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  • La Chiesa italiana accoglie 58 profughi della Ocean Viking (a sue spese)

    Firmato un protocollo d’Intesa con il Viminale. Il ministro Lamorgese ringrazia il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Tra gli sbarcati anche un bimbo di 10 giorni

    La Chiesa italiana accoglierà, a proprie spese, una sessantina di migranti (per l’esattezza 58) dei 182 sbarcati ieri a Messina dalla nave Ocean Viking. Questo pomeriggio è stato firmato un nuovo protocollo d’intesa tra il Viminale e la Conferenza episcopale italiana, finalizzato ad assicurare l’accoglienza di quanti non saranno ridistribuiti tra Francia, Germania, Portogallo, Irlanda e Lussemburgo. Per queste persone la Chiesa italiana ha risposto affermativamente alla richiesta del Ministero, impegnandosi a proprie spese a fornire ospitalità, accoglienza ed assistenza.

    Tra gli sbarcati ci sono anche 14 minori, tra i quali anche un neonato di 10 giorni con i suoi fratellini di 1 e 3 anni.

    Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha ringraziato la Cei nella persona del cardinale Gualtiero Bassetti per la disponibilità incontrata, che rinnova una forma di collaborazione già sperimentata nel recente passato e che ha permesso di venire incontro al dolore di tante persone in fuga da guerre, persecuzioni e situazioni di povertà estreme in taluni casi dovute anche ai cambiamenti climatici, come ad esempio in Afar.

    Intanto sono in via di completamento le procedure di identificazione dei 182 migranti sbarcati martedì dalla Ocean Viking nel porto di Messina. 124 migranti saranno ridistribuiti tra 5 Paesi europei. A Francia e Germania andranno 50 ciascuno, 20 al Portogallo, 2 all’Irlanda, 2 al Lussemburgo. Lo rende noto il Viminale. I restanti 58, come detto, saranno presi in carico dalle strutture della Conferenza Episcopale Italiana, senza oneri a carico dello Stato.

    E proprio oggi con un volo di linea da Beirut 64 rifugiati siriani, tra i quali diversi minori, sono arrivati questa mattina all’aeroporto di Fiumicino «in modo legale e sicuro» grazie ai corridoi umanitari promossi dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Tavola Valdese, in accordo con i ministeri dell’Interno e degli Esteri. Un primo gruppo di 27 profughi siriani provenienti dal Libano era arrivato ieri a Roma. Salgono così a 2.700 le persone accolte in Europa con un progetto della società civile totalmente autofinanziato, nato in Italia, ma poi adottato anche da altri Paesi. I nuovi arrivi accolti da associazioni, parrocchie, comunità e famiglie in diverse regioni italiane.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/cei-accoglie-60-migranti-viking
    #accueil #asile #migrations #réfugiés #Eglise-refuge #solidarité #sauvetage #Méditerranée #Italie

    ajouté à cette méta-liste sur les villes-refuge :
    https://seenthis.net/messages/759145

  • Guards accused of rape and #torture of migrants arrested in Italy

    Exploitation, extortion and murder allegedly took place in Libyan detention centre.

    Three men accused of torturing and raping refugees and migrants in Libya have been arrested in Italy. They include a 22-year-old Guinean man and two Egyptians, aged 24 and 26.

    A 37-page report, written by the prosecutor’s office in Palermo and seen by The Irish Times, documents allegations of sexual and labour exploitation, extortion and murder. It says the abuse took place inside Zawiya detention centre, in Libya’s northwest.

    The men were identified by dozens of refugees and migrants, who eventually crossed the Mediterranean to safety in Europe.

    The Irish Times is in contact with refugees still being held in detention in Zawiya, who welcomed the arrests but say torture and abuse is ongoing.

    “People are still tortured, beaten, [made into] slaves and sold like a goat,” one man messaged on Monday, using a hidden phone. “It’s clear how many prisoners are dead from secret torture and poor medication, even [a] lack of nutrients, food. We hear in the middle [of the] night noisy screaming sometimes in the locked hanger.”

    He said at least 20 detainees had recently been sold back to traffickers. “This place is the most dangerous,” he said.

    In one incident, when people tried to escape, the guards opened fire on them, he said. One man was shot dead while another was badly wounded.

    The refugee’s testimony has repeatedly been confirmed by other sources.

    In April, the UN Refugee Agency and the International Organisation for Migration moved 325 migrants and refugees from Qasr bin Ghashir detention centre in Tripoli to a detention centre in Zawiya, saying it had evacuated them to safety.
    Ineffectiveness

    UNHCR has repeatedly been criticised by other aid workers, who accuse the agency of downplaying the scale of abuse and its own ineffectiveness to secure funding from the European Union.

    For 2½ years, the EU has been supporting the Libyan coast guard to intercept boats on the Mediterranean and forcibly return refugees and migrants to Libya, where they are detained indefinitely in conditions that have been condemned by human rights groups.

    Refugees and migrants who arrived in Zawiya in April said they were immediately met with threats and aggression by management and armed guards, and told how they would only see sunlight again after they paid substantial amounts of money.

    Meanwhile, on Saturday, 82 refugees and migrants disembarked in Italy after they were saved off the Libyan coast by the Ocean Viking boat. This is the first time this year an NGO ship has been allowed disembark rescued people there, and marks a reversal of the country’s anti-immigration policies enforced by former far-right interior minister Matteo Salvini under its new ruling coalition.

    https://www.irishtimes.com/news/world/africa/guards-accused-of-rape-and-torture-of-migrants-arrested-in-italy-1.40201
    #Libye #arrestation #Italie #migrations #asile #réfugiés #viol #centres_de_détention #détention #prisons #assassinat #exploitation #Italie

    • Inchiesta. #Ossama_il_libico, ecco chi è «il più spietato di tutti con i migranti»

      Per la prima volta fotografato il boss dei trafficanti. I carcerieri prendono ordini da lui. Una scia di omicidi e prevaricazioni di ogni tipo ai danni dei profughi. Arrestati in Sicilia tre complici

      Dicono di lui: «Il più spietato». È Ossama, il libico. O almeno così dice di chiamarsi. Nessuno era mai riuscito a fotografare il capo torturatore del vasto campo di prigionia di #Zawyah, tranne un giovane subsahariano che ha tenuto con sé l’immagine del suo aguzzino.

      La foto è stata consegnata a un avvocato di Londra e potrebbe dare una spinta all’inchiesta sulle violenze subite nei lager libici. Il nome di Ossama ricorre per settanta volte nelle 37 pagine dell’ordinanza con cui i magistrati siciliani hanno fatto arrestare pochi giorni fa tre complici fuggiti in Italia.

      I racconti dei sopravvissuti sono voci scampate agli spettri che ogni notte si davano il cambio addosso alle ragazze. Libici, egiziani, migranti promossi kapò, come nei campi di concentramento quando a un deportato veniva affidata il comando sugli altri prigionieri.

      «Tutti hanno riferito di una struttura associativa organizzata, indicando il suo capo, Ossama, e spesso fornendo l’organigramma dell’associazione – si legge nell’ordinanza della procura di Palermo –, ovviamente nei limiti in cui gli stessi prigionieri potevano rendersi conto del numero di sodali addetti alla struttura di prigionia e dei loro rispettivi ruoli». Materiale buono anche per gli investigatori del Tribunale internazionale dell’Aia, che tra poco più di un mese diffonderanno un rapporto aggiornato sull’inferno libico.

      «Dalle nostre fonti in loco – spiega Giulia Tranchina, legale per Diritti Umani dello studio Wilson di Londra – sappiamo che le torture continuano ancora in questi giorni e che nessuna svolta c’è stata per questi profughi che continuano a subire abusi, tanto più che le organizzazioni internazionali non sono messe in grado neanche di registrare tempestivamente, dunque è più facile per «Ossama» rivenderle ad altri gruppi di trafficanti senza lasciare alcuna traccia».

      Uno dei testimoni ha parlato così di Ossama: «Picchiava, torturava chiunque, utilizzando anche una frusta. A causa delle torture praticate Ossama si è reso responsabile di due omicidi di due migranti del Camerun, i quali sono morti a causa delle ferite non curate. Anche io, inauditamente e senza alcun pretesto, sono stato più volte picchiato e torturato da Ossama con dei tubi di gomma. Tanti altri migranti subivano torture e sevizie di ogni tipo». C’è chi lo ricorda come «una persona adulta, muscolosa, con ampia stempiatura». Ai suoi diretti ordini «vi erano tanti carcerieri».

      La polizia di Agrigento ha interrogato separatamente i migranti transitati da Zawyah e salvati nello scorso luglio dalla barca a vela Alex, della piattaforma italiana “Mediterranea”. Tutte le testimonianze concordano sul ruolo e le responsabilità di Ossama e dei suoi scagnozzi.

      Quando i magistrati di Agrigento, che poi hanno trasmesso per competenza gli atti ai colleghi di Palermo, raccoglievano fonti di prova e testimonianze non sapevano che anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva ricevuto e raccolto informazioni analoghe. A cominciare dalla vendita dei migranti da parte della polizia libica. «Un giorno, nel mese di luglio 2018, io e mia moglie – ha raccontato un uomo catturato e seviziato con la moglie – ci trovavamo a Zuara (non lontano da Zawyah, ndr). In quell’occasione venivamo avvistati e avvicinati da due libici, in uniforme, i quali ci hanno poi venduto al trafficante Ossama». Ad accordo fatto, «i due libici ci hanno condotto direttamente nella prigione gestita proprio da Ossama, a Zawyiah, in un’ex base militare».

      L’avvocato Tranchina, che nello studio di legali londinesi specializzati nella difesa dei Diritti umani ha vinto numerose battaglie nei tribunali del Regno, continua a ricevere filmati e immagini che tagliano il respiro.

      Alcuni sono recentissimi e documentano il fallimento di ogni accordo tra le autorità libiche e gli organismi internazionali. Diversi migranti raccontano di essere stati feriti durante le sessioni di tortura, non di rado a colpi di arma da fuoco, e poi nascosti lontano dalle prigioni durante le ispezioni concesse alla mmissione Onu in Libia.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-ossama-lo-spietato-coi-migranti

  • Liste des personnes en situation migratoire mortes à la frontière dite « haute » (#Mongenèvre, #Val_Susa, #Col_de_l'Echelle, #Bardonecchia, #Oulx, #Briançon) entre la #France et l’Italie ces dernières années.

    Selon les informations collectées par Eva Ottavy et Lydie Arbogast, qui ont fait une mission de collecte d’info en octobre 2019 dans le cadre du projet de La Cimade « Personnes décédées et disparues aux frontières françaises » :

    5 cas de personnes décédées à la frontière franco-italienne haute ont été recensés dont 3 côté français (Matthew Blessing le 07/05/2018, #Mamadi_Condé le 18/05/2018 et Tamimou Derman le 07/02/2019) et 2 côté italien (Mohamed Fofana le 25/05/2018 et une personne non identifiée le 07/09/2019)

    Mise en garde des deux personnes qui ont fait un rapport intermédiaire de leur mission :

    Il est possible que ce chiffre soit en deçà de la réalité d’une part (difficultés pour mener de recherches dans la zone, possibilité que des personnes aient disparu sans laisser de trace…) et qu’un certain nombre de décès et/ou disparition ont pu être prévenus grâce aux maraudes

    Elles mentionnent notamment le cas d’une personne (nom mentionné dans le rapport, mais je ne le mets pas ici) :
    « Suite à l’appel de deux proches, inquiets d’être sans nouvelle de leur ami depuis le 15/11/2019 (date du dernier contact, lors duquel la personne disparue se trouvait à Oulx en Italie), la disparition de XXX a été signalée au procureur de la république à Gap (France) par l’’association Tous Migrants et au Comando del carabinieri à Oulx (Italie) par une militante italienne. Les recherches menées par les équipes de secours italiennes n’ont rien donné. A ce stade, aucune information n’a été transmise sur les suites données à ce signalement. »

    #frontières #mourir_aux_frontières_alpines #morts #décès #migrations #asile #réfugiés #Alpes #montagne #mourir_aux_frontières #violent_borders #frontière_sud-alpine

    Je vais ajouter à cette métaliste sur les morts à la frontière sud-alpine :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Sur les morts du printemps 2018...

      Tre morti in tre settimane, scoperto il cadavere di un altro migrante in Val di Susa

      Ancora un corpo che spunta tra le neve sporca e i detriti all’Orrido del Frejus.

      Le peggiori previsioni fatte nell’inverno si stanno rivelando fondate. Si scioglie la neve, si contano i cadaveri. È il terzo morto in poche settimane causato dalla militarizzazione della frontiera operata dalle forze dell’ordine in questi ultimi mesi, da quando la chiusura del passaggio di Ventimiglia ha spostato i flussi verso i valichi alpini. Archiviati i dissapori causati dall’invasione di campo della gendermerie a Bardonecchia, ormai dai due lati della frontiera è caccia al nero, con gendarmerie e polizia unite per respingere in Italia i migranti che vogliono arrivare in Francia. Anche a costo di ucciderli. Vittime collaterali dello spettacolo della frontiera, messo su per compiacere l’Unione europea e qualche cinico politico.

      Prima Blessing, una ragazza di 21 anni morta sulle sponde della Durance. Gli amici che erano con lei hanno raccontato che la gendarmeria francese l’ha inseguita di notte per i sentieri scoscesi fino a quando non è caduta nel torrente. Il suo corpo è stato ritrovato a valle qualche giorno dopo. Mamadou, un signore senegalese, invece è morto di sfinimento in montagna. Aveva provato a passare come i suoi coetanei con la pelle bianca in autobus ma la polizia l’ha rispedito indietro, con il nipote ha dovuto inerpicarsi sulla montagna per sfuggire alla battuta di caccia che i gendarmi lanciano ogni giorno e ogni notte, con visori notturni e motoslitte. Da aprile ad aiutare gli agenti sono arrivati i fascisti di Generation identitiare, che con droni ed elicotteri hanno messo in scena un blocco delle frontiere prima che un corteo di trecento valsusini li ridicolizzasse passando la frontiera con qualche decina di migranti. Sotto l’occhio benevole delle autorità francesi e col tifo dei fascisti nostrani, ora continuano di tanto in tanto le loro azioni spot, respingendo i migranti, obbligandoli a percorsi sempre più impervi e a rischiare la vita fino a perderla.

      Durante l’inverno tanti abitanti delle valli frontaliere hanno setacciato i sentieri ed accolto le persone in transito, dando informazioni, soccorrendo chi era in difficoltà anche a costo di denunce e processi. Tre di loro, Bastien, Théo ed Eleonora, sono ancora sottoposti a controllo giudiziario in Francia dopo un passaggio di diverse settimane nel carcere di Marsiglia, in attesa de loro processo che comincerà il 31 maggio. Chi quei sentieri li conosce aveva avvertito: la frontiera uccide. Voleva essere una denuncia, a fare qualcosa prima che fosse troppo tardi. Si è trasformata in una previsione che in questi giorni si è fatta dolorosa realtà.

      Dai due lati della frontiera è stato lanciato un appuntamento per una risposta collettiva, domenica 27 maggio alle 12:30 a Claviere, al rifugio autogestito chez jesus. Non vogliamo contare i corpi, non vogliamo che la Val di susa si trasformi in un cimitero a cielo aperto. Restiamo umani.

      https://www.infoaut.org/migranti/tre-morti-in-tre-settimane-scoperto-il-cadavere-di-un-altro-migrante-in-val

    • #Mohamed_Ali_Bouhamdi , citoyen tunisien, 37 ans.

      Septembre 2019, #Bardonecchia, corps d’un homme retrouvé dans la rivière #Dora :
      https://seenthis.net/messages/800830

      –-> Selon une personne avec qui j’ai discuté et qui habite dans la région et qui s’intéresse à la question, Mohamed ne serait pas décédé parce qu’il est tombé dans la rivière, mais il a probablement été tué ailleurs (crime raciste ? règlement de comptes ?) et son cadavre jeté dans la rivière.

    • Une 5ème victime de la frontière dans les Alpes (passage Bardonneccia/Briançon col de l’Echelle).

      Hier le corps d’un homme a été retrouvé dans le fleuve Dora, près de Bardonnecchia. C’est la cinquième personne tentant de traverser cette frontière, au niveau du col de l’échelle, qui est retrouvé décédée.

      « Ces dernières années tous les moyens ont été mis en place pour que ce genre de chose arrive : militaire en poste dans les forts autrefois abandonnés, gendarmes, police, douane, police en civils, laisser-passer pour les fascistes de génération identitaire venus épauler la flicaille. Les frontières se sont fermées pour les hommes et les femmes non-blanches.
      Les compagnon.n.e.s anarchistes subissent là-haut une répression féroce, les militant.e.s solidaires sont harcelé.e.s.

      All Cops Are Borders
      Burn the borders »

      https://www.facebook.com/collectifmigrants13/posts/2085425978430142?__xts__[0]=68.ARC3SUc6HicLfWSZMxbdmmf_CxCNvhE5BUP-usMmqYF

    • 15.02.2020

      Un groupe de migrants « disparus » récupérés grâce à un dispositif de secours...

      Montgenèvre : les Italiens déploient un important dispositif pour secourir des migrants

      Un groupe de migrants s’est perdu dans la montagne, samedi 15 février, en tentant de traverser la frontière franco-italienne, entre Claviere et Montgenèvre.

      Selon la presse transalpine, ces migrants portés disparus ont été retrouvés et récupérés à la mi-journée sur le sol français alors qu’un important dispositif de recherche avait été déclenché en Italie, dans la Val Susa : sapeurs-pompiers et bénévoles de la Croix-Rouge au sol appuyés dans les airs par l’hélicoptère Dragon pour inspecter les secteurs les plus hauts.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2020/02/16/montgenevre-les-italiens-deploient-un-important-dispositif-pour-secourir

    • Juin 2021, disparition d’un Soudanais :

      Une enquête pour « disparition inquiétante » a été ouverte vendredi après plus de 48 heures de recherches infructueuses près de Briançon (Hautes-Alpes) pour retrouver un migrant soudanais qui arrivait d’Italie, a annoncé le parquet de Gap.

      Il faisait partie d’un groupe de quatre « jeunes hommes » partis dimanche du village italien d’Oulx pour passer la frontière, a expliqué Didier Fassin, sociologue français présent à Briançon pour aider les migrants et mener des travaux de recherche. C’est lui qui a alerté les secours.

      https://seenthis.net/messages/922630

      Les personnes solidaires à Briançon espèrent qu’il soit en vie :

      Nous avons l’espoir qu’elle a poursuivie sa route car elle n’avait pas de téléphone et donc pas de moyen de se signaler.

    • 06.02.2022, commémor’action des mortEs aux frontières à #Briançon, #La_Vachette :

      La Vachette, Hautes-Alpes, 6 février 2022 : Commémoration des migrant.e.s mort.e.s à la frontière entre l’Italie et la France suite à l’appel collectif à mobilisations dans plusieurs pays à l’occasion de la journée mondiale de lutte contre le régime de mort aux frontières et pour exiger la vérité, la justice et la réparation pour les victimes de la migration et leurs familles.


      https://hanslucas.com/jbenard/photo/52306
      photos de #Julien_Benard

    • Confine italo-francese: una frontiera dove si continua a morire. Appello alle autorità (11.02.2022)

      Le recenti morti di Fathallah Balafhail, 31enne di origine marocchina, trovato senza vita nei primi giorni di gennaio non lontano da Modane, in Francia, Ullah Rezwan Sheyzad, quindicenne proveniente dall’Afghanistan, e della persona deceduta a Latte, la cui identità non può essere accertata a causa delle modalità del decesso, testimoniano con forza la necessità di un cambio di rotta nella gestione dei confini. Le associazioni si appellano alle autorità francesi, italiane e locali attraverso un documento che denuncia la realtà della situazione al confine italo-francese.

      Questi episodi dimostrano chiaramente che malgrado l’aumento dei controlli, la volontà di portare a termine il progetto migratorio spinge le persone a individuare nuove rotte migratorie, a discapito della propria sicurezza, trovando anche la morte.

      Quanto accade nelle aree di frontiera, incluse le recenti morti, è secondo le associazioni firmatarie effetto collaterale di precise scelte politiche adottate tanto a livello locale e nazionale quanto a livello europeo. È necessario ed urgente un cambio di approccio al sistema di gestione delle frontiere interne ed esterne europee che faccia della tutela dei diritti fondamentali e del diritto di asilo il principio giuridico intorno a cui ripensare le politiche migratorie.

      Alle frontiere vengono lesi il diritto di asilo, anche di minori e soggetti vulnerabili, e altri diritti fondamentali quali il diritto alla salute e quello a poter avere accesso ad una anche minima forma di accoglienza così da evitare gravi forme di emarginazione. Viene inoltre leso il diritto alla verità nel momento in cui le persone decedute rimangono senza identità.

      Le organizzazioni firmatarie esprimono il loro sincero ed incondizionato sostegno alle famiglie dei defunti ed invitano le organizzazioni della società civile a promuovere ogni azione utile a contrastare le modifiche del Codice frontiere Schengen e, in senso più ampio, gli ulteriori strumenti previsti dalla Strategia Schengen che siano potenzialmente lesivi dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri.

      Chiedono inoltre:

      – alle autorità italiane e francesi di modificare le politiche relative alla gestione delle frontiere interne, con particolare riferimento alle modalità con le quali i controlli di polizia e di frontiera vengono svolti, garantendo il pieno rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché degli obblighi in materia di protezione internazionale e di non respingimento;

      – alle autorità locali di predisporre servizi adeguati a rispondere alle esigenze e al bisogno di protezione dei migranti presenti nei luoghi di frontiera garantendo in primo luogo accoglienza anche alle persone in transito.

      https://www.asgi.it/primo-piano/confine-italo-francese-una-frontiera-dove-si-continua-a-morire-appello

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      Si ritorna a morire alla frontiera Nord Ovest delle Alpi

      Fathallah Balafhail, 31 anni, è stato trovato morto il 2 gennaio 2022 al Barrage del Freney non lontano da Modane dopo aver cercato di varcare a piedi le Alpi. Veniva dal Marocco, anche lui aveva tentato il giro più lungo passando dalla Turchia e aveva attraversato i Balcani. Aveva vissuto per un certo tempo a Crescentino, paese vicino a Vercelli, poi la partenza, due tentativi falliti di arrivare in Francia, passando da Ventimiglia, e infine l’arrivo in Valle di Susa. L’ultimo suo messaggio alla famiglia risale alle 23.54 dalla stazione di Oulx. Forse aveva trovato un passeur per arrivare dall’altro lato del confine con una macchina. Il tentativo non è coronato da successo e forse matura lì la scelta del cammino in montagna, un percorso lungo e pericoloso, già sperimentato in anni passati e in seguito abbandonato per gli evidenti rischi. Rimane un buco di tre giorni prima del ritrovamento del cadavere. Molti particolari rimangono oscuri e inquietanti. I parenti non hanno avuto accesso ai risultati dell’autopsia. Anche il rimpatrio in Marocco è avvenuto frettolosamente senza attenzione alcuna alla sensibilità della famiglia e ai rituali funerari del paese d’origine. Si rimane invisibili anche dopo la morte. Poche righe su un giornale locale francese hanno liquidato il caso. Nonostante la presenza ricorrente di giornalisti in Alta Valle di Susa, il fatto è rimasto sotto silenzio.

      #Ullah_Rezwan_Sheyzad, 15 anni, afgano: come molti aveva lasciato la sua terra prima della frettolosa ritirata occidentale. Anche per lui, bambino, c’è un cammino lungo che lo porta ad attraversare l’Iran, la Turchia e da lì la scelta, perlopiù effettuata dai giovani che viaggiano soli, di attraversare la Bulgaria, la Serbia, la Croazia e la Slovenia fino ad arrivare in Italia. Come nel caso precedente il percorso scelto è quello più veloce, ma anche viabile solo per giovani o per piccoli gruppi. In meno di un anno arriva in Italia, viene fermato e accolto a Cercivento nella comunità Bosco di Museis, indi riprende il cammino e transita per la Valle di Susa: la meta è il ricongiungimento con la sorella a Parigi. Viene trovato il 26 gennaio 2022, travolto da un treno, lungo le rotaie che collegano Salbertrand a Oulx. Un ragazzo di 15 anni è dunque morto sotto un treno anche se poteva per legge valicare il confine e chiedere legittimamente protezione.

      Non sono la montagna e neppure i treni responsabili di queste morti, ma la frontiera con le sue ramificazioni che non si scollano dalla pelle di chi è catalogato migrante e da chi non può più tornare indietro e non ha terra che lo accolga. Nel 2021 possiamo indicare 15.000 presenze a Oulx; senza contare le persone che sono state registrate più volte dopo i respingimenti in frontiera, possiamo azzardare il passaggio di più di 10.000 persone. Da dicembre dello stesso anno al primo mese di gennaio del nuovo sicuramente i flussi sono diminuiti. I confini si sono moltiplicati anche in relazione a una congiuntura complessa. Le temperature artiche e le tensioni politiche nei Balcani, le difficoltà nell’utilizzo dei trasporti e le norme anticovid hanno sicuramente rallentato momentaneamente l’esodo. Soprattutto hanno reso più difficoltosi gli spostamenti per le famiglie numerose. Tuttavia, la tragedia attuale trova ragione nella militarizzazione alla frontiera e nella caccia all’uomo che si scatena ogni giorno sulle nostre montagne. Una farsa tragica che non ferma i passaggi, ma obbliga le persone in cammino a scegliere vie e strategie che mettono a rischio la vita. I più deboli vengono perlopiù respinti: famiglie numerose, donne gravide, nuclei parentali con bambini piccoli o con anziani. Non bisogna però dimenticare la criticità costantemente presente di un’urgenza vitale delle persone di passare nonostante problemi di salute e vulnerabilità. Nel 2021 abbiamo potuto documentare donne incinte al nono mese, persone con una sola gamba e con stampelle, anziani con problemi sanitari pregressi, donne con neonati che non hanno esitato a sfidare ogni rischio pur di continuare il cammino (si vedano i report precedenti di Medu sulla frontiera alpina del Nord Ovest). È inoltre opportuno ricordare le reiterate volte in cui persone, ancora in attesa di referti e di analisi mediche, sono scappate dagli ospedali pur di non prolungare le permanenze.

      In questo primo mese del 2022, coloro che sono morti di frontiera sono però giovani, che proprio in ragione della loro età e della loro prestanza fisica, credono di poter superare le prove più pericolose. Con il dispiegamento militare sul versante francese e la collaborazione tra polizie di frontiera (accordi europei e tra Italia-Francia), il risultato è stato quello di sponsorizzare l’attività degli smugglers (trafficanti), che in questi mesi sono pericolosamente ricomparsi o, addirittura, hanno occupato la scena. Mentre al rifugio “Fraternità Massi” di Oulx diminuivano le presenze, si consolidava la constatazione di nuove vie che si aprivano. Non si fermano i flussi che, come acque sorgive, quando incontrano sbarramento, deviano e trovano nuovi canali. Così la stazione di servizio di Salbertrand sull’autostrada, a sette chilometri da Oulx, è divenuta luogo per imbarcarsi sui Tir che lì sostano. Con ugual prospettiva, vie impervie sulle montagne a partire da Bardonecchia si sono riaperte. Anche la morte del giovane Ullah racconta come in un luogo geograficamente insensato per passare la frontiera si possa morire. Forse dopo un tentativo fallimentare di trovare un passaggio nel non lontano autogrill di Salbertrand, forse per evitare possibili controlli o forse addirittura nascosto sotto un treno merci, così come è uso fare nei Balcani, è maturato il tragico incidente. Di fatto ci tocca prendere atto che la militarizzazione e il moltiplicarsi degli sbarramenti hanno prodotto illegalità e morte.

      Il caso di Ullah apre un’altra questione, forse non nuova, ma di certo poco analizzata. Scappare dalla guerra gettata addosso e sopravvivere alla guerra che poi l’Europa continua ad effettuare contro chi fugge producono disastri a catena. Abbiamo documentato come con i flussi provenienti dai Balcani dal 2020 ad oggi si siano verificati cambiamenti significativi nella composizione di questi popoli in viaggio: famiglie allargate e presenza plurigenerazionale dei nuclei domestici. Il dato trascurato riguarda però la polverizzazione delle reti familiari e la loro disseminazione in tante nazioni. La disaggregazione di questi nuclei durante il cammino è un elemento significativo e aggiunge apprensione e urgenza nelle persone. Per essere più chiari vale la pena riportare un esempio tra i tanti: un padre con il figlio arriva a Oulx e poi dice a una volontaria “Ti affido il mio bambino di 14 anni affinché possa continuare il viaggio come minore, (consegnandosi alla gendarmerie, n.d.r.), e io ritorno in Grecia a prendere l’altra parte della mia famiglia”. Il viaggio può costare ai singoli e ancor di più alle famiglie cifre ingenti. Per esemplificare 8.000 euro per persona dalla Turchia all’Italia in barcone, 4.000 euro dalla Bosnia a Trieste, dai 20.000 ai 50.000 euro per famiglia dall’Afghanistan al nostro paese (la famiglia di Ullah aveva investito 6.000 euro, dato a reti di trafficanti, per permettere la partenza del figlio anche se ancora tanto giovane). Così alcuni passano prima, altri aspettano e confidano nell’aiuto che proviene da chi è arrivato. A volte sono le donne e i più vulnerabili ad aprire il cammino, altre volte può essere un minore che viene mandato fin dalla terra d’origine a cercare un altro orizzonte di vita. Sempre più spesso raccogliamo memoria di persone che arrivano e che hanno lasciato indietro parenti e non sempre il nucleo che approda alle Alpi è composto solo da consanguinei o affini, ma da aggregazioni solidali. Chi parte ha il peso e la responsabilità di una famiglia e non può fermarsi: è un’Odissea senza che si sappia se davvero esista in qualche luogo una Itaca. Così si muore, invisibili al mondo, sotto le ruote di un treno o scivolando in un lago montano.

      Molti sono i minori non accompagnati che scelgono di non presentarsi alla Paf (Polices aux frontieres) con la conseguente protezione umanitaria che a loro spetta per legge e decidono di affrontare la traversata in modo clandestino pur di non perdere l’ausilio dei compagni di viaggio. L’esperienza insegna che non si deve rimanere mai soli. Quando i minori vengono “catturati” in montagna dalla gendarmerie, il respingimento è prassi. Non v’è spazio né volontà per accertamenti. La situazione si complica ancora, quando, così come abbiamo potuto documentare, il minore, nel porto italiano di entrata, viene indotto dalla polizia con maniere minacciose, a sottoscrivere la sua maggiore età, nonostante i suoi documenti provino il contrario. Il caso è stato vagliato anche dallo sportello legale della diaconia valdese in Oulx.

      Non è da sottovalutare il problema dei green pass e delle vaccinazioni. Istituzioni ed anche ONG spesso non affrontano con abbastanza decisione la questione. La mancanza di attestati che dimostrino il vaccino rende complicati i trasferimenti e, soprattutto, induce le persone in cammino ad accelerare il passo, accettando qualsiasi costo o rischio, pur di non rischiare di rimanere intrappolati e bloccati in tempi di attesa, vuoti quanto indefiniti. Rispetto al problema sostanziale dell’essere senza vaccino, tristemente s’afferma la prassi delle vite diseguali, anche quando in gioco non c’è solo la salute del “migrante” ma quella della collettività. Non ci dimentichiamo quando l’Italia era in fascia rossa e ogni assembramento era vietato per legge mentre in un container presso la stazione di Oulx di circa 18 metri quadrati si accalcavano più di 30 persone. Nessuno ha mai pensato di intervenire o di trovare soluzioni. Poi le persone tornavano al rifugio con rischi di contagio per tutti. Oggi vaccini e documentazione relativa sono una necessità inderogabile. Già solo il fatto che si obblighi a livello nazionale alla vaccinazione e ce ne si dimentichi per coloro che sono in cammino è indicativo di quanto con la categoria migrante pensiamo a “non persone”.

      In questo specchio di frontiera –e la valle di Susa ripropone logiche che si moltiplicano dal Mediterraneo al deserto, dai Balcani alla Libia,-scopriamo quanto valgono gli enunciati sui diritti umani, qui a casa nostra. Il reiterarsi di casi tragici lascia senza parole: arriva notizia di altra persona morta carbonizzata a seguito di folgorazione sul tetto di un treno a Ventimiglia: un’altra vittima che si aggiunge a quelle che hanno insanguinato la frontiera del Nord Ovest (https://www.ansa.it/liguria/notizie/2022/02/01/migrante-muore-folgorato-su-un-treno-per-la-francia_a16cb44f-ba45-4e7f-bff0-811; https://www.avvenire.it/attualita/pagine/migrante-muore-folgorato-su-treno-per-la-francia ).

      Medici per i Diritti umani:

      Chiede alle istituzioni e a tutti gli attori presenti in frontiera di intervenire affinché vengano rispettati i diritti umani delle persone in transito e garantita la loro incolumità e sicurezza.

      Auspica una collaborazione allargata per il monitoraggio dei diritti umani in frontiera.

      Denuncia che la condizione dei minori non accompagnati è affrontata non in base alla legge e alle convenzioni internazionali europee ma spesso con prassi tollerate che le violano.

      Chiede che i vaccini e i green pass siano garantiti alle persone migranti. Le istituzioni e tutti gli attori presenti sul territorio devono occuparsi della vaccinazione. La mancanza di questa non deve essere un’altra frontiera.

      https://mediciperidirittiumani.org/si-ritorna-a-morire-alla-frontiera-nord-ovest-delle-alpi

      –—

      Ritorno sulla rotta alpina, dove il confine continua a uccidere

      Al confine tra Italia e Francia parte l’ultima tappa, la più dura, di un viaggio iniziato migliaia di chilometri prima e che spesso si chiude in tragedia. Come a Oulx dove, nelle ultime settimane, sono morte due persone nel tentativo di attraversare la frontiera. Ci torniamo insieme a Christian Elia per capire come sono cambiate le cose dopo un anno dalla nostra ultima visita.

      Fathallah aveva 31 anni, veniva dal Marocco. Ullah era afghano, aveva 15 anni. Sono morti di frontiera, al confine tra Italia e Francia.

      Il corpo di Balafhail è stato ritrovato il 2 febbraio scorso, al Barrage del Freney, nei pressi di Modane, in Francia. Un volo dal Marocco alla Turchia, che non richiede visti, per affrontare la rotta balcanica. Per un periodo, in questo viaggio che ti lascia scegliere solo l’inizio, si era anche fermato in Italia, in provincia di Vercelli, per tirare il fiato. Un sms alla famiglia, il 30 gennaio alle 23.54 dalla stazione di Oulx, è il suo ultimo segnale di vita. Poi il silenzio, il tentativo di passare a piedi le montagne, la morte di freddo.

      Ullah era ancora un bambino, ma con un’età adulta e feroce, costruita in frontiera. Iran, Turchia, Bulgaria, Serbia, Croazia e Slovenia prima di giungere in Italia, un viaggio lungo più di un anno, per raggiungere Parigi, dove vive sua sorella. È stato trovato il 26 gennaio, sui binari della linea ferroviaria tra Salbertrand e Oulx.

      Un anno fa Open Migration ha raccontato quella frontiere, le vite che la abitano, migranti e volontari che tentano di rendere umano l’inevitabile, di fronte a un discorso istituzionale che continua a negare quella che non è un’emergenza, ma resta una ferita dei sistemi democratici.

      https://twitter.com/MEDUonlus/status/1489615389172674562

      “Non sono la montagna e neppure i treni responsabili di queste morti, ma la frontiera con le sue ramificazioni che non si scollano dalla pelle di chi è catalogato migrante e da chi non può più tornare indietro e non ha terra che lo accolga. Nel 2021 possiamo indicare 15.000 presenze a Oulx; senza contare le persone che sono state registrate più volte dopo i respingimenti in frontiera, possiamo azzardare il passaggio di più di 10.000 persone. Da dicembre dello stesso anno al primo mese di gennaio del nuovo sicuramente i flussi sono diminuiti. I confini si sono moltiplicati anche in relazione a una congiuntura complessa. Le temperature artiche e le tensioni politiche nei Balcani, le difficoltà nell’utilizzo dei trasporti e le norme anti-covid hanno sicuramente rallentato momentaneamente l’esodo. Soprattutto hanno reso più difficoltosi gli spostamenti per le famiglie numerose. Tuttavia, la tragedia attuale trova ragione nella militarizzazione alla frontiera e nella caccia all’uomo che si scatena ogni giorno sulle nostre montagne. Una farsa tragica che non ferma i passaggi, ma obbliga le persone in cammino a scegliere vie e strategie che mettono a rischio la vita. I più deboli vengono perlopiù respinti: famiglie numerose, donne gravide, nuclei parentali con bambini piccoli o con anziani”, racconta l’ultimo rapporto di MEDU (Medici per i Diritti Umani): https://mediciperidirittiumani.org/si-ritorna-a-morire-alla-frontiera-nord-ovest-delle-alpi.

      Un sistema che offende nella sua inutile ferocia. Mentre ovunque, dalla Libia alla Turchia, si sommergono di denaro istituzioni compromesse per motivi molto differenti, che non rispettano i diritti umani, mentre si definiscono ‘paesi sicuri’ Afghanistan e Siria, riprendendo a espellere le persone verso la guerra, non si fa nulla per rendere meno pericolose rotte sempre più costose, sempre più pericolose.

      A Oulx convive una piccola comunità di persone che non lo accettano, connessi con altre realtà solidali della regione, e dell’altro versante della frontiera. Persone con storie differenti, che vengono dall’area antagonista, come dal mondo del volontariato cattolico, ma di fronte al loro impegno quotidiano c’è un silenzio assordante delle istituzioni e un atteggiamento sempre più duro di criminalizzazione della solidarietà.

      Non dimentichiamo mai che si parla di persone, siano essi volontari o migranti, che non hanno mai commesso alcun reato. Sono uomini e donne, vecchi e bambini in viaggio e in fuga. E volontari che portano loro aiuto, ristoro, scarpe per la neve e mappe per non farli smarrire e, di inverno, morire di freddo.

      “Abbiamo documentato come con i flussi provenienti dai Balcani dal 2020 ad oggi si siano verificati cambiamenti significativi nella composizione di questi popoli in viaggio: famiglie allargate e presenza plurigenerazionale dei nuclei domestici. Il dato trascurato riguarda però la polverizzazione delle reti familiari e la loro disseminazione in tante nazioni. La disaggregazione di questi nuclei durante il cammino è un elemento significativo e aggiunge apprensione e urgenza nelle persone. Per essere più chiari vale la pena riportare un esempio tra i tanti: un padre con il figlio arriva a Oulx e poi dice a una volontaria “Ti affido il mio bambino di 14 anni affinché possa continuare il viaggio come minore, (consegnandosi alla gendarmerie, n.d.r.), e io ritorno in Grecia a prendere l’altra parte della mia famiglia” – denuncia MEDU – Il viaggio può costare ai singoli e ancor di più alle famiglie cifre ingenti. Per esemplificare 8.000 euro per persona dalla Turchia all’Italia in barcone, 4.000 euro dalla Bosnia a Trieste, dai 20.000 ai 50.000 euro per famiglia dall’Afghanistan al nostro paese (la famiglia di Ullah aveva investito 6.000 euro, dato a reti di trafficanti, per permettere la partenza del figlio anche se ancora tanto giovane). Così alcuni passano prima, altri aspettano e confidano nell’aiuto che proviene da chi è arrivato. A volte sono le donne e i più vulnerabili ad aprire il cammino, altre volte può essere un minore che viene mandato fin dalla terra d’origine a cercare un altro orizzonte di vita. Sempre più spesso raccogliamo memoria di persone che arrivano e che hanno lasciato indietro parenti e non sempre il nucleo che approda alle Alpi è composto solo da consanguinei o affini, ma da aggregazioni solidali. Chi parte ha il peso e la responsabilità di una famiglia e non può fermarsi: è un’Odissea senza che si sappia se davvero esista in qualche luogo una Itaca. Così si muore, invisibili al mondo, sotto le ruote di un treno o scivolando in un lago montano”.

      Una ferocia che sta segnando generazioni intere, a volte nate e cresciute sulle frontiere. “Figli che ormai conoscono più il cammino che la terra d’origine, una costruzione di umanità e di emozioni itinerante, che conoscono un’altra geografia, che non si limita agli stati nazionali”, raccontava a OM Piero Gorza, antropologo, in una breve pausa nel suo moto perpetuo tra la stazione di Oulx e il Rifugio Massi, o la Casa Cantoniera occupata, sgomberata con violenza, ma che ha dato un letto, un tetto e un pasto caldo a tanti Fatallah e Ullah. “E Oulx, di base, sta a guardare, senza eccessi di rifiuto o di accoglienza. Le persone passano, non si fermano. Portano con loro le relazioni del cammino, con quelle continuano per la loro meta, con la fretta di chi ha impegnato tutto, compresa la rete parentale, per quel cammino.”

      Un’indifferenza che non è solo di Oulx, che non riguarda solo imprenditori del turismo della zona che non vogliono avere lo stigma della ‘Lampedusa delle Alpi’, ma che riguarda tutti noi, come società civile, a Oulx e ovunque. Perché nel 2022 si muore di freddo e di frontiera, come i migranti di Pietro Germi nel film Il cammino della speranza, del 1950, solo che quei migranti erano italiani, ma avevano la stessa fame di futuro di Fathallah e Ullah.

      https://openmigration.org/analisi/ritorno-sulla-rotta-alpina-dove-il-confine-continua-a-uccidere

    • 31.05.2023 :
      NB : Attention : selon les dernières nouvelles reçues oralement par mes contacts à la frontière, personne ne serait décédé. Le corps n’a jamais été trouvé, malgré les recherches. Probablement le migrant qui a signalé le cadavre n’a vu que des habits.
      TRAGEDIA, MIGRANTE MUORE SULLE MONTAGNE TRA LA VALSUSA E LA FRANCIA, ALTRI 9 RECUPERATI DAI SOCCORRITORI
      https://seenthis.net/messages/1004806

  • #Porto_Recanati . Viaggio tra i tremila invisibili dell’#Hotel_House

    Il grande palazzo cruciforme vicino al qual sono stati ritrovati resti umani, sorge nel quartiere Santa Maria in Potenza dove il boom edilizio ha prodotto caseggiati oggi preda dell’illegalità.

    Piazzali vuoti, saracinesche abbassate e cartelli ’vendesi’ a ogni uscio, strade senza alcun marciapiede dove sfrecciano auto che entrano ed escono dalla Statale adriatica. Non c’è nessuno in giro, solo qualche disoccupato che inganna il tempo davanti a un bar e poco più in là, sedute a dei muriccioli divisori, delle prostitute di origine africana ed est europea. Nella pineta che lambisce la spiaggia si incontrano fra i cespugli un paio di spacciatori che guardano i ficcanaso con espressioni torve. Così si presenta in una mattina di inizio aprile Santa Maria in Potenza, a sud di Porto Recanati.

    Nato negli anni settanta per accogliere i residenti del turismo balneare, ora il quartiere sembra più un limbo di abbandono e marginalità sociale, periferico e lontano, schiacciato dall’orribile profilo di ecomostri in cemento. Il centro cittadino sarebbe solo a pochi minuti, ma sembra lontano anni luce. È in questa zona che da 49 anni sorge l’Hotel House, il grande palazzo cruciforme di 17 piani e 480 appartamenti dove convivono circa duemila persone e una trentina di etnie. Un luogo noto per fatiscenza e microcriminalità, anche se abitato in larghissima parte da immigrati lavoratori, da famiglie di operai in cerca solo di un futuro sereno.

