• La #religion de la nouvelle extrême droite espagnole
    https://laviedesidees.fr/La-religion-de-la-nouvelle-extreme-droite-espagnole

    Quelle est la part de la référence religieuse dans le discours de Vox, le parti d’extrême droite espagnol ? Le #catholicisme est au cœur de sa revendication identitaire et nationaliste, mais sert aussi de ressource symbolique pour combattre les courants féministes et progressistes.

    #International #Espagne #extrême_droite
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240424_vox.pdf

  • #Italie : les députés ouvrent la voie à l’accès des #anti-IVG dans les structures permettant l’#avortement
    https://www.francetvinfo.fr/societe/ivg/italie-les-deputes-ouvrent-la-voie-a-l-acces-des-anti-ivg-dans-les-stru

    Nouveau revers pour les droits des femmes. Les députés italiens ont voté, jeudi 18 avril, un amendement de Fratelli d’Italia, le parti d’extrême droite de la présidente du Conseil Giorgia Meloni, permettant aux organisations anti-IVG d’entrer à l’intérieur des centres de conseil. Ce sont les structures par lesquelles les femmes peuvent passer pour obtenir un certificat de la part d’un médecin, puis avoir accès à l’avortement, précise Le Monde.

    […] L’avortement a été légalisé en 1978 en Italie, mais son accès est de plus en plus difficile en raison du nombre de #gynécologues qui refusent d’effectuer des IVG pour des raisons morales ou religieuses. Selon les données du ministère de la Santé italien, en 2021, environ 63% des gynécologues refusaient de pratiquer l’intervention.

    #religion

  • The pact kills : l’istituzionalizzazione della fine del diritto d’asilo nell’UE

    Un documento dell’Associazione #Open_Your_Borders di Padova sul nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo.

    Il 10 aprile il Parlamento europeo ha approvato il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, frutto di un lungo negoziato cominciato nel 2020 tra Parlamento, Consiglio e Commissione.

    Prima di entrare in vigore, dovrà essere votato anche dal Consiglio dell’UE, l’organo in cui risiedono i rappresentanti dei governi dei 27 stati membri, la cui votazione è attesa entro la fine di aprile.

    In sintesi, questo Nuovo Patto prevede una serie di riforme del sistema di gestione dei flussi migratori e della richiesta di protezione internazionale nel territorio dell’Unione Europea e, in particolare, raccoglie al suo interno dieci proposte di legge che vanno brutalmente a rafforzare l’approccio securitario della ormai consolidata “fortezza Europa”, costituita dalle 27 nazioni, sulle 43 + 7 dell’Europa geografica.

    È evidente che i tempi e i contenuti di questa mossa hanno chiare motivazioni elettoralistiche in vista delle elezioni Europee, con il riposizionamento dei vari partiti nazionali in funzione sia della propria affermazione locale che della futura riaggregazione in probabili inedite coalizioni. Infatti “il Patto” è stato approvato trasversalmente con 301 voti favorevoli, 269 contrari e 51 astensioni.

    La coalizione di centrodestra governativa guidata da Giorgia Meloni è risultata non omogenea, con lo spostamento di Fratelli d’Italia (attualmente all’opposizione in Europa) a favore e con la Lega che ha confermato il proprio voto contrario, probabilmente perché considera la linea adottata troppo moderata e poco sovranista.

    Con motivazioni opposte, si sono schierati contrari anche il PD (che è organico dell’attuale maggioranza in UE) e il Movimento 5 stelle.

    Si rincorrono i toni trionfalistici per la “decisione storica” presa, dipinta come “un enorme risultato per l’Europa”, “un solido quadro legislativo su come affrontare la migrazione e l’asilo nell’Unione europea” e per una fantomatica e propagandistica “vittoria italiana” sottolineata da Meloni, nonostante il tanto criticato Regolamento di Dublino (per cui è il paese di primo ingresso l’unico responsabile di esaminare le richieste di protezione internazionale e di gestire e trattenere al suo interno le persone migranti) sia stato di fatto rafforzato.

    Noi, in questa giornata buia per il diritto d’asilo europeo e per la libertà di movimento internazionale, vediamo solo un consolidamento di pratiche di violazione dei diritti umani, che sono già attuate e condivise da parecchio tempo, sia alle frontiere che nei territori degli Stati dell’Unione Europea, in vista di quello che si prospetta come un inasprimento e allargamento del conflitto mediorientale e di una sempre maggiore instabilità di tutta l’area del Sahel (testimoniato da 7 colpi di Stato in pochi anni e dalla guerra solo apparentemente interna in Sudan che continua nell’indifferenza generale) dove si stanno giocando gli interessi egemonici in Africa dei due blocchi politici ed economici contrapposti, con Stati Uniti e Francia su tutti da un lato, e paesi Brics (Russia, Cina, India, ecc.) dall’altro.

    Con l’Unione Europa dal peso politico inconsistente tra le due parti e i suoi Stati membri che si percepiscono (erroneamente) come meta di approdo per tutti i movimenti di fuga delle popolazioni, i confini esterni dell’Unione diventano in primis la rappresentazione materiale da blindare assolutamente a scopo preventivo.

    Di seguito, analizziamo nello specifico le nuove norme per noi più critiche e problematiche.
    1) Procedure accelerate e sommarie per la richiesta di protezione internazionale

    Il Nuovo Patto divide in maniera importante i percorsi di richiesta di protezione internazionale, con l’applicazione di una procedura accelerata e generalizzata basata soprattutto sulla provenienza geografica legata alla classificazione dei cosiddetti “Stati sicuri” e non sulla storia individuale delle persone.

    Il testo prevede che tali procedure accelerate – che dovrebbero durare al massimo 12 settimane – siano svoltedirettamente nelle zone di frontiera, con il trattenimento di migliaia di persone in centri di detenzione posizionati ai confini degli Stati dell’Unione Europea.

    Lo svolgimento dell’esame approssimativo delle richieste sulla base della nazionalità porterà quindi ad un aumento generalizzato delle espulsioni, limitando la possibilità di richiesta di asilo, in violazione del principio internazionale del non respingimento, ma anche, ad esempio, al diritto alle cure mediche e al ricongiungimento familiare.

    Il criterio basato sullo Stato di provenienza è già stato eccezionalmente usato per velocizzare l’ingresso e l’integrazione diffusa delle persone rifugiate ucraine – però limitato a donne, bambin* e anzian*. Tale applicazione, causata dal conflitto Russia-Ucraina, che evidentemente ci tocca da vicino sia per posizione geografica che etnica, ha però contestualmente escluso l’evacuazione di tutti gli altri “non bianchi” presenti in quel territorio per motivi di lavoro, di studio o in transito migratorio. Anche per questo motivo, utilizzare solamente il criterio di provenienza geografica di origine senza considerare le specificità delle persone nelle procedure accelerate è funzionale alla negazione dell’asilo, in quanto arbitraria e strumentale da parte degli Stati.
    2) Un nuovo regolamento di screening (ovvero l’esercizio della bio-politica)

    Le persone richiedenti asilo non possono scegliere se seguire una procedura tradizionale (che richiede molti mesi) o accelerata, ma vengono divisi e indirizzati in base al loro profilo, stilato attraverso un nuovo e uniforme regolamento di screening obbligatorio inserito nell’Eurodac, creando così una enorme banca dati comune: questa “procedura di frontiera” preliminare, da farsi entro 7 giorni dall’arrivo, comprende identificazione, raccolta dei dati biometrici, controlli sanitari e di sicurezza, controllo di eventuali trasferimenti e precedenti, il tutto a partire dai 6 anni di età. Questa procedura sarà adottata principalmente per le persone richiedenti asilo che per qualche motivo vengono considerati un “pericolo” per i paesi dell’Unione, per coloro che provengono dai paesi considerati “sicuri” e per chi proviene da paesi che, anche per altri motivi, hanno un tasso molto basso (sotto il 20 per cento) di domande d’asilo accolte.
    3) Introduzione del concetto di “finzione del non ingresso”

    Il patto introduce il concetto di “finzione giuridica di non ingresso”, secondo il quale le zone di frontiera sono considerate come non parte del territorio degli Stati membri. Questo interessa in particolare l’Italia, la Grecia e la Spagna per gli sbarchi della rotta mediterranea, mentre sono più articolati “i confini” per la rotta balcanica. Durante le 12 settimane di attesa per l’esito della richiesta di asilo, le persone sono considerate legalmente “non presenti nel territorio dell’UE”, nonostante esse fisicamente lo siano (in centri di detenzione ai confini), non avranno un patrocinio legale gratuito per la pratica amministrativa e tempi brevissimi per il ricorso in caso di un primo diniego (e in quel caso rischiano anche di essere espulse durante l’attesa della decisione che li riguarda). In assenza di accordi con i paesi di origine (come nella maggioranza dei casi), le espulsioni avverranno verso i paesi di partenza.

    Tale concetto creadelle pericolose “zone grigie” in cui le persone in movimento, trattenute per la procedura accelerata di frontiera, non potranno muoversi sul territorio né tantomeno accedere a un supporto esterno. Tutto questo in spregio del diritto internazionale e della tutela della persona che, sulla carta, l’UE si propone(va) di difendere.
    4) L’istituzione di un meccanismo di “solidarietà obbligatoria” e l’esternalizzazione dei confini

    All’interno di una narrazione in cui le persone in movimento sono un onere da cui gli Stati Europei cercano di sottrarsi, viene istituito un meccanismo di “accettazione obbligatoria” di ricollocamento e trasferimento delle persone migranti, ma solo in caso di non precisate impennate di arrivi. Gli Stati potranno però scegliere se “accettare” un certo numero di migranti o, in alternativa all’accoglienza, fornire supporto operativo al paese d’arrivo, inviando del personale o mezzi, oppure pagare una quota di 20mila euro per ogni richiedente che si rifiutano di accogliere, da versare in un fondo comune dell’Unione Europea.

    I soldi versati in questo fondo comune, oltre a poter essere redistribuiti tra i paesi di frontiera (come l’Italia), potranno essere utilizzati per sostenere e finanziare «azioni nei paesi terzi o in relazione ad essi che hanno un impatto diretto sui flussi migratori verso l’UE» ossia paesi, come Libia e Tunisia da cui le persone migranti partono per raggiungere l’Europa.

    Un meccanismo disumanizzante e che trasforma le persone e le garanzie dei diritti umani in merci barattabili con un compenso economico destinabile a rafforzare i confini ancora più esternamente.

    Un ulteriore sviluppo è dato dalla delocalizzazione della zona di frontiera, attraverso la creazione di hotspot al di fuori dei confini nazionali, come nel caso dei futuri centri italiani in Albania.

