• Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.

  • Covid-19 : la santé publique comme laboratoire du contrôle social

    https://aoc.media/analyse/2021/11/23/covid-19-la-sante-publique-comme-laboratoire-du-controle-social

    La gestion de la #pandémie est largement passée par le recours à des dispositifs techniques de modélisation #statistique des comportements. En mettant à l’écart les #sciences_humaines et sociales, cette gestion techniciste aboutit à des politiques de santé publique qui visent le #contrôle plutôt que l’autonomie des acteurs.

    En participant au dispositif du contrôle social, la santé publique a délaissé sa prétention à la promotion de la #santé [1] visant l’autonomie des acteurs, pour mieux maîtriser les conduites. L’octroi de capabilités a fait place à une instrumentalisation du choix social qui, en se normalisant au gré des décisions publiques, guide l’agent de manière diffuse, insidieuse et sans contradiction. Ce tournant laisse penser que l’autonomisation des acteurs de la santé et la défense des droits n’ont plus leur place dans l’application des normes sanitaires. Il faut au contraire réguler, inhiber et désinhiber les comportements en appareillant les individus de laissez-passer.
    Qu’elle est la raison de ce changement de perspective ? Est-ce véritablement la population qui s’est écartée de la raison, en perdant confiance dans la science et les institutions ? Ou bien serait-ce plutôt les institutions qui ont perdu confiance dans l’autonomie de leurs administrés ? Alors que la complainte de la défiance s’amenuise et que plus de 50 millions de français sont vaccinés, le gouvernement réaffirme encore une fois sa visée comportementale aspirant à l’adaptation toujours plus astreinte des individus au milieu sociotechnique.
    Cette conscience dirigiste de l’État est sans doute le signe d’une inquiétude concernant la population, ou pour le moins, celui d’une conviction dans le bien-fondé de sa mise sous tutelle. La défiance, quasi-continue depuis les gilets jaunes jusqu’aux anti-vaccins, aura sans doute conduit le gouvernement à la certitude que les politiques publiques doivent parvenir à maîtriser la conduite en instrumentalisant la raison et la science. À tel point qu’embarquées dans ce dispositif, les valeurs de la santé publique se sont vidées de leur sens.
    Sommes-nous encore capables de trouver un équilibre entre le respect des droits de la personne et la protection de la santé collective ? Dans le contexte actuel, cela semble difficile à concevoir. En réduisant « l’acteur de la santé » à un « agent rationnel », le gouvernement oriente la décision et l’action individuelle par une géométrisation variable des droits de la personne. Abstrait de toute complexité, l’agent devient l’instrument d’un contrôle social qui pèse sur lui sans contrainte manifeste, dans la déréliction d’une psychologie sans sujet et d’une sociologie sans socius.
    Implémenter la conduite
    L’implémentation du #passe_sanitaire aura permis d’éluder les doutes sur les effets médicalement indésirables de la vaccination, par la promotion d’effets socialement désirables. Retrouver la vie civile suppose de consentir « librement » à la circonscription technologique de nos activités. Rien d’intrusif en apparence, si ce n’est une contrainte affranchie du statut d’obligation. L’incitation à la prophylaxie vaccinale masque ainsi de vertu un appareil de capture. La volonté d’accéder aux spectacles, aux lieux de sociabilité et aux évènements collectifs conduit nécessairement l’agent à accepter sans la moindre hésitation la vaccination, de même que l’utilisation indéfinie de ses données de santé.
    L’accoutumance à la surveillance confère un certain confort, pour lequel on concède sans regret une part de notre vie privée au contrôle. On estime ainsi éviter l’enfermement, tout en s’offrant la possibilité de prendre part à nouveau à la société. Ce new deal semble propice à la pérennisation d’un équilibre. Le suivi de nos activités, même s’il ne permet pas une sortie définitive de la crise sanitaire, apporte une certaine stabilité sociale bénéfique à la croissance économique. Aussi, les retours d’expérience des phases de confinement, de couvre-feu et de déconfinement auront finalement permis aux autorités publiques de trouver un moyen de maîtriser en douceur la crise sanitaire par un subtil jeu d’inhibition et de désinhibition.
    Le gouvernement s’en félicite. Ce dispositif technologique, que le monde entier nous envie, apporte des résultats inespérés. Il nous rappelle d’ailleurs qu’on peut débattre de tout sauf des chiffres. En valorisant ainsi un système devenu autoréférentiel, les pouvoirs publics ont évincé toute aspiration à un horizon démocratique du soin à la faveur d’un équilibre pour le moins fragile. Car, dans l’ombre de cette situation en apparence paisible, cet ingénieux dispositif pourrait finir par compromettre la santé de la population par une dégradation continue de l’accès aux soins, et par malmener les dimensions psychologique et sociale par une pratique répandue de l’aliénation.
    Le testeur testé
    Derrière le voile de la réussite autoproclamée de ce dispositif technologique, le laboratoire civil réserve des surprises. Le testeur finit lui-même par devenir le testé. À quelques mois de l’élection présidentielle, la ruse du dispositif technologique guette dans l’ombre de revirements potentiels. Alors que le contrôle des populations s’insinue en apparence sans responsabilité directe pour le décideur, le risque de l’échec plane. Le pass sanitaire, rendu nécessaire, pourrait conduire le gouvernement à être victime de ce qu’il dénonce : l’irresponsabilité.
    L’incitation, parée du masque de la vertu vaccinale, a semblé un temps à même d’éluder la responsabilité du décideur, sous les traits d’une instrumentalisation vertueuse favorisant la stabilisation de l’épidémie. Seulement, alors même que la vaccination devait nous conduire à une sortie de crise pérenne, sa mise en œuvre a exclu des soignants de la pratique clinique. Malmenés durant les vagues précédentes, voire opposés au pass sanitaire, ces derniers ont déserté les services de soin. Les lits se ferment, alors que les cas augmentent à nouveau et que le virus continue à muter.
    Comme le mentionnent les rapports du conseil scientifique en date du 5 et du 6 octobre 2021, la fragilité sociale du système de soins, avec la fermeture de 20 % de lits[2] (chiffre contesté par Olivier Véran et réduit à 5 %), la survenue cet automne/hiver d’infections respiratoires notamment chez les plus jeunes (non-vaccinés) et l’impact des retards dans la prise en charges de patients non-covid[3] laissent présager une situation critique dans les mois à venir. Comment donc faire pour ne pas subir une nouvelle vague révélant encore davantage la fragilité de notre système de santé, à la veille d’une élection présidentielle ?
    Compartimenter les suspects
    La solution gouvernementale tient au compartimentage accentué de la population, alors même que la fin de la gratuité systématique des tests fait baisser le nombre de dépistages[4]. La baisse des données issues du dépistage ne semble toutefois pas perturber les pouvoirs publics. En suivant la logique des compartiments épidémiologiques, ces derniers continuent de circonscrire la population dans des catégories abstraites de suspects, d’infectés et de retirés pour pallier le manque d’informations. En reconfigurant ainsi la distribution, on instrumentalise les non-vaccinés devenus les seuls suspects à haut risque.
    Toute cette architecture qui, dérive et/ou contribue directement à préciser la forme à compartiments SIR[5], n’est peut-être plus aussi scientifiquement valide qu’elle le prétend. Mais elle reste hautement utile d’un point de vue politique. Dans un tel modèle, les relations entre les compartiments d’individus S (suspectés), I (infectés) et R (retirés) sont définies par un taux d’infection et un taux de rémission, décrivant l’évolution de l’épidémie dans le temps au sein d’une population passant d’un état de crise à un état stable.
