• Il #Politecnico_di_Torino a fianco di #Frontex. Sul rispetto dei diritti umani, intanto, cade il silenzio

    Un consorzio italiano si è aggiudicato un bando per la produzione di mappe e cartografie volte a “supportare le attività” dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne dell’Ue. Iniziative in alcuni casi contestate per il mancato rispetto dei diritti di migranti e richiedenti asilo. Dal #PoliTo fanno sapere di non conoscere l’utilizzo finale dei servizi prodotti

    Il Politecnico di Torino è al fianco di Frontex nel controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. L’Università, in collaborazione con l’associazione-Srl #Ithaca, centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali”, si è aggiudicata nel luglio 2021 un bando da quattro milioni di euro per la produzione di mappe e infografiche necessarie “per supportare le attività” dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Attività che spesso si traducono -come denunciato da numerose inchieste giornalistiche- nella violazione sistematica del diritto d’asilo lungo i confini marittimi e terrestri europei. Nonostante questo, fonti del Politecnico fanno sapere di “non essere a conoscenza dell’utilizzo dei dati e dei servizi prodotti” e che non sono autorizzate a rilasciare interviste sull’oggetto del contratto.

    È possibile analizzare in parte il contenuto dell’attività richiesta grazie al bando pubblicato nell’ottobre 2020 da Frontex (https://ted.europa.eu/udl?uri=TED:NOTICE:401800-2020:TEXT:EN:HTML). La produzione di servizi cartografici aggiornati è necessaria per sistematizzare i diversi tipi di informazioni utili a svolgere l’attività dell’Agenzia: “L’analisi dei rischi, la valutazione delle criticità e il monitoraggio della situazione alle frontiere esterne dell’Unione europea e nell’area pre-frontaliera che è costantemente tenuta sotto controllo e analizzata” si legge nei documenti di gara.

    L’appalto riguarda la produzione di diverse tipologie di cartografia. Circa 20 mappe di “riferimento” in formato A0 in cui vengono segnalati i confini amministrativi, i nomi dei luoghi e le principali caratteristiche fisiche come strade, ferrovie, linee costiere, fiumi e laghi a cui vengono aggiunte “caratteristiche topografiche, geologiche, di utilità e climatiche”. Mappe “tematiche” che mostrano una “variabilità spaziale di un tema o di un fenomeno, per esempio la migrazione, criminalità, nazionalità, operazioni, ricerca e soccorso, ecc” oltre che le informazioni geologiche e morfologiche del territorio. Infine, la produzione di infografiche che integrano dati e grafici con la mappa. L’obiettivo è quello di ottenere mappe ad alta risoluzione che possano essere utilizzate per “le analisi, la visualizzazione e la presentazione oltre che la proiezione a muro basata sui requisiti richiesti dell’utente e mirata a un pubblico specifico a sostegno di Frontex e dei suoi parti interessanti”. La durata del contratto è di due anni, con la possibilità di prorogarlo per un massimo di due volte, ognuna delle quali per un periodo di 12 mesi.

    Nei documenti di gara non è specificata la zona oggetto della produzione di mappe. Dopo la richiesta di chiarimenti da parte dei partecipanti, l’Agenzia ha indicato come “previsioni a grandi linee” che l’area di interesse potrebbe estendersi lungo il confine tra Polonia e Russia, nello specifico a Kaliningrad Oblast una cittadina russa che affaccia sul Baltico, per un totale di 2mila chilometri quadrati con la possibilità di mappe specifiche su punti di attraversamento del confine per una superficie di 0,25 chilometri quadrati. Non è dato sapere, però, se quella sia la zona reale oggetto della cartografia o meno. Si conoscono invece gli “intervalli” delle scale di grandezza delle mappe che vanno da un centimetro sulla carta a 50 metri in caso di strade cittadine, a uno su 250 chilometri con riferimento a una mappa di un intero Stato.

    Altreconomia ha richiesto a Frontex di visionare “tutti i documenti disponibili” presentati dal Politecnico di Torino e Ithaca srl per partecipare al bando. L’Agenzia ha risposto che “la loro divulgazione potrebbe minare la protezione degli interessi commerciali delle persone giuridiche compresa la proprietà intellettuale”. L’accesso alle informazioni è stato negato “perché nessun interesse pubblico preponderante che è oggettivo e generale e non indistinguibile da interessi individuali è accertabile nel caso di specie”. Per gli stessi motivi nemmeno un accesso parziale è possibile.

    Ithaca Srl ha risposto che “da contratto non è possibile rilasciare alcuna intervista” perché tutti i dettagli disponibili sono stati inseriti nel comunicato stampa “approvato dall’Agenzia”. Nel darne notizia sul sito di PoliFlash, il portale delle notizie di PoliTo, il direttore di Ithaca Piero Boccardo aveva dichiarato che “la fornitura di prodotti cartografici a Frontex è una nuova sfida che ci rende orgogliosi di una serie di collaborazioni con le maggiori organizzazioni internazionali”; un’opportunità, secondo il professore, “per contribuire operativamente a supportare le attività di monitoraggio del territorio”. Ithaca Srl è una società interamente controllata dall’associazione senza scopo di lucro Ithaca che si occupa di “osservazione della terra a sostegno delle emergenze umanitarie”. Alla richiesta di chiarimenti sull’utilizzo finale dei prodotti forniti dal consorzio italiano, la risposta è stata che “non si è a conoscenza dell’utilizzo dei dati” e che per conoscere tale utilizzo era necessario rivolgersi direttamente a Frontex. Andrea Bocco, direttore del Dipartimento interateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico (Dist), che ha curato l’organizzazione tecnica del servizio e valuterà la qualità dei prodotti sottolinea come “il progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento, di sviluppare un laboratorio capace di elaborare e gestire dati spaziali anche di grande complessità”.

    Molto chiara è la strategia dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Nel braccio di ferro nel confine orientale, dove la Bielorussia “spinge” le persone in transito verso Polonia e Lituania, nonostante la morte di tre persone per ipotermia proprio sul confine polacco, Frontex ha elogiato la gestione della situazione da parte del governo di Varsavia, città in cui l’Agenzia ha la sua sede centrale.

    Sono numerose anche le denunce del coinvolgimento di agenti di Frontex nelle violazioni dei diritti di migranti e richiedenti asilo nel Mediterraneo centrale, nell’Egeo e nei Paesi balcanici. Non sono casi singoli. L’obiettivo di Frontex resta quello di allontanare le persone richiedenti asilo prima che arrivino sul territorio europeo. Come denunciato in un documento pubblicato nell’agosto di quest’anno da ventidue organizzazioni che chiedono il definanziamento dell’Agenzia, anno dopo anno, l’investimento economico si è concentrato in larga parte sulle risorse di terra e non su quelle marittime.

    Il Politecnico, nel comunicato, scrive che “le responsabilità di Frontex sono state ampliate nel 2016 alla lotta alla criminalità transfrontaliera e ai servizi di ricerca e di salvataggio nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime”. Ma è così solo sulla carta. Dal 2016 al 2018 i Paesi europei hanno coperto il 100% del fabbisogno aereo di Frontex, con percentuali molto più basse rispetto alle navi richieste: il 48% nel 2016, il 73% nel 2017 e il 71% nel 2018. Nel 2019, complice l’aumento del potere d’acquisto dell’Agenzia le percentuali sono rimaste più basse ma continuano sulla stessa lunghezza d’onda: i singoli Stati hanno contribuito per l’11% sulle navi e il 37% sugli arei. Nonostante queste percentuali, dal 2015 Frontex ha investito 100 milioni di euro nel leasing e nell’acquisizione di mezzi aerei da impiegate nelle sue operazioni (charter, aerostati, droni di sorveglianza).

    Lo scorso 14 ottobre 2021 l’Agenzia ha dato notizia dell’utilizzo per la prima volta di un aerostato con l’obiettivo di “individuare attraversamenti illegali dei confini, supportare le operazioni di search and rescue e contrastare i crimini transfrontalieri”.

    Dal 2015 al 2021, però, non c’è stato nessun investimento per l’acquisizione o il leasing per beni marittimi. Una volta individuate le persone in difficoltà in mare, l’Agenzia non ha come obiettivo il salvataggio bensì il respingimento delle stesse verso i Paesi di partenza. Un’inchiesta pubblicata in aprile dal Der Spiegel lo ha dimostrato: dal quartier generale di Varsavia, in diverse operazioni di salvataggio, venivano contattate le milizie libiche. Il monitoraggio del territorio (e del mare) non ha come scopo solamente il “contrasto” alle reti di contrabbando ma anche l’individuazione delle persone, migranti e richiedenti asilo, che tentano di raggiungere l’Ue e vengono sistematicamente respinte utilizzando qualsiasi mezzo disponibile. Cartografia inclusa.

    https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-a-fianco-di-frontex-sul-rispetto-dei-diritti-u

    #université #recherche #complexe_militaro-industriel #frontières #migrations #contrôles_frontaliers #Turin #consortium #cartographie #géographie
    #Pologne #Russie #Kaliningrad_Oblast #Piero_Boccardo #Andrea_Bocco

    • Politecnico e Ithaca insieme per la produzione di cartografia per l’Agenzia Europea Frontex

      Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – dal 2004 impegnata nel controllo della migrazione e la gestione delle frontiere e le cui responsabilità sono state ampliate nel 2016 alla lotta alla criminalità transfrontaliera e ai servizi di ricerca e di salvataggio nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime – ha affidato a un consorzio composto da Associazione Ithaca, DIST - Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico e Ithaca Srl un importante contratto per la produzione di cartografia.

      L’incarico prevede la produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile sino a un massimo di altri 24 mesi, con un budget totale di 4 milioni di euro.

      Il professor Piero Boccardo, Presidente di Ithaca Srl, che curerà la produzione cartografica, riferisce che “la fornitura di prodotti cartografici all’Agenzia europea Frontex è una nuova sfida che ci rende orgogliosi di una serie di collaborazioni con le maggiori organizzazioni internazionali. Una nuova opportunità per contribuire operativamente a supportare le attività di monitoraggio del territorio, come già peraltro testimoniato dai nove anni di attività 7/24/365 che Ithaca ha profuso nell’ambito del servizio Copernicus Emergency Management”. Il professor Stefano Corgnati, Vice Rettore alla Ricerca e Presidente dell’Associazione Ithaca, mandataria del consorzio, ricorda che “la collaborazione con Frontex rappresenta il primo esempio di come l’ecosistema del Politecnico di Torino, rappresentato dai suoi Dipartimenti e dal sistema delle società partecipate, possa essere funzionale alla piena integrazione tra le attività di ricerca e quelle di trasferimento tecnologico”.

      Il professor Andrea Bocco, Direttore del DIST, che ha curato l’organizzazione tecnica del servizio e che valuterà la qualità dei prodotti, ricorda che “questo progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento, di sviluppare un laboratorio capace di elaborare e gestire dati spaziali anche di grande complessità. Tale obiettivo è un elemento essenziale del progetto di Eccellenza del DIST, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che rafforza il carattere interdisciplinare della ricerca e la capacità di realizzare prodotti e servizi ad elevato contenuto di innovazione.”

      https://poliflash.polito.it/in_ateneo/politecnico_e_ithaca_insieme_per_la_produzione_di_cartografia_per_l

    • “Non a fianco di Frontex”. Chi si dissocia dall’accordo del Politecnico di Torino

      “Non si può lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide”, denuncia il professor Michele Lancione. Una presa di posizione pubblica che rompe il silenzio interno al Politecnico di Torino dopo l’accordo con l’agenzia Frontex per la produzione di mappe e cartografie. C’è un altro modo di pensare e vivere l’accademia

      “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
      Hannah Arendt

      Sono un accademico del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell’Università di Torino. Scrivo questo testo per dissociarmi pubblicamente dall’accordo siglato tra il mio Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca Srl e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.

      Come evidenzia l’articolo pubblicato da Altreconomia, l’accordo, che prevede la produzione di cartografia presso i laboratori del mio dipartimento su commissione di Frontex, è stato annunciato il giorno 14 luglio 2021, con comunicato stampa. Nel comunicato, si afferma che DIST e Ithaca saranno coinvolti nella “produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”. A livello intellettuale e umano, non mi sento rappresentato dalla posizione dell’istituzione per cui lavoro, che ha scelto di definire l’accordo con Frontex come un progetto che “si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento”. La questione non è solo personale, ma politica.

      L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è stata accusata a più riprese -da Ong, attivisti e agenzie internazionali- di essere direttamente coinvolta nei violenti respingimenti di migranti alle frontiere europee. Il più noto è il caso greco, ora discusso presso la Corte europea di giustizia, dove non solo si ha la certezza dell’illegalità dei respingimenti forzati operati dell’Agenzia, ma anche del ruolo della stessa nel distruggere documenti che evidenziano l’uso illegale della forza per respingere i rifugiati verso la Turchia. Questo episodio è solo l’apice di una strategia operata dell’Unione europea, attraverso Frontex, per la gestione dei confini comunitari attraverso principi espulsivi, razzializzanti e letali per coloro che si spostano per cercare protezione nel continente.

      Come accademico critico e cittadino impegnato in primo piano, attraverso il privilegio della mia posizione, nel comprendere e nel combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”, ho fatto tutto quello che era in mio potere per sottolineare la gravità di questo accordo tra un’università pubblica -il mio dipartimento- e Frontex. Con alcuni colleghi mi sono mobilitato, sin dal 14 luglio (giorno in cui sono venuto a conoscenza dell’accordo) per questionare quanto deciso. Abbiamo preso voce nel Consiglio di Dipartimento, in cui l’accordo è stato presentato, ponendo la gravità della decisone presa. Abbiamo poi lavorato per comprendere se fosse possibile annullare l’appalto. Abbiamo anche chiesto che tale attività non venisse svolta in nome di tutto il dipartimento, ma che i singoli coinvolti se ne prendessero il peso e la responsabilità. Su tutti i fronti, le risposte sono state negative: se non offerte di dialogo, discussione, bilanciamenti. Ma questo non basta.

      Il problema qui non è solo nel tipo di dato che Ithaca e il mio Dipartimento forniranno a Frontex. I ricercatori coinvolti nel progetto dicono che si tratti di dati open source, innocui. Posto che nessun dato è mai innocuo, la questione sta nel prestare il proprio nome -individuale e istituzionale- alla legittimazione dell’operato di una agenzia come Frontex. Perché quello si fa, quando si collabora: si aiuta l’apparato violento e espulsivo dell’Unione europea a legittimarsi, a rivestirsi di oggettività scientifica, a ridurre tutto a una questione tecnica che riproduce il suo male riducendolo a un passaggio di carte tra mani. In Europa la storia dovrebbe averci insegnato qualcosa in tal senso, ma chiaramente non abbiamo imparato nulla.

      Il dipartimento ha scelto di continuare l’accordo, invitando il sottoscritto e alcun* collegh* che hanno espresso riserve a contribuire al suo sviluppo evidenziando gli aspetti problematici dell’attività di Frontex. Ha inoltre deciso di non rappresentare pubblicamente il nostro dissenso, preferendo la linea del silenzio, che è anche quella del Politecnico.

      Io credo però non sia possibile lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide. Con questo testo mi dissocio dall’accordo e rinnovo allo stesso momento il mio impegno verso i miei student*, collegh* e partner che troveranno sempre, nel mio dipartimento e al Politecnico di Torino, strumenti e spazi per la critica, quella vera, che richiede un posizionamento chiaro: non a fianco di Frontex.