    L’adozione di questo Nuovo Patto – non ancora definitivo, si ricorda – dimostra come i valori di accoglienza e “integrazione” e il diritto alla libertà di movimento, previsto dall’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, vengano sgretolati di fronte ad una sempre più marcata diffidenza, chiusura e difesa della sovranità nazionale.

    Con la recrudescenza dei nazionalismi negli Stati Europei e la loro incapacità di agire con una lungimiranza alternativa e una visione decolonializzata nello scacchiere geopolitico, la tutela degli individui e della dignità umana viene “semplicemente” sostituita da inquietanti concetti privi di senso legati alla purezza della nazione e dell’etnia e alla difesa, in modalità securitaria e repressiva, della patria e della tradizione, che si traducono in istituzionalizzazione e normalizzazione dell’agire violento ai confini della UE e in una crescente esternalizzazione della frontiera attraverso il respingimento delle persone razzializzate nell’ultimo Paese di partenza, con l’intento dichiarato di voler scoraggiare la mobilità verso l’Europa.

    https://www.meltingpot.org/2024/04/the-pact-kills-listituzionalizzazione-della-fine-del-diritto-dasilo-nell
    #pacte #asile #migrations #réfugiés #droit_d'asile #procédure_accélérée #pays_sûrs #rétention #frontières #rétention_aux_frontières #screening #Eurodac #procédure_de_frontière #biométrie #fiction_juridique #zones_frontalières #solidarité_obligatoire #externalisation #relocalisation #fiction_légale #legal_fiction

    –-

    ajouté à la métaliste sur #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    ajouté à la métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
    https://seenthis.net/messages/795053

  • How the Vatican helped legitimise the autocracy in #Azerbaijan
    https://irpimedia.irpi.eu/en-how-the-vatican-helped-legitimize-the-autocracy-in-azerbaijanen

    Relations with Baku are emblematic of how the Holy See is trying to gain credit in the Caucasus as a peace mediator. With some privileged relations L’articolo How the Vatican helped legitimise the autocracy in Azerbaijan proviene da IrpiMedia.

    #Mondo #Armenia #Politica #Religione #Vaticano

  • Les territoires des émeutes
    https://laviedesidees.fr/Les-territoires-des-emeutes

    Le haut niveau de #ségrégation urbaine constitue le meilleur prédicteur des violences. La différence la plus marquante entre 2023 et 2005 est l’entrée en scène des villes petites et moyennes, où les adolescents de cités d’habitat social s’identifient aux jeunes des banlieues de grandes métropoles.

    #Société #jeunesse #banlieue #révolte #urbanisme #gilets_jaunes
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240412_emeutes.pdf

    • Conclusion

      Le retour sur les émeutes de #2005 a permis de mettre en évidence à la fois des continuités et des changements par rapport à celles de #2023. Si de façon générale, les communes les plus défavorisées ont de plus fortes probabilités de connaître des émeutes, c’est surtout la ségrégation des situations sociales les plus précaires et des immigrés dans des quartiers spécifiques (#QPV) qui apparaît comme un élément de contexte crucial. À profil social et urbain équivalent, avoir un QPV augmente de façon très significative la probabilité de connaître des émeutes. De plus, cette #ségrégation_sociale et ethnique s’accompagne d’une forte #ségrégation_scolaire dont nous avons pu mesurer également l’impact : plus elle est importante, plus les émeutes sont intenses et violentes.

      Les quartiers en question sont ceux directement concernés par la #politique_de_la_ville (QPV, #PNRU, #NPNRU) depuis plusieurs décennies. Si des changements sont indiscutables sur le plan de l’amélioration du cadre de vie des habitants et plus particulièrement des #conditions_de_logement, un grand nombre de ces quartiers continuent de concentrer une large part de la jeunesse populaire d’origine immigrée, celle la plus touchée par la #relégation, les #discriminations et les #violences_policières, et donc celle aussi la plus concernée par les émeutes. Si la #mixité_sociale et ethnique s’est sensiblement améliorée dans certains quartiers, d’autres demeurent des espaces de très forte #homogénéité_sociale et ethnique, que l’on retrouve dans les #écoles et les #collèges. Ceux où les interventions de l’#ANRU ont été moins intenses ont même vu le nombre de ménages pauvres augmenter. En Île-de-France, la quasi-totalité des communes qui avaient connu des émeutes en 2005, pourtant concernées par la politique de la ville, en ont connu également en 2023.

      Notre approche socio-territoriale met d’autant plus en évidence les limites d’une analyse au niveau national, que les émeutes de 2023 se sont diffusées dans un plus grand nombre de petites villes et villes moyennes auparavant moins touchées par ces événements. Cette plus grande diversité territoriale est frappante lorsque l’on compare les banlieues des très grandes métropoles, à commencer par les banlieues parisiennes, aux #petites_villes et #villes_moyennes. Le poids du #logement_social, de l’immigration, la suroccupation des logements, le niveau de #pauvreté, mais aussi la façon dont ces dimensions se rattachent aux #familles_monoparentales et nombreuses, renvoient à des réalités différentes. Pourtant, dans tous les cas, la ségrégation joue un rôle déterminant.

      Cette approche contextuelle ne suffit pas à expliquer l’ensemble des mécanismes sociaux à l’œuvre et ce travail devra être complété à la fois par des analyses plus fouillées et qualitatives, ciblées sur les réseaux sociaux, la police et les profils des protagonistes, mais aussi des études de cas renvoyant aux différentes configurations socio-territoriales. Des études qualitatives locales devraient permettre de mieux comprendre comment, dans les différents contextes, les dimensions sociales et ethno-raciales interagissent lors des émeutes. Cela permettrait par exemple de mieux saisir l’importance de la mémoire des émeutes dans les quartiers populaires des banlieues des grandes métropoles, sa transmission et le rôle des réseaux militants et associatifs. Dans le cas des petites villes et des villes moyennes, la comparaison avec le mouvement des Gilets jaunes apporte un éclairage particulièrement intéressant sur l’intersection et la différenciation des formes que peuvent prendre la colère sociale et le ressentiment.

      #émeutes #violence #villes #urban_matter #violences_urbaines #banlieues #ségrégation_urbaine #violences #statistiques #chiffres

  • Potsdamer Garnisonkirche : Selbst für Christen ein Frevel
    https://www.nd-aktuell.de/artikel/1181160.garnisonkirche-potsdamer-garnisonkirche-selbst-fuer-christen-ein-

    L’Allemagne et son église protestante se paient un lieu du culte de la guerre. La Garnisonskirche à Potsdam est le haut lieu des cérémonies militaires et facistes en Prusse.

    On y commémorait le couronnement du Kaiser à Versailles, on y bénit les troupes coloniales qui écrasèrent la révolte des boxers et le 21.3.1933 le président et général Hindenburg y célébra l’ascension de Hitler au poste de chancelier du Reich. La date du Tag von Potsdam marque le début de l’union des royalistes, de la grande bourgeoisie et des nazis. C’est le début effectiv de « l’empire de mille ans » et de la descente vers les enfers de la guerre et des camps d’extermination.

    En choissant le rétablissement de ce lieu symbolique le pouvoir présent anticipe l’avenir allemand. Avec le soutien de nos amis d’outre-mer on accomplira enfin le grand projet que ni Bismarck ni Hitler ont pu réaliser.
    Deutschland, Deutschland über alles .

    2.4.2024 von Karsten Krampitz - Nach knapp sieben Jahren Bauzeit hat der wieder errichtete Turm der umstrittenen Garnisonkirche nun eine Kapelle.

    An diesem Tisch soll 1871 im Spiegelsaal von Versailles der Gottesdienst zur Kaiserproklamation abgehalten worden sein. Der Altartisch der Potsdamer Garnisonkirche, der dort lange Zeit sogar Hauptaltar war und damit das »Zentrum dieser Militärkirche«, so der Leipziger Religionswissenschaftler Horst Junginger, ist einer der wenigen Gegenstände, die den Bombenangriff der Royal Air Force am 14. April 1945 überstanden haben: ein unscheinbares Möbelstück aus Eichenholz, circa 160 Zentimeter lang, vier Beine, wenig verziert. Seit Ostermontag kommt das Kirchenutensil wieder zum Einsatz.

    Bei der Einweihung der »Nagelkreuzkapelle« am vergangenen Montag, begleitet von lautstarken Protesten draußen vor der Tür, hielt Christian Stäblein, Bischof der Evangelischen Kirche Berlin-Brandenburg-schlesische Oberlausitz (EKBO), die Predigt, in der es – wie immer – um Frieden und Versöhnung ging.

    Hunderte protestieren

    »Der Altar der Garnisonkirche Potsdam hat von Anfang an die Abwesenheit Gottes bezeugt, die Abwesenheit Jesu«, sagt Gerd Bauz vom Vorstand der christlichen Martin-Niemöller-Stiftung auf der Gegenveranstaltung zur Kapelleneröffnung. »Der Altar war gerahmt von den römischen Kriegsgottheiten Mars und Bellona, ein in der 2000-jährigen Geschichte der Christenheit einmaliger Frevel.« Wie könne man an einem solchen Tisch noch Gottesdienst feiern wollen?

    Der Wiederaufbau der Potsdamer Garnisonkirche, der auf Turm und Kapelle begrenzt bleibt, sorgt seit Jahren für heftige Kritik. Und das nicht nur wegen einer unfassbaren Steuerverschwendung von über 25 Millionen Euro, so Carsten Linke vom Verein zur Förderung antimilitaristischer Traditionen zu »nd«. Linke nimmt zusammen mit etwa 250 weiteren Personen am Protest gegen die Einweihung der »Nagelkreuzkapelle« vor der Tür teil. Die Garnisonkirche ist vermutlich das einzige Gotteshaus, in dem Hitler eine Rede gehalten hat. Auch ihm ging es am »Tag von Potsdam« um »Versöhnung«. Am 21. März 1933 reichte das alte Preußen dem Dritten Reich die Hand.

    Versöhnung mit Militäraltar

    Heute aber versöhnt sich die evangelische Kirche mit ihrer Geschichte. Versehen mit dem »Nagelkreuz von Coventry«, soll an diesem Altar nur noch Frieden gepredigt werden. An jenem Tisch also, an dem einst Divisionspfarrer Johannes Kessler stand, der beim Aufbruch der Potsdamer Truppen zur Niederschlagung des sogenannten Boxeraufstands in China am 26. Juli 1900 den Soldaten predigte: »Ihr seid die Pioniere des gekreuzigten Heilands! Darum Hand ans Schwert!«

    Auf der Gegenveranstaltung im benachbarten ehemaligen Rechenzentrum, dem Kunst- und Kreativhaus, sorgte eine Nachricht für Aufsehen: eine E-Mail von Paul Oestreicher, dem früheren Leiter des Versöhnungszentrums der Kathedrale von Coventry in England.

