• Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
    #eau #agriculture #finance #financiarisation #fonds_de_pension #private_equity #Public_sector_pension_investment_board (#Psp) #petits_fruits #myrtilles #Olmos #Pérou #Huancabamba #industrie_agro-alimentaire #avocats #exportation #amandes #ressources_hydriques #extractivisme #Hortifruit #Huelva #Espagne #fraises #Doñana #fruits_rouges #Maroc #Renewable_resources_group #Mexique #Emirats_arabes_unis (#EAU) #Al_Dahra #Egypte #Soudan #Roumanie #Louis_Dreyfus_Company #Guido_De_Nadai #Chypre #Mohamed_Elsarky #Kellog’s #Godiva_chocolatier #United_biscuits #Danone #Gil_Adotevi #Chili

  • Small modular nuclear reactors : a history of failure
    by Jim Green | Jan 17, 2024
    https://www.climateandcapitalmedia.com/small-modular-nuclear-reactors-a-history-of-failure

    Global hype around small reactor designs to replace fossil fuels is on the rise everywhere but few, if any, are likely to ever be built.

    Article intéressant qui passe en revue de très nombreuses annonces de projets de petits réacteurs nucléaires, pour conclure qu’en réalité, ils ne débouchent jamais sur des réalisations en raison de leur prix trop élevés. Même lorsque d’importantes subventions publiques sont proposées.
    #nucléaire #petits_réacteurs_modulaires #SMR

  • Doctorante, elle donnait des cours à la fac en étant au RSA

    Faire une thèse en #autofinancement relève du #parcours_du_combattant. À 33 ans, Clémence Moullé Prévost sort de sept ans et demi de doctorat en histoire de l’art et archéologie à l’Université de Rennes 2. Elle raconte la précarité, le #stress, l’#angoisse, avec en toile de fond, les dysfonctionnements d’une #université exsangue.

    La Rennaise Clémence Moullé Prévost, 33 ans, est l’un des personnages principaux du documentaire « Prof de fac, une vocation à l’épreuve », tourné à l’université Rennes 2. Pendant sept ans et demi, elle y a mené une thèse en histoire des arts, en autofinancement. De 2014 à 2022, elle a dû enchaîner les #petits_boulots en plus des heures de cours qu’elle donnait à la fac pour financer sa recherche.

    « Je suis la première à avoir fait des #études_supérieures dans ma famille », témoigne Clémence Moullé Prévost. Au cours de son master en histoire de l’art à Rennes 2, elle a fait un mémoire sur le patrimoine archéologique de l’île de Chypre. « Ça m’a passionné. J’ai donc déposé une proposition de sujet de thèse qui a été acceptée. » Mais elle n’a pas eu de financement. « En sciences humaines, c’est très compliqué de décrocher un contrat doctoral », donc la plupart des doctorants doivent s’autofinancer.

    Dès sa première année de ma thèse, l’étudiante a enchaîné les petits jobs. « J’ai été animatrice de colo, j’ai gardé les enfants, j’ai donné des cours particuliers, j’ai été surveillante d’internat la nuit et même agent d’accueil dans un musée. »

    Un salaire tous les six mois

    En 2016, Clémence Moullé Prévost a commencé à donner des cours à la fac en tant qu’attachée temporaire #vacataire (ATV). « C’était l’opportunité de commencer à enseigner à l’université, et au début c’était un complément de revenu. » Mais peu à peu, l’étudiante s’est rendue compte qu’il y avait beaucoup de choses clochait. « On ne savait jamais quand on allait signer notre contrat. Il y a même une année où je n’ai pas signé mon contrat avant novembre. »

    Le vrai problème, c’est que la rémunération n’est pas mensualisée, « on est payé qu’à la fin de chaque semestre, en fonction du nombre d’heures qu’on a données. Donc parfois, on ne reçoit notre paye que fin février, alors qu’on enseigne depuis la rentrée » . Financièrement, c’est très compliqué à gérer, ça crée du stress, de l’angoisse permanente…

    « Tu passes en mode survie »

    La première conséquence de tout ça, c’est la précarité. « Dans les pires mois, je me retrouvais au RSA. Je gagnais 500 € avec les APL. Tu passes en mode survie. Tu te retrouves à manger des pâtes ou à sauter des repas. » Faute de moyens financiers, elle « squattait chez des amies » . La jeune femme a contracté des dettes, notamment un prêt étudiant qu’elle doit encore rembourser.

    « Socialement, c’est hyper compliqué, parce que tu n’as pas de #revenu fixe, ni de vrai #statut_social. Ça impacte aussi la #vie_affective, parce qu’on ne peut pas se projeter. Parfois, ça crée une forme de #dépendance_financière vis-à-vis du conjoint. »

    « On le fait parce que ça a du sens »

    La recherche permanente d’argent impacte ses études. « Sur ces sept ans et demi d’études, je n’ai finalement passé que peu de temps à faire des recherches et à écrire ma thèse. »

    Malgré tout, elle a tenu bon. « Quand on fait une thèse, on le fait parce que ça a du #sens. Parce que ça repousse un peu la frontière de la connaissance de notre société. »

    Le parcours du combattant de Clémence n’est pas terminé. Aujourd’hui, elle n’est toujours pas titularisée et candidate à des contrats temporaires. « Il faut parfois cinq ans pour pouvoir obtenir un poste d’enseignante-chercheuse… »

    Contacté, le service communication de Rennes 2 n’a pas répondu à notre sollicitation.

    https://www.ouest-france.fr/bretagne/rennes-35000/temoignage-doctorante-elle-donnait-des-cours-a-la-fac-en-etant-au-rsa-b

    #ESR #thèse #doctorat #précarité #salaire #facs

    • c’est emmerdant que comme bien du monde des salariés des facs qui ont cru échapper à la prolétarisation dépendent du #RSA et de la prime d’activité. en même temps, ça pourrait peut-être contraindre à voir au-delà de chez son employeur particulier, ce qui vaut pour les gilets jaunes (auxquels on a répondu par un nouveau paramètrage coûteux de la prime d’activité en faveur des SMIC temps plein, aux détriment des moins employé.e.s) et pour les travailleurs précaires de tous secteurs, intellos compris.

      #prime_d'activité

  • Blueberries. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

    La raccolta dei mirtilli, nel distretto della frutta saluzzese, si svolge dalla metà di giugno all’inizio di luglio: pochi giorni durante i quali i datori di lavoro hanno bisogno di tanta manodopera tutta insieme. Tra i filari assolati alle pendici del Monviso i carrettini sono spinti da braccianti maliani, gambiani, ivoriani, burkinabé ma anche cinesi, pakistani, albanesi e qualche giovane italiano. In alcune aziende i raccoglitori sono protetti da ombrelloni da spiaggia, in altre no. In media si lavora nove ore al giorno. La paga è tra i 5.50 e gli 8 euro all’ora, a seconda dell’accordo informale che si è riusciti a strappare con il datore del lavoro, i contratti non contano granché vista la sistematicità del lavoro grigio.
    Gli imprenditori sembrano schiacciati tra le esigenze del mercato globale che impone regole e tempi e la difficoltà di reperire manodopera per un periodo così breve.

    “Mentre nell’area mediterranea la stagionalità del consumo del mirtillo è legata al periodo estivo, esiste un mercato britannico che consuma piccoli frutti tutto l’anno. Li importa in inverno dal Sudamerica e poi dai Paesi europei: prima Spagna, poi Italia e quindi Polonia. Nel contesto nazionale il mirtillo delle Alpi è di norma precoce e viene raccolto e distribuito da metà giugno a tutto luglio.
    … il mirtillo ha spesso sostituito gli appezzamenti di pesche e kiwi, diventando nel tempo un investimento redditizio.
    In provincia si coltivano oltre 500 ettari, di cui più della metà nell’area Saluzzese/Pinerolese, da cui proviene il 25% del prodotto nazionale. Sono sorte sotto il Monviso una quarantina di medie aziende. Vi sono poi, specialmente in collina, una miriade di piccoli e medi produttori (quasi 400) che conferiscono a cooperative e organizzazioni di produttori, che a loro volta sono la cintura di collegamento con la grande distribuzione e i mercati europei.” (La Gazzetta di Saluzzo, 4 giugno 2020).

    “…Un ulteriore problema di difficile risoluzione pare essere quello della manodopera, non per quanto riguarda la questione costi, ma per quanto riguarda la reperibilità: “Il costo della manodopera è sempre lo stesso. Il problema è trovarla” afferma un imprenditore di Revello. “Noi crediamo che questa volta sarà necessario rivolgersi alle cooperative, ma anche in quel caso si tratta di un terno al lotto. Per quanto ci riguarda, con altre colture oltre ai mirtilli riusciamo a mantenere gli operatori per periodi più lunghi di una sola campagna di raccolta. Inoltre, in questo modo si stabilisce un rapporto più stretto con il personale che può durare anche più anni”.
    “Abbiamo una cascina con diverse camere da letto, cucina, bagni. Siamo attrezzati per far alloggiare i dipendenti gratuitamente. Se si trovano bene è più probabile che rimangano. Cerchiamo di parlare sempre con i dipendenti, in questo modo si crea un dialogo diretto e ci si accorda sulla durata, sulle tempistiche e sulle modalità del lavoro”.
    “Abbiamo una decina di dipendenti che dal 2016 lavorano con noi. Credo sia normale aspettarsi un ricambio del personale, per svariati motivi, ma devo dire che la maggior parte rimane con noi”.
    (sito Italian Berry, 11 marzo 2023).

    Dunque: la superficie coltivata a mirtilli è notevolmente aumentata negli ultimi anni, anticipando così l’inizio della stagione della raccolta che durerà fino a novembre inoltrato con le mele cosiddette tardive. Nella grande piantagione a cielo aperto del Saluzzese, costitutivamente orientata all’export (l’80% della merce prodotta è destinata al commercio estero), il mirtillo è un prodotto relativamente recente, inserito nel portfolio produttivo degli agricoltori locali per via dell’elevata domanda e buona redditività sul mercato internazionale.

    Di agroindustria si tratta, un comparto che fa girare milioni di euro e quindi i costi di produzione non possono essere lasciati al caso: tra questi la manodopera è il fattore sul quale più facilmente si può giocare per ottenere profitti più alti. Certamente è noto con anticipo il fabbisogno, ma la maggior parte dei braccianti in questo primo periodo non ha un contratto o viene reclutata “last minute” tramite cooperative, agenzie o altre modalità informali di intermediazione. Rigorosamente a chiamata. Che l’apparente scarsa programmazione delle aziende celi una strategia di compressione dei salari? A pensar male si fa peccato, ma chissà…

    A tal proposito si fa un gran parlare di caporalato, il buco nero del discorso dove ogni altra forma di critica tende a collassare. Senza negare che il fenomeno esista e possa avere tratti particolarmente odiosi e anti-solidali, occorrerebbe un inquadramento della questione radicalmente diverso rispetto a quello ideologico dominante. Per esempio: quando il padrone chiede ad Amadou, che ormai da anni ogni estate lavora per lui e col quale si è instaurato un rapporto di strumentale fiducia, di trovare «tra i suoi contatti africani» braccianti disponibili per i giorni della raccolta, Amadou di fatto sta svolgendo una mansione extra per cui non ci sembra scandaloso possa percepire una retribuzione o qualche privilegio. Del resto, anche le tante regolari agenzie di intermediazione del lavoro non sono propriamente delle ONLUS. Se poi Amadou taglieggia i suoi contatti, allora è una persona spregevole, senza se e senza ma. Altrimenti? Amadou sta davvero compiendo chissà quale crimine? Un crimine più grave delle tante giornate di lavoro sistematicamente non segnate dai datori? Delle condizioni di lavoro indegne e logoranti? Delle paghe sempre inferiori a quelle che dovrebbero essere corrisposte in rapporto alle mansioni svolte?

    Certo, anche le pratiche d’intermediazione informali, questa sorta di ‘caporalato soft’, s’inscrivono in una cornice di reclutamento della forza-lavoro fortemente neoliberista: il caporale è solo un (piccolo) imprenditore in un mondo dominato da (grandi) imprenditori. Ma rivalutare la questione in questi termini, più materialisti e meno moralisti, forse, aiuterebbe a spostare il focus sulle cause e non sugli effetti.

    Parliamo allora di sfruttamento. Sfruttamento non in quanto mero reato, ma come motore del processo di accumulazione di capitale. Per accelerare le operazioni e incentivare la produttività, in molti casi ai lavoratori viene proposto di raccogliere a cottimo, un euro a cassetta per quanto riguarda i mirtilli. Alcuni accettano, «perché comunque conviene: se sei veloce guadagni di più che essere pagato ad ora, e poi nelle campagne del sud siamo abituati a lavorare così…quindi perché no». Comprensibile, certamente, specie sul piano individuale. Ma onestamente problematico dal punto di vista collettivo. La produttività della forza-lavoro è infatti essenziale per incrementare i margini di profitto e il Capitale, impersonificato nella figura degli imprenditori agricoli, grandi o piccole che siano le loro aziende, cura questo aspetto con grande attenzione. Non solo e non tanto con un’organizzazione più efficiente del processo produttivo, ma anche e soprattutto a scapito dell’alienazione e della tenuta fisica dei lavoratori spesso trattati come se fossero dei macchinari e non anzitutto degli esseri umani. Ma non si creda che il lavoro vivo subisca sempre passivamente questo disciplinamento! «Pretendono di usare il telefono mentre lavorano, la sera fanno i loro ‘summit’ tra di loro e impongono alle squadre più veloci di rallentare, e così via…», si lamenta un imprenditore agricolo. «Cerchiamo di non andare troppo veloce, di lavorare in modo tranquillo, per respirare un po’» afferma un bracciante. Lo scontro sul ritmo del lavoro è uno dei principali punti di frizione tra salariati e datori di lavoro, il rallentamento della produttività una possibile linea di forza di questa working class, ancora sconosciuto nella sua forza.

    Ai padroni poco importa quanti chilometri percorrono in bicicletta per presentarsi sul campo o se non hanno un posto dove dormire. L’importante è che le preziose bacche non restino sulle piante e giungano in fretta sui mercati. Anche in questo caso però può succedere che i “mediatori” si offrano per risolvere un problema reale garantendo il trasporto o, meno frequentemente, un posto letto (a carico del lavoratore).

    In questo primo scorcio di stagione, le cosiddette accoglienze, coordinate dalla Prefettura di Cuneo (i containers e la casa del cimitero del comune di Saluzzo per circa 230 posti letto) e gestite da una cooperativa, sono in ampissima misura mantenute chiuse. Può sembrare una scelta paradossale visto che, in assenza di alternative, una quota di lavoratori e aspiranti lavoratori, tra i 25 e i 100, è costretta ad accamparsi nei giardini pubblici del Parco Gullino, da qualche anno diventato luogo di approdo e di socialità, sorvegliato giorno e soprattutto notte dalle forze dell’ordine.

    In realtà dietro questa scelta politica ben precisa una logica c’è, per quanto perversa e cinica essa sia. La motivazione ufficiale, buona da sbandierare sulla stampa locale, è che i Comuni aderenti al progetto di accoglienza, ‘al modello Saluzzo’ (sic!), sono tarati sull’inizio della raccolta delle pesche nella seconda metà di luglio e non sono pronti per aprire prima. Storie. La motivazione reale ha invece a che vedere con il timore delle amministrazioni di creare un fattore di attrazione che susciti un’eccedenza di proletari razzializzati presenti sul territorio, persone non gradite se non in quanto risorse produttive immediatamente impiegate nella fabbrica agricola. Si basa inoltre sulle “prenotazioni” di posti letto da parte di alcuni imprenditori per chi più avanti avrà un contratto per tutta la stagione.
    Va da sé che chi non ha un contratto non può accedere alle accoglienze.

    La fantasia governamentale è di disporre just-in-time, né prima né dopo i periodi delle raccolte, della giusta quota di forza-lavoro, né troppa né troppo poca.