      #Michele_Lancione, professore ordinario di Geografia politico-economica (michele.lancione@polito.it)

      https://altreconomia.it/non-a-fianco-di-frontex-chi-si-dissocia-dallaccordo-del-politecnico-di-

    • Mai con Frontex !

      Appello alle Università e ai centri di ricerca italiani ed europei a non legittimare l’apparato violento, repressivo, espulsivo e razzializzante dell’Unione europea.

      MAI CON FRONTEX!

      Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e il consorzio italiano composto da Associazione Ithaca, DIST (Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio) del Politecnico di Torino e Ithaca Srl (società controllata dall’omonima associazione) hanno siglato, nel luglio 2021, “un importante contratto per la produzione di cartografia” a supporto delle attività di sorveglianza delle frontiere europee. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile sino a un massimo di altri 24, con un budget totale di 4 milioni di euro.

      Fa parte del consorzio, l’associazione no-profit ITHACA, con sede a Torino, nata come centro di ricerca applicata con l’obiettivo di cooperare con il World Food Programme (WFP) – braccio di aiuto alimentare delle Nazioni Unite – per la distribuzione di prodotti e servizi legati alla tecnologia dell’informazione, “per migliorare la capacità della comunità umanitaria internazionale nel preallarme, nella valutazione dell’impatto precoce e in altre aree correlate alla gestione del rischio”.

      L’associazione e l’omonima s.r.l. passano dal supporto alle attività umanitarie al sostegno delle operazioni di controllo dei confini europei coinvolte in violazioni dei diritti dei migranti. Mentre va in porto questo accordo, una parte della società civile europea si leva contro Frontex. Da un lato chi chiede la fine del suo ruolo di gendarme d’Europa, affinché svolga una missione realmente volta alla protezione delle vite umane, dall’altro chi propone una campagna per lo smantellamento dell’Agenzia e “del complesso militare-industriale delle frontiere e per la costruzione di una società nella quale le persone possano spostarsi e vivere liberamente”.

      La notizia della collaborazione di una università pubblica per la “produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”, è apparsa a luglio sul portale PoliFlash ed è stata oggetto di un’inchiesta di Altraeconomia, pubblicata il 20 ottobre. Secondo quanto riportato dal direttore del Dist, “il progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento” dell’università torinese. In risposta alle richieste da parte della testata giornalistica per avere chiarimenti su quali saranno i servizi offerti, fonti del Politecnico hanno fatto sapere di non essere a conoscenza di quale sarà l’utilizzo finale dei beni prodotti e di non essere autorizzati a rilasciare interviste sull’oggetto del contratto.

      A rompere il silenzio giunge, invece, una decisa presa di posizione di Michele Lancione, docente ordinario del DIST, che, attraverso un testo pubblicato il 24 ottobre, dà voce a un gruppo di colleghi che intende dissociarsi pubblicamente dall’accordo siglato tra il Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca Srl e Frontex.

      Una presa di posizione “non solo personale, ma politica”, afferma Lancione, ritenendo impossibile “lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide”. Il docente esprime il suo dissenso in quanto “accademico critico e cittadino impegnato in primo piano nel comprendere e nel combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”.

      Riteniamo che questa sia una chiara e doverosa presa di posizione a garanzia della salvaguardia di un reale spazio per gli studi critici all’interno delle università e dei centri di ricerca italiani.

      Non possiamo non ricordare che Frontex è stata, e continua ad essere, oggetto di diverse inchieste giornalistiche e di accuse da parte di associazioni, ong, attivisti, per avere consentito o partecipato ad attività di respingimento illegittime e violente nelle zone di frontiera marittime e terrestri dell’UE.

      Una di queste accuse è arrivata fino alla Corte di Giustizia europea che dovrà discutere in merito a un ricorso riguardante gravissime violazioni dei diritti umani a danno di migranti vittime di respingimenti collettivi nel mar Egeo, mentre cercavano protezione nell’Ue, avvenute con la partecipazione di Frontex.

      Sono altrettanto note le accuse rivolte all’Agenzia europea in merito ai violenti respingimenti operati nella rotta balcanica e nel Mediterraneo centrale, i cui assetti aerei sono utilizzati per la sorveglianza utile all’intercettazione e al respingimento dei migranti partiti dalle coste nordafricane attuati dalla cosiddetta guardia costiera libica che, sistematicamente, li deporta nei centri di tortura e di detenzione dai quali fuggono.

      Nel corso del 2021, la stessa Agenzia è stata al centro di indagini da parte di diverse istituzioni europee.

      La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo ha creato un Gruppo di lavoro e di indagine sull’operato dell’Agenzia (il Frontex scrutinity working group), per via della scarsa trasparenza delle sue attività amministrative, e “per le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare svolta alle frontiere esterne dell’Unione Europea che non rispetta i diritti umani delle persone intercettate”.

      Anche l’Ufficio europeo anti-frode (Olaf) ha aperto un’indagine per fare luce sui suoi bilanci poco trasparenti. Alla fine del 2020 erano state rese note le spese “folli” per eventi di lusso e autocelebrativi, che tra il 2015 e il 2019 hanno ammontato a 2,1 milioni di euro. “Il budget per gli eventi di gala di una sola annata è molto più di quanto stanziato dall’agenzia per l’Ufficio dei diritti fondamentali per tutto il 2020”.

      Nel marzo 2021, la commissione di controllo del bilancio del Parlamento europeo ha votato per il rinvio dell’approvazione del bilancio finanziario di Frontex per l’anno 2019. Si è trattato di un gesto simbolico in risposta alla serie di accusa che hanno messo in discussione le attività dell’Agenzia.

      Nel giugno di quest’anno, la Corte dei conti europea ha pubblicato una relazione, secondo cui Frontex non ha attuato pienamente il mandato che ha ricevuto nel 2016 e la giudica non ancora pronta ad attuare efficacemente il nuovo ruolo operativo affidatole con il nuovo regolamento del 2019.

      Nonostante l’operato di Frontex sia costellato di contestazioni amministrative, contabili e per gravissime violazioni dei diritti umani, le sue risorse e il suo ruolo strategico continuano ad aumentare.

      Dal 2005 al 2021, il budget di Frontex è passato da 6,3 a 543 milioni di euro, ma è previsto un sostanziale aumento nel periodo 2021-2027 quando, secondo il nuovo regolamento entrato in vigore alla fine del 2019, oltre all’aumento dei poteri della “super agenzia”, anche la capacità di forza permanente sarà incrementata fino a raggiungere le 10mila unità da dispiegare dentro il territorio dell’Unione o all’esterno.

      Desta particolare preoccupazione il coinvolgimento di Frontex in operazioni di intelligence e in programmi e progetti per l’utilizzo di strumenti altamente tecnologici per la sorveglianza delle frontiere, per i quali sarà responsabile di garantire la sicurezza dei dati trasmessi e condivisi anche con i paesi terzi per favorire rimpatri e respingimenti.

      Alla luce di quanto descritto, ci chiediamo quali valutazioni politiche ed etiche, oltre a quelle di ordine finanziario, abbiano portato una Università pubblica a decidere di collaborare con un’agenzia europea il cui operato ha posto una serie di dubbi di legittimità.

      Quanti altri accordi di questo tipo sono stati siglati da università e centri di ricerca in collaborazione con questo violento sistema europeo di controllo, repressione ed espulsione “dell’altro”?

      Invitiamo le Università e i centri di ricerca italiani ed europei a non legittimare l’apparato violento, repressivo, espulsivo e razzializzante dell’Unione europea, le cui politiche sono incentrate sull’ossessivo controllo delle frontiere a qualsiasi costo, attraverso l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate, sulla costruzione di muri sempre più alti, tutto a dispetto del rispetto dei diritti delle persone in movimento e della dignità umana.

      Chiediamo a tutte le voci critiche di avere il coraggio di emergere.

      Qui trovi il testo dell’appello in inglese

      Aderiscono:
      ADIF – Associazione Diritti e Frontiere
      Campagna LasciateCIEntrare
      Rete antirazzista catanese
      Progetto Melting Pot Europa
      Legalteam Italia
      Campagna Abolish Frontex
      Carovane migranti
      Michele Lancione docente politecnico di Torino
      Melitea
      Gruppo di ricerca SLANG – Slanting Gaze on Social Control, Labour, Racism and Migrations, Università di Padova (https://www.slang-unipd.it) (Claudia Mantovan, Annalisa Frisina, Francesca Vianello, Francesca Alice Vianello, Devi Sacchetto)
      Linea d’Ombra ODV
      Gennaro Avallone (docente Università di Salerno)
      Redazione di Ultima Voce
      Rete femminista No muri No recinti
      Valentina Pazé (docente Università di Torino)
      Cornelia Isabelle Toelgyes
      Mari D’Agostino, P.O. dell’Università di Palermo
      Redazione di Comune-info.net
      Redazione di Benvenuti Ovunque
      associazione Small Axe odv
      Collettivo artistico e politico Eutopia-Democrazia Rivoluzionaria
      Pietro Saitta, docente Università di Messina
      Pietro Deandrea, professore associato, Università di Torino
      Centro Studi Sereno Regis di Torino
      Caterina Peroni, IRPPS-CNR, Roma
      Enrico Gargiulo, Università di Bologna
      Gruppo di Mediterranea Torino
      Francesca Governa, Politecnico di Torino
      Gruppo ON BORDERS ( https://onborders.altervista.org)
      Angela Dogliotti, Centro Studi Sereno Regis, Torino
      Antonello Petrillo, Università degli Studi S.O. Benincasa, Napoli
      Iain Chambers, Università di Napoli, Orientale
      Carmelo Buscema, Università della Calabria
      Fridays for Future Cagliari
      Statewatch
      Stefania Ferraro, Università degli Studi S.O. Benincasa, Napoli
      Viola Castellano, ricercatrice e professoressa a contratto dell’Università di Bologna
      Giuseppe Mosconi, Università di Padova
      Mariafrancesca D’Agostino, Università della Calabria
      Francesco Biagi, Facoltà di architettura dell’Università di Lisbona
      Maurizio Memoli, Ordinario di Geografia politica ed economica, Università di Cagliari
      Antonio Ciniero, università del Salento
      Gianfranco Ragona, Università di Torino
      Onofrio Romano, Associate Professor of Sociology, Department of Political Sciences, University of Bari “A. Moro”
      Giulia Giraudo, dottoranda dell’università di Torino ( dottorato in mutamento sociale e politico).
      Valeria Cappellato, università di Torino
      Paola Gandolfi, Università di Bergamo
      Silvia Aru, ricercatrice Politecnico di Torino
      Ugo Rossi, professore universitario, Gran Sasso Science Institute
      Daniela Leonardi, ricercatrice post-doc, Università di Parma
      Augusto Borsi – Prato
      Giuliana Commisso, Università della Calabria – Rende (CS) IT
      Laura Ferrero, Docente a contratto, Università di Torino
      Bruno Montesano, studente del Phd in Mutamento sociale e politico (UniTo/UniFi)
      Paola Sacchi, Università di Torino
      Silvia Cirillo, dottoranda in Global Studies presso Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
      Maria Rosaria Marella, Università di Perugia
      Daniela Morpurgo, Post-doc fellow, Polytechnic of Turin, DIST – Interuniversity Department of Regional and Urban Studies, Part of “Inhabiting Radical Housing” ERC research team
      Silvia Di Meo, dottoranda Università di Genova
      Paola Minoia, University of Helsinki e Università di Torino
      Chiara Maritato, Università di Torino
      Lorenzo Delfino, Sapienza, Roma
      Francesca Della Santa, Università di Bologna
      Marika Giati, Università di Bologna
      Camilla De Ambroggi, Università di Bologna
      Clemente Parisi, Università di Bologna
      Jacopo Bonasera, Università di Bologna
      Annalisa Cananzi, Università di Bologna
      Margherita Cisani, Università di Padova, Assegnista di Ricerca, Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità (DiSSGeA)
      Sara Caramaschi, Postdoctoral Researcher in Urban Studies, Gran Sasso Science Institute
      Leonardo Ravaioli, Università di Roma Tre
      Dana Portaleone, Università di Bologna
      Magda Bolzoni, Università di Torino
      Giacomo Pettenati, Università di Torino
      Luca Cobbe – Università La Sapienza Roma
      International Support – Human Rights (https://supportuganda.wordpress.com)
      Claudia Ortu, Università degli studi di Cagliari
      Giulia Marroccoli, Università di Torino.
      Associazione Accoglienza ControVento
      Giada Coleandro dottoranda Università di Bologna
      Alida Sangrigoli, dottoranda Politecnico di Torino
      Lorenzo Mauloni, dottorando Politecnico di Torino
      Riccardo Putti, docente di Antropologia Visiva, DIPOC – Università degli Studi di Siena
      Gaja Maestri, Aston University (Birmingham), Regno Unito
      Matilde Ciolli, Università di Milano
      Matteo Rossi, Università di Torino
      Emanuele Frixa, Università di Bologna

      Per adesioni scrivere a: info@lasciatecientrare.it

      https://www.lasciatecientrare.it/non-a-fianco-di-frontex

      #appel #résistance

    • Torino: Fuori Frontex dal Politecnico!

      Ieri si è tenuto, nell’aula 1, un incontro sul contratto tra il Dipartimento del DIST del Politecnico di Torino e Frontex, la controversa e indagata agenzia europea per il controllo delle frontiere

      Sono intervenuti:
      – Prof. Michele Lancione (PoliTo): introduzione Frontex/Ithaca e Politecnico
      – Luca Rondi (Giornalista di Altreconomia): inchiesta Frontex e Politecnico
      – Raffaele Cucuzza (Senatore Accademico PoliTo) e Bruno Codispoti (Rappresentante degli Studenti in CDA PoliTo): questione Frontex all’interno del Senato Accademico e del CDA
      – Prof. Fulvio Vassallo (Associazione Diritti e Frontiere): agenzia Frontex, funzioni, rapporti tra stati e criticità
      – Yasmine Accardo (lasciateCIEntrare): rapporto tra Frontex e Industrie
      – Avv. Gianluca Vitale (lasciateCIEntrare): Frontex/CPR/protezione legale dei richiedenti asilo
      – Avv. Giovanni Papotti: testimonianze migranti

      Il Tender (bando di gara internazionale) che vede coinvolti Frontex e il Politecnico di Torino, riguarderebbe la fornitura di dati cartografici da parte dell’Ateneo all’Agenzia Europea.

      Nel bando non sarebbe specificato l’uso e la natura delle mappe cartografiche che il Politecnico dovrebbe fornire. La natura di Frontex, il cambiamento, avvenuto in pochi anni da organo di salvataggio a vera e propria polizia di frontiera a guardia dei confini esterni dell’Europa, è il motivo della decisa opposizione. Il Prof. Michele Lancione, ordinario di Geografia Politico-Economica, è stato il primo a sollevare la questione all’interno dell’Ateneo.

      Sono state ampiamente chiarite tutte le motivazioni per le quali non viene ritenuta opportuna la collaborazione da parte del Politecnico di Torino, realtà d’eccellenza in Italia, con Frontex.

