• Qatar / France : 300 millions pour une guerre en Libye
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/qatar-france-300-millions-pour-une-guerre-en-libye-_Hkqcqd7Rn-ZxECet0IUzA

    Les mensonges précèdent les guerres. Les véritables raisons des souffrances humaines sont toujours cachées : ce sont les intérets capitalistes et les disputes de pouvoir entres das acteurs qui ne s’inquiètent pas du destin des peuples.

    Dans un peu moins de deux semaines, le 20 novembre, la coupe du monde de football démarre avec le match d’ouverture au stade Al Bayt d’Al-Knor. Blast poursuit son voyage dans les coulisses de la diplomatie secrète de l’émirat. Cette semaine, nous vous embarquons au nord de l’Afrique, où il y a onze ans, Mouammar Kadhafi, dictateur de son état et maître de la Libye, finissait sa vie dans le sang, tué d’une balle dans la tête sur le bord d’une route à Syrte. Le rapport entre ces deux évènements, a priori fort éloignés l’un de l’autre ? Une opération secrète que les documents exclusifs de notre enquête dévoilent. Un plan soigneusement préparé entre Paris et le Qatar, que nous vous racontons dans le détail dans ce 6ème volet de notre grande série vidéo : Qatar connection, l’escale libyenne

    #Qatar #Lybie #France #guerre #pétrole #gaz #Khadafi #Sarkozy

  • Perenco, la brute du pétrole - Actualités - Disclose.ngo
    https://disclose.ngo/fr/article/perenco-la-brute-du-petrole

    En #République_démocratique_du_Congo, la société #Perenco, qui exploite une dizaine de #gisements de #pétrole, est accusée de nombreuses atteintes à l’environnement. #Disclose, EIF et Investigate Europe ont recensé pas moins de 167 affaires de #pollution dans le pays.

    Perenco files - Enquêtes - Disclose.ngo
    https://disclose.ngo/fr/investigations/perenco-files

  • Gli affari dei “campioni italiani” con il regime di #al-Sisi in Egitto

    #Eni, #Snam, #Intesa_Sanpaolo e #Sace hanno stretto in questi anni rapporti proficui con il governo del Cairo, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. Nemmeno l’omicidio di Giulio Regeni ha segnato un punto di svolta nella fossile “campagna d’Egitto”. Il dettagliato report di ReCommon (https://www.recommon.org) in occasione della Cop27 sul clima.

    Perché Eni ha continuato ad aumentare i propri investimenti in Egitto persino dopo che sono emersi possibili legami tra l’assassinio del ricercatore italiano Giulio Regeni e il regime di Abdel Fattah al-Sisi? Qual è stata la destinazione finale degli ingenti finanziamenti che Intesa Sanpaolo ha concesso al ministero della Difesa e al ministero delle Finanze egiziani? Perché l’assicuratore pubblico Sace non ha avuto alcuna remora nel garantire la raffineria di Assiut, nonostante altri attori finanziari fossero preoccupati per le implicazioni reputazionali derivanti proprio dal “caso Regeni”? E perché Snam non pubblica ancora l’elenco completo degli azionisti dell’East mediterranean gas company?

    Sono solo alcune delle domande che ReCommon ha rivolto alle principali aziende e società italiane che hanno stretto in questi anni rapporti proficui con il governo egiziano, accusato di gravi e ripetute violazioni dei diritti umani (su tutte la detenzione di circa 60mila dissidenti politici) e che si rifiuta di collaborare con gli inquirenti italiani nelle indagini sul rapimento, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Gli interrogativi, insieme a un’attenta analisi degli interessi economici delle singole realtà, è contenuta nel dossier “La campagna d’Egitto – Gli affari dei ‘campioni’ italiani con il regime di al-Sisi” pubblicato il 7 novembre 2022, all’indomani dell’apertura della 27esima Conferenza della Nazioni Unite sul clima (Cop27) che si svolge a Sharm el-Sheikh. Un documento preciso e dettagliato da cui emerge, ancora una volta, come il business prevalga sui diritti umani e sui processi democratici.

    L’Egitto è un punto di investimento centrale per Eni, che lì possiede circa il 20% delle proprie riserve di gas con una produzione annuale di 15 miliardi di metri cubi (pari al 30% del totale dell’azienda e al 60% di quella egiziana) per un utile di 5,2 miliardi di euro in cinque anni, che costituisce circa un terzo degli utili complessivi della divisione “Esplorazione e produzione”.

    Uno snodo chiave negli interessi dell’azienda in Egitto è stata la scoperta ad agosto 2015 del giacimento sottomarino “Zohr” che, secondo le esplorazioni di Eni, conterebbe circa 850 miliardi di metri cubi di gas: si tratterebbe quindi di una delle maggiori riserve a livello mondiale e la più grande nel Mediterraneo. Con l’omicidio Regeni, rinvenuto il 2 febbraio 2016, le relazioni diplomatiche tra i due Paesi si sono però complicate. “Abbiamo detto chiaramente che noi siamo per i diritti umani, per questo pretendiamo chiarezza assoluta. La vogliamo come italiani e come Eni”, aveva dichiarato Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’azienda, a Il Messaggero il 6 marzo 2016. Ma solo pochi giorni prima, il 21 febbraio, la sua società aveva ottenuto l’assegnazione proprio dell’appalto per il giacimento “Zohr”.

    Secondo ReCommon al centro dei legami tra Eni e il regime di al-Sisi vi sarebbero i debiti accumulati dalle aziende energetiche egiziane nei confronti delle compagnie fossili straniere che nel 2013, anno della presa del potere da parte del generale, avevano raggiunto quota sei miliardi di euro. In particolare Eni era tra le aziende più esposte, con un ammontare di crediti scaduti pari a un miliardo di euro. Nel 2015 l’azienda italiana è riuscita però ad accordarsi con l’Egitto garantendo cinque miliardi di euro in investimenti in cambio di condizioni contrattuali favorevoli che comprendono anche un raddoppio del prezzo del gas che il Paese acquista dall’azienda. “Di lì a poco la società realizzerà la maxi scoperta di ‘Zohr’ e nel giro di qualche anno i debiti contratti dallo Stato egiziano risulteranno azzerati. Non c’è ombra di dubbio che, dal punto di vista degli affari, Eni abbia vinto la sua scommessa, accettando però di legarsi al regime egiziano con un nodo così stretto da non allentarsi neppure di fronte all’uccisione di un cittadino italiano”, ricorda ReCommon. Inoltre grazie ai progetti realizzati da Eni, il regime di al-Sisi è riuscito a conquistarsi un ruolo di primo piano nello scacchiere energetico regionale ed europeo

    Anche Snam, il più grande operatore d’Europa per quanto riguarda il trasporto del gas e che gestisce una rete di 41mila chilometri e una capacità di stoccaggio di 20 miliardi di metri cubi, partecipata dallo Stato italiano, vanta numerosi affari nel Paese nordafricano. L’azienda ha acquistato a dicembre 2021 il 25% della East mediterranean gas company (Emg), proprietaria del gasdotto Arish-Ashkelon che collega Israele ed Egitto, anche noto come “Gasdotto della pace”. Secondo ReCommon tra gli azionisti di Emg vi sarebbero Emed, una società “partecipata dalla israeliana Delek Drilling e dal gruppo statunitense Chevron” e che controlla il 39% di Emg. Secondo le inchieste di ReCommon e della testata investigativa egiziana Mada Masr, Emed avrebbe legami con i vertici dei servizi segreti egiziani.

    “Tutti questi investimenti infrastrutturali vengono attuati grazie agli istituti di credito e alle istituzioni finanziarie. In prima fila c’è Bank of Alexandria, la sussidiaria locale del primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo”, ricorda ReCommon. L’istituto è la quinta banca d’Egitto e conta 1,5 milioni di clienti su 179 filiali. Nel 2006 il governo di Hosni Mubarak aveva venduto per 1,6 miliardi di dollari l’80% delle azioni della banca a Intesa Sanpaolo. Bank of Alexandria, partecipata anche dal governo egiziano, afferma di essere il canale privilegiato degli investimenti italiani nel Paese nordafricano, tra cui il settore oil&gas e quello degli armamenti.

    A garanzia degli investimenti vi è poi Sace, l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia, che tra il 2016 e il 2021 ha emesso garanzie a progetti oil&gas per un totale di 13,7 miliardi di euro, ponendosi così al terzo posto per il supporto finanziario all’industria fossile dopo le controparti canadesi e statunitensi. In Egitto, Sace ha emesso garanzie per 3,9 miliardi di euro. Tra le infrastrutture supportate dall’istituto vi sono due raffinerie: la Middle East oil refinery (Midor) e l’Assiut oil refinery (Aor), entrambe in capo all’Egyptian general petroleum corporation (Egpc), l’azienda petrolifera di Stato.