    Si on s’en tient à la forme simple, au début d’une épidémie (abstraite de dynamique démographique), on a dans la population complète N = S + I + R, l’approximation S(0) ≈ N ; tous les individus ou presque sont suspects. Pour atteindre la stabilité, le nombre de suspects doit donc décroître et le nombre de retirés croître de manière à infléchir le compartiment des infectés. Cette modélisation classique de l’épidémiologie est basée sur l’hypothèse que l’épidémie se terminera par l’équilibration du compartiment des retirés et le tarissement du compartiment des suspects et des infectés.
    En circonscrivant donc le compartiment des suspects aux non-vaccinés, en retirant d’office les vaccinés et en sous-évaluant les infectés par un manque de dépistage, il est probable qu’on se laisse surprendre par une vague devenue imprévisible. Si bien que pour désamorcer toute critique, le pouvoir politique change de discours. On parle déjà en Allemagne d’une « pandémie des non-vaccinés[6] » ; en Autriche, on ordonne de confiner les non-vaccinés[7]. À la première réduction de la pandémie à un phénomène épidémique nationale s’ajoute une seconde réduction du compartiment des suspects aux seuls non-vaccinés.
    Ainsi, alors même que les modèles épidémiologiques sont de moins en moins accrédités[8], il semble que leur structure fasse la part belle à une gestion politique des compartiments. Et si la vaccination permet en principe d’obvier la catégorie « infecté », la tant espérée immunité collective semble s’éloigner en raison de la baisse progressive de l’efficacité vaccinale[9]. La piqûre de rappel permettra-t-elle d’éviter une nouvelle fois la crise des hôpitaux ? Doit-on s’attendre au retour périodique de la crise ? Quoi qu’il en soit, le report de la date d’application du pass sanitaire à l’été 2022 s’annonce d’ores et déjà comme le prélude d’une géométrisation indéfinie des compartiments et de nos droits.
    La réduction des comportements
    Cette nouvelle forme de gouvernance, qui s’adjoint à l’usage du nudge, des influenceurs, des messages publicitaires, à la distanciation et à l’aménagement de l’espace-temps physique de nos activités engendre un réductionnisme physicaliste et probabilitaire des mécanismes comportementaux. L’autonomie du sujet semble irrémédiablement compromise. Au croisement des sciences cognitives et de l’épidémiologie, on évalue la probabilité d’apparition des bonnes conduites. La politique sanitaire devient alors le corrélat d’un conditionnement opérant par lequel s’efface la part raisonnable du jugement. De toute évidence, la rationalité se doit d’être instrumentalisée dans l’intérêt général. Et pour cela, il faut anticiper les conduites.
    Si on se réfère, pour illustrer cette nouvelle conception de l’agent, au modèle CovidSim de Ferguson et son équipe[10] (qui a guidé les gouvernements européens vers la mise en place du confinement général), on voit que la stabilisation de l’épidémie tient à l’évaluation et au contrôle stochastique de deux forces physiques[11]. Le comportement collectif varie ainsi selon la densité de population sous la forme d’une force communautaire (community force), propageant le virus par l’effet d’une action de masse, alors que le comportement individuel suit une force d’infection (infectivity force) variable selon l’âge des individus. Cette dernière permet d’évaluer le hasard de l’infection par le calibrage de la fréquence des rencontres des agents au domicile, à l’école, au travail et dans la société en général.
    Cette modélisation individu-centrée suppose la poursuite d’un équilibre stable entre des agents rationnels au moyen d’une physique des rapports sociaux allié à un calibrage stochastique des déplacements. Aussi spectaculaire que cela puisse paraître, l’échec de ce modèle met en exergue une erreur manifeste concernant la pensée humaine qui relève du réductionnisme. Toute considération pour l’altérité et la singularité des individus a disparu. Il s’agit bien d’une psychologie sans sujet et d’une sociologie sans socius. En effaçant le vécu des agents, pour ne s’intéresser qu’aux forces physiques qui conditionnent leurs activités et à la probabilité de leurs mouvements, la modélisation engendre un réductionnisme qui rend paradoxalement l’épidémie imprévisible.
    L’altérité au principe de la différence entre les décisions et les actions des individus n’est dès lors plus compréhensible. Comme l’indique à ce propos Simon Cauchemez, modélisateur à l’Institut Pasteur, « le problème est moins le virus lui-même que la prise en compte des comportements dans nos modèles[12] ». Il est évident que la complexité de l’individuation psychologique et sociale ne peut pas être comprise dans une telle modélisation. Aussi, la mise à l’écart, quasi-systématique, des sciences humaines et sociales dans la prise de décision sanitaire aura conduit au réductionnisme le plus creux : l’agent est réduit à un corps brut qui laisse prise à une brutalisation de ses facultés mentales.
    Transformer le laboratoire comportemental en laboratoire éthique
    Notre société ressemble de plus en plus à un laboratoire comportemental où s’inventent de nouvelles méthodes de contrôle social. Couplé à nos activités quotidiennes les plus banales, le contrôle opère ainsi selon une suite d’états discrets dans les bars, les restaurants, les salles de concert, les bureaux, les gares, les aéroports comme les hôpitaux, pour mieux nous orienter l’air de rien. En couplant nos appareils connectés à la synergie de nos vies, l’outil numérique s’élude et avec lui notre autonomie s’efface. En se confondant avec le choix social, le pass sanitaire est devenu peu à peu imperceptible, abstrait de toute contrainte.
    L’acceptation des normes par l’oubli relatif de l’outil confère à la conscience de l’utilisateur la satisfaction du choix social consenti. Lorsque le fonctionnement s’efface et qu’il se connecte parfaitement à l’agencement du monde, il se naturalise, comme si tout allait de soi. La synergie s’établit ainsi dans l’occultation des fonctions techniques du contrôle. En paramétrant les comportements, ces outils ouvrent une nouvelle voie pour l’application des politiques publiques. Le gouvernement pense alors parvenir à tout normaliser par un devenir imperceptible du contrôle, instrumentalisant le choix social du vivre-ensemble.
    Alors que la crise sanitaire aurait pu changer la société en laboratoire éthique, où la réflexion collective inventerait de nouvelles manières de considérer l’action juste, elle l’a réduit à un dispositif technologique aliénant. Et bien que la gestion de crise d’une pandémie engage une gestion statistique, administrative et sécuritaire, force est de constater que le comportement individuel et la coopération sociale échappent à cette circonscription des pouvoirs publics. L’ethos manque à toute modélisation comme, à toutes les mesures engagées par la santé publique. De sorte que c’est dans la part d’inconnu propre à l’autonomie et l’altérité que se joue la concrétisation de notre vivre-ensemble. La santé publique, si elle veut de nouveau tendre à une pérennisation de bonnes pratiques, doit reprendre contact avec sa perspective émancipatrice et sortir de l’illusion techniciste du contrôle.
    L’éthique doit, en ce sens, à nouveau tenir une place déterminante dans l’efficacité et la bonne application des normes. En les adaptant avec la réalité du terrain et au vécu des individus, la santé publique peut encore offrir à la société une perspective respectueuse de la personne et de ses droits. En favorisant les capabilités au principe de l’autonomisation individuelle et collective, il s’agit de valoriser la part de raison humaine qui échappe à tout modèle prédictif. Aussi un certain écart, voire un conflit, prend forme en silence au sein de la société civile entre la politique sanitaire fixe et impérative, et l’éthique sociale en adaptation permanente et libre.
    C’est, me semble-t-il, dans cet écart, qui entraîne nécessairement des conflits de valeurs, que naissent de nouveaux enjeux de société sur la manière la plus juste d’agir dans un monde en proie au risque indéfini de la ruine collective. La visée éthique de la santé publique doit participer à nouveau au renversement des valeurs qui se joue actuellement face à l’axiologie surannée d’une société réfractaire au progrès de la raison. C’est dans les lignes de fuite de ce système que se construit la part de raison qui échappe à la raison d’État.
    Mathieu Corteel
    Philosophe et historien des sciences, Chercheur associé à Sciences Po et à Harvard

