• For a Black Mathematician, What It’s Like to Be the ‘Only One’ - The New York Times
    https://www.nytimes.com/2019/02/18/us/edray-goins-black-mathematicians.html

    Fewer than 1 percent of doctorates in math are awarded to African-Americans. Edray Goins, who earned one of them, found the upper reaches of the math world a challenging place.

    #recherche #mathématiques #racisme

  • COMPare: a prospective cohort study correcting and monitoring 58 misreported trials in real time | Trials | Full Text
    https://trialsjournal.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13063-019-3173-2

    Methods

    We identified five high-impact journals endorsing Consolidated Standards of Reporting Trials (CONSORT) (New England Journal of Medicine, The Lancet, Journal of the American Medical Association, British Medical Journal, and Annals of Internal Medicine) and assessed all trials over a six-week period to identify every correctly and incorrectly reported outcome, comparing published reports against published protocols or registry entries, using CONSORT as the gold standard. A correction letter describing all discrepancies was submitted to the journal for all misreported trials, and detailed coding sheets were shared publicly. The proportion of letters published and delay to publication were assessed over 12 months of follow-up. Correspondence received from journals and authors was documented and themes were extracted.

    [...]

    Conclusions

    All five journals were listed as endorsing CONSORT, but all exhibited extensive breaches of this guidance, and most rejected correction letters documenting shortcomings. Readers are likely to be misled by this discrepancy. We discuss the advantages of prospective methodology research sharing all data openly and pro-actively in real time as feedback on critiqued studies. This is the first empirical study of major academic journals’ willingness to publish a cohort of comparable and objective correction letters on misreported high-impact studies. Suggested improvements include changes to correspondence processes at journals, alternatives for indexed post-publication peer review, changes to CONSORT’s mechanisms for enforcement, and novel strategies for research on methods and reporting.

    #laxisme #biais #prestige #recherche #publications

  • Femmes en recherche au Québec : où en sommes-nous ?
    Fanny Eugène, ACFAS, le 8 février 2019
    https://www.acfas.ca/publications/decouvrir/2019/02/femmes-recherche-au-quebec

    Les femmes, les Autochtones et les personnes racisées sont encore sous-représentés au sein du corps professoral des universités et des collèges canadiens, les femmes racisées formant le groupe où cette sous-représentation est la plus marquée. De plus, bien que les femmes soient plus présentes qu’il y a dix ans, elles demeurent fortement minoritaires dans le secteur des sciences naturelles, des technologies, de l’ingénierie et des mathématiques (STIM). Cette sous-représentation ne se limite pas aux carrières dans l’enseignement supérieur : les femmes occupent seulement 23% de tous les emplois en STIM au Canada. Cette situation n’a que très peu évolué au cours des deux dernières décennies, en raison notamment de la faible proportion des femmes parmi la relève étudiante dans ces domaines.

    #Femmes #Science #Discriminations #Sexisme #Recherche #Université #Canada #Québec

  • Dai dati biometrici alle motovedette : ecco il #business della frontiera

    La gestione delle frontiere europee è sempre di più un affare per le aziende private. Dai Fondi per la difesa a quelli per la cooperazione e la ricerca: l’Ue implementa le risorse per fermare i flussi.

    Sono 33 i miliardi che l’Europa ha intenzione di destinare dal 2021 al 2027 alla gestione del fenomeno migratorio e, in particolare, al controllo dei confini. La cifra, inserita nel #Mff, il #Multiannual_Financial_Framework (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2018%3A321%3AFIN), (ed ora in discussione tra Commissione, Parlamento e Consiglio) rappresenta il budget complessivo Ue per la gestione delle frontiere esterne, dei flussi migratori e dei flussi di rifugiati. E viene notevolmente rafforzata rispetto al periodo precedente (2016-2020) quando i miliardi stanziati erano 12,4. Meno della metà.

    A questo capitolo di spesa contribuiscono strumenti finanziari diversi: dal fondo sulla sicurezza interna (che passa da 3,4 a 4,8 miliardi) a tutto il settore della cooperazione militare, che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, come accade già per le due missioni italiane in Libia e in Niger. Anche una parte dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e di quello per la Pace saranno devoluti allo sviluppo di nuove tecnologie militari per fermare i flussi in mare e nel deserto. Stessa logica per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi proveniente dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo Centrale.

    Un grande business in cui rientrano anche i Fondi alla ricerca. La connessione tra gestione della migrazione, #lobby della sicurezza e il business delle imprese private è al centro di un’indagine di Arci nell’ambito del progetto #Externalisation_Policies_Watch, curato da Sara Prestianni. “Lo sforzo politico nella chiusura delle frontiere si traduce in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza - sottolinea Prestianni -. La dimensione europea della migrazione si allontana sempre più dal concetto di protezione in favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza, che ha una logica repressiva. Chi ne fa le spese sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e propri o business”. Tra gli aspetti più interessanti c’è l’utilizzo del Fondo alla ricerca Orizon 20-20 per ideare strumenti di controllo. “Qui si entra nel campo della biometria: l’obiettivo è dotare i paesi africani di tutto un sistema di raccolta di dati biometrici per fermare i flussi ma anche per creare un’enorme banca dati che faciliti le politiche di espulsione - continua Prestianni -. Questo ha creato un mercato, ci sono diverse imprese che hanno iniziato ad occuparsi del tema. Tra le aziende europee leader in questi appalti c’è la francese #Civipol, che ha il monopolio in vari paesi di questo processo. Ma l’interconnessione tra politici e lobby della sicurezza è risultata ancor più evidente al #Sre, #Research_on_Security_event, un incontro che si è svolto a Bruxelles a dicembre, su proposta della presidenza austriaca: seduti negli stessi panel c’erano rappresentanti della commissione europea, dell’Agenzia #Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza. Tutti annuivano sulla necessità di aprire un mercato europeo della frontiera, dove lotta alla sicurezza e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente”.

    In questo contesto, non è marginale il ruolo dell’Italia. “L’idea di combattere i traffici e tutelare i diritti nasce con #Tony_Blair, ma già allora l’obiettivo era impedire alle persone di arrivare in Europa - sottolinea Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci -. Ed è quello a cui stiamo assistendo oggi in maniera sempre più sistematica. Un esempio è la vicenda delle #motovedette libiche, finanziate dall’Italia e su cui guadagnano aziende italianissime”. Il tema è anche al centro dell’inchiesta di Altreconomia di Gennaio (https://altreconomia.it/frontiera-buon-affare-inchiesta), curata da Duccio Facchini. “L’idea era dare un nome, un volto, una ragione sociale, al modo in cui il ministero degli Interni traduce le strategie di contrasto e di lotta ai flussi di persone” spiega il giornalista. E così si scopre che della rimessa in efficienza di sei pattugliatori, dati dall’Italia alla Tunisia, per il controllo della frontiera, si occupa in maniera esclusiva un’azienda di Rovigo, i #Cantieri_Navali_Vittoria: “Un soggetto senza concorrenti sul mercato, che riesce a vincere l’appalto anche per la rimessa in sicurezza delle motovedette fornite dal nostro paese alla Libia”, sottolinea Facchini.

    Motovedette fornite dall’Italia attraverso l’utilizzo del Fondo Africa: la questione è al centro di un ricorso al Tar presentato da Asgi (Associazione studi giuridici dell’immigrazione). “Il Fondo Africa di 200 milioni di euro viene istituito nel 2018 e il suo obiettivo è implementare le strategie di cooperazione con i maggiori paesi interessati dal fenomeno migratorio: dal #Niger alla LIbia, dalla Tunisia alla Costa d’Avorio - spiega l’avvocata Giulia Crescini -. Tra le attività finanziate con questo fondo c’è la dotazioni di strumentazioni per il controllo delle frontiere. Come Asgi abbiamo chiesto l’accesso agli atti del ministero degli Esteri per analizzare i provvedimenti e vedere come sono stati spesi questi soldi. In particolare, abbiamo notato l’utilizzo di due milioni di euro per la rimessa in efficienza delle motovedette fornite dall’Italia alla Libia - aggiunge -. Abbiamo quindi strutturato un ricorso, giuridicamente complicato, cercando di interloquire col giudice amministrativo, che deve verificare la legittimità dell’azione della Pubblica amministrazione. Qualche settimana fa abbiamo ricevuto la sentenza di rigetto in primo grado, e ora presenteremo l’appello. Ma studiando la sentenza ci siamo accorti che il giudice amministrativo è andato a verificare esattamente se fossero stati spesi bene o meno quei soldi - aggiunge Crescini -. Ed è andato così in profondità che ha scritto di fatto che non c’erano prove sufficienti che il soggetto destinatario stia facendo tortura e atti degradanti nei confronti dei migranti. Su questo punto lavoreremo per il ricorso. Per noi è chiaro che l’Italia oggi sta dando strumentazioni necessarie alla Libia per non sporcarsi le mani direttamente, ma c’è una responsabilità italiana anche se materialmente non è L’Italia a riportare indietro i migranti. Su questo punto stiamo agendo anche attraverso la Corte europea dei diritti dell’uomo”.

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/620038/Dai-dati-biometrici-alle-motovedette-ecco-il-business-della-frontie

    #externalisation #frontières #UE #EU #Europe #Libye #Forteresse_européenne #asile #migrations #réfugiés #privatisation #argent #recherche #frontières_extérieures #coopération_militaire #sécurité_intérieure #fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #technologie #militarisation_des_frontières #fonds_fiduciaire #développement #Horizon_2020 #biométrie #données #données_biométriques #base_de_données #database #expulsions #renvois #marché #marché_européen_de_la_frontière #complexe_militaro-industriel #Tunisie #Côte_d'Ivoire #Italie
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    • Gli affari lungo le frontiere. Inchiesta sugli appalti pubblici per il contrasto all’immigrazione “clandestina”

      In Tunisia, Libia, Niger, Egitto e non solo. Così lo Stato italiano tramite il ministero dell’Interno finanzia imbarcazioni, veicoli, idranti per “ordine pubblico”, formazione delle polizie e sistemi automatizzati di identificazione. Ecco per chi la frontiera rappresenta un buon affare.