    Per realizzare Midor, Sace ha garantito i prestiti di Bnp Paribas, Crédit agricole e Cassa depositi e prestiti (Cdp) per un ammontare di 1,2 miliardi di euro. Mentre per quanto riguarda la raffineria di Assiut, Sace ha agito in modo simile garantendo a febbraio 2022 un supporto finanziario pari a 1,32 miliardi di euro: l’impianto è la più grande raffineria dell’Egitto meridionale e si tratta di un’infrastruttura strategica per al-Sisi che ha presenziato personalmente l’inaugurazione dei lavori il 22 dicembre 2021. Tuttavia secondo le ricostruzioni dei quotidiani StartMag e Milano Finanza (citate nel report di ReCommon) vi sarebbero state delle resistenze all’interno di Cdp in merito al finanziamento della raffineria dovute alla “scarsa sostenibilità ambientale e a imprecisate ‘considerazioni geopolitiche’”.

    La stima di 3,9 miliardi di euro relativa alle garanzie di Sace comprende però solo il supporto alle operazioni classificate di categoria A e B cioè “quei progetti che possono avere ripercussioni ambientali e sociali che vanno da gravi a irreversibili: raffinerie, oleodotti, gasdotti, centrali termoelettriche, petrolchimici, dighe e altre mega-infrastrutture”. Sace, infatti, non è obbligata a riportare le altre categorie di investimento tra cui possono ricadere armamenti come ad esempio l’acquisto di due fregate militari italiane da parte dell’Egitto da Fincantieri nel 2020 per un totale di 1,2 miliardi di euro. L’esposizione storica di Sace al regime del Generale al-Sisi è quindi molto superiore ai 3,9 miliardi di euro dichiarati.

    https://altreconomia.it/gli-affari-dei-campioni-italiani-con-il-regime-di-al-sisi-in-egitto

    #Italie #Egypte #Regeni #Giulio_Regeni #Assiut #pétrole #raffinerie #East_mediterranean_gas_company (#EMG) #droits_humains #Zohr #gaz #énergie #gazduc #gazduc_Arish-Ashkelon #Emed #Delek_Drilling #Chevron #Bank_of_Alexandria #Middle_East_oil_refinery (#Midor) #Assiut_oil_refinery (#Aor) #Egyptian_general_petroleum_corporation (#Egpc) #Bnp_Paribas #Crédit_agricole #Cassa_depositi_e_prestiti (#Cdp) #Fincantieri

  • Perenco : révélations sur les ravages du groupe pétrolier en RDC
    https://disclose.ngo/fr/article/perenco-revelations-sur-les-ravages-du-groupe-petrolier-en-rdc

    En République démocratique du Congo, la société Perenco, qui exploite une dizaine de gisements de pétrole, est accusée de nombreuses atteintes à l’environnement. Disclose, EIF et Investigate Europe ont recensé pas moins de 168 affaires de pollution dans le pays. Lire l’article

  • Le « #grand_dessein_africain » d’ENI. L’Italie et l’Afrique entre néo-impérialisme, indépendance énergétique et mémoire sélective.

    En #Italie, on parle peu de l’Afrique. Et quand on en parle, c’est pour lui attribuer la source de tous les maux du pays : l’immigration. Un phénomène instrumentalisé par une certaine rhétorique (de droite, mais de plus en plus répandue) pour désigner la cause de la criminalité, du chômage, du terrorisme, de la perte des valeurs et des traditions, entre autres.

    Il suffit de comparer les grands titres de la presse italienne et celle des autres pays européens pour s’apercevoir qu’en Italie, on parle peu de l’Afrique. En conséquence, les Italiens ignorent tout de ce continent si proche, de son présent comme de son passé. Ce que les Italiens ne savent pas, ne veulent pas savoir ou ne veulent pas que l’on sache, c’est avant tout la relation étroite qui lie historiquement leur pays au continent africain. Et nul n’est besoin de convoquer les temps anciens l’Empire romain ou les conquêtes coloniales extravagantes et cruelles du Royaume d’Italie pour mettre cette relation en lumière. Dans les années 60, du fait des luttes de libération, des intérêts économiques qui y étaient associés et du tiers-mondisme communiste et catholique, l’Afrique était une présence à l’horizon populaire de notre pays. Aujourd’hui, nous sommes passés de la fascination orientaliste et du désir de conquête à la peur, et l’Afrique a disparu de la carte géographique et mentale des Italiens. Pourtant, selon une étude de l’OCDE (l’Organisation de coopération et de développement économiques), l’Italie s’est classée au troisième rang des investisseurs mondiaux dans le continent, derrière la Chine et les Emirats arabes unis, sur la période 2015-2016.

    Pour ma recherche de doctorat en études urbaines à l’université de Bâle, je me suis fixé pour objectif de rattacher les fils de ces multiples relations à partir de la fin des #conquêtes_coloniales proprement dites. Mon projet s’intéresse en particulier au « grand dessein africain » de la société nationale d’hydrocarbures (l’ente nazionale idrocarburi) ou ENI, autrement dit, à la pénétration systématique du continent pour conquérir de nouvelles #ressources et de nouveaux marchés potentiels. Le « grand dessein » n’avait ni la précision ni la finesse de détail d’un véritable projet ; il s’agissait plutôt une vision expansionniste fondée sur des stratégies diplomatiques, politiques, économiques, propagandistes et infrastructurelles.

    La « pénétration » de l’ENI a été favorisée par la situation géopolitique instable qui prévalait autour de 1960, dite l’Année de l’Afrique, qui vit la dissolution des empires coloniaux et la formation ultérieure de nouveaux Etats-nations luttant pour leur indépendance politique et énergétique. Au cours de ces années, l’entreprise d’Etat italienne a réussi à se transformer en multinationale pétrolière et à rivaliser avec les majors du secteur, à la faveur de contrats plus avantageux pour les Etats hôtes (la fameuse « formule Mattei ») et une attitude paternaliste de soutien aux nouveaux dirigeants africains et à leurs revendications. Une situation rendue possible par les financements de l’Etat italien qui, un peu comme c’est le cas aujourd’hui pour les entreprises chinoises qui opèrent en Afrique, était en mesure de fournir des prêts à long terme assortis de faibles taux d’intérêt, surclassant les offres des sociétés privées.

    Pour concrétiser leurs visions de développement, les dirigeants africains d’alors ont su profiter de la guerre froide en obtenant des soutiens financiers et technologiques des deux blocs, hors de tout discours idéologique. Dans le cadre de ce scénario, ENI a su tenir, de façon magistrale (et ambiguë), le rôle de compagnie pétrolière multinationale et celui d’entreprise d’Etat menant une politique énergétique bénévole à l’égard des pays en voie de développement et sans préjugés, indépendamment des règles imposées par le cartel des multinationales pétrolières et des limites imposées par l’appartenance de l’Italie au bloc occidental.

    En quelques années, ENI et ses sociétés filiales, parmi lesquelles Agip, la plus connue et la plus visible puisqu’elle assure la vente de carburant au détail, ont réussi à pénétrer le marché et le territoire de plus de 20 nouveaux pays africains, de l’Afrique du Nord (Egypte, Maroc et Tunisie) et des anciennes colonies italiennes (Libye, Ethiopie, Erythrée) jusqu’à l’Afrique subsaharienne (Ghana, Congo, Nigeria et Tanzanie, pour n’en citer que quelques-uns).

    Ma thèse de doctorat étudie en particulier l’aspect matériel, spatial et propagandiste du dessein africain qui a permis au célèbre chien à six pattes, « l’ami fidèle de l’homme à quatre roues » comme disait le slogan d’Agip, de se dresser le long des routes d’une grande partie du continent. Les infrastructures pétrolières, des raffineries aux stations-service, ont joué un rôle fondamental dans cette pénétration, en liant de manière indissoluble le destin des nouveaux pays africains à l’entreprise italienne.

    Par un changement de perspectives et un renversement de la vision italo-centrée de l’entreprise d’Etat et de ses filiales, cette recherche se concentre sur l’Afrique et s’efforce de comprendre quelle a été son influence – matérielle et culturelle – sur ENI et sur l’Italie de l’après-guerre.

    Ce processus permet de voir comment les ressources extraites en Afrique et au Moyen-Orient sont devenues (avec les financements du plan Marshal) la matière première du boom industriel et économique de l’Italie d’après-guerre et montre comment l’expansion post-coloniale d’ENI a contribué à créer l’image d’un pays moderne et technologiquement avancé.

    Ce qui s’est véritablement matérialisé à partir du « grand dessein » initial est donc le résultat positif de négociations et de tractations, en dépit de multiples échecs, changements de caps et renoncements. Le projet entrepris dans les années 1950, que l’on peut considérer comme encore en cours, constitue la base de la présence actuelle d’ENI dans le continent africain. En effet, avec plus de 8 milliards d’euros investis, ENI est aujourd’hui le troisième investisseur privé sur le continent. Et même si bien des choses ont changé au cours de 60 dernières années, sa présence dans des pays comme le Nigeria et la Libye ne s’est jamais interrompue.

