• La #religion de la nouvelle extrême droite espagnole
    https://laviedesidees.fr/La-religion-de-la-nouvelle-extreme-droite-espagnole

    Quelle est la part de la référence religieuse dans le discours de Vox, le parti d’extrême droite espagnol ? Le #catholicisme est au cœur de sa revendication identitaire et nationaliste, mais sert aussi de ressource symbolique pour combattre les courants féministes et progressistes.

    #International #Espagne #extrême_droite
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240424_vox.pdf

  • Les BRICS et leur Nouvelle banque de développement offrent-ils des alternatives à la Banque mondiale, au FMI et aux politiques promues par les puissances impérialistes traditionnelles ?

    Les BRICS et leur Nouvelle banque de développement offrent-ils des alternatives à la Banque mondiale, au FMI et aux politiques promues par les puissances impérialistes traditionnelles ?

    Au cours des dernières années, le rejet légitime des politiques promues par les puissances impérialistes traditionnelles (Amérique du Nord, Europe occidentale et Japon) suivi des annonces faites par les BRICS (le Brésil, Russie, Inde, Chine, Afrique du sud) ont suscité un grand intérêt et l’attente de grands changements, notamment la création d’une monnaie commune pour remettre en cause le dollar comme monnaie dominante. Qu’en est-il réellement ? Quel est le bilan de la Nouvelle Banque de développement et du Fonds monétaire des BRICS ?

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/24/les-brics-et-leur-nouvelle-banque-de-developpe

    #international #brics

  • Il cotone “sporco e insostenibile” di #Zara ed #H&M e la distruzione del #Cerrado

    La Ong inglese #Earthsight ha condotto un’inchiesta per un anno lungo la filiera di questa fibra tessile: i due marchi della fast fashion avrebbero immesso sul mercato 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nella savana tropicale che copre un terzo del Brasile. “Il sistema di filiera ‘etica’ su cui si basano questi colossi è fondamentalmente difettoso”

    Se negli ultimi anni avete acquistato vestiti di cotone, asciugamani o lenzuola di H&M o Zara “probabilmente sono macchiati del saccheggio del Cerrado”, un’area ricchissima di biodiversità che copre quasi un quarto della superficie del Brasile. Sam Lawson, direttore della Ong britannica Earthsight, non usa mezzi termini per commentare l’esito dell’inchiesta “Fashion crimes. The European retail giants linked to dirty Brazilian cotton”, pubblicata l’11 aprile, che analizza la lunga e insostenibile filiera di questa fibra dalla produzione (in Brasile) alla lavorazione (in Paesi come Indonesia e Bangladesh), fino alla commercializzazione in Europa (Italia compresa) dove, secondo le stime di Earthsight, i due brand avrebbero messo in commercio prodotti realizzati con 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nel Cerrado.

    Ma andiamo con ordine. L’inchiesta di Earthsigh prende le mosse proprio dal grande Paese latinoamericano che, negli ultimi dieci anni, ha guadagnato crescente importanza nel mercato globale del cotone, di cui oggi è il secondo esportatore mondiale “e si prevede che entro il 2030 supererà gli Stati Uniti”. Il cuore di questa produzione si concentra in uno degli ecosistemi più fragili e preziosi del mondo: il Cerrado, una grande savana tropicale che ospita una delle più importanti aree di biodiversità al mondo, dove vivono oltre seimila specie di alberi così come centinaia di rettili, mammiferi, anfibi e uccelli.

    La sopravvivenza di questo inestimabile patrimonio è minacciata dalla deforestazione illegale che nel 2023 ha raggiunto livelli record, con un aumento del 43% rispetto al 2022. “Circa la metà della vegetazione nativa del Cerrado è già andata perduta, soprattutto per far posto all’espansione dell’agrobusiness”, evidenzia il report. Milioni di litri d’acqua vengono prelevati regolarmente dai fiumi e dalle falde per irrigare i campi di cotone, la cui coltivazione richiede l’utilizzo di 600 milioni di litri di pesticidi ogni anno.

    L’inchiesta di Earthsight analizza in particolare il ruolo di due dei principali produttori di cotone brasiliani: il gruppo Horita e SLC Agrícola che controllano enormi aziende e centinaia di migliaia di ettari di terreno. “Nel 2014 l’agenzia ambientale dello Stato di Bahia ha rilevato 25mila ettari deforestati illegalmente nelle aziende agricole di Horita a Estrondo -si legge nel report-. Nel 2020 la stessa agenzia ha dichiarato di non essere riuscita a trovare i permessi per altri 11.700 ettari deforestati dall’azienda tra il 2010 e il 2018”. Tra il 2010 e il 2019 l’azienda è stata multata complessivamente più di venti volte, per un totale di 4,5 milioni di dollari, per violazioni ambientali.

    https://i0.wp.com/altreconomia.it/app/uploads/2024/04/7.-Cerrado-accumulated-deforestation-1987-2022.png

    Altrettanto gravi, le denunce rivolte a SLC Agrícola: tre aziende, tutte coltivate a cotone, hanno cancellato per sempre 40mila ettari di Cerrado nativo negli ultimi 12 anni. E, sebbene l’azienda abbia adottato una politica “zero deforestazione” nel 2021, è accusata di aver distrutto altri 1.356 ettari di vegetazione nel 2022. Accuse che hanno spinto il fondo pensionistico pubblico della Norvegia a ritirare i propri investimenti nella società brasiliana.

    Al termine di un lavoro d’inchiesta di un anno -durante il quale hanno analizzato migliaia di registri di spedizione, relazioni aziendali, elenchi di fornitori e siti web– i ricercatori di Earthsight hanno ricostruito la filiera che porta il cotone coltivato illegalmente nel Cerrado nei negozi di Zara ed H&M e poi negli armadi di milioni di persone. I ricercatori hanno identificato otto produttori di abbigliamento asiatici che utilizzano il cotone Horita e SLC e che allo stesso tempo forniscono alle due società di fast fashion milioni di capi di cotone finiti. Tra questi figura l’indonesiana PT Kahatex “il più grande acquirente di cotone contaminato Horita e SLC che abbiamo trovato”. H&M è il secondo cliente dell’azienda indonesiana, da cui ha acquistato milioni di paia di calzini, pantaloncini e pantaloni che sono poi stati messi in vendita nei negozi del gruppo negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, in Svezia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Spagna, in Francia, in Polonia, in Irlanda, in Italia.

    Il cotone sporco del Cerrado è finito anche negli stabilimenti di Jamuna Group, uno dei maggiori conglomerati industriali del Bangladesh: “Nei negozi Zara in Europa, fino ad agosto 2023, sono stati venduti per 235 milioni di euro jeans e altri capi in denim confezionati da Jamuna, circa 21.500 paia al giorno -si legge nel report-. Inditex importa i capi prodotti da Jamuna in Spagna e nei Paesi Bassi, da dove li distribuisce ai suoi negozi Zara, Bershka e Pull&Bear in tutta Europa”. Complessivamente, secondo le stime che i ricercatori hanno elaborato consultando i registri delle spedizioni il Gruppo Horita e SLC Agrícola hanno esportato direttamente almeno 816mila tonnellate di cotone da Bahia verso i mercati esteri tra il 2014 e il 2023. Una quantità di materia prima sufficiente a produrre dieci milioni di capi d’abbigliamento e prodotti per la casa tra lenzuola, tovaglie e tende.

    Ma come è stato possibile, si sono chiesti i ricercatori, che le catene di approvvigionamento dei due marchi di moda siano state “contaminate” da cotone brasiliano legato a deforestazione e land grabbing? “Parte della risposta sta nel fatto che le loro politiche etiche sono piene di falle. Ma soprattutto, il sistema di filiera etica su cui si basano è fondamentalmente difettoso”.

    Il riferimento è al fatto che, nel tentativo di presentarsi come sostenibili e responsabili, i due brand si sono affidati a un sistema di certificazione denominato Better Cotton (BC). “Il cotone che abbiamo collegato agli abusi ambientali a Bahia ne riportava il marchio di qualità. Questo non dovrebbe sorprendere dal momento che Better Cotton è stata ripetutamente accusata di greenwashing e criticata per non aver garantito la piena tracciabilità delle catene di approvvigionamento”, scrivono i ricercatori di Earthsight nel rapporto. Evidenziando come, sebbene dal primo marzo 2024 le regole di BC siano state aggiornate, rimangano comunque una serie di criticità e di punti deboli. A partire dal fatto che il cotone proveniente da terreni disboscati illegalmente prima del 2020 venga ancora certificato.

