• La Libia ha dichiarato la sua zona SAR: lo conferma l’IMO

    Tripoli definisce una propria area di ricerca e soccorso riconosciuta dall’Organizzazione Marittima Internazionale. Una svolta che complica ulteriormente la situazione, rendendo ancora più incerto il futuro di chi è intrappolato in Libia e il ruolo delle navi umanitarie. Diverse le domande, prima tra tutte: come si può affidare la responsabilità del soccorso a un Paese che non può essere considerato “Place of Safety”?

    http://www.vita.it/it/article/2018/06/28/la-libia-ha-dichiarato-la-sua-zona-sar-lo-conferma-limo/147392
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    • Una zona SAR per la “Libia” che non esiste. Si perfeziona la politica dell’annientamento.

      Sull’onda delle manovre di criminalizzazione delle ONG avviate lo scorso anno durante il governo Gentiloni-Minniti, dopo le operazioni di “soccorso” in acque internazionali delegate ai guardiacoste di Tripoli, giunge la notizia che l’IMO (Organizzazione delle Nazioni Unite per la navigazione matrittima internazionale) avrebbe inserito nei suoi data base una zona SAR “libica” con la indicazione di una Centrale operativa di coordinamento. La legittimazione che si attendeva degli ordini di “stand by” impartiti alle navi umanitarie dalla Guardia costiera italiana, quando la responsabilità dei soccorsi in acque internazionali veniva trasferita alle motovedette di Tripoli..

      Un inserimento atteso da tempo, salutato dalle congratulazioni dell’ambasciatore italiano a Tripoli, vero artefice della trattativa a Tripoli ed a Londra, prima con Minniti e poi con Salvini. Un tassello essenziale per quelle politiche di abbandono in mare e di respingimento collettivo che alcuni governi europei, e soprattutto il governo Salvini-Di Maio, vogliono utilizzare per dimostrare agli elettorati una maggiore capacità di garantire sicurezza e benessere. Una linea adottata dal governo senza alcun avallo del Parlamento, che al momento si sta traducendo in una guerra spietata contro i migranti e tutti coloro che li soccorrono in mare o li assistono a terra. La successiva precisazione che l’IMO non “riconosce” le zone SAR ma riceverebbe soltanto la “notifica” degli stati, contrasta con quanto successo lo scorso anno, quando lo stesso IMO ricevette a luglio analoga notifica di una zona SAR da parte del governo di Tripoli, ma rilevò l’assenza dei requisiti necessari per il riconoscimento di una zona SAR. Al punto che nel mese di dicembre dello scorso anno lo stesso governo di Tripoli ritirava la sua “notifica” e dichiarava la non esistenza di una zona SAR “libica”. Anche perchè la Libia come stato unitario non esiste. Ed i fatti lo domostreranno presto.

      Una zona Sar “libica” viene “notificata” al’IMO di nuovo oggi, con la precisazione imbarazzata della stessa agenzia, che contraddice tutte le prassi precedenti, in un momento nel quale uno stato unitario libico non esiste neppure, e le autorità di Tripoli (riconosciute dalle Nazioni Unite) hanno perso il controllo di parti molto vaste del territorio che prima controllavano. Il governo di Serraj non controlla neppure le principali aree portuali dalle quali partivano, e partiranno ancora, sotto il controllo delle stesse milizie, le navi di trasporto del petrolio (anche di contrabbando) e i gommoni carichi di migranti in fuga. Di certo, la Libia non offre ad oggi porti sicuri di sbarco, nè dispone di una organizzazione tecnico-operativa e assetti navali ed aerei tali da garantire la sicurezza delle persone che si dovessero trovare in difficoltà nella vastissima area geografica che gli accordi internazionali le hanno assegnato.

      Che cosa succederà se un lavoratore marittimo impegnato a bordo di uno dei tanti mezzi di servizio alle piattaforme petrolifere ENi, come quella di Bouri Field, 70 miglia a nord di Zuwara, dovesse avere improvviso bisogno di un intervento di soccorso in mare durante un trasferimento ? Oppure valgono regole diverse per le persone in sutuazione di distress in alto mare, a seconda della nazionalità o del colore della pelle? O ci penserà la Marina italiana ( missione Mare sicuro) che mantiene diverse navi in prossimità delle piattaforme offshore, anche al fine di garantire la necessaria sicurezza ? E se queste navi militari avvisteranno un gommone stracarico di migranti e dunque in procinto di affondare, in assenza delle navi delle ONG, come si comporteranno ? Da chi saranno coordinate le attività di soccorso in questi casi ?