    Etudier le parcours complexe et ambigu d’ENI permet de comprendre l’histoire de l’Italie d’après-guerre et de faire la lumière sur certains aspects, trop souvent ignorés, de sa relation embrouillée et complexe avec le continent africain.

    Image : propagande d’ENI représentant l’enseigne d’une station-service Agip avec le mont Kilimandjaro en toile de fond ; tirée de l’article « Dal Mediterraneo al Kilimanjaro », publié en 1976 dans le journal d’entreprise d’ENI, « Ecos. ».

    https://blogs.letemps.ch/istituto-svizzero/2020/12/16/le-grand-dessein-africain-deni-litalie-et-lafrique-entre-neo-imperiali

    #Italie #ENI #histoire #Enrico_Mattei #grande_disegno_africano #néo-colonialisme #formula_Mattei #paternalisme #post-colonialisme #Agip #colonialisme_italien #expansionnisme #multinationale #pétrole #Giulia_Scotto

  • Perenco, la brute du pétrole
    https://disclose.ngo/fr/article/perenco-la-brute-du-petrole

    Inconnu du grand public, le groupe Perenco, deuxième producteur français de pétrole après Total, est accusé d’atteintes à l’environnement, de violations des droits humains et de dissimulation de ses avoirs dans des paradis fiscaux. Lire l’article

  • Pétrole et paradis fiscaux : les intérêts cachés de la ministre de la transition énergétique
    https://disclose.ngo/fr/article/petrole-et-paradis-fiscaux-les-interets-caches-de-la-ministre-de-la-transi

    Agnès Pannier-Runacher est liée à une société créée par son père, en 2016, pour le compte de ses enfants mineurs. Baptisée Arjunem, l’entreprise familiale partage des intérêts financiers avec Perenco, numéro 2 du pétrole en France, et détient plus de 1 million d’euros dans des paradis fiscaux. Malgré le risque de conflit d’intérêts, la ministre de la transition énergétique n’a jamais rendu publique son existence. Lire l’article

  • Laminé par les marées noires, le delta du Niger est menacé de famine | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/studio/portfolios/lamine-par-les-marees-noires-le-delta-du-niger-est-menace-de-famine

    Laminé par les marées noires, le delta du Niger est menacé de famine
    20 photos

    Au Nigeria, dans la principale région pétrolifère d’Afrique, les fuites d’hydrocarbures se multiplient et ruinent des milliers de pêcheurs et d’agriculteurs. Le pétrole assure 10 % du PIB du pays, le plus peuplé d’Afrique avec 219 millions d’habitants. Sur place, certains ont assigné en justice des entreprises pétrolières, mais les indemnités et le nettoyage n’ont pas permis de retrouver la prospérité perdue. Au point que la famine menace.
    Sadak Souici (photos) et Théophile Simon (texte)

    2 novembre 2022

    © Sadak Souici
    Nigeria, janvier 2022. Vue aérienne de Bolo, un village de pêcheurs sur les bords d’un bras du delta du Niger, l’un des plus longs fleuves d’Afrique. Autrefois prospère, le village est aujourd’hui fantomatique, ruiné par la pollution. Le Nigeria est le principal pays producteur de pétrole en Afrique subsaharienne, et injecte chaque jour près de 2 millions de barils dans les veines de l’économie mondiale.


  • Les produits pour lisser les cheveux, notamment par les femmes noires, font courir un risque accru de cancer de l’utérus.

    Use of Straighteners and Other Hair Products and Incident Uterine Cancer | JNCI : Journal of the National Cancer Institute | Oxford Academic
    https://academic.oup.com/jnci/advance-article/doi/10.1093/jnci/djac165/6759686

    L’étude se fonde sur les données de près de 33.500 Américaines, recrutées entre 2003 et 2009 et suivies sur quasiment onze années. Au total, 378 femmes ont développé un cancer de l’utérus.

    Pour les femmes n’ayant jamais utilisé de produit de lissage capillaire, le risque de développer un cancer de l’utérus d’ici leurs 70 ans est de 1,64%, contre 4,05% pour les utilisatrices fréquentes, a détaillé dans un communiqué Alexandra White, auteure principale de l’étude.

    #cancer #perturbateurs_endocriniens #cancérigènes #cheveux_frisés #femmes_noires

    Et comme ce n’est jamais indiqué nulle part, je te rappelle que les #perturbateurs endocriniens investissent les cellules fœtales car ils ont quasiment la même structure moléculaire que les hormones humaines. Et qu’il faut attendre un certains nombre d’années avant qu’elles ne déclenchent des cancers, une fois le foetus devenu adulte, donc longtemps après, (ou pas). C’est la mère « contaminée » qui est le véhicule des hormones perturbées par ces produits de merde à base de #pétrole #plastique #chimie #moderne Aujourd’hui ce sont elles qui se choppent ces cancers, demain ce seront leurs enfants mais tout le monde s’en fout.

    Avec le tag #L'OREAL_criminel puisqu’ils sont les promoteurs internationaux du défrisage des cheveux crépus.

    Hair products may contain hazardous chemicals with endocrine-disrupting and carcinogenic properties. Previous studies have found hair product use to be associated with a higher risk of hormone-sensitive cancers including breast and ovarian cancer; however, to our knowledge, no previous study has investigated the relationship with uterine cancer.
    Methods

    We examined associations between hair product use and incident uterine cancer among 33 947 Sister Study participants aged 35-74 years who had a uterus at enrollment (2003-2009). In baseline questionnaires, participants in this large, racially and ethnically diverse prospective cohort self-reported their use of hair products in the prior 12 months, including hair dyes; straighteners, relaxers, or pressing products; and permanents or body waves. We estimated adjusted hazard ratios (HRs) and 95% confidence intervals (CIs) to quantify associations between hair product use and uterine cancer using Cox proportional hazard models. All statistical tests were 2-sided.
    Results

    Over an average of 10.9 years of follow-up, 378 uterine cancer cases were identified. Ever vs never use of straightening products in the previous 12 months was associated with higher incident uterine cancer rates (HR = 1.80, 95% CI = 1.12 to 2.88). The association was stronger when comparing frequent use (>4 times in the past 12 months) vs never use (HR = 2.55, 95% CI = 1.46 to 4.45; Ptrend = .002). Use of other hair products, including dyes and permanents or body waves, was not associated with incident uterine cancer.
    Conclusion

    These findings are the first epidemiologic evidence of association between use of straightening products and uterine cancer. More research is warranted to replicate our findings in other settings and to identify specific chemicals driving this observed association.

    #utérus #sein

  • #foutage_de_geule Le baril sous les 80 dollars à New York pour la première fois depuis janvier (Le baril était à 100 dollars il y a un mois)

    Les cours du pétrole brut dévissaient vendredi, le WTI coté à New York plongeant sous 80 dollars le baril pour la première fois depuis janvier.
    . . . . . .
    https://www.lessentiel.lu/fr/story/le-baril-sous-les-80-dollars-a-new-york-pour-la-premiere-fois-depuis-janv

    Le diesel en forte hausse, le sans plomb 95 augmente aussi
    LUXEMBOURG – Les prix du sans plomb 95 et du diesel augmentent à partir de ce samedi.
    . . . . . . .
    https://www.lessentiel.lu/fr/story/diesel-forte-hausse-95-augmente-546755991442

    #pétrole #énergie #marge #bénéfices #marchés #inflation

  • L’augmentation des pannes sèches sur le Léman met les sauveteurs en péril _ Gianluca Agosta/jop - RTS -
    https://www.rts.ch/info/regions/13304654-laugmentation-des-pannes-seches-sur-le-leman-met-les-sauveteurs-en-peri

    Sur le lac Léman, les pannes sèches de bateau sont en augmentation : la hausse des prix du carburant pousse certains plaisanciers à remplir leur réservoir avec parcimonie. Les sauveteurs en font les frais, avec une augmentation du nombre et du coût des interventions.

    Dans le secteur de Genève, il y a « à peu près une panne tous les deux jours », explique Vittorio Foglia, président de la société Sauvetage de Genève, dans le 19h30. « On doit répondre présent du mieux qu’on peut. »

    Ce type de dépannage est gratuit pour les navigateurs imprudents. Les sauveteurs ne peuvent donc compter que sur d’éventuels dons pour couvrir les frais liés à l’opération. Leurs charges liées à l’essence sont ainsi passées d’environ 4000 à 8000 francs.

    « On va faire au mieux, et si on y arrive vraiment pas, on fera un appel à l’aide. Cette fois, ce seront les sauveteurs qui seront sauvés... de la facture d’essence qui nous attend à la fin de l’année ! », souligne Vittorio Foglia.

