• Viaggio sulle tracce che le Olimpiadi di Torino 2006 hanno lasciato tra le valli piemontesi: un racconto fotografico che porta a riflettere su Milano Cortina 2026

    Il cicloviaggiatore #Michele_Filippucci ha esplorato e fotografato l’alta val di Susa e la val Chisone per documentare gli effetti delle Olimpiadi di Torino 2006 sulle valli accanto alle quali è cresciuto. Un racconto che si sviluppa per immagini e ci spinge a riflettere sui Giochi di Milano Cortina 2026

    https://www.ildolomiti.it/altra-montagna/sport/2024/viaggio-sulle-tracce-che-le-olimpiadi-di-torino-2006-hanno-lasciato-tra-l

    #traces #JO #jeux_olympiques #montagne #Turin #2006 #paysage #photographie

  • La Corte europea condanna l’Italia a pagare per i maltrattamenti ai migranti : costretti a denudarsi, privati della libertà e malnutriti

    La causa avviata da quattro esuli sudanesi: dovranno ricevere in tutto 36 mila euro dallo Stato

    VENTIMIGLIA. Spogliati «senza alcuna ragione convincente». Maltrattati e «arbitrariamente privati della libertà». Ecco perché, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire quattro migranti sudanesi con cifre che vanno dagli 8 ai diecimila euro ciascuno. La sentenza della prima sezione della Corte (presieduta da Marko Bošnjak) è datata 16 novembre, ma riguarda episodi accaduti nell’estate del 2016. Dopo aver avviato le pratiche per far attribuire ai loro clienti lo status di rifugiato, nel febbraio 2017 gli avvocati (Nicoletta Masuelli, Gianluca Vitale e Donatella Bava, tutti di Torino) avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Strasburgo.
    I quattro erano arrivati in Italia in momenti diversi: due «in un giorno imprecisato di luglio» del 2016 a Cagliari, un altro il 14 luglio a Reggio Calabria, uno il 6 agosto sempre a Reggio Calabria e l’ultimo l’8 agosto «in un luogo imprecisato della costa siciliana». Il più giovane ha 30 anni, il più vecchio 43.

    In comune, i quattro hanno che sono stati tutti trasferiti nello stesso centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa a Ventimiglia. Sono stati «costretti a salire su un furgone della polizia», trasportati in una caserma dove sono stati «perquisiti», obbligati a consegnare «i telefoni, i lacci delle scarpe e le cinture» e poi «è stato chiesto loro di spogliarsi». Sono rimasti nudi dieci minuti, in attesa che gli agenti rilevassero le loro impronte digitali.
    Concluse le procedure, la polizia ha fatto salire i quattro (assieme a una ventina di connazionali) su un pullman. Destinazione: l’hotspot di Taranto. Secondo quanto ricostruito nella sentenza, i migranti sono stati «costretti a rimanere seduti per l’intero viaggio» e potevano andare in bagno soltanto scortati e lasciando la porta spalancata, rimanendo «esposti alla vista degli agenti e degli altri migranti».
    Il 23 agosto, i quattro (con un gruppo di compatrioti) sono risaliti su un pullman diretti a Ventimiglia, dove hanno incontrato un rappresentante del governo sudanese che li ha riconosciuti come cittadini del suo Paese. A quel punto, è stata avviata la procedura per il rimpatrio. In aereo, dall’aeroporto di Torino Caselle. Ma sul velivolo c’era posto soltanto per sette migranti, così il questore aveva firmato un provvedimento di trattenimento e i quattro sono stati accompagnati al Centro di identificazione ed espulsione di Torino.
    Uno, però, è stato prelevato pochi giorni dopo dalla polizia. Per lui, era pronto un posto sull’aereo per il rimpatrio. Lui non voleva, arrivato a bordo ha incominciato a dare in escandescenze assieme a un altro migrante finché il comandante del velivolo ha deciso di chiedere alla polizia di farli sbarcare entrambi, per problemi di sicurezza. Appena rientrato al Cie, l’uomo ha ribadito la sua intenzione di ottenere la protezione internazionale. Lo stesso hanno fatto gli altri tre. Tutti hanno ottenuto lo status di rifugiato.

    La sentenza della Corte condanna l’Italia a pagare per varie violazioni. Una riguarda «la procedura di spogliazione forzata da parte della polizia», che «può costituire una misura talmente invasiva e potenzialmente degradante da non poter essere applicata senza un motivo imperativo». E per i giudici di Strasburgo «il governo non ha fornito alcuna ragione convincente» per giustificare quel comportamento. Poi, ci sono le accuse dei quattro di essere rimasti senz’acqua e cibo nel trasferimento Ventimiglia-Taranto e ritorno. Il governo aveva ribattuto fornendo «le copie delle richieste della questura di Imperia a una società di catering», che però «riguardavano altri migranti». Per la Corte, quella situazione «esaminata nel contesto generale degli eventi era chiaramente di natura tale da provocare stress mentale». E ancora, le condizioni vissute in quei giorni «hanno causato ai ricorrenti un notevole disagio e un sentimento di umiliazione a un livello tale da equivalere a un trattamento degradante», vietato dalla legge. I giudici di Strasburgo ritengono, poi, che i quattro siano «stati arbitrariamente privati della libertà», pur se in una situazione di «vuoto legislativo dovuto alla mancanza di una normativa specifica in materia di hotspot», già denunciata nel 2016 dal garante nazionale dei detenuti.

    Per la Corte, ce n’è abbastanza per condannate l’Italia a risarcire i quattro: uno dovrà ricevere 8 mila euro, un altro 9 mila e altri due diecimila «a titolo di danno morale».

    https://www.lastampa.it/cronaca/2023/11/18/news/litalia_condannata_a_pagare_per_i_maltrattamenti_ai_migranti-13871399

    Le périple des 4 Soudanais en résumé :
    – 4 personnes concernées, ressortissants soudanais
    – 2 arrivés à Cagliari en juillet 2016, un le 14 juillet à Reggio Calabria, un le 16 août 2016
    – Transfert des 4 au centre d’accueil de la Croix-Rouge à Vintimille avec un fourgon de la police —> dénudés, humiliés
    – Transfert (avec 20 autres) vers l’hotspot de Taranto
    – 23 août —> transfert à Vintimille par bus, RV avec un représentant du gouvernement soudanais qui a reconnu leur nationalité soudanaise, début procédure de renvoi vers Soudan en avion
    – Transfert à l’aéroport de Torino Caselle, mais pas de place pour les 4 dans l’avion
    – Transfert au centre de rétention de Turin
    – Personne ne part, les 4 arrivent à demander l’asile et obtenir le statut de réfugié
    – Novembre 2023 : Italie condamnée par la Cour européenne des droits de l’homme

    #justice #condamnation #Italie #frontières #frontière_sud-alpine #CEDH #cour_européenne_des_droits_de_l'homme #mauvais_traitements #privation_de_liberté #nudité #violences_policières #Taranto #hotspot #CPR #rétention #détention_administrative #réfugiés_soudanais #Turin #migrerrance #humiliation

    voir aussi ce fil de discussion sur les transferts frontière_sud-alpine - hotspot de Taranto :
    Migranti come (costosi) pacchi postali


    https://seenthis.net/messages/613202

    • Denudati, maltrattati e privati della libertà: la CEDU condanna nuovamente l’Italia

      Le persone migranti denunciarono i rastrellamenti avvenuti a Ventimiglia nell’estate 2016

      La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) ha nuovamente condannato l’Italia a risarcire con un totale di 27mila euro (più 4.000 euro di costi e spese legali) quattro cittadini sudanesi per averli denudati, maltrattati e privati della libertà nell’estate 2016 durante le cosiddette operazioni per “alleggerire la pressione alla frontiera” di Ventimiglia, quando centinaia di persone migranti venivano coattivamente trasferite negli hotspot del sud Italia 1 e, in alcuni casi, trasferiti nei CIE e quindi rimpatriati nel paese di origine 2.

      C’è da dire che la Corte avrebbe potuto condannare l’Italia con maggiore severità, soprattutto per quanto riguarda le deportazioni in un paese non sicuro come il Sudan. Tuttavia, si tratta dell’ennesima conferma che l’Italia nega i diritti fondamentali alle persone migranti e che i governi portano avanti operazioni nei quali gli abusi e i maltrattamenti delle forze dell’ordine non sono delle eccezioni o degli eccessi di un singolo agente, ma qualcosa di strutturale e quindi sistemico. E quando queste violazioni sono denunciate, nemmeno vengono condotte indagini per fare luce sulle responsabilità e indagare i colpevoli.

      La sentenza della CEDU pubblicata il 16 novembre 3 riguarda nove cittadini sudanesi arrivati in Italia nell’estate del 2016 i quali hanno denunciato diversi abusi subiti dalle autorità italiane, un tentativo di rimpatrio forzato e uno portato a termine.

      Nel primo caso i ricorrenti hanno avanzato denunce in merito al loro arresto, trasporto e detenzione in Italia, uno di loro ha anche affermato di essere stato maltrattato.

      I quattro ricorrenti del primo caso hanno ottenuto la protezione internazionale, mentre i cinque ricorrenti del secondo caso hanno affermato di aver fatto parte di un gruppo di 40 persone migranti che erano state espulse subito dopo il loro arrivo in Italia.

      Le persone sono state difese dall’avv. Gianluca Vitale e dell’avv.te Nicoletta Masuelli e Donatella Bava, tutte del foro di Torino.
      I fatti riportati nella sintesi

      I quattro ricorrenti nel primo caso sono nati tra il 1980 e il 1994. Vivono tutti a Torino, tranne uno che vive in Germania. I ricorrenti nel secondo caso sono nati tra il 1989 e il 1996. Uno vive in Egitto, uno in Niger e tre in Sudan.

      Tutti e nove i richiedenti sono arrivati in Italia nell’estate del 2016. I primi quattro hanno raggiunto le coste italiane in barca, mentre gli altri cinque sono stati salvati in mare dalla Marina italiana. Alcuni sono transitati attraverso vari hotspot e tutti sono finiti a Ventimiglia presso il centro della Croce Rossa.

      Secondo i ricorrenti nel primo caso, il 17 e il 19 agosto 2016 sono stati arrestati, costretti a salire su un furgone della polizia e portati in quella che hanno capito essere una stazione di polizia. Sono stati perquisiti, è stato chiesto loro di spogliarsi e sono stati lasciati nudi per circa dieci minuti prima che venissero prese le loro impronte digitali.

      Sono stati poi costretti a salire su un autobus, scortati da numerosi agenti di polizia, senza conoscere la loro destinazione e senza ricevere alcun documento sulle ragioni del loro trasferimento o della loro privazione di libertà. In seguito hanno scoperto di essere stati trasferiti da Ventimiglia all’hotspot di Taranto.

      Nell’hotspot di Taranto, dal quale non avrebbero potuto uscire, sostengono di aver ricevuto un provvedimento di respingimento il 22 agosto 2016. Il giorno successivo sono stati riportati a Ventimiglia in autobus.

      Secondo i ricorrenti, le condizioni all’hotspot erano difficili come lo erano durante ciascuno dei trasferimenti in autobus durati 15 ore. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e minacce, senza cibo o acqua sufficienti in piena estate.

      Sostengono di non aver incontrato un avvocato o un giudice durante quel periodo e di non aver capito cosa stesse succedendo. Il 24 agosto 2016 sono stati trasferiti da Ventimiglia all’aeroporto di Torino per essere imbarcati su un volo per il Sudan. Poiché non c’erano abbastanza posti sull’aereo, il loro trasferimento è stato posticipato. Sono stati quindi trasferiti al CIE (Centro di identificazione ed espulsione) di Torino e il Questore ha emesso per ciascuno di loro un provvedimento di trattenimento.

      Uno dei ricorrenti (T.B.) sostiene che le autorità hanno tentato di espellerlo nuovamente il 1° settembre 2016. Ha protestato e la polizia lo ha colpito al volto e allo stomaco. Lo hanno poi costretto a salire sull’aereo e lo hanno legato. Tuttavia, il pilota si è rifiutato di decollare a causa del suo stato di agitazione. È stato riportato al CIE di Torino.

      Tutti e quattro i richiedenti hanno ottenuto la protezione internazionale, essenzialmente sulla base della loro storia personale in Sudan e del conseguente rischio di vita in caso di rimpatrio.

      Secondo i ricorrenti del secondo caso, invece, non sono mai stati informati in nessun momento della possibilità di chiedere protezione internazionale. Sostengono inoltre di aver fatto parte di un gruppo di circa 40 migranti per i quali è stato trovato posto sul volo in partenza il 24 agosto 2016 e di essere stati rimpatriati a Khartoum lo stesso giorno.

      Il governo italiano ha contestato tale affermazione, sostenendo che i ricorrenti non sono mai stati sul territorio italiano. Hanno fornito alla Corte le fotografie identificative delle persone rimpatriate in Sudan il 24 agosto 2016, sostenendo che non presentavano una stretta somiglianza con i ricorrenti. Ha sostenuto inoltre che i nomi delle persone allontanate non corrispondevano a quelli dei ricorrenti. In considerazione del disaccordo delle parti, la Corte ha nominato un esperto di comparazione facciale della polizia belga (articolo A1, paragrafi 1 e 2, del Regolamento della Corte – atti istruttori) che, il 5 ottobre 2022, ha presentato una relazione per valutare se le persone rappresentate nelle fotografie e nei filmati forniti dai rappresentanti dei ricorrenti corrispondessero a quelle raffigurate nelle fotografie identificative presentate dal Governo.

      Il rapporto ha concluso, per quanto riguarda uno dei ricorrenti nel caso, W.A., che i due individui raffigurati in tali fonti corrispondevano al massimo livello di affidabilità. Per quanto riguarda gli altri quattro richiedenti, non vi era alcuna corrispondenza affidabile.
      La decisione della Corte

      Le sentenze sono state emesse da una Camera di sette giudici, composta da: Marko Bošnjak (Slovenia), Presidente, Alena Poláčková (Slovacchia), Krzysztof Wojtyczek (Polonia), Péter Paczolay (Ungheria), Ivana Jelić (Montenegro), Erik Wennerström (Svezia), Raffaele Sabato (Italia), e anche Liv Tigerstedt, Vice Cancelliere di Sezione.

      La Corte, ha ritenuto, all’unanimità, che vi è stata:

      1) una violazione dell’articolo 3 per quanto riguarda l’assenza di una ragione sufficientemente convincente per giustificare il fatto che i ricorrenti siano stati lasciati nudi insieme a molti altri migranti, senza privacy e sorvegliati dalla polizia e le condizioni dei loro successivi trasferimenti in autobus da e verso un hotspot, sotto il costante controllo della polizia, senza sapere dove stessero andando;

      2) una violazione dell’articolo 3, in quanto non è stata svolta alcuna indagine in merito alle accuse del ricorrente di essere stato picchiato da agenti di polizia durante un tentativo di rimpatrio;

      3) la violazione dell’articolo 5, paragrafi 1, 2 e 4 (diritto alla libertà e alla sicurezza) per quanto riguarda tre dei quattro ricorrenti in relazione al loro fermo, trasporto e detenzione arbitrari.

      La Corte ha stabilito che l’Italia deve pagare ai ricorrenti nel caso A.E. e T.B. contro Italia 27.000 euro per danni morali e 4.000 euro, congiuntamente, per costi e spese.

      In particolare:

      Per quanto riguarda i restanti reclami dei ricorrenti in A.E. e T.B. contro l’Italia, la Corte ha riscontrato che le condizioni del loro arresto e del trasferimento in autobus, considerate nel loro insieme, devono aver causato un notevole disagio e umiliazione, equivalenti a un trattamento degradante, in violazione dell’Articolo 3.

      Inoltre, i successivi lunghi trasferimenti in autobus dei ricorrenti sono avvenuti in un breve lasso di tempo e in un periodo dell’anno molto caldo, senza cibo o acqua sufficienti e senza che sapessero dove erano diretti o perché. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e di minacce. Queste condizioni, nel complesso, devono essere state fonte di angoscia.

      Infine, la Corte ha riscontrato una violazione dell’Articolo 3 per quanto riguarda il richiedente (T.B.) che ha affermato di essere stato picchiato durante un altro tentativo di allontanamento. Due degli altri richiedenti hanno confermato il suo racconto durante i colloqui relativi alle loro richieste di protezione internazionale; uno ha dichiarato in particolare di aver visto un altro migrante che veniva riportato dalla polizia dall’aeroporto con il volto tumefatto. Anche se T.B. aveva detto, durante un colloquio con le autorità, di essere in grado di identificare i tre agenti di polizia responsabili dei suoi maltrattamenti, non è stata condotta alcuna indagine.

      La Corte ha notato che il Governo le aveva fornito una copia di un’ordinanza di refusal-of-entry nei confronti di uno dei richiedenti, A.E., datata 1 agosto 2016, e la Corte ha quindi dichiarato inammissibile il suo reclamo sulla sua detenzione. D’altra parte, ha rilevato che gli altri tre ricorrenti nel caso, ai quali non erano stati notificati ordini di refusal-of-entry fino al 22 agosto 2016, erano stati arrestati e trasferiti senza alcuna documentazione e senza che potessero lasciare l’hotspot di Taranto. Ciò ha comportato una privazione arbitraria della loro libertà, in violazione dell’Articolo 5 § 1.

      Inoltre, era assente una legislazione chiara e accessibile relativa agli hotspot e la Corte non ha avuto alcuna prova di come le autorità avrebbero potuto informare i richiedenti delle ragioni legali della loro privazione di libertà o dare loro l’opportunità di contestare in tribunale i motivi della loro detenzione de facto.

      La Corte ha però respinto come inammissibili tutti i reclami dei nove ricorrenti, tranne uno, in merito al fatto che le autorità italiane non avevano preso in considerazione il rischio di trattamenti inumani se fossero stati rimpatriati in Sudan. In A.E. e T.B. contro Italia, i richiedenti, che avevano ottenuto la protezione internazionale, non erano più a rischio di deportazione e non potevano quindi affermare di essere vittime di una violazione dell’Articolo 3. In W.A. e altri c. Italia, la Corte ha ritenuto che quattro dei cinque ricorrenti, per i quali il rapporto della polizia belga del 2022 non aveva stabilito una corrispondenza affidabile tra le fotografie fornite dalle parti, non avessero sufficientemente motivato i loro reclami.

      La Corte ha dichiarato ammissibile il reclamo del ricorrente, W.A.. Ha osservato che i documenti disponibili erano sufficienti per concludere che si trattava di una delle persone indicate nelle fotografie identificative fornite dal Governo. Ha quindi ritenuto che fosse tra i cittadini sudanesi allontanati in Sudan il 24 agosto 2016. Tuttavia, la Corte ha continuato a ritenere che non vi fosse stata alcuna violazione dell’Articolo 3 nel caso di W.A. .

      In particolare, ha notato che c’erano state delle imprecisioni nel suo modulo di richiesta alla Corte e che, sebbene fosse stato assistito da un avvocato in diversi momenti della procedura di espulsione, aveva esplicitamente dichiarato di non voler chiedere la protezione internazionale e di essere semplicemente in transito in Italia. Inoltre, a differenza dei richiedenti nel caso A.E. e T.B. contro l’Italia, che avevano ottenuto la protezione internazionale sulla base delle loro esperienze personali, W.A. aveva sostenuto di appartenere a una tribù perseguitata dal Governo sudanese solo dopo aver presentato la domanda alla Corte europea. Questa informazione non era quindi disponibile per le autorità italiane al momento rilevante e la Corte ha concluso che il Governo italiano non ha violato il suo dovere di fornire garanzie effettive per proteggere W.A. dal respingimento arbitrario nel suo Paese d’origine.

      – Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot, di Francesco Ferri (https://www.meltingpot.org/2016/08/guerra-al-desiderio-migrante-deportazioni-da-ventimiglia-e-como-verso-gl) – 17 agosto 2026
      – Rimpatrio forzato dei cittadini sudanesi: l’Italia ha violato i diritti. Rapporto giuridico sul memorandum d’intesa Italia-Sudan a cura della Clinica Dipartimento di Giurisprudenza di Torino (https://www.meltingpot.org/2017/10/rimpatrio-forzato-dei-cittadini-sudanesi-litalia-ha-violato-i-diritti-um) – 31 ottobre 2017.
      - The cases of A.E. and T.B. v. Italy (application nos. 18911/17, 18941/17, and 18959/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228836) and W.A. and Others v. Italy (no. 18787/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228835)

      https://www.meltingpot.org/2023/11/denudati-maltrattati-e-privati-della-liberta-la-cedu-condanna-nuovamente

  • «Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri»
    https://www.meltingpot.org/2023/11/trattenuti-una-radiografia-del-sistema-detentivo-per-stranieri

    Un sistema inumano e costoso, inefficace e ingovernabile, che negli anni ha ottenuto un solo risultato evidente: divenire lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 rappresentano quasi il 50% delle persone in ingresso in un Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) e quasi il 70% dei rimpatri. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18% degli arrivi via mare nel 2018-2023. Quasi il 70% dei rimpatri dai CPR è di soli cittadini tunisini. Sono questi i tratti caratteristici del sistema dei CPR raccolti nel report “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per (...)

  • Italie, septembre 1920 : l’occupation des usines
    https://www.lutte-ouvriere.org/publications/brochures/italie-septembre-1920-loccupation-des-usines-159715.html

    Ce texte est la traduction d’une brochure éditée en Italie en septembre 2020 par le groupe l’Internazionale (Union communiste internationaliste)

    SOMMAIRE

    Le mouvement socialiste
    – La diffusion des idées socialistes
    – Le #socialisme en #Italie

    La #guerre et la crise de la #Deuxième_Internationale
    – La guerre et les socialistes
    – Un coup totalement inattendu  ?