      Secondo quanto affermano adesso esponenti della Guardia costiera “libica” che battono cassa nei confronti dei governi europei, ed innanzitutto dell’Italia, la stessa Guardia costiera disporrebbe soltanto di tre unità regolarmente naviganti, oltre alcuni battelli molto piccoli che non sono affatto in grado di prestare soccorsi, ma possono solo sparare, con i fucili mitragliatori che hanno in dotazione. Di salvagente e di mezzi collettivi di galleggiamento, sulle motovedette libiche neppure l’ombra. Chi avalla oggi l’esistenza di una zona SAR “libica” e di un centro di coordinamento “libico” a Tripoli, come chi delega attività SAR che dovrebbero tendere alla salvaguardia della vita umana, innanzitutto, ad una Guardia costiera che non esiste come organizzazione volta al soccorso delle persone in difficoltà in alto mare, si rende complice delle stragi passate e future.

      Dopo il Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017, e dopo il Codice di condotta Minniti, stiamo ad un’altro passaggio cruciale della collaborazione con le autorità di Tripoli. La Guardia costiera libica di fatto consiste di poche motovedette, con base a Tripoli direttamente coordinate dalla Marina militare italiana, e non si vede come un passaggio meramente formale come l’inserimento nei data base dell’IMO possa modificare una situazione di endemica omissione di soccorso in acque internazionali, una omissione di soccorso condivisa, secondo quanto risulta, anche dalle autorità italiane.

      Ma adesso è arrivato Salvini. Il ministro dell’interno e vice presidente del Consiglio ha annunciato che farà approvare in tempi rapidissmi la donazione di dodici motovedette al governo di Tripoli, una mossa che potrebbe scatenare un conflitto senza precedenti tra le diverse milizie che si contendono i porti e le acque libiche. Una scelta che però costituisce la prosecuzione della politica estera italiana di supporto della Guardia costiera di Tripoli, attuata da Berlusconi, Maroni, Gentiloni e da ultimo da Minniti. Che oggi non ha alcuna legittimazione per criticare le scelte di Salvini.

      Dopo l’allontanamento dell’Aquarius e il calvario inflitto alla Lifeline, con il sequestro della nave a Malta e le indagini penali avviate a carico del comandante sembra avere successo la strategia di Salvini per la eliminazione totale delle ONG dal Mediteraneo centrale, una campagna avviata lo scorso anno da Frontex e da Minniti, sorretta da blogger che hanno diffuso una valanga di notizie false ma tanto condivise da valere più della verità, poi sfociata in indagini della magistratura che, prima ancora delle sentenze, hanno prodotto la condanna mediatica del soccorso umanitario in acque internazionali.

      In queste ore, le autorità maltesi e italiane stanno persino impedendo la libera navigazione in acque inernazionali ad una nave umanitaria, la OPEN ARMS, che in passato sotto coordinamento della Guardia costiera italiana, ha salvato migliaia di vite. Di fronte a violazioni eclatanti del diritto internazionale si vogliono eliminare tutti i testimoni scomodi. Come si sta tentando di fare anche con la nave umanitaria Sea Watch, vuota ma sottoposta a Malta ad estenunanti controlli dai quali non è emerso nulla di irregolare, ma che hanno dato adito alle agenzie di stampa italiane di spargere la notizia che anche questa nave sarebbe stata “bloccata” nell’isola dei Cavalieri. Un altro successo (inesistente) della linea politica di Salvini, una bufala buona per continuare ad alimentare la macchina del consenso estorto agli italiani esasperando le sensazioni di insicurezza e di frustrazione sociale.

      Sembra che siano servite a poco le recenti decisioni della magistratura di Ragusa e Palermo, che hanno cominciato a ristabilire la verità dei fatti, dimostrando la falsità delle accuse rivolte alle ONG, ritenendo pienamente legittimo il loro comportamento nelle attività di soccorso in alto mare, ed aprendo importanti squarci di verità sulla corresponsabilità delle autorità italiane nel coordinamento di operazioni di soccorso che si sono trasformate in veri e propri respingimenti collettivi. Vogliamo la verità sulle operazioni di soccorso/intercettamento da parte della Guardia costiera di Tripoli e sugli interventi in acque internazionali che si sono svolti nei giorni del viaggio di Salvini in Libia.