    Les clubs nautiques également affectés
    Du côté des clubs nautiques, on fait également grise mine. Le prix du litre de carburant à la pompe dépasse 2,50 francs. Du jamais vu pour le club de Versoix (GE), qui a dû adapter ses prix pour éviter de couler. La session de ski nautique de 10 minutes est passée de 40 à 45 francs.

    Cet été, les frais de carburant ont coûté 10’000 francs de plus que l’année passée au club nautique. « On a été obligé d’augmenter les tarifs, mais on ne peut pas trop les augmenter non plus parce que c’est difficile pour les gens aussi », explique Jenny Liard, responsable du ski nautique au club nautique de Versoix.

    Difficile de savoir quand cette situation inédite s’atténuera. En attendant la baisse des coûts, certains préfèrent naviguer à la force de leurs bras.

    #faits_divers #horts_bord #en_vedette #carburants #essence #pétrole #inflation #bourgeoisie #mdr #mort_de_rire !

  • Dans la presse révolutionnaire- juillet août 2022- Spartacus
    http://spartacus1918.canalblog.com/archives/2022/08/05/39580939.html

    Contre les attaques du gouvernement et du capital la lutte de classe pas les compromis N° 778 21/07/2022 Le 14 juillet, lors de son interview télévisée, Macron a présenté sa feuille de route, a tracé un plan clair des objectifs qu’il entendait atteindre. Les (...) @Mediarezo Actualité / #Mediarezo

  • La Dordogne sans #pétrole
    http://carfree.fr/index.php/2022/08/05/la-dordogne-sans-petrole

    Le département de la Dordogne et TER Nouvelle-Aquitaine publient un topo-guide pour visiter la Dordogne #sans_voiture. « La Dordogne sans pétrole » propose 21 circuits à faire à pied ou à Lire la suite...

    #Fin_du_pétrole #Guides #Ressources #Vie_sans_voiture #Villages_sans_voitures #alternatives #guide #Vivre_sans_voiture

  • Les majors pétrolières affichent des bénéfices records – Géopolitique Mondiale des Energies
    https://blogs.letemps.ch/laurent-horvath/2022/07/30/les-majors-petrolieres-affichent-des-benefices-records

    Du côté de la France, la Hollande, l’Angleterre ou de l’Allemagne, les gouvernements subventionnent l’essence avec des boucliers financiers qui permettent également de ne pas répercuter entièrement la baisse des cours du baril. Tous ces artifices financiers permettent aux majors de compter sur le secteur public pour financier leurs bénéfices et de maintenir la demande élevée.

    […]

    Aux USA et à travers l’Europe, ces bénéfices interpellent alors que l’inflation dépasse les 10% en Angleterre et les 8% en Allemagne. Certains appellent à un impôt spécial sur les bénéfices. Faudrait-il déjà que ces entreprises paient des impôts.

    #Étrange

  • ExxonMobil and Chevron shatter profit records after global oil price surge
    https://www.ft.com/content/13f82093-1110-4c92-9fea-936067a5f29e

    The five western oil supermajors — Exxon, Chevron, Shell, BP and TotalEnergies — are together on track to generate well over $50bn in profits in the three months to the end of June.

    [...] Exxon and Chevron have responded [to attacks from politicians] by arguing that they are increasing spending on new supply to help meet surging demand. However, their capital spending remains far lower than prior to the coronavirus pandemic and they have prioritised increasing dividends and stock repurchases.

    #énergie #pétrole

    • Glencore posts record $18.9bn profit as coal enjoys a renaissance
      https://www.ft.com/content/5ce49d4e-be60-4675-ae7e-8fe70b9b1bac

      Unlike many of its rivals, which have cut their coal-mining activities amid criticism of the carbon emissions generated by the fuel, Glencore remains one of the biggest producers.

      The Swiss-headquartered group argues coal will be needed during the energy transition in many parts of the world and that it is better for the company to run down production over the next 30 years than to divest.

      #charbon

  • #Bois contre #mercenaires russes : comment la #Centrafrique a bradé une #forêt au groupe #Wagner

    Depuis 2021, #Bois_Rouge, une entreprise liée au groupe militaire privé Wagner, bras armé officieux du Kremlin, exploite une forêt à l’ouest de la Centrafrique. Elle bénéficie d’un étonnant traitement de faveur de la part des autorités, et œuvre parfois au mépris de la loi.

    À Bangui, « influence étrangère » a longtemps rimé avec France. La capitale de la Centrafrique, pays indépendant depuis 1960, a gardé des traces tenaces de l’ancien colonisateur français : avenue de France, rues du Poitou et du Languedoc, lycée français Charles-de-Gaulle, stations-service Total, bières Castel et coopérants français en pagaille.

    Depuis quelques années, le vent a tourné. Il vient désormais de l’Est. Dans les rues de Bangui, de larges panneaux vantent la coopération russo-centrafricaine. Un #centre_culturel russe a ouvert, dans lequel sont dispensés gratuitement des cours de langue. La boisson à la mode est une #vodka du nom de #Wa_na_wa, supposée donner à ses consommateurs « les secrets du pouvoir russe » et une « santé sibérienne ». Moscou fait don de blindés, de trampolines et de cahiers pour enfants, sponsorise des radios et des concours de beauté.

    Surtout, les hommages aux #mercenaires de Wagner sont partout. Les premiers employés de cette société militaire privée sans existence légale, considérée comme le bras armé officieux du Kremlin, sont officiellement arrivés dans la capitale centrafricaine début 2018, un peu plus d’un an après le retrait de l’opération française #Sangaris. Il s’agissait alors de former et d’accompagner sur le terrain les militaires centrafricains, aux prises avec des groupes armés irréguliers.

    Quatre ans plus tard, les « #conseillers_russes », comme on les surnomme pudiquement, ont des statues et des films à leur gloire. Des ministres portent des tee-shirts à leur effigie et des membres d’associations financées par Moscou chantent leurs louanges lors de manifestations.

    La présence de Wagner sur le continent africain (au Mali, en Libye, au Soudan ou au Mozambique) est désormais largement documentée, de même que les exactions dont certains de ces mercenaires se sont rendus coupables. Des rapports d’ONG, d’agences et de groupes d’experts onusiens ainsi que des enquêtes journalistiques en font état. Ces violations des droits humains ont conduit l’Union européenne à mettre en place, en décembre 2021, des #sanctions visant Wagner et ses dirigeants (voir la liste ici).

    Mais d’autres aspects de cette présence restent méconnus, en particulier les #accords industriels et financiers signés entre les sociétés de la galaxie Wagner et les États où le groupe intervient.

    Une enquête de trois mois, menée par Mediapart, le réseau de médias European Investigative Collaborations (EIC) et l’ONG OpenFacto (à travers son projet « All Eyes on Wagner »), révèle comment une société liée à Wagner, Bois Rouge, a obtenu en 2021 une juteuse #exploitation_forestière en République centrafricaine, dans des conditions très avantageuses, qu’aucune autre société forestière n’avait obtenues.

    Notre enquête montre que la société Bois Rouge, officiellement centrafricaine, est dans les faits étroitement liée aux intérêts russes dans le pays, plus précisément au réseau d’affaires d’#Evgueni_Prigozhin, financier du groupe Wagner. Les autorités, dépendantes de Wagner pour assurer leur sécurité, ont bradé une partie de leurs #ressources_naturelles en autorisant Bois Rouge à exploiter la forêt de manière intensive, quasiment sans payer d’impôts, et parfois au mépris de la loi. Malgré ce traitement de faveur, Bois Rouge n’a pas respecté tous ses engagements vis-à-vis de l’État centrafricain.

    Interrogée, la gérante de Bois Rouge assure que la société « respect[e] pleinement les exigences et les règles en vigueur ». Également contactée, la présidence centrafricaine n’a pas souhaité nous répondre, estimant qu’elle n’avait « pas à justifier et à prouver quoi que ce soit ».

    Alors que plusieurs pays européens importent du bois centrafricain, notre enquête pose aussi la question de sa #traçabilité. Si les sanctions européennes visant le groupe Wagner et son financier Evgueni #Prigozhin devraient théoriquement rendre impossible l’importation de « #bois_Wagner » sur le sol européen, la faiblesse des contrôles existants ne permet pas de garantir que cette interdiction soit correctement appliquée.

    « Bois Rouge », société centrafricaine en apparence, russe dans les faits

    La République centrafricaine (RCA) est un pays riche de ses forêts. En 2021, le bois était le principal bien d’exportation du pays, loin devant les diamants. Il est exploité par seulement une douzaine d’entreprises.

    Le 9 février 2021, un nouvel acteur fait son entrée dans ce milieu très fermé. Une société jusqu’alors inconnue, Bois Rouge, remporte un appel d’offres lancé cinq mois plus tôt par le gouvernement centrafricain. Elle obtient, dans la région de la #Lobaye, au sud-ouest du pays, le droit d’exploiter une forêt de 186 000 hectares, riche de gorilles, léopards et éléphants.

