• #Pakistan: detenzioni e deportazioni contro i rifugiati afghani

    In corso un’altra catastrofe umanitaria, molte persone a rischio di persecuzione in Afghanistan

    Dal 1° ottobre quasi 400mila persone afgane, di cui circa 220.000 in queste settimane di novembre, hanno abbandonato il Pakistan, in quella che appare sempre più come una pulizia etnica operata contro una minoranza. I numeri sono quelli forniti da UNHCR 1, dopo che il 17 settembre, il governo pakistano ha annunciato che tutte le persone “irregolari” avrebbero dovuto lasciare volontariamente il Paese entro il 1° novembre, pena la deportazione.
    La maggior parte delle persone rientrate e in Afghanistan sono donne e bambini: 1 bambino su quattro è sotto i cinque anni e oltre il 60% dei minori ha meno di 17 anni 2.

    E’ emerso, ultimamente, che le persone afghane senza documenti che lasciano il Pakistan per andare in altri paesi devono pagare una tassa di 830 dollari (760 euro).

    Amnesty International ha denunciato detenzioni di massa in centri di espulsione e che le persone prive di documenti sono state avviate alla deportazione senza che ai loro familiari fosse fornita alcuna informazione sul luogo in cui sono state portate e sulla data della deportazione. L’Ong ha dichiarato che il governo del Pakistan deve interrompere immediatamente le detenzioni, le deportazioni e le vessazioni diffuse nei confronti delle persone afghane.

    Dall’inizio di ottobre, inoltre, Amnesty ha raccolto informazioni relative agli sgomberi: diversi katchi abadis (insediamenti informali) che ospitano rifugiati afghani sono stati demoliti dalla Capital Development Authority (CDA) di Islamabad, le baracche sono state distrutte con i beni ancora al loro interno.

    In tutto il Pakistan, ha illustrato il governo, sono stati istituiti 49 centri di detenzione (chiamati anche centri di “detenzione” o di “transito”). «Questi centri di deportazione – ha affermato Amnesty – non sono stati costruiti in base a una legge specifica e funzionano parallelamente al sistema legale». L’associazione ha verificato che in almeno 7 centri di detenzione non viene esteso alcun diritto legale ai detenuti, come il diritto a un avvocato o alla comunicazione con i familiari. Sono centri che violano il diritto alla libertà e a un giusto processo. Inoltre, nessuna informazione viene resa pubblica, rendendo difficile per le famiglie rintracciare i propri cari. Amnesty ha confermato il livello di segretezza a tal punto che nessun giornalista ha avuto accesso a questi centri.

    Secondo quanto riporta Save the Children, molte famiglie deportate in Afghanistan non hanno un posto dove vivere, né soldi per il cibo, e sono ospitate in rifugi di fortuna, in una situazione disperata e in continuo peggioramento. Molte persone accusano gravi infezioni respiratorie, probabilmente dovute alla prolungata esposizione alle tempeste di polvere, ai centri chiusi e fumosi, al contagio dovuto alla vicinanza di altre persone malate e al freddo estremo, dato che molte famiglie hanno viaggiato verso l’Afghanistan in camion aperti e sovraffollati. Sono, inoltre, ad altissimo rischio di contrarre gravi malattie, che si stanno diffondendo rapidamente, tra cui la dissenteria acuta, altamente contagiosa e pericolosa.

    Una catastrofe umanitaria

    «Migliaia di rifugiati afghani vengono usati come pedine politiche per essere rispediti nell’Afghanistan controllato dai talebani, dove la loro vita e la loro integrità fisica potrebbero essere a rischio, nel contesto di una intensificata repressione dei diritti umani e di una catastrofe umanitaria in corso. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a deportazioni forzate di massa e il Pakistan farebbe bene a ricordare i suoi obblighi legali internazionali, compreso il principio di non respingimento», ha dichiarato Livia Saccardi, vice direttrice regionale di Amnesty International per l’Asia meridionale.

    Il valico di frontiera di Torkham con l’Afghanistan è diventato un grande campo profughi a cielo aperto e le condizioni sono drammatiche. Le organizzazioni umanitarie presenti in loco per fornire assistenza hanno raccolto diverse testimonianze. «La folla a Torkham è opprimente, non è un luogo per bambini e donne. Di notte fa freddo e i bambini non hanno vestiti caldi. Ci sono anche pochi servizi igienici e l’acqua potabile è scarsa. Abbiamo bisogno di almeno un rifugio adeguato», ha raccontato una ragazza di 20 anni.

    «Le condizioni di salute dei bambini non sono buone, la maggior parte ha dolori allo stomaco. A causa della mancanza di acqua pulita e di strutture igieniche adeguate, non possono lavarsi le mani in modo corretto. Non ci sono servizi igienici puliti e questi bambini non ricevono pasti regolari e adeguati» ha dichiarato una dottoressa di Save the Children. «Se rimarranno qui per un periodo più lungo o se la situazione persisterà e il clima diventerà più freddo, ci saranno molti rischi per la salute dei bambini. Di notte la temperatura scende parecchio ed è difficile garantire il benessere dei più piccoli all’interno delle tende. Questo può influire negativamente sulla salute del bambino e della madre. È urgente distribuire vestiti caldi ai bambini e beni necessari, come assorbenti e biancheria intima per le giovani donne e altri articoli essenziali per ridurre i rischi per la salute di donne e bambini».

    «Il Pakistan deve adempiere agli obblighi previsti dalla legge internazionale sui diritti umani per garantire la sicurezza e il benessere dei rifugiati afghani all’interno dei suoi confini e fermare immediatamente le deportazioni per evitare un’ulteriore escalation di questa crisi. Il governo, insieme all’UNHCR, deve accelerare la registrazione dei richiedenti che cercano rifugio in Pakistan, in particolare le donne e le ragazze, i giornalisti e coloro che appartengono a comunità etniche e minoritarie, poiché corrono rischi maggiori. Se il governo pakistano non interrompe immediatamente le deportazioni, negherà a migliaia di afghani a rischio, soprattutto donne e ragazze, l’accesso alla sicurezza, all’istruzione e ai mezzi di sussistenza», ha affermato Livia Saccardi.

    Come si vive nell’Afghanistan con i talebani al potere lo denuncia CISDA, il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane, che ha pubblicato un dossier “I diritti negati delle donne afghane” che racconta la vita quotidiana delle donne afghane e ripercorre la storia del Paese fino ai giorni nostri.

    «L’Afghanistan è un Paese allo stremo, stretto nella morsa dei talebani e alla mercé degli interessi geopolitici ed economici di diversi paesi. Se per tutta la popolazione afghana vivere è una sfida quotidiana, per le donne è un’impresa impervia», ha scritto CISDA che con questa pubblicazione ha voluto ripercorre le tappe principali della storia afghana, cercando di capire chi sono i talebani di oggi e realizzando approfondimenti tematici per comprendere qual è la situazione attuale del paese. E soprattutto ha voluto dar voce alle donne afghane raccogliendo le loro storie.

    https://www.meltingpot.org/2023/11/pakistan-detenzioni-e-deportazioni-contro-i-rifugiati-afghani
    #réfugiés_afghans #déportations #renvois #asile #migrations #réfugiés #Torkham #camps_de_réfugiés #centres_d'expulsion #détention_de_masse #rétention #détention #katchi_abadis #Capital_Development_Authority (#CDA)

    • Le Pakistan déclenche une vague d’abus contre les Afghans

      Les nouveaux efforts déployés par les autorités pakistanaises pour « convaincre » les Afghans de retourner en Afghanistan peuvent se résumer en un mot : abus.

      La police et d’autres fonctionnaires ont procédé à des #détentions_massives, à des #raids nocturnes et à des #passages_à_tabac contre des Afghans. Ils ont #saisi_des_biens et du bétail et détruit des maisons au bulldozer. Ils ont également exigé des #pots-de-vin, confisqué des bijoux et détruit des documents d’identité. La #police pakistanaise a parfois harcelé sexuellement des femmes et des filles afghanes et les a menacées d’#agression_sexuelle.

      Cette vague de #violence vise à pousser les réfugiés et les demandeurs d’asile afghans à quitter le Pakistan. Les #déportations que nous avons précédemment évoquées ici sont maintenant plus nombreuses – quelque 20 000 personnes ont été déportées depuis la mi-septembre. Les menaces et les abus en ont chassé bien plus : environ 355 000.

      Tout cela est en totale contradiction avec les obligations internationales du Pakistan de ne pas renvoyer de force des personnes vers des pays où elles risquent clairement d’être torturées ou persécutées.

      Parmi les personnes expulsées ou contraintes de partir figurent des personnes qui risqueraient d’être persécutées en Afghanistan, notamment des femmes et des filles, des défenseurs des droits humains, des journalistes et d’anciens fonctionnaires qui ont fui l’Afghanistan après la prise de pouvoir par les talibans en août 2021.

      Certaines des personnes menacées s’étaient vu promettre une réinstallation aux États-Unis, au Royaume-Uni, en Allemagne et au Canada, mais les procédures de #réinstallation n’avancent pas assez vite. Ces gouvernements doivent agir.

      L’arrivée de centaines de milliers de personnes en Afghanistan « ne pouvait pas arriver à un pire moment », comme l’a déclaré le Haut-Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés. Le pays est confronté à une crise économique durable qui a laissé les deux tiers de la population dans le besoin d’une assistance humanitaire. Et maintenant, l’hiver s’installe.

      Les nouveaux arrivants n’ont presque rien, car les autorités pakistanaises ont interdit aux Afghans de retirer plus de 50 000 roupies pakistanaises (175 dollars) chacun. Les agences humanitaires ont fait état de pénuries de tentes et d’autres services de base pour les nouveaux arrivants.

      Forcer des personnes à vivre dans des conditions qui mettent leur vie en danger en Afghanistan est inadmissible. Les autorités pakistanaises ont déclenché une vague d’#abus et mis en danger des centaines de milliers de personnes. Elles doivent faire marche arrière. Rapidement.

      https://www.hrw.org/fr/news/2023/11/29/le-pakistan-declenche-une-vague-dabus-contre-les-afghans
      #destruction #harcèlement

  • Fermes, coopératives... « En #Palestine, une nouvelle forme de #résistance »

    Jardins communautaires, coopératives... En Cisjordanie et à Gaza, les Palestiniens ont développé une « #écologie_de_la_subsistance qui n’est pas séparée de la résistance », raconte l’historienne #Stéphanie_Latte_Abdallah.

    Alors qu’une trêve vient de commencer au Proche-Orient entre Israël et le Hamas, la chercheuse Stéphanie Latte Abdallah souligne les enjeux écologiques qui se profilent derrière le #conflit_armé. Elle rappelle le lien entre #colonisation et #destruction de l’#environnement, et « la relation symbiotique » qu’entretiennent les Palestiniens avec leur #terre et les êtres qui la peuplent. Ils partagent un même destin, une même #lutte contre l’#effacement et la #disparition.

    Stéphanie Latte Abdallah est historienne et anthropologue du politique, directrice de recherche au CNRS (CéSor-EHESS). Elle a récemment publié La toile carcérale, une histoire de l’enfermement en Palestine (Bayard, 2021).

    Reporterre — Comment analysez-vous à la situation à #Gaza et en #Cisjordanie ?

    Stéphanie Latte Abdallah — L’attaque du #Hamas et ses répercussions prolongent des dynamiques déjà à l’œuvre mais c’est une rupture historique dans le déchaînement de #violence que cela a provoqué. Depuis le 7 octobre, le processus d’#encerclement de la population palestinienne s’est intensifié. #Israël les prive de tout #moyens_de_subsistance, à court terme comme à moyen terme, avec une offensive massive sur leurs conditions matérielles d’existence. À Gaza, il n’y a plus d’accès à l’#eau, à l’#électricité ou à la #nourriture. Des boulangeries et des marchés sont bombardés. Les pêcheurs ne peuvent plus accéder à la mer. Les infrastructures agricoles, les lieux de stockage, les élevages de volailles sont méthodiquement démolis.

    En Cisjordanie, les Palestiniens subissent — depuis quelques années déjà mais de manière accrue maintenant — une forme d’#assiègement. Des #cultures_vivrières sont détruites, des oliviers abattus, des terres volées. Les #raids de colons ont été multipliés par deux, de manière totalement décomplexée, pour pousser la population à partir, notamment la population bédouine qui vit dans des zones plus isolées. On assiste à un approfondissement du phénomène colonial. Certains parlent de nouvelle #Nakba [littéralement « catastrophe » en Arabe. Cette expression fait référence à l’exode forcé de la population palestinienne en 1948]. On compte plus d’1,7 million de #déplacés à Gaza. Où iront-ils demain ?

    « Israël mène une #guerre_totale à une population civile »

    Gaza a connu six guerres en dix-sept ans mais il y a quelque chose d’inédit aujourd’hui, par l’ampleur des #destructions, le nombre de #morts et l’#effet_de_sidération. À défaut d’arriver à véritablement éliminer le Hamas – ce qui est, selon moi, impossible — Israël mène une guerre totale à une population civile. Il pratique la politique de la #terre_brûlée, rase Gaza ville, pilonne des hôpitaux, humilie et terrorise tout un peuple. Cette stratégie a été théorisée dès 2006 par #Gadi_Eizenkot, aujourd’hui ministre et membre du cabinet de guerre, et baptisée « la #doctrine_Dahiya », en référence à la banlieue sud de Beyrouth. Cette doctrine ne fait pas de distinction entre #cibles_civiles et #cibles_militaires et ignore délibérément le #principe_de_proportionnalité_de_la_force. L’objectif est de détruire toutes les infrastructures, de créer un #choc_psychologique suffisamment fort, et de retourner la population contre le Hamas. Cette situation nous enferme dans un #cycle_de_violence.

    Vos travaux les plus récents portent sur les initiatives écologiques palestiniennes. Face à la fureur des armes, on en entend évidemment peu parler. Vous expliquez pourtant qu’elles sont essentielles. Quelles sont-elles ?

    La Palestine est un vivier d’#innovations politiques et écologiques, un lieu de #créativité_sociale. Ces dernières années, suite au constat d’échec des négociations liées aux accords d’Oslo [1] mais aussi de l’échec de la lutte armée, s’est dessinée une #troisième_voie.

    Depuis le début des années 2000, la #société_civile a repris l’initiative. Dans de nombreux villages, des #marches et des #manifestations hebdomadaires sont organisées contre la prédation des colons ou pour l’#accès_aux_ressources. Plus récemment, s’est développée une #économie_alternative, dite de résistance, avec la création de #fermes, parfois communautaires, et un renouveau des #coopératives.

    L’objectif est de reconstruire une autre société libérée du #néolibéralisme, de l’occupation et de la #dépendance à l’#aide_internationale. Des agronomes, des intellectuels, des agriculteurs, des agricultrices, des associations et des syndicats de gauche se sont retrouvés dans cette nouvelle forme de résistance en dehors de la politique institutionnelle. Une jeune génération a rejoint des pionniers. Plutôt qu’une solution nationale et étatique à la colonisation israélienne — un objectif trop abstrait sur lequel personne n’a aujourd’hui de prise — il s’agit de promouvoir des actions à l’échelle citoyenne et locale. L’idée est de retrouver de l’#autonomie et de parvenir à des formes de #souveraineté par le bas. Des terres ont été remises en culture, des #fermes_agroécologiques ont été installées — dont le nombre a explosé ces cinq dernières années — des #banques_de_semences locales créées, des modes d’#échange directs entre producteurs et consommateurs mis en place. On a parlé d’« #intifada_verte ».

    Une « intifada verte » pour retrouver de l’autonomie

    Tout est né d’une #prise_de_conscience. Les #territoires_palestiniens sont un marché captif pour l’#économie israélienne. Il y a très peu de #production. Entre 1975 et 2014, la part des secteurs de l’agriculture et de l’#industrie dans le PIB a diminué de moitié. 65 % des produits consommés en Cisjordanie viennent d’Israël, et plus encore à Gaza. Depuis les accords d’Oslo en 1995, la #production_agricole est passée de 13 % à 6 % du PIB.

    Ces nouvelles actions s’inscrivent aussi dans l’histoire de la résistance : au cours de la première Intifada (1987-1993), le #boycott des taxes et des produits israéliens, les #grèves massives et la mise en place d’une économie alternative autogérée, notamment autour de l’agriculture, avaient été centraux. À l’époque, des #jardins_communautaires, appelés « les #jardins_de_la_victoire » avait été créés. Ce #soulèvement, d’abord conçu comme une #guerre_économique, entendait alors se réapproprier les #ressources captées par l’occupation totale de la Cisjordanie et de la #bande_de_Gaza.

    Comment définiriez-vous l’#écologie palestinienne ?

    C’est une écologie de la subsistance qui n’est pas séparée de la résistance, et même au-delà, une #écologie_existentielle. Le #retour_à_la_terre participe de la lutte. C’est le seul moyen de la conserver, et donc d’empêcher la disparition totale, de continuer à exister. En Cisjordanie, si les terres ne sont pas cultivées pendant 3 ou 10 ans selon les modes de propriété, elles peuvent tomber dans l’escarcelle de l’État d’Israël, en vertu d’une ancienne loi ottomane réactualisée par les autorités israéliennes en 1976. Donc, il y a une nécessité de maintenir et augmenter les cultures, de redevenir paysans, pour limiter l’expansion de la #colonisation. Il y a aussi une nécessité d’aller vers des modes de production plus écologiques pour des raisons autant climatiques que politiques. Les #engrais et les #produits_chimiques proviennent des #multinationales via Israël, ces produits sont coûteux et rendent les sols peu à peu stériles. Il faut donc inventer autre chose.

    Les Palestiniens renouent avec une forme d’#agriculture_économe, ancrée dans des #savoir-faire_ancestraux, une agriculture locale et paysanne (#baladi) et #baaliya, c’est-à-dire basée sur la pluviométrie, tout en s’appuyant sur des savoirs nouveaux. Le manque d’#eau pousse à développer cette méthode sans #irrigation et avec des #semences anciennes résistantes. L’idée est de revenir à des formes d’#agriculture_vivrière.

    La #révolution_verte productiviste avec ses #monocultures de tabac, de fraises et d’avocats destinée à l’export a fragilisé l’#économie_palestinienne. Elle n’est pas compatible avec l’occupation et le contrôle de toutes les frontières extérieures par les autorités israéliennes qui les ferment quand elles le souhaitent. Par ailleurs, en Cisjordanie, il existe environ 600 formes de check-points internes, eux aussi actionnés en fonction de la situation, qui permettent de créer ce que l’armée a nommé des « #cellules_territoriales ». Le #territoire est morcelé. Il faut donc apprendre à survivre dans des zones encerclées, être prêt à affronter des #blocus et développer l’#autosuffisance dans des espaces restreints. Il n’y a quasiment plus de profondeur de #paysage palestinien.