    #Multitudes, #autonomie, #discernement, #covid

  • Empire  : 20 ans après, Michael Hardt, Antonio Negri - Le Grand Continent
    https://legrandcontinent.eu/fr/2020/03/12/empire-20-ans-apres

    Une version de cet article est parue le 5 décembre 2019 dans la New Left Review avec le titre « Empire, 20 years on », Url :
    https://newleftreview.org/issues/II120/articles/empire-twenty-years-onhttps://newleftreview.org/issues/II120/articles/empire-twenty-years-on

    « Plutôt que de créer un seul espace lisse, l’émergence de l’Empire fait proliférer les frontières et les hiérarchies à toutes les échelles géographiques, de l’espace de la métropole unique à celui des grands continents. »


    Il y a vingt ans, le processus de mondialisation était au cœur de la réflexion politique : alors que les relations économiques et culturelles à travers le monde devenaient de plus en plus mixtes et interdépendantes, tous pouvaient constater qu’une sorte de nouvel ordre mondial était en train d’émerger. Aujourd’hui, la mondialisation se retrouve à nouveau au cœur de nos débats, mais les journalistes, les hommes politiques et les universitaires de tous les horizons politiques en font l’autopsie. Les analystes politiques de l’establishment, en particulier en Europe et en Amérique du Nord, déplorent le déclin de l’ordre international libéral et la fin de la Pax Americana. Les forces réactionnaires qui arrivent au pouvoir, au contraire, célèbrent le retour de la souveraineté nationale, sapant les pactes commerciaux, annonçant des guerres commerciales, dénonçant les institutions supranationales et les élites cosmopolites, tout en attisant les flammes du racisme et de la violence contre les migrants. Même à gauche, certains annoncent un renouveau de la souveraineté nationale, dans le dessein de s’en servir comme arme défensive contre les prédateurs du néolibéralisme, des sociétés multinationales et des élites mondiales.

    Malgré ces prévisions, à la fois optimistes et angoissées, la mondialisation n’est pas morte ni même en déclin. Elle est simplement moins évidente à lire. Il est vrai que l’ordre mondial et les structures de commandement mondial qui l’accompagnent et qui se sont formées au cours des dernières décennies sont partout en crise, mais les différentes crises actuelles, paradoxalement, n’empêchent pas le maintien des structures mondiales en place. L’ordre mondial émergeant, tout comme le capital lui-même, fonctionne à travers les crises et même, à certains égards, s’en nourrit. Il fonctionne, à bien des égards, sur le mode de l’effondrement1. Le fait que les processus de mondialisation soient moins facilement lisibles aujourd’hui rend d’autant plus important d’investiguer et de révéler les tendances des vingt dernières années, concernant tant la constitution variée de la gouvernance mondiale, qui inclut les pouvoirs des États-nations mais s’étend bien au-delà, que les structures mondiales de production et de reproduction capitalistes.