    La parcelle appartenait jusqu’alors aux #Industries_forestières_de_Batalimo (#IFB), la plus ancienne des sociétés forestières de Centrafrique, à capitaux français. Le 18 juillet 2019, le permis est retiré à IFB et repris par l’État, dans des conditions contestées : selon nos informations, IFB a introduit un recours devant le Conseil d’État centrafricain. La société n’a pas souhaité commenter tant que la procédure judiciaire est en cours.

    Début 2021, la forêt passe donc sous le contrôle de Bois Rouge. L’entreprise se décrivait sur son site internet, mystérieusement fermé cette année, comme « l’une des plus grandes entreprises africaines de bois », se présentant ainsi comme une société 100 % centrafricaine. Elle est, de fait, immatriculée au registre du commerce depuis mars 2019 et dirigée par une ressortissante du pays, #Anastasie_Naneth_Yakoïma.

    Mais il s’agit en réalité d’un paravent des intérêts russes en Centrafrique. « Tout le monde sait qu’il s’agit d’une société fabriquée de toutes pièces par les Russes », confie un acteur du secteur. Plusieurs éléments matériels viennent l’étayer.

    En octobre 2019, sept mois après sa création à Bangui, Bois Rouge est présente à un forum d’industriels du bois à Shanghai. La société figure sous le même nom et à la même adresse que ceux renseignés au registre du commerce centrafricain… mais elle est classée parmi les participants russes. Bois Rouge n’est pas représentée par sa directrice, Anastasie Naneth Yakoïma, mais par un responsable des ventes dénommé #Artem_Tolmachev. Et l’une des deux adresses e-mail de contact de l’entreprise est hébergée par un service de messagerie russe, mail.ru.

    Les liens de Bois Rouge avec la Russie sont confirmés par ses activités sur le terrain. Des photos datées de novembre 2021 prises dans la concession, que l’EIC et OpenFacto ont obtenues, montrent plusieurs hommes blancs aux côtés d’employés centrafricains, ainsi que des camions et des boîtes de médicaments de marque russe et une porte sur laquelle « centre médical » est écrit en russe.

    Interrogée sur ses liens avec la Russie (ainsi que sur l’ensemble des informations contenues dans cet article), la gérante de Bois Rouge, Anastasie Naneth Yakoïma, fait simplement savoir que sa société « exerce son activité tout en respectant pleinement les exigences des normes et les règles en vigueur ». Elle ne souhaite pas répondre à nos questions, estimant que cela reviendrait à diffuser des « données confidentielles » sur l’entreprise.

    Sur la trace de Wagner : camouflages « #MultiCam » et sociétés de la galaxie Prigozhin

    D’autres éléments plus précis confirment que Bois Rouge n’est pas simplement liée à des entrepreneurs russes, mais bien à un réseau spécifique : celui d’Evgueni Prigozhin – homme d’affaires proche de Vladimir Poutine – et du groupe Wagner, dont il est soupçonné d’être le financier et le dirigeant.

    Le groupe Wagner n’a pas d’existence légale ; aucune entreprise ne porte officiellement ce nom. Il désigne le groupe de #mercenaires et, par extension, la galaxie de sociétés contrôlées par Evgueni Prigozhin qui opèrent dans les zones où ces mercenaires sont déployés – qu’elles soient actives dans l’extraction de ressources naturelles ou la #propagande en ligne. Evgueni Prigozhin est déjà présent en RCA via plusieurs entreprises, dont #Lobaye_Invest et #M-Finans, sous sanctions américaines depuis septembre 2020.

    Le premier élément reliant Bois Rouge à Wagner est chronologique : l’attribution de la concession dans la préfecture de la Lobaye coïncide avec l’arrivée des #mercenaires_russes dans la région. Selon nos informations, le gouvernement centrafricain a attribué l’ancienne parcelle d’IFB à Bois Rouge le 9 février 2021, soit seulement quinze jours après la reprise de #Boda, la principale ville de la région, par l’armée centrafricaine et les hommes de Wagner. Boda était auparavant contrôlée par une coalition de groupes armés, la #CPC.

    Les liens entre Bois Rouge et la galaxie Wagner/Prigozhin sont également d’ordre financier. Les données issues des bordereaux de chargements (« bill of lading ») de marchandises destinées à Bois Rouge, que l’EIC et OpenFacto ont consultées, démontrent que la société achète du matériel à #Broker_Expert_LLC, une société basée à Saint-Pétersbourg.

    Or, #Broker_Expert fournit d’autres entités du réseau Wagner/Prigozhin, parmi lesquelles l’entreprise minière #Meroe_Gold, active au #Soudan, décrite par le Trésor américain comme une filiale du groupe d’Evgueni Prigozhin.

    L’ONG Dossier Center (de l’opposant russe Mikhaïl Khodorkovski), dont trois journalistes ont été assassinés en Centrafrique en juillet 2018 alors qu’ils enquêtaient sur les activités de Wagner dans le pays, liste également Broker Expert en tant qu’« entreprise affiliée à Prigozhin ». Ce lien est confirmé par des éléments matériels, tels qu’un numéro de téléphone utilisé à la fois par Broker Expert et par des sociétés de la famille Prigozhin : #Concord LLC, dont Evgeny Prigozhin est le bénéficiaire économique ; ou encore #Soinvest LLC, dirigée par son épouse #Liubov_Prigozhina.

    Nous avons identifié vingt-huit transactions entre Bois Rouge et Broker Expert rien qu’en novembre et décembre 2021. En deux mois, l’exploitant forestier a importé via Broker Expert un tracteur, des matériaux de construction (tôles d’acier, argile expansée, bétonnière, ciment, briques), des vis, du fil barbelé, un ventilateur, des plaques d’amiante ou encore un aspirateur industriel.

    Outre ces liens d’affaires, des indices laissés sur le terrain suggèrent aussi un lien avec Wagner. Sur deux photos prises sur la concession de Bois Rouge, on distingue des individus portant des pantalons de camouflage militaire. Ce modèle de camouflage, dit MultiCam, est utilisé par Wagner en RCA.

    Ressources naturelles contre prestations de sécurité

    Parmi les sources connues de financement de Wagner figure l’exploitation de ressources naturelles, dont des champs de #pétrole et de gaz repris à l’État islamique en #Syrie (dont Wagner toucherait 25 % des revenus en vertu d’un contrat signé avec le gouvernement syrien) et des #mines_d’or exploitées par une société liée à Evgueni Prigozhin au #Soudan. L’attribution de permis d’exploitation à des sociétés liées au groupe serait une manière pour des gouvernements africains surendettés de payer les services des mercenaires.

    La Centrafrique ne semble pas échapper à ce mode de fonctionnement. Un document rédigé par le gouvernement centrafricain, révélé dans un récent documentaire de France 5, fait le lien entre « l’investissement russe dans le domaine de la sécurité nationale » et l’exploitation d’une mine d’#or en RCA par une société officiellement malgache mais en réalité sous contrôle russe, #Midas_Resources.

    « L’État centrafricain a le droit de prendre connaissance de l’état des lieux de l’investissement russe dans le domaine de la #sécurité nationale pour pouvoir être en mesure de gérer les compensations », indique le document.

    Le droit d’exploiter la forêt centrafricaine fait-il partie des « #compensations » accordées à Wagner en échange des services de ses combattants, qui assurent la garde rapprochée du président Touadéra et combattent aux côtés des forces armées centrafricaines ?

    Nos recherches démontrent en tout cas que les conditions d’exploitation octroyées à Bois Rouge relèvent davantage du cadeau que de la relation commerciale classique.

    Une forêt bradée

    Nous nous sommes procuré les documents officiels encadrant les activités de la société forestière liée à Wagner, qui étaient jusqu’ici restés secrets. Nous avons comparé les deux principaux documents – la convention provisoire d’exploitation signée entre l’État centrafricain et Bois Rouge le 28 avril 2021 et la convention définitive d’exploitation du 3 décembre 2021 – avec six autres contrats comparables signés par l’État centrafricain avec d’autres entreprises entre 2014 et 2020. Notre analyse montre que Bois Rouge a obtenu le droit d’exploiter la forêt de manière intensive, ainsi que des avantages jamais octroyés à d’autres entreprises.

    Trois exemples illustrent ce traitement de faveur.

    Bois Rouge a obtenu l’autorisation d’exploiter la totalité de la surface de la forêt dont elle a obtenu la concession, avant même d’avoir signé la « convention définitive d’exploitation » censée encadrer ses activités. Or, avant d’avoir signé cette convention définitive, les autres entreprises forestières n’ont le droit d’exploiter qu’une partie de leur concession – généralement un huitième de sa surface.

    Second avantage : alors que les contrats forestiers fixent des « assiettes de coupe » (des zones prévues pour être exploitées), qui changent chaque année afin de laisser la forêt se régénérer, la convention d’exploitation de Bois Rouge prévoit des « assiettes annuelles de coupe » valables non pas un an mais trois ans, et renouvelables sur simple demande.

