• Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.

  • #FADA collective

    FADA is a Collective founded in 2020 by a group of Italian freelance reporters working across media and borders.

    We REPORT - We are an independent newsroom producing multimedia, deeply reported public interest stories. We partner with international media to publish our stories.

    We CONNECT - We train young journalists, we promote collaboration and we build a community for the next generation of media makers.

    We IMPACT - We engage with local communities, civil society and policy makers to open up spaces for dialogue around civic participation and journalism, beyond the traditional media, with the aim to trigger change.

    We dig into the climate crisis, border policies, food systems, social movements and the lack of accountability by State and private actors.

    https://www.fadacollective.com
    #journalisme #enquêtes #journalisme_d'enquête #frontières #migrations #climat #crise_climatique #alimentation #système_alimentaire #mouvements_sociaux

  • Retour sur le meurtre de Thomas à Crépol : deux poids deux mesures
    https://ricochets.cc/Retour-sur-le-meurtre-de-Thomas-a-Crepol-deux-poids-deux-mesures.html

    Faits divers : deux poids deux mesures selon l’origine et la couleur de peau des personnes inculpées. Retour sur Crépol et ses suites à #Romans_sur_Isère où des membres de l’extrême droite venus de toute la france ont fait une descente raciste. Meurtre de Thomas : à l’extrême droite rien se crée, rien ne se perd, tout se récupère. La HORDE fait un tour d’horizon bienvenue et éclairant : Meurtre de Thomas : à l’extrême droite rien se crée, rien ne se perd, tout se récupère. Retour sur la mécanique funeste (...) #Les_Articles

    / Romans sur Isère, #Mouvements_et_courants_autoritaires

    https://lahorde.samizdat.net/Meurtre-de-Thomas-a-l-extreme-droite-rien-se-cree-rien-ne-se-perd-

  • Expédition raciste d’extrême-droite à Romans sur Isère : des faits très graves et une surprésence de l’extrême droite à la TV
    https://ricochets.cc/Expedition-raciste-a-Romans-sur-Isere-ces-medias-qui-protegent-l-extreme-d

    Voici plusieurs textes, les plus récents en bas, au fur et à mesure que des infos se précisent. Le plus inquiétant dans cette histoire, c’est la propagande continue des TV militantes des milliardaires, à fond pour l’extrême droite. LA « GUERRE CIVILE » LA PLUS COURTE DE L’HISTOIRE Samedi soir, 80 néo-nazis armés débarquaient dans la ville de Romans-sur-Isère pour chasser et tabasser des musulmans du quartier populaire de la Monnaie. Malheureusement pour la milice, les habitant-es du quartier ne se sont (...) #Les_Articles

    / #Romans_sur_Isère, Autoritarisme, régime policier, démocrature..., Mouvements et courants (...)

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature... #Mouvements_et_courants_autoritaires
    https://rebellyon.info/Retour-sur-la-tentative-de-descente-25424

  • Paris : une marche célébrant l’alliance de la droite et de l’extrême droite ?
    https://ricochets.cc/Paris-une-marche-celebrant-l-alliance-de-la-droite-et-de-l-extreme-droite.

    LA MARCHE CONTRE LA HAINE LA PLUS HAINEUSE DE L’HISTOIRE Dimanche 12 novembre, journée du renversement du réel : une « marche contre l’antisémitisme » avec les courants politiques les plus antisémites de l’histoire française, qui n’a servi qu’à soutenir Israël et se défouler sur les musulmans : ➡️Un jeune homme passant à côté du cortège a crié « dégage Marine Le Pen ». Une bande cagoulée et casquée de la Ligue de Défense Juive s’est jetée sur lui immédiatement. Il a été frappé au sol aux cris de « défoncez le ce (...) #Les_Articles

    / #Mouvements_et_courants_autoritaires, Autoritarisme, régime policier, démocrature...

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...

  • Luttes féministes à travers le monde. Revendiquer l’égalité de genre depuis 1995

    Les #femmes, les filles, les minorités et diversités de genre du monde entier continuent à subir en 2021 des violations de leurs #droits_humains, et ce tout au long de leur vie. En dépit d’objectifs ambitieux que se sont fixés les États pour parvenir à l’#égalité_de_genre, leur réalisation n’a à ce jour jamais été réellement prioritaire.

    Les progrès réalisés au cours des dernières décennies l’ont essentiellement été grâce aux #mouvements_féministes, aux militant.es et aux penseur.ses. Aujourd’hui, la nouvelle génération de féministes innove et donne l’espoir de faire bouger les lignes par son inclusivité et la convergence des luttes qu’elle prône.

    Cet ouvrage intergénérationnel propose un aperçu pédagogique à la thématique de l’égalité de genre, des #luttes_féministes et des #droits_des_femmes, dans une perspective historique, pluridisciplinaire et transnationale. Ses objectifs sont multiples : informer et sensibiliser, puisque l’#égalité n’est pas acquise et que les retours en arrière sont possibles, et mobiliser en faisant comprendre que l’égalité est l’affaire de tous et de toutes.

    https://www.uga-editions.com/menu-principal/nos-collections-et-revues/nos-collections/carrefours-des-idees-/luttes-feministes-a-travers-le-monde-1161285.kjsp

    Quatrième conférence mondiale sur les femmes


    https://fr.wikipedia.org/wiki/Quatri%C3%A8me_conf%C3%A9rence_mondiale_sur_les_femmes

    #féminisme #féminismes #livre #résistance #luttes #Pékin #Quatrième_conférence_mondiale_sur_les_femmes (#1995) #ONU #diplomatie_féministe #monde #socialisation_genrée #normes #stéréotypes_de_genre #économie #pouvoir #prise_de_décision #intersectionnalité #backlash #fondamentalisme #anti-genre #Génération_égalité #queer #LGBTI #féminisme_décolonial #écoféminisme #masculinité #PMA #GPA #travail_du_sexe #prostitution #trafic_d'êtres_humains #religion #transidentité #non-mixité #espace_public #rue #corps #écriture_inclusive #viols #culture_du_viol

  • [pub] Les extraits du « Côté obscur de la force » : « Pendant la crise des “gilets jaunes”, jamais une surveillance aussi massive n’avait été déployée »

    Dans un livre qui paraît chez Flammarion mercredi 11 octobre, le journaliste Vincent Nouzille propose une enquête très fouillée sur ce qu’il appelle les « dérives du ministère de l’intérieur et de sa #police ». « Le Monde » publie en avant-première des extraits concernant le mouvement social qu’a connu la France en 2018.
    Par Vincent Nouzille

    Bonnes feuilles. C’est un secret d’Etat jusque-là bien préservé que nous dévoilons ici : en pleine crise des « #gilets_jaunes », les services de renseignement français ont mis sur #écoute et géolocalisé des milliers de #manifestants. Jamais une #surveillance aussi massive n’avait été déployée. Jamais autant d’individus en même temps n’avaient été concernés. Jamais de tels moyens techniques n’avaient été combinés pour savoir où des citoyens allaient se rendre, et tenter d’interpeller en amont ceux qui étaient suspectés, à tort ou à raison, de s’apprêter à commettre des violences.

    Selon les témoignages de plusieurs responsables de la police et du #renseignement, si le cadre légal a été formellement respecté, certaines de ces surveillances ont été décidées et avalisées sur la base de critères flous et dans la précipitation. « C’était la panique au sommet du pouvoir et dans les services, explique une source au ministère de l’intérieur. Le mouvement des “gilets jaunes” se transformait chaque samedi en insurrection. Il fallait sauver la République. Nous avons donc ratissé large1. »
    Au lendemain de la journée du 1er décembre 2018, où la violence est montée d’un cran, notamment à Paris avec le saccage de l’Arc de triomphe et au Puy-en-Velay avec l’incendie de la préfecture, le ministre de l’intérieur, #Christophe_Castaner, et son secrétaire d’Etat, #Laurent_Nuñez, décident de changer de stratégie. Ils exigent que le dispositif de sécurité soit plus mobile et demandent davantage d’interpellations en amont. Ils souhaitent surtout une surveillance ciblée de toute personne présumée violente. (…)

    Les services de renseignement ont déjà dans leurs radars des individus classés à l’ultragauche et à l’ultradroite, beaucoup étant « #fichés_S » (pour « sûreté d’Etat »). En revanche, la plupart des « gilets jaunes » sont inconnus. Dans les premiers temps, les services peinent à repérer des « leaders » d’un mouvement aussi éruptif que peu organisé. (…) Le préfet de police de Paris, Michel Delpuech, s’inquiète des activistes provinciaux que ses équipes ne connaissent pas et qui risquent de « monter » à Paris pour y semer des troubles chaque samedi.
    Face aux risques de désordre qui se propagent, les « gilets jaunes » étant insaisissables et se déplaçant sans arrêt, la donne change. « Nous allons maintenant travailler sur cette nouvelle population », glisse, de manière elliptique, Laurent Nuñez à propos des « gilets jaunes », lors d’une audition au Sénat le 4 décembre. Durant la seule journée du 8 décembre 2018, 724 personnes sont placées en garde à vue dans toute la France, souvent avant même qu’elles ne commencent à manifester. Les samedi 15 et 22 décembre, le même dispositif se reproduit. Les différents services ont commencé leur surveillance de certains manifestants considérés comme potentiellement dangereux. Et cela avec l’aval des plus hautes instances, qui ont donné leur feu vert à l’emploi massif des « techniques de renseignement », les « TR » dans le jargon des initiés. (…)

    L’emploi des #techniques_de_renseignement ne peut être justifié que pour la défense nationale, la protection des intérêts majeurs du pays, la lutte contre l’espionnage économique et scientifique, la prévention du terrorisme, du crime organisé et de la prolifération d’armes de destruction massive. Mais elles sont aussi autorisées pour la prévention des « atteintes à la forme républicaine des institutions », de la « reconstitution de groupements dissous » ou des « violences collectives de nature à porter gravement atteinte à la paix publique ». C’est principalement ce dernier motif – appelé « 5-C » par les spécialistes, et déjà employé lors de l’évacuation de la #ZAD_de_Notre-Dame-des-Landes au printemps 2018 – qui va être utilisé à grande échelle lors de la crise des « gilets jaunes ».

    En décembre 2018, les requêtes de « TR » affluent brutalement (…). Même si les données publiées dans les rapports annuels de la CNCTR [Commission nationale de contrôle des techniques de renseignement] sont imparfaites, elles donnent un aperçu de cette montée. Les demandes motivées par la « prévention des violences collectives » passent de 6 % de l’ensemble des requêtes en 2017 à 14 % en 2019, ce qui représente une augmentation de 133 % et un cumul de plus de 20 000 demandes en trois ans2 ! Dans le détail, le compteur des « géoloc », déjà en forte croissance les années précédentes, s’affole, passant de 3 751 demandes en 2017 à 5 191 en 2018, puis à 7 601 en 2019, soit un doublement en deux ans et la plus forte progression des techniques de renseignement. Quant aux écoutes, elles se multiplient aussi sur la même période, passant de 8 758 en 2017 à 12 574 en 2019, soit une croissance de 43 % en deux ans. Globalement, cette surveillance a concerné au moins 2 000 personnes entre fin 2018 et fin 2019. (…)

    La pression est telle que le centre d’écoute, basé aux Invalides, doit faire appel à des renforts d’effectifs pour les week-ends. De plus, le nombre de lignes téléphoniques écoutées simultanément a rapidement atteint le maximum autorisé3, ce qui a conduit Matignon à rehausser ce contingent en juin 2019 pour atteindre 3 800 lignes, dont 3 050 réservées au ministère de l’intérieur. Les « grandes oreilles » sont employées à grande échelle.
    Au siège de la CNCTR, un bâtiment sécurisé caché au fond d’un jardin de la rue de Babylone, dans le 7e arrondissement, la tension est maximale chaque fin de semaine à partir de décembre 2018. (…) « C’était l’enfer. Tous les services voulaient un feu vert dans la soirée de vendredi. La Commission n’avait pas forcément le temps de vérifier les motivations indiquées dans les centaines de demandes », précise un de ses membres, qui n’a pas eu son mot à dire sur ces décisions.

    (…) Beaucoup de manifestants ciblés sont ainsi repérés en direct, dans leurs déplacements en voiture, en train, jusqu’à Paris, ou vers d’autres grandes métropoles où se déroulaient des rassemblements importants. Ignorant qu’ils sont géolocalisés grâce à leur téléphone, certains sont interpellés sur les routes, aux péages, dans les gares ou près des lieux de leur résidence. Seize personnes, présentées par la police comme des « black blocs » ou des « ultrajaunes », seront arrêtées à 12 h 30 le samedi 7 décembre 2019, dans une maison louée avenue du Général-Leclerc, au Bouscat, près de Bordeaux, et les locaux perquisitionnés.
    Leur localisation a été rendue possible, affirmeront les enquêteurs, grâce à la découverte faite dans la nuit de tags anti-police peints dans le quartier et sur la foi d’« investigations d’environnement » effectuées le matin même. Mais les détails de ces « investigations d’environnement » ne seront pas versés en procédure, car, selon l’officier de police judiciaire chargé de l’enquête, elles « provenaient d’informations classifiées ». Ce qui correspond à des renseignements de surveillance émanant des services.

    La #géolocalisation permet également de suivre le parcours des « cibles » durant les manifestations. Les trajets sont visualisés en direct sur des écrans. (…) Chaque cible est alors colorée selon son appartenance présumée : rouge pour des cibles de l’ultragauche, bleu pour l’ultradroite. (…)

    D’autres « gilets jaunes » font l’objet d’un traçage en direct hors des manifestations habituelles du samedi. Le dimanche 14 juillet 2019, juste avant le défilé traditionnel des armées sur les Champs-Elysées, les services reçoivent des alertes sur la présence de « gilets jaunes » dans les parages, alors que le périmètre a été interdit à toute manifestation sur ordre du préfet de police. Plus grave : ils soupçonnent une attaque contre le président de la République, Emmanuel Macron. Au vu du risque de « trouble grave à l’ordre public », des surveillances téléphoniques sont aussitôt autorisées, pour quelques jours, sur plusieurs cibles, avant d’être levées faute de menaces avérées. Coïncidence ? Ce jour-là, parmi les près de 200 personnes interpellées dans Paris en marge du défilé, trois leaders connus des « gilets jaunes », Eric Drouet, Maxime Nicolle et Jérôme Rodrigues, sont arrêtés dès le matin aux alentours des Champs-Elysées et placés en garde à vue, avant d’être relâchés dans l’après-midi, une fois les procédures lancées ou classées sans suite. Les techniques de surveillance sont également utilisées de manière intensive pour repérer les manifestants contre le sommet du G7 qui se tient à Biarritz du 24 au 26 août 2019. (…)

    La fin du mouvement des « gilets jaunes » en 2020, suivie de la longue crise sanitaire, n’a pas stoppé cette surveillance ciblée. Au contraire. Selon les données de la CNCTR, chargée de filtrer les requêtes des services, les demandes d’écoutes et de poses de balises pour tous types de motifs sont restées stables à un niveau élevé depuis 2020. Celles portant sur des intrusions dans des lieux privés ont fortement augmenté, tout comme celles sur la captation de données informatiques. Quant aux demandes de géolocalisation en temps réel , très prisées lors des manifestations, elles ont continué leur irrésistible ascension, de 7 601 en 2019, jusqu’à 10 901 en 2022 , un nouveau record.

    Notes de bas de page :
    1- Entretiens avec l’auteur. La plupart des sources de ce prologue ont requis l’anonymat, vu le caractère sensible des informations livrées ici. Les dates des entretiens ne sont pas précisées.
    2 - Nombre des requêtes de TR motivées par les motifs de prévention des violences collectives : 4 226 en 2017 (soit 6 % du total des 70 432 demandes) ; 6 596 en 2018 (soit 9 % des 73 298 demandes) ; 10 296 en 2019 (soit 14 % du total des 73 543 demandes). Source : rapports annuels de la #CNCTR.
    3 - Le contingent d’écoutes était de 3 040 depuis 2017, déjà passé à 3 600 en juin 2018.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/09/les-extraits-du-cote-obscur-de-la-force-pendant-la-crise-des-gilets-jaunes-j
    les (...) du texte sont du journal

    edit #police_politique #solutionnisme_technologique #écologie_radicale #SLT #extinction_rebellion ...

