albertocampiphoto

Photojournalist | Collective WeReport.fr

  • List of nuraghi

    https://www.tharros.info/sites/Nuraghi/Nuraghi002.jpgdf

    Lavorando al mio sito web Tharros.info sulla Sardegna mi è venuta l’idea di realizzare un database degli innumerevoli nuraghi che si trovano sull’isola. Un censimento esauriente delle torri dell’età del bronzo non esisteva ancora. Secondo le stime di alcuni archeologi si contano dai 6000 agli 8000 nuraghi in tutta l’isola. I censimenti eseguiti in passato hanno interessato territori più o meno delimitati senza estendersi comunque all’intero territorio della regiona Sardegna. Appassionati di archeologia hanno preso l’iniziativa di segnalare tutti i nuraghi utilizzando il sito di Wikimapia, una mappa pubblica dove si possono segnalare luoghi di interesse culturale, di bellezza naturale o di utilità economica. Nel 2009 ho cominciato a lavorare al database e a annotare la posizione geografica dei nuraghi sia su una mappa Google che in un elenco, creando la possibilità di ritrovare i monumenti basandosi sui nomi di questi o sul nome del comune di appartenenza. In questo articolo spiego il metodo di ricerca che ho attuato per compilare l’elenco dei nuraghi di Tharros.info.

    https://www.tharros.info/NuraghiMap.php?lng=en

    https://www.tharros.info/ViewNuraghi.php?lng=en

    #Nuraghe #sardaigne #archéologie #carte #database #cartographie

  • Water torture - If China won’t build fewer dams, it could at least share information | Leaders | The Economist
    https://www.economist.com/leaders/2020/05/14/if-china-wont-build-fewer-dams-it-could-at-least-share-information

    If China won’t build fewer dams, it could at least share information

    Its secrecy means that farmers and fisherman in downstream countries cannot plan
    Leaders
    May 14th 2020 edition
    May 14th 2020

    RIVERS FLOW downhill, which in much of Asia means they start on the Tibetan plateau before cascading away to the east, west and south. Those steep descents provide the ideal setting for hydropower projects. And since Tibet is part of China, Chinese engineers have been making the most of that potential. They have built big dams not only on rivers like the Yellow and the Yangzi, which flow across China to the Pacific, but also on others, like the Brahmaputra and the #Mekong, which pass through several more countries on their way to the sea.

    China has every right to do so. Countries lucky enough to control the sources of big rivers often make use of the water for hydropower or irrigation before it sloshes away across a border. Their neighbours downstream, however, are naturally twitchy. If the countries nearest the source suck up too much of the flow, or even simply stop silt flowing down or fish swimming up by building dams, the consequences in the lower reaches of the river can be grim: parched crops, collapsed fisheries, salty farmland. In the best cases, the various riparian countries sign treaties setting out ho

    #chine #barrage #eau @cdb_77

  • Cinema Sepolto

    Un canale youtube che pubblica delle perle cinematrofiche INTROVABILI!

    ;-) Téléchargez les films avant qu’ils ne ferment la chaîne ! ;-)

    https://www.youtube.com/channel/UCRE5HCTI4kktLmmCO8C5CVw

    La libertà è il paradiso (Sergei Bodrov, URSS, 1989)
    https://www.youtube.com/watch?v=JcVj_SEf3JE

    Il mistero della tartaruga bianca (Yvonne Mackay, Nuova Zelanda, 1985)
    https://www.youtube.com/watch?v=xAekIFi9WRI

    Baby gang (Salvatore Piscicelli, Italia, 1992)
    https://www.youtube.com/watch?v=E4vR43PoxbE

    Tokio: divisione criminale (Shinji Murayama, Giappone, 1962) con Tetsuro Tanba
    https://www.youtube.com/watch?v=iVmTlGvgQdk

    Pianta un albero, costruisci una casa (Juraj Jakubisko, Cecoslovacchia, 1980)
    https://www.youtube.com/watch?v=TLdsELbefD4

    #film #cinema @reka @cdb_77

  • Ettore Castiglioni - Rai Radio 3 - RaiPlay Radio
    https://www.raiplayradio.it/audio/2019/05/WIKIRADIO-782ee5c2-5ed2-489c-9f41-0d859dbacd1d.html

    Ettore Castiglioni raccontato da Gian Luca Favetto
    Il 5 giugno 1944, nei pressi del passo del Forno, in provincia di Sondrio, viene ritrovato il corpo senza vita di Ettore Castiglioni

    con Gian Luca Favetto

    Repertorio:

    – Letture tratte da Il giorno delle Mésules. Diari di un alpinista antifascista di E. Castiglioni - Curatore: Marco Albino Ferrari - Editore: CDA & VIVALDA- voce di Claudio De Pasqualis,

    – Frammenti dal trailer Oltre il confine. La storia di Ettore Castiglioni , docufilm italo-svizzero (regia di Andrea Azzetti e Federico Massa) che ripercorre le vicende e la vita dello scalatore Ettore Castiglioni (1908-1944), attraverso le parole del suo diario. Produzione: Villi Hermann, Federico Massa, Giuliano Torghele, GIUMA PRODUZIONI, GOOLIVER, IMAGO FILM LUGANO, in coproduzione con RSI, 2015

    – Francesco De Gregori - Stelutis Alpinis

    #wikiradio #podcast #ettoreCastiglioni #alpinisme #CAI

  • «La montagna a casa» celebra l’eroismo di un grande alpinista antifascista - Lo scarpone on-line - L’house organ del Club Alpino Italiano
    http://www.loscarpone.cai.it/news/items/la-montagna-a-casa-celebra-leroismo-di-un-grande-alpinista.html

    «La montagna a casa» celebra l’eroismo di un grande alpinista antifascista
    “Oltre il confine. La storia di Ettore Castiglioni” di Andrea Azzetti e Federico Massa è il film che sarà proiettato questa sera per la rassegna cinematografica del Cai

    9 maggio 2020 - Inizia un altro weekend in compagnia della rassegna “La montagna a casa”. Oggi sarà protagonista Ettore Castiglioni, figura tra le più amate della storia del Cai, sia come accademico che per il suo impegno antifascista. Attraverso le Alpi Castiglioni ha portato in Svizzera tanti dissidenti e tanti ebrei. “Oltre il confine. La storia di Ettore Castiglioni” di Andrea Azzetti e Federico Massa cercherà anche una risposta all’ultima domanda rimasta insoluta, quella sulla missione a causa della quale morì in alta Valmalenco nella primavera del 1944.

    Il film sarà trasmesso alle 21 sul canale Youtube del Cai. “La montagna a casa” è organizzata dal Cai con la collaborazione di Sondrio Festival, Museo della Montagna e Parco dello Stelvio. Il link per guardare il film è: https://www.youtube.com/watch?v=kUZmtHbevwk

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    Se volete rivedere il film di ieri, “Tamara Lunger – facing the limit”, appuntamento con la replica delle 17.30. Il link per partecipare alla proiezione è: https://www.youtube.com/watch?v=3Z4I_vR0aQY

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    Ecco la scheda del film di oggi:

    “Oltre il confine. La storia di Ettore Castiglioni”
    Regia: Andrea Azzetti e Federico Massa
    Produzione: Giuma
    Sceneggiatura: Andrea Azzetti, Federico Massa e Gerassimos Valentis
    Fotografia: Andrea Azzetti
    Paese: Italia
    Anno: 2017
    Durata: 66 min.

    Attori: Stefano Scandaletti, Marco Albino Ferrari
    Con le testimonianze di Alessandro Tutino, Andrea Tognina, Maurizio Giordani, Annibale Salsa, Alessandro Rizzi, Ivano Marco Rebulaz, Ruggero Cominotti, Oscar Brandli, Milan Bier, Nenga Negrini, Dominik Lieinenbach.

    Sinossi:
    #Film dedicato alla nobile figura di Ettore Castiglioni, accademico del #CAI, compilatore di guide alpinistiche CAI-TCI, musicista, morto assiderato in alta Valmalenco nella primavera del 1944, durante la sua fuga dalla prigione svizzera del passo del Maloja, accusato di espatrio clandestino.
    #EttoreCastiglioni scelse di avere come unico confidente il suo diario. Le sue parole compongono il ritratto di un grande alpinista e insieme la figura di un uomo solo e inquieto. Ma raccontano un cambiamento profondo: da ragazzo di buona famiglia ad antifascista che all’indomani dell’8 settembre 1943 guidò un gruppo di ex soldati sulle montagne della Valle d’Aosta e si adoperò per portare in salvo sul confine svizzero profughi ed ebrei in fuga dalla guerra. “Dare la libertà alla gente per me adesso è una ragione di vita”: scriveva così qualche giorno prima di cadere in un tranello delle guardie di frontiera. L’ultima nota nel diario è del marzo ’44 e non svela nulla degli avvenimenti successivi. Sconfinò nuovamente in Svizzera e fu arrestato. Privato degli abiti e degli scarponi fu rinchiuso in una stanza d’albergo a Maloja. Durante la notte si calò dalla finestra e affrontò il ghiacciaio del Forno avvolto in una coperta. Cosa lo spinse a tentare una fuga impossibile? Quale missione aveva da compiere oltre il confine? Lo scrittore Marco Albino Ferrari, curatore dell’edizione critica del diario, ripercorre i momenti salienti dalla vita dell’alpinista, raccoglie documenti e testimonianze e si addentra nel mistero della sua morte.