    Ormai non c’è più soluzione di continuità tra mirtilli, albicocche, pesche e mele ma quantità diverse di frutta da raccogliere e quindi diverso numero di braccia da impiegare. Tutto chiaro, gli imprenditori e le organizzazioni che li rappresentano conoscono benissimo le dinamiche del mercato del lavoro bracciantile che attraverseranno l’intera stagione fino all’autunno inoltrato.

    https://www.meltingpot.org/2023/07/blueberries-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

    #Italie #Saluzzo #myrtilles #agriculture #exploitation #petits_fruits #migrations #travail #Pinerolo #main-d'oeuvre #exportation #industrie_agro-alimentaire #caporalato #hébergement #logement #SDF #sans-abris #Parco_Gullino #modello_Saluzzo #modèle_Saluzzo #fruits #récolte #récolte_de_fruits

    • #Golden_Delicious. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      La seconda parte di queste cronache del bracciantato saluzzese è riferita alla raccolta delle mele che è in pieno svolgimento.

      Quando, a Saluzzo e dintorni, si parla di lavoro migrante in agricoltura, in particolare di bracciantato africano, generalmente si finisce per parlare di accoglienza.

      Se, da un lato, viene millantata la bontà del ‘modello Saluzzo’ e delle cosiddette accoglienze diffuse e in azienda, dall’altra parte viene giustamente fatta notare la contraddizione degli insediamenti informali, simboleggiata dalla situazione al Parco Gullino 1. L’impressione, tuttavia, è che la condizione di chi dorme o ha dormito al parco venga generalizzata in modo problematico, prendendo uno specifico spaccato di realtà per il tutto. Senza voler minimizzare l’importanza della questione abitativa, che peraltro è molto più di ampia portata e andrebbe esaminata oltre la dialettica tra insediamenti informali e accoglienze, crediamo sia doveroso parlare anche e soprattutto di lavoro. Perché in fondo le persone a Saluzzo – tutte, dalla prima all’ultima – vengono per lavorare.

      «Quest’anno le mele cuneesi, pur a fronte di un lieve calo produttivo dovuto all’andamento climatico, sono contraddistinte da una qualità estetica e organolettica ovunque buona. E’ quanto evidenzia Coldiretti Cuneo in occasione dell’avvio della campagna di raccolta che si apre con buone prospettive commerciali…

      Le operazioni di raccolta sono iniziate per le mele estive mentre tra fine mese e inizio settembre si passerà alle varietà del gruppo Renetta, dopodiché sarà la volta delle mele a maturazione intermedia dei gruppi varietali Golden Delicious e Red delicious; la campagna di raccolta continuerà fino a dicembre con i gruppi varietali a maturazione tardiva.

      … La Granda, che vanta una produzione di eccellenza a marchio IGP, la Mela Rossa Cuneo, ha conosciuto negli ultimi anni una progressiva espansione degli impianti di melo, con oltre 2000 aziende frutticole coinvolte e una superficie dedicata di quasi 6000 ettari (+ 21% negli ultimi 5 anni), pari all’85% della superficie piemontese coltivata a melo». (Comunicato Stampa Coldiretti, 25 agosto 2023)

      Il problema principale è che la manodopera scarseggia.

      «In provincia di Cuneo, nel 2022, sono state 3232 le aziende assuntrici di manodopera agricola e 13200 i dipendenti in agricoltura , a fronte di 24844 pratiche di assunzione, perché ci sono dei lavoratori che, per via della stagionalità delle operazioni nel settore, hanno lavorato in più aziende…

      L’agricoltura garantisce sempre più occupazione per l’intero anno o una larga parte di questo ma la carenza di manodopera base e specialistica ormai è una realtà; le cause sono diverse ma occorre lavorare per fare diventare più attrattivo il lavoro in agricoltura, specie nei confronti dei giovani. Oggi la manodopera extracomunitaria è sempre più indispensabile ma bisogna semplificare gli iter di rilascio dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, che a volte sono un ostacolo nel fidelizzare i lavoratori stranieri rispetto ad altri paesi europei. In ultimo il costo del lavoro, che incide in maniera eccessiva sulle aziende agricole…Servono urgentemente interventi decontributivi. – lancia l’allarme Confagricoltura Cuneo – Oggi la difficoltà maggiore per le aziende è reperire manodopera ma i tempi di lavorazione in agricoltura non sono decisi dagli imprenditori bensì dalla natura. Lavoratori italiani non se ne trovano più ma calano anche i lavoratori neocomunitari e per gli extra UE permangono molte incertezze legate al decreto Flussi e ai tempi di rilascio dei visti di ingresso… Per le aziende agricole assumere manodopera sta diventando sempre più una corsa ad ostacoli con più regole, contributi e sanzioni». (Comunicato Confagricoltura Cuneo, luglio 2023)

      Ovviamente nessuno parla delle condizioni di lavoro e di salario. Altro che rendere appetibile il lavoro in agricoltura!

      Qual è dunque la cifra costitutiva del lavoro salariato in agricoltura (e forse non solo in agricoltura) nel Saluzzese (e forse non solo nel Saluzzese)?

      Crediamo di poter rispondere, senza timore di smentita, il surplus extra-legale di sfruttamento della forza-lavoro, ovvero la mancata corresponsione di una significativa porzione di salario. Inutile e controproducente utilizzare mezzi termini: si tratta di un vero e proprio furto, perpetrato con la massima naturalezza e serenità dagli imprenditori agricoli in un clima di generale impunità e accondiscendenza. Tanto più quando il lavoratore è straniero ed è strutturalmente più vulnerabile a causa del ricatto del permesso di soggiorno, tanto più quando non conosce abbastanza la lingua italiana ed è inconsapevole dei suoi diritti, tanto più quando ha a disposizione poche opportunità di impiego alternative.

      Non serve essere dei marxisti ortodossi per condividere che la ricchezza è prodotta dal lavoro degli operai ma appropriata dai possessori dei mezzi di produzione. Oggi, in un’epoca dominata dall’egemonia del pensiero capitalistico, questo pilastro non è forse più così in in evidenza, eppure il meccanismo è sempre quello. A partire dal caso del distretto della frutta del Saluzzese, vogliamo sottolineare come i padroni di oggi, oltre al plusvalore frutto dello sfruttamento legalizzato, si avvalgano di tutta una serie di tecniche extra-legali per garantirsi l’accaparramento di un’eccedenza di ricchezza.

      È sconcertante constatare come agli operai africani impiegati nel distretto della frutta non sia praticamente mai corrisposta la retribuzione che spetterebbe loro da contratto, che è comunque vergognosamente bassa rispetto alle condizioni generali di un lavoro del genere, duro e precario per definizione.

      La stragrande maggioranza dei braccianti dichiara infatti di lavorare circa dieci ore al giorno, durante le fasi intense di raccolta anche la domenica. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale degli Operai Agricoli e Florovivaisti, dopo le 6.30 ore di lavoro giornaliere (39 ore settimanali su 5 giorni) le ore svolte sono da considerarsi straordinari, e la maggiorazione per ogni ora di straordinario è pari al 30% e per i festivi pari al 60%. I sindacati coi quali abbiamo interloquito ci hanno detto di non avere quasi mai visto una busta paga contenente degli straordinari, mentre i lavoratori di non avere mai ricevuto ‘fuori busta’ paghe orarie superiori alla retribuzione oraria pattuita. Insomma, sebbene lavorare nei campi roventi d’estate e gelidi d’inverno sia già di per sé un lavoro duro e logorante, semplicemente il lavoro straordinario (che è la norma) non è riconosciuto, come se non esistesse tout court. 50/60 euro a giornata devono bastare.

      Un altro aspetto del furto di salario consiste nell’approvvigionamento del materiale di lavoro. Per legge, grazie ai risultati delle lotte del passato che l’hanno imposto anche sul piano legale, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente tutti i dispositivi di sicurezza di cui necessita per svolgere le mansioni richieste da contratto. Bene, è sufficiente farsi un giro alla Caritas, oppure al parco Gulino la domenica, per rendersi immediatamente conto di come ciò non avvenga e i lavoratori debbano procurarsi autonomamente i dispositivi di protezione (scarpe anti-infortunistica, guanti, etc.), altrimenti non vengono assunti.

      Se poi guardiamo oltre i picchi della raccolta stagionale e ci concentriamo sui non pochi operai agricoli africani che riescono ad ottenere contratti più lunghi, che magari si estendono sino a dicembre, anche qui si vedrà come raramente il lavoro è pagato il giusto prezzo. Pur svolgendo mansioni qualificate come ad esempio il diradamento o la potatura, spesso l’inquadramento salariale è quello del raccoglitore, a cui corrisponde ça va sans dire un salario inferiore.

      E si potrebbe andare avanti, e più avanti si va più si possono notare comunanze tra la condizione dei braccianti africani e quella di tanti lavoratori, in altri settori, stranieri ma anche italiani.

      I lavoratori africani nel Saluzzese accettano tutto ciò passivamente?

      No, specialmente oggi che il problema del contesto italiano (almeno nel nord del paese) sembra essere meno l’assenza di impiego e più il lavoro povero. La principale manifestazione di contropotere operaio è infatti l’atteggiamento iper-utilitaristico con cui si affrontano i padroni: “non mi paghi in modo soddisfacente, prendo e me ne vado. Immediatamente. Tanto riesco a trovare altro“. Non è sempre stato così, non è detto che sarà sempre così: in alcuni momenti l’offerta di lavoro era così ridotta che un lavoro, per quanto sfruttato e indegno, bisognava tenerselo stretto, perché serviva per mangiare, perché serviva per i documenti.

      Esistono poi molteplici linee di resistenza spontanea che agiscono sotterraneamente, di cui si viene a conoscenza solo creando un rapporto di fiducia e di ascolto reale con i lavoratori.

      Per esempio, la contrattazione informale sulle giornate di lavoro da segnare effettivamente in busta paga, almeno quel tot per raggiungere la soglia necessaria alla disoccupazione agricola, strumento peculiare per garantire continuità reddittuale nei mesi di inattività forzata. Il lavoro grigio, infatti, molto più che la qualità della frutta prodotta nelle piantagioni, è il vero marchio di fabbrica del distretto della frutta del Saluzzese.

      In zona è perfettamente noto a tutti, organi di controllo compresi, che le giornate di lavoro segnate ai braccianti non coincidono con quelle effettivamente svolte. Sebbene le situazioni varino di azienda in azienda, ipotizziamo che le giornate segnate siano meno della metà di quelle svolte. Un grande, enorme risparmio per le tasche degli imprenditori. Per rendersi conto dell’enorme volume di attività lavorativa non contabilizzato – quindi dei soldi risparmiati – sarebbe sufficiente disporre dei dati relativi alle giornate di lavoro necessarie in rapporto alla superficie di terreno coltivato e incrociarlo con le giornate documentate, ma guarda a caso questi dati non sono disponibili e custoditi gelosamente dagli organi di controllo e di rappresentanza delle aziende. (Dati che peraltro sarebbero estremamente utili anche per la programmazione della gestione abitativa della forza-lavoro stagionale, anziché agitare il solito spettro degli insediamenti informali)

      Sorvoliamo sui contributi non versati e sul conseguente mancato introito nelle casse dello Stato, perché il discorso sulla tassazione è lungo e complesso,ma guardiamo le cose dal punto di vista, anche egoistico se vogliamo, ma maledettamente materiale, del lavoratore che si spacca la schiena in campagna. Perché se il padrone risparmia, risparmia solo lui e l’operaio non ne trae alcun beneficio?

      Purtroppo però le linee di resistenza spontanea individuale faticano a comporsi in una forza collettiva organizzata. L’azione sindacale ha fatto pochi passi in avanti e resta schiacciata sull’azione legale piuttosto che sulla pratica di lotta diretta, con il risultato di non fare mai esperienza di un fronte comune ma di vincere o perdere in solitudine.

      Occorrerebbe infine guardare l’evidente diminuzione degli arrivi di braccianti in cerca di occupazione da un punto di vista diverso, diminuzione che si sovrappone e si sostituisce al ricambio pressoché totale di persone che arrivano a Saluzzo stagionalmente già registrato negli anni passati. Anche questo fenomeno andrebbe considerato infatti come una forma di “resistenza”, confermato dai continui appelli per mancanza di manodopera lanciati dalle organizzazioni datoriali e dal veloce passaggio ad altri settori produttivi di molti lavoratori africani che si sono stabiliti nel saluzzese.

      Sarebbe interessante approfondire che cosa intendono i padroni quando parlano di “fidelizzazione” dei propri dipendenti…

      Siamo perfettamente consapevoli che nella congiuntura attuale molti piccoli imprenditori agricoli stiano faticando, schiacciati dalla concorrenza del mercato internazionale, dal potere della grande distribuzione, dall’interdipendenza della distribuzione logistica.

      Alcune aziende sono a rischio fallimento, altre vengono assorbite dai pesci più grandi… ma è l’agriculutral squeeze, baby! Che altrove ha già comportato un cambio di scala nella dimensione aziendale. D’altro canto, è inaccettabile che l’insostenibilità della produzione agricola contemporanea per il piccolo imprenditore sia scaricata sui lavoratori salariati, non a caso persone razzializzate, che l’auto-sfruttamento dei datori di lavoro sia proiettato sui dipendenti. Già, perché a quanto pare il grado di sfruttamento nelle piccole aziende è ancora maggiore che nelle grandi. Ma se, anziché allearsi con le forze vive del lavoro per cambiare le regole del gioco, i contadini compartecipano al sistema di sfruttamento generalizzato, potendo sopravvivere solo grazie allo sfruttamento dell’ultimo anello della catena, allora la scelta di campo è stata fatta.

      https://www.meltingpot.org/2023/09/golden-delicious-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi
      #pommes

    • L’ultimo kiwi. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      Il lavoro stagionale nel distretto frutticolo di Saluzzo, tradizionalmente, si chiude con la raccolta dei kiwi nella seconda metà di novembre. Sei mesi sono trascorsi da quando i mirtilli, colorandosi di blu, avevano dato avvio alla stagione 2023.

      In realtà la produzione locale è notevolmente diminuita negli ultimi anni a causa della batteriosi e della cosiddetta “morìa” che hanno falcidiato ettari di frutteti, poi sostituiti da mirtilli e mele invernali ma anche in relazione a scelte imprenditoriali che hanno portato alla delocalizzazione delle piantagioni, verso il distretto di Latina in particolare. La raccolta, quindi, si concentra in poche giornate dai ritmi di lavoro massacranti, una corsa contro il tempo per sfruttare le ore di luce giornaliera che vanno diminuendo e anticipare le gelate precoci nella pianura ai piedi del Monviso.

      “L’Italia, con 320 mila tonnellate esportate nel 2021 in cinquanta paesi, per un fatturato di oltre 400 milioni di euro, è il principale produttore europeo di kiwi e il terzo nel mondo dopo Cina e Nuova Zelanda. – informa una accurata inchiesta condotta da IRPI Media pubblicata a marzo di quest’anno – La prima regione del nostro paese dove si coltiva la “bacca verde” è il Lazio. Globalmente, un terzo di tutti i kiwi commerciati nella grande distribuzione viene dalla multinazionale Zespri. Nata in Nuova Zelanda, oggi è leader nel settore e presente in sei paesi. Dalla provincia di Latina, arriva una buona parte della frutta venduta con il marchio Zespri (il 10,5%). Un mercato gigantesco, che solo in Italia conta quasi tremila ettari di campi, centinaia di produttori e migliaia di braccianti.” 4

      Anche sugli scaffali dei supermercati saluzzesi le varietà di kiwi sono vendute quasi tutte con il marchio Zespri: Green Premium, origine Italia confezionato in Lombardia, Sun Gold origine Nuova Zelanda e Hayward origine Grecia confezionati chissà dove.

      Alcune aziende locali producono in provincia di Latina i loro kiwi a polpa gialla (i Sun Gold) di cui Zespri detiene il brevetto e l’esclusiva della commercializzazione.

      Un colosso a livello internazionale è il Gruppo Rivoira che controlla Kiwi Uno S.p.A. con sede a Verzuolo, pochi chilometri da Saluzzo: “Da sempre in stretta relazione con il Cile, oggi grazie all’integrazione tra produzione italiana e cilena, abbiamo modo di essere sui mercati europei e d’oltre mare per dodici mesi all’anno” si legge sul sito dell’azienda. Rivoira controlla, tra le altre, anche un’azienda con sede a Cisterna di Latina, la capitale del kiwi italico, che vanta 110 ettari coltivati a kiwi, varietà hi-tech che hanno conquistato una loro nicchia di mercato.