    Ma dove un mix di fattori - fra cui l’aumento della disoccupazione dopo la crisi economica o una serie di amministrazioni condominiali fallimentari - ha generato negli ultimi dieci anni una situazione di caos amministrativo e sociale molto difficile da districare. L’Hotel House è considerato una bomba sociale, sommerso dai debiti, senza acqua potabile, tuttora privo di un sistema anti-incendio a norma. Proprio questi giorni il grattacielo è tornato alla ribalta delle cronache dopo il ritrovamento presso un caseggiato in uno dei campi attorno alla struttura di ossa umane ancora da identificare. Difficile inquadrare tutto il fiume umano che passa per Santa Maria in Potenza, il quartiere è popolato anche da tanti ’invisibili’, migranti di passaggio spesso privi di documenti che nel loro viaggio, guidati dalla catena di contatti fra i connazionali, arrivano a trovare un porto in uno degli appartamenti in zona. Basti pensare che Porto Recanati detiene un record nazionale, il 22% degli abitanti ha origine straniera e la stragrande maggioranza si concentra proprio all’ombra dell’Hotel House.

    Qui la fallimentare esplosione edilizia degli anni 70 ha prodotto vari ecomostri turistici diventati facile preda di speculazioni affittuarie. Come l’ex River Village, il fatiscente condominio verde oliva sede una volta della ormai abbandonata discoteca Green Leaves. O le torri del condominio Pineta. Maxi palazzine da centinaia di persone dove, specie all’ex River Village, si vivono situazioni residenziali estremamente complicate, con forti infiltrazioni microcriminali, problemi di gestione, morosità delle bollette. È qui, lungo via Salvo d’Acquisto che l’area concentra i suoi fenomeni di spaccio e e prostituzione. E dove i carabinieri del comando di Civitanova continuano ad intervenire per sradicare attività illecite che però il giorno dopo ritornano. «Si sentono spesso urla di notte dai condomini, si vedono pusher di ogni nazionalità gironzolare nelle strade tra il River e l’Hotel House – spiega Ciro Guerrieri, portavoce del neonato comitato Riprendiamoci il Territorio – vivo qua da venti anni, ma ho visto la situazione degenerare negli ultimi tempi». Se prima la microcriminalità era concentrata all’Hotel House, oggi sembra aver attecchito anche nelle torri di cemento attorno, come se alcuni piccoli boss avessero allargato la propria residenza in tutto il quartiere, in nuove piccole roccaforti di cemento sempre più isolate.


    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/viaggio-tra-i-fantasmi-dellhotel-house
    #Italie #hôtel #migrations #asile #réfugiés

    Ajouté à la métaliste migrations/tourisme :
    https://seenthis.net/messages/770799

    • Hotel House

      L’Hotel House è un edificio residenziale situato a Porto Recanati, in provincia di Macerata e distante circa 25 km dal capoluogo Ancona. Strutturato in 17 piani e 480 appartamenti, con una pianta a croce, al suo interno vive un sesto della popolazione del comune.[1]

      Il palazzo ospita circa 2.000 persone che raddoppiano nel periodo estivo[2] e ha una forte connotazione multietnica: il 90% degli abitanti è infatti di origine straniera, rappresentando 40 nazionalità diverse.[1] Anche a causa di questa concentrazione, il 21,9% della popolazione di Porto Recanati è straniera, percentuale massima nelle Marche e tra le maggiori in Italia.[3]

      Ad oggi questo edificio è noto alla popolazione locale come un luogo decadente[4], dove le attività illecite sono la primaria fonte di sostentamento per molti. Ad aprile 2018 questo luogo è stato al centro di alcune indagini da parte delle autorità, a seguito del ritrovamento di ossa umane in un pozzo sito nell’area circostante.


      https://it.wikipedia.org/wiki/Hotel_House
      #utopie

    • Hotel House. Etnografia di un condominio multietnico

      L’Hotel House è un enorme condominio di architettura razionalista composto da 480 appartamenti, situato nella parte meridionale della cittadina di Porto Recanati, nel Sud delle Marche.

      Luogo peculiare per la sua conformazione urbanistica, nettamente separato dal resto della città, lo è altrettanto per la sua demografia: progettato alla fine degli anni Sessanta per il soggiorno di italiani vacanzieri di ceto medio, a partire dagli anni Novanta si è trasformato in luogo di concentrazione di una popolazione di lavoratori immigrati provenienti da oltre quaranta Paesi.

      Frutto di una prolungata ricerca etnografica, il lavoro di Cancellieri ci porta dritto nel cuore dell’Hotel House: mostrandoci come si vive e come si esperisce quotidianamente la differenza, come si lotta per “farsi spazio”, come ci si mobilita per opporsi al doppio processo di ghettizzazione e stigmatizzazione, Hotel House costituisce una ricchissima fonte di dati e riflessioni.

      Se infatti il caso di Porto Recanati è certamente singolare, se non unico nel nostro Paese, esso è al tempo stesso profondamente sintomatico e significativo delle nuove configurazioni della spazialità contemporanea e delle sue sfide.


      http://www.professionaldreamers.net/?p=3026
      #livre

    • Come sopravvivere alla differenza. Etnografia dei confini sociali in un condominio multiculturale

      In an increasingly multicultural society, it is rather paradoxical that research on the ways multicultural spaces function is still relatively rare; in fact, this kind of place is generally depicted as one entailing (automatic) conflict or (automatic) convergence. The aim of this study is to contribute to opening up the black box of multicultural spaces by analysing a place called Hotel House. This is an enormous building containing four hundred and eighty flats and almost two thousand inhabitants (about 90% of which are immigrants from forty different countries). My objective is to answer the following question: how can one survive difference in a such a place? I have tried to find an answer by focusing on the everyday dialectic relationship between social actors and space and, in particular, by highlighting the role played by the use and the re-appropriation of space in the processes of re-construction/de-construction of social boundaries and forms of membership.

      https://www.rivisteweb.it/doi/10.3240/31596
      #diversité #multiculturalité

  • Tripoli interrompe i soccorsi in mare e usa le navi italiane per la guerra

    Tripoli e Roma minimizzano ma c’è chi ammette: le navi sono impegnate nella guerra libica. E ora l’Italia rischia un richiamo dell’Onu per non avere rispettato l’embargo sulla fornitura di armi.

    Aveva ragione l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) a esprimere «preoccupazione per la situazione in Libia». Seppure da Tripoli si rifiutano di ufficializzarlo, l’area di ricerca e soccorso libica da giorni non è più interamente operativa. Non bastasse, si paventa il rischio di una violazione dell’embargo Onu sulle armi da guerra a causa delle motovedette fornite dall’Italia e «modificate» dai militari della Tripolitania.

    Da ieri vengono fatte circolare immagini di mitragliatori pesanti, fissati sulle torrette delle navi. Prima della consegna, però, i cantieri navali della Penisola a cui era stato affidato il rinnovamento, avevano completamente eliminato ogni arma dagli scafi, conformemente all’embargo stabilito dall’Onu e prorogato nel luglio 2018 per altri dodici mesi. Gli scatti vengono fatti circolare da quanti, proprio a Tripoli, vogliono smentire che la Guardia costiera non sia operativa. Un boomerang, perché secondo gli accordi le navi di fabbricazione italiana avrebbero dovuto essere usate solo per il pattugliamento marittimo e non per operazioni militari.

    Una conferma indiretta arriva da Roma. «La prosecuzione del conflitto potrebbe distogliere la Guardia costiera libica – spiega un portavoce del ministero delle Infrastrutture – dalle attività di pattugliamento e intervento nella loro area Sar, per orientarsi su un altro genere di operazioni». A cosa si riferiscano lo spiegano proprio i post pubblicati in rete attraverso profili vicini all’esercito del presidente Serraj: militari in tenuta da combattimento sul ponte delle navi che mostrano mitragliatori fissati sulle torrette. In passato i guardacoste libici avevano usato sistemi analoghi, il 26 maggio 2017 addirittura sparando «per errore» contro una motovedetta italiana. Subito dopo i cannoncini furono rimossi e mai più visti a bordo, dove di tanto in tanto apparivano militari con mitragliatori a spalla.

    «Non abbiamo notizie ufficiali circa una riduzione delle capacità Sar della Guardia costiera libica», spiegano dal ministero guidato da Danilo Toninelli dopo avere approfondito la questione anche con il Coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso (Mrcc) di Roma. La Libia, dunque, non ha ufficializzato all’Italia alcun abbandono della propria Sar.

    Farlo, del resto, avrebbe comportato l’immediata cancellazione della registrazione della competenza libica, costringendo l’Italia e l’Europa a decidere se tornare a coprire, come avveniva in passato, quel tratto di Mediterraneo. Oppure abbandonare nel nulla i migranti che continuano a partire. Le autorità italiane, però, sembrano non fidarsi affatto dei colleghi tripolini, la cui operatività «è quella che sappiamo tutti», aggiungono dalle Infrastrutture. Perciò «la nostra attenzione sulla Sar libica è alta». Nel corso di alcune interviste era stato anche il ministro dell’Interno libico a confermare che «la Guardia costiera è focalizzata sulla protezione della popolazione e della Tripolitania e ha dovuto interrompere le operazioni di intercettazione degli immigrati».

    Ci sono però anche difficoltà tecniche. «Negli ultimi giorni – spiega un operatore umanitario di un’agenzia internazionale – scarseggia il carburante e le navi della Guardia costiera sono a secco». Testimonianza confermata anche da alcuni addetti alla sicurezza di aziende italiane presenti nel porto di Tripoli.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-nessuno-pattuglia-mare-sar

    #gardes-côtes_libyens #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #sauvetages #Libye #externalisation #Italie

    Ajouté ici:
    https://seenthis.net/messages/731749#message765324

    • Guardia Costiera Libica ostaggio dei gruppi armati di Serraj

      “Aspettiamo di poter tornare a lavoro. Non possiamo fare nulla in quanto i nostri mezzi, comprese le motovedette che hanno ricevuto manutenzione e che ci sono state fornite dall’Italia, servono ai gruppi armati di Misurata e alla brigata al-Nawasi per monitorare le coste e nella guerra contro gli uomini del Maresciallo Khalifa Haftar”. A dichiararlo ai nostri microfoni è un ufficiale dei guardacoste, che ci ha chiesto di rimanere anonimo in quanto teme per le sorti della propria famiglia. “In questo momento di guerra, gli ufficiali di Misurata, non lasciano molto spazio alla scelta: o sei con noi, o contro di noi”. Ha affermato la nostra fonte, confermando le denunce del quotidiano Avvenire, da sempre attento a ciò che accade in Libia e lungo la rotta del Mediterraneo centrale, che aveva avvertito nei giorni scorsi del “rischio di una violazione dell’embargo Onu sulle armi da guerra a causa delle motovedette fornite dall’Italia e modificate dai militari della Tripolitania”. Le dichiarazioni shock del guardacoste confermano che la Guardia Costiera libica al momento non è in grado di garantire il pattugliamento delle acque di sua competenza, ne tantomeno di poter soccorrere eventuali imbarcazioni in difficoltà. Vincent Cochetel, rappresentante speciale di UNHCR per la situazione nel Mediterraneo centrale, ha affermato tramite il suo account Twitter: “E’ importante notare che nonostante la guerra a Tripoli, le barche con migranti e rifugiati non partono. Le milizie note per il loro coinvolgimento nella tratta di esseri umani sono troppo impegnate a combattere per la loro sopravvivenza. Chi li ha lasciati operare prima in totale impunità?”.

      https://specialelibia.it/2019/04/26/guardia-costiera-libica-ostaggio-dei-gruppi-armati-di-serraj

  • Il Viminale: «Libia porto sicuro anche per l’Ue». Bruxelles e Onu smentiscono

    Secondo gli uffici del ministero dell’Interno la Commissione Ue avrebbe definito Tripoli «affidabile»: «Può e deve soccorrere i migranti in mare». L’Acnur contro: «Non devono essere riportati lì»

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-viminale-libia-porto-sicuro-anche-per-l-ue-l-onu-contro
    #port_sûr #terminologie #vocabulaire #mots
    le port devient #affidabile, soit #fiable #digne_de_confiance

    via @isskein

    • #Mare_Jonio ha salvato 49 persone da un naufragio: adesso l’Italia ci indichi un porto sicuro

      La Mare Jonio di #Mediterranea_Saving_Humans, nave battente bandiera italiana impegnata nella missione di monitoraggio del Mediterraneo centrale ha soccorso, a 42 miglia dalle coste libiche, 49 persone che si trovavano a bordo di un gommone in avaria che imbarcava acqua.
      La segnalazione era arrivata dall’aereo di ricognizione Moonbird della ONG Sea Watch che avvertiva di una imbarcazione alla deriva in acque internazionali.

      Mare Jonio si è diretta verso la posizione segnalata e, Informata la centrale operativa della Guardia Costiera Italiana, ha effettuato il soccorso ottemperando alle prescrizioni del diritto internazionale dei diritti umani e del mare, e del codice della navigazione italiano.
      Attenendosi alle procedure previste in questi casi e per scongiurare una tragedia, Mare Jonio ha tratto in salvo tutte le persone a bordo comunicando ad una motovedetta libica giunta sul posto a soccorso iniziato di avere terminato le operazioni. Tra le persone soccorse, 12 risultano minori.
      Le persone a bordo si trovavano in mare da quasi 2 giorni e, nonostante le condizioni di salute risultino abbastanza stabili, sono tutte molto provate con problemi di disidratazione. Il personale medico di Mediterranea sta prestando assistenza.
      La Mare Jonio si sta dirigendo in questo momento verso Lampedusa, ovvero verso il porto sicuro più vicino rispetto alla zona in cui è stato effettuato il soccorso. Nel frattempo, è in arrivo una forte perturbazione nel Mediterraneo centrale.
      Abbiamo chiesto formalmente all’Italia, nostro stato di bandiera e stato sotto il quale giuridicamente e geograficamente ricade la responsabilità, l’indicazione di un porto di sbarco per queste persone.
      Oggi abbiamo salvato la vita e la dignità di 49 esseri umani. Le abbiamo salvate due volte: dal naufragio e dal rischio di essere catturate e riportate indietro a subire di nuovo le torture e gli orrori da cui stavano fuggendo. Ogni giorno, nel silenzio a moltissime altre tocca questa sorte. Grazie ai nostri straordinari equipaggi di terra e di mare, alle decine di migliaia di persone che in tutta Italia ci hanno sostenuto, oggi quel mare non è stato più solo cimitero e deserto.

      https://mediterranearescue.org/news/mare-jonio-ha-salvato-49-persone-da-un-naufragio-adesso-litalia-
      #Méditerranée #ONG (même si c’est pas une ONG, mais une #initiative_citoyenne) #asile #migrations #frontières #mer_Méditerranée #sauvetage

    • La direttiva di Matteo Salvini sulle frontiere non ha valore

      “Il tempo e le condizioni del mare non sono buone e i naufraghi sono ancora sotto shock, dopo essere stati soccorsi al largo della Libia e aver passato la notte con il mare in tempesta”, racconta Lucia Gennari, avvocata dell’Asgi imbarcata a bordo della nave Mare Jonio, l’imbarcazione che batte bandiera italiana ed è in rada davanti all’isola di Lampedusa, a cinquecento metri dalla Cala dei francesi, con 49 persone a bordo, tra cui dodici minori. L’imbarcazione, gestita dall’organizzazione italiana Mediterranea Saving Humans, chiede di attraccare nel porto dell’isola, dopo aver soccorso i naufraghi il 18 marzo in un’operazione di salvataggio avvenuta a 42 miglia dalle coste libiche. La nave ha trovato un gommone in avaria, su indicazione dell’aereo Moonbird, e ha informato sia la guardia costiera libica sia la guardia costiera italiana che avrebbe provveduto al soccorso.

      “Siamo arrivati a soccorrere i naufraghi che erano in difficoltà, i libici non erano sul posto, sono arrivati successivamente”, afferma Gennari, 32 anni, originaria di Mestre. “Poi ci siamo diretti verso nord perché la situazione atmosferica era pessima. Al momento la situazione a bordo è tranquilla, abbiamo viveri per qualche giorno, ma gli spazi sono ristretti, la nave è lunga 32 metri e le persone nella notte sono state male a causa delle cattive condizioni atmosferiche”, racconta la ragazza, che fa parte del gruppo di legali che seguono Mediterranea Saving Humans a partire dalla sua fondazione nell’autunno del 2018.

      La nave batte bandiera italiana e quindi a differenza di altre imbarcazioni non gli può essere impedito di attraccare in porto. Tuttavia il ministro dell’interno Matteo Salvini ha già detto che la nave non potrà arrivare in un porto italiano e nella notte tra il 18 e il 19 marzo ha diffuso una circolare diretta alle autorità portuali, ai carabinieri, alla polizia, alla guardia di finanza e alla marina militare che invita a impedire l’ingresso nelle acque e nei porti italiani alle navi private che abbiano operato attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali.

      Secondo la circolare, i salvataggi che avvengono in acque internazionali che non sono coordinate dall’Italia, non possono concludersi nel paese. La circolare crea un’ambiguità sul significato di zona di ricerca e soccorso libica. Da una parte infatti le autorità internazionali hanno riconosciuto alla Libia la capacità di compiere soccorsi nelle acque internazionali, d’altro canto però la Libia non può essere considerato un posto sicuro in cui riportare le persone soccorse. Dopo la diffusione della circolare, a bordo della Mare Jonio sono saliti degli agenti della guardia di finanza. “Alle 8 di mattina a bordo è salita la guardia di finanza che sta raccogliendo informazioni sul salvataggio”, racconta Lucia Gennari. La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo di indagine sul caso.

      Linea dura

      Il ministro dell’interno ha accusato i soccorritori di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: “Possono essere curati, vestiti, gli si danno tutti i generi di conforto, ma in Italia per quello che mi riguarda e con il mio permesso non mettono piede. È chiaro ed evidente che c’è un’organizzazione che gestisce, aiuta, e supporta il traffico di essere umani. O c’è l’autorità giudiziaria, che ovviamente prescinde da me che riterrà che questo non sia stato un soccorso e decide di intervenire legalmente, oppure il ministero dell’interno, che deve indicare il porto di approdo, non indica nessun porto”.

      Secondo Salvini, la nave “ha raccolto questi immigrati in acque libiche, in cui stava intervenendo una motovedetta libica. Non hanno ubbidito a nessuna indicazione, hanno autonomamente deciso di dirigersi verso l’Italia per motivi evidentemente ed esclusivamente politici. Non hanno osservato le indicazioni delle autorità e se ne sono fregati dell’alt della guardia di finanza”. Il ministro su Twitter ha poi attaccato uno dei soccorritori della nave, Luca Casarini, ex leader dei movimenti del nordest attivi durante il G8 di Genova nel 2001. Per Lucia Gennari il governo deve dare l’autorizzazione all’attracco il prima possibile: “La direttiva Salvini è solo un’indicazione politica del ministero dell’interno, per applicarla le autorità portuali dovrebbero pubblicare un decreto di attuazione che sarebbe impugnabile perché viola diverse norme internazionali”.

      Alessandro Metz, armatore della Mare Jonio, ha risposto alle accuse dicendo: “La direttiva è subordinata alle leggi e alle convenzioni internazionali, quindi o il governo decide di ritirare la propria firma da quelle convenzioni, trovandosi in una condizione di isolamento e rinnegando quella cultura giuridica che l’Italia rappresenta, essendo un popolo di naviganti”. Per Metz il governo deve indicare subito “un porto sicuro” di sbarco.

      Molti esperti hanno commentato la circolare diffusa dal ministero dell’interno sulla chiusura dei porti alle navi private che soccorrono persone in mare. Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale e direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), si è detto estremamente preoccupato dalla direttiva Salvini: “È una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme. Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. È una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale”.

      Anche Luigi Manconi e Valentina Calderone, presidente e direttrice di A buon diritto, hanno commentato: “Non esiste alcun provvedimento del consiglio dei ministri che abbia approvato una simile misura, illegale sotto il profilo normativo e costituzionale. Dunque i porti italiani erano e restano aperti, tanto più se a chiedere l’approdo è una nave italiana, battente bandiera italiana con equipaggio interamente italiano. E con 49 profughi soccorsi in mare in una zona più vicina alle coste italiane che ad altre coste (quelle di Malta, per esempio). Ovviamente, consegnare quelle persone alla guardia costiera libica e, di conseguenza, ai centri di detenzione di quel paese, avrebbe costituito una grave violazione del diritto internazionale”.

      Per il giurista Fulvio Vassallo Paleologo della clinica dei diritti di Palermo, esperto di diritto del mare, “la direttiva tradisce puntualmente tutte le convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita e alla integrità fisica delle persone. Questa omissione si traduce in una ennesima violazione del diritto interno e internazionale. Gravi le conseguenze per quelle autorità militari che dovessero dare corso a un provvedimento ministeriale manifestamente in contrasto con le Convenzioni internazionali e con il diritto dei rifugiati. Secondo l’Unhcr il diritto dei rifugiati va richiamato con funzione prevalente rispetto alle norme di diritto internazionale del mare e alle norme contro l’immigrazione irregolare”.

      Infine per Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, “la legge del mare è molto chiara, la Libia non è un place of safety, un posto che può essere considerato sicuro. L’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo sono sicuri”.

      Intanto al largo di Sabratha, in Libia, c’è stato un nuovo naufragio: a darne notizia è l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, ci sono stati solo quindici sopravvissuti, ma i morti potrebbero essere decine. Secondo Di Giacomo dall’inizio del 2019 “oltre 1.280 persone sono partite dalle coste del Nordafrica verso l’Europa” e i morti sono stati almeno 154. “Un aumento esponenziale dei morti rispetto ai migranti sbarcati”, afferma Di Giacomo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/03/19/matteo-salvini-mare-ionio

    • Italian police escort migrant boat, open trafficking probe

      An Italian charity ship was escorted into the port of Lampedusa by police on Tuesday after rescuing 49 Africans in the Mediterranean, with Interior Minister Matteo Salvini calling for the crew to be arrested.

      A judicial source said a magistrate had ordered that the boat, the Mare Jonio, be seized as an investigation is launched into allegations of aiding and abetting human trafficking.

      The vessel picked up the migrants, including 12 minors, on Monday after their rubber boat started to sink in the central Mediterranean, some 42 miles (68 km) off the coast of Libya.

      The humanitarian ship immediately set sail for the nearby Italian island of Lampedusa, defying Salvini, the leader of the hard-right League party who has ordered the closure of all ports to boats carrying rescued migrants.

      After initially being prevented from docking, the Mare Jonio was unexpectedly accompanied into port by police at nightfall as a storm approached.

      The judicial source said the migrants would be allowed to disembark, while the boat would be impounded and the crew faced possible questioning.

      “Excellent,” Salvini wrote on Twitter. “We now have in Italy a government that defends the borders and enforces the law, especially against human traffickers. Those who make mistakes pay the price,” he said.

      The government has repeatedly accused charity rescue boats of being complicit with people smugglers, who charge large sums to help migrants get to Europe. The NGOs deny the accusation.

      There was no immediate comment from the collective that organized Monday’s sea operation, “Mediterranea”. It said in an earlier statement that the rescue had been carried out in accordance with international human rights and maritime law.
      ARRIVALS FALL

      New arrivals to Italy have plummeted since Salvini took office last June, with just 348 migrants coming so far this year, according to official data, down 94 percent on the same period in 2018 and down 98 percent on 2017.

      His closed-port policy has helped support for his League party double since March 2018 elections. However, humanitarian groups say his actions have driven up deaths at sea and left migrants languishing in overcrowded Libyan detention centers.

      Salvini said on Monday the Mare Jonio should have let the Libyan coastguard pick up the migrants. Failing that, it should have taken them either to Libya or Tunisia rather than disobey initial orders not to enter Italian waters.

      “If a citizen forces a police roadblock they are arrested. I trust the same thing will happen here,” Salvini said.

      Mediterranea said its rescue operation had saved the migrants either from drowning or from being picked up by the Libyans and “taken back to suffer again the torture and horror from which they were fleeing”.

      Last August, Salvini blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week before finally letting it dock. Magistrates subsequently put him under investigation for abuse of power and kidnapping and have asked parliament to strip him of his immunity from prosecution.

      The upper house Senate is due to vote on that on Wednesday, but the request looks certain to be rejected, with Salvini arguing that he acted in the national interest.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-italy/italys-salvini-in-new-migrant-boat-stand-off-idUSKCN1R021Q?il=0

    • Sequestro Mare Jonio. Indagato il comandante, che dice «Avrei dovuto lasciarli morire?»

      Al vaglio degli inquirenti i contenuti delle comunicazioni via radio, in particolare gli alt intimati dalla Guardia di finanza e la decisione invece della nave di proseguire.

      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra previsto all’articolo 1099 del codice della navigazione. Sono questi i reati contestati al comandante Pietro Marrone della nave Mare Jonio, della Ong Mediterranea dal procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella e dal pubblico ministero Cecilia Baravelli. La Procura ha anche convalidato il sequestro della nave «Mare Jonio» fatto nella tarda serata di ieri dalla Guardia di finanza.

      Pronta la replica dell’Ong: «Ovviamente nei prossimi giorni faremo ricorso contro il sequestro. Noi non godiamo di nessuna immunità, ma siamo certi di avere operato nel rispetto del diritto e felici di avere portato in salvo 49 persone», si legge in un tweet Mediterranea saving humans.

      In quanto al comandante l’avvocato Fabio Lanfranco che, insieme alla collega Serena Romano, lo difende, fa sapere: «Abbiamo appreso che il comandante è indagato e che questo é prodromico al sequestro della nave, quindi è un atto dovuto. Non conoscendo gli atti stiamo ricostruendo il fatto. Il comandante si è comportato in modo estremamente corretto, ha salvato vite umane, il favoreggiamento a mio giudizio non sta né in cielo né in terra».

      Ne è certo anche lo stesso comandante. «Sono tranquillo, ho fatto il mio dovere. Avrei dovuto lasciarli morire? Rifarei tutto per salvare le persone», ha detto Pietro Marrone ai cronisti prima di entrare nel comando Brigata Lampedusa della Guardia di finanza, accompagnato dai suoi legali, per essere interrogato dal pm di Agrigento.
      La giornata

      Giornata di interrogatori oggi a Lampedusa, sul caso della Mare Jonio, la nave della missione Mediterranea sequestrata e fatta attraccare ieri dopo circa tredici ore d’attesa al largo dell’Isola con 50 migranti a bordo, fatti infine sbarcare.

      La procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In serata era volato a Lampedusa il procuratore aggiunto Salvatore Vella. Sentiti dalla Guardia di finanza fino a notte il comandante Pietro Marrone il provvedimento di sequestro, e poi l’armatore Beppe Caccia. Si continuano a sentire persone informate, compreso il capo missione Luca Casarini.

      Entro domani sera la procura dovrà decidere se convalidare il sequestro. Al vaglio degli inquirenti, in particolare, i contenuti delle comunicazioni via radio fra la Guardia di finanza che aveva intimato l’alt, chiedendo di non avvicinarsi al porto di Lampedusa, e il comandante dell’imbarcazione che ha disobbedito, decidendo di proseguire, a suo dire per questioni di sicurezza, per mantenere in assetto la nave in un mare fortemente agitato con onde alte.

      Verificata anche la «catena di comando istituzionale», dal ministero dell’Interno alle forze dell’ordine intervenute intimando l’arresto dei motori alla nave di soccorso battente bandiera italiana.

      INTERVISTA «Direttiva illegittima. Un abuso di potere come negli Stati autoritari» di Nello Scavo
      Migranti trasferiti in hotspot, non ancora interrogati

      Non sono stati ancora ascoltati dagli investigatori i 40 migranti soccorsi dalla Mare Jonio, che hanno trascorso la notte nell’ hotspot di Lampedusa dopo lo sbarco di ieri sera. Gli operatori del Centro li hanno rifocillati, alcuni di loro hanno pregato. «Sono bravi
      ragazzi, educati e pacati» dicono dal centro dove la situazione è tranquilla. Non si sa quando lasceranno la struttura di contrada Imbriacola, anche perché le condizioni meteo-marine a Lampedusa non sono buone e sono previste in peggioramento.
      Il comunicato di Mediterranea

      «All’indomani dello sbarco dei naufraghi a Lampedusa il sentimento prevalente in Mediterranea è la gioia profonda di aver portato in salvo in un porto sicuro 49 persone sottratte ai pericoli della traversata e alle torture libiche. Sono entrate in Italia cantando ’libertà, liberta» perché per loro il nostro è ancora il paese dei diritti umani e della salvezza possibile" informa in una nota Mediterranea Saving Humans.

      «Ieri sera è stato notificato al Comandante della Mare Jonio il sequestro probatorio della nave, su iniziativa della Polizia Giudiziaria, nello specifico la Guardia di Finanza. La contestuale identificazione del comandante è un atto dovuto per procedere al sequestro - si legge - Lo si accusa di non avere spento i motori, come ordinato dalla Guardia Costiera a poche miglia dalle acque territoriali italiane, mentre la Mare Jonio fronteggiava onde alte più di due metri, come si vede nel video che abbiamo diffuso ieri. Era un ordine impossibile da eseguire senza mettere in serio pericolo la sicurezza della nave e di tutte le persone a bordo, la cui tutela è l’obbligo prioritario di ogni comandante. Al momento non sono in corso interrogatori e non sono arrivate ulteriori notifiche. L’armatore di Mare Jonio è stato semplicemente convocato in capitaneria per le procedure di routine», sottolinea la Ong. «La nostra azione di obbedienza civile si è sempre mossa nel quadro giuridico delle norme vigenti, rispettando anche la loro gerarchia, avendo come bussola il diritto e i diritti che tutelano la vita e la dignità delle persone. Ancora una volta si potrà dimostrare che le navi della società civile sono gli unici soggetti del Mediterraneo centrale che agiscono con queste priorità», conclude la nota.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/mare-jonio-interrogatori

    • L’ammiraglio. «Direttiva illegittima. Un abuso di potere, come negli Stati autoritari»

      «Il provvedimento di chiusura del mare territoriale firmato dal ministro Salvini sospinge definitivamente il soccorso in mare nella pura strumentalizzazione politica con il rischio di creare, nella realtà operativa, situazioni ingestibili di confusione e di pericolo». Il contrammiraglio Vittorio Alessandro non nasconde la preoccupazione, specie dopo aver letto la direttiva di Salvini per fermare le Ong. «Un testo anomalo, chiaramente illegittimo e viziato di abuso di potere», dice l’ufficiale, ora in congedo. Temi che Alessandro conosce anche per essere stato a guida del reparto am- bientale marino della Guardia Costiera e per 3 anni a capo dell’ufficio relazioni esterne del comando generale, dal 2010 al 2013, gli anni delle primavere arabe e delle migliaia di sbarchi a Lampedusa.

      Cosa non la convince?
      La premessa della direttiva sta nella paventata ipotesi di “strumentalizzazione” delle convenzioni per la salvaguardia della vita umana in mare al fine di eludere le norme in materia di immigrazione clandestina. Una premessa del genere non vale a sospendere o a ridurre l’obbligo del soccorso (che si conclude con l’assegnazione di un porto sicuro), in quanto ogni principio a tutela dei diritti fondamentali (quello della libertà, per esempio, o il diritto alla salute) può essere strumentalizzato a fini illeciti, ma non per questo può essere ristretto.

      Quindi si tratta di un’escamotage per scopi politici?
      Tanto più quando, come nel nostro caso, il paventato rischio di un pregiudizio alla «pace, buon ordine, e sicurezza dello Stato costiero» è solo una lontana ipotesi mai constatata, e comunque perfettamente affrontabile allorché i naufraghi siano giunti a terra.

      Perché ritiene che la direttiva non possa superare l’esame di un eventuale ricorso giudiziario?
      Perché il provvedimento, per i suoi aspetti formali, è illegittimo. L’articolo 83 del codice della navigazione prevede, infatti, l’ipotesi della chiusura del mare territoriale (assai remota in un ordinamento che considera tali spazi aperti alla sosta e al transito inoffensivi delle navi) assegnandola alla esclusiva attribuzione del ministro delle Infrastrutture.

      Invece cosa prevedono le nuove indicazioni degli Interni?
      Il Viminale si interpone fra il vertice istituzionale dell’organizzazione marittima e del soccorso e la competenza operativa delle Capitanerie di Porto. Non, come giusto, con una missiva al ministro competente, ma con un proprio provvedimento indirizzato alle Forze di polizia e a una Forza armata, come negli stati autoritari.

      Però si tratta di ipotesi che dovranno poi misurarsi con la realtà.
      Ma è già successo proprio nel caso della Mare Jonio. La Guardia di Finanza ha ordinato, infatti, alla nave italiana di «fermare le macchine» in mezzo al mare agitato. Un ordine inaudito, sotto il profilo nautico: le macchine non servono soltanto a navigare, ma anche a difendersi dal moto ondoso, a mantenere a galla il natante. Non a caso la Guardia Costiera ha subito provveduto ad assegnare alla nave un punto di ancoraggio a ridosso di Lampedusa.


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/direttiva-illegittima-un-abuso-di-potere-come-negli-stati-autoritari

    • Italy seizes migrant rescue boat Mare Jonio

      A rescue boat carrying nearly 50 migrants has docked at the Italian island of Lampedusa. Interior Minister Matteo Salvini had denied the ship access to Italian ports, but relented in order to bring aid workers to trial.

      Sicilian prosecutors on Tuesday ordered the seizure of the Italian-flagged ship “Mare Jonio.” The rescue boat was allowed to dock on the Italian island of Lampedusa while accompanied by coast guard ships following nearly two days at sea.

      The decision ended a standoff between the migrant rescue boat and the Italian government. Italian Interior Minister Matteo Salvini had earlier ordered authorities to deny the ship access to Italian ports.

      Before issuing the permit to dock, prosecutors launched an investigation into possible aiding and abetting of illegal immigration. A move Salvini praised.

      “Now in Italy there is a government that defends the borders and ensures respect for the law, most of all for human traffickers,” he said. “He who makes mistakes, pays.”

      The group of 49 migrants, including 12 minors, were rescued by humanitarian group Mediterranea Saving Humans. “Those on board had been at sea for almost two days,” the NGO said in a statement. “(They) are exhausted and dehydrated.”

      ’Repressive’

      Salvini has come under fire for attempting to block migrant rescue boats from docking at Italian ports.

      Human rights watchdog Amnesty International last year accused the Italian government of “repressive management of the migratory phenomenon.”

      Italy has taken the brunt of a wave of migration after EU member states cut-off the so-called Balkan route. Nearly half a million irregular migrants have made the dangerous journey across the central Mediterranean and made landfall in Italy, according to the International Organization for Migration(IOM).

      Rome has conceded that saving lives at sea is a priority, but maintains that national authorities must be obeyed and premeditated action to bring immigrants to Italy would amount to facilitating human trafficking.

      Italy, with the support of the EU, has trained the Libyan coast guard to intercept boats carrying migrants in a bid to prevent migrants from reaching European shores.

      https://www.infomigrants.net/en/post/15804/italy-seizes-migrant-rescue-boat-mare-jonio?ref=fb

    • Le navire humanitaire « Mare Jonio » mis sous #séquestre en Italie

      Le ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a lancé lundi 18 mars un avertissement aux organisations humanitaires qui recueillent des migrants au large de la Libye.

      Le lendemain, le « Mare Jonio », un navire ayant secouru 49 migrants était bloqué au large de Lampedusa, et mis sous séquestre dans la soirée. Les membres de l’équipage ont été arrêtés.

      « Les ports ont été et restent FERMES ». C’est par un message lapidaire posté sur Twitter que le dirigeant de La Ligue et ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a annoncé lundi 18 mars que l’Italie ne laisserait pas débarquer les migrants secourus par les ONG.


      Cet avertissement de Rome contre les ONG humanitaires intervient alors que le « Mare Jonio », affrété par le Collectif Mediterranea, aussi connu sous le nom de Mediterranea Saving Humans, venait de recueillir 49 migrants au large des côtes libyennes.
      Le Mare Jonio bloqué puis placé sous séquestre.

      Mardi 19 mars au matin, le navire humanitaire s’est positionné au large de Lampedusa, petite île italienne située entre l’île de Malte et la Tunisie, mais aussi dans la principale zone de passage des migrants en provenance des côtes libyennes. « En raison de conditions météo défavorables, il nous a été assigné un point d’ancrage à l’abri, à Lampedusa. Nous abriter était la priorité pour garantir la sécurité de toutes les personnes à bord », avait tweeté Mediterranea en fin d’après-midi.

      Le ministère italien de l’intérieur a annoncé, mardi 19 mars au soir, que « les douanes sont en train de procéder à la saisie du navire Mare Jonio », précisant que « les interrogatoires des membres d’équipage pourraient avoir lieu dans les prochaines heures ». Mercredi 20 mars, de fait, la justice italienne a confirmé le placement sous séquestre du Mare Jonio dans le cadre d’une enquête pour « aide à l’immigration clandestine ».

      Mediterranea, le soir même, a posté un message sur Twitter : « évidemment nous allons déposer un recours dans les prochains jours. Nous ne jouissons d’aucune immunité, mais nous sommes certains d’avoir agi dans le respect du droit et heureux d’avoir porté ces 49 personnes en lieu sûr ».
      Un accord Italie – Libye au détriment des droits de l’homme.

      Alors que Matteo Salvini menace de « sanctions » ceux qui « violent explicitement les règlementations (…) concernant les sauvetages », il ajoute au sujet du « Mare Jonio », « il ne s’agit pas d’une opération de sauvetage, c’est de l’aide à l’immigration clandestine ».

      Fidèle à sa ligne politique, le leader de La Ligue (extrême droite) a quasiment stoppé les arrivées de migrants, invoquant l’accord passé entre la Libye et l’Italie, signé le 2 février 2017, et soutenu par l’Europe, qui prévoit un soutien logistique et financier de l’Italie et de l’UE aux garde-côtes libyens, chargés d’assurer la surveillance en mer dans leurs eaux territoriales. En échange, ces derniers empêchent les personnes quittant la Libye de se rendre en Europe.

      Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat de l’ONU pour la Méditerranée centrale, a commenté sur Twitter que « le droit maritime est clair : la Libye n’est pas un lieu sûr (…). L’Italie et les autres pays méditerranéens, eux, le sont », légitimant ainsi le sauvetage des migrants par les ONG humanitaires.
      Le 16 novembre 2017, les pratiques d’esclavage en Libye sur des migrants originaires d’Afrique subsahariennes avaient été révélées au grand jour à la suite d’une vidéo publiée par la chaîne américaine CNN. « La Libye est un pays déchiré par la guerre et où les personnes réfugiées et migrantes sont régulièrement détenues dans des conditions terribles en violation de leurs droits humains les plus élémentaires », précise une lettre ouverte à l’attention du ministre de l’intérieur Français, Christophe Castaner, et signée par une trentaine d’ONG européennes.
      Quels navires humanitaires croisent encore en mer Méditerranée ?

      De janvier à juin 2018 l’espace humanitaire continue de se rétrécir en Méditerranée, explique pour sa part l’ONG SOS Méditerranée. « Les garde-côtes libyens sont de plus en plus présents et effectuent des interceptions dans les eaux internationales au large de la Libye, conséquence d’un transfert de responsabilités de plus en plus systématique du Centre de coordination des sauvetages italien vers les garde-côtes libyens ».

      La mise sous séquestre du « Mare Jonio » prive désormais un peu plus la Méditerranée d’aide humanitaire. D’autres embarcations européennes ont été empêchées de prendre la mer et de porter secours ces derniers mois : le « Juventa », le « Sea Watch », et l’« Aquarius ».

      Matteo Salvini dresse un bilan positif de son action. « Moins de départs, moins d’arrivées, moins de morts », martèle-t-il.

      L’Organisation Internationale pour les migrations (OIM) fait état de 152 morts et disparus en Méditerranée centrale depuis le début de l’année. Les chiffres sont par contre en augmentation au large de l’Espagne, devenue la principale porte d’entrée sur le continent.

      En 2018, toujours selon l’OIM, 144 166 personnes ont migré vers l’Europe : presque 4 000 de moins qu’en 2017. Le nombre de personnes mortes en tentant la traversée a également baissé, à 2 299. Il est toutefois proportionnellement plus élevé que les années précédentes.

      https://www.la-croix.com/Monde/Europe/Le-navire-humanitaire-Mare-Jonio-mis-sequestre-Italie-2019-03-21-120101032

      –-> commentaire de Emmanuel Blanchard, via la mailing-list Migreurop :

      Les rares journalistes français qui évoquent le Mare Jonio continuent de le présenter comme partie prenante d’un projet humanitaire. Le sauvetage en mer n’est pourtant qu’une des ambitions de cette coalition, soutenue par MIgreurop, qui a toujours défendu la dimension politique de son action. C’est également pour cela qu’elle est si durement attaquée par Salvini.

    • Hotspot di Lampedusa: si teme che i migranti della Mare Jonio siano detenuti arbitrariamente

      Le 50 persone soccorse dalla Mare Jonio e condotte all’Hotspot di Lampedusa il 19 sera sono da allora trattenute all’interno della struttura. ASGI chiede l’autorizzazione urgente all’ingresso nell’hotspot.

      Inviata il 20 mattina alla Prefettura e alla Questura di Agrigento una richiesta di informazioni circa la condizione dei cittadini stranieri presenti nell’hotspot. Ad oggi non è stata ricevuta nessuna risposta.

      In particolare nella richiesta inviata dall’ASGI, nell’ambito delle azioni promosse dal Progetto Inlimine, si richiedevano chiarimenti rispetto all’accesso alla protezione internazionale, alla tutela dei minori e all’eventuale privazione della libertà delle persone presenti.

      Di fatto i cittadini stranieri, nel corso di questi giorni, non hanno lasciato la struttura e l’ente gestore ha comunicato per via telefonica a In Limine che non sussistono meccanismi di regolamentazione in merito all’uscita e al rientro dalla struttura delle persone presenti. L’ente gestore ha infatti sostenuto che trattandosi di un Centro di primo soccorso e accoglienza i cittadini stranieri debbano essere trattenuti al suo interno.

      Questa situazione desta grandi preoccupazioni: l’hotspot è percepito dall’ente responsabile della sua gestione come un centro di detenzione e le autorità pubbliche responsabili sembrano assecondare tale visione. Il problema della detenzione illegittima all’interno dell’hotspot di Lampedusa era già stato sollevato dal Garante dei diritti dei detenuti in data 11 maggio 2017. In tale occasione il prefetto di Agrigento alla richiesta del perché non venisse permesso alle persone di uscire dal Centro aveva risposto “se vogliono possono uscire da un buco nella rete”. In seguito, nel febbraio del 2018 il Prefetto inviava una comunicazione all’allora ente gestore con l’indicazione di dotarsi di sistemi per consentire ai richiedenti asilo di circolare liberamente. A oltre un anno da tale comunicazione, tali sistemi non sono stati adottati.