    « Il faut apprendre à survivre dans des zones encerclées »

    À Gaza, on voit poindre une #économie_circulaire, même si elle n’est pas nommée ainsi. C’est un mélange de #débrouille et d’#inventivité. Il faut, en effet, recycler les matériaux des immeubles détruits pour pouvoir faire de nouvelles constructions, parce qu’il y a très peu de matériaux qui peuvent entrer sur le territoire. Un entrepreneur a mis au point un moyen d’utiliser les ordures comme #matériaux. Les modes de construction anciens, en terre ou en sable, apparaissent aussi mieux adaptés au territoire et au climat. On utilise des modes de production agricole innovants, en #hydroponie ou bien à la #verticale, parce que la terre manque, et les sols sont pollués. De nouvelles pratiques énergétiques ont été mises en place, surtout à Gaza, où, outre les #générateurs qui remplacent le peu d’électricité fournie, des #panneaux_solaires ont été installés en nombre pour permettre de maintenir certaines activités, notamment celles des hôpitaux.

    Est-ce qu’on peut parler d’#écocide en ce moment ?

    Tout à fait. Nombre de Palestiniens emploient maintenant le terme, de même qu’ils mettent en avant la notion d’#inégalités_environnementales avec la captation des #ressources_naturelles par Israël (terre, ressources en eau…). Cela permet de comprendre dans leur ensemble les dégradations faites à l’#environnement, et leur sens politique. Cela permet aussi d’interpeller le mouvement écologiste israélien, peu concerné jusque-là, et de dénoncer le #greenwashing des autorités. À Gaza, des #pesticides sont épandus par avion sur les zones frontalières, des #oliveraies et des #orangeraies ont été arrachées. Partout, les #sols sont pollués par la toxicité de la guerre et la pluie de #bombes, dont certaines au #phosphore. En Cisjordanie, les autorités israéliennes et des acteurs privés externalisent certaines #nuisances_environnementales. À Hébron, une décharge de déchets électroniques a ainsi été créée. Les eaux usées ne sont pas également réparties. À Tulkarem, une usine chimique considérée trop toxique a été également déplacée de l’autre côté du Mur et pollue massivement les habitants, les terres et les fermes palestiniennes alentour.

    « Il existe une relation intime entre les Palestiniens et leur environnement »

    Les habitants des territoires occupés, et leur environnement — les plantes, les arbres, le paysage et les espèces qui le composent — sont attaqués et visés de manière similaire. Ils sont placés dans une même #vulnérabilité. Pour certains, il apparaît clair que leur destin est commun, et qu’ils doivent donc d’une certaine manière résister ensemble. C’est ce que j’appelle des « #résistances_multispécifiques », en écho à la pensée de la [philosophe féministe étasunienne] #Donna_Haraway. [2] Il existe une relation intime entre les Palestiniens et leur environnement. Une même crainte pour l’existence. La même menace d’#effacement. C’est très palpable dans le discours de certaines personnes. Il y a une lutte commune pour la #survie, qui concerne autant les humains que le reste du vivant, une nécessité écologique encore plus aigüe. C’est pour cette raison que je parle d’#écologisme_existentiel en Palestine.

    Aujourd’hui, ces initiatives écologistes ne sont-elles pas cependant menacées ? Cet élan écologiste ne risque-t-il pas d’être brisé par la guerre ?

    Il est évidemment difficile d’exister dans une guerre totale mais on ne sait pas encore comment cela va finir. D’un côté, on assiste à un réarmement des esprits, les attaques de colons s’accélèrent et les populations palestiniennes en Cisjordanie réfléchissent à comment se défendre. De l’autre côté, ces initiatives restent une nécessité pour les Palestiniens. J’ai pu le constater lors de mon dernier voyage en juin, l’engouement est réel, la dynamique importante. Ce sont des #utopies qui tentent de vivre en pleine #dystopie.

    https://reporterre.net/En-Palestine-l-ecologie-n-est-pas-separee-de-la-resistance
    #agriculture #humiliation #pollution #recyclage #réusage #utopie

    • La toile carcérale. Une histoire de l’enfermement en Palestine

      Dans les Territoires palestiniens, depuis l’occupation de 1967, le passage par la prison a marqué les vécus et l’histoire collective. Les arrestations et les incarcérations massives ont installé une toile carcérale, une détention suspendue. Environ 40 % des hommes palestiniens sont passés par les prisons israéliennes depuis 1967. Cet ouvrage remarquable permet de comprendre en quoi et comment le système pénal et pénitentiaire est un mode de contrôle fractal des Territoires palestiniens qui participe de la gestion des frontières. Il raconte l’envahissement carcéral mais aussi la manière dont la politique s’exerce entre Dedans et Dehors, ses effets sur les masculinités et les féminités, les intimités. Stéphanie Latte Abdallah a conduit une longue enquête ethnographique, elle a réalisé plus de 350 entretiens et a travaillé à partir d’archives et de documents institutionnels. Grâce à une narration sensible s’apparentant souvent au documentaire, le lecteur met ses pas dans ceux de l’auteure à la rencontre des protagonistes de cette histoire contemporaine méconnue.

      https://livres.bayard-editions.com/livres/66002-la-toile-carcerale-une-histoire-de-lenfermement-en-pal
      #livre

  • Raid logiciel (mdadm) — Le Wiki du Forum-Debian.fr
    https://forum-debian.fr/wiki/Raid_logiciel_(mdadm)#Cas_2_:_panne_du_disque_syst%C3%A8me,_la_grappe_R

    RAID logiciel sous Linux : transférer un array de disques en RAID 5 sur une nouvelle machine
    Voir aussi https://delightlylinux.wordpress.com/2019/07/27/md127-how-to-rename-a-raid-array-with-mdadm pour le renommage de l’array (typiquement passer de /dev/md127 à /dev/md0)

    Pour mémoire : howto pour création d’un RAID 5 sous Linux https://fr.linux-console.net/?p=2139

    #RAID #debian #mdadm

  • ouikende. deux mois après les émeutes, les photos de deux têtes bien amochées par headshots policiers invitent la bourgeaille à s’interroger. terroriser, ok, mais faut-il pour autant avilir des unités d’élite de la police en les collant au MDO contre les violences urbaines ? contrôler ok, mais on atteindra jamais dans les communes la proximité de la Stasi. alors que faire ?

    Deux mois après les émeutes, questions sur l’action des forces de l’ordre


    Des policiers du RAID arrêtent un homme lors d’affrontements avec la police dans les rues de Lyon, le 30 juin 2023. JEFF PACHOUD / AFP

    Un recours accru au #RAID et à la #BRI est à l’étude.
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/09/08/deux-mois-apres-les-emeutes-questions-sur-l-action-des-forces-de-l-ordre_618

    [une certaine émulation médiatique pousse à rendre public au moins un cas de violences policières] Un jeune homme de 22 ans accuse la police d’un tir de #LBD à courte distance, place des Fêtes, à Paris, pendant les émeutes de juin. Les circonstances de la blessure restent floues, enquête de l’#IGPN en cours...
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/09/08/tout-etait-blanc-dans-ma-tete-comme-une-grenade-assourdissante-le-temoignage

    « Ce policier m’a bousillé. Pour rien. » Aimène Bahouh
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/09/08/aimene-bahouh-victime-d-un-tir-de-bean-bag-en-marge-des-emeutes-demande-au-p
    attention ! photos du crâne deux blessés ayant subi une amputation partielle de boite crânienne en cours de suivi médical
    https://justpaste.it/c2oji

    #police #violences_policières #violence_d'État

  • Comment le Raid, novice en maintien de l’ordre, a provoqué la mort de Mohamed Bendriss à Marseille | Gauche Police
    https://www.mediapart.fr/journal/france/280823/comment-le-raid-novice-en-maintien-de-l-ordre-provoque-la-mort-de-mohamed-

    L’enquête sur le tir de #LBD fatal à un jeune homme de 27 ans, à laquelle Mediapart et « Libération » ont eu accès, montre comment cette unité d’exception a été mise au service d’un rétablissement de l’ordre spectaculaire alors qu’elle n’avait ni l’équipement, ni les compétences, ni le raisonnement adaptés à cette situation d’émeute. 
    Camille Polloni

    Le 2 juillet, à 00 h 58, au niveau du 73, rue de Rome à Marseille, #Mohamed_Bendriss, au guidon de son scooter, est atteint par deux tirs de lanceur de balles de défense (LBD). Il remonte alors le long d’une colonne de véhicules du #Raid, déployés pour « rétablir l’ordre » à #Marseille. Le jeune homme de 27 ans parvient à continuer sa route et s’effondre deux minutes plus tard devant chez sa mère, cours Lieutaud. 
    Mohamed Bendriss est le seul mort recensé lors de ces nuits d’émeutes qui ont suivi la mort de Nahel Merzouk, tué par un tir policier à Nanterre. L’un des deux impacts de #LBD, au thorax, a provoqué une crise cardiaque ayant entraîné sa mort. L’autre a laissé une marque sur l’intérieur de sa cuisse droite. Sous l’effet d’un troisième projectile, un « #bean_bag » tiré à trois ou quatre mètres, le phare de son scooter a éclaté. 
    Le 10 août, soit six semaines après les faits, trois policiers du Raid soupçonnés d’être à l’origine de ces tirs sont mis en examen pour « violences volontaires ayant entraîné la mort sans intention de la donner ». L’information judiciaire, qui se poursuit, vise à déterminer s’ils ont agi dans les règles et de manière proportionnée. L’enquête confiée à l’Inspection générale de la #police nationale (IGPN) et à la police judiciaire (PJ), à laquelle Mediapart et Libération ont eu accès, permet d’éclaircir dans quelles conditions le Raid est intervenu ce soir-là à Marseille et pourquoi il a décidé d’ouvrir le feu. 
    Les dépositions des mis en cause et d’une trentaine de témoins (policiers ou non), ainsi que l’exploitation de nombreuses vidéos, révèlent que cette unité d’exception au sein de la police, particulièrement peu préparée à assurer des missions de maintien de l’ordre, obéit à des logiques à part. Elles montrent aussi que très tôt, le Raid a eu conscience de sa possible implication dans le décès de Mohamed Bendriss et a préféré en discuter collectivement, en interne, plutôt que d’en référer à la justice .
     
    « Mohamed a été tué par une balle de LBD 40, tirée avec une arme non adaptée et illégale, par une unité spéciale inadaptée au #maintien_de_l’ordre, couverte par la hiérarchie du Raid qui a dissimulé le crime en connaissance de cause », affirme Arié Alimi, l’avocat de la veuve de Mohamed Bendriss. 

    Au soir du 1er juillet, comme les deux jours précédents, le Raid est déployé à Marseille pour faire face à des #émeutes et #pillages de magasins. Sur décision de #Gérald_Darmanin, c’est la première fois que cette unité d’élite, spécialisée dans les prises d’otages et les interventions antiterroristes, est ainsi employée à lutter contre des #violences_urbaines en métropole. 
    « On se demandait ce qu’on foutait là », résume en garde à vue Alexandre P., un des policiers mis en examen. « C’était ma toute première nuit d’émeute dans ma carrière, ajoute son collègue Jérémy P. Nous ne sommes pas du tout formés pour ce genre d’émeute, nous ne sommes pas habitués à cela. Nous n’avons même pas de protection adaptée. » 
    Dans les rues de Marseille, le Raid se déplace en convoi de sept véhicules. À sa tête, le « PVP » (« petit véhicule de protection »), un blindé très reconnaissable avec un opérateur du Raid juché sur une tourelle. Ce soir-là, c’est Alexandre P. qui s’y colle. Son rôle : « signaler aux autres des faits suspects » et « assurer la protection du convoi ». Pour ce faire, il dispose d’un #LBD_multicoups, approvisionné par six munitions. 
    « Nous devions suivre le PVP où qu’il aille, sans jamais nous séparer ni changer la position de la colonne », explique un opérateur assis dans un autre véhicule. Le convoi est là pour impressionner, mais aussi pour interpeller si nécessaire, ou disperser un attroupement.  
    Si les fonctionnaires du Raid sont novices en maintien de l’ordre, ce sont de bons tireurs : habilités à toutes les armes, ils s’entraînent plus souvent que les autres policiers. Signe qu’ils appartiennent à une unité à part, chacun d’entre eux peut choisir ses armes et les embarquer en mission sans formalités particulières. Au point que leur hiérarchie est incapable de déterminer, a posteriori, qui a pris quoi. 
    Au total, dans la nuit du 1er au 2 juillet, les 22 opérateurs composant la colonne ont tiré 107 « bean bags » (des projectiles en petits sacs compacts remplis de billes), 30 munitions de LBD, 10 #grenades lacrymogènes et 4 grenades de désencerclement . Ils n’ont rempli aucune « fiche TSUA » (traitement et suivi de l’usage des armes), obligatoire après chaque tir pour les policiers classiques, en gage de traçabilité. Ils ne sont pas non plus équipés de caméras-piétons et leurs échanges radio, en circuit fermé, ne font l’objet d’aucun enregistrement.

    Un premier tir depuis la tourelle 
     
    Lors du « briefing », la hiérarchie du Raid a appelé ses troupes à faire preuve d’une vigilance particulière sur les deux-roues, qui pourraient leur tourner autour et s’attaquer à elles. « Nous avions la sensation que les scooters étaient les leaders d’une guérilla urbaine, explique l’un des policiers placés en garde à vue, puis relâché sans suite. Nous avions la crainte de recevoir des cocktails Molotov comme les collègues de Strasbourg, qui se sont même fait tirer dessus à la kalachnikov… Les collègues de Nîmes se sont fait tirer dessus au 9 mm. » 
    C’est dans ce contexte que les policiers assistent, peu avant 1 heure du matin, à une scène qui attire leur attention. Alors qu’ils sont requis en centre-ville, pour sécuriser un magasin Foot Locker pillé, ils voient un piéton courir vers eux, tenant à la main un sac de marchandises volées. À sa hauteur, un scooter semble le suivre et se livrer à un étrange manège : il pourrait être son complice ou essayer d’arracher son butin. Dans tous les cas, « il y a matière à interpeller », estime Alexandre P. depuis sa tourelle. 
    Alors que certains de ses collègues mettent pied à terre, le policier tire au LBD à deux reprises. Il vise d’abord le piéton, puis se retourne vers le scooter de Mohamed Bendriss, qui « continue d’avancer alors qu’on lui demande de s’arrêter ». 
    « J’ai considéré son geste d’accélérer en direction du convoi comme un geste d’agression », explique Alexandre P., estimant sa distance de tir à dix mètres. « Je n’ai pas visé la tête, je voulais arrêter ce putain de scooter », qui « fonce sur nous », « met en péril notre capacité opérationnelle » et pourrait représenter « une menace », ajoute-t-il. « Je me protégeais et je protégeais les personnels du convoi à terre. »

    Le policier constate que le scooter continue sa route. Sur le moment, il n’aurait même pas été certain de toucher Mohamed Bendriss. Les images, qu’il a visionnées par la suite, le lui confirment : « On voit mon projectile sortir de la veste du scooter du conducteur. […] C’est ma balle de défense qui sort de sa veste et qui vient tomber par terre. » C’est probablement ce tir qui a atteint Mohamed Bendriss en pleine poitrine. 
    « J’ai toujours fait mon travail dans les règles de l’art ; je ne veux pas la mort des gens », a indiqué Alexandre P. aux enquêteurs. « J’ai jamais été aussi stressé alors que j’ai vécu l’Hyper Cacher. C’est le ciel qui me tombe sur la tête. » Contacté par Mediapart et Libération, son avocat, Dominique Mattei, n’a pas souhaité s’exprimer. 

    Un « bean bag » dans le phare 

    « Au départ, c’est le monsieur du fourgon qui était sur le toit qui tirait et ses collègues se sont mis à faire pareil », indique à l’IGPN une riveraine, témoin de la scène. Une fois le scooter hors de portée d’Alexandre P., d’autres fonctionnaires prennent effectivement le relais : ils sortent du deuxième véhicule de la colonne, un multivan Volkswagen.
    Les agents « E » et « F » (désignés ainsi dans l’enquête pour préserver leur #anonymat) tirent chacun un « bean bag » en direction du piéton, touché dans le dos, et parviennent à l’interpeller. Nabil B. sera condamné à quatre mois de prison ferme pour le vol de deux paires de Nike
    Au même moment, Jérémy P., le passager arrière gauche du multivan, se retrouve face au scooter. Celui-ci n’est plus qu’à une dizaine de mètres et fait « des embardées de droite à gauche ». Depuis leur fenêtre, des riveraines en déduisent que « le conducteur a dû être touché » et tente de garder l’équilibre. « Je me suis senti clairement en danger […] car je ne parvenais pas à comprendre ses intentions », avance de son côté Jérémy P. Il crie « stop » et met en joue Mohamed Bendriss avec son fusil « bean bag ». 
    « Le scooter n’a jamais ralenti, j’ai vu qu’il n’avait pas les mains sur les freins car il se rapprochait de plus en plus. À trois mètres de moi, je me suis rendu compte qu’il était trop près pour que je lui tire dessus, alors j’ai visé la calandre. […] Je l’ai impacté au phare, qui était éclairé et qui a explosé. Il a volé en mille morceaux, il y avait des éclats au sol. » 
    Quatre jours après les faits, c’est bien une munition « bean bag », fichée dans le phare du scooter, qui met les enquêteurs sur la piste du Raid . « Je suis certain d’avoir tiré en direction de son scooter et non de sa personne », répète Jérémy P. face à la juge d’instruction qui le met en examen. Son avocate, Chantal Fortuné, n’a pas souhaité s’exprimer. 
    Le troisième mis en examen soupçonné du tir à la cuisse 
    Malgré ce nouveau tir, le scooter continue à remonter le convoi. Grâce aux #vidéos récoltées au fil de l’enquête, l’IGPN établit qu’en quelques secondes, six détonations – des tirs de LBD ou de « bean bags » – retentissent. Ils ont du mal à attribuer la dernière, mais considèrent qu’il pourrait s’agir du tir de LBD qui a touché Mohamed Bendriss à la cuisse. 
    Un fonctionnaire fait office de suspect privilégié : Sylvain S., conducteur de la Laguna en troisième position dans le convoi. Sur certaines images, le canon de son LBD dépasse de sa fenêtre. « Je n’ai pas fait usage de cette arme », faute de « fenêtre de tir » satisfaisante, assure pourtant ce policier. « Le tir éventuel qui m’est reproché, c’est une blessure au niveau de la cuisse et c’est improbable au niveau de l’angle de tir », ajoute-t-il. Il est tout de même mis en examen. Son avocat, Nicolas Branthomme, n’a pas souhaité s’exprimer. 
    Comment comprendre que le Raid ait vu Mohamed Bendriss comme une menace ? Par des réflexes propres à son fonctionnement, mais inconnus du grand public. « Tout ce qui s’approchait de notre bulle de protection était considéré comme dangereux », résume l’un des opérateurs lors de sa garde à vue. « Il faut vraiment être stupide pour forcer un barrage de convoi du Raid », complète un autre, pour lequel « on ne pouvait pas se retrouver avec des émeutiers au milieu [du] convoi ». 
    Tous le répètent : au sein de leur colonne, deux médecins sont là pour prendre en charge d’éventuels blessés. Ils ont d’ailleurs porté assistance à Nabil B., le voleur de baskets. S’ils ne se sont pas inquiétés du sort de Mohamed Bendriss, c’est parce qu’il a continué sa route sans encombre et paraissait en bonne santé. 
     