      Ma restiamo a Saluzzo… Nell’annata in cui i lavoratori delle campagne non hanno più fatto notizia, scomparsi dalle cronache locali e nazionali, non più oggetto di studi eruditi in relazione a presunte emergenze ma sempre ben presenti in carne, ossa e muscoli tra i filari a reggere l’economia di questo angolo benestante di nord-ovest, la stagione del lavoro bracciantile si è chiusa mestamente nell’aula di un tribunale. A Cuneo il 23 novembre scorso, infatti, si è svolta l’udienza preliminare del processo a carico del datore di lavoro di Moussa Dembele, maliano, deceduto a Revello il 10 luglio 2022.

      Moussa lavorava in nero (“senza regolare contratto” secondo la fredda dicitura burocratica) presso un’azienda agricola dedita all’allevamento dei bovini.

      L’allevamento di bovini e suini è l’altro grande business della provincia di Cuneo da cui deriva la coltivazione intensiva del mais che, insieme a frutteti e capannoni di cemento, domina il paesaggio della pianura saluzzese.

      Nel settore zootecnico le condizioni di lavoro riescono ad essere forse persino peggiori che in agricoltura. Così almeno sostengono alcuni ex-lavoratori, i quali, stando a quanto ci dicono, ricordano il mestiere con un certo orrore. «Se lo fai troppo a lungo», ci racconta Ousmane, «diventi un vitello anche tu! È massacrante, fisicamente ma soprattutto mentalmente: lavori tutti i giorni, a orario spezzato, da solo, nell’aria pesante che puzza di animale e di merda. Per una paga nemmeno buona devi completamente rinunciare a farti una tua vita personale, eppure il padrone non è mai, mai contento…» Nell’invisibilità garantita dalle stalle diffuse nel profondo della campagna industrializzata il rapporto di forza tra l’azienda e il dipendente, che spesso lavora individualmente, è tutto a favore della prima.

      Quella domenica Moussa trasportava pesanti vasche di plastica colme di mangime insilato per l’alimentazione delle mucche, riempite di volta in volta al cassone di un inquietante macchinario denominato “desilatore portato”, attrezzatura agricola attaccata alla forza motrice di un trattore. Nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Cuneo, tale attrezzatura viene definita “non idonea ai fini della sicurezza”, priva cioè delle necessarie protezioni, modificata per facilitare le operazioni.

      Giunto ormai al termine del lavoro affidatogli, il manovale si è sporto oltre la sponda del cassone per spingere con una scopa i resti dell’insilato verso la coclea, rimanendo incastrato e schiacciato da un componente del macchinario in funzione. Questa la ricostruzione ufficiale. Moussa è deceduto per “arresto cardiorespiratorio a causa di shock midollare e ipovolemico”, in pratica è morto sul colpo con l’osso del collo fracassato nell’impatto.

      La storia di Moussa è simile a quella di tanti lavoratori e lavoratrici delle campagne, che accettano di lavorare in nero perché non sono in regola con il permesso di soggiorno e non hanno alternative oppure per integrare i contratti a chiamata che non garantiscono un salario sufficiente per sé e per poter aiutare le proprie famiglie nei paesi d’origine.

      «Si trovava in Italia dal 2013 e pare che lavorasse nell’azienda da circa sei mesi. Da più di un anno stava aspettando il rinnovo del permesso di soggiorno… Oltre alla moglie e alle due figlie, Moussa ha lasciato il fratello Makan, di due anni più giovane, che vive a Gambasca e lavora per un’azienda agricola del paese. I due erano arrivati in Italia in momenti diversi. E’ stato lui ad accompagnare la salma in Mali». (L’eco del Chisone, agosto 2023)

      Alla notizia della morte di Moussa un pugno di braccianti aveva manifestato spontaneamente dolore e rabbia per le strade di Saluzzo.

      In generale si dice che a Saluzzo, “a differenza del Sud” – il Sud preso come termine di paragone sempre negativo, il Sud diverso e lontano, il Sud selvaggio e criminale, il Sud che nel Piemonte profondo non ha mai smesso di venire razzializzato – il lavoro nero in agricoltura sia tutto sommato poco diffuso, un’eccezione e non la regola. Come abbiamo scritto qui, la cifra costitutiva degli attuali rapporti lavorativi locali è in effetti il lavoro ‘grigio’, cioè lavoro ‘nero a metà’ per dirla con un grande cantore del Meridione quale Pino Daniele. Tuttavia, a ben vedere, specialmente durante i picchi della raccolta, non sono affatto pochi i raccoglitori non contrattualizzati impiegati anche nel saluzzese.

      Abbiamo persino sentito dire che ci sono datori di lavoro che in quei momenti quando ci si gioca il raccolto di un anno intero, incuranti di un pericolo evidentemente non così temibile, cercano lavoratori disponibili a lavorare in nero, “perché per così pochi giorni, ma che senso ha fare un contratto?” Mera noia burocratica o cosciente risparmio sul costo del lavoro? Chissà, intanto il bracciante ha qualche giorno in meno per il calcolo della disoccupazione agricola e zero tutele dei propri diritti… Agli unici lavoratori che in un certo senso conviene, per il paradossale effetto della violenza strutturale sancita dalla legge Bossi-Fini, sono le persone, come Moussa, sprovviste di regolare permesso di soggiorno a causa delle estenuanti lungaggini burocratiche.

      Per una drammatica coincidenza, ma per chi conosce bene le condizioni di vita dei braccianti non è affatto una sorpresa, poco distante dal luogo del decesso di Moussa, nelle campagne di Revello, grosso comune agricolo dove lavorano centinaia di stagionali e di cui si parla spesso in quanto l’unico del distretto della frutta a non aver aderito al protocollo di accoglienza della Prefettura, nella primavera di quest’anno è morto Dahaba, 40 anni, anche lui maliano. Ma la notizia è passata praticamente sotto silenzio.

      L’uomo ha perso la vita la notte di Pasqua a causa delle esalazioni del monossido di carbonio: per riscaldarsi aveva acceso, nella sua stanza, un braciere ricavato da un secchio di metallo. Ad aprile fa ancora freddo da queste parti, i camini delle cascine fumano e le gelate notturne rischiano di compromettere i raccolti, è questa la preoccupazione maggiore.

      Dahaba era arrivato da Rosarno dove aveva raccolto le arance e si era appena recato in Questura a ritirare il suo permesso di soggiorno per “attesa occupazione”, il documento che viene rilasciato quando il titolare di un permesso per lavoro subordinato ne richiede il rinnovo ma non ha, al momento, un contratto e delle buste paga da esibire. A Revello abitava in un alloggio messo a disposizione dal suo datore di lavoro, a quanto pare non riscaldato adeguatamente. Il martedì seguente il giorno di pasquetta, lo stesso datore di lavoro, non vedendolo arrivare, è andato a cercarlo e ha trovato il cadavere.

      L’uomo era poco conosciuto nella numerosa comunità maliana che vive nel saluzzese.

      L’episodio dovrebbe suscitare una riflessione seria sulle condizioni di vita dei braccianti africani, sul pendolarismo forzato nelle campagne d’Italia alla ricerca di un lavoro, sulla precarietà esistenziale estrema, sulla solitudine di un corpo senza vita rinvenuto solo perché non si è presentato sul posto di lavoro.

      Per non parlare del problema della casa o della tanto invocata accoglienza in azienda, in questi anni considerata la panacea di tutti i mali ma niente affatto sinonimo di dignitosa qualità di vita. L’accoglienza in cascina, anche quando fatta nel migliore dei modi – e non è certo sempre il caso – è infatti problematica sotto molteplici punti di vista: rappresenta un ulteriore ricatto per il lavoratore, il cui datore di lavoro e il padrone di casa sono la stessa persona; è un fattore di isolamento spaziale che ha forti ripercussioni sulla socialità; impedisce una chiara separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro; e molto altro. Nel peggiore dei casi, si può dire che rievochi l’organizzazione sociale totale della piantagione coloniale…

      Moussa e Dakar chiedono di non essere dimenticati, di non essere considerati soltanto le note stonate di una narrazione dei fatti appiattita sul paternalismo padronale, ossessionata dal decoro urbano e dalla qualità delle eccellenze del territorio agricolo circostante. La morte che spesso attende in agguato chi lavora, in campagna e altrove, non è una tragica fatalità ma l’espressione più estrema di una condizione di ‘normale’ sfruttamento, che sistematicamente, a gradi variabili, produce sofferenza e afflizioni, fisiche e mentali.

      https://www.meltingpot.org/2023/12/lultimo-kiwi-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

      #kiwi #kiwis

  • Édouard Morena : « Les #ultrariches ont la mainmise sur les #politiques_climatiques »
    https://reporterre.net/Edouard-Morena-Les-ultrariches-ont-la-mainmise-sur-les-politiques-climat

    Édouard Morena : « Les ultrariches ont la mainmise sur les politiques climatiques »
    Édouard Morena : « <small class="fine d-inline"> </small>Les ultrariches ont la mainmise sur les politiques climatiques<small class="fine d-inline"> </small> »

    Dans son livre « #Fin_du_monde et #petits_fours », le chercheur Édouard Morena montre comment les #hyper-riches se construisent une image de héros du #climat pour préserver leurs #profits.

    #Jets privés, super-yachts, #évasion dans l’espace : face à l’urgence climatique, les ultrariches et leur mode de vie ont mauvaise presse. Dans son livre Fin du monde et petits fours, à paraître le 9 février, le chercheur en sciences politiques à l’université de Londres, Édouard Morena, montre comment ces élites, au-delà de symboliser la surabondance et l’excès, sont aussi « des acteurs engagés et influents qui délimitent et imposent le champ des possibles de l’action climatique ». Face à la menace, ces grandes fortunes promeuvent le capitalisme vert comme unique issue pour garantir leurs intérêts de classe, au détriment de politiques plus efficaces et socialement justes. Alors : « Fin du monde. Fin du mois. Fin des riches. Même combat », comme l’écrit Édouard Morena ? Reporterre l’a rencontré dans les locaux de son éditeur, La Découverte, dans le 1ᵉʳ arrondissement de Paris.

    Reporterre — Les ultrariches sont de plus en plus considérés comme des « criminels climatiques ». À juste titre ?

    Édouard Morena — Oui, car les faits sont têtus : ce sont les ultrariches qui détruisent la planète. Depuis plusieurs mois, des comptes Twitter suivent les super-yachts et les jets privés de Bernard Arnault (milliardaire et directeur de LVMH) et consort, et des actions de désobéissance civile dénoncent leurs excès. Mais la responsabilité des élites dans la crise climatique ne se limite pas à leurs modes de vie carbonifères ou à certaines attitudes de repli dans des bunkers : ils ont pris la barre du bateau, d’où ils orientent les politiques de transition bas carbone.

    Ce qui distingue les ultrariches du commun des mortels, c’est leurs immenses fortunes. Ils ne les conservent pas sous leurs oreillers mais les investissent dans tout un tas de projets climaticides. L’an dernier, Greenpeace et Oxfam ont révélé que le patrimoine financier de 63 milliardaires français émettait autant de gaz à effet de serre que celui de la moitié de la population française [34 millions de personnes]. Et en même temps, ces centaines de milliards d’euros investis sont exposées aux conséquences du dérèglement climatique, voire aux politiques climatiques, qui peuvent dévaluer leurs actifs. Imaginez un hôtel de luxe en bord de mer à Miami, menacé par la montée des eaux. Il perd de la valeur. Ces détenteurs d’actifs sont donc à la fois « forceurs de climat » et très « vulnérables au climat ».

    Pour préserver leurs fortunes, les ultrariches ont donc compris qu’ils devaient mouiller la chemise et s’engager dans le débat climatique, à la fois pour réduire la menace, mais aussi pour la transformer en nouvelle source de profits. C’est cette dimension-là, peut-être moins visible mais qui pose des problèmes profonds, que j’ai voulu documenter dans Fin du monde et petits fours.

    Dans le livre, vous présentez la « jet-set climatique », un groupe d’ultrariches qui prétendent guider nos sociétés vers un monde bas carbone. Qui sont-ils ?

    C’est une sorte d’avant-garde éclairée de la classe dominante, qui a identifié avant les autres, à partir du début des années 2000, l’intérêt qu’avaient les super-riches à orienter le débat climatique. Plusieurs figures de proue de ce capitalisme climatique sont de riches hommes d’affaires qui ont bâti leurs richesses grâce au développement des nouvelles technologies de l’information et de la communication, ou de la finance privée.

    La #philanthropie_climatique a joué un rôle central dans la diffusion et la normalisation de leur « esprit vert ». Tout comme leurs interventions publiques, savant mélange de constats d’urgence, de critiques du manque d’ambition des États, et de célébrations des forces du marché. À l’image de Jeff Bezos, le fondateur d’Amazon et du Bezos Earth Fund, qui a tenu un discours à la COP26 en 2021, ils n’hésitent pas à personnaliser l’enjeu climatique en mettant en avant leur trajectoire personnelle, à se présenter comme les seuls capables de nous tirer d’affaire.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/04/17/edouard-morena-les-ultra-riches-ont-tout-interet-a-orienter-les-politiques-c

  • Doing Interactive Documentary Conference - Lucerne (Suisse), mars 2023
    http://www.davduf.net/doing-interactive-documentary-conference-lucerne

    KEYNOTE | DAVID DUFRESNE Everything Has Changed / Everything to Change. The conference “Doing Interactive Documentary – Looking at a Relational Practice” will focus on practices in the production of documentary formats, where the key is to be seen in aspects of interaction. Of particular interest is the interplay between artistic and technical aspects in the production of interactive documentaries and the question to what extent technological innovations can generate creative potential or (...) #Petits_ateliers_entre_amis,_cours_et_formations

    / Une, #Festival

  • Doing Interactive Documentary Conference - Lucerne (Suisse), mars 2023
    http://www.davduf.net/doing-interactive-documentary-conference-2023

    KEYNOTE | DAVID DUFRESNE Everything Has Changed / Everything to Change. The conference “Doing Interactive Documentary – Looking at a Relational Practice” will focus on practices in the production of documentary formats, where the key is to be seen in aspects of interaction. Of particular interest is the interplay between artistic and technical aspects in the production of interactive documentaries and the question to what extent technological innovations can generate creative potential or (...) #Petits_ateliers_entre_amis,_cours_et_formations

    / Une, #Festival

  • Vos données sur Adobe Creative Cloud utilisées par défaut pour entraîner des IA
    https://www.nextinpact.com/lebrief/70764/vos-donnees-sur-adobe-creative-cloud-utilisees-par-defaut-pour-entrainer

    C’est une évidence depuis la création de Gmail : ce qui est « dans le cloud » ne vous appartient plus vraiment totalement et devient un asset de l’entreprise qui gère votre activité cloud.

    En utilisant Adobe Creative Cloud, vous donnez, par défaut, l’autorisation à l’entreprise d’utiliser vos créations pour entrainer ses algorithmes d’intelligence artificielle. DPReview explique qu’une option pointée par le compte Twitter du logiciel libre de peinture numérique Krita est activée dans la partie « content analysis » des options de compte Adobe.

    Celle-ci permet à l’entreprise d’« analyser votre contenu Creative Cloud ou Document Cloud afin de fournir des fonctionnalités de produit et pour améliorer et développer nos produits et services. Le contenu Creative Cloud et Document Cloud inclut, sans s’y limiter, les fichiers image, audio, vidéo, texte ou document ainsi que les données associées », explique la FAQ d’Adobe qui précise aussi que le contenu stocké localement n’est pas analysé.

    Cette FAQ indique qu’ « Adobe utilise principalement le machine learning dans Creative Cloud et Document Cloud pour analyser votre contenu ». Lorsque cette analyse est effectuée, « nous agrégeons d’abord votre contenu avec d’autres contenus, puis utilisons le contenu agrégé pour former nos algorithmes et ainsi améliorer nos produits et services », ajoute Adobe.

    Pour désactiver cette option, il faut se connecter sur https://account.adobe.com/privacy puis dans la section Analyse de contenu, passer sur « off » le bouton « Autoriser mon contenu à être analysé par Adobe à des fins d’amélioration et de développement de produits ».

    #Cloud #Adobe #Intelligence_artificielle #Petits_caractères

  • Le scandale des “cueilleurs de myrtilles” thaïlandais exploités en #Finlande

    Depuis plusieurs années, des milliers de Thaïlandais se rendent en Finlande pour travailler à la #cueillette des myrtilles. Ils sont attirés par des salaires qu’ils ne pourraient jamais gagner chez eux, mais, une fois sur place, les conditions sont loin d’être idylliques. Certains d’entre eux ont fait appel à la justice.