      E’ stato descritto come le infografiche dell’Agenzia attengano ad una divulgazione sostanzialmente ideologica dell’immigrazione, volta a delegittimare i flussi amplificandoli ad arte, flussi che, e stato evidenziato, sono determinati da persone in gran parte aventi diritto di asilo. Questa disinformazione è funzionale a comunicare l’immigrazione come un invasione, identificando l’immigrato come un pericolo.

      E’ stato sottolineato che Frontex esercita il monitoraggio delle frontiere tramite una notevole attività aerea (palloni aerostatici, droni, aeroplani con pilota), attività svolta anche all’esterno delle frontiere grazie ad accordi bilaterali con Stati confinanti con l’UE.

      E’ stato denunciato che i criteri di respingimento utilizzati dall’Agenzia sono contrari ai Diritti Umani: qualsiasi persona può lasciare il proprio Stato di origine ed ha diritto di chiedere asilo: ove il respingimento avvenga prima della richiesta c’è una violazione dell’Ordinamento Internazionale che garantisce il diritto alla richiesta di protezione internazionale, violazione di cui Frontex è stata accusata da molti intervenuti.

      E’ stato evidenziato, le indagini che coinvolgono Frontex ne sono la prova, che i respingimenti avvengono anche in modo violento e non rispondente alla normativa internazionale. E’ quindi rilevante il sospetto che una cartografia, in particolare ad alta risoluzione, possa essere utilizzata dai droni per un più efficace controllo dei passaggi migratori di frontiera e di come ciò possa ulteriormente favorire i respingimenti illegali.

      E’ stato ricordato che, proprio a causa dell’attività di monitoraggio aereo dell’Agenzia, circa il 50% delle persone migranti in viaggio nel Mediterraneo è stata consegnata alla Guardia Costiera libica, di cui ricordiamo che il comandante è Abd al-Rahman al-Milad, noto anche come al-Bija, condannato dall’ONU per violazione dei diritti umani. A fronte della condanna sono stati trasmessi gli atti all’Interpol.

      Sono state quindi respinte e consegnate ai libici persone indipendentemente dalla loro nazionalità, si parla anche di persone, famiglie, di origine tunisina che sono ora detenute nei lager libici.

      Sono state ricordate le molte violenze, a tutti gli effetti violazioni dell’Ordinanento Internazionale, che vengono quotidianamente commesse alle frontiere interne ed esterne dell’UE ai danni delle persone migranti.

      Dagli interventi degli esponenti del Senato Accademico e del CDA del Politecnico, è emerso chiaramente il vespaio che la questione ha destato, il Senato avrebbe in ipotesi un “congelamento” del contratto fino a risoluzione delle indagini pendenti su Frontex, ipotesi bollata di ipocrisia in alcuni interventi che hanno dichiarato necessaria una cancellazione dell’accordo.

      E stato anche denunciato che in Senato Accademico non c’è unanimità. Questo secondo alcuni interventi dipenderebbe da Direttori di Dipartimento che intravvederebbero un pericoloso precedente etico che potrebbe influire sulle loro attività presenti e future.

      E’ stato sottolineato che le norme universitarie esistono e che in presenza di aspetti eticamente sensibili l’accordo sarebbe dovuto essere stato preventivamente sottoposto agli organi competenti dell’Ateneo.

      Bruno Codispoti ha argomentato a sostegno di questa tesi: data la natura del committente, il contratto doveva essere preventivamente sottoposto al CDA, che ha prerogative decisionali sulla natura delle fonti di finanziamento dell’Ateneo.

      E’ stata redatta una lettera aperta indirizzata al Rettore e agli organi di governance dell’Ateneo con una puntuale disamina di tutte le criticità relative a Frontex, motivi per i quali il Politecnico dovrebbe recedere dall’accordo.

      Il tutto è rimandato al 14 dicembre prossimo, data di riunione straordinaria del Senato Accademico.

      L’etica attinente alla ricerca è un argomento estremamente rilevante, dagli interventi appare chiaro che il Politecnico di Torino su questa questione, gravemente imbarazzante, si stia giocando la faccia.

      https://www.youtube.com/watch?v=F-kx5hW8FEU&feature=emb_logo

      https://www.pressenza.com/it/2021/12/torino-fuori-frontex-dal-politecnico

    • Frontex-Politecnico di Torino, ecco il contratto. E la “clausola” sui diritti umani non c’è ancora

      L’accordo stipulato nel giugno 2021 dà “carta bianca” all’Agenzia che sorveglia le frontiere sull’utilizzo dei prodotti della cartografia. Intanto l’Ateneo fa sapere che, a due mesi dalla decisione del Senato accademico, la clausola sul rispetto dei diritti umani è ancora “in fase di finalizzazione”

      La “clausola vincolante” di rispetto dei diritti umani deliberata dal Senato accademico del Politecnico di Torino a metà dicembre 2021 per “salvare” il contratto con Frontex non è ancora pronta. Dopo aver ottenuto copia dell’accordo sottoscritto tra l’Ateneo e l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, Altreconomia ha chiesto conto dello stato di avanzamento dei lavori al rettorato che il 15 febbraio 2022 ha fatto sapere che “la clausola è in fase di finalizzazione”. Dal contratto, intanto, emergono ulteriori elementi che riducono l’effettiva possibilità di monitorare l’utilizzo dei prodotti della ricerca: Frontex ha infatti carta bianca nel modificare e fornire a terzi la cartografia realizzata dall’Ateneo.

      Un passo indietro. Il 14 dicembre 2021 il Senato accademico del Politecnico di Torino, chiamato a pronunciarsi sull’accordo da quattro milioni di euro con Frontex per la produzione di mappe aggiornate, aveva votato con ampia maggioranza di “procedere alla sottoscrizione dell’accordo introducendo una clausola vincolante, allo scopo di specificare nel Consortium agreement l’impegno tanto del personale docente e di ricerca coinvolto quanto del committente ad agire in osservanza del rispetto dei diritti umani e fondamentali delle persone”. Nessun comunicato stampa ufficiale era seguito a questa decisione confermando quantomeno la stranezza di tale richiesta. Altreconomia ha così chiesto a Frontex “una copia della clausola inclusa nel contratto firmato” e in caso di impossibilità nell’accedere a questo documento “qualsiasi informazione che possa essere utile per ricostruire il contenuto della clausola”.

      L’Agenzia il 4 febbraio 2022 ha fornito copia integrale del “contratto quadro” (framework contract, ndr) da cui è possibile ricostruire che questo è stato siglato il 7 giugno 2021 a Torino e controfirmato dieci giorni dopo a Varsavia: data a partire dalla quale, secondo quanto stabilito dalle parti, l’accordo è entrato in vigore. Non ci sono riferimenti al Consortium agreement che, solitamente, è un contratto che regola i rapporti tra le diverse parti che in cordata si aggiudicano una committenza -in questo caso il Dipartimento inter-ateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico (Dist) e Ithaca, centro di ricerca avanzato e vincitore del bando- ma esclude la stazione appaltante, in questo caso Frontex. Dall’Ateneo fanno sapere che il “Consortium agreement sarà oggetto di prossima stipula” e la clausola che verrà inserita è “in fase di finalizzazione”.

      Dal contratto è possibile ricostruire più precisamente i contorni dell’attività del consorzio italiano. Già nell’ottobre 2021, su richiesta di Altreconomia, il Politecnico di Torino aveva risposto che “non era a conoscenza dell’utilizzo finale dei prodotti”. È proprio così. Al punto I.10 del contratto si trova infatti una “lista dettagliata” delle possibilità di utilizzo dei risultati dell’opera fornita che diventa di “proprietà dell’Unione europea” che potrà, tra le altre cose, “renderla disponibile a Frontex; renderla fruibile a persone ed enti che lavorano per l’Agenzia o collaborano con essa, inclusi contraenti, sub-contraenti che siano persone legali o fisiche; fornirla ad altre istituzioni Ue, agenzie, istituzioni degli Stati membri”. Non solo.

      Al punto “e” dello stesso articolo si legge poi che tutte le modifiche che l’amministrazione aggiudicatrice (Frontex, ndr) o un terzo a nome della stessa possono apportare ai risultati della ricerca. “Riduzione; riassunto; modifica del contenuto; delle dimensioni; apportare modifiche tecniche al contenuto, aggiungere nuove parti o funzionalità; fornire a terzi informazioni aggiuntive riguardanti il risultato (ad esempio, il codice sorgente) al fine di apportare modifiche; l’aggiunta di nuovi elementi, paragrafi, titoli, legenda […]; estrazione di una parte o divisione in parti; incorporare, anche mediante ritaglio e taglio, i risultati o parti di essi in altre opere, come su siti web e pagine web”. Da un lato quindi l’impossibilità di sapere da chi e come verrà utilizzata la mappa, dall’altro la possibilità di Frontex di modificare a proprio piacimento -salvo ovviamente tutti i diritti legati alla proprietà intellettuale e al mero prodotto della mappa- il risultato.

      Nel documento si sottolinea come il contratto quadro “non comporta alcun impegno diretto e non impone ordini di per sé ma stabilisce le disposizioni finanziarie, tecniche e amministrative che regolano il rapporto tra Frontex e il contraente durante il periodo di validità”. La fornitura della cartografia è quindi regolata da contratti specifici con cui, di volta in volta, l’Agenzia chiederà a Ithaca e al Politecnico di Torino i servizi di cui necessita. Secondo l’allegato 1 del contratto Frontex invierà “moduli d’ordine” su base “mensile o trimestrale specificando la quantità massima di mappe che sarà richiesta durante il periodo di tempo indicato”. Non è chiaro perché da giugno a oggi non sia stato commissionato nessun servizio. Altreconomia aveva chiesto conto a metà novembre 2021, agli uffici del Politecnico, del “numero dei servizi prodotti dal 14 luglio al 15 novembre 2021” ma non ha mai ricevuto risposta.

      Per quanto riguarda la penale prevista in caso di rescissione del contratto -una delle tesi più accreditate internamente all’Ateneo durante i mesi di discussione precedenti al Senato accademico del 14 dicembre 2021- il testo dell’accordo ricostruisce diverse possibilità. Si specifica che “entrambe le parti possono rescindere il contratto quadro e i moduli d’ordine inviando una notifica formale all’altra parte con un mese di preavviso scritto”. Si sottolinea che “il contraente è responsabile dei danni subiti dall’amministrazione aggiudicatrice in seguito alla risoluzione del contratto quadro o di un contratto specifico, compresi i costi aggiuntivi per nominare e incaricare un altro contraente di fornire o completare i servizi”. I danni sono esclusi in alcuni casi specifici, tra cui quello di “forza maggiore” quando “la ripresa dell’esecuzione è impossibile o le necessarie modifiche del contratto quadro o di uno specifico che ne derivano significherebbe che il capitolato d’oneri non è più non sono più soddisfatte o comportano una disparità di trattamento degli offerenti o dei contraenti”. Con forza maggiore è da intendersi “qualsiasi situazione o evento imprevedibile, eccezionale e fuori dal controllo delle parti che impedisce loro di adempiere agli obblighi” tra queste non rientrano “vertenze sindacali, scioperi” salvo che “non derivino direttamente da un caso di forza maggiore rilevante”. Anche su questo punto, Altreconomia aveva chiesto al Politecnico l’esistenza di tale clausola e una stima dell’entità senza ricevere risposta. L’unico riferimento specifico presente nel contratto rispetto a una possibile “entità” del danno riguarda la responsabilità per qualsiasi perdita o danno causato “dalla mancata implementazione del contratto quadro” che prevede una penale di importo “non superiore a tre volte l’importo totale del relativo contratto operativo”.

      Il contratto stabilisce infine che le modifiche contrattuali devono essere “comunicate per iscritto e rispettare gli obblighi contrattuali” ma soprattutto che “una modifica su un contratto specifico non costituisce un emendamento del contratto quadro” e in ogni caso tali modifiche non possono “alterare le condizioni iniziali della procedura d’appalto”. In attesa di ricevere dall’Ateneo copia della clausola inserita nel Consortium agreement lo spazio per “solide” clausole vincolanti sul rispetto dei diritti umani sembra ridursi sempre di più.

      https://altreconomia.it/frontex-politecnico-di-torino-ecco-il-contratto-e-la-clausola-sui-dirit
      #Dist #Consortium_agreement

    • Accordo Politecnico - Frontex. E i diritti umani?

      È nel luglio del 2021 che le distanze geografiche tra Torino e la Rotta Balcanica, la stessa percorsa da Nur per arrivare dal Pakistan in Europa, si contraggono di colpo. Il Politecnico di Torino sigla un accordo con Frontex, l’Agenzia europea che sorveglia le frontiere esterne dell’Unione europea. Il contratto da quattro milioni di euro, che richiede al Politecnico di produrre cartografie aggiornate per l’Agenzia Frontex, genera dissenso all’interno dell’Ateneo. Frontex è il simbolo di politiche europee di esclusione e rifiuto per chi arriva in Europa fuggendo da conflitti e povertà. Nonostante le proteste, il Politecnico sceglie di proseguire la collaborazione con l’Agenzia. Che cosa racconta questo accordo della città di Torino? Che succede quando il limbo vissuto dagli altri ci riguarda da vicino?“Limbo - Le vite sospese di chi si fa migrante” è un podcast scritto da Silvia Baldetti e Luca Rondi. È prodotto da Engim Internazionale in collaborazione con Altreconomia nell’ambito di SEMI - Storie, Educazione, Migrazioni e Impegno, finanziato dall’Unione Europea, attraverso la regione Piemonte nel contesto del progetto Mindchangers – Regions and Youth for Planet and People. I contenuti non riflettono necessariamente le posizioni dell’Unione Europea e di chi è intervenuto nel podcast come ospite. Hanno collaborato Francesca Prandi e Daniela Pizzuto. Il montaggio è a cura di Border Radio con la collaborazione di Silvia Baldetti. La sigla è di Federico Sgarzi.

      https://open.spotify.com/episode/39EAxfRb8MAAJPhbffsUdt
      #droits_humains #cartographie

    • L’Università di Torino si schiera contro l’accordo tra Frontex e il Politecnico

      A fine ottobre il Consiglio di amministrazione di Unito ha formalizzato la sua “totale contrarietà” alla collaborazione in essere tra l’Ateneo e l’Agenzia europea al centro di polemiche per la copertura di gravi violazioni dei diritti umani lungo le frontiere. La richiesta è quella di rescindere il contratto milionario per la produzione di mappe

      Il Consiglio di amministrazione dell’Università di Torino si schiera contro l’accordo per la produzione di mappe tra il Politecnico di Torino e Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee. Nella seduta del 27 ottobre di quest’anno i membri del Cda di Unito, che con il Politecnico “condivide” la gestione del Dipartimento che si è aggiudicato la commessa “incriminata”- hanno infatti approvato una mozione in cui si dichiara la “totale contrarietà alla collaborazione in atto”, chiedendo ai competenti organi del PoliTo di procedere alla “sospensione di ogni attività con l’Agenzia”. La delibera arriva poche settimane dopo la pubblicazione del rapporto dell’Ufficio antifrode europeo (Olaf) che ha “certificato” come Frontex abbia coperto gravi violazioni dei diritti umani alle frontiere europee. Un documento che ha portato il Parlamento europeo a votare contro la procedura di “discarico” del bilancio, ovvero il “via libera” alle spese sostenute nel 2020. “Non ci sono più scuse. È arrivato il momento che il Politecnico di Torino faccia un passo indietro”, spiega Michele Lancione, professore Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist).