    #empire #multitudes #classe #intersectionnalité

  • « La capacité de penser de façon autonome, voire de penser tout court, est en péril »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/08/20/la-capacite-de-penser-de-facon-autonome-voire-de-penser-tout-court-est-en-pe

    Contre l’aliénation nouvelle que représente la manipulation des données par des algorithmes mis au service des grandes entreprises et des Etats, l’économiste Pierre Dockès en appelle, dans une tribune au « Monde », à une « insurrection civique ».

    Tribune. Les grandes vagues de changement technique ont toutes suscité des réactions de rejet pouvant aller jusqu’à la révolte. Le Moyen Age rejetait les innovations estimées maléfiques. La révolution industrielle provoqua les révoltes luddistes [luddisme : mouvement opposé au machinisme au début de la révolution industrielle]. L’avènement de la grande industrie faisait de l’usine un « bagne mitigé » et de la société une « mégamachine ».

    Pourtant la technologie n’est pas, en elle-même, responsable des maux dont on l’accable. Les luddistes s’en prenaient aux machines, mais leurs conséquences négatives s’expliquaient par leur mise en œuvre sous des rapports sociaux spécifiques. Les techniques ne sont cependant pas « innocentes » puisqu’elles ont été configurées dans un certain schéma social.

    Il en va de même aujourd’hui : l’être humain est menacé d’une #expropriation majeure de ses « capabilités » (pour reprendre les termes de l’économiste indien Amartya Sen, prix Nobel d’économie 1998), ses libertés substantielles. Pour la philosophe Simone Weil (1909-1943), « la société la moins mauvaise est celle où le commun des hommes a les plus grandes possibilités de contrôle sur l’ensemble de la vie collective et possède le plus d’indépendance » (Réflexions sur les causes de la liberté et de l’oppression sociale, 1934, Simone Weil, Gallimard, 1999). Elle valorise ainsi la vie rude du pêcheur ou celle de l’artisan médiéval car ce sont des vies « d’homme libre ». C’est sous cet angle de l’aliénation qu’il faut juger la révolution numérique, et pas seulement comme une énième révolution industrielle.

    Manipulation des #comportements
    Aux deux processus historiques majeurs reconnus par l’économiste Max Weber (1864-1920) – la formation du capital par l’expropriation des petits producteurs autonomes de leurs moyens de production (repris de Marx), et la formation de l’Etat comme détenteur du monopole de la violence légitime (dans Politik als Beruf, 1919) – s’ajoute aujourd’hui une troisième phase appuyée sur les vagues précédentes.

    Nos données privées captées, agrégées par le croisement des dossiers et revendues, permettent la manipulation des comportements, une publicité et une propagande ciblées. Les smartphones, les objets connectés (que la 5G va permettre de centupler) sont autant d’espions. Les safe cities capables de suivre précisément les déplacements de chacun et de repérer le moindre comportement « anormal » se multiplient. La monnaie privatisée va permettre une mainmise approfondie sur nos données vitales.

    Cela peut aller jusqu’à l’assujettissement par un Etat-parti totalitaire, comme dans la Chine de Xi Jinping. La reconnaissance faciale y est omniprésente, le système de notation généralisée par le « crédit social » y tient compte des « données de connexion » – soit les relations amicales (d’où les stratégies d’évitement d’« amis » mal notés) – et la sphère privée y a pratiquement disparu. Déjà une forme molle de ce système orwellien se développe dans les pays occidentaux.
    Article réservé à nos abonnés Lire aussi « Il semble illusoire de contrôler a priori les outils d’intelligence artificielle car leurs conséquences sont quasi imprévisibles »

    Cette aliénation rencontre et forge nos désirs, pour mieux les conformer aux intérêts dominants. Les humains influencés consommeront bientôt les produits qu’un algorithme désignera à partir de leurs données personnelles. L’algorithme choisira, commandera et payera pour eux, avec leur assentiment exprès, voire tacite. Beaucoup apprécient déjà que la captation de leurs données permette un formatage publicitaire personnalisé et la safe city satisfait leur désir de sécurité.

    Retrouver l’esprit libertaire
    L’imperceptible et progressif avènement d’une société de surveillance, la perte d’autonomie économique et politique et la disparition de la vie privée ne sont comparativement qu’une petite gêne, une légère démangeaison pour l’individu, tant les bénéfices techniques sont grands ! Mais la capacité même de penser de façon autonome, voire de penser tout court, est en péril.

    Sans même parler du transhumanisme, se façonne ainsi le « dernier homme », celui décrit par Nietzsche dans Ainsi parlait Zarathoustra, si méprisable qu’il ne se méprise même plus, celui que les foules d’antan et certains réseaux sociaux d’aujourd’hui réclament sous l’œil bienveillant des puissants. Comme nous l’expliquons dans La Nouvelle Résistance. Face à la violence technologique (Eyrolles, 2019), écrit avec Jean-Hervé Lorenzi et Mickaël Berrebi, il faut un sursaut démocratique. Ce combat pour l’être humain est à la hauteur de celui pour la planète – d’ailleurs les raisons profondes en sont les mêmes.

    La soi-disant autorégulation des #GAFA [Google Amazon, Facebook, Apple] est un faux-semblant, mais l’espoir de leur régulation par les Etats ne vaut guère mieux. Les Etats sont dépendants, complices ou même parfois responsables. Aux Etats-Unis, Donald Trump brandit des menaces de rétorsions en défense des GAFA pour empêcher une modeste tentative de leur faire payer des impôts. Et en Chine, l’Etat a la mainmise sur les entreprises comme Alibaba qui lui permettent d’exercer son contrôle social.

    On ne peut finalement compter que sur une insurrection civique, sur les résistances individuelles et collectives qui se développent déjà, non pas contre la révolution technologique en elle-même, mais en inventant de nouvelles techniques, de nouvelles configurations, de nouveaux usages plus sobres, en rejetant les pratiques aliénantes afin de retrouver l’esprit libertaire qui caractérisait les débuts d’Internet.

    Pierre Dockès est l’auteur de Le Capitalisme et ses rythmes, quatre siècles en perspective. Tome II : Splendeurs et misère de la croissance (Classiques Garnier, 2019) et, avec Jean-Hervé Lorenzi et Mickaël Berrebi, de La Nouvelle Résistance. Face à la violence technologique (Eyrolles, 2019).