    #manifestations #livre

    • « Le Côté obscur de la force », enquête sur la part d’ombre des pratiques policières
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/09/le-cote-obscur-de-la-force-enquete-sur-la-part-d-ombre-des-pratiques-policie

      L’enquête de Vincent Nouzille qui paraît le 11 octobre chez Flammarion fait la lumière sur deux tendances de fond aux lourdes conséquences sur les libertés publiques : la multiplication des entraves au droit de manifester et le développement de la surveillance de masse.

      Livre. Depuis P… comme police, d’Alain Hamon et Jean-Charles Marchand (Alain Moreau, 1983), les livres d’enquête sur une institution aussi décriée que propice aux fantasmes n’ont pas fait défaut. Il manquait toutefois, dans ce catalogue, un ouvrage consacré aux plus récentes années, un livre qui serait à la fois une mise en perspective de maux endémiques (comme la difficulté à admettre l’existence de violences policières, fussent-elles répétées et objectivées) et un exercice d’analyse prospective sur des pratiques policières renouvelées, bien souvent inquiétantes. Vincent Nouzille, journaliste rompu aux investigations documentées, comble cette lacune en explorant Le Côté obscur de la force (Flammarion, 512 pages, 23 euros).
      Si elle n’oublie pas les figures imposées et traite notamment de la persistance de réseaux d’influence souterrains au sein du ministère de l’intérieur, son enquête aide avant tout à mettre en lumière deux tendances de fond aux lourdes conséquences sur les #libertés_publiques. La première tient à la multiplication des entraves au #droit_de_manifester grâce à la mobilisation de toutes les ressources judiciaires possibles, parfois au moyen de procédés à la limite du dilatoire. La seconde tendance concerne la mise en œuvre de techniques de surveillance de masse.
      Noyés dans les rapports officiels et les interventions des autorités policières, les chiffres exhumés par l’auteur montrent que des milliers d’individus ont fait l’objet d’une surveillance étroite, une vaste entreprise de « renseignement » décidée au plus haut sommet de l’Etat lors de la crise des « gilets jaunes » et prolongée depuis. La pérennisation de ces techniques fait craindre une extension du domaine panoptique, rendue probable par le test grandeur nature des Jeux olympiques et paralympiques de Paris en 2024. « Il est assez vraisemblable, prévient Vincent Nouzille, que les enseignements qui en seront tirés inciteront ses promoteurs, notamment toute la filière de la sécurité qui piaffe d’impatience, à vouloir en tirer parti pour passer à la vitesse supérieure. » Et accélérer un mouvement, manifestement déjà bien engagé, de surveillance généralisée.

      "Ils ne peuvent plus s’en passer" : un livre révèle une "flambée" des écoutes depuis les "gilets jaunes"
      https://www.radiofrance.fr/franceinter/ils-ne-peuvent-plus-s-en-passer-un-livre-revele-une-flambee-des-ecoutes-

      (...) il y a eu au moins 2.000 personnes écoutées ou géolocalisées pendant la crise des « gilets jaunes ». Jamais on n’avait écouté autant de monde en même temps lors d’une crise sociale. Cela a permis aux services de renseignement et services de police, d’une part d’écouter, mais surtout de suivre les #mouvements de ces manifestants et d’en interpeller certains en amont des manifestations. Cela a été, selon eux, extrêmement efficace. Les [représentants] officiels me disent que tout a été fait dans les règles. Mais vu le nombre de demandes et vu, surtout, l’afflux soudain des demandes, nous pouvons nous poser des questions sur les contrôles qui ont pu être exercés en la matière."

      Vous montrez également que cette surveillance n’a pas pris fin après cet épisode des « gilets jaunes »...

      "On aurait pu croire qu’avec la fin de la crise des « gilets jaunes », début 2020, cette surveillance diminue. Or, ce n’est pas du tout ce qui s’est passé, au contraire. En fait, les responsables du service de renseignement m’ont confié qu’ils y avaient pris goût et ne pouvaient plus se passer des écoutes, et surtout des géolocalisations en temps réel, qui permettent de savoir où sont les personnes que l’on veut surveiller. Le nombre des personnes qui ont été surveillées "au titre des violences collectives", comme on dit dans le jargon, a atteint 3.500 en 2021, c’est à dire trois fois plus qu’en 2017. Nous avons donc bien eu une extension de la surveillance à un nombre beaucoup plus grand de personnes.

      Il y a ensuite eu un léger repli en 2022, mais, début 2023, je révèle qu’il y a eu un nouvel accord de la Commission nationale des techniques de renseignement pour élargir les critères de la surveillance et des possibilités d’écoutes à des personnes qui font partie des mouvements de l’écologie radicale. C’est le cas de certains membres des Soulèvements de la Terre, d’Extinction rébellion et d’autres, notamment toutes les personnes qui ont lutté contre les méga-bassines. Cette commission a décidé fin 2022, début 2023, de changer les critères et d’accepter un certain nombre de demandes des renseignements qu’elle avait jusqu’alors refusées. Par exemple, lorsqu’a eu lieu la première manifestation à Sainte-Soline, en octobre 2022, les services de renseignement avaient fait des demandes d’écoute d’un certain nombre de leaders des mouvements, et cela n’avait pas été accepté par cette commission. Mais vu la violence et les incidents qui ont eu lieu fin octobre, l’intrusion ensuite dans la cimenterie Lafarge, près de Marseille, qui a eu lieu en décembre, et d’autres incidents de ce type, cette Commission de contrôle des techniques de renseignement a décidé d’élargir les critères d’écoute en acceptant désormais des cas de demandes de personnes qui sont susceptibles de commettre des violences non pas physiques, mais des #violences_matérielles, de destruction, de #sabotage."

      #justice #enquêtes_judiciaires #JO #gendarmerie #Service_central_de_renseignement_territorial #RT

  • #Propriété_collective des #terres : « Des espaces de résistance face à l’agriculture industrielle et capitaliste »

    basta ! : Dans le secteur agricole, on compte seulement une installation pour deux à trois cessations d’activité, alors qu’un agriculteur sur quatre doit partir à la retraite d’ici 2030. L’accès à la terre est-il le frein principal à l’activité agricole en France ?

    Tanguy Martin : L’accès à la terre est clairement un frein, économique d’abord. La terre, selon les régions, peut coûter assez cher. S’y ajoutent les coûts des bâtiments, du cheptel, des machines, dans un contexte où les fermes n’ont cessé de grandir en taille depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale.

    Il y a aussi un principe de défiance : c’est plus facile de vendre ses terres, ou de les louer à son voisin qu’on connaît depuis très longtemps, qu’à quelqu’un qu’on ne connaît pas, qui peut vouloir faire différemment, non issu du territoire... Or, 60 % des gens qui veulent s’installer aujourd’hui ne sont pas issus du milieu agricole. Les freins administratifs se combinent à ce parcours du combattant.

    Aujourd’hui l’accès à la terre se fait par le marché : les terres sont allouées aux gens capables de rentabiliser une ressource, et pas forcément aux gens capables de nourrir un territoire ou de préserver un environnement.

    À partir de quel moment la terre agricole est-elle devenue une marchandise ?

    Jusqu’à la fin de la Seconde Guerre mondiale, la terre est restée un bien de prestige et de pouvoir à travers lequel on maîtrise la subsistance de la population. Mais après 1945, l’agriculture est entrée dans le capitalisme : on commence à faire plus de profit avec la terre et la production de nourriture, voire à spéculer sur le prix de la terre.

    La terre est même depuis devenue un actif financier. Aujourd’hui, les sociétés dites à capitaux ouverts (financiarisées), dont le contrôle peut être pris par des non-agriculteurs, ont fait main basse sur 14 % de la surface agricole utile française. C’est plus d’une ferme sur dix en France [1]. Le phénomène a doublé en 20 ans !

    Peut-on vraiment parler de spéculation sur les terres en France alors même que le prix stagne en moyenne à 6000 euros par hectare depuis plusieurs années ? Il est quand même de 90 000 euros par hectare aux Pays-Bas !

    Depuis quelques années, le prix de la terre stagne et on pourrait en conclure qu’il n’y a pas de spéculation. En réalité, le prix de la terre a globalement augmenté en France sur les 20 dernières années.

    Actuellement, ce prix augmente dans certaines régions et baisse dans d’autres. Les endroits où l’on peut spéculer sur la terre sont globalement ceux où l’agriculture s’est industrialisée : les zones céréalières dans le centre de la France, de betteraves en Picardie, de maïs dans le Sud-Ouest... Là, le prix de la terre continue à augmenter.

    En revanche, il y a des endroits en déprise, notamment les zones d’élevage comme le Limousin, où le prix de la terre peut baisser. Les prix augmentent aussi à proximité des villes et des zones touristiques, où la terre risque de devenir constructible.

    En France, ce sont les Sociétés d’aménagement foncier et d’établissement rural (Safer) qui sont en charge de réguler le marché des ventes des terres agricoles. Elles sont très critiquées. Que faut-il faire de ces organisations ?

    Les Safer ont participé à limiter les inégalités d’accès à la terre et un prix de la terre relativement bas en France. C’est vrai, même s’il y a d’autres explications aussi, comme la plus faible valeur ajoutée produite par hectare en France.

    Pour autant, les Safer doivent encore évoluer pour pouvoir répondre aux enjeux alimentaires et agricoles du 21e siècle, il faut arriver à démocratiser leur gouvernance. Celles-ci restent aujourd’hui très liées aux décisions du syndicalisme majoritaire (de la FNSEA, ndlr). Les Safer doivent aussi devenir plus transparentes. Actuellement, les réunions de décision se tiennent à huis clos : c’est censé protéger les gens qui prennent les décisions pour qu’ils soient éloignés de certaines pressions, mais cela crée une opacité très délétère pour l’institution.

    Un autre élément à revoir, c’est la façon dont on fixe les objectifs politiques des Safer. Ces dernières, quand elles achètent une terre, doivent la revendre à la personne qui répond aux objectifs politiques qui sont notamment fixés dans des documents nommés « schémas directeurs régionaux des exploitations agricoles ».

    Ces documents, écrits par l’État et validés par arrêté préfectoral, décrivent quel type d’agriculture vont viser les Safer et d’autres instances de régulation foncière. Or, ces documents, du fait que le syndicat majoritaire est largement consulté, défendent plutôt la prolongation de l’agriculture vers son industrialisation. Il y a donc un enjeu à ce que ces documents soient écrits pour défendre une agriculture du 21e siècle qui défend l’agroécologie, et des paysannes et paysans nombreux sur les territoires. À ces conditions-là, il n’y a pas de raison de vouloir se passer des Safer.

    Le fait que nous ayons un système qui alloue la terre, non pas en fonction de l’offre et de la demande, mais en vertu d’un projet politique censé répondre à l’intérêt général, est un trésor inestimable en France qu’il faut absolument garder.

    En creux de votre ouvrage se pose la question du rapport à la propriété. Est-il possible de dépasser le modèle du paysan propriétaire ?

    Sur le principe, rien ne justifie le fait qu’à un moment, une personne ait pu dire « cette terre m’appartient ». La terre étant à la fois un lieu d’accueil du vivant et le lieu où l’on produit la nourriture, on peut estimer que la propriété de la terre doit être abolie. Sauf que, dans une société très attachée à la propriété privée, cela paraît utopique.

    Prenons donc le problème d’une autre façon, et voyons ce qu’on peut déjà faire à court terme. Il faut avoir en tête que les agriculteurs ne sont pas majoritairement propriétaires des terres qu’ils travaillent : 60 % de cette surface est louée dans le cadre du fermage. Il y a même des paysan·nes qui décident parfois de ne pas acheter la terre et préfèrent la louer pour éviter de s’endetter.

    D’autre part, on dispose d’une régulation foncière selon laquelle la terre n’est pas une marchandise comme les autres et ne doit pas être uniquement dirigée par le marché. Ces mécanismes juridiques permettent à l’État, aux collectivités locales et aux syndicats agricoles, de définir ensemble qui va accéder à la terre indépendamment du fait que ces personnes soient riches ou pas.

    On a là un embryon qui pourrait faire imaginer un droit de l’accès à la terre en France institué en commun. Il faut renforcer et orienter ces mécanismes – qui ont plein d’écueils ! – vers des enjeux d’alimentation, d’emploi, d’environnement... Chercher à démocratiser la question de l’accès à la terre et « le gouvernement des terres », c’est à la fois une capacité à se prémunir des effets mortifères du capitalisme, et cela permet de penser comment on pourrait gérer les terres autrement.

    Le capitalisme n’est pas une fatalité : il y a d’autres manières d’être au monde, de produire de l’alimentation, de vivre, de sortir d’un monde où le but n’est que la recherche du profit. C’est comme quand on milite pour la sécurité sociale de l’alimentation : la Sécurité sociale en 1946 n’a pas renversé le capitalisme, mais elle a créé des espaces de répits face au capitalisme, extrêmement importants pour que les gens vivent bien et envisagent de transformer la société.

    Le livre dresse un panorama des organisations qui travaillent au rachat des terres pour les mettre à disposition de paysan·nes répondant à des critères socio-environnementaux, avec des règles transparentes d’attribution de l’accès au foncier. Les surfaces acquises restent toutefois modestes. Peut-on uniquement compter sur ce type d’initiatives ?

    Les gens qui s’intéressent à la terre aujourd’hui ont bien compris qu’on n’allait pas abolir la propriété privée demain. Ils ont aussi compris que s’ils voulaient expérimenter d’autres manières de faire de l’agriculture et de l’alimentation, il fallait accéder à la propriété des terres.

    L’idée de la propriété collective, ce n’est pas l’abolition de la propriété privée, mais que des gens se mettent ensemble pour acheter de la terre. C’est ce que fait Terre de Liens en louant ensuite la terre à des paysan·nes qui mettent en œuvre des projets répondant aux enjeux de société, d’emploi, d’environnement, d’entretien du territoire... Mais c’est aussi ce que font d’autres structures de propriété foncière – la Société civile des terres du Larzac, la Terre en commun sur la Zad de Notre-Dame des Landes, Lurzaindia dans le Pays basque, la foncière Antidote, et bien d’autres.

    Tout un tas de gens essaient d’acheter des terres pour en faire des espaces de résistance face à l’agriculture industrielle et capitaliste. Cela permet d’imaginer d’autres rapports à la propriété. Ce sont des lieux d’expérimentation très importants pour susciter de nouveaux imaginaires, apprendre à faire autrement, créer de nouvelles manières d’être au monde.

    Le problème de ces lieux-là, c’est qu’ils ne peuvent pas permettre un changement d’échelle. Cela ne peut pas être la solution de sortie des terres du capitalisme. Comme elles n’abolissent pas la propriété, s’il fallait racheter toutes les terres, cela coûterait des centaines de milliards d’euros.

    Par ailleurs, ces terres ne sont pas à vendre à court terme – une terre se vend en moyenne tous les 75 ans. D’où la nécessité de faire à la fois des expérimentations de propriété collective, tout en ravivant la question de la régulation foncière pour sortir l’agriculture du capitalisme.

    En quoi la lutte de Notre-Dame des Landes, victorieuse en 2018, a reconfiguré les luttes, notamment anticapitalistes, autour des terres ?

    La question agricole et foncière, en France et même en Europe, était très peu investie par les milieux anticapitalistes. L’activisme des gens qui vont s’installer dans la Zad, les coopérations menées avec des syndicats agricoles comme la Confédération paysanne, ont – non sans débats houleux et conflits internes – mené à une lutte assez exemplaire sur un territoire.

    La répression peut être énorme, mais la capacité de résistance aussi. Cette lutte a produit des façons de faire sur le territoire – en termes d’habitat, d’agriculture collective, de vivre ensemble – inspirantes pour toute une génération militant contre le néolibéralisme et le capitalisme. Beaucoup de milieux politiques aujourd’hui parlent de subsistance, d’alimentation, de terres.

    Notre-Dame des Landes marque aussi le fait qu’avec de moins en moins d’agriculteurs dans la société (2,5 % des gens sont des travailleurs de la terre dont 1,9 % sont des agriculteurs au sens légal), les enjeux agricoles ne peuvent être uniquement du ressort des luttes paysannes. La centralité de ces luttes doit être partagée avec d’autres types d’acteurs politiques, notamment des gens qui habitent le territoire sans être forcément paysans.