    Vingt-six jours pour envoyer une vidéo

    Pour aboutir à la convocation de toute la colonne du Raid les 8 et 9 août, le placement en garde à vue de cinq fonctionnaires susceptibles d’avoir tiré et la mise en examen de trois d’entre eux, les juges d’instruction et les enquêteurs de l’IGPN ont mené un énorme travail de collecte et de recoupement d’indices pendant un mois. 
    La nuit des faits, le scooter de Mohamed Bendriss, abandonné devant chez sa mère et volé dans la foulée, est retrouvé par un équipage de la brigade anticriminalité (BAC) à 3 heures du matin. Coïncidence : deux des trois policiers qui contrôlent et interpellent le voleur seront mis en examen, trois semaines plus tard, pour des « violences aggravées » contre Hedi R. la même nuit.  
    À la recherche du deux-roues, l’IGPN apprend le 6 juillet qu’il est stocké dans un commissariat marseillais et découvre qu’un « bean bag » est resté encastré dans le phare. Comprenant alors que le Raid pourrait être impliqué, la « police des polices » envoie une série de réquisitions à cette unité pour connaître l’équipement de ses membres, la chronologie de ses interventions au cours de la nuit et la composition de ses équipages. Elle obtient des réponses rapides, mais pas toujours complètes. 

    En parallèle, la #géolocalisation téléphonique de Mohamed Bendriss montre qu’il se trouvait au 54, rue de Rome à 00 h 57, puis sur le cours Lieutaud une minute plus tard. L’IGPN lance aussitôt une enquête de voisinage, récupère les images issues de caméras de la ville et de plusieurs commerces. Certaines retracent le trajet de Mohamed Bendriss, d’autres la progression de la colonne du Raid dans le centre-ville. 
    Une vidéo amateur de 25 secondes, tournée par une habitante de la rue de Rome depuis sa fenêtre, s’avère même cruciale. Elle montre l’interaction entre les policiers et le scooter, et permet aux enquêteurs de distinguer, à l’oreille, six détonations. Auditionnée par l’IGPN, la vidéaste prête un étrange serment sur procès-verbal : « Conformément à vos instructions, je m’engage à ne pas diffuser ce film à qui que ce soit ou à le montrer. Je prends acte qu’en cas de diffusion je pourrais être poursuivie par la justice. J’ai compris ce que vous me dites, je m’engage à respecter la loi. » La loi n’impose pourtant rien de tel. 
    Le 11 juillet, au détour d’un courrier sur la géolocalisation de ses véhicules, la patronne locale du Raid mentionne l’existence d’une caméra sur le « petit véhicule de protection », filmant en continu la progression du convoi. « Je vous précise que je tiens à votre disposition les enregistrements », indique la commissaire divisionnaire qui coordonne les antennes de l’échelon zonal sud du Raid (Marseille, Nice, Montpellier et Toulouse). 
    Cette vidéo n’est finalement transmise à l’IGPN que le 28 juillet, deux jours après une nouvelle réquisition formelle et presque un mois après les faits. Ce sont pourtant ces images de bonne qualité qui montrent, le plus clairement, le tir probablement fatal à Mohamed Bendriss. 
    Comme l’écrit l’IGPN dans son exploitation, « alors que le scooter progresse face au convoi, la veste de Mohamed Bendriss fait un mouvement soudain et s’étire de manière brusque du côté gauche. Au même instant, un objet rond et noir de petite taille se détache de la silhouette de Mohamed Bendriss semblant provenir du pan de la veste qui vient de sursauter et chute au sol ». Cet objet, qui tombe sur les rails du tram, « ressemble au projectile tiré par un LBD ». 

    Un visionnage collectif
    Pourquoi le Raid n’a-t-il pas, de lui-même, transmis cette vidéo ? Si l’on se fie à leurs dépositions, les policiers de l’unité, dont le chef de l’antenne marseillaise et la coordinatrice zonale elle-même, craignaient pourtant depuis plusieurs semaines que le Raid soit impliqué dans le décès de Mohamed Bendriss. 
    Le 4 juillet, les premiers articles de presse évoquent le décès d’un conducteur de scooter touché par un tir de LBD à Marseille, dans des circonstances encore floues. A posteriori, les policiers du Raid expliquent s’être posé la question d’un lien avec leur intervention, mais l’adresse où a été retrouvé le jeune homme a tendance à les rassurer : ils ne se sont pas rendus cours Lieutaud. « L’adjoint au chef d’antenne a dit que nous n’étions pas concernés », affirme Alexandre P., pour qui « l’information était classée ». 
    Le doute persiste cependant, raconte leur chef d’antenne. « Des sources internes à la police semblent insister en pensant que le tir pourrait être celui d’une personne de la colonne. Avec mon adjoint, nous décidons par acquit de conscience de questionner les gars de manière globale. Certains nous font remonter qu’un scooter a traversé le dispositif au moment de l’interpellation rue de Rome et certains disaient qu’en traversant le dispositif, il a certainement essuyé des tirs. Ces déclarations ont motivé chez nous le souhait de visionner les images du PVP. » 
    Plusieurs opérateurs du Raid confirment qu’un débriefing ou une « réunion de crise » a eu lieu pour clarifier la position de chacun, regarder ensemble les images et identifier les potentiels tireurs. Si aucun ne donne la date de ce visionnage collectif, la coordinatrice zonale la situe « avant » la réception des réquisitions de l’IGPN, c’est-à-dire entre le 4 et le 6 juillet. Alexandre P., lui, estime qu’elle a eu lieu « suite aux réquisitions IGPN ». « Ça fait à peu près un mois qu’on sait qu’on est reliés à la mort de ce jeune homme », résume-t-il. 
    Selon ses dires, la coordinatrice a déjà connaissance des images lorsqu’elle rédige sa première réponse à l’IGPN , le 6 juillet, dans laquelle elle relate les événements marquants de la nuit du 1er au 2. Et semble s’appuyer dessus quand elle décrit, avec précision, « l’interpellation d’un individu sortant du magasin Foot Locker un sac à la main ». 
    « Un individu en scooter venait à sa rencontre. Les deux individus prenaient la fuite, le scooter forçait le passage de la colonne du Raid et parvenait à s’enfuir malgré l’usage de MFI [moyens de force intermédiaires – ndlr]. L’auteur du vol était interpellé rue de la Palud, en état d’ébriété et impacté par un tir de MFI. » Pour autant, dans son courrier, la #commissaire_divisionnaire ne propose pas à l’#IGPN de lui transmettre la vidéo du PVP. 
    D’après elle, plusieurs agents « se sont signalés rapidement » à leur hiérarchie, « beaucoup pensant avoir tiré, sans certitude cependant ». Mobilisés plusieurs nuits de suite sur les émeutes à Marseille, ils ne se souviennent pas de tous leurs faits et gestes et confondent parfois les scènes entre elles. Le 26 juillet, le Raid transmet finalement à l’IGPN une liste de cinq fonctionnaires « se trouvant sur le flanc gauche » du convoi – donc « susceptibles d’avoir utilisé » leurs armes contre Mohamed Bendriss. Au moment de se rendre à la convocation de l’IGPN, ils ont eu plus d’un mois pour préparer leurs réponses.

  • le tireur identifié mais pas d’exploitation de la vidéo surveillance, pas de garde à vue, pas de mise en examen, le procureur général de Nancy, Jean-Jacques Bosc, est un champion
    Les circonstances d’un tir du RAID ayant blessé Aimène Bahouh à Mont-Saint-Martin toujours pas « éclairées »

    Onze agents du RAID (dix fonctionnaires et un médecin), provenant de l’antenne de Nancy, sont « engagé[s] » dans cette commune de 10 000 habitants pour « assurer la sécurité des personnes et des biens ».

    Entendu par l’#IGPN, le chef de l’antenne du #RAID précise que deux groupes sont formés pour cette « mission » : « L’équipe Alpha en tenue vert kaki “ranger green”, aux moyens plus légers, destinée à faire de l’observation, et l’équipe Bravo, en tenue d’intervention noire. » Ces policiers sont armés de pistolets Glock 17, de quatre lanceurs de balles de défense (#LBD) de trois modèles différents, trois fusils semi-automatiques Molot calibre 12 et deux fusils à pompe calibre 12 (un Keltec KSG et un Beretta M3P), approvisionnés avec des munitions #beanbags, un projectile sous forme de sachet de coton contenant de minuscules plombs.

    Le groupe Bravo se positionne à l’angle des rues de Marseille et de Verdun – à l’endroit où le drame aura lieu –, « sur un site découvert » d’où il peut « observer les mouvements suspects ». Au cours de la soirée, les « effectifs sont pris à partie par de nombreux individus très hostiles qui tentaient de les encercler à pied ou en voiture », relate le chef d’antenne du RAID lors de son audition. Tirs tendus de mortiers, insultes, menaces de tirs « à balles réelles »… Les policiers utiliseront, cette nuit-là, « 34 munitions de LBD 40 mm », ou encore « 27 munitions calibre 12 de type beanbag ».

    Le responsable de l’unité d’élite de la police continue son récit en précisant que « les opérateurs du RAID avaient dû user de leurs moyens de force intermédiaire, notamment en direction de deux jeunes à vélo qui leur jetaient des pierres ». L’un d’eux, âgé de 15 ans, a reçu dans le dos un beanbag, lui causant « une plaie purulente d’environ 5 cm ». Le second, âgé de 18 ans, a fini en garde à vue pour outrage et jet de projectile. Ce jeune homme, qui dit avoir été « molesté » avec son ami, dément avoir jeté des pierres en direction de la police.

    « Nous sommes face à un tir illégitime »

    Le tireur qui a touché le mineur a été identifié, mais son nom et prénom n’apparaissent pas dans le rapport de l’IGPN : il est cité par son matricule RIO (pour référentiel des identités et de l’organisation) et a été entendu par l’IGPN sous le statut de suspect libre. C’est aussi lui qui est suspecté d’avoir tiré sur Aimène Bahouh. Répondant à une demande de l’IGPN – « quels effectifs avaient pu tirer des munitions bean bags sur un véhicule ? » –, le chef d’antenne a désigné cet « opérateur ».

    Deux de ses collègues ont expliqué à leur tour pourquoi ils ont dû utiliser leurs armes, « mais aucun d’entre eux n’était témoin direct du ou des tirs pouvant correspondre aux faits dont était victime M. Bahouh », est-il écrit dans le rapport. D’autant que, comme le souligne l’IGPN, « l’unité ne disposait pas de captation d’image, notamment pas de caméras-piétons. Quant au drone engagé, il n’enregistrait pas durant le service et n’était pas doté d’une caméra thermique pour les images de nuit ». En outre, les conversations radio « étaient opérées par réseau interne du RAID, démuni d’enregistrement ». Enfin, les images de la vidéosurveillance (sous scellé) de la ville entre minuit et 2 heures, recueillies autour du secteur concerné, « n’ont pu être exploitées » par l’IGPN « durant le temps de l’enquête ».

    Dans le quartier du Val-Saint-Martin, où a eu lieu le drame, des habitants, qui disent ne pas avoir participé aux émeutes, avaient assuré au Monde qu’ils avaient été « pris pour cible » par des membres du RAID lors de cette nuit « qualifiée d’intense » par l’unité d’élite de la police. C’est sur le chemin du retour, après 4 heures, que les policiers ont appris qu’une personne avait été blessée et admise à l’hôpital d’Arlon, ville proche située en Belgique.

    Pour Yassine Bouzrou, l’avocat de la famille, « nous sommes face à un tir illégitime qui a atteint Aimène à la tête après l’avoir éclairé avec une lampe torche, et ce alors qu’il ne participait pas aux émeutes et n’avait commis aucune infraction, comme l’a fait remarquer la procureure de la République. Pourtant, le policier tireur n’a pas été placé en garde à vue et n’a pas été mis en examen ». Selon lui, « le policier qui a tiré semble être protégé par la justice ». L’avocat a demandé, le 1er août, que l’affaire soit dépaysée vers « une autre juridiction ».

    De son côté, Aimène Bahouh va mieux : après vingt-cinq jours de coma, il s’est réveillé le 25 juillet. « Les médecins ont dit qu’Aimène est un miraculé », raconte avec soulagement Yasmina, sa mère. Son fils est rentré à la maison le 2 août.
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/08/08/les-circonstances-d-un-tir-du-raid-ayant-blesse-aimene-bahouh-a-mont-saint-m
    https://justpaste.it/a7xsf

    https://seenthis.net/messages/1008760

    #police #justice #impunité_policière

  • Belfort. Les policiers font du bruit par solidarité avec leur collègue de la BAC de Marseille en prison
    https://www.estrepublicain.fr/faits-divers-justice/2023/08/10/les-policiers-font-du-bruit-par-solidarite-avec-leur-collegue-de-la-b

    Durant une minute, les policiers actionnent un « deux tons » devant le commissariat de Belfort, ce mercredi 9 août en fin de journée. Cette action symbolique, qui est à l’initiative de Laurent, le chef de la brigade anticriminalité, n’est pas dirigée contre la hiérarchie mais vise une décision de la justice. « Nous faisons du bruit pour exprimer notre incompréhension, notre inquiétude et notre indignation après l’incarcération de notre collègue de Marseille le 21 juillet », résume-t-il.

    « Rétablir l’ordre sans faire de prisonnier »

    Le policier de la brigade anticriminalité (#BAC) marseillaise a été mis en #détention_provisoire dans le cadre d’une enquête sur des #violences_policières en marge des émeutes qui ont embrasé le pays début juillet. De nombreuses villes étaient alors en proie à des violences urbaines, émaillées d’incendies volontaires, de dégradations et de pillages de commerces, et des affrontements entre jeunes armés de mortiers et policiers ont éclaté. « La police a reçu carte blanche pour rétablir l’ordre, sans faire de prisonnier », rappelle Laurent. « C’est ce qu’elle a fait. »

  • Marseille : cinq policiers du Raid placés en garde à vue après la mort d’un homme de 27 ans pendant les émeutes
    https://www.francetvinfo.fr/faits-divers/police/violences-policieres/marseille-cinq-policiers-du-raid-places-en-garde-a-vue-apres-la-mort-d-

    Cinq policiers du #Raid ont été placés en garde à vue, mardi 8 août au matin, annonce le parquet de #Marseille dans un communiqué. Ils étaient convoqués, ainsi qu’une vingtaine de leurs collègues, devant les enquêteurs de l’IGPN (la « police des polices ») chargés de l’enquête sur le décès d’un homme de 27 ans, en marge des #émeutes à Marseille, dans la nuit du 1er au 2 juillet.

    Mohamed Bendriss a été retrouvé inanimé devant le domicile de sa mère après avoir fait un malaise au guidon de son scooter. Son décès a été constaté à l’hôpital où un médecin a observé un impact au niveau du thorax. Cet impact, à l’origine de la mort du jeune homme, pourrait être la conséquence d’un tir de lanceur de balles de défense (#LBD). 

    Le jeune homme s’était écroulé quelques centaines de mètres plus loin, deux minutes plus tard. Aucune autre intervention policière n’avait été détectée dans l’intervalle entre le tir et son malaise. L’autopsie réalisée a conclu à un « choc sur le cœur » ayant probablement entraîné une crise cardiaque, a appris mardi 8 août franceinfo d’une source proche du dossier

    (...) Les investigations devront déterminer si le tir mortel de LBD était réglementaire ou non.

    #police #vidéo

    • « Les éléments de l’enquête permettent de retenir comme probable un décès causé par un choc violent au niveau du thorax causé par le tir d’un projectile de type Flash-Ball », écrivait la procureure de la République de Marseille, Dominique Laurens, le 5 juillet. A cette date, il n’était pas possible de déterminer le lieu où le drame s’était passé, ni si #Mohamed_Bendriss avait ou non pris part aux émeutes, ni même s’il avait circulé dans cette zone. Selon des proches de la victime, ce père d’un enfant, et dont l’épouse en attendait un second, aurait été vu, quelques instants plus tôt, en train de filmer des interpellations dans une rue commerçante, à quelques encablures du cours Lieutaud.

      De très nombreuses vidéos ayant été conservées pour nourrir les procédures ouvertes contre des pillards, certains enregistrements auraient permis de conduire l’inspection générale de la police nationale (#IGPN) et la police judiciaire – les deux services d’enquête cosaisis – jusqu’aux fonctionnaires du RAID. Au vu des déclarations des gardés à vue et des explications qui ont été fournies par leurs collègues, la juge d’instruction a décidé, mardi soir, de prolonger la garde à vue pour trois des agents et de laisser sortir les deux autres.

      Un cousin de la victime également blessé

      Les avocats de l’épouse et de la mère de la victime, qui se sont constituées partie civile, se réjouissent de cette accélération de l’enquête. Dans un communiqué publié en juillet, Mes Frédéric Coffano et Thierry Ospital indiquaient que les deux femmes n’entendaient pas polémiquer et « porter des accusations ou anathèmes à l’encontre de quiconque », manifestant uniquement leur « volonté indéfectible de connaître les auteurs de cette mort troublante et violente, et ce dans le cadre d’une procédure loyale et objective ».

      Me Arié Alimi, autre défenseur de l’épouse, a par ailleurs déposé une plainte avec constitution de partie civile pour le compte d’Abdelkarim Y. , 22 ans, gravement blessé à l’œil gauche, dont il aurait perdu l’usage, la nuit précédente, par un tir de LBD [mais on est pas sûr]. Le jeune homme est le cousin de Mohamed Bendriss. Entendu par l’IGPN, saisie par le parquet d’une enquête ouverte pour « violences volontaires en réunion ayant entraîné une mutilation ou une infirmité permanente par personne dépositaire de l’autorité publique et avec arme », il aurait [lors de ses allégations et], selon son défenseur, évoqué un policier vêtu de noir le ciblant depuis la tourelle d’un véhicule blindé léger. Un policier cagoulé, comme y sont autorisés les fonctionnaires du RAID, précise l’avocat.

      « S’il s’avère que les policiers du RAID sont impliqués à la fois dans le décès de Mohamed Bendriss et la mutilation de son cousin Abdelkarim, la veille, alors c’est la décision même de les faire intervenir qui doit être passée au crible pénal », estime l’avocat.

      La garde à vue des fonctionnaires du RAID intervient moins d’une semaine après la décision de la cour d’appel d’Aix-en-Provence (Bouches-du-Rhône) de maintenir en détention provisoire un des quatre policiers d’une brigade anticriminalité de Marseille mis en examen, le 21 juillet, pour violences volontaires aggravées commises sur Hedi R., un jeune homme de 22 ans très grièvement blessé au crâne par un tir de LBD et passé à tabac, la même nuit que la mort de Mohamed Bendriss et dans le même secteur. Quatre autres fonctionnaires [lyncheurs] avaient été initialement placés en garde à vue, mais aucune suite judiciaire n’a été donnée les concernant . Cette incarcération provisoire d’un policier est à l’origine du mouvement inédit ayant poussé des centaines de fonctionnaires marseillais [en désaccord avec le théorème de la pomme pourrie] à se mettre en arrêt maladie tout au long du mois de juillet. Plusieurs syndicats de police ont fait le choix de ne pas commenter cette nouvelle affaire tant que leurs collègues sont en garde à vue.