    Le contrat signé avec Bois Rouge supprime enfin une disposition importante, présente dans tous les autres contrats que nous avons pu consulter : l’interdiction de procéder à des abattages par temps de pluie ou venteux, ce qui est normalement interdit pour des raisons de sécurité.

    En plus de ces conditions d’exploitation inédites, nous avons obtenu un document prouvant que le gouvernement centrafricain a octroyé d’importants avantages fiscaux et douaniers à Bois Rouge.

    Une lettre signée du ministre des finances et du budget de RCA, #Henri-Marie_Dondra, datée du 23 avril 2021, indique que Bois Rouge bénéficie pendant cinq ans de droits de douane réduits à 5 % sur ses importations, d’une exonération de l’#impôt sur les sociétés (puis réduit à 25 % pendant une année supplémentaire), d’une contribution au développement social réduite de 25 % et d’une exemption du paiement de la patente. L’entreprise bénéficie également d’une TVA sur les importations « neutralisée » par une procédure dite de « paiement différé » ainsi que d’une exonération de #taxe_foncière pendant huit ans sur tous les immeubles bâtis neufs.

    Exploitation lancée de manière illégale

    Malgré ce traitement de faveur, nous avons pu établir que Bois Rouge n’avait pas respecté tous ses engagements.

    La société a lancé son exploitation en juillet 2021 sans réaliser de #plan_d’aménagement ni d’#étude_d’impact_environnementale, qui sont pourtant deux obligations légales. L’absence de plan d’aménagement est explicitement mentionnée dans la convention définitive d’exploitation du 3 décembre 2021, ce qui n’a pas empêché le gouvernement centrafricain de la signer.

    « L’instauration de plans d’aménagement qui garantissent la préservation de la ressource forestière demeure notre priorité, et nous allons intensifier les contrôles », assurait pourtant en 2016 la ministre centrafricaine des forêts.

    L’absence d’étude d’impact environnementale réalisée par Bois Rouge nous a été confirmée par le ministère de l’environnement centrafricain.

    Ce n’est pas tout. Bois Rouge aurait dû payer, en échange de la concession, trois années de loyer. Cette obligation figure noir sur blanc dans le décret signé par le premier ministre centrafricain le 9 février 2021. La société a quinze jours pour le faire, et « tout manquement ou retard entraînera l’annulation d’office du permis », précise le document.

    Bois Rouge n’a pas payé. Mais l’État ne lui a pas retiré son permis.

    Une lettre du ministère des finances prouve qu’à la date du 23 avril 2021, soit deux mois après l’expiration du délai légal pour payer le loyer, le ministère des finances centrafricain n’avait toujours pas reçu l’argent. Le courrier indique que Bois Rouge a demandé un délai de paiement jusqu’au 1er avril 2022, soit onze mois après la date prévue. Ce report a été accordé par le ministère des finances – interrogé sur les motifs de cette décision, ce dernier ne nous a pas répondu.

    D’autres documents internes au ministère des eaux et forêts prouvent que Bois Rouge n’a pas payé toutes les taxes liées à l’abattage de bois auxquelles elle était assujettie, au moins jusqu’en février 2022.

    À ces manquements légaux et financiers s’ajoutent des #conditions_de_travail problématiques sur la zone d’exploitation. Nous avons pu recueillir le témoignage détaillé d’une personne connaissant bien la concession, mais qui requiert l’anonymat étant donné les risques importants pour sa sécurité. Cette source rapporte que Bois Rouge emploie un personnel très insuffisant (une équipe d’abattage y est constituée de deux personnes, contre cinq ou six habituellement), qu’elle fait travailler dans des conditions dangereuses.

    Selon ce témoin, les #abatteurs de Bois Rouge couperaient « 15 à 20 arbres par jour » alors que la norme dans d’autres concessions serait plutôt de sept par jour. Les dirigeants de l’entreprise leur imposeraient de travailler « jusqu’à 15 heures ou 16 heures » alors que, dans la région, l’usage veut que le travail s’arrête vers 11 heures en raison du vent qui se lève, rendant alors l’abattage particulièrement dangereux. Il assure enfin que le cahier de chantier, qui recense notamment les volumes de bois coupés, n’était pas rempli, alors qu’il s’agit d’une obligation légale. Interrogés sur ce point (ainsi que sur toutes les questions soulevées dans cet article), les représentants de la société Bois Rouge ne nous ont pas répondu.

    Malgré cela, Bois Rouge n’aurait pas encore exploité d’importants volumes de bois. Deux sources proches du dossier indiquent que l’entreprise a jusqu’à présent coupé un nombre d’arbres relativement modeste – qui représenterait quelques centaines de mètres cubes – qu’elle a ensuite exportés via le Cameroun. « Ils semblent être dans une phase de test », indique l’une de ces sources.

    Bientôt des meubles en « bois Wagner » en Europe ?

    Il est impossible, pour l’heure, de savoir vers quels pays ce bois a été exporté. Bois Rouge n’a pas souhaité nous répondre ; également questionnée, la #SGS, société chargée de contrôler les exportations de bois centrafricain, n’a pas donné suite.

    Plusieurs pays d’Europe importent du bois centrafricain, parmi lesquels l’Espagne (jusqu’en 2019 au moins), la France, l’Italie, le Portugal, l’Allemagne et la Belgique. Au total, selon les chiffres officiels produits par l’UE, les importations de bois (et ses dérivés, charbon et liège) de la RCA vers l’UE ont augmenté de 62 % en 2021 pour atteindre 11 millions d’euros.

    Du « #bois_Wagner » est-il importé en Europe, ou pourrait-il l’être prochainement ? Cela est théoriquement interdit, pour deux raisons : les règlements européens contre l’exploitation illégale des forêts, et les sanctions émises par l’UE visant Wagner. À cela pourraient s’ajouter les sanctions prises contre des entreprises et citoyens russes à la suite de l’invasion russe de l’Ukraine, qui pourraient également toucher indirectement Bois Rouge : l’exploitant forestier se fournit auprès de l’entreprise de sidérurgie russe #Severstal, dont le principal actionnaire, l’homme d’affaires russe #Alexeï_Mordachov, a été placé sous sanctions européennes en mars 2022.

    Mais pour l’heure, rien ne garantit que les contrôles existants soient suffisants pour empêcher Wagner d’écouler son bois centrafricain en Europe.

    En 2005 et 2020, l’UE s’est dotée de deux règlements visant à mettre fin à l’exploitation illégale des forêts : le règlement de l’Union sur le bois, et le règlement dit #FLEGT (« #Forest_Law_Enforcement_Governance_and_Trade »). Ils prévoient un système de « #diligence_raisonnée », qui doit être mis en place par les importateurs et est supposé garantir que les bois issus d’une récolte illégale ne sont pas mis sur le marché de l’Union européenne.

    Mais la Commission européenne a jugé, dans un rapport de décembre 2021, que ces deux outils n’avaient pas totalement atteint leurs objectifs. Une partie des entreprises important du bois dans l’UE ont une « connaissance et une compréhension limitées des obligations à respecter » et rencontrent des difficultés à vérifier les informations provenant de leurs chaînes d’approvisionnement. Certains importateurs profitent de la souplesse de certains pays de l’UE, où les contrôles sont moins nombreux, pour faire entrer du bois à l’origine douteuse, relève la Commission.

    De fait, pour l’année, 2020, un seul État membre a déclaré avoir effectué un contrôle portant sur du bois importé de RCA afin de vérifier sa conformité avec le règlement européen sur le bois.

    Les ONG sont encore plus critiques. « Les règles de confidentialité en vigueur dans l’Union européenne font qu’il est difficile de suivre le bois depuis la source jusqu’à l’entreprise qui l’importe directement », explique Marigold Norman, experte en bois travaillant avec l’ONG Forest Trends. Par ailleurs, « jusqu’à présent, les sanctions infligées aux entreprises qui enfreignent les règles ont été limitées. Dans certains cas, les amendes sont une part assumée du coût de l’approvisionnement en bois tropicaux de grande valeur ».

    Malgré des importations de bois centrafricain en forte augmentation ces dernières années (jusqu’à atteindre près de 6 millions d’euros en 2021 selon les données des douanes françaises), la France ne semble pas non plus mettre en œuvre de contrôles suffisants. En 2019, l’ONG Earthsight a établi qu’une entreprise française, F. Jammes, continuait d’importer du bois produit par la société centrafricaine SEFCA, pourtant accusée en 2015 par l’ONG Global Witness d’avoir versé de l’argent à la Seleka, un groupe armé centrafricain responsable de nombreuses exactions, afin de sécuriser sa production.