    La dynamique des Soulèvements de la Terre est-elle un prolongement de Notre-Dame des Landes ?

    En effet, il me semble que Notre-Dame-des-Landes est une inspiration forte de la pensée qui s’agrège autour des Soulèvements, mouvement riche de sa pluralité. Les Soulèvements montrent que les espoirs nés de l’expérimentation à Notre-Dame-des-Landes sont possibles partout et qu’il va falloir faire différemment dans tous les territoires – chaque endroit ayant ses spécificités.

    Les questions de rapport à la terre ont aussi émergé dans l’espace politique des années 1990, avec les luttes au Chiapas, au Mexique, qui continuent d’inspirer les milieux politiques en Europe et en France. Cette circulation des imaginaires de luttes permet de penser des mondes différemment. Les Soulèvements arrivent à fédérer de manière assez importante et repolitisent très clairement ces questions de la terre. Ils portent ces questions sur tous les territoires qui ont envie de s’en emparer en disant : « C’est possible aussi chez vous ».

    Peut-on sortir l’agriculture du capitalisme ? Pour Tanguy Martin, auteur de Cultiver les communs, il faut combiner les expérimentations de propriété collective tout en s’attachant à la régulation foncière.

    https://basta.media/Propriete-collective-des-terres-des-espaces-de-resistance-face-a-l-agricult
    #agriculture #résistance #capitalisme #accès_à_la_terre #terre #financiarisation #spéculation #Sociétés_d’aménagement_foncier_et-d’établissement_rural (#Safer)

  • Continuité logique au journal JDD : du macronisme extrémiste autoritaire au néo-fascisme assumé
    https://ricochets.cc/Continuite-logique-au-journal-JDD-du-macronisme-extremiste-autoritaire-au-

    Les médias dominants, comme une large part de la classe politicienne, glissent vers l’extrême-droite. Nouveau média touché, le JDD. DANS LES MÉDIAS DOMINANTS : LE GRAND REMPLACEMENT FASCISTE A partir de cette semaine, le Journal du Dimanche, hebdomadaire à grand tirage, est officiellement dirigé par un fasciste. Le JDD c’est un journal diffusé à 130 000 exemplaires chaque dimanche, avec une ligne macroniste, pro-police, pro-patronale, et toujours servile. Le JDD, c’est une propriété du milliardaire (...) #Les_Articles

    / Autoritarisme, régime policier, démocrature..., #Mouvements_et_courants_autoritaires

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...

  • 31 juillet 1914 : Jaurès assassiné par l’extrême droite, l’Etat-capitalisme porte toujours la guerre
    https://ricochets.cc/31-juillet-1914-Jaures-assassine-par-l-extreme-droite-l-Etat-capitalisme-p

    En 2023 comme en 1914, l’Etat-capitalisme porte la guerre et la dévastation comme la nuée porte l’orage. Le 21 juillet 2023, un militant de La France insoumise a échappé de justesse à la mort suite à l’incendie de sa maison, vraissemblablement par un adepte de l’extrême droite. L’arc autoritaire-fasciste-fascisant (LREM, LR, RN) qui est au pouvoir avec le système policier alimente à jets continus le terreau puant qui nourrit grassement les bêtes immondes prêtes à s’imposer. Chaque composante de cet arc (...) #Les_Articles

    / Autoritarisme, régime policier, démocrature..., #Mouvements_et_courants_autoritaires

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/07/31/se-rapprocher-des-idees-du-rn-en-se-presentant-comme-plus-competent-la-strat

  • Thierry Breton, le néo-fascisme tranquille - Vu du Droit vududroit.com - Régis de Castelnau

    La France traverse une crise politique majeure. L’État n’est plus en mesure de contrôler son territoire. Et que dire de l’économie. Les deux tiers des Français haïssent Emmanuel Macron. Qui piétine les #libertés_publiques et met en place un #régime_néofasciste. Et pour faire bon poids il fournit à un régime en panique des missiles de croisière pour frapper le territoire de la Russie. C’est-à-dire que tranquillement il déclare la guerre à la première puissance nucléaire du monde. Le gouvernement est muet, l’ensemble de la classe politique représentée au Parlement fait de même. Pas un élu à l’exception de Dupont Aignan aucune autorité intellectuelle ou morale n’élève la voix pour s’inquiéter de l’#abîme vers lequel cet homme emmène le pays.crise-la-solidarit%C3%A9


    Pour la mise en place de ce qui commence à ressembler à un régime #néofasciste (même Julien Dray commence à s’inquiéter) Macron dispose d’hommes de main qui n’ont aucun scrupule. Il faut écouter l’effarant entretien donné par le commissaire européen #Thierry_Breton à France Télévisions, où l’intérressé vient annoncer triomphalement qu’il est arrivé à ses fins avec la mise en place d’une réglementation européenne de #censure a priori sur les #réseaux_sociaux. Rappelons que ce personnage, quintessence du Capital endogame à la française, a été nommé à la Commission européenne en remplacement d’une autre haute fonctionnaire adepte du pantouflage gourmand, choisie par Macron mais refusée par le Parlement européen pour cause de rapports jugés trop élastiques avec la morale publique.

    Breton s’est récemment signalé par des vitupérations contre les réseaux sociaux, qu’il accuse à demi-mot de véhiculer une parole d’opposition politique aux oligarchies en place. Sous prétexte de lutter « contre la haine en ligne », il décrit un dispositif destiné en fait à bâillonner toute parole dissidente. Il n’a d’ailleurs pas hésité à citer comme devant être interdits les « appels à la révolte » ! La tentation néofasciste du personnage saute aux yeux, tant dans l’attitude que dans le choix des mots. Breton, donc, a fait adopter par le Parlement européen un texte qui reprend toutes les mesures proposées naguère par Emmanuel Macron, par l’intermédiaire de l’ex-députée #laetitia_avia et de la loi dite « Avia », votée par le Parlement-Playmobil du premier mandat – et quasi intégralement censurée par le Conseil constitutionnel puisque jugée attentatoire à la Constitution et notamment à la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen. Notre cour suprême, pourtant fort indulgente en général avec Macron, avait fait sortir l’horreur liberticide qu’était la loi Avia par la porte ; Thierry Breton la fait rentrer par la fenêtre. On en veut pour preuve cet hallucinant entretien passé à décrire tous les moyens administratifs qui permettraient d’instaurer une censure administrative a priori en piétinant tous nos principes.

    ° La censure, nouvelle passion de la « gauche »
    En France, une « gauche » minoritaire et paniquée nourrit une nouvelle passion pour la #censure. Ces jours derniers plusieurs exemples de ce tropsime ont d’ailleurs fait réagir : citons la campagne contre le pluralisme avec l’affaire Geoffroy Lejeune au JDD, les déclarations de Pape Ndiaye sur Europe1 et CNews, médias « clairement d’extrême droite », ou encore les provocations du « philosophe » Geoffroy de Lagasnerie, qui affirme que la pensée de droite n’existe pas.

    Il est malheureusement nécessaire une fois de plus de rappeler que la conflictualité est inhérente au politique et qu’elle s’exprime et se résout dans l’espace public. Le propre d’un cadre normatif dans un système démocratique est justement de permettre le #débat et l’affrontement des #opinions, le juge de paix étant l’élection. L’application de ces principes est de plus en plus problématique pour les blocs oligarchiques au pouvoir dans les pays occidentaux. On y revendique et brandit les « valeurs démocratiques » comme étant universelles, mais on s’efforce par tous les moyens de faire taire les paroles dissidentes. Une tâche rendue plus compliquée par l’existence des réseaux sociaux, plateformes qui ont réalisé une véritable révolution en donnant une parole en temps réel au plus grand nombre, ce qui est quand même, qu’on le veuille ou non, un progrès démocratique. Cette parole charrie comme toujours le pire et le meilleur, et il est quand même inquiétant de voir qu’en France, le pouvoir d’État réagisse comme il le fait avec une succession de lois liberticides. La loi Avia, à juste titre censurée, n’avait été qu’un avatar d’une entreprise d’encadrement mise en œuvre depuis l’arrivée d’Emmanuel Macron, dont l’absence de culture démocratique impose de rappeler que la démocratie est fondée sur l’égalité de n’importe qui avec n’importe qui. Et que l’accès à l’expression et au débat du plus grand nombre ne devrait pas être considéré comme un danger.

    À la fin du XIXe siècle, lorsque la IIIe République fut suffisamment bien établie, et afin de garantir le respect de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen, fut adoptée une loi de protection de la liberté d’expression. Parmi ses principes figurait celui que cette liberté fondamentale pouvait être limitée si nécessaire par la loi, mais dès lors que les restrictions étaient strictement proportionnées à l’objectif d’intérêt général poursuivi et que le contrôle de ce nécessaire équilibre n’appartenait qu’au Juge. La loi sur la presse de 1881 fonctionne depuis presque 140 ans, et jusqu’à présent, on pouvait considérer que la liberté d’expression existait dans notre pays. Malheureusement, depuis le mandat de François Hollande et maintenant d’Emmanuel Macron, la France a dégringolé dans les classements internationaux de la liberté de la presse, « la patrie des droits de l’homme » se trouvant aujourd’hui à la 34e place sur 180…

    Thierry Breton, autocrate assumé
    Après la Deuxième Guerre mondiale, un encadrement juridique destiné à garantir l’indépendance, le pluralisme et la transparence de la presse nationale avait été adopté. Il a été soigneusement détruit, et aujourd’hui la presse audiovisuelle et écrite est entièrement entre les mains de l’#oligarchie. L’îlot du service public n’y échappe pas, puisqu’il est au service du pouvoir politique mis en place par cette même oligarchie avec le coup d’État judiciaire de 2017. L’existence d’une expression dissidente via les réseaux sociaux est donc considérée comme insupportable, et les agents du pouvoir multiplient les tentatives pour la faire taire.

    Le texte présenté par Thierry Breton contient un certain nombre d’horreurs et la première d’entre elles est relative au fait que c’est l’autorité administrative qui désormais décidera de ce que l’on peut dire ou ne pas dire sur les réseaux. Une équipe de flics de la pensée aux ordres de ce nouveau ministre de la Vérité pourra sommer n’importe quel site, quelle que soit sa taille, de supprimer dans les 24 heures des textes qu’elle juge contraire à la loi. La défaillance dans la suppression immédiate pourra être sanctionnée, par l’interdiction dans le pays considéré et pour ce qui nous concerne la France. Il est clair que les grandes plates-formes comme Facebook, YouTube ou Twitter vont non seulement poursuivre leur censure a priori qui existe déjà, mais pourraient aussi, par précaution, déférer à toutes les demandes de suppression émanant des officines européennes opaques. Elon Musk souhaite faire de Twitter, qu’il a racheté, un espace de libre expression ; Thierry Breton, tout à sa pulsion #néofasciste, en a fait une de ses cibles principales. Le système d’intimidation ainsi adopté n’est pas destiné à « lutter contre la haine », mais bien à réprimer la liberté d’expression en ligne. Le commissaire européen a tranquillement assimilé à des messages de haine les appels à la révolte. Rappelons encore une fois qu’il s’agit là des mesures contenues dans la loi Avia, démantibulée par la décision du Conseil constitutionnel, dont le projet de Breton est un décalque.

    Toute cette entreprise n’est que le prétexte pour mettre les réseaux au pas. ° Et n’oublions pas que le pouvoir d’Emmanuel Macron est dès le départ un pouvoir minoritaire. Cette minorité est parfaitement assumée, mais a pour conséquence – indispensable à son propre maintien – d’avoir conduit à une dérive autoritaire qui a pris des proportions plus qu’inquiétantes. L’usage de la police et de la justice contre les Gilets jaunes et les autres #mouvements_sociaux, les grands médias complètement enrégimentés et la destruction méthodique de la liberté d’expression sont les armes utilisées par Emmanuel Macron pour mettre en œuvre sa feuille de route. Et cette fois-ci, face aux principes fondamentaux de la République française qui s’y opposent, on utilise l’#union_européenne et la violation de notre souveraineté pour les contourner et mettre en place un système autocratique dont Thierry Breton est l’un des gardes-chiourme. *

    S’y opposer est un devoir. Avant qu’il ne soit trop tard .

    Source : https://www.vududroit.com/2023/07/thierry-breton-le-neo-fascisme-tranquille

  • On sait mieux où va la France Jean-François Bayart professeur à l’IHEID (Genève), chaire Yves Oltramare « Religion et politique dans le monde contemporain »

    Où va la France ? demandai-je le 8 mai, dans Le Temps. https://www.letemps.ch/opinions/va-france Aujourd’hui, on le sait mieux. Vers l’explosion sociale, vers son inévitable répression policière puisque la fermeture des canaux démocratiques contraint la protestation à la violence émeutière, et vers l’instauration d’un régime paresseusement qualifié d’« illibéral » (c’est le sociologue du politique qui écrit, peu convaincu par cette notion valise qui pourtant fait florès).

    Reprenons les faits. La France brûle. Pour un homme qui se faisait fort de l’apaiser et clignait de l’œil à la banlieue lors de sa première campagne électorale, le constat est amer. Il vient après le mouvement des Gilets jaunes et une succession de mouvements sociaux de grande intensité. Tout cela était prévisible et fut prévu, comme était attendu l’embrasement des quartiers populaires, tant était connue la colère sociale qui y couvait. Tellement redouté, même, qu’Emmanuel Macron, Elisabeth Borne et Gérald Darmanin ont immédiatement compris la gravité et le caractère inacceptable de l’exécution extra-judiciaire de Nahel – le mot est fort, j’en conviens, mais de quoi s’agit-il d’autre au vu de la vidéo ?

    Les paroles d’apaisement furent vaines. Car la mort de Nahel, loin d’être une simple bavure, était programmée. Elle est la conséquence mécanique de la démission du pouvoir politique, depuis trente ans, sous la pression corporatiste de la police qui n’a cessé de s’affranchir des règles de l’Etat de droit bien que lui ait été concédée, de gouvernement en gouvernement, une kyrielle de lois liberticides, jamais suffisantes, sous couvert de lutte contre le terrorisme, l’immigration et la délinquance. Jusqu’à la réécriture de l’article 435-1 du Code de la sécurité intérieure, en 2017, qui assouplit les conditions d’emploi des armes à feu par les forces de l’ordre. Annoncé, le résultat ne se fit pas attendre. Le nombre des tués par la police a doublé depuis 2020 par rapport aux années 2010. Le plus souvent pour « refus d’obtempérer à un ordre d’arrêt » :5 fois plus de tirs mortels dans ces circonstances. Nahel est mort de cette modification du Code de la sécurité intérieure.

    Et l’avocat du policier meurtrier de justifier son client : Nahel n’obtempérait pas et il n’y avait pas d’autre moyen de l’arrêter que de tirer. A-t-on besoin d’un avocat pour entendre une insanité pareille alors qu’il suffit de tirer dans les roues ? On se croirait à Moscou ou Minsk, où des hommes politiques promettent à Prigojine une « balle dans la tête ». Aux yeux de certains, le refus d’obtempérer semble désormais passible de la peine de mort. Une grammaire s’installe, qui brutalise les rapports sociaux, et dont on voudrait faire porter la responsabilité à l’« ultragauche », aux « éco-terroristes », à La France insoumise, alors qu’elle émane d’abord de certains médias et des pouvoirs publics, sous influence de l’extrême droite.

    Une violence policière qui est aussi le prix du retrait de l’Etat
    Comme l’ont démontré depuis des années nombre de chercheurs,la violence policière est devenue la règle dans les « quartiers », et le refus des autorités politiques de prononcer ce vilain mot aggrave le sentiment d’injustice. Mais la vérité oblige à dire que ladite violence policière est aussi le prix du retrait de l’Etat qui a asphyxié financièrement le tissu associatif de proximité et démantelé les services publics en confiant à ses flics une mission impossible : celle de maintenir la paix sociale dans un Etat d’injustice sociale, prompt à l’injure publique à l’encontre de la « racaille ». Tout cela sur fond de dénonciation hystérique du « wokisme » et de vociférations sur les chaînes d’information continue des syndicats de police, dont les membres sont de plus en plus nombreux à porter sur leur uniforme la Thin Blue Line prisée de l’extrême droite suprémaciste américaine.