    Streit um Nagelkreuz

    Der emeritierte Domkapitular hatte 2004 das Nagelkreuz als Symbol für Frieden und Versöhnung an die evangelische Gemeinde Potsdam übergeben. Der 1931 in Meiningen geborene Sohn eines jüdischen Kinderarztes schreibt: »Wenn dieser Feldaltar tatsächlich der Altar der Kapelle sein soll, dann würde ich, hätte ich dazu die Vollmacht, das Nagelkreuz vom Altar und unter Umständen von der Garnisonkirche überhaupt entfernen.« Überhaupt sei Coventry zur Einweihung gar nicht eingeladen worden. Oestreicher werde sich bei John Witcombe, dem »Dean of Coventry«, dafür einsetzen, dass das Nagelkreuz von diesem Altar entfernt wird.

    Schwarzbuch Garnisonskirche
    https://lernort-garnisonkirche.de/wp-content/uploads/2024/03/Gk_Broschuere_web_2.pdf

    #Allemagne #Potsdam #Garnisonskirche #histoire #Chine #église #religion #nazis #impérialisme #guerre #hybris

  • La marge opérationnelle d’ #Elsevier a atteint les 38 % en 2023 !

    Elsevier, branche « Scientific, Technical & Medical » du groupe #RELX maintenant, a augmenté cette marge de 3 % entre 2022 et 2023 (à monnaie constante)

    https://piaille.fr/@mart1oeil/112212400218066703

    Source :
    RELX, the global provider of information-based analytics and decision tools, reports results for 2023.


    https://www.relx.com/media/press-releases/year-2024/relx-2023-results

    #édition_scientifique #business #recherche #marché #résultats

    Pour donner suite à la discussion sur sci-hub... ping @ericw @freakonometrics @ant1

  • La résurrection du crucifié

    À l’occasion de la fête de Pâques, la fête la plus importante et la plus ancienne du christianisme, qui commémore la Résurrection de Jésus, il est approprié de publier un extrait du livre de Kautsky qui questionne la mythologie chrétienne (p. 390-396).

    D. La résurrection du crucifié
    Il ne manquait pas de Messies à l’époque de Jésus, surtout pas en Galilée, où surgissaient à tout instant des prophètes et des chefs de bandes qui se présentaient comme des rédempteurs et des oints du Seigneur. Or, à partir du moment où un tel homme avait succombé devant la puissance romaine, où il avait été arrêté, crucifié ou tué, alors son rôle de Messie était terminé, il était considéré comme un faux prophète et un faux Messie. Il fallait encore attendre la venue du vrai Messie.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/03/31/la-resurrection-du-crucifie

    #politique #religion

  • São José recebe pastor Cláudio Duarte em palestra sobre felicidade
    https://informa.life/sao-jose-dos-campos-recebe-pastor-claudio-duarte-em-palestra-sobre-felicid

    Conhecido por sua abordagem descontraída e cativante, o Pastor Cláudio Duarte tem conquistado milhares de seguidores ao redor do país com suas histórias reais repletas de sabedoria. Com uma mensagem que vai além do religioso, ele busca provocar reflexões sobre a busca pela felicidade genuína em meio às adversidades da vida cotidiana.

    Pastor que faz mais que pregar o evangelho, mas «vai além». E cobra caro.

    #religião

  • Come il #Vaticano ha contribuito a legittimare l’autocrazia degli Aliyev
    https://irpimedia.irpi.eu/thebakuconnection-vaticano-relazioni-azerbaijan-aliyev

    Le relazioni con Baku sono emblematiche di come la Santa Sede stia cercando di accreditarsi in Oriente come interlocutore per la pace. Con qualche relazione privilegiata L’articolo Come il Vaticano ha contribuito a legittimare l’autocrazia degli Aliyev proviene da IrpiMedia.

    #Mondo #Armenia #Azerbaijan #Politica #Religione

  • « Main invisible du marché », croissance… dernières croyances de l’Occident ?, Stéphane Foucart

    Institution-clé du fonctionnement de nos sociétés, élément central de l’analyse économique, le marché n’est plus seulement, selon le théologien américain, le lieu de la rencontre entre l’offre et la demande, le mécanisme qui forme les prix et distribue la richesse produite dans la société. Il devient une entité transcendante que l’on redoute, dont on étudie les lois et dont on cherche à comprendre et anticiper les humeurs.

    « Autrefois, les prophètes entraient en transe et informaient la populace inquiète de l’humeur des dieux, de l’opportunité d’entreprendre un voyage, de se marier ou de faire la guerre, écrit Harvey Cox. Aujourd’hui, les désirs versatiles du marché sont élucidés par les bulletins quotidiens de Wall Street et des autres organes sensoriels de la finance. Ainsi, nous pouvons savoir au jour le jour si le marché est “inquiet”, “soulagé”, “nerveux” ou parfois “exubérant”. »

    A la fin des années 1990, la mondialisation de l’économie est déjà une réalité, qui se donne notamment à voir à travers ses crises. En juillet 1997, le gouvernement thaïlandais tente de contrer des attaques spéculatives en dévaluant sa monnaie, et enclenche une crise économique qui se propage à tout le Sud-Est asiatique. Le Fonds monétaire international débloque plusieurs dizaines de milliards de dollars en échange de mesures de libéralisation des économies. Les pages économiques des journaux s’emplissent de débats ésotériques sur les déterminants de la croissance, les politiques monétaires et les vertus autorégulatrices du marché. Harvey Cox n’est alors pas le seul théologien à percevoir dans ce dernier le principe central d’une croyance qui irrigue les milieux d’affaires et les élites politiques occidentales. Un de ses pairs, David Loy, alors professeur à l’université Bunkyo de Chigasaki (Japon), publie en 1997 un essai dans le Journal of the American Academy of Religion, l’une des principales revues de la discipline, sobrement intitulé : « La religion du Marché ».
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/03/22/main-invisible-du-marche-croissance-dernieres-croyances-de-l-occident_622359

    On l’on voit, entre autres choses, que la notion de "main invisible du marché", attribuée à Smith, contredit ses écrits.

    https://justpaste.it/errsj

    #économie #marché #religion #religion_du_marché

  • La Terre-Mère contre Dieu le Père
    https://laviedesidees.fr/La-Terre-Mere-contre-Dieu-le-Pere

    Le monde chrétien affiche une indifférence égalitaire à la différence des sexes, mais il est en réalité très inégalitaire avec les #femmes. Dieu le père a remplacé l’imaginaire païen de la terre-mère, qui vante la commune appartenance à Gaïa. À propos de : Émilie Hache, De la génération. Enquête sur sa disparition et son remplacement par la production, Les Empêcheurs de penser en rond

    #Philosophie #religion #féminisme #mythologie #christianisme
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/2020318_vuillerod.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/2020318_vuillerod.pdf

  • AMD FidelityFX Super Resolution v3.0.4 plugin for #unreal_engine 5 available now
    https://gpuopen.com/amd-fsr3-unreal-engine-plugin-v3-0-4

    AMD GPUOpen - Graphics and game developer resources This update to our #AMD_FSR_3 UE5 plugin provides improved UI rendering quality with DX12, improved generation of reactive mask for translucent elements + small bug fixes. #FSR 3 source also updated on GitHub.

    #Release #FSR_3 #NoHeader #Unreal_Engine_5 #Unreal_Engine_plugin

  • Des juives orthodoxes américaines prônent une grève du sexe pour protester contre un refus de guet Jackie Hajdenberg Time of israel

    Ce mouvement de protestation utilise les rites juifs de pureté conjugale comme un moyen de pression en soutien à Malky Berkowitz à qui le mari refuse le divorce depuis 4 ans

    Les partisanes de Malky Berkowitz disent qu’elles lancent une "grève du mikvé" - une forme de protestation qui s’appuie sur les rituels juifs de pureté sexuelle comme moyen de pression pour que le mari de Malky lui accorde le divorce.

    JTA – Pour aider l’une d’entre des leurs à obtenir un divorce religieux de son mari après quatre ans d’efforts, des militantes orthodoxes juives se sont engagées à ne plus avoir de relations sexuelles avec leurs maris et ont intensifié leur campagne publique.


    Les partisanes de Malky Berkowitz, 29 ans, ont entamé ce qu’elles appellent une « grève du mikvé « , une forme de protestation qui utilise les rituels juifs de pureté conjugale comme moyen de pression. La grève commence vendredi soir et pourrait se prolonger.

    Selon la loi juive traditionnelle, les femmes mariées doivent s’immerger dans un mikvé , ou bain rituel, après leurs menstruations, avant de pouvoir avoir des relations sexuelles avec leur mari – ce que beaucoup font le soir même. Certaines autorités affirment que la loi juive, ou halakha , attache une importance particulière au rapport conjugal qui suit l’immersion.

    Pour Adina Sash, qui défend les intérêts des femmes juives dont les maris séparés refusent de divorcer selon la loi rituelle, cela fait des rapports sexuels après le mikvé un moyen de protestation tout à fait indiqué.

    Depuis sept semaines, Sash – une militante féministe orthodoxe de Brooklyn connue sous le nom de Flatbush Girl sur Instagram – dirige une équipe d’activistes, d’avocats et de leaders communautaires qui travaillent tous pour aider Berkowitz à obtenir un « guet »  , ou acte de divorce juif. Le mari de Berkowitz, Volvy, refuse de lui donner le guet nécessaire pour finaliser leur divorce, ce qui en fait ce que l’on appelle une «  agouna »  , ou « femme enchaînée », et selon la loi juive, une femme qui ne peut pas se remarier.

    Sash estime que les femmes orthodoxes devraient normaliser les dispositions légales juives relatives au divorce avant de se marier, afin d’éviter de se voir un jour refuser le divorce, ce qui est généralement considéré comme une forme de maltraitance.

    « Je vous invite à nous rejoindre dans cette grève du mikvé et à ne pas avoir de relations sexuelles les nuits de mikvé ou de mitzvah , les vendredis soirs, jusqu’à ce que Malky soit libre, afin de témoigner de votre compassion pour Malky », a-t-elle déclaré en s’adressant à ses consœurs orthodoxes (la tradition juive encourage les couples mariés à avoir des relations sexuelles le shabbat, connu pour cette raison sous le nom de « nuit de mitzvah  » dans le monde orthodoxe).

    Elle a expliqué que l’objectif était d’encourager les hommes de la communauté à défendre la cause de Berkowitz.