    Interrogée par le biais de son porte-parole sur les conditions d’exploitation octroyées à Bois Rouge, la présidence centrafricaine nous a adressé une brève réponse, assurant que « le gouvernement centrafricain, en toute souveraineté, reçoit des projets d’exploitation et accorde des licences d’exploitation aux sociétés d’investissement qui s’installent dans [son] pays ». La présidence n’a pas souhaité répondre davantage à nos questions précises, estimant que le sujet « ne correspond[ait] pas aux préoccupations de [son] pays et de [sa] population » et qu’elle n’avait « pas à justifier et à prouver quoi que ce soit ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/260722/bois-contre-mercenaires-russes-comment-la-centrafrique-brade-une-foret-au-

    #Russie #république_centrafricaine #extractivisme #Russafrique #soft_power #déforestation

  • I Fly Bernard  : 24 Juillet, Monsieur Vincent Bolloré va passer l’après-midi à Porquerolles : 1h02 de vol, 3,2 tonnes de co2 + Le retour.

    1/ Petit dimanche à la mer pour l’avion #2 de Vincent Bolloré. Si seulement le TGV Paris-Marseille existait...
    Il est allé sur son yacht pour passer l’après-midi à Porquerolles
    https://twitter.com/i_fly_Bernard/status/1551222014375067649

    2/ C’était donc bien pour passer une demi-journée à la plage ! Retour à Paris en fin d’après-midi pour l’avion #2 de Vincent Bolloré. ~6 tonnes de CO2 pour une baignade , pourquoi se gêner... Le même déplacement en TGV aurait pollué 2500 fois moins
    Source ; https://twitter.com/i_fly_Bernard/status/1551326316892495873

    #pollution #environnement #climat #énergie #pétrole #vincent_bolloré #bolloré

  • “Il y a des crimes climatiques, donc il y a des criminels”- Entretien avec Mickaël Correia
    https://www.frustrationmagazine.fr/correia

    Entre la canicule « Total énergies 1 » et la canicule « Total énergies 2 » (nous reprenons cette idée trouvée sur les réseaux sociaux de nommer les épisodes caniculaires du nom des responsables du réchauffement climatique) nous avons rencontré Mickaël Correia dont le dernier livre, Criminels Climatiques, met un uppercut à l’écologie bourgeoise du « tous responsables, tous les petits gestes comptes » en montrant le visage de ceux à cause de qui nous suffoquons. Journaliste issu de médias indépendants, Mickaël Correia propose une écologie du rapport de force, qui désigne des responsables et propose donc des leviers d’actions autre que le désespoir ou la complaisance : deux positions généralement tenus par la partie aisée de la population. Grâce à ses travaux, on sait désormais que la révolution sera écologique (...)

  • Gazprom déclare un cas de force majeure et arrêtera indéfiniment les flux de gaz vers l’Allemagne.
    Thread by jgalt485 on Thread Reader App – Thread Reader App
    https://threadreaderapp.com/thread/1549083372307226624.html
    https://twitter.com/jgalt485/status/1549083372307226624

    1.🚩⚡⚡ Gazprom déclare un cas de force majeure et arrêtera indéfiniment les flux de gaz vers l’Allemagne.
    Déjà quelques jours avant le « Doomsday » européen du 22 juillet, lorsque la maintenance russe prévue de 10 jours du pipeline crucial Nord Stream vers l’Allemagne
    2.
    doit prendre fin, le géant russe de l’énergie Gazprom a déclaré un cas de force majeure à l’encontre de l’un de ses principaux clients européens, qu’est l’Allemagne. En termes simples, Gazprom a déclaré la survenance de circonstances extraordinaires et extrêmes pour résilier
    3.
    toutes les obligations contractuelles envers ce client, ainsi le gaz cessera de couler indéfiniment, comme le rapporte Reuters aujourd’hui 18 juille 2022, « Le monopole russe d’exportation de gaz Gazprom a déclaré un cas de force majeure sur l’approvisionnement en gaz en Europe
    4.
    à l’encontre au moins d’un client majeur à partir du 14 juin, selon la lettre vue par Reuters. » La lettre est datée du 14 juillet. « Il a déclaré que la mesure de force majeure, une clause invoquée lorsqu’une entreprise est touchée par quelque chose qui échappe à son contrôle,
    5.
    était effective à partir des livraisons à partir du 14 juin », écrit Reuters. La lettre invoquait des circonstances « extraordinaires- » indépendantes de la volonté de l’entreprise, poursuit Reuters, citant une source affirmant que le client en question
    6.
    est l’Allemagne via le gazoduc Nord Stream 1 .
    Et Bloomberg confirme également :
    GAZPROM A ENVOYÉ UN AVIS DE FORCE MAJEURE À AU MOINS 3 ACHETEURS
    L’AVIS DE FORCE MAJEURE DE GAZPROM S’APPLIQUE AUX FLUX À PARTIR DU 14 JUIN
    UNIPER DIT QU’IL A REÇU UNE LETTRE
    7.
    DE GAZPROM EXPORT DANS LAQUELLE LA SOCIÉTÉ RÉCLAME RÉTROACTIVEMENT LA FORCE MAJEURE POUR LES DÉFAILLANCES PASSÉES ET ACTUELLES DANS LES LIVRAISONS DE GAZ
    UNIPER : NOUS CONSIDÉRONS CELA COMME INJUSTIFIÉ ET AVONS FORMELLEMENT REJETÉ LA DEMANDE DE FORCE MAJEURE

    8.
    Les autorités allemandes ont récemment pris des mesures sans précédent en prévision d’un arrêt durable du gaz russe, atténuant essentiellement les lumières à travers le pays - ce qui comprenait tout, de la limitation de l’eau chaude à la fermeture des piscines,
    9.
    en passant par littéralement la diminution de l’alimentation des lampadaires en ville. Ces mesures ont été annoncées alors que l’Allemagne entrait dans la phase « _d’alarme
     » en raison de la diminution de 60% du débit de Nord Stream 1.
    10.
    Et comme le montre la flambée des prix du pétrole de ce jour (ci-dessous : contrats à terme sur le brut WTI pour septembre), l’offre de pétrole restera forte, tant que l’état de force majeure durera, étant donné que les entreprises de services publics et le secteur
    11.
    manufacturier sont susceptibles de chercher à passer du gaz au pétrole. ...

    12.
    Il semble que cette lettre de Gazprom déclarant la libération légale des obligations d’approvisionnement remontant au 14 juin soit en préparation pour une action définitive le 22 juillet, ce qui a pour conséqunce que les opérations de maintenance du gazoduc .
    13.
    resteront probablement suspendues au-delà de la date prévue pour le redémarrage/la remise en ligne de l’approvisionnement.

    14.
    Les économistes d’UBS ont présenté une étude détaillée de ce qu’ils voient se produire si la Russie interrompt les livraisons de gaz vers l’Europe : cela réduirait les bénéfices des entreprises de plus de 15%. L’ EuroStoxx 60) dégringoleraitent de plus de 20%
    15.
    et l’euro tomberait à 90 cents par rapport au $. La ruée vers les actifs sûrs conduirait les rendements de référence du Bund allemand à 0%, ont-ils écrit. « Nous soulignons que ces projections doivent être considérées comme des approximations grossières
    16.
    et en aucun cas comme un scénario du pire », a écrit Arend Kapteyn, économiste en chef chez UBS. « Nous pourrions facilement concevoir des perturbations économiques qui conduisent à des résultats de croissance encore plus négatifs. »
    17.
    Certes, les marchés évaluent déjà certains les dégâts, à commencer par l’euro qui, à partir de ce mois-ci, s’est négocié à un nouveau plus bas de deux décennies et a touché la parité avec le dollar, ce qu’il n’a pas fait depuis 2002.
    18.
    Pendant ce temps, l’Agence internationale de l’énergie (AIE) est toujours, même au milieu de cette « crise d’alerte rouge » pour l’Europe, bizarrement concentrée sur la réponse à l’urgence d’une manière « cohérente avec les ambitions climatiques de l’UE » ... ceci alors que
    19.
    l’Allemagne et d’autres pays européens les populations sont sur le point d’entrer clairement dans un hiver extrêmement difficile, c’est un euphémisme.
    Extrait d’un nouveau rapport de l’AIE : Après plusieurs mois de signes avant-coureurs, les dernières mesures prises
    20.
    par la Russie pour réduire les flux de gaz naturel sont une alerte rouge pour l’UE - dont un extrait est ci-dessous...
    Le monde connaît la première véritable crise énergétique mondiale de l’histoire. Et comme l’alerte l’Agence internationale de l’énergie
    21.
    depuis de nombreux mois, la situation est particulièrement périlleuse en Europe, qui se trouve à l’épicentre des turbulences du marché de l’énergie. Je suis particulièrement préoccupé par les mois à venir. Après l’invasion de l’Ukraine par la Russie le 24 février,
    22.
    l’AIE a publié son plan en 10 points pour réduire la dépendance de l’Union européenne au gaz naturel russe , énonçant les mesures pratiques que l’Europe pourrait prendre. l’AIE a souligné la nécessité de maximiser les approvisionnements en gaz provenant d’autres sources ;
    23.
    accélérer le déploiement du solaire et de l’éolien ; tirer le meilleur parti des sources d’énergie existantes à faibles émissions, telles que les énergies renouvelables et le nucléaire ; intensifier les mesures d’efficacité énergétique dans les foyers et les entreprises.
    pièces PJ sur fil suivant.