    Bien sûr, l’Etat ne peut laisser sans réagir la banlieue s’embraser. L’ « ordre républicain » est en marche, avec son lot d’arrestations, de blessés, peut-être au prix de l’état d’urgence ou d’un couvre-feu national, « quoi qu’il en coûte », à un an des Jeux Olympiques. Le piège s’est refermé. Quel « Grand débat national » (ou banlieusard) le magicien Macron va-t-il sortir de son chapeau pendant que les chats de Marine Le Pen se pourlèchent les babines ?

    Certains lecteurs de ma tribune « Où va la France ? » se sont offusqués de la comparaison que j’établissais entre Macron et Orban, voire Poutine ou Erdogan. C’était mal me comprendre. Il ne s’agissait pas d’une question de personnes, bien que les qualités ou les faiblesses d’un homme puissent avoir leur importance. Il s’agit d’une logique de situation, qui me faisait écrire que la France « bascule ». Or, depuis la parution de cette tribune, les signes d’un tel basculement se sont accumulés. Que l’on en juge, en vrac.

    Pour reconquérir l’opinion le président de la République, fébrile, sans jamais se départir de sa condescendance à l’égard de « Jojo » – c’est ainsi qu’il nomme dans l’intimité le Français moyen – ce « Gaulois réfractaire » : « Mon peuple », disait-il en 2017, en monarque frustré – sillonne le pays, court-circuite le gouvernement et multiplie les effets d’annonce, au point que Le Monde titre : « Emmanuel Macron, ministre de tout ». On pourrait ajouter : « et maire de Marseille ».

    Anticor mis à l’index, dissolution des Soulèvements de la Terre… *
    La justice refuse à l’association Anticor (lire « anticorruption »), à l’origine de la plainte qui a conduit à la mise en examen du secrétaire général de l’Elysée, le renouvellement de son « agrément », lequel lui permet de se porter partie civile devant les tribunaux. Cela sent un peu les eaux troubles du Danube, non ?

    Le mouvement des Soulèvements de la Terre a été dissous sous la pression de la FNSEA, le grand syndicat de l’agro-industrie dont les militants ou les responsables multiplient les menaces et les violences contre les écologistes, en toute impunité, quitte à faire oublier que dans l’histoire il a à son actif nombre d’assauts contre des préfectures. Le décret de dissolution justifie notamment la mesure par le fait que les militants des Soulèvements de la Terre lisent l’essai d’Andreas Malm Comment saboter un pipeline et mettent en mode avion leur téléphone portable quand ils vont manifester. Olivier Véran, le porte-parole du gouvernement, va jusqu’à les accuser d’intentions homicides à l’encontre des forces de l’ordre, contre toute évidence. Orwell n’est pas loin.

    Vincent Bolloré, le grand argentier de la révolution conservatrice en France, fait nommer un journaliste d’extrême droite, un ami d’Eric Zemmour, comme rédacteur en chef du Journal du Dimanche,l’un des principaux hebdomadaires du pays. Le piquant de la chose est que ledit journaliste s’était fait congédier par un autre hebdomadaire, d’extrême droite celui-ci, Valeurs actuelles, qui lui reprochait sa radicalité.

    Laurent Wauquiez, président de la méga région Auvergne-Rhône-Alpes, prive de subvention un théâtre dont le directeur avait osé critiquer sa politique.

    La Commission nationale de contrôle des techniques de renseignement s’alarme de la hausse des requêtes des services secrets en matière de surveillance du militantisme politique et social.

    Richard Ferrand, ancien président de l’Assemblée nationale, l’un des plus proches conseillers d’Emmanuel Macron, lâche un ballon d’essai sur la possibilité d’une révision constitutionnelle qui autoriserait à celui-ci un troisième mandat, pendant que d’autres préparent une candidature de Jean Castex-Medvedev. Sommes-nous à Dakar ou à Moscou ?

    Tout cela en deux petits mois. Oui, la France bascule. Nul doute que l’explosion sociale dans les banlieues accélérera le mouvement. Mais peut-être faut-il rappeler la définition du « point de bascule » que donnent les experts du GIEC : le « degré de changement des propriétés d’un système au-delà duquel le système en question se réorganise, souvent de façon abrupte, et ne retrouve pas son état initial même si les facteurs du changement sont éliminés ».

    Le climat politique en France en est bien là, et Macron, qui dans son immaturité se voulait « maître des horloges » et se piquait de séduire la banlieue par diaspora africaine interposée, n’est que le fondé de pouvoir d’une situation qui échappe à son entendement, mais qu’il a contribué à créer. Comme, par ailleurs, les droites de gouvernement, à l’échelle européenne, de l’Italie à la Suède et à la Finlande, se compromettent de plus en plus avec l’extrême droite, la comparaison que certains m’ont reprochée est hélas politiquement pertinente, et même nécessaire.

    A lire aussi : La France face aux séquelles de la réforme des retraites https://www.letemps.ch/opinions/editoriaux/france-face-aux-sequelles-reforme-retraites-0

    #France #explosion_sociale #mouvements_sociaux #colère_sociale #refus_d’obtempérer
    #violences_policière #retrait_de_l’Etat

    Source : https://www.letemps.ch/opinions/on-sait-mieux-ou-va-la-france

    • le président de la République, fébrile, sans jamais se départir de sa condescendance à l’égard de « Jojo » – c’est ainsi qu’il nomme dans l’intimité le Français moyen – ce « Gaulois réfractaire » : « Mon peuple », disait-il en 2017, en monarque frustré – sillonne le pays, court-circuite le gouvernement et multiplie les effets d’annonce, au point que Le Monde titre : « Emmanuel Macron, ministre de tout ». On pourrait ajouter : « et maire de Marseille ».

    • Cette nuit les clients du #Fouquet's ont pu dîner sous bonne garde, à l’abri des barrières,

      Alors que des appels à se rassembler circulaient depuis vendredi, la vie parisienne avait conservé ses droits sur la plus célèbre avenue de Paris, malgré la présence d’un très important dispositif policier. Les clients du Fouquet’s ont dîné sous bonne garde, à l’abri des barrières, tandis que des patrouilles de police ont arpenté les Champs-Élysées toute la soirée. De nombreux incidents ont éclaté, conduisant les forces de l’ordre à charger pour repousser les émeutiers.

      Source : https://www.lefigaro.fr/actualite-france/en-direct-emeutes-apres-la-mort-de-nahel-une-nuit-plus-calme-mais-les-viole

  • #Horlogerie, ordre et #anarchisme

    Il y a plus d’un siècle et demi, les travailleurs de l’#industrie_horlogère suisse contribuèrent à l’essor de l’anarchisme en tant que courant politique révolutionnaire. Organisés, rompus aux combats sociaux, conscients de la réalité économique mondiale et pionniers en matière d’#entraide_ouvrière, ils influencèrent des #mouvements_antiautoritaires à travers toute l’Europe.

    https://www.monde-diplomatique.fr/2023/06/EITEL/65821
    #Suisse #antiautoritarisme

  • Hommage à Touraine
    https://laviedesidees.fr/Hommage-a-Touraine

    Sociologue de l’action, penseur de la société post-industrielle et compagnon de la deuxième gauche, Alain Touraine (1925-2023) a défendu la capacité des sujets à reprendre le contrôle de leur vie. Portrait d’un grand intellectuel doublé d’un social-démocrate. Il n’y a pas en sciences sociales un modèle unique de construction d’une œuvre intellectuelle, une one best way permettant de la construire sur la durée et durablement. Certains procèdent autour d’une théorie centrale appliquée très tôt à divers (...) #Essais

    / Société, #travail, #sociologie, #individu, #classes_sociales, #mouvements_sociaux, #Portraits

    #Société
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20230613_touraine.docx

  • Communiqué de presse du Conseil « Justice et affaires intérieures » (#JAI) de l’Union européenne :

    Migration policy : Council reaches agreement on key asylum and migration laws

    The Council today took a decisive step towards a modernisation of the EU’s rulebook for asylum and migration. It agreed on a negotiating position on the asylum procedure regulation and on the asylum and migration management regulation. This position will form the basis of negotiations by the Council presidency with the European Parliament.

    “No member state can deal with the challenges of migration alone. Frontline countries need our solidarity. And all member states must be able to rely on the responsible adherence to the agreed rule. I am very glad that on this basis we agreed on our negotiating position.”
    Maria Malmer Stenergard, Swedish minister for migration
    Streamlining of asylum procedure

    The asylum procedure regulation (APR) establishes a common procedure across the EU that member states need to follow when people seek international protection. It streamlines the procedural arrangements (e.g. the duration of the procedure) and sets standards for the rights of the asylum seeker (e.g. being provided with the service of an interpreter or having the right to legal assistance and representation).

    The regulation also aims to prevent abuse of the system by setting out clear obligations for applicants to cooperate with the authorities throughout the procedure.
    Border procedures

    The APR also introduces mandatory border procedures, with the purpose to quickly assess at the EU’s external borders whether applications are unfounded or inadmissible. Persons subject to the asylum border procedure are not authorised to enter the member state’s territory.

    The border procedure would apply when an asylum seeker makes an application at an external border crossing point, following apprehension in connection with an illegal border crossing and following disembarkation after a search and rescue operation. The procedure is mandatory for member states if the applicant is a danger to national security or public order, he/she has misled the authorities with false information or by withholding information and if the applicant has a nationality with a recognition rate below 20%.

    The total duration of the asylum and return border procedure should be not more than 6 months.
    Adequate capacity

    In order to carry out border procedures, member states need to establish an adequate capacity, in terms of reception and human resources, required to examine at any given moment an identified number of applications and to enforce return decisions.

    At EU level this adequate capacity is 30 000. The adequate capacity of each member state will be established on the basis of a formula which takes account of the number of irregular border crossings and refusals of entry over a three-year period.
    Modification of Dublin rules

    The asylum and migration management regulation (AMMR) should replace, once agreed, the current Dublin regulation. Dublin sets out rules determining which member state is responsible for the examination of an asylum application. The AMMR will streamline these rules and shorten time limits. For example, the current complex take back procedure aimed at transferring an applicant back to the member state responsible for his or her application will be replaced by a simple take back notification
    New solidarity mechanism

    To balance the current system whereby a few member states are responsible for the vast majority of asylum applications, a new solidarity mechanism is being proposed that is simple, predictable and workable. The new rules combine mandatory solidarity with flexibility for member states as regards the choice of the individual contributions. These contributions include relocation, financial contributions or alternative solidarity measures such as deployment of personnel or measures focusing on capacity building. Member states have full discretion as to the type of solidarity they contribute. No member state will ever be obliged to carry out relocations.

    There will be a minimum annual number for relocations from member states where most persons enter the EU to member states less exposed to such arrivals. This number is set at 30 000, while the minimum annual number for financial contributions will be fixed at €20 000 per relocation. These figures can be increased where necessary and situations where no need for solidarity is foreseen in a given year will also be taken into account.

    In order to compensate for a possibly insufficient number of pledged relocations, responsibility offsets will be available as a second-level solidarity measure, in favour of the member states benefitting from solidarity. This will mean that the contributing member state will take responsibility for the examination of an asylum claim by persons who would under normal circumstances be subject to a transfer to the member state responsible (benefitting member state). This scheme will become mandatory if relocation pledges fall short of 60% of total needs identified by the Council for the given year or do not reach the number set in the regulation (30 000).
    Preventing abuse and secondary movements

    The AMMR also contains measures aimed at preventing abuse by the asylum seeker and avoiding secondary movements (when a migrant moves from the country in which they first arrived to seek protection or permanent resettlement elsewhere). The regulation for instance sets obligations for asylum seekers to apply in the member states of first entry or legal stay. It discourages secondary movements by limiting the possibilities for the cessation or shift of responsibility between member states and thus reduces the possibilities for the applicant to chose the member state where they submit their claim.

    While the new regulation should preserve the main rules on determination of responsibility, the agreed measures include modified time limits for its duration:

    - the member state of first entry will be responsible for the asylum application for a duration of two years
    - when a country wants to transfer a person to the member state which is actually responsible for the migrant and this person absconds (e.g. when the migrant goes into hiding to evade a transfer) responsibility will shift to the transferring member state after three years
    - if a member state rejects an applicant in the border procedure, its responsibility for that person will end after 15 months (in case of a renewed application)

    https://nsl.consilium.europa.eu/104100/Newsletter/axgy5g4bs3zixsx3bkhgg2epeiecucjvrcybx7b6shr3lt7za5b4x3vrbmpevnc

    #conseil_de_l'Europe #asile #migrations #réfugiés #Dublin #règlement_Dublin #accord #8_juin_2023 #UE #Union_européenne #EU #asylum_procedure_regulation (#APR) #procédure_d'asile #frontières #procédure_accélérée #inadmissibilité #procédure_de_frontière #frontières_extérieures #capacité_adéquate #asylum_and_migration_management_regulation (#AMMR) #mécanisme_de_solidarité #solidarité #relocalisation #contribution_financière #compensation #responsibility_offsets #mouvements_secondaires #abus

    –—

    ajouté à la métaliste sur le pacte :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    • Analyse de #Fulvio_Vassallo_Paleologo:

      Paesi terzi “sicuri”, sicurezza delle persone migranti e propaganda di Stato

      1.Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni fino alle ultime ore di una convulsa trattativa, che si è conclusa con una spaccatura che avrà certamente ripercussioni sulla prossima fase di codecisione sulle politiche migratorie e sulle procedure di asilo, nella quale analoghe divisioni si potrebbero riprodurre all’interno del Parlamento europeo.

      La materia sulla quale i ministri del’interno dei diversi paesi europei hanno alla fine trovato una soluzione di compromesso, su cui il ministro Piantedosi ha espresso soddisfazione, riguarda buona parte della vigente legislazione europea in materia di imigrazione ed asilo, sia per quanto riguarda la cd. dimensione esterna, con riferimento ai paesi terzi di origine e transito, che per quanto concerne i cd. meccanismi di solidarietà, in materia di rimpatri forzati e al fine di contrastare i cd. movimenti secondari, con una sostanziale rivisitazione del vigente Regolamento Dublino III del 2013. A tale riguardo si prevede espressamente che “Gli Stati membri hanno piena discrezionalità quanto al tipo di solidarietà cui contribuiscono. Nessuno Stato membro sarà mai obbligato a effettuare ricollocazioni”. Una sconfitta che il governo italiano non può nascondere dietro i propositi di espellere o respingere i richiedenti asilo denegati nei paesi di transito.

      I ministri dell’interno dei diversi paesi dell’Unione Europea hanno così trovato a maggioranza una intesa che però appare come una scatola vuota, se si pensa alla mole delle normative (dal Regolamento frontiere Schengen alla Direttiva 2008/115/ CE sui rimpatri) che dovrebbero essere modificate per approvare definitivamente quanto si è deciso a Lussemburgo, ed all’esiguo tempo che manca in vista delle prosime elezioni europee, dopo tre anni di stallo seguiti alla prima versione del Patto sull’immigrazione e l’asilo adottata dalla Commissione nel 2020. Inoltre la spaccatura tra i paesi di Visegrad Ungheria e Polonia, ed i conservatori del gruppo della Meloni, non lasciano presagire risultati definitivi nel breve periodo.

      2. La proposta di regolamento sulla procedura di asilo (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on asylum and migration management and amending Council Directive (EC) 2003/109 and the proposed Regulation (EU) XXX/XXX [Asylum and Migration Fund] tenta di stabilire una procedura comune in tutta l’UE che gli Stati membri devono seguire quando le persone fanno richiesta di protezione internazionale. Si snelliscono le disposizioni procedurali (ad esempio la durata della procedura) e si stabiliscono norme per i diritti del richiedente asilo (ad esempio, la fornitura del servizio di un interprete o il diritto all’assistenza e alla rappresentanza legali). La procedura di frontiera si applicherebbe quando un richiedente asilo presenta domanda a un valico di frontiera esterna, a seguito di arresto in relazione a un attraversamento illegale della frontiera e in seguito allo sbarco dopo un’operazione di ricerca e soccorso. Ma anche quando proviene da un paese terzo ritenuto sicuro. La procedura è obbligatoria per gli Stati membri se il richiedente rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, ha ingannato le autorità con informazioni false o nascondendo informazioni e se il richiedente ha una nazionalità di un paese con un tasso di riconoscimento delle richieste di asilo inferiore al 20%.