    “È ormai molto chiaro che i crimini legati ai beni che consumiamo devono essere affrontati attraverso la regolamentazione, non attraverso le scelte dei consumatori -conclude Sam Lawson, direttore di Earthsignt-. Ciò significa che i legislatori dei Paesi consumatori dovrebbero mettere in atto leggi forti con un’applicazione rigorosa. Nel frattempo, gli acquirenti dovrebbero pensarci due volte prima di acquistare il prossimo capo di abbigliamento in cotone”.

    https://altreconomia.it/il-cotone-sporco-e-insostenibile-di-zara-ed-hm-e-la-distruzione-del-cer
    #industrie_textile #coton #mode #déforestation #Brésil #rapport #chiffres #statistiques #SLC_Agrícola #Horita #SLC #fast-fashion #land_grabbing #accaparement_de_terres #Better_Cotton #greenwashing #green-washing

    • Fashion Crimes: The European Retail Giants Linked to Dirty Brazilian Cotton


      Key Findings:

      - The world’s largest fashion brands, H&M and Zara, use cotton linked to land grabbing, illegal deforestation, violence, human rights violations and corruption in Brazil.
      - The cotton is grown by two of Brazil’s largest agribusinesses – SLC Agrícola and the Horita Group – in western Bahia state, a part of the precious Cerrado biome, which has been heavily deforested in recent decades to make way for industrial-scale agriculture.
      - Unlike in the Amazon, deforestation in the Cerrado is getting worse. The biome is home to five per cent of the world’s species. Many face extinction due to habitat loss if current deforestation trends are not reversed.
      - For centuries, traditional communities have lived in harmony with nature. These communities have seen their lands stolen and suffered attacks by greedy agribusinesses serving global cotton markets.
      - The tainted cotton in H&M and Zara’s supply chains is certified as ethical by the world’s largest cotton certification scheme, Better Cotton, which has failed to detect the illegalities committed by SLC and Horita. Better Cotton’s deep flaws will not be addressed by a recent update to its standards.
      - Failure by the fashion sector to monitor and ensure sustainability and legality in its cotton supply chains means governments in wealthy consumer markets must regulate them. Once in place, rules must be strictly enforced.

      https://www.earthsight.org.uk/fashion-crimes

  • Abolir les #prisons, une « #utopie_réelle »

    Dans « Brique par brique, mur par mur », trois chercheurs tentent la première #histoire de l’#abolitionnisme_pénal, qui place la critique radicale de la #prison, de la #justice et de la #police au cœur de ses analyses. Une tradition militante et politique riche. Y compris en Europe.

    « Les #institutions_pénales ne sont pas seulement inefficaces pour nous protéger et régler nos différends, elles sont en plus préjudiciables et néfastes. » Avec Brique par brique, mur par mur (Lux Éditeur), qui paraît en France le 17 mai, #Gwenola_Ricordeau, professeure associée en justice criminelle à l’université de l’État de Californie, #Joël_Charbit, chercheur associé au Centre lillois d’études et de recherches sociologiques et économiques, et #Shaïn_Morisse, doctorant au Centre de recherches sociologiques sur le droit et les institutions pénales, retracent l’archéologie et l’actualité de l’abolitionnisme pénal, qui défend l’abolition de la justice, de la police et de la prison.

    À la faveur de la critique radicale de la prison et de l’incarcération de masse, ce mouvement intellectuel et militant a retrouvé aux États-Unis une vivacité récente. Mais dans le monde occidental, ses racines ont poussé en Europe, dans les années 1970. Souvent ignorée, quand elle n’est pas « calomniée », taxée d’utopique, la tradition de l’abolitionnisme pénal irrigue pourtant de nombreux mouvements de la gauche radicale globale. Entretien avec Shaïn Morisse, l’un des auteurs.

    Mediapart : La France compte un nombre historique de détenus. La surpopulation est endémique, les conditions de détention sont indignes depuis des décennies. Votre livre débute avec un constat : « Les services que les prisons sont censées rendre ne compenseront jamais les torts qu’elles créent depuis leur création »…

    Shaïn Morisse : La prison impose une souffrance institutionnelle. Elle est destructrice pour les individus, leurs proches et leurs communautés. Pour les abolitionnistes, elle perpétue, comme toutes les institutions du système pénal, un ordre social et racial inégalitaire, qui surcriminalise les populations socialement défavorisées et racisées.

    Qu’est-ce que l’abolitionnisme pénal ?

    Le point de départ de l’abolitionnisme, c’est de dire, là encore, que le coût social du système pénal est supérieur aux services qu’il est censé rendre. Il y a depuis deux siècles une critique permanente du système pénal. D’abord par des réformistes, jusqu’à l’apparition de l’abolitionnisme dans les années 1960-1970. La différence, c’est que les abolitionnistes ne contestent pas simplement le système pénal dans son fonctionnement ou dans ses dysfonctionnements. Mais dans sa légitimité même.

    Ils et elles estiment que le système pénal est injuste, coûteux et destructeur. Mais aussi qu’il est inefficace et inopérant : il ne dissuade pas, ne réhabilite pas. Il traite une partie infinitésimale des situations potentiellement criminalisables. Sa fonction rétributrice, c’est-à-dire la compensation d’une souffrance commise par une souffrance équivalente, voire supérieure, n’est pas non plus satisfaisante. Certes, il neutralise les individus, soit de façon définitive avec la peine de mort, soit pour un certain temps. Mais comme l’écrit [la militante et universitaire antiraciste – ndlr] Angela Davis, « la prison ne fait pas disparaître les problèmes, elle fait disparaître les êtres humains ».

    La prison semble pourtant plus que jamais plébiscitée, dans nos sociétés contemporaines, comme le meilleur moyen de punir. Et ce depuis des décennies, notamment en lien avec ce que vous nommez dans le livre le « durcissement pénal » à partir des années 1970. Pourquoi ?

    L’abolitionnisme se développe dans les années 1960-1970, dans un contexte d’espoir révolutionnaire et de grandes espérances politiques radicales à gauche. On assiste à une médiatisation de la question carcérale, à une politisation autour des questions pénales. Les prisonniers sont érigés en sujet politique, prennent la parole eux-mêmes. Il y a des mouvements de prisonniers, de la répression mais aussi des réformes pénales radicales. Des sociologues réalisent des études empiriques pour comprendre ce qu’est l’incarcération, ce qui se passe réellement en prison.

    À partir de la fin des années 1970, et plus particulièrement au milieu des années 1980, avec l’avènement du néolibéralisme, les discours abolitionnistes deviennent inaudibles. L’intérêt pour les structures disparaît. On ne voit plus que l’individu, qui serait entièrement responsable de sa destinée. C’est « la loi et l’ordre », l’avènement de discours purement punitifs qui ne voient pas l’aspect problématique de la prison. Pourtant, ce sont toujours les mêmes catégories de population qui se retrouvent en prison. Ce n’est donc pas juste une question d’individus qui n’arriveraient pas à se réinsérer dans la société. Il y a des logiques sociales et structurelles : l’abolitionnisme cherche ainsi à réencastrer le système pénal dans la société.

    L’abolition de la prison, mais aussi « de toutes les institutions qui forment le système pénal, comme la police et les tribunaux », apparaît dans ce contexte comme une « utopie ». C’est un terme que vous assumez d’ailleurs.

    L’abolitionnisme revendique la notion d’utopie, mais une « utopie réelle », ancrée dans les potentiels réels de l’humanité. Il s’agit de donner les moyens aux gens de régler ce que le système pénal nomme « délits » et « crimes » d’une manière pérenne et satisfaisante. L’abolitionnisme ne fournit pas un modèle unique, et ne formule pas des « alternatives ». C’est logique : l’idée n’est pas de remplacer le système pénal par une autre institution. De fait, il implique de changer les structures sociales. Car on ne peut pas régler les problèmes qui sont à la source de ce qu’on appelle communément « le crime » sans considérer la société, l’économie, les différents rapports de domination, que ce soit le patriarcat, le validisme ou le racisme.

    C’est-à-dire que l’abolitionnisme du système pénal n’est possible qu’une fois que la révolution aurait eu lieu ?

    Globalement, la tendance assez générale au sein de l’abolitionnisme est révolutionnaire, surtout aujourd’hui. Pour autant, l’abolition est un horizon politique, tout comme la révolution est un horizon. Si les abolitionnistes ne sont pas des réformistes — ils ne pensent pas que le système pénal peut devenir plus acceptable ou efficace –, ils sont aussi pragmatiques. Il y a eu dans les années 1970 des abolitionnistes social-démocrates, et d’autres qui considèrent qu’on peut s’accommoder d’un certain niveau d’inégalité, d’un peu de capitalisme.

    On a tendance à croire que l’abolitionnisme pénal est d’abord américain, dans un pays où l’esclavage est, comme vous l’écrivez « la matrice du système pénal ». Pour autant, vous montrez qu’il y a une tradition française et européenne riche de l’abolitionnisme. La France, écrivez-vous, a d’ailleurs « joué un rôle prépondérant dans la circulation internationale du modèle de la prison »…

    Avec ce livre, nous voulions faire la première histoire générale de l’abolitionnisme, montrer que c’est un mouvement qui a cinquante ans. Raconter, aussi, que ce n’est pas, comme on le pense, un courant récent importé des États-Unis. La première vague de l’abolitionnisme s’est d’abord développée en Europe. La seconde vague, à partir des années 1990, démarre aux États-Unis. Elle est liée aux mouvements de libération africaine américaine, avec Angela Davis et la fondation du groupe Critical Resistance, qui va être très important pour toute la structuration des luttes abolitionnistes. Mais Angela Davis elle-même a lu des auteurs européens ! Ce qui est vrai, c’est que la question de la race, le féminisme, étaient les grands impensés de l’abolitionnisme européen. À partir des années 1990, l’abolitionnisme états-unien va enrichir la réflexion et intégrer ses questions.