      Uno dei luoghi chiave del “contrasto all’immigrazione clandestina” che l’Italia conduce lungo le rotte africane non si trova a Tunisi, Niamey o Tripoli, ma è in un piccolo comune del Veneto, in provincia di Rovigo, affacciato sul Canal Bianco. È ad Adria, poco distante dal Po, che ha sede “Cantiere Navale Vittoria”, un’azienda nata nel 1927 per iniziativa della famiglia Duò -ancora oggi proprietaria- specializzata in cantieristica navale militare e paramilitare. Si tratta di uno dei partner strategici della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno, per una serie di commesse in Libia e Tunisia.

      La Direzione è il braccio del Viminale in tema di “gestione” dei flussi provenienti da quei Paesi ritenuti di “eccezionale rilevanza nella gestione della rotta del Mediterraneo centrale” (parole della Farnesina). Quella “rotta” conduce alle coste italiane: Libia e Tunisia, appunto, ma anche Niger e non solo. E quel “pezzo” del Viminale si occupa di tradurre in pratica le strategie governative. Come? Appaltando a imprese italiane attività diversissime tra loro per valore, fonti di finanziamento, tipologia e territori coinvolti. Un principio è comune: quello di dar forma al “contrasto”, sul nostro territorio o di frontiera. E per questi affidamenti ricorre più volte una formula: “Il fine che si intende perseguire è quello di collaborare con i Paesi terzi ai fini di contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina”. Tra gli ultimi appalti aggiudicati a “Cantiere Navale Vittoria” (ottobre 2018) spicca la rimessa in efficienza di sei pattugliatori “P350” da 34 metri, di proprietà della Guardia nazionale della Tunisia. Tramite gli atti della procedura di affidamento si possono ricostruire filiera e calendario.

      Facciamo un salto indietro al giugno 2017, quando i ministeri degli Esteri e dell’Interno italiani sottoscrivono un’“intesa tecnica” per prevedere azioni di “supporto tecnico” del Viminale stesso alle “competenti autorità tunisine”. Obiettivo: “Migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, inclusi la “lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. La spesa prevista -12 milioni di euro- dovrebbe essere coperta tramite il cosiddetto “Fondo Africa”, istituito sei mesi prima con legge di Stabilità e provvisto di una “dotazione finanziaria” di 200 milioni di euro. L’obiettivo dichiarato del Fondo è quello di “rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie”. Le autorità di Tunisi hanno fretta, tanto che un mese dopo l’intesa tra i dicasteri chiedono all’Italia di provvedere subito alla “rimessa in efficienza” dei sei pattugliatori. Chi li ha costruiti, anni prima, è proprio l’azienda di Adria, e da Tunisi giunge la proposta di avvalersi proprio del suo “know how”. La richiesta è accolta. Trascorre poco più di un anno e nell’ottobre 2018 l’appalto viene aggiudicato al Cantiere per 6,3 milioni di euro. L’“attività di contrasto all’immigrazione clandestina”, scrive la Direzione immigrazione e frontiere, è di “primaria importanza per la sicurezza nazionale, anche alla luce dei recenti sbarchi sulle coste italiane di migranti provenienti dalle acque territoriali tunisine”. I pattugliatori da “consegnare” risistemati alla Tunisia servono quindi a impedire o limitare gli arrivi via mare nel nostro Paese, che da gennaio a metà dicembre di 2018 sono stati 23.122 (di cui 12.976 dalla Libia), in netto calo rispetto ai 118.019 (105.986 dalla Libia) dello stesso periodo del 2017.


      A quel Paese di frontiera l’Italia non fornisce (o rimette in sesto) solamente navi. Nel luglio 2018, infatti, la Direzione del Viminale ha stipulato un contratto con la #Totani Company Srl (sede a Roma) per la fornitura di 50 veicoli #Mitsubishi 4×4 Pajero da “consegnare presso il porto di Tunisi”. Il percorso è simile a quello dei sei pattugliatori: “Considerata” l’intesa del giugno 2017 tra i ministeri italiani, “visto” il Fondo Africa, “considerata” la richiesta dei 50 mezzi da parte delle autorità nordafricane formulata nel corso di una riunione del “Comitato Italo-Tunisino”, “vista” la necessità di “definire nel più breve tempo possibile le procedure di acquisizione” per “garantire un dispiegamento efficace dei servizi di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina”, eccetera. E così l’offerta economica di 1,6 milioni di euro della Totani è ritenuta congrua.

      Capita però che alcune gare vadano deserte. È successo per la fornitura di due “autoveicoli allestiti ‘idrante per ordine pubblico’” e per la relativa attività di formazione per 12 operatori della polizia tunisina (352mila euro la base d’asta). “Al fine di poter supportare il governo tunisino nell’ambito delle attività di contrasto all’immigrazione clandestina” è il passe-partout utilizzato anche per gli idranti, anche se sfugge l’impiego concreto. Seppur deserta, gli atti di questa gara sono interessanti per i passaggi elencati. Il tutto è partito da un incontro a Roma del febbraio 2018 tra l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti e l’omologo tunisino. “Sulla base” di questa riunione, la Direzione del Viminale “richiede” di provvedere alla commessa attraverso un “appunto” datato 27 aprile dello stesso anno che viene “decretato favorevolmente” dal “Sig. Capo della Polizia”, Franco Gabrielli. Alla gara (poi non aggiudicata) si presenta un solo concorrente, la “Brescia Antincendi International Srl”, che all’appuntamento con il ministero delega come “collaboratore” un ex militare in pensione, il tenente colonnello Virgilio D’Amata, cavaliere al merito della Repubblica Italiana. Ma è un nulla di fatto.

      A Tunisi vengono quindi consegnati navi, pick-up, (mancati) idranti ma anche motori fuoribordo per quasi 600mila euro. È del settembre 2018, infatti, un nuovo “avviso esplorativo” sottoscritto dal direttore centrale dell’Immigrazione -Massimo Bontempi- per la fornitura di “10 coppie di motori Yamaha 4 tempi da 300 CV di potenza” e altri 25 da 150 CV. Il tutto al dichiarato fine di “garantire un dispiegamento efficace dei servizi di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina”.

      Come per la Tunisia, anche in Libia il ritmo è scandito da “intese tecniche” tra ministeri “per l’uso dei finanziamenti” previsti nel Fondo Africa. Parlamento non pervenuto

      Poi c’è la Libia, l’altro fronte strategico del “contrasto”. Come per la Tunisia, anche in questo contesto il ritmo è scandito da “intese tecniche” tra ministeri di Esteri e Interno -Parlamento non pervenuto- “per l’uso dei finanziamenti” previsti nel citato Fondo Africa. Una di queste, datata 4 agosto 2017, riguarda il “supporto tecnico del ministero dell’Interno italiano alle competenti autorità libiche per migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, inclusi la lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. L’“eventuale spesa prevista” è di 2,5 milioni di euro. Nel novembre 2017 se n’è aggiunta un’altra, rivolta a “programmi di formazione” dei libici del valore di 615mila euro circa (sempre tratti dal Fondo Africa). Quindi si parte dalle intese e poi si passa ai contratti.

      Scorrendo quelli firmati dalla Direzione immigrazione e polizia delle frontiere del Viminale tra 2017 e 2018, e che riguardano specificamente commesse a beneficio di Tripoli, il “fornitore” è sempre lo stesso: Cantiere Navale Vittoria. È l’azienda di Adria -che non ha risposto alle nostre domande- a occuparsi della rimessa in efficienza di svariate imbarcazioni (tre da 14 metri, due da 35 e una da 22) custodite a Biserta (in Tunisia) e “da restituire allo Stato della Libia”. Ma anche della formazione di 21 “operatori della polizia libica” per la loro “conduzione” o del trasporto di un’altra nave di 18 metri da Tripoli a Biserta. La somma degli appalti sfiora complessivamente i 3 milioni di euro. In alcuni casi, il Viminale dichiara di non avere alternative al cantiere veneto. Lo ha riconosciuto la Direzione in un decreto di affidamento urgente per la formazione di 22 “operatori di polizia libica” e la riconsegna di tre motovedette a fine 2017. Poiché Cantiere Navale Vittoria avrebbe un “patrimonio informativo peculiare”, qualunque ricerca di “soluzioni alternative” sarebbe “irragionevole”. Ecco perché in diverse “riunioni bilaterali di esperti” per la cooperazione tra Italia e Libia “in materia migratoria”, oltre alla delegazione libica (i vertici dell’Amministrazione generale per la sicurezza costiera del ministero dell’Interno) e quella italiana (tra cui l’allora direttore del Servizio immigrazione del Viminale, Vittorio Pisani), c’erano anche i rappresentanti di Cantiere Navale Vittoria.
      Se i concorrenti sono pochi, la fretta è tanta. In più di un appalto verso la Libia, infatti, la Direzione ha argomentato le procedure di “estrema urgenza” segnalando come “ulteriori indugi”, ad esempio “nella riconsegna delle imbarcazioni”, non solo “verrebbero a gravare ingiustificatamente sugli oneri di custodia […] ma potrebbero determinare difficoltà anche di tipo diplomatico con l’interlocutore libico”. È successo nell’estate 2018 anche per l’ultimo “avviso esplorativo” da quasi 1 milione di euro collegato a quattro training (di quattro settimane) destinati a cinque equipaggi “a bordo di due unità navali da 35 metri, un’unità navale da 22 metri e un’unità navale da 28 metri di proprietà libica”, “al fine di aumentare l’efficienza di quel Paese per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Lo scopo è fornire una “preparazione adeguata su ogni aspetto delle unità navali”. Della materia “diritti umani” non c’è traccia.

      Questa specifica iniziativa italiana deriva dal Memorandum d’Intesa con la Libia sottoscritto a Roma dal governo Gentiloni (Marco Minniti ministro dell’Interno), il 2 febbraio 2017. Il nostro Paese si era impegnato a “fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. È da lì che i governi di Italia e Libia decidono di includere tra le attività di cooperazione anche l’erogazione dei corsi di addestramento sulle motovedette ancorate a Biserta.