    « Lorsque votre mari vous demandera ‘Pourquoi ?’, répondez ‘Jusqu’à ce que Malky soit libéré, la prochaine aguna  pourrait être moi’. Appelez votre rabbin et trouvez un moyen de contribuer à la libération de Malky », a-t-elle ajouté.

    Cet événement fait écho à la grève du sexe de « Lysistrata », la comédie grecque d’Aristophane dans laquelle les femmes d’Athènes s’abstiennent de coucher avec leurs maris afin de mettre fin à la guerre du Péloponnèse.

    Dans les communautés contemporaines, les grèves du sexe ont également été utilisées avec succès pour provoquer des changements, comme la fin de la guerre civile au Libéria en 2003 grâce à la participation des femmes du pays. Leymah Gdowbee, organisatrice de la grève du sexe au Liberia, a reçu le prix Nobel de la paix pour ses efforts.

    Des femmes orthodoxes auraient organisé des manifestations similaires à petite échelle dans le passé, comme au Canada il y a plusieurs décennies. Mais plus récemment, les protestations au nom des agunot ont pris la forme de manifestations publiques, de pressions sur les rabbins et, de plus en plus, de campagnes sur les réseaux sociaux telles que celles menées par Sash.

    À la question de savoir si Malky Berkowitz avait une opinion sur la grève, Sash a répondu : « Malky n’a rien dit ».

    L’ORA, l’Organisation pour la Résolution des agunot , basée à New York, a été créée en 2002 dans le but précis de faciliter les divorces juifs, et l’organisation propose également des accords prénuptiaux halakhiques qui imposent une pénalité en cas de refus tout en respectant la loi juive. Un représentant de l’ORA n’a pas répondu aux demandes de commentaires de la JTA sur la grève du sexe.

    De nombreux followers de Sash ont exprimé leur approbation de son appel à la grève, qu’elle a officiellement annoncé sur les réseaux sociaux jeudi après-midi.

    « Malky en vaut la peine », a commenté l’une d’entre elles. « Chaque aguna  avant elle en vaut la peine. Chaque femme que nous pouvons aider à éviter de devenir une aguna  en vaut la peine. »

    En réponse à un message contraire, une autre femme a indiqué : « Ce n’est pas une question de punir les femmes ». Et d’ajouter : « Une grève du sexe bien menée ferait réfléchir certains hommes de pouvoir ».

    Mais les détracteurs de la grève – y compris ceux qui conviennent que le problème du refus du guet doit être abordé – disent qu’elle pourrait interférer avec le shalom bayit , ou la paix au foyer, une valeur juive souvent citée, et pourrait perturber des relations par ailleurs saines.

    Le rabbin David Bashevkin, créateur du podcast orthodoxe populaire 18Forty, a déclaré lundi sur X : « On ne guérit pas une relation bancale en créant d’autres relations bancales. L’utilisation de l’intimité comme levier de protestation sociale est peu judicieuse et même carrément dangereuse. Ce qu’il faut, c’est d’avantage de familles saines. D’avantage de relations saines. »

    « Il s’agit d’une question communautaire qui nécessite une coordination et une implication communautaires », a-t-il ajouté.

    Certaines féministes orthodoxes qui ont fait pression au nom des agunot se disent pourtant gênées par l’idée de cette grève. Daphne Lazar Price, directrice exécutive de l’Alliance féministe juive orthodoxe, a déclaré à la JTA qu’elle s’élevait souvent contre la « militarisation de la halakha » et qu’elle considérait la grève du mikvé comme un autre exemple de cette militarisation.

    « Le contrôle coercitif fondé sur la religion est moralement répréhensible et ne devrait jamais être toléré », a-t-elle écrit dans un courriel adressé à la JTA. « Les femmes ne devraient pas avoir besoin de menacer leur mari de ne pas avoir de relations sexuelles pour attirer l’attention des hommes – ni pour convaincre les hommes de se conduire comme des alliés des femmes et du système halakhique qu’ils prétendent tant chérir. L’utilisation du sexe comme forme de coercition est également très problématique ».

    Elle suggère par ailleurs que la grève pourrait créer une opportunité pour les autorités juridiques juives de se souvenir des autres tactiques dont elles disposent pour faire pression sur les hommes qui refusent de divorcer de leur femme – et notamment celle « d’interdire aux maris récalcitrants l’accès à toutes les institutions et entreprises religieuses et communautaires juives, ainsi qu’aux domiciles privés, jusqu’à ce qu’il donne un guet« .

    Sash a attribué les réactions négatives à la grève à un double standard « misogyne » entre le refus d’une demande de divorce et le refus d’une relation sexuelle.

    « S’ils refusent de donner le guet, alors nous refuserons d’avoir des relations sexuelles », a déclaré Sash.

    « Ils nous disent : ‘Comment pouvez-vous refuser le sexe ? Vous transformez votre corps en instrument de guerre ! Comment pouvez-vous refuser le sexe ? Vous transformez l’intimité en instrument de guerre’. Mais la véritable question est ‘comment pouvez-vous refuser le divorce ?’ Vous transformez la procédure de divorce en instrument de guerre. Vous maintenez une femme dans l’incertitude ».

    Malky et Volvy Berkowitz se sont mariés en 2016. Lors de leur mariage, Malky portait un dek tichel , ou voile de mariée opaque, qu’elle a décrit dans un texte partagé avec la JTA comme un « bandeau ».

    « A part les moments où Volvy m’a donné une bague kdishen [sic] et m’a mise enceinte deux fois, nous n’avons jamais eu aucune connexion », a-t-elle écrit. « Au revoir Volvy, je ne t’ai jamais connu et je ne te connaîtrai jamais. »

    #israel #divorce #femmes #religions #rituels #maltraitance #Lysistrata #mikvé #pureté_sexuelle #menstruations #rapport_conjugal #femmes_enchaînées #eau #contrôle_coercitif

    Source : https://fr.timesofisrael.com/des-orthodoxes-americaines-pronent-une-greve-du-sexe-pour-proteste

  • Le conseil municipal d’Étrépigny (Ardennes) refuse d’honorer la mémoire de sa plus célèbre personnalité historique !
    Mondialement connu et reconnu comme le premier penseur de l’athéisme, Jean MESLIER (1664- 1729, curé d’Étrépigny de 1689 à sa mort) est la célébrité historique du village d’Étrépigny.

    L’association des Amis de Jean Meslier, dont le siège est à la mairie du village, avait le projet d’ériger une stèle en son honneur, qu’elle prendrait entièrement en charge du point de vue matériel et financier.

    Le 16 février 2024, le Conseil municipal d’Étrépigny en a cependant étonnamment rejeté l’idée.

    Après avoir été « aux abonnés absents », sans même s’excuser, lors de la réunion d’information qui avait été organisée avec le concours de la mairie pour les Sterpiniens le 20 octobre 2023, les conseillers municipaux ont refusé par 6 voix contre et 2 voix pour.

    L’association des Amis de Jean Meslier constate et déplore :

    – Que rien n’a changé depuis Louis XIV et Louis XV : Jean Meslier, qui était un homme de bien et avait passé sa vie à aider ses paroissiens, est toujours persona non grata pour les autorités de son village ; 


    – Que Jean Meslier, dans le village même où il a vécu il y a 3 siècles, est toujours contraint de rester dans l’ombre, comme si la Révolution française, qu’il annonçait pourtant, ne s’était jamais produite ; 


    – Que, alors même qu’il est un penseur hors pair, dont l’œuvre est maintenant traduite dans plusieurs langues et de plus en plus étudiée, une majorité de conseillers municipaux le considère toujours comme un banni ; 


    – Qu’une majorité de conseillers municipaux refusent d’honorer leur village, car le projet d’érection de cette stèle s’inscrivait dans un projet plus large de balisage du chemin du curé Meslier qui le relie à Balaives avec des plaques informatives sur l’histoire locale ;

    – Que ce refus n’est nullement motivé, la majorité des conseillers municipaux se contentant, sans même daigner le justifier, de marquer leur refus d’une œuvre de mémoire qui valoriserait leur village ; 


    – Que le projet de stèle à Étrépigny aurait été le seul monument qui aurait honoré sa mémoire depuis que (excusez du peu !) Poutine lui-même ait ordonné en 2013 la démolition du seul monument où figurait, avec une vingtaine d’autres, le nom de Meslier (l’obélisque de Moscou aux précurseurs du socialisme) ; 


    – Que le conseil municipal d’Étrépigny confirme pour Jean Meslier la maxime « Nul n’est prophète en son pays », sauf que Meslier n’était pas un prophète mais un penseur et un philosophe précurseur des Lumières. 


    En conséquence, l’association des Amis de Jean Meslier décide d’informer le plus largement possible l’opinion publique sur cet acte particulièrement décevant et qui démontre la méconnaissance de l’importance de Meslier par le Conseil municipal du village où il a vécu.

    Communiqué de presse - 6 mars 2024 Association des Amis de Jean Meslier

    #Laïcité #religion #Étrépigny #Jean_Meslier #Ardennes #Histoire

    Source : http://federations.fnlp.fr/spip.php?article2291

  • Décoloniser le changement climatique

    Les destructions des écosystèmes se sont accélérées et ont exacerbé les #relations_de_dominations entre Nord et Sud globaux. L’#environnementalisme_occidental, par son exclusion d’une partie des peuples de la Terre, a échoué à proposer des outils théoriques, pratiques et politiques pour véritablement confronter la #crise_écologique globale et construire un monde plus juste. En partant des expériences des #peuples_autochtones et subalternes du Sud et Nord, et des territoires anciennement colonisés y compris des « #Outre-mer », Plurivers offre une approche plurielle des pensées de l’#écologie allant au-delà de la #modernité occidentale. Internationale, interdisciplinaire et plurilingue, cette revue permet de penser les possibilités d’action selon notre position sociale et géographique ; elle dessine différents possibles afin de #faire-monde en commun à l’heure où les conditions d’#habitabilité de la Terre sont en péril.

    https://www.editionsducommun.org/products/plurivers-1-fevrier-2024

    #changement_climatique #climat #revue #décolonial

  • Le monde selon Elon Musk
    https://www.arte.tv/fr/videos/117797-000-A/le-monde-selon-elon-musk

    Doucumentaire disponible du 27/02/2024 au 26/05/2024 - le contenu de la vidéo correspond à un texte qui se lit en dix minutes. On y apprend surtout une chose : X/Twitter n’est pas le dada d’un milliardaire excentrique mais la clé de voûte d’un empire dont le seigneur correspond assez à l’entrepreneur-surhomme d’Ayn Rand dans Atlas Shrugged . C’est assez flippant que ces énergumènes soient à la tête de puissantes organisations.