    @cdb_77 #wwII #frontiere #alpes #suisse #italie #shoah

  • Nouvelle édition de l’Appli « Qualité rivière » | Les agences de l’eau
    http://www.lesagencesdeleau.fr/2019/08/06/nouvelle-edition-de-lappli-qualite-riviere

    Communiqué de presse – 6 août 2019 – Les beaux jours sont là et c’est le moment idéal pour découvrir les rivières au cours d’une randonnée ou d’une journée en famille ou entre amis. Lancée en 2013 par les agences de l’eau et l’Agence française pour la #biodiversité, l’application mobile « Qualité rivière » fait peau neuve et s’enrichit. Récemment mise à jour, elle propose désormais d’accéder aux données sur la qualité des eaux de baignade tout en informant sur la santé des cours d’eau et les nombreuses espèces de poissons qui peuplent les rivières.
    Créée il y a six ans, l’ #application « Qualité #rivière » permet également de repérer facilement l’état écologique des cours d’eau ainsi que les espèces de poissons vivant dans les rivières de France.
    Depuis le bord de l’eau ou en embarcation, vacanciers, pêcheurs, kayakistes et randonneurs peuvent accéder via smartphones et tablettes aux données sur la rivière la plus proche, ou d’une rivière de leur choix en entrant simplement son nom ou par exemple un code postal. L’application « Qualité rivière » est disponible gratuitement sur iPhone, iPad et sous Android.

    Grâce à un code couleur défini, une carte interactive permet de savoir si le cours d’eau sélectionné est en « très bon état » (bleu), « bon état » (vert) ou encore en « mauvais état » (rouge) et il est également possible de connaître les poissons qui peuplent la rivière.
    L’application s’adresse à tous les publics et propose des jeux et quiz pour tester ses connaissances sur l’#eau, ou encore connaître les comportements à éviter. La qualité des cours d’eau peut aussi être comparée sur 3 ans permettant ainsi de voir les efforts accomplis par les acteurs des territoires pour restaurer les rivières et éliminer les pollutions.
    16,5 MILLIONS DE DONNÉES ACCESSIBLES AU GRAND PUBLIC

    La connaissance et la collecte de données sur l’état des milieux aquatiques font partie des missions fondamentales des agences de l’eau. Elles pilotent un réseau de 5000 stations de surveillance de tous les milieux aquatiques (rivières, eaux souterraines, lacs, estuaires…). Chaque année, elles collectent ainsi plus de 16,5 millions de données sur l’état des milieux aquatiques qui sont disponibles sur le portail d’informations sur l’eau www.eaufrance.fr .

    #france #eaux #rivière #fleuve #app

  • Diane Arbus - #Wikiradio del 14/03/2016 - Rai Radio 3 - RaiPlay Radio
    https://www.raiplayradio.it/audio/2016/03/Diane-Arbus---Wikiradio-del-14032016-6c49e69b-3cbc-4667-9f12-4e06716d2a

    Il 14 marzo 1923 nasce a New York Diane Arbus
    con Alessandra Mauro
    Repertorio:
    - Frammento e trailer del film Fur - Un ritratto immaginario di Diane Arbus, film del 2006 diretto da Steven Shainberg, con Nicole Kidman. Ispirato al romanzo di Patricia Bosworth Diane Arbus: Una biografia;
    – Frammenti dal film Freaks del 1932 diretto da Tod Browning;
    – Italia - I nostri servizi speciali. Siamo tornati alla XXXVI Esposizione biennale d’arte di Venezia per un réportage sulla partecipazione degli artisti appartenenti a Paesi extraeuropei - Radar ottobre 1972 - Archivio Storico Istituto Luce

    Brano musicale:

    Diane Arbus - Weba Garretson

    #dianeArbus #photographie #fricks #podcast

  • Il naufragio della Katër i Radës - #Wikiradio del 28/03/2016 - Rai Radio 3 - RaiPlay Radio
    https://www.raiplayradio.it/audio/2016/03/Il-naufragio-della-Kater-iRades---Wikiradio-del-28032016-dbb214b2-6f12-

    Il 28 marzo 1997, in seguito allo speronamento di una nave della Marina Militare Italiana, la motovedetta Katër i Radës naufraga nel canale d’ #Otranto provocando la morte di 81 albanesi
    con #AlessandroLeogrande

    Repertorio
    – Scena dal film “Aprile” di Nanni Moretti (1998)
    – Servizio del GR1 del 30 Marzo 1997
    – Clip da Tre Soldi (Radio3) del 27 Marzo 2012 (Kater I Rades di Ornella Bellucci)
    – Clip da Tre Soldi (Radio3) del 28 Marzo 2012 (Kater I Rades di Ornella Bellucci)
    – Servizio del GR1 del 29 Marzo 1997
    – Dichiarazioni del PM Leonardo Leone De Castris dal GR1 del 29 Marzo 1997
    – Servizio del TGR Puglia del 30 Giugno 2011
    – Clip da Tre Soldi (Radio3) del 29 Marzo 2012 (Kater I Rades di Ornella Bellucci)
    – Servizio del TGR Puglia del 29 Gennaio 2012
    – Clip da Tre Soldi (Radio3) del 28 Marzo 2012 (Kater I Rades di Ornella Bellucci)

    #italie #migration #naufrage #albanie #KaterIRades @cdb_77 #1997 #podcast #harassement

  • Crime, Corruption, and Coronavirus - OCCRP

    Countries around the world are struggling to contain the coronavirus pandemic. But in times of crisis, there are those who seek their own advantage.

    Organized criminal groups and corrupt government officials often find new opportunities to consolidate illicit wealth and power. At the same time, existing corruption and criminality make it that much harder for governments to respond to the growing threat.

    #OCCRP is watching them. This page will bring together our coverage of those who try to benefit from border closures, commodity shortages, delayed court proceedings, and other disruptions caused by this global pandemic.

    https://www.occrp.org/en/coronavirus


    #covid19 #corruption #investigation #crime

  • Barbagia Rossa
    https://barbagiarossa.wordpress.com/barbagia-rossa

    Di Massimiliano Musina

    Tutti i testi sono di proprietà dell’autore e protetti da una licenza Creative Commons “Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia“.
    INDICE

    01) Introduzione
    02) Marzo 1978. La prima comparsa di Barbagia Rossa
    03) Novembre 1978. L’agguato alla stazione radar di Siamanna
    04) Gennaio 1979. Si apre la campagna contro la militarizzazione dell’isola
    05) Dicembre 1979. C’è un filo conduttore nella malavita sarda?
    06) Dicembre 1979. Il conflitto a “Sa Janna Bassa”
    07) Febbraio 1980. L’udienza sui fatti di “Sa Janna Bassa”
    08) Febbraio 1980. Il conflitto alla stazione di Cagliari
    09) Giugno 1981. La requisitoria sulla sparatoria a Cagliari
    10) Giugno 1981, L’errato attentato mortale a Natalino Zidda
    11) Agosto 1981. L’attentato mortale a Santo Lanzafame
    12) Febbraio 1982. Le confessioni di Savasta e la scomparsa di Barbagia Rossa

    01) Introduzione

    Barbagia Rossa era un’organizzazione militante di estrema sinistra che ha operato tra il 1978 e il 1982 in Sardegna.
    Si proponeva di diventare il punto di riferimento politico e militare per tutto il proletariato sardo.
    Un elemento importante della sua azione è stato quello di contrastare la forte militarizzazione dell’isola che in quegli anni vede aumentare il numero di basi militari, probabilmente anche a causa dei sempre più numerosi agguati e sequestri di persona.
    L’organizzazione instaurò anche un forte legame con le Brigate Rosse fungendo a volte da appoggio per alcune operazioni svolte dalle BR nell’isola.

    I suoi dirigenti erano Pietro Coccone, Antonio Contena, Caterina Spano, Davide Saverio Fadda.

    02) Marzo 1978. La prima comparsa di Barbagia Rossa

    La sigla Barbagia Rossa fa la sua prima apparizione il 30 dicembre del 1977, quando viene dato fuoco alla porta laterale del tribunale di Nuoro con un ordigno incendiario a innesco chimico.
    Nella rivendicazione, un volantino trovato su una cabina telefonica, i “GABR” (Gruppi Armati Barbagia Rossa) affermano di voler colpire l’istituzione carceraria nel suo complesso.

    Ma in quegli anni la cronaca cittadina ha a che fare con varie sigle e gruppi più o meno fantasiosi che rivendicano puntualmente ogni azione militante.

    GABR acquista una certa credibilità solo dopo il secondo attentato.
    Sabato 25 marzo 1978 viene dato fuoco a un cellulare adibito al trasporto detenuti.
    Anche in questo caso si fa uso di particolari sostanze presupponendo delle buone e preoccupanti conoscenze in ambito chimico.
    Questa volta la rivendicazione arriva telefonicamente lunedì 27 marzo e Barbagia Rossa, sottolineando l’intenzione di colpire l’istituzione carceraria nel suo complesso, chiede anche la liberazione di tutti i detenuti di “Badu ‘e carros”, il supercarcere di Nuoro.

    03) Novembre 1978. L’agguato alla stazione radar di Siamanna

    Dopo alcuni mesi di apparente inattività, un nuovo attentato richiama l’attenzione delle forze politiche dell’isola.
    Giovedì 2 novembre 1978, verso mezzanotte, viene assalita la stazione radar di Siamanna, in provincia di Oristano.
    La stazione, un groviglio di antenne e cavi nella pianura oristanese, è sorvegliata da quattro militari di leva (Giovanni Melis di Senorbì, Antonio Cabras di Sant’Antioco, Luigi Madeddu di Iglesias, Sebastiano Bassallu di Santulussurgiu). Uno di loro, durante la ronda notturna, viene assalito da tre malviventi a volto coperto e lo obbligano a portarli all’interno della stazione.
    I quattro militari vengono immobilizzati.