      Ai primi di maggio del 2018, il Viminale decide di accelerare. C’è l’“urgenza di potenziare, attraverso la rimessa in efficienza delle imbarcazioni e l’erogazione di corsi di conduzione operativa, il capacity building della Guardia Costiera libica, al fine di aumentare l’efficienza di quel Paese per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Anche perché, aggiunge il ministero, “alla luce degli ultimi eventi di partenze di migranti dalle coste libiche”, “appare strettamente necessario ed urgente favorire il pieno ripristino dell’efficienza delle competenti Autorità dello Stato della Libia nell’erogazione dei servizi istituzionali”. E così a fine giugno 2018 viene pubblicato il bando: i destinatari sono “operatori della polizia libica” e non invece le guardie costiere. Il ministero ha dovuto però “rimodulare” in corsa l’imposto a base d’asta della gara (da 763mila a 993mila euro). Perché? Il capitolato degli oneri e il verbale di stima relativi al valore complessivo dell’intera procedura sarebbero risultati “non remunerativi” per l’unico operatore interessato: Cantiere Navale Vittoria Spa, che avrebbe comunicato “di non poter sottoscrivere un’offerta adeguata”.

      Le risorse per quest’ultimo appalto non arrivano dal Fondo Africa ma da uno dei sei progetti finanziati in Libia dall’Unione europea tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. Quello che ci riguarda in particolare s’intitola “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, del valore di oltre 46 milioni di euro. Mentre l’Ue è il principale finanziatore, chi deve implementarlo in loco, dal luglio 2017, è proprio il nostro ministero dell’Interno. Che è attivo in due aree della Libia: a Nord-Ovest, a Tripoli, a beneficio delle guardie costiere libiche (tramite la costituzione di un centro di coordinamento per le operazioni di ricerca e soccorso in mare e per la dichiarazione di un’area di ricerca e soccorso in mare autonoma), e una a Sud-Ovest, nella regione del Fezzan, nel distretto di Ghat, per incrementare la capacità di sorveglianza, “in particolare nelle aree di frontiera terrestre con il Niger, maggiormente colpita dall’attraversamento illegale”. È previsto inoltre un “progetto pilota” per istituire una sede operativa per circa 300 persone, ripristinando ed equipaggiando le esistenti strutture nella città di Talwawet, non lontano da Ghat, con tre avamposti da 20 persone l’uno.

      A un passo da lì c’è il Niger, l’altra tessera del mosaico. Alla metà di dicembre 2018, non risultano appalti in capo alla Direzione frontiere del Viminale, ma ciò non significa che il nostro Paese non sia attivo per supportare (anche) la gestione dei suoi confini. A metà 2017, infatti, l’Italia ha destinato 50 milioni di euro all’EU Trust Fund per “far fronte alle cause profonde della migrazione in Africa/Finestra Sahel e Lago Ciad”, con un’attenzione particolare al Niger. Si punta alla “creazione di nuove unità specializzate necessarie al controllo delle frontiere, di nuovi posti di frontiera fissa, o all’ammodernamento di quelli esistenti, di un nuovo centro di accoglienza per i migranti a Dirkou, nonché per la riattivazione della locale pista di atterraggio”. In più, dal 2018 è scesa sul campo la “Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger” (MISIN) che fa capo al ministero della Difesa e ha tra i suoi obiettivi quello di “concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere”. Il primo corso “per istruttori di ordine pubblico a favore della gendarmeria nigerina” si è concluso a metà ottobre 2018. Pochi mesi prima, a luglio, era stata sottoscritta un’altra “intesa tecnica” tra Esteri e Difesa per rimettere in efficienza e cedere dieci ambulanze e tre autobotti. Finalità? “Il controllo del territorio volto alla prevenzione e al contrasto ai traffici di esseri umani e al traffico di migranti, e per l’assistenza ai migranti nell’ambito delle attività di ricerca e soccorso”: 880mila euro circa. Il Niger è centrale: stando all’ultima programmazione dei Paesi e dei settori in cui sono previsti finanziamenti tramite il “Fondo Africa” (agosto 2018, fonte ministero degli Esteri), il Paese è davanti alla Libia (6 milioni contro 5 di importo massimo preventivato).

      Inabissatosi in Niger, il ministero dell’Interno riemerge in Egitto. Anche lì vigono “accordi internazionali diretti al contrasto dell’immigrazione clandestina” sostenuti dall’Italia. La loro traduzione interessa da vicino la succursale italiana della Hewlett-Packard (HP). Risale infatti a fine 2006 un contratto stipulato tra la multinazionale e la Direzione del Viminale “per la realizzazione di un Sistema automatizzato di identificazione delle impronte (AFIS) per lo Stato dell’Egitto”, finalizzato alle “esigenze di identificazione personale correlate alla immigrazione illegale”: oltre 5,2 milioni di euro per il periodo 2007-2012, cui se ne sono aggiunti ulteriori 1,8 milioni per la manutenzione ininterrotta fino al 2017 e quasi 500mila per l’ultima tranche, 2018-2019. HP non ha avversari -come riporta il Viminale- in forza di un “accordo in esclusiva” tra la Hewlett Packard Enterprise e la multinazionale della sicurezza informatica Gemalto “in relazione ai prodotti AFIS per lo Stato dell’Egitto”. Affari che non si possono discutere: “L’interruzione del citato servizio -sostiene la Direzione- è suscettibile di creare gravi problemi nell’attività di identificazione dei migranti e nel contrasto all’immigrazione clandestina, in un momento in cui tale attività è di primaria importanza per la sicurezza nazionale”. Oltre alla partnership con HP, il ministero dell’Interno si spende direttamente in Egitto. Di fronte alle “esigenze scaturenti dalle gravissimi crisi internazionali in vaste aree dell’Africa e dell’Asia” che avrebbero provocato “massicci esodi di persone e crescenti pressioni migratorie verso l’Europa”, la Direzione centrale immigrazione (i virgolettati sono suoi) si è fatta promotrice di una “proposta progettuale” chiamata “International Training at Egyptian Police Academy” (ITEPA). Questa prevede l’istituzione di un “centro di formazione internazionale” sui temi migratori per 360 funzionari di polizia e ufficiali di frontiera di ben 22 Paesi africani presso l’Accademia della polizia egiziana de Il Cairo. Il “protocollo tecnico” è stato siglato nel settembre 2017 tra il direttore dell’Accademia di polizia egiziana ed il direttore centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere. Nel marzo 2018, il capo della Polizia Gabrielli è volato a Il Cairo per il lancio del progetto. “Il rispetto dei diritti umani -ha dichiarato in quella sede- è uno degli asset fondamentali”.

      “La legittimità, la finalità e la consistenza di una parte dei finanziamenti citati con le norme di diritto nazionale e internazionale sono stati studiati e in alcuni casi anche portati davanti alle autorità giudiziarie dai legali dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, asgi.it)”, spiega l’avvocato Giulia Crescini, parte del collegio dell’associazione che si è occupato della vicenda. “Quando abbiamo chiesto lo stato di implementazione dell’accordo internazionale Italia-Libia del febbraio 2017, il ministero dell’Interno ha opposto generiche motivazioni di pericolo alla sicurezza interna e alle relazioni internazionali, pertanto il ricorso dopo essere stato rigettato dal Tar Lazio è ora pendente davanti al Consiglio di Stato”. La trasparenza insegue la frontiera.

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      “LEONARDO” (FINMECCANICA) E GLI INTERESSI SULLE FRONTIERE

      In Tunisia, Libia, Egitto e Niger, l’azienda Leonardo (Finmeccanica) avrebbe in corso “attività promozionali per tecnologie di sicurezza e controllo del territorio”. Alla richiesta di dettagli, la società ha risposto di voler “rivitalizzare i progetti in sospeso e proporne altri, fornendo ai Governi sistemi e tecnologie all’avanguardia per la sicurezza dei Paesi”. Leonardo è già autorizzata a esportare materiale d’armamento in quei contesti, ma non a Tripoli. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, ha approvato la Risoluzione 2420 che estende l’embargo sulle armi nel Paese per un altro anno. “Nel prossimo futuro -fa sapere l’azienda di cui il ministero dell’Economia è principale azionista- il governo di accordo nazionale potrà richiedere delle esenzioni all’embargo ONU sulle armi, per combattere il terrorismo”. Alla domanda se Leonardo sia coinvolta o operativa nell’ambito di iniziative collegate al fondo fiduciario per l’Africa dell’Unione europea e in particolare al programma da 46 milioni di euro coordinato dal Viminale, in tema di frontiere libiche, l’azienda ha fatto sapere che “in passato” avrebbe “collaborato con le autorità libiche per lo sviluppo e implementazione di sistemi per il monitoraggio dei confini meridionali, nonché sistemi di sicurezza costiera per il controllo, la ricerca e il salvataggio in mare”. Attualmente la società starebbe “esplorando opportunità in ambito europeo volte allo sviluppo di un progetto per il controllo dei flussi migratori dall’Africa all’Europa, consistente in un sistema di sicurezza e sorveglianza costiero con centri di comando e controllo”.

      Export in Libia. Il “caso” Prodit

      Nei primi sei mesi del 2018, attraverso l’Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento), l’Italia ha autorizzato l’esportazione di “materiale d’armamento” verso la Libia per un valore di circa 4,8 milioni di euro. Nel 2017 questa cifra era zero. Si tratta, come impone la normativa in tema di embargo, di materiali “non letali”. L’ammontare è minimo se paragonato al totale delle licenze autorizzate a livello mondiale dall’Italia tra gennaio e giugno 2018 (3,2 miliardi di euro). Chi esporta è una singola azienda, l’unica iscritta al Registro Nazionale delle Imprese presso il Segretariato Generale del ministero della Difesa: Prodit Engineering Srl. In Libia non ha esportato armi ma un veicolo terrestre modificato come fuoristrada e materiali utilizzabili per sminamento.

      https://altreconomia.it/frontiera-buon-affare-inchiesta

      #Leonardo #Finmeccanica #Egypte #Tunisie #identification #P350 #Brescia_Antincendi_International #Virgilio_D’Amata #Massimo_Bontempi #Yamaha #Minniti #Marco_Minniti #EU_Trust_Fund #Trust_Fund #Missione_bilaterale_di_supporto_nella_Repubblica_del_Niger #MISIN #Hewlett-Packard #AFIS #International_Training_at_Egyptian_Police_Academy #ITEPA

    • "La frontiera è un buon affare": l’inchiesta sul contrasto del Viminale all’immigrazione «clandestina» a suon di appalti pubblici

      Dalla Tunisia alla Libia, dal Niger all’Egitto: così lo Stato italiano finanzia imbarcazioni, veicoli, formazione a suon di appalti pubblici. I documenti presentati a Roma dall’Arci.