      Di fronte a questa allarmante situazione ricordiamo che la libertà personale è un diritto inviolabile, in quanto tale tutelato dalla Costituzione (art. 13) nonché da norme di diritto internazionale, tra cui l’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. La privazione della libertà può avvenire solo sulla base di norme che ne disciplinino tassativamente casi e modi, deve essere disposta da provvedimenti scritti e motivati e deve essere convalidata dall’autorità giudiziaria competente. Nel caso dei cittadini stranieri presenti a Lampedusa ci troviamo potenzialmente di fronte a tre diverse situazioni:

      Il trattenimento nel corso delle procedure di identificazione. Tale forma di detenzione non è prevista da alcuna norma ed è quindi di per sé illegittima.

      Per quanto concerne la privazione della libertà dei richiedenti protezione internazionale all’interno dei centri hotspot questa è prevista dall’art. 6 del D.lgs. n. 142/2015, che stabilisce che il richiedente asilo può essere trattenuto solo in appositi locali, al fine di determinare o verificare l’identità o la cittadinanza e, in ogni caso, esclusivamente ove vi sia un provvedimento scritto emesso e notificato dall’autorità competente e convalidato dall’autorità giudiziaria.

      Per quanto riguarda i cittadini stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento l’unica eccezione al trattenimento presso i Centri per il rimpatrio è contenuta nell’art. 13, co. 5-bis, del Testo Unico sull’Immigrazione. Questo prevede che in caso di indisponibilità dei posti all’interno dei CPR tali cittadini possono essere trattenuti in strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza solo dietro autorizzazione del giudice di pace e comunque non oltre le quarantotto ore successive all’udienza di convalida.

      In base a quanto visto sopra si ritiene che la detenzione cui sono sottoposti i 36 adulti, nel centro di Lampedusa potrebbe essere illegittima, sia nella sua fase iniziale – ovvero durante l’identificazione –sia nei momenti successivi, a meno che non siano stati emessi i provvedimenti di trattenimento e non vi sia stata la relativa convalida.

      Per quanto riguarda i minori, la situazione è evidentemente ancora più grave. Infatti, in nessun caso i minori non accompagnati possono essere trattenuti e devono essere accolti in “strutture governative di prima accoglienza a loro destinate” e, in caso di indisponibilità di posti in tali strutture, l’assistenza e l’accoglienza devono essere garantite dal Comune. Il trattenimento ovvero la permanenza dei minori nel centro hotspot è estremamente preoccupante in quanto illegittima e contraria al principio del superiore interesse del minore.

      Si invitano pertanto le autorità competenti a fornire nel minor tempo possibile informazioni sulla condizione delle persone soccorse dalla Mare Jonio, sulla messa in campo delle garanzie previste per gli eventuali trattenimenti e sulle misure adottate per l’immediato trasferimento dei minori. In data odierna è stata inviata richiesta di ingresso all’hotspot di una delegazione del progetto al fine di verificare l’effettivo rispetto dei diritti delle persone presenti.

      In ultimo, riteniamo sia indispensabile, dal punto di vista della società civile, prestare l’opportuna attenzione nei confronti delle procedure applicate alle 50 persone attualmente presenti a Lampedusa. Riteniamo, da questa prospettiva, che il tema del rispetto dei diritti e le potenziali frizioni tra diritto e prassi non si esauriscano con l’approdo e lo sbarco. Viceversa, è indispensabile continuare a mantenere alta la soglia dell’attenzione: va puntualmente garantito il rispetto dei diritti all’interno degli hotspot e nelle delicate fasi successive.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/lampedusa-mare-jonio-detenzione-hotspot

    • Refugee Ships Are Trying To Call Them During Emergencies — But They Aren’t Answering

      Twenty-nine calls from BuzzFeed News to a variety of numbers meant to summon the Libyan coast guard to help for drowning refugees in the Mediterranean went completely unanswered.

      Four years after the refugee crisis first brought the horrors of the dangerous Mediterranean crossing to the world’s attention, hundreds of people continue to die each year hoping to reach Europe’s shores.

      Over the course of 2016, the European Union determined that the coast guard in Libya, from whose shores many refugee boats set off, would to be the first call for groups undertaking rescue missions in hopes of saving the lives of those adrift at sea. Since last June, the main international body that issues guidelines on rescues at sea has agreed — Libya has the lead in the Mediterranean.

      A BuzzFeed News investigation has found that five different phone numbers provided by Libyan officials as contact numbers for search and rescue missions are barely functioning, and when they do, the staffers manning the phones are unable to speak English, in violation of international law.

      A reporter from BuzzFeed News tried to reach these five numbers on three different days and at six different times in a total of 30 contact attempts. Of those, 29 failed because the call was not answered. Among the numbers where no one could be reached were the two numbers listed in the international database for emergencies at sea — the UN International Maritime Organization’s (IMO) Search and Rescue database. The IMO entry says that the Libyans should be available 24 hours a day.

      The failure to adequately man the phones can have dire consequences. In 2016, at the peak of the crisis, more than 3,800 people are estimated to have died when attempting to make the crossing into Europe. According to the UN, the route between Libya and Italy was the most deadly, with one death for every 47 arrivals. That number has fallen but still remains high: 2,262 people were estimated to have died on the voyage last year.

      In response to the surge in migrants and asylum-seekers, the European Union opted in 2016 to divert money and personnel from its own rescue missions to the Libyan coast guard, hoping to discourage migrants and asylum-seekers from making the trek in the first place. The program has been renewed several times since then, most recently in the form of a pledge of $52 million this January to pay for maritime surveillance equipment.

      The UN database also lists a Gmail address as an official contact for the Tripoli mission. There are three further email addresses available that BuzzFeed News was able to locate, which are supposed to represent official contacts to the Libyan coast guard. One is a second Gmail account; the other is an address that belongs to the Italian Navy. None of the addresses contacted responded to BuzzFeed News requests for comment.

      Other organizations have had little better luck contacting Tripoli. Sea-Watch, an NGO that provides search and rescue efforts in the Mediterranean, has also provided BuzzFeed News radio recordings of several attempts on different days to reach the Libyan coast guard.

      Sea-Watch also provided a list of recorded attempts to reach the Libyan coast guard from the bridge of the Sea-Watch 3, one of their rescue ships. The list of 15 calls show 10 failed contact attempts — in five other cases, the Libyan side simply hung up.

      Ruben Neugebauer, a crew member who also acts as spokesperson for Sea-Watch, told BuzzFeed News that the situation had become the new normal.

      “The accessibility of the JRCC Tripoli is more than poor, it happens again and again that the control center is not accessible at all,” he said, using the Libyan mission’s official name. “If it can be reached, often only the local Arabic dialect is spoken.”

      Under the terms of the 1979 International Convention on Maritime Search and Rescue, which Libya has signed, all rescue coordination centers must be staffed around the clock and include staffers who speak English.

      Neugebauer recalled one case where a person on the Libyan end of the call could not communicate in English, French, or Egyptian Arabic: “Even though it was an emergency, the JRCC Tripoli employee simply hung up before we were able to share the most necessary information.”

      The operator’s lack of English language skills can also jeopardize the rescuers. Last November, a Libyan patrol boat intervened aggressively in an ongoing rescue mission. Five people died as a result.

      The Aquarius, a ship jointly operated by NGOs Doctors Without Borders and SOS Mediterranee, has noted in its public logbook almost 30 unsuccessful attempts to reach the Libyans during missions since June 2018 alone. Nine unsuccessful attempts to reach Libyan units on the radio channel reserved for emergency calls are also listed in the logbook.

      “For us, the JRCC Tripoli has never been reachable by phone so far,” Axel Steier, founder and chair of the NGO Mission Lifeline, told BuzzFeed News in an email. “Emails are answered after days.” BuzzFeed News asked Steier to estimate how often the Libyan authorities were available in cases of distress at sea in which Mission Lifeline’s rescue vessel was involved. His answer: “Zero percent.”

      Ina Fisher, a spokesperson for Alarm Phone, another NGO focused on rescues, told BuzzFeed News that in only two cases did phone calls placed to numbers meant to belong to the Libyan coast guard actually get answered. One number turned out to belong not to the coast guard but a retired general, she said. In the other call, the voice on the other end of the line said they could not help but did ask if they’d managed to save the boat in question.

      “We regularly send complaints to MRCC Rome about the JRCC’s inaccessibility, but again and again get the answer that the JRCC is working well,” Fisher said.

      “According to our experience, in case of SAR events involving our assets, the communication with the relevant MRCC, including the Libyan one, has been satisfactory,” Antonello de Renzis Sonnino, a captain in the Italian Navy and spokesperson for Operation Sophia, the EU’s international rescue mission, said in response to a BuzzFeed News request for comment.

      Last year, Italian and Maltese ports began refusing ships with refugees on board permission to enter their harbors, leaving ships to wait for days with refugees on board on the Mediterranean Sea. As a result, civilian sea rescuers have given up on contacting the rescue coordination center based in Rome and switched over to contacting the German Maritime Search and Rescue Association during emergencies in the Mediterranean, hoping to enlist them to contact the Libyans. The Germans, based out of the city of Bremen, are responsible for maritime search and rescue operations in the North and Baltic seas.

      Even they don’t always manage to reach the Libyan coast guard. Christian Stipeldey, the German rescue association’s press officer, confirmed to BuzzFeed News: “In January 2019 we tried to reach Tripoli by telephone in one case. The connection was not established.” The mission in Rome “was already aware of this case,” Stipeldey said.

      A spokesperson for the International Maritime Organization told BuzzFeed News that they were not in a position to comment on the reporting gathered for this article, adding that the IMO has no mandate to investigate the accessibility and reliability of regional command centers. A member state of the IMO could make such a request, however.

      The German Federal Ministry of Transport is considering putting the work of the Libyan coast guard on the agenda at the next meeting of the IMO’s subcommittee responsible for sea rescues, the ministry confirmed to BuzzFeed News. The ministry also said that in talks with Libyan representatives, it has regularly demanded that the protection of refugees in sea rescue be guaranteed.

      “You must appreciate that not every State can execute this function properly, especially if it has been under turmoil, like Libya,” George Theocharidis, a professor of maritime law and policy at World Maritime University in Sweden, told BuzzFeed News. “On the other hand, as every State has sovereignty, it is not possible to enforce those duties and it is left to the goodwill of States to perform what is required from them,” he added, noting that even the IMO can’t force a country to comply with the standards.

      BuzzFeed News has also asked the European External Action Service, the responsible EU commissioner, for comment on the Libyans’ inaccessibility. It has not provided a response at this time.

      Despite widespread knowledge of the problem, the confusion has not improved in recent months. A screenshot of an internal Sea-Watch chat provided to BuzzFeed News shows one crew member attempting to get in touch with the Libyans as recently as March 15. They were subsequently provided with a new phone number and instructed to speak very slowly.

      When someone actually answered the phone, the chat reads, “it was a Russian-sounding man replying, saying in English that he didn’t speak English, only Russian.

      “To my question, if anyone there spoke English, he replied, ‘Afternoon, English!’”

      https://www.buzzfeednews.com/article/marcusengert/libya-coast-guard-not-answering-emergency-refugee-rescue-cal

    • Rescued migrants hijack merchant ship off Libya

      Migrants have hijacked a merchant ship which rescued them off the coast of Libya and it is now heading towards Malta, Italian Deputy Prime Minister Matteo Salvini and Maltese authorities said on Wednesday.

      The 108 migrants were picked up by the cargo ship #Elhiblu_1 and hijacked the vessel when it became clear that it planned to take them back to Libya, according to the website of Italian daily Corriere della Sera and Italian news agencies.

      “These are not migrants in distress, they are pirates, they will only see Italy through a telescope,” said Salvini, who has cracked down on illegal immigration, including closing Italy’s ports to charity ships, since he took office in June last year.

      A spokeswoman for Malta’s armed forces confirmed the ship had been hijacked and said Maltese authorities were monitoring its progress and it would not be allowed to dock in Malta.

      “This is clearly a case of organized crime,” Salvini said on Facebook. “Our ports remain closed.”

      Salvini, the leader of the right-wing League party, has been at the center of several international stand-offs over his refusal to let humanitarian ships dock in Italy.

      This month parliament rejected a request by prosecutors to investigate him for kidnapping over a case in August when he blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week off Sicily before finally letting it dock.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-hijacking/rescued-migrants-hijack-merchant-ship-off-libya-idUSKCN1R81YF?feedType=RSS&

    • Un pétrolier, détourné par les migrants secourus, arrive à Malte

      Le pétrolier ravitailleur #Elhiblu 1, détourné par des migrants qu’il avait secourus mais qui ne voulaient pas être reconduits en Libye, est arrivé jeudi à Malte. Un commando de la marine maltaise en a repris le contrôle dans la nuit.

      Ce navire de 52 mètres qui bat pavillon de Palau avait secouru mardi au large de la Libye 108 migrants, dont 31 femmes ou enfants, à bord de deux canots en détresse, signalés par un avion militaire européen. Mais alors qu’il s’approchait de Tripoli pour les débarquer mercredi, il a subitement fait demi-tour et mis le cap au nord.

      Le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a immédiatement prévenu que le navire ne serait pas autorisé à pénétrer dans les eaux italiennes.

      Or, l’Elhiblu 1 faisait route vers Malte, où la marine a pu entrer en contact avec le capitaine alors que le navire était à 30 milles des côtes.

      Le contrôle « rendu au capitaine »

      Le capitaine a répété plusieurs fois qu’il n’avait plus le contrôle du navire et que lui-même et son équipage étaient forcés et menacés par un certain nombre de migrants exigeant qu’il fasse route vers Malte", a ajouté la marine dans un communiqué.

      Un patrouilleur a empêché le pétrolier de pénétrer dans les eaux territoriales de Malte et un commando des forces spéciales, soutenu par plusieurs navires de la marine et un hélicoptère, a été dépêché à bord « pour rendre le contrôle du bateau au capitaine ».

      Escorté par la marine maltaise, le navire est arrivé tôt ce matin dans le port de La Valette, où l’équipage et les migrants doivent être confiés à la police pour déterminer ce qui s’est passé et les responsabilités.


      https://www.rts.ch/info/monde/10324359-un-petrolier-detourne-par-les-migrants-secourus-arrive-a-malte.html

    • #IOM: Libya isn’t a safe haven for immigrants

      The International Organization for Migration (IOM) said Libya cannot yet be considered a safe port, saying it is present at the disembarkation points to deliver primary assistance to migrants that have been rescued at sea.

      In a statement on Tuesday, IOM added that following the migrants’ disembarkation, they are transferred to detention centres under the responsibility of the Libyan Directorate for Combatting Illegal Migration (DCIM) over which the Organization has no authority or oversight.

      “The detention of men, women and children is arbitrary. The unacceptable and inhumane conditions in these detention centres are well documented, and IOM continues to call for alternative solutions to this systematic detention.” The statement remarks.

      It indicates that the number of migrants returned to Libyan shores has reached over 16,000 since January 2018, and concern remains for their safety and security in Libya, due to the conditions in the detention centres.

      “IOM only has access to centres to provide direct humanitarian assistance in the form of non-food items, health and protection assistance, as well as Voluntary Humanitarian Return support for migrants wishing to return to their countries of origin.” It explained.

      The IOM also clarified that its access to detention centres in Libya is part of the efforts to alleviate the suffering of migrants but cannot guarantee their safety and protection from serious reported violations.

      It said it advocates for alternatives to detention including open centres and safe spaces for women, children and other vulnerable migrants.

      “A change of policy is needed urgently as migrants returned to Libya should not be facing arbitrary detention.” The statement reads.

      IOM further explained that security and humanitarian situations in Libya remain dangerous, and reiterated that Libya cannot be considered a safe port or haven for migrants.

      https://www.libyaobserver.ly/news/iom-libya-isnt-safe-haven-immigrants
      #Libye #ports_sûrs #port_sûr #asile #migrations #réfugiés #IOM #OIM

    • Refugee rescue ship running out of food and water with 64 on board as European countries argue over who should let it dock

      A newborn baby, five children and 20 women are among those on board the stranded vessel.
      A ship carrying 64 refugees is stranded at sea and running out of food and drinking water while European countries refuse to let it dock.

      The Alan Kurdi is a private rescue ship owned by Sea-Eye, a German NGO.

      The group on the vessel includes 20 women, five children and one newborn baby, according to a spokesperson for Sea-Eye.

      Staff on board rescued the group of refugees from a rubber dinghy near the Libyan coast last week and asked Italy and Malta, the two nearest countries, to open a port so the ship could dock.

      But both countries refuse to accept humanitarian ships that patrol the Mediterranean to rescue refugees.

      The Alan Kurdi has now spent six days at sea as European countries argue over who should accept the vessel.

      Matteo Salvini, Italy’s anti-immigration deputy prime minister, said the rescue ship was not welcome in the country.

      “A ship with a German flag, German NGO, German ship owner, captain from Hamburg. It responded in Libyan waters and asks for a safe port,” he said.

      “Good, go to Hamburg.”

      As supplies on the vessel run low, the European Union (EU) has entered discussions with its member states.

      On Tuesday, Sea-Eye said it had informed Malta, which is nearest to the boat, about the scarcity of food on board.

      Dominik Reisinger, a spokesperson for the organisation, said the “political question about the distribution of those rescued ... overshadows the human rights” of the refugees.

      The vessel’s difficulties come after the aid organisation Médecins Sans Frontières (MSF) ended its refugee rescue missions in the area.

      In December 2018, the group’s rescue vessel, Aquarius, was withdrawn from operations after what MSF alleged was a “sustained smear campaign” led by the Italian government.

      Operation Sophia, the EU’s maritime rescue mission, has also been downgraded, in a move that was condemned by rights groups and charities when it was announced in March 2019.

      The EU mission was credited with saving thousands of lives but no longer carries out maritime patrols in the Mediterranean, after Italy refused to receive the people rescued at sea.

      A spokesperson for Amnesty International described the decision as an “outrageous abdication of EU governments’ responsibilities”.

      The Alan Kurdi is named after the three-year-old boy whose body was found on a beach in Turkey in September 2015 at the height of the refugee crisis.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/refugee-rescue-ship-sea-eye-boat-eu-countries-refusing-to-let-it-dock

    • Avril 2019

      #Alarmphone was called this morning at approx. 6am CEST by 20ppl, incl. women & children in distress off the coast of #Libya +++ They report that 8ppl have fallen into the sea and are missing. They lost their engine, water is coming into their boat. Authorities are informed.

      Avec un fil twitter sur l’évolution de la situation :
      https://twitter.com/alarm_phone/status/1115945935601831940

      Fin de l’histoire : les Libyens sont intervenus et ont ramené les migrants en Libye...

      Li hanno ripresi i Libici. Il caso è chiuso. 15 ore senza interventi di soccorso. Governi europei, civilissime nazioni di grandi tradizioni e valori, sono riusciti a riconsegnare ai lager in una zona di guerra da cui scappavano, donne uomini bambini. Crimine e vergogna infinita.

      https://twitter.com/RescueMed/status/1116054434742714368

      Tweet de #sea_watch :

      While today 8 people already drowned, 20 others are alive but abandoned in distress. Meanwhile the Dutch gov. keeps our ship blocked with random policy changes. #SeaWatch 3 could be there to save lives now, but that doesn’t fit the European migration policy of letting drown.

      https://twitter.com/seawatch_intl/status/1115955541099057152

    • #Castaner persiste sur des « interactions » entre ONG et passeurs en Méditerranée

      Après avoir affirmé que les ONG « ont pu se faire complices des passeurs » en Méditerranée, Christophe Castaner a tenté une mise au point mardi, dégainant deux « rapports de Frontex » censés démontrer des « interactions ». Emmanuel Macron lui-même juge que des humanitaires font « le jeu des passeurs ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/100419/castaner-persiste-sur-des-interactions-entre-ong-et-passeurs-en-mediterran

    • La Mare Jonio torna a navigare. Siamo tutti coinvolti

      In questo momento il rimorchiatore Mare Jonio e la barca a vela d’appoggio Alex stanno solcando il mare in direzione del Mediterraneo Centrale, la rotta migratoria più mortifera a livello globale. «Torniamo a navigare ancora una volta decisi a rispettare fino in fondo il diritto internazionale del mare, i diritti umani e i principi della nostra Costituzione – hanno scritto ieri gli attivisti sul profilo facebook della missione – Ringraziamo le migliaia e migliaia di persone diventate in questi mesi Mediterranea. È solo grazie al loro supporto che possiamo farlo».

      La Mare Jonio era ferma dal 19 marzo scorso, quando tornò in Italia con a bordo 49 naufraghi salvati dalla morte o dal ritorno nell’inferno libico. Dopo l’apertura di indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il rimorchiatore era stato sottoposto a qualche giorno di sequestro probatorio presto revocato dalla procura di Agrigento. La nuova missione parte con la benedizione dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice che lunedì scorso ha incontrato Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, affermando pubblicamente di essere dalla parte di chi salva esseri umani.

      Ieri sera, invece, è stato pubblicato un comunicato congiunto degli equipaggi di Sea-Watch, Open Arms, Mediterranea Saving Humans, Sea-Eye, Alarm Phone, Seebrücke sulla vicenda che ha riguardato la nave Alan Kurdi. L’imbarcazione della ong Sea-Eye aveva salvato 64 persone il 3 aprile scorso. Solo ieri i naufraghi sono stati prelevati e fatti sbarcare dalle motovedette militari maltesi. L’attracco della nave nel porto di La Valletta, invece, non è stato autorizzato. I profughi saranno ora «redistribuiti» tra Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo.

      «I negoziati intergovernativi portati avanti mentre le persone soccorse erano costrette a rimanere in condizioni non sicure in alto mare per oltre dieci giorni – recita il comunicato congiunto – sono pratiche illegittime e insostenibili che violano il diritto internazionale, i principi fondamentali dei diritti umani e non rispettano la dignità delle persone salvate». «Per noi, la società civile impegnata nel Mediterraneo centrale – continua il testo – la dignità e i diritti delle persone sono sempre una priorità assoluta e guidano tutte le nostre pratiche».

      La missione di Mediterranea iniziata questa mattina si inserisce in un nuovo contesto politico, segnato dalla rinnovata instabilità libica e dall’escalation militare che interessa Tripoli. Il conflitto tra le milizie di Haftar e quelle di Serraj, sostenuto dal governo italiano e dall’Unione Europea, hanno reso evidente a tutti, amesso che ancora ce ne fosse bisogno, che la Libia non è un «paese sicuro». Chi continua a ripeterlo diffonde fake news e menzogne che producono morte e legittimano l’inferno dei lager, delle violenze, degli stupri.

      A tutto questo bisogna reagire adesso. Mediterranea lo sta facendo. Lo stanno facendo gli equipaggi di mare, che hanno deciso di sfidare senza paura le aggressioni politiche e giudiziarie e i possibili comportamenti scomposti della cosiddetta «guardia costiera libica». Lo stanno facendo gli equipaggi di terra, che instancabilmente lavorano a livello economico, organizzativo e legale per rendere possibili le missioni. Dovrebbe farlo chiunque non accetta questa situazione, sostenendo come può la missione Mediterranea, che è completamente autofinanziata e ha urgente bisogno di nuovi fondi, ma anche preparandosi a mobilitarsi affinché nessuno resti solo, né in mare né in terra.

      https://www.dinamopress.it/news/la-mare-jonio-torna-navigare-tutti-coinvolti

    • Nella direttiva contro Mare Jonio solo propaganda. Il Viminale rispetti i diritti umani

      Apprendiamo che il Viminale ha dedicato, nella sua intensa attività di produzione di “direttive ad navem”, una nuova direttiva interamente dedicata alla nostra nave, Mare Jonio, salpata per la seconda missione del 2019 il 14 aprile scorso.

      La direttiva appare scritta come se il Governo vivesse in un mondo parallelo. Nessun accenno alla guerra che infiamma la Libia e ai corrispettivi obblighi internazionali né alle migliaia e migliaia di persone torturate negli ultimi anni in quel Paese né a quelle annegate nel Mediterraneo centrale (in proporzione in numero sempre crescente, 2.100 nel solo 2018). Forse dovrebbero parlarsi tra Ministeri: la Ministra della Difesa italiana ha appena affermato infatti che “con la guerra non avremmo migranti ma rifugiati e i rifugiati si accolgono”.

      Nelle considerazioni introduttive della direttiva in questione, si leggono una serie di slogan di propaganda, oltre che un elenco di bugie, peraltro relative a eventi al momento sotto l’attenzione della Procura di Agrigento nel corso dell’indagine che ci riguarda e che abbiamo accolto offrendo tutta la nostra collaborazione. Sappiamo infatti di avere sempre rispettato i diritti e il diritto, cosa che i governi europei, e il nostro in particolare, dovrebbero cominciare a fare in relazione a quanto avviene nel Mediterraneo Centrale.

      La direttiva dice che la nostra presenza in mare sarebbe un incentivo per chi lascia la Libia: bisognerebbe appunto ricordare al Viminale che in Libia c’è una guerra, e che in ogni caso, come l’ONU e l’UE non perdono occasione di ricordare, quel paese non è mai stato un porto sicuro, ma piuttosto il teatro di “indicibili orrori”, stupri quotidiani, torture, esecuzioni sommarie per tutti i migranti, inclusi i bambini.

      La direttiva dice che rischiamo di favorire l’ingresso di pericolosi terroristi. Auspichiamo che, una volta sbarcate nel porto più sicuro le persone eventualmente soccorse, questo governo sia in grado di effettuare tutte le indagini necessarie a garantire la sicurezza pubblica, ricordando però che i terroristi solitamente non viaggiano su barche che in un caso su tre affondano, ma che hanno ben altri mezzi per spostarsi.

      La direttiva dice che avremmo rifiutato il coordinamento SAR di autorità straniere legittimamente responsabili. Ricordiamo che nel nostro soccorso avvenuto il 18 marzo, nessuna autorità ci ha ordinato alcunché, se non di stare lontani 8 miglia da un punto dal quale siamo rimasti ben più distanti per tutto il tempo. In ogni caso, ci auguriamo che la direttiva non faccia riferimento all’autorità libica, poiché in questo caso, si tratterebbe di una istigazione a delinquere: se già in precedenza era un reato riportare in Libia le persone soccorse, oggi, con la guerra in corso, è un’affermazione semplicemente criminale.

      La cosiddetta guardia costiera libica, su delega e finanziamenti italiani, ha catturato per anni le persone in mare riportandole in quell’inferno e rimettendole in mano ai trafficanti, contrastati di fatto solo dalla presenza delle navi della società civile, le uniche a strappare le persone soccorse dalle mafie criminali. Sempre in relazione all’evento del 18 marzo, contrariamente alle menzogne riportate dalla direttiva, ricordiamo di avere fatto rotta verso l’Italia, obbedendo linearmente a quanto previsto dal diritto internazionale, in quanto Lampedusa era il porto sicuro più vicino per i naufraghi soccorsi.

      La direttiva ci accusa infine di volere condurre nuovamente le stesse attività: lo confermiamo. Siamo di nuovo nel Mediterraneo, grazie alle tantissime realtà e persone che ci sostengono, per continuare nella nostra missione di monitoraggio e denuncia della violazione dei diritti umani, senza sottrarci mai all’obbligo giuridico ed etico di salvare le vite in pericolo e portarle in salvo.

      Ci atterremo, nel farlo, esattamente come chiede la direttiva, alle vigenti norme nazionali e internazionali, cosa che implica l’impossibilità di fare alcun riferimento alla Libia, certi che anche l’illegittimità della sua zona SAR sarà presto definitivamente riconosciuta.

      Diffidiamo altresì chiunque, e nella fattispecie il Ministro dell’Interno italiano, dal mettere in atto comportamenti che violino le leggi nazionali ed internazionali in materia di rispetto dei diritti umani e di obbligo di salvataggio in mare.

      https://mediterranearescue.org/news/nella-direttiva-contro-mare-jonio-solo-propaganda-il-viminale-ri

    • Pourquoi l’extrême-droite européenne a quasiment réussi à faire interdire les sauvetages de réfugiés en Méditerranée

      Des navires comme l’Aquarius ou le Sea Watch, affrétés par des associations, ont sauvé des dizaines de milliers de vies en Méditerranée. Mais depuis deux ans, les autorités italiennes et européennes ont multiplié les entraves. L’Italie leur a fermé ses ports depuis l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini et de son parti d’extrême droite. Il n’est pas le seul à harceler les sauveteurs. Des bateaux sont saisis ou bloqués à Malte, en Espagne, leurs équipages sont menacés de poursuites. Et ce, dans l’indifférence des autres gouvernements européens. Les réfugiés, eux, continuent de mourir ou sont interceptés par les garde-côtes libyens. Bilan d’un naufrage européen.

      Quand une majorité d’électeurs français ont élu Emmanuel Macron contre Marine Le Pen en mai 2017, ils ne pensaient probablement pas que l’un de ses futurs ministres de l’Intérieur tiendrait le même discours que la candidate du FN et le reste de l’extrême droite européenne. C’est pourtant ce qui est arrivé le 5 avril. En marge du G7 des ministres de l’Intérieur, Christophe Castaner a déclaré que les ONG qui secourent des embarcations de migrants en péril en Méditerranée ont « pu se faire complices des passeurs ». C’est exactement l’argumentaire utilisé par Marine Le Pen un an plus tôt [1] en échos aux déclarations du ministre d’extrême-droite italien Matteo Salvini. Depuis que celui-ci est au pouvoir, les entraves mises aux organisations de sauvetage en mer ont redoublé.

      En juin 2018, dès la formation du gouvernement de coalition entre la Ligue du Nord (extrême-droite) et le Mouvement 5 Étoiles (M5S), Matteo Salvini décide de fermer les ports italiens aux bateaux des organisations non-gouvernementales de sauvetage. L’Italie refuse alors le droit d’accoster à l’Aquarius, affrété par l’ONG française SOS Méditerranée, et au Lifeline, d’une association allemande, alors qu’ils ont recueilli à bord des dizaines de réfugiés. « Normalement, selon le droit maritime, les gouvernements ne peuvent pas fermer leurs ports à des embarcations », déplore une activiste française de l’ONG allemande Sea Watch, qui souhaite garder l’anonymat. Mais les autorités italiennes cherchent tous les prétextes possibles pour le faire.
      Des accusations de collusion avec les passeurs, sans aucune preuve

      Sur le front juridique, les attaques contre les ONG ont commencé depuis deux ans. Au printemps 2017, le procureur de Catane, en Sicile, déclare soupçonner une collaboration entre des organisations de sauvetage et des trafiquants d’êtres humains. Sans aucun élément de preuves, l’affaire s’est finalement dégonflée. Les menaces de poursuites judiciaires et de mises sous séquestre des navires se sont cependant poursuivies. En août 2017, le parquet de Trapani, toujours en Sicile, saisit le navire Luventa de l’ONG allemande Jugend Rettet. Raison invoquée : soupçon de collaboration avec des passeurs lors de trois opérations de sauvetage en 2016 et 2017 (voir le travail d’enquête qu’a réalisé à ce sujet le collectif de recherche Forensic Architecture, basé à l’université Goldsmiths de Londres). L’ONG avait refusé, avec d’autres, de signer le « code de conduite » que les autorités italiennes voulaient leur imposer. Le texte leur demandait notamment de s’engager à ne pas entrer dans les eaux territoriales libyennes.

      « Notre navire se trouve en saisie préventive, fait savoir à Basta ! le président de Jugend Rettet, Julian Pahlke. La saisie peut être effectuée sans qu’aucune procédure judiciaire ne soit lancée. Elle est couverte par un paragraphe de loi anti-mafia ». Les autorités italiennes ont mis sous séquestre le navire de l’ONG allemande depuis plus d’un an et demi sans même qu’une procédure judiciaire ne soit ouverte ni contre l’ONG, ni contre ses membres. « Nous sommes allés jusqu’à la plus haute instance juridique italienne pour contester cette saisie », poursuit le jeune homme. En vain. L’ONG dit aujourd’hui préparer une plainte devant la Cour européenne des droits humains pour pouvoir récupérer son bateau.
      Des navires saisis ou bloqués de manière arbitraire, sans procédure judiciaire

      En mars 2018, c’est le navire de l’organisation espagnole Open Arms qui est placé sous séquestre par les autorités italiennes. Le procureur de Catane leur reproche d’avoir refusé de remettre aux garde-côtes libyens plus de 200 réfugiés secourus en mer. Une enquête pour organisation criminelle d’aide à l’immigration illégale est alors ouverte contre le capitaine du navire, le coordinateur et le directeur de l’ONG. Quelques mois plus tard, en novembre, la justice italienne déclare soupçonner l’Aquarius de traitement illégal de déchets toxiques. La menace d’un placement sous séquestre plane, mais l’accusation ne tient pas. La même année, le bateau de SOS Méditerranée reste coincé pendant des semaines dans le port de Marseille parce qu’il vient de perdre son pavillon, le pays de rattachement du bateau. Le Panama lui retiré l’immatriculation suite à une plainte de l’Italie. Juste avant, Gibraltar avait fait de même. Résultat : entre fin septembre et fin novembre 2018, plus aucun bateau d’ONG de sauvetage n’était présent au large de la Libye.

      Tout récemment encore, début février 2019, le parquet de Catane a bloqué plusieurs jours l’un des navires humanitaires de Sea Watch. Il venait de débarquer avec 47 réfugiés secourus au large des côtes libyennes, après avoir été coincés des jours sur le bateau au large, parce que Salvini leur refusait l’accès au port. Le ministre menace aussi l’ONG de poursuites en justice. Le parquet a finalement considéré qu’aucun délit n’a été commis par l’ONG, mais ordonne des vérifications techniques, ce qui immobilise le navire. Sea Watch a dénoncé un blocage politique injustifié. Puis, c’est le Mare Jonio, affrété par le collectif d’activistes italiens Mediterranea, qui est saisi pendant huit jours, mi-mars, au port de Lampedusa. Il venait de secourir 49 personnes.
      « Une preuve accablante que certains États abusent de leurs pouvoirs »

      Le zèle des autorités italiennes pour bloquer les navires inspire aussi d’autres pays. Sea Watch rencontre des difficultés avec les Pays-Bas, le pavillon sous lequel ses bateaux naviguent. Après des travaux d’entretien, les autorités néerlandaises ont empêché leur bateau Sea Watch 3 de retourner en zone de sauvetage. « Jusqu’à ce que le gouvernement néerlandais soit sûr que nous nous conformions aux exigences techniques d’un nouveau règlement, Sea Watch est obligé de suspendre ses missions et sera probablement soumis à une nouvelle série d’inspections grotesques », a réagi l’ONG dans un communiqué. Les Pays-Bas invoquent des préoccupations pour la sécurité des personnes secourues si le navire doit rester longtemps en mer, faute de port prêt à les accueillir, comme cela arrive de plus en plus souvent.

      « Nous ne pouvons être tenus responsables de l’état actuel des blocages prolongés et inhumains en mer. Au contraire, cette situation est une preuve accablante que certains États européens abusent de leurs pouvoirs », répond Sea Watch. Pour elle, les Pays-Bas, derrière des prétextes techniques, cherchent à empêcher les opérations de sauvetage en inventant « de nouveaux moyens pour contrôler les navires d’ONG dans le contexte de la politique migratoire ».

      Une troisième ONG allemande, celle qui affrète le bateau Lifeline, a fait l’objet d’un long procès à Malte. En juillet 2018, les autorités maltaises ont laissé accoster le Lifeline avec plus de 200 personnes réfugiées, après une semaine d’errance en Méditerranée. Puis, Malte a mis le navire sous séquestre et engagé un procès contre le capitaine. L’accusation ? Ne pas avoir correctement enregistré le bateau. Le jugement doit finalement être rendu le 14 mai prochain. En Espagne aussi, les conditions se durcissent. En janvier, les autorités maritimes espagnoles ont refusé au navire d’Open Arms de repartir en mer. Il venait d’accoster dans un port du sud de l’Espagne avec plus de 300 réfugiés fin décembre.
      Renvoyer les embarcations vers la Libye

      « Des barrières se mettent en place à tous les niveaux pour qu’on ne puisse plus retourner dans la zone de sauvetage dans les eaux libyennes », analyse l’activiste française de Sea Watch. Depuis juin 2018, la Libye dispose de son propre Centre régional opérationnel de surveillance et de sauvetage en mer (Cross), un centre de coordination pour les sauvetages maritimes. La mise en place d’un tel centre sur le sol libyen fait partie du plan de la Commission européenne de 2017 pour réduire les flux migratoires en Méditerranée [2]. « La zone de sauvetage où nous naviguons est un carré au nord de Tripoli, vers lequel les courants et les vents emmènent les embarcations qui partent de la capitale libyenne. Avant, le Cross dont dépendait cette zone de navigation était Rome. Nous avions l’obligation de diriger les embarcations en difficulté vers les ports les plus proches du Cross de Rome, donc des ports italiens ou maltais. »

      Avec la création d’un Cross à Tripoli, les embarcations peuvent être renvoyées vers la Libye. Alors même que, depuis début avril, des combats se déroulent, aux abords de Tripoli, entre les forces de l’Armée nationale libyenne autoproclamée du général Haftar, et les milices alliées au gouvernement reconnu par la communauté internationale. « Certains affrontements ont lieu également à proximité des centres de rétention des services de l’immigration à Qasr Ben Gashir et Ain Zara, où quelque 1300 personnes réfugiées et migrantes sont actuellement détenues », rappelle Amnesty International le 8 avril.
      80 000 personnes sauvées en deux ans

      En 2017, l’Union européenne a alloué 46 millions d’euros d’aide aux gardes-frontières et gardes-côtes libyens. En février, la France leur a même offert des navires [3]. L’objectif de ces généreux dons est de maintenir les migrants de l’autre côté de la Méditerranée. Pourtant, un rapport de l’Onu avertissait encore fin 2018 des « horreurs inimaginables » auxquelles sont confrontés les personnes migrantes en Libye. En novembre 2017, un documentaire de CNN montrait comment des migrants y étaient vendus comme esclaves.

      La politique italienne et européenne semble avoir pour priorité d’empêcher les personnes d’arriver sur le sol européen, quel qu’en soit le prix en termes de violation des droits humains, de conséquences humanitaires, et de morts. En 2018, plus de 2200 personnes ont péri en tentant la traversée entre la Libye et l’Italie, mais aussi entre le Maroc et l’Espagne. Au moins 350 sont morts depuis janvier (selon les chiffre du Haut commissariat aux réfugiés de l’Onu, ici). Fin mars, l’Union européenne a décidé de retirer ses bateaux de l’opération Sophia des eaux méditerranéennes (des navires militaires français, italiens, allemands, espagnols ou belges placés sous commandement franco-italien). Même si ce n’était pas leur mission principale – qui était de lutter contre les passeurs –, ces navires avaient secouru environ 45 000 personnes depuis 2015. Sur la seule période allant de 2015 à avril 2017, les différentes ONG de sauvetage en Méditerranée ont de leur côté sauvé plus de 80 000 personnes (voir notre article et ce rapport d’Amnesty de juillet 2017).
      « Nous n’avons plus de bateaux en mer pour le moment »

      « Nous n’avons plus de bateau en mer pour le moment », signale l’activiste de Sea Watch. SOS Méditerranée, qui est à la recherche d’un nouveau navire, non plus. Le Lifeline est toujours bloqué à Malte, le navire de Jugend Rettet en Italie, et celui d’Open Arms en Espagne. Le Mare Jonio opère toujours. Et le navire Alan Kurdi de Sea Eye, une autre organisation allemande, a secouru le 4 avril 64 personnes au large de la Libye. Le gouvernement italien a déclaré qu’il ne le laisserait pas accoster. Il a fallu dix jours, et deux évacuations pour urgences médicales, pour que Malte laisse enfin le Alan Kurdi accoster. La France et l’Allemagne se sont engagés à accueillir une partie des 64 réfugiés.

      Toute l’Italie n’est pas sur la ligne de Salvini. Des maires de gauche s’opposent publiquement à cette politique de fermeture des ports et au décret adopté en novembre qui ampute les droits des exilés. En mars, une manifestation antiraciste a réuni 200 000 personnes dans les rues de Milan. La justice italienne a même ouvert une enquête contre Salvini pour séquestration, pour les 46 réfugiés du Sea Watch à qui il avait refusé le droit de débarquer fin janvier. C’est la deuxième enquête de ce type lancée contre le ministre. La première avait été bloquée par le Sénat italien. En Allemagne, des dizaines de villes se sont déclarées « ports sûrs » ces derniers mois à l’appel de l’association Seebrücke. Ces communes se sont engagées à accueillir des personnes secourues en Méditerranée ou à soutenir les ONG de sauvetage.

      https://www.bastamag.net/Pourquoi-l-extreme-droite-europeenne-a-quasiment-reussi-a-faire-interdire-

    • Migranti sono in pericolo di vita, ma soccorritori italiani e libici non si capiscono: le intercettazioni

      Alle 13.25 del 17 marzo scorso arriva a Tripoli una chiamata dal coordinamento di Roma che deve «girare» ai colleghi libici l’sos del gommone in avaria con a bordo 48 migranti in imminente pericolo di vita. Per la legge, al centralino di Tripoli dovrebbe rispondere 24 ore al giorno un ufficiale della guardia costiera locale in grado di parlare l’inglese. Gli italiani impiegheranno quasi due minuti a trovare l’ufficiale e quasi un quarto d’ora a comunicare – chiamando poi un interprete arabo - le coordinate del gommone.

      https://video.repubblica.it/dossier/migranti-2019/migranti-sono-in-pericolo-di-vita-ma-soccorritori-italiani-e-libici-non-si-capiscono-le-intercettazioni/332460/333055
      #gardes-côtes_libyens #vidéo

    • « Salvini répète que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’à #Lampedusa, les migrants arrivent toujours ? »

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont rarissimes mais la route traditionnelle entre la Tunisie et l’île italienne s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal »

      Les deux navires orange et blancs de la « guardia di finanza » n’ont pas bougé de la nuit. Immobiles, ils mouillent toujours à l’entrée du petit port de Lampedusa, qui s’éveille mollement en ce premier jour du mois de mai.

      La lumière printanière est déjà là, mais les cohortes de touristes apportées par les compagnies charter ne sont pas encore arrivées. Bientôt les hôtels seront pleins, et cette île microscopique perdue au milieu de la Méditerranée, à moins de 150 km à l’est des côtes tunisiennes, sera complètement congestionnée. Mais pour quelques jours, les 5 000 habitants sont encore entre eux.

      Il a plu une bonne partie de la nuit, si bien que peu de bateaux sont partis en mer. Du coup, l’activité dans l’anse est particulièrement réduite. A quai, les pêcheurs s’affairent en silence. A vrai dire, rien ne laisserait paraître qu’il s’est passé quelque chose de particulier dans la nuit. Et pourtant…

      A quelques centaines de mètres de là, au pied de la mairie – un bloc de béton sans charme particulier, qui fait figure de centre du bourg –, une petite centaine d’habitants préparent les cérémonies de la fête des travailleurs, tandis qu’une mauvaise sono crache en boucle, à plein volume, des standards de la pop italienne des années 1970-1980. Air un peu fermé, teint buriné et écharpe au vent, le maire de l’île, Salvatore (dit « Toto ») Martello, passe d’un petit groupe à l’autre, discutant avec chacun à voix basse.