    La ville de l’industrie et de la lutte des classes
    #Turin, ville ouvrière d’avant-garde

    Le développement des luttes et des organisations ouvrières
    – La croissance des #syndicats et du #Parti_socialiste après la guerre
    – Vers l’occupation des usines
    – Trois faits importants

    L’occupation des usines
    – Le début
    – Les travailleurs s’organisent
    – Les dirigeants réformistes retrouvent l’initiative
    – La révolution mise aux voix
    – Vers la fin

    Les prémisses de la révolution
    – Les conditions d’une #révolution_prolétarienne étaient-elles réunies  ?
    – Une crise profonde
    – Que signifie qu’il manquait un #parti_révolutionnaire  ?
    – Ce qui manqua concrètement
    – La révolution, il faut «  la vouloir faire  »

  • 17 et 18 juin : rdv en Maurienne contre le projet Lyon-Turin
    https://ricochets.cc/17-et-18-juin-rdv-en-Maurienne-contre-le-projet-Lyon-Turin.html

    [VIDÉO 🎥 🎥] « Depuis des dizaines d’années, des deux côtés des Alpes, en France comme en Italie, collectifs et associations se mobilisent pour qu’un projet pharaonique, #inutile et désastreux ne voie jamais le bout du tunnel. Ce projet, c’est la seconde ligne ferroviaire #Lyon-#Turin : 30 milliards d’euros pour 270 km de #dévastation, en surface et à travers de multiples galeries sous la montagne. Le tunnel transfrontalier représente à lui seul 2 tubes de 57,5 km chacun. Les conséquences ? 1500 hectares de (...) #Les_Articles

    / #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, #transport

    https://lundi.am/17-et-18-juin-soulevement-de-la-Maurienne-contre-le-projet-Lyon-Turin
    https://ricochets.cc/IMG/distant/html/A6j8unxb0xs-a76b-2ed6624.html

  • Migranti, i sindaci delle grandi città contro il governo: «Scelte sbagliate che ledono i diritti: non si cancelli la protezione speciale»

    I sindaci delle maggiori città italiane (di centrosinistra) di nuovo contro il governo Meloni. Oggetto della discussione, ma anche (e soprattutto) di preoccupazione: la gestione dell’immigrazione, in particolare, il sistema di accoglienza e la cancellazione della protezione speciale per i migranti. «Come sindaci, come amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia», si legge in un documento congiunto sul decreto Cutro che porta le firme dei sindaci di #Roma, #Roberto_Gualtieri, di #Milano #Beppe_Sala, di #Napoli #Gaetano_Manfredi, di #Torino #Stefano_Lorusso, di #Bologna, #Matteo_Lepore e di #Firenze, #Dario_Nardella. «La preoccupazione delle città – si legge nel documento – è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al DL 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni». Secondo il fronte dei sindaci dem, l’esecutivo non deve «ragionare in ottima emergenziale: è sbagliato immaginare l’esclusione dei richiedenti asilo dal Sai, precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità».

    «No alla cancellazione della #protezione_speciale»

    Sala, Gualtieri, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella non condividono la cancellazione della protezione speciale, confermata anche ieri, sabato 15 aprile, dalla stessa premier Meloni durante il suo viaggio in Etiopia. Per i sindaci delle maggiori città si tratta, infatti, di «una misura presente in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, mentre circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari. Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all’invisibilità», si legge nel documento congiunto. Tutto questo – scrivono i primi cittadini – «mentre il sistema dei Cas, mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica. Insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d’accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti. E in questo quadro occorre ripensare anche il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati cui occorre applicare logiche distributive che evitino la concentrazione nelle sole grandi città», prosegue il documento dei sindaci.

    «Le nostre città sono infatti impegnate già oggi, spesso con sforzi oltre i propri limiti e frequentemente oltre le proprie funzioni e competenze, a porre rimedio con risorse proprie alle manchevolezze di un sistema nazionale adeguato. La soppressione della possibilità di costruire un unico sistema di accoglienza pubblico, trasparente e professionale (come il Sai), garantendo percorsi dignitosi e tutelanti anche per le persone richiedenti protezione internazionale, non può comportare la nascita di nuovi grandi centri di accoglienza o detenzione nei nostri territori. La storia degli ultimi vent’anni di accoglienza in Italia dimostra chiaramente come modelli emergenziali, con standard qualitativi minimi e volti al mero “vitto e alloggio” abbiano procurato ferite enormi nelle nostre comunità e non abbiano garantito diritti esigibili alla popolazione rifugiata. E soprattutto abbiano fallito processi di inclusione efficaci e duraturi», prosegue il documento.

    Le proposte

    Dopo questa lunga premessa, i sindaci dem hanno poi avanzato delle proposte sul tema. «1. Sia rinforzata l’unitarietà del Sistema di Accoglienza italiano, valorizzando l’esperienza virtuosa del Sai, ovvero supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide che i movimenti migratori in ingresso sottopongono ai nostri servizi, ai nostri territori e alle nostre comunità. Con un solo obiettivo: garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele, per tutti», scrivono. «2. Il Sai rimanga accessibile a richiedenti protezione e rifugiati». I primi cittadini chiedono poi che i Cas, ovvero i centri di accoglienza straordinari, vengano trasformati «in hub di prima accoglienza, dedicati alle procedure di identificazione e di screening sanitario per poi procedere a trasferimenti rapidi nel sistema di seconda accoglienza ed inclusione, appunto il Sai».

    Al punto 4, i sei amministratori chiedono inoltre che «vengano ripristinati i criteri di riparto che il Piano nazionale di accoglienza aveva indicato. In assenza di azioni positive mirate o, peggio, con azioni sbagliate, le ricadute saranno infatti l’irregolarità diffusa o lunghi percorsi di ricorsi giudiziari che paralizzeranno le vite di molte persone inabilitandole e rendendole facili prede del lavoro nero, che invece non manca». Infine, «ci auspichiamo – continuano – che ancora una volta l’Italia non si contraddistingua per una regressione relativa al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: da troppi anni questo tema necessita di una riforma importante e strutturale, che miri ad un equilibrio nazionale del sistema di accoglienza imprescindibile dal coinvolgimento dei Comuni e dagli obiettivi di inclusione, protezione e con una diffusione omogenea a livello nazionale. Siamo convinti, insieme ad altre voci autorevoli, che dopo circa vent’anni e anche alla luce di alcuni temi di strutturale cambiamento demografico e sociale non si debba continuare a parlare di emergenza e che proprio in questo momento occorra la lungimiranza di aprire una discussione per scegliere una via legale all’immigrazione e alla regolarizzazione degli immigrati già presenti in Italia, anche attraverso il ricorso allo ius scholae, premessa a comunità solidali, capaci di proporre percorsi di vera emancipazione e autonomia alle persone nel pieno interesse del nostro Paese», concludono i sindaci.

    https://www.open.online/2023/04/16/immigrazione-sindaci-grandi-citta-vs-governo-meloni

    #Italie #villes-refuge #decreto_Cutro #villes #Naples #Turin #Milan #Rome #Florence #Bologne #résistance #protection_spéciale

  • 4 - 11 février 1945, la conférence de Yalta : peur de la révolution et partage du monde

    https://journal.lutte-ouvriere.org/2015/02/18/fevrier-1945-la-conference-de-yalta-peur-de-la-revolution-et

    Du 4 au 11 février 1945, le président américain Roosevelt, le Premier ministre britannique Winston Churchill et le dirigeant de l’URSS Staline se réunissaient à Yalta, en Crimée, alors que la fin de la guerre était proche, pour décider du sort de l’Europe. Ce ne fut qu’une des conférences qui jalonnèrent la guerre, après celle de Téhéran en novembre 1943, et avant celle de Potsdam en juillet 1945, sans compter les multiples rencontres bilatérales, ou tripartites, entre chefs d’État ou ministres. Mais Yalta allait rester le symbole d’un accord de partage du monde.

    L’entente entre ces #Alliés contre l’#Allemagne était une collaboration non seulement pour gagner la guerre, mais aussi pour s’opposer à tout mouvement révolutionnaire. Ils n’avaient pas oublié que de la Première Guerre mondiale était sortie une révolution qui, partie de la Russie en 1917, avait ébranlé le monde.

    Alliés… contre le danger d’explosion révolutionnaire

    Les représentants de l’#impérialisme, en la personne de #Roosevelt et de #Churchill, se méfiaient de #Staline. Il était certes un dictateur, ce qui ne pouvait que les rassurer, à la tête d’un État gangrené par la #bureaucratie dont il était le représentant. Mais cet État était issu d’une révolution ouvrière, celle d’octobre 1917. Et si les travailleurs russes n’avaient plus le pouvoir politique en #URSS, l’économie, elle, restait collectivisée. De ce fait, les représentants américains et anglais de l’impérialisme n’auraient pas vu d’un mauvais œil que l’URSS soit vaincue par Hitler. Mais il n’en fut pas ainsi.

    Roosevelt et Churchill durent donc collaborer avec un allié dont la fidélité ne leur paraissait pas assurée. En réalité, Staline était tout autant qu’eux décidé à éviter l’explosion d’une révolution en Europe. Celle-ci aurait pu secouer la #classe_ouvrière soviétique, lui donner l’envie et la force de renverser le #régime_bureaucratique de Staline. Mais celui-ci n’en dut pas moins prouver aux Alliés impérialistes sa volonté de maintenir l’ordre établi.

    La crainte d’une révolution engendrée par la guerre, la misère et l’instabilité, conséquence de la destruction des appareils d’État, n’était pas seulement fondée sur le souvenir des révolutions passées, mais sur les événements révolutionnaires qui agitaient alors l’Italie et la Grèce.

    Italie, Grèce, Allemagne, la peur de révoltes ouvrières

    En Italie, dès le début du mois de mars 1943, en plein conflit mondial, et alors que #Mussolini était au pouvoir depuis vingt et un ans, une #grève contre la vie chère, partie de l’usine #Fiat de #Turin, s’étendit aux autres villes industrielles, du nord jusqu’au sud du pays. Au total, 300 000 ouvriers firent grève contre les bas salaires, mais aussi et surtout parce qu’ils en avaient assez de la guerre et de la dictature. Cette vague de grèves allait contribuer à l’écroulement du régime de Mussolini, et réveiller l’espoir des opprimés.

    Cette agitation, dans laquelle la classe ouvrière joua un rôle prépondérant, continua après le débarquement des troupes anglo-américaines en juillet 1943, après l’arrestation de Mussolini et la mise en place d’un nouveau régime qui ressemblait beaucoup à l’ancien.

    Un an plus tard, en mars 1944, toute l’Italie du Nord connut de nouveau une vague de grèves qui toucha 1 200 000 travailleurs. Mais le dirigeant du #Parti_communiste_italien (#PCI), #Togliatti, de retour d’URSS, assura les Alliés anglo-américains qu’ils n’avaient rien à craindre. Il déclara que le PCI, loin d’envisager une révolution, apportait son appui à « un gouvernement fort, capable d’organiser l’effort de guerre », et dans lequel il y avait, selon lui, « place pour tous ceux qui veulent se battre pour la liberté de l’Italie ».

    Cela incluait entre autres le roi, compromis jusqu’à la moelle avec le fascisme. Le 22 avril 1944, se constitua un gouvernement d’union nationale reconnaissant l’autorité du roi, avec Togliatti comme vice-président !

    Cette politique d’alliance dans des Fronts de résistance, allant des PC à des partis d’extrême droite et à des forces politiques qui s’étaient déjà compromises au pouvoir, fut appliquée partout.

    En #Grèce, comme en Italie, la population se révoltait contre la guerre et la misère. Mais le Parti communiste, qui avait organisé la résistance à l’occupation allemande, accepta de négocier avec les représentants de la dictature honnie de Metaxas et le roi, qui tous avaient fui en exil à Londres, et fit passer ses milices sous le commandement militaire anglais. Le 12 octobre 1944, les troupes allemandes évacuaient Athènes, et trois jours plus tard, les troupes britanniques y faisaient leur entrée. Début décembre, à l’occasion d’une manifestation à Athènes, Churchill donna pour consignes au commandement britannique de ne pas hésiter « à agir comme si vous vous trouviez dans une ville conquise où se développe une rébellion locale ». Le commandement britannique imposa la loi martiale et continua jusqu’au 5 janvier 1945 à réprimer la population qui se révoltait contre le retour de ces politiciens haïs.

    Au travers des événements en Italie et en Grèce, les Alliés purent vérifier la loyauté de Staline et son soutien total à la mise au pas de la population. Mais le danger révolutionnaire n’était pas écarté pour autant. Plus encore que la Grèce et l’#Italie, c’était la possibilité que les classes ouvrières allemande et japonaise réagissent qui inquiétait les dirigeants américains et anglais, et aussi Staline. Leur politique, initiée par les gouvernements américain et anglais dès 1941, fut de terroriser la population ouvrière, de la disperser, par des #bombardements massifs et systématiques des grandes villes, comme ceux qui, à #Dresde, rasèrent littéralement la ville, du 13 au 15 février 1945.

    La même terreur fut appliquée contre la population au #Japon. En 1945, cent villes furent bombardées et 8 à 10 millions de leurs habitants durent les fuir, avant même les bombes atomiques que les États-Unis allaient larguer sur #Hiroshima et #Nagasaki en août 1945.

    Le partage de l’Europe

    La #conférence_de_Yalta se tint trois mois avant la fin de la guerre, mais les futurs vainqueurs discutaient depuis déjà longtemps des zones d’influence qui leur reviendraient. Ces marchandages, se basant sur les rapports de force militaires existant sur le terrain, n’étaient alors pas favorables aux Occidentaux. L’#armée_soviétique, qui avançait à grands pas en Europe de l’Est, n’était déjà qu’à une centaine de kilomètres de Berlin.

    C’est dans ce contexte que se discuta le sort qui serait fait à l’Allemagne, une fois celle-ci définitivement vaincue. Roosevelt, Churchill et Staline tombèrent vite d’accord pour imposer le démantèlement du pays. L’Allemagne fut divisée en trois zones d’occupation, anglaise au nord-ouest du pays, américaine au sud-ouest, soviétique à l’est, auxquelles s’ajouta une zone d’occupation française prélevée sur les zones occidentales. La capitale, Berlin, fut elle aussi divisée en quatre zones. C’est en fait toute l’Europe qui allait être divisée en une zone contrôlée par l’URSS à l’est, et une autre à l’ouest contrôlée principalement par les États-Unis.

    Une fois le danger de révolution écarté avec certitude, l’entente entre les représentants de l’impérialisme et de la bureaucratie allait vite voler en éclats pour faire place à la #guerre_froide – froide seulement parce qu’elle ne dégénéra pas en guerre mondiale – opposant l’impérialisme américain à l’URSS.

    L’alliance militaire entre les États impérialistes et l’URSS stalinienne pour vaincre les #puissances_de_l’Axe se doubla ainsi d’un accord politique pour empêcher, à la fin de la guerre, toute révolution ouvrière qui aurait pu renverser le système capitaliste. La fin de la boucherie impérialiste ne fut pas celle du système économique qui l’avait engendrée. Soixante-dix ans après, l’humanité entière paye très cher cette survie d’un ordre social qui ne cesse d’engendrer crises, guerres et massacres.

    #éphéméride

  • Postcolonial Italy – Mapping Colonial Heritage
    https://postcolonialitaly.com

    Even though the period of Italian colonial rule is long gone, its material traces hide almost everywhere. Explore cities, their streets, squares, monuments, and find out more about their forgotten connections to colonial history.

    BOLZANO IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/bolzano-imperiale

    CAGLIARI IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/cagliari-imperiale

    FIRENZE IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/firenze-imperiale

    ROMA IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/roma-imperiale

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    TRIESTE IMPERIALE

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    #postcolonial #Florence #Turin #Venise #Rome #Cagliari #colonial #visite_guidee #balade_décoloniale #Italie

  • Postcolonial Italy. Mapping Colonial Heritage

    Even though the period of Italian colonial rule is long gone, its material traces hide almost everywhere. Explore cities, their streets, squares, monuments, and find out more about their forgotten connections to colonial history.

    https://postcolonialitaly.com

    Exemple, Turin :

    #Cagliari #Bolzano #Florence #Firenze #Roma #Rome #Turin #Torino #Trieste #Venise #Venezia #cartographie #héritage #colonialisme #colonialisme_italien #Italie_coloniale #traces #villes #cartographie_participative
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    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien :
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    • Stanze – di Gianluca e Massimiliano De Serio – Videoinstallazione – Italia 2010

      Il diritto d’asilo calpestato, poesia civile sulle tracce delle “catene poetiche” della tradizione orale somala. E i muri, e le vicende, dell’ex caserma La Marmora di via Asti, a Torino, autentica «centrifuga» simbolica della storia d’Italia.

      «Quanto è sconnessa la terra sotto i miei piedi,/ quanto è vasta la sabbia,/ andavo avanti sballottato e dappertutto le dune si moltiplicavano».

      «Mi hanno preso le impronte, non sono più come i miei coetanei./ Mi hanno reso povero in tutto, sono senza prospettiva di vita qui in via Asti./ Chi ci ha respinto ci ha fatto restare sul marciapiede in mezzo a una strada, ci ha relegato a dormire lungo i muri./ Ci obbligano a tornare indietro,/ non possono capire che il trattato di Dublino è il colonialismo: a chi possiamo denunciarlo?».

      In Stanze si respira la vertigine deserto, si intuisce la fatica del viaggio. Si ascolta una madre che teme per il figlio emigrato. Si sente sotto i piedi la lastra nera del mare. Si impara che cosa sia il bisogno di fuggire da una terra invivibile, ma anche la disillusione per essere finiti in un Paese diverso da come lo si sognava. Si diventa testimoni della miseria e dell’indifferenza vissuti in Italia. E si è inchiodati alla denuncia: «Gli italiani non hanno mantenuto la promessa fatta», quella di un’accoglienza che dia un minimo di sostanza al diritto d’asilo concesso sulla carta.

      Nato come videoinstallazione, Stanze è stato girato con un gruppo di giovani rifugiati somali che sono stati “ospiti” degli spogli locali dell’ex caserma La Marmora di via Asti, a Torino. Le riprese, senza luce artificiale, si sono svolte in un’unica giornata ma la preparazione è durata mesi, in collaborazione con la mediatrice culturale e scrittrice Suad Omar. In questo «film di parola e non di azione» (è la definizione dei fratelli De Serio) gli attori, a turno, narrano le loro storie per circa un’ora, fermi davanti alla camera da presa, in versi somali con sottotitoli in italiano.

      La forma recupera e riattualizza il genere della “catena poetica” (una serie di liriche collegate fra loro, strumento di dibattito pubblico e politico nella tradizione orale della Somalia). Mentre, nei contenuti, la cronaca e la testimonianza si fanno poesia civile, con un’asprezza senza tempo che ricorda a tratti i salmi più scabri e le denunce più dure dei profeti dell’Antico Testamento.

      Una parte dei testi proposti dal gruppo di giovani rifugiati non si limitano alla situazione del diritto d’asilo ma “interpretano” anche la storia dell’ex caserma La Marmora, decifrando in quelle mura «una vera e propria centrifuga della storia italiana», come ricorda l’associazione di “mutuo soccorso cinematografico” Il Piccolo Cinema di Torino: «Fondata durante il primo periodo coloniale italiano nel corno d’Africa, la caserma è poi diventata sede, durante il fascismo, della Guardia nazionale repubblicana e vi si sono consumate torture e fucilazioni dei partigiani prigionieri». Da qui la ripresa in Stanze (stanze come strofe poetiche, stanze di mattoni) di alcuni stralci degli atti del processo che, nel 1946, vide alla sbarra alcuni fascisti che “lavorarono” in via Asti. Ancora Il Piccolo Cinema: «Nel film gli ex abitanti della caserma, attraverso un percorso di sdoppiamento storico ed esistenziale, si fanno carico della nostra stessa storia e delle sue mancanze».

      Prodotto per la prima edizione del “Premio Italia Arte Contemporanea” del Maxxi di Roma, Stanze ha ottenuto la menzione speciale della giuria «per l’uso innovativo del linguaggio filmico nel rappresentare la condizione umana di sofferenza e di oppressione che attraversa la nostra storia».