      Trois des trente et une enquêtes confiées à l’IGPN et ouvertes dans le sillage des émeutes concernent donc des faits commis à Marseille et le seul décès recensé en marge de l’épisode de violences urbaines qui a secoué la France durant plusieurs jours après la mort du jeune Nahel M., victime du tir d’un policier lors d’un contrôle routier à Nanterre, fin juin.

      Hasard de calendrier [juré_craché], le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, s’est rendu, mardi matin tôt [en Falcon], dans un commissariat marseillais, où il s’est entretenu durant une heure avec une soixantaine de policiers, « de façon informelle et constructive sur des sujets police classiques concernant les moyens et les conditions de travail », affirme une source policière. Ce déplacement, « hors presse et hors élus », avait pour objectif de féliciter des fonctionnaires du commissariat du 15e arrondissement qui, dimanche 6 août, avaient saisi 220 kilos de cannabis à l’occasion d’un contrôle.

      Luc Leroux (Marseille, le plus policier des correspondants locaux de l’organe)
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/08/08/apres-la-mort-de-mohamed-bendriss-en-marge-des-emeutes-a-marseille-cinq-poli

  • Bilan provisoire d’une répression sanguinaire
    https://contre-attaque.net/2023/08/01/bilan-provisoire-dune-repression-sanguinaire

    Pendant que les policiers se mettent en arrêt maladie pour obtenir les pleins pouvoirs, le bilan de la répression qui a frappé les banlieues entre le 27 juin et le 2 juillet dernier ne cesse de s’alourdir. En voici un aperçu provisoire :

     ???? Aimène, a reçu un tir en pleine tête du RAID à Mont Saint-Martin, en Lorraine, le 30 juin. Il sortait du travail, et était avec des amis en voiture. Aimène est plongé dans le coma suite à ce tir.

     ???? Hedi, est laissé pour mort 1er juillet à Marseille après avoir reçu un tir puis passé à tabac par une équipe de la BAC. Il sombre dans le coma et frôle la mort.

     ???? Jalil est âgé de15 ans. À Chilly-Mazarin dans l’Essone, dans la nuit du 1er au 2 juillet, il est éborgné par le tir d’un CRS. L’adolescent a eu l’impression de mourir.

     ???? Nathaniel est éborgné dans la nuit du 28 au 29 juin à Montreuil, alors qu’il sortait de soirée. Il subit une rupture du globe oculaire et de multiples fractures.

     ???? Abdelkarim a perdu son œil la nuit du 30 juin au 1er juillet à Marseille, suite à un tir policier.

     ???? Virgil, ancien militaire, est éborgné dans la nuit du 29 au 30 juin 2023, à Nanterre, après la marche blanche pour Nahel.

     ???? Dès le 27 juin, un autre jeune homme est éborgné à Nanterre. Une vidéo montre un très jeune garçon évacué sur un fauteuil avec une blessure saignante à l’œil. Son nom n’est pas connu.

     ???? Mehdi a été éborgné par LBD à Saint-Denis. C’était le mercredi 28 juin au soir. L’impact du tir l’a gravement blessé à l’œil et à la tempe droite. Il est laissé au sol, se réfugie dans une école et appelle les secours seul.

     ???? À Angers le 3 juillet, un homme de 32 ans est éborgné par un tir de LBD dans le centre-ville, alors que la police protégeait un local d’extrême droite. Au même moment, un autre homme est gravement blessé par un autre tir de LBD qui lui fracture le visage.

     ???? Aux Ulis, en région parisienne, une femme qui rentrait du travail, dans sa voiture, a reçu un tir du RAID en pleine tête.

     ???? Le 30 juin à Villejuif, des morceaux de main sont retrouvés dans la rue. Un journaliste de Cnews, informé par la police, parle d’un « morceau de phalange et les restes de grenade » qui « ont été prélevés » par la police pour retrouver la victime, qui ne s’est pas manifestée.

     ???? Dans la nuit du 1er au 2 juillet : Mohamed, livreur de 27 ans, père d’un fils de deux ans et qui attendait un autre enfant, est tué par un tir de LBD. Alors qu’il circulait à scooter ce soir là, il est retrouvé mort, avec le choc d’une balle en caoutchouc dans le thorax. Les dernières images retrouvées dans son téléphone sont une vidéo de policiers arrêtant un homme, filmées quelques minutes avant qu’il ne soit retrouvé.

    Et ce ne sont que les cas CONNUS. Ceux qui ont osé parler, dont les proches ont déposé une plainte ou qui se sont montré dans les médias. Certains blessés viennent seulement de se faire connaître, quatre semaines après les faits. Ce ne sont probablement qu’une infime partie des vies brisées par la police lors de ces nuits de révolte, l’immense majorité des victimes préférant rester discrètes par peur de représailles ou de poursuites.

    En quatre nuits seulement, la police française a fait couler le sang de dizaines de personnes dans les banlieues françaises. Contre les corps non-blancs, les habitant-es des périphéries ou les révolté-es face à l’exécution d’un adolescent, c’est une sauvagerie totale qui a été déployée par le pouvoir.

    • Appel à une marche unitaire le 23 septembre de nombreux mouvements de quartiers populaires, associatifs, syndicaux, politiques.
      Pour mettre à bas le racisme systémique et les violences policières. Pour les libertés.
      Pas de justice, pas de paix.
      Avec la France Insoumise nous en sommes !

      https://twitter.com/TrouveAurelie/status/1686376682582876163

      « La lutte continue : ce nouvel élan, à l’échelle nationale, à l’appel d’un front uni, populaire, syndical et politique est signe d’espoir et soutien pour celles et ceux qui croit qu’un autre monde est possible !

      Rendez-vous dans la rue les camarades. »

      « La gauche est là, mais le PS n’a pas signé. Parce que la marche demande l’abrogation du permis de tuer aux policiers voulu par Cazeneuve ? Si le changement de ligne d’ Olivier Faure est sincère, il faut de la clarté sur ce point décisif.

      [Le PCF n’est pas là non plus, mais bon 🙄] »

    • Le Gisti (Groupe d’information et de soutien des immigré·e·s) milite pour l’égal accès aux droits et à la citoyenneté sans considération de nationalité et pour la liberté de circulation.

      L’association se veut un trait d’union entre les spécialistes du droit et les militant⋅e⋅s : la présence en son sein de nombreux juristes, praticien⋅ne⋅s ou universitaires, place le Gisti dans la position revendiquée de l’« expert militant », alliant de façon étroite l’analyse juridique et le travail de terrain, l’usage du droit comme arme ou levier et la participation au débat public.

      L’activité du Gisti se décline autour de plusieurs pôles : conseil juridique, formation, publications, actions en justice, à quoi s’ajoute le travail au sein de collectifs ou réseaux interassociatifs.

    • a priori beaucoup de gens ici connaissent le Gisti depuis belle pâquerette, mais toi, @marielle, personne ne connait ton avis sur le chauvinisme, les variantes françaises du nationalisme, ni à quel point tu tolères le confusionnisme (grosso merdo : « dynamique de recoupements de récits issus de traditions politiques différentes, souvent antagoniques ») puisqu’à toute question à ce sujet tu sembles te garder de répondre autrement qu’en parlant d’autre chose. c’est dommage. mais réparable.

    • Ah ben me voilà soumise à la Question maintenant ! ( La tolérance du confusionnisme à gauche : un fait nouveau selon Philippe Marlière Prendre au sérieux le « confusionnisme politique » )

      https://seenthis.net/messages/1011569 (Du fascisme en France par Alexis Poulin)

      Et bien l’essentiel est de ne pas perdre ses repères politiques !

      Remettre en cause le capitalisme c’est bien sûr s’attaquer aux structures sociales de domination et d’exploitation (critique sociale Marxiste, propriété collective des moyens de production...)
      Et ne jamais se désintéresser des discriminations raciales du racisme et de l’islamophobie, des migrants qui meurent par centaines...

      Faire le pari du Nous, comme le résume Houria Bouteldja dans Beauf et barbares

      « Je l’avoue, c’est un bien curieux mot que ce “nous”. À la fois diabolique et improbable. Au moment où d’un côté, les “je” et les “moi” plastronnent, et où de l’autre, le “nous” de la suprématie blanche s’épanouit, il est même presque incongru. Surtout quand on sait que les différentes composantes et sous-composantes de ce grand “nous” – fanonien – sont aussi incertaines les unes que les autres. Le “nous” des classes populaires blanches ? Improbable. Celui des indigènes ? Encore plus. La rencontre de ces deux “nous” : une douce naïveté. Leur union au sein d’un bloc historique ? Une utopie. Mais si j’ai grand-peine à me convaincre qu’une telle unité soit possible, je ne me résous pas à l’idée que tout n’aura pas été tenté. Aussi, faut-il commencer par ce qui l’empêche. » C’est peu dire que le terrain est miné : un État-nation bâti sur l’esclavage et la colonisation, des organisations politiques fidèles au pacte national-racial, un chauvinisme de gauche qui a progressivement éteint l’internationalisme ouvrier, une société civile indifférente aux ravages de l’impérialisme, et la profonde « asymétrie des affects » entre petits Blancs et sujets postcoloniaux. Telles sont quelques- unes des manifestations de « l’État racial intégral » disséqué dans la première partie de ce livre. La seconde partie propose une réflexion stratégique sur son dépassement car, on l’a vu encore récemment, l’État racial intégral comporte des brèches, colmatées faute d’avoir été consciemment élargies. C’est là qu’il faut « enfoncer le clou et aller à la recherche de l’intérêt commun », construire une politique décoloniale, inventer une dignité blanche concurrente de celle de l’extrême droite, défendre l’autonomie indigène et accepter de se salir les mains en ferraillant contre le consensus raciste. Alors, face au bloc bourgeois occidental ébranlé par les crises qu’il a lui-même provoquées, pourra se nouer l’alliance inédite des beaufs et des barbares.

      Mais il faut savoir raison garder, par exemple se revendiquer d’un souverainisme de Gauche, critiquer l’Union européenne et la mondialisation néolibérale comme Lordon, Ruffin, Poulin... n’implique pas de glissements progressifs à l’extrême-droite, tout au moins pour ces personnes en particulier...

      __________________________________________________________

      https://seenthis.net/messages/1011830#message1012002

      Ce qui est irréparable c’est de porter des jugements malveillants sur des personnes dont on ne connaît rien d’elles qui in fine contribuent à jeter le discrédit sur sa propre personne !

    • Non rien est clair !

      Définition du souverainisme de gauche par Lordon.

      La souveraineté vue de gauche, elle, n’a pas d’autre sens que la souveraineté du peuple, c’est-à-dire l’association aussi large que possible de tous les intéressés à la prise des décisions qui les intéressent. Le souverainisme de droite n’est donc rien d’autre que le désir d’une restauration (légitime) des moyens de gouverner mais exclusivement rendus à des gouvernants qualifiés en lesquels « la nation » est invitée à se reconnaître – et à s’abandonner. Le souverainisme de gauche est l’autre nom de la démocratie – mais enfin comprise en un sens tant soit peu exigeant.

      Faute de ces élémentaires distinctions, une partie de la gauche en est venue à ostraciser l’idée de souveraineté quand elle prétend par ailleurs lutter pour une extension de la démocratie… qui n’en est que le synonyme ! Démocratie, souveraineté populaire : une seule et même idée, qui est celle de la maîtrise par une communauté de son propre destin. On mesure donc les effets de captation et de terrorisme intellectuels de l’extrême droite, et les effets de tétanie de la gauche critique, à cette aberration d’auto-censure et d’intoxication qui a conduit cette dernière à abandonner l’idée de souveraineté, faute d’être simplement capable de se souvenir que, sous l’espèce de la souveraineté populaire, elle est l’une de ses propres boussoles idéologiques depuis la Révolution française !

      https://blog.mondediplo.net/2013-07-08-Ce-que-l-extreme-droite-ne-nous-prendra-pas

      Passage pointé aussi par BigGrizzli ! déjà en juillet 2013 !

      https://seenthis.net/messages/156903

    • Et pour un peu plus de Clarté !
      https://blog.mondediplo.net/2015-08-26-Clarte

      Des signifiants disputés

      Le drame politique se noue véritablement quand la confusion n’est plus seulement alimentée par ce qu’on appellera la droite générale – où le PS se trouve évidemment inclus – mais depuis la gauche également, et sous deux formes diamétralement opposées : l’entêtement de la gauche alter-européiste à « changer l’euro », la perdition d’une autre gauche dans la tentation, pour le coup, oui, monstrueuse, de l’alliance avec le Front national.

      À sa manière à elle, la gauche alter-européiste aura ajouté foi au discours eurolibéral de la droite générale en rabattant, exactement comme cette dernière, tout projet de sortie de l’euro sur le fléau du « nationalisme ». C’est qu’en des temps de vacillation intellectuelle, la catastrophe idéologique était vouée à se nouer autour de deux signifiants disputés : « nation » et « souveraineté ». Disputés en effet puisque, pour chacun de ces termes, l’unicité nominale masque une dualité de lectures possibles qui soutiennent des mondes politiques radicalement antinomiques. Entre la nation substantielle, confite en ses mythes identitaires et éternitaires, et la nation politique, rassemblant les individus dans l’adhésion à des principes, sans égard pour leurs origines, bref entre la nation de Maurras et celle de Robespierre, il n’y a pas qu’un gouffre : il y a une lutte inexpiable. Et de même entre la souveraineté comprise comme apanage exclusif des élites gouvernementales et la souveraineté conçue comme idéal de l’auto-gouvernement du peuple. « Nation » et « souveraineté » ne disent rien par eux-mêmes, ils ne sont que des points de bifurcation. Ils ne parlent que d’avoir été dûment qualifiés, et alors seulement on sait vers quoi ils emmènent.

      Dans ces conditions, la faute intellectuelle de l’alter-européisme est triple : il a manqué à voir la dualité du signifiant « nation souveraine », abandonné à la droite d’en imposer sa lecture, et par cet abandon même trahi son propre legs historique : car en France la nation souveraine naît en 1789, elle se constitue comme universalité citoyenne, elle exprime le désir de l’autonomie politique, désir d’un peuple en corps de se rendre maître de son destin, bref elle est de gauche.

      Et par l’effet d’une incompréhensible démission intellectuelle, elle n’est désormais plus que de droite... Il est vrai qu’un internationalisme mal réfléchi n’a pas peu contribué à faire méconnaître (1), en réalité à faire oublier, que la souveraineté comme auto-gouvernement suppose nécessairement la clôture relative – relative, car toujours ouverte à quelque degré sur son dehors – d’une communauté sur un ressort fini. Le genre humain unifié n’existe pas, il ne soutient aucune politique possible, ou bien à un terme (hypothétique) bien fait pour éternellement différer tout retour de la politique – essence du jacquattalisme et de ses rassurants messages : la mondialisation est notre horizon indépassable, certes elle nous a un peu débordés, mais le gouvernement mondial nous permettra d’en reprendre le contrôle… dès qu’il sera advenu ; en attendant : patience… et courage.

      On dira que l’Europe se présente précisément comme une solution accessible de régulation de la mondialisation néolibérale. Sans même discuter qu’en cette matière l’Union européenne n’est pas faite pour réguler, mais pour relayer et amplifier, il faut avoir l’étroitesse de vue de l’européisme le plus béat, mais aussi bien de l’alter-européisme le plus angoissé, pour ne pas voir ce paradoxe élémentaire que le projet européen est national-souverainiste dans son essence ! Ne se propose-t-il pas de fonder sur un périmètre fini – car « l’Europe » s’arrêtera bien quelque part – une communauté politique souveraine, et par là une citoyenneté d’appartenance – européenne ? Soit, non pas du tout le « dépassement de l’Etat-nation », comme le bredouillent Habermas et ses épigones français, mais le simple redéploiement, éventuellement sous une autre forme, de son principe à une échelle étendue… Et les Etats-Unis d’Europe ne seront que le reflet transatlantique des Etats-Unis d’Amérique, dont on aura du mal à dire qu’ils dépassent quoi que ce soit en cette matière : ne sont-ils pas connus comme l’une des réalisations les plus agressives du souverainisme statonational ? – on mesurera par là le degré de confusion conceptuelle qui, de tous bords, afflige la question européenne.

    • Et pour mieux connaître la pensée politique d’Houria Bouteldja

      « Classe, race et genre sont des modalités du même système d’exploitation au service de la bourgeoisie »

      https://www.jeuneafrique.com/1444955/culture/houria-bouteldja-classe-race-et-genre-sont-des-modalites-du-meme-syste

      La militante vient de publier un nouvel essai, véritable succès de librairie : « Beaufs et Barbares, le pari du nous ». La cofondatrice du parti des Indigènes de la République, qu’elle a quitté en 2020, détaille ici quelques éléments de sa pensée politique.

      Depuis l’appel des indigènes de la République en 2005, Houria Bouteldja ne laisse personne indifférent. « Indigéniste » et provocatrice pour ses détracteurs, militante décoloniale pour des intellectuels et militants marxistes anti-impérialistes, sa pensée se décline à travers des tribunes, des débats, des interventions publiques en France et à l’étranger. Et dans des livres : en 2016, elle avait publié Les Blancs, les Juifs et nous : vers une politique de l’amour révolutionnaire, traduit en plusieurs langues et qui avait suscité de vives polémiques. Début 2023, elle a sorti Beaufs et Barbares, le pari du nous.

      L’essai à la fois analytique et programmatique est un succès en librairie. Dans sa première partie, Bouteldja définit les conditions historiques ayant permis de mettre en place ce qu’elle appelle « L’État racial intégral ». Puis, reprenant à son compte la formule d’Antonio Gramsci sur le pessimisme de la raison, elle forme le pari d’unir dans une convergence des luttes les « beaufs » et les « barbares », c’est-à-dire les prolétariats blancs et non-blancs.

      Houria Bouteldja, franco-algérienne, se situe elle-même comme objet de la construction socio-historique de la race. « Je suis une blanchie, dit-elle. En tant qu’ancienne colonisée, une part de moi appartient à l’histoire coloniale. Mais une autre partie appartient à l’histoire impériale, c’est-à-dire qu’en tant que Française, je suis de ceux qui profitent des rapports Nord-Sud. Par conséquent, je ne peux pas me permettre de dire ‘ mes frères et mes sœurs africains’. » Tout en admettant ce déterminisme, elle se veut aussi sujet, en tant que militante : « Mon combat consiste, en ciblant l’impérialisme, de pouvoir redire un jour que je suis leur sœur, mais je dois payer le prix de cette fraternité. » C’est à la fois sa vision et son projet qu’elle nous détaille en interview.

      Jeune Afrique : Vous avez été invitée par Le Média, vous êtes en pleine tournée des libraires, vous revenez de l’université américaine de Yale… Bénéficiez-vous de relais que vous n’aviez pas jadis ?