    Gli aggressori non causano nessun danno alla strumentazione, limitandosi a prelevare i quattro fucili Garand dei soldati, 150 proiettili e alcune bombe a mano.
    Prima di andare via si rivolgono ai giovani di leva dicendo “Scusateci, non ce l’abbiamo con voi ma con lo Stato. Siamo del gruppo di Barbagia Rossa”.

    Il fatto che non sia stato fatto nessun danno alla strumentazione militare evidenzia che l’aggressione ebbe come unico fine quello di prelevare le armi.
    Inoltre un dato interessante è che i fucili Garand (di fabbricazione americana) hanno un peso di circa 8 kg e una lunghezza di oltre un metro; essendo poco maneggevoli sono poco quotati nel mercato clandestino. Però sono armi di altissima precisione e lunga portata (hanno un tiro utile di circa 1200 metri) per questo si può ipotizzare un uso in campo terroristico.

    02 – La stazione radar assaltata a Siamanna (Oristano)

    04) Gennaio 1979. Si apre la campagna contro la militarizzazione dell’isola

    Dal gennaio del 1979 Barbagia Rossa porta avanti una “Campagna contro la militarizzazione del territorio” compiendo numerosi attentati a Nuoro e dintorni (Lula e Orani).

    Nei documenti di rivendicazione l’organizzazione si presenta così:
    “Barbagia Rossa, in quanto avanguardia politico-militare espressa nel territorio, si fa carico del progetto strategico della lotta armata per il comunismo:
    – cercando di superare la fase spontanea ed episodica degli attacchi;
    – mirando alla creazione di una organizzazione che sia in grado di intervenire ed operare all’interno di qualsiasi contraddizione, in ogni situazione reale del territorio;
    – proponendosi di diventare punto di riferimento politico-militare per tutto il proletariato sardo”.

    Un altro fatto interessante accade il 28 gennaio ’79.
    A Torino viene effettuata un’operazione anti terroristica per sgominare una cellula delle brigate rosse.
    Vengono scovati due covi con armi e denaro e arrestati Maria Rosaria Biondi, Nicola Valentino e Ingeborg Keiznac.
    Inoltre vengono arrestate tre persone sarde, precisamente di Orani (paese a pochi chilometri da Nuoro): le sorelle Carmela e Claudia Cadeddu e Andrea Boi.
    I “tre sardi” sono tutti emigrati che lavorano da tempo fuori dall’isola.
    Tutta la comunità di Orani non crede a un legame dei compaesani con i brigatisti, si pensa invece a un inspiegabile errore giudiziario.

    03 – I tre sardi arrestati nel corso delle indagini sui covi delle Brigate Rosse scoperti a Torino

    05) Dicembre 1979. C’è un filo conduttore nella malavita sarda?

    Il 14 dicembre viene trovato un piccolo arsenale in una campagna di Illorai, vicino al ponte “Iscra” sul fiume Tirso.
    Tra le armi, coperte da fitta vegetazione e cespugli, è presente anche un fucile automatico che era stato rubato il 23 settembre ad un cacciatore nuorese, Giovanni Loria, a cui i malviventi dissero di appartenere al movimento “Barbagia Rossa”.

    Ma si tratta solo di un piccolo avvenimento; il dicembre del ’79 è teatro di più importanti e ingarbugliate vicende.
    Le forze dell’ordine cercano di trovare un filo conduttore tra le varie azioni malavitose del banditismo sardo e i sempre più numerosi attentati a sfondo politico.

    Sono in corso i sequestri di Fabrizio De Andrè e sua moglie Dori Ghezzi (catturati il 27 agosto ’79 per poi essere liberati dopo circa quattro mesi, il 20 dicembre lei e il 22 dicembre lui) nonché il più discreto, e quindi più preoccupante, rapimento Schild.
    Per polizia e carabinieri un filo conduttore esiste e sarebbe di sfondo politico, da ricercare nelle azioni militanti dei gruppi di estrema sinistra che si sono inseriti prepotentemente nelle scene sarde.

    Il 18 dicembre ’79 a Sassari viene bloccata un auto con quattro giovani (Angelo Pascolini, Luciano Burrai, Carlo Manunta, Antonio Solinas).
    L’auto, che si trova in via Luna e Sole, zona periferica della città abitata da molte persone facoltose, aveva dato nell’occhio e giungono alcune volanti della polizia per un controllo.
    All’alt delle forze dell’ordine uno dei quattro risponde tentando di lanciare una bomba a mano, ma viene bloccato da uno degli agenti.
    Successivamente partono gli arresti per i quattro giovani.

    Durante la perquisizione si scopre che l’auto era equipaggiata con molte armi e libri di natura politica. Viene trovata una cartolina di un brigatista rinchiuso nel carcere dell’Asinara e scoperto un covo. Si trovano anche le prove di un tentativo di sequestro ai danni di un politico isolano.
    I quattro vengono accusati di associazione a fini eversivi, tentato omicidio plurimo, porto e detenzione abusiva di armi (un mitra, sei pistole, circa tremila cartucce) e tentato sequestro di persona.

    04 – Angelo Pascolini, Luciano Burrai e in basso Carlo Manunta e Antonio Solinas. I quattro giovani catturati nell’auto-arsenale alla periferia di Sassari

    05 – Angelo Pascolini, il giovane romano arrestato sull’auto trasformata in arsenale, esce dalla questura di Sassari

    06) Dicembre 1979. Il conflitto a “Sa Janna Bassa”

    Ma l’avvenimento che segna maggiormente la cronaca di questo intenso dicembre del ’79, è il sanguinoso conflitto a fuoco di “Sa Janna Bassa” a Orune.

    Il 17 dicembre il capitano dei carabinieri Enrico Barisone esce con due carabinieri al seguito per il solito giro di perlustrazione notturna.
    Quando si trovano nei pressi dell’ovile di Carmelino Coccone, vicino Orune, sono attirati da insoliti movimenti e intimano l’alt a delle persone che si trovano fuori dall’ovile, ma questi rispondono aprendo il fuoco e ferendo il capitano.
    Nasce un sanguinoso conflitto a fuoco in cui restano uccisi due pastori: Francesco Masala e Giovanni Maria Bitti.

    Nel frattempo arrivano i rinforzi; alcuni malviventi scappano mentre otto vengono arrestati: Carmelino Coccone, Sebastiano e Pietro Masala, Pietro Malune, Antonio Contena, Mario Calia, Mauro Mereu e Melchiorre Deiana.
    I carabinieri sostengono di aver interrotto una specie di “summit” del banditismo isolano, una “cena di lavoro” in cui si sarebbero prese importanti decisioni.
    Si ipotizza anche di aver smantellato l’intera banda legata ai sequestri De Andrè/Ghezzi o Schild.

    Un importante fatto che caratterizza i fatti di “Sa Janna Bassa” è che in due giacche rinvenute nell’ovile teatro della sparatoria, sono stati trovati dei volantini appartenenti alle Brigate Rosse; in particolare nelle giacche di Giovanni Maria Bitti, morto durante la sparatoria, e di Pietro Coccone (nipote di Carmelino Coccone), dirigente di Barbagia Rossa riuscito a scappare durante l’agguato dei carabinieri.

    Tutti questi elementi mettono alla luce eventuali risvolti politici e collegamenti tra banditismo sardo e organizzazioni eversive.

    06 – L’ovile di Coccone teatro della sanguinosa sparatoria

    07 – I corpi dei banditi vengono trasportati a Nuoro; sullo sfondo l’ovile teatro del conflitto

    08 – Giudici, inquirenti e imputati osservano il soffitto dell’ovile

    09 – Una parte delle armi trovate addosso ai fuorilegge uccisi e nella zona dove si è svolto il conflitto a fuoco

    10 – I due banditi uccisi, Francesco Masala e Giovanni Maria Bitti

    07) Febbraio 1980. L’udienza sui fatti di “Sa Janna Bassa”

    Il 2 febbraio si tiene l’udienza per il processo sui fatti di “Sa Janna Bassa”.
    I giudici della Corte d’Assise rimangono in camera di consiglio tre ore esatte, dalle 9:45 alle 12:45.
    In un’aula gremita di parenti, conoscenti e curiosi, vengono condannati Carmelino Coccone (15 anni), Pietro Malune, Mauro Mereu, Pietro e Sebastiano Masala (11 anni), il giovanissimo Melchiorre Deiana (4 anni).
    Tutti e sei sono ritenuti responsabili di concorso nel tentato omicidio del capitano Barisone, di porto e detenzione di armi comuni e da guerra, di favoreggiamento e resistenza aggravata.

    Per i giudici quella nell’ovile di Carmelino Coccone era una vera è propria banda riunita in una “cena di lavoro”, mentre Francesco Masala e Giovanni Maria Bitti (uccisi) facevano la guardia all’esterno insieme ad un’altra persona che è riuscita a scappare.
    Antonio Contena e Pietro Coccone (quest’ultimo latitante), entrambi dirigenti di Barbagia Rossa, devono invece rispondere di associazione a delinquere davanti al tribunale nuorese.

    11 – Carmelo Coccone, Mauro Mereu, Melchiorre Deiana, Sebastiano e Pietro Masala e Pietro Malune in Corte d’Assise

    12 – Il capitano dei carabinieri Enrico Barisone durante il sopralluogo eseguito dalla Corte d’Assise d’appello di Cagliari a Sa Janna Bassa (Orune)

    08) Febbraio 1980. Il conflitto alla stazione di Cagliari

    Collegamenti tra Barbagia Rossa e le Brigate Rosse trovano un’ulteriore conferma il 15 febbraio 1980.

