• Les vrais défis pour l’École sont ailleurs | Stéphane Bonnéry, 31 août 2013
    https://www.contretemps.eu/defis-ecole-inegalites

    Les promoteurs des réformes de l’École au service du capitalisme sont là devant une contradiction : comment conduire 50 % d’une génération à bac+3 tout en dépensant le moins possible ? L’une des réponses esquissées par les décideurs repose sur le couplage qui se dessine entre le lycée et la licence. Sans que cela ne soit jamais dit, le gouvernement prépare le financement de l’augmentation du nombre d’étudiants en licence notamment par la réduction du nombre de lycéens. Il s’agit, avec ce rapprochement du lycée et de la licence, de créer un tuyau dans lequel il y aura le moins de déperditions possibles en cours de route. Un jeune dont les probabilités d’aller jusqu’à la licence sont faibles n’a pas sa place au lycée dans cette vision-là. [...]

    En amont du couple lycée-licence, dans les réformes et projets de réformes précédents, cela n’a jamais été dit, mais le lien entre les choses est trop évident : pour que seuls les jeunes qui ont une chance raisonnable de ne pas sombrer au lycée général dans de telles conditions accèdent à celui-ci, cela suppose de faire le tri en amont du lycée. Et donc de couper le collège du lycée (ce qui revêt pour les décideurs l’avantage annexe d’affaiblir la force de résistance du SNES). Le collège est alors rapproché de l’élémentaire, dans le cadre du socle commun : les uns n’auront que celui-ci pour horizon, qui marquera la sortie de l’École, tandis que les autres se verront enseigner davantage. Cette logique conduit, mécaniquement, à préparer progressivement des classes officiellement de niveaux, et même des établissements de niveaux : les uns établissements du socle, les autres établissements du programme complet.

  • #Baptiste_Morizot - La Manufacture d’idées 2023 - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=XIAtKdX7_jc

    Rencontre avec le philosophe Baptiste Morizot autour de son ouvrage « #L'inexploré », un livre conçu comme une carte nous invitant à retrouver le goût de l’exploration, en déroutant cette notion de son orientation moderne vers les étoiles pour la réincurver vers la #Terre et vers ce qui nous relie à nos #milieux_de_vie (modérateur : Rémi Noyon, L’Obs).
    @La Manufacture d’idées

  • Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta

    Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.

    Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.

    Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.

    L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.

    Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.

    Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.

    Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.

    C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.

    Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.

    Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.

    Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.

    Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.

    Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.

    https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-

    #traite_d'êtres_humains #Italie #protection #Conseil_de_l'Europe #exploitation #Greta #rapport #agriculture #industrie_textile #hôtelerie #bâtiment #BTS #services_domestiques #restauration #indemnisation #accès_à_la_santé #criminalisation_de_la_migration #Albanie

  • Restitution au Ghana d’objets royaux en or volés : quel est le deal ?
    https://www.justiceinfo.net/fr/128288-or-asante-pille-ghana-revient-pays-quel-deal.html

    L’or d’Asante, pillé au Ghana, revient au pays – quel est le deal ?
    9 février 2024 Par Rachel Ama Asaa Engmann (pour The Conversation France)

    150 ans après, 39 pièces faisant partie des costumes royaux du peuple Asante doivent être restituées à son souverain, l’Asantehene, qui siège à Kumasi, au Ghana, entre février et avril 2024. Rachel Ama Asaa Engmann, archéologue et spécialiste du patrimoine ghanéen, s’entretient avec Ivor Agyeman-Duah, conseiller technique de l’Asantehene pour ce projet majeur de restitution culturelle, au sujet du retour de ces objets et de ses implications.

    Au XVIIIe siècle, l’empire Asante était le plus grand et le plus puissant de la région et contrôlait une zone riche en or. De nombreux objets royaux en or ont été pillés par les troupes britanniques lors de la troisième guerre anglo-asante de 1874. La première collection de 7 objets est attendue du Fowler Museum de l’Université de Californie à Los Angeles. La deuxième collection de 32 objets proviendra du British Museum et du Victoria & Albert Museum au Royaume-Uni. Ces objets sont prêtés au peuple Asante pour une durée de six ans.

    RACHEL AMA ASAA ENGMANN : Que représentent ces objets et comment ont-ils été pillés ?

    IVOR AGYEMAN-DUAH : Il s’agit d’objets royaux qui ont été pillés en 1874 dans le palais de Kumasi après la mise à sac de la ville par les troupes militaires coloniales britanniques. Une autre expédition punitive a eu lieu en 1896, qui a donné lieu à d’autres pillages. Parmi ces objets figuraient des épées et des coupes d’apparat, dont certaines étaient très importantes pour exprimer la mesure de la royauté dans le palais. Par exemple, l’épée Mponponsuo, créée il y a 300 ans, remonte au légendaire Okomfo (chef spirituel) lié à la fondation de l’empire, Okomfo Anokye. C’est avec cette épée que l’Asantehene prêtait le serment d’allégeance à son peuple. Les chefs utilisaient la même épée pour lui prêter serment.

    Certains objets ont été vendus aux enchères sur le marché libre de Londres ; des collectionneurs d’art les ont achetés et ont finalement fait don de certains d’entre eux à des musées (d’autres ont été conservés dans des collections privées). Le British Museum et le Victoria & Albert Museum en ont également acheté.

    Cependant, tous les objets que vous voyez au British Museum n’ont pas été pillés. Par exemple, il y a eu des échanges culturels entre l’Asantehene Osei Bonsu et Thomas Edward Bowdich, un émissaire de l’African Company of Merchants qui s’est rendu à Kumasi en 1817 pour négocier des échanges commerciaux. Certains cadeaux ont été offerts à Bowdich, qui les a ensuite déposés au British Museum. Ces objets sont au nombre de 14.

    Comment l’accord a-t-il été conclu ?

    La question est à l’étude depuis un demi-siècle. Ce n’est pas seulement une préoccupation de l’actuel Asantehene. Les trois derniers occupants du trône s’en sont préoccupés. Mais cette année est cruciale car elle marque les 150 ans de la guerre de Sagrenti. Elle marque également les 100 ans du retour de l’Asantehene Agyeman Prempeh après son exil aux Seychelles et les 25 ans de l’ascension de l’Asantehene actuel, Oseu Tutu II, sur le trône.

    Ainsi, lors de son séjour à Londres en mai 2023, après avoir eu des entretiens officiels avec les directeurs de ces musées, il a rouvert les discussions et les négociations. Il m’a demandé, ainsi qu’à Malcolm McLeod, ancien conservateur et chercheur au British Museum et vice-principal de l’université de Glasgow, de l’aider à prendre les décisions techniques qui s’imposaient. Nous avons travaillé ensemble sur ce dossier pendant les neuf derniers mois.

    Pourquoi s’agit-il d’un prêt de six ans ?

    Le droit moral à la propriété existe. Mais il y a aussi les lois sur l’antiquité au Royaume-Uni. Le Victoria & Albert et le British Museum sont des musées nationaux. Ils sont régis par des lois très strictes qui n’autorisent pas le retrait permanent d’une œuvre d’art ou d’un autre objet de la collection d’un musée pour le vendre ou s’en débarrasser d’une autre manière.
    Cela a toujours été un facteur contraignant au cours des 50 dernières années. Mais il y avait aussi un moyen de conserver ces objets pour une durée maximale de six ans. Tous les objets ne sont pas exposés au British Museum. Beaucoup n’ont jamais été exposés et sont stockés dans un entrepôt. Compte tenu des circonstances et de la trilogie d’anniversaires, nous sommes parvenus à cet accord. Les discussions se poursuivront toutefois entre nous et ces musées pour trouver un accord durable.

    Bien entendu, l’expérience du Ghana sera importante pour les demandes de restitution émanant d’autres pays d’Afrique.
    Qu’est-ce que cela signifie pour le peuple Asante et pour le Ghana ?

    Le fait qu’au cours des deux derniers mois, nous ayons pu parvenir à une forme d’accord témoigne de l’intérêt que suscitent les accords multiculturels.
    Tout cet ensemble d’objets datant de 150 ans (ou plus) intéressera de nombreuses personnes. Ces pièces nous aident à faire le lien entre le passé et le présent. Elles sont significatives de la façon dont notre peuple était, en termes de créativité et de technologie, de la façon dont il était capable d’utiliser l’or et d’autres propriétés artistiques. Ils sont aussi une source d’inspiration pour ceux qui travaillent aujourd’hui dans le domaine de la production d’or.
    Le musée du palais de Manhiya rouvrira ses portes en avril. L’exposition de ces objets va augmenter la fréquentation du musée. Il accueille déjà environ 80 000 visiteurs par an et nous estimons que ce chiffre pourrait passer à 200 000 par an avec le retour de ces objets. Cela générera des revenus et nous permettra d’agrandir et de développer nos propres musées.

    #restitutions #pillages #musées #Ghana #Grande-Bretagne #colonisation

  • Votre compte est restreint pendant 9 jours

    « Monsieur le Comte est restreint... » :-D :-D :-D

    T’inquiètes pas #Zuckerberg #Facebook, ton #compte va être #restreint bien plus longtemps #guignol #reseau_social #asocial #démagogue #politique #communication #moraliste_à_la_mords_moi_le_noeud #seenthis #vangauguin

     :-D ;-D :-D

    Vos publications précédentes ne respectaient pas nos Standards de la communauté. Vous ne pouvez donc pas effectuer certaines actions, comme publier ou commenter.
    14 janv. 2024
    Votre publication ne respectait pas nos Standards de la communauté concernant les discours haineux
    7 déc. 2023
    Votre publication ne respectait pas nos Standards de la communauté concernant les discours haineux
    4 nov. 2023
    Votre commentaire ne respectait pas nos Standards de la communauté concernant les discours haineux

  • Sparen und gut essen? Bei Ikea gibt es das beste Mittagessen Berlins
    https://www.berliner-zeitung.de/panorama/sparen-und-gut-essen-bei-ikea-gibt-es-das-beste-mittagessen-berlins

    Journalisten schreiben Quatsch. Viele Journalitsen schreiben viel Quatsch. Manchmal schreibt sogar ein einziger Journalist viel Quatsch.

    Was stimmt : Billig. Essen nicht Möbel. Ikea.

    22.1.2024 von Marcus Weingärtner - Schlauer Lunch: Der schwedische Möbeldiscounter hat nicht nur digital die Nase vorn, sondern serviert auch ein klasse Mittagessen. Zu wirklich fairen Preisen.

    Witze über Billy-Regale, fehlende Einzelteile, kryptische Bauanleitungen und lustige Produktbezeichnungen sind die ersten Dinge, die vielen Leuten in den Sinn kommen, wenn sich das Gespräch um Ikea dreht.

    Dabei hat sich der schwedische Möbeldiscounter mit dem familienfreundlichen Image längst an uns vorbei zu einer digitalen Wunderwelt gewandelt: Dreidimensionale Einrichtungsplanung, Laservermessungen, geschmeidig funktionierende Scannerkasse und durchdachte Online-Angebote zeigen, was auch hierzulande möglich wäre, würde man die weltweite Digitalisierung nur endlich ernst nehmen.
    Ernsthafte Kundenbindung

    Aber wer wissen will, wie sehr dem Möbelhaus die Zufriedenheit der Käufer wirklich am Herzen liegt, der sollte das hauseigene Restaurant besuchen, denn hier zeigt sich, dass es dem Discounter mit der Kundenbindung wirklich ernst ist. Mit anderen Worten: In keinem gastronomischen Betrieb der Stadt ist das Preis-Leistungs-Verhältnis so ausgewogen wie bei Ikea.