      Proprio Lancione, a seguito dell’inchiesta di Altreconomia che dava conto nel settembre 2021 dell’accordo tra Frontex e il Dist, il citato dipartimento a cavallo tra Unito e Politecnico, aveva preso pubblicamente posizione dichiarando la sua contrarietà al contratto. Una commessa da quattro milioni di euro, della durata di due anni, per la produzione di cartografia aggiornata. Nonostante altre voci all’interno del Dipartimento avessero chiesto un passo indietro da parte dell’Ateneo -tra cui Francesca Governa, che ha raccontato nel podcast Limbo la sua contrarietà all’accordo- nulla è cambiato. Nel dicembre 2021, peraltro, il Senato accademico del Politecnico aveva votato a favore dell’inserimento di una clausola vincolante di rispetto dei diritti umani per l’Agenzia. Ma come ricostruito da Altreconomia quella clausola è stata inserita solo nel contratto tra i diversi attori del consorzio italiano (Ithaca Srl, un centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali”, il Dist, e la Fondazione Links) che si sono aggiudicati la commessa. “Ciascuna parte si impegna ad agire -era scritto all’interno del contratto- nel pieno rispetto dei diritti umani e fondamentali, nonché dei principi di integrità della ricerca”. Il 31 maggio di quest’anno Frontex ci ha risposto però di “non detenere alcun documento” con riferimento alla richiesta di avere accesso a “eventuali bozze di consortium agreement sottoscritte dall’Agenzia da luglio 2021 in avanti”. Una clausola, quindi, che non poteva affatto vincolare anche l’Agenzia.

      È anche per questo motivo che il Cda di Unito ha chiesto al Politecnico di “valutare la gravità della situazione e il danno che la prosecuzione della fornitura di servizi può arrecare agli Atenei torinesi”. Una mozione -di cui Altreconomia ha preso visione- che arriva dopo l’audizione del vice-direttore del Dist chiamato ad aggiornare, il 20 ottobre, gli organi di Unito sullo stato di avanzamento dell’accordo con Frontex. Il cda sottolinea le “grandi inadempienze nel funzionamento dell’Agenzia e la sua colpevole inefficacia nell’affrontare il tema delle migrazioni” che vede il “fulcro delle denunce [rivolte all’Agenzia] nel rapporto Olaf e nel recentissimo rifiuto dei parlamentari europei del 18 ottobre 2022 a votare il cosiddetto scarico del bilancio dell’Agenzia 2020”.

      “Se ai tempi della sottoscrizione di questo contratto ci si poteva nascondere dietro un’ingiustificabile scarsa conoscenza delle problematicità di Frontex ora non è più possibile -sottolinea Lancione-. Le inchieste giornalistiche e i report di enti europei hanno messo in luce lo scarso funzionamento, i mancati meccanismi di controllo interno e ulteriori esempi di coinvolgimento in violazione dei diritti umani delle persone in transito”. Il rapporto Olaf, infatti, descrive anche l’inefficienza degli strumenti “interni” all’Agenzia utili per monitorare le attività sui confini europei. Problemi tutt’altro che risolti nonostante, dopo la pubblicazione del rapporto, dal board dell’Agenzia si siano affrettati a dichiarare che “queste pratiche appartengono al passato” così come la Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson che si è definita “scioccata” ma “sicura che il consiglio di amministrazione si è assunto pienamente le proprie responsabilità”. “L’Agenzia ha problemi strutturali –ci ha detto Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo della migrazione presso l’Università di Barcellona-. Finché non si risolvono è difficile che il suo mandato possa rispettare il diritto internazionale e quello dell’Unione europea. E l’unico passo possibile in questa direzione è una sentenza della Corte di giustizia che ristabilisca i confini del suo operato. Olaf segna un punto di svolta perché l’illegalità è finalmente certificata da un corpo dell’Ue ma resta un ente amministrativo, non una Corte”.

      Per Lancione resta in gioco la “vera libertà intellettuale”: “Recedere dal contratto non significa fare un passo indietro rispetto alle missioni di un Ateneo impegnato in contratti internazionali e nella ricerca ma farne uno in avanti. La rescissione è un segnale importante coerente con una visione etica della libertà intellettuale di cui giustamente l’Ateneo si fa vanto: libertà significa poter rivalutare le decisioni prese e cambiare direzione nel caso in cui il contesto sia cambiato. Questo è il momento di farlo”.

      https://altreconomia.it/luniversita-di-torino-si-schiera-contro-laccordo-tra-frontex-e-il-polit

    • Il Politecnico di Torino conferma l’accordo con Frontex. Ignorate le richieste di tornare indietro

      Il 6 dicembre il Senato accademico ha deciso di mantenere intatto l’accordo con l’Agenzia. La richiesta di rescissione giunta anche dell’Università di Torino, che con l’Ateneo condivide il Dipartimento che si è aggiudicato la commessa, è rimasta inascoltata. Così come le denunce di violazioni dei diritti umani in capo a Frontex

      Il Politecnico di Torino conferma una seconda volta il proseguimento nella collaborazione con l’Agenzia Frontex. Il Senato accademico dell’Ateneo si è riunito martedì 6 dicembre mettendo nuovamente ai voti l’opportunità di proseguire l’accordo con l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, accusata da più fronti, istituzionali e non, del mancato rispetto dei diritti umani delle persone in transito. Dopo la votazione del dicembre 2021, in cui si era deciso di proseguire con l’accordo, una larga maggioranza (19 voti su 29) ha votato nuovamente per mantenere in vita il contratto “scartando” le opzioni di risoluzione o congelamento dello stesso. “Una battaglia persa perché da questo voto non si tornerà più indietro -osserva Michele Lancione, professore del Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist)-. L’unica spiegazione che resta a fronte delle denunce arrivate a Frontex per la sua attività anche da organi istituzionali è che il Politecnico di Torino ha deciso di continuare questo accordo perché ha paura che rescindere voglia dire prendere seriamente la questione etica e questo possa generare criticità su altri accordi esistenti. Penso a Leonardo e ad altre aziende dell’universo militare”.

      La stessa Commissione istituita nel dicembre 2021 dal rettore Guido Saracco per valutare l’accordo -che aveva già concluso che vi fosse un rischio “medio-alto” per l’utilizzo improprio dei dati forniti dalla ricerca suggerendo di rescindere dal contratto o inserire una clausola sul rispetto dei diritti umani- ha nuovamente individuato due strade percorribili: il congelamento dell’accordo fino a nuove pronunce del Parlamento europeo sull’Agenzia o la risoluzione del contratto valutando la richiesta di risarcimenti danni presumibilmente per il danno di immagine recato all’Ateneo. A questa si è aggiunta la “terza” ovvero lasciare tutto com’è. Dopo una prima votazione è stata scartata l’opzione della risoluzione e nel secondo turno la maggioranza dei senatori ha optato per la terza via: resterà così in vigore fino al termine inizialmente previsto il contratto da quattro milioni di euro, della durata di due anni, siglato nel settembre 2021 dal Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist), a cavallo tra Politecnico e Università di Torino, in cordata con Ithaca Srl, un centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali” e la Fondazione Links. Nonostante un quadro desolante.

      Nell’ottobre 2022 il rapporto dell’Ufficio europeo antifrode ha “certificato” le pratiche illegali dell’Agenzia: in 123 pagine viene ricostruito minuziosamente il malfunzionamento della “macchina” guidata dall’allora direttore Fabrice Leggeri. Storture che si traducono in concreto nella violazione dei diritti umani delle persone in transito. Proprio quel rapporto che ha portato alle dimissioni del direttore, da luglio 2022 sostituito temporaneamente da Aija Kalnaja, e ha spinto il Parlamento europeo ad approvare una risoluzione (con 345 voti favorevoli, 284 contrari e otto astenuti) contro la cosiddetta “procedura di discarico” del bilancio dell’Agenzia, ovvero una valutazione ex post che ha l’obiettivo di monitorarne l’attività degli anni precedenti (in questo caso del 2020). L’Olaf non è il primo organo istituzionale ad accusare Frontex: all’attivo risultano già due “denunce” da parte del Garante europeo per la protezione dei dati personali (Gepd), legata alla gestione della privacy, e del Difensore civico rispetto alle inefficienze dell’Agenzia sotto il profilo dei meccanismi di denuncia e di monitoraggio sulle violazione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nelle sue operazioni. Denunce che si aggiungono alle numerose inchieste svolte da diversi giornalisti e Ong indipendenti e che hanno spinto anche l’Università di Torino, titolare del Dipartimento coinvolto nell’accordo, a chiedere ai “colleghi” del Politecnico di recedere dall’accordo.

      Il 27 ottobre scorso il Consiglio di amministrazione di Unito aveva dichiarato la “totale contrarietà alla collaborazione in atto” e chiesto la “sospensione di attività con l’Agenzia”. In altri termini, rescindere il contratto. Una richiesta precisa perché nel dicembre 2021 la prima decisione del Senato accademico del Politecnico aveva votato l’inserimento di una clausola di salvaguardia sul rispetto dei diritti umani per controllare l’utilizzo dei prodotti della ricerca dell’Agenzia. Ma come ricostruito da Altreconomia quella clausola è stata inserita solo nel contratto tra i diversi attori del consorzio italiano. “Ciascuna parte si impegna ad agire -era scritto all’interno del contratto- nel pieno rispetto dei diritti umani e fondamentali, nonché dei principi di integrità della ricerca”. Il 31 maggio di quest’anno Frontex ci ha risposto però di “non detenere alcun documento” con riferimento alla richiesta di avere accesso a “eventuali bozze di consortium agreement sottoscritte dall’Agenzia da luglio 2021 in avanti”: una clausola, quindi, che non può affatto vincolare anche l’Agenzia. La sospensione delle attività richiesta dall’Università di Torino restava dunque l’unica via “affidabile” in termini di controllo dell’operato di Frontex.

      Ma il Senato accademico ha deciso di proseguire lasciando l’accordo così com’è. Restano inascoltate quindi la voce di Unito -su cui ricade la decisione di oggi del Senato del Politecnico- che si era aggiunta a quelle “interne” al Dipartimento che dall’inizio della vicenda chiedono pubblicamente di rescindere dal contratto. Da Michele Lancione, alla professoressa Francesca Governa. “Bisogna essere consapevoli che un accordo, passatemi la semplificazione, non particolarmente rilevante è però una spia di un modo di intendere il migrante, le politiche migratorie, l’Unione europea molto più condivisa di quanto pensiamo -racconta la docente nel podcast Limbo-. Anche negli Atenei e questo per me è un problema perché ho sempre pensato il sapere avesse il compito e la responsabilità di saper ‘discernere’. Evidentemente così non è”.

      https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-conferma-laccordo-con-frontex-ignorate-le-rich

    • “Politecnico, mi vergogno”. La lettera all’Ateneo dopo la conferma del patto con Frontex

      “Non è più possibile parlare di ‘etica’. Nessun discorso roboante sull’eccellenza della ricerca. Siamo complici: questa è la ‘scienza’ in questo momento in Europa”, denuncia il professor Michele Lancione. Pubblichiamo la sua lettera in risposta alla decisione dell’Ateneo di proseguire nel contratto con l’Agenzia europea

      Martedì 6 dicembre il Senato del Politecnico di Torino ha nuovamente confermato la sua volontà di proseguire nella produzione di mappe per Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, ignorando la richiesta di rescindere il contratto da parte dell’Università di Torino, co-titolare del Dipartimento che si è aggiudicato la commessa da quattro milioni di euro. Pubblichiamo la nota scritta dal professor Michele Lancione, ordinario di Geografia politico-economica, che fin dall’inizio si è opposto all’accordo tra il suo Ateneo e l’Agenzia (lr).

      La relazione dell’Organismo anti-frode Europeo (Olaf) su Frontex è chiara. L’Agenzia ignora i diritti umani delle persone in transito nel Mediterraneo e nei Balcani. Ci sono prove di come gli aerei e i droni di Frontex abbiano assistito all’annegamento di migranti in alto mare tra la Libia e l’Italia, senza intervenire. Questa non è solo una violazione dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (diritto di asilo) ma anche, più semplicemente e fondamentalmente, dell’articolo 2 (diritto alla vita) e di numerose convenzioni marittime internazionali che impongono a chiunque assista a situazioni di pericolo in alto mare di intervenire o di allertare organismi in grado di farlo. Frontex ha sistematicamente evitato qualsiasi tipo di intervento di proposito, in diverse occasioni, violando il diritto fondamentale alla vita delle persone in situazioni di pericolo su quelle imbarcazioni. L’Agenzia stessa lo ha riconosciuto, almeno implicitamente, quando il suo direttore si è dimesso sette mesi fa a seguito delle prime rivelazioni del rapporto di Olaf (all’epoca non divulgato).

      Come è noto, il mio Dipartimento al Politecnico di Torino, dove sono professore ordinario di Geografia politica ed economica, fornisce servizi di cartografia a Frontex. Questa associazione tra le due istituzioni è problematica non solo perché non c’è modo di sapere come Frontex utilizzerà le mappe (potenzialmente, per perseguire l’ulteriore violazione dei diritti umani), ma anche perché, per procura, tutti i membri del mio Dipartimento, me compreso, sono ora relazionabili con le attività dell’Agenzia. Non si tratta solo di un problema di immagine ma di una seria questione etica: come posso svolgere un lavoro di ricerca “etico”, se la mia istituzione ha a che fare con una terza parte coinvolta nella violazione sistematica dei diritti umani?

      Da un anno alcuni di noi si battono con forza contro questo accordo. In uno degli ultimi capitoli di questa storia, poche settimane fa, con una mossa senza precedenti, l’Università di Torino ha chiesto ufficialmente al Politecnico di prendere una posizione attiva contro questo accordo con l’Agenzia. Eppure, non bastano le prove schiaccianti del rapporto Olaf, né le prese di posizione di ricercatori e studenti torinesi, perché il mio datore di lavoro riconsideri la sua insostenibile posizione. A seguito della richiesta dell’Università, a inizio dicembre il Senato del Politecnico di Torino è stato nuovamente chiamato a votare sull’opportunità di mantenere la collaborazione tra il mio Dipartimento e Frontex e, con 19 voti su 29, ha confermato il mantenimento dell’accordo. Come se nulla importasse. Come se il Mediterraneo e i suoi corpi fossero su un altro piano di esistenza. Come se la collaborazione con Frontex fosse solo una questione tecnica: qualcosa di avulso rispetto alle violazioni dei diritti umani portate avanti da quella stessa Agenzia.

      Se questa è scienza, come scienziato, mi vergogno. Sono frustrato, furioso. È inaccettabile che un’università pubblica come il Politecnico si rifiuti di confrontarsi con l’enorme quantità di prove contro Frontex. È inaccettabile che questo non sia diventato un grande punto di preoccupazione etica: un punto in cui la prassi del lavoro accademico può acquisire o perdere completamente il suo senso. Per me, con quel voto, il Politecnico ha perso la poca credibilità che gli era rimasta. Non è più possibile parlare di “etica”. Nessun discorso roboante sull’”eccellenza della ricerca”. Siamo complici: questa è la “scienza” in questo momento in Europa. Per gli studenti e per i pochissimi ricercatori che ancora vedono le cose in modo diverso, continueremo a lavorare affinché questa non sia la fine.