      Alcune scene e una presentazione del video da parte di Gianluca e Massimiliano De Serio sono presenti su You Tube: https://www.youtube.com/watch?v=GvWW0Ui7Nr0

      Il sito Internet dei fratelli De Serio è: www.gmdeserio.com
      https://viedifuga.org/stanze

    • Intervista a Gianluca e Massimiliano De Serio - Quella stanza fuori dall’Africa

      Quella stanza fuori dall’Africa Teresa Macri ROMA Incontro con i gemelli De Serio, menzione speciale della giuria per il Premio Italia Arte Contemporanea al Maxxi. «Abbiamo girato un film-catena poetica che recupera la tradizione orale somala, prima dell’avvento della scrittura. Nel nostro caso, la narrazione orchestrata dalla poetessa Suad Omar è declinata da alcuni rifugiati politici che interpretano le loro storie di esiliati» Gianluca e Massimiliano De Serio con il mediometraggio Stanze, si sono aggiudicati una menzione speciale da parte della giuria e una passione smodata da parte del pubblico. Sarebbe stato un esemplare epilogo se, nel catastrofico crinale italiano come quello che stiamo attraversando, la giuria avesse inviato un chiaro segno politico puntando sul loro film che riesce a coagulare paradigma storico, displacement, soggettività e funzione del linguaggio poetico attraverso i racconti di alcuni politici somali in Italia. Comunque sia i fratelli De Serio (Torino, 1978) sono stati appena premiati alla 28ma edizione di Torino Film Festival con il documentario Bakroman sui ragazzi di strada del Burkina Faso. Fin dal 1999, i gemelli indagano senza tregua e senza alcun rigurgito ideologico sui temi dell’identità culturale, «negoziata», fluida e in divenire nell’epoca tardo-capitalista, sui conflitti tra urbanità e minoranze etniche che stanno ridefinendo le nostre società occidentali. La loro è una ricerca «etica», indirizzata sullo scontro degli spazi sociali e sul disagio dell’estetica, nei confronti della politica. Una ricerca in con-trotendenza con l’immaginario simulacra-le così ripercorso dalla loro stessa I-Generation. Ragione dei numerosissimi riconoscimenti internazionali ricevuti finora: Nastro d’Argento per il miglior cortometraggio (2004), il festival di Edimburgo (2006), Oberhausen (2006), Stoccarda (2005), Vendó me (2005 e 2006) e, come miglior film italiano, per tre anni consecutivi al Tff. L’asserzione dell’artista Francis Alys «a volte fare qualcosa dl poetico può diventare politico e a volte fare qualcosa dl politico può diventare poetico» sembra descrivere li vostro film. Come è nata e si è sviluppata l’idea dl «Stanze»? Poesia e politica non sono per forza estranee. Al contrario. Cosl come l’estetica può veicolare un contenuto etico, il rapporto fra le due sfere deve essere il più coerente possibile. In particolare, Stanze è un lavoro che si sviluppa in entrambe le direzioni. E un film/catena poetica che recupera la tradizione orale somala prima dell’avvento della scrittura. La poesia era lo strumento di discussione etica e politica della società somala, con essa si creavano catene poetiche attraverso le quali si dibatteva: venivano apprese a memoria dalla società e servivano per un dibattito pubblico, sublimato dalla bellezza e dal rigore della metrica. Nel nostro caso, le poesie, create sotto la maestria della poetessa Suad Omar, sono declinate da un gruppo di rifugiati politici che interpretano le loro storie di esiliati e si fanno carico della nostra storia e delle nostre mancanze.
      «Stanze» è centrato sulle forme di potere autoritarie: dal colonialismo italiano In Africa al fascismo del ventennio fino all’attuale stato dl diritto discrezionale... Il film è un lento scivolare dalla diaspora dei somali all’inadeguatezza del nostro paese nell’accoglierli secondo le regole internazionali. Progressivamente, i rifugiati arrivano ad interpretare stralci del processo, del 1946 nella caserma di via Asti di Torino, in cui vennero condannate alcune guardie nazionali repubblicane fasciste, colpevoli di sevizie, di torture e uccisioni di numerosi partigiani (tutti amnistiati, creando in questo modo un vuoto storico e giudiziario). I somali, figli indiretti della nostra storia e delle colpe coloniali e fasciste e oggi rifiutati dalla nostra società, prendono la voce dei testimoni del processo, attuando una sorta di sdoppiamento storico ed esistenziale che incolpa prima di tutto l’Italia e ne riempie il vuoto morale e politico. I luoghi di ogni «stanza poetica» sono alcune sale della tremenda caserma di via Asti, che paradossalmente è stata un provvisorio posto di accoglienza di centinaia di rifugiati politici somali nel 2009, alcuni dei quali protagonisti del film. Lo sradicamento del soggetto post-coloMale è al centro delle vostre analisi sia In «Zakarla» che in «Stanze». In ciò conta molto l’humus torinese dove vivete? Torino è una città che ha visto nascere i movimenti di potere, ma anche di protesta e di avanguardia in Italia. E un luogo di spe:
      * rimentazione sociale dove si cerca di supplire alle mancanze del govemo in materia di rifugiati politici. Molte delle nostre storie nascono e si creano nel nostro quartiere o nella nostra città. Qui ha sede il Centro Studi Africani, dove ha avuto inizio la ricerca per realizzare Stanze. Il presidente, ora purtroppo scomparso, era Mohamed Aden Sheickh, ex ministro somalo che è stato sei anni in cella di isolamento sotto la dittatura di Siad Barre ed è a lui e ai rifugiati politici che dedichiamo il lavoro. Grazie a lui abbiamo incontrato Abdullahi, Suad Omar e tutti i rifugiati politici protagonisti. La necessità dl ritornare su accadimenti passati della storia Italiana (come II film dl Martone "Nol credevamo») è un meccanismo dl presa di coscienza del presente attraverso una di logica della memoria? Il nostro è un tentativo di creare una nuova immagine del presente, fuori da ogni formato e da ogni cliché, capace di farsi carica di significato e di aprirsi a riflessioni future e a ri-letture del passato, sotto una nuova estetica e rinnovati punti di vista. Stanze, per esempio, parte dalle storie della diaspora presente, dalle torture in Libia e dai respingimenti, dai non diritti dei rifugiati, che si perpetuano tutti i giorni tra Africa e Italia, fin dentro il nostro stesso paese. Questa diaspora ha radici profonde e interpella la nostra storia più nera, sconosciuta o opportunisticamente dimenticata, quella del colonialismo, degli eccidi in Somalia da parte degli italiani, delle colpe dei fascisti, mai pagate fino in fondo come ci insegna via Asti. C’è nella vostra ricerca una attenzione alla struttura metrica che stabilisce anche Il ritmo del film. II riferimento è alla catena poetica dl Stanze», alla rima del rappers in «Shade ? Da anni onnai lavoriamo sul tentativo, di volta di volta diverso, di creare una «nuova oralità». La trilogia dedicata a Shade era un lungo flusso di coscienza in freestyle, che abbandonava le classiche regole del genere per farsi nuova parola e immagine, icona, memoria di se stessa. In Stanze abbiamo spazializzato il suono, lo abbiamo reso scultura, capace di riflettersi su un’immagine aderente al concetto di catena poetica e in grado di farsi bella, perfetta, ipnotica, sia nella metrica e nel suono, ma anche nei colori e nelle luci. Solo così crediamo si possa restituire la dignità e il coraggio di mettersi in gioco dei nostri protagonisti: ognuno con i suoi strumenti, in un dialogo continuo che si fa scambio, dialettica, alleanza.
      PREMIO ITALIA ARTE Rossella Biscotti presenta il suo «Processo» dopo il 7 aprile L’artista Rossella Biscotti è la vincitrice della prima edizione del Premio Italia Arte Contemporanea, curato da Bartolomeo Pietromarchi e organizzato dal Mani per sostenere e promuovere l’arte italiana rigosamente under 40. «II Processo», realizzato dalla Biscotti (Molfetta, 1978, ma vive in Olanda) consta in una installazione molto formale di architetture residuali in cemento armato ispirate alla conversione logistica subita dalla razionalista palestra della scherma realizzata da Luigi Moretti al Foro Italico in aula bunker durante i processi politici degli anni di piombo, tra cui quelli legati al caso Moro. Parallelamente e più pregnantemente un audio, disseminato nel museo, invia le registrazioni del famoso processo .7 Aprile». A colpire la giuria è stata «l’intensità del lavoro e il forte legame che l’artista ha saputo costruire fra l’architettura del museo e quella dell’opera». L’installazione sarà acquisita dal Marci e verrà pubblicata una monografia dell’artista. Tre gli altri finalisti in lizza: Rosa Barba (Agrigento, 1972) con il suo museo nascosto» nei depositi; Piero Golia (Napoli 1974) che cerca di confondere lo spettatore spostando continuamente il punto di vista, e i gemelli De Serio, menzione speciale per il loro mediometraggio «Stanze».

      https://archive.ph/Ob2nj#selection-68.0-68.2

    • Italy’s De Serio Brothers on CineMart-Selected Colonial-Era Drama ‘Prince Aden’ (EXCLUSIVE)

      Gianluca and Massimiliano De Serio, the Italian directing duo best known internationally for their Locarno premiere “Seven Acts of Mercy,” are developing a colonial-era drama that they’re presenting during the Rotterdam Film Festival’s CineMart co-production market.

      “Prince Aden” begins in 1935, when a 16-year-old Somali boy passes the test to become a dubat, a soldier in the Italian army that has invaded Ethiopia on the orders of Mussolini. Aden Sicré is sent to the frontlines, but after being injured on his first day of service he’s forced to return home – where he is unexpectedly hailed as a war hero by the Fascist regime.

      Five years later, Aden is recruited to take part in a recreation of the daily life of an African village at the newly built Mostra d’Oltremare exhibition center in Naples. But when Italy enters the Second World War, the “human zoo” suddenly closes, stranding Aden and the other African inhabitants for three years as Allied bombs destroy the city around them.

      Inspired by the book “Partigiani d’Oltremare,” by the Italian historian Matteo Petracci, the film follows the unexpected turns in the years after, as Aden and other African fighters play a pivotal role in the partisan struggle against fascism in Europe, and the would-be shepherd is hailed as the film’s titular prince.

      “Prince Aden” sheds light on an “unknown story” that helped shape the course of Italy in the 20th century, according to Gianluca. Yet it’s a story that’s become increasingly relevant against the backdrop of modern-day Europe.

      “We found that this story is not so far from those of thousands of young people who leave their homeland and come to Italy and Europe to find a new life today,” he said. “There is a kind of mirror” with current events.

      Massimiliano said that “this story is a contemporary story, not only a story of our recent past,” which reflects how events between the colonial era and the present day are connected.

      “We need to talk about not only our origin [as colonizers and fascists], but also we need to talk about the importance of Africa to our story, and also the importance of the Italian story to the African one,” he added. “The film will not only be a film about colonialism, because everything starts from there, but also about post-colonialism.”

      The De Serio Bros. addressed similar topics in their 2010 film installation “Stanze” (Rooms) (pictured), which looked at issues of colonialism, post-colonialism and their consequences on the condition of migrants today.

      Central to “Prince Aden” will be an interrogation of the ways in which the Fascist regime exploited the image of its young African hero for its own purposes. The brothers will also examine the role played by the Mostra d’Oltremare, as well as the Italian film industry, in promoting the propaganda of the Fascist government, raising questions of how history is staged and narratives framed.

      It’s a timely subject in an era when previously marginalized voices across the world are struggling to reclaim their own stories. Massimiliano noted how an increasing number of young Italian writers, artists and musicians with African roots have in recent years begun to produce art that echoes their own experiences as second- and third-generation Italians.

      However, he said, “there is not a real debate in Italy’s culture about our colonialism and the ashes of this colonialism after the ‘60s” similar to how the Black Lives Movement has cast fresh light on race history in the U.S.

      That lack of accountability or reflection extends to cinema, which “didn’t really face up to colonialism” after the fall of the fascist regime, Massimiliano said. That, in turn, has had a profound effect on Italian culture today.

      “Cinema works with images. It gives visibility to something, and it hides something else,” said Gianluca. “For us, cinema is a responsibility…. It’s a choice. It’s close to the work of archaeologists: going under the surface and looking for pieces of our identity that are hidden not only in the past, also in the present.”

      The De Serio Brothers’ debut feature, “Seven Acts of Mercy,” made a splash on the festival circuit after premiering in competition in Locarno in 2011. The brothers later premiered in the Venice Film Festival in 2016 with the documentary “River Memories,” about one of the largest shanty towns in Europe. Two years ago, they bowed “The Stonebreaker,” starring “Gomorrah’s” Salvatore Esposito, in the festival’s Venice Days strand.

      “Prince Aden” is produced by Alessandro Borrelli for La Sarraz Pictures. As the filmmakers search for potential co-producing partners during CineMart, Massimiliano stressed that their film is inherently a “European project” that is “important for Europe.”

      “We are the doors of Europe in the Mediterranean today,” he said, “and I think that this project could be a way for Europe to understand better the European roots that are not only the European, Christian roots, but also the roots of our tragic and somehow also beautiful links [and] violent links with Africa. The film will be violent and tender at the same time.”

      https://variety.com/2022/film/global/rotterdam-cinemart-de-serio-brothers-prince-aden-1235167410

    • La macabra storia dell’ex Caserma La Marmora di Torino

      Ormai in disuso, la vecchia Caserma La Marmora dal ’43 al ’45 fu luogo di detenzione e di tortura, dove persero la vita molti italiani.

      Al giorno d’oggi, al civico numero 22 di via Asti a a Torino si trova l’ex #Caserma_Dogali, ora Caserma La Marmora.

      La struttura militare fu il centro di terribili atti di tortura e fucilazione durante il Secondo conflitto mondiale.

      Alle origini, la caserma di via Asti divenne la sede di un Reggimento di fanteria.

      Costruita dal 1887 al 1888, il progetto della struttura fu opera del capitano del Genio, #Giuseppe_Bottero.

      Inizialmente, all’inaugurazione si scelse il nome di caserma “Dogali” di Torino (solo in futuro poi prenderà il nome “La Marmora”).

      Questa denominazione in particolare, richiama l’infausta battaglia di Dogali, la quale ebbe luogo in corrispondenza della costruzione dell’edificio.

      Al tempo, il corpo si spedizione italiano era impegnato nel Corno d’Africa, in Eritrea, per portare avanti le pretese coloniali del governo #Depretis.

      Risaputa è la sconfitta dell’esercito italiano, che proprio durante la battaglia di Dogali del 26 gennaio del 1887 venne piegato da un’impensabile esercito etiope.

      La disfatta coprì di vergogna l’Italia agli occhi delle potenze mondiali.

      In seguito, il ministro Depretis diede le dimissioni a distanza di poche settimane.

      Indubbiamente, il catastrofico evento generò clamore in tutta la penisola.

      Nel capoluogo piemontese si prese la decisione di intitolare una via con il nome del tenente colonnello Tommaso De Cristoforis, casalese di origini che perse la vita durante la campagna africana.

      Mentre, invece la nuova caserma prese il nome dell’infima battaglia.

      Come primo impiego militare, si ospitarono al suo interno due reggimenti di fanteria.

      Mentre dal luglio del 1912, fu sede del comando del Battaglione Aviatori della neo-aeronautica militare italiana.

      Nel 1920, su richiesta dell’Alto Comando militare, la caserma ospitò un reggimento di Bersaglieri, il IV.

      Mentre l’anno successivo cambiò nome, diventando Caserma “La Marmora”, in onore di #Alfonso_La_Marmora, generale e politico de Regno di Sardegna, ideatore dell’unità dei bersaglieri.

      Purtroppo, nel 1943 la Caserma La Marmora divenne il centro di terribili avvenimenti.

      Dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943, i partigiani, grazie all’appoggio degli alleati, misero a ferro e fuoco il Piemonte.

      Così si decise di riconvertire la caserma come quartier generale dell’#Ufficio_Politico_Investigativo (l’#Upi).

      Sotto la gestione della #Guarda_Nazionale della neo-nata #Repubblica_Sociale.

      Il nuovo incarico era quello di reprimere ed eventualmente annichilire ogni forma di lotta clandestina partigiana, con ogni maniera necessaria.

      Nelle camere della caserma, sotto il comando del colonnello #Giovanni_Cabras e del maggiore #Gastone_Serloreti, si rinchiudevano e si interrogavano i partigiani catturati.

      Gli interrogatori venivano portati avanti attraverso spietate torture psicologiche e fisiche.

      Che si concludevano con la fucilazione o con la deportazione in Germania dei ribelli, in accordo con i nazisti.

      Tra la notte del 27 e del 28 gennaio però, un’incursione partigiana, comandata da #Livio_Scaglione, riuscì ad occupare la caserma e liberare i prigionieri.

      Con la fine della guerra, l’ex struttura militare cadde inevitabilmente nella desuetudine, che continua fino ai giorni nostri.

      Tuttavia nel 1962, in ricordo degli eroi che persero la vita, venne posta una lapide nella caserma, esattamente nel luogo in cui avvennero le esecuzioni.

      https://mole24.it/2021/05/05/la-macabra-storia-dellex-caserma-la-marmora-di-torino
      #partisans

  • Il #Politecnico_di_Torino a fianco di #Frontex. Sul rispetto dei diritti umani, intanto, cade il silenzio

    Un consorzio italiano si è aggiudicato un bando per la produzione di mappe e cartografie volte a “supportare le attività” dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne dell’Ue. Iniziative in alcuni casi contestate per il mancato rispetto dei diritti di migranti e richiedenti asilo. Dal #PoliTo fanno sapere di non conoscere l’utilizzo finale dei servizi prodotti

    Il Politecnico di Torino è al fianco di Frontex nel controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. L’Università, in collaborazione con l’associazione-Srl #Ithaca, centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali”, si è aggiudicata nel luglio 2021 un bando da quattro milioni di euro per la produzione di mappe e infografiche necessarie “per supportare le attività” dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Attività che spesso si traducono -come denunciato da numerose inchieste giornalistiche- nella violazione sistematica del diritto d’asilo lungo i confini marittimi e terrestri europei. Nonostante questo, fonti del Politecnico fanno sapere di “non essere a conoscenza dell’utilizzo dei dati e dei servizi prodotti” e che non sono autorizzate a rilasciare interviste sull’oggetto del contratto.

    È possibile analizzare in parte il contenuto dell’attività richiesta grazie al bando pubblicato nell’ottobre 2020 da Frontex (https://ted.europa.eu/udl?uri=TED:NOTICE:401800-2020:TEXT:EN:HTML). La produzione di servizi cartografici aggiornati è necessaria per sistematizzare i diversi tipi di informazioni utili a svolgere l’attività dell’Agenzia: “L’analisi dei rischi, la valutazione delle criticità e il monitoraggio della situazione alle frontiere esterne dell’Unione europea e nell’area pre-frontaliera che è costantemente tenuta sotto controllo e analizzata” si legge nei documenti di gara.

    L’appalto riguarda la produzione di diverse tipologie di cartografia. Circa 20 mappe di “riferimento” in formato A0 in cui vengono segnalati i confini amministrativi, i nomi dei luoghi e le principali caratteristiche fisiche come strade, ferrovie, linee costiere, fiumi e laghi a cui vengono aggiunte “caratteristiche topografiche, geologiche, di utilità e climatiche”. Mappe “tematiche” che mostrano una “variabilità spaziale di un tema o di un fenomeno, per esempio la migrazione, criminalità, nazionalità, operazioni, ricerca e soccorso, ecc” oltre che le informazioni geologiche e morfologiche del territorio. Infine, la produzione di infografiche che integrano dati e grafici con la mappa. L’obiettivo è quello di ottenere mappe ad alta risoluzione che possano essere utilizzate per “le analisi, la visualizzazione e la presentazione oltre che la proiezione a muro basata sui requisiti richiesti dell’utente e mirata a un pubblico specifico a sostegno di Frontex e dei suoi parti interessanti”. La durata del contratto è di due anni, con la possibilità di prorogarlo per un massimo di due volte, ognuna delle quali per un periodo di 12 mesi.

    Nei documenti di gara non è specificata la zona oggetto della produzione di mappe. Dopo la richiesta di chiarimenti da parte dei partecipanti, l’Agenzia ha indicato come “previsioni a grandi linee” che l’area di interesse potrebbe estendersi lungo il confine tra Polonia e Russia, nello specifico a Kaliningrad Oblast una cittadina russa che affaccia sul Baltico, per un totale di 2mila chilometri quadrati con la possibilità di mappe specifiche su punti di attraversamento del confine per una superficie di 0,25 chilometri quadrati. Non è dato sapere, però, se quella sia la zona reale oggetto della cartografia o meno. Si conoscono invece gli “intervalli” delle scale di grandezza delle mappe che vanno da un centimetro sulla carta a 50 metri in caso di strade cittadine, a uno su 250 chilometri con riferimento a una mappa di un intero Stato.

    Altreconomia ha richiesto a Frontex di visionare “tutti i documenti disponibili” presentati dal Politecnico di Torino e Ithaca srl per partecipare al bando. L’Agenzia ha risposto che “la loro divulgazione potrebbe minare la protezione degli interessi commerciali delle persone giuridiche compresa la proprietà intellettuale”. L’accesso alle informazioni è stato negato “perché nessun interesse pubblico preponderante che è oggettivo e generale e non indistinguibile da interessi individuali è accertabile nel caso di specie”. Per gli stessi motivi nemmeno un accesso parziale è possibile.

    Ithaca Srl ha risposto che “da contratto non è possibile rilasciare alcuna intervista” perché tutti i dettagli disponibili sono stati inseriti nel comunicato stampa “approvato dall’Agenzia”. Nel darne notizia sul sito di PoliFlash, il portale delle notizie di PoliTo, il direttore di Ithaca Piero Boccardo aveva dichiarato che “la fornitura di prodotti cartografici a Frontex è una nuova sfida che ci rende orgogliosi di una serie di collaborazioni con le maggiori organizzazioni internazionali”; un’opportunità, secondo il professore, “per contribuire operativamente a supportare le attività di monitoraggio del territorio”. Ithaca Srl è una società interamente controllata dall’associazione senza scopo di lucro Ithaca che si occupa di “osservazione della terra a sostegno delle emergenze umanitarie”. Alla richiesta di chiarimenti sull’utilizzo finale dei prodotti forniti dal consorzio italiano, la risposta è stata che “non si è a conoscenza dell’utilizzo dei dati” e che per conoscere tale utilizzo era necessario rivolgersi direttamente a Frontex. Andrea Bocco, direttore del Dipartimento interateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico (Dist), che ha curato l’organizzazione tecnica del servizio e valuterà la qualità dei prodotti sottolinea come “il progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento, di sviluppare un laboratorio capace di elaborare e gestire dati spaziali anche di grande complessità”.

    Molto chiara è la strategia dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Nel braccio di ferro nel confine orientale, dove la Bielorussia “spinge” le persone in transito verso Polonia e Lituania, nonostante la morte di tre persone per ipotermia proprio sul confine polacco, Frontex ha elogiato la gestione della situazione da parte del governo di Varsavia, città in cui l’Agenzia ha la sua sede centrale.

    Sono numerose anche le denunce del coinvolgimento di agenti di Frontex nelle violazioni dei diritti di migranti e richiedenti asilo nel Mediterraneo centrale, nell’Egeo e nei Paesi balcanici. Non sono casi singoli. L’obiettivo di Frontex resta quello di allontanare le persone richiedenti asilo prima che arrivino sul territorio europeo. Come denunciato in un documento pubblicato nell’agosto di quest’anno da ventidue organizzazioni che chiedono il definanziamento dell’Agenzia, anno dopo anno, l’investimento economico si è concentrato in larga parte sulle risorse di terra e non su quelle marittime.

    Il Politecnico, nel comunicato, scrive che “le responsabilità di Frontex sono state ampliate nel 2016 alla lotta alla criminalità transfrontaliera e ai servizi di ricerca e di salvataggio nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime”. Ma è così solo sulla carta. Dal 2016 al 2018 i Paesi europei hanno coperto il 100% del fabbisogno aereo di Frontex, con percentuali molto più basse rispetto alle navi richieste: il 48% nel 2016, il 73% nel 2017 e il 71% nel 2018. Nel 2019, complice l’aumento del potere d’acquisto dell’Agenzia le percentuali sono rimaste più basse ma continuano sulla stessa lunghezza d’onda: i singoli Stati hanno contribuito per l’11% sulle navi e il 37% sugli arei. Nonostante queste percentuali, dal 2015 Frontex ha investito 100 milioni di euro nel leasing e nell’acquisizione di mezzi aerei da impiegate nelle sue operazioni (charter, aerostati, droni di sorveglianza).