    An einem Mittwoch gegen zwölf Uhr besuchen wir das Restaurant der Filiale in Tempelhof, in dem man auch frühstücken kann. 1,50 Euro kostet das für Kinder, die Erwachsenen zahlen für Äggfrukost 3,95 Euro, dafür gibt es dann ein Eieromelette, vier Scheiben gebratenen Schinken, Butter und ein Brötchen. Wir sind aber später dran und wollen zu Mittag essen. Auch dabei setzt Ikea auf Fortschritt und bietet vermehrt pflanzliche Kost anstelle roten Fleisches an.

    So gibt es nun neben den legendären Köttbullar die Plantbullar und ich entscheide mich voller Zukunftsfreude und Neugier für die pflanzliche Variante: Das sind fünf Erbsenproteinbällchen, die besser schmecken, als die Bezeichnung vermuten lässt, was aber auch an der wirklich ordentlichen Rahmsoße liegt. Die Bällchen sind ein wenig zu fluffig, da hinkt die vegetarische Alternative noch, aber geschmacklich gut. Was auch der Tatsache geschuldet ist, dass man hier nicht versucht hat, Fleisch in Geschmack und Konsistenz nachzubilden.

    Ein Hauptgericht für unter drei Euro

    Dazu gibt es Erbsen aus der Tiefkühlung und für mich Pommes statt Püree. Die Erbsen sind in Ordnung, die Pommes frites sogar klasse. Alle goldgelb, keine verkohlte Niete darunter. Unschlagbar auch der Preis: Das Hauptgericht kostet 2,95 Euro. Noch mal: zwei Euro fünfundneunzig. Klar, dass das Möbelhaus hier wohl subventioniert und anderswo wohl draufschlägt, aber das kann dem Mittagsesser auch egal sein.

    Dazu gibt es eine Schale mit frischem Salat, den man mit einer Auswahl an Dressings selbst anrichten kann. Der Salat, hauptsächlich Mais und Radieschen, ist knackig, das Joghurt-Dressing nicht zu penetrant. Bis jetzt überzeugt der Günstig-Lunch. Das Restaurant ist nun gut gefüllt mit einer Mischung aus Kleinfamilien, Senioren und Hipstern mit Tagesfreizeit. Nicht alle kaufen ein, man kommt also auch „nur“ zum Essen und Trinken nach Tempelhof.

    Zum Dessert gibt es ein Stück Schokoladenkuchen, das nicht riesig, aber mit einem Euro auch nicht teuer ist und genau die richtige Größe für einen Nachtisch hat. Der Kuchen ist saftig, wenn auch ein wenig zu süß. Dazu gibt es eine Flasche Wasser und das Ganze hat mich nicht mehr als zehn Euro gekostet. Fazit: Wer ordentlich und günstig essen möchte, der sollte des Öfteren bei Ikea vorbeischauen. Natürlich kann man auch noch ein paar Teelichter, Servietten und Kissenhüllen einpacken.

    Wertung: 4 von 5

    Ikea Schwedenrestaurant: Hauptgerichte ab 3,95 Euro, Suppen ab 1 Euro. Frühstück und Kindergerichte ab 1 Euro, Desserts und Getränke ab 1 Euro.

    Ikea Tempelhof, Sachsendamm 47, Öffnungszeiten: Mo–Do 10–21 Uhr, Fr–Sa 10–22 Uhr

    #Berlin #billig #Gastronomie #Restaurants #Kantine #WTF

  • La #France qui a #faim avec #Bénédicte_Bonzi et #Guillaume_Le_Blanc

    Rencontre d’une anthropologue spécialiste de la faim et d’un philosophe qui a beaucoup écrit sur la #précarité pour penser les erreurs d’un pays riche où 8 millions de Français doivent recourir à l’#aide_alimentaire tandis que 10 millions de tonnes de #nourriture sont jetées par an en France.

    Pour comprendre l’#absurdité de ce #paradoxe et la faillite de notre #agriculture_productiviste, nous recevons l’anthropologue Bénédicte Bonzi qui a mené une longue étude aux #Restos_du_coeur. Sur le terrain, elle mesure la #souffrance de #bénévoles qui constatent que leur action, loin d’aider à sortir de la #pauvreté, consiste surtout à maintenir une #paix_sociale en évitant des vols et des #émeutes_de_la_faim.

    Et si, dans une société démocratique, l’urgence consistait moins à donner de la nourriture que des #droits pleins et entiers ? Le regard du philosophe Guillaume Le Blanc nous permettra de questionner la #violence qui s’exerce contre les plus pauvres. Comment penser la #vulnérabilité au cœur de la cité ?

    https://audioblog.arteradio.com/blog/215851/podcast/219681/la-france-qui-a-faim-avec-benedicte-bonzi-et-guillaume-le-blanc

    #audio #podcast

  • Chez visionscarto, on publie un deuxième texte sur la période coloniale allemande au Cameroun, confié par Richard Tsogang Fossi*, et qui revient sur le processus de la colonisation à la fin du XIXe siècle et au début du XXe.

    Comment le « Cameroons » est devenu allemand
    https://visionscarto.net/comment-le-cameroons-est-devenu-allemand

    « Dès l’origine, le projet colonial s’est accompagné d’une « rhétorique de civilisation » et d’une volonté d’accumulation d’exemples matériels de la culture et de la nature du continent africain, ce qui, en d’autres termes, revenait à organiser la « protection » de l’État pour les collectionneurs et les collections : en Afrique centrale, c’est dans la région qui constitue le territoire national de l’actuel Cameroun que les effets s’en feront particulièrement ressentir. Nous esquissons ici les conditions politiques de l’exploitation culturelle du pays par la puissance coloniale allemande. »

    Nous rappelons que le premier texte, de Yann LeGall exhume l’histoire des expéditions punitives, en rappelant la cruauté l’absolu cynisme des autorités allemandes coloniales.

    « Ne s’obtient que par la force »
    https://visionscarto.net/ne-s-obtient-que-par-la-force

    * Germaniste, spécialisé en études littéraires et culturelles, en histoire et mémoire coloniales, et en recherches de provenances.
    Membre de l’équipe de recherche Provenance Inversée, Université technique Berlin (TU)/ Université de Dschang/GBHS Sangmelima.

    #colonisation #cameroun #histoire #allemagne #restitution

  • #José_Vieira : « La #mémoire des résistances face à l’accaparement des terres a été peu transmise »

    Dans « #Territórios_ocupados », José Vieira revient sur l’#expropriation en #1941 des paysans portugais de leurs #terres_communales pour y planter des #forêts. Cet épisode explique les #mégafeux qui ravagent le pays et résonne avec les #luttes pour la défense des #biens_communs.

    Né au Portugal en 1957 et arrivé enfant en France à l’âge de 7 ans, José Vieira réalise depuis plus de trente ans des documentaires qui racontent une histoire populaire de l’immigration portugaise.

    Bien loin du mythe des Portugais·es qui se seraient « intégré·es » sans le moindre problème en France a contrario d’autres populations, José Vieira s’est attaché à démontrer comment l’#immigration_portugaise a été un #exode violent – voir notamment La Photo déchirée (2001) ou Souvenirs d’un futur radieux (2014) –, synonyme d’un impossible retour.

    Dans son nouveau documentaire, Territórios ocupados, diffusé sur Mediapart, José Vieira a posé sa caméra dans les #montagnes du #Caramulo, au centre du #Portugal, afin de déterrer une histoire oubliée de la #mémoire_collective rurale du pays. Celle de l’expropriation en 1941, par l’État salazariste, de milliers de paysans et de paysannes de leurs terres communales – #baldios en portugais.

    Cette #violence étatique a été opérée au nom d’un vaste #projet_industriel : planter des forêts pour développer économiquement ces #territoires_ruraux et, par le même geste, « civiliser » les villageois et villageoises des #montagnes, encore rétifs au #salariat et à l’ordre social réactionnaire de #Salazar. Un épisode qui résonne aujourd’hui avec les politiques libérales des États qui aident les intérêts privés à accaparer les biens communs.

    Mediapart : Comment avez-vous découvert cette histoire oubliée de l’expropriation des terres communales ou « baldios » au Portugal ?

    José Vieira : Complètement par hasard. J’étais en train de filmer Le pain que le diable a pétri (2012, Zeugma Films) sur les habitants des montagnes au Portugal qui sont partis après-guerre travailler dans les usines à Lisbonne.

    Je demandais à un vieux qui est resté au village, António, quelle était la définition d’un baldio – on voit cet extrait dans le documentaire, où il parle d’un lieu où tout le monde peut aller pour récolter du bois, faire pâturer ses bêtes, etc. Puis il me sort soudain : « Sauf que l’État a occupé tous les baldios, c’était juste avant que je parte au service militaire. »

    J’étais estomaqué, je voulais en savoir plus mais impossible, car dans la foulée, il m’a envoyé baladé en râlant : « De toute façon, je ne te supporte pas aujourd’hui. »

    Qu’avez-vous fait alors ?

    J’ai commencé à fouiller sur Internet et j’ai eu la chance de tomber sur une étude parue dans la revue de sociologie portugaise Análise Social, qui raconte comment dans les années 1940 l’État salazariste avait pour projet initial de boiser 500 000 hectares de biens communaux en expropriant les usagers de ces terres.

    Je devais ensuite trouver des éléments d’histoire locale, dans la Serra do Caramulo, dont je suis originaire. J’ai passé un temps fou le nez dans les archives du journal local, qui était bien sûr à l’époque entièrement dévoué au régime.

    Après la publication de l’avis à la population que les baldios seront expropriés au profit de la plantation de forêts, plus aucune mention des communaux n’apparaît dans la presse. Mais rapidement, des correspondants locaux et des éditorialistes vont s’apercevoir qu’il existe dans ce territoire un malaise, qu’Untel abandonne sa ferme faute de pâturage ou que d’autres partent en ville. En somme, que sans les baldios, les gens ne s’en sortent plus.

    Comment sont perçus les communaux par les tenants du salazarisme ?

    Les ingénieurs forestiers décrivent les paysans de ces territoires comme des « primitifs » qu’il faut « civiliser ». Ils se voient comme des missionnaires du progrès et dénoncent l’oisiveté de ces montagnards peu enclins au salariat.

    À Lisbonne, j’ai trouvé aussi une archive qui parle des baldios comme étant une source de perversion, de mœurs légères qui conduisent à des enfants illégitimes dans des coins où « les familles vivent presque sans travailler ». Un crime dans un régime où le travail est élevé au rang de valeur suprême.

    On retrouve tous ces différents motifs dans le fameux Portrait du colonisé d’Albert Memmi (1957). Car il y a de la part du régime un vrai discours de colonisateur vis-à-vis de ces régions montagneuses où l’État et la religion ont encore peu de prise sur les habitants.

    En somme, l’État salazariste veut faire entrer ces Portugais reculés dans la modernité.

    Il y a eu des résistances face à ces expropriations ?

    Les villageois vont être embauchés pour boiser les baldios. Sauf qu’après avoir semé les pins, il faut attendre vingt ans pour que la forêt pousse.

    Il y a eu alors quelques histoires d’arrachage clandestin d’arbres. Et je raconte dans le film comment une incartade avec un garde forestier a failli virer au drame à cause d’une balle perdue – je rappelle qu’on est alors sous la chape de plomb du salazarisme. D’autres habitants ont aussi tabassé deux gardes forestiers à la sortie d’un bar et leur ont piqué leurs flingues.

