au moins 100 milliards d’euros dans les 15 ans à venir. Et il faut également investir massivement dans les énergies renouvelables pour atteindre les objectifs fixés.

      Comment faire ? Les libéraux appliquent toujours la même recette : socialiser les pertes, privatiser les profits. Le projet « Hercule » n’y échappe pas. Il vise à scinder EDF en plusieurs parties : les dettes d’un côté et les profits de l’autre. La SNCF a par exemple a déjà fait les frais de cette méthode. Concernant l’énergie, le projet est le suivant. Un EDF « bleu » 100% à la charge de l’État contiendrait le nucléaire. Un EDF « vert » devrait regrouper les activités jugées rentables : les énergies renouvelables, les réseaux de chaleur, la distribution (Enedis, ex- ERDF) et les activités commerciales. Il serait dans un premier temps ouvert à des investisseurs privés à hauteur de 35 %. Bien sûr, on sait comment ce genre de manœuvre finit : en privatisation complète de l’entreprise nationale. Cela promet de juteux bénéfices pour les acteurs privés investissant dans ces secteurs.

      Le destin des concessions hydroélectriques n’est pas encore scellé. La Commission européenne somme depuis plusieurs années la France d’ouvrir également ce secteur à la concurrence. En mars 2019, le gouvernement proposait de privatiser 150 barrages. Pourtant, de multiples raisons les rendent stratégiques. Ils ont un rôle d’équilibre dans le système électrique. Leur place est cruciale aussi dans la gestion de la ressource en eau. La sûreté est aussi un enjeu. Une gestion privée serait catastrophique. La Commission européenne revient à la charge dans le projet Hercule. Elle veut ajouter une troisième filiale dite « Azur » sous la forme d’une holding indépendante pour contenir spécifiquement les barrages. C’est la porte ouverte à la privatisation. Les barrages sont une poule aux œufs d’or pour le secteur privé. Leur sort est sans aucun doute au cœur des négociations en cours. Les macronistes souhaitent une hausse du prix du nucléaire pour couvrir les coûts des centrales. Vont-ils se servir des barrages comme d’une monnaie d’échange dans les négociations avec la Commission ? Il semble que oui. Le pire est à craindre.

      https://melenchon.fr/2020/12/12/hercule-un-projet-de-pillage-insupportable

    • Qui veut la mort d’EDF ? Bruxelles et Paris à la manœuvre
      Dossier avec de nombreux liens.
      https://www.monde-diplomatique.fr/2021/02/DEBREGEAS/62795

      Plus que jamais, la menace du dérèglement climatique commande d’investir dans l’efficacité énergétique et le renouvelable. Mais, à Paris et à Bruxelles, la priorité reste de démanteler le service public. Dernier avatar d’une obstination à favoriser artificiellement les prestataires privés dans la fourniture d’électricité, le projet #Hercule cristallise les inquiétudes.

      http://www.sudenergie.org/site/wp-content/uploads/2020/12/2020-12-Rapport_Hercule-et-Liberalisation-txt-SUD-ENERGIE.pdf
      https://www.lefigaro.fr/societes/pourquoi-edf-perd-pres-de-100-000-clients-par-mois-20201216

  • Marseille
    https://technopolice.fr/marseille

    Observatoire de la tranquillité publique En décembre 2017, la mairie de Marseille a annoncé le début du déploiement de son « Observatoire Big Data de la tranquillité publique » à l’issue d’un appel d’offre remporté par l’entreprise Engie Inéo, leader du marché de la vidéosurveillance. Le projet marseillais promet une vaste plateforme d’intégration basée « sur les méthodes de Big Data » et de « machine learning », capable d’« analyser ce qui s’est passé (hier) », d’« apprécier la situation actuelle » (...)

    #Engie #algorithme #CCTV #smartphone #SmartCity #données #vidéo-surveillance #surveillance #Technopolice (...)

    ##LaQuadratureduNet

  • Chez Engie, polémique autour d’une application « anti-Covid » destinée à ses salariés
    https://www.lemonde.fr/emploi/article/2020/07/14/chez-engie-polemique-autour-d-une-application-anti-covid_6046118_1698637.htm

    Le fournisseur d’énergie envisage le déploiement d’une application recueillant les données de santé de ses employés. Une étude d’impact mentionne qu’elle pourrait être imposée aux collaborateurs. Alors que le risque d’une résurgence de la pandémie occupe tous les esprits, certains employeurs ont recours à des dispositifs qui promettent d’évaluer en quelques secondes l’état de santé des collaborateurs, afin de limiter les risques de contagion sur leur site. Mais le déploiement de telles solutions, qui mettent (...)

    #Engie #algorithme #contactTracing #consentement #[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données_(RGPD)[en]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR)[nl]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR) #COVID-19 #santé #travail (...)

    ##[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données__RGPD_[en]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_[nl]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_ ##santé ##QRcode

  • Peur sur la ville : le marché des « safe cities »
    https://theconversation.com/peur-sur-la-ville-le-marche-des-safe-cities-138313

    À Nice, Marseille, Saint-Étienne ou encore Valenciennes, se développent des projets de « safe city », pendant sécuritaire de la « smart city ». Ce terme désigne des dispositifs numériques destinés à lutter contre les dangers de l’espace urbain : vidéosurveillance « intelligente », où l’analyse d’image s’appuie sur des algorithmes de détection de mouvements de foule, de violences, d’intrusion ; des plates-formes dites d’hypervision, comme à Dijon, permettant de gérer ensemble différents services municipaux dont (...)