      Il s’arrête près de nous et nous confie, comme s’il reprenait une conversation interrompue cinq minutes plus tôt : « On les cherchait partout et ils sont arrivés dans le port hier soir, un peu avant 23 heures, sous la pluie. Vingt personnes à bord, quinze hommes et cinq femmes. On les a immédiatement conduits au centre d’accueil, pour enregistrement ». « Ils », ce sont les migrants partis de Tunisie sur une barque de bois que, durant toute la journée précédente, les maigres moyens de secours subsistant dans la zone avaient recherché avec inquiétude.
      Une situation inconfortable

      On avait suivi leur équipée heure par heure, et, dans l’après-midi, on avait craint le pire pour les occupants de ce gros canot qui semblaient avoir été avalés par la mer. Les avions de reconnaissance avaient multiplié les manœuvres infructueuses, alors que le ciel menaçant compliquait de plus en plus les recherches. Et soudain, au milieu de la nuit, le canot est arrivé à bon port tout seul. Comme par miracle.

      « Vous avez l’air surpris, mais ce genre d’arrivée est très fréquent, assure le maire. Les côtes africaines sont juste à côté, le trajet depuis la Tunisie n’est pas si difficile et les Tunisiens connaissent bien la mer. Seulement, pour l’instant, le gouvernement fait tout pour qu’on n’en parle pas. Vu que [le ministre de l’intérieur] Matteo Salvini répète partout que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’ici, les migrants arrivent toujours ? »

      Natif de l’île et figure historique de la gauche locale, Toto Martello a été réélu à la mairie de Lampedusa – il avait déjà occupé le poste de 1993 à 2002 –, à l’été 2017, après la défaite retentissante de la sortante, Giusi Nicolini, dont l’aura de pasionaria des droits des migrants avait fini par irriter une partie de la population de l’île. Moins militant que ne l’était sa devancière, il reste partisan de l’ouverture des ports, et de l’assistance aux personnes perdues en mer – comment pourrait-il en être autrement quand on est fils de pêcheurs ?

      Aussi l’arrivée au ministère de l’intérieur du dirigeant de la Ligue, Matteo Salvini, en juin 2018 a-t-il placé l’île tout entière dans une situation inconfortable.

      « Mes rapports avec la région Sicile, à laquelle Lampedusa est rattachée, sont très bons. Quand je suis allé à Bruxelles, il y a quelques mois, j’ai été reçu par le président du Parlement Antonio Tajani, le commissaire européen aux migrations Dimitris Avramopoulos et aussi des membres du staff de Federica Mogherini [à la tête de la diplomatie européenne],énumère Toto Martello. Mais quand j’écris au ministère de l’intérieur, il ne répond pas, il n’accuse même pas réception. Comme Salvini ne peut pas changer la situation à Lampedusa, il cherche à nous faire disparaître. Il veut qu’on nous oublie. »
      « Bateaux mères »

      Certes, en comparaison des années précédentes, la pression migratoire à Lampedusa a considérablement décru.

      « Quand je suis arrivé sur l’île, en 2015, il y avait eu 23 000 arrivées enregistrées. En 2016 on était passé à 13 000, puis 9 500 et 2017 et finalement 3 500 en 2018. Le début de l’année a été marqué par une mer très difficile, si bien que le chiffre des arrivées doit être très bas, mais il n’est pas vraiment significatif », explique Alberto Mallardo, représentant de l’ONG Mediterranean Hope, émanation des églises protestantes italiennes, très active sur l’île.
      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR

      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR "LE MONDE"

      Le « hotspot » de Lampedusa, où les migrants doivent être enregistrés avant de partir dans d’autres centres d’accueil, en Sicile ou sur le continent, était naguère plein à craquer. Il tourne désormais au ralenti, et on ne croise plus, comme c’était encore le cas en 2017, de groupes de demandeurs d’asile africains dans les environs de l’église.

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont devenues rarissimes, et c’est plutôt la route traditionnelle entre les côtes tunisiennes et Lampedusa qui s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal ». Mais l’équilibre de cette situation est très fragile, et pourrait être remis en cause en cas d’effondrement de l’actuel gouvernement de Tripoli.

      Par ailleurs, les derniers mois ont vu un certain changement du mode d’arrivée des demandeurs d’asile. Après les grands bateaux contenant plusieurs centaines de migrants, qui ont cessé de venir après 2014, il y avait eu les canots gonflables, qui n’avaient plus pour objectif d’atteindre Lampedusa mais plutôt d’arriver dans les eaux internationales où ils étaient secourus par les navires de l’opération Sophia ou ceux des ONG.

      Ce type de départs s’est tari depuis la mi-2017 et les accords avec la Libye.« Ce qui se développe actuellement, c’est un système dans lequel les migrants sont convoyés par des sortes de “bateaux mères”, détaille Alberto Mallardo. Ces embarcations sont assez importantes, elles peuvent faire le voyage jusqu’à Lampedusa ou la Sicile. Et une fois arrivés à proximité des côtes italiennes, elles débarquent discrètement leurs passagers dans de plus petites embarcations, de dix à douze personnes ». Puis les passeurs s’éloignent.
      « Efficacité de la propagande mise en place par Salvini »

      Observateur des incessantes mutations des routes migratoires, le journaliste Mauro Seminara, qui vit sur l’île depuis le milieu des années 2000, relativise l’importance des changements des derniers mois.

      « Tout cela est très fragile, et peu évoluer à tout moment assure-t-il. Ce qui me frappe, en revanche, c’est l’efficacité de la machine de propagande mise en place par Matteo Salvini. Le 11 avril , un bateau avec 70 migrants est arrivé ici depuis la Tunisie. Le ministère de l’intérieur a affirmé qu’après 24 heures ils avaient tous été renvoyés chez eux, et ici, sur l’île, beaucoup l’ont cru. Alors même qu’on sait bien qu’une moitié est partie assez vite en Sicile, à Porto Empedocle, et que l’autre moitié est restée un temps à Lampedusa… »

      Au-delà de cela, les observateurs de l’activité migratoire en mer savent bien que les « navires fantôme » qui arrivent à Lampedusa ne sont que la partie émergée de l’iceberg.

      En effet, un navire qui arrive à Lampedusa, si petit soit-il, ne pourra pas passer inaperçu. En revanche, si le même débarque sur les côtes siciliennes, il est autrement plus facile de se fondre dans la nature. « Pour un navire qui arrive ici, assure Mauro Seminara, il y en a au moins trois ou quatre qui débarquent quelque part dans la région d’Agrigente, au sud de la Sicile, et dont on ne saura jamais rien. »


      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/a-lampedusa-en-depit-de-ce-que-dit-salvini-les-migrants-arrivent-toujours_54

  • Negato il 95% dei permessi. Stop ai visti per gli studenti africani

    L’ambasciata italiana nega i permessi al 95% dei ragazzi di Togo e Ghana che vorrebbero venire da noi «Non siamo migranti, vogliamo solo studiare». La Farnesina: «Applicati criteri oggettivi»

    «L’ambasciata italiana in Ghana mi ha rifiutato il visto da studente due volte. La prima per ragioni ’finanziarie’, sebbene fossi sicuro di aver soddisfatto tutte le nuove regole che richiedevano maggiori informazioni sul patrimonio dei miei genitori e di mia sorella. Per la seconda volta, invece, non mi hanno dato alcuna risposta».

    Il sogno di Lawrence Kpegoh, togolese di 21 anni, è svanito lo scorso settembre. Da tempo desiderava studiare in Italia economia aziendale e aveva scelto Parma, dove risiede una cugina che lo aspettava per aiutarlo con le formalità e la ricerca di un alloggio. L’anno scorso, però, l’ambasciata d’Italia ad Accra, preoccupata di non dare visti ad aspiranti studenti africani poco meritevoli, ha imposto nuovi criteri di selezione. Da allora i cittadini ghanesi hanno registrato un radicale aumento dei visti rifiutati a chi aveva imparato la nostra lingua con la speranza di continuare gli studi nel ’bel’ Paese.

    «Su 1.275 richieste per studenti in Togo e Ghana (le do- mande ghanesi erano circa 800, ndr) nel 2018 – recita una nota della nostra ambasciata –, 1205 sono state negate »: il 95%. Una percentuale davvero consistente, tanto più rispetto alla media che dal 2013 al 2017 si assestava intorno al 40%. Tra le scuole di italiano maggiormente colpite dalla nuova politica di selezione c’è ’La Casa Italiana’, fondata nel 2015 nella capitale togolese Lomé, a tutti gli studenti della quale per la prima volta è stato rifiutato il visto: «Il comportamento della diplomazia italiana è inaccettabile – commenta Roberta Girgenti, direttrice dell’istituto –. Il mio lavoro, come quello di altre scuole italiane, consiste nel promuovere la nostra cultura in Africa attraverso varie iniziative, tra cui l’insegnamento della lingua.

    Ma l’anno scorso ci è stato impedito. Questi studenti non sono migranti pronti a partire con un barcone, ma cittadini africani che studiano per migliorare la loro vita e quella delle società in cui lavoreranno». Le nuove regole imposte dall’ambasciata lo scorso giugno sono sostanzialmente legate al patrimonio familiare. Gli studenti devono provare che loro e i membri della famiglia hanno introiti monetari regolari per mantenersi durante l’intero periodo scolastico in Italia. Inoltre la documentazione dev’essere presentata con un contributo di 50mila franchi Cfa, circa 75 euro.

    «Ho dimostrato che mio padre aveva un conto corrente con 30mila euro e riceveva 300 euro al mese di pensione – spiega Lawrence –. Poi ho mostrato gli ottomila euro sul mio conto (duemila in più rispetto al minimo richiesto, ndr) e gli oltre ventimila dei conti di mia mamma e mia sorella ».

    Nonostante ciò, Lawrence si è presentato due volte ad Accra per vedersi respinta la richiesta. Ma gran parte degli studenti de ’La Casa italiana’ e di un’altra scuola d’italiano a Lomé, il Clirap, ha ricevuto un rifiuto con la motivazione «insufficienza di mezzi finanziari». Una fonte dell’ambasciata giustifica la politica selettiva con il radicale aumento delle domande di visto e le diverse irregolarità di cui sono stati responsabili in passato gli studenti: falsi conti bancari, borse di studio richieste solo all’arrivo in Italia, ricerca di lavoro anziché proseguimento degli studi, eccetera. I giovani africani hanno avuto invece l’impressione che le loro richieste non siano state neanche esaminate, ma «rifiutate per principio».

    Per evitare le irregolarità, le scuole d’italiano in Togo hanno avanzato la proposta del ’credito rotativo’: il denaro potrebbe essere bloccato in un conto italiano per tutto il soggiorno dello studente. Dopo un incontro tra Roberta Girgenti e l’ambasciatore italiano in Ghana, Giovanni Favilli, l’idea è stata però bocciata per ragioni legate ad alcune esperienze negative. Non è chiaro se la scelta di dissuadere dalle partenze sia opera della nostra ambasciata ad Accra, o della Farnesina, o faccia parte delle direttive del governo italiano. Peraltro il ministro dell’interno Matteo Salvini ha scelto proprio il Ghana per avviare una politica di ’contenimento della migrazione’ che lo ha portato a visitare il Paese lo scorso novembre (ci tornerà il mese prossimo).

    Avvenire ne ha chiesto conto alla Farnesina, che in una nota fa sapere che l’ambasciata d’Italia ad Accra «ha applicato oggettivi criteri di controllo volti a contrastare tentativi di elusione della normativa. Ovviamente l’azione dell’ambasciata si pone sempre in linea con l’obiettivo di favorire la mobilità internazionale giovanile e contribuire all’internazionalizzazione del sistema italiano di istruzione superiore ». Lawrence, come altri suoi coetanei, è comunque determinato: «Voglio riprovare a chiedere il visto anche quest’anno – afferma lo studente –. Un’esperienza di studio in Italia potrà essere molto utile allo sviluppo del mio Paese’.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/stop-ai-visti-per-i-giovani-dafrica
    #visa #visas_étudiants #études #étudiants #visas #Italie #migrations #éducation #Togo #Ghana #migrants_togolais #migrants_ghanéens #fermeture_des_frontières

  • Roma. La buona accoglienza avrà solo 200 posti

    Con il nuovo bando, penalizzato (anche in termini economici) il sistema più virtuoso, quello degli appartamenti e dei piccoli spazi. Il 75% dei posti destinati ai grandi centri collettivi.
    Più grandi centri per immigrati e meno accoglienza diffusa, quella virtuosa. Quasi destinata a sparire. È quello che accadrà a Roma, dopo il nuovo bando della Prefettura della Capitale che applica le nuove indicazioni del Viminale. Eppure lo scorso 31 gennaio il ministro dell’Interno Salvini, in occasione dell’inizio dello sgombero del Cara di Mineo, aveva affermato con orgoglio: «Avevamo promesso la chiusura dei grossi centri e lo stiamo facendo». Ma a Roma i numeri dicono proprio il contrario. La prefettura ha, infatti, messo a bando 3.970 posti di accoglienza. Di questi solo 200, il 5%, saranno in accoglienza diffusa in appartamenti, altri 800, il 20%, sono in centri collettivi fino a 50 posti, mentre la parte del leone la fanno i centri collettivi da 51 a 300 posti che avranno 2.970 posti, pari al 75% del totale. Una scelta che applica alla lettera il decreto ministeriale del 20 novembre riguardante i famosi tagli dei 35 euro al giorno di finanziamento ai centri, riducendo beni e servizi per il loro funzionamento. Un’impostazione che favorisce i centri di grandi dimensioni, anche in termini economici. Così, sempre secondo il bando, i centri ad accoglienza diffusa riceveranno 21,35 euro al giorno a persona, quelli collettivi fino a 50 posti ne avranno 26,35, quelli fino a 300 posti 25,25. Un taglio rispettivamente di 13,65 euro, 8,65 e 9,75. Si penalizzano, dunque, i centri che operano meglio, quelli che fanno davvero integrazione, come dimostrato anche da un recente dossier della Caritas di Roma, e che coinvolgono anche parrocchie e ordini religiosi.

    L’idea, sbagliata, che c’è dietro alle scelte del Viminale, applicate dalla Prefettura romana, è che l’accoglienza diffusa costi di meno. Ad esempio perché le persone cucinano da sole. Ma non tiene in conto che il costo degli affitti e delle utenze è proporzionalmente più alto (più appartamenti invece di un unico grande centro) o che un operatore in una struttura collettiva fa il giro delle stanze in pochi minuti, invece nell’accoglienza diffusa deve fare il giro di dieci appartamenti. Nella logica ministeriale gli immigrati devono stare per conto loro nell’appartamento e ogni tanto andare in un ufficio per risolvere i problemi. Ma in realtà l’accoglienza diffusa è più difficile e più costosa. Invece i grandi centri riceveranno di più e spenderanno di meno, grazie ai tagli dei servizi. Secondo un’analisi degli esperti della cooperativa InMigrazione, nel precedente bando del 2018 le ore giornaliere del personale da garantire per utente accolto, era 0,74 per centri piccoli e medi e 0,67 per quelli grandi. Col nuovo bando si scende a 0,36 per piccoli e medi e a 0,17 per quelli grandi. Un evidente calo della qualità dell’accoglienza, anche se sempre Salvini aveva detto «sono orgoglioso del nostro lavoro per offrire servizi migliori ai veri profughi e per stroncare l’illegalità». Ma l’illegalità, come emerso da moltissime inchieste, da ’mafia capitale’ in poi, riguarda soprattutto le grandi strutture.

    Ma proprio queste perderanno meno delle altre. Infatti col taglio dei servizi, i centri piccoli e medi risparmieranno 4,94 euro al giorno pro capite, mentre quelli grandi 6,50. Alla fine la perdita, rispetto al bando del 2018 a 35 euro, sarà di 8,71 euro per i centri piccoli ad accoglienza diffusa, 3,71 per quelli medi e di 3,25 per quelli grandi. Quest’ultima cifra può essere tranquillamente tamponata dalle economie di scala garantite dai grandi numeri: è evidente che con 300 utenti è possibile ottenere un prezzo vantaggioso da un catering che fornisce pasti rispetto a 20 utenti. A questo punto molti piccoli gestori rinunceranno a partecipare alla gara, soprattutto chi non vuole risparmiare sulla pelle degli immigrati. E si faranno avanti gli affaristi che li metteranno negli appartamenti dicendo «fate quello che vi pare, basta che non date fastidio ai vicini», col rischio che si creino situazioni pericolose.

    Si spiega così, molto probabilmente, la scelta della prefettura di Roma di limitare appena al 5% l’accoglienza diffusa. Devono coprire 4mila posti ma, conoscendo bene la realtà cittadina, sanno che con questi tagli, si corre il rischio di avere poche risposta per l’accoglienza diffusa. Così riduce il numero ad appena 200 posti. E Roma potrebbe fare presto scuola. Con tanti saluti alla buona accoglienza.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/roma-la-buona-accoglienza-avr-solamente-200-posti
    #Rome #Italie #accueil #hébergement #logement #réfugiés #asile #migrations #décret_salvini #decreto_salvini #decreto_sicurezza #business
    ping @isskein

    • Accoglienza: nei nuovi bandi 21 euro a migrante. Via psicologi, trasporti tagliati

      Gianfranco Schiavone, vicepresidente Asgi, commenta i nuovi bandi della Prefettura di Milano per l’accoglienza ai richiedenti asilo. “La filosofia? Non devono muoversi, non hanno bisogno di parlare”. Cosa cambia? “Impossibile l’accoglienza diffusa, è diventato il servizio più economico di tutto il settore socio-assistenziale”

      “Il messaggio politico che si vuole mandare è chiaro: con i migranti non c’è nemmeno bisogno di parlare”. Usa questa sintesi Gianfranco Schiavone, vice presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), per definire i contenuti e le voci economiche dei nuovi bandi di Milano e area metropolitana e di altre città che si sono mosse mettendo a gara i centri per l’accoglienza degli stranieri. La Prefettura milanese è stata fra le prime, tra le grandi città, a pubblicare le gare per gli enti che vogliono gestire centri per richiedenti asilo nel 2019 e 2020: 2.900 posti complessivi, di cui 750 in appartamenti, 500 posti in strutture collettive fino a 50 posti, altri 1.650 per centri collettivi da 51 a 300 posti, a cui si aggiunge il Centro di accoglienza straordinaria “Caserma Mancini” di via Corelli 176. C’è tempo fino a metà marzo per rispondere all’appello della Prefettura, che ha scritto le gare basandosi sul nuovo capitolato della Direzione centrale del ministero dell’Interno. Lo ha fatto tagliando e sforbiciando soldi per le varie voci dell’accoglienza fino a scendere a una media di 21,35 euro per persona – più pocket money da 2,5 euro – per i centri da 50 posti di capienza. La filosofia che ci sta dietro? “Rendere impraticabile l’accoglienza diffusa e impossibile un minimo di qualità”, risponde Schiavone.
      Per il giurista “vengono penalizzate le strutture che non siano di mero parcheggio. Per cui la questione ora diventa che non siamo di fronte a un contenimento, anche drastico ma legittimo dei costi, ma all’impossibilità di fornire un servizio”. E secondo lui per rendersene conto basta “fare confronto con il costo di un qualunque piano freddo comunale per i senza dimora, dove peraltro si tratta di fornire servizi molto più ristretti. L’accoglienza agli stranieri diventerà il servizio più economico di tutto il settore socio-assistenziale, solo perché rivolto agli stranieri”.

      Sciorina numeri Schiavone: “Le basi d’asta non sono congrue, il più clamoroso scarto è su affitti e utenze. Nello schema di capitolato nazionale il ministero fa riferimento alla spesa mediana delle famiglie per affitti e utenze e le stima in 3,93 euro giornalieri per persona. In realtà i dati dall’Istat parlano di 11,91 euro. O è un clamoroso errore oppure una somma buttata lì. Un appartamento che ospita 5 persone secondo queste previsioni dovrebbe costare meno di 580 euro mensili tra affitto ed utenze. È impossibile che sia così a meno che non si tratti di situazioni degradate e geograficamente isolate con costi modesti, e ci sono aree di Italia in cui questo avviene, ma di certo non a Milano. L’associazione che vorrà realizzare accoglienza diffusa con i parametri del vecchio sistema Sprar non lo potrà fare”.

      Capitolo operatori sociali? “Viene stabilito che ce ne sarà 1 ogni 50 persone mentre la media Sprar era di a 1 a 10. Quindi l’operatore che deve gestire 10 appartamenti per 5 persone ciascuno come fa? Potrà seguire ogni ospite per dieci minuti al giorno, comprensivi di raccolta firme, distribuzione di beni, derrate alimentari, pocket money, mediazione linguistica e culturale. Le ore di dialogo sono 10 a settimana ogni 50 persone: significa 1,7 minuti al giorno”. Trasporti? “La logica del capitolato è quella per cui le persone non hanno bisogno di muoversi: 12 viaggi annuali da un massimo di 30 chilometri ciascuno. Significa non poter più frequentare i corsi di italiano gestiti dai Cpia (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, ndr) che non esistono nei paesini e si aggiunge al fatto che il decreto Salvini impedisce agli enti gestori di fare i corsi di italiano in loco, all’interno i centri. Qualcuno li raggiungerà a piedi ma i meno fortunati delle aree periferiche o hinterland non ce la faranno. L’Italia sarà l’unico Paese dell’Unione europea a non insegnare ai richiedenti asilo la lingua del Paese ospitante, con quella che è una politica del disprezzo per quanto riguarda la partecipazione di queste persone alla vita pubblica”.

      Tra i tanti temi sollevati dal vice presidente di Asgi anche quello delle persone vulnerabili: “Si parla solo di richiedenti asilo, senza nessuna differenza di categoria – spiega Schiavone –: Anziani? Bambini? Donne violentate? Uomini torturati? Nessun servizio specifico”. “Non è prevista nemmeno la figura dello psicologo che curiosamente viene mantenuta solo nel Centro per il rimpatrio, dove ci sono persone che con alta probabilità verranno espulse dall’Italia. Non c’è nessuna previsione di spesa per l’infanzia e le famiglie quelle scolastiche o per l’animazione dei bambini, come se non esistessero. Era indifferenziato anche il capitolato precedente, ma nel momento in cui l’aggancio economico era il parametro Sprar con cifre un po’ al di sotto dei famosi 35 euro, almeno le cooperative e le associazioni mosse da buona fede sopperivano a questa carenze. Erano le stesse prefetture a richiamare gli enti gestori a questi compiti, anche se ovviamente chi voleva fare poco e male non veniva obbligato. Sarebbe positivo se la politica decidesse di dettagliare queste voci. Nei nuovi bandi, incluso quello di Milano, non lo si fa: solo spariscono. Oppure non costano più nulla”.

      Da ultimo quello che Schiavone ipotizza essere un “profilo di violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo”. “Si parla chiaramente di fornitura di pasti e derrate alimentari – chiude Schiavone – a carico dell’ente gestore. Il punto è: queste persone non sono interdette, non sono in stato d’arresto, hanno anche doveri come il mantenimento della casa e possono uscire come e quando vogliono. Però si scrive che qualcuno gli deve portare la spesa a casa, come se non fossero in grado di farlo da soli, non potessero andare nei supermercati degli italiani per conto proprio”.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/620425/Accoglienza-nei-nuovi-bandi-21-euro-a-migrante-Via-psicologi-traspo

  • Des tribunaux français arrêtent des #renvois dans le cadre du #règlement_dublin vers l’#Italie... ceci car il n’y aurait pas de #garanties suffisantes pour les demandeurs d’asile...
    C’est évidemment une conséquence du #Decreto_Salvini (#décret_salvini), peut-être la seule conséquence positive...
    v. cet article paru dans un journal italien :

    L’odissea degli ultimi. « L’Italia vìola i diritti dei profughi »

    Tribunali francesi bloccano i rimpatri verso l’Italia: «Garanzie insufficienti per i richiedenti asilo». Anche da Londra una doppia sentenza della «corte superiore» apre a ricorsi di massa contro Roma.

    Francia e Regno Unito stanno respingendo sempre meno migranti verso l’Italia. Proprio quello che chiede il governo di Roma. La motivazione, però, non è lusinghiera. I tribunali esteri stanno annullando i trasferimenti perché il sistema giuridico e la prassi italiana sono «a rischio di trattamenti inumani o degradanti», e in «aperta violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

    Il campionario delle contestazioni è un’escalation di accuse. Si va dall’uso «eccessivo della forza nelle procedure di identificazione», per passare all’analisi delle «carenze sistemiche, in particolare per quanto riguarda il diritto alla casa e alla salute», arrivando alla «detenzione sistematica dei richiedenti asilo» durante la quale si svolgono «interrogatori sommari, indipendentemente dal trauma del viaggio appena vissuto, in assenza di considerazione per le particolari esigenze e i casi di vulnerabilità ». I magistrati transalpini non sono teneri neanche con le proprie autorità. Specie rimproverando la gendarmeria e le prefetture, che ordinano l’accompagnamento coatto alla frontiera italiana senza esaminare la situazione di ogni singolo straniero. Poi mettono sul banco degli imputati defezioni e anomalie nella gestione del fenomeno migratorio nel nostro Paese.

    Alcune sentenze riguardano casi esaminati all’epoca del governo Gentiloni. Ma da quando è in sella l’esecutivo pentaleghista i ricorsi dei migranti che soggiornano irregolarmente in Francia e che rischiano di venire respinti verso il Paese di primo approdo (come prevede il regolamento di Dublino) sono aumentati: tre solo nell’ultimo mese. Verdetti che fanno giurisprudenza e che già nei prossimi giorni fanno annunciare una pioggia di ricorsi da parte dei migranti arrivati irregolarmente in Francia. Il 15 ottobre, per stare a una delle sentenze più recenti, il tribunale amministrativo di Pau, ai piedi dei Pirenei, non lontano da Lourdes, ha annullato l’ordine di trasferimento emesso dal prefetto delle Landes contro un richiedente asilo. Nel decreto del giudice viene spiegato che spesso dopo i respingimenti in Italia i richiedenti asilo vengono abbandonati a sé stessi, «in condizioni a volte pericolose», non di rado costretti «a vagare per centinaia di chilometri». Inoltre, pur se in attesa dell’esame della domanda d’asilo, gli stranieri anche «a causa di ritardi amministrativi», finiscono per vivere nella precarietà, in situazioni di occupazioni abusive, «nei campi informali o in edifici fatiscenti ». Condizioni che non consentono di tutelare «i loro diritti, incluso quello alla salute».

    Persone che sopravvivono «grazie a enti di beneficenza» ma sono messe «sotto pressione dalle autorità che abitualmente evacuano i loro luoghi di vita senza proporre soluzioni risistemazione». L’avvocato parigino Alexandra Olsufiev è in prima linea nella difesa dei diritti dei migranti. «Per anni – spiega – i legali francesi hanno combattuto con poco successo i trasferimenti secondo il dettato di Dublino».

    I tribunali amministrativi «hanno sempre dato ragione alle prefetture che con i loro provvedimenti rispedivano in Italia i richiedienti d’asilo. Ma con la nomina del nuovo governo italiano le cose sono cambiate. I giudizi che cancellano i trasferimenti – osserva Olsufiev – si moltiplicano anche davanti alle Corti di appello». Non tutti i giudici addossano responsabilità esclusive sul governo italiano, spesso lasciato da solo a gestire le emergenze. Il 5 ottobre il tribunale amministrativo di Nantes ha annullato l’accompagnamento di un nordafricano fino al confine italiano perché l’afflusso di immigrati nella Penisola «rallenta l’elaborazione delle domande d’asilo», mettendo in difficoltà le autorità italiane che non sempre «sono in grado di adempiere ai propri obblighi nei confronti dei migranti richiedenti asilo».

    Anche da Londra, nonostante la Brexit e l’annunciata stretta sull’ammissione di stranieri, arrivano accuse all’Italia. Nei giorni scorsi è stato depositato dalla “Camera per l’immigrazione e l’asilo” del Tribunale superiore una sentenza di 102 pagine su fatti risalenti all’aprile 2018 (governo Gentiloni). Nelle motivazioni, però, non mancano riferimenti alla situazione attuale, su cui i giudici britannici si pronunciano senza andare per il sottile. Esaminando tre ricorsi di migranti arrivati illegalmente attraverso la Francia e destinati a rientrare in Italia, i magistrati hanno accolto due istanze depositate dallo studio legale ’Wilson Sollicitors”, fra l’altro istruiti da Giulia Tranchina, avvocato di origine milanese specializzato nel Diritto d’asilo e dei migranti. Il Tribunale ha concluso che S.M. (un cittadino sudanese, con status di rifugiato in Italia) giunto illegalmente nel Regno Unito, «ha vissuto eventi traumatici» e a causa di queste esperienze «soffre di gravi problemi di salute mentale». In Italia, però, non è stato adeguatamente assistito.

    Anche R.K. (un cittadino eritreo) è stato riconosciuto come «persona vulnerabile », alla luce della natura «dei maltrattamenti subiti in Eritrea e altrove e che hanno causato o almeno contribuito a ciò che riteniamo come una seria disabilità mentale e fisica». La corte riconosce come l’Italia sia «sotto pressione» a causa dell’afflusso di migranti, ma ritiene «provato» che l’iter delle domande d’asilo e le possibilità offerte ai migranti di poter manifestare e provare la propria condizione di rifugiati siano lacunose. L’accesso agli Sprar (prima delle ulteriori restrizioni entrate in vigore con il Decreto Sicurezza) era già allora ritenuto come «incerto», con lunghe liste d’attesa e senza garanzie per le persone vulnerabili.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/litalia-vola-i-diritti-dei-profughi
    #expulsions #renvois_Dublin #asile #migrations #réfugiés #France #UK #Angleterre

    • Italy: Vulnerable Dublin Returnees at Risk of Destitution

      Asylum seekers returned to Italy under the Dublin Regulation face arbitrary access to accommodation, risks of destitution and substandard reception conditions despite Italy’s obligation to provide guarantees of adequate treatment, according to a report published this week.

      The report, prepared by the Danish and Swiss Refugee Councils, contains 13 case studies of Dublin return of asylum seekers with different vulnerabilities, ranging from single-parent families to persons suffering from mental disorders and victims of violence. The European Court of Human Rights clarified in Tarakhel v. Switzerland that Member States should obtain assurances from the Italian authorities that asylum seekers with special needs would be adequately accommodated prior to carrying out a transfer.

      The report illustrates the arbitrariness underlying Dublin returnees’ reception by the authorities, timely access to accommodation and to the asylum procedure, and quality of reception conditions. Many asylum seekers have had to wait for several hours or even days without any support at airports such as Rome Fuimicino and Milan Malpensa before being received by the Italian police. Some Dublin returnees are denied access to the Italian reception system upon arrival altogether or must wait a long time before they are accommodated in second-line reception facilities (SPRAR). Substandard conditions in first reception centres and temporary reception centres (CAS) are widely reported, falling far below standards for persons with special needs.

      Access to the asylum procedure is equally problematic. Asylum seekers returned under the Dublin Regulation have to approach the Immigration Office of the Police (Questura) to obtain an appointment to lodge their claim. However, the delay for such an appointment reaches several months in most cases.

      The risks of destitution and exposure to unacceptable reception conditions upon return from other countries have been been exacerbated by the entry into force of Decree-Law 113/2018, recently confirmed by Law 132/2018, following which only beneficiaries of international protection and unaccompanied children are eligible for reception in SPRAR. Accordingly, the vast majority of asylum seekers will only have access to first reception centres and CAS which offer very limited support.

      The reform has prompted some Member States to re-examine the legality of Dublin procedures vis-à-vis Italy, with some domestic courts suspending individual transfers on account of an increasingly hostile environment on migration. The Dutch Immigration and Naturalisation Service (IND) is revising its policy on Dublin transfers of families with children to Italy in light of the reform. Transfers of families have been suspended pending further investigations into the situation of asylum seekers in the country.

      https://www.ecre.org/italy-vulnerable-dublin-returnees-at-risk-of-destitution

  • Migranti, la grande espulsione. Quarantamila fuori dai centri

    In vigore il decreto sicurezza. Senza lavoro 15mila operatori. Mattarella difende patto Onu

    I migranti sotto protezione umanitaria dovranno lasciare anche i centri di prima accoglienza. Tutti, anche famiglie con bambini. La comunicazione arriva dalle Prefetture. Prime espulsioni in tutta Italia.
    Rischiano 40mila persone, 15mila operatori perderanno il lavoro.

    Fuori dagli Sprar, come prevede la legge Salvini, ma anche fuori dai Cas e dai Cara, secondo una “conseguenziale” interpretazione data dai prefetti di tutta Italia che, da qualche giorno, hanno cominciato a riunire i gestori dei centri comunicando loro che i titolari di protezione umanitaria dovranno lasciare anche le strutture di prima accoglienza. Tutti, comprese donne e famiglie con bambini. Già ieri 26 persone sono state invitate a lasciare immediatamente il Cara di Isola Capo Rizzuto in Calabria: tra loro una donna incinta e un bambino di cinque mesi, subito presi in carico dalla Croce Rossa.

    Tutti migranti regolari, tutti con documenti di identità e permesso di protezione umanitaria, tutti destinati alla strada come altri 40mila, questa la stima fatta dalle associazioni di settore, interessati dai provvedimenti dei prefetti che, chi con data perentoria chi con maggiore elasticità a difesa delle situazioni più vulnerabili, hanno
    così allargato a dismisura la portata della legge Salvini, di fatto privando di qualsiasi tipo di accoglienza i titolari di protezione umanitaria.

    E proprio nel giorno in cui da Verona il presidente della Repubblica richiamava ad un senso di comune responsabilità nell’affrontare il problema dell’immigrazione «un fenomeno che non è più di carattere emergenziale ma strutturale e quindi costituisce una delle grandi sfide che si presentano all’Unione europea e a tutto il mondo ed è un’esigenza che richiama alla responsabilità comune».

    Mattarella, facendo appello all’Unione europea ad «assumere questo fenomeno che non va ignorato ma affrontato» ha implicitamente invitato il governo italiano (che non intende sottoscriverlo) a leggere il Global Compact delle Nazioni Unite «prima di formulare un giudizio perché non si esprimono opinioni e giudizi per sentito dire».

    https://www.meltingpot.org/Migranti-la-grande-espulsione-Quarantamila-fuori-dai-centri.html

    #chômage #Decreto_Salvini #Italie #SDF #sans-abri #asile #migrations #réfugiés

    • Dl Sicurezza, 24 migranti cacciati dal Cara di Isola Capo Rizzuto e portati in stazione: “Non hanno un posto dove andare”

      La prefettura di Crotone ha deciso di far uscire il gruppo per applicare il provvedimento appena approvato dal Parlamento. Gli stranieri sono in possesso del permesso di soggiorno umanitario e pur avendo diritto di stare in Italia, non possono beneficiare del diritto d’accoglienza nel sistema Sprar o restare nel sistema di prima accoglienza

      Ventiquattro migranti hanno dovuto lasciare il Cara di Isola Capo Rizzuto, a seguito di un provvedimento emesso dalla prefettura di Crotone in ottemperanza al decreto Sicurezza approvato nei giorni scorsi in Parlamento. Gli stranieri sono in possesso del permesso di soggiorno umanitario e pur avendo diritto di stare in Italia, non possono beneficiare del diritto d’accoglienza nel sistema Sprar o restare nel sistema di prima accoglienza. Il gruppo, nonostante la protesta organizzata nel pomeriggio per chiedere di non lasciare il centro, è stato fatto salire su un pullman e accompagnato alla stazione ferroviaria di Crotone.

      Lì c’erano ad attenderli i volontari delle associazioni che si occupano di assistenza e che si stanno adoperando per trovare per loro una sistemazione temporanea per la prossima notte. I rifugiati allontanati dal Cara, infatti, non hanno un luogo dove andare e per evitare che passino la notte all’addiaccio, è intervenuta la rete delle associazioni solidali di Crotone. L’accoglienza, però, secondo quanto hanno spiegato queste ultime, potrà essere garantita solo per pochi giorni, dopodiché dovranno tornare in strada. Nella stazione ferroviaria di Crotone, ci sono i volontari di Legacoop Calabria, che stanno fornendo loro assistenza. Secondo Pino De Lucia, responsabile immigrazione di Legacoop Calabria, “i costi per eventuali casi speciali che riguardano migranti minori, malati e disabili, sono a carico dei Comuni ospitanti, con notevole aggravio per le casse degli enti locali”. Tra le persone destinatarie del provvedimento c’è anche una giovanissima coppia, lei nigeriana, lui ghanese, con una bambina di cinque mesi, che sarà ospitata, assieme ad un’altra donna, a Crotone a cura della Croce Rossa e della Caritas, con vitto e alloggio assicurato per una ventina di giorni.

      Il Cara di #Isola_di_Capo_Rizzuto era finito al centro delle polemiche a maggio 2017, dopo l’arresto per ‘ndrangheta di 68 persone. Secondo quanto rivelato nelle indagini, dei 100 milioni di euro stanziati negli ultimi 10 anni per i migranti, 32 andavano alla ‘ndrangheta. Secondo i pm la cosca Arena, era riuscita ad aggiudicarsi gli appalti indetti dalla prefettura di Crotone per le forniture dei servizi di ristorazione al centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto e di Lampedusa. Le indagini rivelarono anche che venivano dato cibo per maiali ai migranti.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/30/dl-sicurezza-24-migranti-cacciati-da-cara-di-isola-capo-rizzuto-e-portati-in-stazione-non-hanno-un-posto-dove-andare/4804833/amp/?__twitter_impression=true

    • I primi effetti del decreto (in)sicurezza

      I primi effetti del decreto (in)sicurezza confermano, purtroppo, quanto in molti stiamo denunciando da settembre, da quando la bozza del decreto ha iniziato a circolare.
      Sono già diverse decine le persone, alcuni bambini piccolissimi, costretti a stare per strada perché impossibilitate ad accedere alle strutture di seconda accoglienza (sono di ieri le prime circolari emanate da diverse Prefetture).
      Se il Presidente della Repubblica firmerà la legge licenziata dalla camera, la situazione, nel medio e lungo periodo, peggiorerà sempre più. Migliaia di persone saranno costrette all’esclusione e alla marginalità sociale in nome della demagogia e del populismo.

      A pagare il prezzo più alto saranno i più deboli, come al solito d’altronde, costretti a vivere sempre più ai margini, lontano dagli occhi dei più, nelle baraccopoli che affollano le periferie dalle nostre città e delle nostre campagne, come quella nella piana di Gioia Tauro dove ieri sera è morta un’altra persona, in quei «ghetti» utili a chi domanda lavoro da sfruttare per incrementare i propri profitti, quelli attarversati della violenza che, in quei luoghi, colpisce soprattutto le donne, le più invisibili tra gli invisibili.
      Chi guadagnerà in tutto ciò? Solo sciacalli e criminali:
      – i politicanti che proveranno a tradurre in consenso la frustrazione della gente che vede il proprio nemico in chi è affamato e non in chi affama;
      – gli enti gestori e il considerevole indotto economico creato da quei luoghi di detenzione amministrativa chiamati centri per il riconoscimento e il rimpatrio in cui le persone saranno recluse fino a 180 giorni senza aver commesso alcun reato per essere poi rilasciate in condizione di irregolarità sul territorio;
      – le aziende senza scrupoli che sfrutteranno il lavoro privato di diritti degli uomini e delle donne colpite dagli effetti del decreto (in)sicurezza;
      – le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta della prostituzione e il traffico di stupefacenti;
      – chi potrà acquistare, o meglio riacquistare, i beni sequestrati alle organizzazioni mafiose.

      Ognuno di noi deve decidere da che parte stare, sono sicuro che la maggioranza delle persone per bene, di chi crede nell’eguaglianza, nei diritti umani, non starà con le mani in mano.
      Noi continueremo a resistere, disubbidiremo e ci organizzeremo per contrastare la barbarie, come già stiamo facendo, e lo faremo sempre meglio.
      Touche pas à mon pote, non toccare il mio amico! Non toccate i nostri fratelli, non toccate le nostre sorelle!

      https://migr-azioni.blogspot.com/2018/12/i-primi-effetti-del-decreto-insicurezza.html?m=1

    • Dl sicurezza, in 24 allontanati da Cara

      Prima notte fuori dal Centro accoglienza richiedenti asilo di #Isola_Capo_Rizzuto, tra disagi e preoccupazione, per i 24 migranti in possesso di permesso umanitario allontanati in ottemperanza al Decreto Sicurezza. Solo una parte di loro è riuscita a trovare un tetto a Crotone dove sono stati accompagnati: una giovanissima coppia di origine africana con la loro bambina di cinque mesi, ospitati da Croce rossa e Caritas per una ventina di giorni e quattro donne, vittime di tratta, accolte provvisoriamente dalla cooperativa l’Agorà. Gli altri componenti del primo gruppo - altri ne usciranno lunedì per un totale stimato in 200 che dovranno lasciare la struttura entro la prossima settimana - si sono dovuti accontentare di soluzioni di fortuna probabilmente all’interno della baraccopoli sorta in corrispondenza del cavalcavia nord della città di Crotone. In base a quanto stabilisce il Dl Sicurezza, i migranti destinatari dei provvedimenti, pur avendo diritto a stare in Italia, non possono beneficiare del diritto all’accoglienza nel sistema Sprar. Né possono restare nel sistema di prima accoglienza. Da ieri sera, nella città calabrese meta di numerosi sbarchi di migranti, le associazioni che si occupano di accoglienza e assistenza si sono attivate per trovare soluzioni alla problematica.

      http://www.ansa.it/calabria/notizie/2018/11/30/dl-sicurezza-in-24-allontanati-da-cara_6f548eae-48de-46a0-bc22-d0bfb015180f.htm

    • Migranti, trattenute a #Malpensa senza assistenza

      Due donne, una cubana e una senegalese, sono bloccate all’area arrivi dell’aeroporto, rispettivamente da 96 e da 51 ore. Erano di rientro da un periodo di vacanze nel loro Paese d’origine e al controllo documenti hanno scoperto che i loro permessi di soggiorno sono stati revocati. Negato finora negato il permesso di incontrare un avvocato.

      Stavano tornando in Italia dove un periodo di vacanze nel loro Paese. Ma agli arrivi dell’aeroporto di Malpensa hanno scoperto che il loro permesso di soggiorno era stato revocato. E ora sono bloccate in aeroporto, nell’area dei controlli dei documenti, senza poter incontrare qualcuno che possa dare loro assistenza legale. E’ quanto sta avvenendo a due donne straniere, una cubana e una senegalese, accomunate ora dal fatto di vivere in un limbo. La donna cubana è trattenuta a Malpensa da 96 ore, mentre quella senegalese, che è anche in stato di gravidanza, da 51 ore. Da questa mattina in aeroporto è presente Giulia Vicini, avvocata dell’Associazione studi giuridici dell’immigrazione (Asgi): “Il problema è che non mi permettono di incontrare le due donne –spiega-. Non mi fanno accedere nell’area dove sono trattenute, con la motivazione che si tratterebbe di territorio internazionale, non sottoposto alla giurisdizione nazionale”. L’avvocata contesta questa motivazione. “E’ come se dicessero che in aeroporto c’è una zona che non è Italia. Il fatto stesso che siano trattenute lì significa che ci sono funzionari della polizia e quindi stanno esercitando la giurisdizione”. Per cercare di sbloccare al più presto la situazione (il volo di ritorno per la donna senegalese partirà in serata) ha mandato due mail pec al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. “Il problema di fondo è che se non incontrano un avvocato queste due donne non possono firmare il mandato per presentare il ricorso. Viene loro negato il diritto di fare ricorso”.