    Lo scorso 14 ottobre 2021 l’Agenzia ha dato notizia dell’utilizzo per la prima volta di un aerostato con l’obiettivo di “individuare attraversamenti illegali dei confini, supportare le operazioni di search and rescue e contrastare i crimini transfrontalieri”.

    Dal 2015 al 2021, però, non c’è stato nessun investimento per l’acquisizione o il leasing per beni marittimi. Una volta individuate le persone in difficoltà in mare, l’Agenzia non ha come obiettivo il salvataggio bensì il respingimento delle stesse verso i Paesi di partenza. Un’inchiesta pubblicata in aprile dal Der Spiegel lo ha dimostrato: dal quartier generale di Varsavia, in diverse operazioni di salvataggio, venivano contattate le milizie libiche. Il monitoraggio del territorio (e del mare) non ha come scopo solamente il “contrasto” alle reti di contrabbando ma anche l’individuazione delle persone, migranti e richiedenti asilo, che tentano di raggiungere l’Ue e vengono sistematicamente respinte utilizzando qualsiasi mezzo disponibile. Cartografia inclusa.

    https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-a-fianco-di-frontex-sul-rispetto-dei-diritti-u

    #université #recherche #complexe_militaro-industriel #frontières #migrations #contrôles_frontaliers #Turin #consortium #cartographie #géographie
    #Pologne #Russie #Kaliningrad_Oblast #Piero_Boccardo #Andrea_Bocco

    • Politecnico e Ithaca insieme per la produzione di cartografia per l’Agenzia Europea Frontex

      Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – dal 2004 impegnata nel controllo della migrazione e la gestione delle frontiere e le cui responsabilità sono state ampliate nel 2016 alla lotta alla criminalità transfrontaliera e ai servizi di ricerca e di salvataggio nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime – ha affidato a un consorzio composto da Associazione Ithaca, DIST - Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico e Ithaca Srl un importante contratto per la produzione di cartografia.

      L’incarico prevede la produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile sino a un massimo di altri 24 mesi, con un budget totale di 4 milioni di euro.

      Il professor Piero Boccardo, Presidente di Ithaca Srl, che curerà la produzione cartografica, riferisce che “la fornitura di prodotti cartografici all’Agenzia europea Frontex è una nuova sfida che ci rende orgogliosi di una serie di collaborazioni con le maggiori organizzazioni internazionali. Una nuova opportunità per contribuire operativamente a supportare le attività di monitoraggio del territorio, come già peraltro testimoniato dai nove anni di attività 7/24/365 che Ithaca ha profuso nell’ambito del servizio Copernicus Emergency Management”. Il professor Stefano Corgnati, Vice Rettore alla Ricerca e Presidente dell’Associazione Ithaca, mandataria del consorzio, ricorda che “la collaborazione con Frontex rappresenta il primo esempio di come l’ecosistema del Politecnico di Torino, rappresentato dai suoi Dipartimenti e dal sistema delle società partecipate, possa essere funzionale alla piena integrazione tra le attività di ricerca e quelle di trasferimento tecnologico”.

      Il professor Andrea Bocco, Direttore del DIST, che ha curato l’organizzazione tecnica del servizio e che valuterà la qualità dei prodotti, ricorda che “questo progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento, di sviluppare un laboratorio capace di elaborare e gestire dati spaziali anche di grande complessità. Tale obiettivo è un elemento essenziale del progetto di Eccellenza del DIST, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che rafforza il carattere interdisciplinare della ricerca e la capacità di realizzare prodotti e servizi ad elevato contenuto di innovazione.”

      https://poliflash.polito.it/in_ateneo/politecnico_e_ithaca_insieme_per_la_produzione_di_cartografia_per_l

    • “Non a fianco di Frontex”. Chi si dissocia dall’accordo del Politecnico di Torino

      “Non si può lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide”, denuncia il professor Michele Lancione. Una presa di posizione pubblica che rompe il silenzio interno al Politecnico di Torino dopo l’accordo con l’agenzia Frontex per la produzione di mappe e cartografie. C’è un altro modo di pensare e vivere l’accademia

      “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
      Hannah Arendt

      Sono un accademico del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell’Università di Torino. Scrivo questo testo per dissociarmi pubblicamente dall’accordo siglato tra il mio Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca Srl e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.

      Come evidenzia l’articolo pubblicato da Altreconomia, l’accordo, che prevede la produzione di cartografia presso i laboratori del mio dipartimento su commissione di Frontex, è stato annunciato il giorno 14 luglio 2021, con comunicato stampa. Nel comunicato, si afferma che DIST e Ithaca saranno coinvolti nella “produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”. A livello intellettuale e umano, non mi sento rappresentato dalla posizione dell’istituzione per cui lavoro, che ha scelto di definire l’accordo con Frontex come un progetto che “si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento”. La questione non è solo personale, ma politica.

      L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è stata accusata a più riprese -da Ong, attivisti e agenzie internazionali- di essere direttamente coinvolta nei violenti respingimenti di migranti alle frontiere europee. Il più noto è il caso greco, ora discusso presso la Corte europea di giustizia, dove non solo si ha la certezza dell’illegalità dei respingimenti forzati operati dell’Agenzia, ma anche del ruolo della stessa nel distruggere documenti che evidenziano l’uso illegale della forza per respingere i rifugiati verso la Turchia. Questo episodio è solo l’apice di una strategia operata dell’Unione europea, attraverso Frontex, per la gestione dei confini comunitari attraverso principi espulsivi, razzializzanti e letali per coloro che si spostano per cercare protezione nel continente.

      Come accademico critico e cittadino impegnato in primo piano, attraverso il privilegio della mia posizione, nel comprendere e nel combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”, ho fatto tutto quello che era in mio potere per sottolineare la gravità di questo accordo tra un’università pubblica -il mio dipartimento- e Frontex. Con alcuni colleghi mi sono mobilitato, sin dal 14 luglio (giorno in cui sono venuto a conoscenza dell’accordo) per questionare quanto deciso. Abbiamo preso voce nel Consiglio di Dipartimento, in cui l’accordo è stato presentato, ponendo la gravità della decisone presa. Abbiamo poi lavorato per comprendere se fosse possibile annullare l’appalto. Abbiamo anche chiesto che tale attività non venisse svolta in nome di tutto il dipartimento, ma che i singoli coinvolti se ne prendessero il peso e la responsabilità. Su tutti i fronti, le risposte sono state negative: se non offerte di dialogo, discussione, bilanciamenti. Ma questo non basta.

      Il problema qui non è solo nel tipo di dato che Ithaca e il mio Dipartimento forniranno a Frontex. I ricercatori coinvolti nel progetto dicono che si tratti di dati open source, innocui. Posto che nessun dato è mai innocuo, la questione sta nel prestare il proprio nome -individuale e istituzionale- alla legittimazione dell’operato di una agenzia come Frontex. Perché quello si fa, quando si collabora: si aiuta l’apparato violento e espulsivo dell’Unione europea a legittimarsi, a rivestirsi di oggettività scientifica, a ridurre tutto a una questione tecnica che riproduce il suo male riducendolo a un passaggio di carte tra mani. In Europa la storia dovrebbe averci insegnato qualcosa in tal senso, ma chiaramente non abbiamo imparato nulla.

      Il dipartimento ha scelto di continuare l’accordo, invitando il sottoscritto e alcun* collegh* che hanno espresso riserve a contribuire al suo sviluppo evidenziando gli aspetti problematici dell’attività di Frontex. Ha inoltre deciso di non rappresentare pubblicamente il nostro dissenso, preferendo la linea del silenzio, che è anche quella del Politecnico.

      Io credo però non sia possibile lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide. Con questo testo mi dissocio dall’accordo e rinnovo allo stesso momento il mio impegno verso i miei student*, collegh* e partner che troveranno sempre, nel mio dipartimento e al Politecnico di Torino, strumenti e spazi per la critica, quella vera, che richiede un posizionamento chiaro: non a fianco di Frontex.

      #Michele_Lancione, professore ordinario di Geografia politico-economica (michele.lancione@polito.it)

      https://altreconomia.it/non-a-fianco-di-frontex-chi-si-dissocia-dallaccordo-del-politecnico-di-

    • Mai con Frontex !

      Appello alle Università e ai centri di ricerca italiani ed europei a non legittimare l’apparato violento, repressivo, espulsivo e razzializzante dell’Unione europea.

      MAI CON FRONTEX!

      Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e il consorzio italiano composto da Associazione Ithaca, DIST (Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio) del Politecnico di Torino e Ithaca Srl (società controllata dall’omonima associazione) hanno siglato, nel luglio 2021, “un importante contratto per la produzione di cartografia” a supporto delle attività di sorveglianza delle frontiere europee. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile sino a un massimo di altri 24, con un budget totale di 4 milioni di euro.

      Fa parte del consorzio, l’associazione no-profit ITHACA, con sede a Torino, nata come centro di ricerca applicata con l’obiettivo di cooperare con il World Food Programme (WFP) – braccio di aiuto alimentare delle Nazioni Unite – per la distribuzione di prodotti e servizi legati alla tecnologia dell’informazione, “per migliorare la capacità della comunità umanitaria internazionale nel preallarme, nella valutazione dell’impatto precoce e in altre aree correlate alla gestione del rischio”.

      L’associazione e l’omonima s.r.l. passano dal supporto alle attività umanitarie al sostegno delle operazioni di controllo dei confini europei coinvolte in violazioni dei diritti dei migranti. Mentre va in porto questo accordo, una parte della società civile europea si leva contro Frontex. Da un lato chi chiede la fine del suo ruolo di gendarme d’Europa, affinché svolga una missione realmente volta alla protezione delle vite umane, dall’altro chi propone una campagna per lo smantellamento dell’Agenzia e “del complesso militare-industriale delle frontiere e per la costruzione di una società nella quale le persone possano spostarsi e vivere liberamente”.

      La notizia della collaborazione di una università pubblica per la “produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”, è apparsa a luglio sul portale PoliFlash ed è stata oggetto di un’inchiesta di Altraeconomia, pubblicata il 20 ottobre. Secondo quanto riportato dal direttore del Dist, “il progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento” dell’università torinese. In risposta alle richieste da parte della testata giornalistica per avere chiarimenti su quali saranno i servizi offerti, fonti del Politecnico hanno fatto sapere di non essere a conoscenza di quale sarà l’utilizzo finale dei beni prodotti e di non essere autorizzati a rilasciare interviste sull’oggetto del contratto.

      A rompere il silenzio giunge, invece, una decisa presa di posizione di Michele Lancione, docente ordinario del DIST, che, attraverso un testo pubblicato il 24 ottobre, dà voce a un gruppo di colleghi che intende dissociarsi pubblicamente dall’accordo siglato tra il Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca Srl e Frontex.

      Una presa di posizione “non solo personale, ma politica”, afferma Lancione, ritenendo impossibile “lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide”. Il docente esprime il suo dissenso in quanto “accademico critico e cittadino impegnato in primo piano nel comprendere e nel combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”.

      Riteniamo che questa sia una chiara e doverosa presa di posizione a garanzia della salvaguardia di un reale spazio per gli studi critici all’interno delle università e dei centri di ricerca italiani.

      Non possiamo non ricordare che Frontex è stata, e continua ad essere, oggetto di diverse inchieste giornalistiche e di accuse da parte di associazioni, ong, attivisti, per avere consentito o partecipato ad attività di respingimento illegittime e violente nelle zone di frontiera marittime e terrestri dell’UE.

      Una di queste accuse è arrivata fino alla Corte di Giustizia europea che dovrà discutere in merito a un ricorso riguardante gravissime violazioni dei diritti umani a danno di migranti vittime di respingimenti collettivi nel mar Egeo, mentre cercavano protezione nell’Ue, avvenute con la partecipazione di Frontex.

      Sono altrettanto note le accuse rivolte all’Agenzia europea in merito ai violenti respingimenti operati nella rotta balcanica e nel Mediterraneo centrale, i cui assetti aerei sono utilizzati per la sorveglianza utile all’intercettazione e al respingimento dei migranti partiti dalle coste nordafricane attuati dalla cosiddetta guardia costiera libica che, sistematicamente, li deporta nei centri di tortura e di detenzione dai quali fuggono.

      Nel corso del 2021, la stessa Agenzia è stata al centro di indagini da parte di diverse istituzioni europee.

      La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo ha creato un Gruppo di lavoro e di indagine sull’operato dell’Agenzia (il Frontex scrutinity working group), per via della scarsa trasparenza delle sue attività amministrative, e “per le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare svolta alle frontiere esterne dell’Unione Europea che non rispetta i diritti umani delle persone intercettate”.

      Anche l’Ufficio europeo anti-frode (Olaf) ha aperto un’indagine per fare luce sui suoi bilanci poco trasparenti. Alla fine del 2020 erano state rese note le spese “folli” per eventi di lusso e autocelebrativi, che tra il 2015 e il 2019 hanno ammontato a 2,1 milioni di euro. “Il budget per gli eventi di gala di una sola annata è molto più di quanto stanziato dall’agenzia per l’Ufficio dei diritti fondamentali per tutto il 2020”.

      Nel marzo 2021, la commissione di controllo del bilancio del Parlamento europeo ha votato per il rinvio dell’approvazione del bilancio finanziario di Frontex per l’anno 2019. Si è trattato di un gesto simbolico in risposta alla serie di accusa che hanno messo in discussione le attività dell’Agenzia.

      Nel giugno di quest’anno, la Corte dei conti europea ha pubblicato una relazione, secondo cui Frontex non ha attuato pienamente il mandato che ha ricevuto nel 2016 e la giudica non ancora pronta ad attuare efficacemente il nuovo ruolo operativo affidatole con il nuovo regolamento del 2019.

      Nonostante l’operato di Frontex sia costellato di contestazioni amministrative, contabili e per gravissime violazioni dei diritti umani, le sue risorse e il suo ruolo strategico continuano ad aumentare.

      Dal 2005 al 2021, il budget di Frontex è passato da 6,3 a 543 milioni di euro, ma è previsto un sostanziale aumento nel periodo 2021-2027 quando, secondo il nuovo regolamento entrato in vigore alla fine del 2019, oltre all’aumento dei poteri della “super agenzia”, anche la capacità di forza permanente sarà incrementata fino a raggiungere le 10mila unità da dispiegare dentro il territorio dell’Unione o all’esterno.

      Desta particolare preoccupazione il coinvolgimento di Frontex in operazioni di intelligence e in programmi e progetti per l’utilizzo di strumenti altamente tecnologici per la sorveglianza delle frontiere, per i quali sarà responsabile di garantire la sicurezza dei dati trasmessi e condivisi anche con i paesi terzi per favorire rimpatri e respingimenti.

      Alla luce di quanto descritto, ci chiediamo quali valutazioni politiche ed etiche, oltre a quelle di ordine finanziario, abbiano portato una Università pubblica a decidere di collaborare con un’agenzia europea il cui operato ha posto una serie di dubbi di legittimità.

      Quanti altri accordi di questo tipo sono stati siglati da università e centri di ricerca in collaborazione con questo violento sistema europeo di controllo, repressione ed espulsione “dell’altro”?

      Invitiamo le Università e i centri di ricerca italiani ed europei a non legittimare l’apparato violento, repressivo, espulsivo e razzializzante dell’Unione europea, le cui politiche sono incentrate sull’ossessivo controllo delle frontiere a qualsiasi costo, attraverso l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate, sulla costruzione di muri sempre più alti, tutto a dispetto del rispetto dei diritti delle persone in movimento e della dignità umana.

      Chiediamo a tutte le voci critiche di avere il coraggio di emergere.

      Qui trovi il testo dell’appello in inglese

      Aderiscono:
      ADIF – Associazione Diritti e Frontiere
      Campagna LasciateCIEntrare
      Rete antirazzista catanese
      Progetto Melting Pot Europa
      Legalteam Italia
      Campagna Abolish Frontex
      Carovane migranti
      Michele Lancione docente politecnico di Torino
      Melitea
      Gruppo di ricerca SLANG – Slanting Gaze on Social Control, Labour, Racism and Migrations, Università di Padova (https://www.slang-unipd.it) (Claudia Mantovan, Annalisa Frisina, Francesca Vianello, Francesca Alice Vianello, Devi Sacchetto)
      Linea d’Ombra ODV
      Gennaro Avallone (docente Università di Salerno)
      Redazione di Ultima Voce
      Rete femminista No muri No recinti
      Valentina Pazé (docente Università di Torino)
      Cornelia Isabelle Toelgyes
      Mari D’Agostino, P.O. dell’Università di Palermo
      Redazione di Comune-info.net
      Redazione di Benvenuti Ovunque
      associazione Small Axe odv
      Collettivo artistico e politico Eutopia-Democrazia Rivoluzionaria
      Pietro Saitta, docente Università di Messina
      Pietro Deandrea, professore associato, Università di Torino
      Centro Studi Sereno Regis di Torino
      Caterina Peroni, IRPPS-CNR, Roma
      Enrico Gargiulo, Università di Bologna
      Gruppo di Mediterranea Torino
      Francesca Governa, Politecnico di Torino
      Gruppo ON BORDERS ( https://onborders.altervista.org)
      Angela Dogliotti, Centro Studi Sereno Regis, Torino
      Antonello Petrillo, Università degli Studi S.O. Benincasa, Napoli
      Iain Chambers, Università di Napoli, Orientale
      Carmelo Buscema, Università della Calabria
      Fridays for Future Cagliari
      Statewatch
      Stefania Ferraro, Università degli Studi S.O. Benincasa, Napoli
      Viola Castellano, ricercatrice e professoressa a contratto dell’Università di Bologna
      Giuseppe Mosconi, Università di Padova
      Mariafrancesca D’Agostino, Università della Calabria
      Francesco Biagi, Facoltà di architettura dell’Università di Lisbona
      Maurizio Memoli, Ordinario di Geografia politica ed economica, Università di Cagliari
      Antonio Ciniero, università del Salento
      Gianfranco Ragona, Università di Torino
      Onofrio Romano, Associate Professor of Sociology, Department of Political Sciences, University of Bari “A. Moro”
      Giulia Giraudo, dottoranda dell’università di Torino ( dottorato in mutamento sociale e politico).
      Valeria Cappellato, università di Torino
      Paola Gandolfi, Università di Bergamo
      Silvia Aru, ricercatrice Politecnico di Torino
      Ugo Rossi, professore universitario, Gran Sasso Science Institute
      Daniela Leonardi, ricercatrice post-doc, Università di Parma
      Augusto Borsi – Prato
      Giuliana Commisso, Università della Calabria – Rende (CS) IT
      Laura Ferrero, Docente a contratto, Università di Torino
      Bruno Montesano, studente del Phd in Mutamento sociale e politico (UniTo/UniFi)
      Paola Sacchi, Università di Torino
      Silvia Cirillo, dottoranda in Global Studies presso Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
      Maria Rosaria Marella, Università di Perugia
      Daniela Morpurgo, Post-doc fellow, Polytechnic of Turin, DIST – Interuniversity Department of Regional and Urban Studies, Part of “Inhabiting Radical Housing” ERC research team
      Silvia Di Meo, dottoranda Università di Genova
      Paola Minoia, University of Helsinki e Università di Torino
      Chiara Maritato, Università di Torino
      Lorenzo Delfino, Sapienza, Roma
      Francesca Della Santa, Università di Bologna
      Marika Giati, Università di Bologna
      Camilla De Ambroggi, Università di Bologna
      Clemente Parisi, Università di Bologna
      Jacopo Bonasera, Università di Bologna
      Annalisa Cananzi, Università di Bologna
      Margherita Cisani, Università di Padova, Assegnista di Ricerca, Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità (DiSSGeA)
      Sara Caramaschi, Postdoctoral Researcher in Urban Studies, Gran Sasso Science Institute
      Leonardo Ravaioli, Università di Roma Tre
      Dana Portaleone, Università di Bologna
      Magda Bolzoni, Università di Torino
      Giacomo Pettenati, Università di Torino
      Luca Cobbe – Università La Sapienza Roma
      International Support – Human Rights (https://supportuganda.wordpress.com)
      Claudia Ortu, Università degli studi di Cagliari
      Giulia Marroccoli, Università di Torino.
      Associazione Accoglienza ControVento
      Giada Coleandro dottoranda Università di Bologna
      Alida Sangrigoli, dottoranda Politecnico di Torino
      Lorenzo Mauloni, dottorando Politecnico di Torino
      Riccardo Putti, docente di Antropologia Visiva, DIPOC – Università degli Studi di Siena
      Gaja Maestri, Aston University (Birmingham), Regno Unito
      Matilde Ciolli, Università di Milano
      Matteo Rossi, Università di Torino
      Emanuele Frixa, Università di Bologna

      Per adesioni scrivere a: info@lasciatecientrare.it

      https://www.lasciatecientrare.it/non-a-fianco-di-frontex

      #appel #résistance

    • Torino: Fuori Frontex dal Politecnico!

      Ieri si è tenuto, nell’aula 1, un incontro sul contratto tra il Dipartimento del DIST del Politecnico di Torino e Frontex, la controversa e indagata agenzia europea per il controllo delle frontiere

      Sono intervenuti:
      – Prof. Michele Lancione (PoliTo): introduzione Frontex/Ithaca e Politecnico
      – Luca Rondi (Giornalista di Altreconomia): inchiesta Frontex e Politecnico
      – Raffaele Cucuzza (Senatore Accademico PoliTo) e Bruno Codispoti (Rappresentante degli Studenti in CDA PoliTo): questione Frontex all’interno del Senato Accademico e del CDA
      – Prof. Fulvio Vassallo (Associazione Diritti e Frontiere): agenzia Frontex, funzioni, rapporti tra stati e criticità
      – Yasmine Accardo (lasciateCIEntrare): rapporto tra Frontex e Industrie
      – Avv. Gianluca Vitale (lasciateCIEntrare): Frontex/CPR/protezione legale dei richiedenti asilo
      – Avv. Giovanni Papotti: testimonianze migranti

      Il Tender (bando di gara internazionale) che vede coinvolti Frontex e il Politecnico di Torino, riguarderebbe la fornitura di dati cartografici da parte dell’Ateneo all’Agenzia Europea.

      Nel bando non sarebbe specificato l’uso e la natura delle mappe cartografiche che il Politecnico dovrebbe fornire. La natura di Frontex, il cambiamento, avvenuto in pochi anni da organo di salvataggio a vera e propria polizia di frontiera a guardia dei confini esterni dell’Europa, è il motivo della decisa opposizione. Il Prof. Michele Lancione, ordinario di Geografia Politico-Economica, è stato il primo a sollevare la questione all’interno dell’Ateneo.