    Mais la mémoire de ces résistances a peu été transmise. Aujourd’hui, avec l’émigration, il ne reste plus rien de cette mémoire collective, la plupart des vieux et vieilles que j’ai filmés dans ce documentaire sont déjà morts.

    Comment justement avez-vous travaillé pour ce documentaire ?

    Quand António me raconte cette histoire d’expropriation des baldios par l’État, c’était en 2010 et je tournais un documentaire, Souvenirs d’un futur radieux. Puis lorsqu’en 2014 un premier incendie a calciné le paysage forestier, je me suis dit qu’il fallait que je m’y mette.

    J’ai travaillé doucement, pendant trois ans, sans savoir où j’allais réellement. J’ai filmé un village situé à 15 kilomètres de là où je suis né. J’ai fait le choix d’y suivre des gens qui subsistent encore en pratiquant une agriculture traditionnelle, avec des outils de travail séculaires, comme la roue celte. Ils ont les mêmes pratiques que dans les années 1940, et qui sont respectueuses de l’écosystème, de la ressource en eau, de la terre.

    Vous vous êtes aussi attaché à retracer tel un historien cet épisode de boisement à marche forcée...

    Cette utopie industrialiste date du XIXe siècle, des ingénieurs forestiers parlant déjà de vouloir récupérer ces « terres de personne ». Puis sous Salazar, dans les années 1930, il y a eu un débat intense au sein du régime entre agrairistes et industrialistes. Pour les premiers, boiser ne va pas être rentable et les baldios sont vitaux aux paysans. Pour les seconds, le pays a besoin de l’industrie du bois pour décoller économiquement, et il manque de bras dans les villes pour travailler dans les usines.

    Le pouvoir central a alors même créé un organisme étatique, la Junte de colonisation interne, qui va recenser les baldios et proposer d’installer des personnes en leur donnant à cultiver des terres communales – des colonies de repeuplement pour résumer.

    Finalement, l’industrie du bois et de la cellulose l’a emporté. La loi de boisement des baldios est votée en 1938 et c’est en novembre 1941 que ça va commencer à se mettre en place sur le terrain.

    Une enquête publique a été réalisée, où tout le monde localement s’est prononcé contre. Et comme pour les enquêtes aujourd’hui en France, ils se sont arrangés pour dire que les habitants étaient d’accord.

    Qu’en est-il aujourd’hui de ces forêts ? Subsiste-t-il encore des « baldios » ?

    Les pinèdes sont exploitées par des boîtes privées qui font travailler des prolos qui galèrent en bossant dur. Mais beaucoup de ces forêts ont brûlé ces dernière décennies, notamment lors de la grande vague d’incendies au Portugal de 2017, où des gens du village où je filmais ont failli périr.

    Les feux ont dévoilé les paysages de pierre qu’on voyait auparavant sur les photos d’archives du territoire, avant que des pins de 30 mètres de haut ne bouchent le paysage.

    Quant aux baldios restants, ils sont loués à des entreprises de cellulose qui y plantent de l’eucalyptus. D’autres servent à faire des parcs d’éoliennes. Toutes les lois promues par les différents gouvernements à travers l’histoire du Portugal vont dans le même sens : privatiser les baldios alors que ces gens ont géré pendant des siècles ces espaces de façon collective et très intelligente.

    J’ai fait ce film avec en tête les forêts au Brésil gérées par les peuples autochtones depuis des siècles, TotalEnergies en Ouganda qui déplace 100 000 personnes de leurs terres pour du pétrole ou encore Sainte-Soline, où l’État aide les intérêts privés à accaparer un autre bien commun : l’eau.

    https://www.mediapart.fr/journal/culture-et-idees/021223/jose-vieira-la-memoire-des-resistances-face-l-accaparement-des-terres-ete-

    #accaparement_de_terres #terre #terres #dictature #histoire #paysannerie #Serra_do_Caramulo #communaux #salazarisme #progrès #colonisation #colonialisme #rural #modernité #résistance #incendie #boisement #utopie_industrialiste #ingénieurs #ingénieurs_forestiers #propriété #industrie_du_bois #Junte_de_colonisation_interne #colonies_de_repeuplement #cellulose #pinèdes #feux #paysage #privatisation #eucalyptus #éoliennes #loi #foncier

  • « Le plus dur est de les voir pleurer » : comment les bénévoles des Restos du Coeur apprennent à dire non aux bénéficiaires
    https://france3-regions.francetvinfo.fr/auvergne-rhone-alpes/puy-de-dome/clermont-ferrand/le-plus-dur-est-de-les-voir-pleurer-comment-les-benevol

    L’hiver approche. Et à Clermont-Ferrand, comme ailleurs, les Restos du Coeur sont contraints de refuser pour la première fois des bénéficiaires. Une angoisse du quotidien pour les bénévoles qui doivent annoncer la mauvaise nouvelle aux personnes précaires.

    Dans le centre de distribution des Restos du Cœur situé au cœur de Clermont-Ferrand, la queue s’allonge. À l’intérieur, dans la salle d’attente, Rima, ticket numéroté à la main, tape du pied. Elle attend son tour pour pouvoir s’inscrire pour la campagne d’hiver. Elle semble stressée : “J’espère qu’on pourra m’accepter. J’ai entendu dire qu’ils refusaient des gens en ce moment”. Son tour arrive. Catherine, bénévole, l’accueille dans son bureau. Rima dévoile ses comptes : son allocation d’adulte handicapé, le nombre d’enfants, le montant du loyer, ses dépenses en électricité, … Tout y passe. Après calcul, le logiciel est formel : le barème a été dépassé. Catherine murmure, bien embêtée : “Je suis désolée. Ça ne va pas être possible. Au niveau de nos barèmes, vous êtes un peu au-dessus. Je suis désolée. On ne va pas pouvoir vous accorder l’aide alimentaire”. Rima se mure dans le silence. Elle semble dépitée par la nouvelle. La bénévole tente de la rassurer : “Mais, vous aurez quand même droit à d’autres aides des #Restos_du_Coeur. Je vais vous donner une carte hors alimentaire. C’est-à-dire que si vous avez besoin de vêtements ou de services autres que l’alimentaire, vous pourrez toujours en bénéficier”. La femme repart avec son chariot - qu’elle comptait remplir - vide. 

    Une formation pour être prêt à dire “non”

    Pour la première fois, en plus de 30 ans d’existence, l’association d’aide aux plus précaires, créée par Coluche, doit limiter le nombre de bénéficiaires pour la campagne d’hiver 2023.

    une fable apologétique. en fait, depuis les années 90, il faut satisfaire à des « critères sociaux » pour être « bénéficiaire ». c’est ces critères qui sont durcis actuellement en raison de l’augmentation des demandes et faute de ressources.

    #barème (modifié) #pauvres #pauvreté #alimentation

  • RSA sous conditions : « Désormais, les classes laborieuses apparaissent profiteuses et paresseuses », Frédéric Farah
    https://www.marianne.net/agora/humeurs/rsa-sous-conditions-desormais-les-classes-laborieuses-apparaissent-profite

    Ambiance #restauration et ultralibéralisme : un minimum vital contre un peu de #travail renvoie à un amendement britannique voté… à l’époque victorienne, fustige l’économiste Frédéric Farah alors que sénateurs et députés se sont mis d’accord sur un conditionnement du #RSA à quinze heures d’activité.

    L’obligation d’exercer des heures d’activité en échange de l’obtention du revenu de solidarité active (RSA) au risque d’une #radiation n’a rien de neuf si l’on veut bien redonner de la profondeur historique à la question. Cette dernière doit nous conduire a plus précisément en 1834 au Royaume-Uni avec l’abolition de la loi sur les pauvres. Il s’agissait d’un système d’#assistance à l’œuvre dans les paroisses existant depuis 1795. Un système qui s’est vite retrouvé dans le viseur de certains députés de l’époque car il favorisait l’assistance et la #paresse, selon eux. Lors des débats à la Chambre des Communes, ils affirmaient qu’il fallait exposer les pauvres au vent vif de la #concurrence. C’est avec l’abolition des lois sur les pauvres que naît le #marché_du_travail contemporain. Il s’agit alors de mettre à disposition des industriels d’alors une main-d’œuvre bon marché et dont le pouvoir de négociation demeurait faible.

    De ce débat vont demeurer deux constantes, portées par le discours libéral, et qui survivent depuis plus d’un siècle et demi. La première se fonde sur l’anthropologie négative et discriminatoire : les #pauvres ont un penchant à la paresse et ont tendance à abuser des subsides publics. La seconde insiste sur la nécessité d’exercer sur eux un #contrôle_social et placer leurs droits sous conditions. En 1922, l’économiste libéral Jacques Rueff pestait contre la persistance du #chômage anglais au double motif que l’#allocation du chômage de l’époque était dissuasive pour le #retour_à_l’emploi et que les syndicats créaient de la rigidité sur le marché du travail et empêchaient les ajustements nécessaires.

    Cette antienne libérale s’est tue jusqu’à la fin des années 1970 pour une série de raisons : le keynésianisme triomphant d’après-guerre admettait que le #plein-emploi ne pouvait être la règle du fonctionnement du capitalisme mais l’exception. Il ne fallait donc pas accabler les #chômeurs. Par ailleurs, la présence d’un communisme fort doublé d’une puissance syndicale significative était aussi de réels garde-fous aux dérives libérales. Enfin, la dénonciation des méfaits de la finance en raison de la folie spéculative qui l’avait portée au krach en 1930 avait conduit à en limiter le pouvoir. Ces éléments avaient pour un temps rangé au magasin des oubliettes la vieille rengaine libérale sur la supposée paresse des #assistés. Il a fallu construire de véritables #allocations-chômage, comme en 1958 en France, et élargir le #droit_des_travailleurs. Le rapport de force penchait en faveur du travail. Cette brève parenthèse historique n’aura duré qu’un temps assez bref, soit une vingtaine années.

    DE PRÉJUGÉS EN LOIS
    Le retour du prêchi-prêcha libéral est venu d’outre-Atlantique là même où l’#État-providence se manifestait avec force lors de la période rooseveltienne. Cette fois, la contre-offensive était portée par le républicain Richard Nixon qui avait employé pour la première lors d’une allocution télévisée en 1969 le terme de « #workfare », en somme un État qui incite au travail et non à l’assistance comme le « welfare » (« État-providence ») aurait pu le faire. Ici, la critique de l’État-providence rejoignait la définition d’Émile Ollivier, inventeur du terme sous le Second Empire, pour se moquer de ceux qui attendent l’obole de l’État comme autrefois ceux qui espéraient le salut d’une divine Providence. La lame de fond a progressivement emporté l’Europe dans le sillage de la révolution conservatrice de la fin 1970 et la thématique libérale accusant les pauvres d’être peu travailleurs et de vivre au crochet de la société a retrouvé son actualité. La répression de la finance d’après-guerre laissa place à la répression sociale.

    Pire, ces préjugés se sont transformés en lois effectives. Les pouvoirs politiques devenaient l’instance de validation du café du commerce. Ainsi, en 1992 sera lancée l’#allocation_unique_dégressive qui visait à réduire les allocations-chômage dans le temps pour inciter au retour à l’emploi. Abandonnée en 2001, elle aura été un échec retentissant. Nicolas Sarkozy tout empreint de cette idéologie libérale et jamais en retard pour valider les propos de comptoir, donnera naissance à cette étrangeté : le Revenu de solidarité active (RSA) laissant entendre qu’il existerait une #solidarité passive. Prétextant que le « I » du revenu minimum d’insertion avait été négligé, il lancera une nouvelle version qui devait encourager la reprise d’activité d’où l’existence d’un RSA capable d’autoriser un cumul emploi et revenu de solidarité. Ce dispositif ne parviendra pas à atteindre ses objectifs. L’État a même réussi à faire des économies sur la population de bénéficiaires potentiels puisque le #non-recours permet à l’État en la matière d’économiser environ deux milliards d’euros à l’année. Plus de 30 % des Français qui pourraient le demander ne le font pas.