      Houria Bouteldja : Je suis depuis longtemps invitée dans des universités en Europe, en Amérique, en Australie… Le problème, c’est la France. Cela dit, j’ai le sentiment que l’accueil a en partie changé. Mon précédent livre, Les Blancs, les Juifs et nous : vers une politique de l’amour révolutionnaire, a été boycotté par les libraires. Ce n’est plus le cas avec le dernier, qui ne souffre pas des mêmes attaques outrancières. Je rencontre un public très nombreux, divers, intéressé par la problématique du livre. Pour autant, aucun média de presse écrite de gauche n’a fait de recension. S’y sont seulement intéressés des journaux de droite et d’extrême-droite, avec la mauvaise foi qui les caractérise, et des médias dits communautaires. Seul Le Média m’a invitée. J’interprète cette ostracisation comme une lâcheté.

      Pourquoi avez-vous choisi le titre Beaufs et Barbares ?

      Ce sont avant tout des catégories qui ont été construites par le mépris de classe et par le mépris de race. « Beaufs », regroupe les petits blancs. « Barbares », les non-blancs. Les deux catégories constituent le prolétariat français. Ce ne sont pas des caractérisations officielles, mais tout le monde sait instinctivement ce que ces termes signifient. Ils recouvrent une réalité sociale dans notre territoire mental.

      Quand vous est venue cette idée du « pari du nous » entre beaufs et barbares ?

      Ce n’est pas nouveau. L’appel des indigènes de la République faisait déjà ce pari. Nous écrivions dès 2005 qu’il fallait aller vers la convergence des luttes. Le constat de départ était que l’« indigénat » n’était pas organisé politiquement et qu’il était nécessaire de créer un rapport de force. Comme l’affirmait le sociologue algérien Abdelmalek Sayad, « exister, c’est exister politiquement ». Tant que l’on n’existe pas politiquement, on ne peut pas prétendre à la convergence vers le prolétariat français. C’est un préalable à l’alliance pour constituer ce que nous appelons une « majorité décoloniale ».

      Vous écrivez que c’est Alain Soral qui a vu la possibilité de l’alliance des beaufs et des barbares…

      Soral a su capter les affects négatifs des petits blancs et des indigènes, des hommes en particulier. Il est le premier à avoir fait converger deux catégories antagonistes, au sens où elles ne sont pas politiquement unies. Beaufs et barbares sont socialement en bas de l’échelle sociale mais ne sont pas alliés dans la lutte. Si l’on n’est pas capable de capter les affects, on ne peut pas faire de politique et, en cela, l’extrême-droite a hélas une avance sur l’extrême-gauche.

      Vous commencez votre livre en citant un hadith rapporté par Mouslim et l’Apocalypse selon Saint-Jean. Votre analyse est marxiste. N’est-ce pas contradictoire, puisque Karl Marx qualifiait la religion d’« opium du peuple » ?

      Des synthèses ont été faites en Amérique latine entre marxisme et théologie de la libération. Je ne vois aucun problème à la fusion des deux. La séparation entre le matériel et le spirituel est une idée très moderne, très occidentale et particulièrement française. Il est possible de construire un projet politique avec des références religieuses et spirituelles. La modernité occidentale nous assèche moralement et spirituellement, elle a combattu toutes les formes de transcendance concurrentielle. On a une seule divinité légitime, le capitalisme.

      Vous évoquez la trahison de la Troisième Internationale par le PCF et la CGT à part deux épisodes, la guerre du Rif et l’Étoile nord-africaine. Pourquoi alors faire confiance à la gauche ?

      Contrairement à ce que préconise l’idée communiste, le communisme réel s’est laissé nationaliser. Il a perdu son horizon internationaliste. Cette nationalisation s’est faite sur le dos des peuples sous domination impérialiste. Ce qui est négocié entre la bourgeoisie et la société politique, c’est le partage de la rente impérialiste, ce qui signifie que le monde ouvrier blanc n’est pas innocent. Mais nous avons en commun avec l’idée communiste d’être anticapitaliste. Si on veut combattre la modernité occidentale, qui est à l’origine de la disparition de peuples entiers, de massacres génocidaires, de la dévastation de la Terre, des guerres, de la colonisation, de l’esclavage, on doit s’opposer radicalement à la base de son système économique qui est le capitalisme. Maintenant, il ne s’agit pas de faire confiance à la gauche, il s’agit de la transformer.

      Je vous cite : « Avec les blancs, petits et grands, au travers de leurs organisations ou de leurs représentations diverses, il faut toujours rester aux aguets. Ni complaisance, ni paranoïa. » Le pari du nous est-il un acte de foi ?

      C’est absolument un acte de foi. À partir du moment où on se dit militant, on cherche l’espoir. Une idée est au fondement de ma pensée : les choses ne sont pas figées. Même s’il y a un État racial intégral qui fait peser d’énormes déterminismes sur nous, cela ne veut pas dire qu’il n’y a pas d’espace de liberté et de choix. À partir du moment où les catégories raciales sont construites, cela veut dire aussi qu’on peut les déconstruire. Qu’est-ce qui peut le permettre ? La lutte.

      Vous parlez de l’asymétrie des affects entre « Beaufs et Barbares », les blancs étant chargés de négativité. Cela est-il de nature à vous inquiéter ?

      Les signaux indiquant que nous avons raison de croire existent, comme le mouvement des « gilets jaunes ». L’opinion française subit une offensive islamophobe incroyable depuis 25 ans. On aurait pu croire que la priorité des petits blancs serait de militer contre les Musulmans. Mais pas du tout, les manifestants avaient des griefs contre l’État et la vie chère. Ils visaient le gouvernement. Cela ne signifie pas qu’ils n’étaient pas du tout islamophobes mais que leur priorité n’était pas là. C’est ce qui me rend optimiste. Je pense qu’une part du peuple peut être transformée positivement si tant est que l’on soit capable de lui proposer un projet.

      Vous écrivez : « Voter dans une démocratie occidentale, c’est voter blanc ». Est-ce toujours le cas ?

      Oui. Telles que les élections sont organisées et tel que le champ politique est constitué, lorsqu’on vote, on vote blanc. Dans mon livre, j’ai aussi précisé que « voter extrême-gauche, c’est rare ». Quand on vote pour l’extrême-gauche, on vote moins blanc que le reste car elle est censée être internationaliste, même si elle a ses angles morts eurocentrés. C’est néanmoins le camp politique qui permet le plus de s’arracher à la blanchité.

      Pouvez-vous nous expliquer ce que vous appelez « blanchité » ?

      Noir ou blanc, tout est construction. Ce sont des catégories produites par l’Histoire, en l’occurrence l’histoire de l’esclavage et de la colonisation. Elles ne sont pas figées. Les Irlandais n’ont pas toujours été blancs, ils le sont devenus quand ils sont allés en Amérique. Pour acquérir un statut social aux États-Unis, il fallait avoir des esclaves noirs et c’est pour cela que les Irlandais sont devenus blancs. Ils auraient pu rester des esclaves blancs, le processus de racialisation a transformé le critère de peau en critère social.

      Vous vous inscrivez d’ailleurs en faux contre l’idée que l’on vous prête parfois de hiérarchiser entre classe, race et genre…

      En effet, il n’y a pas de hiérarchie : classe, race et genre sont des modalités du même système d’exploitation au service de la bourgeoisie. Parfois, cela prend le visage de la classe, parfois de la race, parfois du genre, mais tout est imbriqué. Le but est que la classe dirigeante tire profit des différentes formes d’exploitation, qu’elle met en opposition par ailleurs.

      Comment pourrait-on ne plus voter blanc ?

      Il faudrait qu’émerge une proposition décoloniale anti-impérialiste, qui remette en cause les structures de l’État-nation, le racisme structurel de l’État français et son hétérosexisme.

      Vous avez appelé à voter pour Jean-Luc Mélenchon. Est-ce aussi voter blanc ?

      Voter Mélenchon, c’est toujours voter blanc, cela ne fait aucun doute. Il reste dans le champ politique blanc, au sens où il ne fait pas pour l’instant de proposition anti-impérialiste, ne remet pas en cause la domination française, la Françafrique. Toutefois, Mélenchon, représentant la gauche radicale la plus puissante, est celui qui va le plus loin dans une proposition antiraciste, lorsqu’il dénonce les violences policières et l’islamophobie. C’est lui qui fait la proposition politique la plus intéressante aux non-blancs aujourd’hui. Dont acte.

      Selon vous, le défaut dans la cuirasse de l’État racial intégral est l’Union européenne. Pourquoi souhaitez-vous un Frexit ?

      Ce que le Frexit apporte dans un premier temps, c’est la fragilisation du bloc au pouvoir. Au sortir de la guerre en 1945, parce que les nations coloniales perdaient leurs colonies et donc leur avantage économique, elles ont décidé de rassembler leurs forces autour de l’Union européenne pour maintenir leur domination sur le Sud. Le projet européen est d’abord un projet impérialiste et capitaliste. Je suis une anti-impérialiste, donc je suis contre l’Europe par principe, qui continue d’imposer des traités parfaitement inégaux aux pays du Sud. On les exploite et on les vole, quand on n’envoie pas directement nos armées et nos bombes.

      La deuxième chose est qu’à partir du moment où j’identifie l’Europe comme le lieu de la solidarité des nations capitalistes, je sais que le refus de cette Europe et le retour à l’échelle nationale est une manière de fragiliser les élites au pouvoir, qui ont un désir d’Europe. En revanche, les classes populaires, qu’elles soient de sensibilité d’extrême-droite ou de gauche, ont voté ensemble contre le traité constitutionnel de 2005. Une conscience de classe pousse les classes populaires à être contre l’Europe. Il y a un désir de retourner à la nation. L’Europe, anti-démocratique, est une entrave à la puissance populaire. Dans les banlieues périphériques ou dans les campagnes, les directives européennes libérales nous obligent à fermer nos services publics, comme nos hôpitaux, nos crèches… Revenir à l’échelle nationale, c’est une manière de rapatrier le pouvoir et de le garder à vue. Mais revenir à l’échelle de la nation, c’est aussi pour mieux la combattre.


      Quelle est la différence avec d’autres partis qui proposent un Frexit ?

      L’extrême-droite propose un Frexit d’extrême-droite, on doit lui proposer un Frexit décolonial. À l’origine du désespoir, notamment chez les petits blancs, il y a la perte de puissance, la prise de conscience que plus personne n’a de pouvoir sur la transformation sociale. Il faut reconnaître le désir de nation et ne pas le laisser dans les mains de l’extrême-droite qui sait le mieux en tirer parti en flattant les tendances nationalistes du petit peuple. [ Tiens, une référence à Lordon : Ce que l’extrême droite ne nous prendra pas ] Ce qui compte dans le Frexit, ce n’est pas tant le nom mais le contenu politique. Pour le moment, nous n’avons que des exemples de droite, comme le Brexit qui est une catastrophe, mais cela ne veut pas dire que nous pouvons pas penser d’autres projets.

      Vous êtes pour le panafricanisme. Comment doit-il se constituer ?

      Le panafricanisme est l’affaire des Africains, je n’ai pas à le définir. Nous avons rompu avec cette espèce de paternalisme qui consiste à donner des leçons au Sud. Le Sud mène ses révolutions avec son propre agenda. Je vis en Europe, ma priorité est l’impérialisme de mon État. Quand je dis que je lutte contre l’Europe impérialiste, ça veut dire que je veux desserrer l’étau européen sur l’Afrique. Mais je le ferai à partir d’ici, c’est ma meilleure manière d’être anti-impérialiste.

      Beaufs et barbares. Le pari du nous , d’Houria Bouteldja, La fabrique éditions, essai, 262 pages, 13 euros

    • @marielle : merci pour ton partage de l’article de Contre-Attaque. C’est très utile d’avoir sous les yeux tous les (mé)faits commis par cette police, ne serait-ce que pour remettre les pendules à l’heure auprès de certaines petites crapules qui se cachent derrière le masque « syndicaliste » (policier) pour instiller le chaos social dans ce pays.

    • Impossible à défendre ! Même sans avoir vu l’entretien. Il est vrai que cette annonce d’ interview a provoqué chez moi un certain malaise car je n’apprécie point le personnage Raoult. D’autant plus qu’elle était annoncée sans concessions ! Mais visiblement ce n’était pas le cas selon Gaston Lefranc :

      https://twitter.com/GastonLefranc/status/1688790359827185664
      On a connu mieux comme interview « sans concession »...

      https://video.twimg.com/ext_tw_video/1688551474421198849/pu/vid/320x320/2HYU7O3o7Ga1RsMW.mp4?tag=12

  • BRI & RAID [850 agents] - Maintien de l’ordre
    https://maintiendelordre.fr/bri-raid

    Armements utilisés en violences urbaines
    Fusils à pompes, bean bags, grenades lacrymogènes et assourdissantes

    En plus des grenades utilisées en maintien de l’ordre et du LBD, la BRI et le RAID utilisent leur propre équipement.

    Dans le cas des violences urbaines, la protection des personnes et des biens est assurée par les forces de l’ordre « conformément aux règles de droit commun » en relevant des articles 122-5 du code pénal (légitime défense des personnes et des biens) et 122-7 (état de nécessité). Les policiers ont donc le droit d’intervenir avec leurs armes « sauf s’il y a disproportion entre les moyens employés et la gravité de la menace », comme le rappellent les deux articles.

    À l’aide de fusils de calibre 12, les agents tirent des munitions dites « bean bags », des petits sacs de toiles remplis de billes de plomb. À bout portant, les tirs de munitions bean bag comme de LBD, peuvent devenir des tirs létaux. En 2014, la Société française de médecine d’urgence (SFMU), publie un rapport sur cette arme : « Le bean bag présente un potentiel létal non négligeable à moins de 3 mètres par manque de déploiement ou encore par rupture du sachet et pénétration des plombs. À une distance supérieure ou égale à 7 mètres, même parfaitement déployé, le bean bag peut être responsable de lésions sévères, voire mortelles. » Une autre étude de 2021, cette fois-ci américaine, analyse une quarantaine de cas. L’un d’eux est celui d’un homme visé au thorax à une distance de 8 mètres. Il décèdera 15 minutes après.

    [...]

    En cas de crise, la BRI-PP qui compte une centaine d’agents, peut adopter la formation BRI-UCT (Unité contre-terroriste) et ainsi passer à plus de trois cents membres. Dans cette configuration, la BRI-UCT est appuyée par d’autres unités de la préfecture de police de Paris avant tout pour sécuriser le périmètre. On peut retrouver des policiers des CSI, de BAC de nuit, de la DSPAP mais aussi des unités de la DOPC. Dans ce cadre, la BRI-UCT fait également partie de la force d’Intervention de la Police Nationale, #FIPN. Cette force est aussi composée du #RAID et du GIPN.

    #police #BRI #maintien_de_l'ordre #armes_de_la_police #fusil #beanbags #LBD

  • À Marseille, le RAID tire à vue - POLITIS
    https://www.politis.fr/articles/2023/07/nahel-mort-a-marseille-le-raid-tire-a-vue

    La cité phocéenne, secouée par des affrontements après la mort de Nahel, a vu le RAID déployé dans ses rues. Plusieurs vidéos montrent cette unité d’élite réaliser des tirs à des distances potentiellement létales. Un homme y est mort après un « probable » tir « de type flash-ball ».

    Des coups de feu, parfois très proches. Dans une rue marseillaise, peu après minuit, dans la nuit du 30 juin au 1er juillet, des gens courent, visés par des tirs à moins de quatre mètres. Certains s’effondrent avant de se relever et de fuir. Les munitions sont en réalité des « bean bags », des petits sacs de toiles remplis de billes de plomb. En face d’eux, des hommes en noir, casqués et armés de #fusils de #calibre_12, le même pour les fusils de chasse. Il s’agit du #RAID, une unité d’élite de la #police qui intervient en cas d’attaques terroristes, de prises d’otages et dans la lutte contre le grand banditisme. Ce soir-là, pas de terroristes ni de criminels de grandes envergures, mais de simples jeunes révoltés.

    Le lendemain de cette scène de traque, dans la nuit du 1er au 2 juillet, Mohammed décède d’un arrêt cardiaque dans le même quartier. Le parquet estime que le décès de ce livreur Uber Eats et jeune père de famille de 27 ans a probablement été causé « par un choc violent au niveau du thorax provoqué par le tir d’un projectile de type flash-ball ». Présent lors des affrontements, il n’était là que pour prendre des photos, d’après sa femme contactée par RTL. Le parquet de Marseille a annoncé ouvrir une enquête pour « coups mortels avec usage ou menace d’une arme ».

    Flash-Ball, #LBD ou #bean_bag, le type de blessure engendrée par ces armes est relativement équivalent, la munition étant sphérique et relativement molle. Mais, comme le montre la scène du 1er juillet au soir, des tirs à moins de trois mètres sont effectués par le RAID. Encadré, le LBD est prévu pour un usage optimal entre 25 et 30 mètres. « En deçà des intervalles de distances opérationnels, propres à chaque munition, cette arme de force intermédiaire peut générer des risques lésionnels plus importants », rappelle une circulaire de 2017 de la police nationale.

    Pourtant, des vidéos des dernières émeutes montrent des policiers tirer à moins d’un mètre, comme à Montfermeil le 30 juin. Pour l’utilisation des bean bags, alors qu’une autre victime est dans le coma à Mont-Saint-Martin après un tir du RAID (article de La Voix du Nord), les consignes de tirs sont inconnues. Contacté pour obtenir plus d’informations sur les règles d’emploi, le ministère de l’Intérieur n’a pas répondu à nos sollicitations.

    #militarisation #maintien_de_l'ordre

    • After the Riots, the Police Terrorize Marseille
      https://www.thenation.com/article/world/france-marseille-police-nahel

      Marseille, France—Many of the faces in the crowd were young and brown. It was June 29 in #Marseille. Two days prior in Nanterre, a cop fatally shot Nahel Merzouk, 17, in the head during a routine traffic stop. The police had claimed self-defense, but a video released by a witness showed an officer pointing and firing a gun directly into the youth’s car.

      That first night, there were arrests and fires in cities around Nanterre, but the anger quickly spread across France. Police responded by sending helicopters, armored vehicles, tactical units, and the French equivalent of SWAT teams. Over six days, police arrested between 3,600 and 4,000 people. About a third of them were minors—some as young as 11. Many of the detained protesters were men and boys of color like Nahel, who was of Algerian and Moroccan descent. While the government promises “swift, tough, and systematic” sanctions for those arrested, the confrontations have left French cities reeling. Marseille, in particular, has become a flashpoint in the media coverage of riots and looting.

      The scale and swiftness of police repression that descended upon French cities has been shocking. French media and politicians across the spectrum have turned police officers and a mayor and his family who escaped “attempted assassination”—an event that may not be connected to the riots—into the main victims of the unrest. But several people have died, including a 27-year-old in Marseille whose death is seen as “probably” due to the impact of a “Flash-Ball type projectile” (a rubber or foam pellet), a 50-year-old shot by a stray bullet in French Guyana, and a young man who fell from the roof of a grocery store during a looting near Rouen.

    • Pour le RAID, les consignes de tirs sont inconnues. Contacté pour obtenir plus d’informations sur les règles d’emploi, le ministère de l’Intérieur n’a pas répondu à nos sollicitations.