      «Quando si parla di esternalizzazione della frontiera e di diritto di asilo bisogna innanzitutto individuare i Paesi maggiormente interessati da queste esternalizzazioni, capire quali sono i meccanismi che si vuole andare ad attaccare, creare un caso e prenderlo tempestivamente. Ma spesso per impugnare un atto ci vogliono 60 giorni, le tempistiche sono precise, e intraprendere azioni giudiziarie per tutelare i migranti diventa spesso molto difficile. Per questo ci appoggiamo all’Arci». A parlare è Giulia Crescini, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che insieme a Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di ARCI, Sara Prestianni, coordinatrice del progetto #externalisationpolicieswatch, e Duccio Facchini, giornalista di Altreconomia, ha fatto il punto sugli appalti della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno e più in generale dei fondi europei ed italiani stanzianti per implementare le politiche di esternalizzazione del controllo delle frontiere in Africa.

      L’inchiesta. Duccio Facchini, presentando i dati dell’inchiesta di Altreconomia «La frontiera è un buon affare», ha illustrato i meccanismi di una vera e propria strategia che ha uno dei suoi punti d’origine in un piccolo comune del Veneto, in provincia di Rovigo, affacciato sul Canal Bianco - dove ha sede una delle principale aziende specializzate in cantieristica navale militare e paramilitare - e arriva a toccare Tripoli, Niamey o Il Cairo. Il filo rosso che lega gli affidamenti milionari è uno solo: fermare il flusso di persone dirette in Italia e in Europa. Anche utilizzando fondi destinati alla cooperazione e senza alcun vaglio parlamentare.

      Il Fondo Africa, istituito con la legge di bilancio 2017, art. 1 comma 621 per l’anno 2018, è pari a 200 milioni di euro, cifra che serve per attivare forme di collaborazione e cooperazione con i Paesi maggiormente interessati dal fenomeno della migrazione, anche se l’espressione in sé significa tutto e niente. «Questo fondo - ha spiegato Facchini in conferenza nella sede Arci lo scorso 6 febbraio - viene dato al ministero degli Affari esteri internazionali che individua quali sono questi Paesi: nello specifico il ministero ha indicato una sfilza di Paesi africani, dal Niger alla Libia alla Tunisia, passando per l’Egitto la Costa d’Avorio, indicando anche una serie di attività che possono essere finanziate con questi soldi. Tra queste c’è la dotazione di strumentazioni utili per il controllo della frontiera». Gli autori dell’inchiesta hanno chiesto al ministero l’elenco dei provvedimenti che sono stati messi in campo e per attivare questa protezione alla frontiera. «Siamo alla fine del 2017 e notiamo che tra questi ce n’è uno che stanzia 2 milioni e mezzo per la messa in opera di quattro motovedette. Da lì cominciamo a domandarci se in base alla normativa italiana è legittimo dare una strumentazione così specifica a delle autorità così notoriamente coinvolte nella tortura e nella violenza dei migranti. Quindi abbiamo strutturato un ricorso giuridicamente molto complicato per cercare di interloquire con il giudice amministrativo». Notoriamente il giudice amministrativo non è mai coinvolto in questioni relative al diritto di asilo - per capire: è il giudice degli appalti - ed è insomma colui che va a verificare se la pubblica amministrazione ha adempiuto bene al suo compito.

      l punto di partenza. «Il giudice amministrativo e la pubblica amministrazione – ha spiegato Giulia Crescini dell’Asgi - stanno sempre in un rapporto molto delicato fra loro perché la pubblica amministrazione ha un ambito di discrezionalità all’interno del quale il giudice non può mai entrare, quindi la PA ha dei limiti che vengono messi dalla legge e all’interno di quei limiti il ministero può decidere come spendere quei soldi. Secondo noi quei limiti sono superati, perché la legge non autorizza a rafforzare delle autorità che poi commettono crimini contro i migranti, riportando queste persone sulla terra ferma in una condizione di tortura, soprattutto nei centri di detenzione». I legati hanno dunque avviato questo ricorso, ricevendo, qualche settimana fa, la sentenza di rigetto di primo grado. La sentenza è stata pubblicata il 7 gennaio e da quel giorno a oggi i quattro avvocati hanno studiato le parole del giudice, chiedendo alle altre organizzazioni che avevano presentato insieme a loro il ricorso se avessero intenzione o meno di fare appello. «Studiando la sentenza - continua Crescini - ci siamo accorti di come. pur essendo un rigetto, non avesse poi un contenuto così negativo: il giudice amministrativo in realtà è andato a verificare effettivamente se la pubblica amministrazione avesse speso bene o meno questo soldi, cioè se avesse esercitato in modo corretto o scorretto la discrezionalità di cui sopra. Un fatto che non è affatto scontato. Il giudice amministrativo è andato in profondità, segnalando il fatto che non ci sono sufficienti prove di tortura nei confronti dei migranti da parte delle autorità. Dal punto di vista giuridico questo rappresenta una vittoria. Perché il giudice ha ristretto un ambito molto specifico su cui potremo lavorare davanti al Consiglio di Stato».

      La frontiera è un buon affare. L’inchiesta «La frontiera è un buon affare» rivela che lo sforzo politico che vede impegnate Italia e istituzioni europee nella chiusura delle frontiere si traduce direttamente in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza.

      La dimensione europea della migrazione - si legge in un comunicato diffuso da Arci - si allontana sempre più dal concetto di protezione a favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza e alla repressione del fenomeno migratorio. La logica dell’esternalizzazione, diventata pilastro della strategia tanto europea quanto italiana di gestione delle frontiere, assume in questo modo, sempre più, una dimensione tecnologica e militare, assecondando le pressioni della lobby dell’industria della sicurezza per l’implementazione di questo mercato. L’uso dei fondi è guidato da una tendenza alla flessibilità con un conseguente e evidente rischio di opacità, conveniente per il rafforzamento di una politica securitaria della migrazione.

      Nel MFF - Multiannual Financial Framework - che definisce il budget europeo per un periodo di 7 anni e ora in discussione tripartita tra Commissione, Parlamento e Consiglio - si evidenzia l’intento strategico al netto dei proclami e dei comizi della politica: la migrazione è affrontata principalmente dal punto di vista della gestione del fenomeno e del controllo delle frontiere con un incremento di fondi fino a 34 miliardi di euro per questo settore.

      A questo capitolo di spesa - si legge ancora nel comunicato - contribuiscono strumenti finanziari diversi, dal fondo sulla sicurezza interna - che passa dai 3,4 del 2014/20120 ai 4,8 miliardi del 2021/2027 e che può essere speso anche per la gestione esterna delle frontiere - a tutto il settore della cooperazione militare che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, una tendenza che si palesa con evidenza nelle due missioni militari nostrane in Libia e Niger.

      Dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e quello per la Pace, una buona parte saranno devoluti allo sviluppo di nuova tecnologia militare, utilizzabili anche per la creazione di muri nel mare e nel deserto. Stessa logica anche per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi provenienti dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo centrale.

      Sulla pelle dei migranti. Chi ne fa le spese, spiegano gli autori dell’inchiesta, sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e proprio business. Questa connessione e interdipendenza tra politici e lobby della sicurezza, che sfiora a tutto gli effetti il conflitto di interessi, è risultata evidente nel corso del SRE «Research on security event» tenutosi a Bruxelles a fine dicembre su proposta della presidenza austriaca. Seduti negli stessi panel rappresentanti della commissione dell’Agenzia Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza, manifestavano interesse per un obbiettivo comune: la creazione di un mercato europeo della sicurezza dove lotta al terrorismo e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente

      «Il Governo Italiano si iscrive perfettamente nella logica europea, dalle missioni militari con una chiara missione di controllo delle frontiere in Niger e Libia al rinnovo del Fondo Africa, rifinanziato con 80 milioni per il 2018/2019, che condiziona le politiche di sviluppo a quelle d’immigrazione», dichiara ancora Arci. «Molti i dubbi che solleva questa deriva politica direttamente tradotta nell’uso dei fondi europei e nazionali: dalle tragiche conseguenze sulla sistematica violazione delle convenzione internazionali a una riflessione più ampia sull’opacità dell’uso dei fondi e del ruolo sempre più centrale dell’industria della sicurezza per cui la politica repressiva di chiusura sistematica delle frontiere non è altro che l’ennesimo mercato su cui investire, dimenticandosi del costo in termine di vite umane di questa logica».

      https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2019/02/07/news/la_frontiera_e_un_buon_affare-218538251
      #complexe_militaro-industriel

    • Appalti sulle frontiere: 30 mezzi di terra alla Libia dall’Italia per fermare i migranti

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità di Tripoli nuovi veicoli fuoristrada per il “contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. Un appalto da 2,1 milioni di euro finanziato tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa”, nell’ambito del quale l’Italia accresce il proprio ruolo. Il tutto mentre l’immagine ostentata di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del Viminale

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità della Libia trenta nuovi veicoli fuoristrada per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. L’avviso esplorativo pubblicato dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il Viminale, risale al 5 marzo 2019 (scadenza per la presentazione della manifestazione d’interesse all’8 aprile di quest’anno).