      Sono state ampiamente chiarite tutte le motivazioni per le quali non viene ritenuta opportuna la collaborazione da parte del Politecnico di Torino, realtà d’eccellenza in Italia, con Frontex.

      E’ stato descritto come le infografiche dell’Agenzia attengano ad una divulgazione sostanzialmente ideologica dell’immigrazione, volta a delegittimare i flussi amplificandoli ad arte, flussi che, e stato evidenziato, sono determinati da persone in gran parte aventi diritto di asilo. Questa disinformazione è funzionale a comunicare l’immigrazione come un invasione, identificando l’immigrato come un pericolo.

      E’ stato sottolineato che Frontex esercita il monitoraggio delle frontiere tramite una notevole attività aerea (palloni aerostatici, droni, aeroplani con pilota), attività svolta anche all’esterno delle frontiere grazie ad accordi bilaterali con Stati confinanti con l’UE.

      E’ stato denunciato che i criteri di respingimento utilizzati dall’Agenzia sono contrari ai Diritti Umani: qualsiasi persona può lasciare il proprio Stato di origine ed ha diritto di chiedere asilo: ove il respingimento avvenga prima della richiesta c’è una violazione dell’Ordinamento Internazionale che garantisce il diritto alla richiesta di protezione internazionale, violazione di cui Frontex è stata accusata da molti intervenuti.

      E’ stato evidenziato, le indagini che coinvolgono Frontex ne sono la prova, che i respingimenti avvengono anche in modo violento e non rispondente alla normativa internazionale. E’ quindi rilevante il sospetto che una cartografia, in particolare ad alta risoluzione, possa essere utilizzata dai droni per un più efficace controllo dei passaggi migratori di frontiera e di come ciò possa ulteriormente favorire i respingimenti illegali.

      E’ stato ricordato che, proprio a causa dell’attività di monitoraggio aereo dell’Agenzia, circa il 50% delle persone migranti in viaggio nel Mediterraneo è stata consegnata alla Guardia Costiera libica, di cui ricordiamo che il comandante è Abd al-Rahman al-Milad, noto anche come al-Bija, condannato dall’ONU per violazione dei diritti umani. A fronte della condanna sono stati trasmessi gli atti all’Interpol.

      Sono state quindi respinte e consegnate ai libici persone indipendentemente dalla loro nazionalità, si parla anche di persone, famiglie, di origine tunisina che sono ora detenute nei lager libici.

      Sono state ricordate le molte violenze, a tutti gli effetti violazioni dell’Ordinanento Internazionale, che vengono quotidianamente commesse alle frontiere interne ed esterne dell’UE ai danni delle persone migranti.

      Dagli interventi degli esponenti del Senato Accademico e del CDA del Politecnico, è emerso chiaramente il vespaio che la questione ha destato, il Senato avrebbe in ipotesi un “congelamento” del contratto fino a risoluzione delle indagini pendenti su Frontex, ipotesi bollata di ipocrisia in alcuni interventi che hanno dichiarato necessaria una cancellazione dell’accordo.

      E stato anche denunciato che in Senato Accademico non c’è unanimità. Questo secondo alcuni interventi dipenderebbe da Direttori di Dipartimento che intravvederebbero un pericoloso precedente etico che potrebbe influire sulle loro attività presenti e future.

      E’ stato sottolineato che le norme universitarie esistono e che in presenza di aspetti eticamente sensibili l’accordo sarebbe dovuto essere stato preventivamente sottoposto agli organi competenti dell’Ateneo.

      Bruno Codispoti ha argomentato a sostegno di questa tesi: data la natura del committente, il contratto doveva essere preventivamente sottoposto al CDA, che ha prerogative decisionali sulla natura delle fonti di finanziamento dell’Ateneo.

      E’ stata redatta una lettera aperta indirizzata al Rettore e agli organi di governance dell’Ateneo con una puntuale disamina di tutte le criticità relative a Frontex, motivi per i quali il Politecnico dovrebbe recedere dall’accordo.

      Il tutto è rimandato al 14 dicembre prossimo, data di riunione straordinaria del Senato Accademico.

      L’etica attinente alla ricerca è un argomento estremamente rilevante, dagli interventi appare chiaro che il Politecnico di Torino su questa questione, gravemente imbarazzante, si stia giocando la faccia.

      https://www.youtube.com/watch?v=F-kx5hW8FEU&feature=emb_logo

      https://www.pressenza.com/it/2021/12/torino-fuori-frontex-dal-politecnico

    • Frontex-Politecnico di Torino, ecco il contratto. E la “clausola” sui diritti umani non c’è ancora

      L’accordo stipulato nel giugno 2021 dà “carta bianca” all’Agenzia che sorveglia le frontiere sull’utilizzo dei prodotti della cartografia. Intanto l’Ateneo fa sapere che, a due mesi dalla decisione del Senato accademico, la clausola sul rispetto dei diritti umani è ancora “in fase di finalizzazione”

      La “clausola vincolante” di rispetto dei diritti umani deliberata dal Senato accademico del Politecnico di Torino a metà dicembre 2021 per “salvare” il contratto con Frontex non è ancora pronta. Dopo aver ottenuto copia dell’accordo sottoscritto tra l’Ateneo e l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, Altreconomia ha chiesto conto dello stato di avanzamento dei lavori al rettorato che il 15 febbraio 2022 ha fatto sapere che “la clausola è in fase di finalizzazione”. Dal contratto, intanto, emergono ulteriori elementi che riducono l’effettiva possibilità di monitorare l’utilizzo dei prodotti della ricerca: Frontex ha infatti carta bianca nel modificare e fornire a terzi la cartografia realizzata dall’Ateneo.

      Un passo indietro. Il 14 dicembre 2021 il Senato accademico del Politecnico di Torino, chiamato a pronunciarsi sull’accordo da quattro milioni di euro con Frontex per la produzione di mappe aggiornate, aveva votato con ampia maggioranza di “procedere alla sottoscrizione dell’accordo introducendo una clausola vincolante, allo scopo di specificare nel Consortium agreement l’impegno tanto del personale docente e di ricerca coinvolto quanto del committente ad agire in osservanza del rispetto dei diritti umani e fondamentali delle persone”. Nessun comunicato stampa ufficiale era seguito a questa decisione confermando quantomeno la stranezza di tale richiesta. Altreconomia ha così chiesto a Frontex “una copia della clausola inclusa nel contratto firmato” e in caso di impossibilità nell’accedere a questo documento “qualsiasi informazione che possa essere utile per ricostruire il contenuto della clausola”.

      L’Agenzia il 4 febbraio 2022 ha fornito copia integrale del “contratto quadro” (framework contract, ndr) da cui è possibile ricostruire che questo è stato siglato il 7 giugno 2021 a Torino e controfirmato dieci giorni dopo a Varsavia: data a partire dalla quale, secondo quanto stabilito dalle parti, l’accordo è entrato in vigore. Non ci sono riferimenti al Consortium agreement che, solitamente, è un contratto che regola i rapporti tra le diverse parti che in cordata si aggiudicano una committenza -in questo caso il Dipartimento inter-ateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico (Dist) e Ithaca, centro di ricerca avanzato e vincitore del bando- ma esclude la stazione appaltante, in questo caso Frontex. Dall’Ateneo fanno sapere che il “Consortium agreement sarà oggetto di prossima stipula” e la clausola che verrà inserita è “in fase di finalizzazione”.

      Dal contratto è possibile ricostruire più precisamente i contorni dell’attività del consorzio italiano. Già nell’ottobre 2021, su richiesta di Altreconomia, il Politecnico di Torino aveva risposto che “non era a conoscenza dell’utilizzo finale dei prodotti”. È proprio così. Al punto I.10 del contratto si trova infatti una “lista dettagliata” delle possibilità di utilizzo dei risultati dell’opera fornita che diventa di “proprietà dell’Unione europea” che potrà, tra le altre cose, “renderla disponibile a Frontex; renderla fruibile a persone ed enti che lavorano per l’Agenzia o collaborano con essa, inclusi contraenti, sub-contraenti che siano persone legali o fisiche; fornirla ad altre istituzioni Ue, agenzie, istituzioni degli Stati membri”. Non solo.

      Al punto “e” dello stesso articolo si legge poi che tutte le modifiche che l’amministrazione aggiudicatrice (Frontex, ndr) o un terzo a nome della stessa possono apportare ai risultati della ricerca. “Riduzione; riassunto; modifica del contenuto; delle dimensioni; apportare modifiche tecniche al contenuto, aggiungere nuove parti o funzionalità; fornire a terzi informazioni aggiuntive riguardanti il risultato (ad esempio, il codice sorgente) al fine di apportare modifiche; l’aggiunta di nuovi elementi, paragrafi, titoli, legenda […]; estrazione di una parte o divisione in parti; incorporare, anche mediante ritaglio e taglio, i risultati o parti di essi in altre opere, come su siti web e pagine web”. Da un lato quindi l’impossibilità di sapere da chi e come verrà utilizzata la mappa, dall’altro la possibilità di Frontex di modificare a proprio piacimento -salvo ovviamente tutti i diritti legati alla proprietà intellettuale e al mero prodotto della mappa- il risultato.

      Nel documento si sottolinea come il contratto quadro “non comporta alcun impegno diretto e non impone ordini di per sé ma stabilisce le disposizioni finanziarie, tecniche e amministrative che regolano il rapporto tra Frontex e il contraente durante il periodo di validità”. La fornitura della cartografia è quindi regolata da contratti specifici con cui, di volta in volta, l’Agenzia chiederà a Ithaca e al Politecnico di Torino i servizi di cui necessita. Secondo l’allegato 1 del contratto Frontex invierà “moduli d’ordine” su base “mensile o trimestrale specificando la quantità massima di mappe che sarà richiesta durante il periodo di tempo indicato”. Non è chiaro perché da giugno a oggi non sia stato commissionato nessun servizio. Altreconomia aveva chiesto conto a metà novembre 2021, agli uffici del Politecnico, del “numero dei servizi prodotti dal 14 luglio al 15 novembre 2021” ma non ha mai ricevuto risposta.

      Per quanto riguarda la penale prevista in caso di rescissione del contratto -una delle tesi più accreditate internamente all’Ateneo durante i mesi di discussione precedenti al Senato accademico del 14 dicembre 2021- il testo dell’accordo ricostruisce diverse possibilità. Si specifica che “entrambe le parti possono rescindere il contratto quadro e i moduli d’ordine inviando una notifica formale all’altra parte con un mese di preavviso scritto”. Si sottolinea che “il contraente è responsabile dei danni subiti dall’amministrazione aggiudicatrice in seguito alla risoluzione del contratto quadro o di un contratto specifico, compresi i costi aggiuntivi per nominare e incaricare un altro contraente di fornire o completare i servizi”. I danni sono esclusi in alcuni casi specifici, tra cui quello di “forza maggiore” quando “la ripresa dell’esecuzione è impossibile o le necessarie modifiche del contratto quadro o di uno specifico che ne derivano significherebbe che il capitolato d’oneri non è più non sono più soddisfatte o comportano una disparità di trattamento degli offerenti o dei contraenti”. Con forza maggiore è da intendersi “qualsiasi situazione o evento imprevedibile, eccezionale e fuori dal controllo delle parti che impedisce loro di adempiere agli obblighi” tra queste non rientrano “vertenze sindacali, scioperi” salvo che “non derivino direttamente da un caso di forza maggiore rilevante”. Anche su questo punto, Altreconomia aveva chiesto al Politecnico l’esistenza di tale clausola e una stima dell’entità senza ricevere risposta. L’unico riferimento specifico presente nel contratto rispetto a una possibile “entità” del danno riguarda la responsabilità per qualsiasi perdita o danno causato “dalla mancata implementazione del contratto quadro” che prevede una penale di importo “non superiore a tre volte l’importo totale del relativo contratto operativo”.

      Il contratto stabilisce infine che le modifiche contrattuali devono essere “comunicate per iscritto e rispettare gli obblighi contrattuali” ma soprattutto che “una modifica su un contratto specifico non costituisce un emendamento del contratto quadro” e in ogni caso tali modifiche non possono “alterare le condizioni iniziali della procedura d’appalto”. In attesa di ricevere dall’Ateneo copia della clausola inserita nel Consortium agreement lo spazio per “solide” clausole vincolanti sul rispetto dei diritti umani sembra ridursi sempre di più.

      https://altreconomia.it/frontex-politecnico-di-torino-ecco-il-contratto-e-la-clausola-sui-dirit
      #Dist #Consortium_agreement

    • Accordo Politecnico - Frontex. E i diritti umani?

      È nel luglio del 2021 che le distanze geografiche tra Torino e la Rotta Balcanica, la stessa percorsa da Nur per arrivare dal Pakistan in Europa, si contraggono di colpo. Il Politecnico di Torino sigla un accordo con Frontex, l’Agenzia europea che sorveglia le frontiere esterne dell’Unione europea. Il contratto da quattro milioni di euro, che richiede al Politecnico di produrre cartografie aggiornate per l’Agenzia Frontex, genera dissenso all’interno dell’Ateneo. Frontex è il simbolo di politiche europee di esclusione e rifiuto per chi arriva in Europa fuggendo da conflitti e povertà. Nonostante le proteste, il Politecnico sceglie di proseguire la collaborazione con l’Agenzia. Che cosa racconta questo accordo della città di Torino? Che succede quando il limbo vissuto dagli altri ci riguarda da vicino?“Limbo - Le vite sospese di chi si fa migrante” è un podcast scritto da Silvia Baldetti e Luca Rondi. È prodotto da Engim Internazionale in collaborazione con Altreconomia nell’ambito di SEMI - Storie, Educazione, Migrazioni e Impegno, finanziato dall’Unione Europea, attraverso la regione Piemonte nel contesto del progetto Mindchangers – Regions and Youth for Planet and People. I contenuti non riflettono necessariamente le posizioni dell’Unione Europea e di chi è intervenuto nel podcast come ospite. Hanno collaborato Francesca Prandi e Daniela Pizzuto. Il montaggio è a cura di Border Radio con la collaborazione di Silvia Baldetti. La sigla è di Federico Sgarzi.

      https://open.spotify.com/episode/39EAxfRb8MAAJPhbffsUdt
      #droits_humains #cartographie

    • L’Università di Torino si schiera contro l’accordo tra Frontex e il Politecnico

      A fine ottobre il Consiglio di amministrazione di Unito ha formalizzato la sua “totale contrarietà” alla collaborazione in essere tra l’Ateneo e l’Agenzia europea al centro di polemiche per la copertura di gravi violazioni dei diritti umani lungo le frontiere. La richiesta è quella di rescindere il contratto milionario per la produzione di mappe

      Il Consiglio di amministrazione dell’Università di Torino si schiera contro l’accordo per la produzione di mappe tra il Politecnico di Torino e Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee. Nella seduta del 27 ottobre di quest’anno i membri del Cda di Unito, che con il Politecnico “condivide” la gestione del Dipartimento che si è aggiudicato la commessa “incriminata”- hanno infatti approvato una mozione in cui si dichiara la “totale contrarietà alla collaborazione in atto”, chiedendo ai competenti organi del PoliTo di procedere alla “sospensione di ogni attività con l’Agenzia”. La delibera arriva poche settimane dopo la pubblicazione del rapporto dell’Ufficio antifrode europeo (Olaf) che ha “certificato” come Frontex abbia coperto gravi violazioni dei diritti umani alle frontiere europee. Un documento che ha portato il Parlamento europeo a votare contro la procedura di “discarico” del bilancio, ovvero il “via libera” alle spese sostenute nel 2020. “Non ci sono più scuse. È arrivato il momento che il Politecnico di Torino faccia un passo indietro”, spiega Michele Lancione, professore Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist).

      Proprio Lancione, a seguito dell’inchiesta di Altreconomia che dava conto nel settembre 2021 dell’accordo tra Frontex e il Dist, il citato dipartimento a cavallo tra Unito e Politecnico, aveva preso pubblicamente posizione dichiarando la sua contrarietà al contratto. Una commessa da quattro milioni di euro, della durata di due anni, per la produzione di cartografia aggiornata. Nonostante altre voci all’interno del Dipartimento avessero chiesto un passo indietro da parte dell’Ateneo -tra cui Francesca Governa, che ha raccontato nel podcast Limbo la sua contrarietà all’accordo- nulla è cambiato. Nel dicembre 2021, peraltro, il Senato accademico del Politecnico aveva votato a favore dell’inserimento di una clausola vincolante di rispetto dei diritti umani per l’Agenzia. Ma come ricostruito da Altreconomia quella clausola è stata inserita solo nel contratto tra i diversi attori del consorzio italiano (Ithaca Srl, un centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali”, il Dist, e la Fondazione Links) che si sono aggiudicati la commessa. “Ciascuna parte si impegna ad agire -era scritto all’interno del contratto- nel pieno rispetto dei diritti umani e fondamentali, nonché dei principi di integrità della ricerca”. Il 31 maggio di quest’anno Frontex ci ha risposto però di “non detenere alcun documento” con riferimento alla richiesta di avere accesso a “eventuali bozze di consortium agreement sottoscritte dall’Agenzia da luglio 2021 in avanti”. Una clausola, quindi, che non poteva affatto vincolare anche l’Agenzia.

      È anche per questo motivo che il Cda di Unito ha chiesto al Politecnico di “valutare la gravità della situazione e il danno che la prosecuzione della fornitura di servizi può arrecare agli Atenei torinesi”. Una mozione -di cui Altreconomia ha preso visione- che arriva dopo l’audizione del vice-direttore del Dist chiamato ad aggiornare, il 20 ottobre, gli organi di Unito sullo stato di avanzamento dell’accordo con Frontex. Il cda sottolinea le “grandi inadempienze nel funzionamento dell’Agenzia e la sua colpevole inefficacia nell’affrontare il tema delle migrazioni” che vede il “fulcro delle denunce [rivolte all’Agenzia] nel rapporto Olaf e nel recentissimo rifiuto dei parlamentari europei del 18 ottobre 2022 a votare il cosiddetto scarico del bilancio dell’Agenzia 2020”.

      “Se ai tempi della sottoscrizione di questo contratto ci si poteva nascondere dietro un’ingiustificabile scarsa conoscenza delle problematicità di Frontex ora non è più possibile -sottolinea Lancione-. Le inchieste giornalistiche e i report di enti europei hanno messo in luce lo scarso funzionamento, i mancati meccanismi di controllo interno e ulteriori esempi di coinvolgimento in violazione dei diritti umani delle persone in transito”. Il rapporto Olaf, infatti, descrive anche l’inefficienza degli strumenti “interni” all’Agenzia utili per monitorare le attività sui confini europei. Problemi tutt’altro che risolti nonostante, dopo la pubblicazione del rapporto, dal board dell’Agenzia si siano affrettati a dichiarare che “queste pratiche appartengono al passato” così come la Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson che si è definita “scioccata” ma “sicura che il consiglio di amministrazione si è assunto pienamente le proprie responsabilità”. “L’Agenzia ha problemi strutturali –ci ha detto Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo della migrazione presso l’Università di Barcellona-. Finché non si risolvono è difficile che il suo mandato possa rispettare il diritto internazionale e quello dell’Unione europea. E l’unico passo possibile in questa direzione è una sentenza della Corte di giustizia che ristabilisca i confini del suo operato. Olaf segna un punto di svolta perché l’illegalità è finalmente certificata da un corpo dell’Ue ma resta un ente amministrativo, non una Corte”.

      Per Lancione resta in gioco la “vera libertà intellettuale”: “Recedere dal contratto non significa fare un passo indietro rispetto alle missioni di un Ateneo impegnato in contratti internazionali e nella ricerca ma farne uno in avanti. La rescissione è un segnale importante coerente con una visione etica della libertà intellettuale di cui giustamente l’Ateneo si fa vanto: libertà significa poter rivalutare le decisioni prese e cambiare direzione nel caso in cui il contesto sia cambiato. Questo è il momento di farlo”.

      https://altreconomia.it/luniversita-di-torino-si-schiera-contro-laccordo-tra-frontex-e-il-polit

    • Il Politecnico di Torino conferma l’accordo con Frontex. Ignorate le richieste di tornare indietro

      Il 6 dicembre il Senato accademico ha deciso di mantenere intatto l’accordo con l’Agenzia. La richiesta di rescissione giunta anche dell’Università di Torino, che con l’Ateneo condivide il Dipartimento che si è aggiudicato la commessa, è rimasta inascoltata. Così come le denunce di violazioni dei diritti umani in capo a Frontex

      Il Politecnico di Torino conferma una seconda volta il proseguimento nella collaborazione con l’Agenzia Frontex. Il Senato accademico dell’Ateneo si è riunito martedì 6 dicembre mettendo nuovamente ai voti l’opportunità di proseguire l’accordo con l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, accusata da più fronti, istituzionali e non, del mancato rispetto dei diritti umani delle persone in transito. Dopo la votazione del dicembre 2021, in cui si era deciso di proseguire con l’accordo, una larga maggioranza (19 voti su 29) ha votato nuovamente per mantenere in vita il contratto “scartando” le opzioni di risoluzione o congelamento dello stesso. “Una battaglia persa perché da questo voto non si tornerà più indietro -osserva Michele Lancione, professore del Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist)-. L’unica spiegazione che resta a fronte delle denunce arrivate a Frontex per la sua attività anche da organi istituzionali è che il Politecnico di Torino ha deciso di continuare questo accordo perché ha paura che rescindere voglia dire prendere seriamente la questione etica e questo possa generare criticità su altri accordi esistenti. Penso a Leonardo e ad altre aziende dell’universo militare”.