    #algorithmes #données #data

    • non pas contre la révolution technologique en elle-même

      Tout est là : surtout ne pas s’opposer à quoi que ce soit, et moins encore à la divinité tutélaire des sociétés capitalistes et industrielles, la technologie. Il suffit de "subvertir les usages" comme on dit chez #Multitudes.

      Une forme caractéristique de #pseudo_critique (#critique_techno).

      Dans La Nouvelle Résistance , p.115 (fin du chapitre “Un monde de résistances”) on peut lire ceci :

      La vraie résistance consistera à rendre tous les hommes et toutes les femmes, quelque soit leur catégorie socio-professionnelle, quelque soit leur formation initiale, capables de s’adapter rapidement aux évolutions technologiques, et cela à plusieurs reprises dans leur vie professionnelle.

      Résister, c’est s’adapter. (apologie de la #soumission)
      La liberté, c’est l’esclavage.
      L’ignorance, c’est la force.
      La guerre, c’est la paix.

      Ce #Pierre_Dockès, c’est #Orwell !

      @colporteur @kamo

  • Chroniques françaises , par Toni Negri
    14 Décembre 2018

    Nous proposons ici la traduction d’une contribution rédigée par Antonio Negri au lendemain du discours d’Emmanuel Macron du 10 décembre dernier. Il s’agit d’un texte d’analyse (...) qui avance (...) des pistes de lecture intéressantes, notamment pour ce qui est des clivages classe/peuple, de l’impossibilité de médiation et de l’épuisement de la gouvernance, mais aussi de la question de la socialisation du salaire et de l’enjeu de la prolifération des foyers des luttes.

    http://www.platenqmil.com/blog/2018/12/14/chroniques-francaises

    #giletsjaunes #fédéralisme #municipalisme #macron #salaire #salaire_social #classe #peuple #multitude #médiation #représentativité #néolibéralisme #Macron #giletsjaunes #gilets_jaunes #Negri

    • Commentaire d’une camarade #intermittente : "Si Toni Negri lisait la page de la #CIP IDF, il aurait su le soir même qu’il n’y a pas d’augmentation du #SMIC et que la « prime d’activité », comme son nom l’indique, est idéologiquement très marquée (les pauvres sont des fainéants, etc)."

    • « Pas de coup de pouce, mais un revenu en hausse » dans L’iMmonde est incomplet mais pas que
      https://seenthis.net/messages/743277
      Si d’autres ont vu mieux...

      Negri, il plane grave sur le SMIC (entre autre chose), comme tous ceux qui oublient que le SMIC mensuel n’est plus le salaire minimum effectif, qu’il a été remplacé pour des millions d’actives et actifs par un SMIC horaire un temps de travail annualisé.
      En revanche lorsqu’il intègre la #prime_d'activité -aussi marquée soit-elle par le travaillisme- au #salaire social, il vise juste et à un endroit tout à fait négligé par l’analyse sociale (un aveuglement pallié par la nostalgie du CNR). Il y a pas de lecture possible de l’évolution des #droits_sociaux (au dela de l’emploi) sans partir du fait que cette prime finance en même temps (si si) des emplois et employeurs et la reproduction de la forme de travail, que c’est un rapport politique, pas juste une diversion conjoncturelle ou une anomalie à résorber. Comment fonctionne cette #individualisation du salaire social ? Quel mixte d’intégration (au modèle d’emploi, précaire et mal payé et/ou à la figure du cas’sos ; le rouage ou le déchet, telle est l’alternative offerte), de coercition (aiguillon de la faim, inséreurs, proprio, #dette) et de #punition (désocialisation, culpabilité, contrôle) présente-t-elle ?
      Je ne sais pas si ça se lit sur le site de la cip, mais on y trouve de nombreux papiers sur la nécessité de ne pas en rester à la #cotisation_sociale gagée sur la durée d’emploi et les salaires pour financer un #droit_au_chômage). On peut tout savoir du #salaire_social si on s’en tient à l’imaginaire des idéologues de la gauche formol (tel Friot qui exclue du salaire social le RSA, le minimum vieillesse, les bourses et tout droit financé par l’#impôt...), on peut continuer de se poser des questions comme certains secteurs syndicaux tout en ayant de moins en moins de prise au conflit capital travail, et puis on peut aller chercher des réponses chez les #Gilets_jaunes, dans la #grève_sociale expérimentale en cours... Les réponses de l’État sont à tout le moins un élément à prendre en compte dans un programme d’#enquête. Tout comme la réforme un instant reporté du droit aux chômage où les #chômeurs en activité à temps réduit seront en première ligne : diminuer les #allocations_chômage versée de 1,3 milliard est leur projet.

  • « L’Empire et ses théoriciens. Le monde en crise comme disneyland de la "multitude" », par Robert Kurz
    http://www.palim-psao.fr/article-empire-le-monde-en-crise-comme-disneyland-de-la-multitude-hardt-n

    Par là, Hardt/Negri ne sont pas à la hauteur de leur ambition. Car vouloir faire la critique du capitalisme sans faire celle de la forme de la valeur et de sa valorisation, c’est à peu près la même chose que vouloir faire la critique de la religion sans faire celle du concept de divinité.

    #critique_de_la_valeur #wertkritik #Toni_Negri #Michael_Hardt #Multitudes #Robert_Kurz

  • Ça faisait longtemps que Charlie Hebdo ne faisait plus rire, aujourd’hui il fait pleurer. | quartierslibres
    http://quartierslibres.wordpress.com/2015/01/07/ca-faisait-longtemps-que-charlie-hebdo-ne-faisait-plus-ri

    Il est minuit moins le quart dans le siècle. Nous sommes à un point de bascule historique sur l’islamophobie et le déchaînement du racisme en France et plus largement en Europe. La lecture simplifiée à l’extrême par les médias de cette journée du 7 janviers 2015 va se résumer et s’imprimer dans de nombreux cerveaux « par l’attaque meurtrière contre un journal « de Gauche » par des Musulmans. Cela va déstabiliser et retourner des positionnements politiques. La Peur, la colère, la tétanie, l’incompréhension, la panique morale vont chez certains laisser largement place à la Haine.

    • Les seuls gagnants de cette attaque sont les réactionnaires de tous bords, islamophobes en tête. En face, les tak-taks qui veulent le repli sur elle d’une communauté musulmane hétérogène se frottent les mains. Cette attaque, c’est un verrou qui est mis en place pour nous bloquer entre le marteau des takfirs et l’enclume du néo-libéralisme.