    Avec le mouvement Black Lives Matter, les manifestations immenses qui ont suivi le meurtre policier de George Floyd en 2020, un large mouvement social aux États-Unis réclame le « définancement et le désarmement de la police ». Ce mouvement a obtenu des victoires locales. Pourquoi une telle vitalité de l’abolitionnisme pénal aux États-Unis alors qu’il reste chez nous une pensée marginalisée ?

    Cela tient d’abord à l’exceptionnalisme pénal états-unien : à partir des années 1980, une incarcération de masse a été mise en place. La population carcérale a quintuplé, devenant la plus grande du monde, devant la Russie et la Chine. Dans le même temps, l’État social s’est effondré totalement. Comme le souligne le sociologue Loïc Wacquant, l’État pénal s’est renforcé quand l’État social s’effondrait. Les conséquences ont été profondes. C’est de là qu’est repartie la reconfiguration de l’abolitionnisme aux États-Unis, mais aussi en Amérique du Sud. Mais ces dernières années, il y a tout un renouvellement des enjeux de l’abolitionnisme. C’est aussi vrai en Europe, en lien avec les questions de féminisme, d’antiracisme, en lien aussi avec l’action de la police, la question des frontières, ou la question des centres de rétention administrative (CRA).

    Pour beaucoup de victimes, la peine infligée à l’auteur est une reconnaissance, le début d’un chemin de réparation. Vouloir abolir la prison et la justice pénale, n’est-ce pas les priver de cette réparation possible ?

    Vu l’évidence culturelle du système pénal, il est normal que les gens attendent de lui une forme de reconnaissance du préjudice. Mais l’abolitionnisme affirme que le système pénal néglige profondément les intérêts et les besoins de tout le monde : les victimes, mais aussi les personnes criminalisées. Les abolitionnistes s’intéressent donc à des modes alternatifs de régulation des conflits, de manière radicale, c’est-à-dire en faisant en sorte qu’ils ne se reproduisent pas à l’avenir.

    En quoi consistent-ils ?

    Différents courants se sont développés depuis les années 1970-1980, qui ont pris le nom par exemple de « justice restauratrice » ou « réparatrice » au Canada. Les infractions ne sont plus considérées uniquement comme des transgressions à la loi, qui doivent être sanctionnées, mais comme des conflits ou des situations problématiques qui ont des répercussions personnelles sur la vie des gens et qui doivent être réparées. Donc il ne s’agit pas de punir, mais de remédier au tort subi par les victimes et de reconstituer le lien social.

    À partir des années 1990, ce courant de la justice restauratrice, pensé hors du système pénal, a commencé à être digéré par les différents systèmes pénaux. Elle a été utilisée comme un supplément à la peine : par exemple, elle a été intégrée dans la loi en France avec la loi Taubira en 2014.

    A alors émergé la justice transformatrice, notamment sous l’impulsion de l’abolitionniste canadienne Ruth Morris. Elle ne cherche pas juste à réparer le lien social, mais aussi à changer les individus et la société en général. Depuis plus de dix ans, il y a tout un essor militant et éditorial de la justice transformatrice, souvent initiée par des groupes qui, parce qu’ils sont souvent criminalisés, ne peuvent pas forcément recourir à la police.

    C’est le cas, surtout aux États-Unis (avec des groupes comme Generation Five, CARA, Creative Interventions). On peut citer aussi l’activiste Mariame Kaba. En France, c’est aussi la démarche du collectif Fracas. La justice transformatrice recourt à des pratiques de médiation et de guérison. Elle mobilise une palette de mesures adaptées à chaque problème (refuge, groupe de soutien, etc.). Son but est aussi de changer les valeurs, pratiques et structures qui ont rendu la commission de la violence possible, par un travail culturel et politique.

    Le Code pénal prévoit des crimes et des délits. La vision abolitionniste critique la notion de crime, la « figure mythologique du criminel » comme vous l’écrivez. Est-ce à dire que les crimes n’existent pas ?

    Les abolitionnistes considèrent que le crime est une catégorie « éponge », qui regroupe des actes qui n’ont aucune similitude la plupart du temps, que ce soit sur les situations que ça implique ou les impacts concrets que ça va avoir sur la vie des personnes. Pour les abolitionnistes, la grammaire de la criminalisation ne permet pas de comprendre les situations vécues, les circonstances, les expériences des personnes concernées. C’est pour eux une abstraction qui décontextualise, qui réduit la complexité des situations.

    C’est-à-dire qu’il n’y a pas de victimes et il n’y a pas d’auteurs ?

    Ces actes déplorables qu’il y a derrière la notion de « crime » ils sont là, ils existent. Mais les abolitionnistes partent de ces actes et de ces situations pour ensuite proposer une multiplicité d’interprétations de ces situations et de réponses possibles. Beaucoup d’entre eux remettent en cause la dichotomie auteur-victime, car beaucoup d’auteurs sont aussi victimes d’autres systèmes d’oppression. Les abolitionnistes vont dire que le « crime » n’est pas un point de départ utile pour cadrer les problèmes. Ils vont partir des actes et des situations concrètes.

    Il ne s’agit pas d’excuser telle ou telle personne pour avoir commis tel acte : l’abolitionniste cherche à reproblématiser la question de la responsabilité, pas à dédouaner la personne qui a commis l’acte. Mais c’est aussi hypocrite de voir uniquement la responsabilité individuelle comme le fait le système pénal ; et de ne pas regarder toutes les logiques sociales qui ont permis à cette situation d’advenir.

    https://www.mediapart.fr/journal/culture-et-idees/230424/abolir-les-prisons-une-utopie-reelle
    #abolitionnisme #emprisonnement

    • Brique par brique, mur par mur. Une histoire de l’abolitionnisme pénal

      Il y a d’abord une évidence : les services que les prisons sont censées rendre ne compenseront jamais les torts qu’elles causent. Depuis les années 1960, ce constat d’un immense gâchis a amené un vaste mouvement à œuvrer à l’abolitionnisme pénal : en finir avec toutes les prisons, mais aussi avec les autres institutions qui forment le système pénal, comme la police et les tribunaux. Ce projet politique poursuit ainsi un objectif ambitieux : rendre vraiment justice aux victimes et répondre à leurs besoins, en plus de prévenir les violences systémiques et interpersonnelles.

      En prenant appui sur les trajectoires transnationales des mouvements politiques qui ont mis au cœur de leur démarche la critique radicale du système carcéral et judiciaire, cet ouvrage, le premier du genre en langue française, offre une documentation indispensable pour inspirer les luttes contemporaines.

      https://luxediteur.com/catalogue/brique-par-brique-mur-par-mur
      #livre

  • Elections en #Inde : #Modi désigne les musulmans comme des « infiltrés » | Les Echos
    https://www.lesechos.fr/monde/asie-pacifique/elections-en-inde-modi-designe-les-musulmans-comme-des-infiltres-2090490

    Lors d’un meeting politique, le Premier ministre a décrit les musulmans indiens comme des « infiltrés » qui allaient se saisir des richesses du pays si l’opposition venait à prendre le pouvoir. Plusieurs plaintes ont été déposées contre le Premier ministre.

  • Crimes de guerre, famine, expropriations et pogroms (+ autres textes)

    Texte de : Refuser Solidarity Network
    Amira Hass : Les Palestiniens se demandent pourquoi les colons qui les attaquent prennent la peine de dissimuler leur visage
    Jason Burke : Révélation : Israël a accéléré la construction de colonies à Jérusalem-Est depuis le début de la guerre de Gaza
    Oren Ziv : Les soldats ont ouvert la voie aux colons : Les pogroms se multiplient en Cisjordanie
    B’Tselem : Fabrication de la famine : Israël commet le crime de guerre de la famine dans la bande de Gaza
    Salima Bouyarden : Ce matin je me suis réveillée
    John Aziz : En tant que Palestinien, je déplore ce qui se passe à Columbia et dans d’autres campus - et ce que le Hamas nous a fait subir
    Henri Goldman : Leçon de Pâque
    Liens avec d’autres textes

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/23/crime-de-guerre-de-la-famine-et-pogroms-autres

    #international #palestine #israel

  • Sous l’uniforme, tu restes un·e citoyen·ne

    Valentin Dolgotchub : Notes d’un mobilisé
    Sophie Bouchet-Petersen : Pour l’égalité des femmes sous l’uniforme : les mêmes droits que les hommes sans les codes virilistes…
    Soutien aux combattant·es ukrainien·nes de la démocratie

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/23/sous-luniforme-tu-restes-un·e-citoyen·ne

    #international #ukraine

  • L’action syndicale permet l’annulation de licenciements et des réintégrations

    Sois comme Nina

    Dans la ville de Pryluky, dans la région de Tchernihiv, le syndicat indépendant du personnel soignant réussit à contester le licenciement de ses militantes.