    #Engie #Atos #Gemalto #Ring #Thalès #Airbnb #Amazon #Uber #algorithme #CCTV #smartphone #SmartCity #sonnette #biométrie #biopolitique #police #facial #métadonnées #reconnaissance #vidéo-surveillance #violence #BigData #mouvement #surveillance (...)

    ##LaQuadratureduNet

  • Marseille’s fight against AI surveillance - Coda Story
    https://www.codastory.com/authoritarian-tech/ai-surveillance-france-crime

    The southern French city, once synonymous with urban crime, now encapsulates the spread of AI surveillance driven by Chinese companies In 2016, Netflix launched its first European production – a twisty political drama titled “Marseille.” Set in the historic port city, the series starred Gerard Depardieu and was supposed to be France’s answer to the hit U.S. TV show House of Cards. Instead ‘Marseille’ was widely panned for amplifying stereotypes about the city and reheating its former notoriety (...)

    #Engie #Huawei #ZTE #algorithme #backdoor #CCTV #Predpol #SmartCity #biométrie #criminalité #émotions #facial #prédiction #reconnaissance #vidéo-surveillance #BigData #surveillance #discrimination #LaQuadratureduNet (...)

    ##criminalité ##LDH-France

  • Linky : charge de la Cnil contre EDF et Engie
    https://www.linformaticien.com/actualites/id/53801/linky-charge-de-la-cnil-contre-edf-et-engie.aspx

    Le gendarme des données personnelles vient d’annoncer la mise en demeure d’EDF et d’Engie, en leur qualité de fournisseurs d’électricité exploitant les compteurs connectés Linky. La Cnil leur reproche un défaut de recueil du consentement éclairé et spécifique et des durées de conservation des données trop longues.
    […]
    Pas assez éclairé…
    A commencer par le consentement des usagers. Si EDF comme Engie demandent effectivement à leurs usagers s’ils acceptent la collecte de leurs données, ce consentement n’est ni spécifique, ni suffisamment éclairé. En effet, une seule case à cocher pour deux voire trois finalités distinctes : affichage des consommations quotidiennes, affichage des consommations à la demi-heure et fourniture de conseils personnalisés.

    Je suis très vénère !
    J’avais spécifiquement signalé ce point à la CNIL au printemps 2016, ainsi que l’absence totale d’information (d’éclairage…) sur les conséquences de la non acceptation : quelles données étaient transmises et à quel pas de temps.

    Elle ne m’a même pas accusé réception de mon message.

  • Linky : la CNIL somme EDF et Engie de se mettre en conformité avec le RGPD - ZDNet
    https://www.zdnet.fr/actualites/linky-la-cnil-somme-edf-et-engie-de-se-mettre-en-conformite-avec-le-rgpd-39898

    Technologie : La CNIL a adressé une mise en demeure à Engie et EDF pour non-respect des conditions de recueil du consentement des utilisateurs de compteurs Linky. Les deux fournisseurs ont désormais trois mois pour se mettre dans les clous du RGPD. La CNIL passe la seconde dans l’épineux dossier Linky. Le gendarme des données personnelles a annoncé ce mardi avoir mis en demeure EDF et Engie pour non-respect de certaines conditions de recueil du consentement concernant les données des compteurs (...)

    #Engie #EDF_ #Linky #consentement #data #CNIL

  • Reconnaissance faciale en temps réel : « Nous ne voulons pas l’encadrer, nous voulons l’interdire »
    https://korii.slate.fr/et-caetera/reconnaissance-faciale-temps-reel-cedric-o-quadrature-du-net-interview-m

    Le secrétaire d’État au Numérique veut tester cette technologie contre laquelle la Quadrature du Net milite depuis longtemps. Cédric O, le secrétaire d’État au Numérique, a lâché une bombe au détour d’une interview au Parisien le 24 décembre concernant Alicem, une application d’État permettant de déterminer une identité grâce à la reconnaissance faciale. Il y a confirmé qu’il souhaitait « ouvrir une phase d’expérimentation » de la « reconnaissance faciale en temps réel sur les images de vidéosurveillance ». (...)

    #EngieInéo #Idemia #Thalès #algorithme #Alicem #CCTV #biométrie #[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données_(RGPD)[en]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR)[nl]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR) #facial #législation #reconnaissance #vidéo-surveillance #data (...)

    ##[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données__RGPD_[en]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_[nl]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_ ##discrimination ##surveillance ##TAJ ##TES ##CNIL ##LaQuadratureduNet

  • Comment le gouvernement Macron prépare discrètement la privatisation des grandes infrastructures gazières
    https://www.bastamag.net/privatisations-ADP-Francaise-des-jeux-Engie-GRTgaz-loi-Pacte-gazoducs-port

    Dans la loi Pacte promulguée en mai 2019, il n’y a pas que la privatisation d’Aéroports de Paris et de la Française des jeux. Il y a aussi la sortie programmée de l’État du capital d’Engie et son désengagement de GRTgaz, qui exploite les gazoducs et les terminaux méthaniers français. Qu’en attendre, dans un contexte où les infrastructures gazières sont devenues une affaire de gros sous, dominée par une poignée de géants européens peu connus mais très influents ? Dans la série des privatisations à venir, (...) #Décrypter

