• Corpi e recinti. Estetica ed economia politica del decoro

    Le politiche per il decoro occupano da qualche tempo una posizione di punta nelle strategie per il governo dei comportamenti e delle diseguaglianze sociali. Apparentemente il divieto di stendere il bucato alle finestre o di coricarsi sulle panchine di un parco sembrerebbe rinviare al confine tra le prerogative del giudizio estetico e i problemi di ordine morale, ma osservate più da vicino tutte queste proibizioni si rivelano il prolungamento della guerra ai poveri e delle politiche migratorie con altri mezzi. Quelle che il decoro bandisce sono le impronte urbane della classe e della razza, la memoria vivente di una città sufficientemente porosa da lasciar intravvedere gli aspetti meno neutrali del paesaggio connaturato al potenziamento della rendita e del profitto. Delle pessime ragioni della pubblica decenza, dunque, è possibile tratteggiare un’economia politica che attraverso la formazione ottocentesca dei quartieri operai in Inghilterra, l’urbanistica coloniale di Algeri, gli uffici di collocamento nella Berlino degli anni Trenta, l’Italia delle migrazioni interne, gli Stati Uniti della tolleranza zero e i centri deputati allo smistamento dei migranti non ha mai smesso di assegnare allo spazio il compito di molestare e colpevolizzare le vite degli sconfitti. Ma il senso di queste molestie emerge in tutta evidenza attraverso l’analisi di quanto accade sui boulevard del Secondo Impero, dove all’allontanamento dei soggetti sgraditi dovevano innanzitutto corrispondere la produzione dei bisogni, i desideri e l’esperienza corporea dei soggetti conformi. Le politiche per il decoro, allora, si potrebbero definire forme di «recinzione percettiva», misure di intervento sulla realtà percepita che delle vecchie enclosure trattengono la valenza sia predatoria che disciplinare, alimentando la percezione dell’insicurezza.


    http://www.ombrecorte.it/more.asp?id=607&tipo=novita
    #livre #anti-SDF #decoro (que je ne sais pas bien comment traduire en français: #décence #décorum #bienséance...) #esthétique #villes #urban_matter #anti-pauvres #géographie_urbaine #morale #bancs #guerre_aux_pauvres #corps
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    • Città indesiderabili come dispositivi che assimilano per esclusione

      La miseria dà spettacolo. Il suo allontanamento, anche coatto, è parte dello spettacolo attorno al quale si riunisce una popolazione alienata, isolata, indebolita, stanca, se non impaurita.
      All’opera è quella che il geografo Neil Smith ha chiamato, negli anni ‘90 del secolo scorso, la città revanscista, ossia una città che richiede e attiva politiche di pulizia spaziale per allontanare le condizioni e le figure sociali del disordine: gli intollerabili, gli inappropriati, emblematicamente rappresentati dalle persone che vivono per strada, senzatetto.

      SIAMO NELL’ORDINE, estetico oltre che sociale e politico, della città punitiva, la quale costruisce recinzioni e, insieme, asseconda il risentimento. Si tratta di una città assoggettante, che esclude, vuole escludere, si impegna a escludere, tutto ciò che non rientra nel canone della conformità, in cui per conformità si devono intendere il consumo e la buona educazione del consumare.
      Un libro da leggere Corpi e recinti. Estetica ed economia politica del decoro, scritto da Pierpaolo Ascari, professore a contratto di estetica all’università di Bologna, e pubblicato da ombre corte (pp.134, euro 13), proprio perché ci fa entrare dentro l’attualità e la storia della costruzione della città armoniosa secondo i codici del buon consumo. È la città priva di fastidi sociali quella in cui ci stiamo costringendo a vivere. È la città del decoro, il cui abitante legittimo è il buon consumatore, che non vuole turbolenze né politiche né estetiche, ma vuole solo spendere in pace.

      LO SPAZIO E I LUOGHI sono pensati e costruiti secondo tali sentimenti e richieste, depoliticizzando la povertà, le disuguaglianze e il conflitto, definiti come elementi indecorosi, antipatici, se non proprio osceni, e nemici della buona convivenza e sicurezza collettiva. E sono costruiti secondo tali sentimenti e richieste in maniera apparentemente non conflittuale, «mimetizzandosi nel buon gusto e nella decenza di tutti». D’altronde, chi può affermare di essere contro il decoro? Si può essere a favore di una città indecorosa? O insicura?

      SIAMO, DUNQUE, immersi nella città del decoro, definito da Ascari come un «dispositivo che assimila per esclusione». Questo tipo di città non è di oggi; ha una lunga storia, le cui tracce si ritrovano già nel governo dei boulevard parigini nell’800, così come nella formazione delle città industriali inglesi e nelle città coloniali. Questa storia arriva fino a oggi, entrando nella cronaca quotidiana e nelle pratiche amministrative delle ordinanze e delibere comunali. È la storia di quella che Ascari definisce città postcoloniale, da comprendere in combinazione con il concetto di città punitiva.

      LA CITTÀ POSTCOLONIALE è caratterizzata dalla «sopravvivenza dei vecchi progetti imperiali nella strutturazione o nella produzione dell’attuale spazio europeo e nordamericano». Tali progetti, nel rapporto di dominazione tra occupanti e occupati, si fondano sulla doppia funzione di raggruppamento e detenzione del campo, secondo la logica costitutiva di ogni colonizzazione, come spiegato dai citati Joël Kotek e Pierre Rigoulot nel libro Il Secolo dei campi. Questo tipo di progetto si estende ai corpi dei colonizzati, i quali, come analizzato da Frantz Fanon, sono in permanente tensione. Nella stessa condizione, di continua attivazione, sono i corpi degli «espellibili» (gli immigrati) e i corpi degli indesiderati e dei membri delle nuove classi pericolose, oggetti privilegiati delle politiche di decoro, come mostrato, ad esempio, dai lavoratori ambulanti stranieri, sempre pronti a difendersi o nascondere la merce, anche quando titolari, come in quasi tutti i casi, di regolari licenze per la vendita.

      CORPI IN TENSIONE e corpi estetizzati sono quelli di chi è bersaglio privilegiato delle politiche di decoro, i quali devono essere ubbidienti anche sul piano estetico. Essi devono rispondere e corrispondere ad un sistema di segni e stili, altrimenti vengono trasformati nell’oggetto della repressione percettiva e, se necessario, della repressione amministrativa e di polizia.
      Questo accade «perché nella città postcoloniale e punitiva del decoro, qualunque interferenza alla chiusura in un sistema di segni, dalla povertà al writing, viene perseguita in quanto crimine di stile», secondo l’interpretazione di Sarah Nuttall e Achille Mbembe, tra i riferimenti di un libro ricco, alimentato dalla lettura e dall’uso critico di strumenti di analisi fondamentali.

      https://ilmanifesto.it/citta-indesiderabili-come-dispositivi-che-assimilano-per-esclusione
      #exclusion