    Twitteur compulsif, Elon Musk s’est offert en 2022 son réseau social préféré, et l’a brutalement façonné selon ses désirs. Cette enquête punchy relate les relations orageuses entre la plate-forme et le milliardaire, et leurs incidences sur le débat public.

    « Certains s’expriment à travers leurs cheveux, moi je me sers de Twitter. » En 2010, l’entrepreneur Elon Musk a rejoint la « conversation mondiale » et s’est vite fait remarquer par ses tweets potaches ou absurdes. Cette notoriété a rejailli sur ses activités industrielles, axées notamment sur la conquête spatiale et les voitures électriques, contribuant à réduire les dépenses marketing de son empire. Mais les relations entre le magnat d’origine sud-africaine et Twitter ont connu des hauts et des bas. Elon Musk, influencé par ses aspirations libertariennes, a souvent vitupéré contre sur ce qu’il considérait comme des atteintes à la liberté d’expression, quand l’équipe dirigeante de Twitter, longtemps accusée de laxisme face aux propos haineux et aux fake news, tentait, elle, de redresser la barre. Il a par exemple volé au secours de Donald Trump en janvier 2021, lorsque le compte Twitter de ce dernier a été supprimé après l’assaut du Capitole. Pour modeler son réseau social favori à sa guise, Elon Musk a fini par se l’offrir en octobre 2022, après une bataille juridique mémorable. Depuis, Twitter, rebaptisé X en 2023, a licencié des milliers de salariés, notamment des modérateurs de contenu, et ouvert les vannes du complotisme et de l’incitation à la haine.

    Choc des cultures
    Selon la recette éprouvée qui fait la force des documentaires d’actualité Frontline, ce film de James Jacoby entremêle témoignages clés et archives récentes. Il nous replonge jour après jour dans un haletant feuilleton qui a mal fini : la reprise en main de Twitter et une « conversation mondiale » qui vire à la polarisation et à la virulence. Plusieurs ex-salariés de la plate-forme livrent d’éclairants témoignages sur l’avant et l’après-Elon Musk, racontant le choc des cultures entre monde industriel et pépite de la tech, les licenciements brutaux et même un inquiétant déchaînement de haine, complaisamment relayé par le réseau social, à l’encontre de l’un d’entre eux, Yoel Roth, en charge du département de la confiance et de la sécurité de la plate-forme au moment du rachat. Retraçant une décennie de relations orageuses entre Twitter et l’impulsif milliardaire, et le débat sur la liberté d’expression et la désinformation qu’elles ont alimenté, cette enquête à l’efficacité anglo-saxonne montre comment la démocratie a perdu quelques plumes dans l’aventure.

    Réalisation : James Jacoby

    Pays : Etats-Unis

    Année : 2023
    Durée : 91 min

    Disponible du 27/02/2024 au 26/05/2024

    Genre : Documentaires et reportages

    #impérialisme #propagande #relatiins_publiques #manipulation #réseaux_sociaux #économie #idéologie #culte_de_la_personne #monopoles #film #documentaire #TV

  • RTS  : La « conduite inappropriée » de certains soldats israéliens à Gaza dénoncée

    En Israël, l’avocate générale des armées met en garde contre des comportements inacceptables de la part de certains soldats à Gaza. En effet, plusieurs d’entre eux ont affiché leurs faits d’armes sur les réseaux sociaux, notamment des actes de #vengeance.

    Dans une lettre envoyée au bureau du procureur militaire, l’avocate générale des armées fait état de « conduites inappropriées qui s’écartent des valeurs de l’armée israélienne » : des recours à la force injustifié, des #pillages, des #destructions de biens civils…

    Moqueurs, sans-gêne, destructeurs...
    Plusieurs publications de vidéos prises en territoire palestinien par des soldats israéliens ont été dénoncés. Par exemple, sur l’une d’elles, un soldat assis sur une chaise sort d’un sac posé devant lui des maillots de football de grands clubs européens.

    Sur d’autres images, un militaire montre un pendentif qu’il compte, dit-il, ramener à sa petite amie. Tandis qu’un autre joue avec une guitare trouvée dans les décombres et que d’autres forcent un petit coffre-fort.

    Dans une autre vidéo, tournée dans une papeterie du camp de réfugié de Jabaliya, au nord de la bande de Gaza, un militaire renverse un présentoir encore rempli de crayons et d’autocollants. Il jette les cahiers qui se trouvent sur les étagères de cette petite boutique alors que son camarade le filme en riant.

    Des images de soldats qui mettent le feu à des cartons de nourriture et à des packs d’eau trouvés à l’arrière d’un camion dans un entrepôt ont aussi été diffusées. Le militaire qui filme retourne la caméra vers lui et conclut tout sourire par souhaiter à tous de bonnes vacances et de joyeuses fêtes de #hanouka.

    Un préjudice stratégique
    Selon l’avocate générale de l’armée israélienne, de tels actes causent à l’Etat d’israël et à l’armée un préjudice stratégique sur la scène internationale. Certains incidents dépassent le seuil disciplinaire et franchissent le seuil pénal, poursuit Yifat Tomer Yérushalmi.

    Ces actes entachent l’image des forces de défenses israéliennes qui se sont longtemps targuées d’être l’armée la plus morale au monde.

    Dans une lettre envoyée tout récemment à ses troupes, le chef d’état-major de l’armée, Herzi Halevi, rappelle notamment aux soldats qu’il ne faut rien prendre qui ne leur appartient pas et qu’il ne faut pas filmer de vidéos de vengeance.

    Sujet radio : Charlotte Derouin
    Adaptation web : juma
    Publié vendredi à 09:57 Modifié vendredi à 09:58

    Source : https://www.rts.ch/info/dossiers/2023/guerre-entre-israel-et-le-hamas/2024/article/la-conduite-inappropriee-de-certains-soldats-israeliens-a-gaza-denoncee-28413706

    #vols #destruction #moralité #armée #militaires #exactions #soldats #violence #butin #racisme #religion

  • #Resettlement of refugees : EU framework

    On 13 July 2016, as part of the reform of the common European asylum system and the long-term policy on better migration management, the European Commission presented a proposal to provide for a permanent framework with standard common procedures for resettlement across the EU, to complement current national and multilateral resettlement initiatives. Resettlement is a tool to help displaced persons in need of protection reach Europe safely and legally, and receive protection for as long as necessary. It is a durable solution that includes selection and transfer of refugees from a country where they seek protection to another country. In addition to providing refugees with international protection, its aim is to strengthen solidarity and responsibility-sharing between countries. For a resettlement to take place, the United Nations Refugee Agency has to determine an applicant is a refugee according to the 1951 Geneva Convention, and has to identify resettlement as the most appropriate solution. Although the European Parliament and the Council reached a partial provisional agreement on the proposal in summer 2018, the Council was unable to endorse it, nor could it agree on a mandate for further negotiations. The co-legislators finally reached an agreement on 15 December 2022. On 8 February 2024, Coreper approved the provisional agreement, which will now have to be formally adopted by both institutions before it can enter into force. Fifth edition. The ’EU Legislation in Progress’ briefings are updated at key stages throughout the legislative procedure.

    https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2016)589859
    #asile #migrations #réfugiés #EU #UE #Europe #relocalisation #2024

  • Au Maroc, le renouveau d’un christianisme aux accents subsahariens
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/18/au-maroc-le-renouveau-d-un-christianisme-aux-accents-subsahariens_6217160_32

