• Gli attivisti eritrei denunciano la Ue : “Finanzia il lavoro forzato”

    Grazie alle risorse del “#Trust_fund” per l’Africa, la Commissione europea ha stanziato 20 milioni di euro per la costruzione di una strada che collega i porti eritrei al confine etiope. Tra i lavoratori coinvolti nel progetto anche i giovani costretti alla leva obbligatoria a tempo indeterminato.

    L’Unione europea sta finanziando con un contributo di 20 milioni di euro il progetto per la costruzione di un’importante arteria stradale in Eritrea in cui la manodopera è formata in parte da giovani sottoposti al cosiddetto “National service”. Ovvero ragazzi e ragazze che vengono reclutati nell’ambito del servizio militare e civile obbligatorio, previsto nel Paese per tutti i cittadini dai 18 anni d’età (ma secondo molte denunce il reclutamento avviene anche prima). Oltre all’addestramento militare, i coscritti sono spesso costretti a lavorare come manodopera a bassissimo costo nella costruzione di infrastrutture (strade, ospedali, alberghi) o nelle miniere del Paese. Una prassi che diversi rapporti delle Nazioni Unite e di organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch hanno definito un “crimine contro l’umanità” equiparandolo, di fatto, al lavoro forzato e alla riduzione in schiavitù. Il finanziamento europeo è stato erogato attraverso le risorse del “Trust Fund” per l’Africa.

    L’accusa alla Commissione europea arriva dalla “Foundation Human Rights for Eritreans” (FHRE), un’associazione con sede in Olanda che riunisce attivisti e rifugiati in fuga dal regime di Asmara. Il 1° aprile, tramite uno studio legale di Amsterdam, l’associazione ha inviato una lettera alla Commissione europea per denunciare questa situazione e chiedere un incontro. Se non ci sarà una risposta entro il 15 aprile o se l’offerta di incontro non verrà presa in considerazione, la federazione procederà con le azioni legali. “È inaccettabile che l’Unione europea finanzi un progetto che utilizza manodopera forzata -sottolinea Mulueberhan Temelso, direttore dell’FHRE-. L’Eritrea è una prigione a cielo aperto, chi è sottoposto alla coscrizione obbligatoria vive in condizioni molto dure e l’Europa è perfettamente a conoscenza di questa situazione”.

    Nella documentazione relativa al progetto (https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/sites/euetfa/files/t05-eutf-hoa-er-66_-_eritrea_road_rehabilitation.pdf) per la costruzione della strada (che andrà a collegare i porti eritrei con l’Etiopia), pubblicata sul sito del “Trust fund” vengono identificate tre tipologie di lavoratori: “Professionisti del Governo, quelli del ‘National service’ e quelli mobilitati dalle comunità locali”. “Sorprendentemente, l’Europa è chiaramente a conoscenza di questa situazione e la accetta -scrive nella lettera Emiel Jurjens, l’avvocato che sta promuovendo la causa degli attivisti eritrei-. Il ‘Trust fund’ semplicemente accetta l’affermazione del governo eritreo secondo cui non vi saranno riforme a breve termine del servizio nazionale dal momento che le attuali realtà economiche lo escludono”. La sola preoccupazione espressa dal documento europeo riguarda i rischi legati alla “bassa qualità” del lavoro a causa dell’impiego di una manodopera non-qualificata o poco specializzata”.

    L’avvocato Jurjens inoltre evidenzia come non ci siano evidenze del fatto che il recente accordo di pace tra Eritrea ed Etiopia abbia avuto un impatto positivo sul miglioramento dei diritti umani in Eritrea. Il 16 marzo 2019, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Kate Gillmore, ha chiesto all’Eritrea di mettere fine al servizio nazionale obbligatorio: “La durata della leva va ben al di là dei 18 mesi previsti dalla legge e, di fatto, è a tempo indeterminato. Inoltre spesso si svolge in condizioni estremamente lesive dei diritti umani, che possono includere il ricorso alla tortura, alle violenze sessuali e al lavoro forzato”. Il 28 marzo 2019, anche il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha espresso la sua preoccupazione circa le accuse secondo cui i giovani sottoposti alla coscrizione obbligatoria “sono impiegati in varie attività lavorative, comprese le miniere o imprese di costruzione di proprietà privata ricevendo un salario estremamente basso o nullo”.