      Alla signora senegalese il permesso di soggiorno sarebbe stato revocato per insufficienza del reddito. La donna cubana ha ottenuto la cittadinanza italiana, ma deve ancora fare il giuramento e le è stato revocato il permesso di soggiorno perché non è più convivente con il marito, dal quale si sarebbe separata. “Si tratta di revoche contestabili perché si basano su interpretazioni secondo noi errate delle norme in materia”, sottolinea l’avvocata Giulia Vicini. Ma, comunque, al di là degli aspetti giuridici delle revoche dei permessi di soggiorno, il problema ora è che sono trattenute a Malpensa senza poter ricevere assistenza.

      Il caso delle due donne ricorda quello della famiglia marocchina di cui si è occupato Redattore sociale: padre, madre e quattro figli, in Italia da oltre un decennio. Al ritorno da un periodo di vacanza, la donna ha scoperto che il suo permesso di soggiorno era stato revocato. Lei, con tre dei figli, ha dovuto fare ritorno in Marocco, lui è rimasto in Italia con la più piccola. Hanno fatto ricorso e, dopo più di un anno, hanno ottenuto il permesso di rientrare in Italia e vivere di nuovo tutti insieme.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/609515/Migranti-trattenute-a-Malpensa-senza-assistenza
      #aéroport #limbe

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      Aggiornamento del collega Dario Paladini: la donna senegalese è stata rimpatriata nella serata di ieri, la donna cubana ancora in aeroporto #Milano #Malpensa

      https://twitter.com/EleonoraCamilli/status/1069164388765102080

      Aggiornamento/2 Anche la signora cubana è stata rimpatriata. Ieri sera sul tardi. E senza aver potuto parlare con un avvocato. (Dario Paladini)

      https://twitter.com/EleonoraCamilli/status/1069332199625973760

    • Decreto sicurezza. È caos accoglienza. Scoppia il caso #Mineo

      Famiglie e bambini verranno allontanati a giorni. Il vescovo eri: «Abbandonare i cani è reato. Lasciare persone per strada ’è legge’. Se serve apriremo le chiese per dare un tetto»

      Ieri sarebbe dovuto toccare a una mamma con la sua bambina colpita da broncopolmonite. Ma la cacciata dei migranti dal Cara di Mineo, il più grande d’Italia, è stata posticipata di qualche giorno. Le istituzioni non si occuperanno di dare un tetto alle famiglie con bambini escluse dal sistema di protezione, ma il vescovo di Caltagirone non ci sta, e ha già trovato 40 posti letto. Se non bastassero, «apriremo anche le chiese per alloggiare queste persone», annuncia monsignor Calogero Peri. Entro l’11 dicembre quasi 90 persone su 1.800 verranno accompagnate fuori dalla struttura. Poi ne seguiranno altri secondo una tabella di marcia non ancora precisata.

      A pochi giorni dal Natale, l’Italia mostra il suo volto peggiore. Verranno allontanati anche bambini da 1 a 12 anni, molti dei quali nati proprio in Sicilia durante la permanenza dei genitori nel Centro per richiedenti asilo. L’ultima volta il cappuccino Peri ne ha battezzati 11 e il rito dell’amministrazione dei Sacramenti non di rado si tiene nella cattedrale di Caltagirone, coinvolgendo così tutta la diocesi. Ma adesso questi bambini figli di migranti non solo dovranno trovarsi un tetto, ma saranno costretti ad abbandonare la scuola dell’obbligo, almeno fino a quando non raggiungeranno un’altra città italiana dove riorganizzare un futuro sempre più in salita. Nessuno dei cacciati potrà tornare nei Paesi d’origine e, dovendo vivere in “clandestinità”, non è neanche certo che i bambini continueranno gli studi da qualche altra parte.

      E pensare che il Cara «fu fortemente voluto da Forza Italia e dalla Lega Nord, rispettivamente nella persona di Silvio Berlusconi, presidente del consiglio, e di Roberto Maroni, ministro dell’Interno», ricorda Calogero Peri. Una decisione che fu imposta «contro le alternative proposte dai sindaci del territorio». Nei giorni scorsi il ministro Salvini ha provato a rassicurare: «Sembrava a leggere i giornali che io buttassi fuori la notte della vigilia di Natale donne incinte, bambine e anziani: chi è nello Sprar arriva alla fine del percorso Sprar, se uno ha ancora un anno sta lì un anno». Affermazione che elude la situazione di tutte le altre strutture di permanenza, come i Centri per richiedenti asilo. Proprio come a Mineo. Quello del presule siciliano è però un richiamo alle coscienze: «In Italia, specialmente prima delle vacanze estive, passa una bella pubblicità: non è civiltà abbandonare i cani per strada e chi lo fa è punito dalla legge. Invece, abbandonare per strada i migranti o, se sembra troppo forte, “accompagnarli” e lasciarli per strada, è “sicurezza”, è legge». I timori sono diffusi in tutta la Penisola. In Lombardia la cooperativa Aeris, con oltre 300 migranti ospitati in circa 150 appartamenti tra Milano, Monza e Lecco, prevede che già solo in questo mese di dicembre rimarranno senza tetto una trentina di migranti con la protezione umanitaria, visto che il decreto Salvini ha loro sbarrato l’accesso ai progetti di accoglienza dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. E nei prossimi mesi saranno almeno dai 20 ai 30 gli operatori (soprattutto mediatori culturali) che perderanno il lavoro.

      Il “Progetto Arca”, che attualmente accoglie 500 migranti a Milano, stima che nei prossimi mesi almeno un terzo sarà costretto ad arrangiarsi. Contemporaneamente i mediatori ai quali non verrà rinnovato il contratto a progetto sono una settantina. E la Caritas Ambrosiana prevede che almeno mezzo migliaio di stranieri finiranno a ingrossare le fila dei senzatetto. «Non ci interessa fare i bed & breakfast dei migranti – spiega Alberto Sinigallia, presidente di Progetto Arca – . Oggi prendiamo dai 27 ai 29 euro al giorno per persona ospitata. Con i nuovi bandi delle prefetture non ci sarà più obbligo di garantire neanche corsi di lingua, l’assistenza medica e i percorsi di integrazione. Il prezzo più basso servirà solo per offrire vitto e alloggio. Ma non è la nostra mission». Il decreto sicurezza finirà per rendere più difficile anche i controlli sui malintenzionati. Trasformare i centri d’accoglienza in dormitori senza alcun progetto farà la fortuna di stranieri come i tre richiedenti asilo nigeriani arrestati ieri a Lucca per spaccio di droga e che fino a qualche tempo fa stavano in una struttura per migranti controllata a vista dalla Croce rossa. Le “mele marce” certo non mancano. Ieri la Guardia di finanza di Ferrara ha perquisito 16 strutture attive nell’accoglienza dei migranti.

      Secondo gli investigatori vi sarebbero stati abusi sulla rendicontazione dei servizi erogati, con conseguente danno alle casse pubbliche. L’unica alternativa sembrano essere proprio quegli Sprar che il governo non ha voluto incentivare. Al contrario la Regione Campania chiede all’esecutivo 10 milioni per sostenere le attività di integrazione dei migranti. «Il nostro obiettivo principale – spiega Franco Roberti, assessore regionale alla Sicurezza – è sostenere le attività degli Sprar in tutte le province della Campania».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/caos-accoglienza-scoppia-il-caso-mineo

    • New Italian law adds to unofficial clampdown on aid to asylum seekers. “Hundreds have already been expelled from reception centres”

      Tens of thousands of vulnerable asylum seekers have lost their right to two-year residency permits and integration services in Italy after new legislation championed by the populist government’s right-wing Interior Minister Matteo Salvini was signed into law this week.

      But over the past two years thousands have already had government services to which they were entitled cut or curtailed, according to interviews with asylum seekers and legal experts over several months, as well as government responses to dozens of freedom of information requests.

      One in every three asylum seekers who arrived in more than half of Italy’s local government prefectures over the past two years has either left or been evicted from their government-run accommodation, according to information IRIN obtained from local governments.

      A request for comment on these findings to the Italian interior ministry went unanswered at time of publication.

      Aid groups warn that the new law will compound an existing crisis in Italy, which is struggling to cope with providing basic services to some 180,000 refugees and asylum seekers awaiting decisions and an estimated 500,000 undocumented migrants – many of whom have already fallen out of the reception system.

      In addition to granting five-year residence permits to refugees and to asylum seekers who meet “subsidiary protection” criteria, Italy has for the past 20 years granted two-year residency permits to a wider group of migrants on comparatively flexible “humanitarian protection” grounds – broadly interpreted as those who aren’t refugees but who can’t be sent home either.

      The controversial new Decree-Law on Immigration and Security, signed by President Sergio Matterella on Monday, scraps “humanitarian protection” altogether and introduces new “special permits” for a much narrower group that comprises: victims of domestic violence, trafficking, and severe exploitation; those with serious health issues; those fleeing natural disasters; and those who commit acts of civic valour.

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      The Decree-Law on Immigration and Security in brief
      “Humanitarian protection” residency permits – granted to one in four asylum seekers last year – abolished
      Asylum seekers lose access to integration services until their application is granted
      Network of reception centres drastically downsized
      Withdrawal of refugee status made easier
      Maximum detention time in “repatriation centres” doubled to six months
      Fast-track expulsions for “socially dangerous” migrants

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      In 2017, 20,166 people – around 25 percent of the total who sought asylum – were granted “humanitarian protection”. Those who lose their permits also lose their right to work and their right to stay in the best facilities that have services to help them integrate into Italian society.

      Only 25,000 places are available in Italy’s longer-term, government-run reception system, known by its Italian acronym SPRAR, which typically provides high standards of care. This means that more than 150,000 people waiting for decisions on their asylum applications, or 80 percent of the total, are housed in more than 9,000 supposedly temporary accommodation facilities, known by the acronym CAS. These are for the most part managed by commercial entities with no track record in providing housing and services for asylum seekers, and have been associated with corruption and substandard living conditions.

      Some asylum seekers formerly granted “humanitarian protection” are already being forced out of the SPRAR facilities, meaning they also lose out on integration measures such as language classes and work skills courses.

      "Hundreds have already been expelled from reception centres throughout Italy, and left homeless at a moment’s notice,” Oliviero Forti, head of the migration division for Caritas in Italy, told IRIN. “In some places, like Crotone, our charity shelters have been overwhelmed over the weekend. Some very vulnerable individuals, such as pregnant women or persons with psychiatric conditions, are being put on the street without any support measure and, incredibly, government-managed facilities are calling upon Caritas for help.”
      An attempt to reduce arrivals

      Italy overtook Greece in 2016 as the main European entry point for migrants and asylum seekers, receiving 320,000 people in the past two years – the vast majority entering on small, overcrowded vessels operated by smugglers across the Mediterranean from North Africa, or after being rescued en route.

      Salvini, also deputy prime minister, leads the far-right League Party and campaigned on a strongly anti-immigration platform during the March general election. Shortly after taking office in June as part of a fractious ruling coalition with the populist and anti-EU Five Star Movement, Salvini closed the country’s ports to migrant rescue ships.

      Migrants who arrive in Italy by boat typically spend their first two days in initial arrival facilities known as “hotspots”, mostly concentrated in Sicily, where identification procedures take place. Those who are prima facie determined to have a legitimate basis to claim asylum are entitled to a place in the SPRAR system, even if the majority don’t get one.

      These are small facilities evenly distributed across the country, organised by the Interior Ministry and managed by humanitarian organisations with experience working with migrant populations. They are known for providing a high standard of basic services as well as vocational training and psychological counselling. The 25,000 available placements have typically been reserved for the most vulnerable cases, such as minors who are victims of trafficking.

      Under Salvini’s new law, only people who are granted a visa – a process that can take several years — may be placed in SPRAR facilities, not asylum seekers. Migrants and asylum seekers will be sent to a CAS.

      Médecins Sans Frontières warned in a statement that the new law will have a “dramatic impact on the life and health of thousands of people”. MSF said that “over the years it operated inside CAS”, its workers found that prolonged stays in the centres “deteriorates migrants’ mental health” and “hampers their chances of integrating successfully into society”.

      The coalition government promised that Salvini’s new law would result in half a million deportations. Past deportation rates suggest it will be difficult to keep that promise, analysts say. What does seem likely, they say, is that larger numbers of asylum seekers will be detained for longer periods. Salvini’s law doubles to six months the time new arrivals can be held in “repatriation” centres while their identities and nationalities are being confirmed.

      Added to the 30-day detention period many face in hotspot facilities, this means asylum seekers can now be detained for up to seven months without having committed any crime.

      Another measure within the new legislation suspends refugee protections for those considered “socially dangerous” or who are convicted of crimes, even in the first of Italy’s three-stage conviction process.
      Already in crisis

      Based on IRIN’s analysis of responses to freedom of information requests received from 53 of Italy’s 103 prefectures (the others did not reply), the Italian reception system is unable to retain its guests, partly due to a lack of integration opportunities and medical care. More than 28,000 residents have left the temporary facilities over the last 24 months, either because local governments withdrew their right to assistance for alleged violations of certain rules or because the migrants and asylum seekers decided to leave of their own accord.

      Interviews with legal experts, social workers, dozens of migrants, and analysis of the withdrawal orders shows a pattern of widespread violations of migrants’ legal rights in the reception centres, with local authorities sometimes complicit in the abuses.

      The CAS centres – for the most part private-sector hotels and apartments identified and approved by local government – are in theory just one link in a complex and poorly regulated chain of migrant accommodations. But because the SPRAR centres are full to capacity, they have taken on a spill-over function.

      A migrant can be entitled to remain in Italy as an asylum seeker or refugee, but can still lose, with a “withdrawal order”, all institutional support, such as accommodation, training, medical care etc. Under EU law that is legally binding in Italy, withdrawal orders should only be issued as a last resort, to punish violent conduct or severe abuse of the reception benefits.

      Dozens of interviews with former and current CAS residents – as well as withdrawal orders and communications between reception centre managers and government officials seen by IRIN – reveal that this regulation is frequently abused, sometimes to retaliate against residents who protest their treatment within the facilities. Minor infringements such as returning to centres late are routinely penalised, sometimes retroactively, with criteria that vary massively from one prefecture to another – including, sometimes, withdrawal notices.

      The abuse of withdrawal orders “infringes both EU and Italian law, depriving migrants of basic human rights,” said Dario Belluccio, a lawyer and the director of ASGI, a leading association of immigration law scholars.

      Those who receive a withdrawal notice – the number could spike under Salvini’s new law, with more asylum seekers being deemed “socially dangerous” or found guilty of minor infractions – instantly lose their place in a residence centre, a €75 monthly allowance, and virtually all institutional support.

      Those who leave the centres often move to migrant shanty towns, which tend to lack water and electricity and where severe labour exploitation and sex trafficking thrive.

      Helped by the unsatisfactory conditions in the reception system, the shanty towns have grown in size over the past few years. In these communities, migrants often find it difficult to obtain basic services such as healthcare as well as the legal assistance needed to follow up on asylum applications.
      No permit, no job, no home

      Even without a withdrawal order, more asylum seekers and migrants may soon find themselves without access to shelter or services provided by the government. That’s already the case for Becky*, a Nigerian woman in her 20s who was trafficked to Italy for sex work. A social worker familiar with her case, who spoke to IRIN on condition of anonymity for security concerns, said that shortly after arriving in Italy two years ago Becky was forced by her trafficker to leave the reception facility in which she was placed to move to a large shanty town in the province of Foggia.

      When local anti-trafficking authorities became aware of Becky’s case after questions were raised during her asylum interview earlier this year, they offered her a place in a protection facility. But such facilities demand that residents give up their mobile phones to ensure that traffickers can’t track them. Residents are limited to one weekly call to a family member while trafficking allegations are being investigated.

      “It is not an easy choice to make, and she didn’t take up that opportunity,” said the social worker.

      Days before the new immigration law was passed by parliament last month, Becky was issued a humanitarian residence permit by the local asylum commission. But under the new law, authorities are no longer able to distribute the permits, even after they have been granted. “It is not a matter of will, it is literally a matter of police no longer having a button on their computers to print a humanitarian permit,” the social worker noted.

      Without documents, Becky can’t look for a job or new accommodation. So she remains in the shanty town, exactly where her trafficker placed her two years ago.

      https://www.irinnews.org/news-feature/2018/12/07/new-italian-law-adds-unofficial-clampdown-aid-asylum-seekers

    • Vulnerable migrants made homeless after Italy passes ’Salvini decree’

      Decree named after leader of far-right party abolishes humanitarian protection for those not eligible for refugee status.

      Dozens of migrants, including victims of sex trafficking and a child with mental health problems, have been removed from so-called “welcome centres” in Italy as the populist government’s hardline immigration measures kick in.

      The “Salvini decree” – named after Matteo Salvini, interior minister and leader of the far-right League – won a vote in parliament last week and was formally endorsed by the president Sergio Mattarella on Monday.

      The main element of the bill, which abolishes humanitarian protection for those not eligible for refugee status but who cannot be sent home, was however retroactively applied by the interior ministry’s representative in Crotone, a province in the southern Calabria region, where last Friday 24 people were forced to leave a centre in the town of Isola Capo Rizzuto.

      The evictions are not only affecting those whose request for protection on humanitarian grounds is pending approval, but also those in possession of permits to stay, despite the law stipulating that their status should be maintained.

      The majority of migrants who have arrived in Italy in recent years have been granted humanitarian protection, with some 100,000 people estimated to hold the permit, which is valid for two years and enables them to work.

      Among those stranded in Isola Capo Rizzuto were a young couple with a five-month-old daughter, two victims of sex trafficking and a boy suffering from mental health problems.

      “When the police came to tell us that we couldn’t stay there anymore, I couldn’t believe my ears,” Blessing, a 31-year-old victim of sex trafficking from Nigeria, told the Guardian. “They took all of our belongings and escorted us out. There was a young girl in our group. This is outrageous. I have a legal permit to stay. And soon I may not have a roof over my head. I’m really frightened.”

      Blessing found temporary shelter in a Red Cross charity facility in Crotone while the rest have also been accommodated with the help of other charities and the town hall.

      “What happened here is crazy,” said Francesco Parisi, president of Crotone’s Red Cross. “You can’t just leave vulnerable people on the street. This is a violation of human rights. We are going to take care of these people now, but I hope things will change.”

      Alessia Romana, a social policies councillor in Crotone, said the local authority was trying to manage the situation.

      “The council has a moral obligation but also the juridical obligation to take care of these people,” she said. “Up until now, the system in #Crotone worked well. We managed to give reception and there wasn’t any trouble; migrants and locals co-existed.”

      A similar measure was applied in Potenza, a city in the southern region of Basilicata, with the interior ministry prefect there announcing last week that “humanitarian protection holders” must be “invited to leave” welcome centres.

      Once humanitarian protection permits are received, people are supposed to leave centres on the first rung of the migrant reception system and move to an accommodation in which they can benefit from integration programmes. But slow-moving bureaucracy and limited space means that those with permits end up staying in the first-rung centres for longer.

      A dozen or so others have been asked to leave a welcome centre in #Caserta, Campania, according to Italian press reports, while hundreds are expected to be evicted from Cara di Mineo, Europe’s second largest migrant reception centre, in the coming days.

      The number is likely to rise as the bill, which Salvini has described as a “gift to Italians”, takes effect. The loss of protection will also mean hundreds of people suddenly becoming “illegal” immigrants, with Italy’s national statistics office estimating that the decree will make 130,000 migrants illegal by 2020.

      “What we have been witnessing recently leads us to believe that there will be negative effects not only on vulnerable people, but also on Italian society generally as people enter into a formally illegal status,” said Carlotta Sami, spokeswoman for the UN refugee agency in southern Europe.

      “We fail to understand why, at this precise moment, even those individuals with legal protection have been told to leave. The decree is not retroactive, so why are they telling them to leave? Sending families away, women and children, pregnant women. It seems cruel.”

      Cities including Bologna, Turin and Rome, the latter two of which are managed by the Five Star Movement, the League’s coalition partner, have refused to implement the measures, arguing they will increase homelessness and risk social unrest.

      “We are really worried about a bill that is meant to manage immigration and increase security for citizens, but will instead create social marginality and destroy integration, while also creating social risks and the potential for radicalisation,” said Valeria Carlini, a spokesperson for the Italian Council for Refugees.

      https://www.theguardian.com/world/2018/dec/07/vulnerable-migrants-made-homeless-after-italy-passes-salvini-decree

    • Migranti: le conseguenze del decreto Salvini e il nuovo “sistema parcheggio”

      Dall’entrata in vigore del provvedimento su immigrazione e asilo, decine di persone sono state espulse dai centri di accoglienza e mandate per strada, nonostante vi siano posti liberi e già finanziati. “È illegittimo. Ci troviamo di fronte a un danno per i cittadini stranieri che hanno un titolo di protezione e a una beffa per il contribuente”, denuncia Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi

      “Quello che sta avvenendo in queste settimane nel nome del decreto Salvini è gravissimo. Non solo le persone finiscono in mezzo alla strada nonostante vi siano nello SPRAR posti liberi (e quindi già finanziati), ma l’intero sistema di protezione e accoglienza è stato spezzato”. Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, www.asgi.it), osserva con preoccupazione gli effetti del provvedimento convertito nella legge 132/2018 (in vigore dal 4 dicembre 2018). Alcuni provvedimenti hanno preso la forma di circolari prefettizie che “invitano” i gestori dei centri di accoglienza straordinaria (CAS) a far uscire dalle strutture le persone in possesso di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria, abrogato di fatto dalla legge. È accaduto a Potenza, a metà novembre, dove il dirigente dell’area Immigrazione ha “ricordato” anche ai gestori che il (fu) Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) verrà riservato a titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati. E basta.

      Per comprendere natura e legittimità di iniziative come quelle della prefettura di Potenza, Schiavone suggerisce di partire dal nuovo quadro disegnato dalla norma.
      GS Il decreto Salvini convertito in legge ha operato un cambiamento molto profondo del sistema nazionale pubblico. Il precedente infatti era imperniato sulla logica del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) come sistema unico sia per i richiedenti e sia per i titolari di protezione internazionale o umanitaria. Solo in caso di temporanea indisponibilità di posti nel sistema di accoglienza territoriale SPRAR e solo per il tempo strettamente necessario al trasferimento, il richiedente ospitato in un centro governativo di prima accoglienza restava ospitato in tale centro (ovvero in quelli di cui all’art. 11 del d.lgs 142/2015). La norma era pertanto chiara nel disporre che lo SPRAR fosse l’unico sistema di seconda accoglienza per tutti i richiedenti asilo che vi dovevano essere trasferiti nel più breve tempo possibile, dovendosi considerare l’accoglienza straordinaria in strutture temporanee una misura eventuale e limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture del sistema di accoglienza territoriale.

      Questa la teoria. E la pratica?
      GS Il sistema delineato dalla norma come straordinario e provvisorio nella prassi era diventato ordinario, a causa di carenze della norma ma anche per l’aumento inaspettato degli arrivi avvenuto nel 2015, 2016 e 2017. È evidente che il sistema straordinario avesse assunto grandissime dimensioni ma si trattava pur sempre di un sistema secondario e “di passaggio”. Questa situazione è stata completamente ribaltata dal decreto ora convertito in legge.

      Perché?
      GS Si torna a un sistema unico ma in una forma che non è mai esistita in Italia. Sin da quando è stato istituito un programma pubblico di protezione, questo è stato per così dire bicefalo, cioè imperniato su strutture statali e centri SPRAR, articolati grazie al coinvolgimento degli enti locali. Fino al 2015 ha governato una generale confusione, mentre tra 2015 e 2018 il previsto superamento dei CAS è rimasto in larga parte solo sulla carta. Ma, con un pizzico di ironia, oggi diremo che per fortuna il sistema almeno era bicefalo nel senso che conteneva anche spinte positive. Nella logica del Sistema di protezione c’era l’idea della gestione dell’arrivo dei richiedenti, della loro accoglienza e integrazione dentro la rete di servizi del territorio e organizzato dagli enti locali che si occupano di servizi socio-sanitari, come prassi normale per un Paese democratico.

      Che fine ha fatto quell’impostazione, pur rimasta sulla carta?
      GS È stata cancellata. Il legislatore ha previsto che non potranno più accedere allo SPRAR i richiedenti asilo, i titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari e i titolari di permesso di soggiorno per casi speciali (regime transitorio) rilasciato in seguito alla decisione sulla protezione umanitaria adottata dalla Commissione territoriale prima del 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del decreto Salvini, e infine esclude anche i titolari di permesso di soggiorno per protezione speciale, il nuovo status giuridico che in modo limitatissimo ha sostituito la protezione umanitaria. È un arretramento netto sia perché crea un esercito di nuovi esclusi sia perché indica come unica soluzione quella dei centri a diretta gestione statale. Lì non vi è nessun tipo di radicamento e collegamento con il territorio, al quale invece vengono sottratte funzioni operative e gestionali che gli sono proprie ovvero la gestione. Il sistema dunque mira di nuovo a concepire la presenza dei richiedenti asilo come un fatto di ordine pubblico, comunque straordinario, temporaneo, che prima o poi finirà. Non è scritto esplicitamente ma nella logica del legislatore la situazione è percepita come temporanea. Il che è semplicemente antistorico.

      I sostenitori della gestione statale diretta delle misure di accoglienza per i richiedenti asilo sostengono che sia la regola anche altrove.
      GS Molti altri Paesi europei hanno un ruolo diretto nella gestione del fenomeno, è vero. Ma si tratta di sistemi molto diversi dal nostro. In quei Paesi la ripartizione di competenze e funzioni tra stato centrale e poteri locali è molto diversa dal caso italiano. Nel nostro ordinamento, le funzioni amministrative oggi svolte impropriamente dallo Stato competono alle autonomie locali. Alla luce degli artt. 118 e 199 della Costituzione non si comprende infatti perché solo nel caso dell’accoglienza ordinaria di richiedenti asilo il sistema non sia gestito con strumenti ordinari in capo agli enti locali, tramite finanziamento statale. Le Prefettura non hanno e non devono avere un’organizzazione funzionale tale da diventare nuovi uffici sociali che svolgono compiti che spettano invece agli enti del territorio. Questo meccanismo è totalmente anomalo e in controtendenza rispetto a quello che è stato fatto negli ultimi anni.

      Perché il sistema è stato “spezzato”?
      GS Perché per i richiedenti asilo, inseriti in centri straordinari, l’accoglienza è minima, di bassa soglia, con servizi essenziali come vitto, alloggio, un minimo affiancamento legale e linguistico. Ma non sono affatto previste misure di integrazione sociale, di efficace apprendimento della lingua, di riqualificazione professionale. Un’accoglienza cioè che non si occupa di che cosa le persone facciano tutto il giorno, azzerando l’interazione con il territorio. Lo possiamo definire perciò come un gigantesco “sistema parcheggio” che ha costi economici e sociali altissimi.

      La propaganda dice che sarà più economico.
      GS Da un punto di vista strettamente monetario è vero, perché i servizi sono abbattuti al minimo ma è uno sguardo miope. Le ricadute si misurano su una scala più ampia: un buon sistema di accoglienza alimenta l’economia locale con un numero congruo di operatori qualificati e insegnanti. Spezzandolo, invece, vengono meno campi professionali e di sviluppo a favore di una mera guardiania richiesta alle strutture.

      Il risparmio è un’illusione?
      GS I costi di gestione dell’accoglienza, pur inizialmente ridotti saranno destinati a esplodere una volta che le persone saranno uscite dalle strutture. Per il semplice fatto che assomiglieranno a quelle appena entrate, con la differenza che quelle in uscita con poche risorse e pochi percorsi avviati saranno costrette ad avviarli dopo. È un enorme allungamento dei tempi che produce costi e un impatto molto più duro sul territorio.

      Dove dovranno essere “avviati” quei percorsi?
      GS Nell’ormai ex SPRAR, costretto a fare programmi di inserimento da zero in tempi ristretti. È un cortocircuito micidiale che produrrà persone regolarmente soggiornanti ma prive di strumenti e con drammatico impatto sui servizi sociali e quindi sui costi. Ecco perché qualunque analisi economica seria ci dice che il guadagno annunciato è in realtà un gigantesco sperpero di risorse.

      Veniamo alla circolare di Potenza. Sostiene che i titolari di protezione umanitaria presenti nelle suddette strutture debbano essere “invitati” a lasciare i centri di accoglienza e che da inizio dicembre non verranno più corrisposte somme per la relativa accoglienza. Inoltre afferma che la nuova legge escluderebbe “la possibilità di trasferimenti negli SPRAR in assenza di permesso di soggiorno per status di rifugiato o per protezione sussidiaria”. È una lettura corretta?
      GS Poco fa elencavo chi per legge non potrà più accedere allo SPRAR. Al di là di ogni considerazione sulla legittimità di quella previsione, è evidente non può applicarsi a chi sia già titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari a seguito di domanda presentata prima del 5 ottobre 2018 (e relativo permesso rilasciato prima del 5 ottobre 2018) o a coloro che otterranno un permesso per “casi speciali” in quanto la loro domanda è stata esaminata con la normativa previgente ma il permesso di soggiorno è stato rilasciato dopo il 5 ottobre 2018.

      Perché?
      GS Secondo l’ASGI, coloro che avevano presentato domanda di protezione internazionale prima dell’entrata in vigore del decreto Salvini avrebbero avuto pieno diritto di accedere allo SPRAR. Ma c’era mancanza di posti disponibili. Dunque solo un fatto contingente (cioè le persistenti deficienze organizzative della pubblica amministrazione), non da loro dipendente, ha impedito che nei confronti di parte dei richiedenti asilo la norma trovasse piena e corretta applicazione. Ma ciò non significa che queste persone non abbiano diritto di accedere allo SPRAR oggi o, comunque, che alle stesse non debba essere garantito, pur dentro una struttura diversa, il godimento di diritti identici a quelli di chi era già accolto o trasferito in un centro afferente allo SPRAR.

      Tradotto: il diritto all’accesso nel sistema è sorto al momento della presentazione della domanda di protezione.
      GS Esatto. Quando cioè la norma prevedeva il passaggio allo SPRAR nel minor tempo possibile. Dunque il nuovo “regime” dovrebbe essere applicato solo alle domande presentate dopo il 5 ottobre, i cui esiti ancora non ci sono.

      Accade il contrario, però.
      GS Ciò che sta avvenendo non dovrebbe in alcun modo avvenire tanto più che abbiamo persino un sistema di protezione sottodimensionato, con posti liberi nel sistema SPRAR. Significa che abbiamo persone in strada nonostante posti liberi e finanziati. Quindi ci troviamo di fronte a un danno per i cittadini stranieri che hanno un titolo di protezione e a una beffa per il contribuente, forse anche simpatizzante della nuova norma, che immagina maggior rigore o controllo e invece misurerà un peggioramento della qualità, dei servizi nonché l’aumento della spesa.

      Il ministero dell’Interno sostiene però che anche in precedenza i migranti uscissero dai centri di accoglienza straordinaria.
      GS Manca un piccolo dettaglio: uscivano dai CAS e per legge entravano nello SPRAR.

      Quali scenari si profilano?
      GS È necessario che gli interessati, i richiedenti e i beneficiari, sostenuti da enti che non vogliano essere solamente enti gestori ma anche enti di tutela, avviino una serie di ricorsi mirati a rivendicare la corretta attuazione della legge, con la cessazione immediata di allontanamenti illegittimi dai centri. I quali avvengono sempre in modo informale e totalmente scorretto, con l’ente pubblico che si libera della responsabilità di comunicare un provvedimento che non esiste neppure e demanda lo sgradevole compito all’ente gestore. E così il migrante si ritrova per la strada senza nemmeno un provvedimento da impugnare ma solo un rifiuto dell’ingresso nello SPRAR fatto in forma orale da un operatore sociale o figure assimilabili.

      https://altreconomia.it/conseguenze-decreto-salvini

    • Italie : des migrants hébergés en centre d’accueil jetés à la rue après le « décret Salvini »

      Suite à l’adoption d’un décret-loi durcissant l’immigration en Italie, vingt-quatre migrants bénéficiant d’un « titre de séjour humanitaire » ont été expulsés d’un centre d’accueil en Calabre, dans le sud de l’Italie. Ce statut ne permet plus d’accéder à un centre d’hébergement. Les associations s’alarment et cherchent des solutions d’urgence.

      En Calabre, dans le sud de l’Italie, le décret anti-immigration de Matteo Salvini, adopté le 28 novembre, a été rapidement appliqué. Deux jours après, 24 migrants ont été expulsés de leur centre d’accueil (CARA d’Isola Capo Rizzuto) à la demande de la préfecture de Crotone, en Italie du sud. Ils ne bénéficiaient plus d’un droit au logement conformément au décret-loi. Pourquoi ? Parce que, selon la nouvelle loi, leur « titre de séjour humanitaire » n’existe plus et ne leur donne plus accès à un toit.

      Le décret du Premier ministre italien supprime en effet le « titre de séjour humanitaire », valable deux ans. Il est désormais remplacé par d’autres permis comme celui de « protection spéciale », d’une durée d’un an, ou « catastrophe naturelle dans le pays d’origine », d’une durée de six mois.

      >> À lire : « Que contient le décret anti-immigration adopté en Italie ? »

      La protection humanitaire était généralement accordée aux personnes qui n’étaient pas éligibles au statut de réfugié mais qui ne pouvaient pas être renvoyées chez elles pour des raisons de sécurité - cela concernait par exemple les homosexuels fuyant des pays aux lois répressives à l’encontre de leur communauté. Au total en 2017, 25 % des demandeurs d’asile en Italie ont reçu un permis de séjour humanitaire, soit plus de 20 000 personnes.

      « Ils se retrouvent sans solution »

      Avec la nouvelle loi, les centres d’accueil sont désormais réservés aux seuls personnes ayant le statut de réfugié et aux mineurs non accompagnés. Autrement dit, les migrants anciennement sous protection humanitaire ne pourront plus y avoir accès, même avec leur nouveau statut.

      « Ces 24 personnes ont reçu un titre de séjour régulier en Italie, mais leur prise en charge dans la première phase d’accueil (CARA) a expiré. Ils se retrouvent donc sans solution », précise à InfoMigrants le père Rino Le Pera, directeur du réseau Caritas dans la province de Crotone.

      Parmi les expulsés, il déplore la présence « d’une famille avec une petite fille de 6 mois (voir photo ci-dessous), d’une jeune femme victime d’exploitation sexuelle, d’une autre ayant subi des violences physiques et d’un homme souffrant de problèmes de santé mentale ».

      « Ce qui se passe ici est fou », dénonce de son côté Franceso Parisi, président de la Croix-Rouge à Crotone, interrogé par le quotidien britannique The Guardian. « Vous ne pouvez pas laisser des personnes vulnérables à la rue. C’est une violation des droits de l’Homme ».

      Prévenus à l’avance de l’expulsion, Caritas et la Croix-Rouge italienne ont réussi à se rendre au CARA d’Isola Capo Rizzuto pour proposer une solution d’hébergement à la famille concernée ainsi qu’aux deux femmes victimes de violences. Quatre migrants ont également été accueillis par une coopérative locale. « Pour ce qui est des autres, nous pensons qu’ils ont pu reprendre la route, ou rejoindre le camp de fortune situé au nord de Crotone, où près d’une centaine de personnes vivent dans des conditions extrêmement précaires sous des tentes », assure le père Rino Le Pera qui s’étonne de la « vitesse » à laquelle les autorités ont mis en oeuvre les nouvelles mesures.

      Les prêtres disposés à « ouvrir les portes des églises »

      « Nous essayons de nous préparer car d’autres expulsions devraient arriver, mais nous ne savons pas quand ce sera, ni combien de personnes exactement vont être concernées », poursuit-il. À Crotone, Caritas a déjà préparé un dortoir pouvant accueillir 20 personnes, une solution « qui ne sera sûrement pas suffisante » concède son directeur.

      Selon l’agence de presse italienne ANSA, environ 200 personnes devraient à leur tour être expulsées du centre d’Isola Capo Rizzuto. À Potenza, dans la région de la Basilicate, le préfet a annoncé au début du mois que les « détenteurs d’une protection humanitaire » devaient être « invités à quitter » les centres d’accueil, rapporte le Guardian. La presse italienne indique encore qu’une dizaine de migrants a reçu l’ordre de quitter leur centre d’accueil à Caserta, en Campagnie. Dans les prochains jours, des centaines de personnes devraient également quitter le CARA de Mineo, en Sicile, le deuxième plus grand centre d’accueil pour migrants en Europe.

      Face à cette situation alarmante, les prêtres italiens ont déclaré la semaine dernière être disposés à « ouvrir les portes des églises de chaque paroisse » aux personnes expulsées des centres d’accueil.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13814/italie-des-migrants-heberges-en-centre-d-accueil-jetes-a-la-rue-apres-

    • Migranti, riforma accoglienza: «In 120 mila destinati a diventare irregolari»

      Fotografa le conseguenze della riforma dell’accoglienza il nuovo report di Oxfam. «Oltre 12 mila migranti con permesso di soggiorno rischiano di restare in strada nelle prossime settimane». L’impatto sui bilanci comunali sarà di 280 milioni euro annui (stima Anci). Le testimonianze.

      Oltre 12 mila migranti vulnerabili, in regola con il permesso di soggiorno, rischiano di restare in strada nelle prossime settimane, mentre nei prossimi 2 anni circa 120 mila persone sono destinate a scivolare nell’irregolarità, tra permessi per motivi umanitari non rinnovati (circa 32.750), non rilasciati (27.300), e pratiche arretrate che saranno esaminate dalle Commissioni Territoriali secondo le nuove disposizioni di legge (70 mila). Fotografia le conseguenze della riforma del sistema di accoglienza il report I sommersi e i salvati della protezione umanitaria, diffuso oggi da Oxfam, in occasione della Giornata internazionale dei diritti dei migranti, attraverso le testimonianze di chi da un giorno all’altro si sta vedendo negare il diritto all’accoglienza e all’integrazione.

      A subire le conseguenze più gravi sono neo-maggiorenni, madri con bimbi piccoli, persone in fuga dall’orrore di guerre, persecuzioni e torture che saranno semplicemente tagliate fuori dal sistema di accoglienza, sottolineano gli osservatoi. «Con un futuro di fronte che, nella migliore delle ipotesi, si presenta pieno di incognite e un percorso di integrazione lasciato a metà. Vittime quasi sempre due volte della disumanità delle politiche migratorie adottate dall’Italia e dall’Europa: prima con l’accordo Italia – Libia e adesso con le politiche introdotte dal Governo». “Su 18mila permessi per protezione umanitaria concessi da gennaio a settembre nel nostro paese, solo una minoranza potrà continuare a seguire un percorso di integrazione virtuoso all’interno dei centri Sprar – ha detto Giulia Capitani, policy advisor per la crisi migratoria di Oxfam Italia - Le Prefetture di tutta Italia nei giorni scorsi hanno inviato agli enti gestori dei Centri di Accoglienza Straordinaria disposizioni per la cessazione immediata dell’accoglienza dei titolari di protezione umanitaria. Migranti vulnerabili sono stati semplicemente gettati in strada, in pieno inverno, senza nessun riguardo per la loro condizione e in totale assenza di soluzioni alternative. Una situazione incredibile da tutti i punti di vista. Ne è riprova la notizia, di queste ore, di una parziale e frettolosa retromarcia del Governo che ha dato “indicazioni verbali” ai Prefetti di sospendere momentaneamente le revoche dell’accoglienza e di attendere una circolare ministeriale in proposito”.

      Oxfam ricorda inoltre che non si stanno interrompendo gli arrivi nel nostro paese, anche in inverno: «Oltre 2 mila da inizio ottobre ad oggi. Persone che, in un sistema di accoglienza che privilegia la gestione puramente emergenziale, andranno ad aggravare la situazione». “Il paradosso è che la nuova legge non aumenterà la sicurezza, né produrrà un risparmio per le casse dello Stato. - sottolinea Alessandro Bechini, direttore dei programmi in Italia di Oxfam - Buttando in strada migliaia di persone si pongono le basi per un drammatico incremento del conflitto sociale, della marginalità, del risentimento, della povertà. Si darà nuova linfa al lavoro nero e alla criminalità organizzata, che avrà gioco facile nel reclutare i più disperati. Allo stesso tempo l’aumento del disagio avrà un enorme impatto sui bilanci comunali, stimato da Anci in ben 280 milioni euro annui. Ebbene di fronte a tutto questo chiediamo con forza di riconsiderare l’approccio definito nella riforma, che di fatto nega i diritti delle persone più deboli, tradendo lo spirito della nostra Costituzione, della Dichiarazione universale dei diritti umani, per la quale si sono accese migliaia di fiaccole in tutta Italia solo qualche giorno fa”.

      Il rapporto raccoglie diverse videotestimonianze. Come quella di Ibrahim Salifu, richiedente asilo accolto da Oxfam in un Centro di accoglienza straordinaria (Cas). Ricorda gli abusi subiti per 7 anni nell’inferno libico: “Quando sono arrivato in Libia sono stato rapito e portato in prigione. Lì le persone ogni giorno vengono picchiate e molti sono stati uccisi davanti ai miei occhi solo perché chiedevano di essere pagati per il lavoro che avevano svolto”. Per i traumi e gli abusi fisici e psicologici di cui è stato vittima, a Ibrahim è stata da poco riconosciuta la protezione umanitaria, ma dopo il 5 ottobre ossia dopo l’entrata in vigore del Decreto immigrazione e sicurezza, da poco convertito in legge: «Rischia nel prossimo futuro di ritrovarsi per strada, perché non potrà più entrare in un Centro di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), dove avrebbe dovuto concludere il suo percorso di integrazione».
      https://www.youtube.com/watch?v=sbFu4tltStg

      E’ inmvece la storia di un’accoglienza forse ancora possibile quella di Beauty Isimhenmhen. “Non mi aspettavo di sopravvivere, né che la mia bambina si salvasse. Per questo l’ho chiamata Miracle…che vuole dire miracolo”. La mamma di 25 anni costretta a fuggire dalle persecuzioni in Nigeria mentre era incinta, ricorda la paura di non farcela, durante il suo viaggio verso l’Italia e l’Europa. La tragedia del suo passaggio obbligato in Libia, durante cui ha perso il marito ed è rimasta sola. Arrivata in Italia al nono mese di gravidanza è riuscita a salvare sua figlia appena in tempo. Oggi sta imparando un lavoro, la lingua, ma famiglie come la sua hanno ancora la possibilità di essere accolte nei centri Sprar, solo perché hanno ottenuto il trasferimento dal Cas in cui si trovavano prima del 5 ottobre, data in cui è entrato in vigore il Decreto immigrazione e sicurezza.

      https://www.youtube.com/watch?v=IUvakCk1w24

      “È un’assurda lotteria dell’accoglienza, che la nuova legge ha aggravato a dismisura. Non si tiene più conto della condizione dei richiedenti asilo, del loro percorso di integrazione. – sottolinea Bechini – Ci sono capitati casi di persone in grande difficoltà – famiglie con bambini piccoli, vittime di torture, ragazzi e ragazze appena maggiorenni - a cui dopo il riconoscimento dello stato di protezione umanitaria è stata revocata la possibilità di entrare nei centri SPRAR, il giorno stesso dell’entrata in vigore del Decreto. Cosa facciamo con queste persone? Le buttiamo per strada? Per noi operatori del settore è una decisione impossibile da prendere”.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/612325/Migranti-riforma-accoglienza-In-120-mila-destinati-a-diventare-irre

    • En supprimant les « titres de séjour humanitaires », Salvini contraint des réfugiés à retourner dans l’illégalité

      Depuis l’adoption du décret-loi durcissant la politique migratoire en Italie, des milliers de migrants devraient perdre leur statut de "protection humanitaire", qui leur permettait de rester légalement en Italie. Des milliers de personnes légales risquent de se retrouver à nouveau sans-papiers, sans travail.