      La stessa Commissione istituita nel dicembre 2021 dal rettore Guido Saracco per valutare l’accordo -che aveva già concluso che vi fosse un rischio “medio-alto” per l’utilizzo improprio dei dati forniti dalla ricerca suggerendo di rescindere dal contratto o inserire una clausola sul rispetto dei diritti umani- ha nuovamente individuato due strade percorribili: il congelamento dell’accordo fino a nuove pronunce del Parlamento europeo sull’Agenzia o la risoluzione del contratto valutando la richiesta di risarcimenti danni presumibilmente per il danno di immagine recato all’Ateneo. A questa si è aggiunta la “terza” ovvero lasciare tutto com’è. Dopo una prima votazione è stata scartata l’opzione della risoluzione e nel secondo turno la maggioranza dei senatori ha optato per la terza via: resterà così in vigore fino al termine inizialmente previsto il contratto da quattro milioni di euro, della durata di due anni, siglato nel settembre 2021 dal Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist), a cavallo tra Politecnico e Università di Torino, in cordata con Ithaca Srl, un centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali” e la Fondazione Links. Nonostante un quadro desolante.

      Nell’ottobre 2022 il rapporto dell’Ufficio europeo antifrode ha “certificato” le pratiche illegali dell’Agenzia: in 123 pagine viene ricostruito minuziosamente il malfunzionamento della “macchina” guidata dall’allora direttore Fabrice Leggeri. Storture che si traducono in concreto nella violazione dei diritti umani delle persone in transito. Proprio quel rapporto che ha portato alle dimissioni del direttore, da luglio 2022 sostituito temporaneamente da Aija Kalnaja, e ha spinto il Parlamento europeo ad approvare una risoluzione (con 345 voti favorevoli, 284 contrari e otto astenuti) contro la cosiddetta “procedura di discarico” del bilancio dell’Agenzia, ovvero una valutazione ex post che ha l’obiettivo di monitorarne l’attività degli anni precedenti (in questo caso del 2020). L’Olaf non è il primo organo istituzionale ad accusare Frontex: all’attivo risultano già due “denunce” da parte del Garante europeo per la protezione dei dati personali (Gepd), legata alla gestione della privacy, e del Difensore civico rispetto alle inefficienze dell’Agenzia sotto il profilo dei meccanismi di denuncia e di monitoraggio sulle violazione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nelle sue operazioni. Denunce che si aggiungono alle numerose inchieste svolte da diversi giornalisti e Ong indipendenti e che hanno spinto anche l’Università di Torino, titolare del Dipartimento coinvolto nell’accordo, a chiedere ai “colleghi” del Politecnico di recedere dall’accordo.

      Il 27 ottobre scorso il Consiglio di amministrazione di Unito aveva dichiarato la “totale contrarietà alla collaborazione in atto” e chiesto la “sospensione di attività con l’Agenzia”. In altri termini, rescindere il contratto. Una richiesta precisa perché nel dicembre 2021 la prima decisione del Senato accademico del Politecnico aveva votato l’inserimento di una clausola di salvaguardia sul rispetto dei diritti umani per controllare l’utilizzo dei prodotti della ricerca dell’Agenzia. Ma come ricostruito da Altreconomia quella clausola è stata inserita solo nel contratto tra i diversi attori del consorzio italiano. “Ciascuna parte si impegna ad agire -era scritto all’interno del contratto- nel pieno rispetto dei diritti umani e fondamentali, nonché dei principi di integrità della ricerca”. Il 31 maggio di quest’anno Frontex ci ha risposto però di “non detenere alcun documento” con riferimento alla richiesta di avere accesso a “eventuali bozze di consortium agreement sottoscritte dall’Agenzia da luglio 2021 in avanti”: una clausola, quindi, che non può affatto vincolare anche l’Agenzia. La sospensione delle attività richiesta dall’Università di Torino restava dunque l’unica via “affidabile” in termini di controllo dell’operato di Frontex.

      Ma il Senato accademico ha deciso di proseguire lasciando l’accordo così com’è. Restano inascoltate quindi la voce di Unito -su cui ricade la decisione di oggi del Senato del Politecnico- che si era aggiunta a quelle “interne” al Dipartimento che dall’inizio della vicenda chiedono pubblicamente di rescindere dal contratto. Da Michele Lancione, alla professoressa Francesca Governa. “Bisogna essere consapevoli che un accordo, passatemi la semplificazione, non particolarmente rilevante è però una spia di un modo di intendere il migrante, le politiche migratorie, l’Unione europea molto più condivisa di quanto pensiamo -racconta la docente nel podcast Limbo-. Anche negli Atenei e questo per me è un problema perché ho sempre pensato il sapere avesse il compito e la responsabilità di saper ‘discernere’. Evidentemente così non è”.

      https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-conferma-laccordo-con-frontex-ignorate-le-rich

    • “Politecnico, mi vergogno”. La lettera all’Ateneo dopo la conferma del patto con Frontex

      “Non è più possibile parlare di ‘etica’. Nessun discorso roboante sull’eccellenza della ricerca. Siamo complici: questa è la ‘scienza’ in questo momento in Europa”, denuncia il professor Michele Lancione. Pubblichiamo la sua lettera in risposta alla decisione dell’Ateneo di proseguire nel contratto con l’Agenzia europea

      Martedì 6 dicembre il Senato del Politecnico di Torino ha nuovamente confermato la sua volontà di proseguire nella produzione di mappe per Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, ignorando la richiesta di rescindere il contratto da parte dell’Università di Torino, co-titolare del Dipartimento che si è aggiudicato la commessa da quattro milioni di euro. Pubblichiamo la nota scritta dal professor Michele Lancione, ordinario di Geografia politico-economica, che fin dall’inizio si è opposto all’accordo tra il suo Ateneo e l’Agenzia (lr).

      La relazione dell’Organismo anti-frode Europeo (Olaf) su Frontex è chiara. L’Agenzia ignora i diritti umani delle persone in transito nel Mediterraneo e nei Balcani. Ci sono prove di come gli aerei e i droni di Frontex abbiano assistito all’annegamento di migranti in alto mare tra la Libia e l’Italia, senza intervenire. Questa non è solo una violazione dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (diritto di asilo) ma anche, più semplicemente e fondamentalmente, dell’articolo 2 (diritto alla vita) e di numerose convenzioni marittime internazionali che impongono a chiunque assista a situazioni di pericolo in alto mare di intervenire o di allertare organismi in grado di farlo. Frontex ha sistematicamente evitato qualsiasi tipo di intervento di proposito, in diverse occasioni, violando il diritto fondamentale alla vita delle persone in situazioni di pericolo su quelle imbarcazioni. L’Agenzia stessa lo ha riconosciuto, almeno implicitamente, quando il suo direttore si è dimesso sette mesi fa a seguito delle prime rivelazioni del rapporto di Olaf (all’epoca non divulgato).

      Come è noto, il mio Dipartimento al Politecnico di Torino, dove sono professore ordinario di Geografia politica ed economica, fornisce servizi di cartografia a Frontex. Questa associazione tra le due istituzioni è problematica non solo perché non c’è modo di sapere come Frontex utilizzerà le mappe (potenzialmente, per perseguire l’ulteriore violazione dei diritti umani), ma anche perché, per procura, tutti i membri del mio Dipartimento, me compreso, sono ora relazionabili con le attività dell’Agenzia. Non si tratta solo di un problema di immagine ma di una seria questione etica: come posso svolgere un lavoro di ricerca “etico”, se la mia istituzione ha a che fare con una terza parte coinvolta nella violazione sistematica dei diritti umani?

      Da un anno alcuni di noi si battono con forza contro questo accordo. In uno degli ultimi capitoli di questa storia, poche settimane fa, con una mossa senza precedenti, l’Università di Torino ha chiesto ufficialmente al Politecnico di prendere una posizione attiva contro questo accordo con l’Agenzia. Eppure, non bastano le prove schiaccianti del rapporto Olaf, né le prese di posizione di ricercatori e studenti torinesi, perché il mio datore di lavoro riconsideri la sua insostenibile posizione. A seguito della richiesta dell’Università, a inizio dicembre il Senato del Politecnico di Torino è stato nuovamente chiamato a votare sull’opportunità di mantenere la collaborazione tra il mio Dipartimento e Frontex e, con 19 voti su 29, ha confermato il mantenimento dell’accordo. Come se nulla importasse. Come se il Mediterraneo e i suoi corpi fossero su un altro piano di esistenza. Come se la collaborazione con Frontex fosse solo una questione tecnica: qualcosa di avulso rispetto alle violazioni dei diritti umani portate avanti da quella stessa Agenzia.

      Se questa è scienza, come scienziato, mi vergogno. Sono frustrato, furioso. È inaccettabile che un’università pubblica come il Politecnico si rifiuti di confrontarsi con l’enorme quantità di prove contro Frontex. È inaccettabile che questo non sia diventato un grande punto di preoccupazione etica: un punto in cui la prassi del lavoro accademico può acquisire o perdere completamente il suo senso. Per me, con quel voto, il Politecnico ha perso la poca credibilità che gli era rimasta. Non è più possibile parlare di “etica”. Nessun discorso roboante sull’”eccellenza della ricerca”. Siamo complici: questa è la “scienza” in questo momento in Europa. Per gli studenti e per i pochissimi ricercatori che ancora vedono le cose in modo diverso, continueremo a lavorare affinché questa non sia la fine.

      #Michele_Lancione, professore ordinario di Geografia Politico-Economica, Politecnico di Torino (michele.lancione@polito.it)

      https://altreconomia.it/politecnico-mi-vergogno-la-lettera-allateneo-dopo-la-conferma-del-patto

      #complicité #honte #éthique

    • Frontex off Campus! An Interview with Professor Michele Lancione

      Michele Lancione works as a Professor of Economic and Political Geography at the Polytechnic University of Turin. In July 2021, he discovered that his university had agreed to produce maps and infographics for Frontex in order ‘to support the activities’ of the agency. Since the foundation of the border agency in 2004, these ‘activities’ have been pivotal in securitising and militarising EU borders. Many have argued – including myself – that they have also relentlessly produced the ‘migration crises’ Frontex claims to combat.

      Over recent years, Frontex has faced a series of investigations into its activities, not least for the agency’s implication in serious human rights violations at the EU’s external borders. When Professor Lancione approached the university after learning of the cooperation and asked to end its contract with the agency, he was told that the project was simply producing ‘harmless data’. In this interview, we speak about his struggle to get Frontex off campus.

      https://blogs.law.ox.ac.uk/blog-post/2023/04/frontex-campus-interview-professor-michele-lancione

    • Il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con Frontex fino a giugno 2024

      Il contratto tra l’Ateneo e la contestata Agenzia che sorveglia le frontiere europee proseguirà per un altro anno. La conferma arriva da Varsavia e smentisce quanto riferito dal PoliTo secondo cui non era stata presa alcuna decisione. Intanto a Torino nasce “#Certo”, un coordinamento di docenti nato proprio a partire dal “caso Frontex”

      Il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con Frontex per la produzione di mappe aggiornate. Nonostante i gravi fatti di cui si è resa responsabile l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, l’Ateneo prosegue per altri dodici mesi con il contratto per la produzione di cartografia che si sarebbe dovuto concludere il 17 giugno 2023 . La conferma è arrivata ad Altreconomia direttamente da Frontex smentendo l’università che a metà maggio aveva fatto sapere di “non aver assunto decisioni in merito”.

      Torniamo al 17 giugno 2021, quando il consorzio italiano formato da #Ithaca Srl, centro di ricerca avanzata con sede a Torino e il Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del territorio, “condiviso” tra Politecnico e Università di Torino, sigla il contratto con Frontex per la produzione di cartografia aggiornata per un periodo di 24 mesi rinnovabile automaticamente due volte per dodici mesi ciascuna. Un rinnovo che il contratto, ottenuto da Altreconomia a inizio 2022, regola così: entro tre mesi dalla scadenza, le parti devono comunicare l’eventuale volontà di recedere dall’accordo altrimenti è rinnovo tacito. Considerando la scadenza del contratto prevista per metà giugno 2023, il termine utile per fermare la collaborazione era il 17 marzo. Così a inizio aprile abbiamo richiesto all’Ateneo chiarimenti rispetto a eventuali comunicazioni rivolte all’Agenzia. Solo a metà maggio ci è stato risposto che “non erano state assunte decisioni al momento (rispetto al rinnovo tacito, ndr)” e che non vi erano state “ulteriori deliberazioni successivamente alla seduta del senato del dicembre 2022”.

      Una seduta in cui (come raccontato qui: https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-conferma-laccordo-con-frontex-ignorate-le-rich) il senato accademico aveva scelto di restare a fianco di Frontex nonostante le critiche rivolte all’Ateneo a causa dei “malfunzionamenti” dell’Agenzia e della collaborazione nei respingimenti lungo i confini europei e la richiesta del consiglio di amministrazione dell’Università di Torino. Ma l’assenza di “decisioni assunte” rispetto a un rinnovo tacito, significa di fatto il proseguimento nell’accordo. Lo ha confermato Frontex che ad Altreconomia ha dichiarato che “l’autorità contraente non ha emesso né ricevuto alcuna notifica formale sul mancato rinnovo del contratto”. Insomma, si va avanti per un altro anno. Non cambia neanche il valore della commessa: i quattro milioni di euro previsti inizialmente dal bando, infatti, sono “l’importo massimo che copre tutti i possibili rinnovi del contratto, quattro anni in totale”.

      Dal quartier generale di Varsavia l’Agenzia ha fatto sapere inoltre che, in totale, sono state prodotte dall’inizio dell’accordo ben 107 mappe (al 16 maggio) “richieste e consegnate alle unità e ai team interni di Frontex”. Più di una mappa alla settimana, quindi, che potrebbe essere utilizzata anche nelle attività di controllo dei confini: l’Agenzia non ha ancora risposto su questo specifico punto ma è noto che le “unità” e i “team interni” comprendono anche le squadre di agenti che svolgono quell’attività, la più discussa di tutte. L’ufficio europeo antifrode (Olaf) ha infatti ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -ha spiegato Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona sul numero di aprile di Altreconomia-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Così anche la guida del nuovo direttore di Frontex Hans Leijtens, non ha fino ad oggi portato grandi novità: il confine più problematico, quello tra Grecia e Turchia, continua a vedere la presenza delle divise blu nonostante le ripetute violazioni denunciate da avvocati, attivisti e media. L’ultima in ordine di tempo è quella pubblicata a metà maggio dal New York Times che ha mostrato i video di un respingimento forzato di 12 persone (donne, minori e anche un neonato) che, una volta arrivate a Lesbo, in Grecia, a inizio aprile 2023 sono state caricate a forza su una nave della Guardia costiera greca e poi abbandonate alla deriva verso le coste turche. Una “pratica” illegale (già denunciata in passato) di cui Frontex era a conoscenza e rispetto alla quale tanto l’ex direttore esecutivo Leggeri quanto quello attuale non hanno mai preso una posizione netta. Proprio su quanto accade su quel confine, aveva spinto gli autori del rapporto Olaf a chiedere il ritiro degli agenti di Frontex dalla Grecia. Non è ancora avvenuto.

      Scene drammatiche, quelle dei respingimenti dalla Grecia verso la Turchia che avevano spinto a novembre 2022 il consiglio di amministrazione di Unito, basandosi proprio sulle conclusioni dell’Olaf, a chiedere ai colleghi del Politecnico di recedere dal contratto. Ma da Corso Duca degli Abruzzi i senatori avevano optato per mantenere in vita il contratto rivendicando la presenza della “clausola di rispetto dei diritti umani”. Una clausola che nella realtà obbliga esclusivamente i contraenti italiani di cui Frontex non è a conoscenza e soprattutto rispetto a cui non è chiaro come sia possibile monitorare l’utilizzo dei “prodotti” realizzati dall’Ateneo. Di fatto -lo specifica il contratto- una volta nelle mani dell’Agenzia, le mappe possono essere utilizzate senza dover rendere conto a chi le ha prodotte della loro destinazione d’uso.

      Intanto a Torino, proprio a partire dal “caso Frontex” un gruppo di docenti, ricercatori e studenti di entrambi gli Atenei (Unito e PoliTo) ha dato vita al gruppo “#Coordinamento_per_l’etica_nella_ricerca (Certo)” che si pone come obiettivo quello di “informare con continuità le comunità accademiche di Polito e Unito e l’opinione pubblica sui temi più sensibili che investono l’Università, la ricerca, le collaborazioni, i finanziamenti e le sue proiezioni nella società” e “creare momenti di incontro e di confronto sui temi etici che sono alla base del lavoro di ricerca”. “L’esperienza di Frontex ci ha dimostrato la necessità di creare spazi di dibattito sia all’interno della società sia dell’università sugli obiettivi della ricerca -spiega Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino-. Con l’obiettivo di renderla effettivamente libera e impedire che avvenga in settori o per obiettivi distanti o contrastanti con gli oggetti e i fini che devono connotare la ricerca pubblica. Quando ragioniamo di etica della ricerca pensiamo alla sua libertà, al suo pluralismo, ad un’ etica che non risponde a una qualsivoglia morale ma ai valori costituzionali del nostro Paese”.

      Il primo appuntamento organizzato da Certo dal titolo “Intorno al caso Frontex, l’università alle frontiere dell’etica”, a cui parteciperà anche Altreconomia, si svolgerà mercoledì 24 maggio alle 17 al Campus Luigi Einaudi di Torino. “Gli interessi universitari, legittimi, non possono tradursi in violazioni di diritti umani, come nel caso di Frontex -conclude Algostino-. Anche vista la direzione verso cui si muove il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che lega molto il tema della ricerca con la volontà di imprese e aziende serve individuare dei parametri chiari per monitorare quanto succede negli Atenei”.

      https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-ha-rinnovato-laccordo-con-frontex-fino-a-giugn

    • Cartografia e potere: l’accordo tra Politecnico di Torino e Frontex

      Parliamo con Michele Lancione, professore ordinario di geografia politico-economica presso il Politecnico di Torino che ha denunciato l’accordo per la produzione di mappe e cartografie siglato tra la sua università e Frontex.

      A seguire ci confrontiamo con un compagno sul coinvolgimento delle università italiane nei programmi militari-industriali partendo dal caso specifico dell’Università di Tor Vergata di Roma.

      https://www.ondarossa.info/redazionali/2023/06/cartografia-e-potere-laccordo
      #podcast #audio #Tor_Vergata #Itaca #DIST #cartographie #cartographie_digitale #cartographie_thématique

    • Nasce #CERTO : #Coordinamento_per_l’Etica_nella_Ricerca, Torino

      Negli scorsi mesi, un gruppo di docenti, ricercatori/ricercatrici, studenti/studentesse del Politecnico e Unito ha iniziato a discutere dei temi legati all’etica della ricerca, stimolati dal dibattito pubblico su Frontex e dalle scelte e responsabilità dei due Atenei.

      Questo gruppo si è in seguito strutturato come Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino (CERTO) e ha elaborato un manifesto che oggi presentiamo. Il manifesto nasce dall’esigenza di allargare la riflessione a tutt* coloro che possono essere interessati.

      Per sottoscrivere il manifesto potete scrivere ad Aurelia Martelli (aurelia.martelli@unito.it)

      COORDINAMENTO PER L’ETICA NELLA RICERCA, TORINO

      POLITO-UNITO

      CERTO (Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino) è un gruppo composto da docenti, studenti/studentesse e da persone che a vario titolo fanno parte delle due comunità accademiche di Politecnico e Università di Torino. Il Coordinamento ha a cuore la riflessione e la pratica di una ricerca e di una Università capaci di misurarsi con i problemi etici che sollevano, producono, affrontano e restituiscono non solo in ambito accademico ma anche in tutte le possibili declinazioni sociali, politiche, economiche e culturali.

      CERTO intende discutere pubblicamente i problemi che coinvolgono le scelte singole tutte le volte che ci si confronta con i fondamenti e le conseguenze etiche (etica intesa come proiezione dei valori costituzionali) che ogni approccio disciplinare contiene e produce, così come la condotta interna ai nostri luoghi di lavoro. La prospettiva non è ovviamente la restrizione dello spazio della libertà di ricerca, ma un confronto sulla coerenza etica della ricerca, anche per tutelare la sua effettiva libertà.

      CERTO nasce dal dibattito che in questi anni si è sviluppato intorno al ruolo e alle responsabilità di Frontex sia perché si tratta di una questione che investe le politiche e le coscienze di chi vive nello spazio europeo di fronte alle sfide dei processi migratori sia perché riguarda concretamente le scelte che le nostre due università hanno compiuto e dovranno compiere su questo terreno.

      CERTO ha due obiettivi. Il primo è informare con continuità le comunità accademiche di Polito e Unito e l’opinione pubblica sui temi più sensibili che investono l’Università, la ricerca, le collaborazioni, i finanziamenti e le sue proiezioni nella società, così che chiunque possa essere il più possibile consapevole delle implicazioni che le nostre attività comportano. Il secondo è creare momenti di incontro e di confronto sui temi etici che sono alla base del lavoro di ricerca e che, allo stesso tempo, emergono costantemente come sfide intellettuali e concrete da affrontare.

      CERTO inizia dunque il suo percorso proponendo un primo seminario, aperto a tutte e tutti, dal titolo Intorno al caso Frontex: l’Università alle frontiere dell’etica il giorno 24 maggio alle ore 17 (luogo da definire). Nelle settimane che precedono il seminario, questo blog ospiterà alcuni interventi riguardanti la questione Frontex, i problemi etici che comporta e il racconto di ciò che le nostre università hanno deciso fino a questo momento.

      Chi fosse interessato/ a partecipare alle attività di CERTO e sottoscrivere il manifesto può contattare Aurelia Martelli (aurelia.martelli@unito.it)

      Maria Chiara Acciarini (Università di Torino)

      Alessandra Algostino (Università di Torino)

      Patrizio Ansalone (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica – I.N.Ri.M.)