    L’expérience de Praisanti Jumangwa en Finlande remonte à presque dix ans, mais le récit que livre ce Thaïlandais au South China Morning Post (https://www.scmp.com/week-asia/people/article/3198442/thai-migrant-workers-demand-action-berry-picking-hardships-finland-go-unheard) reste riche en détails.

    “En 2013, un recruteur est arrivé dans notre village et a dit qu’on serait payés entre 2 600 et 5 220 euros pour cueillir des #myrtilles_sauvages en Finlande pendant deux mois.”

    Il s’agit d’un salaire mirobolant comparé à ce que peut gagner un agriculteur thaïlandais dans son pays, ce qui pousse Praisanti Jumangwa à accepter l’offre et à se rendre dans ce pays du nord de l’Europe, où il restera de juillet à octobre cette année-là.

    De toute évidence l’expérience n’a pas été à la hauteur de ses attentes puisque, “le mois dernier, Praisanti et plus d’une douzaine d’autres cueilleurs de myrtilles ont décidé de présenter une pétition (adressée notamment au Parlement et au ministère du Travail thaïlandais) pour demander d’accélérer les indemnisations et les poursuites judiciaires inhérentes à leur cas”, note le média de Hong Kong.

    Certains Thaïlandais ont donc fait appel à la #justice après leur expérience en Finlande, mais pourquoi ?

    Promesses salariales non tenues, horaires à rallonge, conditions de logement déplorables, un autre témoignage recueilli par le média anglophone, celui de Teerasak Pakdinopparat, permet d’y voir plus clair.

    “Je travaillais du lever au coucher de soleil, c’est-à-dire de 4 heures du matin à 11 heures du soir, raconte ce Thaïlandais de 44 ans qui, lui, était en Finlande cette année, de juillet à octobre. Dans notre campement, on était jusqu’à six personnes pour partager un espace de 3 fois 3 mètres, et il y avait seulement trois toilettes pour plus de 100 personnes.”

    “Il ne me restait plus que 247 euros”

    Quant à la question salariale, “après avoir cueilli 1 681 kilos de myrtilles et près de 700 kilos d’#airelles rouges [selon ses fiches de paie], Teerasak a gagné 2 772 euros”, nous apprend le South China Morning Post. Peu, très peu lorsque l’on calcule qu’après des dépenses comme “le loyer, la voiture, l’essence, les vêtements, une carte SIM et un prêt de l’entreprise, il ne lui restait que 247 euros”. En 2013, déjà, Praisanti Jumangwa avait été payé beaucoup moins que ce que lui avaient promis ses “recruteurs”.

    Pour le syndicaliste thaïlandais (établi en Finlande) Promma Phumipan, le recours à la #tromperie sur les salaires par les agences thaïlandaises qui recrutent ce personnel est une pratique récurrente, et celles-ci ne s’arrêtent pas là, puisqu’elles embaucheraient aussi des travailleurs avec des visas touristiques.

    Le PDG d’une entreprise finnoise emprisonné

    Des pratiques frauduleuses qui commencent à être dans le viseur de la justice finnoise, puisque, selon le quotidien de Hong Kong, “les plaintes de Teerasak et de son groupe ont eu pour conséquence l’emprisonnement du PDG d’une entreprise finnoise et d’un recruteur thaïlandais représentant trois entreprises finnoises qui avaient demandé à embaucher environ 800 travailleurs”.

    Presque une goutte d’eau dans l’océan car, selon le militant Junya Yimprasert, plus de 110 000 travailleurs se sont rendus en Finlande et en #Suède pour cueillir des myrtilles entre 2005 et 2022. Beaucoup d’entre eux ont été exploités, mais encore très peu de responsables de ces abus sont punis.

    https://www.courrierinternational.com/article/travail-le-scandale-des-cueilleurs-de-myrtilles-thailandais-e
    #travail #saisonniers #migrations #myrtilles #agriculture #exploitation #fruits_rouges #baies #petits_fruits

  • Tout comprendre à l’affaire Pannier-Runacher en 4 points et 7 minutes
    https://www.frustrationmagazine.fr/pannier-runacher

    Mardi 8 novembre, le média Disclose a révélé les liens entre la ministre de la Transition écologique Agnès Pannier-Runacher et une société d’investissement fondée par son père, haut cadre dans l’industrie pétrolière, et co-administrée par… ses trois enfants. La ministre n’a pas déclaré l’existence de cette société, contrairement aux obligations légales en vigueur depuis l’affaire […]

  • Poivrons farcis au maïs
    https://www.cuisine-libre.org/poivrons-farcis-au-mais

    Ajouter une partie du fromage au maïs et saupoudrer de sel, de poivre et de paprika. Battre les jaunes de 2 œufs ; ajouter et mélanger. Incorporez ensuite les blancs battus en neige. Retirer le dessus des poivrons ; retirer les graines et remplir avec le mélange. Saupoudrer de fromage râpé et de chapelure sur le dessus et cuire à #Four chaud. #Poivron_vert, #États-Unis, #Maïs_doux, #Petits_farcis / #Sans viande, #Sans lactose, #Végétarien, Four

  • Le Centre d’histoire du travail fête ses 40 ans !
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#Nantes

    Reportées pour cause de pandémie, les festivités auront lieu le samedi 2 octobre aux Salons Mauduit, 10, rue Arsène-Leloup, Nantes : 13 h 30, accueil ; 14 heures, table ronde, animée par Marie Cartier, « Les classes populaires contemporaines : de la scène professionnelle à la scène domestique » (avec Marie-Hélène Lechien, Olivier Masclet, Matéo Sorin, Lucas Tranchant et Ingrid Hayes) (...)

    #CHT #Nantes #classespopulaires #PetitsBonnets #lingerie

  • Omelette marocaine (mhemmer) aux petits pois carottes
    https://www.cuisine-libre.org/omelette-marocaine-mhemmer-petits-pois-carottes

    Au #Maroc, aucune fête digne de ce nom sans cette classique grosse omelette aux pommes de terre, #Petits_pois et carottes ! Éplucher et cuire les pommes de terre jusqu’à ce qu’elles soient tendres, environ 20 minutes. À l’aide d’une fourchette, écraser les pommes de terre grossièrement, sans les réduire en purée fine. Battre les œufs en omelette avec le curcuma et le persil. Saler et poivrer à votre goût. Incorporer à la purée de pommes de terre. Ajouter les petits pois et carottes. Bien mélanger. Verser… #Œufs, Petits pois, #Omelettes_et tortillas, Maroc, #PdT_à chair_farineuse / #Sans viande, #Sans gluten, #Sans lactose, (...)

    #Four

  • Avec la propriété fractionnée, tableaux et baskets rares accessibles à tous

    (AFP) - Un Basquiat, des Yeezy ou une Ferrari à portée de toutes les bourses, c’est la promesse des plateformes de propriété fractionnée, de plus en plus nombreuses, qui vendent des participations dans ces objets rares, à partir de quelques dollars.

    Transformer un tableau à 6 millions de dollars en 284.420 parts à 20 dollars pièce : c’est l’opération qu’a réalisée, sur le papier, la plateforme Masterworks, avec « The Mosque », de Jean-Michel Basquiat, au printemps 2020. Dans ces conditions, pas question d’accrocher la toile chez soi, de garer une Lamborghini dans son garage ou de ranger ces six bouteilles de Romanée-Conti dans la cave à vin.

    Mais avec un morceau de propriété, équivalent aux actions d’une société cotée, n’importe qui peut désormais profiter directement d’une hausse de la valeur de ces biens, comme un collectionneur fortuné. Qu’il s’agisse des tableaux ou de cartes de baseball, « ce n’est pas une industrie nouvelle », fait valoir Ezra Levine, directeur général de Collectable, plateforme spécialisée dans les objets sportifs de collection.

    « Ce n’est pas comme les cryptomonnaies, inventées il y a dix ans », dit-il. « Ce sont seulement les moyens qu’ont les gens de participer (à ce marché) qui ont radicalement changé », dit-il.


    Cartes Pokémon
    Slugger, surnom d’un collectionneur qui a préféré rester anonyme, a réalisé un bénéfice de 500% sur quelques actions d’une boîte de cartes Pokémon, dont le prix initial était de 125.000 dollars. La plateforme Rally l’avait proposée via une introduction en Bourse, similaire à la mise sur le marché de n’importe quelle société et soumise au contrôle du régulateur américain des marchés, la SEC.

"Ces plateformes ont ouvert cette catégorie d’actifs à des gens qui n’ont pas les moyens de s’acheter une carte (de collection de Michael) Jordan", résume John Schuck, dont les participations atteignent environ 20.000 dollars dans des voitures, des tableaux ou des objets sportifs.

Le concept de la propriété partagée d’actifs physiques n’est pas récent et a commencé avec l’immobilier. Depuis une vingtaine d’années, il s’était élargi aux jets privés et autres yachts, mais avec des prix d’entrée toujours élevés, inaccessibles au grand public. Les nouvelles plateformes les ont radicalement abaissés, jusqu’à moins de dix dollars l’action.

De tels prix d’entrée permettent par exemple d’accéder à des baskets de collection, dont la culture « sneakers » a fait des objets cultes, explique Gerome Sapp. Sa plateforme, Rares, mettra ainsi en vente, mi-juin, des actions de la paire de Nike Air Yeezy 1 inspirée par Kanye West, qu’elle a acquise 1,8 million de dollars fin avril, un record.


    « Un pur investissement » 

Mais la dimension affective n’est plus la même, car la plupart des actionnaires ne verront jamais l’objet en personne, à la différence des collectionneurs à l’ancienne. Rally a bien ouvert un musée à New York, qui présente une partie des pièces cotées sur la plateforme, et Masterworks une galerie, mais peu comptent s’y rendre.

"Le fait que je ne puisse pas les toucher ôte toute émotion", explique Gregg Love, qui appartient à cette génération de collectionneurs d’un nouveau genre. « Je ne ressens aucune connexion avec aucun de ces objets », confirme Slugger. « Pour moi, c’est un pur investissement et un divertissement ».

Considérée comme pionnière de cette nouvelle tendance de propriété fractionnée, Rally a connu une accélération majeure avec la pandémie, et a dépassé les 200.000 utilisateurs, avec environ 25 millions de dollars d’actifs cotés sur la plateforme. Derrière Rally, trois plateformes concurrentes - Otis, Collectable et Masterworks, plus orientée art - comptent, ensemble, plus de 200.000 utilisateurs. Beaucoup d’entre eux sont cependant actifs sur plusieurs plateformes en même temps.

Pendant la pandémie, télétravail, confinement et réduction des loisirs ont offert du temps et de l’épargne à de nombreux Américains, notamment de jeunes professionnels, qui se sont tournés vers la Bourse ou de nouveaux investissements.

"Beaucoup de gens avaient de l’argent sur leur compte et cherchaient un endroit où le placer (...), nous avons été gâtés avec les retours sur certains investissements depuis un an", dit John Schuck. Avec la sortie progressive de la crise sanitaire, il observe désormais « un ralentissement » du marché, dit-il. D’autres évoquent aussi l’effet d’une augmentation peut-être trop rapide de l’offre.


    Brusques fluctuations 


    Même si le prix de nombreux objets demeure supérieur, parfois sensiblement, à leur valeur d’introduction, certains s’inquiètent parfois de brutales fluctuations de prix, nettement plus marquées qu’en Bourse.

La propriété fractionnée est encore un marché expérimental, où les risques sont bien réels en matière de valorisation. Slugger évoque des « ventes paniques » de récents investisseurs, alors que « rien n’a changé fondamentalement pour l’essentiel de ces actifs ».

Pour Ezra Levine, à long terme, les plateformes offrent néanmoins « une méthode de valorisation beaucoup plus optimale » qu’avant. Elles ont renforcé transparence et démocratisé l’accès, de sorte que « beaucoup de gens peuvent peser sur les prix, plus seulement un petit groupe ».

    Source : https://fr.fashionnetwork.com/news/Avec-la-propriete-fractionnee-tableaux-et-baskets-rares-accessibl

    #propriété_fractionnée #propriété_partagée #plateformes #actions #bourse #petits_actionnaires #capitalisme #finance

  • Travail à la demande - Regarder le documentaire complet | ARTE
    https://www.arte.tv/fr/videos/075833-000-A/travail-a-la-demande
    https://api-cdn.arte.tv/api/mami/v1/program/fr/075833-000-A/1920x1080?ts=1619444271&watermark=true&text=true

    Livraison de repas à domicile, voitures avec chauffeur, participation rémunérée à des sondages : « l’économie des #petits_boulots » ou « #gig_economy » génère un chiffre d’affaires planétaire de 5 000 milliards de dollars, en constante expansion. Des États-Unis au Nigeria, de la France à la Chine, un voyage à la rencontre des travailleurs « #à_la_tâche » de l’économie numérique mondialisée.

  • Loi « séparatisme » : la droite dépose un pot-pourri d’amendements - Page 1 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/160121/loi-separatisme-la-droite-depose-un-pot-pourri-d-amendements

    Le festival des réacs rances :

    À l’Assemblée nationale, l’examen du projet de loi confortant le respect des principes de la République s’annonce aussi fastidieux qu’éclectique. La droite – majorité et opposition confondues – a fait d’un texte censé lutter contre le « séparatisme » le véhicule législatif de nombre de ses marottes : immigration, logement social, écriture inclusive…

    Dans l’ensemble, les quelque 1 682 amendements déposés donnent à voir une surenchère de propositions sécuritaires et répressives qui doivent encore passer le filtre de la commission spéciale, réunie à partir de lundi, pour être débattues dans l’hémicycle. Petit florilège.

    Interdire les signes religieux pour les mineurs (et emprisonner les parents)

    Deux députés de la majorité, Aurore Bergé et Jean-Baptiste Moreau, veulent proscrire le port de signes religieux ostentatoires dans l’espace public pour les mineurs. Une « continuité » de la loi de 2004 qui le fait déjà à l’école, expliquent-ils dans l’exposé des motifs. Avant 18 ans, le port d’un voile, d’une kippa ou d’une croix serait donc interdit dans la rue. Les parents seraient passibles d’un an d’emprisonnement et de 15 000 euros d’amende.

    Interdire le voile pour les mamans accompagnatrices en sorties scolaires

    La droite ressort une de ses antiennes : l’interdiction du port du voile pour les mamans accompagnatrices lors des sorties scolaires. Sur ce sujet comme sur d’autres, les positions des droites traditionnelle et macroniste convergent : Éric Diard, Éric Ciotti, Annie Genevard (Les Républicains), François Cormier-Bouligeon, Pierre Henriet ou encore Aurore Bergé (La République en marche) soumettent des amendements aux rédactions proches et aux visées similaires.

    Dans un autre amendement, le député LR Éric Pauget fait référence à la polémique autour de Maryam Pougetoux, porte-parole de l’Unef, pointée du doigt en septembre pour s’être présentée voilée à une commission d’enquête de l’Assemblée nationale. Il souhaite que les « personnes participant à l’exercice ou aux travaux d’une mission de service public à titre rémunéré ou bénévolement » soient tenues de « respecter les exigences de neutralité religieuse ».

    Restreindre le droit du sol

    Éric Ciotti (LR) a de la suite dans les idées. Le député des Alpes-Maritimes souhaite insérer dans la loi contre le séparatisme une disposition qu’il appelle de ses vœux depuis de longues années : la fin de l’acquisition de la nationalité française pour les enfants nés en France de parents étrangers. Seuls les enfants de ressortissants de l’Union européenne conserveraient ce droit séculaire.

    Interdire l’écriture inclusive

    Le député LREM de Vendée, Pierre Henriet, a trouvé une autre façon de conforter les principes républicains : lutter contre l’écriture inclusive, qu’il estime être « une version dévoyée de la langue française ».

    L’élu de la majorité propose donc à l’Assemblée nationale de voter l’obligation pour les communications officielles d’être écrites « conformément aux prescriptions de l’Académie française, à l’exclusion notamment de toutes les marques de ponctuation et syntaxes arbitraires et contraires à la grammaire insérées au milieu des mots – traits d’union, point normal ou point médian par exemple ».

    Assouplir la loi SRU et les contraintes de logement social

    C’est une autre obsession récurrente à droite : la loi Solidarité et renouvellement urbain (SRU), qui oblige les communes de plus de 3 500 habitants à avoir un seuil minimum de 25 % de logements sociaux. Robin Reda, député LR de l’Essonne qui a rejoint le mouvement Libres ! en 2019 , a signé plusieurs amendements pour revenir sur les exigences de cette loi, qui place de nombreux maires (souvent de droite) en situation d’infraction.