    TRIO CHÔMEUR-PROFITEUR-FRAUDEUR
    Ce workfare se retrouve dans la transformation de l’Agence nationale pour l’emploi (ANPE) en #Pôle_emploi en 2008. La définition du chômeur changeait aussi puisque l’allocataire était tenu de faire des #actes_positifs de recherche, laissant encore une fois accroire à une paresse presque naturelle qui le conduirait à ne pas en faire, sans compter la multiplication des critères de contrôle et, de ce fait, des #radiations. Last but not least, la dernière réforme de l’assurance chômage, en réduisant durée et montant des allocations et en les rendant cycliques, place les chômeurs en difficulté et les oblige à accepter des rémunérations inférieures à leurs qualifications, comme le souligne l’enquête de l’Unédic de ce mois d’octobre. Avant la transformation en obligation légale de suivre une quinzaine d’heures de formation, un autre vent devait souffler pour rendre légitime cette proposition, celle de la montée des fraudes à l’assurance sociale. Au chômeur, et au pauvre jugés paresseux, profiteur, devait s’ajouter le titre de fraudeur. Le trio commence à peser.

    C’est donc cette #histoire brossée ici à grands traits qu’il ne faut pas oublier pour comprendre que rendre obligatoire cet accompagnement pour la réinsertion n’a rien d’une nouveauté. Elle prend sa source dans une #stigmatisation ancienne des pauvres ou des allocataires des #minima_sociaux et un ensemble de préjugés relayés par l’État. La nouvelle version du RSA aurait pu s’affranchir de l’obligation de toutes sortes de tâches dont l’utilité reste à prouver, mais le caractère contraignant témoigne encore une fois de la défiance des pouvoirs publics à l’égard de populations en difficulté. Au fond il s’agit toujours de la même condescendance à l’œuvre. Il fut un temps où les classes laborieuses apparaissaient dangereuses. Désormais, elles apparaissent profiteuses et paresseuses. Mais demeure l’unique constante du pouvoir, la nécessité de les combattre.

    Travail gratuit contre RSA : « Le rentier trouve normal qu’on demande à tous de participer à l’effort commun », Jacques Dion
    https://www.marianne.net/agora/les-signatures-de-marianne/travail-gratuit-contre-rsa-le-rentier-trouve-normal-quon-demande-a-tous-de

    Cumuler RSA et emploi : mais au fait, qu’en pensent les premiers concernés ? Laurence Dequay
    https://www.marianne.net/economie/protection-sociale/cumuler-rsa-et-emploi-mais-au-fait-quen-pensent-les-premiers-concernes

    Travailler pour toucher le RSA : mais au fait, comment vont faire les pauvres ? Louis Nadau
    https://www.marianne.net/economie/protection-sociale/travailler-pour-toucher-le-rsa-mais-au-fait-comment-vont-faire-les-pauvres

    RSA sous condition : un retour des Ateliers nationaux de 1848 ?
    Mythe du plein-emploi, Audrey Lévy
    https://www.marianne.net/societe/rsa-sous-condition-un-retour-des-ateliers-nationaux-de-1848

    ébaubi par Marianne

  • #Premier_de_corvée

    Malgré deux emplois dans la #restauration et la #livraison, la vie hors des radars d’un travailleur clandestin malien. Un documentaire qui raconte par l’exemple les #luttes des sans-papiers en France, estimés à près de 700 000, pour de meilleures conditions d’existence.

    Depuis son arrivée en France en 2018, Makan cumule deux boulots : plongeur dans une brasserie chic près des Champs-Élysées et livreur à vélo. Solitaire et sacrifiée, la vie de ce Malien de 35 ans est tout entière dédiée au travail, qui lui permet de subvenir aux besoins de sa famille restée au pays, une femme et des enfants qu’il n’a pas vus depuis bientôt quatre ans. « On n’est pas venu ici pour prendre des photos de la tour Eiffel. On est venu ici pour bosser. Ta famille est dans la merde, toi aussi t’es dans la merde », confie-t-il. Comme des centaines de milliers d’autres personnes en France, cantonnées aux #marges de la société alors qu’ils font tourner des pans entiers de l’#économie, Makan est sans-papiers. Il espère sortir de la #clandestinité et, en attendant, « reste dans [son] coin », effectuant avec courage ces métiers ingrats que seule une main-d’oeuvre précaire accepte désormais. « Si les immigrés ne se présentaient pas, je ne sais pas qui prendrait leur place », reconnaît sans ciller sa cheffe de cuisine. En attendant, Makan se demande pourquoi sa vie reste si difficile en France, « le pays des droits »...

    Existences invisibles
    Entre spleen et courage, le documentaire suit le quotidien d’un travailleur sans-papiers dans sa quête de régularisation, précieux sésame qui lui permettrait de se rendre dans son pays natal pour revoir ses proches qui subsistent grâce à son sacrifice. Aidé notamment par des militants syndicaux de la #CGT, Makan, qui tente de sortir de l’ornière administrative où il s’est enlisé, a rejoint la #lutte de ceux qui se mettent en grève pour obtenir de meilleures #conditions_de_travail. Mettant en lumière ces « premiers de corvées » condamnés à mener des existences invisibles (ils seraient près de 700 000 en France), ce film révèle sans misérabilisme le vécu intime de l’exil, de la clandestinité et de l’#abnégation.

    https://www.arte.tv/fr/videos/107817-000-A/premier-de-corvee
    https://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/68753_0
    #film #documentaire #film_documentaire #sans-papiers #travail #migrations #régularisation #France #logement #travailleurs_sans-papiers #sacrifice #déqualification #syndicat #grève

    ici aussi (via @kassem) :
    https://seenthis.net/messages/1006257

  • Restos du cœur : « L’aide alimentaire est à bout de souffle »
    https://reporterre.net/Restos-du-coeur-L-aide-alimentaire-est-a-bout-de-souffle

    Il y a eu le Covid, ainsi que la hausse de l’inflation des produits alimentaires. Mais c’est avant tout notre système économique qui creuse les inégalités. Les salaires n’augmentent pas suffisamment, les écarts de revenus se sont accrus, et des personnes qui travaillent ne peuvent pas payer leurs charges, dont l’alimentation. Quand on touche les minimas sociaux ou un petit salaire, l’alimentation est en effet l’une des variables d’ajustement dans un budget, avec des effets (et des coûts) importants sur la santé et le bien-être. Tout cela devrait nous enjoindre à réfléchir au problème de façon globale : que veut dire se nourrir ? De quelle alimentation parle-t-on ? Quelle est la vie des paysans, à l’autre bout de la chaîne ? Bref, il est important d’appréhender ces enjeux de façon systémique, plutôt que de se pencher seulement sur une partie du problème.

  • Après 22 ans, le géant de l’intérim Adecco jugé pour fichage racial
    https://www.streetpress.com/sujet/1695805410-geant-interim-adecco-juge-fichage-racial-discrimination-emba

    Adecco et deux ex-responsables vont être jugés le 28 septembre 2023 pour « #fichage_racial » et discrimination à l’embauche. Entre 1997 et 2001, une agence faisait un tri entre ses #intérimaires noirs et non-noirs. Plongée dans un système raciste.
    « Je tiens à vous signaler qu’au sein de l’agence #Adecco, […] on procède à un tri ethnique des intérimaires. En effet, les intérimaires sont classés en fonction de leur couleur de peau. Une distinction est faite entre les noirs et les non-noirs. » C’est par ces mots que commence la lettre explosive envoyée par Gérald Roffat le 1er décembre 2000 à l’association SOS Racisme. À l’époque, il est étudiant en licence de ressources humaines à l’université Paris Créteil. Le jeune homme, métisse, vient de faire un stage de six mois dans l’agence Adecco de Montparnasse, dans le 14ème arrondissement de Paris (75). Ce qu’il a vu l’a révolté. « Le pire, c’est que le stagiaire qui m’a expliqué ce que j’allais faire, était noir », se souvient le volubile Gérald Roffat, aujourd’hui âgé de 47 ans. « Les gens autour de moi se racontaient des histoires pour se justifier, mais moi je trouvais ça malsain. Ce courrier est la porte de sortie que j’ai trouvée. »

    Ce 28 septembre 2023, après une procédure exceptionnellement longue, les délits racistes dénoncés par le lanceur d’alerte vont finalement être jugés. Le groupe d’#intérim Adecco et deux anciens directeurs de l’agence Paris-Montparnasse ont été renvoyés en correctionnelle le 25 juillet 2021 par la Cour d’appel de Paris pour « fichage à caractère racial » et discrimination à l’embauche. 500 intérimaires du secteur de l’#hôtellerie-restauration en Île-de-France entre 1997 et 2001 en auraient été victimes. Ils sont aujourd’hui quinze à se porter partie civile. StreetPress a eu accès aux documents judiciaires dans lesquels quatorze chargés de recrutement ou de clientèle témoignent de leur participation au fichage.
    Les blancs recevaient des appels, les noirs faisaient la queue. Dans sa lettre, l’ex-stagiaire Gérald Roffat déroule : « Pour chaque intérimaire, le chargé de recrutement indique la mention PR1 ou PR2. Il ajoute la mention PR4 quand il s’agit d’une personne de couleur. (…) Lorsqu’un client d’Adecco demande un intérimaire, il peut tout naturellement demander un BBR [pour “bleu blanc rouge”, NDLR] ou un non-PR4. » Résultat : les intérimaires noirs sont servis en dernier et souvent cantonnés à la plonge, loin des regards des clients.

    [...]
    « On ne voyait pas ce qu’il y avait derrière leur bureau, mais on le sentait », raconte quant à elle Adrienne Djokolo, 59 ans. La Française née en République du Congo avait 31 ans lorsqu’elle a commencé à faire des missions d’intérim pour Adecco en 1995. « On partait très tôt le matin à 7h s’asseoir à l’agence pour attendre une mission. On repartait bredouille s’il n’y avait rien. Il n’y avait que des noirs, des arabes, des indiens… » C’est quand Adrienne arrivait dans les restaurants qu’elle voyait les intérimaires « blancs » d’Adecco. « Ils nous disaient qu’eux n’avaient pas besoin d’aller à l’agence. On les appelait directement chez eux pour les missions », rembobine la grand-mère, aujourd’hui en CDI dans une entreprise de #restauration collective

    • oui, la longueur de la procédure est ahurissante. à croire que l’emploi est plus sacré encore qu’un président de la république.

      c’est pas un racisme idéologique mais un souci de productivité du placement. à gérer trop de contrats, Adecco s’est auto piégé, fallait ne rien écrire, ses contenter dune visualisation des photos pour décider de la mise en relation avec un employeur.
      de toute façon, c’est les donneurs d’ordre qui décident : les « blancs » en salle, arabes et asiatiques compris éventuellement, les trop colorés en coulisse et en soute. à vu de pif, depuis 2000, cette répartition n’a évoluée qu’à la marge .

      une entreprise ne contracte pas avec une boite d’intérim qui envoie des candidats qu’elle juge irrecevables. en bar, hôtel, restau, on a aucune raison et pas le temps d’organiser des entretiens qui doivent échouer, comme c’est le cas, au vu des contraintes légales pesant sur les modalités de recrutement, avec les candidats profs de fac, ou diverses institutions culturelles, par exemple.
      la boite d’intérim est censé garantir l’appariement immédiat du salarié au poste, c’est sa fonction. et des critères subjectifs ("raciaux" par exemple, mais aussi d’âge, de présentation) président évidement à l’embauche, spécialement de qui est « au contact du client »

      intérim ou pas, dans le secteur, réaliser un chiffre d’affaire passe par le fait de produire une image. ça relève désormais y compris, pour les bars, de ce que certains nomment « direction artistique » (des prestataires vendent la définition de « concepts » : déco, type de produits, accessoires, éclairage, choix du personnel).

      ou bien, plus prosaïquement, de nombreux cafés tabac parisiens repris par des asiatiques, s’organisent sur une double logique entreprise familiale-communautaire (fiabilité assurée, verser des salaires) tout en prenant soin de s’adjoindre des collaborateurs qui soient suffisamment proches ("caucasiens", comme disent les flics yankee) d’une clientèle parisienne.
      pour assurer le chiffre ça bricole. aujourd’hui j’ai vu deux kabyles qui ont récemment repris un bar près du marché où je fais mes courses, sans employer personne. ils ont éprouvé le besoin d’afficher en terrasse un petit drapeau français...