      #Michele_Lancione, professore ordinario di Geografia Politico-Economica, Politecnico di Torino (michele.lancione@polito.it)

      https://altreconomia.it/politecnico-mi-vergogno-la-lettera-allateneo-dopo-la-conferma-del-patto

      #complicité #honte #éthique

    • Frontex off Campus! An Interview with Professor Michele Lancione

      Michele Lancione works as a Professor of Economic and Political Geography at the Polytechnic University of Turin. In July 2021, he discovered that his university had agreed to produce maps and infographics for Frontex in order ‘to support the activities’ of the agency. Since the foundation of the border agency in 2004, these ‘activities’ have been pivotal in securitising and militarising EU borders. Many have argued – including myself – that they have also relentlessly produced the ‘migration crises’ Frontex claims to combat.

      Over recent years, Frontex has faced a series of investigations into its activities, not least for the agency’s implication in serious human rights violations at the EU’s external borders. When Professor Lancione approached the university after learning of the cooperation and asked to end its contract with the agency, he was told that the project was simply producing ‘harmless data’. In this interview, we speak about his struggle to get Frontex off campus.

      https://blogs.law.ox.ac.uk/blog-post/2023/04/frontex-campus-interview-professor-michele-lancione

    • Il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con Frontex fino a giugno 2024

      Il contratto tra l’Ateneo e la contestata Agenzia che sorveglia le frontiere europee proseguirà per un altro anno. La conferma arriva da Varsavia e smentisce quanto riferito dal PoliTo secondo cui non era stata presa alcuna decisione. Intanto a Torino nasce “#Certo”, un coordinamento di docenti nato proprio a partire dal “caso Frontex”

      Il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con Frontex per la produzione di mappe aggiornate. Nonostante i gravi fatti di cui si è resa responsabile l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, l’Ateneo prosegue per altri dodici mesi con il contratto per la produzione di cartografia che si sarebbe dovuto concludere il 17 giugno 2023 . La conferma è arrivata ad Altreconomia direttamente da Frontex smentendo l’università che a metà maggio aveva fatto sapere di “non aver assunto decisioni in merito”.

      Torniamo al 17 giugno 2021, quando il consorzio italiano formato da #Ithaca Srl, centro di ricerca avanzata con sede a Torino e il Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del territorio, “condiviso” tra Politecnico e Università di Torino, sigla il contratto con Frontex per la produzione di cartografia aggiornata per un periodo di 24 mesi rinnovabile automaticamente due volte per dodici mesi ciascuna. Un rinnovo che il contratto, ottenuto da Altreconomia a inizio 2022, regola così: entro tre mesi dalla scadenza, le parti devono comunicare l’eventuale volontà di recedere dall’accordo altrimenti è rinnovo tacito. Considerando la scadenza del contratto prevista per metà giugno 2023, il termine utile per fermare la collaborazione era il 17 marzo. Così a inizio aprile abbiamo richiesto all’Ateneo chiarimenti rispetto a eventuali comunicazioni rivolte all’Agenzia. Solo a metà maggio ci è stato risposto che “non erano state assunte decisioni al momento (rispetto al rinnovo tacito, ndr)” e che non vi erano state “ulteriori deliberazioni successivamente alla seduta del senato del dicembre 2022”.

      Una seduta in cui (come raccontato qui: https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-conferma-laccordo-con-frontex-ignorate-le-rich) il senato accademico aveva scelto di restare a fianco di Frontex nonostante le critiche rivolte all’Ateneo a causa dei “malfunzionamenti” dell’Agenzia e della collaborazione nei respingimenti lungo i confini europei e la richiesta del consiglio di amministrazione dell’Università di Torino. Ma l’assenza di “decisioni assunte” rispetto a un rinnovo tacito, significa di fatto il proseguimento nell’accordo. Lo ha confermato Frontex che ad Altreconomia ha dichiarato che “l’autorità contraente non ha emesso né ricevuto alcuna notifica formale sul mancato rinnovo del contratto”. Insomma, si va avanti per un altro anno. Non cambia neanche il valore della commessa: i quattro milioni di euro previsti inizialmente dal bando, infatti, sono “l’importo massimo che copre tutti i possibili rinnovi del contratto, quattro anni in totale”.

      Dal quartier generale di Varsavia l’Agenzia ha fatto sapere inoltre che, in totale, sono state prodotte dall’inizio dell’accordo ben 107 mappe (al 16 maggio) “richieste e consegnate alle unità e ai team interni di Frontex”. Più di una mappa alla settimana, quindi, che potrebbe essere utilizzata anche nelle attività di controllo dei confini: l’Agenzia non ha ancora risposto su questo specifico punto ma è noto che le “unità” e i “team interni” comprendono anche le squadre di agenti che svolgono quell’attività, la più discussa di tutte. L’ufficio europeo antifrode (Olaf) ha infatti ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -ha spiegato Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona sul numero di aprile di Altreconomia-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Così anche la guida del nuovo direttore di Frontex Hans Leijtens, non ha fino ad oggi portato grandi novità: il confine più problematico, quello tra Grecia e Turchia, continua a vedere la presenza delle divise blu nonostante le ripetute violazioni denunciate da avvocati, attivisti e media. L’ultima in ordine di tempo è quella pubblicata a metà maggio dal New York Times che ha mostrato i video di un respingimento forzato di 12 persone (donne, minori e anche un neonato) che, una volta arrivate a Lesbo, in Grecia, a inizio aprile 2023 sono state caricate a forza su una nave della Guardia costiera greca e poi abbandonate alla deriva verso le coste turche. Una “pratica” illegale (già denunciata in passato) di cui Frontex era a conoscenza e rispetto alla quale tanto l’ex direttore esecutivo Leggeri quanto quello attuale non hanno mai preso una posizione netta. Proprio su quanto accade su quel confine, aveva spinto gli autori del rapporto Olaf a chiedere il ritiro degli agenti di Frontex dalla Grecia. Non è ancora avvenuto.

      Scene drammatiche, quelle dei respingimenti dalla Grecia verso la Turchia che avevano spinto a novembre 2022 il consiglio di amministrazione di Unito, basandosi proprio sulle conclusioni dell’Olaf, a chiedere ai colleghi del Politecnico di recedere dal contratto. Ma da Corso Duca degli Abruzzi i senatori avevano optato per mantenere in vita il contratto rivendicando la presenza della “clausola di rispetto dei diritti umani”. Una clausola che nella realtà obbliga esclusivamente i contraenti italiani di cui Frontex non è a conoscenza e soprattutto rispetto a cui non è chiaro come sia possibile monitorare l’utilizzo dei “prodotti” realizzati dall’Ateneo. Di fatto -lo specifica il contratto- una volta nelle mani dell’Agenzia, le mappe possono essere utilizzate senza dover rendere conto a chi le ha prodotte della loro destinazione d’uso.

      Intanto a Torino, proprio a partire dal “caso Frontex” un gruppo di docenti, ricercatori e studenti di entrambi gli Atenei (Unito e PoliTo) ha dato vita al gruppo “#Coordinamento_per_l’etica_nella_ricerca (Certo)” che si pone come obiettivo quello di “informare con continuità le comunità accademiche di Polito e Unito e l’opinione pubblica sui temi più sensibili che investono l’Università, la ricerca, le collaborazioni, i finanziamenti e le sue proiezioni nella società” e “creare momenti di incontro e di confronto sui temi etici che sono alla base del lavoro di ricerca”. “L’esperienza di Frontex ci ha dimostrato la necessità di creare spazi di dibattito sia all’interno della società sia dell’università sugli obiettivi della ricerca -spiega Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino-. Con l’obiettivo di renderla effettivamente libera e impedire che avvenga in settori o per obiettivi distanti o contrastanti con gli oggetti e i fini che devono connotare la ricerca pubblica. Quando ragioniamo di etica della ricerca pensiamo alla sua libertà, al suo pluralismo, ad un’ etica che non risponde a una qualsivoglia morale ma ai valori costituzionali del nostro Paese”.

      Il primo appuntamento organizzato da Certo dal titolo “Intorno al caso Frontex, l’università alle frontiere dell’etica”, a cui parteciperà anche Altreconomia, si svolgerà mercoledì 24 maggio alle 17 al Campus Luigi Einaudi di Torino. “Gli interessi universitari, legittimi, non possono tradursi in violazioni di diritti umani, come nel caso di Frontex -conclude Algostino-. Anche vista la direzione verso cui si muove il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che lega molto il tema della ricerca con la volontà di imprese e aziende serve individuare dei parametri chiari per monitorare quanto succede negli Atenei”.

      https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-ha-rinnovato-laccordo-con-frontex-fino-a-giugn

    • Cartografia e potere: l’accordo tra Politecnico di Torino e Frontex

      Parliamo con Michele Lancione, professore ordinario di geografia politico-economica presso il Politecnico di Torino che ha denunciato l’accordo per la produzione di mappe e cartografie siglato tra la sua università e Frontex.

      A seguire ci confrontiamo con un compagno sul coinvolgimento delle università italiane nei programmi militari-industriali partendo dal caso specifico dell’Università di Tor Vergata di Roma.

      https://www.ondarossa.info/redazionali/2023/06/cartografia-e-potere-laccordo
      #podcast #audio #Tor_Vergata #Itaca #DIST #cartographie #cartographie_digitale #cartographie_thématique

    • Nasce #CERTO : #Coordinamento_per_l’Etica_nella_Ricerca, Torino

      Negli scorsi mesi, un gruppo di docenti, ricercatori/ricercatrici, studenti/studentesse del Politecnico e Unito ha iniziato a discutere dei temi legati all’etica della ricerca, stimolati dal dibattito pubblico su Frontex e dalle scelte e responsabilità dei due Atenei.

      Questo gruppo si è in seguito strutturato come Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino (CERTO) e ha elaborato un manifesto che oggi presentiamo. Il manifesto nasce dall’esigenza di allargare la riflessione a tutt* coloro che possono essere interessati.

      Per sottoscrivere il manifesto potete scrivere ad Aurelia Martelli (aurelia.martelli@unito.it)

      COORDINAMENTO PER L’ETICA NELLA RICERCA, TORINO

      POLITO-UNITO

      CERTO (Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino) è un gruppo composto da docenti, studenti/studentesse e da persone che a vario titolo fanno parte delle due comunità accademiche di Politecnico e Università di Torino. Il Coordinamento ha a cuore la riflessione e la pratica di una ricerca e di una Università capaci di misurarsi con i problemi etici che sollevano, producono, affrontano e restituiscono non solo in ambito accademico ma anche in tutte le possibili declinazioni sociali, politiche, economiche e culturali.

      CERTO intende discutere pubblicamente i problemi che coinvolgono le scelte singole tutte le volte che ci si confronta con i fondamenti e le conseguenze etiche (etica intesa come proiezione dei valori costituzionali) che ogni approccio disciplinare contiene e produce, così come la condotta interna ai nostri luoghi di lavoro. La prospettiva non è ovviamente la restrizione dello spazio della libertà di ricerca, ma un confronto sulla coerenza etica della ricerca, anche per tutelare la sua effettiva libertà.

      CERTO nasce dal dibattito che in questi anni si è sviluppato intorno al ruolo e alle responsabilità di Frontex sia perché si tratta di una questione che investe le politiche e le coscienze di chi vive nello spazio europeo di fronte alle sfide dei processi migratori sia perché riguarda concretamente le scelte che le nostre due università hanno compiuto e dovranno compiere su questo terreno.

      CERTO ha due obiettivi. Il primo è informare con continuità le comunità accademiche di Polito e Unito e l’opinione pubblica sui temi più sensibili che investono l’Università, la ricerca, le collaborazioni, i finanziamenti e le sue proiezioni nella società, così che chiunque possa essere il più possibile consapevole delle implicazioni che le nostre attività comportano. Il secondo è creare momenti di incontro e di confronto sui temi etici che sono alla base del lavoro di ricerca e che, allo stesso tempo, emergono costantemente come sfide intellettuali e concrete da affrontare.

      CERTO inizia dunque il suo percorso proponendo un primo seminario, aperto a tutte e tutti, dal titolo Intorno al caso Frontex: l’Università alle frontiere dell’etica il giorno 24 maggio alle ore 17 (luogo da definire). Nelle settimane che precedono il seminario, questo blog ospiterà alcuni interventi riguardanti la questione Frontex, i problemi etici che comporta e il racconto di ciò che le nostre università hanno deciso fino a questo momento.

      Chi fosse interessato/ a partecipare alle attività di CERTO e sottoscrivere il manifesto può contattare Aurelia Martelli (aurelia.martelli@unito.it)

      Maria Chiara Acciarini (Università di Torino)

      Alessandra Algostino (Università di Torino)

      Patrizio Ansalone (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica – I.N.Ri.M.)

      Silvia Aru (Università di Torino)

      Alessandro Barge (Università di Torino)

      Danilo Bazzanella (Politecnico di Torino)

      Elisabetta Benigni (Università di Torino)

      Sandro Busso (Università di Torino)

      Elena Camino (Università di Torino)

      Alice Cauduro (Università di Torino)

      Marina Clerico (Politecnico di Torino)

      Alessandra Consolaro (Università di Torino)

      Cristina Cuneo (Politecnico di Torino)

      Pietro Deandrea (Università di Torino)

      Javier Gonzàlez Dìez (Università di Torino)

      Patrizia Ferrante (Università di Torino)

      Michele Lancione (Politecnico di Torino)

      Pietro Mandracci (Politecnico di Torino)

      Bruno Maida (Università di Torino)

      Beatrice Manetti (Università di Torino)

      Claudia Mantovan (Università di Padova)

      Chiara Maritato (Università di Torino)

      Aurelia Martelli (Università di Torino)

      Lorenzo Mauloni (Politecnico di Torino)

      Caterina Mele (Politecnico di Torino)

      Ivan Molineris (Università di Torino)

      Giuseppe Mosconi (Università di Padova)

      Chiara Occelli (Politecnico di Torino)

      Lia Pacelli (Università di Torino)

      Riccardo Palma (Politecnico di Torino)

      Norberto Patrignani (Politecnico di Torino)

      Silvia Pasqua (Università di Torino)

      Alessandro Pelizzola (Politecnico di Torino)

      Emilia Perassi (Università di Torino)

      Valeria Chiadò Piat (Politecnico di Torino)

      Raffaella Sesana (Politecnico di Torino)

      Massimo Zucchetti (Politecnico di Torino)

      https://coordinamentounito.wordpress.com/2023/04/26/nasce-certo-coordinamento-per-letica-nella-ricerca-tor

  • De l’autorité
    http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=1504

    Un an après la Commune, à l’automne 1872, Friedrich Engels, l’alter ego de Marx, exécute les « antiautoritaires » - c’est-à-dire les anarchistes et libertaires de l’époque - dans un article aussi bref que brillant. Si nous le republions un siècle et demi après sa parution dans l’Almanaco Republicano, ce n’est pas que nous, les anti-industrialistes, nous rendions à la rationalité technicienne de Engels, mais parce que celui-ci a l’avantage sur ses adversaires de poser le débat en termes clairs et corrects, et de mettre en lumière leurs contradictions. En fin dialecticien, il distingue en effet deux types d’autorité – rationnelle ou irrationnelle - s’exerçant dans deux cadres différents : la sphère économique et la sphère politique. Partant, il n’a aucun mal à montrer que même « les plus furieux (...)