      Silvia Aru (Università di Torino)

      Alessandro Barge (Università di Torino)

      Danilo Bazzanella (Politecnico di Torino)

      Elisabetta Benigni (Università di Torino)

      Sandro Busso (Università di Torino)

      Elena Camino (Università di Torino)

      Alice Cauduro (Università di Torino)

      Marina Clerico (Politecnico di Torino)

      Alessandra Consolaro (Università di Torino)

      Cristina Cuneo (Politecnico di Torino)

      Pietro Deandrea (Università di Torino)

      Javier Gonzàlez Dìez (Università di Torino)

      Patrizia Ferrante (Università di Torino)

      Michele Lancione (Politecnico di Torino)

      Pietro Mandracci (Politecnico di Torino)

      Bruno Maida (Università di Torino)

      Beatrice Manetti (Università di Torino)

      Claudia Mantovan (Università di Padova)

      Chiara Maritato (Università di Torino)

      Aurelia Martelli (Università di Torino)

      Lorenzo Mauloni (Politecnico di Torino)

      Caterina Mele (Politecnico di Torino)

      Ivan Molineris (Università di Torino)

      Giuseppe Mosconi (Università di Padova)

      Chiara Occelli (Politecnico di Torino)

      Lia Pacelli (Università di Torino)

      Riccardo Palma (Politecnico di Torino)

      Norberto Patrignani (Politecnico di Torino)

      Silvia Pasqua (Università di Torino)

      Alessandro Pelizzola (Politecnico di Torino)

      Emilia Perassi (Università di Torino)

      Valeria Chiadò Piat (Politecnico di Torino)

      Raffaella Sesana (Politecnico di Torino)

      Massimo Zucchetti (Politecnico di Torino)

      https://coordinamentounito.wordpress.com/2023/04/26/nasce-certo-coordinamento-per-letica-nella-ricerca-tor

  • Roué de coups à Vintimille, un Guinéen de 23 ans se suicide

    #Musa_Balde, un Guinéen de 23 ans, s’est donné la mort dans la nuit de samedi à dimanche dans un centre de rétention pour étrangers à Turin, en Italie. Le jeune homme, retrouvé pendu, avait été violemment roué de coups par trois Italiens à Vintimille, ces derniers jours. A sa sortie de l’hôpital, il avait été transféré dans le #CRA de Turin où il avait été placé à l’isolement.

    Les associations disent avoir tout fait, en vain, pour venir en aide à Musa Balde, un migrant de 23 ans présent jusqu’à récemment dans la région de Vintimille, en Italie. Ce jeune Guinéen, décrit comme une personne instable et régulièrement ivre dans les rues de Vintimille, s’est donné la mort dans la nuit de samedi à dimanche 23 mai dans l’enceinte du Centre de détention et de rapatriement de Turin (CPR, équivalent des centres de rétention administrative en France, antichambre aux expulsions des étrangers). Musa Balde a été retrouvé pendu à l’aide de ses draps.

    Une « terrible nouvelle » selon plusieurs associations, dont Projetto 20k et l’ONG We World, qui dénoncent la responsabilité de l’Etat italien dans le triste sort de ce migrant « vulnérable psychologiquement » présent depuis quatre ans en Italie et dont la demande d’asile avait été rejetée.

    La situation de Musa Balde, sous le coup d’une procédure d’éloignement du territoire depuis mars, s’était rapidement détériorée ces derniers jours. Le 9 mai dernier, il avait été passé à tabac par trois hommes italiens dans les rues de Vintimille, ville italienne proche de la frontière française. Selon la police, qui a exclu tout motif raciste, l’agression avait fait suite à la tentative du migrant de voler le portable d’un de ces trois hommes dans un supermarché.

    L’homme en question et ses deux acolytes avaient par la suite fondu sur Musa Balde à la sortie du magasin et l’avaient roué de coups à l’aide de barres, de bâtons, de tuyaux en plastique, de leurs poings et de leurs pieds.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/32461/roue-de-coups-a-vintimille-un-guineen-de-23-ans-se-suicide
    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #suicide #décès #Alpes #Turin #Vintimille #détention_administrative #rétention #Italie #France

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Ventimiglia, migrante preso a sprangate dopo lite in un supermarket: identificati i tre responsabili

      Un migrante è stato assalito e preso a sprangate da tre persone in pieno centro a Ventimiglia, all’angolo tra via Roma e via Ruffini, dietro al Comune e alla caserma della polizia di frontiera. L’uomo è stato soccorso dal personale sanitario del 118 e portato in ospedale a Sanremo: ha riportato diverse lesioni, tra cui un forte trauma facciale. Un video diffuso subito dopo l’aggressione sui social mostra tutta la violenza di quanto successo. La polizia alcune ore dopo ha individuato e denunciato i tre responsabili dell’aggressione.

      https://video.repubblica.it/edizione/genova/ventimiglia-migrante-preso-a-sprangate-dopo-una-lite-in-un-supermarket/386781/387506?video&ref=RHTP-BH-I300221689-P1-S2-T1

    • Il peso dell’indifferenza. La storia di #Moussa_Balde

      Il suo nome è ovunque nelle ultime ore, ma di lui non si sa molto. Di Moussa Balde si conosce l’età, appena 22 anni, il paese d’origine, la Guinea, e si può ipotizzare che fosse giunto in Italia con la speranza di migliorare la propria vita. Era arrivato probabilmente all’inizio 2017 e si era stabilito a Imperia, in Liguria. Lì era stato accolto al Centro di solidarietà l’Ancora, dove gli educatori, che cercano di incentivare lo studio come mezzo di integrazione, lo avevano messo in contatto con il Centro provinciale per l’istruzione degli adulti di Imperia, tramite cui aveva deciso volontariamente di iscriversi a scuola. L’insegnante di italiano ci tiene a raccontare come la sua grafia fosse la più bella mai vista in dieci anni di lavoro, segno del suo impegno e della sua scolarizzazione.

      “Ha sempre dimostrato una grandissima voglia di imparare la lingua, per comunicare con le persone, trovare un lavoro, vivere nella società. Era un pensiero costante, che l’ha spinto a fare tutto nei tempi e nei modi giusti”.

      Aveva probabilmente già studiato in Guinea, e anche in una buona scuola. Con “un’invidiabile capacità di apprendimento”, ha intrapreso un corso di prima alfabetizzazione, poi di scuola media e infine si era iscritto al primo anno di superiori, che non ha mai concluso. Nel 2019 aveva, infatti, deciso di andare in Francia, dove vivevano alcuni amici o parenti, come lui francofoni. Dopo qualche mese all’estero, era stato però fermato e rispedito nel comune ligure. Spostatosi a Ventimiglia, dimorava ormai per strada e si sostentava chiedendo l’elemosina e rivolgendosi ai servizi della Caritas diocesana. “Più volte è venuto da noi per chiedere del cibo – racconta Christian Papini, responsabile regionale – ma è tutto quello che abbiamo potuto fare per lui. Non possiamo aiutarli, accoglierli, nemmeno dargli da dormire, hanno solo diritto all’urgenza.”

      Le associazioni del territorio non conoscono davvero la sua storia. Maura Orengo, referente a Imperia di Libera – rete di associazioni che lavora per la tutela dei diritti e la giustizia sociale – spiega che “il ragazzo aveva il foglio di via, quindi era già in situazione di clandestinità e non si poteva rivolgere alle associazioni, che richiedono nome e generalità.” Senza passato e senza futuro, Moussa occupava i margini della società, delle vie e dei supermercati dove faceva l’elemosina.

      Proprio in quella circostanza, il 9 maggio, era stato aggredito da alcuni cittadini di Ventimiglia, che lo avevano violentemente percosso con dei tubi. Alla denuncia, però, non è stata aggiunta l’aggravante razziale. I tre lo avevano accusato di tentato furto di un cellulare, ma a Moussa non era stata data la possibilità di replicare. Condotto all’ospedale di Bordighera per trauma facciale e lesioni, veniva dimesso il giorno successivo con una prognosi di dieci giorni e immediatamente trasportato al Centro di permanenza per il rimpatrio di Torino. Il ragazzo era infatti irregolare sul territorio italiano, anche se, tempo prima, aveva fatto domanda di asilo politico: “Sembra ci sia stato un problema nel momento in cui doveva presentarsi davanti alla commissione, per spiegare i motivi per cui richiedeva l’asilo. – dice il suo avvocato, Gianluca Vitali -. Era andato una prima volta ma, come spesso succede, solo un membro della commissione era disponibile a sentirlo. Lui ha quindi chiesto il rinvio, per essere ascoltato dall’intera composizione collegiale. Poi però ci sono stati dei problemi, non aveva più un posto dove stare e non era c’erano centri di accoglienza per ospitarlo. Probabilmente, quindi, era stato convocato ma è risultato irreperibile”. Così, senza conoscere la sua storia e senza aver ascoltato le ragioni che lo avevano spinto ad arrivare nel paese, la commissione aveva deciso per il rimpatrio. Ma a Moussa, che non frequentava più nessuna associazione ed era praticamente un fantasma, la comunicazione ufficiale è giunta una volta arrivato al Cpr. “Il passaggio dall’ospedale a Torino è avvenuto in brevissimo tempo, – dice Orengo – non c’è stato nemmeno il tempo di avvicinarlo subito dopo l’aggressione. Noi di Libera ci chiedevamo se avremmo potuto fare di più; avrei potuto segnalare a Torino la difficile situazione in cui questo ragazzo versava, ma non sapevo nemmeno che fosse lì.”

      Dopo due settimane di isolamento, con la prospettiva di un prossimo rimpatrio, Moussa Balde si toglie la vita. Altri ragazzi, come lui reclusi all’interno del centro, alla notizia della morte hanno iniziato uno sciopero della fame e innescato diversi incendi nella struttura, per protestare contro le condizioni cui sono costretti.

      Gli ultimi giorni

      Emarginato, picchiato, isolato e respinto ancora una volta, il ragazzo era visibilmente provato. L’avvocato, che aveva conosciuto la sua storia leggendo la notizia dell’aggressione, scopre tramite una faticosa ricerca che la sua destinazione è il Cpr di Torino e lo raggiunge. Sin da subito non ha dubbi che gli addetti del centro fossero consapevoli delle sue difficoltà.

      “Che ci fossero problemi di comportamento, di depressione, di tono dell’umore, quindi qualche problema psichico, – dice Vitali – credo fosse evidente a tutti. La prima volta che sono andato a trovarlo ho fatto il suo nome a un poliziotto e ho chiesto di vederlo. Quello mi ha subito risposto che il ragazzo aveva dei problemi e che non era detto che avrebbe accettato il colloquio.”

      Nonostante le difficoltà, nessuno psicologo è mai andato a fargli visita, ma piuttosto, dopo qualche giorno, Moussa viene spostato nel cosiddetto “ospedaletto” del Cpr, una zona separata dal resto del centro. “Al suo arrivo non era sicuramente in isolamento, e questo conferma che la misura non è stata presa per motivi di sicurezza legati al Covid. Dovrebbe trattarsi di un isolamento sanitario, per tenere l’individuo sotto osservazione o separarlo dagli altri nel caso in cui questo si riveli contagioso. Il problema è che l’isolamento normativamente non esiste. È un’invenzione di alcuni centri. Si sostiene poi che il migrante possa chiedere di essere messo in isolamento, ma tenderei ad escludere che lui possa averlo fatto.”

      Da giorni l’avvocato di Moussa aveva avviato un procedimento per richiedere l’annullamento del rimpatrio, facendo leva sul fatto che il ragazzo fosse la parte lesa di un procedimento penale, quello contro i suoi tre aggressori.

      “Stavamo tentando di fare qualcosa, ma il processo è ovviamente lungo e macchinoso. Tutto il sistema è costruito in modo che il migrante clandestino sia il soggetto meno difendibile al mondo”.

      “Stavo già preparando un ricorso al giudice di pace di Imperia, per chiedere di sentire Moussa come persona offesa ed eventualmente di disporre il rilascio di un permesso per motivi di giustizia, in attesa del procedimento. Tutti tentativi che avrei continuato a fare, ma non c’è stato più tempo.” L’unica cosa che può fare, adesso, è accompagnare i genitori nel lungo procedimento che hanno deciso di intraprendere, per capire cosa sia davvero successo a Imperia e Torino. La salma del ragazzo, intanto, viene preparata per tornare da loro in Guinea.
      Strutture inesistenti

      Arrivato in Italia con speranza, Moussa si è scontrato con alcune delle storture del paese, che la sua morte ha contribuito a mettere ancora una volta in luce. Chi giunge a Ventimiglia non trova, innanzitutto, adeguata assistenza. Le strutture di accoglienza sono poche ed esclusivamente in mano ad associazioni del territorio. E la situazione si complica ulteriormente per i migranti in transito verso la frontiera francese. Da quando lo scorso luglio è stato chiuso il capannone della Croce Rossa, non c’è alcuna struttura che accoglie per la notte le persone in cammino, stremate anche da anni di viaggio.

      Le associazioni che lavorano sul territorio le assistono come possono, ma non sono sufficienti. E quando arriva l’estate – lo sa bene Christian Papini, che se ne occupa da anni – i flussi si moltiplicano e la situazione diventa ancora più ingestibile. “I numeri stanno aumentando in modo importante: da settembre a fine aprile, soltanto dalla Caritas sono passate più di 10mila persone. La scorsa settimana siamo arrivati a 220 persone in una mattina e siamo solo all’inizio, perché la rotta balcanica non è ancora completamente aperta.” E senza un’assistenza sufficiente, gli esiti possono facilmente diventare tragici. Lo testimonia la serie di eventi che riporta ciclicamente Ventimiglia sulle prime pagine, che dal 2015 ha visto la morte di migranti in autostrade, treni o nel passo della morte.

      Per questo Papini parla di “cronaca di una morte annunciata”. Che un campo riapra, però, è quasi una certezza: “Storicamente i campi di transito vengono aperti quando c’è una grossa emergenza, quindi di solito si aspetta che succeda il casino. Quando si rendono conto che le persone non si possono fermare, allora si apre un campo. Almeno chi arriva ha un posto dove può mangiare, lavarsi e poi trovare passaggio per la frontiera; diventa tutto un po’ più semplice.” Ma quando qualcosa si fa, il peso è sempre sulle spalle del terzo settore e dei volontari. Come quelle di Don Rito Alvarez, da anni parroco a Ventimiglia, che nel 2016 insieme alle associazioni del territorio aveva creato il progetto del Confine solidale: “In un periodo di necessità abbiamo aperto la chiesa e fatto un’accoglienza straordinaria. Ci siamo messi in prima linea e in uno spazio non molto grande abbiamo dato da mangiare anche a mille persone al giorno. Le autorità del territorio pensavano non fossimo capaci di gestire la situazione: siamo riusciti talmente bene che alla fine ci hanno spinti a continuare. Adesso non c’è nulla, la situazione è molto triste. Si va avanti cercando di sistemare tutto con palliativi, ma quello che servirebbe è un centro per l’integrazione e per l’accoglienza che sia all’altezza delle necessità. Bisogna essere lungimiranti e coinvolgere anche il governo centrale, altrimenti tra cinque anni siamo di nuovo qui a dirci le stesse cose”.
      Centri di reclusione

      Dalle strade inospitali di Ventimiglia, Moussa è stato spostato poi tra le mura dell’ospedaletto del Cpr di Torino, che il report 2021 del garante nazionale Mauro Palma descrive come: “privo di ambienti comuni: le sistemazioni individuali sono caratterizzate da un piccolo spazio esterno antistante la stanza, coperto da una rete che acuisce il senso di segregazione. Tale area è normalmente utilizzata per ospitare persone da separare dal resto della popolazione trattenuta, per motivi di salute o di incompatibilità ambientale”.

      Le indagini sul centro hanno inoltre rivelato che l’alta concentrazione di soggetti stranieri tossicodipendenti, con problemi psichici o comunque colpiti da forme di disagio sociale, non corrisponde ad un sufficiente coinvolgimento dei servizi sanitari locali. Una mancanza di raccordo con le altre strutture del territorio fa sì, inoltre, che il personale sanitario del centro rimanga completamente all’oscuro delle vicende cliniche delle persone trattenute. Queste possono poi rivolgersi direttamente agli operatori in caso di necessità, ma devono “attendere il passaggio di un operatore, nella speranza di ottenere la sua attenzione ed esprimere da dietro le sbarre del settore detentivo la propria istanza. Il Garante nazionale esprime il proprio fermo disappunto rispetto a una tale impostazione organizzativa, la quale, […] determina un contesto disumanizzante dove l’accesso ai diritti di cui le persone trattenute sono titolari passa attraverso la demarcazione fisica della relazione di potere tra il personale e lo straniero ristretto che versa in una situazione di inferiorità.” Il fatto che si tratti di una struttura chiusa, poi, com’erano i manicomi, fa già capire che “certe cose non le si vogliono far vedere. – dice Papini – Penso che se questo ragazzo avesse ricevuto supporto psicologico, forse, non si sarebbe suicidato, anche perché aveva già rischiato la vita per venire in Italia. E, dopo un’esistenza di stenti, si ritrova in un Cpr, dove gli comunicano che rimarrà rinchiuso fino al giorno del rimpatrio: c’è chiaramente un elevato rischio di suicidio. Si tratta di una delle tante vittime senza nome, di cui non frega niente a nessuno. Infatti lui è finito al Cpr, gli altri sono ancora per strada.”

      Di Moussa, che era in Italia da oltre quattro anni, si sa ancora troppo poco. È una delle tante storie che risvegliano le coscienze per un giorno, poi si torna a dormire.

      https://futura.news/il-peso-dellindifferenza-la-storia-di-moussa-balde

    • Ils agressent un jeune migrant à Vintimille avant qu’il ne se suicide : trois agresseurs jugés ce vendredi au tribunal d’Imperia

      En mai dernier, un jeune migrant se suicidait après avoir été agressé par trois hommes dans le centre de rétention où il se trouvait à Vintimille. Ce vendredi, les trois agresseurs comparaissent au tribunal d’Imperia.

      (#paywall)
      https://www.nicematin.com/faits-divers/ils-agressent-un-jeune-migrant-a-vintimille-avant-quil-ne-se-suicide-troi

  • Interview with David Madore - esoteric.codes
    https://esoteric.codes/blog/david-madore

    David Madore is responsible for one of the best-known and most-confounding esolangs of all time: Unlambda. The language is based on the SKI combinator calculus, a super-minimalist computational system used in the mathematical analysis of algorithms, but considered impractical for coding. In Unlambda everything is a function that takes a single variable, so there are no indicators like ()s to take parameters. Like the SKI calculus, it entirely eschews variables and the lambda indicator, and so is described as lambda-without-the-lambda.

    Trois axiomes et hop, un langage turing-complet !

    #esolangs #programmation_fonctionnelle #programmation #turing #turing-complétude

  • Comment bloquer la #circulation automobile
    http://carfree.fr/index.php/2021/01/29/comment-bloquer-la-circulation-automobile

    Comment bloquer complètement la circulation automobile ? C’est l’expérience menée en 2008 à #turin en #italie par le groupe d’action Traffic Kills (« Le #trafic tue »). Cette action intitulée « Une démonstration de Lire la suite...

    #Fin_de_l'automobile #Marche_à_pied #actions #angleterre #londres #passage_piéton #piétons #Solutions #usa

  • https://www.researchgate.net/publication/345999956_Wittgenstein_et_Turing_Machines_Jeux_de_langage_et_Forme_de_

    On propose ici de faire le rapprochement entre les définitions que font Turing et Wittgenstein à propos de ce que signifie « suivre une règle ». Il s’agira ici de questionner le test de Turing dans le but d’observer qu’humains et machines ont plus en commun qu’on ne pourrait croire de prime abord quand il s’agit d’interpréter des signes. On verra que tous deux rencontrent un problème de décision. Pour cela on va revenir sur la définition des concepts de « formes de vie » et de « jeux de langage » chez Wittgenstein, afin de voir dans quelle mesure on peut les appliquer à une machine de Turing.

    #turing #wittgenstein #théorie

  • Mostra virtuale «L’anello forte» | Archivio di Stato di Torino
    https://archiviodistatotorino.beniculturali.it/gli-eventi/anello-forte-archivissima-2020

    Dal 5 all’8 giugno 2020 a Torino torna Archivissima, il Festival degli Archivi, quattro giorni per scoprire, raccontare, approfondire i patrimoni culturali, le collezioni, la storia degli Archivi. Il Festival 2020, ideato e sostenuto da Promemoria, è organizzato dall’Associazione culturale Archivissima in collaborazione con il Polo del ‘900. L’edizione 2020 sarà dedicata alle donne protagoniste di storie di cambiamento e trasformazione.

    L’Archivio di Stato di Torino partecipa al Festival
    organizzando una mostra virtuale per raccontare come le donne in tutte le epoche abbiano contribuito alla costruzione dello Stato,
    conquistando col tempo nuovi spazi di espressione e di azione. Questo processo è testimoniato sia nei documenti prodotti dall’amministrazione pubblica (prima e dopo l’Unità, in epoca monarchica e repubblicana), sia nelle carte di soggetti privati che l’Archivio accoglie in ragione della loro importanza storica e civile.

    La mostra, il cui titolo si ispira al libro di Nuto Revelli pubblicato nel 1985, accompagna il visitatore alla scoperta delle vicende di donne di potere e donne di cultura, operaie e studiose , attraverso le riproduzioni di pergamene, manoscritti, fotografie conservati in Archivio.

    Alcuni racconti sono diventati dei podcast ascoltabili liberamente, che resteranno a disposizione del pubblico anche oltre la fine del Festival, brevi narrazioni delle vite, “leggermente fuori fuoco”, di queste protagoniste della nostra storia.

    Dame che governano
    documenti danno voce a quattro donne di condizione non ordinaria – erano principesse di casa Savoia – che hanno potuto vivere la politica in modo attivo, per decenni o anche solo per un attimo. Quattro dame che – coerentemente con la visione del mondo in cui erano cresciute, una visione di lunga durata dal Medioevo al pieno Ottocento – accettano ciò che ci si aspetta da loro: un matrimonio che serve a rafforzare i rapporti tra dinastie, e deve generare un erede per garantire la continuità della stirpe. Quattro dame che, in un contesto sfavorevole, possono comunque esprimere una loro personalità o esercitare un ruolo politico in prima persona. Due di esse si ritrovano in una condizione insolita, riservata alle ereditiere o alle vedove: l’esercizio della sovranità, in prima persona o come reggenti per mariti assenti o figli minorenni, in situazioni precarie e tra pesanti contestazioni. Altre esercitano un ascendente sui mariti e orientano le loro scelte politiche, assumono il ruolo di mecenati, costruendo reti di idee e rapporti culturali, o si dedicano alla beneficienza, uno dei pochi campi in cui viene loro riconosciuta una certa autonomia.

    #archive #turin #exposition_viruelle #féminisme @cdb_77 @wizo

    • #Torino, prima città rifugio in Italia di chi difende i diritti umani

      Decolla il progetto del Comune con #Amnesty_International. Anche un polo per formare sull’accoglienza.