      #donneur_d'ordre #patron (s) #placement #client #image #embauche

  • À #Montagnac, le maire balance sa source à #Cristaline

    Pour 30 000 euros, la marque est en passe de mettre la main sur une gigantesque masse d’eau près de #Béziers. Dans une zone frappée de plein fouet par les #sécheresses.

    Au début du printemps, au sortir d’une sécheresse hivernale inédite (lire l’épisode 1, « Eau, rage et désespoir » : https://lesjours.fr/obsessions/eau-guerres/ep1-macron-bassines), certains habitants d’#Occitanie ont appelé à l’aide leurs divinités pour faire venir la pluie. Ç’a été le cas à #Perpignan, mais aussi dans l’#Hérault, dans le village de #Corneilhan, près de Béziers. Le 30 mars, un cortège mené par un curé avait transporté une statue de Marie en plein cagnard pendant deux kilomètres et demi. Le #cortège, racontait alors France Bleu, s’était arrêté pour prier dans les vignes. Un viticulteur avait expliqué : « L’eau, on en manque. Donc, je demande au bon #Dieu de nous l’envoyer. Les politiques ne sont pas encore capables de faire tomber la pluie. Donc à part lui, je ne vois pas ! »

    Tout cela en vain, puisque la pluie ne s’est que peu montrée, en dehors de quelques averses en juin. Puis certaines communes alentour ont affronté l’angoisse du robinet à sec, le #lac_du_Salagou a connu son plus bas niveau depuis vingt ans, tandis que mi-août, un arrêté préfectoral plaçait pour la première fois les communes limitrophes de l’#étang_de_Thau en état de « #crise », seuil maximal de #restriction des usages face à la #sécheresse. En clair, l’#eau est rare dans le coin. Mais elle n’est pas forcément chère.

    L’association #Veille_Eau_Grain estime qu’il y a de quoi fournir de l’#eau_potable à 20 000 habitants pendant quinze ans

    C’est ce qu’on découvert les 4 000 habitants de Montagnac, à une trentaine de kilomètres au nord-est de #Corneilhan. Fin 2022 ils ont appris, un peu par hasard vous le verrez, que leur mairie avait décidé de vendre pour à peine 30 000 euros une parcelle dotée d’un #forage qui plonge à 1 500 mètres sous terre, jusqu’à une masse d’eau gigantesque. À l’abandon aujourd’hui, le #puits pourrait, moyennant de gros travaux, donner accès à cette #nappe_d’eau_souterraine de qualité et dont les volumes suscitent bien des convoitises. L’association Veille Eau Grain, née contre la vente de ce forage, a depuis réuni des informations permettant d’estimer qu’il y a là de quoi fournir de l’eau potable à 20 000 habitants pendant quinze ans !

    La générosité municipale est d’autant plus étonnante que le futur acquéreur n’est pas sans le sou : il s’agit de la #Compagnie_générale_d’eaux_de_source, une filiale du géant #Sources_Alma, connu pour ses bouteilles #Saint-Yorre, #Vichy_Célestins et surtout Cristaline. Cette dernière eau, née en 1992 et numéro 1 en #France aujourd’hui, est une simple marque et s’abreuve à 21 sources différentes dans l’Hexagone – et même en Allemagne et au Luxembourg. À Montagnac et en particulier dans le secteur où est situé le forage, elle est plébiscitée. Voisin, viticulteur et fondateur de l’association Veille Eau Grain, #Christophe_Savary_de_Beauregard s’en explique : « La zone qu’on habite est quasiment désertique, nous n’avons pas l’eau potable. L’eau, on l’achète, et celle qu’on choisit, c’est la Cristaline parce que c’est la moins chère. » Cruel.

    Comment expliquer une telle vente ? Cristaline et Alma ont été pointés du doigt pour leurs méthodes commerciales et pour leur capacité à obtenir les faveurs des autorités locales, le tout, selon leurs détracteurs, grâce à du #chantage à l’#emploi. Les généreuses #dérogations_préfectorales accordées à Cristaline pour des #prélèvements d’eau dans les #Pays-de-la-Loire ont aussi été dénoncées en 2018 par les représentants locaux du Mouvement national de lutte pour l’environnement. Rien de tout ça ici, semble-t-il, puisque c’est la mairie de Montagnac elle-même qui a démarché #Alma. C’est en tout cas ce que l’équipe de communication du géant de la bouteille nous a affirmé par écrit.

    Des #viticulteurs ont raconté avoir été démarchés par des intermédiaires pour autoriser le passage de tuyaux et de canalisations menant jusqu’à une future usine. C’est là qu’on a découvert que le conseil municipal avait voté la vente du forage.
    Christophe Savary de Beauregard, fondateur de l’association Veille Eau Grain

    Après plusieurs sollicitations en juillet et en septembre, #Yann_Llopis, le maire de Montagnac, nous a fait savoir qu’il refusait de répondre à la presse – lui qui ne rechigne pourtant pas à parler de lui et de sa « préoccupation » pour l’environnement sur le site de la ville. On ne saura donc pas s’il a vendu à vil #prix l’eau de sa commune dans l’espoir de #retombées_fiscales et de créations d’emplois. Ce silence n’étonnera pas les riverains, qui disent n’avoir à aucun moment été informés par l’édile et son équipe des tractations avec le groupe Alma. Christophe Savary de Beauregard raconte avoir découvert par hasard la décision du #conseil_municipal actant la vente de la parcelle et du forage : « Fin 2022, des viticulteurs nous ont raconté qu’ils avaient été démarchés par des intermédiaires, afin d’autoriser le passage sur le terrain de tuyaux et de canalisations venant du forage et menant jusqu’à une future usine. On s’est renseignés, et c’est là qu’on a découvert qu’en septembre le conseil municipal avait délibéré et voté pour la vente du terrain et du forage au groupe Alma. »

    Habitant de Montagnac, le conseiller régional socialiste René Moreno confirme et dénonce ce manque de transparence, avant de dresser une chronologie de ce forage qu’il connaît bien. Creusé en 1980 par deux entrepreneurs locaux, il est devenu propriété de l’État à la mort de ces derniers, en 2018. La parcelle et son forage ont alors été mis en vente sous le contrôle d’une instance locale, le comité technique de la #Safer (Société d’aménagement foncier et d’établissement rural), dont l’élu est membre. « À l’époque, il y avait plusieurs projets de reprise, dont celui de la mairie de Montagnac qui avait pour ambition de le destiner à un élevage privé d’esturgeons, se souvient René Moreno. Ce genre d’élevage est consommateur d’eau mais dans de faibles quantités. J’ai insisté pour que la mairie obtienne le forage. » Il obtiendra gain de cause.

    Après l’achat de la parcelle par la mairie (pour la somme de 30 000 euros, déjà), les porteurs du projet d’élevage d’esturgeons ont malheureusement baissé les bras. La mairie s’est alors retrouvée le bec dans l’eau, selon le service de communication du groupe Alma. Celui-ci indique par mail que si celle-ci ne vend pas le forage aujourd’hui, elle devra assumer les coûts de son obturation (qu’il estime à 300 000 euros) ou de sa remise en service (on dépasserait alors les 500 000 euros). René Moreno assure de son côté que ces sommes, si elles étaient avérées, pourraient être déboursées en partie par l’État ou d’autres collectivités, afin de préserver la précieuse ressource souterraine ou la destiner aux populations locales en cas de crise.

    Le projet actuel est on ne peut plus à l’opposé : construire une gigantesque #usine privée d’#embouteillage d’#eau_minérale pour une grande marque, occasionnant quelques joyeusetés comme l’artificialisation de plusieurs milliers de mètres carrés ou le passage quotidien de plusieurs dizaines de camions pour le transport des packs. Une perspective qui inquiète les riverains, tout autant que la réputation sulfureuse du groupe. Une enquête de Médiacités publiée en décembre 2022 a, par exemple, révélé que 13 de ses 34 usines françaises avaient été épinglées par les services de l’État depuis 2010 : non-conformités, contaminations, pollution de ruisseau et mêmes fraudes…

    Derrière Cristaline, deux hommes à la réputation sulfureuse : le milliardaire #Pierre_Castel et #Pierre_Papillaud, le visage des pubs télé Rozana

    Quant aux créateurs de Cristaline, ils se signalent autant par leurs succès que par leurs casseroles. Le milliardaire Pierre Castel, l’un des dix Français les plus riches, a été condamné pour avoir abrité son immense fortune – faite dans la bière en Afrique et dans le vin partout dans le monde (les cavistes Nicolas, la marque Baron de Lestac…) – dans des #paradis_fiscaux. Il apparaît dans les listings des « Pandora Papers ». Son groupe est en prime visé par une enquête du parquet antiterroriste pour « complicité de crimes contre l’humanité » et « complicité de crimes de guerre » parce qu’il aurait financé en Centrafrique une milice coupables d’exactions en masse. Pierre Castel a vendu ses parts à son compère Pierre Papillaud en 2008. Celui-ci, dont vous avez vu la tête dans les pubs télé pour la marque d’eau gazeuse #Rozana, a été accusé par d’anciens salariés de méthodes managériales violentes et de harcèlement moral, et condamné pour une campagne de dénigrement de l’eau du robinet. Il apparaît, lui, dans les listings des « Panama Papers ». Il est décédé en 2017.

    C’est face à ce groupe que se dressent la vingtaine de membres de l’association Veille Eau Grain. Ceux-ci ont entamé une procédure devant le tribunal administratif pour faire annuler la délibération du conseil municipal de Montagnac concernant la vente du forage, arguant que cette décision a été prise sans informer la population et à partir d’un corpus de documents trop limité pour juger de sa pertinence. Ce n’est que le début du combat. L’exploitation du forage est soumise à une étude d’impact environnementale, qui, selon le groupe Alma, a démarré en juillet et durera dix-huit mois.

    https://lesjours.fr/obsessions/eau-guerres/ep7-montagnac-cristaline

    #accès_à_l'eau #impact_environnemental

    voir aussi :
    https://seenthis.net/messages/1016901

  • “Travailleurs de l’hôtellerie-restauration, il est temps de s’organiser”
    https://www.frustrationmagazine.fr/travailleurs-restauration

    Théo est salarié dans l’hôtellerie-restauration et il a répondu à notre appel à témoignage dans le cadre de notre enquête sur la “pénurie” de personnel dans le secteur. Nous publions avec son accord son texte, révoltant, puissant et mobilisateur. Nous adressons au passage toute notre sympathie et notre soutien aux travailleuses et travailleurs de la […]

    • Les rats !

