• Migrantes - Il Naufragio del Sirio

    La nave Sirio fu varata il 24 marzo 1883 dal Cantiere Napier di Glasgow, lo scafo era in ferro e stazzava 3.635 tonnellate, spinte da una poderosa macchina alternativa da 3.900 cavalli capace d’imprimerle una velocità di crociera prossima ai 15 nodi. Due imponenti fumaioli, alti, sottili e slanciati, esprimevano la nuova potenza meccanica, i tre alberi a goletta ricordavano invece l’armatura dei velieri tradizionali e in qualche modo rassicuravano i passeggeri circa le eventuali avarie del motore. Il moderno piroscafo disponeva a poppa di 50 posti di prima classe, un ampio salone da pranzo, l’auditorio e un compartimento riservato a signore e fumatori, mentre la seconda classe, situata a proravia del ponte di comando, poteva ospitare oltre 80 passeggeri. Infine la terza classe, 1290 posti complessivi, accoglieva povera gente costretta a vendere tutto per pagarsi il biglietto del viaggio, stipati in grandi stanzoni comuni ricavati neii corridoi delle stive. Per oltre vent’anni il bastimento aveva solcato indenne l’oceano, trasportando migliaia d’emigranti verso il miraggio delle lontane Americhe, fino a quel fatale pomeriggio del 4 Agosto 1906 quando inspiegabilmente andò a schiantarsi contro le infide scogliere di Capo Palos, davanti alla città di Cartagena. Il naufragio aveva dell’assurdo, le secche erano segnalate sulle carte nautiche e conosciute già ai naviganti delle epoche più remote, le acque calme, il cielo terso, la visibilità eccellente e il comandante, Giuseppe Piccone, un vecchio ed esperto lupo di mare, nulla insomma lasciava presagire la disgrazia. Ma ancora più disastrose e caotiche saranno poi le operazioni di soccorso: lo scafo non affondò subito, rimanendo in balia delle onde per ben sedici giorni, in bilico sugli scogli con la prua rivolta al cielo e la poppa poggiata sul basso fondale, appena tre metri di profondità, come un cavallo nell’atto di saltare l’ostacolo, finchè l’opera incessante dei frangenti contro le murate lo spezzò in due tronconi che i flutti inghiottirono nell’ultimo gorgo fatale. La tragica agonia del bastimento provocò, secondo le stime ufficiali delle autorità e i registri del Lloyd’s di Londra, la morte accertata di 293 persone, ma in realtà le vittime furono oltre 500, uomini, donne e bambini, fra cui anche il vescovo di San Paolo del Brasile, a cui fa riferimento una strofa del testo. In ricordo dell’immane sciagura venne in seguito creato un museo a Capo Palos e composte canzoni da ignoti contastorie residenti nelle vallate da cui proveniva la maggior parte degli emigranti periti. Il presente brano è uno dei tanti, reperito dalla stessa interprete, che ha così permesso alle generazioni venture di serbare almeno memoria dell’evento e tramandare un frammento di storia dei padri. Che i caduti in mare riposino in pace, a loro non servono inutili polemiche, tuttavia, onde evitare paragoni nient’affatto pertinenti con sciagure marittime accadute di recente, è quì doveroso precisare che il comandante del Sirio, benchè debba ritenersi il principale responsabile del naufragio, in quanto causato proprio da un suo errore di rotta, impostata troppo a ridosso della costa, fu l’ultimo ad abbandonare il piroscafo, dopo essersi strenuamente prodigato nell’opera di salvataggio di passeggeri ed equipaggio. Non si riprese mai dal tremendo rimorso per le tante vite stroncate, morendo di crepacuore solamente due mesi appresso la tragedia, ma quelli erano altri tempi, altri uomini. Il Sirio non fu certamente la prima nave di emigranti ad affondare, e purtroppo non sarà nemmeno l’ultima: per i disperati della terra c’è sempre un porto da cui salpare ed un altro ove forse attraccare. E ogni cosa è rimasta ancora oggi uguale nell’oceano sconfinato, dal volo perduto dei gabbiani sù sciabordare ringhioso di burrasca alle grida disperate dei naufraghi contro l’eterno destino dei vinti, e così pure la nostra colpevole indifferenza.

    https://www.youtube.com/watch?v=TKkDbYuKKMk


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