    #Documents
    http://www.piecesetmaindoeuvre.com/IMG/pdf/de_l_autorite_.pdf

    • Irlande du Nord : les accords de paix d’avril 1998
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/04/12/irlande-du-nord-les-accords-de-paix-davril-1998_609602.html

      L’accord fut signé au terme de trente ans d’une guerre, appelée par euphémisme « Troubles », qui ravagea l’Irlande du Nord de 1968 à 1998. Aux origines du conflit se trouvait la volonté de la puissance coloniale britannique, au lendemain de la Première Guerre mondiale, de garder la main sur une partie de cette Irlande insurgée. En effet, pour mettre fin au soulèvement armé des nationalistes irlandais (1919-1921), les dirigeants de ce qui était alors le plus grand empire colonial au monde avaient scindé l’île en deux, concédant l’#indépendance à la plus grande part du territoire mais gardant le nord-est, plus industriel et plus riche que le reste de l’île. Londres pouvait garder sous tutelle cette « Irlande du Nord » grâce à une majorité protestante unioniste, c’est-à-dire favorable à l’union avec la Grande-Bretagne, contre les aspirations des nationalistes, largement majoritaires dans l’île mais en minorité au nord-est.

      À la fin des années 1960, une part croissante de la classe ouvrière catholique d’Irlande du Nord n’acceptait plus la pauvreté, le chômage, les inégalités criantes et les discriminations dont elle faisait l’objet. Les protestations, d’abord pacifiques au sein d’un mouvement pour les droits civiques et le droit au logement, furent brutalement réprimées par la police, puis par l’armée britannique d’occupation, comme lors du « #Bloody_Sunday », le « dimanche sanglant », de 1972. L’#État\britannique était ainsi responsable de l’escalade violente qui s’engageait. Parmi les unionistes, des milices se constituaient, suppléant les forces britanniques et ciblant souvent des catholiques de façon aveugle. Du côté des nationalistes, les organisations paramilitaires comme l’IRA s’érigeaient en bras armé des catholiques, frappant l’armée, les paramilitaires unionistes, ainsi que de nombreux civils lors d’attentats dans des centres commerciaux, des centres-villes, etc. Les Troubles allaient faire quelque 3 500 morts et 38 000 blessés, un bilan considérable à l’échelle d’une province de 1,5 million d’habitants. Aujourd’hui encore, de nombreuses familles gardent des séquelles de cette guerre. Et c’est d’abord au sein de la population que l’aspiration à la cessation des violences s’est exprimée.

      En 1998, l’accord de paix fut négocié sous la houlette du Premier ministre britannique #Tony Blair et, derrière lui, des États-Unis. Il était censé mettre un terme aux trente années de guerre civile. Pour cela, les dirigeants britanniques ont confié des prérogatives aux différents protagonistes du conflit. Les anciens paramilitaires ont enfilé le costume et obtenu des postes de pouvoir. Les partis nationalistes et unionistes ont obtenu un droit de veto dans les institutions locales, par conséquent souvent paralysées, comme c’est le cas aujourd’hui où le principal parti unioniste (#DUP) refuse de reconnaître sa défaite aux dernières élections. L’accord de 1998 prévoyait également l’ouverture de la frontière avec la #République_d’Irlande, une ouverture dont les unionistes se sont accommodés… jusqu’au #Brexit, qui s’est traduit, à leur grand dam, par la mise en place d’une frontière douanière entre l’Irlande du Nord et la Grande-Bretagne.

      L’#accord_de_1998 a figé les Nord-Irlandais dans deux « communautés » confessionnelles, #protestants et #catholiques, en créant des institutions partagées où leurs partis respectifs, unionistes et nationalistes, doivent siéger ensemble. Le poids de ces partis ainsi que celui des Églises font que la plupart des écoles restent ségréguées et que, encore aujourd’hui, des dizaines de « #murs_de_la_paix » séparent quartiers catholiques et protestants. La politique coloniale de « diviser pour régner » a éloigné ainsi les travailleurs les uns des autres pendant longtemps, mais n’a pas pu les empêcher d’entretenir d’innombrables liens de solidarité. Une partie des #Nord-Irlandais, qui côtoient dans leurs relations de travail, amicales voire familiales, des membres de « l’autre » #communauté, refusent désormais de s’inscrire dans ce #clivage_confessionnel gravé dans le marbre par les accords de 1998.

      Si la fin des affrontements a fait le bonheur des capitalistes qui font des affaires en Irlande du Nord, elle n’a mis fin ni aux inégalités, ni à la pauvreté, aujourd’hui plus importante qu’en #Grande-Bretagne. Le NHS, le système national de santé, est dans un état catastrophique dans la province d’Irlande du Nord où, par exemple, 6 000 patients attendent une opération depuis plus de cinq ans.

      Il y a donc quelque chose d’indécent à voir les dirigeants du monde impérialiste célébrer aujourd’hui l’accord sordide qu’ils négocièrent pour mettre fin à une guerre civile dont ils étaient largement responsables.

  • #métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements

    Je viens de lire dans un compte-rendu de réunion qui a eu lieu à Milan en juin 2019, ce commentaire, sur la situation à la #frontière italo-slovène :

    Gianfranco Schiavone :

    «Quello che sicuramente dovrebbe diventare una questione delicata é l’annunciato avvio delle pattuglie italo slovene in frontiera con l’obiettivo dichiarato alla stampa di bloccare gli arrivi. Con riammissione senza formalita’ delle persone irregolari intercettate nella fascia dei 5 km dalla frontiera . Queste sono le dichiarazioni pubbliche di questi giorni»

    Une #zone_frontalière de #5_km dans laquelle ont lieu des #refoulements directs.

    #Italie #Slovénie #frontière_sud-alpine #migrations #réfugiés #asile #frontière_mobile #bande_frontalière #frontières_mobiles #zone_frontalière #zones_frontalières #zone-frontière

    Ceci me rappelle d’autres cas, en Europe et ailleurs, dans lesquels des procédures semblables (la frontière n’est plus une #ligne, mais une #zone) ont été mises en place, j’essaie de les mettre sur ce fil de discussion.
    Si quelqu’un a d’autres cas à signaler, les contributions sont bienvenues...

    ping @reka @simplicissimus @karine4 @isskein

    • A la frontière entre franco-italienne :

      Dans un amendement, l’élu a proposé « une zone limitée aux communes limitrophes ou une bande de 10 kms par rapport à la frontière. » Le gouvernement en a accepté le principe, mais « le délimitera de manière précise par décret pour coller à la réalité du terrain. »

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/locales/67705/alpes-du-sud-refus-d-entree-pour-les-migrants-vers-une-evolution-
      #France #Italie #frontière_sud-alpine

    • L’article 10 de la loi renforçant la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme modifie l’article 78-2 du Code de procédure pénale relatif aux contrôles d’identités. Il permet ainsi des contrôles aux frontières pour une durée de douze heures consécutives (contre six auparavant). Il les élargit « aux abords » de 373 gares et dans un rayon de dix kilomètres des ports et aéroports au nombre des points de passage frontaliers. Bien au-delà des simples frontières de l’Hexagone, c’est une partie importante du territoire français qui est ainsi couvert, dont des villes entières comme Paris, Lyon, Toulouse, Marseille, etc.

      source, p.25 : https://www.lacimade.org/wp-content/uploads/2018/06/La_Cimade_Schengen_Frontieres.pdf
      #France

    • Frontière entre #Italie et #Slovénie :

      This month saw the introduction of joint Slovenian and Italian police patrols on their mutual border, raising concerns about the retrenchment of national boundaries contra the Schengen Agreement. The collaboration between authorities, due to be implemented until the end of September, mobilises four joint operations per week, with respective police forces able to enter 10km into the territory of their neighboring state in order to apprehend migrants. Mixed operations by member states signifies a growing trend towards the securitization of the EU’s internal borders, and in this case a tightening of controls on the departure point from the West Balkan route.

      The patrols aim at stemming the transit of migrants from the western Slovenian regions of #Goriška and #Obalno-kraška, into the eastern region of Friuli Venezia Giulia, Italy. Given the extensive pushback apparatus being employed by Slovenian and Croatian officials, arrival in Italy has often been the first place where persons-in-transit can apply for international protection without the threat of summary removal. However, these developments in cross border patrols highlight a growing effort on the part of the Italian government to prevent people seeking sanctuary on its territory.

      (p.15-16)

      https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/July-2019-Final-Report.pdf

      –—

      While the exact number of persons arriving via the Slovenian-Italian border is unknown, there has been a sharp rise since April (http://www.regioni.it/dalleregioni/2020/11/09/friuli-venezia-giulia-immigrazione-fedriga-ripensare-politiche-di-controllo-) of people entering Italy from the Balkan route. Not only in Trieste, but also around the province of #Udine, arrivals have increased compared to last year. In Udine, around 100 people (https://www.ansa.it/friuliveneziagiulia/notizie/2020/11/30/migranti-oltre-cento-persone-rintracciate-nelludinese_9fdae48d-8174-4ea1-b221-8) were identified in one day. This has been met with a huge rise in chain pushbacks, initiated by Italian authorities via readmissions to Slovenia. From January to October 2020, 1321 people (https://www.rainews.it/tgr/fvg/articoli/2020/11/fvg-massimiliano-fedriga-migranti-arrivi-emergenza-98da1880-455e-4c59-9dc9-6) have been returned via the informal readmissions agreement , representing a fivefold increase when compared with the statistics from 2019.

      But instead of dealing with this deficit in adherence to international asylum law, in recent months Italian authorities have only sought to adapt border controls to apprehend more people. Border checks are now focusing on trucks, cars and smaller border crossings (https://www.youtube.com/watch?v=fu4es3xXVc8&feature=youtu.be

      ), rather than focusing solely on the military patrols of the forested area. This fits into a strategy of heightened control, pioneered by the Governor of the Friuli Venezia Giulia Region Massimiliano Fedriga who hopes to deploy more detection equipment at the border. The aim is to choke off any onward transit beyond the first 10km of Italian territory, and therefore apply the fast tracked process of readmission to the maximum number of new arrivals.

      https://seenthis.net/messages/892914

      #10_km

    • Kuster Backs Bill To Reduce 100-Mile Zone for Border Patrol Checkpoints

      Congresswoman Ann McLane Kuster is cosponsoring legislation to reduce border zones from 100 to 25 miles from the border (https://www.congress.gov/bill/116th-congress/house-bill/3852?q=%7B%22search%22%3A%5B%22border+zone%22%5D%7D&s=1&r=1), within which U.S. Customs and Border Patrol can set up immigration checkpoints.

      Congressman Peter Welch of Vermont is the prime sponsor of the legislation.

      Kuster was stopped at one such immigration checkpoint in June of this year. The checkpoint, on I-93 in Woodstock, around 90 miles from the border, resulted in 29 tickets for alleged immigration violations.

      The violations were for legal visitors who did not have appropriate paperwork on them, according to the U.S. Customs and Border Protection.

      According to a map from CityLabs, the entire state of New Hampshire falls within a border zone (which includes coastal borders).

      “I think it has a chilling effect,” says Kuster. “It’s not the free and open America that we know.”

      Vermont Senator Patrick Leahy introduced a similar bill to the Senate.

      https://www.nhpr.org/post/kuster-backs-bill-reduce-100-mile-zone-border-patrol-checkpoints#stream/0
      #USA #Etats-Unis

    • Inside the Massive U.S. ’Border Zone’

      All of Michigan, D.C., and a large chunk of Pennsylvania are part of the area where Border Patrol has expanded search and seizure rights. Here’s what it means to live or travel there.

      https://cdn.citylab.com/media/img/citylab/2018/05/03_Esri_Map/940.png?mod=1548686763

      https://www.citylab.com/equity/2018/05/who-lives-in-border-patrols-100-mile-zone-probably-you-mapped/558275
      #cartographie #visualisation
      #100-Mile_Zone

      déjà signalé sur seenthis par @reka en 2018 :
      https://seenthis.net/messages/727225

    • En #Hongrie, les pushbacks, largement pratiqués depuis des années, ont été légalisés en mars 2017 par de nouvelles dispositions permettant aux forces de l’ordre de refouler automatiquement toute personne interpellée sur le territoire hongrois et considérée en situation irrégulière. Ces personnes sont ramenées jusqu’à la clôture et renvoyées de l’autre côté. Si elles manifestent leur volonté de demander l’asile, on leur signifie qu’elles doivent repartir en Serbie et passer par les zones de transit. Pourtant, se trouvant géographiquement et juridiquement en Hongrie (le mur étant situé à 1,5 mètre à l’intérieur du tracé officiel de la frontière), les autorités ont l’obligation de prendre en compte ces demandes d’asile en vertu des conventions européennes et des textes internationaux dont la Hongrie est signataire.

      Tiré du rapport de La Cimade (2018), pp.37-38 :
      https://www.lacimade.org/wp-content/uploads/2018/06/La_Cimade_Schengen_Frontieres.pdf

    • Le zone di transito e di frontiera – commento dell’ASGI al decreto del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2019

      Il 7 settembre 2009 sulla Gazzetta Ufficiale n. 210 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) è stato pubblicato il decreto del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2019 che individua le zone di transito e di frontiera dove potrà trovare applicazione la procedura accelerata per l’esame nel merito delle domande di protezione internazionale e istituisce due nuove sezioni delle Commissioni territoriali , come previsto dall’art. 28 bis co. 1 quater del D.lgs. n. 25/2008, introdotto dal d.l. n. 113/2018.

      Le zone di frontiera o di transito sono individuate in quelle esistenti nelle seguenti province:

      –Trieste e Gorizia;

      –Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce e Brindisi;

      –Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina;

      –Trapani, Agrigento;

      –Città metropolitana di Cagliari e Sud Sardegna.

      Il decreto ministeriale istituisce altresì due nuove sezioni , Matera e Ragusa, le quali operano rispettivamente nella commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato di Bari, per la zona di frontiera di Matera, e nella commissione territoriale di Siracusa, per la zona di frontiera di Ragusa.

      Nel commento qui pubblicato ASGI sottolinea come le nuove disposizioni paiono contrastare con le norme dell’Unione Europea perché si riferiscono in modo assolutamente generico alle “zone di transito o di frontiera individuate in quelle esistenti nelle province” e non ad aree delimitate, quali ad esempio i porti o le aree aeroportuali o altri luoghi coincidenti con frontiere fisiche con Paesi terzi non appartenenti all’Unione europea.

      ASGI evidenzia come “l’applicazione delle procedure accelerate alle domande presentate nelle zone individuate nel decreto ministeriale comporta una restrizione dell’effettivo esercizio dei diritti di cui ogni straniero è titolare allorché manifesta la volontà di presentare la domanda di asilo e una conseguente contrazione del diritto di difesa, in ragione del dimezzamento dei termini di impugnazione e dell’assenza di un effetto sospensivo automatico derivante dalla proposizione del ricorso previsti, in modo differente per le varie ipotesi specifiche, dall’art. 35 bis D. Lgs. 25/08”.

      A tal fine ASGI ricorda che:

      – ai cittadini di Paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alla frontiere esterne, che desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri devono garantire l’informazione, anche sull’accesso procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, adeguati servizi di interpretariato,
      nonché l’effettivo accesso a tali aree alle organizzazioni e alle persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti asilo (art. 8 Direttiva 2013/32/UE);

      – gli Stati membri devono provvedere affinché l’avvocato o altro consulente legale che assiste o rappresenta un richiedente possa accedere alle aree chiuse, quali i centri di trattenimento e le zone di transito (art. 23 par. 2) e analoga possibilità deve essere garantita all’UNHCR (art. 29, par. 1);

      – ai sensi dell’art. 46 par. 1 il richiedente ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice anche nel caso in cui la decisione sulla domanda di protezione internazionale venga presa in frontiera o nelle zone di transito.