      Adesso la macchina del fango contro la solidarietà in mare si è rimessa in moto, sul sequestro della Lifeline a Malta, mentre il suo comandante viene già ritenuto responsabile di gravi violazioni delle regole del diritto internazionale, perchè così hanno anticipato i due leader Salvini, da Roma, e Muscat da La Valletta, ai quali si è aggiunto anche il noto comandante della Guardia costiera di Tripoli, principale destinatario dei finanziamenti italiani ed europei per combattere l’immigrazione “illegale”. Una immigrazione illegale dalla Libia nella quale sono pesantemente coinvolte proprio quelle forze e quei comandanti che ricevono sostegno e finanziamento dall’Italia. Una Guardia costiera “libica” che si è distinta per gli attacchi contro le ONG, proprio mentre stavano salvando vite umane in alto mare.

      Sono i libici a confermare che le attività di ricerca e soccorso (SAR), da loro svolte, in realtà vere e proprie intercettazioni in acque internazionali, avvengono da tempo sotto il coordinamento delle autorità italiane. “Rome provides Libya’s coastguard with logistical support via its “Joint Rescue Co-ordination Centre”, locating migrant boats to intercept or rescue, as well as providing basic maintenance. Come era stato chiaramente affermato anche dal Giudice delle indagini preliminari di Catania, nel caso del sequestro della nave Open Arms.

      Avremmo voluto che la Guardia costiera e la Marina italiana confermassero una consolidata tradizione di soccorso e di rispetto delle regole di diritto internazionale del mare. Siamo comunque certi che, come già successo nei processi di Catania, Ragusa e nelle indagini archviate a Palermo, ad ogni attacco contro le ONG, corrisponderà la posibilità di provare, anche attraverso indagini difensive, con argomenti e prove sempre più stringenti, le responsabilità delle autorità italiane nelle attività di intercettazione in mare e di riconduzione a terra delegate ai libici, da ultimo con la indicazione del coordinamento di Tripoli competente per dirigere le operazioni SAR e indicare il porto di sbarco.

      Dalle prime notizie diffuse dopo l’arresto del comandante della Lifeline, al momento in stato di fermo sulla nave, risulta che non solo la Centrale operativa della Guardia costiera italiana gli avrebbe ordinato di consegnare i naufraghi alle motovedette libiche che stavano per arrivare, ma che addirittura avrebbe ordinato di ricondurre a Tripoli le persone soccorse. Più andranno avanti i processi e più chiaramente emegeranno le responsabilità di chi doveva dare l’ordine immediato di soccorrere persone comunque già in una situazione di “distress” immediato. Di chi invece si è limitato a imporre uno “stand by”, oppure ha cessato di rispondere, indicando, come è successo negli ultimi giorni, come autorità SAR competente la neocostituita Centrale di coordinamento di Tripoli. Ammesso che riesca a cordinare davvero qualcosa, e non continui ad operare in stretto coordinamento con la Marina militare italiana ( Missione Nauras) presente nel porto di Tripoli.

      Con il sequestro della Lifeline a Malta salgono a due le navi delle ONG sotto sequestro, ricordando la Juventa della Jugend Rettet, oggetto di un sequestro preparato sulla base di attività di indagine gestite direttamente dai servizi con agenti infiltrati a bordo di un’altra nave umanitaria ( di Save The Children), e tuttora bloccata a marcire nel porto di Trapani. Adesso i riscontri oggettivi evidenziano la montatura mediatica sul caso della Juventa. Ma l’opinione pubblica ha già emesso la sua sentenza, ed a Trapani il processo continua senza fare chiarezza sulle eventuali responsabilità personali.

      Immagini molto significative diffuse adesso dalla stampa inglese confermano come era trattata dalla “Guardia costiera libica” la nave Juventa della ONG tedesca Jugend Rettet, il 28 luglio dello scorso anno, pochi giorni prima del suo sequestro, avvenuto a Lampedusa dove era stata attirata con un tranello, lo sbarco di tre naufraghi trasbordati da un mezzo della guardia costiera che li aveva soccorsi in precedenza. Vediamo adesso chi continua ad affermare che la Guardia costiera “libica” non fa uso delle armi. Sono decine le testimonianze di migranti ed operatori umanitari che possono confermare il ricorso alle armi da parte della giardia costiera “libica” al fine di allontanare le navi delle ONG.