      Il punto sul quale in Italia il governo Meloni ed il ministro dell’interno Piantedosi hanno insistito di più, a livello di comunicazione, ma anche come base per una intensa attività diplomatica che conducono da mesi senza risultati effettivi, riguardava la possibilità di rinviare nei paesi di transito i richiedenti asilo denegati dopo la procedura in frontiera, già prevista in modo più rigoroso dalla legge 50 del 2023 (ex Decreto Cutro). Una legge approvata senza il parere delle competenti Comissioni Affari costituzionali, che sta già facendo vitime, con espulsioni comminate dai prefetti “in automatico” a persone già inserite in Italia, che chiedono il rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale, ma che ad oggi appare in contrasto non solo con importanti principi fondamentali del nostro ordinamento (come gli articoli 10, 13,24,32,113 della Costituzione), ma anche con molti dei principi di garanzia ribaditi con grande nettezza dalle proposte legislative adottate a Lussemburgo dal Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea.

      Durante l’iter di conversione del decreto legge in Parlamento, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR- UNHCR) aveva inviato una “Nota tecnica” al governo, nel tentativo di avviare un confronto su diversi punti “critici” che non rispettavano norme internazionali o Direttive dell’Unione Europea. Come ha dichiarato la rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, “Avevamo rappresentato queste criticità, confidando che nel procedimento legislativo alcuni correttivi potessero essere apportati”.

      Nella sua ultima nota tecnica, l’UNHCR evidenzia innanzitutto come la nuova legge 50/2023 “ estende la preesistente procedura accelerata di frontiera ai richiedenti provenienti da Paesi di origine designati come sicuri e dispone il trattenimento per quei richiedenti, tra coloro che siano stati avviati a tale procedura, i quali non abbiano consegnato il “passaporto o altro documento equipollente” o non prestino “idonea garanzia finanziaria”. Il trattenimento avverrà nei punti di crisi (hotspot) esistenti presso i maggiori luoghi di sbarco, nelle strutture analoghe ai punti di crisi che verranno individuate o nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) che si trovino in prossimità della frontiera. I minori e tutte le altre persone con esigenze particolari, come da disposizioni vigenti, sono esonerati da ogni forma di procedura accelerata”.

      L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
      In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso.

      3. La nozione di Paese terzo sicuro è presente nella legislazione eurounitaria con la direttiva 2005/85/Ce del Consiglio del 1° dicembre 2005. L’art. 29 prevedeva che il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, potesse adottare un elenco comune minimo dei paesi terzi considerati dagli Stati membri paesi d’origine sicuri. Tale disposizione fu annullata dalla Corte di giustizia perché introduceva una riserva di competenza in favore del Consiglio, con semplice obbligo di consultazione del Parlamento europeo, che non poteva essere prevista da un atto derivato.

      Con la cd. direttiva procedure (dir. 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013) la traccia è stata ripresa e ampliata.
      Gli articoli da 36 a 39 disciplinano infatti in termini molto dettagliati i contorni della nozione di Paese di origine sicuro e le conseguenze di tale nozione sulle procedure di valutazione delle domande.
      L’art. 36 detta le condizioni soggettive alle quali è subordinato il riconoscimento della natura di Paese sicuro di un determinato richiedente: questi deve essere cittadino del Paese di provenienza definito sicuro o apolide che in quel Paese soggiornasse abitualmente; inoltre, non deve avere invocato gravi motivi a lui riferibili, tesi a escludere che il Paese di origine sia sicuro.
      L’art. 37 fa rinvio all’allegato I della stessa direttiva, dove sono dettate le condizioni alle quali è possibile designare un Paese come sicuro. Il testo dell’Allegato I è il seguente: “Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
      Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta
      protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:
      a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate;
      b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e sociali

      L’art. 38 della Direttiva atualmente in vigore, fino a quando non verrà espressamente abrogata, fornisce il: “Concetto di paese terzo sicuro”.

      1. Glic Stati membri possono applicare il oncetto di paese terzo sicuro solo se le autorità competenti hanno accertato che nel paese terzo in questione una persona richiedente protezione internazionale riceverà un trattamento conforme ai seguenti criteri:
      a) non sussistono minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione,
      nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale;
      b) non sussiste il rischio di danno grave definito nella direttiva 2011/95/UE;
      c) è rispettato il principio di «non-refoulement» conformemente alla convenzione di Ginevra;
      d) è osservato il divieto di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né
      trattamenti crudeli, disumani o degradanti, sancito dal diritto internazionale; e
      e) esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato,
      ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra.
      2. L’applicazione del concetto di paese terzo sicuro è subordinata alle norme stabilite dal diritto nazionale, comprese:
      a) norme che richiedono un legame tra il richiedente e il paese terzo in questione, secondo le quali sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese;
      b) norme sul metodo mediante il quale le autorità̀ competenti accertano che il concetto di paese terzo sicuro può̀ essere applicato a un determinato paese o a un determinato richiedente. Tale metodo comprende l’esame caso per caso della sicurezza del paese per un determinato richiedente e/o la designazione nazionale dei paesi che possono essere considerati generalmente sicuri;
      c) norme conformi al diritto internazionale per accertare, con un esame individuale, se il paese terzo interessato sia sicuro per un determinato richiedente e che consentano almeno al richiedente di impugnare l’applicazione del concetto di paese terzo sicuro a motivo del fatto che quel paese terzo non è sicuro nel suo caso specifico. Al richiedente è altresì data la possibilità di contestare l’esistenza di un legame con il paese terzo ai sensi della lettera a)”

      4. Secondo la nuova proposta legislativa sulle procedure di asilo, approvata dal Consiglio dei ministri del’interno dell’Unione Europea a Lussemburgo, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di applicare il concetto di terzo sicuro paese […] come motivo di inammissibilità ove esista la possibilità per il richiedente[…] di chiedere e, se ne ricorrono i presupposti, di ricevere effettivo protezione in un paese terzo, dove la sua vita e la sua libertà non sono minacciate conto di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o opinione politica, dove lui o lei non è soggetto a persecuzione né affronta un rischio reale di danno grave come definito nel regolamento (UE) n. XXX/XXX [Nuovo Regolamento sulle Qualifiche ancora da approvare] ed è tutelato contro il respingimento e contro l’allontanamento, o contro le violazioni del diritto alla protezione dalla tortura e da trattamenti crudeli, inumani o degradanti prevista dal diritto internazionale.
      Si aggiungono poi nuove condizioni per considerare inammissibile una domanda di asilo.
      Si prevede in particolare che Il concetto di un paese terzo sicuro può essere applicato solo se esiste […] un collegamento tra il richiedente e […] il paese terzo in base al quale sarebbe […] ragionevole[…] che il richiedente […] si rechi in quel paese […], compreso il fatto che […] ha transitato […] in quel paese terzo. La connessione in particolare tra il richiedente e il paese terzo sicuro potrebbe essere considerata stabilita dove i membri della famiglia del richiedente siano presenti in quel paese o dove il richiedente si è stabilito o ha soggiornato in quel paese. Nella fase convulsa di ricerca del compromesso finale, nella notte dei ministri del’interno a Lussemburgo, è saltata la previsione sostenuta dall’Italia che anche un transito temporaneo avrebbe potuto comportare l’acertamento di questa “commessione” e dunque comportare l’inammissibilità della domanda di protezione già nella procedura in frontiera e la possibilità di respingimento o espulsione con immediato accompagnamento forzato. La posizione dei cittadini di paesi terzi “in transito” rimane comunque molto a rischio e sarà sicuramente oggetto di trattative in sede di rinegoziazione degli accordi bilaterali già esistenti.

      Al Considerando 37b) si prevede comunque che, “Nel valutare se i criteri per una protezione effettiva come stabilito nel presente Regolamento sono soddisfatte da un paese terzo, l’accesso ai mezzi di sussistenza sufficienti a mantenere un tenore di vita adeguato dovrebbe essere inteso come comprensivo dell’accesso a vitto, vestiario, alloggio o alloggio e il diritto a svolgere un’attività lavorativa remunerata a condizioni non meno favorevoli di quelle previste per gli stranieri del Paese terzo generalmente nelle stesse circostanze”. Anche nella proposta di nuovo Regolamento oltre alla situazione dei transitanti nei paesi terzi ritenuti sicuri si deve aggiungere anche la considerazione della maggiore ampiezza operativa che si sta attribuento, anche a livello interno, alla categoria di paese di origine sicuro.

      Al Considerando (46) si aggiunge che […] Dovrebbe essere possibile designare un paese terzo come paese di origine sicuro con eccezioni per parti specifiche del suo territorio o categorie chiaramente identificabili di persone. Inoltre, il fatto che un paese terzo sia incluso in una lista di paesi di origine sicuri non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese paese, anche per coloro che non appartengono a una categoria di persone per le quali tale è fatta eccezione, e quindi non dispensa dalla necessità di condurre un’adeguata esame individuale della domanda di protezione internazionale. Per sua stessa natura, la valutazione sottesa alla designazione non può che tener conto del carattere generale, civile, circostanze legali e politiche in quel paese e se autori di persecuzioni, torture o trattamenti o punizioni inumani o degradanti sono soggetti a sanzione quando ritenuti responsabili in quel paese. Per questo motivo, dove il richiedente può dimostrare elementi che giustificano il motivo per cui il concetto di paese di origine sicuro non è applicabile a lui, la designazione del paese come sicuro non può più essere considerata rilevante per lui o lei.

      5. Il governo italiano si vanta di avere costretto l’Unione europea a spostare l’attenzione dai problemi che interssano maggiormente agli Stati continentali, e dunque dai cd. “movimenti secondari” alla questione dei “movimenti primari”, con particolare riferimento alle frontiere esterne del Mediteraneo. La prospettiva che si persegue, magari in collaborazione con l’UNHCR, che però ha posizioni di garanzia molto precise sul punto, è di favorire la “deportazione” in questi paesi, ritenuti “sicuri”, di immigrati irregolari di diversa nazionalità, dopo il diniego sulla domanda di protezione, alla fine della “procedura in frontiera”. Sfugge evidentemente alla premier Meloni, o si preferisce nascondere, la situazione dei diritti umani nei paesi nordafricani di transito, come l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria, che pure ministri e sottosegretari italiani hanno intensamente frequentato in questi ultimi mesi. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Adesso ci riproveranno a Tunisi, con la visita in programma per domenica 11 giugno in cui la Meloni sarà accompagnata adirittura da Ursula Von der Layen a nome della Commissione europea e dal premier olandese Rutte.

      Nella propaganda governativa si omette di ricordare che nessun accordo di riammissione stipulato con paesi terzi, anche quello tuttora vigente con la Tunisia, prevede deportazioni di cittadini provenienti da altri Stati e giunti irregolarmente nel nostro territorio, o che hanno ricevuto un diniego sulla richiesta di protezione internazionale. A parte la considerazione che l’ingresso per ragioni di soccorso non può essere equiparato all’ingresso clandestino. E questo lo chiarisce bene la Corte di Cassazione con la sentenza sul caso Rackete n.6626/2020. Si vedrà se la prossima missione della Meloni a Tunisi, in compagnia della Presidente della Commissione europea convincerà l’autocrate Saied che sta espellendo sistematicamente dal suo paese tutti i migranti subsahariani, ad accettare di riprendersi cittadini non tunisini sbarcati in Italia. Ed è pure abbastanza improbabile che aumenti la quota di cittadini tunisini che, in base agli accordi vigenti, vengono espulsi o respinti (respingimento differito) verso Tunisi, sulla base degli accordi bilaterali già vigenti con l’Italia. Due voli alla settimana, o poco più per circa sessanta persone. Difficile immaginare una intensificazione dei rimpatri con accompagnamento di polizia. In questi casi, come osserva il Garante nazionale per le persone private della libertà personale in un recente rapporto, “L’aspetto di maggiore criticità è che “le regole dell’attività di rimpatrio forzato da parte della Polizia di Stato sono in larga parte definite da semplici circolari e disposizioni interne e non da fonti normative di rango primario. Manca cioè un quadro legislativo che specifichi le regole operative e ciò ha inevitabili ricadute”. Per esempio, “la disciplina compiuta del possibile ricorso all’impiego della forza, al di là di principi generali, che definisca i possibili strumenti contenitivi, le modalità e la durata del loro impiego. Così come mancano disposizioni operative sui controlli di sicurezza, la cui attuazione talvolta si avvicina a una perquisizione personale, pratica eccezionale anche in contesti ben più problematici”. Ma anche in Tunisia la discrezionalità di polizia sconfina sempre più spesso nell’arbitrio.

      Come denuncia l’ASGI, “Alla luce dell’attuale trasformazione autoritaria dello Stato tunisino e dell’estrema violenza e persecuzione della popolazione nera, delle persone in movimento, degli oppositori politici e degli attori della società civile, noi, le organizzazioni firmatarie, rilasciamo questa dichiarazione per ricordare che la Tunisia non è né un paese di origine sicuro né un paese terzo sicuro e pertanto non può essere considerato un luogo sicuro di sbarco (Place of Safety, POS) per le persone soccorse in mare”.

      Come riferisce il sito Meltingpot, a margine di un diniego dopo la richiesta di protezione internazionale alla competente Commissione territoriale, il Tribunale di Cagliari ha accolto la richiesta di sospensiva di un cittadino tunisino. La situazione è peculiare e occorrerà attendere il merito per approfondirla ma il decreto è significativo perché, il Tribunale “smentisce” il fatto che la Tunisia sia un Paese Sicuro“. Si tratta naturalmente di decisioni che valgono per casi individuali, e sarà fondamentale provare la situazione di ciascuna persona che in frontiera, ma anche nei CPR, possa risultare destinataria di un provedimento di allontanbamento forzato verso la Tunisia.

      6. La seconda proposta legislativa su nuovi criteri di gestione in materia di immigrazione ed asilo di portata più ampia approvata a Lussemburgo lo scorso 8 giugno (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on asylum and migration management and amending Council Directive (EC) 2003/109 and the proposed Regulation (EU) XXX/XXX [Asylum and Migration Fund] non prevede particolari impegni dell’Unione Europea per sostenere le politiche di rimpatrio forzato di citt che adini di paesi terzi verso gli Stati da cui sono transitati prima di entrare in territorio europeo. Materia che richiederebbe una modifica radicale della Direttiva rimpatri 2008/115/CE.

      Il nuovo regolamento sulla gestione della migrazione e dell’asilo dovrebbe sostituire, una volta concordato, l’attuale regolamento Dublino che stabilisce norme che determinano quale Stato membro è competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Il nuovo Regolamento dovrebbe semplificare queste regole e ridurre i termini. Ad esempio, l’attuale complessa procedura di ripresa in carico finalizzata al trasferimento di un richiedente nello Stato membro responsabile della sua domanda sarà sostituita da una semplice notifica di ripresa in carico. Rimane comunque confermata la responsabilità primaria dei paesi di primo ingresso, quello che Salvini voleva evitare ricattando i paesi membri con la chiusura dei porti. Lo Stato membro di primo ingresso sarà competente per la domanda di asilo per una durata di due anni. Quando un paese vuole trasferire una persona nello stato membro che è effettivamente responsabile del migrante e questa persona fugge (ad esempio quando il migrante si nasconde per eludere un trasferimento) la responsabilità passerà allo stato membro di trasferimento solo dopo tre anni.

      La nuova proposta legislativa su immigrazione ed asilo, faticosamente elaborata a Lussemburgo, si limita, con l’art. 7 (Cooperazione con i paesi terzi per facilitare il rimpatrio e la riammissione), a prevedere che dove la Commissione e il Consiglio ritengano che un terzo paese non collabora sufficientemente alla riammissione di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, la Commissione e il Consiglio, nell’ambito delle rispettive competenze, prendono in considerazione le azioni appropriate tenendo conto delle competenze dell’Unione e delle relazioni generali degli Stati membri con il paese terzo.
      In particolare, in questi casi, 1. […] La Commissione può, sulla base dell’analisi effettuata a norma dell’articolo 25 bis, paragrafi 2 o 4, del regolamento (UE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio e di qualsiasi altra informazione disponibile dagli Stati membri, nonché dall’Unione istituzioni, organi e organismi, […] presentare al Consiglio una relazione comprendente, se del caso, l’identificazione di eventuali misure che potrebbero essere adottate per migliorare la cooperazione di tale paese terzo in materia di riammissione, tenendo conto dell’Unione e delle relazioni generali degli Stati membri con il paese terzo.