    Le 12 avril 2024, le tribunal du district municipal de Prylutsk de l’oblast de Tchernihiv a jugé que le chef du Centre de soins médicaux et sanitaires du KNP du conseil du district de Prylutsk de l’oblast de Tchernihiv avait illégalement licencié la cheffe du centre paramédical. Le tribunal s’est rangé du côté de la plaignante et l’a réintégrée, et a également ordonné de lui payer son salaire pour absentéisme forcé.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/11/23/ukraine-3-questions-a-sois-comme-nina/#comment-60720

    #international #ukraine

  • Ces salariés rémunérés au smic toute leur carrière : « Le temporaire dure depuis vingt-deux ans »
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2024/04/02/ces-salaries-remuneres-au-smic-toute-leur-carriere-le-temporaire-dure-depuis


    Un salarié contrôle une machine dans la verrerie d’Arc, à Arques (Pas-de-Calais), le 9 septembre 2022. SAMEER AL-DOUMY / AFP

    Ce phénomène de stagnation concerne notamment les femmes et les travailleurs âgés de plus de 50 ans.
    Par Jérémie Lamothe - Publié le 02 avril 2024

    En intégrant Phone Régie en 2002 en tant qu’hôtesse d’accueil standardiste en région parisienne, Géraldine (le prénom a été changé), alors âgée de 30 ans, en était persuadée : ce boulot « alimentaire » rémunéré au smic, qui lui permettait d’échapper au chômage, ne serait que « temporaire ». « Mais le temporaire dure depuis vingt-deux ans, et je suis toujours au smic », raconte-t-elle.

    Elle a bien été augmentée « une fois » par sa direction « d’une dizaine d’euros en 2010 », se remémore-t-elle, avant d’être rattrapée par le smic, indexé, lui, sur l’inflation. « A quoi ça sert d’aller batailler auprès de la direction pour avoir une augmentation, si c’est pour être de nouveau au smic quelque temps après ? », s’interroge cette mère de deux enfants, âgés de 10 et 18 ans.

    Plus de 3 millions de salariés, soit près d’une personne sur cinq (17,3 % ) dans le secteur privé non agricole, sont payés actuellement au salaire minimum (1 398,69 euros net par mois). Un niveau inédit – la proportion était de près de 12 % en 2021 – atteint en raison, notamment, de la flambée des prix et de la politique d’#exonération de charges. Les rémunérations jusqu’à 1,6 fois le smic sont exonérées de cotisations patronales, mais pas au-delà, ce qui n’incite pas les entreprises à revaloriser les fiches de paie. « Augmenter de 100 euros le revenu d’un employé au smic » revient aux entreprises à « débourser 238 euros de plus », résumait, le 30 janvier, à l’Assemblée nationale, le premier ministre, Gabriel Attal.

    « Manque de considération »

    Des employés, à l’instar de Géraldine, se retrouvent ainsi cantonnés au #salaire_minimum tout au long de leur vie professionnelle. Dans une étude parue en 2019 sur les trajectoires salariales de salariés au smic entre 1995 et 2015, la direction de l’animation de la recherche, des études et des statistiques estimait que 20 % des salariés rémunérés autour du smic l’étaient depuis au moins deux ans.

    Ce « phénomène de stagnation » se « concentre sur une partie des salariés qui restent durablement rémunérés » au smic, notamment les #femmes et les travailleurs de plus de 50 ans. Et plus le temps passé au smic s’accroît, plus le risque de ne pas voir sa fiche de paie évoluer augmente. Derrière cette absence d’évolution salariale, ces travailleurs au smic, qui occupent le plus souvent un #emploi_pénible (hôtellerie-restauration, grande distribution, logistique…), souffrent aussi « d’être bloqués à leur poste et de ne plus pouvoir connaître de mobilité ascendante au sein de leur entreprise », relève Lucas Tranchant, maître de conférences en sociologie à l’université Paris-VIII. Et il y a cette réalité moins visible, mais tout aussi lancinante pour ces salariés, du « manque de considération » et de « reconnaissance » qui accentue leur amertume vis-à-vis de leur employeur, les interrogeant sur le sens même de leur #travail.

    « Le salaire, c’est ce qui donnait une reconnaissance au travail réalisé, notamment dans les emplois pénibles, avance Lucas Tranchant. Mais c’est en train de disparaître avec cette #smicardisation des emplois peu qualifiés. » « On est là au cœur des tensions sociales », ajoute le directeur de l’Observatoire des inégalités, Louis Maurin : « S’il n’y a pas de dynamique [salariale ou professionnelle], c’est l’idée que, quelque part, vous ne comptez pas. Il doit y avoir une forme de responsabilité des entreprises sur ce qu’elles font de la vie des gens. »

    Alors qu’il commence sa « vingt-cinquième année » au smic depuis la signature de son contrat en 1999 chez le géant du verre en difficulté, Arc International, Christophe, 48 ans, se souvient « en [avoir] fait, des demandes d’augmentation ». A chaque fois, il a obtenu la même réponse : « Ils n’ont pas de budget, pas de place pour que j’évolue… Ils ont toujours une excuse pour ne pas m’augmenter. » A tel point que cet opérateur en préparation et conditionnement dans l’usine d’Arques (Pas-de-Calais) envisage de quitter la stabilité de son CDI pour devenir coach sportif, avec l’espoir de gagner davantage : « Je peux viser entre 60 et 80 euros de l’heure, alors que je suis autour de 11 euros chez Arc… »

    Un décompte scrupuleux

    Car avec la poussée inflationniste de ces deux dernières années (plus de 10 % d’#inflation cumulée en deux ans, + 20 % pour les produits alimentaires) les fins de mois sont devenues encore plus difficiles pour ces salariés au smic. « Je survis, souffle Christophe. Je ne fais pas mes comptes, quand faut payer, faut payer… »

    Afin de ne pas se laisser déborder par cette envolée des prix, Chantal (le prénom a été changé), salariée depuis cinq ans au smic par une association dans le Sud-Est, tient, elle, un décompte scrupuleux de chacune des dépenses de la famille sur un tableur Excel. « On est tout le temps dans la réflexion : est-ce qu’on peut acheter ça, ou pas ? », explique cette employée de 41 ans, mère de deux enfants. Il a aussi fallu apporter quelques changements aux habitudes familiales : la viande rouge se fait plus rare à table, le compte Netflix à 150 euros par an a été supprimé et, pour les vacances, « on essaye aussi de rogner, en allant chez les amis, la famille », explique Chantal.

    Opératrice téléphonique au #smic chez Concentrix Webhelp depuis dix-huit ans et mère célibataire de deux enfants, Nadège Chainier voit, elle, son #salaire être « mangé aux trois quarts » chaque mois par son prêt immobilier de 600 euros, et la consommation d’eau et d’électricité. Alors, elle a dû faire une croix sur les vacances, ce qui a provoqué l’incompréhension de la plus jeune de ses filles, âgée de 10 ans. « Elle m’a dit qu’elle n’était jamais partie en vacances pendant une semaine comme on a pu le faire pour sa grande sœur. Ça fait de la peine en tant que parent d’entendre son enfant dire qu’il veut partir en vacances. On se dit : “Merde, on a loupé un truc” », raconte la salariée de 48 ans.
    Jérémie Lamothe

    Les emplois qui, soit au SMIC horaire soit guère mieux payés, sont rémunérés en deçà du SMIC mensuel, qu’il s’agisse de temps partiels ou/et d’emplois discontinus sont zappés. Autant de salarié.e.s à ajouter aux 17% de #smicards proprement dit.

    55 ans après on "pense" le SMIC dans les termes de l’époque de son instauration, en 1967.

    #emploi #précarisation

  • Mayotte, démolitions des quartiers pauvres sous couvert de la loi Elan

    Rapports de la LDH
    La démolition des quartiers pauvres de Mayotte sous couvert de la loi Elan se caractérise toujours par des contradictions entre les arrêtés et les réalisations, le nombre d’habitations détruites est toujours supérieures à celui annoncé dans les arrêtés. Les annexes des arrêtés sont également contradictoires entre elles : les rapports de la gendarmerie, de l’ARS et de l’ACFAV ne s’accordent jamais sur le nombre d’habitations installées sur les parcelles concernées. Les familles et les habitations ne sont pas clairement identifiées ; l’obligation de relogement qui figure dans l’article 197 de la loi n’est jamais remplie : il ne s’agit que d’un hébergement d’urgence de trois semaines dont le principe aurait été rappelé aux familles, comme seule obligation supposée par le préfet. Seule apparait la mention « une solution d’hébergement a été proposée » aux familles.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/22/mayotte-demolitions-des-quartiers-pauvres-sous

    #international #mayotte #colonialisme

  • L’éléphant dans la pièce (Publié le 4/8/2023) + Plaidoirie de Monique Chemillier-Gendreau à la CIJ

    Nous, universitaires, membres du clergé et autres personnalités publiques d’Israël/Palestine et de l’étranger, attirons l’attention sur le lien direct entre la récente attaque d’Israël contre le système judiciaire et son occupation illégale de millions de Palestinien·nes dans les territoires palestiniens occupés. Les Palestinien·nes sont privé·es de la quasi-totalité des droits fondamentaux, y compris le droit de vote et de protestation. Elles et ils sont confronté·es à une violence constante : rien que cette année, les forces israéliennes ont tué plus de 190 Palestinien·nes en Cisjordanie et à Gaza et démoli plus de 59 batiments. Les groupes d’autodéfense des colons brûlent, pillent et tuent en toute impunité.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/22/lelephant-dans-la-piece-publie-le-4-8-2023-pla

    #international #palestine #israel

  • Les juges afghans encouragés à ordonner la lapidation des femmes adultères

    Alors que les Talibans rebâtissent leur régime de terreur, les défenseurs des droits des femmes regrettent la passivité de la communauté internationale.