    / A la une, #Enquêtes, #Capitalisme, #Multinationales, #Finance

    https://www.bastamag.net/IMG/pdf/3_french_tso_web.pdf

    • Collectivement, Snam, Fluxys, Enagás et GRTgaz ont dépensé 900 000 euros en lobbying à Bruxelles en 2018, et rencontré 47 fois les commissaires européens et leurs adjoints entre 2014 et 2019. À quoi s’ajoutent les structures de lobbying qu’ils ont créé conjointement comme l’alliance « Gas for Climate », Gas Infrastructure Europe, le groupe European Network of Transmission System Operators – Gas (ENTSO-G) et quelques autres. Au total, une puissance de feu cumulée de 2,2 millions d’euros. Leurs discours présentant le gaz naturel fossile comme une énergie de « transition » étant de moins en moins crédibles, ils ont tendance aujourd’hui à insister davantage sur les perspectives du « gaz vert ». Le terme est utilisé pour désigner un ensemble de technologies pas toutes très écologiques et qui, en tout état de cause, ne représentent aujourd’hui qu’une fraction infime du gaz que transportent leurs tuyaux. En attendant, le gaz fossile venu de Russie, du Texas, d’Algérie ou du Nigeria continuera de couler à flots, avec les émissions de gaz à effet de serre massives que cela implique.

      #privatisation #gaz #lobbying #green_washing #gazoduc #GRTgaz #Engie

  • Les éoliennes d’engie et des autres, ça tue les Chauves-Souris !

    Eoliennes : engie teste un système de protection des chauves-souris - Hanna Schevenels (St.) - 16 Juillet 2019 - RTBF
    https://www.rtbf.be/info/regions/liege/detail_eoliennes-engie-teste-un-systeme-de-protection-des-chauves-souris?id=102

    Engie vient d’installer un système de protection des chauves-souris sur une de ses éoliennes. Il s’agit d’un test qui a lieu dans le parc éolien de la commune de Modave, à Liège. Le principe : dissuader les chauves-souris d’aller à la rencontre des éoliennes grâce à des ultra-sons

    Dans le parc éolien de Modave, une des cinq éoliennes se démarque des autres. À son sommet, on aperçoit cinq haut-parleurs à ultra-sons très puissants, un micro et des caméras infrarouges. Le but de ces toutes nouvelles installations : repousser les chauves-souris. Il s’agit d’un système déjà utilisé aux États-Unis, mais du tout premier test de ce genre en Europe.

    Dégageant de la chaleur, les éoliennes attirent des insectes, mets de choix des chiroptères. Les parcs éoliens deviennent donc de véritables territoires de chasse pour ces derniers. Le risque d’incident est alors élevé : les chauves-souris peuvent se faire percuter par les pales des éoliennes ou se faire prendre dans des turbulences produites par les vents puissants. En plus d’être des espèces protégées, les chauves-souris se révèlent d’un grand intérêt biologique. Selon Loïc Biot, chef de projet du parc éolien de Modave, il convient donc de les préserver.

    Le système de protection actuel, installé sur l’ensemble des parcs, n’est pas adapté. Il prévoit un arrêt des éoliennes à titre préventif durant certaines périodes où les chauves-souris sont particulièrement actives. Cette solution n’est pas efficace : “Parfois nous arrêtons les éoliennes quand il n’y a pas de chauves-souris. Et parfois il y a des chauves-souris et le parc n’est pas arrêté”, explique Loïc Biot. Ce n’est pas idéal, tant au niveau de la protection des chauves-souris que de la production d’énergie verte. “L’objectif du nouveau système mis en place est donc de gérer l’arrêt des éoliennes d’une manière plus dynamique, et qui se base sur la présence réelle des chauves-souris” poursuit le chef de projet. 

    La nouvelle installation repose sur deux systèmes : la détection des chiroptères par des caméras infrarouges et des micros, et leur effarouchement par des infra-sons. Ces infra-sons forment un bouclier sonore qui les repoussent. Le système se révèle ainsi à la fois positif pour la protection des chauves-souris, mais aussi pour la production d’énergie verte. Les éoliennes ne seront en effet mises à l’arrêt que si c’est réellement nécessaire, ce qui devraient augmenter la production.

    Toujours en phase de test, le nouveau système de protection n’a pas encore fait ses preuves. En octobre, en fonction des résultats, Engie prendra la décision d’étendre, ou non, son système d’ultra-sons sur l’ensemble de ses éoliennes.

    #engie et les autres #chauves-souris #moustiques #écologie #chiroptère #pipistrelle #énergie #éoliennes #électricité #éolien #énergie_éolienne #énergie_renouvelable

  • Un #barrage suisse sème le chaos en #Birmanie

    L’#Upper_Yeywa, un ouvrage hydroélectrique construit par le bureau d’ingénierie vaudois #Stucky, va noyer un village dont les habitants n’ont nulle part où aller. Il favorise aussi les exactions par l’armée. Reportage.

    Le village de #Ta_Long apparaît au détour de la route en gravier qui serpente au milieu des champs de maïs et des collines de terre rouge, donnant à ce paysage un air de Toscane des tropiques. Ses petites demeures en bambou sont encaissées au fond d’un vallon. Les villageois nous attendent dans la maison en bois sur pilotis qui leur sert de monastère bouddhiste et de salle communale. Nous sommes en terre #Shan, une ethnie minoritaire qui domine cette région montagneuse dans le nord-est de la Birmanie.

    « Je préférerais mourir que de partir, lance en guise de préambule Pu Kyung Num, un vieil homme aux bras recouverts de tatouages à l’encre bleue. Je suis né ici et nos ancêtres occupent ces terres depuis plus d’un millénaire. » Mais Ta Long ne sera bientôt plus.

    Un barrage hydroélectrique appelé Upper Yeywa est en cours de construction par un consortium comprenant des groupes chinois et le bureau d’ingénierie vaudois Stucky à une vingtaine de kilomètres au sud-ouest, sur la rivière #Namtu. Lors de sa mise en service, prévue pour 2021, toutes les terres situées à moins de 395 mètres d’altitude seront inondées. Ta Long, qui se trouve à 380 mètres, sera entièrement recouvert par un réservoir d’une soixantaine de kilomètres.