    Au Maroc, le renouveau d’un christianisme aux accents subsahariens
    Par Frédéric Bobin (Casablanca, Rabat Envoyé spécial)
    Yeux clos, mains jointes, corps se balançant au rythme des suppliques du chœur – « Dieu, ne nous laisse pas tomber ! » –, le cénacle de fidèles est plongé dans une intense émotion. Ici et là, un doigt essuie une larme. Ce dimanche 28 janvier, l’Assemblée des missionnaires de Jésus-Christ célèbre son culte hebdomadaire dans un appartement situé en sous-sol d’un immeuble de Riad El-Oulfa, un quartier populaire de Casablanca. (...) L’Eglise du pasteur Silas, à Casablanca, n’est que l’une des manifestations d’un phénomène bien plus large au Maroc, celui des « Eglises de maison » (car nées dans des appartements privés) d’obédience néopentecôtiste ou charismatique, issue du protestantisme africain. Leur essor depuis les années 2000, nourri par les flux migratoires en provenance d’Afrique subsaharienne, a revitalisé le christianisme au Maghreb. Alors que l’Europe s’efforce de verrouiller ses frontières, la rive méridionale de la Méditerranée abrite des communautés migrantes s’étoffant au fur et à mesure qu’est entravé leur exode vers le nord. De couloirs de transit, ces pays se transforment à leur insu en espaces de sédentarisation propices à un réveil du christianisme, puisque ces voyageurs bloqués sont souvent catholiques ou protestants.
    Qu’un tel retour de la foi chrétienne en terre d’islam s’opère, venant du Sud africain et non du Nord européen désamorce, certes, l’inquiétude, qui affleure parfois dans certains milieux musulmans, d’une nouvelle « colonisation religieuse ». Il n’en a pas moins des conséquences sociétales, parfois délicates à gérer. Le Maroc a, jusque-là, plutôt bien manœuvré, si on le compare aux autres pays maghrébins, comme la Tunisie, marquée, en 2023, par un déchaînement de violences contre les migrants subsahariens. La dimension religieuse était sous-jacente dans cet accès de xénophobie et transparaissait dans la diatribe du président Kaïs Saïed dénonçant des « hordes de migrants clandestins » au service d’un « complot » visant à éloigner la Tunisie de ses « racines arabo-islamiques ».Au Maroc, la très officielle politique d’ouverture vers le sud du continent – marquée par l’accueil de milliers d’étudiants africains boursiers à partir des années 1980 – a limité le développement de telles théories conspirationnistes. Le phénomène est en tout cas spectaculaire. « Le Maroc a connu une redynamisation inattendue par les migrations africaines d’un christianisme qui s’éteignait lentement depuis l’indépendance [de 1956] », écrivent les anthropologues Sophie Bava (Institut de recherche sur le développement), et Bernard Coyault dans l’ouvrage de référence sur le sujet, Dieu va ouvrir la mer. Christianismes africains au Maroc (Kulte Editions, 2022, Rabat) codirigé avec le photographe franco-marocain Malik Nejmi.
    Le spectacle d’églises et de temples revivifiés dans les principales villes du Maroc, emplis de fidèles et résonnant de cantiques, tranche avec l’état de décrépitude qui caractérisait la scène chrétienne locale jusqu’à la fin des années 1980. A ce sujet, le pasteur Samuel Amedro, président, entre 2010 et 2015, de l’Eglise évangélique au Maroc (EEAM, principale institution protestante dans le royaume, issue de l’Eglise réformée de France), aime à raconter une anecdote : « En 1986, l’Eglise réformée de France envoya une mission d’audit au Maroc. Elle constata qu’il n’y avait presque plus de protestants dans le pays. Née dans le sillage des garnisons du protectorat français, l’Eglise protestante au Maroc paraissait vouée à une disparition inexorable après l’indépendance du pays et le départ des Français. L’afflux des étudiants et des migrants africains aura inversé la tendance. (...)
    Cette « africanisation » des Eglises, si elle a mis fin au déclin du christianisme au Maroc, n’est pas allée sans turbulences internes. Les tensions les plus vives ont été observées au sein de la mouvance protestante. La nouvelle génération de fidèles, imprégnée d’un pentecôtisme africain à la spiritualité ostentatoire (prières à voix haute, longueur des chants, expressions extatiques, etc.), s’est vite sentie à l’étroit dans une « Eglise de Blancs » aux pratiques « classiques ». A ces divergences cultuelles se sont ajoutées des crispations hiérarchiques. « Il était parfois difficile d’appliquer des décisions de synodes auprès de paroisses locales soucieuses de leur autonomie », rapporte Karen Smith, actuelle présidente de l’EEAM. Dans les années 2000, dissidences et scissions ont placé l’Eglise protestante au bord de l’implosion. Elle a fini par trouver un équilibre qui demeure précaire. Si l’Eglise catholique a moins tangué, la cohabitation entre ses différentes composantes n’a rien d’évident. A Rabat comme à Casablanca, les Européens fréquentent peu les cathédrales du centre-ville, où se concentrent les Africains, leur préférant les églises de leurs quartiers résidentiels. Mais c’est bel et bien l’irruption multiforme des « Eglises de maison » – galaxie néopentecôtiste et charismatique informelle, la plus ancrée parmi les migrants – qui a posé le principal défi aux Eglises dites « officielles ».
    Le milieu est fluide, mouvant, mais il prospère sur un terreau fertile, celui d’attentes spirituelles de communautés en souffrance, auxquelles des « entrepreneurs religieux » charismatiques offrent une espérance. Ces nouveaux guides sont parfois connectés aux très influentes « Eglises du réveil » d’Afrique centrale, notamment celles de la République démocratique du Congo (RDC), dotées de ramifications transnationales. Le dynamisme de ces « Eglises de maison » cache mal toutefois une grande fragilité. Dépourvues de statut légal – elles ne sont pas intégrées dans l’EEAM –, elles sont potentiellement ciblées par les autorités marocaines, soucieuses de garder sous contrôle le champ religieux du pays.
    Références bibliques
    Les références bibliques dans leur exil : là est la clé de la cristallisation d’une nouvelle « théologie de la migration », selon la formule de Sophie Bava. « Dans la théologie de la migration, il y a toute cette mise en récit des événements de la Bible comme si chaque personnage allait devenir un des acteurs des premiers temps du christianisme », relève la chercheuse. La traversée du désert, la sortie d’Egypte, la mer Rouge s’ouvrant vers la Terre promise : la Bible ne manque pas d’épisodes résonnant avec l’odyssée des migrants contemporains.Selon les circonstances sera mobilisée la figure de Moïse (livre de l’Exode) guidant à travers la mer miraculeusement ouverte son peuple traqué par le « mauvais » pharaon, ou celle de Joseph (livre de la Genèse) élevé aux plus hautes fonctions royales par un « bon » pharaon. « L’habitus [le comportement, les rituels] des “Eglises de maison” ainsi que les productions religieuses qu’elles génèrent se construisent à travers un processus d’encodage de l’expérience migratoire dans l’univers biblique », décrypte Bernard Coyault, par ailleurs directeur du Centre d’études afro-européennes et des sciences des religions, rattaché à la Faculté universitaire de théologie protestante de Bruxelles.

    Face à ce foisonnement du paysage chrétien au Maroc, les Eglises « officielles » protestante et catholique s’inquiètent d’un emballement incontrôlable – en particulier le risque d’un repli identitaire et fondamentaliste. Elles ont donc décidé d’agir de concert pour poser un cadre minimal. Ainsi a été fondé, en 2012, à Rabat, l’Institut Al-Mowafaqa (« l’accord »), un centre de formation théologique chrétien. L’initiative, soutenue par les autorités, est unique en pays musulman. Elle prépare à une licence de théologie en liaison avec l’Institut catholique de Paris et la Faculté de théologie protestante de l’université de Strasbourg. Ainsi se forme sur le territoire marocain une partie du personnel religieux destiné à encadrer une demande en plein essor. « Jusqu’alors, on courait les paroisses sans disposer des prêtres et des pasteurs nécessaires, et sans pouvoir les faire venir de l’extérieur », se souvient le père Daniel Nourissat, curé de la cathédrale de Rabat. (...) D’un autre côté, les autorités marocaines projettent l’image d’une diplomatie religieuse active, notamment vis-à-vis du continent africain. En décidant de régulariser, entre 2013 et 2018, la situation de plus de cinquante mille migrants, Rabat a, en outre, arraché de facto nombre d’adeptes de la clandestinité des « Eglises de maison », où ils se terraient jusque-là pour échapper à de régulières rafles policières. L’idée d’une telle remise à plat avait germé au sein du Conseil national des droits de l’homme, un organisme officiel dont le président Driss El-Yazami (2011-2018), ancien exilé politique en France revenu au Maroc, s’était ému du spectacle de ces lieux de culte de l’ombre. « Je me rappelle qu’en France, dans les années 1970, les musulmans devaient se cacher pour prier, avait déclaré M. El-Yazami, en 2014. Je ne veux pas que des chrétiens vivent cela au Maroc. »

    Les deux vagues de régularisations des années 2010 ont permis d’apaiser les relations entre « Eglises de maison » et autorités marocaines, jusqu’alors empreintes d’une vive défiance. L’époque est révolue où les fidèles se rendaient au culte discrètement, deux par deux, ou chantaient à voix basse – consignes de prudence destinées à ne pas attirer l’attention de voisins marocains soupçonneux et parfois prompts à appeler la police. « Nous sommes désormais tolérés, mais nous ne sommes toujours pas légaux », regrette Jean-Jumel Massembila Lande, pasteur originaire de la République démocratique du Congo.
    Car les régularisations passées n’ont pas mis fin à la précarité de nombre de migrants, tenus de renouveler leurs permis de résidence annuels dans des conditions administratives souvent kafkaïennes. Elles n’ont pas non plus réglé la question du statut des « Eglises de maison », faute d’affiliation à l’EEAM, laquelle reste délicate en raison de divergences cultuelles persistantes. (...) Après des années de tâtonnements parfois conflictuels s’est ainsi forgé un compromis chrétien au Maroc – « un deal très subtil », souligne un familier du dossier. Le royaume y a conforté sa réputation d’Etat « ouvert » et respectueux de la « liberté de culte », un des atouts de son soft power à l’étranger, en Europe comme en Afrique. Quant aux Eglises officielles, elles ont gagné en tranquillité, après avoir présenté les garanties requises pour parer à tout procès en prosélytisme.Cette relative pacification dans le champ institutionnel laisse toutefois un goût d’inachevé. Elle maintient à la marge les « Eglises de maison », certes intégrées dans des formations à l’Institut Al-Mowafaqa, mais toujours dépourvues de statut. Elle relègue surtout dans l’oubli la question des Marocains convertis au christianisme, une communauté évaluée entre deux mille et six mille personnes, dont les représentants se plaignent de persécutions de la part des autorités.Sur ce point, le Maroc n’a pas évolué. Si sa Constitution reconnaît la liberté de culte, elle méconnaît toujours la liberté de conscience, la tentative d’introduire ce concept ayant échoué lors de la révision de la Loi fondamentale de 2011. La nuance nie toute légitimité aux conversions de Marocains à une autre religion que l’islam et limite du même coup la portée de la « tolérance religieuse » dont le royaume se prévaut officiellement.

    #Covid-19#migrant#migration#maroc#afrique#religion#christianisme#routemigratoire#sante

  • " ; ; ; « Pièges #malsains », « systèmes #mafieux », tournages extrêmes… le #porno, c’était pas (toujours) mieux avant... (...)" #marianne

    Vous prétendez parler du porno qu’était pas mieux avant, tout en mettant en avant le #glamour #porn, façon #Dorcel, #Putes et #Chateaux, #Relais et #Partouzes, vous n’êtes pas vraiment des gens sérieux. Vous surfez

    Prochnmt, #Natacha_Polony, #par_devant, #par_derrière

     :-D :-D :-D

    « ... #glamour des années 1990.... » SANS BLAGUE ? Vous vivez sur quelle planète, #Marianne ?

    https://www.marianne.net/societe/pieges-malsains-systemes-mafieux-tournages-extremes-le-porno-c-etait-pas-t

  • Time of Israel  : 2 Juifs arrêtés suspectés d’avoir craché sur un ecclésiastique chrétien à Jérusalem

    Ramallah et le ministre des Affaires étrangères, Israël Katz, ont condamné les crachats et insultes proférées à l’encontre de l’abbé Nikodemus Schnabel

    Deux Israéliens juifs, soupçonnés d’avoir insulté et craché sur un ecclésiastique chrétien dans la Vieille Ville de Jérusalem, ont été arrêtés, a indiqué dimanche la police dans un communiqué.


    Selon la police, l’incident s’est produit samedi. Les deux suspects ont été retrouvés et interpellés – dont un mineur âgé de 17 ans. Les deux hommes ont été assignés à résidence pendant que l’enquête se poursuit, a déclaré la police, qui a signalé qu’elle ne tolérerait pas ce genre d’incidents.

    Le ministère des Affaires étrangères palestinien a condamné l’incident, pointant du doigt certains ultra-nationalistes israéliens.

    Dans un communiqué, Ramallah a imputé l’incident à « l’incitation à la haine » des ministres israéliens d’extrême-droite Itamar Ben Gvir et Bezalel Smotrich et l’a qualifié d’expression d’une « culture coloniale raciste » qui « nie l’existence de l’autre ».

    La déclaration affirme en outre que les « milices de colons [résidents d’implantations] » se sentent enhardies par un « sentiment d’impunité politique et juridique » qui les encourage à persister à « semer la haine » et à « provoquer les citoyens palestiniens et les membres d’autres religions ».

    La police avait arrêté https://fr.timesofisrael.com/cinq-personnes-arretees-pour-avoir-crache-sur-des-chretiens-a-jeru début octobre cinq Juifs orthodoxes soupçonnés d’avoir craché sur des fidèles chrétiens dans la Vieille Ville de Jérusalem, dans un contexte de multiplication des incidents visant les prêtres et les pèlerins dans la capitale.