    Les quelque 14 millions de filles et de femmes en Afghanistan n’avaient déjà plus vraiment aucun droit. Depuis le retour des Talibans au pouvoir, elles sont largement confinées chez elles, empêchées d’étudier, de travailler, de marcher dans les parcs ou de se rendre aux bains publics. Leur vie ne vaut plus grand-chose : le nombre de suicides et de tentatives de suicide de femmes a explosé, et les violences sexistes ont rejoint une ampleur telle qu’elles ne sont même plus recensées. À présent, comme lors du premier règne taliban de 1996 à 2001, les juges sont encouragés à ordonner la torture et l’exécution des femmes.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/22/les-juges-afghans-encourages-a-ordonner-la-lap

    #international #afghanistan #feminisme

  • « Si nous ne nous engagions pas dans les forces armées, la gauche ukrainienne cesserait d’exister », déclare Taras Bilous.

    Notre amère expérience ukrainienne nous a appris un certain nombre de choses…

    Entretien avec Taras Bilous, historien et essayiste ukrainien qui a servi dans l’armée ukrainienne depuis le début de l’agression russe. Bilous est l’un des représentants les plus en vue de la gauche ukrainienne, membre du Mouvement social (Sociaľnyj ruch) et rédacteur en chef du média en ligne Commons (Spiľne). Il est surtout connu à l’étranger pour ses essais « Lettre de Kjiv à la gauche occidentale » et « Je suis un socialiste ukrainien. Voici les raisons pour lesquelles je résiste à l’invasion russe ».

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/22/si-nous-ne-nous-engagions-pas-dans-les-forces-

    #international #ukraine

  • Khrys’presso du lundi 22 avril 2024
    https://framablog.org/2024/04/22/khryspresso-du-lundi-22-avril-2024

    Comme chaque lundi, un coup d’œil dans le rétroviseur pour découvrir les informations que vous avez peut-être ratées la semaine dernière. Tous les liens listés ci-dessous sont a priori accessibles librement. Si ce n’est pas le cas, pensez à activer … Lire la suite­­

    #Veille #Claviers_invités #GAFAM #Internet #Revue_de_web #Revue_hebdo #Surveillance #veille #webrevue

  • 100 ans de #Total_Energies - #Extractivisme et #violences coloniales

    Le 25 mars dernier, à l’occasion du centième anniversaire de Total Énergie, Avis de Tempête a été invité à réaliser un enregistrement en direct d’un épisode. 🎙️

    La Fête à Total était organisée par Extinction Rébellion, dans le cadre de leur campagne Carnage Total. Au programme : des stands, des cantines, des tables rondes, des ateliers thématiques pour revenir sur 100 ans de pratiques criminelles de TotalEnergies, penser la lutte contre la #multinationale et rêver à un avenir débarrassé des #énergies_fossiles.

    https://audioblog.arteradio.com/blog/177155/podcast/226376/s3-episode-hors-serie-3-100-ans-de-total-energies-extractivisme

    #audio #podcast #TotalEnergies #Total #pétrole #industrie_pétrolière #colonialisme #néo-colonialisme #violence #multinationales

  • Patrimoines immobiliers : comment l’espace creuse les inégalités
    https://metropolitiques.eu/Patrimoines-immobiliers-comment-l-espace-creuse-les-inegalites.html

    Tous les propriétaires ne sont pas égaux face aux évolutions des marchés immobiliers. Si certains savent tirer parti de marchés en croissance pour faire fructifier leur #patrimoine, d’autres deviennent propriétaires au prix d’un endettement croissant. Loïc Bonneval et Renaud Le Goix montrent comment l’espace joue désormais un rôle capital dans les trajectoires socio-économiques des ménages. Le récent ralentissement du marché #immobilier observé concomitamment à la hausse des taux d’intérêt a conduit à #Terrains

    / #Paris, immobilier, #inégalités, #Lyon, #Avignon, #marché_immobilier, patrimoine

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-bonneval-legoix.pdf

  • Les dépenses militaires mondiales augmentent dans un contexte de guerre, d’escalade des tensions et d’insécurité
    https://www.obsarm.info/spip.php?article649

    (Stockholm, 22 avril 2024) – Le total des dépenses militaires mondiales s’élève à 2 443 milliards de dollars en 2023, soit une augmentation de 6,8 % en termes réels par rapport à 2022. Il s’agit de la plus forte augmentation d’une année sur l’autre depuis 2009. Les 10 plus grands dépensiers en 2023 – avec en tête les États-Unis, la Chine et la Russie – ont tous augmenté leurs dépenses militaires, selon les nouvelles données sur les dépenses militaires mondiales publiées aujourd’hui par le (...) #Armements

    / Dépenses militaires / Budgets, #Guerres, #Industrie_d'armement

    #Dépenses_militaires_/_Budgets
    https://www.obsarm.info/IMG/pdf/milex_press_release_fre-5.pdf

  • RTBF « Ici le monde » : Canada, le pays des tricheurs ? Esmeralda Labye

    Depuis plusieurs années, les facultés canadiennes signalent une forte augmentation de ce qu’elles appellent "les inconduites universitaires", "les atteintes à l’intégrité académiques" , comprenez la triche et le plagiat. 

    Pour réussir, sans se fatiguer, des milliers d’étudiants ont trouvé la combine… En toute légalité, face à la pression et par facilité, ils sont des milliers à recourir aux services de "copistes rémunérés" pour faire leurs devoirs ou réussir leurs examens.


    La "tendance" n’est pas neuve mais le nombre de candidats à la réussite facile est en augmentation. Une information développée par The Globe and Mail ainsi que par Courrier International où l’on apprend que 70.000 étudiants canadiens utilisent chaque année des services de triche. Des chiffres expliqués par Sarah Elaine Eaton, professeure à l’université de Calgary, dans son livre, Faux diplômes et titres frauduleux dans l’enseignement supérieur.

    Tuteurs en ligne
    L’histoire qui a défrayé la chronique remonte à 2021. Un étudiant de l’université de Toronto embauche alors un  "tuteur en ligne"  et lui demande de passer un examen en son nom. Une activité rémunérée 60 dollars canadiens soit environ 40 €. Le "faux étudiant" passe l’examen, une épreuve de comptabilité à distance. Il faut juste l’identifiant et le mot de passe du commanditaire. Selon le quotidien Globe and Mail, l’étudiant aurait contacté son "nègre" en lui disant : "J’ai besoin [d’une note] d’au moins 80% pour atteindre mon objectif, alors assurez-vous d’avoir la capacité de le faire".

    Seulement voilà, lors de la remise des résultats, l’étudiant tricheur ne reçoit qu’une note de 62%. Dépité, il manifeste donc sa déception. Une remarque qui ne plaît pas au "copiste". Ce dernier révèle alors la supercherie à l’université.

    L’étudiant-tricheur s’excuse devant les autorités académiques mais ne rentre pas dans le rang pour autant. 5 jours plus tard, il recrute un second "tuteur" pour passer un second examen, en sciences. Montant de la transaction 400 dollars canadiens soit environ 280 €.

    Mise au courant, l’université est furieuse et l’étudiant suspendu pour une durée de 5 ans.  "Son cas n’est que l’un des milliers d’exemples d’une tendance importante et troublante exacerbée par la pandémie. Plus d’étudiants semblent enfreindre les règles d’intégrité académique que par le passé, et davantage se font prendre" , note le Globe and Mail.

    Il existe d’autres cas où ce sont les plateformes facturant la tricherie qui n’hésitent pas à utiliser le chantage ou l’extorsion.  "Si les étudiants essaient d’annuler les paiements, elles peuvent menacer de contacter les administrateurs de l’université pour dénoncer la fraude" , décrit le  The Globe and Mail.

    Depuis la pandémie, les étudiants sont plus nombreux à enfreindre les règles d’intégrité académique. Lorsque le Covid 19 interdisait les cours en présentiels, certains ont vu une opportunité de "faciliter" le travail en ayant recours à des copistes.

    Rien qu’à l’université de l’Alberta, de Toronto, de Saskatchewan et à McMaster, les chiffres auraient été multipliés par 2.

    Le Covid, seul responsable ?
    Selon Leah Wafler, de l’Université de la Colombie-Britannique : "La pression, l’opportunité de passer à l’acte et la tendance à rationaliser le méfait quand on a le sentiment que tout le monde le fait" joue énormément.

    Les étudiants tricheurs seraient victimes d’une mauvaise gestion de leur temps, de la pression familiale pour atteindre certaines notes. Le monde du travail, toujours plus compétitif, y est aussi pour quelque chose.

    Comme le confirme, François Rihouay, le correspondant de la RTBF sur place : "Il y a plusieurs paramètres à prendre en compte. Il faudrait d’ailleurs en faire une étude sociologique. Les pressions académiques et familiales augmentent. Pourtant le taux de chômage n’est que de 6,1% mais il y a des difficultés sociales autour de l’embauche et de l’emploi tant il y a d’étudiants. "

    Il est vrai que le Canada attire énormément de candidats venus de l’étranger. En décembre 2022, il y avait 58.675 étudiants internationaux rien que dans les universités québécoises, soit une augmentation de 10.000 par rapport à l’année précédente. Une estimation officielle indique que plus d’un million d’étudiants étrangers sont établis au Canada. Des chiffres qui pourraient s’inverser puisque cette année, le pays des érables a annoncé la mise en place d’un plafond sur les permis pour les élèves étrangers.