      7. Al di là delle perplessità sui tempi di attuazione delle proposte varate dal Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione europea e della loro dubbia compatibilità con il vigente diritto eurounitario e con il diritto internazionale umanitario e dei rifugiati, si deve rimarcare come il governo italiano, con un decreto interministeriale approvato lo scorso marzo, abbia ulteriormente ampliato la lista di paesi terzi sicuri che preclude di fatto sia l’esame approfondito delle domande di protezione nelle procedure in frontiera, che il rinnovo della maggior parte dei permessi di soggiorno finora concessi per protezione speciale. Con questo ultimo aggiornamento di marzo 2023 vengono ritenuti paesi terzi sicuri: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia.

      La categoria di “paese terzo sicuro” esisteva da anni nella legislazione italiana e nella normativa europea, ma è stato con il Decreto sicurezza Salvini n.113 del 2018 che se ne è estesa la portata e assieme ad altre modifiche legislative, ha ridotto di molto la portata effettiva del diritto di asilo riconosciuto dall’art. 10 della Costituzione italiana.

      L’art. 7-bis del dl 4 ottobre 2018, n. 113 (cd. decreto sicurezza), introdotto in sede di conversione dall’art. 1 della l. 1°dicembre 2018, n. 132, ha inserito nel d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25 l’art. 2-bis, intitolato «Paesi di origine sicuri». E’ dunque chiaro che nell’ordinamenro italiano non esiste al momento alcuna categoria di paese di transito “sicuro” e dunque questo criterio, ancora allo stato di proposta legislativa da parte del Conisglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea NON potrà avere nell’immediato alcuna portata normativa, almeno fino a quando, al termine della procedura di codecisione, un nuovo Regolamento che lo preveda non venga pubblicato nella Gazzetta Ufficiale europea.

      L’art. 2-bis del d. lgs n. 25 del 2008, modificato dal decreto sicurezza del 2018, era articolato in cinque commi:

      «Art. 2-bis (Paesi di origine sicuri). – 1. Con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, è adottato l’elenco dei Paesi di origine sicuri sulla base dei criteri di cui al comma 2. L’elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente ed è notificato alla Commissione europea.

      2. Uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall’articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

      3. Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.

      4. La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all’Unione europea è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’articolo 5, comma 1, nonché su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

      5. Un Paese designato di origine sicuro ai sensi del presente articolo può essere considerato Paese di origine sicuro per il richiedente solo se questi ha la cittadinanza di quel Paese o è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel Paese e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova».

      8. Adesso si sta tentando di estendere la nozione di paese terzo sicuro non solo ai cittadini di quel paese, ma anche a coloro che provengono da altri paesi e sono transitati nel paese terzo “sicuro”. Anche per queste persone, con la sola eccezione di MSNA (minori non accompagnati) e di altri soggetti vulnerabili, si prevedono procedure accelerate in frontiera e un numero più ampio di casi di trattenimento amministrativo, per facilitare respingimenti ed espulsioni al termine delle procedure in frontiera, in modo forse da dissuadere le partenze verso l’Italia e l’Europa, aspirazione di vari governi, che comunque, nel corso degli anni, è stata sistematicamente smentita dai fatti. Non si vede peraltro con quali mezzi, risorse umane e luoghi di detenzione amministrativa, si potrà attuare il trattenimento dei richiedenti asilo nelle procedure in frontiera, subito dopo gli sbarchi. Le norme al riguardo, tra l’altro, non saranno operative per 90 giorni dall’entrata in vigore della legge n.50/2023, in assenza del decreto interministeriale che dovrebbe fissare l’entità delle risorse economiche che il richiedente asilo dovrebbe dimostrare per evitare il trattenimento nella prima fase di esame della sua richiesta di protezione. Per tutta l’estate, dunque, la situazione nei punti di sbarco, ma anche nei centri di prima accoglienza, resterà caotica, e sarà affidata esclusivamente ai provvedimenti delle autorità amministrative, prefetti e questori, senza una chiara cornice legislativa.

      Su questo sarà battaglia legale, e solidarietà verso chi chiede comunque protezione, soprattutto nei territori più vicini alle frontiere esterne, sempre che sia possibile esercitare i diritti di difesa, e che le misure di accompagnamento forzato non vengano eseguite prima del riesame da parte della giurisdizione, dato l’abbattimento dei casi di effetto sospensivo del ricorso, ed i precedenti purtroppo non sono molti. La sentenza della Cassazione (Sez. 1, 18 novembre 2019, n. 29914) ha cassato una precedente decisione di merito che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale, facendo leva sul principio, già più volte enunciato, secondo cui “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente”. Rimane quindi alto il rischio che la categoria dei paesi terzi sicuri, o dei paesi di transito sicuri, considerate anche le nuove procedure in frontiera introdotte dalla legge n.50 del 2023, riducano fortemente la portata effettiva del diritto di asilo costituzionale.

      Il Diritto di asilo previsto nelle sue diverse forme dall’art. 10 della Costituzione italiana, e ribadito nelle Direttive europee e nei Regolamenti fin qui vigenti, ha natura individuale e costituisce un dirito fondamentale della persona. La ratio fondante di tutta la disciplina in materia di protezione internazionale consiste proprio nella protezione dei singoli da condotte gravemente lesive dei loro diritti umani. Ciò è confermato con grande apertura e
      chiarezza dalla nostra Costituzione, all’art. 10, co. 3 che ha una portata molto più ampia della formulazione dello stesso diritto nella Convenzione di Ginevra del 1951 e nelle Direttive europee. Al contrario, la nozione di «Paesi di origine sicuri» si fonda su una valutazione di «safety for the majority» che difficilmente si concilia con la dimensione individuale del diritto di asilo, fortemente sminuendo «the role of individual case by case assessment»”previsto dalle Convenzioni internazionali. In Italia la legge vigente prevede soltanto una presunzione relativa di sicurezza rispetto al Paese di origine, ma senza alcun riferimento automatico alla situazione in questo paese o al transito in un altro paese terzo ritenuto sicuro. Il richiedente e la Commissione teritoriale, e poi il giudice in caso di ricorso giurisdizionale, sono tenuti a cooperare per fare emergere i necesari elementi probatori per affermare o escludere un diritto alla protezione. Ma non ci può essere alcun automatismo nel diniego di uno status di protezione nei confronti di chi provenga o sia transitato da un paese terzo sicuro.

      Si deve ricordare a tale proposito la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del 21 novembre 2019, Ilias and Ahmed c. Ungheria, che ha accertato la violazione dell’art. 3 della CEDU da parte dell’Ungheria, le cui autorità avevano rigettato la domanda di protezione di due cittadini bengalesi espulsi verso la Serbia, sul semplice presupposto che tale Stato era stato incluso in un elenco governativo sui Paesi sicuri, senza compiere una
      valutazione seria e approfondita del caso specifico e senza preoccuparsi degli effetti di
      un respingimento a catena verso altri Stati.

      9. La pressione dei governi europei, e del governo italiano in particolare, sulle procedure in frontiera e sulla possibilità di ricorrere alle categorie di paese terzo di origine o di transito “sicuro” apre scenari inquietanti, soprattutto dopo che con la legge n.50/2023 si sono introdotte norme procedurali che intaccano i diritti di difesa dei richiedenti asilo giunti in frontiera, sia pure a seguito di operazioni di soccorso in mare. Toccherà operare un attento monotoraggio sul riconoscimento effettivo dei diritti fondamentali, a partire dai diritti all’informazione ed alla comprensione linguistica, e dal diritto di accesso effettivo ad una procedura di asilo, in tutti i luoghi di frontiera soprattutto in quelli che sono definiti “punti di fontiera esterna”. Ocorrerà vigilare sulla attuazione degli accordi con i paesi di transito e origine che possano essere ritenuti “sicuri”, ma solo sulla carta, dalle autorità amministrative. Bisogna impedire che attraverso l’esecuzione immediata di misure di allontanamento forzato, adottate magari con modalità sostanzialmente uniformi e collettive, senza riguardo alla situazione individuale delle singole persone, o delle loro condizioni psico-fisiche, possano ripetersi quelle violazioni dei diritti umani che hanno già portato a pesanti condanne dell’Italia da parte dei Tribunali internazionali, come nei tre fondamentali casi Hirsi, Sharifi e Khlaifia.

      https://www.a-dif.org/2023/06/09/paesi-terzi-sicuri-sicurezza-delle-persone-migranti-e-propaganda-di-stato

    • Editorial : Migration Pact Agreement Point by Point

      What was agreed? What are the consequences? Where are we now?

      ECRE will analyse the detailed texts of the General Approach, when they are available. In the meantime, 48 points can already be made on the agreement reached yesterday among the EU Member States on the Pact on Migration and Asylum to reform EU asylum law.

      - The EU Member States have reached an agreement on key pillars of the EU asylum system, responsibility, solidarity and procedural rules. The agreement has been under discussion throughout the Swedish Presidency.
      - This is not the final word – the Council will negotiate with the Parliament on the basis of this agreement and the Parliament’s respective agreement in order to reach a common position which will become law. However, it is to be expected that Parliament will concede – and these are more or less the positions likely to be adopted.
      - The agreement reduces protection standards in Europe, which is kind of the point. Whether it will meet its other objectives of deterring arrivals, rapid returns or reducing so-called secondary movement remains to be seen.
      – Two countries opposed the agreement: Hungary and Poland, primarily on the basis that they don’t believe that Europe should have an asylum system. Four countries abstained: Bulgaria, Malta, Lithuania and Slovakia, for different reasons in each case.

      The headlines

      - Overall, states have agreed on labyrinth of procedural rules, byzantine in their complexity and based on trying to limit the number of people who are granted international protection in Europe.
      - They fail to address the major the dysfunction of the system, the Dublin rules, which escape largely intact.
      - An underlying objective is to transfer responsibility to countries outside Europe, even though 85% of the world’s refugees are hosted outside Europe, mainly in desperately poor countries. The targets are the countries of the Western Balkans and North Africa, through the use of legal tools such as the “safe third country” concept. Nonetheless, the reforms do nothing to increase the likelihood that these countries agree to host people returned from the EU.
      - Within Europe, the reforms increase the focus at the borders.
      - As such, the reforms go in the opposite direction to the successful response to displacement from Ukraine, which demonstrated the value of light procedures, rapid access to a protection status, allowing people to work as soon as possible so they can contribute, and freedom of movement which allows family unity and a fairer distribution of responsibility across Europe.

      Procedural changes

      – Instead, new elements include expanded use of border procedures, inadmissibility procedures, and accelerated procedures, and the Pact deploys legal concepts to deflect responsibility to other countries, such as the safe third country concept. More people will be stuck at the borders in situations akin to the Greek island model.
      - There will be an expanded use of the border procedure with it becoming mandatory for people from countries where the protection rate is 20% or below.
      - Countries in the centre and north insisted on this change before agreeing to solidarity because their primary concern is ending so-called “secondary movement”. Safeguards such as access to legal assistance or to an appeal are reduced. There will be almost no exemptions for vulnerable people, families or children, and more procedures will be managed in detention.

      No new responsibility rules

      - The rules on responsibility remain the same as now under Dublin, with the principle of first entry still in place.
      - The period of responsibility of the country of arrival for an applicant is extended. It will be two years for people who enter at the external border, but reduced to 15 months after a rejection in the border procedure (to give states an incentive to use the border procedure), and reduced to 12 months for those rescued at sea (to give states an incentive to stop watching people drown).
      – The improvements to the rules on responsibility (compared to Dublin) proposed by the Commission have been rejected, including a wider family definition to allow family unification with siblings.

      A new solidarity mechanism

      - To compensate for the effects of the rules, a solidarity mechanism is introduced to compensate the countries at the borders in situations of “migratory pressure”. A separate mechanism for situations of search and rescue has been rejected.
      – Solidarity is mandatory but flexible, meaning that all countries have to contribute but that they can chose what to offer: relocation and assuming responsibility for people; capacity-building and other support; or a financial contribution.

      The numbers

      – The states have agreed on a minimum of 30,000 people to have their applications processed in a border procedure every year. There will also be a “cap”, a maximum set several times this number which increases over the first three years.
      – Member States’ individual adequate capacity (minimum number or target for border procedures) will be set using a formula based on the overall adequate capacity and the number of a “irregular” entries (i.e. people arriving to seek protection).
      – Member States can cease to use the border procedure when they approach their target with a notification to the Commission.
      – At the same time, the target for relocations is also set at 30,000.
      – There is an incentive to provide relocations (rather than other solidarity) in the form of “offsets” (reductions of solidarity contributions for those offering relocation).
      - The financial equivalent of a relocation is set at EUR 20,000. Money will also be provided from EU funding for reception capacity to manage the border procedure.

      The good news

      - This is the beginning of the end of the reforms.
      - There is a solidarity mechanism, to be codified in EU law.

      The bad news

      – Expanded use of the border procedure equals more people in detention centres at the external border, subject to sub-standard asylum procedures.
      – With the increase in responsibility for countries at the border, and given how controversial centres are for local communities, there is a risk that they chose pushbacks instead. If Italy’s share of the 30,000 annual border procedure cases is 5000, for example, are they likely to go ahead with detention centres or to deny entry?
      – Setting a numerical target for the use of the border procedure – which will almost always take place in detention – creates the risk of arbitrariness in its application.
      - The rules on responsibility remain as per Dublin. The Commission’s improvements have been removed so the incentives to avoid compliance, for instance on reception conditions, remain.
      – There is strong encouragement of the use of “safe third concept” as a basis for denying people access to an in-merits asylum procedure or to protection in Europe.
      - The definition of a safe third country has been eroded as Member States will decide which countries meet the definition. A country needs to meet certain protection criteria and there needs to be a connection between the person and the country, as per international law. However, what constitutes a connection is determined by national law. Examples in the text are family links and previous residence, but a MS could decide that pure transit is a sufficient connection.
      - Solidarity is flexible. If Member States can choose, how many will choose relocation? Relocation of people across the EU would lead to a fairer division of responsibility instead of too much being required of the countries at the external border.
      - The procedural rules appear complex to the point of unworkability.

      Uncertain as yet

      – What has been agreed on offsets – solidarity obligation offsets (reductions in a country’s solidarity obligations to others) in the case of offering relocation places and solidarity benefit offsets (reductions in solidarity entitlements of a country under pressure) in the case of failure to accept Dublin transfers.
      - Definition of migratory pressure and whether and how it incorporates “instrumentalisation” and SAR.

      What will change in practice?

      – More of the people arriving to seek protection in Europe will be subject to a border procedure, rather than having their case heard in a regular asylum procedure.
      – People will still arrive seeking protection in Europe but they will face a harsher system.
      - Responsibilities of the countries at the external borders are increased, which continues to provide an incentive to deny access to territory and to keep standards – on reception or inclusion, for example – low.
      - There could now be greater focus on implementation and management of asylum systems. However, the only concrete references to compliance are in relation to achieving the set number of border procedures and in ensuring Dublin transfers happen.
      – Onward (“secondary”) movement is still likely, and smugglers will continue to adapt, offering more to take people to countries away from the external borders.

      The winners

      – The Commission, which has invested everything on getting the Pact passed. “Trust and cooperation is back in the Council,” according to the Commissioner.
      – France, the Netherlands and the other hardliners, who have largely got what they wanted.
      - The Swedish Presidency, which has brokered a deal and one that suits them – as a less than honest broker. The Minister’s presentation at the press conference underlined secondary movement and enforcement of Dublin.
      – Smugglers, who will be able to charge more for the more complex and longer journeys that people will have to take.