      Le ministre de l’Intérieur et vice-Premier ministre Matteo Salvini, également à la tête de la Ligue (extrême droite) a fait adopter fin novembre, un décret-loi dont la principale mesure est d’abolir les permis de séjour humanitaires. Ce statut était jusque-là accordé aux personnes vulnérables, familles ou femmes seules avec enfants, victimes de traumatismes pendant leur périple vers l’Italie.

      Les conséquences sont graves, s’alarment les ONG d’aide aux migrants. Depuis 2008, plus de 120 000 personnes en ont bénéficié. "Et 40 000 personnes depuis deux ans", rappelle Marine de Haas de la Cimade. Ce statut était valable deux ans et renouvelable.

      Comment la suppression de ces titres de séjour va-t-elle fonctionner ? "C’est au moment de renouveler leur permis humanitaire que les migrants vont perdre leur ‘régularité’ », rappelle Marine de Haas. Les primo-arrivants, eux, n’en bénéficieront plus. "En perdant ce statut légal, beaucoup vont perdre leur logement" et leur accès au marché du travail.

      Ces dernières années et jusqu’en août, les commissions d’asile ont accordé en moyenne le permis humanitaire à 25% des demandeurs. Suite à des consignes de fermeté de Matteo Salvini, elles ont anticipé la fin des permis humanitaires, qui sont passés à 17% en septembre, 13% en octobre et 5% seulement en novembre.

      Expulsion des personnes en situation irrégulière

      Conséquence direct de la perte de ce statut : l’expulsion des centres d’accueil. Le 30 novembre, 24 migrants ont en effet été expulsés de leur structure d’hébergement d’urgence (CARA d’Isola Capo Rizzuto) à la demande de la préfecture de Crotone. "Les personnes qui avaient ce statut humanitaire perdent le droit d’aller dans les centres d’accueil. Elles repassent en situation irrégulière", explique Marine de Haas.

      >> À relire : "En Italie, des migrants hébergés en centre d’accueil jetés à la rue après le ’décret Salvini’"

      Matteo Salvini considère que ces personnes ne sont pas des ‘réfugiés’, "qu’elles doivent être expulsées", précise de son côté Eleonora Camilli, journaliste italienne, spécialiste de l’immigration, contactée par InfoMigrants.

      Pour rester légalement en Italie, les migrants devraient convertir leur "statut humanitaire" en d’autres titres de séjour (séjour pour motif de travail par exemple), une procédure particulièrement complexe. "Ils peuvent aussi demander l’asile, mais vu le contexte politique, peu de dossiers ont de chances d’aboutir", précise Eleonora Camilli, la journaliste italienne.

      La Cimade dénonce "l’hypocrisie" de Matteo Salvini

      La Cimade et la journaliste italienne sont sceptiques face aux résultats de cette politique migratoire. "Les personnes en situation irrégulière ne vont pas être toutes renvoyées" précise encore Eleonora Camilli. "L’Italie n’a pas toujours d’accords de rapatriement avec des pays tiers". En effet, l’Italie dispose d’accords bilatéraux avec 24 pays non-européens pour rapatrier les migrants, mais beaucoup refusent de les reconnaître comme leur concitoyens et refusent de les ré-accepter sur leur territoire. Conséquence : l’Italie n’a procédé qu’à 6 514 reconduites à la frontière en 2017 et il n’est pas garanti que ce chiffre soit atteint cette année.

      Les associations craignent donc une hausse de la clandestinité sur le sol italien. Beaucoup de migrants installés depuis plusieurs mois voire plusieurs années resteront sans doute en Italie, sans papiers. "Nous dénonçons l’hypocrisie de cette politique qui ‘invisibilise’ les migrants, qui les pousse à retourner dans la clandestinité, qui les pousse à se précariser durement", ajoute Marine de Haas.

      >> À relire : "Le bon temps pour les clandestins est fini", affirme Matteo Salvini

      Des associations françaises, comme Tous migrants, redoutent, elles, un pic de départ vers les pays limitrophes de l’Italie. "On s’attend à des arrivées prochaines via les Alpes", a expliqué Michel Rousseau, porte-parole de l’association de Briançon, ville non loin de la frontière italienne. Un avis partagé par Rafael Flichman, de la Cimade. "Des personnes avec un titre humanitaire qui expire dans quelques jours ou quelques mois peuvent décider de partir et de prendre la route vers la France".

      Au total, entre les permis actuels qui ne seront pas renouvelés et ceux qui ne seront plus accordés, le chiffre de "100 000 clandestins en plus est une estimation basse", explique Valeria Carlini, porte-parole du Conseil italien pour les réfugiés (CIR).


      http://www.infomigrants.net/fr/post/13986/en-supprimant-les-titres-de-sejour-humanitaires-salvini-contraint-des-

    • Cambiamenti del “decreto sicurezza e immigrazione”

      Quali sono i cambiamenti principali del decreto sicurezza? Cosa cambierà nel mondo dell’accoglienza? Quali saranno le conseguenze? Le risposte nella nuova infografica di Carta di Roma.

      Approvato in via definitiva alle fine di novembre, il cosiddetto “decreto sicurezza” produce e produrrà i suoi effetti su tutta la filiera dell’immigrazione in Italia: dall’identificazione all’accoglienza, dalle procedure per la protezione internazionale all’integrazione. Nell’infografica che pubblichiamo oggi abbiamo riassunto alcuni punti fondamentali.

      Fine dell’“umanitaria”

      Senza addentrasi troppo nell’analisi della norma, alcuni punti importanti si possono segnalare. Fino all’autunno 2018 l’Italia poteva riconoscere 3 tipi di protezione a chi ne facesse richieste: status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria (qui ne abbiamo dato una sintetica descrizione). Distribuite così a fine novembre: 6467 status di rifugiato, 3888 protezione sussidiaria e 19841 protezione umanitaria. Oggi, la situazione è cambiata.

      Chi ha presentato domanda di protezione internazionale DOPO il 5 ottobre ha due esiti possibili davanti a sé: 1. Se viene riconosciuto il rischio di persecuzione, e gli altri requisiti per lo status di rifugiato, oppure tortura, trattamento inumano e degradante, pena di morte o rischi legati a violenza generalizzata, allora riceverà il permesso per protezione internazionale. 2. E chi godeva della protezione umanitaria in quella fatidica data? Da una parte potrà convertire il permesso in uno per lavoro, altrimenti dovrà tornare davanti a una commissione territoriale per venire valutato secondo la nuova norma. 3. Può ottenere un permesso per casi speciali, per esempio per calamità naturali, per valore civile, per cure mediche, ecc.

      Aumentano gli irregolari?

      Secondo molti osservatori, il cambiamento della normativa avrà l’effetto di aumentare il numero degli irregolari presenti in Italia. Secondo le stime di Matteo Villa, analista dell’Ispi, in due anni e mezzo questi potrebbero crescere fino a quasi 140mila, tra i cosiddetti “diniegati” – coloro che in virtù della nuova legge non hanno ricevuto alcun tipo di protezione – e coloro che non hanno ottenuto il rinnovo in virtù delle modifiche alla norma. In totale 137mila migranti che dal giugno 2018 al dicembre 2020 sarebbero a spasso in Italia in attesa di un rimpatrio che di fatto è impraticabile senza gli accordi necessari con i paesi di provenienza.

      «Il rischio di un’esplosione del numero degli irregolari è concreto, tuttavia io invito a essere molto cauti con le stime» nota Francesco Di Pietro, avvocato e membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. «La situazione è in evoluzione, leggiamo sui giornali di questi giorni di “stop alle espulsioni” e le cronache riportano i casi di famiglie lasciate per strada che devono essere tutelate e dovranno in qualche modo poter rientrare in qualche programma di protezione». È il caso dei migranti del Cara di Mineo o di Crotone e di molte famiglie ospitate in varie regioni italiane che sarebbero dovute uscire dalle strutture di accoglienza e che, per ora, hanno visto bloccato il provvedimento.

      C’è un altro aspetto che dovrebbe calmierare, almeno parzialmente, l’aumento di irregolari. Coloro che hanno in mano il permesso umanitario hanno diritto a convertire quel permesso in uno di lavoro. «Tuttavia – nota Di Pietro – il rischio molto concreto con la nuova normativa è che si possa creare un mercato di permessi di lavoro fittizi, finte occupazioni che garantirebbero la permanenza nel nostro paese».

      Cambiano gli Sprar

      Il sistema Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è stato in questi anni un fiore all’occhiello dell’accoglienza in Italia. Nel luglio 2018 aveva 35.881 posti assegnati (dai 25 in Valle d’Aosta agli oltre 4mila del Lazio e ai quasi 5mila della Sicilia) in 654 comuni italiani pari a 877 progetti in corso. Con la nuova norma firmata Salvini le cose cambiano. Con la scomparsa della protezione umanitaria, gli ospiti dei piccoli centri di accoglienza saranno solo i titolari di protezione internazionale (quindi asilo e sussidiaria) e i minori non accompagnati. Quindi niente più richiedenti asilo che rimarranno nei Cara e nei Cas fino alla decisione.

      https://www.cartadiroma.org/news/in-evidenza/cambiamenti-del-decreto-sicurezza-e-immigrazione/amp/?__twitter_impression=true

    • No way back: New law adds pressure on asylum seekers in Italy

      Over the last five years, some two million migrants and refugees have made it from the north coast of Africa by sea to the perceived promise and safety of Europe. Almost 650,000 people have survived the longest, most dangerous crossing via the central Mediterranean to Italy.
      Saidykhan fled difficult conditions in his home country in 2016, hoping to find a better life in Italy. But things have not been easy. The recent repeal of two-year “humanitarian protection” status for a broad class of asylum seekers leaves people like him even more vulnerable.
      From 2015 to 2017, almost 26,000 Gambians sought asylum in Italy. Under the old law, those who didn’t immediately qualify for asylum could still stay in Italy for a certain period and receive some social benefits. But the rules were tightened late last year to include only victims of human trafficking, domestic violence, and other very specific criteria.

      Prominent Italians, including the mayors of Milan and Naples, have publicly opposed the new measures on ethical grounds, while the governors of Tuscany and Piedmont have said they will challenge them in court.

      But dozens of migrants and asylum seekers have already been evicted from state-organised housing, and thousands more remain concerned. Unwilling to return home and unable to build a future in Italy, they fear they may end up on the street with no access to services or support.

      https://www.irinnews.org/video/2019/01/08/no-way-back-new-law-adds-pressure-asylum-seekers-italy

    • En supprimant les « titres de séjour humanitaires », Salvini contraint des réfugiés à retourner dans l’illégalité

      Depuis l’adoption du décret-loi durcissant la politique migratoire en Italie, des milliers de migrants devraient perdre leur statut de "protection humanitaire", qui leur permettait de rester légalement en Italie. Des milliers de personnes légales risquent de se retrouver à nouveau sans-papiers, sans travail.

      Le ministre de l’Intérieur et vice-Premier ministre Matteo Salvini, également à la tête de la Ligue (extrême droite) a fait adopter fin novembre, un décret-loi dont la principale mesure est d’abolir les permis de séjour humanitaires. Ce statut était jusque-là accordé aux personnes vulnérables, familles ou femmes seules avec enfants, victimes de traumatismes pendant leur périple vers l’Italie.

      Les conséquences sont graves, s’alarment les ONG d’aide aux migrants. Depuis 2008, plus de 120 000 personnes en ont bénéficié. "Et 40 000 personnes depuis deux ans", rappelle Marine de Haas de la Cimade. Ce statut était valable deux ans et renouvelable.

      Comment la suppression de ces titres de séjour va-t-elle fonctionner ? "C’est au moment de renouveler leur permis humanitaire que les migrants vont perdre leur ‘régularité’ », rappelle Marine de Haas. Les primo-arrivants, eux, n’en bénéficieront plus. "En perdant ce statut légal, beaucoup vont perdre leur logement" et leur accès au marché du travail.

      Ces dernières années et jusqu’en août, les commissions d’asile ont accordé en moyenne le permis humanitaire à 25% des demandeurs. Suite à des consignes de fermeté de Matteo Salvini, elles ont anticipé la fin des permis humanitaires, qui sont passés à 17% en septembre, 13% en octobre et 5% seulement en novembre.

      Expulsion des personnes en situation irrégulière

      Conséquence direct de la perte de ce statut : l’expulsion des centres d’accueil. Le 30 novembre, 24 migrants ont en effet été expulsés de leur structure d’hébergement d’urgence (CARA d’Isola Capo Rizzuto) à la demande de la préfecture de Crotone. "Les personnes qui avaient ce statut humanitaire perdent le droit d’aller dans les centres d’accueil. Elles repassent en situation irrégulière", explique Marine de Haas.

      >> À relire : "En Italie, des migrants hébergés en centre d’accueil jetés à la rue après le ’décret Salvini’"

      Matteo Salvini considère que ces personnes ne sont pas des ‘réfugiés’, "qu’elles doivent être expulsées", précise de son côté Eleonora Camilli, journaliste italienne, spécialiste de l’immigration, contactée par InfoMigrants.

      Pour rester légalement en Italie, les migrants devraient convertir leur "statut humanitaire" en d’autres titres de séjour (séjour pour motif de travail par exemple), une procédure particulièrement complexe. "Ils peuvent aussi demander l’asile, mais vu le contexte politique, peu de dossiers ont de chances d’aboutir", précise Eleonora Camilli, la journaliste italienne.

      La Cimade dénonce "l’hypocrisie" de Matteo Salvini

      La Cimade et la journaliste italienne sont sceptiques face aux résultats de cette politique migratoire. "Les personnes en situation irrégulière ne vont pas être toutes renvoyées" précise encore Eleonora Camilli. "L’Italie n’a pas toujours d’accords de rapatriement avec des pays tiers". En effet, l’Italie dispose d’accords bilatéraux avec 24 pays non-européens pour rapatrier les migrants, mais beaucoup refusent de les reconnaître comme leur concitoyens et refusent de les ré-accepter sur leur territoire. Conséquence : l’Italie n’a procédé qu’à 6 514 reconduites à la frontière en 2017 et il n’est pas garanti que ce chiffre soit atteint cette année.

      Les associations craignent donc une hausse de la clandestinité sur le sol italien. Beaucoup de migrants installés depuis plusieurs mois voire plusieurs années resteront sans doute en Italie, sans papiers. "Nous dénonçons l’hypocrisie de cette politique qui ‘invisibilise’ les migrants, qui les pousse à retourner dans la clandestinité, qui les pousse à se précariser durement", ajoute Marine de Haas.

      >> À relire : "Le bon temps pour les clandestins est fini", affirme Matteo Salvini

      Des associations françaises, comme Tous migrants, redoutent, elles, un pic de départ vers les pays limitrophes de l’Italie. "On s’attend à des arrivées prochaines via les Alpes", a expliqué Michel Rousseau, porte-parole de l’association de Briançon, ville non loin de la frontière italienne. Un avis partagé par Rafael Flichman, de la Cimade. "Des personnes avec un titre humanitaire qui expire dans quelques jours ou quelques mois peuvent décider de partir et de prendre la route vers la France".

      Au total, entre les permis actuels qui ne seront pas renouvelés et ceux qui ne seront plus accordés, le chiffre de "100 000 clandestins en plus est une estimation basse", explique Valeria Carlini, porte-parole du Conseil italien pour les réfugiés (CIR).

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13986/en-supprimant-les-titres-de-sejour-humanitaires-salvini-contraint-des-

    • GDB: Profughi, a #Brescia 1300 “in strada” e 250 giovani licenziati

      “Insieme a queste persone alle quali non verrà riconosciuta alcuna forma di protezione – il permesso umanitario, prima dell’entrata in vigore della legge, veniva rilasciato al 40% circa dei richiedenti – rimarranno senza lavoro anche 250 operatori dei Cas e degli Sprar. Italiani giovani e qualificati.
      Le 118 persone che vengono espulse in questi giorni dai Centri di accoglienza straordinaria sono in possesso di un permesso di soggiorno umanitario, che può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro. E proprio in questi giorni, come funghi, sono spuntati sedicenti datori di lavoro che, in ambio di denaro – dai 400 ai mille euro – stipulano falsi contratti di lavoro. La questura, tuttavia, per convertire il permesso, verifica che esista un contratto reale e, non trovandolo, ovviamente non procede alla conversione. Per i migranti, la beffa è doppia.
      Per “attenuare l’impatto sociale della legge sicurezza” alcuni rappresentanti delle realtà che nella nostra provincia in questi anni si sono occupati di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, sia nell’ambito dei progetti Sprar sia nella gestione dei Cas stanno valutando un coordinamento tra società civile ed enti locali.”

      http://www.adl-zavidovici.eu/profughi-brescia-strada

    • Italy evicts more than 500 people from refugee centre

      Move is first major eviction since rightwing government enacted hardline migration law.
      A further 75 were removed on Wednesday, with the remaining 430 to be evicted before the centre’s closure on 31 January.


      https://www.theguardian.com/world/2019/jan/23/italy-evicts-more-than-500-people-refugee-centre-near-rome

      #Castelnuovo_di_Porto

    • Uncertain future for refugees after Italy shuts asylum centre

      Funding cuts led to imminent closure of Italy’s second-largest centre for asylum seekers amid local protests.

      The eviction of refugees from Italy’s second-largest centre for asylum seekers has continued for a second day amid protests from locals and opposition politicians over the way the transfers are being carried out.

      The reception centre is located in Castelnuovo di Porto, a town near Rome, and the vast majority of the 540 people there are asylum seekers, including women and children.

      The centre, chosen by the pope in 2016 for the traditional Holy Thursday mass, in which the pontiff performs a foot-washing ceremony, is due to close by the end of the month following funding cuts.

      The evictions began on Tuesday when 30 people were taken away and another 75, including 10 women, were seen getting on buses on Wednesday without any knowledge of where they were headed.

      According to UN’s refugee agency, UNHCR, at least 10 people who hold “humanitarian protection” permits will be left without a roof over their heads.

      The recently passed “Salvini law” cracks down on asylum rights by abolishing such permits - issued to people who did not qualify for refugee status but were deemed as vulnerable - and barring those who hold them from receiving aid.

      The law is set to leave thousands of people undocumented and without rights in the next two years.

      Other centres across Italy are set to close in the coming months as well, including Italy’s largest in Mineo, Sicily.

      Observers have criticised the way the government decided to carry out the transfers by sending in the police and the army with barely 48 hours of notice, and without prior coordination with the local authorities or the cooperative running the centre.

      The transfers to other areas of the country will inevitably disrupt the lives of asylum seekers, some of whom have lived in Castelnuovo for over a year.

      They will also affect asylum applications that must be reviewed by local commissions.

      “Fourteen children will have to interrupt their school year,” UNHCR’s spokesperson for southern Europe, Carlotta Sami, told Al Jazeera.

      “There’s no clarity on where they will be taken and what will happen to hundreds of asylum applications that were being examined by the local commission.”

      More than 100 people, who were employed at the centre as language teachers or psychologists, are also set to lose their jobs.

      The centre had been open for over a decade, hosting at one stage up to 1,000 people.

      “The centre had become an integral part of Castelnuovo di Porto,” the town’s mayor, Riccardo Travaglini, told a local newspaper.

      “I’m not saying the centre shouldn’t be closed, but it should have been coordinated. Castelnuovo has been at the forefront of this emergency for 10 years, 8,000 people came through here. Some respect was due to a community that has done much not only for Italy, but for Europe as well.”

      Trade unions have scheduled protests to take place on Thursday. Some locals, including the town’s mayor, took part in a silent march on Tuesday to protest the closure of what many considered a model centre.

      Italy’s interior minister and Deputy Prime Minister Matteo Salvini defended the eviction, arguing that a drop in arrivals had freed places in other centres across the country.

      “It is a question of common sense and good administration that will save Italians six million euros a year, without taking away the rights of anyone,” Salvini told a local radio station.

      “All the guests who have the right to, will be transferred with as much generosity and with as many rights to other structures,” he said in a Facebook Live video.


      https://www.aljazeera.com/news/2019/01/uncertain-future-refugees-italy-shuts-asylum-centre-190123182046502.html

    • Chiusura del C.A.R.A. di Castelnuovo di Porto: il commento del Tavolo asilo

      Con un comunicato ufficiale le organizzazioni che compongono il Tavolo Asilo nazionale esprimono sconcerto e indignazione per la modalità con cui è gestita la chiusura del secondo centro più grande d’Italia.

      Tra i punti evidenziati nella nota stampa, il “brevissimo preavviso” dato agli oltre 300 persone ospiti del centro, tra cui 14 minorenni.

      I primi trasferimenti fuori regione, iniziati il 22 gennaio, non prevedono dei percorsi d’inclusione, scolastici, lavorativi e di formazione già intrapresi. Tra gli ospiti del centro, inoltre, ci sono uomini e donne ai quali, a causa del trasferimento, sarà impedito di proseguire i percorsi di riabilitazione e di cura per le violenze subite in Libia.

      Un altro punto critico legato alla decisione di chiudere il centro di Castelnuovo è legato all’accoglienza: sono circa 150 i titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari ai quali la legge non garantisce alcuna soluzione alternativa e che rischiano di finire nella marginalità, lasciati per strada, tra questi diversi vulnerabili. Spiace costatare che ancora una volta non è tenuto in alcuna considerazione l’interesse delle persone e delle comunità coinvolte.

      “Facciamo appello al Presidente del Consiglio, al Governo e al Parlamento, oltre che alle istituzioni locali – conclude il comunicato – affinché sia garantita a tutte le persone coinvolte una valutazione individuale dei percorsi di integrazione avviati ai fini del trasferimento in strutture nel territorio e non fuori regione; che sia garantita a tutti i minorenni iscritti a scuola la continuità del percorso di istruzione e che nessuno sia lasciato per strada“.

      Amnesty International Italia aderisce al Tavolo asilo nazionale insieme a: A Buon Diritto, ACLI, ActionAid, ARCI, ASGI, Associazione Papa Giovanni XXIII, Casa dei Diritti Sociali, Centro Astalli, CIR, CNCA, Comunità di Sant’Egidio, Emergency, Federazione Chiese Evangeliche in Italia, Intersos, Legambiente, Mèdicins du Monde Missione Italia, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Oxfam Italia, Save the Children, Senza Confine del Tavolo Asilo Nazionale.

      https://www.amnesty.it/chiusura-del-c-r-castelnuovo-porto-commento-del-tavolo-asilo

    • Castelnuovo di Porto, «non difendiamo i grandi centri, ma così è inumano»

      Secondo giorno di trasferimenti. Tensione nella mattinata quando la parlamentare Rossella Muroni ha bloccato uno dei pullman. Il sindaco: «Notizie solo dalla stampa, nessuna comunicazione ufficiale. Noi per primi abbiamo chiesto superamento del Cara ma non accettiamo queste modalità». Il parroco: «Poco dignitoso, si pensa ai soldi e non alle persone»

      ROMA - Lamin ha 24 anni e arriva dal Gambia. Da due anni vive nel Cara di Castelnuovo di Porto, ha frequentato un corso sui materiali edili a basso impatto ambientale e iniziato uno stage in una fabbrica a Roma. Domani un pullman, che lo porterà nelle Marche, interromperà questo percorso: “Non so niente di più, non mi hanno detto niente”, racconta da dietro la rete di recinzione che separa gli ospiti di Castelnuovo di Porto dai giornalisti, arrivati per raccontare il secondo giorno di trasferimenti voluti da Viminale, da uno dei Cara più grandi in Italia. Lamin, saluta gli amici che salgono sul pullman che partirà oggi con destinzaione Ancona, poi torna verso la rete: “Mi dispiace, eravamo diventati amici. E’ tutto molto triste”.

      I trasferimenti sono iniziati ieri e continueranno per tutta la settimana. Stamattina uno dei pullman con 30 persone a bordo è stato fermato dalla parlamentare di Leu, Rossella Muroni: “Voglio sapere dove vanno queste persone, se sono state prese in considerazione le loro esigenze”, ha detto mettendosi davanti il mezzo, poco dopo la partenza. Il pullman è rientrato nel centro, tra gli applausi delle persone presenti. Poi, dopo circa un’ora è ripartito. “Ho chiesto solo di sapere la destinazione delle persone: da quanto ci è stato detto alla cooperativa è stata fatta solo una suddivisione numerica, ma qui ci sono anche casi vulnerabili e famiglie. Non voglio discutere la legittimità dei trasferimenti - spiega - voglio che siano fatti da paese civile, nel rispetto delle persone. Su ogni pullman che parte ci sono delle storie, che vanno rispettate e tenute in considerazione”.

      Il terzo pullman parte intorno alle 12. Il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini dice di aver appreso della chiusura del centro, gestito dalla cooperativa Auxilium, dagli organi di stampa. “Non siamo stati avvisati ufficialmente né dal prefetto né dal ministero degli Interni - afferma -. Non c’è stato nessun passaggio formale, il ministro Salvini continua a dire che è una scelta che si basa sul risparmio dell’affitto, ma queste persone erano inserite nel tessuto sociale, non si può parlare solo di soldi ma si dovrebbe parlare di valore culturale e sociale, di integrazione. Noi per primi abbiamo detto che il Cara andava superato, non siamo qui a difendere i grandi centri, ma non accettiamo questo tipo di modalità che non tiene conto delle persone - aggiunge -. La scelta non è stata concertata con l’ente locale, noi avevamo fatto anche richiesta per lo Sprar e per un’accoglienza in piccoli numeri”. Anche secondo il parroco della chiesa di Santa Lucia, Josè Manuel Torres, quello che sta succedendo a Castelnuovo di Porto è “poco dignitoso”. “Si tronca un cammino di promozione umane e di integrazione - sottolinea -. Qualcuno di loro aveva iniziato a lavorare, un ragazzo la prossima settimana ha l’esame della patente, un altro mi ha chiesto di portare i documenti al suo avvocato perché non sa dove va a finire. Questo modo brusco non condivisibile, non c’è nessun dialogo. Si parla solo di soldi, non si pensa alle persone”.

      Davanti al centro in presidio anche diversi lavoratori che ora rischiano il posto di lavoro. Gli operatori mercoledì saranno in sit-in sotto il ministero dello Sviluppo economico. Rispetto agli ospiti presenti, per ora i trasferimenti riguardano circa 300 persone sulle 500 presenti. 20 persone in possesso della protezione umanitaria non verranno accolte “finiranno in strada - dicono gli operatori - le faranno uscire quando si saranno spente le telecamere. Delle altre 180 che resteranno nella struttura non sappiamo niente”. Dopo i primi trasferimenti, che hanno riguardato solo gli uomini, nei prossimi giorni verranno spostati anche i nuclei familiari. Le regioni di destinazione sono Albruzzo, Basilicata, Molise, Campania, Marche, Piemonte, Lombardia, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna. (Eleonora Camilli)

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/616619/Castelnuovo-di-Porto-non-difendiamo-i-grandi-centri-ma-cosi-e-inuma

    • The New Irregulars in Italy

      After the spike in irregular migration to Europe in 2014-2017, many Western European countries have started to restrict the rights they grant to asylum seekers. Sweden tightened its laws already in 2016. In early 2018, France also adopted restrictive asylum laws. And this December, news broke that Denmark is planning to confine rejected asylum seekers to a remote island.

      But what happens when a government lowers the level of protection for asylum seekers, especially if it is unable to increase returns of migrants to their countries of origin? The answer seems straightforward: an increase in undocumented migrants stuck in the country. That is precisely what is probably going to happen in Italy over the next two years.

      Long story short. Between June 2018 and December 2020, the number of irregulars in Italy will increased by at least 140,000. Part of this increase (about 25,000) has already happened over the past months. But much of it is expected to take place between today and end-2020.

      In a “baseline scenario” in which Italy retained its three layers of international protection (refugee status, subsidiary protection, and humanitarian protection), irregulars in Italy would rise by around 60,000. But an October 2018 decree-law (now converted into law) is estimated to add another 70,000 irregular migrants to the baseline scenario, more than doubling the number of new irregulars in Italy. At the current rate, returns of irregular migrants to their countries of origin will only marginally limit such an increase.

      This means that, by 2020, the number of irregular migrants in Italy may exceed 670,000. This is more than double the number of irregular migrants that were estimated to be in Italy just five years ago, which was lower than 300,000. It is also the second highest figure ever, second only to the 750,000 irregulars estimated to be present in the country in 2002.

      For a quick snapshot, see this figure:

      Still here? Great, then you are interested in the longer version. Here you go!

      In early October, the Italian government introduced a decree-law (Decreto-Legge n. 113, 4 October 2018) that was converted into law in early December (Legge n. 132, 1 December 2018). Among other things, the law does away with one of three layers of protection for asylum seekers in Italy.

      Before the decree-law entered into force, the Italian system of protection offered three layers of protection:

      a. Refugee status. Resulting directly from the 1951 Geneva Convention, the status is assigned to asylum seekers who can make the case they have a well-founded fear of being personally persecuted “for reasons of race, religion, nationality, membership of a particular social group or political opinion” (art. 1 of the Convention). To these, two EU Directives have added persecutions for reasons of gender and sexual orientation.

      b. Subsidiary protection. Resulting from EU legislation, it is a second, EU-wide layer of protection. It applies to people who, while not qualifying as refugees, “would face a real risk of suffering serious harm” if they returned to their country of origin. This includes the risk of death penalty or execution, the risk of torture or inhumane treatment, and the risk of threat of life by reasons of indiscriminate violence during an armed conflict.

      c. Humanitarian protection. This is the third layer of protection, legislated at national level. Many EU countries have alternative forms of protection after refugee and subsidiary protection, but they vary widely across Europe. In Italy, “humanitarian protection” is used as a residual category, and this protection was attributed for different and quite discretionary reasons, ranging from health issues to harsh economic conditions in the applicants’ country of origin. The maximum length of the residence permit tied to humanitarian protection is two years.

      The current Italian government has decided to abolish humanitarian protection. The rationale behind this change is that, the government believes, the humanitarian protection layer was too benevolent towards irregular migrants who filed an asylum application. In its place, the government introduced six “special cases” (see table below).

      Despite this seemingly vast range of cases, in practice the new “special cases” will probably be applicable to a very small minority of those who were granted humanitarian protection beforehand. On the one hand, it may take some time before the Italian protection system adjusts to a new context in which one layer of protection is almost entirely missing. On the other hand, provisional data seems to point to a scenario in which “special cases” will be very marginal. In the first two months of application of the decree law, humanitarian protection rates dropped from 25% in the previous months, to 12% in October and to just 5% in November.

      To assess the effect of the disappearance of humanitarian protection in Italy on the presence of irregular foreigners, I made some quick simulations.

      Clearly, I have to make some assumptions:

      1. No new irregular entries or overstays. I assume that, between today and December 2020, nobody else will enter Italy irregularly, either by sea, by land or by air, and will therefore not apply for asylum. Also, I assume that no one entering regularly in Italy will overstay their visa. This is highly unrealistic. To stick to asylum applications, this November around 3,800 people applied for asylum in Italy, and while this is a much lower number than the average 11,000 per month that applied for asylum in 2017, it would still amount to almost another 100,000 new asylum seekers between here and December 2020. However, as sea arrivals have remained very low in Italy since mid-July 2017, the volatility of such estimates would be tricky to incorporate into my simulations. Also, these persons would still need to have their asylum request processed before becoming irregulars, so that they may still be regularly residing in Italy as asylum seekers by end-2020. Ultimately, this assumption will lead me to underestimate the number of irregular migrants in Italy in the near future.

      2. No irregular migrant leaves Italy. This is an unrealistic assumption as well. But, again, it is hard to estimate how many irregular migrants would leave Italy in a two-year timeframe, especially as border countries in Europe continue to find ways to suspend Schengen rules and tightly control their borders. By official accounts, over the past year more migrants have been intercepted crossing from Austria into Italy than in the opposite direction. Despite this, we could say that this could lead to an overestimate of the number of irregular migrants in Italy in the near future.

      3. Protection rates remain the same as in recent past (bar the policy change eliminating humanitarian protection). This is realistic, as protection rates have remained remarkably stable in the past three years.

      4. Return rates do not improve substantially. This is realistic: despite electoral promises of rapidly increasing returns of irregulars to their countries of origin, in the first six months of the Conte government, returns have been 20% lower than during the same period of 2017.

      For this simulation, I first need to split the June 2018 – December 2020 period into two time windows: the first is the past, between June and end-October 2018. In this period, about 26,000 asylum seekers in Italy were denied protection, thus becoming irregulars. Meanwhile, just 2,165 persons were returned to their countries of origin. The result is that irregulars in Italy increased by almost 24,000.

      I can now turn to the present and future, during which humanitarian protection is being eliminated: November 2018 – December 2020. For my baseline scenario, recall that, in the past three years, about 55% of asylum applicants have been denied protection in Italy. In the face of this, as of October 2018, Italy had 107,500 pending asylum applications. This means that just short of 60,000 of these persons will likely become irregulars in the country, even before any policy change. Therefore, this estimate will act as my baseline.

      I can then contrast the baseline with the estimated effects of the policy change. The abolition of humanitarian protection will have two effects:

      a. Asylum seekers whose request is still pending will no more be able to receive a humanitarian protection, and will be at a higher risk of having their application denied, thus becoming irregulars;

      b. Current beneficiaries of humanitarian protection will not be able to renew their protection, thus becoming irregulars.

      With regards to (a), in the months before the start of the current government, about 28% received the humanitarian protection. So, out of the pending 107,500 cases, a bit more than 30,000 would have received a humanitarian protection in the baseline scenario, but will now see their application rejected, becoming irregulars.

      As to (b), it is not possible to know with certainty how many persons are currently benefitting from humanitarian protection. However, given that this protection usually lasted two years, and that it could be renewed, a conservative estimate is to consider as beneficiaries all those persons that were granted humanitarian protection over the past two years. They amount to just short of 40,000. All these persons will not be able to renew their humanitarian protection once it expires, and will therefore become irregulars in Italy within the next two years.

      By adding (a) and (b) together, I arrive at 69,751. Therefore, about 70,000 persons are at risk of becoming irregulars in Italy by end-2020 due to the elimination of humanitarian protection. Compared to my baseline estimate of 60,000 new irregulars by 2020, this is a more than doubling in numbers.

      Finally, to get to the full number of new irregulars in Italy by end-2020, I need to subtract those migrants that will be probably returned to their countries of origin. As stated above, in the first 6 months, returns under the current government have been 20% lower than the same period last year.

      The full picture is summarized here:

      To get a sense of what this means for the total number of irregulars in Italy, take a look at the figure below, which is based on estimates by ISMU. Irregular foreigners in Italy had been declining between 2010-2013, but the increase in sea arrivals and in (rejected) asylum applications have reversed the trend between 2013 and today. ISMU estimates that, on 1 January 2018, irregular foreigners in Italy were around 530,000.

      In the baseline scenario, the number of irregulars in Italy would increase again, to around 600,000 in two years. But the abolition of humanitarian protection will bring it to around 670,000 by 2020. The latter is equivalent to a 26% increase from 2018 numbers.

      In absolute terms, 670,000 is not a totally unprecedented number. Similar figures have been reached or exceeded in 2002, 2006, and 2008. When this happened, however, the Italian governments of the time decided to proceed with mass regularizations: in 2002-2003, about 700,000 foreigners were regularized; in 2006, regularizations hovered at around 350,000; and, in 2009, they numbered 300,000. The rationale behind regularizations is that irregular foreigners can only make it through the day by relying on illegal employment or criminal activities, and are also exposed to much higher levels of marginalization. This is also why irregularity is associated with very high crime rate proxies.

      It is time to ask: when will the next mass regularization in Italy take place?

      https://www.ispionline.it/en/publication/new-irregulars-italy-21813

      #statistiques #chiffres #renvois #expulsions

    • Rome veut définitivement faire disparaître le camp de San Ferdinando en Italie

      Le bidonville de San Ferdinando dans le sud de l’Italie a été démantelé à grands renforts de bulldozers mercredi 6 mars. Près d’un millier de personnes y avaient élu domicile. Le gouvernement veut à tout prix éviter que le campement se reforme comme c’est le cas régulièrement.

      Le campement de San Ferdinando, en Calabre dans l’extrême sud de l’Italie, est connu des autorités depuis des années. Régulièrement démantelé, il se reforme à chaque fois accueillant des migrants dans une extrême précarité dont beaucoup ont un travail saisonnier, parfois au noir, dans les exploitations agricoles de la région.

      Mais cette fois-ci, c’est la bonne, à en croire Matteo Salvini, le ministre italien de l’Intérieur et patron de la Ligue (extrême droite antimigrants). Près d’un millier de migrants ont ainsi été évacués mercredi matin dans le calme et leurs baraquements de fortune détruits par des bulldozers. "Comme promis [...] nous sommes passés des paroles aux actes", a réagi l’homme fort du gouvernement populiste italien précisant que 600 policiers et 18 autocars avaient été dépêchés sur place.

      Bien que Matteo Salvini ait promis le relogement des migrants dans des centres d’accueil, plusieurs d’entre eux interrogés mercredi après le démantèlement par les médias locaux ne semblaient pas savoir où ils seraient conduits et où ils passeraient la nuit. Le Premier ministre s’est contenté de répondre, toujours sur Twitter, qu’il se félicitait de parvenir à “soustraire [ces migrants] de la mafia et de la criminalité en les répartissant dans des structures plus petites et contrôlables, ainsi qu’en accroissant la transparence” de sa politique migratoire.

      Les problèmes sécuritaires étaient très courant dans le bidonville de San Ferdinando. Quatre migrants y ont trouvé la mort, assassinés ou morts dans des incendies accidentels ou volontaires, depuis un an, souligne l’association Médecins pour les droits de l’Homme, présente sur place depuis des années. C’est d’ailleurs la mort d’un Sénégalais de 29 ans, Moussa Ba, qui avait conduit les autorités italiennes à ordonner une nouvelle fois la démolition de ce bidonville.

      Une mesure qui ne répond pas au problème, selon les associations de défense. Médecins pour les droits de l’Homme estime que cette "énième" évacuation a été menée "sans prendre en considération ni les droits individuels de ces travailleurs migrants, ni les engagements pris par les institutions et associations régionales et locales en faveur d’actions à long terme destinées à favoriser (leur) insertion sociale".

      Sur les réseaux sociaux, de nombreux citoyens et militants ont aussi fait part de leur colère estimant que les bulldozers n’allaient rien changer au fait que ces migrants évacués étaient bien souvent exploités par des patrons du secteur agricole. "Se débarrasser du bidonville n’est pas la solution, mais plutôt le moyen le plus simple [pour le gouvernement] d’obtenir des votes. Et dans tout ça, personne ne combat les exploiteurs", dénonce ainsi Angelo, un militant actif sur Twitter, vidéo à l’appui.

      La préfecture de Reggio Calabria a assuré de son côté qu’elle prendrait toutes les mesures nécessaires pour empêcher la reconstruction de ce bidonville, qui certaines années a accueilli jusqu’à 5 000 personnes.

      Attirés par le travail saisonnier, des centaines de migrants ont pris l’habitude depuis des années de s’installer dans cette région agricole de la Calabre. La Coldiretti, principal syndicat agricole italien, a d’ailleurs lancé mardi un appel aux autorités pour qu’ils autorisent rapidement l’entrée de travailleurs étrangers en Italie, en raison de l’avancement de la date de certaines récoltes après des températures inhabituellement élevées.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/15573/rome-veut-definitivement-faire-disparaitre-le-camp-de-san-ferdinando-e

    • Il decreto sicurezza fa aumentare i migranti senza fissa dimora, minando la sicurezza di tutti, dei migranti e delle nostre città.

      Nessun supporto per chi aveva un permesso umanitario e ora deve lasciare i Centri. La situazione descritta nel terzo lavoro di monitoraggio dell’Osservatorio dell’associazione Naga, che garantisce assistenza a cittadini stranieri.

      L’impatto maggiore del decreto Salvini sulla sicurezza varato dallo scorso governo legastellato è quello dell’aumento dei senza fissa dimora. Sì, perché attraverso il taglio dei fondi ai progetti dei centri di accoglienza, ovvero passando dai tanto famigerati 35 euro a un massimo di 19- 26 euro, si risparmia tantissimo sugli alloggi. Nessun supporto è previsto per coloro che sono costretti a lasciare i centri, ad esempio le persone che avevano un permesso umanitario e che da un giorno all’altro si ritrovano senza più diritto all’accoglienza e quindi per strada.

      Questo meccanismo è fortemente patogeno: ritrovarsi per strada comporta i rischi e il degrado psico-fisico che ben si conoscono dagli studi sui senza fissa dimora, riscontrati anche tra i migranti nelle stesse condizioni. In generale, le persone che chiedono asilo arrivano in buona salute, fatte salve le conseguenze delle torture e delle privazioni subite durante i vari episodi di prigionia e lavoro forzato a cui sono stati sottoposti lungo il viaggio per arrivare in Italia.

      Ciò è conosciuto come il cosiddetto «healthy migrant effect»: partono le persone più sane, con più probabilità di farcela. Una volta arrivate si scontrano con quello che la ex primo ministro britannica Theresa May chiamò nel 2012 «hostile enviromnent», cioè condizioni che scoraggiano l’integrazione di una data popolazione in un determinato ambiente.

      Da qui le condizioni di alloggio spesso proibitive, i lavori precari, saltuari e senza forme di protezione, la salute che via via si deteriora. Senza contare l’impatto psicologico dato dall’isolamento e dalla mancanza dei legami familiari, le conseguenze fisiche ancora attuali e lo stress delle torture subite e l’incertezza per le lungaggini nell’ottenere un permesso di soggiorno pur non definitivo.

      Allo stato attuale, se un migrante è senza alloggio è un «senza fissa dimora» e dunque non può avere una residenza. Senza certificato di residenza non può trovare un lavoro regolare. Senza un lavoro regolare non può pensare di poter affittare regolarmente una casa, o nemmeno una stanza. È in una situazione senza vie d’uscita descritta dal terzo lavoro di monitoraggio e analisi compiuto dall’Osservatorio del Naga, un’associazione composta da numerosi volontari che garantiscono assistenza sanitaria, legale e sociale gratuita a cittadini stranieri irregolari e non, a rom, sinti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tortura, oltre a portare avanti attività di formazione, documentazione e lobbying sulle Istituzioni.

      Tale lavoro ha come obiettivo di comprendere i cambiamenti nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati con particolare attenzione all’area di Milano in cui il Naga opera dal 1987. E, infatti, proprio a Milano sarebbero almeno 2.608 i senza fissa dimora. I volontari e le volontarie del Naga hanno visitato nel corso della ricerca diverse tipologie di insediamenti informali (strutture coperte abbandonate, spazi all’aperto, palazzine abbandonate e giardini pubblici) per fornire un identikit delle persone fuori dal sistema di accoglienza e restituire una fotografia di queste marginalità.