      Politis compte attaquer le RAID au tribunal administratif pour non respect de la procédure de tir ? #LOL #MDR (et accessoirement d’un arrêt cardiaque dû au tir du RAID à l’insu de son plein gré #le_coup_est_parti_tout_seul)

      Le mieux est d’attendre la dissolution de l’ONU. Et superbe article de The Nation.

  • Chez les policiers, de la fatigue, peu de débats et la crainte que les émeutes ne soient pas terminées
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/05/chez-les-policiers-de-la-fatigue-peu-de-debats-et-la-crainte-que-les-emeutes

    (...) une crainte parcourt l’institution : l’éventualité d’un nouveau cycle de tensions en cas de révélations tardives de graves blessures ou, pire, de mort, causées par les forces de l’ordre au cours des affrontements. Le risque est identifié depuis longtemps et des affaires émergent.

    Après des révélations du quotidien en ligne La Marseillaise, le parquet de Marseille a confirmé l’ouverture d’une information judiciaire pour « coups mortels avec usage ou menace d’une arme » à la suite de la mort d’un homme âgé de 27 ans dans la nuit du samedi 1er au dimanche 2 juillet, probablement à la suite d’un tir de Flash-Ball ou de lanceur de balles de défense (#LBD). Et, à Mont-Saint-Martin (Meurthe-et-Moselle), un homme circulant en voiture a été grièvement atteint, selon ses proches, par une munition antiémeute de type « beanbag », vendredi 30 juin, sans doute après un tir de l’antenne locale du #RAID (Recherche, assistance, intervention, dissuasion), l’une des unités d’élite de la police.

    [...]

    Engagé avec la CRS 45 à Cergy-Pontoise (Val-d’Oise), ce policier expérimenté a découvert, ébahi, les modes d’actions nouveaux, pensés, élaborés, des émeutiers. Des barricades pour bloquer des voies d’accès stratégiques. Des attaques sur les flancs. Des ballons de baudruche remplis de liquide inflammable et lancés dans les fourgons puis enflammés à distance par des tirs de mortiers. « Ils ne craignaient pas du tout le contact, dit-il. Avec la volonté évidente de causer des dégâts humains. » Mobilité, coordination : la souplesse des assaillants a aussi contribué à épuiser les forces de l’ordre.
    https://justpaste.it/d5g08

    #révolte #émeutes #police #maintien_de_l'ordre

  • [LBD] À Marseille, un homme de 27 ans mort durant les émeutes
    https://www.lamarseillaise.fr/societe/a-marseille-un-homme-de-27-ans-mort-durant-les-emeutes-BF14447341

    Le parquet de Marseille contacté par La Marseillaise a indiqué avoir ouvert mardi une information judiciaire du chef « de coups mortels avec usage ou menace d’une arme suite au décès d’un homme âgé de 27 ans à Marseille dans la nuit du samedi 1er juillet au dimanche 2 juillet 2023

    Selon le parquet, les premiers éléments de l’enquête « permettent de retenir comme probable un décès causé par un choc violent au niveau du thorax causé par le tir d’un projectile de « type #flash-ball » . À ce stade, le lieu de l’impact n’est pas déterminé. « Des événements de type émeutes et pillages se déroulaient cette nuit-là dans le secteur, sans qu’il soit possible de déterminer si la victime y avait participé ou même si elle avait pu circuler dans une telle zone », précise le parquet .

    #LBD #police

    • Emeutes urbaines : l’IGPN saisie après une mort suspecte en marge des violences à Marseille
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/05/emeutes-urbaines-l-igpn-saisie-apres-une-mort-suspecte-en-marge-des-violence

      Personne ne veut faire un lien entre les #émeutes et la mort d’un homme de 27 ans, dans la nuit du samedi 1er au dimanche 2 juillet, à Marseille. Mais c’est bien l’inspection générale de la police nationale (IGPN) que le parquet de Marseille a saisie après avoir ouvert une information judiciaire pour « coups mortels avec usage ou menace d’une arme ». (...)

      Ce soir-là, la préfecture de police avait considérablement renforcé son dispositif, qui, la veille, s’était montré inefficace pour empêcher la mise à sac de plusieurs dizaines de commerces. Des unités de CRS avaient été disposées sur les cours Belsunce et Saint-Louis (1er arrondissement) pour interdire l’accès aux principales rues commerçantes.
      Deux véhicules blindés et deux hélicoptères de la gendarmerie étaient également mobilisés, de même que des effectifs du #RAID et du #GIGN. Des commerçants avaient également recruté des équipes de #vigiles pour assurer la protection de leurs lieux. Certains de ces agents de sécurité arboraient, eux aussi, des armes de défense de type « gomm cogne ».

    • @r_chekkat
      https://twitter.com/r_chekkat/status/1676631893503008768

      La sœur de l’homme mort dimanche d’un arrêt cardiaque à #Marseille après avoir reçu un tir de LBD vient d’être condamnée à 1 an de prison (6 mois avec sursis) après avoir été interpellée avec une chaussure (même pas une paire) venant du Foot Locker pillé 3h plus tôt.

      Livreur en scooter, il filmait la police dans le centre de Marseille peu avant sa mort.

  • Emeutes urbaines : à Mont-Saint-Martin, un jeune homme dans le coma, interrogations sur l’intervention du RAID au cours d’une « nuit terrifiante »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/04/emeutes-urbaines-a-mont-saint-martin-un-jeune-homme-dans-le-coma-interrogati

    Pour cette nuit, onze agents du RAID sont « engagé[s] » dans cette commune d’à peine 10 000 habitants pour « assurer la sécurité des personnes et des biens », peut-on lire dans un tweet du préfet du département. La veille, selon la municipalité, la buvette du stade, une dizaine de véhicules et un établissement pour autistes ont brûlé ; il y a eu aussi des affrontements avec les forces de l’ordre dans la cour de l’école Jean-de-la-Fontaine.

    Vers « minuit cinquante une heure », Aimène, Yorick et Mimoun décident d’aller se ravitailler à la boutique d’une pompe à essence de Rodange, au Luxembourg. A peine cinq kilomètres à parcourir. Aimène prend le volant d’une Clio 3 blanche qui appartient à la mère de Yorick. Celui-ci s’assoit derrière le conducteur, Mimoun du côté passager. A peine parti, il faut revenir : l’un d’eux a oublié ses cigarettes. Léger détour. Juste avant de passer sur la chicane et un ralentisseur de la rue de Verdun, Aimène, vitre baissée, rétrograde en seconde. « Je tourne la tête à gauche, j’aperçois des policiers dans le noir, je vois une lampe torche qui nous éclaire et j’entends “poc” », raconte Mimoun. Aimène ne répond plus.

    « Moi, je ne comprends pas. J’entends la voiture en surrégime, je dis “Aimène, qu’est-ce que tu fais, avance” », poursuit Yorick. « Il y a du sang partout, je prends le volant pour éviter le terre-plein devant nous, je tourne à droite sur la rue de Marseille. Aimène est inconscient. Putain, il a pris une balle », lance Mimoun. Selon le récit des deux passagers, la voiture aurait continué sa course sur 500 mètres, le pied de la victime étant resté sur l’accélérateur. « On arrive à se stationner un peu plus loin à l’entrée de la bretelle NR2, détaille Mimoun. Je lui mets un tissu dans le cou, je pensais que le sang sortait par là ; mais ça n’a servi à rien, je ne savais pas qu’il coulait de la tête. » Yorick : « J’appelle les pompiers tout en disant à Aimène de ne pas s’endormir ; ils ne répondent pas, alors je contacte quelqu’un. » A ce moment-là, aucun policier ne les aurait suivis pour leur porter un éventuel secours.

    « Il y a une volonté de faire la lumière »

    A 1 h 10, le téléphone de Nordine, 28 ans, vibre. « Il me dit “Aimène a pris une balle. Viens”, se souvient-il. On arrive avec deux amis et je suis choqué : je lui retire sa casquette et un sachet entré dans sa tête, je vois un trou. » Il filmera le projectile dans la casquette ensanglantée. Direction les urgences de l’hôpital de Mont-Saint-Martin ; là-bas, on ne peut pas le traiter. « On évoque la possibilité de l’héliporter à Nancy, mais à cause des orages [prévus par Météo-France], on nous dit qu’il ne pouvait pas décoller », raconte Maya.

    Aimène est donc transporté en ambulance à l’hôpital d’Arlon, pour subir une opération à 3 h 50. Depuis, le jeune homme a été plongé dans le coma, son état de santé reste extrêmement fragile. La famille a le droit de lui rendre visite chaque jour de 16 heures à 17 h 30.

    [...]

    Dans le quartier, des habitants, qui disent ne pas avoir participé aux émeutes, ont assuré au Monde qu’ils ont été « pris pour cible » par des membres de cette unité d’élite lors de cette nuit « terrifiante ». Certains ont été touchés. On constate aussi des impacts sur des voitures. Toujours dans la même zone, à l’angle des rues de Marseille et Verdun où, selon ces témoignages, des membres du #RAID auraient été dissimulés ou allongés, selon eux, dans les buissons. « Des jeunes m’ont dit que ça tirait à tout va, explique Serge de Carli, le maire de Mont-Saint-Martin (divers gauche). J’ai posé des questions, une enquête est en cours. »

    A 1 h 10, soit quelques minutes après la blessure d’Aimène, un habitant a filmé une scène dans laquelle on voit trois voitures roulant à faible allure, dans des circonstances indéterminées, puis le RAID tirer en leur direction. « C’est comme si on était à la fête foraine, assure au Monde Théo Palmieri, 21 ans, l’un des chauffeurs. Je déposais un ami, il n’y a pas eu d’insulte ou de geste de notre part. »

    https://justpaste.it/a0hc4
    https://seenthis.net/messages/1008575

    #révolte #émeutes #maintien_de_l'ordre #armes_de_la_police #beanbags

    • Projectile en sachet — Wikipédia
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Projectile_en_sachet

      Un projectile en sachets ou un sac à pois (traduction de l’anglais : bean bag rounds, littéralement : « munitions à sac de haricots ») est une munition pour arme à feu, dont les cartouches contiennent des sachets. Ces sachets peuvent contenir du plomb, du sable ou des billes d’acier. Une fois tiré, le sachet se déplie et frappe la cible par le côté plat. Ces munitions peuvent contenir de la teinture pour repérer la cible par la suite, ou bien des agents chimiques pour l’affecter directement. Les cartouches peuvent être tirées depuis un fusil ou un lance grenade1.

      Elles sont utilisées dans plusieurs pays pour contrôler les foules. Elles ont par exemple été utilisées lors des Manifestations de Ferguson en 2014 aux États-Unis2 et aussi dans les Manifestations de 2019 à Hong Kong contre la loi d’extradition3, sur les Hongkongais, et aussi dans les Manifestations de 2019 au Chili.

    • Jeune homme dans le coma lors d’émeutes à Mont-Saint-Martin : ouverture d’une information judiciaire
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/07/jeune-homme-dans-le-coma-lors-d-emeutes-a-mont-saint-martin-ouverture-d-une-

      Yassine Bouzrou, l’avocat de la famille de la victime – le même qui suit l’affaire de Nahel M. – explique au Monde qu’il « trouve que la procureure de la République du Val-de-Briey a fait preuve de beaucoup de réserves en affirmant qu’à ce stade, on ne peut pas accuser mon client de quoi que ce soit ». Il ajoute : « Elle n’a pas cherché non plus à criminaliser la victime comme le font trop souvent ses confrères. Les investigations vont pouvoir se poursuivre et démontrer qu’un agent du RAID a fort probablement tiré sur mon client. »

      maintenant qu’après plus de 3000 arrestations la presse est disponible (cf. le meurtre d’Alhoussein Camara à Angoulème qui fini par faire l’objet d’un article dans Le Monde) le parquet fait varier ses scénars, prend des précautions

      #Aimène_Bahouh

    • Émeutes : un jeune homme toujours dans le coma après un tir policier, son avocat [Yassine Bouzrou] dénonce l’« hostilité » des juges
      https://www.leparisien.fr/faits-divers/emeutes-un-jeune-homme-toujours-dans-le-coma-apres-un-tir-policier-son-av

      Il dénonce l’ « hostilité » des magistrats. Une requête en dépaysement a été déposée auprès du procureur général de Nancy par Me Yassine Bouzrou, avocat de la famille d’Aimène B., un jeune homme de 25 ans toujours dans le coma après avoir été touché le 30 juin par un tir d’un policier du Raid, à Mont-Saint-Martin (Meurthe-et-Moselle), pendant les émeutes.

      L’avocat dénonce le « refus » des juges d’instruction Nancy de lui donner accès au dossier de l’affaire, après l’ouverture début juillet d’une information judiciaire pour « tentative d’homicide volontaire ». Une opposition « inacceptable » et qui « interroge quant à leurs motivations », a-t-il estimé mardi dans une lettre transmise au procureur général de Nancy, demandant le renvoi de l’affaire à un autre tribunal.

      « Des éléments doivent être dissimulés »

      Me Bouzrou dit avoir reçu une fin de non-recevoir lundi, après avoir sollicité une copie de la procédure auprès du tribunal judiciaire. Il indique avoir essuyé un nouveau refus lorsqu’il a tenté de joindre le greffier, le secrétariat lui ayant répondu que le dossier n’était « actuellement pas en forme pour être consulté ».

      « Le fait d’avoir besoin de mettre en forme le dossier avant d’en donner connaissance à la partie civile permet de craindre que des éléments doivent être dissimulés avant sa consultation », juge Me Bouzrou dans le communiqué.

      « Un souci de protection du policier »

      « Le refus des magistrats instructeurs d’instruire ce dossier et de communiquer aux parties civiles les éléments du dossier démontre une hostilité qui ne peut s’expliquer que par un souci de protection du fonctionnaire de police qui a commis une infraction extrêmement grave », ajoute-t-il, précisant que ce dernier n’a - « à (sa) connaissance » - « toujours pas été mis en examen ».

      Dénonçant aussi des « liens habituels » entre les policiers du Raid, basés à Nancy, et les magistrats et le parquet de cette même ville, Me Bouzrou demande un renvoi de la procédure vers un autre tribunal.

      #indépendance_des_juges #justice

  • Emeutes urbaines : le recours aux unités d’élite de la police et de la gendarmerie, une stratégie inédite et « assumée »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/03/emeutes-urbaines-le-recours-aux-unites-d-elite-de-la-police-et-de-la-gendarm

    Deux jours après la mort de Nahel M., 17 ans, tué d’une balle à bout portant par un policier à l’occasion d’un contrôle routier, personne ne s’attendait à voir mobilisés les effectifs de cette prestigieuse unité [la BRI], ni ceux du RAID (Recherche, assistance, intervention, dissuasion), du Groupe d’intervention de la gendarmerie nationale (GIGN) et de leurs antennes locales, davantage rompus aux prises d’otages et à l’interception de « go fast » qu’à la gestion des « VU » – les violences urbaines.

    Oubliées, les consignes de retenue données lors des premiers affrontements. Avec la multiplication de scènes de pillage et d’extrême violence, les images accablantes du contrôle routier qui a coûté la vie au jeune Nahel M. ont disparu des écrans en quelques heures, au profit de séquences apocalyptiques, avenues en flammes, centres commerciaux dévalisés, gerbes des mortiers d’artifice tirés contre des bâtiments publics.
    Depuis la place Beauvau, le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, a compris que l’opinion se retournait, que le risque d’un procès en incompétence – pire à ses yeux : en laxisme – excédait désormais celui, pourtant bien réel, d’une nouvelle bavure. Politiquement, il a aussi estimé avoir les coudées franches. Contrairement à un Nicolas Sarkozy empêtré dans ses mensonges après la mort de Zyed Benna et Bouna Traoré, deux adolescents électrocutés après une course-poursuite avec des policiers, en octobre 2005, n’a-t-il pas jugé « extrêmement choquantes » les images du contrôle routier mortel de Nanterre, filmées par une passante et devenues virales ?

    « Démonstration de force »

    Le ton et la méthode changent. « Des instructions d’intervention systématiques ont été données aux forces de l’ordre », tweete-t-il le jeudi 29 juin. Le matin même, dans le cadre du dispositif Coordination opérationnelle renforcée dans les agglomérations et les territoires, une première décision a autorisé les pelotons de sécurité et d’intervention de la gendarmerie à agir en zone police. Puis est venue celle d’engager sur le terrain les unités d’élite de la police et de la gendarmerie. Pour une « démonstration de force totalement assumée et revendiquée, affirme l’entourage du ministre, avec un double objectif opérationnel et psychologique ».

    Il s’agit de reprendre l’initiative en bousculant les émeutiers, loin de la stratégie habituelle du maintien de l’ordre, qui consiste théoriquement à tenir les manifestants à distance. Les blindés du RAID et de la BRI sont engagés au plus près des affrontements.

    https://justpaste.it/9tr69

    #Nahel #révoltes #maintien_de_l'ordre #BRI #RAID #GIGN

  • [au fil de la journée du 29 juin, varia]
    CARTE. Mort de Nahel à Nanterre : quelles sont les villes les plus touchées par les violences urbaines en Île-de-France ?
    https://france3-regions.francetvinfo.fr/paris-ile-de-france/carte-mort-de-nahel-a-nanterre-quelles-sont-les-villes-

    28 juin et nuit du 29 juin, par touches lacunaires, et articles plus approfondis
    https://seenthis.net/messages/1007824

    "Thread des vidéos les plus FOLLES d’hier] soir en France."
    https://twitter.com/kaayaace/status/1674213673315827714
    avec disqueuse and so on mais pas les deux scènes avec fusils que j’ai vu : tirs sur des caméras de surveillance placées en hauteur ; ni les plus efficaces moment de pyrotechnie, ni l’utilisation d’explosif pour mettre à distance la police

    une belle compilation vidéo (c’est pas riot porn)
    https://twitter.com/PerkutMedia/status/1674407279272050688

    les images, vérifiées par l’ImMonde, de plusieurs commissariats pris pour cibles (lors d’une des attaques, une personne armée d’un fusil en couverture)

    https://www.lemonde.fr/societe/video/2023/06/29/mort-de-nahel-m-a-nanterre-les-images-verifiees-de-plusieurs-commissariats-p

    Lors des émeutes de 2005, 11 500 policiers et gendarmes avaient été mobilisés... https://berthoalain.files.wordpress.com/2007/12/emeutes-de-2005-dans-les-banlieues-francaises.pdf Darmanin annonce la mobilisation ce soir de 40 000 #policiers, quatre fois plus que les 9000 d’hier, avec en prime le RAID, la BRI et le GIGN engagés en réserve (la CRS8 a mangé à Nanterre, et il reste je ne sais combien d’unités à créer en plus de celle de Marseille pour quadriller le territoire).
    il est vrai que la révolte a commencé à toucher même des villes centres (Paris, Rennes, Lille, Marseille...), contrairement à ce qui s’était passé en 2005, où une des surprises fut l’ébullition dans de petites localités jusqu’alors considérées comme tranquilles.

    mobiliser 1/6eme des effectifs alors que les émeutes vont continuer ce week end (et après ?), c’est faire peu de cas de ce qui s’est produit lors de la mobilisation contre la réforme des retraites, où ils étaient dépassés, fatigués sur la durée. LR réclame déjà l’état d’urgence. on aura sous peu une belle alliance majoritaire.