      La fornitura riguarda 30 mezzi “Toyota Land Cruiser” (15 del modello GRJ76 Petrol e 15 del GRJ79 DC Petrol), in “versione tropicalizzata”, relativamente ai quali le autorità libiche, il 24 dicembre 2018, avrebbero esplicitato alla Direzione di Roma precise “specifiche tecniche”. Il Viminale la definisce una “richiesta di assistenza tecnica” proveniente da Tripoli per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. In forza di questa “strategia”, dunque, il governo italiano -in linea con i precedenti, come abbiamo raccontato a gennaio nell’inchiesta sugli “affari lungo le frontiere”– continua a equipaggiare le autorità del Paese Nord-africano per contrastare i flussi migratori. L’ammontare “massimo” degli ultimi due lotti (da 15 mezzi l’uno) è stimato in 2,1 milioni di euro.

      E così come è stato per la gara d’appalto da oltre 9,3 milioni di euro per la fornitura di 20 imbarcazioni destinate alla polizia libica, indetta dal Viminale a fine dicembre 2018, anche nel caso dei 30 mezzi Toyota le risorse arriveranno dal “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito dalla Commissione europea a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. In particolare, dal progetto implementato dal Viminale e intitolato “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, dal valore di oltre 46 milioni di euro e il cui “delegation agreement” risale a metà dicembre 2017 (governo Gentiloni, ministro competente Marco Minniti).

      Questo non è l’unico progetto finanziato tramite l’EU Trust Fund che vede il ministero dell’Interno italiano attivo nel continente africano. Alla citata “First Phase”, infatti, se ne sono affiancati nel tempo altri due. Uno è di stanza in Tunisia e Marocco (“Border Management Programme for the Maghreb region”), datato luglio 2018 e dal valore di 55 milioni di euro. L’altro progetto, di nuovo, ricade in Libia. Si tratta del “Support to Integrated border and migration management in Libya – Second Phase”, risalente al 13 dicembre 2018, per un ammontare di altri 45 milioni di euro. Le finalità dichiarate nell’”Action Document” della seconda fase in Libia sono -tra le altre- quelle di “intensificare gli sforzi fatti”, “sviluppare nuove aree d’intervento”, “rafforzare le capacità delle autorità competenti che sorvegliano i confini marittimi e terrestri”, “l’acquisto di altre navi”, “l’implementazione della rete di comunicazione del Maritime Rescue Coordination Centre” di Tripoli, “la progettazione specifica di programmi per la neocostituita polizia del deserto”.

      La strategia di contrasto paga, sostiene la Commissione europea. “Gli sforzi dell’Ue e dell’Italia nel sostenere la Guardia costiera libica per migliorare la sua capacità operativa hanno raggiunto risultati significativi e tangibili nel 2018”, afferma nel lancio della “seconda fase”. Di “significativo e tangibile” c’è il crollo degli sbarchi sulle coste italiane, in particolare dalla Libia. Dati del Viminale alla mano, infatti, nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 7 marzo 2017 giunsero 15.843 persone, scese a 5.457 lo scorso anno e arrivate a 335 quest’anno. La frontiera è praticamente sigillata. Un “successo” che nasconde la tragedia dei campi di detenzione e sequestro libici dove migliaia di persone sono costrette a rimanere.

      È in questa cornice che giunge il nuovo “avviso” del Viminale dei 30 veicoli, pubblicato come detto il 5 marzo. Quello stesso giorno il vice-presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha incontrato a Roma il vicepremier libico Ahmed Maiteeq. Un “cordiale colloquio”, come recita il comunicato ministeriale, che avrebbe visto sul tavolo “i rapporti tra i due Paesi, in particolare su sicurezza, lotta al terrorismo, immigrazione e stabilizzazione politica della Libia”.

      Ma l’immagine ostentata dal governo Conte di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del ministero dell’Interno. Tra i quesiti presentati al Viminale da parte dei potenziali concorrenti al bando dei 20 battelli da destinare alla polizia libica, infatti, si trovano richieste esplicite di “misure atte a garantire la sicurezza dei propri operatori”. “Laddove si rendesse strettamente necessario effettuare interventi di garanzia richiesti in loco (Libia)”, gli operatori di mercato hanno chiesto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere “che tali prestazioni potranno essere organizzate a patto che le imbarcazioni si trovino in città (Tripoli, ndr) per garantire la sicurezza degli operatori inviati per tali prestazioni”. Il ministero dell’Interno conferma il quadro di instabilità del Paese: “Le condizioni di sicurezza in Libia devono essere attentamente valutate in ragione della contingenza al momento dell’esecuzione del contratto”, è la replica al quesito. “Appare di tutto evidenza che la sicurezza degli operatori non dovrà essere compromessa in relazione ai rischi antropici presenti all’interno dello Stato beneficiario della commessa”. Per gli operatori, non per i migranti in fuga.

      https://altreconomia.it/appalti-libia-frontiere-terra
      #Libye

  • La vie, telle qu’elle pourrait être (3/3) : simulation ou #vie_artificielle ?
    http://www.internetactu.net/2019/02/12/la-vie-telle-quelle-pourrait-etre-33-simulation-ou-vie-artificielle

    Peut-il exister une #biologie théorique, tout comme il y a une physique théorique ? La chose n’est pas facile. Tout d’abord parce que nous ne disposons que d’un exemple de système vivant à notre disposition, bien sûr. Mais aussi parce que nous ne savons pas exactement définir ce qui caractérise le (...)

    #Articles #Recherches

  • Legal by #design : des icônes pour rendre le droit lisible par les humains et les machines ?
    http://www.internetactu.net/2019/02/07/legal-by-design-des-icones-pour-rendre-le-droit-lisible-par-les-humain

    Le constat est ancien. Personne ne lit les Conditions générales d’utilisation (CGU) des services en ligne, ces contrats unilatéraux que nous devons accepter pour les utiliser. Mais si personne ne les lit, pourquoi continuent-ils à être la colonne vertébrale légale d’internet ?, s’interroge un éditorial du New York Times. Il faut (...)

    #Articles #Recherches #algorithmes #complexité #Confiance_et_sécurité #économie_de_l'attention #Interfaces

  • US academics feel the invisible hand of politicians and big #agriculture | Environment | The Guardian
    https://www.theguardian.com/environment/2019/jan/31/us-academics-feel-the-invisible-hand-of-politicians-and-big-agriculture

    [...] over the past 30 years, as public funding for university research has dried up, private industry money has poured in. And with industry money comes industry priorities. #agribusiness has funded research that has advanced its interests and suppressed research that undermines its ability to chase unfettered growth. The levers of power at play can seem anecdotal – a late-night phone call here, a missed professional opportunity there. But interviews with researchers across the US revealed stories of industry pressure on individuals, university deans and state legislatures to follow an #agenda that prioritises business over human health and the environment.

    Take Iowa, a state that is, in both identity and capacity, American farm country. According to data released by the US Department of Agriculture (USDA) in October 2018, the state produces more commodity corn and hogs – and in many years, soybeans – than any other US state. In Iowa, pigs outnumber people by nearly eight to one.

    For decades, deep relationships have existed between the agriculture industry and the state’s politicians – and increasingly those alliances are catching the state’s universities in their crosshairs. In 1980, when the federal government passed the Bayh-Dole Act, encouraging universities to partner with the private sector on agricultural research, leaders at academic institutions were incentivised to seek money from agribusiness. Two of the state’s universities in particular seem to have felt the reach of this policy: Iowa State, which is a land-grant institution, and the University of Iowa, which doesn’t have an agriculture school but feels the pressure of agribusiness #influence. Researchers at both institutions told us they had felt the direct impact of agribusiness dollars on their work.

    #etats-unis #recherche #universités #universitaires#partenariat#corruption #décideurs #conflit_d'intérêt

  • La #science pour le plus grand nombre, pas pour l’argent

    Partout dans le monde, l’Enseignement Supérieur et la Recherche sont actuellement soumis à la doctrine de choc du néolibéralisme, où la #connaissance est perçue comme un simple moyen d’améliorer la #compétitivité de l’économie, comme une source possible de bénéfices et comme un outil de contrôle pour les gouvernements. Ce programme néolibéral pour la science est mis en œuvre par un nouveau mode de gestion publique dans lequel les étudiants, les enseignants et les chercheurs doivent devenir des entrepreneurs de leur capital cognitif et de leur réputation. Loin des idéaux coopératifs de la science et de l’enseignement, les universités et les institutions de recherche sont gérées comme des entreprises, en concurrence les unes avec les autres pour attirer les « meilleurs » étudiants et chercheurs. Les groupes de recherche et les collectifs de travail sont presque systématiquement écrasés. Les gestionnaires scientifiques sont censés chercher des #fonds et des #subventions pour employer une masse toujours plus grande de personnel précaire, dont les bas salaires contrastent avec les revenus de plus en plus élevés d’une nouvelle élite de gestion incarnée par les présidents et les vice-présidents d’université. La souffrance au travail affecte la plupart de ces nouveaux #prolétaires_intellectuels. D’un autre côté, la folie de l’#évaluation, la pression pour « #publier_ou_périr » et la #privatisation de l’#édition_scientifique conduisent à un nombre croissant de publications, ce qui menace à la fois la qualité de la #recherche et la transmission ouverte du savoir. Cette guerre matérielle dans laquelle l’#austérité va de pair avec la privatisation s’accompagne d’une guerre idéologique orwellienne où les mots, écrits dans un langage pauvre et mensonger, perdent leur sens. Le désir de reconnaissance de chacun conduisant à la servitude de tous, les valeurs de #compétition et d’#utilitarisme gagnent du terrain dans nos communautés scientifiques, où les individus sont de plus en plus isolés et craignent d’être exclus du jeu.

    Heureusement, des #résistances sont apparues, tant dans les pays où l’application de ces politiques était la plus développée (Grande-Bretagne ou Chili) que dans les pays où elles sont encore moins avancées (France, Allemagne ou Canada, notamment la région du Québec). Partout, les #mobilisations proposent des #alternatives à ces politiques néolibérales, très proches les unes des autres tant en termes de valeurs que de mesures concrètes. Plus important encore, nous sommes tous d’avis que le savoir fait partie du patrimoine commun de l’humanité et que sa valeur dépend de son #partage avec le plus grand nombre. Les autres composantes de l’alternative à la science néolibérale découlent de ce principe.