    « La construction du barrage a débuté en 2008 mais personne ne nous a rien dit jusqu’en 2014, s’emporte Nang Lao Kham, une dame vêtue d’un longyi, la pièce d’étoffe portée à la taille, à carreaux rose et bleu. Nous n’avons pas été consultés, ni même informés de son existence. » Ce n’est que six ans après le début des travaux que les villageois ont été convoqués dans la ville voisine de #Kyaukme par le Ministère de l’électricité. On leur apprend alors qu’ils devront bientôt partir.

    Pas de #titres_de_propriété

    En Birmanie, toutes les #terres pour lesquelles il n’existe pas de titres de propriété – ainsi que les ressources naturelles qu’elles abritent – appartiennent au gouvernement central. Dans les campagnes birmanes, où la propriété est communautaire, personne ne possède ces documents. « Nous ne quitterons jamais notre village, assure Nang Lao Kham, en mâchouillant une graine de tournesol. Nous sommes de simples paysans sans éducation. Nous ne savons rien faire d’autre que cultiver nos terres. »

    Le gouvernement ne leur a pas proposé d’alternative viable. « Une brochure d’information publiée il y a quelques années parlait de les reloger à trois kilomètres du village actuel, mais ce site est déjà occupé par d’autres paysans », détaille Thum Ai, du Shan Farmer’s Network, une ONG locale. Le montant de la compensation n’a jamais été articulé. Ailleurs dans le pays, les paysans chassés de leurs terres pour faire de la place à un projet d’infrastructure ont reçu entre six et douze mois de salaire. Certains rien du tout.

    Ta Long compte 653 habitants et 315 hectares de terres arables. Pour atteindre leurs vergers, situés le long de la rivière Namtu, les villageois empruntent de longues pirogues en bois. « La terre est extrêmement fertile ici, grâce aux sédiments apportés par le fleuve », glisse Kham Lao en plaçant des oranges et des pomélos dans un panier en osier.

    Les #agrumes de Ta Long sont connus loin à la ronde. « Mes fruits me rapportent 10 800 dollars par an », raconte-t-elle. Bien au-delà des maigres 3000 dollars amassés par les cultivateurs de riz des plaines centrales. « Depuis que j’ai appris l’existence du barrage, je ne dors plus la nuit, poursuit cette femme de 30 ans qui est enceinte de son troisième enfant. Comment vais-je subvenir aux besoins de mes parents et payer l’éducation de mes enfants sans mes #vergers ? »

    Cinq barrages de la puissance de la Grande Dixence

    La rivière Namtu puise ses origines dans les #montagnes du nord de l’Etat de Shan avant de rejoindre le fleuve Irrawaddy et de se jeter dans la baie du Bengale. Outre l’Upper Yeywa, trois autres barrages sont prévus sur ce cours d’eau. Un autre, le Yeywa a été inauguré en 2010. Ces cinq barrages auront une capacité de près de 2000 mégawatts, l’équivalent de la Grande Dixence.

    Ce projet s’inscrit dans le cadre d’un plan qui a pour but de construire 50 barrages sur l’ensemble du territoire birman à l’horizon 2035. Cela fera passer les capacités hydroélectriques du pays de 3298 à 45 412 mégawatts, selon un rapport de l’International Finance Corporation. Les besoins sont immenses : seulement 40% de la population est connectée au réseau électrique.

    L’Etat y voit aussi une source de revenus. « Une bonne partie de l’électricité produite par ces barrages est destinée à être exportée vers les pays voisins, en premier lieu la #Chine et la #Thaïlande, note Mark Farmaner, le fondateur de Burma Campaign UK. Les populations locales n’en bénéficieront que très peu. » Près de 90% des 6000 mégawatts générés par le projet Myitsone dans l’Etat voisin du Kachin, suspendu depuis 2011 en raison de l’opposition de la population, iront à la province chinoise du Yunnan.

    Les plans de la Chine

    L’Upper Yeywa connaîtra sans doute un sort similaire. « Le barrage est relativement proche de la frontière chinoise, note Charm Tong, de la Shan Human Rights Foundation. Y exporter son électricité représenterait un débouché naturel. » L’Etat de Shan se trouve en effet sur le tracé du corridor économique que Pékin cherche à bâtir à travers la Birmanie, entre le Yunnan et la baie du Bengale, dans le cadre de son projet « #Belt_&_Road ».

    Le barrage Upper Yeywa y est affilié. Il compte deux entreprises chinoises parmi ses constructeurs, #Yunnan_Machinery Import & Export et #Zhejiang_Orient_Engineering. Le suisse Stucky œuvre à leurs côtés. Fondé en 1926 par l’ingénieur Alfred Stucky, ce bureau installé à Renens est spécialisé dans la conception de barrages.

    Il a notamment contribué à l’ouvrage turc #Deriner, l’un des plus élevés du monde. Il a aussi pris part à des projets en #Angola, en #Iran, en #Arabie_saoudite et en #République_démocratique_du_Congo. Depuis 2013, il appartient au groupe bâlois #Gruner.

    Le chantier du barrage, désormais à moitié achevé, occupe les berges escarpées de la rivière. Elles ont été drapées d’une coque de béton afin d’éviter les éboulements. De loin, on dirait que la #montagne a été grossièrement taillée à la hache. L’ouvrage, qui fera entre 97 et 102 mètres, aura une capacité de 320 mégawatts.