      J’ai demandé à mes patrons une rupture conventionnelle car j’ai pour projet d’arrêter la restauration, de prendre du temps pour me reconvertir et que j’ai besoin de ce dispositif pour avoir le droit au chômage. Ils ont refusé au début en disant que casser un CDI coûtait trop cher et m’ont demandé de démissionner. Il n’était pas difficile d’aller sur un simulateur d’indemnisation de fin de contrat sur internet pour voir que je leur coûterais moins de 2000 euros. De la part de restaurateurs qui arrivent à mobiliser plusieurs centaines de milliers d’euros pour acheter leur restaurant, c’est surprenant et la pilule a été très dure à avaler. Je leur ai donc proposé de payer ma rupture. Ils m’ont fait un chèque correspondant au montant de l’indemnisation et je suis allé retirer en espèce le montant que je leur ai rendu…

  • Incapables de faire face à l’afflux de demandeurs, les Restos du cœur appellent à l’aide

    L’association a annoncé qu’elle allait devoir éconduire 150 000 personnes. Le gouvernement a promis 100 balles par tête (15 millions d’€), mais pas de Mars.

    « Nous demandons des réponses concrètes, précises, immédiates, et le lancement d’un plan d’urgence alimentaire. » Le président des #Restos_du_cœur, Patrice Douret, a adressé un appel à l’aide aux « forces politiques et aux forces économiques » lors du « 13 heures » de TF1, dimanche 3 septembre. Il décrit une « situation inédite » : jamais, depuis leur création en 1985 par Coluche, les Restos du cœur n’avaient aidé autant de monde – ils ont déjà accueilli 1,3 million de personnes cette année, contre 1,1 million en 2022. Et jamais l’association n’avait autant dépensé, du fait de ces besoins accrus et de l’inflation : elle doit acheter plus du tiers de la nourriture qu’elle distribue et faire face aux surcoûts d’électricité, de transports…
    « A ce rythme-là, si on ne fait rien, les Restos du cœur pourraient [comme l’école et l’hôpital] mettre la clé sous la porte d’ici trois ans ». Ils vont « réduire fortement » le nombre de personnes accueillies pour se concentrer sur ceux qui ont les plus faibles « restes à vivre ». « On devra aussi réduire les quantités pour tous ceux qu’on pourra accueillir ».
    (...) Avec les trois autres associations bénéficiant de l’#aide_alimentaire européenne – les banques alimentaires, le Secours populaire et la Croix-Rouge –, il a demandé au printemps à rencontrer Maquereau. Il a aussi appelé, dans une tribune au Monde, à renforcer le Soutien européen à l’aide alimentaire. Sans résultat.

    Cette fois, des élus de nombreux partis (HellFI, RN, Pécéèfe, EELV, Répoublicains, P$) se sont émus de la situation, plusieurs ont soutenu l’idée du « plan d’urgence alimentaire ». Les Mousquetaires et Carrefour ont promis d’effectuer des dons et d’organiser des #collectes.

    La ministre des solidarités, Aurore Bergé a indiqué que l’aide alimentaire du gouvernement avait été portée à 156 millions d’euros cette année et que, « dans les prochains jours, 15 millions d’euros » seront « mis sur la table » pour aider les Restos du cœur à « passer cette période », et 6 millions d’euros débloqués en faveur des associations d’aide aux tout-petits. Elle a elle-aussi lancé « un appel solennel aux grandes entreprises », qui avaient su se mobiliser pour la reconstruction de la cathédrale Notre-Dame de Paris, et compte les recevoir rapidement, en même temps que les présidents des grandes associations de solidarité.

    Cette annonce « ne répond pas à l’urgence », puisque « même en réduisant le nombre de personnes accueillies et les quantités données, nous avons besoin de 35 millions d’euros pour terminer notre exercice à l’équilibre en mars, réagit le pédégé des Restos. De plus, arnaque classique, les 15 millions annoncés englobent une dizaine de millions d’euros déjà budgétés dans le cadre du plan “Mieux manger pour tous”.

    Les autres grands acteurs de l’aide alimentaire soulignent l’urgence à agir. « Nous recevons moins de dons de nourriture de la #grande_distribution et de l’#industrie_agroalimentaire, et nous avons moins d’aides européennes que durant la crise sanitaire, tandis que les besoins augmentent fortement, résume Laurence Champier, D.G. des B.A.. Nous sommes obligés de rationner les associations que nous aidons et de limiter leur nombre. Notre secteur a besoin de crédits suffisants et pérennes, d’autant plus que les particuliers risquent de moins pouvoir donner ! »
    Côté du Secours pop : « Nous accompagnons désormais 3,5 millions de personnes, y compris de plus en plus d’étudiants, de retraités et des personnes qui travaillent. Nous essayons de partager plutôt que de refuser des gens, car il y en a déjà beaucoup trop qui sont en dehors des radars, explique le D.G. de l’association, Thierry Robert. Il faut plus de soutien, et aussi plus d’accompagnement humain de la part de l’Etat. Nos bénévoles constatent combien la dématérialisation des services publics prive de nombreuses personnes de leurs droits. »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/09/04/l-appel-a-l-aide-des-restos-du-c-ur-confrontes-a-une-situation-inedite_61876

    #alimentation #plan_d’urgence_alimentaire

  • Malea, l’indagine sulla locale di ‘ndrangheta tra Mammola e il Lussemburgo
    https://irpimedia.irpi.eu/openlux-indagine-malea-ndrangheta-mammola-lussemburgo

    Dagli anni Ottanta, un gruppo di imprenditori calabresi vive in Lussemburgo. I figli, oggi, possiedono pub e ristoranti. Secondo un’indagine della Dda di Reggio calabria, però, sarebbero legati a una cosca di Mammola Clicca per leggere l’articolo Malea, l’indagine sulla locale di ‘ndrangheta tra Mammola e il Lussemburgo pubblicato su IrpiMedia.

  • Ces golfs et multinationales exemptés de restrictions d’eau malgré la sécheresse - Basta !
    https://basta.media/ces-golfs-et-multinationales-exemptes-de-restrictions-d-eau-malgre-la-seche

    Les #restrictions_d’eau pendant la #sécheresse ne s’appliquent pas avec la même fermeté à tous les acteurs. Les industries du #golf, des #semi-conducteurs, de l’#agroalimentaire ou des #eaux_minérales bénéficient de dérogations, souvent sans contreparties.

  • Licenciements : le bilan explosif des ordonnances Macron | L’Humanité
    https://www.humanite.fr/social-eco/licenciements/licenciements-le-bilan-explosif-des-ordonnances-macron-800240

    Les deux économistes se concentrent sur les effets du plafonnement des indemnités prud’homales versées aux salariés licenciés sans cause réelle et sérieuse (ordonnance de septembre 2017). Elles prennent tout d’abord au sérieux le principal argument invoqué par l’exécutif : réduire les coûts du licenciement devait inciter les patrons à embaucher davantage en CDI.

    Las, les chercheuses ne trouvent aucune donnée corroborant cette fable. On observe bien une hausse des embauches en CDI, mais le retournement de tendance remonte à 2014 : « Alors qu’elles étaient plutôt en baisse sur la période 2007-2014, (ces embauches) augmentent de façon continue ensuite avec une croissance plus marquée entre 2016 et 2017, notent-elles. Après 2017 (c’est-à-dire après l’introduction des ordonnances), elles poursuivent leur hausse mais de manière moins prononcée. »

    • Les effets des ordonnances Macron de 2017 sur les licenciements étudiés, Bertrand Bissuel, Le Monde

      Deux chercheuses se sont penchées sur l’impact de ces textes et avancent l’hypothèse d’une hausse des licenciements pour faute, qui permettent aux employeurs de ne pas indemniser leur salarié.

      La réforme du code du travail au début du premier quinquennat d’Emmanuel Macron a-t-elle eu comme incidence d’augmenter les licenciements pour faute ? Cette hypothèse est avancée dans une étude que la très sérieuse revue Droit social datée du mois de juin vient de publier, sous forme de synthèse. Ses deux autrices se montrent prudentes : à ce stade, notent-elles, il est impossible d’affirmer de façon certaine qu’un lien de causalité existe.

      Julie Valentin, maîtresse de conférences à l’université Paris-I Panthéon-Sorbonne, et Camille Signoretto, maîtresse de conférences à l’université Paris-Cité, ont cherché à cerner l’impact des ordonnances de septembre 2017. Ces textes avaient pour ambition de « libérer » la capacité d’initiative des entreprises et de mieux « protéger » les travailleurs, avec comme ligne directrice de favoriser les créations de postes.

      Pour savoir si la réforme a eu la répercussion escomptée, Julie Valentin et Camille Signoretto ont collecté de nombreuses statistiques, qui mettent en évidence une inflexion notable : entre la fin de 2017 et la fin de 2021, le nombre de licenciements pour faute s’est accru de 32,3 % ; c’est un rythme plus soutenu que celui observé entre le troisième trimestre de 2015 et le troisième trimestre de 2017 (+ 28,4 %), avant l’entrée en vigueur des ordonnances.

      Un petit nombre de professions concernées

      Cette accélération de la hausse « peut être envisagée comme un effet » des changements décidés en 2017. Deux dispositions seraient concernées. L’une plafonne les dommages-intérêts accordés par la justice prud’homale à un salarié ayant fait l’objet d’un licenciement injustifié. Le but était de « sécuriser » les employeurs et de « lever la peur de l’embauche » en rendant prévisible le coût d’une rupture du contrat du travail, en cas de contentieux. Ce mécanisme a eu pour conséquence de faire baisser un peu le montant des sommes qu’une juridiction octroie à une personne injustement congédiée par son patron.
      L’autre mesure citée par les deux économistes résulte d’un décret de septembre 2017, qui a augmenté le montant des indemnités légales versées par une entreprise quand elle licencie un ou plusieurs membres de son personnel.

      Julie Valentin et Camille Signoretto se demandent si la combinaison de ces deux dispositions n’a pas conduit des employeurs à privilégier les licenciements pour faute. Dans ce dernier cas, ils ne sont pas tenus d’indemniser leur salarié. Celui-ci peut, certes, contester la rupture du contrat de travail, mais si les prud’hommes lui donnent gain de cause, les dommages-intérêts peuvent s’avérer bien moins importants, donc, qu’avant la réforme. Autrement dit, le patron aurait un intérêt financier à procéder de la sorte. Cependant, pour pouvoir établir le lien de causalité, des investigations complémentaires seraient nécessaires, insistent les deux autrices de l’article dans Droit social.

      Une chose paraît acquise, ajoutent-elles : les licenciements pour faute « sont concentrés sur un petit nombre de professions » – une quinzaine, en l’occurrence. Apparaissent dans la liste les employés du secteur de la #propreté, les salariés du #commerce_alimentaire et de la #restauration, les #chauffeurs-livreurs. Il s’agit, en somme, d’activités relevant de la « deuxième ligne », avec des conditions de travail « particulièrement dégradées » et où le taux de syndicalisation est, très souvent, faible.