    Sono le 16:00, alla stazione ferroviaria di Cagliari due agenti della polizia, il brigadiere Fausto Goddi e la guardia Stefano Peralta, si avvicinano a un gruppo di cinque giovani chiedendo loro i documenti per un controllo; gli agenti contattano la centrale.
    A Giulio Cazzaniga e Mario Pinna, entrambi nuoresi, viene chiesto di seguirli in questura per degli accertamenti.
    Gli altri tre vengono lasciati liberi.
    Due di loro, sedicenti Camillo Nuti ed Emilia Libera, si spostano verso la sala d’attesa della stazione (sono incensurati), l’altro, Mario Francesco Mattu, si allontana in altra direzione (su di lui sussistono dei precedenti, ma non gravi in quell’occasione).

    Mentre il brigadiere e i due fermati si dirigono in auto verso la questura, viene dato ordine di tornare indietro e catturare anche gli altri.
    Vengono rintracciati vicino ai binari solo due dei tre, l’uomo e la donna.
    Questi seguono gli agenti fino all’uscita della stazione.
    A quel punto l’uomo abbraccia la sua compagna, tira fuori una pistola e inizia a sparare all’impazzata per coprirsi la fuga.
    Nasce una vera e propria sparatoria al centro di Cagliari, le pallottole ad altezza d’uomo colpiscono alcune auto posteggiate, ma per fortuna nessun passante.
    La donna in fuga viene ferita alla fronte, un poliziotto al piede.

    Nelle ore successive la città è assediata da oltre quattrocento uomini delle forze dell’ordine, ma dei due fuggitivi nessuna traccia.
    Inizialmente si pensa che la donna colpita sia Marzia Lelli, nota brigatista; dell’uomo invece non sono disponibili informazioni.

    Più tardi si scopre che Giulio Cazzaniga e Mario Pinna, fermati prima del conflitto, appartengono al gruppo di Barbagia Rossa e vengono arrestati per detenzione abusiva di arma da guerra e partecipazione ad azione sovversiva.
    Ai due si aggiunge il quinto elemento che si era allontanato dalla stazione, Mario Francesco Mattu di Bolotana.
    Anche lui appartenente a Barbagia Rossa, viene arrestato durante la notte tra il 15 e il 16 febbraio ’80 a casa della sua ragazza a Cagliari dove viene trovata anche una pistola “Luger” calibro 9.
    Vengono catturati anche cinque giovani che al momento dell’arresto di Mattu si trovano nella stessa casa (dopo alcuni mesi di carcere preventivo, verranno rilasciati perché effettivamente non esiste nessun tipo di legame diretto o indiretto con gli arrestati).

    Nei giorni seguenti continuano in maniera serrata le ricerche dei due fuggiaschi.
    Pinna e Cazzaniga si dichiarano “prigionieri politici”, Mattu viene interrogato.
    Inizialmente si pensa che i cinque della stazione stessero organizzando un attentato ai danni del capitano Enrico Barisone, ma dopo i primi accertamenti anche questa ipotesi viene scartata.

    A cinque giorni dalla sparatoria, in tutta la città si vive uno stato d’assedio.
    I grandi porti e aeroporti dell’isola vengono controllati sistematicamente per evitare eventuali spostamenti dei due banditi, ma per la polizia è certo che stiano contando su un appoggio a Cagliari.

    Intanto proseguono le indagini.
    Inizialmente si è creduto che la donna in fuga fosse Marzia Lelli, nota brigatista, ma indiscrezioni indicherebbero che si trova in Brasile.

    La polizia prende quindi un’altra strada partendo dai documenti forniti al controllo del brigadiere Goddi alla stazione.
    La carta d’identità della donna era a nome di una certa Emilia Libera, infermiera romana che la Criminalpol non riesce a rintracciare nella Capitale.
    La polizia ora sostiene che il suo documento è autentico, quindi da adesso è Emilia Libera la ricercata.
    Si tratta di un’indiziata sopra ogni sospetto poiché, oltre ad aver partecipato a un collettivo al Policlinico di Roma, Libera non è una militante conosciuta.
    I documenti forniti dall’uomo erano invece fasulli, a nome di Camillo Nuti, ingegnere romano che dopo vari interrogatori non ha avuto difficoltà a provare che non si è mai mosso dalla capitale.

    Un’ipotesi accreditata sulla visita in Sardegna di Emilia Libera e del “fasullo” Camillo Nuti (partiti da Roma a Cagliari con un aereo giovedì 14 febbraio ’80) è quella per cui fossero stati incaricati dalla direzione delle Brigate Rosse di valutare e rendersi conto dell’efficienza e del grado di preparazione alla guerriglia dei membri di Barbagia Rossa.
    Si crede in effetti che l’organizzazione sarda stia consolidando le proprie posizioni.
    Stando alle indiscrezioni, alcuni esponenti dell’organizzazione sarda (secondo la Digos una quindicina) avrebbero preso contatti con delinquenti comuni e bande legate all’anonima sequestri. Pare che si stesse anche perfezionando l’acquisto di un grosso stock di armi.
    Insomma Barbagia Rossa, sempre stando alle indiscrezioni, si preparerebbe per entrare grintosamente nel panorama del terrorismo nazionale.

    Il 21 febbraio ’80 viene identificato l’uomo in compagnia di Eliana Libera.
    Si tratta di Antonio Savasta, romano ventiquattrenne, brigatista di recentissima immatricolazione ma praticamente incensurato. Si è arrivati alla sua identificazione scavando nella vita di Eliana Libera, infatti Savasta era, fino a poco tempo fa, il suo compagno.

    I due fuggitivi hanno adesso un nome e un volto, ma risultano svaniti nel nulla.
    Dopo due settimane non c’è ancora nessuna traccia di loro.
    Si è scoperto che subito dopo la sparatoria alla stazione un’ignara signora li ha ospitati per un’ora nella sua abitazione. Si sono presentati come due ragazzi tranquilli e simpatici che avevano bisogno del bagno.
    Ora si presume che siano nascosti in barbagia, ma si tratta di ipotesi.

    13 – Gli accertamenti della Scientifica in piazza Matteotti subito dopo la sparatoria

    14 – I tre giovani arrestati subito dopo la sparatoria: Marco Pinna, Giulio Cazzaniga, Mario Francesco Mattu

    15 – Mario Francesco Mattu dopo un interrogatorio

    16 – Antonio Savasta e il suo identikit ricostruito dalla polizia

    17 – L’auto dentro la quale Savasta sparò alla stazione di Cagliari

    18 – Rinaldo Steri e Carlo Cioglia, aiutarono Savasta e Libera a scappare dopo il conflitto

    09) Giugno 1981. La requisitoria sulla sparatoria a Cagliari

    Dopo più di un anno dalla sparatoria, nessuna traccia dei brigatisti Savasta e Libera.
    Dalle indagini si è scoperto che dopo essere andati via dalla casa della signora, sono stati assistiti da Rinaldo Steri e Carlo Cioglia (entrambi cagliaritani).
    Sarebbero loro ad essersi preoccupati della ricerca di rifugi e nascondigli per scappare ai rastrellamenti.
    I banditi inizialmente furono portati in una casa cagliaritana in via San Mauro, successivamente in un’abitazione di viale Fra Ignazio, poi in un casotto al Poetto, quindi in una villetta in costruzione.
    Dopodiché sono stati trasferiti in un rifugio brigatista a Torre delle Stelle, 20 km a est di Cagliari.
    Durante la settimana di permanenza in questo rifugio, Ciogli si sarebbe preoccupato di trovare un camion che portò Savasta e Libera a Porto Torres da dove presero un traghetto per poi far perdere ogni traccia.

    Il 18 giugno ’81, dopo un anno e quattro mesi dalla sparatori di Cagliari, il pubblico ministero depone la sua requisitoria su tutta la vicenda indicando 27 persone come protagoniste delle vicende tra cui, ovviamente, Antonio Savasta, Emilia Libera, Mario Pinna, Mario Francesco Mattu, Rinaldo Steri e Carlo Cioglia. Gli altri sono studenti universitari, artigiani e vecchi sessantottini.
    Giulio Cazzaniga viene invece prosciolto dalle accuse per infermità mentale.

    19 – Riepilogo delle accuse

    10) Giugno 1981, L’errato attentato mortale a Natalino Zidda

    Ma più che per i fatti di natura giudiziaria, il giugno del 1981 verrà ricordato per un nuovo spargimento di sangue che fa riprofondare l’isola nel dolore.
    Barbagia Rossa intensifica le sue azioni contro la militarizzazione del territorio e lo fa in maniera più violenta e decisa.

    Martedì 9 giugno, Orune. Nicolino Zidda (insegnante della colonia penale di Mamone) è in compagnia del brigadiere Salvatore Zaru, sono seduti sull’uscio della casa di Zidda.
    Alle 23:00 il tipico rumore di un caricatore di arma da fuoco rompe il silenzio della notte.
    Il brigadiere, sicuramente sensibile a certi rumori, si ripara immediatamente buttandosi verso l’interno della casa.
    Immediatamente arriva la scarica rabbiosa e violenta di un mitra.

    Vengono esplosi circa 30 proiettili che uccidono Nicolino Zidda.

    La rivendicazione è di Barbagia Rossa e arriva la mattina seguente con una telefonata anonima alla redazione cagliaritana dell’Ansa.
    Viene spiegato che si è trattato di un errore, che il vero obiettivo dell’attentato non era Zidda ma il brigadiere Zaru.
    Viene altresì comunicato che è iniziata la campagna contro le forze di repressione.

    La morte di Zidda è accolta con sgomento da tutta la comunità orunese e barbaricina.