    L’objectif est à chaque fois de desserrer l’étau qui contraint ces édiles à construire des logements sociaux. L’élu du groupe LR souhaite ainsi que, pour les communes en infraction avec la loi, le taux de 25 % soit calculé sur les logements bâtis depuis trois ans, et non sur la totalité des logements de la ville. Il propose aussi de sortir de la loi les villes situées en « zone non tendue ».

    Deux autres amendements visent à fixer un seuil maximal de logements sociaux, en plus du seuil minimal qui existe déjà : magnanime, Robin Reda offre deux options à ses collègues (30 % et 40 %).

    Expulser les fidèles étrangers d’une mosquée fermée par l’État

    Signé par une dizaine de députés de droite et également porté par Robin Reda, un amendement vise à permettre l’expulsion de « tout ressortissant étranger qui a fréquenté habituellement un lieu de culte ayant fait l’objet d’une mesure de fermeture » pour provocation à la violence, à la haine, à la discrimination ou au terrorisme.

    Exemple concret : dans le cas de la mosquée de Pantin récemment fermée pour six mois, cela signifie que n’importe quel habitant du quartier de nationalité étrangère pourrait être expulsé au motif qu’il fréquentait le lieu de culte.

    Interdire l’école à la maison... mais pas pour tous

    L’article 21 concernant l’encadrement strict de l’instruction en famille – qui ne pourra être autorisée par dérogation qu’en raison de la situation particulière de l’enfant (état de santé, pratique physique ou artistique intense, itinérance de la famille) a suscité un déluge d’amendements. Comment cibler l’instruction salafiste – si ce n’est, au fond, musulmane – sans se mettre à dos les catholiques traditionnalistes qui font l’école à la maison ?

    Tel semble le défi posé à une partie de la droite. L’amendement 789 déposé par Julien Ravier (LR) propose que les familles remplissent un formulaire justifiant « les raisons du choix de l’instruction en famille, les méthodes pédagogiques employées et le respect des principes de la République, dont la connaissance et la maîtrise de la part des parents doit être démontrée ».

    Avec cette précision : « Les déclarations incomplètes ou non conformes aux principes de la République, ou faisant état d’un manque de maîtrise de la langue française entraînent un contrôle a priori de l’autorité compétente de l’État en matière d’éducation et de la mairie ». Habile.

    Sanctionner de six mois de prison le port du voile intégral

    Interdite depuis 2010, la dissimulation du visage dans l’espace public est sanctionnée d’une amende de 150 euros, à laquelle peut s’ajouter un stage de citoyenneté. Sous l’impulsion d’Éric Ciotti, une vingtaine de députés LR (dont Damien Abad, le président du groupe) proposent de durcir cette peine. Les femmes qui portent le voile intégral seraient passibles de six mois d’emprisonnement et 3 750 euros d’amende. Une sévérité qui s’explique, écrivent les parlementaires LR, par « la gravité de l’atteinte » portée aux « valeurs essentielles » de la société.

    Obliger les fonctionnaires à prêter serment à la République

    L’amendement d’Éric Diard (LR) veut instaurer une prestation de serment solennelle pour chaque fonctionnaire avant sa prise de fonction. Celui-ci y déclarerait « adhérer loyalement et servir avec dignité » la République et ses valeurs. Le texte ne précise pas si, au cours de ce cérémonial, l’agent devra poser sa main droite sur la Constitution de 1958.

    Sur le même sujet, Anne-Laure Blin (LR) propose que nul ne puisse accéder à un poste de fonctionnaire « s’il est radicalisé[e] ». Sans aucune précision sur la réalité juridique que recouvre ce terme, ni sur la manière de le démontrer.

    Armer toutes les polices municipales de France

    Pour conforter le respect des principes républicains, Anne-Laure Blin souhaite utiliser la manière forte. Dans un lien peu évident avec le texte en question, l’élue de Maine-et-Loire veut faire passer un amendement déjà retoqué au moment de la loi « sécurité globale ». Celui-ci prévoit que « la création d’une police municipale » ait « pour conséquence directe » l’armement de ses agents. Actuellement, chaque maire a la possibilité (et non l’obligation) d’armer sa police municipale, sur autorisation du préfet.

    Lier la création d’un compte Twitter à l’envoi d’une pièce d’identité

    Député le plus actif sur le texte avec Robin Reda, Éric Ciotti a déposé un amendement pour mettre fin au pseudonymat sur les réseaux sociaux. Pour créer un compte sur Twitter ou Facebook, chaque utilisateur devrait fournir une pièce d’identité ainsi qu’une déclaration de responsabilité. Une disposition qui semble contrevenir au règlement général sur la protection des données (RGPD), en vigueur dans toute l’Union européenne.

    L’élu des Alpes-Maritimes propose aussi de maintenir enfermées les personnes condamnées pour des actes terroristes à l’issue de leur peine. Une mesure déjà retoquée en juillet 2020 par le Conseil constitutionnel : cette fois, le groupe LR présente cette rétention comme un « placement en centre socio-médico-judiciaire de sûreté », « tant qu’ils constituent une menace pour la société ».

    C’est enfin le même Éric Ciotti qui demande d’ajouter à la loi la création d’un délit d’incitation à la haine de la France, l’expulsion de tous les étrangers fichés S, l’instauration de quotas sur l’immigration ou encore l’introduction d’un système de points pour autoriser un étranger à vivre en France (fondé sur le niveau d’études, l’expérience professionnelle…).

    #droite #racisme #islamophobie #mysoginie #petits_blancs et j’en passe et des meilleures...

  • « La logique de l’honneur. Gestion des entreprises et #traditions_nationales »

    Ce livre date de 1989 et vous devez vous demander pourquoi je lis des ouvrages aussi anciens…Et bien, après coup, je constate que nombre de problématiques « actuelles » sont en fait « anciennes » ! Imaginez ma surprise lorsque je suis tombée sur le chapitre dédié à la « #flexibilité » ou à la « #mobilisation » où il est question de définir une « #politique_de_motivation » à l’attention des ouvriers. A l’époque, les entreprises faisaient déjà face à un environnement turbulent, avec de nouvelles conditions de #concurrence et devaient ajuster fréquemment leur production et donc se montrer flexibles, notamment en introduisant plus de souplesse dans les organisations. Il y a près de 20 ans déjà, il apparaissait urgent de « mobiliser » les ouvriers car on s’était rendu compte que « le #savoir et l’#enthousiasme des exécutants constituent le premier gisement de #productivité des entreprises. » Puisque les problématiques de #GRH et de #management sont les mêmes aujourd’hui, qu’hier, il ne me semble pas incohérent de plonger dans l’histoire de la culture française pour tenter de comprendre les raisons de certaines mobilisations, résistance au changement ou échec des réorganisations.

    Gestion des entreprises et traditions nationales.

    La préface du livre critique la #sociologie_des_organisations qui « ne s’intéresse guère aux #cultures_nationales ni à l’#histoire », et tente de justifier l’approche culturelle de la gestion d’entreprise abordée par l’auteur via l’étude de trois usines (une en #France, une aux #Etats-Unis et la dernière aux #Pays-Bas). A sa sortie, il a en effet « suscité nombre d’interrogations et quelques réactions négatives. »

    Aujourd’hui nul ne remet en cause la spécificité du management français, japonais ou suédois, chacun étant marqué par une #culture particulière, avec ses codes et usages liés à la société dans laquelle il s’est construit. Voilà pourquoi les grandes entreprises forment leurs cadres au #management_interculturel et leurs commerciaux à la culture du pays cible.

    « C’est avoir tort que d’avoir raison trop tôt. » Marguerite Yourcenar
    Une société d’ordres, basée sur l’honneur.

    Au Moyen-Age, dans un Etat monarchique, la société est divisée en trois « ordres » : le clergé, la noblesse et le tiers-état (le commun, le peuple). Les premiers sont dédiés au service de Dieu, les seconds préservent l’Etat par les armes et les derniers produisent les moyens de subsistance. Cette structuration s’appuie sur l’opposition entre le pur et l’impur. Le clergé se veut le plus pur, par la chasteté et le service de Dieu tandis que le peuple, caractérisé par sa condition servile, est impur. La noblesse est en position médiane car exempte de l’impureté de la condition servile mais loin de la pureté de Dieu car marqué par la souillure des armes et de l’acte sexuel.

    La quête de #pureté crée des sous-groupes au sein des ordres : on peut citer les chevaliers qui se consacraient aux croisades et réalisaient donc un service noble, sous la protection du Pape, et les bourgeois qui se distinguaient de la plèbe par leur richesse acquise par le négoce et non le labeur (travail manuel). Au XIX° siècle, on peut évoquer l’émergence du #compagnonnage qui permet à ces ouvriers de se hisser au-dessus du prolétariat (ouvriers à la chaîne). A travers l’initiation, les épreuves, l’intronisation dans un Devoir, ils ennoblissent le travail manuel.

    La #fierté du rang et la #crainte d’en déchoir.

    Selon l’auteur, ce qui permet d’éviter de faire sombrer le gouvernement monarchique dans le despotisme et limite l’irresponsabilité des sujets, c’est l’#honneur. Ce que chacun considère comme honorable est fixé par la #tradition. C’est intimement lié à la fierté que l’on a de son rang et à la crainte d’en déchoir, en faisant quelque chose d’inférieur à son rang.

    L’auteur nous explique, en relatant diverses situations de travail, que la fierté et le devoir inhérents au rang poussent les ouvriers à se dévouer à leurs tâches, à bien faire au-delà des comptes à rendre (ce serait déchoir que de faire du mauvais boulot).

    Aux Etats-Unis, l’auteur constate que le principe d’#égalité, profondément ancré dans la société, et l’ancienneté sur laquelle se fondent l’avancement et l’attribution des postes, peuvent favoriser la #médiocrité. Ce ne sont que les relations personnelles, entre ouvriers et responsables, et les marques de #reconnaissance de ces derniers, qui motivent les salariés à faire du bon boulot.

    En France, ce sont les mêmes valeurs qui limitent les incursions des contremaîtres dans les ateliers (contrôler c’est offensant, c’est une sorte d’ingérence indue dans le travail des ouvriers) et restreignent les interventions aux problèmes graves (ce serait déchoir que de s’occuper de menus problèmes). Ils avouent avoir du mal à savoir ce qu’il se passe…

    A l’inverse, aux Etats-Unis, l’auteur raconte que l’absence de contrôle du travail réalisé par l’ouvrier serait considérée par celui-ci comme un manque d’intérêt du supérieur, et donc mal perçue ! Dans cette société fondée par des marchands, pas d’ordres ni de rang, mais des citoyens égaux qui souhaitaient un cadre légal pour faire des affaires sur la base des valeurs marchandes d’#honnêteté.

    Certaines enquêtes récentes parlent du « #management_implicite » français. Selon d’Iribarne, les #rapports_hiérarchiques en entreprise devraient respecter le principe des rapports traditionnels entre suzerain et vassal et donc tenir compte du fait que la société française refuse l’image dégradante des rapports entre maître et laquais et que c’est déchoir que d’être soumis à l’#autorité de qui n’est pas plus noble que soi (ici rentrent en ligne de compte la compétence technique, l’expérience, le savoir et donc la formation du manager). D’où le mépris pour les #petits_chefs et les difficultés de certains pour se faire respecter…

    Aux Etats-Unis, l’auteur constate que l’ouvrier vend son travail sur la base d’un #contrat qui doit être fair, équitable, respectueux. Chaque usine établit également un contrat avec les syndicats (document à mi-chemin entre l’accord d’entreprise et la convention collective). Dans cette #relation_contractuelle, les règles et les devoirs de chacun sont clairement établis et le rôle de la #justice n’est pas éludé (l’auteur constate que les procédures d’arbitrages peuvent être nombreuses en entreprises).

    Dans son ouvrage « Où en sommes-nous ? » (2017), Emmanuel Todd, explique que le concept d’homme universel avec son égalitarisme qui fonde la société française, engendre un monde d’individus dont aucun n’accepte la #subordination à l’ensemble. D’où la réticence des Français à respecter les règles, les lois… et les procédures d’entreprise !

    C’est également la fierté qui peut créer des #tensions entre la production et la maintenance, si on fait sentir au personnel qu’il est « au service de » l’autre car la dépendance fonctionnelle est facilement vécue comme #servitude. Les témoignages indiquent que de bonnes relations personnelles inter-services permettent de considérer le dépannage comme un « #service », un « coup de main » et non un acte servile.

    Quand des ouvriers pontiers et caristes refusent d’apprendre le métier de l’autre afin de devenir pontier-cariste, c’est la force d’appartenance à un rang (l’#identité_métier) qui s’exprime, ainsi que la perte de repères : on sait plus où l’on est. Alors que dans une autre usine, les salariés ont bien accepté la création d’un nouveau métier, auquel étaient associés un état et une identité clairs.

    Aux Pays-Bas, l’auteur s’étonne de la #bonne_volonté et #souplesse des ouvriers ou contremaîtres qui acceptent les mutations internes de l’usine rendues nécessaires par une réduction de production. Le #pragmatisme sert la #culture_du_dialogue (expliquer, écouter, discuter) qui permet souvent d’aboutir à un #consensus en vue d’une #coopération efficace. Dans ce pays, le consensus est aux origines de la nation et se manifeste dans le fonctionnement des institutions politiques.

    Selon l’auteur, c’est également le #rang, l’opposition entre le plus ou moins noble et le refus de déchoir dans la société française qui permettent de comprendre l’importance du niveau atteint en matière de #formation, ainsi que le rôle si particulier joué par les grandes Ecoles et les concours qui permettent d’y accéder. Il en déduit le passage d’une hiérarchie du sang à une hiérarchie des talents, car les talents sont assimilés aux dons et donc à la naissance.
    Un rang, des #privilèges mais aussi des #devoirs.

    Chaque rang ouvre droit à des privilèges, mais contraint aussi à des devoirs. Renoncer aux premiers, se dérober aux seconds, c’est également attenter à son honneur. La coutume rend donc certaines choses quasi immuables…

    Voilà pourquoi toute remise en cause de quelque ampleur que ce soit est très difficile à réaliser et que les ouvriers français – qualifiés de #râleurs – défendent leur point de vue avec opiniâtreté en ayant recours à la #grève plus souvent que leurs voisins néerlandais ou allemands. L’auteur évoque la difficulté éprouvée par un chef de service qui souhaitait revoir les attributions du personnel de son équipe suite à un départ en retraite, ou encore la résistance des ouvriers face aux pressions indues de la maîtrise.

    La Révolution française a théoriquement mis fin à une société divisée en ordres mais… selon l’auteur, elle demeure divisée en groupes hiérarchisés ayant chacun ses privilèges et son sens de l’honneur. Les entreprises françaises, fortement hiérarchisées, où se pratique un management plutôt autocratique et rigide seraient un héritage de cette société structurée en ordres et révèlerait un idéal de centralisation monarchique.

    Songez à l’arrogance de certains cadres, leur attachement aux #symboles_de_pouvoir, ou encore à la #distance_hiérarchique, qui est relativement élevée en France comparativement aux Pays-Bas où on ne sent pas du tout la #ligne_hiérarchique […] ne serait-ce que dans les façons de s’habiller.

    L’auteur n’oublie pas de parler des limites ou effets pervers de chaque système car aucun n’est idéal. Cet ouvrage permet de créer des ponts entre passé et présent. Il rappelle ainsi que l’#entreprise est une #organisation_sociale constituant un reflet de la société. Cependant, quelle que soit l’époque, un mot d’ordre s’impose en matière de management :

    « Considérez vos hommes, écoutez-les, traitez-les avec justice ; ils travailleront avec cœur. » (citation issue de l’ouvrage)

    https://travailetqualitedevie.wordpress.com/2018/01/17/la-logique-de-honneur-philippe-diribarne
    #livre #Philippe_d’Iribarne #travail

  • La loi autorise la privatisation de kilomètres de nationales
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2020/09/18/la-loi-autorise-la-privatisation-de-kilometres-de-nationales_6052701_3234.ht

    Un décret, publié au « Journal officiel » le 15 août, établit les conditions auxquelles des sections de routes nationales pourront être cédées au privé. Certains y voient un nouveau cadeau aux sociétés concessionnaires.