    Quoi qu’il en soit, la pratique s’est érigée en véritable business. Dix-neuf milliards d’euros seraient générés chaque année, et en toute légalité, par l’industrie de la triche au Canada.

    En toute légalité car il existe une myriade de plateformes dans le pays mais aussi à l’étranger contre lesquelles, le gouvernement canadien ne peut rien faire. Un exemple parmi d’autres, EXACT https://www.theglobeandmail.com , plateforme installée au Pakistan, 1800 employés copistes !

    L’Université du Manitoba qui compte 1127 cas d’inconduite académique en 2021-2022 a préféré sévir. “Les sanctions pour collaboration inappropriée comprenaient l’obtention d’une note de zéro sur un devoir, l’échec d’un cours, la suspension temporaire du programme, ainsi qu’une note sur le relevé de notes d’un étudiant”, rapporte CBC.

    Mais pour Jaron Rykiss, le président de l’association des étudiants de l’université juge ces pénalités injustes. “Il y a un manque de compréhension de ce qui se passe " . Il estime qu’il est primordial que l’établissement mette en place un système de soutien en cas d’inconduite.

    Que faire pour inverser la tendance ?
    Face à ce phénomène de triche rémunérée, associations d’étudiants comme universités ont décidé de réagir. Plusieurs établissements ont lancé des campagnes de sensibilisation, en rappelant que la triche peut entraîner une suspension de 5 ans, d’autres ont décidé de renforcer l’intégration des étudiants, d’organiser des soutiens académiques, des tutoriels, d’aider les jeunes à développer leurs compétences eux-mêmes et de façon éthique.

    #étudiants #étudiantes #tricheur #tricheuses #plagiat #examens #fraude #triche #université #canada #inconduite #business #plateformes #internet #réseau #numérique

    Source : https://www.rtbf.be/article/ici-le-monde-canada-le-pays-des-tricheurs-11361186

  • Gräuel und Vergeltung : Das Massaker der Hamas und Israels Krieg im Spiegel der Geschichte
    https://www.telepolis.de/features/Graeuel-und-Vergeltung-Das-Massaker-der-Hamas-und-Israels-Krieg-im-Spiegel


    Das Massaker von Kanpur in einer zeitgenössischen Darstellung. Bild : jenikirbyhistory

    L’attaque du Hamas contre l’état d’Israël n’a rien d’exceptionnel. La révolte des colonisès et la rèpression par les colons produisent systématiquement des tragédies. Voilà le cas de la révolte des Sepoys contre l’empire britannique en 1857. L’article cite un journaliste contemporain, un certain Karl Marx.

    20.4.2034 von Andreas Wehr - Der Aufstand der indischen Sepoys von 1857 und der Angriff der palästinensischen Hamas 2023. Parallelen und unangenehme Fragen. Ein Vergleich.

    Im Sommer 1857 kam es in dem von Großbritannien beherrschten Indien zu einem Aufstand, der durch seine Grausamkeiten weltweit Entsetzen und Abscheu auslöste, und der bis heute nachwirkt. Die damaligen Ereignisse sollen hier zunächst in aller Kürze dargestellt werden. Grundlage hierfür ist der Artikel „Indischer Aufstand: Das britische Trauma vom Massaker von Kanpur“ des Historikers Berthold Seewald in der Tageszeitung Die Welt.

    Ausgelöst durch das Gerücht, die Patronen ihrer neuen Enfield-Gewehre würden Fett von Kühen und Schweinen enthalten, hatten sich zunächst in Meerut Hindu- und Muslim-Sepoys der East India Company gegen ihre britischen Offiziere und Unteroffiziere erhoben.

    Hintergrund war, dass man die Hüllen der Patronen vor dem Laden mit den Zähnen aufbeißen musste, sodass die Soldaten Gefahr liefen, Spuren des Fetts ungewollt zu sich zu nehmen. Das war – was die Kühe betraf – für Hindus aus religiösen Gründen unerträglich, und für die Moslems stellte das Schweinefett ein unüberwindliches Hindernis dar.

    Andauernde Unterdrückung und Aufstand

    Diese Zumutungen waren aber nur Anlass für den Aufstand. Ursachen waren die andauernde Unterdrückung, Demütigung und Missachtung der einheimischen Bevölkerung durch die englischen Kolonialherren.

    Als Sepoys wurden die von der englischen Kolonialmacht unterhaltenen indischen Truppen bezeichnet. Die „Große Meuterei“, wie die Erhebung auch genannt wird, hatte Anfang Juni 1857 die Garnison in Kanpur (im heutigen indischen Bundesstaat Uttar Pradesh) unter dem Befehl des englischen Kommandanten Hugh Wheeler erfasst. Im Juni spitzte sich die Situation zu. Unter Führung des Großmoguls Nana Sahib schlossen sich die indischen Truppen dort dem Aufstand an.

    Kanpur 1857: Das Leiden der Belagerten

    Das Gros der 3.000 Sepoys verweigerte den Befehl. 300 europäische Soldaten, 80 indische sowie einige Hundert Zivilisten, darunter 400 Frauen und Kinder, zogen sich daraufhin in den befestigten Kern der Garnison zurück. Wassermangel, Hunger, Krankheiten, der Gestank der Leichen sowie die seelische Belastung untergruben bald den Durchhaltewillen der Belagerten.

    Als klar wurde, dass auf Ersatz nicht zu hoffen war – die Aufständischen hatten die Telegrafenleitungen gekappt –, beschlossen Wheeler und seine Offiziere, das Angebot Nana Sahibs anzunehmen: freier Abzug nach Aufgabe.

    Am 27. Juni 1857 verließen die Briten die Ruinen und marschierten zum Ganges, wo sie Boote erhalten sollten, mit denen sie sich nach Allahabad durchschlagen wollten.

    Waffen und Munition durften sie mitnehmen, doch das half ihnen wenig. Die Boote wurden in Brand geschossen und versenkt, vorwiegend Männer wurden dabei getötet.

    Ruhr und Cholera unter Flüchtlingen

    125 Frauen und Kinder wurden in einem Frauenhaus eingepfercht. Zusammen mit weiteren Flüchtlingen kampierten dort rund 200 Menschen unter entsetzlichen Bedingungen. Ruhr und Cholera dezimierten die Inhaftierten.

    Als britische Truppen auf Kanpur vorstießen, setzte Nana Sahib die Eingeschlossenen als Geiseln für Verhandlungen ein. Da sich die englischen Truppen unter Befehl des Generals Henry Havelock aber als überlegen erwiesen und vorrückten, beschloss die Führung der Rebellen, die Gefangenen umzubringen, bevor die Briten die Stadt erreichten.
    Mord an Frauen und Kindern

    Am 15. Juli wurden die wenigen verbliebenen Männer ermordet. Die Sepoys weigerten sich aber, auch die 65 Frauen und Kinder zu töten, die die Tortur bis dahin überlebt hatten.

    So wurden Fleischer aus dem Basar der Stadt gedungen. Sie sollen eine Stunde benötigt haben, um mit ihren Schlachtmessern das grausame Werk zu vollbringen. Die Opfer wurden nicht nur getötet, sondern regelrecht zerteilt. Anschließend wurden ihre Überreste in einen Brunnen geworfen. Auch einige Überlebende wurden hineingeworfen und starben unter der Last der Verstümmelten.

    Als die Briten am 17. Juli 1857 in die Stadt einrückten, fanden sie – folgt man den kolportierten Berichten darüber – Kinderschuhe, in denen noch die Füße steckten. Blutige Hand- und Fußabdrücke an den Wänden zeugten von der Passion der Opfer.

    „Im Hof fünf Zentimeter hoch das Blut, Haarzöpfe und Kleider der armen Ladys, alles wurde vorgefunden“, notierte eine entsetzte Queen Victoria im fernen London nach der Lektüre der Zeitungen in ihr Tagebuch.
    Maßlose Rache sorgte für Entsetzen

    Nicht allein in Großbritannien, in ganz Europa und im Rest der sogenannten westlichen, „zivilisierten“ Welt war das Entsetzen über das Geschehene groß.