      Ce qui s’est passé ce 7 janvier, c’est la possibilité offerte par les tak-taks à ceux qui nous oppriment de couper des liens de solidarité et de détruire une communauté de destin entre croyants et non croyants. C’est la possibilité de condamner à l’avance n’importe qui en fonction de sa croyance ou de son faciès.

      Les analyses biaisées servant de propagande aux pires réactionnaires, les appels à l’ordre républicain, à l’unité nationale, à la laïcité, à la liberté d’expression, à la démocratie parlementaire comme rempart face à la barbarie de l’ennemi intérieur nous tombent dessus comme une déferlante. Dans ce contexte la ritournelle sur « l’angélisme » dont la « gauche coupable » a fait preuve envers l’immigration et les Musulman.e.s risque de faire basculer bien des personnes raisonnables dans le camp de la haine de l’autre.

      La population vivant en France se retrouve coincée dans ce contexte de crise économique entre l’enclume néolibérale qui ne donne pas de solution autre qu’individuelle et le marteau réactionnaire qui met les origines culturelles ou biologiques des classes populaires en compétition. La seule chose à faire est de tenir la ligne qui permette de nous sortir de ce piège : se battre collectivement pour la justice économique et sociale. Pris entre le marteau et l’enclume nous devons stopper le forgeron. Dans cette période sombre nous devons nous inspirer de ce qui se passe ailleurs dans le monde comme au Kurdistan coincé entre l’impérialisme occidental et les réactionnaires de Daesh. Ici comme ailleurs, nous avons la possibilité de créer les conditions de notre libération.

    • Aujourd’hui, porter la guerre dans la salle de presse de Charlie hebdo c’est comme poser une bombe à la gare de Bologne. C’est un acte de terreur pour désorienter

      L’article parle de Bologne, moi, après le premier choque, j’ai pensé à l’attentat du 26. September 1980 contre la fête de la bière à Munich sur laquelle on n’arrête pas d’apprendre des nouvelles. L’Euromaidan historique, quoi.

      26.9.2014 - Oktoberfestattentat : Neuer Zeuge will Köhler mit mehreren Personen gesehen haben
      http://www.heise.de/tp/artikel/43/43551/1.html

      26.09.2014 - Ulrich Chaussy über das Oktoberfest-Attentat und die NSU-Mordserie
      http://www.heise.de/tp/artikel/42/42857/2.html

      25.03.2014 - « Hatten die einen Tipp, dass ein Attentat am Abend geplant war ? »
      http://www.heise.de/tp/artikel/41/41329/2.html

      13.03.2014 - Gladio : Bundesregierung beantwortet Fragen zu geheimen Erddepots der Untergrundarmeen

      Oktoberfest Attentat : « Der blinde Fleck »
      http://www.heise.de/tp/artikel/41/41217/1.html
      http://www.heise.de/tp/news/Oktoberfest-Attentat-Der-blinde-Fleck-2104410.html

      Untergrundarmeen und das Wissen über verdeckte Kriegsführung

      Man muss heute nicht lange lesen, um in den Foren der großen Medien bei entsprechenden Artikeln auf Begriffe wie Strategie der Spannung, Stay-Behind-Organisationen, Tiefenpolitik, Tiefer Staat, oder „Operationen unter falscher Flagge“ zu stoßen. Hinter ihnen verbirgt sich ein ganzer Komplex an Wissen, das sich, bei richtiger Anwendung, wie eine Art Schablone um bestimmte Fälle und Anschläge legen lässt.

      Während sich heute bereits Arbeitsgemeinschaften von Schülern an Gymnasien mit den Hintergründen der „verdeckten Kriegsführung“ im Unterricht auseinandersetzen und ganz im Sinne einer gesellschaftspolitisch-kritischen Schule im Rahmen einer Schulexkursion bis in den Gerichtssaal vordringen, in dem der Prozess gegen die ehemalige RAF-Terroristin abläuft, bleibt so manchem hochgestandenen Staatsanwalt, der beim Oktoberfestattentat ermittelt hat, wie Klaus Pflieger, dem ehemaligen Generalstaatsanwalt, nur noch zu sagen:

      „Das Einzige was mir in den ersten drei Monaten in denen ich selber unmittelbar vor Ort an den Ermittlungen hier in München beteiligt war…aus heutiger Sicht gefehlt hat, das war der Hinweis auf Gladio, der erst später aufkam. Das hätte man damals schon miteinbinden können, aber das ging der ganzen Welt so, das Gladio damals noch kein Begriff war.“


      Je trouve très touchant le commentaire de Siné :
      http://www.sinemensuel.com/zone-de-sine/le-7-janvier-2015

      À mon âge, j’avais déjà eu l’occasion de perdre quelques bons copains, Chaval, Tetsu, André François, Ronald Searle …et d’autres !
      Mais quatre d’un coup, Tignous, Wolinski, Charb, Cabu… assassinés par des fous, des malades,

      Trop c’est trop, c’est insupportable, c’est abominable… C’est inhumain !
      Y a pas de mots pour décrire mon effondrement, ma peine.

      Je pianote ces quelques mots de ma chambre d’hosto où on essaie de me sortir d’une grande anémie.
      C’est pas ça qui va arranger les choses !

      PS. Tout l’équipe de Siné Mensuel, est tout aussi effondrée que moi.

      Je souhaite à Siné le courage et la force de surmonter cette catastrophe, souhaits que j’aimerais aussi exprimer aux familles et amis de tous ceux qui sont tombés ce matin.

    • Il y a le temps du deuil, et puis après, pour que ce drame nous permette de mourir plus lucides, il conviendra de réfléchir à ce que peut apporter la provocation vis à vis de gens dont l’orgueil est plus fort que leur instinct de survie.
      Un orgueil qui pousse à tuer et se faire tuer.
      La provocation aura-t-elle combattu la bêtise ? Non elle l’aura excitée.
      Les stylos peuvent être une arme, mais là en l’occurrence chez Charlie ils ne furent que des fléchettes plantées dans le dos du monstre qu’il nous plaisait d’humilier dans l’arène comme pour nous convaincre qu’on le combattait en le défiant à mains nues, mais là il vient de nous charger avec sa seule force à lui : la barbarie...
      Il faudra qu’on accepte que ce n’est pas parce qu’on pouvait se défouler sur les curés qu’on peut en faire autant tout le monde. Ce n’est pas donner raison aux barbares que de dire cela, c’est prendre conscience que si la démocratie nous permet de vivre sans gilet pare-balles, acceptons juste de pas faire les malins devant les pitbulls, c’est pas comme ça qu’on les neutralisera.