    20 – Nicolino Zidda, l’insegnante ucciso a Orune

    21 – Mesto pellegrinaggio nella casa della vittima a Orune

    22 – Il procuratore della Repubblica Francesco Marcello (a sinistra) e alti ufficiali dei carabinieri nella zona del delitto

    11) Agosto 1981. L’attentato mortale a Santo Lanzafame

    Questo è il mese che segnerà in modo significativo tutta la comunità sarda e in particolare quella barbaricina.

    Fino all’agguato di Nicolino Zidda l’organizzazione armata di Barbagia Rossa si era limitata ad azioni intimidatorie con bombe, incendi o altri attacchi di natura prettamente dimostrativa.

    Già l’agguato mortale a Zidda aveva messo in luce un evoluzione dell’organizzazione terroristica.
    Anche se la morte dell’insegnante è stato un errore, si voleva colpire a morte il brigadiere Salvatore Zaru che si è salvato solo per la sua prontezza di riflessi.

    Il 31 luglio 1981 alle ore 22:40 un’alfetta blu dei carabinieri si dirige verso il Monte Ortobene per gli usuali giri di perlustrazione.
    Al suo interno si trovano il carabiniere sassarese Baingio Gaspa (alla guida) e l’appuntato Santo Lanzafame, 40 anni di Reggio Calabria, sposato con Giovanna Piras di Lodè e padre di cinque figli (la più grande di dieci anni).

    L’auto prende la strada per il monte e, a duecento metri dalla chiesetta della Solitudine (che si trova all’uscita del centro abitato, proprio ai piedi dell’Ortobene), si appresta ad affrontare la prima curva, quella di Borbore.
    Si tratta di una curva a gomito molto ampia che nella carreggiata opposta è costeggiata da un piccolo muretto a secco al di sotto del quale si trova il sentiero che porta a Valverde.

    Proprio da dietro il muretto in pietra compare all’improvviso una figura che senza esitazione scarica una micidiale scarica di mitra verso l’alfetta blu.
    Gaspa resta fortunatamente illeso mentre Lanzafame viene colpito alla testa.
    Il malvivente scompare nel nulla lasciando sul posto l’arma.

    Le condizioni di Lanzafame appaiono da subito tragiche.
    Subisce numerosi interventi all’ospedale San Francesco di Nuoro, i medici riescono a stabilizzarlo anche se le condizioni restano molto gravi.

    I carabinieri sostengono che l’arma sia stata abbandonata come segno per far capire che, anche dopo gli arresti che ha subito il terrorismo isolano, Barbagia Rossa non è stata battuta e anzi si riorganizza e alza il tiro.
    Si tratta infatti di un potentissimo mitra inglese “Sterling”, mai usato dalla malavita sarda, con una micidiale cadenza di colpi (fino a 550 proiettili in un minuto), un’arma molto maneggevole.

    Il mattino seguente, il 1 agosto ’81, Barbagia Rossa rivendica l’attentato terroristico con una telefonata anonima fatta alla redazione locale dell’Ansa.
    Viene riferito che solo per un caso fortuito i due carabinieri non sono stati uccisi.

    Il 4 agosto ’81 i terroristi di Barbagia Rossa si fanno vivi per iscritto recapitando un ciclostilato alla redazione nuorese de L’unione Sarda.
    Nel documento si ribadisce la paternità dell’attentato a Lanzafame e Gaspa.
    Viene inoltre riconfermato che l’omicidio dell’insegnante Nicolino Zidda è stato un errore, il vero obiettivo era il brigadiere Salvatore Zaru, che si trovava in sua compagnia.

    Intanto Lanzafame subisce interventi a Nuoro e Cagliari e si prospetta la guarigione, infatti l’appuntato aveva ripreso conoscenza e riconosciuto la moglie e altre persone a lui vicine.
    Ma il 5 agosto ’81 viene ritrasferito con urgenza a Cagliari per un altro delicatissimo intervento alla testa; il liquido, non riuscendo a drenare, esercita una pericolosa pressione sulla corteccia cerebrale.
    L’intervento eseguito dal professore Francesco Napoleone riesce perfettamente, ma le condizioni del carabiniere risultano comunque molto gravi.

    Alle ore 13:00 del 6 agosto 1981 Santo Lanzafame muore all’ospedale di Cagliari dopo un ultimo e disperato intervento.

    Il finale tragico dell’attentato fa sprofondare tutta la comunità barbaricina nell’ombra.
    In effetti è la prima volta che Barbagia Rossa, l’organizzazione eversiva più importante dell’isola, porta a termine una diretta azione di morte.

    Il 7 agosto si celebra il funerale.
    La chiesa di Santa Maria della Neve a Nuoro è gremita ma c’è un irreale silenzio rotto solo dalle urla di disperazione di Giovanna Piras all’arrivo della salma del marito.
    Andrea Pau, sindaco di Nuoro, proclama il lutto cittadino chiedendo a tutti gli esercizi pubblici di restare chiusi.

    La notizia della morte di Santo Lanzafame colpisce tutti; nonostante si conoscessero le sue gravi condizioni di salute, la tragica conferma ha gettato la città e tutta l’isola in un’atmosfera preoccupante di paura, rabbia, indignazione e sconforto.

    Intanto le indagini proseguono senza nessun risultato.
    Vengono arrestati preventivamente tre giovani di Orune (in realtà non è chiara quale accusa gli viene mossa), inoltre si segue una pista che, partendo dal mitra Sterling, si perde in Liguria.

    23 – Santo Lanzafame, il carabiniere ucciso a Nuoro

    01 – Nuoro, 31 luglio 1981. L’alfetta dei carabinieri su cui si trovava l’appuntato Santo Lanzafame al momento dell’agguato mortale

    24 – Agenti della polizia e carabinieri nel luogo dell’attentato di venerdì notte presso il curvone di Borbore

    25 – Un mitra Sterling uguale a quello che è stato usato a Nuoro per l’attentato

    26 – La bara del brigadiere assassinato lascia l’istituto di medicina a Cagliari per la celebrazione del funerale a Nuoro

    12) Febbraio 1982. Le confessioni di Savasta e la scomparsa di Barbagia Rossa

    Nel 1982 viene catturato Antonio Savasta che passa nelle file del “pentitismo”.
    Le sue rivelazioni investono anche la Sardegna dove partono immediatamente nuovi arresti e indagini.
    Nei primi dieci giorni di febbraio vengono arrestate e accusate di costituzione di banda armata otto persone: Pierino Medde (27 anni, Nuoro), Roberto Campus (28 anni, Nuoro), Gianni Canu (24 anni, Nuoro), Giovanni Meloni (26 anni, Siniscola), Antonio Contena (28 anni, Orune), Mario Meloni (28 anni, Mamoiada), Mario Calia (28 anni, Lodè), Giuliano Deroma (25 anni, Porto Torres).
    Tra loro possiamo ricordare Antonio Contena, presente durante il conflitto di Sa Janna Bassa nel dicembre ’79, e Pietro Medde, già indagato per Barbagia Rossa e in libertà provvisoria.

    La confessione-fiume di Antonio Savasta continua e apre nuove indiscrezioni sui movimenti terroristici in Sardegna.
    Ora è certo che nel dicembre del ’79 a “Sa Janna Bassa”, era in corso un vertice tra alcuni esponenti delle Brigate Rosse e di Barbagia Rossa per discutere sull’eventuale costituzione di una colonna sarda delle BR.
    Inoltre, sempre grazie alle indicazioni del pentito, viene trovato tra il Montalbo e Monte Pitzinnu (nel territorio di Lula) un fornitissimo deposito di armi da guerra di proprietà delle Brigate Rosse.
    L’arsenale comprende cinque razzi di fabbricazione americana per bazooka, un missile anticarro sovietico capace di sfondare agevolmente un muro di un metro, due missili terra-aria di fabbricazione francese che possono essere lanciati a chilometri di distanza con la certezza di colpire il bersaglio, trenta chili di esplosivo al plastico, otto bombe a mano di fabbricazione americana, sei mitra inglesi “Sterling” (lo stesso usato nell’attentato dove morì Santo Lanzafame), un centinaio di cartucce per mitra.
    L’arsenale era probabilmente sotto custodia di Barbagia Rossa e forse doveva servire per un attentato al supercarcere di Badu ‘e Carros a Nuoro.
    Gli investigatori, sempre indirizzati da Savasta, provano anche che i terroristi stavano progettando dei clamorosi sequestri di persona di leader politici isolani.

    Le confessioni di Antonio Savasta seguite dagli arresti e le indagini che queste provocarono, probabilmente diedero un duro colpa all’organizzazione di Barbagia Rossa.
    L’unica cosa certa è che dopo l’attentato mortale all’appuntato Lanzafame e dopo questi ultimi avvenimenti provocati dal pentito Savasta la sigla Barbagia Rossa non fece più la sua comparsa.

    #sardegne #Br #brigate_rosse #BR #BarbagiaRossa #terrorisme #otan

    • Peut-on confondre la lutte armée avec le terrorisme ? Pas si on considère que la particularité du terrorisme est de s’en prendre à des populations civiles de manières indiscriminée par des attentats aveugles (et destinés à aveugler), des #attentats_massacres dont la collusion active de secteurs de l’extrême-droite avec les service secrets italiens a montré l’exemple en Italie dès 1969 avec l’attentat de la Piazza Fontana à Milan (1er d’une série avec 17 morts et 85 blessés, faussement attribué par la police à des anarchistes pourtant quasi inexistants en termes organisationnels à ce moment là en Italie), puis de nombreuses fois ensuite (dont les 85 morts et les centaines de blessés de la gare de Bologne en 1980).
      Certes, du côté de cette gauche extra-parlementaires, il y eu des jambisations, puis des meurtres (...), mais c’est faire un amalgame que de légitimer de quelque façon que ce soit l’expression « années de plomb » pour désigner cette période en Italie en présentant les mouvements révolutionnaires comme des criminels barbares alors que la violence politique à prétention révolutionnaire a infiniment moins tuée que celle d’un État qui faisait encore régulièrement tirer à balles sur les grévistes durant les années soixante, a sciemment mis en oeuvre la #stratégie_de_la_tension au moyen d’attentats-massacres et n’avait pas hésité à occuper militairement Bologne au moyen de blindés équipés de mitrailleuses en 1977.