      Le persone incontrate hanno provenienze diverse e status giuridici eterogenei: da stranieri in attesa o nell’iter di formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, a titolari di protezione, a stranieri con permesso di soggiorno in corso di validità, a cittadini italiani.

      Il minimo comune denominatore sembra essere l’instabilità abitativa, la precarietà occupazionale e salariale e la quasi totale assenza di tutele. Per quanto riguarda chi si trova al di fuori dell’accoglienza, il report descrive anche le risposte istituzionali, che si concretizzano prevalentemente in interventi numericamente insufficienti a favore dei senza fissa dimora e nella pratica costante degli sgomberi senza soluzioni alternative e giustificati dalla retorica della sicurezza e del decoro.

      https://www.diritti-umani.org/2019/12/il-decreto-sicurezza-fa-aumentare-i.html?m=1

    • Imposta l’estromissione dal sistema d’accoglienza dei titolari di protezione umanitaria

      Ieri, 19 dicembre, il Servizio Centrale Sipromi ha inviato una circolare agli enti locali titolari dei progetti Sprar in scadenza al 31/12 (MA prorogati al 30/06/2020) per “sollecitare” l’uscita dal sistema di accoglienza entro il 31 dicembre 2019 dei titolari di protezione umanitaria in accoglienza.

      Con una lettera il Centro Immigrazione Asilo Cooperazione onluns di Parma, ente che da 20 anni accoglie persone per i loro diritti e per i loro bisogni, denuncia una situazione ritenuta inaccettabile ed ingiusta.

      “Non possiamo e non vogliamo accettare questa ingiustizia che interrompe percorsi di vita, cura, studio, lavoro, relazione. Per i titolari di protezione umanitaria che sono ancora in accoglienza deve valere il principio per cui un atto amministrativo non può interrompere un percorso di vita”, dicono al CIAC.

      «Infatti - ribadisce la onlus - per i titolari di protezione umanitaria, tra cui donne, bambini, nuclei familiari, possibili vittime di tratta, persone con disagio mentale non è prevista nessuna altra possibilità di accoglienza. Uscendo dello Sprar, per una norma palesemente ingiusta e insensata, sono messi in strada, in pieno inverno, interrompendo tutela, cura, lavoro, formazione appunto».

      Secondo i dati forniti da CIAC solo in Emilia Romagna sono circa 300 le persone che dovrebbero essere fatte uscire dalle strutture di accoglienza a fine anno. Nella sola provincia di Parma più di 20 persone, tra cui 5 nuclei mamma-bambino.

      «Noi - afferma il CIAC - non applicheremo questa direttiva nelle nostre case, sulle persone con le quali abbiamo un patto di tutela e un dovere professionale e morale di accoglienza. Con loro, quale che sia il permesso di soggiorno, abbiamo contratto un patto che ci vincola – esattamente come lo chiediamo a loro - al rispetto del loro progetto individuale di accoglienza. Che questo potesse essere interrotto dall’interpretazione – ribadiamo una interpretazione - di un comma, di un articolo, di una legge palesemente volta a colpire le tutele dei rifugiati non era nelle regole iniziali. E noi i patti li rispettiamo, come dagli accolti ne esigiamo il rispetto».

      L’associazione spiega che non ci sono solo ragioni etiche, professionali e morali, ed elenca i punti sui quali si basa la volontà di non mettere in strada nessuno.

      Il primo è che «i progetti Sprar/siproimi attivi sono prorogati con decreto del ministro dell’Interno del 13/12/19 sino al giugno 2020 e quanto dice la circolare, giuridicamente è quanto meno opinabile: i progetti non possono dirsi cessati al 31/12/19».

      Il secondo è che la circolare «non considera che è appurata la non retroattività della legge 132/18».

      «Per tutte queste ragioni - conclude CIAC onlus - profondamente stupiti che l’ufficio che governa il sistema di protezione assecondi una interpretazione che nega i principi stessi sui quali l’accoglienza integrata e diffusa si regge (individualizzazione dei percorsi, emancipazione dall’accoglienza, patto di accoglienza), affermiamo con grande convinzione che, solleciti o non solleciti, a fronte di una crescente marginalità sui territori, a fronte di tanti posti vuoti nel sistema che per quella stessa legge che il Servizio Centrale Siproimi cita e che non possono dare sollievo, accoglienza e integrazione a chi in tutta Italia ne avrebbe bisogno».

      http://www.vita.it/it/article/2019/12/20/imposta-lestromissione-dal-sistema-daccoglienza-dei-titolari-di-protez/153674

    • Rapporto “La sicurezza dell’esclusione - Centri d’Italia 2019”

      Le prevedibili conseguenze della legge sicurezza: maggiore irregolarità e smantellamento del sistema d’accoglienza.

      https://www.meltingpot.org/local/cache-vignettes/L440xH542/arton24796-6a3c1.png?1578654230

      Aumento consistente del numero di cittadini stranieri irregolari e difficoltà nell’applicazione dei nuovi bandi per la gestione dei centri da parte delle Prefetture. È il quadro che emerge dal rapporto “La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019”, realizzato da Action Aid e Openpolis che offre una prima valutazione dell’impatto delle politiche migratorie del primo Governo Conte.

      Gran parte del lavoro di analisi, suddiviso in due parti, si sofferma sulle conseguenze che la legge sicurezza immigrazione sta producendo sul sistema d’accoglienza nel suo complesso, denunciando nel contempo quanto sia difficile raccogliere le informazioni necessarie per monitorare il sistema dell’accoglienza e le sue evoluzioni per un’assenza quasi totale di trasparenza.
      Indicazioni sul disfacimento complessivo di un sistema e delle tutele dei richiedenti asilo che già molti attivisti, enti del terzo settore e operatori coinvolti nel sistema d’accoglienza avevano ampiamente previsto e che i movimenti avevano cercato di contrastare con mobilitazioni territoriali e di carattere nazionale. Ma nonostante un ampio fermento sociale la legge Salvini è ancora lì a far danni, e, a oggi, la sua abrogazione non è tra le priorità del governo 5stelle-PD.

      «La soppressione della protezione umanitaria, la forma di protezione maggiormente diffusa per chi fino al decreto sicurezza chiedeva asilo in Italia, - si legge nella prima parte dell’inchiesta - espande sempre più la macchia degli stranieri irregolari, che diventa un’emergenza reale con i conseguenti costi umani, sociali e di illegalità diffusa. Un’emergenza per la quale, in assenza di un meccanismo di regolarizzazione, la soluzione dei rimpatri appare nel caso più ottimistico un’illusione».
      Secondo le stime del rapporto sono 40.000 le persone che si sono ritrovate irregolari nel 2019 a causa della soppressione della protezione umanitaria. E queste cifre sono inevitabilmente destinate ad aumentare nel 2020 poiché la legge ha generato una perversa stretta anche nelle procedure e nei responsi delle Commissioni territoriali, sempre più restìe a concedere una forma di protezione. Del resto i rimpatri, che non sono mai stati una reale soluzione ma un altro strumento di propaganda politica, sono stati nel 2018 circa 5.615. A questo ritmo si stima che per rimpatriare i 680mila cittadini stranieri irregolari servirebbero oltre 100 anni, senza contare il costo economico di una tale contestabile operazione.

      Il rapporto si sofferma ampiamente anche sulle conseguenze delle nuove regole delle gare di appalto per la gestione dei centri. Regole «volute per razionalizzare il sistema e tagliare i costi e i servizi di inclusione, si scontrano con la difficoltà, anche di natura politica, dei gestori di farvi fronte e delle prefetture di applicarle. Diversi i bandi deserti, quelli ripetuti o che non riescono a coprire il fabbisogno dei posti nei centri». E’ di fatto un ritorno alla logica dei grandi centri di parcheggio per richiedenti asilo, perlopiù dislocati in periferia, e il totale abbandono di un’idea di accoglienza diffusa non solo funzionale alla distribuzione dei richiedenti asilo su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto ad una loro inclusione sociale e una reciproca conoscenza con le comunità locali.
      «Un affare - continua l’inchiesta - che attrae i gestori a carattere industriale, grandi soggetti privati anche esteri in grado di realizzare economie di scala, e allontana i piccoli con vocazione sociale e personale qualificato». E - aggiungiamo noi - è anche un modello che attrae il malaffare e la criminalità organizzata, la quale è tranquillamente in grado di fare profitto nonostante la fetta di guadagno si sia a prima vista ridotta.

      Una totale assenza di programmazione. Il sistema di accoglienza sembra gestito giorno per giorno senza nessuna programmazione strategica.

      Nella seconda parte di «La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019» viene ulteriormente analizzato l’impatto dei nuovi capitolati di gara collegati al decreto sicurezza sul funzionamento della macchina dell’accoglienza. Sistema che al 31 dicembre 2019 accoglie in totale 91.424 persone, delle quali 66.958 con richiesta di protezione internazionale sono accolte nei CAS e 24.388, già riconosciute come titolari di protezione internazionale o protezione umanitaria, nei progetti ex SPRAR, rinominati dal decreto sicurezza SIPROIMI. Su questi ultimi, inoltre, si è abbattuta la scure della circolare del ministero dell’interno di Natale, che prevede la loro uscita forzata o tutt’al più il trasferimento in servizi di bassa soglia. Persone vulnerabili e famiglie che da un giorno all’altro si ritroveranno senza alloggio e assistenza, costretti a rivolgersi ai servizi sociali territoriali, senza trovare poi grandi risposte, o immediatamente a ingrossare le file dei senza tetto.
      Nella carrellata di numeri va infine ricordato che tra le conseguenze della legge ci sono anche i 5.000 posti di lavoro persi. Ma al governo Conte bis tutto ciò non sembra destare così grande preoccupazione.

      https://www.meltingpot.org/Rapporto-La-sicurezza-dell-esclusione-Centri-d-Italia-2019.html
      #rapport #Stefano_Bleggi

    • Les lois anti-migrants de Salvini sont toujours d’actualité en Italie

      Fin 2018, l’ancien ministre de l’Intérieur et chef de la Ligue, Matteo Salvini, a fait adopter des mesures anti-migrants très restrictives, parmi lesquelles l’abolition de la protection humanitaire qui représentait 28% des permis de séjour délivrés aux demandeurs d’asile. Ces mesures n’ont pas été modifiées par la coalition formée du Mouvement Cinq étoiles et du Parti démocrate, au pouvoir depuis cinq mois. Et c’est maintenant que leurs effets commencent à être visibles. Quelle est la situation actuelle des migrants qui ne peuvent plus bénéficier du permis de séjour humanitaire ?

      C’est une situation qui risque de devenir explosive. Les organisations non gouvernementales estiment à 70 000 le nombre demandeurs d’asile qui vont rejoindre les rangs des clandestins, soit environ 600 000 personnes. C’est en effet maintenant que l’on voit les effets des mesures sécuritaires adoptées il y a plus d’un an. Jusqu’alors, le permis de séjour humanitaire était délivré pour une durée de deux ans, renouvelable. Désormais, s’il arrive à échéance, cela implique le retour à la rue et à l’irrégularité, pour deux raisons : les migrants adultes doivent quitter les centres d’accueil institutionnels et ils n’ont plus accès au travail légal, car un employeur qui embauche, ou maintient à son poste, une personne qui n’a pas de papiers en règle risque des sanctions pénales.

      Concrètement, cela signifie donc que ceux qui avaient un contrat de travail en bonne et due forme doivent être licenciés ?

      On peut citer à titre d’exemple le cas d’une entreprise de Parme, en Émilie-Romagne, spécialisée dans la logistique, la Number 1 Logistics qui emploie 4 000 salariés. En 2017, elle avait recruté 120 personnes provenant du Ghana, du Nigéria, du Sénégal et du Venezuela et titulaires d’un permis de séjour humanitaire. L’entreprise les a formées, leur a offert un contrat de travail régulier avec une paie de 1 200 euros par mois, qui correspond à ce que perçoit un ouvrier non spécialisé. Mais elles ont dû être licenciées comme l’a récemment déploré le patron de Number 1 Logistics, lors d’une réunion de la Commission parlementaire chargée des affaires constitutionnelles.

      Un cas tristement exemplaire. Le nouveau gouvernement, formé il y a cinq mois, envisage-t-il d’abroger ou de modifier les décrets sécuritaires de Matteo Salvini ?

      En fait, les divergences entre le Mouvement Cinq étoiles et le Parti démocrate sur un dossier aussi important que celui des migrants cristallisent la situation. Certes, on en est plus à l’époque du Salvini tout puissant et des ports fermés. Mais concernant les politiques d’intégration, on ne note encore aucun changement. Cela dit, la ministre de l’Intérieur, Lucia Lamorgese, une technicienne soutenue par le centre gauche, a annoncé qu’elle voulait assouplir les conditions de régularisation, notamment pour les demandeurs d’asile obtenant un contrat de travail. Un projet en ce sens devrait être présenté devant le Parlement, après les élections régionales du 26 janvier en Émilie-Romagne et en Calabre.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/22186/les-lois-anti-migrants-de-salvini-sont-toujours-d-actualite-en-italie?

    • La sicurezza dell’esclusione

      Aumento consistente del numero di stranieri irregolari e difficoltà nell’applicazione dei nuovi bandi per la gestione dei centri da parte delle Prefetture. È il quadro che emerge dal rapporto “La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019”, che abbiamo realizzato con openpolis e che offre una prima valutazione dell’impatto delle politiche migratorie del primo Governo Conte.

      https://www.actionaid.it/app/uploads/2020/05/CentridItalia_2019.pdf

      Pour télécharger le #rapport:
      La sicurezza dell’esclusione


      https://www.actionaid.it/app/uploads/2020/05/CentridItalia_2019.pdf

    • Migranti, così i decreti Salvini hanno fatto scivolare 140 mila persone nell’irregolarità

      Anticipazione del Dossier statistico 2020. Per la prima volta dopo anni diminuiscono di ben 100 mila unità gli stranieri extra Ue regolarmente soggiornanti in Italia. Effetto in particolare del primo decreto sicurezza, oltre che della perdurante mancanza di programmazione degli ingressi stabili

      https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/migranti_cosi_i_decreti_salvini_hanno_fatto_scivolare_140mila_perso

  • Fil de discussion sur les résistances au #Decreto_Salvini

    Une #carte :


    http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/01/04/-sicurezza-salvini-legge-stato-firmata-da-mattarella-_04c71304-ad4c-4b71-9287-0

    Décompte : 157 communes qui s’opposent plus ou moins ouvertement au décret salvini.

    La région #Sicile, par contre, a décidé de ne pas faire recours :
    Sicurezza, Musumeci non segue Orlando. « La Sicilia non farà ricorso alla Consulta »
    https://www.lasicilia.it/news/politica/213400/sicurezza-musumeci-non-segue-orlando-la-sicilia-non-fara-ricorso-alla-cons

    Et une #carte, que je vais essayer de mettre à jour régulièrement :


    http://u.osmfr.org/m/279671
    En rouge : les maires qui disent NON
    En orange : des oppositions citoyennes et de la société civile
    #cartographie #visualisation

    Des maires italiens se lèvent contre les mesures anti-migrants de Salvini

    Plus d’une centaine de maires italiens font front contre la loi 132 sur la sécurité, tant voulue par le ministre de l’intérieur, Matteo Salvini. Ils dénoncent les mesures qui concernent les migrants, inconstitutionnelles selon eux.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/120119/des-maires-italiens-se-levent-contre-les-mesures-anti-migrants-de-salvini

    #villes-refuge #ville-refuge

    • ANCHE IL COMUNE DI BRINDISI CHIEDE LA SOSPENSIONE DEL DECRETO SALVINI

      È appena passato in Consiglio Comunale l’ordine del giorno presentato dai gruppi di maggioranza: Brindisi Bene Comune, PD, Ora tocca a noi e Liberi e Uguali riguardo l’impatto sui territori del decreto Legge 4 ottobre 2018, n.113 in materia di immigrazione e sicurezza.
      Insieme alla giunta mi impegno a chiedere al Ministro dell’interno Matteo Salvini ed al Governo di sospendere, in via transitoria fino a conclusione dell’iter parlamentare, gli effetti dell’applicazione del Decreto Legge n.113/2018 e ad aprire un confronto con la Città di Brindisi e con la sua Provincia, oltre che in generale le città italiane, al fine di valutare le ricadute concrete di tale Decreto sull’impatto in termini economici, sociali e sulla sicurezza dei territorio.
      Mettere in discussione il modello di accoglienza degli SPRAR significa compromettere la dignità degli immigrati e la sicurezza dei cittadini e delle cittadine.
      Paradossalmente il Decreto Salvini alimenta e genera insicurezza.

      https://www.facebook.com/riccardo.rossi.90475/posts/10215191533634416
      #Brindisi

    • Il Comune di #Senigallia ha respinto il decreto Salvini

      «Stravolge il senso dell’accoglienza, non ne sentivamo proprio il bisogno».

      Il Comune di Senigallia, così come tanti Comuni grandi e piccoli, ha respinto il cosiddetto decreto “Salvini”. Di questo decreto non se ne sentiva proprio il bisogno!

      Il nostro Comune dal 2007 fa parte del Network dei primi 100 Comuni europei per le buone pratiche di accoglienza e integrazione riconosciuto dal Consiglio d’Europa. Pratiche attuate non per “buonismo” ma nell’interesse di tutti, anche del migrante.

      Senigallia aveva aderito al progetto SPRAR (gestito dalla Caritas non dalla ‘ndrangheta o da mafia capitale!) che prevedeva fino ad un massimo di 55 migranti, attualmente ne accogliamo 36. Aver accettato questa quota ci ha garantito di non dover accogliere altri migranti quando la prefettura si trova in emergenza.

      Il decreto stravolge in peggio il sistema dell’accoglienza. Fino ad ora esisteva un sistema di prima accoglienza e seconda accoglienza. La prima formata dai CAS, i Centri di accoglienza straordinaria dove si procede all’identificazione del migrante, si esamina la domanda di asilo, si valuta lo stato di salute e la sussistenza di eventuali condizioni di vulnerabilità , come aver subito stupro, violenza, stato di gravidanza e presenza di un nucleo famigliare. La seconda lo SPRAR, sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, si attiva una volta esaurita la prima fase e punta non solo al mantenimento delle condizione essenziali di vita ma si preoccupa di facilitare l’integrazione in attesa della valutazione delle Commissioni territoriali provinciali. Il decreto toglie ogni riferimento alla seconda accoglienza per i richiedenti asilo, riduce drasticamente la possibilità di accedere allo status di rifugiato e prevede i Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) dove possono essere avviati (reclusi) per 6 mesi tutti gli altri, anche persone che hanno subito violenza, stupro e dove sono separati i mariti dalle mogli e dai figli.

      Una vergogna di cui presto o tardi, ma inevitabilmente, verrà chiesto conto a tutti, anche a coloro che non si sono opposti!

      E veniamo alla parte che riguarda la sicurezza. Siamo d’accordo con Salvini, la qualità di una democrazia si misura nella sicurezza che infonde ed assicura ai propri cittadini. E gli italiani non si sentono affatto sicuri, tanto che tutta una serie di patologie legate a stress o ansia e depressione sono in drammatico aumento. In tutte le indagini sociologiche risulta che le persone non si sentono al sicuro per la mancanza di lavoro, di discontinuità del reddito, per il timore di perderlo, per una pensione o uno stipendio che non è sufficiente a pagare l’affitto o il mutuo o a mantenere i figli all’Università o a pagare gli esami medici o ad acquistare le medicine.

      Però Salvini e la sua imponente macchina comunicativa ci sta distogliendo dai veri obiettivi, dai responsabili del nostro disagio e sta riuscendo a convincerci che la nostra sicurezza dipende dall’emergenza migranti (che non c’è e non c’è mai stata!), reati predatori e incolumità personale e decoro urbano e quindi serve polso di ferro contro gli ultimi arrivati e più pistole per tutti per la legittima difesa. Bisognerebbe ricordare che la Norvegia, paese multietnico, dove si investe di più nel welfare, è il paese d’Europa dove la percezione di sicurezza è più elevata e la polizia è disarmata!

      http://www.senigallianotizie.it/1327473188/il-comune-di-senigallia-ha-respinto-il-decreto-salvini

    • A.A.A. COMUNICATO STAMPA SUL DECRETO SICUREZZA DELLE FAMIGLIE ACCOGLIENTI dei RAGAZZI RIFUGIATI

      “Dovrete espellere anche noi”

      Come famiglie che hanno un ragazzo africano o asiatico con loro siamo indignate e offese dal fatto che il governo abbia posto la fiducia sul Decreto n. 113/2018, bugiardamente definito “Decreto sicurezza” quando in realtà aumenterà il numero di migranti in situazione irregolare e creerà maggiore insicurezza nelle nostre città.
      Si tratta di un decreto che non avrebbe mai dovuto nascere, poiché non esisteva alcun motivo di “urgenza” per regolare una materia complessa e variegata com’è l’immigrazione: si tratta di un vizio di legittimità costituzionale che non viene sanato dalla conversione in legge attraverso i voti della Camera e del Senato. Inoltre il decreto è palesemente incostituzionale perché disomogeneo al suo interno, senza parlare della violazione degli obblighi internazionali dell’Italia e dell’articolo 10 della Costituzione dovuta all’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
      Queste ragioni sono state ignorate dai 336 deputati che hanno votato “sì” alla fiducia ieri, un voto che non aveva altra ragione se non quella di impedire un dibattito parlamentare dal quale sarebbero emerse le crepe all’interno della maggioranza, all’interno della quale è stato effettuato uno scambio tra temi che interessavano il Movimento 5 stelle (la riforma della prescrizione) e materie che interessavano alla Lega (il decreto 113/2018). Uno scandaloso mercimonio su misure che ledono i fondamentali diritti delle persone.
      Come famiglie accoglienti vi vogliamo dire solo questo: la nostra battaglia non finisce qui. Non metterete in pericolo la vita e la felicità di ragazzi che parlano italiano, lavorano, studiano, vogliono vivere e amare nel nostro paese. Questo decreto è ignobile e noi lo combatteremo in tutte le sedi, dalla Corte Costituzionale fino alla Corte Europea di Strasburgo.
      Se vorrete cacciare questi preziosi giovani dovrete farlo espellendo anche noi.

      Famiglie Accoglienti di Bologna
      famiglie.accoglienti.bologna@gmail.com

      con Diego Rufillo Passini Stefania Andreotti Giovanni Sean Panettiere Sara Forni Marina Amaduzzi Alessandro Alvisi Ilaria Venturi Francesca Paron Dina Galli Pietro Andriotto Giacomo Rondelli Angelo Dattilo Benito Fusco Anna Salfi Paolo Brighenti Gianni Brandani Fabio Brandani Benedetto Brandani Giacomo Brandani Giovanni Genova

      Reçu d’une amie via whatsapp

    • Migranti, il borgo di #Sutera contro il dl Salvini: ‘Nessuno per strada. Pagheremo l’accoglienza con il bilancio comunale’

      «Anche il Comune ha tratto beneficio dal progetto Sprar», spiega il sindaco. «Sei ragazzi sono stati assunti dall’associazione che lo gestisce». Ora i 15 migranti che non hanno ottenuto lo status di rifugiati ma attendono la decisione della Commissione territoriale dovrebbero essere espulsi dal sistema di protezione

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/12/11/migranti-il-borgo-di-sutera-contro-il-dl-salvini-nessuno-per-strad

    • #Leoluca_Orlando sospende il decreto Salvini. Il ministro: «Pensi ai problemi di Palermo»

      L’ira del leader leghista: "Il sindaco sinistro pensa a fare «disobbedienza» sugli immigrati"

      https://www.huffingtonpost.it/2019/01/02/leoluca-orlando-sospende-il-decreto-salvini-il-ministro-pensi-ai-prob
      #Palerme

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      Leoluca Orlando sur twitter: «La sospensione dell’applicazione della l. 132/18 per quanto riguarda le competenze del sindaco non è un atto di disobbedienza civile né di obiezione di coscienza, ma la semplice applicazione dei diritti costituzionali che sono garantiti a tutti coloro che vivono nel nostro paese»
      https://twitter.com/LeolucaOrlando1/status/1080525653768843264

      #désobéissance_civile #droits_constitutionnels

    • I sindaci contro il decreto sicurezza: #Orlando, #De_Magistris, #Nardella, #Pizzarotti, #Falcomatà, #Pascucci, #Alessandrini. Disobbedienza umanitaria dei sindaci.

      L’annuncio del primo cittadino di Palermo - che sospende il provvedimento bandiera del vicepremier leghista - scuote la politica. E apre una riflessione anche tra i primi cittadini. Nardella: «Non ci pieghiamo al ricatto del dl Salvini». Pizzarotti: «Con le nuove norme difficoltà nell’avere documenti». Falcomatà: «Chiediamo un incontro al Viminale». Il ministro dell’Interno: «Legge firmata da Mattarella»

      Ha aperto una breccia, il sindaco di Palermo. Leoluca Orlando ha annunciato la sospensione, nella sua città, degli effetti del decreto sicurezza. In particolare - ma non solo - per quanto riguarda l’impossibilità di iscriversi all’anagrafe alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi umanitari (con l’esclusione quindi da una serie di servizi sociali). «È disumano e criminogeno», dice Orlando. E poi rincara la dose: «Puzza di razziale». Orlando ha toccato un tasto dolente. Innescando reazioni politiche. E il consenso di altri sindaci. Per questo Salvini gli risponde in modo durissimo.

      De Magistris: "Noi obbediamo alla Costituzione"Il sindaco di #Napoli, Luigi de Magistris, rivendica di aver fatto subito la scelta di sospendere il decreto. Fin dall’approvazione del provvedimento: «Ho schierato la mia città dalla parte dei diritti - dice a Repubblica - noi applichiamo le leggi ordinarie solo se rispettano la Costituzione repubblicana. È obbedienza alla Carta e non disobbedienza civile. L’iscrizione all’anagrafe è fondamentale, consente alle persone di avere diritti. Sono in ballo interessi primari della persona: l’assistenza, l’asilo. Ci muoviamo in questa direzione anche per il sistema Sprar che è un’esperienza da tutelare mentre questo governo punta a riaprire centri affollati, depositi di persone che rischiano di trasformarsi in vere e proprie bombe umane».
      #Naples

      L’Anci: «Servono correttivi» Il primo cittadino di #Reggio_Calabria, Giuseppe #Falcomatà, è amareggiato: «Come sindaci avevamo rilevato queste problematiche fin da ottobre - dice a Repubblica - e non c’è stata alcuna concertazione e condivisione. Nella nostra città mai applicheremo norme che vanno contro i principi costituzionali e di accoglienza. A questo punto auspichiamo che il Viminale voglia incontrare l’Anci».

      In realtà sono molti gli aspetti del decreto contestati: «Ci dicono di sgomberare gli irregolari e non ci dicono dove collocarli», spiega Falcomatà. Ma i problemi non riguardano solo la gestione dei migranti: «Un aspetto che mi inquieta molto è anche la possibilità di vendere beni sequestrati alla mafia senza alcuna selezione. In questo modo il mafioso rischia, attraverso un prestanome, di rientrare in possesso del bene confiscato».

      Federico #Pizzarotti, primo cittadino di #Parma, è preoccupato: «Da subito abbiamo segnalato che questo decreto, per come è scritto, crea solo problemi, difficoltà nell’avere documenti e quindi nell’inserirsi in un percorso regolare, anche per ottenere un lavoro. Queste persone ovviamente non scompaiono con il decreto sicurezza, ma restano sul territorio, con difficoltà dal punto di vista del riconoscimento. Cercheremo di capire come si muovono gli altri Comuni, di coordinarci. Certo non basta una lettera di un sindaco per modificare il funzionamento dell’anagrafe e sospendere una legge dello Stato».
      #Parme

      Si schiera anche il sindaco di #Firenze, Dario #Nardella: «Firenze non si piegherà al ricatto contenuto nel decreto sicurezza che espelle migranti richiedenti asilo e senza rimpatriarli li getta in mezzo alle strade. Ci rimboccheremo le maniche perché Firenze è città della legalità e dell’accoglienza, e quindi in modo legale troveremo una soluzione per questi migranti, fino a quando non sarà lo Stato in via definitiva a trovare quella più appropriata».
      #Florence

      Alessio #Pascucci, sindaco di #Cerveteri, è anche coordinatore nazionale di Italia in Comune e denuncia: «Ai Comuni ora toccherà sobbarcarsi 280 milioni di euro di costi per la gestione del decreto, in termini di servizi sociali e sanitari rivolti ai soggetti vulnerabili. Chiediamo lo stralcio della parte relativa allo Sprar. E serve un tavolo di concertazione con l’Anci». E il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, sindaco di Bari: «A questo punto è necessario un tavolo a livello ministeriale per introdurre i correttivi. La norma così com’è non tutela i diritti della persona».

      E il sindaco di #Pescara, Marco #Alessandrini: «Quella di Palermo è una scelta da studiare, su cui rifletterò. Ma questa è una situazione in cui noi sindaci ci troviamo a causa delle scelte criminogene, sul piano dei diritti, fatte da Matteo Salvini. Per me valgono le parole di Mattarella. La questione della sicurezza - e della convivenza - si declina attraverso diritti e doveri. E ricordo che a Pescara, come in molte altre città d’Italia, il primo nato dell’anno è figlio di una famiglia di migranti».

      Pd: «I sindaci reagiscono per tutelare le città»
      Il Pd si schiera con la mobilitazione dei sindaci. «Gli effetti del decreto Salvini purtroppo sono evidenti - dice a Repubblica Maurizio Martina - più insicurezza per tutti e meno gestione delle situazioni più delicate. Capisco i sindaci che per difendere i loro cittadini reagiscono a tutela delle città». Più tardi aggiunge: «Bisogna lavorare alla raccolta firme per un referendum abrogativo».

      Nicola #Zingaretti, altro candidato in corsa per la segreteria dem: «Mi sento vicino al sindaco Orlando al suo impegno contro l’odio e capisco la sua fatica per porre rimedio a norme confuse scritte solo per l’ossessione di fare propaganda e che spesso producono caos, più diffidenza e insicurezza per tutti. Tutto sulle spalle dei territori e degli amminisitratori locali. Dall’odio non è mai nata la sicurezza e il benessere per le persone, ma solo macerie per i furbi e i piu forti».

      https://www.diritti-umani.org/2019/01/i-sindaci-contro-il-decreto-sicurezza.html?spref=fb

    • Salvini: «Via i sindaci contrari al decreto sicurezza». Ma il sindaco di Milano #Beppe_Sala: così non va

      Sempre più aspro lo scontro tra sindaci e governo sul decreto sicurezza. Il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini replica al sindaco di Palermo Leoluca Orlando e agli altri sindaci «dissidenti» sul decreto sicurezza. «Se c’è una legge, si rispetta. E se c’è qualche sindaco che non è d’accordo, si dimetta: dimettetevi ragazzi miei, siamo in democrazia e governano gli italiani, non qualche professorone o intellettualone o cantante o giornalista», attacca Salvini. In diretta su Facebook, dal rifugio sulla neve dove è in vacanza, il ministro dell’Interno si rivolge a «quei poveretti di sindaci di Palermo, Pescara, Napoli, Firenze, Reggio Calabria, che invece di preoccuparsi dei milioni di italiani in difficoltà per la casa, per il lavoro, per le liste d’attesa negli ospedali, per i reati che si moltiplicano, si preoccupano di dare documenti e diritti agli immigrati irregolari»: «Dico a questi sindaci che è finita la pacchia, che ne risponderanno ai loro cittadini, che gli pagano lo stipendio, ai loro figli, agli italiani che verranno, perché noi abbiamo accolto fin troppo in passato. Se pensano di intimidire qualcuno- sottolinea Salvini- hanno trovato il governo e il ministro sbagliato». Nonostante le «intromissioni» divertite della figlia piccola, Salvini mantiene toni durissimi nei confronti di «Orlando, de Magistris, Nardella, gli assessori di Milano, di Bologna»: «Non si molla di un millimetro», conclude brandendo un bombardino, la bevanda «energetica» degli sciatori.

      Milano

      Il riferimento all’assessore di Milano non è casuale. Perché il capoluogo lombardo si è unito ufficialmente al fronte della disobbedienza al decreto sicurezza lanciato mercoledì dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Beppe Sala infatti ha scritto su Facebook: «Ministro Salvini, ci ascolti e riveda il decreto sicurezza, così non va!». «Da settimane noi sindaci avevamo richiesto, anche attraverso l’Anci, di ascoltar la nostra opinione su alcuni punti critici, per esempio ampliando i casi speciali e garantendo la stessa tutela della protezione internazionale ai nuclei familiari vulnerabili, anche attraverso lo Sprar, oggi escluso dal decreto sicurezza per i richiedenti asilo» prosegue il sindaco. «Occorre inoltre valutare l’impatto sociale ed economico del decreto per le nostre città: più persone saranno per strada senza vitto e alloggio, più saranno i casi di cui noi Sindaci dovremo prenderci cura», ricorda Sala.

      Già mercoledì con un tweet (https://mobile.twitter.com/pfmajorino/status/1080478300735184896) aveva ribadito le intenzioni dell’amministrazione l’assessore al Welfare, Pierfrancesco Majorino. «Non abbiamo nessuna intenzione - ha detto in accordo con #Sala - di togliere l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo che l’hanno già fatta, legge o non legge». Non solo il Comune, ha aggiunto Majorino, in queste settimane sta accogliendo nei centri per senzatetto «italiani e stranieri, senza porci il problema se siano regolari o meno: meglio averli nei centri che saperli per strada».

      https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/19_gennaio_03/majorino-pronti-disobbedire-decreto-sicurezza-ma-sala-tace-8d306c74-

      #Milan

    • Nardella contro Salvini: «Non ci pieghiamo al ricatto del decreto sicurezza»

      Nardella contro Salvini: «Non ci pieghiamo al ricatto del decreto sicurezza»

      Un gruppo di primi cittadini, guidati dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, si è schierato apertamente contro il ministro degli interni Matteo Salvini decidendo di non applicare il decreto sicurezza. In prima fila anche il sindaco Dario Nardella.

      «Firenze non si piegherà al ricatto contenuto nel decreto sicurezza che espelle migranti richiedenti asilo e senza rimpatriarli li getta in mezzo alle strade - ha detto Nardella al quotidiano la Repubblica -. Ci rimboccheremo le maniche perché Firenze è città della legalità e dell’accoglienza, e quindi in modo legale troveremo una soluzione per questi migranti, fino a quando non sarà lo Stato in via definitiva a trovare quella più appropriata».

      Nardella ha incontrato poco prima di Natale il ministro degli Interni con il quale si era reso disponibile per l’apertura di un centro per i rimpatri in città. «Il governo non sta facendo i rimpatri che aveva promesso di fare. Come Comune ci prenderemo l’impegno di non lasciare nessuno in mezzo alla strada, anche se questo comporterà per noi un sacrificio in termini di risorse economiche - ha aggiunto Nardella - Ma non possiamo permetterci di assistere a questo scempio umanitario: espellere persone dai centri di accoglienza, sulla base del nuovo decreto, lasciandoli in mezzo alla strada. Il fatto grave del decreto è che individua un problema ma non trova una soluzione».

      In sostanza i sindaci hanno ordinato ai dirigenti dell’anagrafe di continuare a iscrivere nel registro dei residenti i migranti con regolare permesso di soggiorno presenti solo per motivi umanitari (secondo il decreto tali persone non dovrebbe vedersi rinnovato il permesso).


      http://www.firenzetoday.it/cronaca/nardella-salvini-decreto-sicurezza.html

    • #Siracusa, il sindaco Italia a fianco dei «disobbedienti» al Decreto Sicurezza

      Il primo cittadino auspica che il Governo ascolti i sindaci e le forze politiche che hanno evidenziato le conseguenze di questo dispositivo

      Il sindaco di Siracusa, #Francesco_Italia, al fianco dei sindaci disobbedienti verso il Decreto sicurezza.

      “Ritengo che l’articolo di legge di conversione del cosiddetto «decreto sicurezza» - dichiara il primo cittadino - negando la possibilità di iscriversi all’anagrafe e di ottenere la residenza ai possessori di permesso di soggiorno, presenti evidenti profili di illegittimità costituzionale, si ponga in contrasto con i principi comunitari e sia deprecabile da un punto di vista etico e morale".

      Da qui il suo schierarsi apertamente con i sindaci dissidente in nome dei principi costituzionali di Uguaglianza.

      "L’applicazione di questa norma - continua Italia - equivale ad un ritorno all’indietro di decenni in termini di accoglienza in quanto, senza la concessione della residenza, i comuni non potranno rilasciare al migrante la carta di identità, negandogli di conseguenza l’accesso ai servizi sanitari e ai centri per l’impiego. Il nostro paese, profondamente legato ad una tradizione umanitaria e cristiana, - aggiunge - non può far prendere il sopravvento a sentimenti di discriminazione e di paura. Mi auguro che il Governo ascolti la voce dei Sindaci e di tutte quelle forze politiche che hanno evidenziato le conseguenze in termini di sicurezza e di incertezza derivanti dalla applicazione immediata di un tale dispositivo”.

      http://www.siracusapost.it/sites/default/files/styles/articolo/public/media/italia.PNG?itok=aDvofEes
      http://www.siracusapost.it/1.71902/nota-cronaca/sicilia-siracusa-provincia-siracusa/104/siracusa-il-sindaco-italia-fianco-dei

    • Palermo, capitale dell’accoglienza: la grande lezione della Sicilia a tutta l’Italia

      Nei quartieri più poveri volontari e Comune integrano 25 mila stranieri, Ballarò rivive con Moltivolti e con i commercianti bengalesi che denunciano gli estortori della mafia. Un modello alternativo. E ora Orlando annuncia la sospensione del decreto Salvini.

      «Di questo cambiamento culturale dobbiamo ringraziare soprattutto i migranti», afferma il sindaco, «Palermo, città migrante, per cento anni ha rifiutato i migranti: le uniche migranti erano distinte signore tedesche, rumene, austriache, francesi che avevano cura di noi bambini della Palermo aristocratica. Oggi Palermo grazie all’arrivo e all’accoglienza dei migranti ha recuperato la propria armonia perduta: davanti alle moschee passeggiano musulmani, la comunità ebraica realizza una sinagoga e, qua e là, a decine sorgono templi hindu e buddisti. Oggi grazie alla presenza di migliaia di cosiddetti migranti, i palermitani scoprono il valore dell’essere persona e difendono i diritti umani, i loro diritti umani. Una ragazza disabile in sedia a rotelle, palermitana, mi ha detto: “Grazie Sindaco, da quando accogliamo i migranti io mi sento più eguale, più normale, meno diversa”. E se cominciassimo a puntare in alto? Ad accettare che i migranti ci aiutino a recuperare il ruolo del merito? Non più a chi appartieni? Ma finalmente chi sei? Chi hai deciso di essere, cosa sai fare? Don Pino Puglisi, il mio carissimo amico Pino, non combatteva la mafia con le armi e con le denunce, chiedeva venisse rispettato il diritto dei bambini del quartiere di avere una scuola, una scuola degna di questo nome e non più una scuola collocata in appartamenti di proprietà di mafiosi lautamente ricompensati con canoni di affitto gonfiati. A Palermo difendiamo l’unica razza: quella umana. Non ci sono migranti a Palermo: chi vive a Palermo è palermitano. E chi distingue gli esseri umani secondo le razze prepara Dachau e Auschwitz».

      http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/01/02/news/palermo-accoglienza-orlando-salvini-1.330083?ref=twhe&twitter_ca

    • À Palerme et à Naples, les maires refusent d’appliquer le “décret Salvini”

      D’après la nouvelle loi promue par le ministre d’extrême droite, les demandeurs d’asile ne pourront plus s’inscrire sur les registres de l’état civil et donc posséder un domicile légal. Une mesure anticonstitutionnelle et inhumaine, estiment certains maires italiens, qui ont fait savoir qu’ils ne l’appliqueraient pas.

      https://www.courrierinternational.com/article/palerme-et-naples-les-maires-refusent-dappliquer-le-decret-sa

    • #Caltanissetta, sindaco #Ruvolo: “Sono vicino a Leoluca Orlando, decreto sicurezza non coerente con la storia italiana”

      Il sindaco di Caltanissetta, Giovanni Ruvolo, tramite un post su facebook, si schiera a favore di Leoluca Orlando nella diatriba sul decreto Sicurezza: “Tempo fa ci eravamo espressi mostrando forti perplessità sul cosiddetto decreto Salvini, sperando che il buon senso consentisse al parlamento di produrre una legge più equilibrata e rispettosa dei diritti di chi vive nel territorio italiano. Purtroppo così non è stato. La mia sensibilità verso questi argomenti mi pone, ovviamente, in linea con quella politicamente espressa dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, per la tutela dei diritti delle persone che vivono in Italia, nei confronti di chi lavora, studia o è titolare di un permesso di soggiorno dopo aver fatto richiesta di asilo.
      Reputo il decreto Sicurezza, soprattutto in alcune parti, non coerente con la storia italiana che ha fatto dell’accoglienza un valore. Sul piano amministrativo ho dato mandato agli uffici competenti di approfondire la questione sotto il profilo giuridico per assumere le decisioni conseguenti. Valuteremo, come primo passo, l’opportunità di mettere per iscritto le motivazioni del diniego all’iscrizione all’anagrafe che scaturiscono dall’applicazione dell’articolo 13 del decreto Sicurezza. In questo modo i richiedenti asilo avranno la possibilità di sollevare la questione costituzionale nell’ambito di eventuali ricorsi al giudice ordinario”.


      https://www.ilfattonisseno.it/2019/01/caltanissetta-sindaco-ruvolo-sono-vicino-a-leoluca-orlando-decreto-si

    • „Il Comune dice no al decreto Salvini: «Favorirà l’illegalità sul territorio»“
      Il Comune dice no al decreto Salvini

      „Il Consiglio comunale di Torino ha detto no al decreto Salvini. Su iniziativa di Elide Tisi (Pd), prima firmataria, è stato infatti approvato - con trenta voti favorevoli e due contrari - un Ordine del giorno in materia di «Immigrazione e sicurezza». L’atto del Consiglio invita la Giunta di Palazzo Civico a chiedere al Ministero dell’Interno e al Governo di sospendere “in via transitoria fino alla conclusione dell’iter parlamentare” gli effetti dell’applicazione del Decreto Legge Salvini e ad aprire un confronto con Torino e le altre grandi città, per valutare le ricadute concrete del provvedimento in termini economici, sociali e di sicurezza dei territori.“

      http://www.torinotoday.it/politica/comune-no-decreto-salvini.html

    • Ecco i comuni che sospendono il decreto sicurezza (contro Salvini)

      È molto più di una polemica quella sollevata dal primo cittadino di Palermo Leoluca Orlando sul decreto sicurezza. Questione giuridica e ideologica che ha scatenato una fronda di sindaci ribelli, difensori dello Sprar, da Luigi de Magistris (Napoli) a Dario Nardella (Firenze), da Chiara Appendino (Torino) a Virginio Merola (Bologna). Anche Virginia Raggi, sindaca di Roma, ha chiesto al governo di mitigare gli effetti del decreto. E alla protesta si unisce la voce del sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà che chiede «un tavolo di confronto con il Viminale per capire se esistano le condizioni di dialogo per rivedere alcune parti di questo decreto sicurezza che ha evidenti ricadute negative sui territori. Effetto di un provvedimento mai concertato e condiviso con i sindaci». Altri comuni stanno valutando l’impatto della sospensione: per il primo cittadino di Parma Federico Pizzarotti «il tema va affrontato».