      A questo punto, con le posizioni assunte dal governo italiano, e da Salvini in particolare, non è facile pensare che le ONG possano continuare a colmare i vuoti lasciati dolosamente dagli stati nelle atività di ricerca e soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale. saranno probabilmente le navi commerciali, come avvenne nel 2015, dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum, che dovranno assumersi l’onere di socorrere le imbarcazioni in difficoltà, che comunque continueranno a partire, ed a riportarle in un porto europeo, quando le motovedette di Tripoli non saranno in grado di intervenire. Nessuno penserà ad aprire canali legali di ingresso, ed a pacificare davvero la Libia, uniche armi contro i trafficanti. Tutto questo sforzo di “contrasto dell’immigrazione illegale” , come la chiamano, costerà un aumento esponenziale di vittime, di morti accertati e di cadaveri dispersi in mare, come quelli abbandonati dalla nave americana Trenton, a cui pure si è negato per giorni un porto sicuro di sbarco in Italia.

      Le ONG non si dovranno più prestare a supplire al ritiro dei mezzi europei dalle operazioni SAR in acque internazionali, come successo a partire dal 2016, ma dovranno continuare ad essere presenti nel Mediterraneo centrale con l’esclusivo compito di documentare e denunciare, con giornalisti, parlamentari ed avvocati a bordo, senza cadere in altre trappole, e senza alcuna collaborazione con le autorità libiche. Come hanno accertato i rapporti delle Nazioni Unite e poi confermato i giudici di Ragusa e di Palermo, la Libia non offre “porti sicuri di sbarco”.

      Siamo certi che l’attività di Salvini e del governo italiano che dirige, al di là della presenza di un Presidente del Consiglio, buono per i vertici internazionali, sarà orientata adesso alla dimostrazione che il Libia esistono “porti sicuri di sbarco”. Gli stretti rapporti instaurati dalle autorità italiane con i guardiacoste di Tripoli permetteranno ogni sorta di messinscena, sulla pelle dei migranti. Del resto il leader leghista ha già ripreso le sue manovre propagandistiche, visitando un centro di “accoglienza” a Tripoli, definito “modello” e scagliandosi contro la “retorica” della tortura, senza arrestarsi neppure di fronte all’evidenza dei corpi martoriati che sbarcano dopo essere fugiti dalla Libia a costo di morire in mare. Persone, non merce, uomini, donne, minori, ben visibili, nel nostro paese, ma che vengono nascosti ai giornalisti al momento dello sbarco e quindi vengono fatti scomparire, adesso anche verso altri paesi europei.

      Secondo le Nazioni Unite, come ampiamente documentato in un rapporto di aprile di quest’anno, gli abusi ai danni dei detenuti si verificano anche nei centri governativi, chi ordina di riconsegnare naufraghi alle motovedette di Tripoli o regala altri mezzi a Serraj è complice dei torturatori e di chi traffica arricchendosi dietro la divisa che veste.

      Il rapporto ONU è agevolmente consultabile in rete, nessuno lo può ignorare o bollare come “retorica della tortura”.

      L’OIM ( Organizzazione internazionale delle migrazioni) e l’UNHCR ( Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) saranno messi di fronte ad una responsabilità enorme. Dovranno scegliere se avallare la tesi che in Libia la loro presenza, ancora frammentaria e sporadica, anche nei centri governativi, garantirebbe “luoghi sicuri di sbarco”, nonostante la stessa Libia non esista come entità territoriale unitaria e non abbia mai aderito alla Convenzione di Ginevra per i rifugiati. O dovranno denunciare con forza, fino all’Assemblea delle Nazioni Unite, ma anche a livello nazionale, le conseguenze nefaste di queste politiche di sbarramento e di abbandono sostenute dai governi europei. Le uniche politiche sulle quali si riesce ancora a raggiungere un accordo ed a indirizzare risorse. Come sarà confermato dal Consiglio di Bruxelles. E nel prossimo semestre la presidebza europea sarà nelle mani di Kurz, leader dell’ultradestra austriaca. Il suo piano, che sembra condiviso da Salvini, a parte lo spiacevole intoppo dei movimenti secondari e del Regolamento Dublino, che Kurz non vuole modificare a favore dell’Italia, appare come un vero e proprio piano di annientamento.

      Su queste politiche migratorie ispirate alla “eliminazione fisica” delle persone in fuga dalla Libia si consumerà comunque la fine dell’Unione Europea e non saranno certo i naz(ional)ismi che si stanno affermando in diversi paesi, ed in Italia , che sapranno rispondere alle domande di sicurezza che provengono da tanti cittadini europei. Non resteremo a guardare, ad ogni attacco contro l’umanità, contro i migranti, contro la solidarietà, seguirà una replica, ed una testimonianza, una migliore capacità di organizzazione.

      https://www.a-dif.org/2018/06/28/una-zona-sar-per-la-libia-che-non-esiste-si-perfeziona-la-politica-dellannien