    #privatisation

    • #Petits_arrangements_entre_amis : les concessionnaires proposent d’acquérir des portions de route pour en assurer l’entretien, en échange, ils négocient de prolonger la durée des concessions mais

      Prolonger la durée des concessions reviendrait à priver l’Etat de nouvelles recettes, estime un fin connaisseur du dossier. « Car plus une concession est vieille, plus elle est rentable », explique-t-il.

  • Curry vert de pois au tofu
    http://cuisine-libre.fr/curry-de-petits-pois-au-tofu

    Équeuter les pois mange-tout en retirant le fil. Couper le #Tofu en tranches puis en gros dès. Verser la pâte de curry dans une casserole chaude et cuire 30 secondes à feu moyen-élevé en remuant avant d’ajouter le lait de coco. Mélanger. Ajouter les #Petits_pois, les mange-tout et le tofu. Cuire 5 minutes à couvert, à petits bouillons. Vérifier la cuisson la cuisson des légumes, goûter et assaisonner à votre goût. Servir dans de grands bols, comme une soupe, ou sur du riz blanc…

    Tofu, Petits pois, #Pois_gourmand, #Currys / #Végétarien, Végétalien (vegan), #Sans viande, #Sans œuf, #Sans lactose, #Sans gluten, Mijoté
    #Végétalien_vegan_ #Mijoté

  • Décidément (mais est-ce vraiment une surprise ?) LREM est plein de gens charmants.

    Laetitia Avia, la députée LREM qui horrifie ses assistants - Page 4 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/120520/laetitia-avia-la-deputee-lrem-qui-horrifie-ses-assistants?page_article=4

    Alors que Laetitia Avia présente mercredi 13 mai en dernière lecture à l’Assemblée nationale sa proposition de loi de lutte contre la haine sur Internet, cinq ex-assistants parlementaires de la députée LREM dénoncent, preuves à l’appui, des humiliations à répétition au travail, ainsi que des propos à connotation sexiste, homophobe et raciste. L’élue « conteste ces allégations mensongères ».

    Laetitia Avia doit concrétiser mercredi à l’Assemblée un combat mené de longue date : le vote final de sa loi contre la haine en ligne. Avocate de formation et militante En marche de la première heure, elle a rapidement gravi les échelons, jusqu’à devenir députée de Paris en 2017, puis porte-parole du mouvement. Lors de son discours général, le premier ministre a même rendu un hommage appuyé à cette élue qui incarne le combat contre toutes les discriminations. Mais d’anciens assistants parlementaires de la députée livrent une version bien plus nuancée. Avec de nombreux documents à l’appui, ils ont accepté de parler, de raconter les coulisses et les méthodes de la porte-parole d’En marche. William, Sophie, Charlotte, Nicolas et Benoît (voir notre Boîte noire), la trentaine pour la plupart, reprochent à Laetitia Avia des humiliations au quotidien. Ils révèlent aussi d’importantes contradictions entre le discours public de l’élue et ses pratiques au travail.

    Aucun de ces assistants parlementaires n’a entrepris de démarche judiciaire. Au départ, d’ailleurs, Sophie ne voulait pas témoigner des pratiques de son ancienne cheffe, pour qui elle a travaillé plus d’un an en 2018. « J’ai tenté de passer à autre chose et il m’a fallu du temps pour me reconstruire, explique-t-elle. Mais de voir qu’elle va faire voter sa loi sur la cyberhaine, qu’elle se positionne sur tous les sujets anti-discrimination, j’ai dû mal à le supporter. » D’après elle, il y aurait « un fossé entre les valeurs qu’elle défend publiquement et ce [qu’elle a] constaté en travaillant à ses côtés ». Les cinq ex-collaborateurs rapportent tous avoir été témoins de propos à connotation sexiste, raciste et homophobe de la part de la députée. Leurs différentes alertes en interne étant restées lettre morte, ils se sont résolus à parler à Mediapart.

    Contactée, la députée nie d’emblée. « Il y a un élément sur lequel vraiment je suis sans appel, c’est le racisme, l’homophobie et le sexisme. Je ne les tolère pas. Je ne les tolère nulle part, y compris dans les cadres privés, y compris pour ce qui est considéré comme étant des blagues, qui ne participent en réalité qu’au racisme ordinaire » (voir notre Boîte noire). De nombreux documents obtenus par Mediapart montrent pourtant l’inverse.

    Selon ses anciens assistants, un ex-salarié d’origine asiatique, qui n’a pas souhaité livrer de commentaires, en faisait régulièrement les frais. « C’était son bouc émissaire, elle l’appelait parfois “le Chinois” ou reprenait des clichés racistes pour parler de lui », se souvient Sophie. Ainsi, en avril 2018, elle cherche à savoir qui a encaissé un chèque et l’accuse sur la messagerie cryptée Telegram, en confiant à un autre collaborateur : « Ça sent le Chinois. »

    Dans un autre message envoyé dans la boucle de toute l’équipe, elle écrit : « Tu es un faux Chinois, tu ne maîtrises pas Mac », par référence au cliché raciste qui veut que les personnes asiatiques soient plus compétentes en informatique.

    Juste avant de partir en vacances, le 12 août 2017, elle envoie une note vocale à toute l’équipe dans laquelle elle reproche notamment à ce salarié de ne pas avoir créé son site internet ni nettoyé son image. Laetitia Avia met en effet beaucoup d’énergie à faire oublier un article du Canard enchaîné révélant qu’elle avait mordu un chauffeur de taxi. Dans ce document sonore que Mediapart a pu écouter, elle demande très sérieusement : « Alexandre* étant vraiment, malgré ses origines, pas le meilleur sur les sujets informatiques, je vais transférer ces sujets-là à Nathalie*. Donc Nathalie*, maintenant, c’est vraiment une de tes priorités de ta rentrée, c’est ma e-réputation. […] Le site internet, je veux qu’on avance. Et Wikipédia. Wikipédia, il y a plusieurs choses à faire. Il faut prendre le contrôle sur cette page. Il ne suffit pas juste de supprimer le paragraphe sur Le Canard enchaîné, il faut le réécrire de toute façon et le sourcer quand on le réécrit. »

    En public, la députée mène aussi un travail en faveur des droits LGBT et rencontre régulièrement de nombreuses associations pour évoquer ce sujet. « Très honorée de porter haut et fort notre combat contre le racisme, l’antisémitisme, l’homophobie sur Internet : en mai, je déposerai une proposition de loi contre la cyberhaine », rappelait-elle sur Twitter. En privé, ce serait une autre histoire. « Régulièrement, elle se permet des sorties très déplacées sur l’orientation sexuelle d’un collègue homosexuel. »

    Parfois, la députée se lâche même à l’écrit, comme en avril 2018, juste après avoir voté un amendement en faveur des réfugiés LGBT. « On a voté l’amendement des PD », se félicite-t-elle, sans le moindre smiley pour nuancer son propos.

    Autre exemple resté dans la mémoire des assistants : le 6 juin 2018, devant son équipe, elle liste un à un, en commentant, les membres du gouvernement de l’époque. Et critique la communication d’une ex-ministre d’Édouard Philippe, d’après des documents que nous avons pu consulter : « C’est ma copine [mais] elle communique très mal sur ce qu’elle fait. C’est ce qu’il se passe quand tu mets un gay à la com’. »

    Aussi très active dans la lutte contre le sexisme – elle a notamment corédigé un rapport sur le harcèlement de rue –, Laetitia Avia publie de nombreuses interviews ou tweets sur le sujet. « Dans le monde politique aussi il faut combattre le sexisme du quotidien, les remarques déplacées ou le paternalisme », dit-elle en octobre 2018. Et d’ajouter : « Je suis fière d’être parmi ces dix femmes qui montent au front contre le sexisme… » Pourtant, devant son équipe, les propos sexistes fuseraient, selon ses ex-collaborateurs. « Elle insulte souvent les députées qu’elle n’aime pas de “pute”. Elle se moque aussi beaucoup de leur physique », révèle Nicolas, qui a gardé plusieurs messages pour le prouver. En janvier par exemple, elle envoie une photo de sa collègue et députée Aurore Berger pour la comparer au Pingouin dans Batman, le défi.

    En février, elle envoie une photo de la même députée pour commenter sa tenue.

    « Parfois, elle se moque du physique de certaines militantes de sa circonscription, mais aussi de membres de l’équipe quand ils ne sont pas là. L’un est trop gros, l’autre s’habille mal, se souvient Benoît. Avia, c’est une gamine de 4e B au collège qui n’a pas grandi et pour qui la vie est une cour de récré. Mais ça peut faire très mal quand c’est vous qui êtes ciblé. Et ce n’est pas digne, ni d’une supérieure hiérarchique, ni d’une représentante de la nation. »

    Trois anciens salariés évoquent aussi la fois où un conseiller de Paris et militant LREM a envoyé une photo de son sexe par erreur dans une boucle Telegram de députés. « Elle a fait une capture d’écran très rapidement et depuis montre cette photo à qui veut la voir, ainsi qu’à des députés. Même après l’affaire Griveaux, quand il apparaissait évident que cela participait à une forme de harcèlement, elle continuait d’exhiber cette photo pour se moquer de lui », raconte Sophie. Un témoignage corroboré par trois autres assistants parlementaires.

    « Parfois, on se demandait pourquoi elle avait voulu représenter LREM et faire de la politique », témoigne Benoît, qui estime que la députée « méprise ses électeurs ». Laetitia Avia délèguerait en effet la majorité de ces rendez-vous en circonscription. « Les rares fois où elle vient à sa permanence, elle fait tout pour ne pas répondre à ses administrés. »

    Les cinq anciens assistants parlementaires dénoncent également les méthodes de travail de la députée. « Avia, c’est un système qui vous broie », analyse aujourd’hui William, qui a travaillé avec la députée pendant plus d’un an. Selon lui, le turn-over de son cabinet donne déjà un indice : en à peine trois ans, six personnes ont déjà quitté son équipe et une autre s’apprête à le faire. Au sein de son bureau, Laetitia Avia s’entoure de trois collaborateurs, l’un qui gère sa circonscription du XIIe arrondissement de Paris, le deuxième qui s’occupe de sa communication et le dernier qui travaille les sujets législatifs.

    En 2017, comme les années suivantes, les reproches sont les mêmes : des conditions de travail intenables et une surveillance permanente de leur activité. Charlotte se souvient : « Travailler pour elle, c’était être sollicitée de 7 heures à 1 heure du matin. Même le week-end. » Tous disent avoir été « noyés » par le travail. « Si on lui disait que c’était trop ou qu’on n’avait pas dormi de la nuit, elle se fichait de notre état », dit Sophie.

    Progressivement, l’équipe accuse le coup et alerte quand elle le peut les nouveaux stagiaires qu’ils ont intérêt à « se blinder ». « Au début, j’essayais de me protéger mais, comme d’autres, j’ai été vite démunie. Il y avait un paradoxe insupportable : elle était capable de piquer de grosses colères ou de nous infantiliser en permanence, mais pouvait devenir tout à fait adorable ou s’excuser quand elle allait trop loin. Psychologiquement, c’est très dur à gérer et ça maintenait une emprise », explique William. « Je pensais constamment à vouloir démissionner sans y parvenir », ajoute Sophie.

    Parmi tous les assistants parlementaires que nous avons contactés, cinq ont donc accepté de raconter ce qu’ils avaient vécu. Les autres n’ont pas voulu répondre, à part une d’entre elles qui nous a expliqué : « Globalement, les députés sont exigeants. Pour ma part, j’ai travaillé avec elle pendant la campagne, avant qu’elle soit députée. Elle m’a donné ma chance et ça se passait globalement bien. Puis j’ai travaillé deux mois pour elle il y a deux ans lors d’un turn-over dans son équipe. Ça s’est bien passé. Elle ne m’a pas traumatisée. »

    Pour communiquer avec son équipe, Laetitia Avia passe principalement par un groupe sur l’application Telegram. C’est là qu’elle sollicite untel pour publier un tweet, un autre pour avoir une fiche de synthèse ou un compte rendu d’audition. « Elle avait l’habitude de critiquer notre travail ou de nous réprimander devant nos collègues, c’était très humiliant et cela maintenait une concurrence malsaine entre nous », relate Benoît. Dans un échange avec ses collaborateurs, elle-même reconnaît : « Je ne peux pas passer mon temps à vous taper dessus, à vous gueuler dessus. Ça m’épuise. »

    Le 31 janvier, elle va jusqu’à créer une conversation baptisée “Biiiiitch Talking” illustrée par une image d’un tableau à craie sur lequel est écrit « GOOD BYE ! » pour se moquer d’un de ses salariés dont elle venait se séparer. Elle y poste notamment un gif la représentant lui donner un violent coup de pied aux fesses.

    Le 26 février, et une fois la rupture conventionnelle signée, elle précise que ce salarié est maintenant son « ennemi » et se vante : « Bon, je viens de faire pleurer Alexandre*. Mais il m’a saoulée. Il a signé. » Le tout sans prendre en compte le fait qu’un collaborateur fasse preuve de compassion à l’égard d’Alexandre. « Moi, j’avais honte de participer à ces méchancetés mais je m’y sentais obligé pour avoir la paix », regrette William.

    « Je suis une députée exigeante envers mes collaborateurs, car ils sont bien payés mais je suis hyper souple sur les horaires. Je suis très peu présente au bureau, donc oui nous échangeons beaucoup par Telegram », concède seulement la députée qui dément avoir déjà humilié son équipe ou usé de « méthodes brutales » : « Dès qu’il me reste de l’argent sur mon enveloppe, je leur verse des primes. Je valorise leur travail. »

    Cependant, Laetitia Avia n’hésiterait pas non plus à exiger de son équipe qu’elle remplisse des tâches sans lien manifeste avec le travail parlementaire. « Elle nous demandait de gérer ses rendez-vous personnels comme de prendre rendez-vous chez le notaire ou de réserver une place pour son mari à Roland-Garros », raconte Nicolas. « Elle avait aussi prévenu l’équipe qu’elle ne supportait pas la chaleur et m’avait demandé d’avoir une bouteille d’eau et un brumisateur toujours sur moi pour elle lorsqu’il faisait chaud. En juin 2018 par exemple, j’ai dû brumiser ses jambes à plusieurs reprises », se souvient Sophie.

    D’après des échanges écrits consultés par Mediapart, la députée, qui donne parfois des cours à Sciences-Po, charge même l’un de ses collaborateurs de corriger ses copies de droit des sociétés. « J’ai accepté car à l’époque je voulais faire bonne figure et elle me l’avait demandé gentiment », se remémore William. « Mais j’ai rapidement déchanté car ce jour-là, je voulais l’accompagner au Congrès des maires. Elle savait que j’y tenais, mais elle a conditionné ma venue au fait que je termine ses corrections. Je les ai terminées trop tard et je n’ai donc pas pu y aller. »

    C’est aussi William qui s’occupe d’harmoniser les notes globales de ses étudiants « à la louche ». « Mets 1,5 en plus », demande la députée : « Avec 12,5 de moyenne on me laissera tranquille. » Manque de chance pour elle, un étudiant de la prestigieuse école se plaint quelques mois plus tard de sa note et cherche à « avoir des informations sur (sa) copie, notamment sur les points faibles ». « On lui dit la vérité ? », s’amuse Laetitia Avia incapable de justifier la note de l’étudiant.

    Auprès de Mediapart, Laetitia Avia insiste sur l’attention qu’elle porterait à ses collaborateurs : « Je leur offre des cadeaux, des soins, plein de trucs sur mes deniers personnels. Je les ai emmenés en week-end dans ma maison de campagne... » À propos de ce week-end justement, l’équipe ne semble pas en avoir le même souvenir qu’elle. En avril 2018, la députée décide d’organiser un team building pour renforcer les liens de l’équipe et améliorer l’efficacité de chacun.