    “Finanziare progetti che fanno ricorso a manodopera forzata è una chiara violazione dei diritti umani -commenta l’avvocato Jurjens-. L’Europa deve cessare queste attività immediatamente e ripensare il suo approccio all’Eritrea. Chiediamo inoltre che la Commissione ci fornisca tutti i documenti relativi a questo progetto per indagare ulteriormente sulle modalità con cui sono state prese queste decisioni”.

    Il Fondo fiduciario europeo di emergenza per l’Africa (detto anche “Trust fund”) è stato lanciato nell’ottobre 2015 a La Valletta (Malta) con l’obiettivo di finanziare con rapidità iniziative e progetti per “affrontare le cause profonde delle migrazioni irregolari”. I destinatari di questi fondi sono 23 Paesi africani di origine e di transito dei flussi migratori. Dei circa 4 miliardi di euro destinati al “Trust fund”, circa 3,7 provengono dal Fondo sociale europeo di sviluppo e da altri strumenti finanziari dell’Unione per l’aiuto allo sviluppo nei Paesi terzi. Tuttavia, il Parlamento europeo, non ha modo di controllare né di verificare come vengono spesi questi soldi. Diverse inchieste giornalistiche e report pubblicati da organizzazioni non governative hanno messo in luce come i fondi del “Trust fund” siano stati spesso utilizzati per migliorare i controlli di polizia lungo le frontiere dei Paesi di transito.

    https://altreconomia.it/eritrea-ue-lavoro-forzato

    #travail_forcé #Erythrée #UE #EU #Europe #esclavage_moderne #trust_fund_for_africa #développement (sic) #route #infrastructure_routière #national_service

    La description de l’aide financière à l’Erythrée via le Trust fund :


    https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/sites/euetfa/files/t05-eutf-hoa-er-66_-_eritrea_road_rehabilitation.pdf

    N’oublions pas que le but du Trust Fund est de "combattre la migration irrégulière" :

    The European Union Emergency Trust Fund for stability and addressing root causes of irregular migration and displaced persons in Africa (EUTF for Africa) aims to foster stability and to contribute to better migration management, including by addressing the root causes of destabilisation, forced displacement and irregular migration.

    https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/content/homepage_en

    ping @isskein

    • Eritrea: progetti finanziati con i soldi UE impiegano “lavoro forzato”

      Mentre prova a limitare i flussi di migranti africani e a favorire lo sviluppo in diversi Paesi del continente, l’Unione europea continua a spendere milioni di euro in Eritrea nella realizzazione di progetti in cui si utilizza “lavoro forzato”. L’anno scorso, come parte del Fondo fiduciario europeo di Emergenza per l’Africa, l’UE si è impegnata a spendere 20 milioni di euro in Eritrea per finanziare iniziative volte a limitare le migrazioni irregolari affrontandone le cause profonde. Il denaro, in particolare, è servito ad acquistare attrezzature e materiali per la costruzione e il miglioramento di strade necessarie a facilitare i trasporti di merci. Tuttavia, a partire da aprile 2019, diverse organizzazioni umanitarie, in particolare La Fondazione di difesa dei Diritti Umani per gli eritrei, con sede in Olanda, hanno cominciato a denunciare il fatto che molti lavoratori, impiegati nel cantiere, erano costretti al servizio militare obbligatorio. Ciò pare non abbia però impedito all’Unione di rivalutare l’invio di ulteriori fondi, decisi a dicembre 2019, da destinare all’Eritrea, continuando di fatto a finanziare un sistema di coscrizione forzata che le Nazioni Unite hanno descritto come “equivalente alla schiavitù”.