      #travail #travailleurs_précaires #précarisation #licenciement_pour_faute #indemnités_de_licenciement #prud’homes

  • Pour une #Sécurité_Sociale_de_l’Alimentation (#Dominique_Paturel)

    Cette réflexion a pris naissance en 2013 [1], dans les échanges entre deux personnes dont l’une est issue du monde agricole et l’autre de la recherche. L’un comme l’autre, nous constations l’enfermement des personnes recevant de l’#aide_alimentaire, dans une grande difficulté à s’émanciper des dispositifs de distribution et ce, malgré les discours et les pratiques portés par des professionnels ou des bénévoles bienveillants.

    En s’appuyant sur la conception développée par Tim Lang de la démocratie alimentaire, nous ne pouvions que nous rendre compte que l’accès à l’alimentation « libre » d’une part et à une alimentation produite plus sainement d’autre part, était d’une inégalité flagrante. La caractéristique de cette inégalité est qu’elle est banalisée par le fait que nous sommes tous des mangeurs, invisibilisant ainsi les rapports de classe. En outre, les politiques sociales et sanitaires généralisent ces inégalités par la désignation d’une population dite vulnérable et à laquelle on destine des dispositifs assistanciels. Le présupposé repose sur une conception libérale de la solidarité basée sur une approche néo-paternaliste. Les cadres de pensée qui ont servi à sortir la France de la faim d’après-guerre, sont les mêmes qui empêchent aujourd’hui de voir la situation dégradée du côté de ce que j’appelle l’accès à la « fausse bouffe » et non à l’alimentation.

    En approfondissant notre réflexion, il nous a semblé que tant que l’accès ne serait pas consolidé conformément aux valeurs républicaines, à savoir un accès égalitaire, solidaire et libre, les injustices demeureraient quant aux conséquences sociales et sanitaires. Un modèle de protection sociale pour tous orienté sur un accès égalitaire à une alimentation reconnectée aux conditions de sa production, s’est imposé et c’est cette piste que nous avons suivie. Il s’agissait de reprendre la main sur le(s) système(s) alimentaire(s) par tous les habitants en France et d’être dans les conditions pour le faire : la réponse ne pouvait pas rester que du seul côté des citoyens « éclairés » ou militants. Le modèle de la sécurité sociale nous a semblé le bon cadre pour avancer. À partir de là deux pistes ont été suivies :

    – La première incarnée par Ingénieurs sans frontières [2] qui propose « une carte d’assurance alimentaire » ;
    – La deuxième inscrite dans l’ensemble de nos travaux et qui est au cœur du séminaire Démocratie Alimentaire.

    Aujourd’hui la transition alimentaire est essentiellement mise en œuvre du côté du changement des pratiques alimentaires des mangeurs. Mais l’alimentation étant considérée comme une marchandise comme une autre, à savoir soumise aux rapports de force existant sur le marché, (et même si les initiatives de tous ordres sont bienvenues), la transformation ne sera pas au rendez-vous sans un changement radical de l’offre. Et ce d’autant plus, que le système industriel agro-alimentaire est transnational et que le début de la réflexion de Tim Lang sur sa proposition de démocratie alimentaire part de ce constat : les états ont bien du mal à intervenir aujourd’hui dans la régulation de ce système.

    Trois points d’appui au fondement de la Sécurité Sociale de l’Alimentation :

    – Le premier est la reconnaissance du droit à l’alimentation ;
    – Le second est la réorientation des outils de politique publique existant en matière d’accès à l’alimentation et en particulier la restauration collective ;
    – Le troisième, l’attribution d’une allocation à l’ensemble de la population pour accéder à des produits frais sur le modèle des allocations familiales.

    Mais pour que ce système puisse se construire, il nous faut rappeler des éléments de conception qui doivent être socialisés : l’alimentation n’est pas seulement le résultat d’une production agricole ou de transformation agro-industrielle. Il est nécessaire de s’appuyer sur une vision systémique qui prend en compte les quatre activités nécessaires à l’alimentation des humains de tout temps : celle de la production, celle de la transformation, celle de la distribution et celle de la consommation. Ce sont l’ensemble de ces activités qui forment système et les aborder de façon déconnectée soutient le modèle industriel, nous laissant dans une vision minimaliste de l’alimentation comprise alors comme denrée ou produit.

    De plus, l’alimentation comme fait social total, comporte des dimensions sociale, culturelle, économique, politique, biologique, etc. On ne peut donc la réduire au seul slogan « les gens ont faim, il faut leur donner à manger », slogan repris de façon globale dans tous les dispositifs de distribution d’aide alimentaire en France et en Europe.

    L’alimentation correspond aussi à un modèle ancré dans une histoire nationale. En France, manger ensemble et faire la cuisine sont beaucoup plus important que la qualité des produits et leur provenance. Les gaulois réglaient déjà les problèmes politiques par de grands banquets (Ariès, 2016) [3], d’où l’importance de manger ensemble pour construire du lien social et faire société. On peut ainsi comprendre pourquoi les institutions d’actions sociales et de travail social utilisent l’alimentation comme moyen autour de ce qui est leur mission, à savoir lutter contre l’exclusion sociale. Mais, concevoir l’alimentation comme moyen est aujourd’hui contreproductif pour assurer la transition alimentaire dans la perspective des changements climatiques à l’œuvre et stopper les effets délétères de l’alimentation industrielle.

    La Sécurité Sociale de l’Alimentation doit donc s’appuyer sur l’ensemble de ces éléments pour asseoir sa légitimité. Elle se situe du côté de la transformation alimentaire, de la prévention en santé publique et non curative comme actuellement. Elle fait partie d’une politique de l’alimentation qui doit se désencastrer de ministères de tutelles comme l’agriculture, la santé ou la cohésion sociale. Il ne s’agit pas de créer un xième ministère mais bien de comprendre cette politique comme transversale. Cependant dans un pays centralisé comme la France avec des institutions verticales, une politique transversale a de fortes chances d’être minorée. D’où la proposition de doter cette instance de moyens conséquents et d’obliger les politiques engageant une des activités du système alimentaire à s’inclure (pour partie) dans la politique alimentaire et non d’œuvrer de façon segmentée : la Sécurité Sociale de l’Alimentation devient alors l’outil majeur pour actionner la transition alimentaire.

    Le second point d’appui est de mobiliser les outils de politiques publiques existants au service de ce dispositif, en particulier la restauration collective publique. Nous partons du constat que les lieux, le matériel, les compétences sont présents à travers la mise à disposition de quatre à cinq repas par semaine à midi : pourquoi ne pas utiliser ces ressources en direction de la population habitant ou travaillant en proximité de ces équipements le soir et 7 jours sur 7. Par ailleurs, on peut également en profiter pour réorienter la production et la transformation en redirigeant l’offre alimentaire à l’échelle territoriale.

    D’autres outils existent déjà et il s’agirait de renforcer la cohérence au service de la Sécurité Sociale de l’Alimentation : en soutenant les marchés d’intérêts nationaux dans les régions pour approvisionner les villes et villages et les engager dans la transformation des compétences des intermédiaires ; en cessant de segmenter les plans incitatifs (Climat, alimentation, urbanisme, etc.) et en recherchant comment les articuler ; en concevant des instances démocratiques à l’échelle des territoires de vie pour décider des politiques alimentaires liées à la réalité sociale et concevoir les hybridations nécessaires pour garantir un accès à tous, etc.

    Le troisième point d’appui est celui de l’attribution d’une allocation pour tous les habitants en France, fléchée sur l’achat de produits frais : fruits, légumes, produits laitiers, viande, poisson. Ces aliments sont souvent absents pour les familles à petits budgets et sont remplacés par des aliments ultra-transformés. Cette mesure fléchée peut aussi participer à la relocalisation des activités du système alimentaire.

    Élaborer un tel dispositif permettrait de faire exploser le « plafond de verre » auquel se confronte une multitude d’initiatives issues de la société civile organisée et de l’économie sociale et solidaire : ainsi la Sécurité Sociale de l’Alimentation, outre les effets sur la santé, participerait réellement à la transition écologique.

    –-

    [1] http://www1.montpellier.inra.fr/aide-alimentaire/index.php/fr

    [2] https://www.isf-france.org/articles/pour-une-securite-sociale-alimentaire

    [3] Eh non ce n’est pas une invention de Goscinny et Uderzo. Ariès, Paul (2016) Une histoire politique de l’alimentation. Du paléolithique à nos jours. Paris, édition Max Milo.

    https://www.chaireunesco-adm.com/Pour-une-Securite-Sociale-de-l-Alimentation
    #sécurité_alimentaire #sécurité_sociale #alimentation #distribution_alimentaire #alternative #démocratie_alimentaire #Tim_Lang #accès_à_l'alimentation #inégalités #rapports_de_classe #classe_sociale #assistance #néo-paternalisme #solidarité #fausse_bouffe #protection_sociale #transition_alimentaire #droit_à_l'alimentation #restauration_collective #politiques_publiques #allocation #santé_publique #sécurité_sociale_alimentaire

    • Vers une sécurité sociale de l’alimentation

      Le projet de sécurité sociale de l’alimentation, porté depuis plus de dix ans par un collectif d’associations et de chercheurs.ses, tente d’étendre le principe de la sécurité sociale d’après-guerre au droit à l’alimentation.
      La séance de l’Université des Savoirs Associatifs organisée par le CAC le 12 octobre prochain permettra de faire un état des lieux de ce projet et en savoir plus sur les expérimentations de caisse locale de sécurité sociale de l’alimentation (SSA). Échange avec Dominique Paturel, chercheuse à l’INRAE et membre du collectif pour une SSA et Maxime Scaduto de la caisse SSA de Strasbourg.

      Le projet de sécurité sociale de l’alimentation, porté depuis plus de dix ans par un collectif d’associations et de chercheurs.ses, tente d’étendre le principe de la sécurité sociale d’après-guerre au droit à l’alimentation.

      En s’appuyant sur une économie redistributive et un modèle qui s’extrait de l’économie dictée par le marché, il nourrit notre réflexion sur la « démarchandisation » du monde associatif que nous portons au sein de l’observatoire citoyen de la marchandisation des associations.

      Il est une des pistes que nous explorons dans une volonté de repenser les modalités de subventions des associations, pour les dégager de la commande publique et des jeux politiques, redonner du pouvoir citoyen sur leur attribution et répartition, pour repenser un modèle de financement appuyé sur la co-construction et non la contractualisation.

      "Créons une sécurité sociale de l’alimentation pour enrayer le faim". Les signataires de la tribune publiée dans Reporterre en 2020, pendant la période du Covid, nous alertent : "en France, nous peinons aujourd’hui encore à mettre à l’abri de la faim, y compris en dehors de toute période de crise, alors que c’est du « droit à l’alimentation » dont il devrait être question dans une démocratie". Et ils nous proposent un mode d’emploi des "caisses locales de conventionnement" à l’instar des caisses de la sécurité sociale.

      La Confédération Paysanne nous rappelle les 3 principes d’une SSA : l’universalité, le financement par la cotisation et le conventionnement démocratique.