  • Stop au carnaval, par Sandrine Aumercier - Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
    http://www.palim-psao.fr/2022/07/stop-au-carnaval-par-sandrine-aumercier.html

    L’actualité ne cesse de donner les signes de notre enfoncement collectif dans les impasses d’un mode de production dont cependant les connexions systémiques des différents phénomènes persistent à être isolées les unes des autres — comme des problèmes à part, comme des « dossiers » à régler au coup par coup. Il y a de quoi faire perdre la boussole à tous les acteurs du système et les pousser dans des extrémités parfois grotesques. Qu’on en juge : alors que Joe Biden était élu notamment pour son engagement climatique et sa promesse de politique migratoire « juste et humaine », le même a déjà signé davantage de permis de forage pétroliers que son prédécesseur climato-négationniste et le nombre d’arrestations de migrants illégaux n’a jamais été aussi élevé dans l’histoire du pays qu’en 2021 [1]. Il est indéniable que Biden a cherché à modifier dans un sens politiquement plus « progressiste » une série de législations migratoires prises par Donald Trump, mais quelles positions personnelles et promesses de campagne d’un Président pourraient opérer des transformations structurelles, puisqu’il n’est pas moins ligoté qu’un autre par les contradictions internes du système ?

    […]

    Le sommet de la farce a été atteint ces derniers jours, lorsqu’après des années de défiance diplomatique remontant à l’assassinat du journaliste Jamal Khaschoggi, Biden ne craint plus — sous la pression de l’inflation galopante, les élections de mi-mandat approchant — de se rendre en Arabie Saoudite pour mendier à l´État « paria » de mettre davantage de pétrole sur le marché. Il s’agit d’enrayer la hausse mondiale des prix du pétrole. C’est sans compter sur le fait que les pays du Golfe tirent de cette hausse des prix une substantielle augmentation de leur PIB (même si on ne sait pas s’ils ont surpassé Dieu) : dans la jungle économique, le malheur des uns fait le bonheur des autres. Mais là où la farce devient sinistre, c’est que cette demande américaine intervient dans un contexte où l´Arabie saoudite a, pour sa part, doublé depuis le début de la guerre en Ukraine ses importations de pétrole russe. Le pétrole russe pestiféré, « blanchi » par son passage en Arabie saoudite — devenue en quelques mois moralement plus fréquentable que la Russie — est utilisé pour la fabrication d’électricité domestique par les Saoudiens, qui en échange exportent davantage leur propre pétrole [3]. Il est clair que le malheur des Yéménites ne pèse pas comme celui des Ukrainiens dans la balance mondiale.

    #pétrole #énergie #États-Unis #Arabie_Saoudite #Russie #Ukraine #Yémen #capitalisme #Sandrine_Aumercier

  • #Total_Success”? The real goals of #Uganda's Operation Shujaa in #DRC | African Arguments
    #TOTAL #EACOP
    https://africanarguments.org/2022/06/total-success-the-real-goals-of-uganda-operation-shujaa-in-drc

    Plus généralement, la France est de plus en plus considérée comme un partisan inconditionnel du régime Museveni, au milieu de ses intérêts pétroliers majeurs. Un exemple frappant est une lettre écrite par le président Emmanuel Macron au président Museveni après les élections de 2021. Ces élections ont été considérées comme largement frauduleuses , avec une campagne électorale caractérisée par des meurtres de manifestants et environ 1 000 enlèvements de partisans présumés de l’opposition. Pourtant – et à la grande surprise des autres États membres de l’Union européenne (UE) – la lettre était totalement non critique , soulignant plutôt le souhait « d’approfondir l’amitié entre les deux pays » et le souhait de #Macron « d’accélérer la construction du #Oléoduc de #pétrole brut d’#Afrique de l’Est ».

    Des entretiens à Kampala montrent comment la France est perçue comme apportant un soutien politique explicite à l’opération Shujaa. Fait intéressant, ces conversations suggèrent également que la #France a approché plusieurs pays européens pour tester la possibilité de financer la présence de l’#Ouganda en #RDC par le biais de la Facilité européenne pour la paix de l’#UE . La France a également tenté de faciliter un tel accord pour le Rwanda après l’intervention de ses troupes à Cabo Delgado et, ce faisant, a protégé les opérations mozambicaines de TotalEnergies. Des sources diplomatiques affirment que l’UE étudie actuellement cette proposition – une « note conceptuelle » pour soutenir le #Rwanda avec 20 millions d’euros (21 millions de dollars) en équipement non létal – après le lobbying de la France.

    Another significant actor with a clear interest and role in these dynamics is France. Previous reports have shown close links between #TotalEnergies and the French government in Uganda, where Paris is seen to operate primarily to protect the interests of the French oil major.

    Concretely, France has trained both Ugandan and Congolese troops who are now participating in Operation Shujaa. The UPDF soldiers in that force are mostly from the mountain brigade, which the French military has been training since 2016 and which has explicitly stated that the protection of oil is central to its existence. Several Congolese troops participating in the operation have also been trained by France in jungle combat, described by the French Ministry of Defence as “specifically aimed at targeting the ADF”.

  • Powers need to study all oil options, including Iran, Venezuela - France
    https://www.reuters.com/business/energy/france-wants-iran-venezuela-return-oil-markets-2022-06-27

    “So there is a knot that needs to be untied if applicable... to get Iranian oil back on the market,” the [French] official told reporters, speaking on condition of anonymity. “We have Venezuelan oil that also needs to come back to the market.”

    A second official said all options need to be explored given the stakes, including those involving #Iran and #Venezuela.

    #sanctions #pétrole

    • Iran and Venezuela Could Help Biden’s Gas Crisis If He Lifts U.S. Sanctions
      https://www.newsweek.com/iran-venezuela-could-help-bidens-gas-crisis-if-he-lifts-us-sanctions-17198

      while engaging with the two designated adversaries would likely stir a degree of criticism from hawkish factions at home looking to portray the president as soft on U.S. foes, the rising cost of gas now fluctuating around the unprecedented $5 mark threatened to exact an even higher toll on Biden as his Democratic Party prepared for a contentious midterm election season.

    • US provides Chevron limited authorization to pump oil in Venezuela after reaching humanitarian agreement
      https://www.cnn.com/2022/11/26/politics/us-chevron-venezuela-oil-agreement/index.html

      The US has granted #Chevron limited authorization to resume pumping oil from Venezuela following the announcement Saturday that the Venezuelan government and the opposition group have reached an agreement on humanitarian relief and will continue to negotiate for a solution to the country’s chronic economic and political crisis, including a focus on the 2024 elections.

      [...] The official also highlighted the license’s limited nature saying that they do not expect this to have a tangible impact on international oil prices and that the move is intended as an inducement for the negotiations — not a reaction to high global oil prices.

  • Nous pouvons (et devons) stopper la crise sur les marchés internationaux – Fondation FARM
    https://fondation-farm.org/crise-alimentaire-securite-mondiale

    Bien sûr, la guerre en Ukraine n’a rien arrangé. Cette région du monde (Ukraine + Russie) produit une part significative du blé et du maïs exporté sur les marchés internationaux (environ 20%) et il en est de même pour les huiles végétales (notamment celle de tournesol) et pour les engrais azotés. Pour l’instant, ce n’est pas tant la production qui est compromise que les exportations (qui se faisaient traditionnellement par les ports de la mer Noire).
    Mais l’essentiel de la hausse des prix s’est produit avant la guerre en Ukraine. Et il ne s’agit pas là d’un détail. Car si les prix alimentaires, notamment ceux du maïs, du blé et des huiles végétales, ont fortement augmenté depuis la mi-2020, c’est parce qu’ils ont été entraînés à la hausse par le prix des énergies fossiles (pétrole et gaz naturel). Ce qui est en cause, c’est donc notre modèle de production agricole basé sur l’utilisation intense de ces énergies : intrants chimiques (notamment les engrais azotés fabriqués avec du gaz naturel), mécanisation, transport à grande distance. Ce qui est en cause, c’est surtout notre utilisation massive de produits alimentaires pour fabriquer du carburant, surtout aux Etats-Unis (maïs) et dans l’Union européenne (colza). Une utilisation qui lie très fortement le prix des céréales (maïs et blé) et des huiles végétales aux prix des énergies fossiles.
    Alors bien sûr la guerre en Ukraine a prolongé et amplifié la crise mais lui en attribuer l’entière responsabilité est factuellement inexact. Nous (Européens et Américains du nord) avons aussi notre (grande) part de responsabilité et il nous revient de l’assumer.

    #marchés_céréales #crise_ukraine #biocarburant