      Bref, je suis Charlie, mais j’espère qu’il se relèvera en faisant un usage plus subtil de ses stylos.

    • #TBP , à lire bien entendu

      Les analyses biaisées servant de propagande aux pires réactionnaires, les appels à l’ordre républicain, à l’unité nationale, à la laïcité, à la liberté d’expression, à la démocratie parlementaire comme rempart face à la barbarie de l’ennemi intérieur nous tombent dessus comme une déferlante. Dans ce contexte la ritournelle sur « l’angélisme » dont la « gauche coupable » a fait preuve envers l’immigration et les Musulman.e.s risque de faire basculer bien des personnes raisonnables dans le camp de la haine de l’autre.

    • En ce jour tragique, nous, Fondations politiques de toutes les sensibilités, tenons à nous exprimer ensemble.
      Pour dire notre solidarité totale avec les familles endeuillées,
      Pour dire que notre attachement à la liberté de la presse et, au-delà, aux valeurs de la République est indéfectible,
      Pour appeler à l’unité sans faille de notre nation.

      Fondation de l’Ecologie politique
      Fondation Gabriel Péri
      Fondation pour l’Innovation Politique
      Fondation Jean-Jaurès
      Fondation Res Publica

      http://newsletter.jean-jaures.org/2015/01/08/charlie/nl.html

      #unité_nationale

    • Intéressant propos de Luz sur la responsabilité, sur le fait qu’ils n’ont pas pris la mesure de ce qu’ils faisaient.
      Comprendre que ce qui n’est pas une insulte pour l’un peut l’être pour l’autre. Ce qui ne blesse pas l’un peut blesser l’autre.
      Je maintiens que tout cela relève de la psychologie. Niveau intellectuel, on surestime le truc je crois..

      http://www.lesinrocks.com/2015/01/10/actualite/luz-tout-le-monde-nous-regarde-est-devenu-des-symboles-11545315

      Depuis 2007, Charlie est regardé sous l’angle de la responsabilité. Chaque dessin a la possibilité d’être lu sous l’angle d’enjeux géopolitique ou de politique intérieure. On met sur nos épaules la responsabilité de ces enjeux. Or on est un journal, on l’achète, on l’ouvre et on le referme. Si des gens postent nos dessins sur Internet, si des médias mettent en avant certains dessins, ce sont leur responsabilité. Pas la nôtre.

      Sauf que c’est absolument l’inverse qui se passe.

      On doit porter une responsabilité symbolique qui n’est pas inscrite dans le dessin de Charlie. A la différence des anglo-saxons ou de Plantu, Charlie se bat contre le symbolisme. Les colombes de la paix et autres métaphores du monde en guerre, ce n’est pas notre truc. On travaille sur des points de détails, des points précis liés à l’humour français, à nos analyses de petits Français.

      édit : désolé déjà moultes fois postés http://seenthis.net/messages/328954
      http://seenthis.net/messages/328982
      http://seenthis.net/messages/328932
      avec discussions intéressantes
      désolé pour le doublonnage et les redites

    • Réponse à quelques amis qui n’ont pas voulu être présents à la marche du 11 janvier, #Sabine_Prokhoris
      http://www.lesinrocks.com/2015/01/22/actualite/reponse-quelques-amis-qui-nont-pas-voulu-etre-presents-la-marche-du-11-j

      Cet article cherche à caractériser ce qui a eu lieu : #impureté_du-politique, #multitude n’est pas #masse, etc., et n’est pas dépourvu d’intérêt. Mais il se conclue sur une citation « en défense » qui me parait au contraire résumer à l’os l’embarras dont il est question...

      Proust : “le mort saisit le vif qui devient son successeur ressemblant, le continuateur de sa vie interrompue”.

  • Des Nouvelles Du Front » Post-capitalisme ou communisme ?
    http://dndf.org/?p=13845#nb2

    La revue Multitudes publie et même met en scène au Centre Pompidou un « Manifeste de l’accélérationnisme », publié en anglais en 2013,dont voici une réjouissante critique.

    Traduction d’un texte paru sur le site de nos camarades « http://www.kommunisierung.net »

    traduit par le collectif « Les Ponts Tournants »
    Post-capitalisme ou communisme ? Une critique de l’accélérationnisme

  • Quatre ministres nous écrivent, et nous leur répondons
    http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=468

    Le 14 octobre 2013, un quarteron de ministres en retraite (R. Badinter, J.P. Chevènement, A. Juppé, M. Rocard) nous a écrit pour se plaindre de l’opposition grandissante de « la société française » aux #Nécrotechnologies - sources d’innovation, de croissance, de compétitivité - et en particulier du sabotage de la propagande scientifico-industrielle par les plus résolus des opposants. Nous leurs répondons. (Pour lire le texte intégral, cliquer sur l’icône ci-dessous.)

    Nécrotechnologies

  • [Troisième Révolution industrielle] Jeremy le prophète de bonheur
    http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=456

    « Mes yeux se consument dans les larmes, mes entrailles bouillonnent, / Ma bile se répand sur la terre, / A cause du désastre de la fille de mon peuple, / Des enfants et des nourrissons en défaillance dans les rues de la ville. Ils disaient à leurs mères : / Où y a-t-il du blé et du vin ? / Et ils tombaient comme des blessés dans les rues de la ville, / Ils rendaient l’âme sur le sein de leurs mères. » (Lamentations de Jérémie, ch. II, v. 11,12) Assez d’imprécations et de discours négatifs qui ne proposent rien et enfoncent les gens dans leur impuissance et le désespoir. Si vous êtes las des prophètes de malheur et des jérémiades sur l’effondrement écologique et social, Mathieu Couvreur a une bonne nouvelle pour vous : Un autre Jeremy est possible. Tenez, lisez son texte ci-dessous. Jeremy Rifkin, Jeremy (...)