      E’ evidente, conclude ASGI nel commento al Decreto, che vi sia il rischio che lo straniero espulso o respinto e che abbia presentato domanda di protezione internazionale dopo l’espulsione o il respingimento in una zona di frontiera tra quelle indicate nel nuovo decreto ministeriale si veda esaminata la sua domanda in modo sommario mentre è trattenuto in condizioni e luoghi imprecisati e inaccessibili di fatto a difensori e organizzazioni di tutela dei diritti.

      Occorre invece ribadire che la presentazione della domanda di protezione internazionale in frontiera riguarderà spesso persone rese ulteriormente vulnerabili dalle condizioni traumatiche del viaggio ed alle quali andrà perciò in ogni caso garantito un esame adeguato della domanda di protezione internazionale e l’applicazione delle garanzie e dei diritti previsti a tutela dei richiedenti protezione internazionale dalle disposizioni nazionali e dell’Unione Europea.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/asilo-zone-transito-frontiera

    • La loi renforçant la lutte contre le terrorisme étend à nouveau les contrôles d’identités frontaliers

      Avant l’entrée en vigueur de la loi du 30 octobre 2017, les #contrôles_frontaliers étaient autorisés dans les espaces publics des #gares, #ports et #aéroports ouverts au trafic international (désignés par un arrêté ministériel) et dans une zone située entre la frontière terrestre et une ligne tracée de 20 kilomètres en deçà. Le législateur avait étendu les zones frontalières, notamment dans les territoires ultra-marins (où la convention de Schengen n’est pourtant pas applicable).

      https://www.editions-legislatives.fr/actualite/la-loi-renforcant-la-lutte-contre-le-terrorisme-etend-a-nouvea
      #France #20_km #20_kilomètres #espace_public #gares_internationales

    • The Grand Chamber Judgment in Ilias and Ahmed v Hungary: Immigration Detention and how the Ground beneath our Feet Continues to Erode

      The ECtHR has been for a long time criticized for its approach to immigration detention that diverts from the generally applicable principles to deprivation of liberty in other contexts. As Cathryn Costello has observed in her article Immigration Detention: The Ground beneath our Feet, a major weakness in the Court’s approach has been the failure to scrutinize the necessity of immigration detention under Article 5(1)(f) of the ECHR. The Grand Chamber judgment in Ilias and Ahmed v Hungary delivered on 21 November 2019 has further eroded the protection extended to asylum-seekers under the Convention to the point that restrictions imposed upon asylum-seekers might not even be qualified as deprivation of liberty worthy of the protection of Article 5. The Grand Chamber overruled on this point the unanimously adopted Chamber judgment that found that the holding of asylum-seekers in the ‘transit zone’ between Hungary and Serbia actually amounts to deprivation of liberty.

      In this blog, I will briefly describe the facts of the case, the findings of the Grand Chamber under Article 3 ECHR that was also invoked by the applicants and then I will focus on the reasoning as to the applicability of Article 5.

      The case concerned two Bangladeshi nationals who transited through Greece, the Republic of Northern Macedonia (as it is now known) and Serbia before reaching Hungary, where they immediately applied for asylum. They found themselves in the transit zone on the land border between Hungary and Serbia, where they were held for 23 days pending the examination of their asylum applications. The applications were rejected on the same day on the ground that the applicants had transited through Serbia that, according to Hungary, was a safe third country. The rejections were confirmed on appeal, an order for their expulsion was issued, the applicants were escorted out of the transit zone and they crossed back into Serbia.

      Procedural Breach of Article 3 ECHR

      The Grand Chamber established that Hungary ‘failed to discharge its procedural obligation under Article 3 of the Convention to assess the risks of treatment contrary to that provision before removing the applicants from Hungary’ to Serbia (para 163). No finding was made on the issue as to whether Hungary was substantively in breach of the right not to be subjected to refoulement given the conditions in Serbia and the deficiencies in the Serbian asylum procedures that might lead to chain refoulement. This omission follows a trend in the Court’s reasoning that can be described as a procedural turn: focus on the quality of the national decision making processes rather than on the substantive accuracy of the decisions taken at national level.[1] This omission, however, had important consequences for the application of Article 5 to the applicants’ case, the most controversial aspect in the Grand Chamber’s reasoning.

      The Chamber’s reasoning under Article 5 ECHR

      On this aspect, the Grand Chamber departed from the Chamber’s conclusion that the applicants were deprived of their liberty. The fundamental question here is whether ‘the stay’ (Hungary used the term ‘accommodation’) of asylum-seekers in the ‘transit zone’ with an exit door open to Serbia, but closed to Hungary, amounts to deprivation of liberty (i.e. detention) in the sense of Article 5 ECHR. Asylum seekers in the transit zone were denied access to the Hungarian territory,[2] but they could leave to Serbia. This creates a complex intertwinement between deprivation of liberty (Article 5(1)(f)) normally understood as not allowing somebody to leave a place, on the one hand, and not allowing somebody to enter a place. Entering a State can be very relevant from the perspective of the obligation upon this State not to refoule, which necessitates a procedure for determining whether there is a risk of refoulement.

      In its judgment from 14 March 2017 the Chamber unanimously answered in positive: by holding them in the transit zone, Hungary deprived the applicants from their liberty, which was in violation of Article 5(1)(f) since this measures had no legal basis in the national law. The Chamber clarified that‘[t]he mere fact that it was possible for them to leave voluntarily returning to Serbia which never consented to their readmission cannot rule out an infringement of the right to liberty.’ (para 55). In this way the Chamber reaffirmed the reasoning in Amuur v France where the Court observed ‘[…] this possibility [to leave voluntary the country] becomes theoretical if no other country offering protection comparable to the protection they expect to find in the country where they are seeking asylum is inclined or prepared to take them in.’ (para 48) It follows that although the transit zone at the French airport was, as France argued, “open to the outside”, the applicants were still considered as having been detained since this ‘outside’ did not offer a level of protection comparable to the one in France.

      The Chamber followed this reasoning from Amuur v France in Ilias and Ahmed v Hungary, which led to the recognition that ‘[…] the applicants could not have left the transit zone in the direction of Serbia without unwanted and grave consequences, that is, without forfeiting their asylum claims and running the risk of refoulement’ (para 55). The Chamber also added that ‘To hold otherwise would void the protection afforded by Article 5 of the Convention by compelling the applicants to choose between liberty and the pursuit of a procedure ultimately aimed to shelter them from the risk of exposure to treatment in breach of Article 3 of the Convention.’ (para 56)

      The ‘practical and realistic’ approach of the Grand Chamber under Article 5 ECHR

      The Grand Chamber in its reasoning broke precisely this linkage between the applicability of Article 5 (the qualification of a treatment as deprivation of liberty) and Article 3 (protection from refoulement). The Grand Chamber performed the following important moves to achieve this. First, it stated that ‘its approach should be practical and realistic, having regard to the present-day conditions and challenges’, which implied that States were not only entitled to control their borders, but also ‘to take measures against foreigners circumventing restrictions on immigration.’ (para 213). With Ilias and Ahmed v Hungary the Court has thus added another nuance to its well-established point of departure in cases dealing with migrants. This point of departure has been that States are entitled, subject to their treaty obligations, to control their borders. The new addition introduced with Ilias and Ahmed v Hungary and also repeated in Z.A. and Others v Russia, a Grand Chamber judgment issued on the same day, concerns States’ right to prevent ‘foreigners circumventing restrictions on immigration’. This addition, however, does not seem appropriate given that the applicants themselves in Ilias and Ahmed v Hungary never circumvented any immigration control restrictions. They applied immediately for asylum.

      This ‘practical and realistic approach’ also implied an endorsement of the representation of the situation as one of ‘crisis’:[3] ‘the Court observes that the Hungarian authorities were in conditions of a mass influx of asylum-seekers and migrants at the border, which necessitated rapidly putting in place measures to deal with what was clearly a crisis situation.’ (para 228) In the same paragraph, the Grand Chamber went on to almost praise Hungary for having processed the applicants’ claims so fast event though it was ‘a crisis’: ‘Despite the ensuring very significant difficulties, the applicants’ asylum claims and their judicial appeals were examined within three weeks and two days.’ It appears as if the Grand Chamber at this stage had already forgotten its findings made earlier in the judgment under Article 3 that the national procedure for examining the applicants’ claims was deficient. This ultimately gave the basis for the Grand Chamber to find a violation of Article 3.

      The distinction based on how asylum-seekers arrive and the type of border they find themselves at

      The second move performed by the Grand Chamber implied the introduction of a distinction between ‘staying at airport transit zones’ (para 214) and at reception centers located on islands (para 216), on the one hand, and a transit zone located on the land border between two Council of Europe Member States (para 219). This meant, as the Court reasoned, that the applicants did not have to take a plane to leave the zone, they could simply walk out of the zone. In other words, it was practically possible for them to do it on their own and they did not need anybody’s help. As the Court continued to reason in para 236, ‘Indeed, unlike the case of Amuur, where the French courts described the applicants’ confinement as an “arbitrary deprivation of liberty”, in the present case the Hungarian authorities were apparently convinced that the applicants could realistically leave in the direction of Serbia [emphasis added].’ This quotation also begs the comment as to why what the national authorities were or were not convinced about actually mattered. In addition, the reference in Ilias and Ahmed v Hungary as to how the national authorities had qualified the situation is also bizarre given that ‘deprivation of liberty’ is an autonomous concept under the Convention. On this point, the two dissenting judges, Judge Bianku and Judge Vućinić criticized the majority by highlighting that ‘the Court has reiterated on many occasions that it does not consider itself bound by the domestic courts’ legal conclusions as to the existence of a deprivation of liberty.’

      Narrowing down the importance of Amuur v France

      The third move performed by the Court is playing down the importance of and narrowing the relevance of Amuur v France. In Ilias and Ahmed v Hungary the Grand Chamber reiterated (para 239) the most significant pronouncement from Amuur: the possibility to leave the zone ‘becomes theoretical if no other country offering protection comparable to the protection they expect to find in the country where they are seeking asylum is included to take them in.’ It then noted that this reasoning ‘must be read in close relation to the factual and legal context in that case.’ This meant that in contrast to the situation in Ilias and Ahmed v Hungary, in Amuur the applicants could not leave ‘without authorization to board an airplane and without diplomatic assurance concerning their only possible destination, Syria, a country “not bound by the Geneva Convention Relating to the Status of Refugees.’ (para 240) On this point Ilias and Ahmed v Hungary can be also distinguished from Z.A. and Others v Russia, where the Grand Chamber observed that ‘[…] unlike in land border transit zones, in this particular case leaving the Sheremetyevo airport transit zone would have required planning, contacting aviation companies, purchasing tickets and possibly applying for a visa depending on the destination.’ (para 154) For the applicants in Ilias and Ahmed ‘it was practically possible […] to walk to the border and cross into Serbia, a country bound by the Geneva Convention.’ (para 241). The Grand Chamber acknowledged that the applicants feared of the deficiencies in the Serbian asylum procedure and the related risk of removal to the Republic of North Macedonia or Greece. (para 242) However, what seems to be crucial is that their fears were not related to ‘direct threat to their life or health’ (para 242). It follows that the possibility to leave for a place will not preclude the qualification of the situation as one of detention, only if this place poses a direct threat to life or health.

      As noted by the two dissenting judges, it did not seem to matter for the majority that the applicants could not enter Serbia lawfully. In this way, the majority’s reasoning under Article 5 appears to endorse a situation where people are just pushed out of the border without some formal procedures with elementary guarantees.

      Read as a whole the Grand Chamber judgment in Ilias and Ahmed v Hungary is inconsistent: it contains two findings that are difficult to square together. The Court concluded that since the applicants would not be exposed to a direct risk in Serbia, they were not detained in Hungary. At the same time, Hungary violated Article 3 of the Convention since it did not conduct a proper assessment of the risks that the applicants could face if they were to return to Serbia.

      Overall weakening of the protection of Article 5 ECHR

      One final comment is due. In Ilias and Ahmed v Hungary, the Grand Chamber summarized the following factors for determining whether ‘confinement of foreigners in airport transit zones and reception centers’ can be defined as deprivation of liberty: ‘i) the applicants’ individual situation and their choices, ii) the applicable legal regime of the respective country and its purpose, iii) the relevant duration, especially in the light of the purpose and the procedural protection enjoyed by applicants pending the events, and iv) the nature and degree of the actual restrictions imposed on or experienced by the applicants.’ (para 217) (see also Z.A. and Others v Russia, para 145) Among these criteria particular attention needs to be directed to the applicable legal regime and the availability of procedural protection. In principle, Article 5, if found applicable, offers certain guarantees (e.g. statutory basis for the deprivation of liberty, access to proceedings for challenging the lawfulness of the detention). The Court seems to have inserted such considerations at the definitional stage of its analysis. For example, in Z.A. and Others v Russia, the Grand Chamber when it examined whether the confinement of the applicants in the airport transit zone amounted to deprivation of liberty, noted that they were left ‘in a legal limbo without any possibility of challenging the measure restricting their liberty’ (para 146). This played a role for the Grand Chamber to conclude that the applicants in Z.A. and Others v Russia were indeed deprived of liberty and Article 5 was thus found applicable. In contrast, the Grand Chamber in Ilias and Ahmed v Hungary observed that certain procedural guarantees applied to the applicants’ case (para 226), which also played a role for the final conclusion that Article 5 was not applicable. In sum, instead of scrutinizing the national legal regime and the access to procedural guarantees as part of the substantive analysis under Article 5, where a single deficiency leads to a finding of a violation (i.e. it is sufficient to find a violation of Article 5 if there is no strictly defined statutory basis for the applicants’ detention), the Court has muddled these criteria together with other factors and made them pertinent for the definitional analysis. This ultimately weakens the roles of these criteria and creates uncertainty.

      [1] See V Stoyanova, ‘How Exception must “Very Exceptional” Be? Non-refoulement, Socio-Economic Deprivation and Paposhvili v Belgium’ (2017) International Journal of Refugee Law 29(4) 580.

      [2] See B Nagy, ‘From Reluctance to Total Denial: Asylum Policy in Hungary 2015-2018’ in V Stoyanova and E Karageorgiou (eds) The New Asylum and Transit Countries in Europe during and in the Aftermath of the 2015/2016 Crisis (Brill 2019) 17.