      #lutte_armée_pour_le_communisme et plus on va vers le sud : #prolétariat_extra_légal

  • Grande traversée : l’énigmatique Alan Turing : podcast et réécoute sur France Culture

    D’Alan Mathison Turing (1912-1954), le grand public n’a longtemps rien su. En quelques années, Turing est devenu la figure rêvée du génie scientifique maltraité par les conventions morales d’une époque.

    Depuis la sortie du film Imitation Game en 2012, on ne cesse de redécouvrir la vie et l’oeuvre de ce Britannique secret et excentrique, mathématicien inspiré, impliqué dans le cassage des codes nazis pendant la Seconde Guerre mondiale, théoricien de l’informatique puis pionnier de l’intelligence artificielle, poursuivi pour homosexualité avant de disparaître en croquant dans une pomme enduite de cyanure…

    Tous les ingrédients d’un destin romanesque prêt à mythifier sont là. Le réel pourtant s’avère plus complexe, et en cela plus passionnant. Seul, Turing n’aurait pu briser Enigma ni engendrer le premier ordinateur.

    Il faut, pour comprendre ses interventions décisives, le replacer dans son temps, dans l’incroyable accélération de l’histoire qui, des années 1930 aux années 1950, conjugue bouleversements géopolitiques, engouement collectif pour les sciences et révolution des technologies.

    A l’aune de ces circonstances exceptionnelles émerge alors, dans toute son épaisseur, la trajectoire d’un homme à la curiosité obsessionnelle, fasciné par la possibilité de repousser les limites du savoir et de maîtriser le cours de sa propre existence.

    #AlanTuring et le décryptage des #codes secrets nazis (article CNRS Le Journal)

    Alan Turing, génie au destin brisé (article CNRS Le Journal)

    Le modèle Turing (film de CNRS Images)

    https://www.franceculture.fr/emissions/lenigmatique-alan-turing

    #podcast #

  • Sicile, au cœur du pôle pétrochimique dʹAugusta - Radio - Play RTS
    https://www.rts.ch/2020/04/20/14/42/11255162.image/16x9/scale/width/624
    Dans lʹest de la #Sicile, entre #Syracuse et #Augusta, sʹétend lʹun des plus grands pôlespétrochimiques dʹEurope. Dix usines industrielles chimiques et de #raffinage de pétrole se partagent 25 kilomètres de côte ; près dʹun tiers de lʹessence consommée en Italie est dʹailleurs produite ici. Lʹimplantation industrielle depuis les années 1950 a rendu ce territoire à un stade de sur-pollution criant des sols, de lʹair, des nappes phréatiques, de la mer. 180ʹ000 habitants des quatre communes (Augusta, #Priolo, #Mellili et Syracuse) qui entourent la zone industrielle sont aujourdʹhui tombés dans un cauchemar sanitaire dû à lʹétat de pollution aggravé de ce territoire. Enquête au cœur de ce #pôle_pétrochimique où lʹon entend quʹil « vaut mieux mourir dʹun #cancer que de faim », les industries étant les principales pourvoyeuses dʹemplois.
    Reportage : Clémentine Méténier
    Réalisation : Didier Rossat
    Production : Muriel Mérat et Christophe Canut

    https://www.rts.ch/play/radio/a-labordage/audio/point-de-fuite-sicile-au-cur-du-pole-petrochimique-daugusta?id=11225241

    #italie #pollution #podcast

    https://www.rts.ch/play/radio/a-labordage/audio/point-de-fuite-sicile-au-cur-du-pole-petrochimique-daugusta?id=11225241

  • Covid-19 en Italie : une réanimatrice témoigne du coeur de la tourmente – L’Avventura
    https://www.lemonde.fr/blog/lavventura/2020/04/09/covid-19-en-italie-une-reanimatrice-temoigne-du-coeur-de-la-tourmente

    Irene, réanimatrice, prend son poste à #Milan en janvier #2020, peu avant l’éclatement du foyer du #Coronavirus en #Italie. Elle raconte comment le #Covid-19 explose dans l’impréparation et la désorganisation du système de santé. Le retard dans la distribution des équipements, la décentralisation du système de santé, la confusion engendrée par une pluie de mesures parfois contradictoires de communes, régions et état seront parmi les causes d’un taux de mortalité parmi les plus élevés du monde : à ce jour plus de 17.000 morts dont 120 #médecins et #infirmiers. Entre-temps, le confinement grippe le moteur économique du pays : l’aide alimentaire n’est pas nécessaire que dans les banlieues.

    #bd #lemonde

    L’ AUTEUR DE L’ AVVENTURA

    Je suis un auteur de BD indépendant et pas une journaliste du Monde, si ce blog vous plaît, partagez-le ! Vous pouvez me suivre sur Twitter, Facebook, Instagram, Linkedin . La femme qui prenait son mari pour un chapeau est mon dernier livre (disponible sur https://www.lalibrairie.com qui paie ses impôts et livre à domicile même pendant le confinement parce que le livre est un bien de première nécessité !

  • La crisi climatica spiegata con le mappe di Andrea Barolini

    1 - Prima puntata - La siccità

    Le mappe dell’Agenzia Europea per l’Ambiente mostrano come i cambiamenti climatici colpiranno l’Europa. Ve le proponiamo in forma di immagini scorrevoli

    https://valori.it/cambiamenti-climatici-mappe-siccita

    2 - Seconda puntata - Gli eventi estremi

    Le mappe dell’EEA spiegano come i cambiamenti climatici colpiranno l’Europa. Ve le proponiamo come immagini scorrevoli. Seconda puntata: gli eventi estremi

    https://valori.it/mappe-cambiamenti-climatici-eventi-estremi

    3 - Terza puntata - L’agricoltura

    Le mappe dell’EEA aiutano a capire come la crisi climatica colpirà l’Ue. Ve le proponiamo come immagini scorrevoli.

    https://valori.it/agricoltura-crisi-climatica-mappe

    4 - Quarta puntata - Gli incendi

    I devastanti incendi in Australia erano stati previsti nel 2007 dagli scienziati. Il legame tra i roghi e i cambiamenti climatici sembra evidente

    https://valori.it/crisi-climatica-mappe-incendi

    #climat #siccité #agriculture #Europe #carte #inondation @cdb_77

  • Portraits that capture three decades of black culture

    From the ’80s on

    Photographer Liz Johnson Artur – a self-described ‘product of migration’ – has been capturing the African diaspora since 1986.

    Growing up in Germany, Russian Ghanaian artist Liz Johnson Artur spent her summers in the former Soviet Union. But in 1986, she received an invitation to stay with a family friend in Brooklyn. Deep in Williamsburg, long before it was gentrified, Artur found herself in a black community for the very first time.

    “Up until then I hadn’t really travelled in any countries that had a black population,” she says. “Coming to Brooklyn was something I didn’t expect, but I realised I could take pictures of people.”

    Over the past three decades, Artur has been taking photographs of the African diaspora as an extension of herself, seamlessly integrating the practice of photography into her everyday life.

    The result is Artur’s ongoing Black Balloon Archive, selections from which are included in the intimate exhibition Dusha, along with two videos and a selection of sketchbooks. “Dusha,” which means “soul” in Russian, is at the heart of Artur’s work. As a self-described “product of migration” who adopted London as her home, Artur’s artistic process is her way of being in the world.

    While Artur pursued her MA at the Royal College of Art in London and began working as a freelance magazine photographer during the ’90s, she spent her personal time capturing black life as it unfolded before her eyes. “There’s never been any reason other than I see someone I like,” she says.....

    https://www.huckmag.com/art-and-culture/art-2/portraits-that-capture-three-decades-of-black-culture

    #blackculture #photographie #80s

  • Yuval Noah Harari: the world after coronavirus | Free to read | Financial Times

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    https://www.ft.com/content/19d90308-6858-11ea-a3c9-1fe6fedcca75

    Humankind is now facing a global crisis. Perhaps the biggest crisis of our generation. The decisions people and governments take in the next few weeks will probably shape the world for years to come. They will shape not just our healthcare systems but also our economy, politics and culture. We must act quickly and decisively. We should also take into account the long-term consequences of our actions. When choosing between alternatives, we should ask ourselves not only how to overcome the immediate threat, but also what kind of world we will inhabit once the storm passes. Yes, the storm will pass, humankind will survive, most of us will still be alive — but we will inhabit a different world.

    Many short-term emergency measures will become a fixture of life. That is the nature of emergencies. They fast-forward historical processes. Decisions that in normal times could take years of deliberation are passed in a matter of hours. Immature and even dangerous technologies are pressed into service, because the risks of doing nothing are bigger. Entire countries serve as guinea-pigs in large-scale social experiments. What happens when everybody works from home and communicates only at a distance? What happens when entire schools and universities go online? In normal times, governments, businesses and educational boards would never agree to conduct such experiments. But these aren’t normal times.