    « Ils ont tout pris » : des supermarchés pillés en marge de la nuit de violences urbaines #paywall
    https://www.leparisien.fr/seine-saint-denis-93/ils-ont-tout-pris-des-supermarches-pilles-en-marge-de-la-nuit-de-violence

    En Seine-Saint-Denis, des #supermarchés de tailles variées ont été le théâtre de #vols et de dégradations, à Aulnay et Romainville notamment dans la nuit de mercredi à ce jeudi. Des scènes similaires ont eu lieu dans les Yvelines, en Seine-et-Marne, et dans le Val-de-Marne.

    apaisement. on nous fait des déclarations publiques (Macron, Borne) qui fâchent les policiers. très exceptionnellement un sous fifre du gouvernent a(urait ?) rendu visite à la famille de Nahel. on nous montre que la justice commence son travail (rare cas d’un tireur policier placé en détention), or le proc ne fait rien de la complicité du deuxième motard de la police, rien des probables déclarations mensongères des policiers (faux en écriture publique) repris par la pref et la presse.
    la défense plaide donc à raison pour un dépaysement qui brise la complicité obligée des institutions répressives locales, manière de faire qu’une justice structurellement au service de la police le soit de façon moins stricte.

    Cazeneuve sur la loi de 2017 sur la sécurité publique modifiant les conditions de tirs policiers, prise pour satisfaire la police (après que trois policiers aient été blessés à Vitry-Chatillon (ce qui a causé la longue détention abusive que l’on sait)
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/06/29/adolescent-tue-par-un-policier-a-nanterre-emmanuel-macron-sur-une-ligne-de-c

    Be water ? On annonce qu’il n’y aura ni bus ni tramway ce soir en IDF après 21 heures, Tours et d’autres villes emboitent le pas.

    Roussel, "Les violences ne servent en rien notre combat pour la vérité et la justice." (RS), viré de la marche à Nanterre.

    15h30 arrivant à la préfecture, la marche blanche de Nanterre ("révolte" a dit la mère de Nahel, avant de passer à la télé...), gazée, se transformée en attaque contre les policiers et un bâtiment de bureau, flambant neuf, puis flambant tout court https://immobilier.cushmanwakefield.fr/location-bureaux/bureaux-a-louer-nanterre-92000-163612

    La police essaie de tenir la place Nelson Mandela par force moyens

    L’huma croit encore aux bavures (#paywall)
    De Vaulx-en-Velin à Nanterre, des bavures aux émeutes, Alessio Motta, enseignant chercheur en sciences sociales, spécialiste des mobilisations collectives.
    https://www.humanite.fr/en-debat/mort-de-nahel/de-vaulx-en-velin-nanterre-des-bavures-aux-emeutes-801243

    Coté syndicats, signaux faibles.
    @RevPermanente
    https://twitter.com/RevPermanente/status/1674376341695676417

    Alors que nombre d’organisations syndicales restent silencieuses ou passives après la mort de Nahel mardi dernier à #Nanterre, la Fédération Sud Rail a appelé à manifester avec la famille ce jeudi. Une délégation de cheminots sera présente

    une demande d’une réforme de la police et pas d’appel à la mobilisation ou à la solidarité, coté CGT
    Drame à Nanterre : les pouvoirs publics doivent réagir !
    https://www.cgt.fr/comm-de-presse/drame-nanterre-les-pouvoirs-publics-doivent-reagir

    La Défense est touchée un jour de taf (et pas comme lors des GJ un samedi)
    Brav-M déployée à Nanterre
    annonce de l’envoi de la BRI, "l’anti gang", également dédiée à l’#anti-terrorisme https://fr.wikipedia.org/wiki/Brigade_de_recherche_et_d%27intervention_(France), une "unité dédiée aux interventions difficiles" (Le Parisien) comme pour faire face à des personnes armées susceptibles de tirer à balles ou cartouche. Certes, hier, des policiers ont eu du mal à pénétrer dans des immeubles d’habitation et il n’y a décidément pas assez de CRS8 qui s’ennuient (comme le disait l’un de leurs chef il y a peu) en attendant d’entrer en scène...

    Le maintien de l’ordre est perturbé par l’inévitable imprédictible : les unités spécialisés type BRI, Raid, GIGN étaient annoncées comme "mises en réserve" pour la soirée. La BRI arrive en avance car le pouvoir est en retard.

    Le #couvre-feu instauré à #Clamart de 21h à 6h du matin jusqu’au lundi 3 juillet. (BFMTV) devrait faire des émules dans les mairies.

    18h30 un hélicoptère de la gendarmerie survole Nanterre et la BRI intervient, histoire de fixer les esprits.
    L’idéal, selon une logique contre-insurrectionnelle, serait d’arriver à des interpellations débouchant rapidement sur de lourdes peines. Ça fermerait le clapet de tous ceux qui ces derniers mois se sont offusqué des arrestations de masse sans traduction judiciaire.
    faut fixer des identités dissuasives : "casseurs", "manifestant violent"

    Raid à Lille, Porte des Postes

    une bien belle pose :

    #Nahel #assassinat_policier #police #villes #quartiers #révolte #émeutes #carte #IDF #contre_insurrection

  • Le 1er Mai, manifestons pour nos retraites, nos salaires, et l’unité des travailleurs contre le nationalisme et la xénophobie !
    https://www.lutte-ouvriere.org/editoriaux/le-1er-mai-manifestons-pour-nos-retraites-nos-salaires-et-lunite-des | Éditorial de Lutte Ouvrière (24 avril 2023)

    Alors que le combat contre la retraite à 64 ans n’est pas terminé, le gouvernement allume un contre-feu sur l’#immigration, pour diviser le monde du travail. #Mayotte, le 101e département français, située dans l’océan Indien, est au cœur de cette #campagne_anti-immigrés.

    Darmanin vient d’y lancer l’opération de police #Wuambushu, qui se veut spectaculaire. Il a déployé 1800 policiers et gendarmes, des #CRS, des membres du #Raid et du #GIGN, des magistrats et installé un centre de rétention provisoire. L’objectif est de démanteler les #bidonvilles habités par les immigrés en situation irrégulière et d’en expulser 10 000, essentiellement vers #les_Comores.

    Autrement dit, à Mayotte, la #chasse_aux_pauvres est ouverte !

    Darmanin peut raconter ce qu’il veut, parler de délinquants et inventer de potentiels terroristes islamistes, il a ordonné la démolition de ce qui est le seul refuge pour des milliers de familles pauvres, comoriennes comme mahoraises. Ce sont des pauvres, avec ou sans papiers, qu’il va faire arrêter et peut-être expulser. Ce sont des familles pauvres qu’il va séparer et déchirer.

    À Mayotte, les hôpitaux, les écoles et toutes les infrastructures sont sous-dimensionnées pour une population croissante qui vit à plus de 70 % sous le seuil de pauvreté. Une partie de la jeunesse est la proie de bandes armées violentes vivant du racket et du vol. Mais le responsable de cette situation invivable, et d’abord pour les pauvres de Mayotte, toutes origines confondues, est l’État français qui ne met pas les moyens pour juguler cette pauvreté.

    Comme de bien entendu, la droite et l’#extrême_droite accusent l’immigration venue des Comores. Il n’y a rien de plus écœurant ! C’est la France qui a colonisé les Comores. Puis, au moment de leur indépendance, elle a détaché Mayotte de l’archipel avec un #référendum arrangé. Il y a 50 ans, les habitants des autres îles des Comores ont donc été transformés en étrangers, et la France, avec sa métropole à 8000 km, a gardé le pouvoir à Mayotte.

    Cette fois, les défenseurs de la « nation française » ne peuvent pas utiliser des différences de couleur de peau, de religion ou de culture pour dresser les Français de Mayotte contre les immigrés : ils font partie du même peuple ! Alors, cette opération n’est rien d’autre qu’une campagne infecte orchestrée par un gouvernement en mal de démagogie nationaliste et raciste.

    La politique de la France aux Comores est à l’image de la politique impérialiste qu’elle a imposée à toutes ses ex-colonies en Afrique et au Maghreb.

    Sur tous les continents, pour piller des régions entières et exploiter leur main-d’œuvre, les grandes puissances ont découpé les États dans la chair des peuples. Elles ont ainsi concentré les richesses et le progrès humain entre les mains de la bourgeoisie impérialiste et plongé le reste du monde dans un océan de misère et dans des conflits incessants entre les peuples. Ce sont ces fauteurs de misère et de guerres qu’il faut empêcher de nuire !

    Nos dirigeants et nos exploiteurs nous mettent en concurrence entre travailleurs, entre femmes et hommes, entre nationaux et immigrés. Ils voudraient nous voir nous déchirer pour les miettes qu’ils nous laissent. Ne les laissons pas nous diviser pour mieux écraser nos sœurs et nos frères d’exploitation ! Beaucoup de travailleurs ont besoin de circuler pour gagner leur pain, eh bien, cette revendication doit être celle de tous !

    Il faut répondre à la #lutte_de_classe menée par le #grand_patronat avec la conscience que nous faisons partie d’une seule et même classe ouvrière internationale. Le 1er Mai incarne cette perspective car il a été choisi par les travailleurs des différents pays pour être une journée de luttes communes.

    C’est aussi, cette année, la date que les organisations syndicales ont choisie pour continuer d’exprimer notre opposition à la retraite à 64 ans. À nous de faire que le 1er Mai 2023 sorte de l’ordinaire, avec des cortèges plus massifs que d’habitude ! Soyons nombreux, aussi, à affirmer que les travailleurs n’ont pas de patrie et qu’ils constituent par-delà les frontières une même classe sociale.

    Avant nous, dans tous les pays, des générations de travailleurs ont fait grève et ont, bien souvent, été en butte à la répression, le 1er Mai. Ils se sont battus pour les revendications ouvrières mais aussi contre le capitalisme, sa mise en concurrence des peuples, ses ravages sur la planète, son nationalisme, ses guerres.

    Ils affirmaient que les travailleurs ont intérêt à en finir avec l’#exploitation et l’#oppression des pays pauvres par les pays riches et qu’ils en ont la force. Ils affirmaient la nécessité de la révolution sociale à l’échelle internationale. Montrons que cette perspective est toujours vivante !

    #impérialisme #politique_criminelle #internationalisme #conscience_de_classe

    • 1er mai : contester le pouvoir du capital
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/04/26/1er-mai-contester-le-pouvoir-du-capital_634260.html

      L’intersyndicale a appelé les travailleurs à faire du 1er Mai un nouveau temps fort du mouvement contre la réforme des retraites, promulguée le 15 avril et qui, selon Macron, devrait prendre effet le 1er septembre.

      La lutte contre la réforme des retraites doit en effet continuer le 1er Mai et au-delà, non seulement parce que c’est une attaque directe mais parce qu’elle en prépare d’autres. L’inflation réduit chaque jour le pouvoir d’achat des salaires et des pensions, l’État sabre tous les budgets utiles à la population, le patronat fait pression sur l’emploi et les conditions de travail, le gouvernement multiplie les tentatives de division entre travailleurs en calomniant chômeurs, immigrés, sans-papiers, fonctionnaires, etc. Plus sombre encore, la situation internationale, l’augmentation parallèle des budgets militaires et des discours guerriers, la crise économique où s’enfonce le système capitaliste préparent de nouvelles catastrophes.

      C’est précisément parce que tout se résume et se résout par la lutte entre exploiteurs et exploités, capitalistes et prolétaires, que le mouvement ouvrier international a proposé, en 1890, de faire du 1er Mai la journée de lutte internationale des travailleurs. Il s’agissait d’affirmer ce jour-là dans les rues, partout dans le monde, qu’il n’y qu’une seule classe ouvrière et qu’elle représente le seul avenir possible pour l’humanité, sans exploiteurs et donc sans frontières et sans guerre. Cela est plus que jamais d’actualité.

      Au-delà de la question des retraites, c’est aussi cette perspective que Lutte ouvrière affirmera dans les cortèges du 1er Mai avec tous ceux qui voudront la rejoindre.

  • Le calvaire des #femmes palestiniennes dans les #prisons israéliennes

    Au cours des 74 dernières années, Israël a arrêté plus de 10 000 femmes palestiniennes, les soumettant à des traitements cruels et brutaux… Elles sont anciennes détenues ou membres d’association de défense des droits des prisonniers. Elles dénoncent les #conditions_de_détention, les #agressions, le #harcèlement, les #attouchements, le retrait du voile, mais aussi la #torture, les #raids ou la #négligence_médicale. Car au-delà de l’enfermement, la peine est aussi politique et religieuse.

    https://www.rfi.fr/fr/podcasts/grand-reportage/20230324-le-calvaire-des-femmes-palestiniennes-dans-les-prisons-isra%C3%A9lienne
    #emprisonnement #femmes_palestiniennes #Israël #audio #podcast #patriarcat

  • #Libye : preuves de #crimes_de_guerre et de #crimes_contre_l’humanité, selon des experts de l’#ONU

    Parmi les exactions dénoncées par la mission onusienne : des attaques contre des écoles ou des hôpitaux ou encore les violences subies par les migrants.

    Des crimes de guerre et des crimes contre l’humanité ont été commis en Libye depuis 2016, a conclu une #mission d’#enquête d’experts de l’ONU après une enquête sur place, indique l’AFP ce lundi, confirmant des faits dénoncés de longue date.

    La mission souligne que « les civils ont payé un lourd tribut » aux #violences qui déchirent la Libye depuis cinq ans, notamment en raison des attaques contre des écoles ou des hôpitaux. « Les #raids_aériens ont tué des dizaines de familles. La destruction d’infrastructures de santé a eu un impact sur l’#accès_aux_soins et les #mines_antipersonnel laissées par des #mercenaires dans des zones résidentielles ont tué et blessé des civils », souligne le rapport.

    Par ailleurs, les #migrants sont soumis à toutes sortes de violences « dans les #centres_de_détention et du fait des trafiquants », en tentant de trouver un passage vers l’Europe en Libye, a dénoncé l’un des auteurs de l’enquête. « Notre enquête montre que les #agressions contre les migrants sont commises à une large échelle par des acteurs étatiques et non étatiques, avec un haut degré d’organisation et avec les encouragements de l’Etat - autant d’aspects qui laissent à penser qu’il s’agit de crimes contre l’humanité ».

    Les #prisons

    Les experts soulignent aussi la situation dramatique dans les prisons libyennes, où les détenus sont parfois torturés quotidiennement et les familles empêchées de visiter. La #détention_arbitraire dans des #prisons_secrètes et dans des conditions insupportables est utilisée par l’Etat et les #milices contre tous ceux qui sont perçus comme une menace.

    « La violence est utilisée à une telle échelle dans les prisons libyennes et à un tel degré d’organisation que cela peut aussi potentiellement constituer un crime contre l’humanité », a souligné Tracy Robinson.

    Les auteurs du rapport notent que la justice libyenne enquête également sur la plupart des cas évoqués par la mission de l’ONU, mais notent que « le processus pour punir les gens coupables de violations ou de #maltraitances est confronté à des défis importants ».

    La mission composée de trois experts, Mohamed Auajjar, Chaloka Beyani et Tracy Robinson, a rassemblé des centaines de documents, interviewé 150 personnes et menée l’enquête en Libye même, mais aussi en Tunisie et en Italie.

    Cette mission indépendante a toutefois décidé de ne pas publier « la liste des individus et groupes (aussi bien libyens qu’étrangers) qui pourraient être responsables pour les violations, les abus et les crimes commis en Libye depuis 2016 ». « Cette liste confidentielle le restera, jusqu’à ce que se fasse jour le besoin de la publier ou de la partager » avec d’autres instances pouvant demander des comptes aux responsables.

    Le rapport doit être présenté au Conseil des droits de l’homme à Genève - la plus haute instance de l’ONU dans ce domaine - le 7 octobre.

    https://www.liberation.fr/international/afrique/libye-preuves-de-crimes-de-guerre-et-de-crimes-contre-lhumanite-selon-des

    #torture #migrations #rapport

  • #SalePute

    Loin d’être un phénomène isolé, le #cyberharcèlement touche en majorité les #femmes. Une enquête édifiante sur ce déferlement de #haine virtuelle, aux conséquences bien réelles. Avec le #témoignage d’une dizaine de femmes, de tous profils et de tous pays, et de spécialistes de la question, qui en décryptent les dimensions sociologiques, juridiques et sociétales.

    Les femmes sont vingt-sept fois plus susceptibles que les hommes d’être harcelées via #Internet et les #réseaux_sociaux. Ce constat, dressé par l’European Women’s Lobby en 2017, prouve que les #cyberviolences envers les femmes ne sont pas une addition d’actes isolés, mais un fléau systémique. Plusieurs études sociologiques ont montré qu’il était, en majorité, le fait d’hommes, qui, contrairement aux idées reçues, appartiendraient à des milieux plutôt socio-économiques plutôt favorisés. Se sentant protégés par le caractère virtuel de leurs actions, les auteurs de ces violences s’organisent et mènent parfois des « #raids_numériques », ou #harcèlement_en_meute, aux conséquences, à la fois personnelles et professionnelles, terribles pour les victimes. Celles-ci, lorsqu’elles portent plainte, n’obtiennent que rarement #justice puisqu’elles font face à une administration peu formée sur le sujet, à une législation inadaptée et à une jurisprudence quasi inexistante. Les plates-formes numériques, quant à elles, sont encore très peu régulées et luttent insuffisamment contre le harcèlement. Pour Anna-Lena von Hodenberg, directrice d’une association allemande d’aide aux victimes de cyberharcèlement, le phénomène est une menace directe à la #démocratie : « Si nous continuons de tolérer que beaucoup de voix se fassent écarter de cet #espace_public [Internet, NDLR] et disparaissent, alors nous n’aurons plus de #débat_démocratique, il ne restera plus que les gens qui crient le plus fort ».

    Acharnement haineux
    #Florence_Hainaut et #Myriam_Leroy, deux journalistes belges cyberharcelées, recueillent les témoignages d’une dizaine de femmes, de tous profils et de tous pays, (dont la chroniqueuse de 28 minutes #Nadia_Daam, l’humoriste #Florence_Mendez ou encore l’auteure #Pauline_Harmange), elles aussi insultées et menacées sur le Net. En partant des messages malveillants reçus par ces dernières, le duo de réalisatrices enquête sur la prolifération de la haine en ligne auprès de différents spécialistes de la question, qui décryptent les aspects sociologiques, juridiques ou encore sociétaux du cyberharcèlement.

    https://www.arte.tv/fr/videos/098404-000-A/salepute

    –-> déjà signalé sur seenthis (https://seenthis.net/messages/919957 et https://seenthis.net/messages/920100), mais je voulais y ajouter des mots-clé et citations...