    So sah auch Karl Marx Anlass, die Ereignisse in mehreren Artikeln zu beschreiben und zu kommentieren. Am 16. September 1857 erschien in der New York Daily Tribune von ihm der Zeitungsbericht „Der indische Aufstand“.1

    Marx stellte die von den Sepoys begangenen Taten keineswegs in Abrede, er verglich sie aber sogleich mit der Gewalt, die unter dem „Beifall des respektablen Englands“ regelmäßig ausgeübt wird, wenn sie nur der Wahrung der eigenen Interessen dient, ob sie nun von den Engländern selbst oder von anderen Völkern ausgeübt wird, ob in Europa oder in den Kolonien, entscheidend ist immer das Klasseninteresse. Marx schrieb:

    Die von den revoltierenden Sepoys in Indien begangenen Gewalttätigkeiten sind in der Tat entsetzlich, scheußlich, unbeschreiblich - so, wie man sie nur in Insurrektionskriegen, in Kriegen von Völkerstämmen und Geschlechtern und vor allem in Religionskriegen anzutreffen erwartet, mit einem Wort, solche Gewalttätigkeiten, wie sie den Beifall des respektablen Englands zu finden pflegten, wenn sie von den Männern der Vendée an den „Blauen“, von den spanischen Guerillas an den ungläubigen Franzosen, von den Serben an ihren deutschen und ungarischen Nachbarn, von den Kroaten an den Wiener Aufständischen, von Cavaignacs Garde mobile oder von Bonapartes Dezemberleuten an den Söhnen und Töchtern des proletarischen Frankreichs verübt wurden.
    Karl Marx, Der indische Aufstand, a.a.O. S. 285

    Marx kommt dann auf die Ursache der Gewalt zu sprechen:

    Wie schändlich das Vorgehen der Sepoys auch immer sein mag, es ist nur in konzentrierter Form der Reflex von Englands eigenem Vorgehen in Indien nicht nur während der Zeit der Gründung seines östlichen Reiches, sondern sogar während der letzten zehn Jahre einer lang bestehenden Herrschaft. Um diese Herrschaft zu charakterisieren, genügt die Feststellung, daß die Folter einen organischen Bestandteil ihrer Finanzpolitik bildete. In der Geschichte der Menschheit gibt es so etwas wie Vergeltung; und es ist eine Regel historischer Vergeltung, daß ihre Waffen nicht von den Bedrückten, sondern von den Bedrückern selbst geschmiedet werden.

    Der letzte Satz bezog sich auf die Tatsache, dass es von den Engländern ausgebildete und ausgerüstete Truppen waren, die diese Taten begangen. Britannien hatte die Sepoys erst geschaffen.

    In dem Artikel zeigt sich die Überlegenheit der marxschen Argumentation. Er beließ es nicht bei der üblichen bigotten Empörung über die begangenen Taten der Aufständischen, sondern verglich sie mit dem alltäglichen Terror der Unterdrücker, der nicht weniger grausam ist. Er ordnete die Ereignisse historisch ein und machte sie dadurch erklärbar.

    Von den Friedensorganisationen in England und in den USA wurden die indischen Ereignisse von 1857 unterschiedlich, ja gegensätzlich bewertet. Domenico Losurdo geht in seinem Buch „Gewaltlosigkeit. Eine Gegengeschichte“ darauf ein:

    Die im Westen vorherrschende Stimmung beeinflusste auch die American Peace Society. Deren Mehrheit argumentierte folgendermaßen: Selbst wenn die Herrschaft Englands in Indien unrechtmäßig entstanden sei, hätten die Regierungen dennoch die Pflicht, die Ordnung aufrechtzuerhalten und zu respektieren. Anders formuliert, seien die Aufständischen im Unrecht, wenn sie zur Gewalt griffen und die herrschenden Rechtsnormen verletzten. Letztendlich seien sie somit Banditen und Kriminelle. Es handle sich also nicht um einen Krieg, sondern um einen Zusammenstoß zwischen gewöhnlichen Verbrechern und Polizeikräften.

    Losurdo zieht daraus den Schluss: Das „allgemeine Prinzip der Gewaltlosigkeit“ konzentriert „seine Kritik auf die gewalttätige Rebellion der Unterdrückten, ohne Kritik an der (brutalen) Art der Wiederherstellung der Ordnung zu üben (…)“.

    Anders die Reaktion der Friedensfreunde auf der anderen Seite des Atlantiks:

    Die Schwestergesellschaft, die London Peace Society, die sich in England konstituiert hatte, identifiziert sich nicht mit der Haltung der American Peace Society, und spricht – sich von dieser distanzierend – hinsichtlich des Konflikts in Indien ohne Zögern von Krieg und verurteilt damit auch die Gewalt der englischen Regierung. Die Verurteilung konzentriert sich jetzt sogar in erster Linie (Losurdo zitiert dafür den US-amerikanischen Professor für religiöse Studien, Valerie H. Ziegler, aus seinem Buch „The Advocates of Peace in Antebellum America“, d.A.) auf die „maßlose Machtgier und Ambition“ der Kolonialmacht, auf „die unverschämten Aggressionen“, auf ihren Anspruch, „Indien mit dem Schwert zu regieren“, und auf die „Erniedrigung von 150 Millionen Personen“. Nicht viel anders ist die Haltung, die Marx der „Katastrophe“ gegenüber einnimmt.

    Es ist Marx, der darauf aufmerksam macht, dass man nicht vergessen sollte, dass, „während die Gräueltaten der Engländer als Zeugnisse militärischer Kraft dargestellt und einfach und schnell erzählt werden, ohne bei abscheulichen Einzelheiten zu verweilen, die Gewalttätigkeiten der Eingeborenen, so entsetzlich sie sind, noch vorsätzlich aufgebauscht werden.“
    Gräueltaten und Vergeltung

    Nach Berthold Seewald erkannte auch der Times-Reporter William Russell, der wenige Monate später Kanpur besuchte, dass die Medien vor allem aus Briefen schöpften, die „von geschickten Meistern in dieser Art Kochkunst, mit so viel Schrecken gepfeffert, wie sie die Einbildungskraft noch nie ersonnen“.

    Die tatsächlich begangenen Gräueltaten und erst recht die Hinzugedichteten wurden als Rechtfertigung benutzt, um jede noch so infame Vergeltungsmaßnahme der englischen Kolonialmacht zu rechtfertigen:

    Wenn das Grauen, das die Briten vor Ort sahen, bereits ausgereicht hatte, um brutale Vergeltung zu üben, so sorgte der Schwall nationaler Entrüstung aus Europa dafür, alle Hemmungen dabei abzuwerfen. Sepoys, die das Pech hatten, gefangen genommen zu werden, mussten den Boden des Frauenhauses mit ihren Zungen ablecken, bevor sie gehenkt wurden. Muslime wurden zuvor in Schweineschwarten genäht, Hindus zwang man, Rindfleisch zu essen. Ganze Dörfer wurden dem Erdboden gleichgemacht, Gefangene vor die Mündung von Kanonen gebunden, bevor man diese abfeuerte.
    Berthold Seewald

    Diese bestialischen Methoden der Vergeltung wurden aus einer besonderen Motivation heraus begangen: „Die besondere Schwere des Massakers von Kanpur bestand darin, dass es von einem unterworfenen Volk begangen wurde – von dunkelhäutigen Männern, die es wagten, das Blut ihrer Herren und das hilfloser Damen und Kinder zu vergießen.“

    „Herausragende Verbrechen“ im Sommer 1857

    So erklärte der britische Kriegsberichterstatter William Howard Russell das „herausragende Verbrechen“, das sich im Sommer 1857 auf dem Höhepunkt des indischen Aufstandes ereignete. Es sollte die Sicht der Briten auf ihre Untertanen nachhaltig prägen.

    Das Massaker von Kanpur wirkte auch nach der Niederschlagung des Aufstandes nach. Es wurde zur viel zitierten Begründung für das Trauma „von der stets lauernden Gefahr für die weiße Frau durch die ungezügelte Begierde des wilden Eingeborenen, die selbst bei Indern der Oberschicht bestenfalls unter einem dünnen Firnis angenommener europäischer Bildung und Sitten schlummerte“, wie es der Historiker Peter Wende formulierte. Derartige kolonialistische und rassistische Klischees sollten sich bis in die Gegenwart halten.
    Das Massaker der Hamas im Oktober 2023

    Am 7. Oktober 2023 überwanden Kämpfer des militärischen Arms der palästinensischen Organisation Hamas den schwer befestigten Grenzzaun zwischen dem Gaza-Streifen und Israel, überfielen dort Siedlungen und ein unmittelbar am Zaun stattfindendes Jugendfestival.

    Sie töteten etwa 1.200 Menschen, Israelis und Angehörige anderer Nationen. Das von Marx mit Blick auf die Taten der Sepoys gefällte Urteil als „in der Tat entsetzlich, scheußlich, unbeschreiblich“ trifft auch auf die Gewalt der Hamas zu.

    Neben Soldaten wurden Hunderte Unschuldiger, Männer, Frauen, Kinder getötet, ganze Familien wurden gemeinsam hingerichtet. Etwa 230 Geiseln wurden verschleppt.

    Das Massaker der Hamas und die Ausweglosigkeit der Palästinenser

    Wie seinerzeit kaum über die Ursachen für die in Indien ausgebrochene Gewalt gesprochen wurde, so wird heute über die Leiden, die Verzweiflung und die Ausweglosigkeit der Palästinenser in dem „offenen Gefängnis“ Gaza geschwiegen.

    Unerwähnt bleibt, dass sich das palästinensische Volk seit der Staatsgründung Israels 1947 einer Politik der Unterdrückung, der Vertreibung und des Terrors ausgesetzt sieht. Politik und Medien des Westens ignorieren dies weitgehend.

    Sie machen sich stattdessen die Sicht der American Peace Society von 1857 gegenüber dem Sepoy-Aufstand zu eigen, wonach es sich bei den Kämpfern der Hamas lediglich um „Banditen und Kriminelle“ handele, heute pauschal als „Terroristen“ abgetan.

    Es geht also nicht um einen Krieg, sondern nur um einen Zusammenstoß zwischen gewöhnlichen Verbrechern und Polizeikräften.
    Die maßlose israelische Rache

    Dementsprechend geht die israelische Regierung bei der Beschreibung ihres Krieges im Gaza-Streifen verharmlosend von „Antiterrormaßnahmen“ aus.