      La Sécurité sociale de l’alimentation

      Cherche à répondre aux enjeux de sortie d’un modèle agro-industriel qui nous amène dans le mur en terme de sécurité alimentaire, d’écologie, de biodiversité et d’accès à une alimentation de qualité pour toutes et tous,
      Remplacerait le système actuel d’aide alimentaire qui est à revoir de fond en comble puisqu’il se base actuellement sur le système productiviste du secteur agro-industriel afin de lui permettre d’écouler ces stocks,
      Sortirait les personnes pauvres d’une assignation à l’aide alimentaire qui, comme le démontre très bien Bénédicte Bonzi dans son livre, « Faim de droits », contient de la violence tant pour les bénévoles que les personnes bénéficiaires sommées de se nourrir avec ce qui est rejeté par le système agro-industriel dans un pays où la nourriture existe en abondance.
      Interroge la question du droit à une alimentation de qualité pour une part non négligeable de la population puisqu’on estime aujourd’hui que 7 millions de personnes sont en situation de précarité alimentaire, soit une augmentation de 15 à 20 % par rapport à 2019. Un chiffre sous-estimé par rapport aux besoins réels, la demande d’aide alimentaire restant une démarche souvent difficile ou mal connue.

      Le système actuel d’aide alimentaire est en outre encadré par tout un ensemble de contrôle qui n’est pas sans rappeler celui qui entoure les chômeurs, comme s’il fallait, en quelque sorte, infliger une double peine aux personnes en situation de précarité.

      La séance de l’Université des Savoirs Associatifs organisée par le CAC le 12 octobre prochain (en présentiel ou en visio) permettra de faire un état des lieux de ce projet, d’en savoir plus sur les expérimentations de caisse locale de sécurité sociale de l’alimentation et en particulier celle de Strasbourg. Nous échangerons avec Dominique Paturel, chercheuse à l’Inrae et membre du collectif pour une sécurité sociale de l’alimentation et Maxime Scaduto de la caisse de sécurité sociale de l’alimentation de Strasbourg.

      Encore des patates !? (https://www.civam.org/ressources/reseau-civam/type-de-document/magazine-presse/bande-dessinee-encore-des-patates-pour-une-securite-sociale-de-lalimentation) est une bande dessinée pédagogique qui, à l’aide d’annexes, présente les enjeux et les bases de la réflexion à l’origine du projet de Sécurité sociale de l’alimentation.

      https://blogs.mediapart.fr/collectif-des-associations-citoyennes/blog/260923/vers-une-securite-sociale-de-lalimentation

      #sécurité_sociale_de_l'alimentation

    • « Encore des patates ?! » Pour une sécurité sociale de l’alimentation

      Grâce au dessin de Claire Robert, le collectif SSA a élaboré un outil pédagogique pour découvrir le projet de sécurité sociale de l’alimentation : une bande dessinée !

      Humoristique et agréable, cette bande dessiné est également enrichies d’annexes qui apportent de nombreux éléments sur les enjeux agricoles et alimentaires, le fonctionnement du régime général de sécurité sociale entre 1946 et 1967 et les bases sur lesquelles s’ancrent la réflexion du projet de sécurité sociale de l’alimentation.

      Cette bande dessinée est un moyen de vous faire partager nos constats d’indignation et d’espoir… et de vous inviter à partager les vôtres, à se rassembler, et peut être demain, reprendre tous ensemble le pouvoir de décider de notre alimentation !

      https://www.civam.org/ressources/reseau-civam/type-de-document/magazine-presse/bande-dessinee-encore-des-patates-pour-une-securite-sociale-de-lalimentation

      #BD #bande_dessinée

  • Grâce à la #Grande_muraille_verte, une meilleure qualité de vie dans le #Sahel ?
    https://theconversation.com/grace-a-la-grande-muraille-verte-une-meilleure-qualite-de-vie-dans-

    Appelée « Grande muraille verte » (GMV), le projet a été lancé en 2007 dans le but de planter une ceinture d’arbres et d’arbustes de 15 km de large qui s’étendrait de la côte du Sénégal sur l’Atlantique à Djibouti sur la Corne de l’Afrique. Ces nouveaux écrins de #verdure devaient ainsi générer des emplois saisonniers et favoriser les #rendements et la #biodiversité.

    Des débuts poussifs
    La GMV a vu le jour il y a désormais plus de 15 ans. En 2020, une évaluation réalisée par des experts indépendants mandatés par les Nations unies indiquait que l’objectif de #restauration (de 100 millions d’hectares) n’avait été atteint qu’à hauteur de 4 %. Elle atteindrait 20 % de ces objectifs selon les estimations les plus optimistes, probablement largement fondées sur des déclarations des récipiendaires de l’aide et non sur des estimations fiables.

    Le projet a alors tenté de renouer avec l’élan de ses débuts en bénéficiant d’une couverture médiatique importante lors du One Planet Summit de janvier 2021. Pas moins de 11 milliards d’euros de financement supplémentaire ont ainsi été promis par des banques de développements et des bailleurs de fonds bilatéraux (dont la France pour 600 millions via l’AFD) afin de poursuivre l’effort de reboisement. Ces promesses des bailleurs sont souvent en décalage avec les besoins du terrain et ne cherchent pas à améliorer la qualité de la mise en œuvre pourtant plus complexe qu’elle n’y paraît, au risque de passer pour une opération de communication.

    Une évaluation complexe
    Malgré cette seconde chance, la dernière édition du Global Land Outlook de la Convention des Nations unies sur la lutte contre la désertification, publiée en mai 2022, ne révèle pas davantage d’amélioration.

    L’exercice de suivi est également rendu compliqué par la multiplicité des donateurs et parties prenantes impliqués dans l’initiative. L’instauration récente de l’Accélérateur de la #GMV devrait contribuer à mieux évaluer les progrès de reboisement réalisés par rapport aux objectifs et surmonter les nombreux défis, comme le faible taux de survie des arbres plantés, ou les effets négatifs indésirables.

    La disponibilité de données sur la localisation des projets de restauration pourrait toutefois permettre une évaluation beaucoup plus fiable, vu la grande quantité de données historiques permises aujourd’hui par les technologies de télédétection (#imagerie_satellite).

  • À #Volvic, #Danone pompe malgré la #pénurie d’#eau

    Dans le #Puy-de-Dôme, les habitants sont priés de réduire leur consommation en eau potable. Des #restrictions auxquelles échappe la #Société_des_eaux_de_Volvic, propriété de Danone.

    En mai, ferme les robinets. Depuis la semaine dernière, quarante-quatre communes du Puy-de-Dôme sont visées par un #arrêté_préfectoral de restriction sur l’eau potable « pour éviter les risques de #pénuries ». Au nord de Clermont-Ferrand, interdiction jusqu’à fin juin de laver sa voiture, remplir une piscine et arroser son jardin entre 10 et 18 heures. Les entreprises du territoire sont également tenues de diminuer d’un quart leurs prélèvements sur le réseau.

    C’est la conséquence d’une #sécheresse_hivernale durable et de la chute du débit de la source principale du secteur, le #Goulet, sur la commune de Volvic. Pourtant, la Société des eaux de Volvic (#SEV), filiale de Danone, qui embouteille plus d’un quart de l’eau de la #nappe_souterraine, n’est, elle, pas concernée par ces restrictions. La raison ? « Les activités de Volvic n’ont pas d’impact » sur le réseau d’eau potable car elles sont « effectuées en aval de la source », explique l’entreprise. C’est même « en solidarité avec les acteurs du territoire » que la SEV applique d’elle-même « une baisse 5 % de ses autorisations de prélèvements ».

    Restriction symbolique

    Est-ce là une belle « contribution à l’effort collectif » de la part d’une entreprise qui exporte des pleins camions de bouteilles en plastique et revend une ressource souterraine commune 100 à 300 fois plus cher que l’eau du robinet ? Pas vraiment. La SEV se borne en fait à appliquer des mesures qu’elle a elle-même établies dans son #plan_d’utilisation_rationnelle_de_l’eau (#PURE). Ce document, non rendu public, a été cosigné entre la SEV et la préfecture en septembre 2021 et engage l’entreprise à réduire son niveau maximum de #prélèvement mensuel autorisé en cas d’alerte #sécheresse.

    Un engagement jugé « ridicule » par Marc Saumureau, président de la Frane, association environnementale auvergnate. « La SEV a perdu des marchés, notamment au Japon, et ne produit déjà plus depuis longtemps au maximum autorisé », assure-t-il. Des éléments confirmés par une commission d’enquête parlementaire de 2021 sur la mainmise des intérêts privés sur l’eau. Celle-ci relevait qu’à Volvic, les volumes réellement utilisés sont « en nette baisse » depuis 2017 jusqu’à tomber à moins de 84 % des 2,79 millions de mètres cubes, la limite autorisée. Dès lors, abaisser ce maximum, même de 10 %, ne change pas grand-chose à la réalité du pompage quotidien.

    Des phénomènes d’interférence

    Si Danone peut s’exonérer des obligations touchant les autres industriels — contraints, eux, de baisser de 25 % leurs prélèvements par la préfecture — c’est qu’elle sépare la nappe de Volvic en deux masses d’eau distinctes : les #eaux_de_surface, qui alimentent le réseau d’eau potable avec lequel Danone estime n’avoir rien à voir, et la #nappe_profonde, là où l’entreprise exploite le filon liquide. Si, de fait, les relations hydrologiques entre les deux zones ne sont pas pleinement établies, cela ne veut pas dire qu’elles ne sont pas étanches. Mais l’hydrosystème de la nappe est « encore mal connu », selon la commission d’enquête parlementaire, ce qui ne permet pas de conclure.

    Début 2023, la publication d’une thèse de l’École des Mines, publiée une dizaine d’années après avoir été terminée, relevait « des phénomènes d’interférence entre le #pompage des #forages_d’eau_minérale et la galerie du Goulet dans laquelle est puisée l’eau potable ». Mais de préciser que : « L’impact de ces pompages [en profondeur] sur le débit de la galerie est très faible ». La préfecture a bien lancé sa propre étude d’hydrogéologie, mais les résultats ne seront connus que d’ici une à plusieurs années.

    « C’est la même eau ! » assure, de son côté, Jacky Massy, le président de l’association Preva qui se bat depuis 2018 pour une gestion durable de l’eau dans la région. Pour lui, le lien entre l’abaissement des niveaux d’eaux de surface et l’activité de Danone est évident : « Ils exploitent durement la nappe, jusqu’à dépasser sa capacité de régénération ».

    « Ne pas focaliser sur Volvic »

    Et si la SEV échappe aux contraintes, selon ce militant, c’est en raison de son poids économique local : 900 salariés et 200 intérimaires et sous-traitants. Mais aussi parce que nationalement, « plusieurs proches de Macron ont travaillé pour Danone », accuse Jacky Massy. Plus nuancée, Isabelle Aledo-Piedpremier, présidente de France Nature Environnement 63 (FNE), convient que l’on puisse « s’interroger » sur ce lien, même si pour elle il ne faut « pas focaliser sur Volvic, c’est toute la région qui manque d’eau ».

    Les tensions sur les usages industriels de l’eau ne sont pas nouvelles. En 2019, le préfet du Puy-de-Dôme avait pris un arrêté-cadre sécheresse qui exonérait l’ensemble des industriels des mesures d’économie. Une décision attaquée en justice par FNE 63, UFC Que Choisir et trois autres associations. La justice n’a pas encore statué, demandant des expertises complémentaires.

    Reste qu’en attendant d’en savoir plus sur les interactions entre les couches souterraines, Danone continue pour l’heure à produire presque comme si de rien n’était. Au même moment, dans les Vosges, le groupe Nestlé vient d’annoncer qu’il suspendait l’exploitation de deux de ses forages en raison des conditions climatiques qui se détériorent.

    https://reporterre.net/A-Volvic-Danone-pompe-malgre-la-penurie-d-eau

    #eau_en_bouteilles #eau_potable