      The losers

      - Refugees, for whom access to a fair asylum procedure will be harder. Risk of detention is higher. Risk of pushbacks is increased. Length and complexity of procedures is increased.
      - Non-EU countries at the borders who will deal with more pushed back people and who will be under pressure to build asylum systems to be safe enough to be “safe” third countries.
      - The Med5+ who have conceded on every major point and gained very little. They will have to manage the border procedures and, while solidarity is mandatory, it is flexible, meaning that relocation is not prioritised. It all begs the question: what have they really been offered in return?
      - Germany, which refused to stand firm and defend the even minor improvements that the government coalition agreement required, and on which it had the support of a small progressive alliance, and potential alliances with the south. For example, on exemptions to the border procedure. Given the desperation to reach a deal more could and should have been demanded.

      https://ecre.org/editorial-migration-pact-agreement-point-by-point

    • Décryptage – Pacte UE migration et asile : une approche répressive et sécuritaire au mépris des droits humains

      Le #8_juin_2023, les Etats membres de l’UE réunis en #Conseil_Justice_et_Affaires_Intérieures sont parvenus à un #accord sur deux des #règlements du #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile. Alors que les négociations entre le Parlement et le Conseil se poursuivent, La Cimade décrypte les principaux enjeux des réformes européennes en cours d’adoption en matière de migration et d’asile et rend publique ses analyses et propositions.

      Le 23 septembre 2020, la Commission européenne dévoilait sa proposition de « pacte euro­péen sur la migration et l’asile » comme une « une nouvelle approche en matière de migration » visant à « instaurer un climat de confiance et un nouvel équilibre entre responsabi­lité et solidarité ».

      Sur la forme, ce pacte se traduit par un éventail de mesures législatives et opérationnelles pour la mise en œuvre de cette « nouvelle » politique migra­toire. À ce jour, la plupart de ces propositions n’ont pas encore été adoptées et font encore l’objet d’intenses négociations entre le Conseil et le Parlement européen.

      Sur le fond, les mesures proposées s’inscrivent dans la continuité des logiques déjà largement éprouvées. Elles sont fondées sur une approche répressive et sécuritaire au service de l’endiguement des migrations et de l’encouragement des expulsions, solutions qui ont prouvé leur inefficacité, et surtout qui coutent des vies humaines.

      La Cimade appelle l’UE et ses Etats membres à engager un véritable changement de paradigme, pour une Europe qui se fonde sur le respect des droits humains et les solidarités internationales, afin d’assurer la protection des personnes et non leur exclusion. La Cimade continuera à se mobiliser avec d’autres pour défendre les droits des personnes en exil tout au long des parcours migratoires.

      A travers ce document de décryptage, La Cimade souhaite contribuer à la compréhension des principaux enjeux des réformes européennes en cours d’adoption en matière de migration et d’asile et rendre publique ses analyses ainsi que ses propositions.

      https://www.lacimade.org/decryptage-pacte-ue-migration-et-asile-une-approche-repressive-et-securita
      #pacte #pacte_migration_et_asile #pacte_migration_asile

    • L’Europe se ferme un peu plus aux réfugiés

      Au moment où le Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies (UNHCR) annonce, dans son rapport annuel, que le nombre de réfugiés et de déplacés dans le monde n’a jamais été aussi élevé qu’en 2022, le Conseil de l’Union européenne (UE) se félicite qu’après trois ans de négociation, les Etats membres se sont mis enfin mis d’accord sur un projet de réforme du droit d’asile.

      Ce pourrait être une bonne nouvelle. Car le rapport de l’ONU indique que les pays riches, dont font partie la plupart des Etats européens, sont loin de prendre leur part de cet exode. Ils n’accueillent que 24 % de l’ensemble des réfugiés, la grande majorité de ceux-ci se trouvant dans des Etats à revenu faible ou intermédiaire.

      En témoigne la liste des cinq pays qui accueillent le plus de réfugiés : si l’on excepte l’Allemagne, qui occupe la quatrième place, il s’agit de la Turquie (3,6 millions), de l’Iran (3,4 millions), du Pakistan (1,7 million) et de l’Ouganda (1,5 million).

      Et si l’on rapporte le nombre de personnes accueillies à la population, c’est l’île caribéenne d’Aruba (un réfugié pour six habitants) et le Liban (un réfugié pour sept habitants) qui viennent en tête du classement. A titre de comparaison, on compte en France un réfugié pour 110 habitants.
      Un partage plus équitable

      L’Europe aurait-elle décidé de corriger ce déséquilibre, pour répondre à l’appel de Filippo Gandi, le Haut-Commissaire pour les réfugiés, qui réclame « un partage plus équitable des responsabilités, en particulier avec les pays qui accueillent la majorité des personnes déracinées dans le monde » ?

      S’il s’agissait de cela, quelques moyens simples pourraient être mis en œuvre. En premier lieu, on pourrait ouvrir des voies légales permettant aux personnes en besoin de protection de gagner l’Europe sans être confrontées aux refus de visas qui leur sont quasi systématiquement opposés.

      On pourrait ensuite mettre en place une politique d’accueil adaptée, à l’instar de celle que les pays européens ont su mettre en place pour faire face à l’arrivée de plusieurs millions d’Ukrainiens en 2022.

      A la lecture du communiqué du Conseil de l’UE du 8 juin, on comprend que la réforme ne vise ni à faciliter les arrivées, ni à offrir de bonnes conditions d’accueil. Il y est certes question d’un « besoin de solidarité », mais l’objectif n’est pas de soulager ces pays qui accueillent la majorité des déracinés : il s’agit d’aider les Etats membres « en première ligne » à faire face aux « défis posés par la migration ».

      Autrement dit, de faire baisser la pression qui pèse sur les pays qui forment la frontière méditerranéenne de l’UE (principalement l’Italie, la Grèce et Malte) du fait des arrivées d’exilés par la voie maritime.

      Non que leur nombre soit démesuré – il était de l’ordre de 160 000 personnes en 2022 –, mais parce que la loi européenne prévoit que le pays responsable d’une demande d’asile est celui par lequel le demandeur a pénétré en premier dans l’espace européen.

      En vertu de ce règlement dit « Dublin », ce sont donc les pays où débarquent les boat people qui doivent les prendre en charge, et ces derniers sont censés y demeurer, même si leur projet était de se rendre ailleurs en Europe.

      L’accord conclu le 8 juin, qui doit encore être approuvé par le Parlement européen, ne remet pas en cause ce principe profondément inéquitable, qui n’est réaménagé qu’à la marge. Il porte sur deux propositions de règlements.

      La première réforme la procédure d’asile applicable à la frontière, avec notamment une phase de « screening » impliquant l’obligation de placer en détention la plupart des personnes qui demandent l’asile à la suite d’un débarquement, le temps de procéder au tri entre celles dont les demandes seront jugées irrecevables – pour pouvoir procéder à leur éloignement rapide – et celles dont les demandes seront examinées.

      Un dispositif contraire aux recommandations du Haut-Commissariat aux réfugiés qui rappelle, dans ses lignes directrices sur la détention, que « déposer une demande d’asile n’est pas un acte criminel ».

      La seconde met en place un « mécanisme de solidarité », particulièrement complexe, destiné à organiser la « relocalisation » des exilés admis à déposer une demande d’asile dans un autre Etat membre que celui dans lequel ils ont débarqué.
      Un goût de réchauffé

      Ces deux « innovations », dont le Conseil de l’UE prétend qu’elles marquent « une étape décisive sur la voie d’une modernisation du processus en matière d’asile et d’immigration », ont pourtant un goût de réchauffé.

      En 2015, en réaction aux arrivées en grand nombre de boat people sur les côtes grecques et italiennes, essentiellement dues à l’exil massif de Syriens fuyant la guerre civile – épisode qui fut alors qualifié de « crise migratoire majeure » – , le Conseil de l’UE avait mis en place l’« approche hotspot », destinée à assister les pays dont les frontières extérieures sont soumises à une « pression migratoire démesurée ».

      Ce dispositif, incluant déjà une procédure de filtrage pour distinguer les potentiels réfugiés des migrants présumés « irréguliers », visait à organiser l’expulsion de ces derniers dans des délais rapides et à répartir les autres ailleurs en Europe.

      A cette fin, le Conseil avait adopté un programme de « relocalisation », en vue de transférer 160 000 personnes reconnues éligibles à demander l’asile depuis l’Italie et la Grèce vers d’autres Etats membres de l’UE.

      On le voit, les innovations de 2023 présentent de grandes similitudes avec le plan d’action de 2015. Qu’est-il advenu de celui-ci ? Loin de permettre la prise en charge rapide des exilés ayant surmonté la traversée de la Méditerranée, l’approche hotspot a entraîné la création, dans cinq îles grecques de la mer Egée, de gigantesques prisons à ciel ouvert où des milliers de personnes ont été entassées sans possibilité de rejoindre le continent, parfois pendant plusieurs années, dans un déni généralisé des droits humains (surpopulation, insécurité, manque d’hygiène, violences sexuelles, atteintes aux droits de l’enfant et au droit d’asile). Un désastre régulièrement documenté, à partir de 2016, tant par les ONG que par les agences onusiennes et européennes, et qui perdure.

      La principale raison de cet échec tient à l’absence de solidarité des autres Etats de l’UE à l’égard de la Grèce et, dans une moindre mesure, de l’Italie. Car les promesses de « relocalisation » n’ont pas été tenues : sur les 160 000 demandeurs d’asile qui auraient dû être transférés en 2015, 30 000 seulement ont bénéficié de ce programme.

      La France, qui s’était engagée pour 30 000, en a accueilli moins du tiers. Un signe, s’il en était besoin, que les pays européens répugnent à remplir leurs obligations internationales à l’égard des réfugiés, malgré le nombre dérisoire de ceux qui frappent à leur porte, au regard des désordres du monde.

      On se souvient de l’affaire d’Etat qu’a suscitée l’arrivée à Toulon, au mois de novembre 2022, de l’Ocean Viking, ce bateau humanitaire qui a débarqué quelque 230 boat people sauvés du naufrage, immédiatement placés en détention.

      Emboîtant le pas d’une partie de la classe politique qui s’est empressée de crier à l’invasion, le ministre de l’Intérieur avait annoncé que la plupart seraient expulsés – avant que la justice ordonne leur mise en liberté.
      Quelle efficacité ?

      On peine à croire, dans ce contexte, que les promesses de 2023 seront mieux tenues que celles de 2015. Si le nouveau « mécanisme de solidarité » est présenté comme « obligatoire », le communiqué du Conseil de l’UE ajoute qu’il sera « flexible », et qu’« aucun Etat membre ne sera obligé de procéder à des relocalisations » !

      Une façon de prévenir l’opposition frontale de quelques pays, comme la Pologne ou la Hongrie, dont le Premier ministre a déjà fait savoir que le programme de relocalisation imposé par Bruxelles était « inacceptable ». Sur cette base, le système de compensation financière imaginé pour mettre au pas les récalcitrants n’a guère plus de chances de fonctionner.

      De nombreux commentateurs ont salué l’accord conclu le 8 juin comme l’étape inespérée d’un processus qui paraissait enlisé depuis plusieurs années. Ils voient surtout dans ce texte de compromis un espoir de voir la réforme de l’asile adoptée avant le renouvellement, en 2024, du Parlement européen, pour éviter que ces questions ne phagocytent la campagne électorale.

      C’est une analyse à courte vue. Car il y a tout lieu de craindre que cette réforme, qui s’inscrit dans la continuité d’une politique européenne de rejet des exilés, ne fera qu’intensifier le déséquilibre constaté par les Nations unies dans la répartition mondiale des réfugiés. Et poussera toujours davantage ceux-ci vers les routes migratoires qui font de l’Europe la destination la plus dangereuse du monde.

      https://www.alternatives-economiques.fr/claire-rodier/leurope-se-ferme-un-plus-aux-refugies/00107291

      #Claire_Rodier

    • Pacte européen sur la migration et l’asile : repartir sur d’autres bases

      La présidence belge de l’UE qui aura lieu en 2024 ambitionne de faire adopter le nouveau pacte européen sur la migration et l’asile. L’approche qui domine est essentiellement répressive et contraire aux droits fondamentaux. Elle ne répond pas aux enjeux des migrations internationales. A ce stade, le pacte ne semble plus pouvoir apporter une amélioration à la situation des personnes exilées. Il faut donc y mettre fin et redémarrer les discussions sur base d’une approche radicalement différente.
      Le nouveau pacte UE : le phénix de Moria ?

      En septembre 2020, à la suite de l’incendie meurtrier du hotspot grec surpeuplé et insalubre de Moria (centre d’enregistrement et de tri mis en place lors de la crise de l’accueil de 2015), la Commission européenne a présenté son projet de pacte sur la migration et l’asile. Celui-ci est censé répondre au « plus jamais ça » et offrir « un modèle de gestion prévisible et stable des migrations internationales ». Il est décrit par Margarítis Schinás, vice-président de la Commission, chargé des Migrations et de la promotion du mode de vie européen, comme une maison commune dont les fondations sont l’externalisation, les étages sont les contrôles aux frontières, et le grenier est l’accueil.

      Mais le nouvel « air frais » annoncé n’est en réalité qu’un air vicié. Ce pacte présente en effet les mêmes solutions inefficaces, couteuses et violatrices des droits qui dès lors continueront de produire inévitablement les mêmes crises structurelles de l’accueil et l’aggravation des situations humanitaires et meurtrières le long des routes de l’exil. De nombreuses études documentées, depuis plus d’une vingtaine d’années, analysent l’impact d’une politique migratoire basée sur l’externalisation des frontières ainsi qu’une vision restrictive de l’accueil, et montrent ses dérives et son inefficacité

      .
      Un pacte contre les migrations : détenir, trier, expulser

      Le projet de Pacte repose sur cinq règlements législatifs et quelques recommandations et lignes directrices. Ceux-ci concernent respectivement : les procédures et contrôles aux frontières (APR et Filtrage), le Règlement de Dublin (AMMR), la gestion des crises aux frontières, l’enregistrement, ainsi que le partage des données numériques des personnes exilées (EURODAC)

      .

      A ce jour, les négociations autour du nouveau pacte européen sur la migration et l’asile sont au stade ultime du trilogue

      . La Présidence belge de l’Union européenne, qui aura lieu au premier semestre 2024, ambitionne d’aboutir à son adoption. Les positions de la Commission (septembre 2020), du Parlement (mars 2023) et du Conseil (juin 2023) sont, malgré des nuances, globalement similaires.

      L’orientation répressive et sélective des personnes exilées tout comme l’externalisation des questions migratoires dominent le contenu du pacte. Il est donc inéluctable, qu’une fois le trilogue terminé et le pacte en voie d’être adopté, la mise en œuvre par les Etats membres de ces cinq règlements occasionnera pour les personnes exilées :

      – une pérennisation des entraves, contrôles et criminalisation de leurs départs avec des risques de refoulements en chaîne, y compris vers des pays aussi dangereux que la Lybie et la Syrie ;
      - une procédure de filtrage ou tri avec une fiction de non entrée, à savoir que les droits et devoirs garantis sur le territoire européen ne leur sont pas applicables, malgré leur présence sur ce territoire ;
      - une mise en détention quasi systématique aux frontières y compris pour les enfants dès douze ans avec la possibilité de prolongation en cas de situation dite de crise ;
      – une procédure express d’analyse des demandes de protection qui est incompatible avec une réelle prise en compte des vulnérabilités notamment chez les mineurs, les femmes et les personnes LGBTQI+ ;
      – des décisions rapides d’expulsions sur base du concept de pays tiers « sûrs » avec un recours non suspensif ;
      – la récolte obligatoire, l’enregistrement et le partage des données personnelles entre agences européennes (Frontex, Europol, EASO etc.) et ce, dès l’âge de 6 ans ;
      - un système d’accueil à la carte est envisagé par le Conseil où les 27 auront le choix entre la relocalisation ou la participation financière à un pot commun européen en vue de financer notamment la dimension externe du pacte. Il s’agit du seul progrès par rapport à la situation actuelle, mais la Hongrie et la Pologne, malgré la position prise à la majorité qualifiée au Conseil de juin 2023, ont déjà annoncé leur refus d’y participer.

      Il est clair qu’avec ce type de mesures, le droit d’asile est en danger, les violences et le nombre de décès sur les routes de l’exil (faute de voies légales accessibles et de refoulements systématiques) vont augmenter et que les crises structurelles de l’accueil ne pourront être résolues.
      Le respect des droits des personnes exilées est résiduel

      La situation actuelle des migrations internationales exige des solutions immédiates et durables vu l’étendue du non-respect des droits fondamentaux des personnes exilées et du droit international.
      Selon l’ONU, près de 300 enfants sont morts depuis le début de l’année 2023

      en essayant de traverser la Méditerranée pour atteindre l’Europe. « Ce chiffre est deux fois plus important que celui des six premiers mois de l’année 2022. Nous estimons qu’au cours des six premiers mois de 2023, 11 600 enfants ont effectué la traversée, soit également le double par rapport à la même période de 2022. Ces décès sont absolument évitables », a souligné la responsable aux migrations et aux déplacés à l’Unicef, Verena Knaus. Les chiffres réels sont probablement plus élevés car de nombreux naufrages ne sont pas enregistrés.