    Premièrement, l’université doit être libre. Mais la lutte pour l’abolition effective des #frais_d'inscription exige aussi que l’on reconnaisse aux étudiants le droit à une allocation financière substantielle qui garantirait leur autonomie en leur donnant les moyens de faire face à la nourriture, au logement et d’avoir du temps pour étudier.

    Deuxièmement, les universitaires et les chercheurs doivent non seulement avoir des salaires et des retraites décents, mais aussi se voir accorder des postes à part entière avec de solides garanties d’#indépendance. C’est une condition nécessaire si nous voulons éviter les #conflits_d'intérêts entre l’éducation, la science et les pouvoirs de l’argent et de la politique.

    Ils doivent également bénéficier de crédits à long terme, sans passer une grande partie de leur temps à demander un nombre croissant de subventions et de #projets par le biais de procédures bureaucratiques épouvantables ou à justifier constamment l’utilisation scientifique des fonds qui leur sont alloués. Ce n’est qu’à ce prix qu’ils pourront revendiquer leur droit au temps, sans lequel aucun progrès intellectuel réel, aucune science libre et aucune éducation libre, solide et cohérente n’est possible.

    Enfin, la #démocratie doit être au cœur des universités et des institutions de recherche. Le débat critique avec les citoyens et la collégialité des décisions doivent remplacer la gestion de haut en bas venant de bureaucrates zélés et incompétents qui ne s’intéressent qu’à stimuler la concurrence et la soi-disant « excellence ».

    L’urgence sociale et écologique à laquelle le monde entier est actuellement confronté représente un intérêt général commun qui devrait nous pousser à nous unir si nous voulons relever tous ces défis. Un développement massif des connaissances scientifiques est aujourd’hui nécessaire pour assurer la #transition_écologique de nos sociétés et échapper à la catastrophe imminente. Les investissements publics représentant 3% du PIB des nations doivent être consacrés aux services publics de la recherche et de l’enseignement supérieur. Nous devons également riposter de manière organisée  : il est temps de construire une alternative mondiale dans laquelle les universitaires et les scientifiques, les étudiants et les citoyens défendent les trois piliers de l’enseignement supérieur et de la recherche  : l’indépendance de la production scientifique et intellectuelle, la libre critique et la gratuité de la #transmission_des_connaissances.

    Nous, signataires de cet appel, membres de la communauté académique et de la recherche ou du mouvement social dans son ensemble, nous venons du monde entier. Nous nous engageons ensemble à promouvoir les valeurs de la critique, de la collégialité et de la #coopération dans le domaine scientifique et universitaire. Nous défendons des universités et des institutions de recherche bien dotées et libres d’intérêts privés. Nous luttons contre les #conditions_de_travail précaires et nous promouvons un système alternatif de publication scientifique dans lequel la connaissance est libre et ouverte. Nous appelons à la constitution d’un réseau de #solidarité_internationale et au développement du #savoir_pour_tous.

    https://www.linternationaledessavoirspourtous.org/p/la-science-pour-le-plus-grand-nombre.html?lang=en
    #université #critique #résistance #néo-libéralisme #précarisation #publish_or_perish #tribune #pétition

    • Academic-Led Publishing Panel: Why Academic-Led and Why Now?

      This panel serves as an introduction to Academic-Led Publishing Day, focusing on the “what” and “why” behind the event. Panelists briefly share how they are involved in academic-led publishing and answer the questions: “Why do you believe more academic-led publishing initiatives are needed? And why is now the time for both scholarly institutions and individual scholars to get involved in academic publishing?” Moderated by Cheryl Ball, editor of Kairos, this roundtable included Rebecca Kennison, Open Access Network Co-Founder Virginia “Ginny” Steel, Norman and Armena Powell University Librarian, UCLA Library Brian Cody, Co-Founder and CEO of Scholastica Max Mosterd, Head of Operations and Analytics for Knowledge Unlatched Mike Taylor, open-access advocate and paleontologist with the University of Bristol Hugh Thomas, Editor-in-Chief for Algebraic Combinatorics

      https://www.youtube.com/watch?v=O4D6OVD4QoE&feature=youtu.be

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      Academic-Led Publishing Day

      Academic-Led Publishing Day is a global digital event to foster discussions about how members of the scholarly community can develop and support academic-led publishing initiatives. Academic-Led publishing refers to scholarly publishing initiatives wherein one or more academic organizations control decisions pertaining to copyright, distribution, and publishing infrastructure. The goal of Academic-Led Publishing Day is to create an open dialogue about academic-led publishing programs and funding models - both current and potential - and to raise awareness about the roles and capabilities of different stakeholders in this space. The day will consist of virtual and in-person events, social media discussions, and a collection of blog posts and relevant resources.

      https://academicledpublishingday.com
      #alternative

  • La vie, telle qu’elle pourrait être (2/3) : quelle vie, ailleurs ?
    http://www.internetactu.net/2019/02/01/la-vie-telle-quelle-pourrait-etre-23-quelle-vie-ailleurs

    Dans l’article précédent, on a fait la connaissance avec Steven Benner, qui travaille depuis longtemps sur les formes artificielles d’ADN. Dans le Journal of Design and Science du MIT, il a participé à un long entretien avec l’historien des sciences Luis Campos, sur la nature de l’astrobiologie et sur les (...)

    #Articles #Recherches #biologie_synthétique

  • L’#édition_scientifique, entre #prédateurs et #profiteurs

    Les #revues_scientifiques sont au cœur de la diffusion des savoirs et de l’évaluation des chercheurs. Face à la captation du #marché par de grandes entreprises, des résistances s’organisent. Entretien croisé avec #Hervé_Maisonneuve et #Frédéric_Hélein.
    Pour un chercheur, publier ses résultats dans des revues spécialisées est une activité cruciale, lors de laquelle se joue sa renommée. Ces revues, initialement fondées par des sociétés savantes, sont de plus en plus contrôlées par un #oligopole de #multinationales de l’édition, qui accumulent des #profits phénoménaux. Depuis une décennie, le modèle économique de l’édition scientifique bascule vers une logique d’accès libre aux articles, les frais de publication étant couverts par les chercheurs. Mais des groupes peu recommandables ont développé des revues dites « prédatrices », publiant n’importe quoi dans le seul but d’encaisser le paiement des chercheurs.
    Où va l’édition scientifique ? Comment les scientifiques peuvent-ils reprendre le contrôle de ce maillon essentiel à la diffusion de leurs recherches ? Entretien croisé avec Hervé Maisonneuve, médecin de santé publique, et Frédéric Hélein, professeur de mathématiques à l’université Paris VII.

    https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=abvhkMsNn58


    https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/130119/l-edition-scientifique-entre-predateurs-et-profiteurs
    #prédation #profit #université #business #savoir #recherche #science

    signalé par @marty

    • #Déclaration_de_San_Francisco sur l’#évaluation de la recherche

      Il est urgent d’améliorer les méthodes d’évaluation des résultats de la recherche scientifique par les agences de financement, les établissements d’enseignement et de recherche et d’autres parties. Pour régler cette question, un groupe de rédacteurs en chef et d’éditeurs de revues savantes s’est réuni à San Francisco en Californie le 16 décembre 2012, dans le cadre du congrès annuel de l’American Society for Cell Biology (ASCB). Ce groupe a élaboré un ensemble de recommandations, désormais appelé « Déclaration de San Francisco sur l’évaluation de la recherche ». Nous invitons les parties intéressées de toutes les disciplines scientifiques à manifester leur soutien en ajoutant leur nom à la présente Déclaration.

      Les apports de la recherche sont nombreux et variés : articles contenant de nouvelles connaissances, données, réactifs, logiciels ainsi que propriété intellectuelle et jeunes scientifiques hautement qualifiés. Les agences de financement, les établissements qui emploient des chercheurs et ces scientifiques eux-mêmes éprouvent tous le désir et le besoin d’évaluer la qualité et l’impact de la production scientifique. Il est donc impératif que la production scientifique soit mesurée rigoureusement et évaluée avec discernement.

      Le facteur d’impact des revues est souvent utilisé comme principal paramètre pour comparer la production scientifique individuelle et celle des établissements. Ce facteur d’impact, tel que calculé par Thomson Reuters*, a été créé à l’origine comme un outil d’aide pour les bibliothécaires servant à identifier les revues à acheter, et non pour mesurer la qualité scientifique de la recherche exposée dans un article. Dans cette optique, il est essentiel de comprendre que le facteur d’impact présente un certain nombre d’insuffisances bien documentées en tant qu’outil d’évaluation de la recherche. Ces limitations sont les suivantes : A) les distributions des citations dans les revues sont très asymétriques [1-3] ; B) les propriétés du facteur d’impact sont propres à chaque domaine : il s’agit d’un agrégat de types d’articles multiples et très divers, avec des articles primaires comme de synthèse [1, 4] ; C) les facteurs d’impact peuvent être manipulés (ou « instrumentalisés ») par une politique éditoriale [5] ; et D) les données utilisées pour calculer les facteurs d’impact ne sont ni transparentes ni ouvertement accessibles au public [4, 6, 7]. Ce qui suit formule des recommandations visant à améliorer la façon dont la qualité des résultats de la recherche est évaluée. D’autres éléments de production scientifique que les articles prendront une importance accrue dans l’évaluation de l’efficacité des travaux de recherche à l’avenir, mais l’article, contrôlé par des pairs, demeurera une production scientifique essentielle entrant dans l’évaluation de la recherche. Par conséquent, nos recommandations portent au premier chef sur les pratiques relatives aux articles publiés dans des revues à comité de lecture, mais elles peuvent et devraient s’étendre à d’autres productions, comme les jeux de données, en tant que résultantes importantes de la recherche. Ces recommandations s’adressent aux agences de financement, aux établissements d’enseignement et de recherche, aux revues, aux organismes pourvoyeurs d’indicateurs et à chaque chercheur.