    #Renaud_Maes, sociologue (à partir de la min 16’30)

    « Généralement c’est plutôt des hommes qui agressent sur internet et c’est plutôt des gens qui viennent de milieux socio-économiques plus favorisés (...), des gens qui viennent de la classe moyenne, voire de la classe moyenne supérieure. Cela permet de révéler quelque chose qu’on croit relativement absent : il existe une violence structurelle dans nos société, il existe une domination structurelle et on s’en est pas débarrassés. Clairement, encore aujourd’hui, c’est pas facile d’être un homosexuel, c’est pas facile d’être une femme, c’est pas facile d’être une personne racisée, c’est encore moins facile si on commence à avoir plusieurs attributs au même temps. C’est quelque chose qui parfait ne transparaît pas dans le monde social, parce qu’on a plus de self-control. Avec internet on voit bien que le problème est bien là et que dès qu’on a eu l’occasion d’enlever un peu de #contrôle_social, d’avoir, ne fut-ce que l’illusion, car ce n’est pas forcément vrai, moins de conséquences immédiatement les choses sont mises à nu. Et on voit qu’il y a de la violence, il y a du #rejet des personnes homosexuelles, il y a de la misogynie, il y a du racisme. »

    #Ketsia_Mutombo, co-fondatrice du collectif « Féministes contre le harcèlement » (à partir de la min 22’30) :

    « On est encore dans des sociétés où la parole publique ou l’espace public n’est pas fait pour les femmes, n’est pas fait pour les groupes minorés. On est pensé comme des personnes qui doivent rester dans l’espace domestique, s’acquitter du travail domestique, familial, relationnel, mais ne pas prendre la place. »

    #Laurence_Rosier, linguiste (à partir de la min 22’45) :

    "Les femmes qui s’expriment, elles s’expriment dans la place publique. (...) Et à partir du moment où ’elles l’ouvrent’, elles se mettent en #danger parce qu’elles vont en général tenir une parole qui n’est pas la parole nécessairement attendue. C’est quoi une parole attendue depuis des lustres ? C’est que la femme au départ elle doit respecter les #convenances, donc elle doit être polie, c’est elle qui fait l’éducation à la politesse des enfants, elle doit être mesurée, en retenue, pas violente. Et dès qu’elle adopte un ton qui n’est pas celui-là, qui est véhément, qui est agressif, qui est trivial, sexuel... et bien, on va lui faire sentir que justement elle sort des codes établis et elle va être punie

    #Lauren_Bastide (à partir de la minute 22’18) :

    « Je trouve que le cyberhacèlement a beaucoup de résonance avec le #viol et la #culture_du_viol, qu’il y a ce continuum de la simple interpellation dans la rue au viol. Pour moi c’est pareil, il y a le petit mot écrit, le petit commentaire un peu haineux sous ta photo et puis le raid qui fout ta vie par terre. Il y a cette espèce de #tolérance de la société pour ça... ’c’est le tarif en fait... il ne fallait pas sortir la nuit, il ne fallait pas te mettre en jupe’. ’Bhein, oui, c’est le tarif, t’avais qu’à pas avoir d’opinion politique, t’avais qu’à pas avoir un métier visible. Les conséquences qu’il peut y avoir c’est que les femmes sont moins prêtes à parler, c’est plus difficile pour elles. Prendre la parole dans l’espace public quand on est une femme c’est l’#enfer. Il faut vraiment être très blindée, très sure de soi pour avoir la force d’y aller. Surtout quand on va exprimer une opinion politique »

    #Anna-Lena_von_Hodenberg, Hate aid (à partir de la minute 33’48) :

    « Nous devons réaliser qu’internet c’est l’espace public au même titre que la vie physique. »

    #Emma_Jane, autrice du livre Misogyny Online (à partir de la minute 35’30), en se référant au fait que le sujet n’est pas vraiment traité sérieusement...

    "La plupart des politiciens sont de vieux hommes blancs, ils ne reçoivent pas d’insulte raciste, ils ne reçoivent pas d’insultes sexistes, ils n’ont pas grandi avec internet.

    #Renate_Künast, députée écologiste allemande (à partir de la minute 39’20) :

    « Ce qui est choquant ce n’est pas seulement la haine dont j’ai été la cible, mais le fait que beaucoup de femmes sont visées par ce type de violence sexualisée. (...) On se sent personnellement visé, mais il s’agit d’un problème systémique, c’est caractéristique de l’extrême droite qui ne supporte pas que les femmes soient autre chose que des femmes au foyer et qu’elles jouent un rôle actif dans la société. (...) Il ne s’agissait pas d’une phrase, mais de milliers de messages qui ne disparaîtraient jamais. Pour toutes ces raisons j’ai porté plainte. Et j’ai été stupéfaite quand la réponse, se basant selon moi sur une mauvaise interprétation de la jurisprudence a été qu’en tant que femme politique je devais accepter ce genre de messages. (...) ’Détritus de chatte’, pour les juges en Allemagne, c’était de la liberté d’expression’. »

    #Laurence_Rosier (à partir de la minute 41’35) :

    « La liberté d’expression est invoquée aujourd’hui, pas dans tous les cas, mais dans beaucoup de cas, pour justifier des discours de haine. Et les discours de haine c’est pas soudain que la haine sort, c’est parce que ça a été permis et favorisé par ’oh, une petite blague sexiste, une petite tape sur l’épaule, un petit mot d’abord gentil’ et que progressivement on libère le niveau du caniveau. »

    #Florence_Mendez, humoriste (à partir de la minute 43’01) :

    « Le sexisme que même pour moi était acceptable avant, parce qu’on a toutes nagé dans cette mer en ce disant ’ça va, l’eau n’est pas si salée, je peux en boire encore un peu !’... On a toutes laissé passé ça. Et maintenant il y a des choses qui sont juste insupportables. (...) Je ne laisse plus rien passer du tout, rien passer du tout dans ma vie de tous les jours. »

    #Renate_Künast, députée écologiste allemande (à partir de la minute 43’25) :

    « ça me rappelle ce slogan des mouvements féministes des années 1970 : ’Le pouvoir des hommes est la patience des femmes’. Il faut juste qu’on arrête d’être patientes. »

    Anna-Lena von Hodenberg (à partir de la minute 47’32) :

    « Si on laisse courir les choses, sans régulation, sans poursuites judiciaires, si en tant que société on continue à rester des témoins passifs, alors ça aura des conséquences massives sur nos démocraties. Nous voyons déjà maintenant aux Etats-Unis : la polarisation. Nous l’avons vu en Grande-Bretagne pendant le Brexit. Et ça, c’est juste un avant-goût. Le net est l’espace public le plus important que nous avons, si nous continuons de tolérer que beaucoup de voix se font écarter de cet espace public, qu’elles disparaissent, alors nous n’avons plus de débat démocratique, alors il ne restera plus que les gens qui crient le plus fort et par conséquent, dans le débat public, régnera la loi du plus fort. Et ça, dans nos cultures démocratiques, nous ne pouvons pas l’accepter. »

    Voix off (à partir de la minute 52’40) :

    « ’Fermer sa gueule’, c’est déserter les réseaux, c’est changer de métier, adopter un ton très polissé, c’est refuser des opportunités quand elles sont trop exposées. Et serrer les dents quand on est attaqué, ne surtout pas donner l’impression de se plaindre. »

    #Florence_Mendez (à partir de la minute 53’40) :

    «C’est la fin de la tranquillité.»

    #fait_de_société #cyber-harcèlement #menaces #santé_mentale #violence_structurelle #domination_structurelle #misogynie #racisme #sexisme #intersectionnalité #insulte #espace_numérique #punition #code_établi #plainte #impunité #extrême_droite #fachosphère #liberté_d'expression #polarisation #démocratie #invisibilisation #silenciation #principe_de_la_nasse #nasse
    #documentaire #film_documentaire

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  • Glasgow protesters rejoice as men freed after immigration van standoff

    Hundreds of people surrounded vehicle men were held in and chanted ‘these are our neighbours, let them go’

    Campaigners have hailed a victory for Glaswegian solidarity and told the Home Office “you messed with the wrong city” as two men detained by UK Immigration Enforcement were released back into their community after a day of protest.

    Police Scotland intervened to free the men after a tense day-long standoff between immigration officials and hundreds of local residents, who surrounded their van in a residential street on the southside of Glasgow to stop the detention of the men during Eid al-Fitr.

    Staff from Immigration Enforcement are believed to have swooped on a property in Pollokshields early on Thursday morning and detained people.

    By mid-morning, a crowd of about 200 protesters surrounded the vehicle, preventing it from driving away, and chanting “these are our neighbours, let them go”, with one protester lying under the van to prevent it driving off.

    “I’m just overwhelmed by Glasgow’s solidarity for refugees and asylum seekers,” said Roza Salih, shouting to be heard over the jubilant shouts of “refugees are welcome here”. She added: “This is a victory for the community.”

    Salih, who had been at the protest since the morning, is a Kurdish refugee and co-founded the #Glasgow_Girls_campaign in 2005 with fellow pupils to prevent the deportation of a school friend and fight against dawn raids.

    Earlier Salih questioned why the widely condemned practice of dawn raids appeared to be recurring 15 years later in Glasgow , the only dispersal city for asylum seekers in Scotland. She also highlighted the jarring impact of carrying out such an action during Eid al-Fitr, the Muslim festival marking the end of Ramadan, in one of the most multicultural areas of the city and within the constituency of the first minister, Nicola Sturgeon.

    As cheering protesters escorted the men to the local mosque, Pinar Aksu, of Maryhill Integration Network said: “They messed with the wrong city.

    “This is a revolution of people coming together in solidarity for those who others have turned away from,” she said. Aksu described how hundreds more supporters had arrived at the scene as the afternoon progressed. “This is just the start. When there is another dawn #raid in Glasgow, the same thing will happen.”

    Aksu added: “For this to happen on Eid, which is meant to be a time of peaceful celebration, is horrifying. It is no coincidence that it is taking place when a new immigration bill is being prepared.

    “We also need answers from Police Scotland about their involvement. We have already written to the home secretary asking urgently to clarify whether the decisions to carry out immigration enforcement raids, including dawn raids, represents a change in the policy by the UK government.”

    Shortly after 5pm, Police Scotland released an updated statement, saying that Supt Mark Sutherland had decided to release the detained men “in order to protect the safety, public health and wellbeing of those involved in the detention and subsequent protest”. The force asked those at the scene to disperse from the area as soon as possible.

    A spokesperson said earlier: “Police Scotland does not assist in the removal of asylum seekers. Officers are at the scene to police the protest and to ensure public safety.”

    The second dawn raid in Glasgow within a month appears to show a further escalation of the UK’s hostile environment policy. While the SNP government has argued strongly for Scotland to have control over its own immigration policy, not least because of the country’s unique depopulation pressures, it remains reserved to Westminster.

    Sources told the Guardian the immigration status of the individuals detained was unclear.

    The protests took place as new MSPs were sworn in to what has been described as Holyrood’s most diverse ever parliament, taking their oaths in British Sign Language, Arabic, Urdu, Punjabi, Doric, Scots, Gaelic, Welsh and Orcadian, and after an election in which refugees had voting rights for the first time in Scotland.

    Politicians expressed their solidarity with the residents on social media.

    Following the men’s release, #Nicola_Sturgeon tweeted: “I am proud to represent a constituency and lead a country that welcomes and shows support to asylum seekers and refugees.”

    She added that the police had been “in an invidious position – they do not assist in the removal of asylum seekers but do have a duty to protect public safety. They act independently of ministers, but I support this decision.”

    Condemning the Home Office action, #Sturgeon added: “To act in this way, in the heart of a Muslim community as they celebrated Eid, and in an area experiencing a Covid outbreak was a health and safety risk.

    “Both as MSP and as FM, I will be demanding assurances from the UK government that they will never again create, through their actions, such a dangerous situation.”

    Wafa Shaheen, of the Scottish Refugee Council, told the Guardian: “To force people from their homes on the first day of Eid, with neighbours and families trying to honour the religious celebration in peace, shows – at best – a serious lack of cultural sensitivity and awareness on the Home Office’s part.

    “Regardless of the immigration status of those targeted today, this heavy-handed approach from the Home Office is unnecessary and avoidable. It is frightening, intimidating and disproportionate. The hundreds of people on the streets this morning in solidarity with those affected shows people in Scotland are sick of these raids and have had enough.”

    A Home Office spokesperson said: “The UK government is tackling illegal immigration and the harm it causes, often to the most vulnerable people, by removing those with no right to be in the UK. The operation in Glasgow was conducted in relation to suspected immigration offences and the two Indian nationals complied with officers at all times.”

    https://www.theguardian.com/uk-news/2021/may/13/glasgow-residents-surround-and-block-immigration-van-from-leaving-stree

    #Glasgow #Ecosse #solidarité #réfugiés #asile #migrations #résistance #refugees_welcome

    ping @isskein @karine4

    • Police release men from immigration van blocking Glasgow street

      Two men who were being detained in an immigration van which was surrounded by protesters have been released.

      The move followed a standoff between police officers and protesters in Kenmure Street on Glasgow’s southside.

      Early on Thursday people surrounded the Home Office vehicle believed to contain two Indian immigrants who had been removed from a flat.

      Hundreds gathered in the area, with one man crawling under the van to prevent it from moving.

      The Home Office said the men had been detained over “suspected immigration offences”.

      Some of the protesters were heard shouting “let our neighbours go”.

      In a statement, Police Scotland said that Ch Supt Mark Sutherland had decided to have the men released.

      It said: "In order to protect the safety, public health and well-being of all people involved in the detention and subsequent protest in Kenmure Street, Pollokshields, today, Ch Supt Mark Sutherland has, following a suitable risk assessment, taken the operational decision to release the men detained by UK Immigration Enforcement back into their community meantime.

      “In order to facilitate this quickly and effectively, Police Scotland is asking members of the public to disperse from the street as soon as possible. Please take care when leaving the area and follow the directions of the officers on the street.”

      Earlier the force stressed that it did not assist in the removal of asylum seekers, and that officers were at the scene to police the protest and to ensure public safety.

      Scotland’s First Minister Nicola Sturgeon, who is also the MSP for the area, said she disagreed fundamentally with Home Office immigration policy.

      She said: “This action was unacceptable. To act in this way, in the heart of a Muslim community as they celebrated Eid, and in an area experiencing a Covid outbreak was a health and safety risk.”

      She said she would be “demanding assurances” from the UK government that they would not create such a dangerous situation again.

      She added: “No assurances were given - and frankly no empathy shown - when I managed to speak to a junior minister earlier.”

      Nicola Sturgeon and her justice secretary, Humza Yousaf are seeking follow up talks with the Home Secretary, Priti Patel.

      They believe Immigration Enforcement has acted provocatively by trying to remove migrants from an ethnically diverse community during Eid.

      The resulting protests brought people together, against Covid rules, in part of Glasgow which is experiencing a spike in cases linked to the Indian variant.

      Police Scotland intervened on public health and public order grounds to require the release of the two Indian nationals being held by Immigration Enforcement.

      Their operational decision is fully supported by Scottish ministers and while the Home Office is always grateful for police assistance, releasing the men on bail is hardly the outcome they wanted.

      They will not have enjoyed being seen to back down in the face of public and political protest.

      Humza Yousaf, the Scottish government’s justice secretary, said: “the action they [the Home Office] have today is at best completely reckless, and at worst intended to provoke, on a day the UK government would have known the Scottish government and MSPs would be distracted by parliamentary process.”

      He added that the situation “should never have occurred”, and that “the UK government’s hostile environment is not welcome here.”

      In a statement, the Home Office said: "The UK government is tackling illegal immigration and the harm it causes, often to the most vulnerable people by removing those with no right to be in the UK.

      "The operation in Glasgow was conducted in relation to suspected immigration offences and the two Indian nationals complied with officers at all times.

      “The UK government continues to tackle illegal migration in all its forms and our New Plan for Immigration will speed up the removal of those who have entered the UK illegally.”

      The Sikhs in Scotland group said in a statement that it was “deeply concerned”, and urged the Home Office to “abandon forced removals and to adopt an immigration policy based on human rights, compassion and dignity”.

      Mohammad Asif, of the Afghan Human Rights Foundation, said hundreds of people were protesting.

      The 54-year-old added: “We’re here against the hostile environment created by the Tories and the British state.”
      Presentational grey line

      Incidents like Kenmure Street - at the centre of Scotland’s most ethnically diverse neighbourhood - will do nothing to persuade those who already believe the UK’s policy on immigration is unfair and inhumane.

      Despite the protest, the Home Office says it was a legitimate operation targeting those it suspected of immigration offences.

      And yet there could be more problems on the horizon. The Home Office has just ended its consultation on its New Plan for Immigration - a policy that will speed up deportations for those who have entered the country ’illegally’.

      Those in such a position will not be able to claim asylum and will instead be granted ’temporary protection’, a status that would come under periodic review.

      More than 70 charities and faith groups in Scotland have condemned such proposals.

      The Home Office is toughening its stance on immigration, but says its policies will make the system fairer for those most in need, while discouraging criminal activity like people trafficking.

      The Scottish government, and the protestors in Glasgow today, fundamentally disagree.

      https://www.bbc.com/news/uk-scotland-glasgow-west-57100259

  • Corona Chroniques, #Jour53 - davduf.net
    http://www.davduf.net/corona-chroniques-jour53

    Branle-bas de combat au gouvernement, mais en tenue camouflage. Matignon dépose en catimini un amendement pour démolir un autre amendement, pourtant proposé et voté hier par son propre camp. Le péché originel, venu d’un député #LREM, ancien patron du #RAID : autoriser les « gardes particuliers » à pouvoir contrôler et verbaliser les promeneurs mal attestés. La logique à l’œuvre porte un nom, fumeux et malfamant : « le continuum de sécurité, enjeu du futur, entre sécurité publique et sécurité privée », dit un préposé à l’argumentaire. En clair : les députés en marche veulent déborder leurs chefs et donner pouvoir de police aux vigiles, en plus des nouveaux venus auxquels Castaner aimerait confier ces nouvelles missions (apprentis-policiers, retraités gendarmes, et robo(pastoutàfait)cops du métro, cf. Corona Chroniques, jour 48). Dit plus clairement encore : légaliser les #milices (euphémisées en commission des lois par « gardes assermentés de propriété de grande superficie »). D’où le gouvernement qui toussote, qui trouve que ça fait un peu beaucoup, ce débordement sur l’extrême droite, que ça risque de se voir un tantinet trop, cette tentation d’un sécuritaire total — et qui dépose son amendement (Saint Muddy Waters, héros du peuple et du Chicago Blues, que ces choses sont délicatement dites : « L’octroi d’un tel pouvoir de police judiciaire aux gardes particuliers pour participer à l’accomplissement d’une mission de police sanitaire n’est pas envisageable en opportunité et par ailleurs présente des fragilités constitutionnelles »). Au passage, avec le #Confinement, jamais vu une telle remontée de vidéos terrifiantes de policiers municipaux en roue libre. Après se teste Pendant.

    (Penser à écrire aux députés pour leur rappeler qu’en matière de continuum de sécurité, les reportages de M6 n’y pourront rien : ceci est achevé depuis des décennies, jamais la société n’a été aussi « sûre » et contrôlée qu’aujourd’hui ; 2020 n’est rien comparé à 1920, ni même à 1970. Leur demander également si, des fois, l’insécurité véritable ne règnerait pas ailleurs, quelque part du côté de la #sûreté_sanitaire, à défaut de #sécurité_sociale, régulièrement défoncée ?).