    Le ministre de la Sécurité nationale Ben Gvir , s’était alors exprimé lors d’une interview accordée à la radio de l’armée. « Je continue de penser que cracher sur des chrétiens n’est pas un acte criminel. Je pense que nous devons agir par l’instruction et l’éducation. Tout ne justifie pas une arrestation. »

    Avant d’entrer en politique, Ben Gvir avait justifié par le passé les crachats à l’encontre des chrétiens en les qualifiant « d’ancienne coutume juive ».
    . . . . . . .

    Source et suite : https://fr.timesofisrael.com/2-juifs-arretes-suspectes-davoir-crache-sur-un-ecclesiastique-chre

    #Israel #Jérusalem #violence #religieux #religions #racisme #colons

  • “Religion says DO, Jesus says DONE”? – La Vista Church of Christ
    https://www.lavistachurchofchrist.org/cms/religion-says-do-jesus-says-done

    People come up with the strangest viewpoints and don’t realize how unbiblical those ideas are. I keep passing a sign that says the above but offers no scripture reference. Because the Bible is the final authority, I would suggest that both Jesus and His religion say, “Do the will of the Father” (Matthew 7:21f) but false religion says you don’t have to do anything. Besides, the Bible encourages “pure religion” (James 1:27) that Jesus says for us to do. False religion says “It is all done, and there is nothing for you to do.”

    “Not everyone who says to Me, ’Lord, Lord,’ shall enter the kingdom of heaven, but he who does the will of My Father in heaven. Many will say to Me in that day, ’Lord, Lord, have we not prophesied in Your name, cast out demons in Your name, and done many wonders in Your name?’ And then I will declare to them, ’I never knew you; depart from Me, you who practice lawlessness!’” (Matthew 7:21-23 NKJV).

    Jesus says, do!

    #religion #obedience

  • L’#Europe et la fabrique de l’étranger

    Les discours sur l’ « #européanité » illustrent la prégnance d’une conception identitaire de la construction de l’Union, de ses #frontières, et de ceux qu’elle entend assimiler ou, au contraire, exclure au nom de la protection de ses #valeurs particulières.

    Longtemps absente de la vie démocratique de l’#Union_européenne (#UE), la question identitaire s’y est durablement installée depuis les années 2000. Si la volonté d’affirmer officiellement ce que « nous, Européens » sommes authentiquement n’est pas nouvelle, elle concernait jusqu’alors surtout – à l’instar de la Déclaration sur l’identité européenne de 1973 – les relations extérieures et la place de la « Communauté européenne » au sein du système international. À présent, elle renvoie à une quête d’« Européanité » (« Europeanness »), c’est-à-dire la recherche et la manifestation des #trait_identitaires (héritages, valeurs, mœurs, etc.) tenus, à tort ou à raison, pour caractéristiques de ce que signifie être « Européens ». Cette quête est largement tournée vers l’intérieur : elle concerne le rapport de « nous, Européens » à « nous-mêmes » ainsi que le rapport de « nous » aux « autres », ces étrangers et étrangères qui viennent et s’installent « chez nous ».

    C’est sous cet aspect identitaire qu’est le plus fréquemment et vivement discuté ce que l’on nomme la « #crise_des_réfugiés » et la « #crise_migratoire »

    L’enjeu qui ferait de l’#accueil des exilés et de l’#intégration des migrants une « #crise » concerne, en effet, l’attitude que les Européens devraient adopter à l’égard de celles et ceux qui leur sont « #étrangers » à double titre : en tant qu’individus ne disposant pas de la #citoyenneté de l’Union, mais également en tant que personnes vues comme les dépositaires d’une #altérité_identitaire les situant à l’extérieur du « #nous » – au moins à leur arrivée.

    D’un point de vue politique, le traitement que l’Union européenne réserve aux étrangères et étrangers se donne à voir dans le vaste ensemble de #discours, #décisions et #dispositifs régissant l’#accès_au_territoire, l’accueil et le #séjour de ces derniers, en particulier les accords communautaires et agences européennes dévolus à « une gestion efficace des flux migratoires » ainsi que les #politiques_publiques en matière d’immigration, d’intégration et de #naturalisation qui restent du ressort de ses États membres.

    Fortement guidées par des considérations identitaires dont la logique est de différencier entre « nous » et « eux », de telles politiques soulèvent une interrogation sur leurs dynamiques d’exclusion des « #autres » ; cependant, elles sont aussi à examiner au regard de l’#homogénéisation induite, en retour, sur le « nous ». C’est ce double questionnement que je propose de mener ici.

    En quête d’« Européanité » : affirmer la frontière entre « nous » et « eux »

    La question de savoir s’il est souhaitable et nécessaire que les contours de l’UE en tant que #communauté_politique soient tracés suivant des #lignes_identitaires donne lieu à une opposition philosophique très tranchée entre les partisans d’une défense sans faille de « l’#identité_européenne » et ceux qui plaident, à l’inverse, pour une « #indéfinition » résolue de l’Europe. Loin d’être purement théorique, cette opposition se rejoue sur le plan politique, sous une forme tout aussi dichotomique, dans le débat sur le traitement des étrangers.

    Les enjeux pratiques soulevés par la volonté de définir et sécuriser « notre » commune « Européanité » ont été au cœur de la controverse publique qu’a suscitée, en septembre 2019, l’annonce faite par #Ursula_von_der_Leyen de la nomination d’un commissaire à la « #Protection_du_mode_de_vie_européen », mission requalifiée – face aux critiques – en « #Promotion_de_notre_mode_de_vie_européen ». Dans ce portefeuille, on trouve plusieurs finalités d’action publique dont l’association même n’a pas manqué de soulever de vives inquiétudes, en dépit de la requalification opérée : à l’affirmation publique d’un « #mode_de_vie » spécifiquement « nôtre », lui-même corrélé à la défense de « l’#État_de_droit », « de l’#égalité, de la #tolérance et de la #justice_sociale », se trouvent conjoints la gestion de « #frontières_solides », de l’asile et la migration ainsi que la #sécurité, le tout placé sous l’objectif explicite de « protéger nos citoyens et nos valeurs ».

    Politiquement, cette « priorité » pour la période 2019-2024 s’inscrit dans la droite ligne des appels déjà anciens à doter l’Union d’un « supplément d’âme
     » ou à lui « donner sa chair » pour qu’elle advienne enfin en tant que « #communauté_de_valeurs ». De tels appels à un surcroît de substance spirituelle et morale à l’appui d’un projet européen qui se devrait d’être à la fois « politique et culturel » visaient et visent encore à répondre à certains problèmes pendants de la construction européenne, depuis le déficit de #légitimité_démocratique de l’UE, si discuté lors de la séquence constitutionnelle de 2005, jusqu’au défaut de stabilité culminant dans la crainte d’une désintégration européenne, rendue tangible en 2020 par le Brexit.

    Précisément, c’est de la #crise_existentielle de l’Europe que s’autorisent les positions intellectuelles qui, poussant la quête d’« Européanité » bien au-delà des objectifs politiques évoqués ci-dessus, la déclinent dans un registre résolument civilisationnel et défensif. Le geste philosophique consiste, en l’espèce, à appliquer à l’UE une approche « communautarienne », c’est-à-dire à faire entièrement reposer l’UE, comme ensemble de règles, de normes et d’institutions juridiques et politiques, sur une « #communauté_morale » façonnée par des visions du bien et du monde spécifiques à un groupe culturel. Une fois complétée par une rhétorique de « l’#enracinement » desdites « #valeurs_européennes » dans un patrimoine historique (et religieux) particulier, la promotion de « notre mode de vie européen » peut dès lors être orientée vers l’éloge de ce qui « nous » singularise à l’égard d’« autres », de « ces mérites qui nous distinguent » et que nous devons être fiers d’avoir diffusés au monde entier.

    À travers l’affirmation de « notre » commune « Européanité », ce n’est pas seulement la reconnaissance de « l’#exception_européenne » qui est recherchée ; à suivre celles et ceux qui portent cette entreprise, le but n’est autre que la survie. Selon #Chantal_Delsol, « il en va de l’existence même de l’Europe qui, si elle n’ose pas s’identifier ni nommer ses caractères, finit par se diluer dans le rien. » Par cette #identification européenne, des frontières sont tracées. Superposant Europe historique et Europe politique, Alain Besançon les énonce ainsi : « l’Europe s’arrête là où elle s’arrêtait au XVIIe siècle, c’est-à-dire quand elle rencontre une autre civilisation, un régime d’une autre nature et une religion qui ne veut pas d’elle. »

    Cette façon de délimiter un « #nous_européen » est à l’exact opposé de la conception de la frontière présente chez les partisans d’une « indéfinition » et d’une « désappropriation » de l’Europe. De ce côté-ci de l’échiquier philosophique, l’enjeu est au contraire de penser « un au-delà de l’identité ou de l’identification de l’Europe », étant entendu que le seul « crédit » que l’on puisse « encore accorder » à l’Europe serait « celui de désigner un espace de circulation symbolique excédant l’ordre de l’identification subjective et, plus encore, celui de la #crispation_identitaire ». Au lieu de chercher à « circonscri[re] l’identité en traçant une frontière stricte entre “ce qui est européen” et “ce qui ne l’est pas, ne peut pas l’être ou ne doit pas l’être” », il s’agit, comme le propose #Marc_Crépon, de valoriser la « #composition » avec les « #altérités » internes et externes. Animé par cette « #multiplicité_d’Europes », le principe, thématisé par #Etienne_Balibar, d’une « Europe comme #Borderland », où les frontières se superposent et se déplacent sans cesse, est d’aller vers ce qui est au-delà d’elle-même, vers ce qui l’excède toujours.

    Tout autre est néanmoins la dynamique impulsée, depuis une vingtaine d’années, par les politiques européennes d’#asile et d’immigration.