    #Documents
    http://www.piecesetmaindoeuvre.com/IMG/pdf/Rifkin.pdf

    • Anti-raciste, anti-sexiste, écologiste, pro-végétarien, démocrate, favorable aux énergies renouvelables, anti-nucléaire... Jeremy Rifkin est-il un copain ? Non. Il est l’avant-garde du capitalisme et pour imposer son projet politique, il nous fait le chantage suprême : la survie de l’humanité et de la biosphère.

      Le capitalisme qui vient n’est plus le capitalisme industriel, et les opposants devraient se mettre à jour. Le néo-capitalisme se dessine, de diverses manières, à travers les ouvrages de Rifkin, de Negri et Hardt, de Schmidt et Cohen ou (avec une approche critique) de Boltanski et Chiapello. Il est coopératif, numérique, vert, organisé en réseau. Il fait appel à l’autonomie et à la créativité des personnes. Il n’est pas hiérarchique, et promeut la lutte contre les discriminations. Il y a diverses manières de générer du profit ; divers systèmes politiques ou sociaux pour servir l’économie capitaliste. Le modèle patriarcal inégalitaire en est un. Selon l’analyse et les souhaits de Rifkin, celui-ci laisse place (de manière progressive et progressiste) à un nouveau modèle, non-discriminatoire - sauf bien entendu pour la main d’œuvre brute et les non-qualifiés, non-diplômés. La technocratie est arc-en-ciel, mais les techno-serfs aussi.

      #recension #Jeremy-Rifkin #Toni-Negri #capitalisme #adaptation #cybernétique #Progrès #progressisme #politique #capitalisme-vert #technocratie #numérique #énergie #pétrole #thermodynamique #multitude #décentralisation

  • Citation :

    Our challenge therefore is that of understanding that a world community would be one where reciprocal trust would allow the simultaneous coexistence of multiple, even contradictory iconographies instead of the dominance of a single universalist one – even if characterised in terms of ‘one world’ – because, despite its universalist contents, any attempt at reducing the many to one is more a reaction to fear and a search for security than an actual springboard for opportunities, which are always to be found in the diversity and in the variety of political geography.

    Tiré de «Territory as a Psychosomatic Device: Gottmann’s Kinetic Political Geography», article de Luca Muscarà
    www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/14650040590907721

    #coexistence #confiance_réciproque #one_wold #multitude #peur #sécurité #Jean_Gottmann #géographie_politique #diversité

  • « La société égale n’est que l’ensemble des relations égalitaires qui se tracent ici et maintenant à travers des actes singuliers et précaires. La démocratie est nue dans son rapport au pouvoir de la richesse comme au pouvoir de la filiation qui vient aujourd’hui le seconder ou le défier. Elle n’est fondée dans aucune nature des choses et garantie par aucune forme institutionnelle. Elle n’est portée par aucune nécessité historique et n’en porte aucune. Elle n’est confiée qu’à la constance de ses propres actes. La chose a de quoi susciter de la peur, donc de la haine, chez ceux qui sont habitués à exercer le magistère de la pensée. Mais chez ceux qui savent partager avec n’importe qui le pouvoir égal de l’intelligence, elle peut susciter à l’inverse du courage, donc de la joie. » (#Rancière, la Haine de la #Démocratie)

    • Qu’avons-nous fait de la Démocratie ? Arundhati ROY
      http://www.legrandsoir.info/Qu-avons-nous-fait-de-la-Democratie.html

      Aujourd’hui, des mots tels que « progrès » et « développement » sont devenus interchangeables avec « réformes » économiques, « déréglementation » et « privatisation ». Désormais, liberté signifie avoir le choix. Elle relève plus du nombre de marques différentes de déodorant en rayon que du domaine spirituel. Le marché n’est plus l’endroit où vous vous rendez pour faire des courses mais un espace dématérialisé où des multinationales sans visage font des affaires, y compris en achetant et en vendant « l’avenir ». Justice est devenu synonyme de droits de l’homme (et en ce qui concerne ces derniers, comme on dit, « ça ira comme ça, merci »).

      Ce vol de langage, cette technique qui consiste à usurper les mots et les utiliser comme des armes, pour un usage destiné à masquer l’intention qui se cache derrière et le fait qu’ils signifient désormais exactement le contraire de ce qu’ils étaient censés signifier à l’origine, a été une des victoires stratégiques les plus brillantes des tsars de la nouvelle donne. Cela leur a permis de marginaliser leurs détracteurs, de les priver du langage pour exprimer leurs critiques et de les faire passer pour des adversaires du « progrès », du « développement », de la « réforme », et bien sûr de la « nation » - autant de négativistes de la pire espèce.

  • « Une poignée de gens regorgent de superfluités, tandis que la multitude affamée manque du nécessaire. » Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes/Seconde partie - Wikisource
    http://fr.wikisource.org/wiki/Discours_sur_l%E2%80%99origine_et_les_fondements_de_l%E2%80%99in%C3%A9galit%C3%A9_parmi_les_hommes/Seconde_partie

    J’ai tâché d’exposer l’origine et le progrès de l’inégalité, l’établissement et l’abus des sociétés politiques, autant que ces choses peuvent se déduire de la nature de l’homme par les seules lumières de la raison, et indépendamment des dogmes sacrés qui donnent à l’autorité souveraine la sanction du droit divin. Il suit de cet exposé que l’inégalité, étant presque nulle dans l’état de nature, tire sa force et son accroissement du développement de nos facultés et des progrès de l’esprit humain et devient enfin stable et légitime par l’établissement de la propriété et des lois. Il suit encore que l’inégalité morale, autorisée par le seul droit positif, est contraire au droit naturel, toutes les fois qu’elle ne concourt pas en même proportion avec l’inégalité physique ; distinction qui détermine suffisamment ce qu’on doit penser à cet égard de la sorte d’inégalité qui règne parmi tous les peuples policés ; puisqu’il est manifestement contre la Loi de Nature, de quelque manière qu’on la définisse, qu’un enfant commande à un vieillard, qu’un imbécile conduise un homme sage, et qu’une poignée de gens regorge de superfluités, tandis que la multitude affamée manque du nécessaire.

    #rousseau #multitude #inégalités #révolution