    In this time of crisis, we face two particularly important choices. The first is between totalitarian surveillance and citizen empowerment. The second is between nationalist isolation and global solidarity.
    Under-the-skin surveillance

    In order to stop the epidemic, entire populations need to comply with certain guidelines. There are two main ways of achieving this. One method is for the government to monitor people, and punish those who break the rules. Today, for the first time in human history, technology makes it possible to monitor everyone all the time. Fifty years ago, the KGB couldn’t follow 240m Soviet citizens 24 hours a day, nor could the KGB hope to effectively process all the information gathered. The KGB relied on human agents and analysts, and it just couldn’t place a human agent to follow every citizen. But now governments can rely on ubiquitous sensors and powerful algorithms instead of flesh-and-blood spooks.

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    In their battle against the coronavirus epidemic several governments have already deployed the new surveillance tools. The most notable case is China. By closely monitoring people’s smartphones, making use of hundreds of millions of face-recognising cameras, and obliging people to check and report their body temperature and medical condition, the Chinese authorities can not only quickly identify suspected coronavirus carriers, but also track their movements and identify anyone they came into contact with. A range of mobile apps warn citizens about their proximity to infected patients. ....

    This storm will pass. But the choices we make now could change our lives for years to come
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    https://www.ft.com/__origami/service/image/v2/images/raw/http%3A%2F%2Fprod-upp-image-read.ft.com%2F9bc3b02e-6a11-11ea-a6ac-9122541af204?s

    #coronavirus #monde #politique @cdb_77

  • « Si la presse chinoise était libre, le coronavirus ne serait peut-être pas devenu une pandémie » , dénonce RSF | RSF

    Reporters sans frontières (#RSF) démontre que, sans le contrôle et la #censure imposés par les autorités, les médias chinois auraient informé bien plus tôt le public de la gravité de l’épidémie de coronavirus, épargnant des milliers de vies et évitant peut-être la pandémie.

    Dans une analyse publiée le 13 mars, des chercheurs de l’université de Southampton suggèrent que le nombre de cas de coronavirus en Chine aurait pu être réduit de 86% si les mesures de lutte contre l’épidémie, prises en Chine à partir du 20 janvier, avaient été anticipées de deux semaines. Au vu de la chronologie des premiers jours de la crise, Reporters sans frontières (RSF) démontre que, sans le contrôle et la censure imposés par les autorités, les médias chinois auraient informé le public bien plus tôt de la gravité de l’épidémie, épargnant des milliers de vies et évitant peut-être la pandémie.

    18 octobre : la presse chinoise aurait relayé les résultats glaçants d’une simulation de pandémie

    Le Centre Johns Hopkins pour la sécurité sanitaire, en partenariat avec le Forum économique mondial et la Fondation Bill et Melinda Gates, a effectué le 18 octobre 2019 une simulation de pandémie de coronavirus et alerté la communauté internationale de son résultat glaçant : 65 millions de morts en 18 mois.

    Si l’internet chinois n’était pas isolé par un système élaboré de censure électronique et si les médias n’étaient pas contraints de suivre les instructions du Parti communiste, le public et les autorités se seraient sans doute intéressés à cette information provenant des États-Unis et qui fait écho à l’épidémie de SRAS (syndrome respiratoire aigu sévère), qui avait causé plus de 800 morts et affecté 8000 personnes principalement en Chine en 2003.

    20 décembre : les autorités de la ville de Wuhan auraient informé les journalistes

    Le 20 décembre, un mois après le premier cas documenté, la ville de Wuhan compte déjà 60 malades atteints d’une pneumopathie inconnue ressemblant au SRAS, dont plusieurs ont fréquenté le marché aux poissons de Huanan. Malgré la situation, les autorités ne jugent pas utile de communiquer ces informations aux médias.

    Si les autorités n’avaient pas caché aux médias l’existence d’un début d’épidémie liée à un marché très populaire, le public aurait de lui-même cessé de fréquenter ce lieu avant sa fermeture officielle, le 1er janvier.

    25 décembre : la docteure Lu Xiaohong aurait pu faire part de ses craintes à la presse

    La docteure Lu Xiaohong, directrice du département de gastroentérologie de l’hôpital numéro 5 de la ville de Wuhan, entend parler de cas d’infection touchant le personnel médical dès le 25 décembre et se doute dès la première semaine de janvier que l’infection est transmissible d’humain à humain.

    Si les sources des journalistes en Chine ne risquaient pas de graves sanctions pouvant aller d’un blâme professionnel à de lourdes peines de prison, la docteure Lu Xiaohong aurait sans doute pris la responsabilité d’alerter les médias, forçant les autorités à agir trois semaines plus tôt qu’elles ne l’ont fait.

    30 décembre : l’appel des médecins lanceurs d’alerte aurait été repris par les médias

    La directrice du service des urgences de l’hôpital central de Wuhan, Ai Fen, et un groupe de médecins lancent l’alerte sur internet dès le 30 décembre. Huit d’entre eux, dont le docteur Li Wenliang, mort depuis des suites de la maladie, seront interpellés par la police le 3 janvier pour avoir fait circuler de « fausses rumeurs ».

    Si, dès cette date, la presse et les réseaux sociaux avaient pu reprendre librement l’information transmise par les lanceurs d’alerte, le public aurait pris conscience du danger et fait pression sur les autorités pour qu’elles prennent des mesures limitant l’expansion du virus.

    31 décembre : les réseaux sociaux auraient relayé en Chine l’alerte officielle

    La Chine alerte officiellement l’Organisation mondiale de la santé (OMS) le 31 décembre mais oblige dans le même temps la plateforme de discussion WeChat à censurer un grand nombre de mots-clés faisant référence à l’épidémie.

    Sans la censure, le réseau social WeChat, qui compte un milliard d’utilisateurs actifs en Chine, aurait pu permettre aux journalistes de diffuser des reportages et des conseils de prophylaxie contribuant à un meilleur respect des règles préconisées par les autorités de santé.

    5 janvier : la presse scientifique aurait diffusé plus tôt le génome du coronavirus

    L’équipe du professeur Zhang Yongzhen au sein du Centre clinique de santé publique de Shanghai parvient à séquencer le #virus dès le 5 janvier, mais les autorités semblent réticentes à publier la séquence du génome. Le 11 janvier, jour où la Chine confirme son premier décès dû au virus, les chercheurs font fuiter l’information sur des plateformes en libre source, ce qui occasionnera la fermeture du laboratoire en représailles.

    Si les autorités chinoises avaient joué la carte de la transparence, elles auraient immédiatement communiqué la séquence du génome du coronavirus à la presse scientifique, permettant à la communauté internationale de gagner un temps précieux dans ses recherches pour la mise au point d’un vaccin.

    13 janvier : la communauté internationale aurait anticipé le risque d’une pandémie

    Le premier cas d’infection au coronavirus hors de #Chine est répertorié en Thaïlande le 13 janvier sur une touriste chinoise originaire de #Wuhan.

    Si, à cette date, les #médias internationaux avaient eu un accès complet aux informations détenues par les autorités chinoises sur l’ampleur de l’épidémie, il est probable que la communauté internationale aurait pris la mesure de la crise et mieux anticipé sur le risque d’une propagation de l’épidémie hors de Chine, évitant peut-être sa transformation en pandémie.

    https://rsf.org/fr/actualites/si-la-presse-chinoise-etait-libre-le-coronavirus-ne-serait-peut-etre-pas-devenu

    #covid-19 #coronavirus #epidemie #pandemie

    • La preuve, par la France, et l’Europe en général, dans le monde Libre de la Presse libre, le Virus a été maîtrisé instantanément, du fait de nos communications à la censure électronique pas élaborée et à l’absence d’instructions (et d’éléments de langage) des Partis néo-libéraux.

    • @biggrizzly tu oublies que la france a sauvé le 49.3 (un chiffre porte bonheur) et le premier tour des élections municipales (un vote porte bonheur) en prenant pour alerter plus de deux mois de retard (une date porte bonheur).
      En france, on vit dans de merveilleuses croyances virilistes, c’est nous les plus forts, le pouvoir démocratique y organise de grandes messes où tout le monde se postillonne dessus (à l’Assemblée, à l’église, au stade de foot, et même dans les mairies) et surtout sans mettre aucun masque (c’est nous les plus forts). Mais heureusement, en france, on sait compter jusqu’à 3 quand on gagne, on n’est pas racistes ni nostalgiques des colonies, personne n’a à nous faire de leçons, on est libres et indépendants et on sait ce qu’on fait grâce à des médias libres et indépendants.

  • La galassia offshore dei trader ticinesi. Il caso Duferco

    La catena societaria del gruppo Duferco, la più importante azienda di commercio di materie prime di Lugano di Federico Franchini

    È considerato il più importante commerciante d’acciaio del mondo e l’unica multinazionale con sede in Ticino. È la Duferco di Lugano, capostipite e fiore all’occhiello della piazza di trading del Ceresio. Nonostante la sua importanza di lei si sa poco o nulla. Chi la controlla? Quali sono i suoi utili? Attraverso documenti ufficiali area ha ricostruito la sua struttura societaria. Quello che emerge è una galassia complessa che si dirama in diversi paradisi fiscali.

    Rue Guillaume Schneider 6, Lussemburgo. Per ricostruire la catena societaria di Duferco occorre partire da qui. Se il Ticino è il centro operativo delle diverse società legate a questo gruppo, il cuore societario è nel Granducato. È qui, dove si sono trasferite da Guernsey nel 2010, che hanno sede le case madri di quelle che di fatto sono le due Duferco: la Duferco Participations Holding (Dph), legata alla storica proprietà italiana, e la Duferco International Trading Holding (Dith), oggi in mani cinesi. Queste due holding, benché legate tra loro da vincoli storici e di proprietà, vanno considerate come due multinazionali a sé.