    La gouvernance européenne des étrangers : l’intégration conditionnée par les « valeurs communes »

    La question du traitement public des étrangers connaît, sur le plan des politiques publiques mises en œuvre par les États membres de l’UE, une forme d’européanisation. Celle-ci est discutée dans les recherches en sciences sociales sous le nom de « #tournant_civique ». Le terme de « tournant » renvoie au fait qu’à partir des années 2000, plusieurs pays européens, dont certains étaient considérés comme observant jusque-là une approche plus ou moins multiculturaliste (tels que le Royaume-Uni ou les Pays-Bas), ont développé des politiques de plus en plus « robustes » en ce qui concerne la sélection des personnes autorisées à séjourner durablement sur leur territoire et à intégrer la communauté nationale, notamment par voie de naturalisation. Quant au qualificatif de « civique », il marque le fait que soient ajoutés aux #conditions_matérielles (ressources, logement, etc.) des critères de sélection des « désirables » – et, donc, de détection des « indésirables » – qui étendent les exigences relatives à une « #bonne_citoyenneté » aux conduites et valeurs personnelles. Moyennant son #intervention_morale, voire disciplinaire, l’État se borne à inculquer à l’étranger les traits de caractère propices à la réussite de son intégration, charge à lui de démontrer qu’il conforme ses convictions et comportements, y compris dans sa vie privée, aux « valeurs » de la société d’accueil. Cette approche, centrée sur un critère de #compatibilité_identitaire, fait peser la responsabilité de l’#inclusion (ou de l’#exclusion) sur les personnes étrangères, et non sur les institutions publiques : si elles échouent à leur assimilation « éthique » au terme de leur « #parcours_d’intégration », et a fortiori si elles s’y refusent, alors elles sont considérées comme se plaçant elles-mêmes en situation d’être exclues.

    Les termes de « tournant » comme de « civique » sont à complexifier : le premier car, pour certains pays comme la France, les dispositifs en question manifestent peu de nouveauté, et certainement pas une rupture, par rapport aux politiques antérieures, et le second parce que le caractère « civique » de ces mesures et dispositifs d’intégration est nettement moins évident que leur orientation morale et culturelle, en un mot, identitaire.

    En l’occurrence, c’est bien plutôt la notion d’intégration « éthique », telle que la définit #Jürgen_Habermas, qui s’avère ici pertinente pour qualifier ces politiques : « éthique » est, selon lui, une conception de l’intégration fondée sur la stabilisation d’un consensus d’arrière-plan sur des « valeurs » morales et culturelles ainsi que sur le maintien, sinon la sécurisation, de l’identité et du mode de vie majoritaires qui en sont issus. Cette conception se distingue de l’intégration « politique » qui est fondée sur l’observance par toutes et tous des normes juridico-politiques et des principes constitutionnels de l’État de droit démocratique. Tandis que l’intégration « éthique » requiert des étrangers qu’ils adhèrent aux « valeurs » particulières du groupe majoritaire, l’intégration « politique » leur demande de se conformer aux lois et d’observer les règles de la participation et de la délibération démocratiques.

    Or, les politiques d’immigration, d’intégration et de naturalisation actuellement développées en Europe sont bel et bien sous-tendues par cette conception « éthique » de l’intégration. Elles conditionnent l’accès au « nous » à l’adhésion à un socle de « valeurs » officiellement déclarées comme étant déjà « communes ». Pour reprendre un exemple français, cette approche ressort de la manière dont sont conçus et mis en œuvre les « #contrats_d’intégration » (depuis le #Contrat_d’accueil_et_d’intégration rendu obligatoire en 2006 jusqu’à l’actuel #Contrat_d’intégration_républicaine) qui scellent l’engagement de l’étranger souhaitant s’installer durablement en France à faire siennes les « #valeurs_de_la_République » et à les « respecter » à travers ses agissements. On retrouve la même approche s’agissant de la naturalisation, la « #condition_d’assimilation » propre à cette politique donnant lieu à des pratiques administratives d’enquête et de vérification quant à la profondeur et la sincérité de l’adhésion des étrangers auxdites « valeurs communes », la #laïcité et l’#égalité_femmes-hommes étant les deux « valeurs » systématiquement mises en avant. L’étude de ces pratiques, notamment les « #entretiens_d’assimilation », et de la jurisprudence en la matière montre qu’elles ciblent tout particulièrement les personnes de religion et/ou de culture musulmanes – ou perçues comme telles – en tant qu’elles sont d’emblée associées à des « valeurs » non seulement différentes, mais opposées aux « nôtres ».

    Portées par un discours d’affrontement entre « systèmes de valeurs » qui n’est pas sans rappeler le « #choc_des_civilisations » thématisé par #Samuel_Huntington, ces politiques, censées « intégrer », concourent pourtant à radicaliser l’altérité « éthique » de l’étranger ou de l’étrangère : elles construisent la figure d’un « autre » appartenant – ou suspecté d’appartenir – à un système de « valeurs » qui s’écarterait à tel point du « nôtre » que son inclusion dans le « nous » réclamerait, de notre part, une vigilance spéciale pour préserver notre #identité_collective et, de sa part, une mise en conformité de son #identité_personnelle avec « nos valeurs », telles qu’elles s’incarneraient dans « notre mode de vie ».

    Exclusion des « autres » et homogénéisation du « nous » : les risques d’une « #Europe_des_valeurs »

    Le recours aux « valeurs communes », pour définir les « autres » et les conditions de leur entrée dans le « nous », n’est pas spécifique aux politiques migratoires des États nationaux. L’UE, dont on a vu qu’elle tenait à s’affirmer en tant que « communauté morale », a substitué en 2009 au terme de « #principes » celui de « valeurs ». Dès lors, le respect de la dignité humaine et des droits de l’homme, la liberté, la démocratie, l’égalité, l’État de droit sont érigés en « valeurs » sur lesquelles « l’Union est fondée » (art. 2 du Traité sur l’Union européenne) et revêtent un caractère obligatoire pour tout État souhaitant devenir et rester membre de l’UE (art. 49 sur les conditions d’adhésion et art. 7 sur les sanctions).

    Reste-t-on ici dans le périmètre d’une « intégration politique », au sens où la définit Habermas, ou franchit-on le cap d’une « intégration éthique » qui donnerait au projet de l’UE – celui d’une intégration toujours plus étroite entre les États, les peuples et les citoyens européens, selon la formule des traités – une portée résolument identitaire, en en faisant un instrument pour sauvegarder la « #civilisation_européenne » face à d’« autres » qui la menaceraient ? La seconde hypothèse n’a certes rien de problématique aux yeux des partisans de la quête d’« Européanité », pour qui le projet européen n’a de sens que s’il est tout entier tourné vers la défense de la « substance » identitaire de la « civilisation européenne ».

    En revanche, le passage à une « intégration éthique », tel que le suggère l’exhortation à s’en remettre à une « Europe des valeurs » plutôt que des droits ou de la citoyenneté, comporte des risques importants pour celles et ceux qui souhaitent maintenir l’Union dans le giron d’une « intégration politique », fondée sur le respect prioritaire des principes démocratiques, de l’État de droit et des libertés fondamentales. D’où également les craintes que concourt à attiser l’association explicite des « valeurs de l’Union » à un « mode de vie » à préserver de ses « autres éthiques ». Deux risques principaux semblent, à cet égard, devoir être mentionnés.

    En premier lieu, le risque d’exclusion des « autres » est intensifié par la généralisation de politiques imposant un critère de #compatibilité_identitaire à celles et ceux que leur altérité « éthique », réelle ou supposée, concourt à placer à l’extérieur d’une « communauté de valeurs » enracinée dans des traditions particulières, notamment religieuses. Fondé sur ces bases identitaires, le traitement des étrangers en Europe manifesterait, selon #Etienne_Tassin, l’autocontradiction d’une Union se prévalant « de la raison philosophique, de l’esprit d’universalité, de la culture humaniste, du règne des droits de l’homme, du souci pour le monde dans l’ouverture aux autres », mais échouant lamentablement à son « test cosmopolitique et démocratique ». Loin de représenter un simple « dommage collatéral » des politiques migratoires de l’UE, les processus d’exclusion touchant les étrangers constitueraient, d’après lui, « leur centre ». Même position de la part d’Étienne Balibar qui n’hésite pas à dénoncer le « statut d’#apartheid » affectant « l’immigration “extracommunautaire” », signifiant par là l’« isolement postcolonial des populations “autochtones” et des populations “allogènes” » ainsi que la construction d’une catégorie d’« étrangers plus qu’étrangers » traités comme « radicalement “autres”, dissemblables et inassimilables ».

    Le second risque que fait courir la valorisation d’un « nous » européen désireux de préserver son intégrité « éthique », touche au respect du #pluralisme. Si l’exclusion des « autres » entre assez clairement en tension avec les « valeurs » proclamées par l’Union, les tendances à l’homogénéisation résultant de l’affirmation d’un consensus fort sur des valeurs déclarées comme étant « toujours déjà » communes aux Européens ne sont pas moins susceptibles de contredire le sens – à la fois la signification et l’orientation – du projet européen. Pris au sérieux, le respect du pluralisme implique que soit tolérée et même reconnue une diversité légitime de « valeurs », de visions du bien et du monde, dans les limites fixées par l’égale liberté et les droits fondamentaux. Ce « fait du pluralisme raisonnable », avec les désaccords « éthiques » incontournables qui l’animent, est le « résultat normal » d’un exercice du pouvoir respectant les libertés individuelles. Avec son insistance sur le partage de convictions morales s’incarnant dans un mode de vie culturel, « l’Europe des valeurs » risque de produire une « substantialisation rampante » du « nous » européen, et d’entériner « la prédominance d’une culture majoritaire qui abuse d’un pouvoir de définition historiquement acquis pour définir à elle seule, selon ses propres critères, ce qui doit être considéré comme la culture politique obligatoire de la société pluraliste ».

    Soumis aux attentes de reproduction d’une identité aux frontières « éthiques », le projet européen est, en fin de compte, dévié de sa trajectoire, en ce qui concerne aussi bien l’inclusion des « autres » que la possibilité d’un « nous » qui puisse s’unir « dans la diversité ».

    https://laviedesidees.fr/L-Europe-et-la-fabrique-de-l-etranger
    #identité #altérité #intégration_éthique #intégration_politique #religion #islam

    • Politique de l’exclusion

      Notion aussi usitée que contestée, souvent réduite à sa dimension socio-économique, l’exclusion occupe pourtant une place centrale dans l’histoire de la politique moderne. Les universitaires réunis autour de cette question abordent la dimension constituante de l’exclusion en faisant dialoguer leurs disciplines (droit, histoire, science politique, sociologie). Remontant à la naissance de la citoyenneté moderne, leurs analyses retracent l’invention de l’espace civique, avec ses frontières, ses marges et ses zones d’exclusion, jusqu’à l’élaboration actuelle d’un corpus de valeurs européennes, et l’émergence de nouvelles mobilisations contre les injustices redessinant les frontières du politique.

      Tout en discutant des usages du concept d’exclusion en tenant compte des apports critiques, ce livre explore la manière dont la notion éclaire les dilemmes et les complexités contemporaines du rapport à l’autre. Il entend ainsi dévoiler l’envers de l’ordre civique, en révélant la permanence d’une gouvernementalité par l’exclusion.

      https://www.puf.com/politique-de-lexclusion

      #livre