      L’aiuto aggiuntivo, pari a 95 milioni di euro, giunge nonostante l’Unione europea abbia ammesso di non avere una reale supervisione dei progetti che finanzia in Eritrea, una nazione chiusa fatta di circa 5 milioni di abitanti, ed è stato deciso con la clausola di non subordinare i finanziamenti alle garanzie di riforme democratiche. Il denaro fa parte del Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, pari a 4,6 miliardi di euro, creato al culmine della crisi migratoria del 2015 per affrontare il fenomeno alla radice. Sebbene tale piano sia supportato da un ampio consenso, la sua esecuzione ha offuscato quello che molti vedono come un obiettivo degno, sollevando persino dubbi sul fatto che stia diventando controproducente per il Paese stesso. Il flusso di richiedenti asilo provenienti dall’Eritrea rimane elevato. Almeno 5.000 l’anno hanno chiesto asilo in Europa negli ultimi dieci anni. Nel 2015 e nel 2016, il numero ha raggiunto il picco di oltre 30.000 e l’anno scorso è stato di circa 10.000. almeno l’80% delle richieste viene accolto, secondo i dati forniti dall’Eurostat. Ciò significa che, per la maggior parte dei Paesi europei, i richiedenti asilo eritrei sono considerati legittimi rifugiati.

      Nel caso dell’Eritrea, i funzionari europei adottano un approccio chiamato “a doppio binario”, che consiste nel dialogare con il governo fornendogli allo stesso tempo denaro indipendentemente dai risultati. Nel complesso, 200 milioni di euro del fondo sono destinati all’Eritrea. La speranza è che il denaro aiuti a risollevare l’economia locale, a creare posti di lavoro, a indurre gli eritrei a non lasciare le proprie case e a consolidare l’accordo di pace raggiunto con l’Etiopia nel luglio 2018. A prescindere dai risultati dell’iniziativa, secondo quanto riferiscono i critici del progetto, il fatto spaventoso è che il governo eritreo è considerato uno dei peggiori al mondo in termini di rispetto dei diritti umani.

      Il presidente di Asmara, Isaias Afwerki, mantiene lo stato d’emergenza nel Paese dal 2000. Come parte di questa condizione, il Servizio Nazionale è obbligatorio, universale e indefinito. “Nonostante l’accordo di pace con l’Etiopia, la situazione dei diritti umani in Eritrea rimane terribile”, ha dichiarato Laetitia Bader, che si occupa del Paese e della regione del Corno d’Africa all’interno di Human Rights Watch. “Il governo continua ad arruolare gran parte della sua popolazione nell’ambito del Servizio Nazionale obbligatorio e trattiene decine di detenuti politici in condizioni disumane”, ha aggiunto. Gli eritrei sono intrappolati all’interno di questo sistema e, più in generale, del Paese, perché per uscire è necessario un visto. Molti rimangono arruolati anche a 40 anni, facendo lavori civili o militari con salari minimi.

      Le Nazioni Unite e diversi gruppi per i diritti umani affermano che la leva obbligatoria in Eritrea equivale a lavoro forzato. Gli Stati Uniti hanno da tempo sospeso gli aiuti e i finanziamenti per lo sviluppo del Paese. La Commissione europea, in merito ai progetti finanziati nel Paese del Corno d’Africa, ha dichiarato di essere stata “informata” dal governo che i coscritti sarebbero stati utilizzati per i lavori stradali. Tuttavia, ha dichiarato: “L’Unione Europea non paga la manodopera nell’ambito di questo progetto. Il finanziamento riguarda solo l’approvvigionamento di materiali e attrezzature per affrontare la riabilitazione delle strade”.

      La Commissione, che ha incaricato l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto di gestire il programma per suo conto, ha affermato che vige la massima attenzione per garantire che gli standard minimi di salute e sicurezza dei lavoratori siano rispettati. Tuttavia, l’agenzia dell’ONU non ha un ufficio in Eritrea e afferma che sta controllando la situazione attraverso visite organizzate dal governo di Asmara. In più, l’Ufficio ha ammesso: “Non siamo monitorando l’attuazione del progetto, perché questo è realizzato dal governo e i progressi vengono monitorati dal Ministero dei Lavori pubblici”. Interrogata dal New York Times sul fatto che con questo finanziamento rischia di favorire la pratica del lavoro forzato in Eritrea, un problema denunciato da molte altre agenzie delle Nazioni Unite, l’Ufficio per i Servizi di Progetto ha detto che “rispetta i principi fondamentali dell’ONU, inclusa l’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato o obbligatorio” ma che ha deciso di procedere ugualmente.

      https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/01/08/eritrea-progetti-finanziati-soldi-ue-impiegano-lavoro-