      Le racisme et la répression contre les personnes exilées augmentent en Europe et dans les pays du Maghreb, entrainant à leur tour des refoulements systématiques impunis parfois même sous la surveillance de Frontex. Le récent naufrage de Pylos
      au large des côtes grecques et les refoulements effectués depuis la Tunisie dans le désert aux frontières algériennes et libyennes en sont les dramatiques illustrations.
      Quant au volet de l’accueil, il fait l’objet de profonds désaccords. Premièrement, les pays du « MED5 » (Italie, Espagne, Grèce, Malte et Chypre) se disent toujours seuls à assumer la responsabilité de l’accueil sur le sol européen. D’autres pays comme la Belgique se disent également victimes des mouvements secondaires. Face à eux, les pays du groupe de Visegrad (Pologne, Hongrie, Tchéquie, Slovaquie) bloquent tout mécanisme de répartition solidaire. Au niveau européen, la Commission promeut, comme elle l’a fait en juillet 2023 avec la Tunisie, l’adoption de protocoles d’entente avec des Etats peu respectueux des droits humains comme le Maroc et l’Egypte. Cela en vue de limiter la mobilité vers et en Europe. Ces partenariats ont un objectif essentiellement sécuritaire (matériel et formations des garde-côtes aux services du contrôle des frontières et des retours) et n’abordent pas les questions de protection et intégration des personnes migrantes dans les pays du Sud et du Nord

      .
      La solution : suspendre les négociations en repartant sur d’autres bases

      Ni la vision générale du Pacte, ni le contenu de ses cinq règlements législatifs ne répondent aux nombreux défis et opportunités que représentent les migrations internationales. Comme l’a démontré Alice Chatté dans son analyse Regard juridique sur les cinq volets législatifs du pacte européen sur la migration et l’asile

      , « les cinq instruments législatifs proposés dans le pacte, qu’ils soient nouveaux ou réformés, ne sont en réalité que la transcription en instruments légaux des pratiques actuelles des Etats membres, qui ont hélas montré leurs faiblesses et dysfonctionnements. Cela se traduit par des procédures, dorénavant légales, qui autorisent le tri et le recours à la détention systématique à l’ensemble des frontières européennes ainsi que l’examen accéléré des demandes de protection internationale sur base du concept de pays « sûrs » favorisant de facto les pratiques de refoulement et le non-accueil au bénéfice du retour forcé ». Elle ajoute que « le projet du pacte, ainsi que les cinq règlements qui le traduisent juridiquement, ne respectent pas les droits fondamentaux des personnes exilées. Il est en l’état incompatible avec le respect du droit international et européen, ainsi qu’avec le Pacte mondial sur les migrations des Nations Unies ».

      A ce stade final du trilogue, les positions des trois Institutions (Commission, Parlement, et Conseil) ne divergent pas fondamentalement entre elles. Les quelques améliorations défendues par le Parlement (dont un monitoring des droits fondamentaux aux frontières et une réforme des critères du Règlement Dublin), sont insuffisantes pour constituer une base de négociation et risquent de ne pas survivre aux négociations ardues du trilogue

      . Puisque le Pacte ne peut plus suffisamment être réformé pour apporter une amélioration immédiate et durable à la situation des personnes exilées, il faut donc se résoudre à mettre fin aux négociations en cours pour repartir sur de nouvelles bases, respectueuses des droits humains et des principes des Pactes mondiaux sur les migrations et sur les réfugiés.
      La Présidence belge de l’UE doit promouvoir la justice migratoire

      Face aux dérives constatées dans de nombreux Etats membres, y compris la Belgique, condamnée à de nombreuses reprises par la justice pour son manque de respect des droits fondamentaux des personnes en demande d’asile, une approche européenne s’impose. Celle-ci doit être basée sur une approche multilatérale, cohérente et positive des migrations internationales, guidée par le respect des droits fondamentaux des personnes exilées et par la solidarité. Le Pacte mondial des migrations des Nations unies adopté en 2018 et la gestion de l’accueil en 2022 d’une partie de la population ukrainienne sont des sources d’inspiration pour refonder les politiques migratoires de l’Union européenne. Plutôt que de chercher à faire aboutir un pacte qui institutionnalise des pratiques de violation des droits humains, la future Présidence belge de l’UE devrait promouvoir une telle vision, afin de promouvoir le respect du droit d’asile et, plus largement, la #justice_migratoire.

      https://www.cncd.be/Pacte-europeen-sur-la-migration-et

  • Le gouvernement français macroniste est d’extrême droite
    https://ricochets.cc/Le-gouvernement-francais-macroniste-est-d-extreme-droite.html

    Avec le macronisme, Zéro barrage au RN, mais plutôt un boulevard ouvert et une propagande permanente pour l’extrême droite, et le gouvernement lui-même peut-être considéré d’extrême droite sur de nombreux aspects primordiaux. Non seulement le tyran Macron ne fait aucunement barrage à l’extrême-droite, mais il méprise, réprime et piétine celles et ceux qui ont eu le malheur de voter pour lui au second tour en se bouchant le nez pour faire barrage à Le Pen. Macron disait que ce vote de barrage (...) #Les_Articles

    / Autoritarisme, régime policier, démocrature..., #Mouvements_et_courants_autoritaires

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...

  • Les réseaux sociaux, leviers des luttes sociales – nvo
    https://nvo.fr/les-reseaux-sociaux-leviers-des-luttes-sociales

    De la révolte des Gilets jaunes à la vague féministe post-#MeToo, les outils numériques sont devenus des leviers incontournables des luttes sociales et syndicales. Sur les réseaux sociaux, les photos et vidéos d’Extinction Rebellion ou de ReAct font le buzz et relaient les mobilisations. Un article publié dans le numéro #05 de la Vie Ouvrière.

    Ces dernières années, les exemples de mouvements sociaux ou de soulèvements populaires déployés grâce aux possibilités de connexions qu’offre Internet se sont multipliés. Dans son remarquable ouvrage Twitter & les gaz lacrymogènes, la chercheuse et activiste turque Zeynep Tufekci montre que l’usage des outils numériques et leur démocratisation (applications, réseaux sociaux…) permettent non seulement d’atteindre rapidement une masse critique de citoyens agissants mais en a fait des alliés incontournables des luttes actuelles.

    En l’espace de quelques semaines, le mouvement des Soulèvements de la Terre, menacé de dissolution sur décision du ministère de l’Intérieur, a rassemblé plus de 90.000 soutiens, notamment grâce aux milliers de partages sur les réseaux sociaux. Des relais qui ont permis de faire converger le 25 mars sur le terrain à Sainte-Soline, dans les Deux-Sèvres, près de 30.000 personnes venues pas seulement de France mais de toute l’Europe pour s’opposer au projet de méga-bassine.

    Les médias numériques améliorent la visibilité d’une cause, mais ils créent aussi une communauté, un sens de la camaraderie, explique Zeynep Tufekci dans son essai. Ils permettent à un mouvement de dépasser l’espace du site d’occupation en créant un sentiment d’appartenance : on peut se sentir zadiste sans terres à défendre, se revendiquer d’Occupy Wall Street sans être américain…

    En 2021, les activistes ont fait irruption au milieu des mannequins d’un défilé Louis Vuitton afin de dénoncer l’impact climatique de la mode. Un happening militant qui a fait un énorme buzz sur les réseaux sociaux. La même stratégie digitale a été employée, en octobre 2022, quand d’autres militants ont collé leurs mains sur des voitures haut de gamme sous les yeux du public du Mondial de l’auto.

    « Quatre cents personnes nous ont filmés et ont mis en ligne la scène sur Instagram et TikTok. Ça a fait des millions de vues. Là, le public était lui aussi vecteur de diffusion, même si tu ne contrôles plus le message », commente le militant d’XR dont l’organisation ne communique que sur réseaux cryptés (Signal, Mattermost), afin de préserver le secret de ses actions et l’anonymat de ses membres.

    #Militantisme #Zeynep_Tufekci #Mouvements_sociaux #La_Vie_Ouvirère

  • Et pendant ce temps là...
    https://ricochets.cc/Et-pendant-ce-temps-la.html

    La droite sénatoriale, chauffée à blanc, a fait encore un peu plus de dégâts dans le droit des étrangers lors de l’examen du projet de loi sur l’immigration porté par Darmanin. Parmi les propositions majeures dignes d’un texte d’extrême droite : Restrictions à l’accès au regroupement familial. Restrictions à l’accès au séjour des étrangers malades. Suppression de l’AME. Fin des réductions tarifaires dans les transports pour les étrangers en situation irrégulière. Restrictions à l’accès à la nationalité des (...) #Les_Articles

    / #Mouvements_et_courants_autoritaires, #Migrant.e.s_-_Réfugié.e.s_-_Exilé.e.s

  • Aux Etats-Unis, les grèves se multiplient : l’espoir renaît ? (1/2)
    https://www.frustrationmagazine.fr/greves-etats-unis

    Avec leur droit du travail en lambeaux et leur protection sociale quasi inexistante, les États-Unis d’Amérique semblent fournir l’exemple parfait d’un pays où les capitalistes ont gagné la guerre des classes depuis longtemps. Et tant pis si cela accouche d’un président aussi grotesque et putschiste que Donald Trump, ou un papy bafouillant à la Biden. […]

    • Les militants de The Spark (États-Unis) au Congrès annuel de LO en décembre dernier :
      https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/interventions-des-groupes-invites_450524.html

      Symptômes de colère ouvrière

      En surface, il semble que le malaise social que nous avons vécu ces dernières années est toujours là cette année. Il n’y a pas eu à ce jour de grèves majeures comme dans d’autres pays.

      Mais dans ce pays, le plus capitaliste de tous, des lois envoient les #mouvements_sociaux dans l’industrie sur des voies de garage bureaucratiques. Il y a eu néanmoins des petits aperçus de colère ouvrière. Sur six syndicats du rail, les travailleurs de deux d’entre eux ont voté contre un contrat plus ou moins imposé par #Biden, et des grèves sont prévues en décembre – même si Biden pourrait les repousser encore une fois d’un trait de plume. Il y a eu des #grèves locales isolées – les travailleurs du papier, des journaux, les enseignants, les mineurs, les concierges des cités. À la fin du mois d’octobre, 6 000 travailleurs de 234 magasins #Starbucks ont suivi jusqu’au bout le processus juridique tortueux nécessaire pour que le gouvernement organise un vote afin de décider s’ils pouvaient se syndiquer. Ce n’est qu’une goutte d’eau dans une entreprise qui compte près de 16 000 magasins et 350 000 travailleurs. Mais c’est tout de même une goutte. Tout comme le vote de l’an dernier dans le seul établissement d’#Amazon qui a réussi le parcours du combattant pour voter la reconnaissance légale de son syndicat.

      Cette année, alors que la police a déjà tué près de 900 personnes, il n’y a pas eu d’explosion comme celle qui avait suivi le meurtre de George Floyd. Mais il y a eu des manifestations locales contre la violence qui ont parfois permis d’inculper un policier ou de faire libérer de prison quelqu’un accusé à tort. Cela paraît minime, mais ça témoigne de la colère qui couve juste sous la surface de ce prétendu phare de la démocratie.

      Il y a du mécontentement et du ressentiment à de nombreux niveaux. Nous avons pu le constater à notre petite échelle au travers de nos activités, notamment les campagnes électorales dans trois des quatre États où nous sommes présents. Cela a constitué notre principal travail de l’année, même si tout le reste – les bulletins d’entreprise, les ventes publiques, les efforts de recrutement, l’activité syndicale, notre fête, les pique-niques, etc. – a continué comme avant.

  • Histoire d’un (non)militant
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#HenriSimon

    A la croisée des chemins du marxisme et de l’anarchisme, Henri Simon (notice Maitron), né le 25 novembre 1922 à Rozay-en-Brie (Seine-et-Marne), est depuis plus de cinquante ans un observateur et un analyste attentifs des mouvements sociaux dans le monde. Adhérent de Socialisme ou Barbarie en 1953, puis fondateur avec Claude Lefort d’Informations Liaisons ouvrières (ILO) qui se transforma en Informations et correspondances ouvrières (ICO), il a toujours privilégié l’autonomie de la classe ouvrière, combattant la mainmise d’un quelconque parti sur celle-ci. Se reconnaissant dans le communisme de conseil, il se demande malgré tout si cette forme d’organisation révolutionnaire est encore compatible avec l’évolution du capitalisme, morcelé et mondialisé. Depuis 1975, il participe aux activités (...)

    https://kanalb.net/media/labournet/filmonline_1.mp4

    #anarchisme #conseillisme #HenriSimon #militantsime #MouvementsSociaux

  • Encres, poings levés et banderoles : deux siècles de luttes pour l’environnement
    https://metropolitiques.eu/Encres-poings-leves-et-banderoles-deux-siecles-de-luttes-pour-l-envi

    Connaître l’histoire des #mouvements_sociaux enrichit notre compréhension du monde. Quatre historiens ont rassemblé une riche iconographie pour retracer deux siècles de luttes pour l’environnement, belle contribution à une #histoire qui enchevêtre temps court et temps long, dimensions locales et plus globales des luttes écologiques. Une histoire des luttes pour l’environnement, 18e-20e, un tel ouvrage publié chez Textuel ne saurait surprendre. Cette maison d’édition déploie notamment ses compétences #Commentaires

    / histoire, #environnement, #écologie, mouvements sociaux

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-fonbaustier.pdf

  • Comment les mouvements sociaux changent les choses | L’actualité
    https://lactualite.com/environnement/comment-les-mouvements-sociaux-changent-les-choses

    Regrouper 3,5 % d’une population lors d’une mobilisation n’est toutefois pas garant de victoire. Une théorie du changement exclusivement axée sur l’atteinte de cette proportion serait malavisée. La règle a été critiquée et depuis nuancée par Erica Chenoweth elle-même, qui rappelle l’importance d’autres facteurs (la conjoncture favorable, l’organisation, le leadership stratégique et la durabilité) dans le succès ou l’échec d’un mouvement et recommande de ne pas utiliser la règle de manière prescriptive.

    Il faut aussi prendre en compte que les mouvements n’ont pas tous les mêmes objectifs. Dans son livre Twitter et les gaz lacrymogènes : Forces et fragilités de la contestation connectée (C&F éditions, 2019), Zeynep Tufekci, professeure associée de sociologie à l’Université de la Caroline du Nord et chroniqueuse au New York Times, émet l’hypothèse que les mouvements possèdent trois types de capacités : celles d’influer sur le narratif social, de perturber l’ordre établi et d’influencer les élus et les institutions. Par exemple, le mouvement Occupons Wall Street a réussi à imposer l’idée que les intérêts des plus riches qui forment 1 % de la population nuisaient aux 99 % restants, une illustration de sa puissante capacité narrative, avec un discours sur les inégalités économiques qui continue de percoler, plus de 10 ans plus tard. Une des demandes clés d’Occupons Wall Street, l’annulation des dettes étudiantes, vient même d’être partiellement adoptée aux États-Unis par l’administration Biden, qui a offert un allègement ciblé aux familles à faible et à moyen revenu, preuve de la capacité de ce mouvement à influencer les institutions.

    Dans le cas de la mobilisation monstre du 27 septembre 2019, il serait juste de dire qu’elle a permis de maintenir le discours du mouvement climatique ; que sa capacité à influencer les élus se traduit par des chantiers en cours, malgré plusieurs victoires institutionnelles (telles que les projets de loi adoptés) ; et que sa capacité à perturber l’ordre établi a été mise à mal par la COVID-19. Il est donc simpliste de parler d’échec ou de réussite d’un mouvement — surtout pour un enjeu aussi complexe que la crise climatique. La bataille sera de très longue haleine et même une victoire aura plusieurs nuances de gris. Sans compter qu’une part colossale de l’énergie des militants sert à lutter contre des reculs…

    #Mouvements_sociaux #Zeynep_Tufekci