      Ces recommandations s’articulent autour d’un certain nombre de sujets :

      la nécessité de mettre un terme à l’utilisation d’indicateurs basés sur les revues, comme les facteurs d’impact, dans le financement, les nominations et les promotions ;
      celle d’évaluer la recherche sur sa valeur intrinsèque plutôt qu’en fonction de la revue où elle est publiée ; et
      celle encore d’exploiter au mieux les possibilités offertes par la publication en ligne (comme la levée de restrictions inutiles sur le nombre de mots, de figures et de références dans les articles et l’exploration de nouveaux indicateurs d’importance et d’impact).

      Nous reconnaissons que de nombreuses agences de financement, établissements, éditeurs et chercheurs encouragent déjà l’amélioration des pratiques d’évaluation de la recherche. De telles démarches commencent à donner de nouvelles perspectives à des approches d’évaluation de la recherche plus élaborées et plus pertinentes sur lesquelles il est possible de s’appuyer et qui puissent être adoptées par toutes les parties impliquées au premier chef.

      Les signataires de la Déclaration de San Francisco sur l’évaluation de la recherche soutiennent l’adoption des pratiques suivantes pour l’évaluation de la recherche.

      Recommandation générale

      Ne pas utiliser les indicateurs basés sur les revues, tels que les facteurs d’impact, comme succédané d’appréciation de la qualité des articles de recherche individuels, pour évaluer les contributions d’un scientifique en particulier ou pour prendre des décisions en matière de recrutement, de promotion ou de financement.

      Pour les agences de financement

      Indiquer explicitement les critères utilisés pour évaluer la productivité scientifique des porteurs de projet et souligner clairement, surtout pour les chercheurs débutants, que le contenu scientifique d’un article est beaucoup plus important que les indicateurs de publication ou l’image de marque de la revue dans laquelle il a été publié.

      Aux fins de l’évaluation de la recherche, tenir compte de la valeur et de l’impact de tous les résultats de travaux de recherche (y compris les jeux de données et les logiciels) en plus des publications scientifiques, et envisager un large éventail de mesures d’impact, y compris des indicateurs qualitatifs sur les retombées des travaux, comme leur influence sur les politiques et les pratiques.

      Pour les établissements

      Afficher explicitement les critères utilisés dans les décisions de recrutement, de titularisation et de promotion, en soulignant clairement, surtout pour les chercheurs débutants, que le contenu scientifique d’un article est beaucoup plus important que les indicateurs de publication ou l’image de marque de la revue dans laquelle il a été publié.

      Aux fins de l’évaluation de la recherche, tenir compte de la valeur et de l’impact de tous les résultats de travaux de recherche (y compris les jeux de données et les logiciels) en plus des publications scientifiques, et envisager un large éventail de mesures d’impact, y compris des indicateurs qualitatifs sur les retombées des travaux, comme leur influence sur les politiques et les pratiques.

      Pour les éditeurs

      Réduire considérablement l’importance accordée au facteur d’impact comme outil de promotion, idéalement en cessant de le promouvoir ou en présentant ce paramètre dans le contexte d’une variété d’indicateurs basés sur les revues (p. ex. facteur d’impact sur 5 ans, EigenFactor [8], SCImago [9], indice h, temps de traitement éditorial et de publication, etc.) qui offrent une vision plus riche de la performance d’une revue.

      Proposer une série d’indicateurs à l’échelle de l’article pour encourager le passage à une évaluation qui soit fondée sur le contenu scientifique d’un article plutôt que sur les indicateurs de publication de la revue dans laquelle il a été publié.

      Encourager des pratiques responsables en matière de paternité d’auteur et la fourniture d’informations sur les contributions spécifiques de chaque auteur.

      Qu’une revue soit en libre accès ou sur abonnement, supprimer toutes les restrictions de réutilisation des listes de références dans les articles et les mettre à disposition dans le cadre du Creative Commons Public Domain Dedication [10].

      Éliminer ou réduire les contraintes sur le nombre de références dans les articles et, le cas échéant, exiger la citation de la littérature primaire plutôt que celle des articles de synthèse afin de reconnaître le mérite du ou des groupes qui ont rapporté en premier une découverte.

      Pour les organismes pourvoyeurs d’indicateurs

      Faire preuve d’ouverture et de transparence en fournissant les données et les méthodes utilisées pour calculer tous les indicateurs.

      Fournir les données en vertu d’une licence qui permette une réutilisation sans restriction et permettre un accès informatique aux données, dans la mesure du possible.

      Préciser clairement que la manipulation inconsidérée des indicateurs ne sera pas tolérée ; désigner explicitement ce qui constitue une manipulation inconsidérée et les mesures qui seront prises pour y remédier.

      Tenir compte de la diversité des types d’articles (p. ex., articles de synthèse par rapport aux articles de recherche) et des différents domaines lorsque les indicateurs sont utilisés, agrégés ou comparés.

      Pour les chercheurs

      Lors d’une participation à des commissions exerçant des décisions de financement, d’embauche, de titularisation ou de promotion, produire des évaluations fondées sur le contenu scientifique plutôt qu’en fonction des indicateurs de publication.

      Le cas échéant, citer la littérature primaire dans laquelle les observations ont été rapportées en premier plutôt que les articles de synthèse afin d’en attribuer le mérite à bon escient.

      Utiliser une gamme de paramètres et d’indicateurs d’articles sur les déclarations personnelles/de soutien, comme preuve de l’impact d’articles individuels publiés et d’autres résultats de recherche [11].

      Remettre en question les pratiques d’évaluation de la recherche qui s’appuient inconsidérément sur les facteurs d’impact. Promouvoir et enseigner les bonnes pratiques qui mettent l’accent sur la valeur et l’influence des résultats spécifiques de la recherche.

      https://sfdora.org/read/fr
      #recommandations

  • Startupeurs, des innovateurs ordinaires
    http://www.internetactu.net/2019/01/28/startupeurs-des-innovateurs-ordinaires

    Dans Les start-up, des entreprises comme les autres ?, les sociologues Michel Grossetti, Jean-François Barthe et Nathalie Chauvac du Laboratoire interdisciplinaire Solidarités, sociétés, territoires, livrent les résultats d’une longue enquête sociologique sur les entreprises innovantes et leurs fondateurs. À rebours des discours promotionnels de l’entrepreneuriat, leurs #Recherches dressent un autre portrait (...)

    #Articles #Interviews #Economie_et_marchés #Entreprise #innovation #politiques_publiques

  • La vie, telle qu’elle pourrait être (1/3) : de nouvelles lettres pour l’alphabet du vivant
    http://www.internetactu.net/2019/01/22/la-vie-telle-quelle-pourrait-etre-13-de-nouvelles-lettres-pour-lalphab

    Ces dernières années, divers chercheurs se sont attachés à agrandir l’alphabet génétique, sur lequel repose la structure de l’ADN, en vue d’en tirer des applications technologiques, mais également (et peut-être surtout) pour comprendre la nature de la vie elle-même. Le travail a commencé à aboutir en 2014, lorsque Floyd Romesberg (...)

    #Articles #Futurs #Recherches #biologie_synthétique

  • Traumatic amputations caused by drone attacks in the local population in Gaza: a retrospective cross-sectional study
    Hanne Heszlein-Lossius, Yahya Al-Borno, Samar Shaqqoura, Nashwa Skaik, Lasse Melvaer Giil, Mads F Gilbert
    The Lancet 3:e40–e47 (2019)
    https://www.thelancet.com/journals/lanplh/article/PIIS2542-5196(18)30265-1/fulltext

    Compared with other methods of weapons delivery, drone strikes caused the most traumatic amputations in surviving Palestinian citizens from 2006–16 during Israeli military incursions and periods of cease-fire in Gaza. Explosive weapons delivered by military drones inflicted more severe injuries in survivors than non-drone delivered weapons did. Our study shows the need for a specific legal framework for remote-controlled, human-directed weaponised drones that are used as carriers of attack weapons.

    #Palestine #Recherche #Science #Santé #Blessés #Guerre #Drones #Médecine #Apartheid #BDS #Boycott_universitaire #Gaza #Nakba #Marche_du_retour

  • « Je ne fais que poser des questions ». La Crise épistémologique, le doute systématique et leurs conséquences politiques – Fragments sur les Temps Présents
    https://tempspresents.com/2018/06/15/je-ne-fais-que-poser-des-questions-la-crise-epistemologique-le-doute-

    C’est dans ce contexte propice que la « foire aux illuminés » caractéristique de l’ère du complotisme accueille toujours plus d’exposants et de visiteurs, et que les activités de propagande, désinformation et subversion conduites par des puissances étrangères ou groupes terroristes hostiles rencontrent un succès croissant en proliférant sur le terreau favorable de la « démocratie des crédules ».

    Toutes ces tendances ne sont pas nouvelles, mais leur convergence au cours des dernières années a désormais des conséquences politiques notables : en premier lieu des transformations du jeu électoral dans nombre de pays, mais aussi une mutation de la tonalité du débat politique : des acteurs majeurs tels que le président des Etats-Unis ou des candidats à l’élection présidentielle française tiennent par exemple des propos d’une violence croissante à l’égard des médias (les percevant comme une faction hostile et non pas comme l’écho de la diversité des opinions publiques). Une forte créativité sémantique a été déployée pour tenter de définir cette nouvelle ère : « post-vérité », « faits alternatifs », « fausses nouvelles », « infox », mélangeant parfois des phénomènes de nature différente sous le même vocable.