    Le séjour a lieu dans sa maison de campagne dans le Morvan. Une fois sur place, les collaborateurs découvrent qu’ils vont devoir dormir dans des chambres avec une intimité tout à fait relative. « C’était encore en travaux, seul un rideau faisait office de porte. Avec des amis, pas de problème, mais avec sa boss... », raconte Sophie. Et rien ne se passe comme prévu. Un soir, l’équipe joue à un jeu de société, mais Laetitia Avia perd une partie. « Elle ne l’a pas supporté et a engueulé l’une de mes collègues en l’accusant d’avoir perdu à cause d’elle. Puis elle a fait le lien avec le boulot en lui disant qu’elle manquait de rigueur, au travail comme pour les jeux de société. »

    À l’issue de ce séjour, elle envoie un bilan à son équipe. « Il s’agissait d’un plan de carrière hypothétique avec des vrais objectifs et des choses plus fantaisistes », explique William. « Écrire une PPL, mener une réflexion Grand Paris, écouter de la musique actuelle et des séries », retient-elle dans la rubrique « Actions ». « Devenir ministre de la justice, entrer au gouvernement, publier une tribune dans Le Monde, que plus personne ne cite le nom de Sandrine Mazetier [l’ancienne députée de sa circonscription et sur la même liste que Laetitia Avia pour les municipales à Paris – ndlr] – jamais – que je devienne la référence », résume-t-elle dans la rubrique « Objectifs ».

    Après ce séjour, les salariés envoient tous un message de remerciement à la députée. Ils racontent d’ailleurs volontiers qu’à d’autres moments aussi, par peur de perdre leur emploi ou parce qu’ils ne voulaient pas fâcher leur employeur, ils ont pu envoyer des messages sympathiques souvent agrémentés de smileys.

    Il n’empêche : c’est après ce passage dans le Morvan que certains ex-salariés disent avoir pris conscience des conséquences psychologiques « dramatiques » selon leur récit, du comportement de la députée. Deux ont d’ailleurs été l’objet d’un arrêt maladie. « On a commencé à se protéger mutuellement, et prendre progressivement conscience de l’emprise qu’elle avait sur nous. » En juin 2018, la psychologue d’un des employés en question rapporte dans un certificat intitulé « Signes d’alerte d’une souffrance au travail » le récit qu’elle a recueilli. La psychologue y fait notamment part de son « inquiétude concernant des signes alarmants » : « “Boule au ventre” en se levant le matin à l’idée de se rendre sur le lieu de travail, persistante, maintenant, tout au long de la journée, vécu d’humiliations et de menace, doubles injonctions rendant impossible un travail évalué positivement… »

    Le comportement de la députée semble par ailleurs parfois éloigné du droit du travail. Sophie par exemple, a été officiellement embauchée en février 2018 mais assure avoir commencé à travailler un mois avant sans être rémunérée. En août de la même année, la députée a aussi, au moins dans un premier temps, refusé de payer des congés à une autre salariée qui avait travaillé pour elle quelques mois en CDD. L’employée en question s’en plaint à l’époque à sa collègue : « Elle est tellement méchante, elle ne veut pas me verser mes congés. Elle veut que je prenne trois jours de congé et que je vienne quand même travailler parce qu’elle n’a pas les moyens. »

    Le 23 janvier 2019, Laetitia Avia se dispute avec l’une de ses collaboratrices. La députée accepte une rupture conventionnelle mais ne respecte pas les formalités requises en demandant notamment à ce qu’elle quitte l’équipe immédiatement. Elle exige qu’elle pose ses congés pour ne pas avoir à les lui payer. Patrice Petriarte, représentant syndical chez Solidaires se déplace alors dans son bureau pour lui rappeler ses obligations légales. « Je fais très souvent ce genre de rendez-vous, mais c’est la première fois que cela se passe aussi mal. Elle était menaçante en répétant sans cesse qu’elle était avocate. Je suis resté impassible en lui rappelant que j’étais conseiller de la salariée. Mais j’ai vu une équipe terrorisée par leur cheffe », explique-t-il auprès de Mediapart.

    Après cet entretien, Laetitia Avia est très agacée : « Elle est malade là, je vais l’exploser. (Quand) elle revient au bureau, vous lui mettez une chaise et elle reste là jusqu’à la fin de la journée », dit-elle au reste de l’équipe. Elle réfléchit alors à annuler la rupture conventionnelle pour la licencier à la place. Pour cela, elle demande à une partie de l’équipe de témoigner pour faire comme si la dispute avec la salariée avait eu lieu bien plus tôt et ainsi avoir des raisons légales de la licencier : « Je vais avoir besoin de vous. J’ai besoin d’une attestation, parce que comme je ne lui ai pas notifié sa mise à pied à titre conservatoire, il faut que je puisse attester qu’au début, les choses… ce qu’il s’est passé la semaine dernière. » Elle n’ira finalement pas jusqu’au bout, la salariée en question ayant alerté la déontologue et une rupture conventionnelle sera signée en mars.

    Si la plupart de ces salariés passés par l’équipe d’Avia acceptent de témoigner aujourd’hui, c’est aussi parce qu’ils disent avoir frappé à toutes les portes. D’après nos informations, la déontologue de l’Assemblée nationale a été saisie au moins six fois sur le cas de la députée.

    Le cabinet du patron des députés LREM, Gilles Le Gendre, et celui du président de l’Assemblée nationale Richard Ferrand ont également été avisés d’importants « dysfonctionnements ». Richard Ferrand n’a pas plus répondu à Mediapart qu’aux assistants parlementaires. Quant à Gilles Le Gendre, son cabinet nous a expliqué que cela n’était pas de son ressort.

    Plus récemment, la cellule anti-harcèlement de l’Assemblée a également été saisie. Mais pour l’heure, aucune de ces instances n’est intervenue. Charlotte par exemple a saisi la déontologue à plusieurs reprises. Une fois notamment après un déjeuner où la députée « était allée très loin en lui disant qu’elle était sans doute borderline et qu’elle devrait se faire diagnostiquer par un psychiatre ». Contactée, Agnès Roblot-Troizier, déontologue de l’Assemblée, n’a pas souhaité réagir.

    Et rien ne semble s’arranger. En mars dernier, selon les éléments recueillis par Mediapart, la députée de Paris a demandé à sa collaboratrice atteinte d’une maladie grave, d’interrompre son confinement pour revenir télétravailler à Paris. Lorsque Mediapart s’apprêtait à publier un nouvel article pour évoquer le courrier de la salariée en question alertant la présidence de l’Assemblée, Laetitia Avia a fait pression sur elle pour qu’elle intervienne auprès de Mediapart. Elle voulait d’abord que la salariée publie un communiqué public pour démentir les informations, ce qu’elle a refusé. La députée a ensuite rédigé un SMS à sa place et lui a demandé de l’envoyer à Mediapart pour vider l’article de son contenu. « Si tu veux m’envoyer tes captures après », avait-elle demandé pour s’assurer que le message avait bien été envoyé.

    Seule la cellule anti-harcèlement a pour la première fois pris attache avec elle après les révélations dans la presse. Nicolas interprète gravement ce silence : « L’institution, le règlement et l’administration de l’Assemblée ont une grosse part de responsabilité voire de complicité ». Pour Nicolas, il y a donc « un problème de fond, car lorsqu’un collaborateur est victime de son député, il ne bénéficie d’aucune protection ». « À l’époque, on nous a seulement proposé un rendez-vous avec la déontologue et Laetitia Avia… À quoi bon, elle nous l’aurait fait payer derrière, pense William. On a aussi songé à saisir le procureur de la République, mais on n’a jamais eu le courage de le faire. » Ce qui explique qu’aucune procédure judiciaire ne soit aujourd’hui engagée.

    #LREM #sexisme #homophobie #vulgarité #bêtise_crasse #manipulation #harcèlement

    • Tu comprends à quel point il est nécessaire d’imposer une loi de contrôle de l’internet, quand tu as des considérations du genre :

      « Et Wikipédia. Wikipédia, il y a plusieurs choses à faire. Il faut prendre le contrôle sur cette page. Il ne suffit pas juste de supprimer le paragraphe sur Le Canard enchaîné, il faut le réécrire de toute façon et le sourcer quand on le réécrit. »

    • Merci pour le partage complet ! Super intéressant. Hier je n’avais vu passer « que » les discriminations sexistes, racistes et homophobes mais l’histoire complète est hallucinante : harcèlement moral, abus de biens sociaux (mais ça doit se dire autrement pour le public ?), abus de pouvoir, silence complice des instances de l’Assemblée (déontologue (sic), commission harcèlement), etc. Sans compter le rapport aux administré·es, à la vérité et à la liberté d’informer !

      Et c’est ça qui prétend policer les échanges en ligne, rendre responsables les gens pour des actes par ailleurs déjà interdits (harcèlement, insultes publiques, diffamation, appel à à la haine n’ont pas besoin d’une loi de plus mais d’être mise en œuvre sérieusement et sans deux poids, deux mesures) ?

      Le seul truc qui me fait marrer, c’est que les Baupin et autres se font toujours allumer pour avoir eu l’#indécence de trop, le besoin d’apparaître comme des gens bien.
      #hypocrisie #inflation_législative

    • Égocentriques, puériles, obsédés par leur image, sans structure philosophique ou politique, ce nouveau monde a été le tremplin des « Anges de l’Assemblée Nationale ». Être député, c’est penser aux autres, pas à sa petite entreprise.

      https://www.lesnumeriques.com/vie-du-net/comment-laetitia-avia-a-tente-de-caviarder-sa-fiche-wikipedia-n150287

      L’historique de la page laisse entrevoir, comme souvent, les guerres d’édition menées dans le monde de Wikipedia, mais certains commentaires dévoilent une situation assez tendue. Dans un résumé de modification datant du 13 septembre 2018, un certain Celette enrage : “Je remets le paragraphe tel qu’il était pendant plus d’un an et supprimé en loucedé par un CAOU (compte à usage unique, ndlr) le 5 septembre à 16h22 dans le cadre d’une modif de masse (donc pas vraiment visible). On peut en débattre […] mais hors de question que ça passe aussi facilement à la trappe, en particulier si on juge la façon dont ça a été retiré”, s’insurge-t-il.

      Enfouie dans le pas toujours très accessible onglet Historique de Wikipedia, se jouait donc une bataille politique qui fera parler d’elle des années plus tard. Depuis les révélations de Mediapart, et au moment de l’écriture de ces lignes, plus d’une quarantaine de modifications ont été apportées à la page de la députée, la plupart pour synthétiser les révélations faites par le site d’information. On ne caviarde pas Wikipedia si facilement.

    • Les Anges de l’Assemblée Nationale
      https://www.lemondemoderne.media/les-anges-de-lassemblee-nationale

      Les mésaventures de Laetitia Avia ne sont que le enième avatar d’un constat triste et sévère : le nouveau monde promis par le parti d’Emmanuel Macron est un naufrage démocratique.

      Mais bientôt, porter ce constat sera sans doute qualifiable de « discours de haine » grâce à la loi liberticide portée par Mme Avia. De même que critiquer à juste titre la gestion catastrophique de la crise sanitaire sera aussi marqué du sceau de l’infamie. On ne pourra sans doute plus dire « cette réforme des retraites est inutile », « cette gestion fut lamentable », « ce sont des menteurs ». Fini, la critique. Fini.

      Dorénavant, poussant encore un peu plus loin le moment orwellien, nous serons des citoyens dépossédés de la parole critique faute d’être dépossédés d’esprit critique. Pourtant Emmanuel Macron nous enjoignait dès sa prise de pouvoir, depuis Versailles, devant les députés et les sénateurs, à « faire taire le cynique en nous ». Encore raté.

      La loi Avia, faussement cachée sous des valeurs de respect, de tolérance et de bienveillance est une loi de censure politique

      Selon la Quadrature du Net, cette loi, devenue une loi antiterroriste en Janvier, fait tomber davantage la séparation des pouvoirs et donne des pouvoirs de justice à la police du net.

      Selon l’article 1, paragraphe 1, la loi exige que tous les sites Web censurent en 1h et non pas dans un délais de 24h les contenus signalés par la police comme relevant du « terrorisme ». Sans censure de la part du site dans l’heure, la police peut exiger son blocage partout en France par les fournisseurs d’accès à Internet.

      Voilà donc une loi de censure politique portée par une députée inexpérimentée qui a rejeté avec force et caricature, toutes les critiques constructives qui ont été faites par les experts.

      Les Anges de LREM

      Les révélations de Médiapart sur le comportement de la députée face à ses collaborateurs confirment qu’une équipe de narcissiques puériles, obsédés par leur image et leur petite entreprise a pris le pouvoir.

      Ainsi, Madame Avia a eu pour priorité de modifier sa fiche biographique sur Wikipedia, depuis l’Assemblée Nationale.

      Mais rappelons aussi l’épisode ou Mme Schiappa, Secrétaire d’État, a fait la promotion de son dernier livre via une mailing-list du ministère : “une maladresse qui ne se reproduira plus” selon son cabinet.

      Pour comprendre comment cela a été possible, il faut se rappeler que ce fut le très regretté Jean-Paul Delevoye qui fit le casting, « façon the Voice » selon ses propres dires.

      Le niveau des accusations dans l’article de Médiapart montre une assemblée de jeunes inexpérimentés, intriguant, à l’humour douteux, jouer entre eux, plutôt que de travailler pour le bien commun.
      C’est là toute l’ampleur du désastre.

      En choisissant à la façon d’un casting de téléréalité ceux qui allaient représenter son parti surgit du néant, Emmanuel Macron a fait entrer un génération d’amateurs fiers, communicants narcissiques et carriéristes, incapables de faire passer le bien commun avant leur intérêt personnel.

      Que de conflits d’intérêt, que de profils excentriques, que de « je m’en foutisme » des valeurs de la République ! Mais plutôt que de gagner en sagesse et en indépendance, plutôt que d’habiter cet habit imposant, les dilettantes de la Républiques se sont vus félicités par leur chef, confortés dans leur amateurisme catastrophique.

      Peu importe la personnalité de la députée qui porte la loi de censure des réseaux sociaux. Ce qui doit inquiéter, c’est l’obsession liberticide de toute la majorité.

      L’épisode En Marche aura fait plus de mal à l’image des politiques que l’ancien monde. La société civile portée par les profils sélectionnés par Emmanuel Macron et Jean-Paul Delevoye a dévoyé la représentation nationale en un fan club du banquier candidat, enfermant les institutions dans une caricature startupienne où l’image et la communication des lobbies remplacent le travail effectif au service de la communauté.

      Si cette loi venait à passer aujourd’hui, notre pays fera un pas de plus vers la société du contrôle total, dans le rire et sous les applaudissements des Anges de l’Assemblée Nationale.

      https://twitter.com/AllanBARTE/status/1260515878669516800

    • Comme je ne regarde pas la télé et que je traîne peu sur les sites d’info, je viens de découvrir un petit truc sur Lætitia Avia, c’est qu’elle est jeune, noire et de milieu populaire, avec des parents togolais dans le 93. Elle a pu entrer à Sciences po dans le cadre de la politique de discrimination positive.

      Laetitia Avia — Wikipédia
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Laetitia_Avia

      Avocate spécialisée en droit des marchés, elle rejoint dès sa création en avril 2016 le mouvement politique lancé par Emmanuel Macron, « En marche ! », devenu par la suite « La République en marche » (LREM) et y exerce plusieurs fonctions, dont celles de porte-parole et de membre du bureau exécutif depuis novembre 2017.

      Je vous avoue que ça a été un petit choc, de se retrouver à hurler avec les loups contre une jeune femme noire par ailleurs plus grosse que ce que les standards de beauté considèrent acceptable. Même chose avec Sibeth Ndiaye... Bon, Sibeth Ndiaye on peut se dire qu’elle a été choisie pour faire le fusible, diriger la haine des gens de droite vers le personnage (horreur, elle est noire !) et empêcher les gens de gauche comme moi de la critiquer trop fort (ben oui, on se sent comme une merde à critiquer une femme dans l’espace public, a fortiori jeune, noire et grosse), on peut se dire que ses différences ont été bien instrumentalisées. Mais Avia n’est pas recrutée et salariée, elle est un petit soldat de LREM mais avec un peu d’indépendance. N’empêche, j’avais envie de partager ici mon malaise sur le fait que LREM brouille les cartes en faisant accéder au mérite des meufs et des minorités de droite à des positions plus ou moins larbinesques mais prestigieuses.