    Son #coût n’a pas été rendu public. « Mais rien que ces deux dernières années, le gouvernement lui a alloué 7,4 milliards de kyats (5 millions de francs) », indique Htun Nyan, un parlementaire local affilié au NLD, le parti au pouvoir de l’ancienne Prix Nobel de la paix Aung San Suu Kyi. Une partie de ces fonds proviennent d’un prêt chinois octroyé par #Exim_Bank, un établissement qui finance la plupart des projets liés à « Belt & Road ».

    Zone de conflit

    Pour atteindre le hameau de #Nawng_Kwang, à une vingtaine de kilomètres au nord du barrage, il faut emprunter un chemin de terre cabossé qui traverse une forêt de teck. Cinq hommes portant des kalachnikovs barrent soudain la route. Cette région se trouve au cœur d’une zone de #conflit entre #milices ethniques.

    Les combats opposent le #Restoration_Council_of_Shan_State (#RCSS), affilié à l’#armée depuis la conclusion d’un cessez-le-feu, et le #Shan_State_Progress_Party (#SSPP), proche de Pékin. Nos hommes font partie du RCSS. Ils fouillent la voiture, puis nous laissent passer.

    Nam Kham Sar, une jeune femme de 27 ans aux joues recouvertes de thanaka, une pâte jaune que les Birmans portent pour se protéger du soleil, nous attend à Nawng Kwang. Elle a perdu son mari Ar Kyit en mai 2016. « Il a été blessé au cou par des miliciens alors qu’il ramenait ses buffles », relate-t-elle. Son frère et son cousin sont venus le chercher, mais les trois hommes ont été interceptés par des soldats de l’armée régulière.

    « Ils ont dû porter l’eau et les sacs à dos des militaires durant plusieurs jours, relate-t-elle. Puis, ils ont été interrogés et torturés à mort. » Leurs corps ont été brûlés. « Mon fils avait à peine 10 mois lorsque son papa a été tué », soupire Nam Kham Sar, une larme coulant le long de sa joue.

    Vider les campagnes ?

    La plupart des hameaux alentour subissent régulièrement ce genre d’assaut. En mai 2016, cinq hommes ont été tués par des soldats dans le village voisin de Wo Long. L’armée a aussi brûlé des maisons, pillé des vivres et bombardé des paysans depuis un hélicoptère. En août 2018, des villageois ont été battus et enfermés dans un enclos durant plusieurs jours sans vivres ; d’autres ont servi de boucliers humains aux troupes pour repérer les mines.

    Les résidents en sont convaincus : il s’agit d’opérations de #nettoyage destinées à #vider_les_campagnes pour faire de la place au barrage. « Ces décès ne sont pas des accidents, assure Tun Win, un parlementaire local. L’armée cherche à intimider les paysans. » Une trentaine de militaires sont stationnés en permanence sur une colline surplombant le barrage, afin de le protéger. En mars 2018, ils ont abattu deux hommes circulant à moto.

    Dans la population, la colère gronde. Plusieurs milliers de manifestants sont descendus dans la rue à plusieurs reprises à #Hsipaw, la ville la plus proche du barrage. Les habitants de Ta Long ont aussi écrit une lettre à la première ministre Aung San Suu Kyi, restée sans réponse. En décembre, une délégation de villageois s’est rendue à Yangon. Ils ont délivré une lettre à sept ambassades, dont celle de Suisse, pour dénoncer le barrage.

    « L’#hypocrisie de la Suisse »

    Contacté, l’ambassadeur helvétique Tim Enderlin affirme n’avoir jamais reçu la missive. « Cette affaire concerne une entreprise privée », dit-il, tout en précisant que « l’ambassade encourage les entreprises suisses en Birmanie à adopter un comportement responsable, surtout dans les zones de conflit ».

    La Shan Human Rights Foundation dénonce toutefois « l’hypocrisie de la Suisse qui soutient le #processus_de_paix en Birmanie mais dont les entreprises nouent des partenariats opportunistes avec le gouvernement pour profiter des ressources situées dans des zones de guerre ».

    La conseillère nationale socialiste Laurence Fehlmann Rielle, qui préside l’Association Suisse-Birmanie, rappelle que l’#initiative_pour_des_multinationales_responsables, sur laquelle le Conseil national se penchera jeudi prochain, « introduirait des obligations en matière de respect des droits de l’homme pour les firmes suisses ». Mardi, elle posera une question au Conseil fédéral concernant l’implication de Stucky dans le barrage Upper Yeywa.

    Contactée, l’entreprise n’a pas souhaité s’exprimer. D’autres sociétés se montrent plus prudentes quant à leur image. Fin janvier, le bureau d’ingénierie allemand #Lahmeyer, qui appartient au belge #Engie-Tractebel, a annoncé qu’il se retirait du projet et avait « rompu le contrat » le liant au groupe vaudois.

    https://www.letemps.ch/monde/un-barrage-suisse-seme-chaos-birmanie
    #Suisse #barrage_hydroélectrique #géographie_du_plein #géographie_du_vide #extractivisme
    ping @aude_v @reka

  • « Non, Huawei n’est pas une entreprise comme les autres »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/04/22/non-huawei-n-est-pas-une-entreprise-comme-les-autres_5453414_3232.html

    Le politiste Jonathan Holslag dénonce, dans une tribune au « Monde », les liens historiques entre la firme chinoise de télécoms et le gouvernement de Pékin, principal acteur de sa spectaculaire expansion internationale. « Huawei est un groupe comme les autres, » a déclaré la secrétaire d’Etat chargée des télécoms, Agnès Pannier-Runacher, dans une interview accordée au Monde publiée le 10 avril, ajoutant : « Je suis ravie que Huawei (…) investisse sur notre marché. » N’est-il pas étrange qu’une haute (...)