    La ligne directrice qui donne un air de parenté à des phénomènes et des thèmes très divers avance que notre époque est fondamentalement marquée par une crise épistémologique. Plusieurs auteurs ont déjà accusé le post-modernisme, qui postule l’impossibilité de l’établissement d’une vérité universelle, d’être responsable du relativisme contemporain. Je voudrais ici plutôt montrer que cette crise épistémologique prend la forme de l’entrelacement dans l’espace public des versions abâtardies de trois approches épistémologiques parfaitement respectables par ailleurs : le doute cartésien, les relations entre pouvoir et savoir analysées par Foucault, et le déconstructionnisme inspiré de Derrida. Deux de ces auteurs sont certes post-modernes, mais le problème tient plus à leur mauvaise compréhension qu’au post-modernisme lui-même (Descartes n’étant de toute façon par définition pas post-moderne). Nous employons volontairement le terme « abâtardies » plutôt que « vulgarisées » : la vulgarisation est une activité noble consistant à transmettre et diffuser largement les résultats de la recherche scientifique dans des formats appropriés au plus grand nombre, là où la crise épistémologique provient d’une compréhension partielle et biaisée des trois approches mentionnées.

    Identifier et tenter de résoudre cette crise épistémologique est un enjeu politique majeur pour le fonctionnement de nos démocraties.

    • Mi figue mi raisin, plein de réflexions intéressantes sur la vraie manière de douter scientifiquement sans tomber dans le complotisme, mais en évacuant un peu (beaucoup) rapidement les critiques sociales, les critiques sur la production de l’information (tout en concédant qu’il y a quelques problèmes, mais je parle de la critique radicale sur la collusion sociologique entre les journalistes, et les gens de pouvoir) et les critiques sur la production scientifique.

      Par une personne faisant évidemment partie du monde de la recherche (et il prédit le genre de critique qui suit) et qui défend un peu son pré carré d’expertise. Tout en étant intéressant, ça fait un peu « on voudrait la même chose, la même organisation sociale, mais avec des experts, des technocrates, un peu plus vertueux » (demande quelque peu courante et ancienne).

      #critique #doute_méthodique #complotisme #information #journalisme #science #recherche

  • La croyance aux fake news ne change pas selon le pouvoir en place
    http://www.internetactu.net/a-lire-ailleurs/la-croyance-aux-fake-news-ne-change-pas-selon-le-pouvoir-en-place

    Certains traits de notre personnalité nous prédisposent-ils à adopter certaines opinions politiques ? Plusieurs études ont déjà laissé penser que oui. Mais la plus récente, effectuée à l’UCLA, et rapportée par Physorg, présente un intérêt particulier : elle a été menée deux fois, tout d’abord en 2015, puis, plus récemment en 2016-2017. (...)

    #A_lire_ailleurs #Recherches #biais_cognitifs #désinformation #politique

  • #Ru'elles

    La Cie Ru’elles est un collectif d’artistes et de chercheur.es qui souhaite surprendre, révéler l’invisible et questionner nos quotidiens In situ.

    Ru’elles invite les passant-es à découvrir un #théâtre_déclencheur, bulle de dérision et de poésie, terrain fertile d’une #recherche-création par le #mouvement des #corps et la résonance des #voix.

    Parce que la #rue est en proie au #conformisme et qu’il s’y joue des #rapports_de_domination, le collectif agit : les #identités de genre ou de classe et de couleurs sont analysées comme un ensemble de masques, de costumes et de gestes prescrits que chacun et chacune de nous répète avec minutie. Il importe de les détourner pour les questionner, de #rendre_visible l’#inégalité des rôles et de perturber les usages de nos #lieux_communs.


    http://www.ru-elles.com
    #art #in/visibilisation #domination #théâtre #Julie_Arménio

  • Been Kim Is Building a Translator for Artificial Intelligence | Quanta Magazine
    https://www.quantamagazine.org/been-kim-is-building-a-translator-for-artificial-intelligence-201901

    We know from repeated studies in cognitive science and psychology that humans are very gullible. What that means is that it’s actually pretty easy to fool a person into trusting something. The goal of interpretability for machine learning is the opposite of this. It is to tell you if a system is not safe to use. It’s about revealing the truth. So “trust” isn’t the right word.

    #AI #recherche ; j’ai eu la chance d’assister à un exposé de Been Kim à Berlin l’automne dernier — elle est suuuuuuper forte.

  • Contest models highlight inherent inefficiencies of scientific funding competitions

    Scientific research funding is allocated largely through a system of soliciting and #ranking competitive grant proposals. In these competitions, the proposals themselves are not the deliverables that the funder seeks, but instead are used by the funder to screen for the most promising research ideas. Consequently, some of the funding program’s impact on science is squandered because applying researchers must spend time writing proposals instead of doing science. To what extent does the community’s aggregate investment in proposal preparation negate the scientific impact of the funding program? Are there alternative mechanisms for awarding funds that advance science more efficiently? We use the economic theory of contests to analyze how efficiently grant proposal competitions advance science, and compare them with recently proposed, partially randomized alternatives such as lotteries. We find that the effort researchers waste in writing proposals may be comparable to the total scientific value of the research that the funding supports, especially when only a few proposals can be funded. Moreover, when professional pressures motivate investigators to seek funding for reasons that extend beyond the value of the proposed science (e.g., promotion, prestige), the entire program can actually hamper scientific progress when the number of awards is small. We suggest that lost efficiency may be restored either by partial lotteries for funding or by funding researchers based on past scientific success instead of proposals for future work.

    https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.3000065#sec002
    #compétition #compétitivité #inefficacité #université #science #université_néolibérale #néolibéralisme #recherche_scientifique #financements #projets_de_recherche #classement #excellence #prestige

  • I was a terrible PhD supervisor. Don’t make the same mistakes I did | Education | The Guardian
    https://www.theguardian.com/higher-education-network/2016/mar/24/i-was-a-terrible-phd-supervisor-dont-make-the-same-mistakes-i-did

    Research points to high levels of depression among PhD students.

    (...) Every one of my students got depressed at the beginning of their second year. They reached a point where they finally understood what they were trying to do, but did not yet believe that they could do it.

    (...) Looking back, perhaps what they were missing was the feeling of competence. I could have had them give seminars, conference talks or even work with undergrads or first-year PhD students, anything to make them realise how much they’d already achieved.

    (...) I didn’t know how to foster trust, celebrate success or maintain motivation. I was an utterly appalling supervisor and I didn’t even realise it. Perhaps you can learn from my example.

    #recherche #management #dépression #vécu

  • Rockefeller, Carnegie, and the SSRC’s Focus on Race in the 1920s and 1930s – Items
    https://items.ssrc.org/rockefeller-carnegie-and-the-ssrcs-focus-on-race-in-the-1920s-and-1930s

    Soon after its founding, the SSRC engaged the study of race and race relations in the United States with the support of its main funder, the Rockefeller philanthropies. However, by 1930, Rockefeller and the Council shifted focus, shuttering the four committees tasked with studying these issues. Here, Maribel Morey critically examines the early history of the SSRC’s approach to race in the 1920s and 1930s, focusing on its relationship with the shifting priorities of the philanthropies that supported it. This includes major projects of the era such as W. E. B. Du Bois’s ambitious Encyclopedia of the Negro and the massive research undertaking that launched Gunnar Myrdal’s An American Dilemma.

    #philanthrocapitalisme #recherche #sociologie #du_bois #web_du_bois

  • #Films et #recherche en #sciences_humaines

    "Film et Recherche en Sciences Humaines" (FRESH) propose de travailler les résonances entre #cinéma_documentaire -et plus globalement des approches documentaires : #photographie, notamment- et recherche en sciences sociales, dans une optique transdisciplinaire. Ce programme s’appuie sur un « triangle » entre la Maison de la Recherche en Sciences Humaines (#MRSH) de l’#Université_de_Caen_Basse-Normandie, la Maison des Sciences de l’Homme en Bretagne (#MSHB, Rennes) et des professionnels de l’image (documentaristes). Les liens avec l’étranger sont développés, notamment avec la mise en place d’actions en coopération avec le Centre d’anthropologie de l’Université de Sousse (Tunisie), qui est devenu depuis 2015 partie prenante du projet.

    De nouvelles formes et usages du film documentaire se développent ; on relève des convergences entre regard documentaire et recherche. Des documentaristes (réalisateurs, photographes) proposent des regards sur des questions sociales amenant le spectateur à s’interroger sur son propre regard ; des chercheurs s’intéressent à trouver des nouvelles formes d’écriture documentaire comme méthode de recherche à part entière et d’intervention, dans une démarche réflexive. Le cinéaste documentariste se trouve inscrit dans des enjeux sociaux, par la demande des commanditaires, par l’intersubjectivité durant la réalisation, par le résultat final et la diffusion du film ; la démarche du chercheur qui mobilise l’écriture audiovisuelle consiste à reconstruire la recherche pour y intégrer un regard documentaire.

    L’objectif de développer la recherche par et sur les images documentaires passe aussi par l’accompagnement de projets et des ateliers de formation à destination d’étudiants, de chercheurs, de documentaristes.

    #FRESH est né d’actions et d’intérêts par des universitaires et des non universitaires de Caen et de Rennes pour l’image comme objet et pratique depuis un certain nombre d’années. Cette base a été essentielle pour construire ce projet qui s’inscrit à la suite de diverses collaborations.

    Les participants viennent de différentes régions de France et de l’étranger, le programme étant ouvert à tous ceux intéressés par cette démarche. De plus, ce programme est ouvert aux autres MSH et structures de recherche, dans une optique transdisciplinaire en SHS.

    http://www.unicaen.fr/recherche/mrsh/fresh
    #documentaire #université_de_Caen
    ping @reka @albertocampiphoto

  • Des chercheurs et des personnalités lancent le « lundi sans #viande »
    https://reporterre.net/Des-chercheurs-et-des-personnalites-lancent-le-lundi-sans-viande

    Pour étudier le passage au #végétarisme, des scientifiques ont lancé l’opération du « lundi sans viande ». L’initiative a reçu le soutien de personnalités et d’ONG mais les éleveurs y voient une nouvelle stigmatisation de leur activité alors que certaines pratiques agricoles ont des effets positifs sur l’environnement.

    #élevage #santé #recherche_scientifique

    • En principe, le Lundi, on termine les restes des repas de famille du dimanche.
      Enfin, dans certaines familles.

      Curieux le jour choisi
      Il est vrai que ce sont des experts ou des ong qui proposent ça.

      Et si, afin de lutter contre les réchauffement climatique, on mangeait les avions ?