      Trovano casa a Torino gli attivisti di Amnesty International, ma anche tutti quelli che ogni giorno sono minacciati per la loro battaglia per i diritti umani. L’assessore ai Giovani, Marco Giusta, ha siglato un accordo che la trasforma nella prima “#shelter_city” d’Italia, cioè luogo di rifugio e accoglienza per chi si batte per i diritti umani e per questo è minacciato nel proprio Paese. Il progetto prevede un periodo di ospitalità che va da tre mesi a un anno, a seconda delle necessità: “Si tratta della messa a punto di un lavoro di tre anni e mezzo – racconta Giusta - Torino è davvero diventata la Capitale dei Diritti. Le conoscenze sono fuori dal Palazzo, costruire ponti e collaborazioni con chi lavora ogni giorno sul tema è stato fondamentale. Servivano spazi di codecisione amministrativi e li abbiamo creati al fine di lanciare programmazioni concrete e permanenti per la Città”.
      Il patto prevede da un lato la creazione di una rete d’accoglienza, ma anche il rafforzamento di progetti come #Open_011, la Casa della mobilità giovanile di corso Venezia. Una realtà nato nel 2006 durante le Olimpiadi Invernali e che oggi punta a diventare un Training Centre di livello internazionale. Sarà qui infatti la sede operativa di #JHREP, il Programma di Educazione ai Diritti Umani che Amnesty International Italia, Cifa Onlus e la rete internazionale #Hreyn intendono sviluppare per promuovere l’organizzazione di momenti formativi, training e study session nazionali e internazionali sul territorio torinese. “Torino sui diritti non deve essere arroccata, deve passare all’attacco – chiarisce l’assessore - Attacco non violento, ma strategico: serve una strategia per aggredire il fenomeno di violenza di genere, l’antisemitismo, il razzismo, il fascismo. La nostra strategia è sempre la stessa: serve diffondere valori e temi nella cittadinanza. Una città dei diritti, per me, è una città in cui le persone scelgono di venire a vivere e in cui scelgono di rimanere. In cui i e le giovani mettono alla prova i propri talenti e ambizioni. In cui ogni persona ha la possibilità di lavorare e il diritto di sentirsi a casa. In cui tutti i quartieri beneficiano di nuove opportunità e si sviluppano”.
      Già da luglio è attiva la nuova convenzione ventennale per la gestione dello spazio che prevede un ulteriore innalzamento degli standard qualitativi e l’introduzione di tariffe calmierate riservate a progetti sostenuti dalla Città o finanziati dal programma “#Erasmus_plus” e dal Consiglio d’Europa.

      https://torino.repubblica.it/cronaca/2019/12/10/news/torino_prima_citta_rifugio_in_italia_di_chi_difende_i_diritti_uman
      #Turin #citoyenneté

    • Padova sarà presto la seconda città-rifugio per i difensori dei diritti umani

      L’Italia diventa sempre più sensibile al tema della protezione degli human rights defenders, i difensori dei diritti umani. Tanto che, dopo Trento, anche Padova sarà presto una pioniera delle città-rifugio.

      Grazie ad una campagna lanciata un anno e mezzo fa dalla rete In difesa di formata da oltre 40 associazioni italiane, anche il nostro Paese avrà le sue shelter-cities, luoghi protetti per avvocati, blogger, attivisti in pericolo. La provincia autonoma di Trento ha già approvato una mozione a riguardo, e presto seguirà la provincia di Padova.

      «Ma entro fine anno contiamo di arrivare a cinque enti locali trasformati in shelter cities italiane», anticipa a b-hop Francesco Martone, portavoce della rete «#In_difesa_di…» (www.indifesadi.org)

      Ma cosa sono esattamente le città-rifugio? Luoghi sicuri e protetti nei quali i perseguitati in patria per via del loro essere schierati per professione a difesa dei diritti dei più vulnerabili (pensiamo a chi protegge i popoli indigeni in America Latina o agli avvocati e blogger in Cina, o ancora agli attivisti per diritti degli omosessuali in Africa), potranno vivere tranquilli ma in attività per un periodo circoscritto della loro vita.

      E continuare a lavorare anche a distanza, per portare a compimento la loro missione.

      «Sono due le città italiane che iniziano a muoversi in questa direzione per esser accreditate come shelter city: una è Trento, che ha annunciato di recente il suo coinvolgimento in questo meccanismo – assicura Martone – e l’altra è Padova, che ancora non ha formalizzato l’impegno, ma presto lo farà».

      «Stiamo lavorando anche su Prato e poi con la Regione Lazio e il comune di Milano», dice.

      Ma come si fa a candidarsi per essere una città che protegge chi nel proprio Paese ha dei problemi a proseguire con il lavoro di attivista? Ricordiamo che solo nel 2017 sono morte 312 persone, assassinate perché combattevano per i diritti umani. Parliamo spesso di regimi, altre volte di democrazie a rischio, Stati come la Colombia, la Mauritania, l’Iraq, l’Eritrea.

      Intanto, per accogliere, bisogna avere una “vocazione” già avviata, spiega Martone. Ad esempio, una società civile che abbia già preso a cuore una causa specifica.

      Poi ci si deve collegare ad un protocollo d’intesa che nel frattempo va avanti a livello nazionale. Bisogna cioè manifestare l’interesse ad ospitare un “perseguitato” e prendersi anche dei rischi o la responsabilità di tutelare la sua identità. Certo, l’Italia rispetto ad altri Paesi è indietro ma comincia a muovere passi importanti.

      «Il tema human rights defenders in Italia è relativamente nuovo – spiega Martone– In Germania o Olanda, invece, già esistono gli shelter e funzionano bene. Per i nostri enti locali questo è un uovo di colombo, adesso ci dicono: “finalmente per la prima volta quando parliamo di diritti umani sappiamo esattamente cosa possiamo fare per tutelare le persone“».

      Si tratta di attivare anzitutto un sistema di relazioni diplomatiche abbastanza solido e multi-livello.

      «Necessariamente il nostro lavoro nella Campagna italiana coinvolge le ambasciate e il ministero degli esteri. Noi siamo da due anni in dialogo con la Farnesina su questo», spiega ancora l’attivista.

      E i risultati si vedono: nonostante l’incertezza politica l’Italia è ormai ingaggiata.

      «La Farnesina ha risposto per ora organizzando un mega convegno a Roma sulle buone pratiche.

      Il 18 giugno prossimo saranno presenti alla Farnesina, attivisti dall’area euro-mediterranea, l’Ong Frontline defenders, e Justice & Peace, una Ong olandese che gestisce il programma locale di protezione e molti altri.

      «Questa roba qui in Italia non è stata mai fatta. Intanto creiamo le premesse perché si possa iniziare a capire come fare: incontriamo soggetti che già fanno opera di protezione».

      In effetti ad Amsterdam, Groningen, l’Aja, Maastricht, Middelburg, in Olanda, esistono convenzioni e strutture dove le persone perseguitate possono riprendere fiato, cercare alleanze, ricaricare le energie. Lavorare da avvocati, giornalisti, blogger, attivisti.

      Un esempio? Amsterdam. Dove «puoi essere ciò che sei, amare chi vuoi e pensare e credere in ciò che desideri. Libertà e tolleranza sono parte integrante della città. Ed è questo che rende Amsterdam una shelter city per eccellenza». Così si legge sul sito olandese.

      Lookkaté, ad esempio, è un’attivista che viene dalla Thailandia dove promuove i diritti civili e politici del popolo Thai. Ora si trova in Olanda dove ha trovato momentanemente un po’ di pace. E di alleati.

      «L’altra grande sfida è in effetti quella di trovare terreno fertile: una società civile locale che non solo accolga ma che collabori con lo human rights defender», spiega ancora Martone.

      «Quando un attivista minacciato tende a lasciare il paese d’origine prima ci sono dei protocolli da seguire, dei visti da ottenere, uno status di protezione internazionale temporanea per esempio», spiega infine Martone.

      https://www.b-hop.it/primo-piano/anche-padova-le-citta-rifugio-difensori-dei-diritti-umani
      #Padoue

    • Il Comune di Montegrotto Terme diventa Città Rifugio per i difensori dei diritti umani

      Il Consiglio Comunale di #Montegrotto_Terme ha approvato una mozione per aderire al progetto “Città Rifugio”.

      Si tratta di un progetto pilota di accoglienza temporanea e supporto per difensori dei diritti umani minacciati, in grado di raccogliere le diverse disponibilità territoriali per la relocation degli Human Rights Defenders, da attivare di concerto con la rete "In Difesa Di - per i diritti umani e chi li difende”, con gli altri Enti locali italiani interessati, le organizzazioni della società civile presenti ed attive sul territorio, e il Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova.

      Il Comune di Montegrotto Terme va ad aggiungersi ai Comuni di #Trento, Padova, #Cadoneghe, #Ponte_San_Nicolò, #Rubano, #Noventa_Padovana, #Asiago, Torino e alla Provincia Autonoma di Trento che hanno già aderito all’iniziativa.

      Con l’approvazione della mozione il Comune di Montegrotto Terme si impegna inoltre a:

      promuovere occasioni di studio, formazione e scambio di esperienze tra amministrazioni territoriali, organizzazioni della società civile e università sul ruolo degli enti locali nella protezione dei difensori dei diritti umani e le Città-Rifugio;
      promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado iniziative di sensibilizzazione sui difensori dei diritti umani intese come educazione all’assunzione di responsabilità per lo svolgimento di ruoli di cittadinanza attiva e democratica;
      sollecitare il Governo nazionale affinché attivi programmi di protezione per i difensori dei diritti umani, rafforzando l’iniziativa del corpo diplomatico italiano nell’attuazione delle linee-guida UE ed OSCE, ed aderendo alla Temporary Relocation Platform dell’Unione Europea;
      prevedere attraverso gli strumenti della cooperazione decentrata iniziative di supporto a programmi e progetti di sostegno e protezione dei difensori dei diritti umani in paesi terzi, centrale per il perseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile;
      inviare la rispettiva mozione all’ANCI ed alla Conferenza Stato-Regioni al fine di diffonderla presso altri Enti locali sollecitandone l’impegno per la protezione dei difensori dei diritti umani e la creazione di opportunità di rifugio temporaneo per attivisti a rischio e di programmi di cooperazione decentrata nei paesi terzi.

      L’iniziativa intende dare attuazione alla Dichiarazione “sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti” (Dichiarazione sui Difensori dei diritti umani), adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1998; alle Linee Guida sui Difensori dei diritti umani, adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nel 2004 e aggiornate nel 2008, volte ad orientare il lavoro delle rappresentanze diplomatiche dell’Unione e degli Stati Membri e la “Piattaforma UE di coordinamento per l’asilo temporaneo dei difensori dei diritti umani”; nonché alle Linee Guida sulla protezione dei Difensori dei diritti umani, adottate dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) nel 2014.

      L’art. 1 della Dichiarazione sui Difensori dei diritti umani stabilisce che “tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale”.

      L’Unione Europea nell’ambito della “Piattaforma di coordinamento per l’asilo temporaneo dei difensori dei diritti umani” (European Union Human Rights Defenders RE location Platform, EUTRP), ha implementato dei programmi di training in modo da garantire la necessaria sicurezza del Difensore; l’obiettivo è dunque un approccio di sviluppo e potenziamento delle capacità (capacity building), affinché i difensori dei diritti umani acquisiscano gli strumenti per mitigare i rischi che corrono e che risultano determinanti affinché possano elevare il loro livello di sicurezza e la qualità del loro lavoro.

      Nel Rapporto presentato quest’anno dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani è stata riaffermata la centralità degli Enti locali in un sistema integrato di protezione e sostegno ai difensori dei diritti umani che preveda anche un maggior impegno da parte della diplomazia, attraverso le ambasciate in paesi terzi e nei consessi internazionali quali il Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite.
      Nel medesimo Rapporto sono indicati i principi che devono informare le iniziative a sostegno dei programmi di ricollocamento temporaneo dei difensori dei diritti umani: che siano fondate sui diritti umani, che includano difensori e difensore di differenti background, integrino la dimensione di genere, siano fondate su un approccio olistico alla sicurezza, siano orientate alla protezione di individui e collettivi, prevedano la partecipazione dei difensori e difensore nella scelta delle misure di protezione e siano flessibili al fine di soddisfare i bisogni specifici dei difensori e delle difensore.

      L’iniziativa “Città Rifugio-Shelter City” fu lanciata per la prima volta nel 2012 dai Paesi Bassi. Essa prevede che, quando i difensori dei diritti umani sono seriamente minacciati a causa del loro operato da attivisti, possono richiedere un alloggio temporaneo alle città olandesi di: Amsterdam, Groningen, L’Aja, Maastricht, Middelburg, Nijmegen, Tilburg, Utrecht. Il periodo di permanenza di un difensore dei diritti umani è ridotto (dai 3 ai 6 mesi), questo perché la ratio è di fornirgli un periodo di “rest and respite” (riposo e tregua) al di fuori del suo paese, per poi poter affrontare nuovamente la lotta nonviolenta per i diritti umani quando le minacce saranno cessate.
      L’iniziativa olandese è stata in grado di amplificare un forte segnale al governo dei paesi di origine, all’opinione pubblica e agli eventuali responsabili delle minacce al difensore dei diritti umani: sostenendo pubblicamente il difensore, l’iniziativa dimostra che le violazioni sui diritti umani denunciate dall’attivista minacciato, sono prese seriamente in considerazione da parte della comunità internazionale. A tal riguardo, particolarmente vulnerabili, risultano essere le cosiddette Women Human rights Defenders, donne attiviste minacciate, e le loro famiglie.

      In Italia, sotto impulso della rete “In Difesa Di - per i diritti umani e chi li difende” alcuni Enti locali italiani stanno lavorando alla creazione di programmi di accoglienza temporanea e rifugio per difensori e difensore dei diritti umani a rischio.

      La mozione approvata dal Comune di Montegrotto Terme è disponibile al link sottostante.

      https://unipd-centrodirittiumani.it/it/news/Il-Comune-di-Montegrotto-Terme-diventa-Citta-Rifugio-per-i-difensori-dei-diritti-umani/4969

  • Rapports quotidiens du commissaire spécial de police en service au #poste_frontière du #Montgenèvre en #1884 - #1885
    Une recherche de #Philippe_Hanus publiée sur FB :
    https://www.facebook.com/philippe.hanus.94/posts/666078854128574

    Ami.e.s des confins,

    Puisque nous sommes désormais compagnes et compagnons d’infortune de nos voisins transalpins, je ne résiste pas au plaisir de vous faire partager ces rapports quotidiens du commissaire spécial de police en service au poste frontière du Montgenèvre en 1884-85 (d’après une documentation des Archives départementales des Hautes-Alpes).

    Il est question d’épidémie de #choléra, de mouvements migratoires, de #couvre-feu et de #nationalisme de frontière…

    Concordance des temps comme dirait J. - N. Jeanneney ?

    20/09/1884 : les familles piémontaises qui avaient quitté Marseille en raison de l’épidémie de choléra pour rentrer dans leur pays par le Montgenèvre reviennent en France.

    30/09 : trente italiens par jour retournent à Marseille et trente quittent la France pour l’Italie. Ce sont des individus des deux sexes appartenant à la « classe ouvrière ». Ils sont originaires de la province de #Turin. Il entre en France « beaucoup de jeunes volailles ».

    11/11 : divers officiers italiens « en bourgeois » (en civil) se rendent au #mont_Chaberton.

    24/11 : petit tremblement de terre sans conséquences.

    2/12 : le plus grand calme règne au Montgenèvre.

    22/12 : deux mètres de neige sont tombés au col : Montgenèvre est bloqué.

    5/01/1885 : temps glacial, route verglacée.

    21/01 : fréquentes avalanches, pays bloqué.

    30/01 : circulation enfin rétablie.

    24/04 : premiers mouvements de troupes italiennes à nos frontières.

    21/05 : deux compagnies d’infanterie prennent leurs quartiers au Montgenèvre.

    23/05 : différentes compagnies de chasseurs italiens montent au col.

    2/06 : des soldats français se sont rendus en Italie. Les douaniers italiens sont « surexcités » : rixe dans un bar à Cézanne où des hommes pris pour des sous-officiers français ont été invectivés par des Italiens.

    14/06 : frontière à nouveau calme.

    6/07 : on annonce de grandes manœuvres italiennes à la frontière, environ 10 000 h.

    Le 30/07 : les soldats Italiens prennent possession du Mont Chaberton avec huit pièces de canons « le Chaberton est toujours le point sur lequel se fixe l’attention des militaires… Il est l’objet de fréquentes visites d’officiers, en bourgeois, italiens et français ».

    Le 10/08/1885 : en raison du choléra on établit un #cordon_sanitaire à la frontière : « en arrivant aux Clavières, les voyageurs et les bagages venant de France sont soumis à une sorte de #désinfection en présence du médecin délégué… ».

    12/08 : les voyageurs en provenance de France sont « désinfectés avec de l’#eau_phénique, puis le médecin délivre un billet à ceux dont la santé est bonne.

    27/08 : l’entrée en Italie par les Clavières la nuit est interdite à tout le monde.

    20/10 : le poste de santé des Clavières, composé d’un médecin, un comptable et de deux sergents de ville a été supprimé dans la journée. Tout est tranquille.


    https://www.facebook.com/philippe.hanus.94/posts/666078854128574
    #histoire #épidémie #frontières #France #Italie #militarisation_des_frontières #armée #fermeture_des_frontières

    ping @fil @simplicissimus @reka @wizo

    • Le #choléra à nos frontières. Petite chronique de l’épidémie de 1884-85 entre la France et l’Italie

      En situation de crise sanitaire, les frontières apparaissent comme des points de vulnérabilité par où l’envahisseur (quand bien même s’agit-il d’un virus) vient remettre en question la souveraineté nationale. Cet article vise à interroger leur fonction de « rempart protecteur » entre la France et l’Italie dans le cadre de la gestion sanitaire de l’épidémie de choléra qui s’est répandue en Europe au cours de l’année 1884-85, à partir du Midi de la France.


      https://lecpa.hypotheses.org/1722

  • Il #18_politico

    Professoressa nell’occhio del ciclone per la volontà di assegnare un “18 politico” agli studenti impegnati nel suo esame al #Campus_Einaudi durante gli scontri.

    La professoressa #Raffaella_Ferrero_Camoletto, del dipartimento di Culture, Politica e Società dell’#Università_di_Torino, finisce nell’occhio del ciclone dopo aver comunicato la sua volontà di assegnare un «18 politico» agli studenti che erano impegnati nel suo esame al Campus Einaudi durante gli scontri dello scorso venerdì. Per il segretario provinciale del Siulp, Eugenio Bravo, la decisione della docente «ha dell’incredibile». «Che sostenere gli esami universitari, mentre è in corso un’occupazione, avrebbe potuto suscitare preoccupazione tra gli studenti, è un dato di fatto» ha affermato Bravo. «In questo Paese - ha aggiunto - le azioni di prevenzione delle forze dell’ordine sono interpretate soprattutto da particolari aree politiche, sempre in senso negativo. Ma che possano quasi diventare il pretesto per superare un esame universitario, è incredibile». La decisione di interrompere gli esami è stata condivisa anche dall’ateneo «in modo da tutelare gli studenti e i docenti che in quel momento si trovavano al Campus» ha confermato il rettore Stefano Geuna, che ha anche manifestato la sua vicinanza «a tutti coloro, ragazzi e professori, che hanno dovuto assistere a quei momenti di violenza».

    https://www.lastampa.it/rubriche/buongiorno-torino/2020/02/19/news/il-18-politico-1.38487844
    #Turin #Italie #université #résistance #18_politique #occupation #examens #examens_universitaires #violence

    • #Foibe, scontro al Campus Einaudi di Torino tra Fuan e antagonisti: 4 fermati – video –

      Tensioni questo pomeriggio al Campus Einaudi di Torino: durante un convegno intitolato “Fascismo, colonialismo e foibe”, organizzato da alcune sezioni dell’#Anpi del Torinese e dal gruppo #No_Tav, alcuni tra i militanti del #Fuan, organizzazione universitaria di estrema destra, ha effettuato un volantinaggio per protestare contro il convegno.

      A quel punto le due fazioni apposte sono passate allo scontro.

      Quattro antagonisti sono stati fermati dalla Digos. Ingenti i danni causati all’aula Borsellino, assegnata al Fuan, che stava tenendo il volantinaggio di protesta. Il parapiglia quando un gruppo di antagonisti ha cercato di superare le forze dell’ordine e di raggiungere gli studenti di destra. Danneggiata un’auto della polizia, accerchiata e presa a calci. Tre poliziotti sono rimasti feriti.

      “Oggi il FUAN, gruppo studentesco fascista, è venuto in università con la scorta che ha blindato completamente la struttura.
      Numerose cariche sono state fatte sul raggruppamento di studenti* che hanno impedito a questi razzisti di distribuire i loro volantini indisturbati – scrive il Collettivo Universitario Autonomo – Torino – Durante la contestazione sono state arrestate 3 persone, (4, ndr) student* di questa università.

      “È inaccettabile, commenta invece il presidente del FUAN Andrea Montalbano, che l’università permetta un convegno di stampo “giustificazionista” sulle foibe: in questo modo la memoria delle migliaia di persone innocenti che persero la vita solo perché italiani è infangata ancora una volta”.

      https://www.quotidianopiemontese.it/2020/02/13/scontro-al-campus-einaudi-di-torino-tra-fuan-e-antagonisti-vide

      #extrême_droite #racisme

  • Annexe - « Pour le Congrès des conseils d’usine aux ouvriers et paysans d’Italie »
    https://www.partage-noir.fr/annexe-pour-le-congres-des-conseils-d-usine-aux-ouvriers-et

    Appel lancé par L’Ordine Nuovo (a. I, n. 42, 27 mars 1920) de #Turin et signé, avec le Groupe Libertaire Turinois, par la Commission Exécutive de la Section socialiste de Turin, par le Comité d’études des Conseils d’usine turinois, par L’Ordine Nuovo. Anarchistes et communistes dans le mouvement des Conseils à Turin (1919-1920)

    / #Italie, Turin, Conseils ouvriers italiens (1919-1920)

    #Anarchistes_et_communistes_dans_le_mouvement_des_Conseils_à_Turin_1919-1920_ #Conseils_ouvriers_italiens_1919-1920_