    #Huawei #spyware #domination #BigData #concurrence

  • Reconnaissance faciale : identifier pour mieux protéger ou pour mieux contrôler ?
    https://www.franceculture.fr/emissions/le-club-de-la-presse-numerique/le-numerique-est-politique-du-dimanche-24-fevrier-2019

    La mairie de Nice teste actuellement un dispositif de reconnaissance faciale sur son carnaval. Quelles potentialités pour ces technologies dont la généralisation semble approcher ? Quels risques en matière de liberté individuelles ? Les dispositifs de reconnaissance faciale vous paraissent peut-être loin et pourtant, cette semaine c’est la région PACA et la ville de Nice qui font l’actualité sur ce sujet. La mairie teste un système de reconnaissance faciale pendant le carnaval auprès de 1000 (...)

    #EngieInéo #Thalès #algorithme #CCTV #Reporty #SmartCity #biométrie #facial #vidéo-surveillance #surveillance #Microsoft (...)

    ##Amazon

  • Migranti, ora il business si chiama detenzione e rimpatrio (e a fare i soldi sono i francesi)

    La prefettura di Milano pubblica i bandi di gara per affidare centri e strutture per migranti e mette nero su bianco una realtà: punita economicamente la piccola accoglienza. Spariti i celebri 35 euro. Ma non per tutti: chi si occupa di centri per i rimpatri, detenzione amministrativa e #hotspot vede.

    È ufficiale: i famosi 35 euro per migrante sono stati cancellati. È finita la mangiatoia, direbbe qualcuno. Ma non per tutti. Si sapeva che sarebbe accaduto. A metterlo nero su bianco è ora la Prefettura di Milano. Prima fra le più grandi città italiane (dietro invece a Udine, Gorizia, Chieti, Biella, Catanzaro e Venezia) a pubblicare i bandi per l’accoglienza dei richiedenti asilo nel 2019 e 2020. Lo ha fatto tenendo conto del #decreto_Salvini e sopratutto del nuovo capitolato d’#appalto stilato dal Dipartimento centrale del ministero dell’Interno.

    Le basi d’asta per i 3.200 posti letto complessivi su Milano e area metropolitana, che vengono messi a gara da oggi fino al 15 marzo, racchiudono i timori che negli scorsi mesi hanno invaso la testa di cooperative, onlus, associazioni e i vari attori dediti all’accoglienza degli stranieri. In sintesi: spariscono corsi di lingua, formazione professionale, accompagnamento all’inserimento sociale o lavorativo, avvocati, psicologi. Vengono tagliati i trasporti. Per le strutture da 50 a 300 posti letto sono previsti 21,90 euro per persona al giorno; per le strutture fino a 50 posti 23 euro, mentre per gli appartamenti 18 euro. «Si punisce qualunque struttura che non sia un mero parcheggio – commenta il giurista Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) – Il messaggio politico che si vuole mandare è chiaro: con queste persone non è necessario parlare, non hanno bisogno di muoversi».

    «Penalizzata l’accoglienza diffusa, il contrario di ciò che andava fatto – gli fa eco Alberto Sinigallia, Presidente di Fondazione Progetto Arca, colosso lombardo e nazionale del terzo settore e dell’accoglienza, che annuncia la dismissione di circa metà dei centri/posti letto e il mancato rinnovo del contratto di lavoro a tempo determinato per 30 operatori a partire da fine aprile su Milano, Varese e Lecco. L’unica logica che ci sta dietro è quella della sicurezza: vogliono tenere le persone nelle grandi strutture, non negli appartamenti e nei paesini, per poterle controllare meglio».

    Per gli ex centri di identificazione ed espulsione (Cie) reintrodotti nel 2017 dal ministro Marco Minniti sono stati estesi i tempi di permanenza fino a 180 giorni. Si chiama detenzione amministrativa: il carcere che non è carcere, dove le persone possono essere trattenute paradossalmente senza le tutele giuridiche dei detenuti

    La “punizione” economica, però, è per molti ma non per tutti. Le uniche strutture per cui i soldi rimangono quasi invariati, se non più alti, sono gli hotspot e #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio (Cpr). Si tratta degli ex centri di identificazione ed espulsione (Cie) reintrodotti nel 2017 dal ministro Marco Minniti. Qui la maggioranza giallo-verde in Parlamento ha esteso, con il decreto Salvini, i tempi di permanenza fino a 180 giorni. Sei mesi. Si chiama detenzione amministrativa: il carcere che non è carcere, dove le persone possono essere trattenute paradossalmente senza le tutele giuridiche dei detenuti e senza aver commesso reati contro persone o cose ma solo in quanto irregolari.

    A Milano apre il Cpr di via Corelli, estrema periferia orientale della città. Dal primo maggio – scrive la prefettura – saranno disponibili 140 posti. Che non vengono pagati 18 euro ciascuno. Ma 32,15 euro, comprensivi del kit di primo ingresso (cuscini, lenzuola etc.) e in qualche caso scheda telefonica da cinque euro, rilasciati una tantum. Altro paradosso: nel Cpr il gestore deve offrire il “servizio di assistenza psicologica” dal momento dell’ingresso e durante la permanenza nel centro e “il sostegno in considerazione della condizione di privazione della libertà”. Lo psicologo c’è quindi in luoghi dove al 99 per cento delle possibilità le persone recluse vengono poi espulse dall’Italia. Non è previsto invece nei centri di accoglienza con donne vittime di stupri in Libia o malati psichiatrici.

