Dopo dieci anni di attesa e battaglia da parte della famiglia di Stefano Cucchi, la Corte d’Assise di Roma identifica i colpevoli per la morte del 31enne romano: in primo grado condanne a 12 anni per omicidio preterintenzionale ai carabinieri #Alessio_Di_Bernardo e #Raffaele_D'Alessandro.
Dieci gli anni di attesa, dodici quelli di condanna. A distanza di due lustri da quel 27 ottobre del 2009, quando si apprese della morte del 31enne romano Stefano Cucchi, una sentenza della Corte d’Assise di Roma identifica dei colpevoli: i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro sono stati condannati con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Si tratta di una sentenza di primo grado, nel processo bis sul caso Cucchi, su cui i legali dei condannati hanno già manifestato l’intenzione di ricorrere in appello. Un processo, questo, che si è aperto dopo le dichiarazioni del carabiniere Francesco Tedesco, che raccontò del pestaggio subito da Stefano in caserma.
Dieci anni di attesa e di lotta da parte della famiglia Cucchi.
«Stefano è stato ucciso, lo sapevamo. Forse adesso potrà riposare in pace e i miei genitori vivere più sereni», ha detto Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano.
Stefano Cucchi: sentenza con condanne al processo bis
Parla di dieci ani di dolore la sorella di Stefano, l’avvocato Ilaria Cucchi, che dalla morte del fratello, insieme ai genitori, ha iniziato una battaglia senza sosta, per ottenere giustizia e fare luce sulle reali motivazioni di quella tragica fine. Una lotta che si è conclusa, almeno per ora, con una sentenza che vede condannati a 12 anni i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, inoltre interdetti in perpetuo dai pubblici uffici.
Giunge l’assoluzione per l’accusa di omicidio, invece, per Francesco Tedesco, l’imputato che fece luce sulle percosse subite da Stefano in caserma la notte in cui fu arrestato perché trovato in possesso di 25 grammi di hashish, qualche grammo di cocaina e farmaci anti-epilettici scambiati per pasticche di ecstasy.
Per Tedesco, diventato teste d’accusa quando nel 2018 raccontò quello che aveva visto nella caserma Casilina, dove avvenne il pestaggio di Stefano, rimane la condanna a 2 anni e sei mesi per falso, così come per Roberto Mandolini, comandante interinale della stazione Appia, condannato a 3 anni e otto mesi e interdetto per cinque anni dai pubblici uffici. Assolti, invece, Vincenzo Nicolardi, Tedesco e Mandolini dall’accusa di calunnia.
Processo Cucchi: la sentenza per i medici
Stefano Cucchi fu arrestato il 22 ottobre del 2009, ma morì una settimana dopo nel reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini di Roma. I giudici della Corte d’Assiste d’Appello di Roma hanno deciso l’assoluzione per il medico Stefania Corbi, «per non aver commesso il fatto». Mentre le accuse sono prescritte per il primario del reparto di medicina protetta dell’ospedale, Aldo Fierro, e altri tre medici, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo.
Il processo ai medici del Pertini era iniziato con l’accusa di abbandono d’incapace. Nel 2013 furono poi condannati per il reato di omicidio colposo, successivamente assolti in appello. Ma l’iter processuale ricomincia con un primo intervento della Cassazione che rimandò indietro il processo. I giudici della Corte d’Appello, dunque, confermarono l’assoluzione, impugnata poi dalla Procura generale. La Cassazione rinviò nuovamente disponendo una nuova attività dibattimentale conclusasi giovedì 14 novembre con un’assoluzione e quattro prescrizioni.
Ed è proprio a questa prescrizione che i difensori dei condannati si appellano nel dichiarare le intenzioni di fare ricorso in appello. «Come si concilia – sono le parole di Giosuè Bruno Naso, legale di Mandolini – questa sentenza sul piano tecnico-giuridico col fatto che oggi stesso la corte d’Assise d’Appello ha dichiarato la prescrizione per i medici?».
La storia di Stefano Cucchi raccontata da Acad
«La fine di Stefano Cucchi comincia dal momento in cui i carabinieri lo arrestano al Parco degli acquedotti nel quartiere Casilino di Roma per detenzione di sostanze stupefacenti […] Durante i giorni del ricovero la famiglia del giovane non ha mai potuto vederlo perché l’amministrazione penitenziaria impediva qualsiasi contatto. Stefano morirà alle 6,45 del 22 ottobre 2009 dopo una via crucis giudiziaria e sanitaria durata quasi una settimana».
È quanto si legge nel dossier “Anomalia Italia”, redatto da Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, uno strumento a disposizione delle famiglie, e, grazie al numero verde (800.58.86.05), di chiunque ritenga di aver subito un abuso da parte di appartenenti alle forze dell’ordine.
Le assoluzioni, arrivate nel 2016, nel primo processo, che aveva visto come imputati i medici del Pertini, gli infermieri e le guardie penitenziarie, ignorando di fatto il ruolo dei carabinieri che avevano arrestato Cucchi, sembravano aver messo una pietra tombale sulla battaglia portata avanti dalla famiglia Cucchi.
Ma successivamente arrivò l’inchiesta bis, un altro processo con le rilevazioni del carabiniere Francesco Tedesco, che ammise il pestaggio subìto da Stefano. «Fu un’azione combinata – si legge nel verbale di un interrogazione del 9 luglio 2108 – Cucchi prima iniziò a perdere l’equilibrio per il calcio di D’Alessandro poi ci fu la violenta spinta di Di Bernardo che gli fece perdere l’equilibrio provocandone una violenta caduta sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di aver sentito il rumore».
Vlad, il vademecum legale contro gli abusi in divisa
“Stefano Cucchi: il caso che ha cambiato la storia degli abusi”. È l’ultimo capitolo di Vlad, un vademecum che tenta di ricostruire le normative da cui gli abusi traggono origine, redatto nel 2018 da Acad insieme ad Alterego – Fabbrica dei diritti.
«Il processo Cucchi-bis ha cambiato la storia dei processi in Italia sul tema degli abusi in divisa», si legge nel vademecum, al capitolo dedicato al caso Cucchi.
«Appresa la notizia della morte di Stefano, fu lo stesso Tedesco a presentare una formale nota di servizio dove raccontava i fatti accaduti in quella notte. Nota di servizio consegnata al suo superiore Roberto Mandolini. Nota di servizio scomparsa nel nulla».