• Si può parlare di “patria” anche a sinistra

    Alcuni esponenti della sinistra radicale hanno partecipato alla costituzione dell’associazione politica “#Patria_e_Costituzione”. Ne è seguita una reazione fredda, quando non apertamente critica. L’impressione è che il riferimento alla Patria sia percepito come “estraneo” e “innaturale” rispetto alla tradizione della sinistra.
    Il rapporto tra la sinistra e l’idea di Patria richiederebbe l’analisi approfondita di uno storico, di un politologo, di un sociologo. Questo articolo non può arrivare a tanto. Tuttavia, siamo persone di sinistra, conosciamo i nostri valori, e riconosciamo l’esigenza di evitare malintesi al nostro interno. Perciò, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo al dibattito. E nella nostra ingenuità, non riusciamo a convincerci che il sentimento patriottico sia incompatibile con la sinistra.

    In teoria (e purtroppo, spesso, anche in pratica), il nazionalismo viola alcuni dei valori fondamentali della sinistra: la pace tra i popoli, e quindi tra gli Stati; l’accoglienza degli stranieri e l’uguaglianza tra persone di culture diverse in uno stesso Paese; la cooperazione tra i Paesi del mondo. A questo proposito, sappiamo che il dialogo internazionale è una necessità dettata dalla realtà, dalla consapevolezza che non siamo da soli sulla Terra, dai guadagni che possono arrivare – per tutti – se il commercio internazionale è inserito in un sistema equo e non fraudolento, dall’esigenza di affrontare multinazionali private più forti dei singoli Stati. (Per inciso, quest’ultima esigenza non richiede, per forza, la scomparsa degli attuali Stati: è sufficiente, appunto, che gli Stati collaborino).
    Eppure, dal punto di vista logico, il patriottismo non ci sembra affatto in contraddizione con tutti questi valori. Quando una Patria si trasforma in uno Stato sovrano, questo Stato può ripudiare la guerra; può ospitare gli immigrati sul suo territorio e può garantire la loro dignità; può collaborare con gli altri Stati per promuovere gli scambi commerciali e culturali o per combattere le ingiustizie in tutto il pianeta. Questa è la definizione di “internazionalismo”: non è la distruzione degli Stati nazionali, ma l’esistenza di relazioni pacifiche e costruttive fra tutti gli Stati.
    Insomma, lo Stato può anche corrispondere a una Patria: ciò che conta, per noi, è che sia governato secondo i valori del socialismo democratico; in questo caso, non sarà mai costruito su base etnica, e non si consoliderà mai nell’esclusione del diverso, ma proprio nella sua inclusione in un sistema armonico di sviluppo.

    Se quel che abbiamo scritto sin qui è condivisibile, allora si può ammettere che il sentimento patriottico, che è parte integrante della vita di molte persone, possa esserlo anche per molte persone di sinistra.
    Naturalmente, questo sentimento ci spaventa se è interpretato da un punto di vista etnico; rifiutiamo un’Italia che esclude chi non è italiano di sangue, una patria che diventa razzista e disumana.
    Però, non sono incoerenti quei compagni che riconoscono l’importanza della storia e delle tradizioni di un popolo, all’interno di uno Stato sovrano (e anche, in modo diverso, all’interno di un’autonomia locale: si tratta di questione complessa, ma collegata con una delle possibili declinazioni del concetto chiave della sinistra e cioè quello dell’ “autodeterminazione”). E non lo sono nemmeno quando riconoscono, in ogni Stato sovrano nato da una Patria, una comunità di persone, con il diritto a compiere liberamente le scelte politiche che la riguardano, nel rispetto della sovranità degli altri Stati.

    In questo modo, si possono rassicurare anche quei compagni che vedono nella riscoperta della sovranità nazionale una rottura con l’Unione Europea. A questo proposito, bisogna ammettere che alcuni compagni più sensibili al sentimento patriottico hanno contribuito a generare un equivoco, concentrandosi su temi economicistici come quello della moneta unica, considerata un male in sé, e non per il meccanismo che genera.
    Attualmente, è un dato di fatto che i Trattati dell’Unione e l’attuale sistema della moneta unica impediscano agli Stati membri di intervenire a favore dei lavoratori e dei deboli: la spesa pubblica è vincolata; non esistono trasferimenti di risorse a vantaggio degli Stati più poveri. Questa è un’emergenza. Finché non sarà risolta, ogni programma di sinistra è destinato a non essere realizzato.
    In sé, la soluzione non è uscire dall’Unione Europea, così come non lo è rinunciare (anche solo in parte) alla sovranità degli Stati per dare vita agli Stati Uniti d’Europa. Infatti, l’Italia è uno Stato, come lo sarebbe un’eventuale Federazione Europea: uno Stato può aumentare la spesa pubblica, come ridurla; può schierarsi a favore del capitale, come del lavoro. Si può avere uno Stato nel quale compiere scelte politiche di sinistra, liberi dai vincoli dell’austerità, ma il problema resta: lo Stato, come ci ricorda Marx, non è un’entità statica e neutra, ma l’espressione di rapporti di forza sociali, e a nulla serve “tornare allo Stato” se poi esso è amministrato e governato a favore dei pochi, delle élites finanziarie, delle oligarchie anche politiche. Del resto, se il Governo italiano (come ci sembra) non è in grado di affrontare i problemi reali dell’Italia che lavora, la colpa non può essere scaricata interamente sull’Europa. Peraltro, è utile ricordare che gli attuali vincoli europei sono stati adottati da Stati sovrani, legittimamente e volontariamente: ad esempio, la Gran Bretagna scelse di non sottoscrivere il fiscal compact, segno che l’adesione alle politiche di austerità è stata anch’essa espressione di una volontà nazionale forte.
    Di conseguenza, un conto è la lotta contro i vincoli europei, che è la priorità assoluta per qualsiasi forza socialista e democratica; un altro conto sono i sentimenti patriottici e la sovranità nazionale.
    Sicuramente, nessuno Stato europeo può essere “sovrano”, finché le norme dell’Unione impediranno una politica economica diversa dall’austerità. Inoltre, il problema primario in Europa è – di nuovo – proprio l’autodeterminazione, dal momento che non possono convivere pacificamente e nello sviluppo comune sistemi produttivi così diversi ed eterogenei; anche se potessero farlo, noi non crediamo che l’uniformità sia desiderabile: ciascun popolo ha diritto a pensare una via al proprio sviluppo.
    Eppure, si può invocare maggiore sovranità nazionale contro l’Europa che ci impedisce la spesa pubblica, anche senza proporre l’uscita dalla moneta unica, o dall’Unione Europea. Infatti, si tratta di problemi specifici, che richiedono rimedi specifici, modifiche di specifiche disposizioni contenute nei Trattati, introduzione di specifici istituti fiscali. Questi rimedi ridurrebbero solo in parte la sovranità degli Stati membri; quindi, consentirebbero un compromesso accettabile tra l’autodeterminazione dei popoli europei e la loro permanenza in un’Unione che ne assicura la collaborazione pacifica.