    • je suis assez de l’avis d’@antonin1

      • je sens toujours le côté, c’est une parvenue (pas comme #nous), elle ne sait pas se comporter avec son personnel

      • par ailleurs, la droite sait employer les #petits_choses (cf. Rachida Dati), alors que la « gauche » sait fort bien les laisser à leur place

      et l’important est aussi celles (et ceux !?) que l’on désigne à la vindicte populaire ; il n’y a pas toujours de hasard et c’est aussi un #signe_des_temps
      (il y a une vingtaine d’année, les mots-dièse n’existaient pas, ce syntagme abondait dans les pages du Monde, avec des copains, on s’en était fait un jeu de les relever et de payer l’apéro du jour)

    • « La preuve de la stupidité de la plupart des dévots du Roy c’est de n’avoir toujours pas compris qu’un journaliste dévoilant un scandale garde toujours des munitions pour répondre au démenti. Des amateurs ! »
      https://twitter.com/davidperrotin/status/1260823609368592384

      Mediapart révèle de nouveaux documents qui contredisent la défense de la députée LREM Laetitia Avia.
      Un enregistrement sonore par exemple, qui montre que certains de ses propos à connotation raciste ne sont ni des blagues, ni proférés dans un cadre privé. De nombreuses alertes avaient par ailleurs été lancées par ses assistants parlementaires.

      Nier en bloc. C’est la défense adoptée par la députée LREM Laetitia Avia après les révélations de Mediapart sur les conditions de travail de cinq de ses anciens assistants parlementaires. Documents à l’appui, ils dénonçaient des humiliations à répétition au travail, ainsi que des propos à connotation sexiste, homophobe et raciste.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/140520/la-defense-de-laetitia-avia-fait-pschitt

    • @marclaime, oui, dans une société idéale. Mais dans la nôtre, les femmes, les personnes racisées et grosses en prennent beaucoup plus dans la gueule à faits égaux.

      Un gouvernement qui met une El Khomri (une femme issue de l’immigration maghrébine) au pilotage de SA réforme du quinquennat ne propose-t-il pas une cible facile à la vindicte populaire ?

      Un gouvernement qui prend comme porte-parole une Ndiaye le fait par refus du racisme et des préjugés sexistes et sur les personnes grosses (incapables de se re-tenir) et par sens aigu du mérite républicain ou exploite-t-il dans les deux sens l’image qu’elle donne, lui permettant d’être un fusible parfait ? Parce qu’en plus de faire ce qu’elle fait, elle est par essence illégitime donc la virer permet de retourner à la normale.

      Après, comme je disais, Avia n’est porte-parole de personne, elle a plus de responsabilités, elle est comptable de tous ses actes. Perso quand je l’ai incendiée sur Twitter je pensais que c’était une quadra blanche bourgeoise, Lyons Club et compagnie, avec une ascendance italienne ou espagnole lointaine (peut-être pas elle mais son mari). Je me trompais !

      Je pense qu’aucune des personnes qui savaient que c’était une jeune Noire grosse n’a réagi comme elle l’aurait fait si elle avait été blanche d’ascendance bourgeoise. Et que les réactions sont majoritairement plus hostiles pour les personnes minorisées, qu’il s’agisse de race, classe ou genre.

      On paye tou·tes nos actes mais pas pas le même prix.
      (Et quelle horreur, cette personne...)

    • Là dessus je suis affreusement basique-réac : un salopard est un salopard, et je me contrefous que ce soit un esquimeau juif, borgne et malentendant. A vous suivre on va lui trouver toutes les excuses du monde, et là vous tombez exactement où l’ennemi veut vous conduire, et ça marche...

    • @antonin1 on a tout·es une culture raciste et c’est bien d’en avoir conscience pour en éviter les pièges. Je suis aussi d’accord que l’addition actuelle de LREM est horrible car ça retourne systématiquement /femme/noire/grosse = pas finaude et que ces personnes se trouvent placées dans des rôles d’incompétentes mises en avant pour servir de fusibles.

    • @marclaime, je ne trouve aucune excuse à Avia, je l’ai assez allumée comme ça : deux threads sur Twitter, le premier sur ce reportage et le second sur la tribune de Laurent Chemla qui rappelle qu’une des raisons pour lesquelles elle est si attachée à censurer Internet, c’est qu’elle s’en prend plein la gueule sur les réseaux sociaux, notamment parce qu’elle mord les gens, ce qui est un peu inhabituel pour une personne qui n’est pas déficiente mentale. Comme toi, j’essaie de la traiter en mettant mes préjugés (moindres qu’une bonne partie de la population mais je suis un être intégré dans sa société et qui en partage en partie les représentations, lesquelles sont comme dit @touti racistes et sexistes), qu’ils soient positifs (c’est sympa, une femme comme ça à l’Assemblée) ou négatifs (on imagine bien).

      Cela dit, je m’interroge sur la présence de femmes racisées dans l’espace public à des postes souvent non-élus (mais parfois oui... ceci dit, une endive aurait été élue en 2017 dans la moitié des circonscriptions de ce pays à condition de porter le badge EM). D’abord ces femmes cachent les hommes racisés, sur qui pèse le soupçon d’être violents, incontrôlables, inassimilables et qui sont eux gardés en-dehors des circuits de reconnaissance du pouvoir, tandis que les femmes racisées sont louées (encore une fois, c’est un préjugé) pour leur caractère docile, au point que « beurette » est une recherche courante sur les sites porno.

      Mettre une jeune femme noire grosse (l’une apparemment cool et l’autre qui pue la fac de droit) dans ces situations est tout bénef pour le gouvernement : à gauche il a l’air ouvert, ascenseur social, etc. et à droite ça focalise la haine sur elles plutôt que Macron et Philippe, il la lâche comme une merde dès qu’il n’en a plus besoin et ça va calmer ce peuple de droite (qu’il drague éhontément pour finir de mettre à bas les partis qui se sont partagé le pouvoir depuis 1958 (?) pour devenir le parti unique).

      Et non, je ne ferai pas partie des quelques perdu·es qui vont dire que c’est injuste, elles sont formidables, elles n’ont jamais menti ou fait d’abus de pouvoir... Elles auront ce qu’ont les personnes des classes dominées quand on n’a plus besoin d’elles, au revoir, prime de 58 euros et médaille au mieux. Mais je trouve dégueulasse ce jeu avec l’image de ces jeunes femmes (qui sont par ailleurs des sous-merdes, autant que les mecs blancs bourgeois de LREM) parce que c’est aussi un jeu avec le racisme (et le sexisme) très présent dans l’espace public français. Et ce n’est incohérent avec le fait que LREM drague très loin à droite aussi avec ses politiques proto-fascistes.

  • #Coronavirus : en #Mauritanie, le calvaire des exilés et réfugiés

    Depuis le début de la pandémie de Covid-19, les conditions de vie des 66 000 exilés que compte actuellement le pays ne cessent de se dégrader. Cela concerne particulièrement les réfugiés et demandeurs d’asile venus d’Afrique subsaharienne et de Syrie.

    Depuis le début de la crise sanitaire, l’arrêt des activités économiques qui permettaient aux réfugiés de faire des #petits_boulots a accentué la galère de ces populations. Avec un budget très faible, le HCR, qui n’avait pas prévu une telle situation, était déjà submergé par les charges de l’un des plus grands camps de réfugiés en Afrique : celui de #M’Béra, à 1 200 kilomètres de Nouakchott dans l’est mauritanien. Il accueille plus de 60 000 #réfugiés_maliens. Mais pour le HCR, il y a aussi urgence à #Nouakchott et #Nouadhibou.

    Dans ces grandes villes de Mauritanie, l’agence de l’ONU est interpellée par les 6 000 réfugiés urbains venus de Syrie et d’Afrique subsaharienne. Ali Ouatara fait partie des pères de famille touchés par le #Covid-19. Originaire de Côte d’Ivoire, il vit en Mauritanie depuis 18 ans. « Tout est fermé, déplore-t-il. Les écoles sont fermées, les restaurants sont fermés. Les réfugiés, pour la plupart, sont des enseignants, des chauffeurs… Ils travaillent dans les restaurants, ils font de petits boulots. Mais tout est bloqué. Tout ! Les réfugiés ont #faim ! Depuis que la crise a démarré, jusqu’à aujourd’hui, les réfugiés n’ont reçu aucun sou. »

    Le message a été porté au HCR qui a promis de réagir dans le courant du mois d’avril. La représentante adjointe du HCR en Mauritanie, Fadela Novak Irons, dévoile la nature de l’assistance. « Le HCR assiste les réfugiés à travers une approche de #monétisation (#cash_based_intervention), afin de permettre aux réfugiés de décider quels sont leurs besoins les plus urgents. Pour certains, ce sera le paiement de médicaments, pour d’autres, le paiement du loyer, pour d’autres, ce sera la nourriture… »

    Le HCR a lancé un appel d’urgence pour obtenir 1,2 millions de dollars afin de faire face aux besoins des réfugiés touchés par le Covid-19.

    http://www.rfi.fr/fr/afrique/20200419-coronavirus-mauritanie-calvaire-exil%C3%A9s-refugi%C3%A9s-hcr

    #asile #migrations #réfugiés #urban_refugees #réfugiés_urbains #camps_de_réfugiés #travail #économie #réfugiés_syriens #aid_in_cash #aide_en_cash #Mbera

    ping @ceped_migrinter_afrique

  • Purée de pois aux œufs pochés
    https://cuisine-libre.fr/puree-de-pois-aux-oeufs-poches

    Verser les pois dans une casserole moyenne et couvrir d’eau. Porter à ébullition et laisser frémir doucement jusqu’à tendreté. Égoutter en réservant une poignée de pois et ¼ tasse du liquide de cuisson. Mélanger délicatement les pois cuits avec la ricotta et le jus de citron. Si la purée est trop sèche, ajouter du liquide de cuisson, une cuillère à la fois. Assaisonner à votre goût. Ajouter la poignée de pois restante et mélanger délicatement. Pocher les œufs dans l’eau frémissante pendant 3 minutes. Égoutter,… #Petits_pois, #Purées / #Sans_viande, #Bouilli

  • D’Alger à Yaoundé, le retour au pays de Rodrigue

    Parti pour l’Europe, le jeune Camerounais n’a jamais réussi à traverser la Méditerranée. Après des années passées au Maroc et en Algérie, il a décidé de rentrer dans son pays.

    Bien sûr, ce n’est pas le retour dont il avait rêvé, mais au moins est-il toujours en vie. Tant d’autres ont péri pendant le voyage, engloutis par la Méditerranée. A 35 ans, dont huit en exil pour tenter d’atteindre l’Europe, Rodrigue rentre dans son pays, le Cameroun, riche d’une aventure qu’il ne regrettera jamais, explique-t-il depuis Yaoundé, où il a retrouvé sa famille.

    Il y a neuf ans, à l’été 2011, il était parti, comme tant d’autres, avec en tête la vague idée d’un eldorado européen – France, Italie ou Espagne – où il pourrait travailler et envoyer de l’argent à sa famille. Aujourd’hui, il reconnaît qu’il « ne [savait] rien de la traversée ».

    Bloqué en Algérie et au Maroc

    Du Cameroun, il a pris la route vers le Maroc, où il a passé quatre ans. La première année, il essaie de traverser la Méditerranée tous les mois. Mais chaque fois, il est arrêté par les autorités, parfois en pleine mer. Au fil du temps, il ralentit le rythme des tentatives, faute de moyens et d’énergie. Il vivote de petits boulots dans l’informel. Quand les ennuis avec la police le rattrapent, il doit alors quitter le Maroc pour l’Algérie voisine.

    Là, quatre nouvelles années s’écoulent. Comme de nombreux Subsahariens, il travaille sur les chantiers de construction, souvent des cités-dortoirs qui sortent de terre un peu partout dans ce pays en pleine crise du logement. Rodrigue vit à « Derwisha », une maison de deux étages en périphérie d’Alger qui accueille une trentaine de migrants. Là, il retrouve un peu de convivialité, la musique et les saveurs du pays aussi. Mais la vie reste dure, loin de sa famille, dans une société repliée sur elle-même.

    La décision du retour

    Fin 2018, il prend la décision de rentrer, épuisé par ce voyage sans fin, l’éloignement, toutes ces nuits passées sur les chantiers, cette vie sous les radars avec les autres migrants. Mais pour que son souhait devienne réalité, il lui faut d’abord attendre que son patron lui paye son dernier chantier. C’est chose faite en mars. Rodrigue reprend la route en sens inverse avec ses économies de huit années : 2 500 euros. Jusqu’à Tamanrasset, dans le sud algérien d’abord, puis vers le Niger, le Nigeria et enfin le Cameroun. Une semaine de voyage sans grande difficulté, explique-t-il.

    Il débarque à Douala, chez sa sœur Béatrice, avant Yaoundé, où il retrouve enfin ses parents, sa femme et ses enfants. L’accueil est émouvant : « Tout le monde m’attendait. Les cris, les pleurs. Ils étaient trop contents. Surtout, je suis revenu en bonne forme. Ils avaient vu tout ce qui s’est passé en Libye. » Ils l’avaient imploré de revenir.

    Se construire une nouvelle vie

    Durant ses huit années d’absence, la vie au Cameroun n’a pas tellement changé. Les portraits de Paul Biya, président depuis trente-huit ans, couvrent toujours les murs du pays. Pour Rodrigue, aîné de la famille, la pression est forte : c’est sur lui que reposent toutes les attentes. « Chez nous, le premier fils, c’est comme la tête du train. Comme la locomotive qui dirige les autres. Ça implique trop de choses, trop de responsabilités », reconnaît-il. Avec les économies qu’il a réunies pendant son exil au Maghreb, il décide de se lancer dans un projet avicole. Pour cela, il a acheté plus de 300 poussins, qu’il a installés dans la ferme de sa voisine.

    La #débrouille au quotidien

    Une grande partie des Camerounais se heurtent au même casse-tête : gagner suffisamment d’argent pour vivre, ou survivre. Pour y parvenir, on se livre au « #jonglage », le cumul de plusieurs #petits_jobs. Le frère de Rodrigue, Olivier, est chauffeur de taxi depuis un an « en attendant de trouver un bon travail ». La semaine, il roule pour le propriétaire de la voiture, le samedi, c’est pour lui. « Mais c’est pas avec mes 100 000 francs CFA en fin de mois [152 euros] que je peux faire un projet », avoue-t-il.

    Du côté de Rodrigue, le projet des poussins a tourné court. Entre la chaleur, les problèmes d’eau et de nourriture, il a perdu les trois quarts de ses volailles. Alors il a décidé de retourner dans son village cultiver la terre pour gagner un peu d’argent. Il aimerait ensuite faire du commerce entre l’Algérie et le Cameroun. Faire venir du shampoing, des parfums, du thé, très prisés ici. Mais pour cela, il faut une mise de départ.

    Passer le témoin

    Rodrigue aimerait aussi raconter, convaincre les plus jeunes de rester. Eux qui n’ont qu’une seule idée en tête : rejoindre l’Europe. Mais partager le vécu de la migration n’est pas chose facile. Les cadavres abandonnés dans le désert, la peur, la solitude, les camarades disparus en mer sont des souvenirs tenaces. « Les jeunes veulent vivre mieux, quelque chose de nouveau. Mais c’est juste une question de moyens, en fait. S’ils trouvaient du travail ici, ils resteraient », pense-t-il. Lui aussi pourrait tenter de repartir en Europe un jour, mais légalement. « Comme un clandestin », plus jamais. Face à tous ces fantasmes sur la migration, face aux attentes des proches, aux difficultés du quotidien, « il faut être courageux pour rentrer », tient-il à ajouter.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/02/19/photo-d-alger-a-yaounde-le-nouveau-depart-de-rodrigue_6030096_3212.html
    #errance #migrerrance #parcours_migratoire #itinéraire_migratoire #Cameroun #migrations #Maroc #Algérie #retour_au_pays #travail #Derwisha

    ping @_kg_

  • #Petits_chefs 1/2 : les repentis
    https://www.franceculture.fr/emissions/les-pieds-sur-terre/petits-chefs-12-les-repentis


    Hatice et Frédéric ont été des petits chefs incompétents, autoritaires, pervers ou perdus.
    • Crédits : Isabelle Rozenbaum / Alto Press - Maxppp

    Ils reviennent aujourd’hui sur ces méthodes de management qui faisaient pleurer leurs subordonnés.

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    Petits chefs 2/2 : les victimes
    https://www.franceculture.fr/emissions/les-pieds-sur-terre/petits-chefs-22-les-victimes


    Charlotte, Anne et Pascal ont vécu des relations singulières avec leurs managers.
    • Crédits : © Phanie Garo - AFP

    Trois histoires de petits chefs incompétents, autoritaires, pervers ou perdus. Au choix.

    #harcèlement #violence #travail #entreprise #management