    La Duferco del Dragone
    È il 2014 quando il colosso pubblico cinese Hesteel Group acquisisce la maggioranza della Duferco di #Lugano. In realtà, il controllo arriva a monte: Hesteel, tramite una controllata di Singapore, acquisisce la maggioranza della Dith, la società madre delle attività di trading. L’alleanza è tra titani: il secondo produttore d’acciaio del mondo si unisce al principale commerciante di prodotti siderurgici del pianeta. Gli ormai ex azionisti di maggioranza, il fondatore #BrunoBolfo e suo nipote #AntonioGozzi perdono il controllo sulla Dith, ma attraverso l’altra #Duferco, la Dph, mantengono un’importante quota di minoranza nella holding che ora detiene i diritti esclusivi per vendere l’acciaio cinese.

    Dopo Hesteel (61%) e Dph (27%), il terzo azionista di Dith è la Big Brown Dog Holding (12%) di Hong Kong, controllata dal Ceo Matthew De Morgan e nella quale, fino a poco fa, mantenevano qualche briciola gli ucraini dell’Unione Industriale del Donbass (Isd). Prima dell’arrivo di Hesteel, infatti, Bolfo & Co. avevano stretto un accordo strategico con l’Isd che, tramite la cipriota Steelhold, aveva acquisito quote di minoranza della Dith. Oggi, gli oligarchi dell’est sono ormai usciti di scena lasciando spazio ai nuovi padroni dell’acciaio, i dragoni cinesi della provincia di Hebei.

    Il gruppo ha mantenuto la sede operativa in Ticino, dove sono attive sette società tra cui la capostipite della piazza luganese: la Duferco Sa. La Dith è attiva soprattutto nel commercio di acciaio (ma non solo) e dispone di alcune unità produttive come una fabbrica in Macedonia, controllata tramite filiali a Cipro e nel Liechtenstein. La diminuzione della domanda di acciaio cinese e la crisi dei dazi sta pesando sulle performance del gruppo: dopo essere diminuiti del 20% nel 2018, gli utili di Dith sono scesi di un altro 57% nel 2019, issandosi a 26 milioni di dollari.

    Dxt: il gigante sconosciuto
    Ogni anno, Handelszeitung pubblica la lista delle più importanti società elvetiche per cifra d’affari. Nel 2019, per arrivare al Ticino occorreva scendere alla 32esima posizione: qui si trova la Dxt Commodities. Poco nota al grande pubblico, questa azienda è specializzata nel trading d’idrocarburi ed energia elettrica. Dxt è stata fondata nel 1999 dai top manager di Duferco, in collaborazione con alcuni fiduciari di Lugano. Gli stessi, per intenderci, che hanno ideato la tanto discussa ingegneria fiscale della Gucci. Anche per il trading l’asse è sempre quello: Lugano-Lussemburgo. La Dxt è controllata al 95% dalla Dxt International, sede nel Granducato. Una società che ha realizzato 26 milioni di euro di utili nel 2018, grazie soprattutto alla controllata ticinese. La Dxt International è detenuta al 50% da due altre società: la Spelugues Investments, basata nel Delaware e posseduta dal Ceo Benedict Sciortino; e la Dph, la Duferco “italiana”. Oltre alla Dxt, quest’ultima detiene in Ticino, sempre per il tramite di una lussemburghese, anche la metà del gruppo di commercio marittimo Nova Marine.

    Scatole cinesi
    Ma chi controlla la Dph? Il primo scalino a ritroso porta alla Btb Investments, una società che la detiene al 100%. A questo punto l’organigramma si biforca in due rami. Uno va verso altre due entità – la Ultima Holding a sua volta controllata dalla Lagrev Investments – che sembrano portare al manager Antonio Gozzi. L’altro ramo, leggermente maggioritario, conduce alla Bb Holding Investments che, come le altre lussemburghesi citate, ha sede al numero 6 di Rue Guillaume Schneider. La Bb Holding fa capo al vecchio patron, quel Bruno Bolfo che, ancora una volta, sembra avere azzeccato tutte le sue mosse: nel 2019, l’utile netto della sua holding è aumentato del 66% raggiungendo gli 85 milioni di dollari. La Duferco italiana, insomma, sembra rendere di più rispetto a quella cinese. Per mettere al sicuro il suo tesoro milionario, però, Bruno Bolfo ha pensato a uno scalino in più: la Bb Holding è infatti detenuta al 100% da La Sesta Trust, un fondo fiduciario basato nel Liechtenstein. Ultima fermata di una galassia decisamente offshore.

    Mister acciaio e gli amici luganesi

    È l’11 agosto del 1982 quando, presso lo studio del notaio Filippo Solari di Lugano, viene costituita la Duferco Sa. Il gruppo era stato creato qualche anno prima in Brasile dal ligure Bruno Bolfo, un manager con esperienze nell’acciaio in Italia, Stati Uniti e Sudamerica.

    In Ticino, al momento della creazione della Duferco, Bolfo non c’è. A comparire di fronte al notaio sono due figure note del sottobosco finanziario e societario luganese: Elio Borradori, padre dell’attuale sindaco Marco, che diventerà noto per essere stato l’amministratore dei dittatori Saddam Hussein e Ferdinando Marcos, e il suo socio Josef Kraft. Al momento della sua creazione, la maggioranza delle azioni della Duferco saranno detenute da una sconosciuta società del Liechtenstein, la Forward Investment, amministrata dallo stesso Kraft.

    Quando, un anno dopo, viene creata in Lussemburgo la prima Duferco Holding, lo schema si ripete: il controllo è affidato alla Laconfida di Vaduz, la società figlia dello studio legale Borradori e da cui sono transitati molti dei segreti finanziari, più o meno occulti, legati al sottobosco fiduciario luganese. Nel 1990, quando la Duferco decide d’insediare la sua casa madre a Guernsey, la Duferco Holding viene liquidata nel Granducato. Ad occuparsi della liquidazione sono Josef Kraft e Jean-Louis Hurst, suo successore a Laconfida ed ex dirigente del gruppo Ocra, la struttura creata da Tito Tettamanti per la gestione della contabilità parallela dei potentati di mezzo mondo. Hurst entrerà di lì a poco anche nella Duferco di Lugano, nel frattempo diventata sede operativa di quello che si sta profilando come il più grande commerciante di acciaio del pianeta.

    Una società che negli anni ’90 si lancia alla conquista del selvaggio Est in preda al caos delle privatizzazioni del settore siderurgico. In quegli anni, oltre a stringere alleanze con gli oligarchi russi e ucraini, Duferco consolida la propria struttura societaria in Ticino. Per farlo, Bruno Bolfo fa affidamento ad un gruppo di rampanti fiduciari ed esperti fiscali. Nel 1996, infatti, nel Cda di Duferco c’entrano Donato Cortesi e Adelio Lardi, gli ideatori dell’ingegneria fiscale dei giganti della moda che in quegli anni inizieranno a insediarsi in Ticino.

    Nel 1999, Lardi e Cortesi, assieme al già citato Hurst e ai top manager di Duferco, si faranno promotori della nascita di Dufenergy, la società che diventerà Dxt Commodities. Un nome poco noto, ma che oggi è la più importante azienda ticinese per cifra d’affari. Una società che, come abbiamo visto nell’articolo sopra, è controllata di fatto al 50% da una società del Delaware, al 25% da una lussemburghese e al 25% da un trust del Lichtenstein, cassaforte dei tesori di Bruno Bolfo. Insomma, dall’inizio alla fine, i segreti di Duferco portano sempre a Vaduz.

    https://www.areaonline.ch/La-galassia-offshore-dei-trader-ticinesi-Il-caso-Duferco-08bb2900


    https://pbs.twimg.com/media/ETx22_HWoAAI-TT?format=jpg&name=large

    #matière_première #offshore #acier @cdb_77 #suisse #tessin

  • « Troppi lombardi si muovono ancora da casa »
    https://www.varesenews.it/2020/03/troppi-lombardi-si-muovono-ancora-casa/911525

    Utilisation du téléphone pour voir les mouvements des citoyens

    Il 40% dei lombardi ancora si muove da casa. Troppi. Il dato, ricavato attraverso gli spostamenti delle celle telefoniche, è emerso durante la conferenza stampa di Regione Lombardia che come ogni giorno ha fatto il punto sulla diffusione del contagio nel territorio regionale.
    Le celle telefoniche

    “Con l’aiuto delle compagnie telefoniche, abbiamo potuto verificare gli spostamenti dei lombardi, in questi giorni di emergenza coronavirus – ha illustrato il vicepresidente Fabrizio Sala -. In base ai movimenti tracciati attraverso il monitoraggio delle celle telefoniche risulta, che dal 20 febbraio ad oggi il calo dei movimenti è stato del 60%. Ci sono ancora troppe persone che si spostano, corrispondenti al 40% del totale: il consiglio è e resta quello di rimanere a casa”.

    #contrôle #italie #covid-19 @cdb_77

  • #TousSurveillés : dans le #GrandLyon, vidéosurveillance partout, efficacité toujours à démontrer | #Mediacités

    D’après le décompte effectué par Mediacités, 51 des 59 communes de la Métropole se sont équipées de caméras de surveillance, y compris la réfractaire #Villeurbanne. Alors même que leur efficacité est sujette à controverse voire à une certaine opacité comme nous l’avons découvert au sujet d’une étude commandée par la ville de #Lyon.

    https://www.mediacites.fr/enquete/lyon/2020/02/10/toussurveilles-dans-le-grand-lyon-videosurveillance-partout-efficacite

    #surveillance