    In einem Kommentar der Frankfurter Allgemeinen Zeitung wird „die Dezimierung der Terrorbande“ als „Voraussetzung für einen dauerhaften Frieden verlangt“.2

    Lenin schrieb im Mai 1917 in seiner Schrift „Krieg und Frieden“ über diese Kolonialkriege, die eigentlich gar keine Kriege sein sollen:

    Nehmen sie die Geschichte der kleinen Kriege (…), weil in diesen Kriegen wenig Europäer, dafür aber Hunderttausende aus jenen Völkern umkamen, die sie versklavten, die von ihrem Standpunkt nicht einmal als Völker angesehen werden (irgendwelche Asiaten, Afrikaner – sind das etwa Völker?); mit diesen Völkern wurden Kriege folgender Art geführt: sie waren waffenlos, und man mordete sie mit Maschinengewehren.

    Und er fügte sarkastisch hinzu: „Sind denn das Kriege? Das sind doch eigentlich keine Kriege, das kann man der Vergessenheit anheimfallen lassen.“
    Vergeltung Israels ohne Proportionalität

    Wie die Rache der Engländer 1857 maßlos und extrem grausam war, so übersteigt auch die Vergeltung Israels heute jegliche Proportionalität und wird in ihrer Zerstörungswut zu Recht als Völkermord verurteilt:

    Mehr als 40.000 Tote, davon 36.330 Zivilpersonen, 14.861 Kinder, 9.273 Frauen bilanziert der ’Euro-Med Human Rights Monitor’ nach 160 Tagen Krieg gegen Gaza.

    74.400 Verletzte, zwei Millionen Vertriebene, 112.000 völlig zerstörte, 256.100 stark beschädigte Wohngebäude, 2.131 zerstörte Betriebe, 634 zerstörte Moscheen, drei zerstörte Kirchen, 200 zerstörte Stätten des Kulturerbes, 175 zerstörte oder stark beschädigte Medienbüros und 134 bei ihrer Berufsausübung getötete Journalisten.

    Während aber über jedes noch so kleine Detail des Schicksals der getöteten und verletzten Israelis wieder und wieder ausführlich berichtet wird, und für die verschleppten Geiseln eine weltweite Solidaritätsbewegung organisiert wurde, bleiben die in die Zehntausende zählenden palästinensischen Opfer gesichtslos und daher anonym.
    Gewalt als Zeugnis militärischer Kraft

    Schon allein die wahllosen Bombardierungen der israelischen Armee sorgen dafür, dass sich nur noch wenige Journalisten in den Gaza-Streifen trauen, und so gibt es auch immer weniger Nachrichten und Bilder von den Leiden der Palästinenser.

    Wie die Gräueltaten der Engländer in Indien werden auch die heutigen der Israelis – wie Marx schrieb – „als Zeugnisse militärischer Kraft dargestellt und einfach und schnell erzählt (…), ohne bei abscheulichen Einzelheiten zu verweilen“.
    Kolonialismus und „Herrenvolk“-Demokratie

    Es zeigt sich also, dass es auffällige Parallelen zwischen dem indischen Aufstand von 1857 und dem Angriff der Hamas im Jahr 2023 gibt. Auch die maßlosen Reaktionen darauf – seinerzeit der Engländer, heute der Israelis – ähneln sich. Und das ist alles andere als zufällig; existiert doch noch immer der Kolonialismus. Als „Herrenvolk“-Demokratie unterdrückt Israel die Palästinenser.

    1947, 90 Jahre nach dem Sepoy-Aufstand, erlangte Indien seine Unabhängigkeit und konnte damit das koloniale Joch abschütteln. Die Palästinenser warten seit 76 Jahren auf ihren Staat.

    #révolte #colonialisme #British_Raj #Inde #Palestine #histoire

  • A Paris, quand des immeubles entiers sont convertis en apparthôtels de luxe
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2024/04/20/a-paris-quand-des-immeubles-entiers-sont-convertis-en-apparthotels-de-luxe_6

    .... le modèle tourne avec des coûts bien moindres que dans l’hôtellerie. « Par rapport à un hôtel classique, on a des besoins en personnel divisés par trois. On peut être rentable avec moins de mètres carrés », explique Xavier O’Quin, cofondateur d’Edgar Suites, l’une des entreprises les plus en vue de ce petit monde des #apparthôtels, avec plus de 600 unités réparties dans une vingtaine d’immeubles. Pas d’espaces communs, pas de salle de petit déjeuner, un accueil réduit, des procédures qui profitent à fond de la digitalisation, un ménage seulement à la demande…
    Ce jour-là, Xavier O’Quin nous fait visiter un hôtel particulier du XVIIe siècle, près des Halles, qui appartenait jusqu’en 2020 au barreau de Paris, et qu’il a découpé, en 2022, en onze appartements mansardés. Certains offrent une belle vue sur l’église Saint-Eustache. « Vous voyez, il y a des plantes, des livres dans la bibliothèque, du mobilier vintage. L’idée, c’est de se sentir dans un vrai appartement parisien », explique ce diplômé d’un master of business administration à HEC. En 2021, sa société a levé 100 millions d’euros auprès de BC Partners, ce qui lui a permis de racheter plusieurs immeubles. Parmi eux, un bureau de 2 500 mètres carrés dans le 15e arrondissement – l’ex-siège de la marque de vêtements Caroll –, qui ouvrira bientôt avec une cinquantaine d’appartements hôteliers. D’autres projets sont en cours à Levallois-Perret, Clichy, Châtillon (Hauts-de-Seine)…

    https://justpaste.it/fd069

    #Paris #tourisme #rente_foncière #luxe #industrie_du_luxe #Ville_de_Paris

  • Complainte des chemins qui n’ont pas été pris et autres textes

    Maya Rosen : Palestine, Cisjordanie : La co-résistance à la croisée des chemins
    B’Tselem : Janvier 2024 : Israël poursuit sa politique meurtrière de tirs à balles ouvertes en Cisjordanie, tuant 62 Palestinien·nes, dont 14 mineurs.
    Haggai Matar : Israël : Six mois après le 7 octobre, complainte des chemins qui n’ont pas été pris
    Dossier. A propos de l’UNRWA, brève mise en perspective
    Déclaration du Commissaire général de l’UNRWA au Conseil de sécurité, Philippe Lazzarini, le 17 avril 2024
    La police israélienne a arrêté la professeure Nadera Shalhoub-Kevorkian pour incitation à la haine
    UPJB : Solidarité avec Mohamed Khatib. Solidarité avec Samidoun
    ALT Jenine : Des lettres pour Mustafa
    Lior Sternfeld : L’Iran agit plus rationnellement qu’Israël - pour l’instant
    Aucune arme israélienne à Eurosatory 2024 !
    Liens avec d’autres textes

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/20/complainte-des-chemins-qui-nont-pas-ete-pris-e

    #international #palestine #israel

  • 1974 – UTIT – FTCR – 2024 un demi-siècle de combats !

    Née il y a 50 ans sous le nom d’UTIT (Union des Travailleurs Immigrés Tunisiens), la Fédération des Tunisiens Citoyens des deux Rives (FTCR) commémore, en cette année 2024, un demi-
    siècle de combats pour l’égalité des droits, pour les libertés et la citoyenneté. Il est vrai que cette commémoration intervient dans un contexte particulierement préoccupant. tant en France, en Tunisie qu’à l’échelle mondiale : guerres d’agression en Ukraine, guerre génocidaire et volonté de nettoyage ethnique à Gaza et en Palestine au mépris du droit international, atteinte aux libertés, détention arbitraire, prisonniers d’opinion, recul de l’Etat de droit en Tunisie, arrivée au pouvoir des courants populistes et d’extrême-droite dans de nombreux pays en Europe, aux Amériques, en Afrique et ailleurs, développement de plus en plus décomplexé de la xénophobie et du racisme.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/19/1974-utit-ftcr-2024-un-demi-siecle-de-combats

    #international #tunisie

  • Il club degli articoli cancellati dai motori di ricerca
    https://irpimedia.irpi.eu/deindicizzazione-articoli-testate-giornalistiche

    Esiste un sito che tiene traccia dei tanti link che le testate giornalistiche fanno scomparire dai motori di ricerca. E dimostra quante informazioni sulle vicende del passato diventano molto difficili da individuare L’articolo Il club degli articoli cancellati dai motori di ricerca proviene da IrpiMedia.

    #Diritti #Informazione

  • Les #castes et l’État en #Inde
    https://laviedesidees.fr/castes-Etat-Inde-Entretien-Rohini-Somanathan

    Les quotas en Inde contribuent à l’émancipation des basses castes tout en produisant des effets pervers difficiles à maîtriser. Rohini Somanathan s’interroge sur le bon équilibre entre politiques de discrimination positive ciblées et politiques publiques à vocation universelle.

    #International #colonialisme #Entretiens_vidéo #CASBS

  • Grecia, incendi e responsabilità
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Grecia/Grecia-incendi-e-responsabilita-230976

    Il controverso processo per il disastroso incendio che ha distrutto il campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo, terminato con una condanna, ha visto la difesa utilizzare nuovi dati scientifici sulla fragilità degli ecosistemi alla minaccia del fuoco