    Nei centri di espulsione infati il costo del personale sale a più del doppio di quello per strutture con all’interno richiedenti asilo. Non è tutto: perché i 32,15 euro non sono comprensivi di spese per sicurezza e vigilanza del centro di detenzione. Queste sono conteggiate a parte. Un’altra fetta di torta che andrà quantificata in futuro. Va ancora meglio a chi dovrà decidere di gestire gli hotspot, cioè dove vengono collocati i migranti appena sbarcati. Non riguarda Milano ma molte aree del sud Italia: si arriva fino a 41,83 euro giornalieri, recitano le tabelle ministeriali, se si ha la fortuna di avere meno di 50 persone all’interno. Le cifre scendono all’aumentare delle presenze, per le economie di scala, fino a 29,63 euro quando si hanno in carico fra 301 e i 600 migranti.

    Chi li prende i Cpr in Italia? Quello di Milano muoverà un giro d’affari da 3,9 milioni di euro, ma questi sono luoghi complicati: molte persone all’interno, arrabbiate, tanto che via Corelli venne chiuso come Cie nel 2014 per le rivolte e gli incendi appiccati dai reclusi in protesta. Avvengono suicidi e atti di autolesionismo. Realtà come Caritas e similari non li gestiscono, e mai si candiderebbero a farlo per ragioni etiche oltre che organizzative. Le piccole cooperative non hanno gli strumenti per prenderli in mano, anche ci fosse la volontà.

    L’unica logica che ci sta dietro è quella della sicurezza: vogliono tenere le persone nelle grandi strutture, non negli appartamenti e nei paesini, per poterle controllare meglio

    I Cpr vengono messi a bando, certo, ma “il business della detenzione amministrativa” nella penisola è stato più simile a un monopolio di fatto. Così a giungere in soccorso dell’Italia è stata in questi anni una società francese. Si chiama #Gepsa, multinazionale del gruppo #Engie – la ex #Gdf_Suez che con le sue società controllate si occupa di energia, gas, rinnovabili, ingegneria, infrastrutture – e che tramite #Gepsa_Oltralpe è specializzata in gestione e logistica di carceri e strutture detentive. Ha in mano 16 prigioni transalpine e presta i suoi servizi in dieci centri di detenzione amministrativa. Suo è anche il Cpr di Corso Brunelleschi a Torino, dopo aver avuto per anni tra le mani quello di Ponte Galeria, a Roma, Brindisi e numerosi altri centri.

    Per il capoluogo piemontese, alla gara d’appalto di settembre 2014, Gepsa si presentò come mandatario in un raggruppamento temporaneo d’impresa con l’associazione culturale Acuarinto come mandante, una realtà del terzo settore di Agrigento che da 26 anni lavora in sei diverse regioni d’Italia. Questi ultimi gestivano la mediazione culturale e quei servizi che devono esserci anche in un carcere che non è carcere. A Gepsa invece va in mano la sicurezza e la logistica. Furono gli unici a partecipare, offrendo il prezzo di 37,86 euro giornalieri più Iva a persona trattenuta, su una base d’asta di 40 euro con procedura al ribasso. Così si è aggiudicata la gestione del centro. E proprio da Torino è arrivato tre mesi fa a Milano il prefetto Renato Saccone, insediatosi in corso Monforte a novembre 2018.

    Potrebbero non avere vita facile a questa tornata i francesi. Perché gli affari dietro rimpatri e espulsioni ora fanno gola a molti. La gara milanese è europea, la concorrenza pure. Un lungo dossier di articoli pubblicato da Valori, testata giornalistica di Fondazione Finanza Etica, prova a raccontare le conseguenze economiche del decreto Salvini e delle politiche migratorie sovraniste. A chi fanno gola i nuovi affari? Ad esempio c’è la svizzera #ORS – ipotizza Valori – con il suo giro di fondi di investimento da tutto il mondo che conducono dritti nel cuore della City di Londra e al mondo dell’alta finanza. Proprio il 25 luglio scorso ORS ha deciso di registrare la propria filiale italiana alla Camera di Commercio di Roma, nelle settimane in cui il governo dell’Austria, dove la società operava da anni con un vasto mercato, annuncia di cambiare rotta per chiudere il sistema degli appalti privati e dare il là a una nuova agenzia pubblica per l’assistenza ai rifugiati. È solo un esempio. Se ne vedranno altri. Perché gli affari, come la natura, detestano il vuoto e non guardano al colore della pelle.

    https://www.linkiesta.it/it/article/2019/02/14/migranti-ora-il-business-si-chiama-detenzione-e-rimpatrio-e-a-fare-i-s/41082
    #business #rétention #détention_administrative #asile #migrations #réfugiés #Italie #renvois #expulsions #CIE #Milan #accueil_diffus #décret_salvini #decreto_sicurezza #privatisation #multinationales

  • Nucléaire : L’impressionnante dégradation du béton de Doel 3 RTBF avec L. Dendooven - 28 Septembre 2018
    https://www.rtbf.be/info/economie/detail_l-impressionnante-degradation-du-beton-de-doel-3-photos?id=10031387

    L’état d’un des bunkers de Doel 3 en septembre 2017 - © Tous droits réservés

    Des morceaux de béton qui jonchent le sol, clairement tombés du plafond, des barres en acier complètement à découvert et visiblement corrodées, c’est ce qu’on découvre sur des photos impressionnantes prises sur le site de Doel 3 et datant de septembre 2017 quand le réacteur est arrêté suite à cette « découverte ».