      [3] Boldizsar Nagy has argued that this representation made by the Hungarian government is a lie. See B Nagy, Restricting access to asylum and contempt of courts: illiberals at work in Hungary, https://eumigrationlawblog.eu/restricting-access-to-asylum-and-contempt-of-courts-illiberals-at

      https://strasbourgobservers.com/2019/12/23/the-grand-chamber-judgment-in-ilias-and-ahmed-v-hungary-immigra
      #justice #CEDH #Hongrie #CourEDH

    • Entre la #Pologne et la #Biélorussie :

      Si cette famille a pu être aidée, c’est aussi parce qu’elle a réussi à dépasser la zone de l’état d’urgence : une bande de 3 km tracée par la Pologne tout du long de sa frontière avec la Biélorussie, formellement interdite d’accès aux organisations comme aux journalistes.
      Le long de la frontière, les migrants se retrouvent donc seuls entre les gardes-frontières polonais et biélorusses. Côté polonais, ils sont ramenés manu militari en Biélorussie… En Biélorussie, ils sont également refoulés : depuis octobre, le pays refuse de laisser entrer les migrants déjà passés côté européen. « La seule chance de sortir de la Pologne, c’est d’entrer en Biélorussie. La seule chance de sortir de la Biélorussie, c’est d’entrer en Pologne. C’est comme un ping-pong », confie Nelson (pseudonyme), un migrant originaire de la République démocratique du Congo qui a contacté notre rédaction.

      https://seenthis.net/messages/948199
      et plus précisément ici :
      https://seenthis.net/messages/948199#message948201

      –-

      Et l’article de Médiapart :
      Entre la Pologne et le Belarus, les migrants abandonnés dans une #zone_de_non-droit
      https://seenthis.net/messages/948199#message948202

    • « À titre de mesures compensatoires à l’entrée en vigueur de la convention de Schengen – qui, du reste, n’était pas encore applicable –, la loi du 10 août 1993 instaure les contrôles dits frontaliers : la police, la gendarmerie et la douane peuvent vérifier l’identité de toute personne, pour s’assurer qu’elle respecte les obligations liées à la détention d’un titre de circulation ou de séjour, dans la zone frontalière et dans les zones publiques des ports, aéroports et gares ouvertes au trafic international. La zone frontalière est une bande de terre, large de 20 km, longeant la frontière terrestre ; les ports, gares ou autres aérogares visés figurent sur une longue liste fixée par un arrêté ministériel. »

      (Ferré 2018 : 16)

      –-

      « Il suffit de passer quelques heures à la gare de Menton pour le constater. Pour les personnes présumées étrangères, la liberté d’aller et de venir dans les espaces placés sous surveillance est restreinte. Elle a encore été réduite avec la loi du 30 octobre 2017 renforçant la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme qui modifie, une fois de plus, le texte de loi sur les contrôles d’identité en étendant les zones frontalières autour de certains ports et aéroports qui constituent des points de passage frontaliers au sens du code frontières Schengen, soit « tout point de passage autorisé par les autorités compétentes pour le franchissement des frontières extérieures ». Dans ces nouvelles zones, la police pourra procéder à des opérations de contrôle sans avoir besoin de motiver son intervention. La loi de 2017 a également prévu que les contrôles frontaliers puissent s’effectuer « aux abords des gares » et non plus seulement dans les zones publiques de ces lieux. La formulation souffre, c’est peu de le dire, d’un manque de précision qui donne plus de latitude encore aux forces de l’ordre. »

      (Ferré 2018 : 19)

      source : Nathalie Ferré, « La France s’enferme à double tour », Plein Droit, 2018, n°116.

      #20_km #20_kilomètres

    • #Pyrénées, frontière #Espagne-#France, témoignage d’une personne ayant acheté un terrain en zone frontalière :

      « En ce moment, on croise plein de voitures de forces de l’ordre, ce qui est étonnant en plein hiver car il n’y a personne. Il y a aussi des barrages de police réguliers car ils savent que des gens se font prendre sur la route », raconte Camille Rosa, cofondatrice d’une cantine solidaire à Perpignan. « On a acheté avec des copains un petit terrain vers Cerbère. Un jour, des gendarmes sont venus fouiller notre camion alors que mes enfants faisaient la sieste à l’intérieur. J’ai tenté de m’interposer, mais ils m’ont dit que sur la #zone_frontalière, ils avaient une #commission_rogatoire_permanente », poursuit-elle.

      https://seenthis.net/messages/950934

    • #France :

      Le contrôle d’identité « Schengen » permet de vérifier le respect des obligations liées aux titres et documents d’identité et de voyage. Il peut avoir lieu dans une zone située à moins de #20_kilomètres de la frontière terrestre séparant la France d’un pays limitrophe (Allemagne, Belgique, Espagne, Italie, Luxembourg et Suisse). Si le contrôle a lieu sur l’autoroute ou dans un train, la zone s’étend jusqu’au 1er péage ou l’arrêt après les 20 kilomètres. Le contrôle peut être effectué dans un port, un aéroport ou une gare et ses abords accessible au public et ouverte au trafic international. Le contrôle ne peut pas être pratiqué plus de 12 heures consécutives dans un même lieu et ne peut pas être systématique.

      Depuis la loi n° 2017-1510 du 30 octobre 2017 renforçant la sécurité intérieure, des contrôles d’identité peuvent également être effectués dans un rayon de #10_kilomètres autour de certains #ports et #aéroports sur le territoire.

      C’est ce dernier contrôle qui concerne majoritairement les personnes se présentant à la frontière francoitalienne, mais certaines situations suivies par les militants locaux laissent penser que d’autres types de contrôles ont pu servir pour justifier les arrestations de personnes au-delà de la bande des 20 kilomètres ou des zones transfrontalières.

      Rapport de l’Anafé, Persona non grata, 2019 : http://www.anafe.org/spip.php?article520

      –—

      Rapport CNCDH 2018, p.7 :

      « la préfète des Hautes-Alpes a expliqué que la zone permettant de procéder à des refus d’entrée avait été définie par son prédécesseur mais qu’elle ne correspondait pas nécessairement à la bande des 20 kms14. Selon la PAF, les refus d’entrée peuvent être prononcés dès lors que l’étranger est contrôlé sur le territoire des communes de Montgenèvre et Nevache, et donc jusqu’à l’entrée de Briançon. »
      Il convient de rappeler que des contrôles aléatoires, hors du cadre dérogatoire prévu en cas de rétablissement des frontières, peuvent être opérés, conformément à l’article 78-2 du code de procédure pénale, dans une zone comprise entre la frontière terrestre de la France avec les Etats de l’espace et une ligne tracée à 20 kilomètres en deçà, ainsi que dans les zones accessibles au public des ports, aéroports et gares ferroviaires ou routières ouverts au trafic international et désignés par arrêté et aux abords de ces gares. Ces contrôles sont toutefois strictement encadrés, notamment par la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenne. Les personnes interpellées sur ce fondement peuvent faire l’objet d’une procédure de réadmission. En revanche, lorsque les contrôles aux frontières intérieures sont rétablis, les autorités françaises peuvent refuser l’entrée aux étrangers ne remplissant pas les conditions d’entrée sur le territoire aux frontières terrestres et leur notifier une décision de non-admission. Ces étrangers sont considérés comme n’étant pas entrés sur le territoire

      https://www.cncdh.fr/fr/publications/avis-sur-la-situation-des-migrants-la-frontiere-franco-italienne

      #10_km #20_km

    • Sur le #Bibby_Stockholm barge at #Portland Port :

      “Since the vessel is positioned below the mean low water mark, it did not require planning permission”

      https://seenthis.net/messages/1000870#message1011761

      voir aussi :

      “The circumstances at Portland Port are very different because where the barge is to be positioned is below the mean low water mark. This means that the barge is outside of our planning control and there is no requirement for planning permission from the council.”

      https://news.dorsetcouncil.gov.uk/2023/07/18/leaders-comments-on-the-home-office-barge

      #UK #Angleterre

    • The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      https://seenthis.net/messages/1018938#message1023987
      #fiction_de_non-entrée

      –—

      Ce terme est empruntée d’une vieille loi des Etats-Unis, The Immigration Act 1891 :

      “The Immigration Act 1891 was the first to expressly mention detention, as it made provision for officers to ’inspect all such aliens’ or ’to orcier a temporary removal of such aliens for examination at a de ignated time and place, and then and there detain them until a thorough inspection is made’. The Act alsa created the very important provision that came to be known as the ’entry fiction’. According to this, a removal to shore for examination ’shall not be considered a landing during the pendency of such examination’. This was a criticallegal (and constitutional) innovation because it meant that th ose incarcerated must be treated as if they were not there. This was both an attempt to treat the place of detention as if it were sim ply an extension ofbeing held on board ship, but also something more serious. The concept of being physically detained within the territorial land-mass of the United States but not being considered legally present was radical. It suggested a kind of limbo - with the detention centre constituting perhaps an extra-legal space- putting immigrants beyond the reach of constitutional norms, pending a final executive decision to land or deport them.”

      source : Daniel Wilsher, Immigration detention : law, history, politics, 2012, p. 13

    • Autour du nouveau #pacte (#Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile)

      3) Introduzione del concetto di “finzione del non ingresso”

      Il patto introduce il concetto di “finzione giuridica di non ingresso”, secondo il quale le zone di frontiera sono considerate come non parte del territorio degli Stati membri. Questo interessa in particolare l’Italia, la Grecia e la Spagna per gli sbarchi della rotta mediterranea, mentre sono più articolati “i confini” per la rotta balcanica. Durante le 12 settimane di attesa per l’esito della richiesta di asilo, le persone sono considerate legalmente “non presenti nel territorio dell’UE”, nonostante esse fisicamente lo siano (in centri di detenzione ai confini), non avranno un patrocinio legale gratuito per la pratica amministrativa e tempi brevissimi per il ricorso in caso di un primo diniego (e in quel caso rischiano anche di essere espulse durante l’attesa della decisione che li riguarda). In assenza di accordi con i paesi di origine (come nella maggioranza dei casi), le espulsioni avverranno verso i paesi di partenza.

      Tale concetto creadelle pericolose “zone grigie” in cui le persone in movimento, trattenute per la procedura accelerata di frontiera, non potranno muoversi sul territorio né tantomeno accedere a un supporto esterno. Tutto questo in spregio del diritto internazionale e della tutela della persona che, sulla carta, l’UE si propone(va) di difendere.

      https://seenthis.net/messages/1050383

    • Legal fiction of non-entry in EU asylum policy

      The fiction of ’#non-entry' is a claim that states use in border management to deny the legal arrival of third-country nationals on their territory, regardless of their physical presence, until granted entry by a border or immigration officer. It is usually applied in transit zones at international airports between arrival gates and passport control, signifying that the persons who have arrived have not yet entered the territory of the destination country. Although physically present, they are not considered to have legally entered the country’s official territory until they have undergone the necessary clearance. In the EU, all Member States make use of the fiction of non-entry in transit zones at ports of entry, but usually in a non-asylum context. In 2018, Germany was one of the first Member States to extend this concept to include land crossings. Since the mass arrival of asylum-seekers in 2015-2016, other Member States too have increasingly looked into ways of using this claim to inhibit asylum-seekers’ entry to their territory and thereby avoid the obligation under international law to provide them with certain protection and aid. This, however, may lead to a risk of refoulement, as the fiction of non-entry limits asylum-seekers’ movement and access to rights and procedures, including the asylum procedure. This is a revised edition of a briefing published in March 2024.

      https://seenthis.net/messages/1050973
      #fiction_légale #legal_fiction #non-entrée #aéroports #territoire #géographie #zones_frontalières #zones_de_transit #présence_physique

  • Un peu en vrac, la question de la politique de l’#excision de l’#Australie (#excision_territoriale):

    La première excision (2001), celle des îles, et contenu dans ce document législatif:
    https://www.comlaw.gov.au/Details/C2004A00887

    Et puis ils ont décidé d’exciser tout le territoire australien pour l’arrivée par bateau, en 2013:

    “The effect of this change, while it has been discussed as the ‘excision of the Australian mainland from the migration zone’, in fact only excises the mainland for those who arrive to Australia by boat. Previously, only those who were intercepted in waters on the way to Australia and then transferred to Christmas Island, or arrived at Christmas Island or another “excised offshore place”, became an offshore entry person and were thereby excluded from making a Protection application by section 46A of the Migration Act. Following this amendment, all those who arrive by boat, including those who actually land on Australia’s shores, are now barred by section 46A. Any person arriving by boat to seek asylum in Australia must have this bar lifted by the Minister personally, in circumstances where the Minister finds it is in the public interest to do so. All boat arrivals are now also subject to Australia’s offshore processing regime and can be transferred to a regional processing country under section 198AD of the Migration Act, even if they first land on the Australian mainland. Any asylum seeker arriving by plane is still able to lodge a protection application and is not subject to the regional processing arrangements. These changes also ensure that all boat arrivals are subject to mandatory detention, are to be taken to a regional processing country, and cannot institute or continue certain legal proceedings in Australia.”
    http://www.iarc.asn.au/_blog/Immigration_News/post/excision-of-the-australian-mainland-for-boat-arrivals

    http://www.abc.net.au/news/2013-05-16/parliament-excises-mainland-from-migration-zone/4693940

    Il y a aussi un wiki sur cela:
    https://en.wikipedia.org/wiki/Australian_migration_zone#cite_note-abcnews-5

    Et une vignette:


    http://www.kudelka.com.au/tag/excision

    #Australie #migrations #asile #externalisation #réfugiés

    cc @reka

    • Out of sight, out of mind : excising Australia from the migration zone

      The migration zone is any place in Australia where a person arriving without a valid visa - what is technically called “without lawful authority” - can still make a valid visa application.

      It is distinct from the territory of Australia and might best be understood as a legal boundary within which people arriving without valid visas can still fall under the remit of the Migration Act of 1958. Protections afforded by the Migration Act - in addition to being permitted to apply for asylum - include having asylum claims processed in Australia, rather than in a detention centre such as Manus Island or Nauru

      https://theconversation.com/out-of-sight-out-of-mind-excising-australia-from-the-migration-zone

      #migration_zone

      –-> on explique très bien dans cet article aussi l’histoire du #Tampa et de #Arne_Rinnan :

      To understand how we started tinkering with the boundaries of the migration zone, one must go back to 2001 and the so-called Tampa Affair. In August 2001, Captain Arne Rinnan rescued 433 asylum seekers from their sinking boat and sheltered them on his freighter, the MV Tampa. He then made the decision to head to Christmas Island (which was at the time still in Australia’s migration zone) for the safety of his vessel, the crew and the people he had rescued.

      As a way to solve what then prime minister John Howard viewed as a direct challenge to border security in the aftermath of September 11 terrorist attacks, he proposed and had passed legislation that re-defined Christmas Island, Ashmore and Cartier Islands, Cocos (Keeling) Islands and Australian sea and resources installations as well as any other external territories, or state or territory islands, prescribed by regulations as “excised offshore places”. Importantly, this legislation was also retrospective.

      With a stroke of the proverbial parliamentary pen, while the Tampa asylum seekers had reached Australian territory, they were no longer in the “migration zone” and were subsequently removed to offshore detention centres.

    • Voir aussi ce décret de #Reagan mentionné dans l’article « Immigration Enforcement and the Afterlife of the Slave Ship » :

      But in our present day, it began in earnest with President Ronald Reagan’s Executive Order 12324 of 1981, also called the Haitian Migrant Interdiction Operation (HMIO), which exclusively tasked the USCG to “interdict” Haitian asylum seekers attempting to enter the United States by sea routes on unauthorized sailing vessels. Such people were already beginning to be derogatorily referred to as “boat people,” a term then borrowed (less derogatorily) into Haitian Kreyòl as botpippel.

      https://seenthis.net/messages/901628

    • Reprise du #modèle_australien et son concept de l’#excision_territoriale par les Etats-Unis :

      “People intercepted at sea, even in U.S. waters, have fewer rights than those who come by land. “Asylum does not apply at sea,” a Coast Guard spokesperson told me. Even people who are fleeing violence, rape and death, who on land would be likely to pass an initial asylum screening, are routinely sent back to the countries they’ve fled.”

      #USA #Etats-Unis