    Persino il nesso tra il patriottismo e il fascismo è più complesso di quanto siamo abituati a pensare. Fabio Vander, ne L’estetizzazione della politica, ha ricostruito il legame tra il fascismo e la tradizione futurista, proseguito a lungo durante il Ventennio; il fascismo ha utilizzato il sentimento nazionale come strumento di propaganda, ma le sue radici si trovano in un movimento che intendeva rompere con l’Italia dei secoli precedenti, con la sua storia e la sua cultura, a iniziare dall’Umanesimo.
    Del resto, la sinistra che vuole davvero contrastare il fascismo e la sua eredità dovrebbe iniziare a riconoscere la caratteristica principale di quell’ideologia: non tanto la presenza di un “capo” in diretta relazione con il “popolo”, e nemmeno tanto l’odio verso il “diverso”, quanto la volontà di distruggere la vita delle persone, in nome di un continuo “cambiamento” che non lascia alcuno spazio alla dignità umana. Può trattarsi di perseguitare gli ebrei e di deportarli ad Auschwitz, o di inviare i giovani italiani a morire in guerra, o di mantenere le donne italiane in stato di servitù, ma può trattarsi anche di realizzare il principale obiettivo del fascismo degli inizi, nonostante le sue pretese protezionistiche: impedire con la forza le lotte dei lavoratori per essere pagati di più, per lavorare di meno, per avere più ferie o la malattia pagata. In questo senso, sarebbe sicuramente “fascista” (anche se questo non è avvenuto sotto il regime di Mussolini) una forza politica che emargina il patriottismo, magari con lo scopo di scoraggiare (o addirittura di eliminare), in nome della libertà dell’individuo, le identità e i sentimenti collettivi, come temeva Pasolini negli Scritti corsari.

    Patria e sovranità nazionale non hanno a che vedere con la guerra e con il razzismo. Non hanno a che fare neanche con uno Stato che si isola, condannando i suoi cittadini a essere più deboli e più poveri in un mondo sempre più interconnesso. E non ci obbligano neppure a dare l’addio all’Unione Europea, ai suoi vantaggi pratici, alla sua insostituibile missione storica di collaborazione internazionale. Almeno, non necessariamente.
    Per noi, socialisti e democratici, il valore principale resta la difesa della dignità umana e il sostegno alla classe lavoratrice. Finché questo valore non è in discussione, i sentimenti patriottici possono essere un bene prezioso anche per chi sta a sinistra: inoltre, non rappresentano solo un fatto privato, perché a ogni Patria corrisponde una comunità che ha il diritto di autodeterminarsi.
    A voler ampliare l’orizzonte, questo singolo tema offre lo spunto per affrontare la reale difficoltà della sinistra, in questa fase in cui, dal nostro punto di vista, tutto sembra disperato. Nessuno dice che la sinistra si debba fondare sul patriottismo, perché non è la sua ragione di esistere: quel che conta è saper accogliere anche chi crede ancora in alcune identità collettive (come la Patria), verso le quali la sinistra degli ultimi anni è stata troppo diffidente. Allo stesso modo, del resto, tutti devono impegnarsi a difendere la libertà e la dignità di chi non crede nella Patria: non solo nel partito della sinistra che verrà (se verrà), ma anche in quelle realtà sociali nelle quali questo valore è imposto con la forza violenta dell’intolleranza e del conformismo.
    Al di là di questo singolo tema, un partito deve saper trovare il compromesso fra i propri valori e i bisogni emotivi delle persone, quando è possibile. Altrimenti, è destinato a non fare egemonia e a lasciare il campo libero ai suoi avversari, ai suoi opposti. È destinato a rinunciare alla sua funzione di includere le persone, che è qualcosa di diverso (e di più) rispetto al semplice “imitare la destra per portarle via i voti”. È destinato a non scendere in quel terreno di gioco nel quale si può almeno provare quell’impresa culturale, oggi così urgente. In altri termini, è destinato a cantarsela e suonarsela da sé. Mentre la Lega di Salvini conquista a tavolino il potere politico e le coscienze degli italiani.

    https://ipettirossi.wordpress.com/2018/09/26/si-puo-parlare-di-patria-anche-a-sinistra
    #patrie #mots #vocabulaire #terminologie #droite #gauche #idéologie #UE #Union_européenne #EU #Etat-nation #nationalisme #fascisme #souveraineté_nationale
    via @wizo