    Le béton dégradé à Doel 3 en septembre 2017 - © Tous droits réservés


    Le béton dégradé à Doel 3 en septembre 2017 - © Tous droits réservés


    Le béton dégradé à Doel 3 en septembre 2017 - © Tous droits réservés

    Déjà en novembre 2016
    Mais dès novembre 2016, nous avons pu nous procurer des photos tout aussi inquiétantes déjà prises sur place, de quoi corroborer l’hypothèse selon laquelle ces problèmes ne sont pas neufs. D’après un collaborateur d’Engie Electrabel souhaitant rester anonyme et appuyé par deux autres sources : ces problèmes seraient d’ailleurs connus depuis les années 90. https://www.rtbf.be/info/economie/detail_engie-electrabel-a-laisse-ses-centrales-nucleaires-se-degrader-selon-un-


    Le béton déjà attaqué en 2016 - © Tous droits réservés


    Le béton déjà attaqué en 2016 - © Tous droits réservés

    Ce n’est pourtant qu’en 2017 qu’Engie-Electrabel a décidé de reconstruire une nouvelle couverture de béton. L’exploitant des centrales nucléaires belges persiste encore à affirmer que tout a été géré en bon père de famille : « Nous avons par le passé procédé à des réparations quand cela était nécessaire, nous entretenons nos centrales de façon régulière ».
    . . . . . .
    aujourd’hui, patatras : Engie constate aussi une dégradation du béton pour Tihange 2, Tihange 3 et Doel 4. Résultat Tihange 2 et 3 resteront fermés tout l’hiver et Doel 4 en principe jusqu’en décembre.

    . . . . .

    #Nucléaire #Doel #Engie #Tihange #entretien #béton #Belgique #Anvers #énergie#énergie_nucléaire #centrale_nucléaire

  • Chili con carbon - CQFD, mensuel de critique et d’expérimentation sociales
    http://cqfd-journal.org/Chili-con-carbon

    Le Chili, cette bande de terre aux climats extrêmes qui s’étire sur 4 300 kilomètres, est un pays isolé par des frontières naturelles. « Une île sur le continent sud-américain », comme s’amusent à dire les Chiliens. Au nord, c’est le désert d’Atacama, qui sépare le pays du Pérou et de la Bolivie. C’est dans cette zone la plus aride du monde que les habitants de Mejillones et Tocopilla ont vu s’installer au pied de leurs maisons des zones industrielles.

    Engie [1], la multinationale française de l’énergie, y exploite en effet des centrales à charbon – depuis 1995 à Mejillones et depuis 1915 à Tocopilla. Elle participe ainsi à transformer ces ports de pêche traditionnels en zones industrielles très polluées, appelées communément au Chili des « zones sacrifiées ». Dans l’indifférence

    #Chili #Charbon #Engie

  • Cynisme désinhibé Philippe Bach - jeudi 14 juin 2018 - Le Courrier
    https://lecourrier.ch/2018/06/14/cynisme-desinhibe

    Emmanuel Macron semble pressé de faire sienne la politique de la droite dite décomplexée chère à Nicolas Sarkozy. Mercredi, il a fait diffuser de manière ostentatoire par son équipe de communicants une vidéo éclairante où il prépare son discours sur l’aide sociale. Un concentré de #cynisme où le président pérore sur ces aides « qui coûtent un pognon de dingue » sans résoudre la #pauvreté. Et qui s’inscrit dans la continuité de ses déclarations sur les #salariés #illettrés et les #costards qu’il faut pouvoir se payer où le locataire de l’Elysée fait montre d’une #arrogance de classe nauséabonde. Mais tellement révélatrice.

    On pourrait se dire que le le président veut réformer le système d’aide sociale pour améliorer les politiques de réinsertion. Rêvons un peu. Mais pas trop longtemps. Selon Le Canard enchaîné, ce sont 7 milliards d’euros qu’il est prévu purement et simplement de couper dans ce #budget. Le premier ministre, Edouard Philippe, a tenté de démentir. Mais l’hebdomadaire satirique paraissant le mercredi est généralement bien informé…


    Parallèlement à ces coupes, le président des riches prévoit de supprimer l’Exit Tax, ce mécanisme visant à freiner un tant soit peu la propension des Français les plus nantis à aller planquer leur fortune dans des paradis fiscaux. Avec à la clef, un manque gagner de 6 milliards d’euros pour les caisses de l’Etat.

    Dam. Faire financer les cadeaux fiscaux faits aux nantis en étranglant encore plus les milieux les plus modestes, il fallait oser. Emmanuel Macron n’est pas étouffé par la pudeur. Il a entamé une fuite en avant, privatise à tour de bras – il prévoit la vente de #ADP (aéroport de Paris), d’#Engie (ex-GDF Suez) et de la Française des jeux pour un montant de 15 milliards d’euros ! – et à ceux qui tentent de résister, il fait donner la maréchaussée comme à #Notre-Dames-des-Landes ou durant les manifs de #cheminots.

    Cette dérive autoritaire doit inquiéter. Le capitalisme dans une opération d’enfumage idéologique laisse accroire qu’il est le garant des #libertés ; on voit plutôt qu’il est capable de faire donner la pleine puissance de l’Etat pour défendre les intérêts de quelques-uns au détriment des plus défavorisés.

    En cela les sorties désinhibées d’Emmanuel Macron ont au moins un mérite : elles procèdent d’une logique du dévoilement génératrice d’indignation, voire de révolte, sur laquelle il sera possible de bâtir une stratégie de reconquête idéologique et politique du pouvoir au profit du bien commun.

    #France #manu #macron #emmanuel _macron