      Il parere (contrario) dei costituzionalisti
      I sindaci che dicono no al decreto sicurezza proclamano di fatto un atto di disobbedienza contro la legge 132/2018. Oppure, di obbedienza costituzionale: dipende dai punti di vista. È un attacco politico? Per Nardella è resistenza a uno “scempio umanitario”. Per Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, «il sindaco non può disapplicare la legge». Dello stesso parere altri illustri costituzionalisti. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini avverte i primi cittadini: «Ne risponderanno personalmente, legalmente, penalmente e civilmente perché è una legge dello Stato che mette ordine e mette regole». «Ho fatto un atto istituzionale, da sindaco. Perché ritengo che questo decreto realizza una violazione dei diritti umani. La vogliamo smettere di dire che chi rispetta i diritti umani è eversivo?», dichiara Orlando.

      La proposta dell’Anci, un tavolo ministeriale per correttivi
      E a sostegno di questi sindaci, che governano territori in cui l’accoglienza ha funzionato, avviando gli immigrati all’autonomia e in molti casi alla piena integrazione, ora Antonio Decaro, presidente dell’Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani) propone «un tavolo di confronto in sede ministeriale per definire le modalità di attuazione e i necessari correttivi a una norma che così com’è non tutela i diritti delle persone». C’è poi chi si spinge fino all’ipotesi di un referendum abrogativo. Come Maurizio Martina (Pd) che afferma: «Quel decreto porta solo più insicurezza sulla pelle di tutti i cittadini. È giusto contrastarlo per difendere le città dalla follia della propaganda».

      La disposizione del sindaco Orlando
      Orlando è passato ai fatti prima di Natale: con una disposizione indirizzata ai dirigenti del Comune, ha ordinato di sospendere l’applicazione della legge, dando mandato «di approfondire tutti i profili giuridici anagrafici derivanti dall’applicazione della legge 132/2018». «Nelle more di tale approfondimento - ha scritto il sindaco - impartisco la disposizione di sospendere, per gli stranieri eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge 132/2018, qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona in particolare, ma non esclusivo, riferimento alle procedure di iscrizione della residenza».

      Il sistema Palermo
      Per capire la posizione netta assunta dal sindaco di Palermo è necessario conoscere il sistema per l’integrazione della sua città: «Accoglienza diffusa, organizzata d’intesa con Prefettura e Questura, in collaborazione con associazioni e università, suddivisa tra Cas, Sprar e piccole comunità», spiega Giuseppe Mattina, da 18 mesi assessore comunale alla Cittadinanza Sociale. Nel dettaglio: 40 comunità per minori non accompagnati, 12 Cas (Centri di accoglienza straordinaria, ma con numeri contenuti), 6 Sprar (di cui uno dedicato a soggetti vulnerabili). In totale, poco più di 1700 i beneficiari e circa 5500 gli operatori attivi nei progetti. «Qua è saltato un sistema organizzato, che garantiva davvero la sicurezza del territorio e a tutti gli stessi diritti», spiega Mattina. Tanti i siciliani coinvolti in attività di volontariato: «Un approccio che dimostra un processo culturale profondo. A Palermo non c’è scuola, ad esempio, che non sia partecipe di progetti di integrazione. Questa è cultura dell’accoglienza e dell’uguaglianza».

      “Ragazzi Harraga”
      Ma a riflettere lo spirito umanitario del capoluogo siciliano è soprattutto il progetto “Ragazzi Harraga”, iniziativa di inclusione sociale per minori migranti non accompagnati, gestita dal Centro italiano aiuti all’infanzia di Palermo, nata con il bando Never Alone: una rete di nove fondazioni per favorire l’autonomia e l’inclusione dei giovani migranti soli sul territorio italiano, garantendo il pieno rispetto dei loro diritti. Che si inserisce nel programma europeo EPim – European Programme on Integration and Migration - per promuovere gli stessi obiettivi anche in Grecia, Germania e Belgio.

      Le “imprese accoglienti” per l’inclusione lavorativa
      In Italia ne hanno beneficiato in più di 300. Settanta giovani hanno frequentato tirocini e laboratori e più di 20 sono stati assunti da imprese “accoglienti”, una cinquantina di attività, dall’abbigliamento alla ristorazione, impegnate a realizzare un modello di inclusione lavorativa. «Harraga è un termine arabo che indica i ragazzi che bruciano le frontiere, che attraversano i deserti e il mare, che durante il loro viaggio vengono più volte venduti e rapiti. Impiegano almeno 4 anni per arrivare in Italia, partono bambini e arrivano adolescenti. E nel loro peregrinare imparano le lingue dei posti in cui hanno vissuto e tanti mestieri. Noi qui lavoriamo per valorizzare le loro competenze, anche quelle informali. Molti frequentano la scuola, prendono la licenza media, poi quella superiore, alcuni anche la laurea. Sono brillanti, volenterosi e capaci», spiega Alessandra Sciurba, filosofa del diritto prestata alla causa umanitaria, che coordina il progetto dei Ragazzi Harraga. Said (dal Camerun), Amoud (dal Gambia) e Rita (dalla Nigeria), con una storia difficile di immigrazione alle spalle, oggi si occupano dell’inserimento abitativo dei migranti soli neomaggiorenni. Sostengono il pagamento di affitti e bollette con i proventi di una foresteria organizzata nel complesso di Santa Chiara, quartiere Ballarò, che ospita turisti solidali.

      Echi del modello Riace
      Sono echi del modello Riace, il borgo dell’accoglienza calabrese che in 20 anni di attività ha risollevato l’economia del posto e rigenerato il tessuto sociale attraverso un nuovo sistema di integrazione: un’esperienza spazzata via da un’inchiesta giudiziaria - di cui si attendono sviluppi - che ha sospeso dalle sue funzioni il sindaco Mimmo Lucano, vietandogli la dimora a Riace. Così il piccolo centro della Locride è tornato un paese fantasma. Intanto Lucano colleziona cittadinanze onorarie nei comuni d’Italia. Gli ultimi (dopo Milano, Firenze, Bologna, Scicli), i municipi di #Oriolo, #Capranica e #Sutri, con il sindaco Vittorio Sgarbi.

      https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-01-03/ecco-comuni-che-sospendono-decreto-sicurezza-contro-salvini-144932.shtm

      #Roma:

      Anche Virginia Raggi, sindaca di Roma, ha chiesto al governo di mitigare gli effetti del decreto.

    • Decreto Sicurezza? #Gori: «Produce irregolarità e insicurezza»

      Il sindaco di Bergamo: «Condannerà molti immigrati a vivere di espedienti, con una crescita dei reati. Condivido la richiesta di convocare urgentemente un incontro tra ministero e sindaci»


      https://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/19_gennaio_03/decreto-sicurezza-gori-produce-irregolarita-insicurezza-330f1474-0f
      #Bergamo

    • 1. Leoluca Orlando (Palermo)
      2. Luigi De Magistris (Napoli)
      3. Dario Nardella (Firenze)
      4. Federico Pizzarotti (Parma)
      5. Giuseppe Falcomatà (Città Metropolitana Reggio Calabria)
      6. Alessio Pascucci (Cerveteri, RO)
      7. Elisabetta Serra (Vaie, TO)
      8. Marco Alessandrini (Pescara)
      9. Vincenzo Giannone (Scicli, RG)
      10. Virginio Merola (Bologna)
      11. Francesco Italia (Siracusa)
      12. Nicola Sanna (Sassari)
      13. Vittorio Sgarbi (Oriolo, Capranica e Sutri,CS)
      14. Orlando Pocci (Velletri, RO)
      15. Giorgio Gori (Bergamo)
      16. Giuseppe Sala (Milano)
      17. Valeria Mancinelli (Ancona)
      18. Francesco Martines (Palmanova,UD)
      19. Paolo Erba (Malegno, BS)
      20. Giovanni Ruvolo (Caltanissetta)
      21. Giorgio Monti (Mezzago, MB)
      22. Mario Bruno (Alghero, SS)
      23. Davide Drei (Forlì)
      24. Sergio Giordani (Padova)
      25. Rösch (Merano)
      26. Alessandro Tambellini ( Lucca)

      Questi sono i sindaci contro il decreto sicurezza.
      E in fase di aggiornamento.

      https://www.facebook.com/chiara.marchetti.3979/posts/10219235983558361?comment_id=10219236567412957&notif_id=1546706224581648&n

    • Anche #Castelbuono sfida il ministro Salvini: “Non applicheremo il decreto sicurezza”

      “Apprezziamo la scelta del Sindaco di Palermo e di altri Sindaci d’Italia di sospendere l’applicazione della Legge 132/2018 meglio conosciuta come decreto sicurezza, iniziativa che il Comune di Castelbuono ha già avviato a partire dallo scorso 29 novembre con l’approvazione da parte del Consiglio comunale di un ordine del giorno per esprimere il proprio giudizio negativo sulle misure contenute nella legge e chiederne la sospensione su tutto il territorio comunale, suscitando anche la reazione di alcuni esponenti della Lega”. Lo ha detto il capogruppo di maggioranza Andrea Prestianni.

      “La decisione del principale organo collegiale locale rappresenta la massima espressione democratica, in un ordimento costituzionale democratico come il nostro; conseguentemente l’Amministrazione comunale e il Sindaco Mario Cicero chiede ai propri uffici di approfondire i profili giuridici derivanti dall’applicazione della sopra citata legge, con particolare riferimento ai rischi di violazione dei diritti umani, come garantiti dal diritto internazionale e dalla nostra Costituzione, e nelle more sospenderne l’applicazione – dice il capogruppo – Noi non applicheremo mai nessuna legge in contrasto con i princìpi espressi dalla nostra Costituzione. Abbiamo contestato e contestiamo quella legge ritenendo che lo smantellamento del sistema Sprar e la cancellazione della “protezione umanitaria” avrebbe aumentato significativamente il numero di persone in condizione di marginalità e clandestinità nelle città e nei territori. Oggi anche gli studi dell’Ispi sui dati del Ministero dell’Interno confermano quelle previsioni”.

      Secondo Prestianni, appare chiara la volontà del governo di non risolvere i problemi, ma al contrario alimentare il clima di discriminazione, razzismo, tensione sociale e ostilità nei confronti dei migranti e tra cittadini stessi, al fine di raccogliere il massimo consenso elettorale possibile alle prossime elezioni europee. “Ci auguriamo che tanti altri Sindaci d’Italia seguano l’esempio di quelle città e comuni, come Castelbuono e Palermo, che si sono già espressi contro il decreto Salvini, e che possa allargarsi sempre di più il fronte di realtà istituzionali, politiche e sociali che difendono i valori della solidarietà, della fratellanza e della pace”.

      https://www.madoniepress.it/2019/01/04/anche-castelbuono-sfida-il-ministro-salvini-non-applicheremo-il-decreto

    • Decreto sicurezza, anche la Regione si oppone a Salvini: «600 mila euro per seconda accoglienza»

      Decreto sicurezza, anche la Regione si oppone a Salvini: «600 mila euro per seconda accoglienza»
      „Non solo i sindaci in campo contro il decreto Sicurezza in tema di migranti. Anche la Regione Lazio di Nicola Zingaretti si è schierata contro la legge che abolisce di fatto il permesso di soggiorno per motivi umanitari (mantenendo solo alcune categorie) e rivede radicalmente il sistema dell’accoglienza, aprendo le porte degli Sprar (che si chiameranno Siproimi solo ai titolari di protezione internazionale escludendo quanti sono in attesa. “

      https://www.romatoday.it/politica/decreto-sicurezza-regione-lazio.html

    • Rivolta contro il decreto sicurezza, il sindaco di #Alghero: «Salvini non ci spaventa»

      La rivolta dei sindaci di centrosinistra al decreto Salvini si estende a macchia di leopardo e arriva anche in Sardegna. #Mario_Bruno, sindaco di Alghero, si schiera con il primo cittadino di Palermo, Leoluca Orlando, e gli altri sindaci che lo hanno seguito, pubblicando su Facebook un post inequivocabile: «Salvini non ci spaventa. A volte bisogna andare controcorrente, per non appoggiare una pericolosa deriva razzista».

      Al centro della ribellione c’è, ancora una volta, la questione migranti e in particolare lo stop ai certificati di residenza voluto dal ministro dell’Interno Salvini. Il sindaco di Alghero spiega: "Lo abbiamo già scritto al presidente Conte: pronti a sospendere gli effetti nei nostri comuni se non ci sarà un confronto nel merito con i sindaci, con chi vive i problemi da vicino. Siamo abituati a risponderne. Da tutti i punti di vista. Per tutti i nostri concittadini. Faremo ciò che è giusto tenendo conto innanzitutto della nostra coscienza e della nostra umanità, come facciamo ogni giorno.

      https://www.youtg.net/v3/dal-mondo/13408-rivolta-contro-il-decreto-sicurezza-il-sindaco-di-alghero-salvini-non-c

    • Il consiglio chiede lo stop al decreto Salvini con il sì di Bindocci (M5S)

      È passata anche con il voto favorevole del capogruppo del Movimento 5 Stelle in consiglio comunale, Massimiliano Bindocci, la mozione presentata dalla maggioranza di centrosinistra che impegna il sindaco e la giunta di Lucca a chiedere al ministro dell’interno e al governo di sospendere fino alla conclusione dell’iter parlamentare gli effetti dell’applicazione del cosiddetto «decreto Salvini», per aprire un tavolo di confronto tra governo, regioni ed enti locali sulle ricadute territoriali del provvedimento.

      https://www.lagazzettadilucca.it/politica/2018/11/il-consiglio-chiede-lo-stop-al-decreto-salvini-con-il-si-di-bindoc

    • #Pocci: «Velletri modello di integrazione. No al decreto Salvini»

      #Orlando_Pocci, Sindaco di Velletri, ha preso una dura posizione sul decreto sicurezza: «Alla luce di quanto sta accadendo dopo l’approvazione del cosiddetto decreto Salvini sulla sicurezza, che di fatto ha creato dei nemici inesistenti come “il clandestino”, esprimo preoccupazione e condivido l’appello lanciato da più parti sulla necessità di aprire un tavolo di confronto tra il Governo e l’ANCI.

      https://www.ilmamilio.it/c/comuni/12538-pocci-%C2%ABvelletri-modello-di-integrazione-no-al-decreto-salvini%C

    • Decreto Salvini: 4 sindaci irpini si alleano con De Magistris

      «Come sindaci impegnati sul fronte dell’accoglienza e della integrazione di comunità mediante Sprar abbiamo in più riprese espresso netta contrarietà rispetto al decreto Salvini. Penalizzando i modelli positivi di integrazione e rendendo di fatto impossibile regolarizzare le posizioni dei migranti cui è già stato riconosciuto lo status di rifugiati più che sicurezza si produce illegalità.»

      E’ quanto affermano in una nota congiunta quattro sindaci irpini #Angelina_Spinelli di #Santa_Paolina, #Giuseppe_Lombardi di #Petruro_Irpino, #Virgilio_Donnarumma di #Torrioni e #Roberto_Del_Grosso di #Roccabascerana

      https://www.ottopagine.it/av/attualita/173691/decreto-salvini-4-sindaci-irpini-si-alleano-con-de-magistris.shtml

    • Dl Sicurezza, i sindaci dell’#Empolese_Valdelsa: «Sosteniamo il ricorso della Regione»

      Il decreto Sicurezza deve fare i conti con molti sindaci. In parecchi in Toscana hanno dichiarato di temere le conseguenze sociali del dl e pensano a frenarne lì’attuazione. Tra questi anche i primi cittadini degli undici comuni dell’Empolese Valdelsa (#Capraia e #Limite, #Castelfiorentino, #Cerreto_Guidi, #Certaldo, #Empoli, #Fucecchio, #Gambassi_Terme, #Montaione, #Montelupo_Fiorentino, #Montespertoli, #Vinci), che hanno diramato la seguente nota congiunta.

      https://www.gonews.it/2019/01/04/decreto-dl-sicurezza-sindaci-empolese-valdelsa

    • #Rimini. Anche #Gnassi contro il decreto Salvini

      Dopo altri sindaci del Pd anche quello di Rimini interviene sul decreto sicurezza: “Tutto il problema dell’immigrazione – sostiene Andrea Gnassi – si scaricherà sulle strade delle città, senza più alcun tipo di programma o progetto di integrazione e gestione”. A innescare la protesta collettiva, sfociata poi in un duro scontro con il ministro dell’Interno Salvini, è stata la decisione del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, di sospendere l’applicazione del decreto proprio nella parte che riguarda i migranti. “Senza progetti di attività sociali varati dai comuni come, ad esempio, quello di volontariato riminese, ribattezzato ‘Civivo’, per Gnassi siamo di fronte ad “una vera bomba che rischia di esplodere nelle comunità locali, altro che sicurezza. Credo – osserva – che il percorso di revisione di questo provvedimento debba adesso passare prima di ogni cosa per un tavolo di confronto tra Anci e Ministero. Bisogna apportare i necessari provvedimenti e – conclude il primo cittadino riminese – gli obbligatori emendamenti affinché tutto questo non si scarichi drammaticamente sulle città”.

      http://giornaledirimini.com/rimini-anche-gnassi-contro-il-decreto-salvini

    • I sindaci di #Lipari, #San_Piero_Patti e #Castel_di_Lucio “no al decreto Salvini ma senza scontri istituzionali”

      “Sulla legittimità del decreto sicurezza sarà la Corte costituzionale a pronunciarsi. Di certo il decreto Salvini non deve aggravare situazioni di disagio e marginalità nelle nostre città”.

      Così, in una nota, tre sindaci della provincia di Messina, Marco Giorgianni, primo cittadino di Lipari, Salvino Fiore di San Piero Patti e Pippo Nobile di Castel di Lucio.
      I tre amministratori chiedono l’avvio di “una fase di dialogo istituzionale volta all’introduzione dei necessari correttivi al decreto”.

      http://www.messinaora.it/notizia/2019/01/05/sindaci-lipari-san-piero-patti-castel-lucio-no-al-decreto-salvini-senza-scontri-istituzionali/113601

    • Sicurezza: Oliverio, ricorso a Consulta

      «Assieme alle altre Regioni che in questi giorni hanno annunciato un’analoga iniziativa, evidenziando le nostre stesse preoccupazioni, ci rivolgeremo alla Corte Costituzionale per chiedere l’annullamento della normativa al fine di stoppare una legge che viola diversi trattati internazionali sui diritti umani e i principi fondanti la nostra Costituzione». Lo afferma, in una dichiarazione, il presidente della Regione Calabria, #Mario_Oliverio, in relazione al Decreto sicurezza del Governo.
      «Avevo già espresso, in occasione del dibattito parlamentare circa l’approvazione del Decreto Sicurezza - aggiunge Oliverio - tutte le mie perplessità rispetto ad un provvedimento fortemente discriminatorio nei confronti di persone, immigrati regolari, che non potranno godere di diritti fondamentali. Oggi, gli atti di disobbedienza annunciati e praticati da diversi sindaci italiani confermano le mie preoccupazioni ed hanno il mio pieno sostegno».

      http://www.ansa.it/calabria/notizie/2019/01/05/sicurezza-oliverio-ricorso-a-consulta_df5c4b6c-3361-48cd-bc61-777e0132d730.html

    • Immigration en Italie : les maires de gauche entrent en fronde contre Matteo Salvini

      Plusieurs élus refusent d’appliquer un décret pour limiter les droits des migrants voulu par le ministre de l’intérieur d’extrême droite.

      « Je ne lâcherai pas d’un millimètre ! ». Sous son Tweet affichant sa détermination de fer, Matteo Salvini a posté, jeudi 3 janvier, un photomontage de quatre élus du Parti démocrate (gauche), affublés du slogan " les clandestins d’abord ". Une formule qui prend le contre-pied de son slogan politique (" Les Italiens d’abord "), résumant toute l’intensité du bras de fer qui commence en Italie autour du décret sur l’immigration voulu par le ministre de l’intérieur d’extrême droite.

      Figure emblématique de cette fronde, Leoluca Orlando, maire de Palerme, a annoncé en premier suspendre le décret dans sa commune. Les employés de l’état civil de la capitale sicilienne ont reçu la consigne de poursuivre l’inscription de tout migrant disposant d’un permis de séjour en règle. Depuis des mois, M. Orlando vante sa ville cosmopolite comme symbole d’ouverture, et de résistance à la politique de fermeture des ports bruyamment revendiquée par le ministre de l’intérieur. Après, tout, le nom grec de la cité ne signifie-t-il pas " refuge idéal " ?

      " Traîtres " Si la bataille est dans les symboles, elle est aussi sur le terrain juridique. Pour le maire de Palerme, la nouvelle loi viole les droits humains pourtant garantis par la Constitution italienne. " Il s’agit de mesures inhumaines et criminogènes, a fustigé l’édile, parce qu’elles transforment en illégaux des personnes qui se trouvent légitimement sur notre territoire. " Le maire de centre-gauche s’est dit prêt à aller jusqu’à la Cour constitutionnelle pour faire annuler le décret.

      L’une des principales mesures du décret est l’abrogation des permis de séjour humanitaires de deux ans qui permettaient un accès à l’emploi et aux services sociaux. Pour bien des maires, ces permis garantissaient la stabilité du tissu social de leur commune. Ils permettaient notamment l’accès au service sanitaire national, passage obligé pour bénéficier des offres de soin élémentaires, comme le médecin de famille.

      " Il faut évaluer l’impact social et économique du décret sur nos villes, déjà pénalisées par les coupes de la loi budgétaire ", s’inquiète Beppe Sala, le maire démocrate de Milan, qui craint de voir de plus en plus de sans-abri dans les rues, dont la prise en charge pèsera sur le budget municipal.

      La révolte semble faire tache d’huile. D’autres élus de grandes métropoles ont vite emboîté le pas du maire de Palerme, à Naples, à Florence ou à Parme. La fronde est alimentée par Matteo Salvini lui-même, qui n’a pas hésité à les qualifier de " traîtres ", les menaçant d’en répondre devant la justice. La loi, signée par le président de la République, est faite pour être appliquée, a rappelé le dirigeant de la Ligue.

      Le décret sur l’immigration prévoit également un démantèlement du réseau Sprar, le système de protection des demandeurs d’asile et des réfugiés, fruit d’un accord passé en 2002 entre les communes et le ministère de l’intérieur. Il s’adressait aux citoyens étrangers possédant un permis de séjour, leur permettant de bénéficier de cours de langue ou d’accéder à un logement.

      "C’est du fascisme" Avec la loi Salvini, les structures bénéficiant des compétences du Sprar ne seront désormais ouvertes qu’aux mineurs non accompagnés ou aux réfugiés de guerre. Les autres migrants doivent être transférés dans des centres d’hébergement que certains qualifient de centres de rétention. Une véritable bombe sociale, qui scandalise de nombreux élus locaux.

      " Cette loi nous rappelle des années sombres ", déplore Gennaro Capparelli, le maire d’#Acquaformosa, en Calabre, qui a longtemps été présentée comme un modèle d’intégration. Grâce aux migrants, ce village d’un peu plus de mille âmes a échappé à la désertification. Des emplois ont été créés et l’école n’a pas fermé. Mais, dans quelques mois, #Gennaro_Capparelli ne bénéficiera plus des fonds nécessaires du Sprar. " Jamais je n’aurais pensé qu’un ministre en arrive là, c’est du fascisme ", dit-il.

      Dans cette confrontation avec le gouvernement, certains élus plaident pour le dialogue, comme le maire démocrate de Bari, Antonio Decaro, qui préside l’Association nationale des communes italiennes. Il a demandé une réunion d’urgence au ministère de l’intérieur. Pour l’heure, Matteo Salvini n’a pas donné suite.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/01/04/immigration-en-italie-les-maires-de-gauche-entrent-en-fronde-contre-matteo-s

    • Decreto Salvini, sindaca del Pd chiede la sospensione della legge a #Sestri_Levante

      Sicurezza e immigrazione. Anche la sindaca del Pd #Valentina_Ghio si schiera con i colleghi di sinistra ed estrema sinistra, come il palermitano Leoluca Orlando e il napoletano Luigi De Magistris, contro il Decreto Salvini, convertito in legge dal Parlamento e promulgato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.


      https://www.ligurianotizie.it/decreto-salvini-sindaca-del-pd-chiede-la-sospensione-della-legge-a-sestri-levante/2019/01/05/324426

    • Il sindaco Bellelli contro il decreto Salvini: «A Carpi tra 50 e 100 le persone che potranno scivolare nell’illegalità»

      „Anche il primo cittadino di Carpi si espone nei confronti delle misure sull’immigrazione al centro della polemica di queste ore, sperando in un intervento della Corte Costituzionale“


      https://www.modenatoday.it/politica/sindaco-bellelli-carpi-decreto-salvini-4-gennaio-2019.html

    • Il sindaco di #Montepulciano contro il decreto sicurezza di Salvini

      “Esprimo anzitutto la contrarietà dell’amministrazione comunale di Montepulciano e del suo sindaco al decreto sicurezza.

      Nel nostro territorio non viviamo un’emergenza-immigrazione ma il provvedimento, così come è, non può funzionare né sotto un profilo etico né sotto quello del trattamento umano.


      https://www.antennaradioesse.it/il-sindaco-di-montepulciano-contro-il-decreto-sicurezza-di-salvini

    • Anche Ioculano e #Scajola contro il decreto Sicurezza: «Salvini sbaglia»

      «Ritengo che le leggi vadano rispettate, quindi non posso essere d’accordo con i colleghi che non lo fanno. Detto questo, non condivido il Decreto sicurezza, sul quale sono peraltro mancati confronto e discussione». #Claudio_Scajola, sindaco di #Imperia e già ministro dell’Interno, il ruolo oggi di Salvini, distingue il livello istituzionale da quello politico. Ma quando entra nel merito del provvedimento, è durissimo: «C’è un aspetto, quello con cui si danno diritti diversi alle persone, che ritengo incostituzionale e anche inquietante. Mi ricorda un germe pericolosissimo, nella disparità di trattamento, di cui abbiamo già visto una triste esperienza nella nostra storia». Chiaro il riferimento alle legge razziali del fascismo.

      http://www.ilsecoloxix.it/p/imperia/2019/01/04/ADO5yeUD-sicurezza_ioculano_scajola.shtml

    • #Ventimiglia: decreto sicurezza, Ioculano “Alla scadenza dei primi programmi Sprar ci sarà gente in mezzo ad una strada”

      “E’ un decreto di facciata perché non si può ignorare il fatto che, sul nostro territorio, ci siano decine di migliaia di persone e di queste, volente o nolente, te ne devi fare carico.” A dirlo è il Sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano molto critico nei confronti del decreto sicurezza del Governo nei confronti del quali hanno espresso il proprio disappunto molti sindaci, primo fra tutti quello di Palermo, Leoluca Orlando.

      http://www.sanremonews.it/2019/01/03/leggi-notizia/argomenti/politica-1/articolo/ventimiglia-migranti-e-decreto-sicurezza-ioculano-alla-scadenza-dei-prim

    • Il Sindaco di #Sanremo sul decreto sicurezza: «Da tempo Sindaci ed Amministratori hanno espresso forti critiche»

      “Anzitutto va registrato il fatto che l’Anci aveva già espresso da tempo un parere negativo al decreto e che molti Sindaci ed Amministratori sia di centrodestra che di centrosinistra stanno esprimendo forti critiche in questi giorni”.

      Sono le parole del Sindaco di Sanremo, Alberto Biancheri, che collimano con quelle dei colleghi Scajola (#Imperia) e Ioculano (Ventimiglia). “Sul decreto – prosegue - oltre ai dubbi di incostituzionalità sollevati da più parti, nutro molte perplessità che possa risolvere qualcosa in termini di sicurezza pubblica, temo invece che possano acuirsi alcuni problemi sociali nel tempo. Mi rifaccio pienamente alle parole del nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando dice che ‘la sicurezza la si realizza se è garantita la difesa dei valori della convivenza’. E’ necessario allora che siano rispettato i diritti umani di tutti ma anche che tutti rispettino la legge. E per chi non si attiene alle leggi che regolano la nostra democrazia serve pugno duro, carcere e garanzia della pena per chi commette reati, espulsioni immediate per criminali extracomunitari: questo è quello che intendo io per sicurezza e questo è quello che mi chiedono i miei cittadini”.

      http://www.sanremonews.it/2019/01/03/leggi-notizia/argomenti/cronaca/articolo/il-sindaco-di-sanremo-sul-decreto-sicurezza-da-tempo-sindaci-ed-amminist

    • #Enrico_Pusceddu Sindaco di #Samassi

      Ho letto con attenzione il Decreto Sicurezza e seguo lo svilupparsi della situazione che in questi giorni vede alcuni colleghi sindaci opporsi all’applicazione della Legge.
      Anche io ho maturato una posizione chiara sull’argomento.

      Il compito del Sindaco è quello di tutelare le persone presenti nel territorio di sua competenza. Questo dobbiamo fare nel rispetto dell’articolo 2 della Costituzione che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Per cui se una Legge dello Stato nell’applicazione di alcuni suoi articoli contrasta con i principi prioritari e fondamentali della Costituzione è nostro dovere intervenire attuando tutte le disposizioni che consentano alle persone presenti nel nostro territorio di non veder mai violati i propri diritti.

      Lo farò seguendo i consigli del leader leghista Matteo Salvini, oggi Ministro dell’Interno, che ancora l’11 maggio 2016 dichiarava a Radio Padania che “La disobbedienza alle leggi sbagliate è una virtù” a proposito della Legge sulle Unioni civili per cui ancora lui chiedeva “a tutti i sindaci e amministratori locali di disubbidire a quella che è una legge sbagliata”.

      Essendo quindi un Amministratore “virtuoso” e considerando il cosiddetto Decreto Sicurezza inapplicabile, accoglierò l’invito di Matteo Salvini e disubbidirò a “una legge sbagliata”.
      In attesa che il legislatore o la Corte Costituzionale vi ponga rimedio mi assumerò la responsabilità di sospenderne l’applicazione nella parte in cui, essendo di mia competenza l’attuazione, si paleseranno violazioni dei diritti umani. Una volta chiarito dal legislatore come garantire i servizi basilari alle donne e agli uomini presenti nel mio territorio sarò ben lieto di revocarne, per quanto di mia competenza, la sospensione.

      Facendolo non mi riterrò un traditore o un nemico degli italiani secondo le affermazioni del nostro Ministro dell’interno che dice: “Chi aiuta i clandestini odia gli italiani, ne risponderà davanti alla legge e alla storia”.
      Intanto noi Sindaci, a differenza di altri, di fronte alla legge, alla storia, al giudizio dei cittadini o dei delinquenti che attentano alla nostra vita (in Sardegna ce ne sono tanti ma il Ministro dell’Interno pare non curarsene) ci siamo tutti i giorni senza nessun tipo di attenuante o di immunità parlamentare.
      Ancor meno mi sentirò un fuorilegge che aiuta i clandestini. Primo perché lo status di clandestino in Italia è curiosamente variabile, si può diventarlo anche per colpa di Leggi che dall’oggi al domani trasformano in “clandestini noti” anche coloro che hanno i documenti in mano o che attendono da mesi o anni che gli uffici preposti diano risposta alle loro richieste. Secondo perché i clandestini non sono per forza di cose delinquenti. Terzo perché ritengo che anche il “peggiore” dei clandestini sia prima di tutto una donna o un uomo a cui riconoscere dei diritti inviolabili.

      Infine, nel caso in cui il Ministro dell’Interno, rinnegando le sue stesse incitazioni alla disobbedienza, volesse intraprendere iniziative ispettive o sanzionatorie nei confronti del mio operato, le accetterò serenamente e nel pieno rispetto delle reciproche competenze e ruoli istituzionali (non sarà peggio dei mille problemi e responsabilità a cui ogni giorno i sindaci devono far fronte) coscienti che non è solo una fascia tricolore, un titolo di ministro della Repubblica o un insieme di like su un post che danno senso e dignità all’essere umani.

      https://www.facebook.com/enricopusceddu.sindacosamassi/posts/2179161155670668

    • Decreto sicurezza, anche il sindaco di #Mezzago contrario: «È obbedienza costituzionale»

      C’è anche il sindaco di Mezzago #Giorgio_Monti tra le voci che si oppongono al decreto sicurezza del ministro Salvini. Una “disobbedienza civile” lanciata dal sindaco di Palermo e accolta da Napoli, Milano, Bergamo, Firenze. Salvini: “Io non mollo”.

      https://www.ilcittadinomb.it/stories/Cronaca/decreto-sicurezza-anche-il-sindaco-di-mezzago-contrario-e-obbedienza-c

    • Decreto Salvini, la sfida di 60 sindaci e consiglieri comunali pugliesi: «Odg per chiedere lo stop»

      «Il sistema elaborato da Salvini - commenta il sindaco di #Bitonto (Bari), Michele Abbaticchio - è fallimentare. Con le chiusure di Cas e Sprar si tolgono vite umane dal circuito ’sano’ dell’accoglienza per immetterle in strada. Non occorre essere degli esperti per comprendere come gli effetti del provvedimento sarebbero addirittura opposti a quelli prefissati». «A voler essere sospettosi - aggiunge - verrebbe da pensare che questo incremento generalizzato di insicurezza e panico che si diffonderebbe nelle città sia una trovata utile per futuri fini elettorali».

      «Ci spieghi Salvini - afferma il sindaco di #Acquaviva_delle_Fonti (Bari), Davide Carlucci - come dovrebbe condurre questo provvedimento a una maggiore sicurezza nelle città se l’attuale Governo non ha stipulato nemmeno un accordo con i Paesi di provenienza dei migranti per il loro rimpatrio». «Per non parlare poi - conclude - dell’aspetto più prettamente ’umano’, che siamo certi non sarà stato preso in considerazione dal ministro, ovvero l’abbandono in strada di giovanissimi».

      https://bari.repubblica.it/cronaca/2018/11/02/news/sessanta_amministratori_contro_salvini-210585624

      J’ai envoyé un message au groupe FB du parti pour savoir qui étaient les 60 maires... voici la réponse:

      Salve Cristina, innanzitutto la ringraziamo per il suo lavoro. Quanto all’articolo, si spiega che il partito avrebbe, per mezzo dei suoi amministratori (con i quali copriamo, appunto, oltre 60 comuni pugliesi), provveduto a farsi portavoce del messaggio. Nello specifico, cioè, di presentare una mozione con la quale si chiedeva la revisione del decreto. Naturalmente, non in tutti la mozione ha avuto seguito. Anzi, abbiamo purtroppo notizie già di comuni dove non è stata approvata, poi, dalla maggioranza del consiglio. In altri casi, purtroppo, la discussione è stata rimandata. Quello che indicavamo nel pezzo era la volontà di produrre un documento da presentare in tutti i comuni dove abbiamo un referente (che non sempre è il sindaco ma può essere un assessore o un consigliere di maggioranza o minoranza) e questo effettivamente è stato fatto. Se ha altre richieste, non esiti a contattarci.

    • #Martines, #Palmanova: “Con il Decreto Sicurezza, aumenteranno gli immigrati irregolari”

      ”L’ANCI ha sempre avuto nel suo DNA il compito di dialogare con i Governi a livello nazionale e regionale per definire o discutere norme la cui applicazione interessa i comuni e quindi i sindaci. Ciò è stato fatto e si continua a fare nella costruzione delle varie finanziarie regionali o nella emanazione di leggi che riguardano gli assetti degli enti locali” commenta #Francesco_Martines, Sindaco di Palmanova e Componente Esecutivo di ANCI Friuli Venezia Giulia. E continua: “Nel caso della “legge sicurezza”, a suo tempo l’ANCI stessa aveva espresso perplessità e le preoccupazioni in merito ad alcune incongruenze costituzionali e sui percorsi applicativi. Ora alcuni sindaci, e io sono uno di quelli, rilevano legittimamente che la sua applicazione comporterebbe anche l’incremento e non la soluzione di problemi di carattere sociale, tra cui l’aumento considerevole nel tempo del numero degli irregolari.

      https://www.triesteallnews.it/2019/01/05/martines-palmanova-con-il-decreto-sicurezza-aumenteranno-gli-immigrat

    • Non solo sinistra, anche i sindaci M5S criticano il decreto Salvini

      No, non ci sono solo i sindaci di sinistra a criticare il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza. A giudicare negativamente la legge, proprio come Leoluca Orlando, Luigi De Magistris, Dario Nardella ed altri, ci sono anche diversi primi cittadini M5S, su tutti il livornese #Filippo_Nogarin, che è anche vicepresidente dell’Anci. Ne parla oggi il Corriere della Sera (articolo di Marco Gasparetti), che ha raccolto pareri e dichiarazioni degli amministratori pentastellati che esprimono dissenso. Con Nogarin ci sono anche #Francesco_De_Pasquale, sindaco di #Carrara, #Andrea_Zuccalà, primo cittadino di #Pomezia, #Mario_Savarese, di #Ardea.

      https://www.giornalettismo.com/archives/2689502/sindaci-m5s-decreto-salvini

    • #Belluno, sindaco boccia decreto Salvini: «Italia più insicura»

      «Il Decreto Salvini sull’immigrazione non renderà l’Italia un Paese più sicuro, ma al contrario rischia di gettare in mano alla delinquenza organizzata migliaia di persone. È un provvedimento calato sul territorio da chi sta seduto dietro un banco o una scrivania a Roma e, per una decisione “di pancia”, scarica così le future emergenze sociali sui sindaci e sui suoi cittadini». Il sindaco di Belluno, Jacopo Massaro, ribadisce la bocciatura al decreto in materia di immigrazione e sicurezza, bocciatura già illustrata pochi giorni fa.


      https://www.vvox.it/2018/09/25/belluno-sindaco-boccia-decreto-salvini-italia-piu-insicura

      #Jacopo_Massaro

    • Decreto sicurezza, De Vecchis: “#Fiumicino si schiera coi clandestini, contro i cittadini”

      Fiumicino – “Spiace prendere atto che il sindaco di Fiumicino, condividendo la presa di posizione strumentale di Leoluca Orlando e di alcuni sindaci di sinistra (leggi qui), abbia deciso di schierarsi dalla parte dei clandestini contro i cittadini”. Lo dichiara William De Vecchis, Senatore della Lega.

      https://www.ilfaroonline.it/2019/01/03/decreto-sicurezza-de-vecchis-fiumicino-si-schiera-coi-clandestini-cittadini/254936

    • #Alessandra_Buzzo, sindaca di #Santo_Stefano_di_Cadore (BL)

      Lettera aperta al ministro ?
      Sono un sindaco ministro Salvini di un piccolo comune di montagna, ci siamo incontrati alcune volte e non le ho mai nascosto il mio pensiero.
      Le battaglie per il mio territorio le ho fatte tutte, la sanità, la viabilità, il lavoro, la scuola ecc.sempre in prima linea, sempre esponendomi, non curandomi delle conseguenza perché se si crede nella bontà di quello che si fa il coraggio è d’obbligo, anzi è scontato.
      Più volte sono stata pugnalata alle spalle ma poco importa perché la consapevolezza di agire con coerenza per garantire i diritti dei propri cittadini, per cercare di costruire futuro per chi vive la montagna, mi ha dato molta forza!
      L’ultima volta che ci siamo incontrati in occasione dell’alluvione dell’ottobre scorso, le ho ricordato il referendum per l’autonomia bellunese, la necessità di una fiscalità particolare per questi territori, i progetti ed i sogni di questa area interna ecc...
      Oggi non posso tacere e mi unisco come posso ai sindaci “disobbedienti” fosse solo per dirle che lei è fra i responsabili se non il responsabile dell’abbruttimento etico e morale che sta avvolgendo la nostra bella Italia.
      Fin da bambina mi sono sempre schierata a fianco degli ultimi, sognavo di cambiare il mondo e continuo testardamente a farlo.
      Non si fanno differenze fra persone, fra colore della pelle, orientamento sessuale, religioso, il dolore è dolore, la gioia è gioia, le speranze sono speranze i sogni sono sogni, per tutti indistintamente, così come naturalmente doveri e responsabilità anche se non tutti partono dalle stesse condizioni ed opportunità, non si può restare indifferenti di fronte alle sofferenze e difficoltà delle persone, non ci si gira dall’altra parte, non si cercano capi espiatori ma si trovano “umane” soluzioni.
      Non so se veramente si sente in pace con la propria coscienza e se lo è non so proprio come fa o che coscienza strana è la sua.
      Le chiedo gentilmente perché la gentilezza è una virtù, di rilassarsi, il consenso lo può ottenere senza seminare odio, facendo semplicemente il proprio dovere.
      Fra i vari doveri che tutti noi abbiamo le ricordo quello di insegnare ai propri figli amore, rispetto, solidarietà, condivisione, giustizia sociale ecc....con il proprio esempio.
      Naturalmente anche questa volta mi preparo a ricevere commenti poco carini se non insulti ma come dicevo: sono coraggiosa e dico quello che penso e che il cuore mi indica ❤️

      Ps. Non mi dica il solito:”se li porti a casa sua” perche già fatto anche quello

      https://www.facebook.com/alessandra.buzzo.3/posts/10212446447985764?hc_location=ufi

    • "Espulsi per il decreto Sicurezza": i #presepi del #Salento protestano contro il governo

      «Espulsi ai sensi del decreto Sicurezza». Recita così un cartello davanti alla Natività, per far capire che oggi «il Bambin Gesù non potrebbe restare nella grotta perché verrebbe immediatamente espulso». Tocca i tanti presepi allestiti nelle piazze del Salento la campagna #sicuridiessereumani, promossa da Arci Lecce: richiedenti asilo, organizzazioni e diocesi, Comuni, ospiti di Cas e Sprar e cittadini hanno voluto manifestare la loro contrarietà alle politiche del governo adottate nei confronti degli stranieri. La Natività è allora sottoposta a sgombero, i re Magi che arrivano nellla chiesa Santissima Maria Assunta di Cavallino restano increduli perché nella grotta non c’è più nessuno, mentre nei presepi viventi di Galatina, Acquarica di Lecce, Diso, Lequile, Caprarica, Trepuzzi, Alessano, Castiglione d’Otranto, Campi Salentina, Sogliano, Tricase, Castrignano De’ Greci, Patù e Lecce si srotolano striscioni che ripetono gli slogan ’Ogni uomo è mio fratello’ e ’Sicuri di essere umani’. L’intera campagna, promossa dal coordinamento leccese contro il decreto Sicurezza, si chiuderà il 6 gennaio a Lecce con un corteo che si concluderà in piazza Duomo, dove è allestito il presepe

      https://bari.repubblica.it/cronaca/2018/12/23/foto/presepi_solidali-214972984/amp

    • Decreto Salvini, scintille fra De Marchi, Dara e Palazzi

      Palazzi dal canto suo si dice rispettoso delle leggi, e non aderirebbe al cartello Orlando, pur asserendo che il decreto Salvini «è sbagliato, e produrrà illegalità e lesioni a diritti fondamentali; ma io non chiederò ai funzionari del Comune di non applicarlo». Tuttavia, prosegue, «a Mantova non smetteremo mai di assistere chi ha bisogno», e solleva il caso dei minori stranieri non accompagnati, da cui in applicazione del decreto «avremo più insicurezza, perché rendere illegali coloro che oggi hanno la residenza rende sostanzialmente impossibili gli accertamenti».

      https://vocedimantova.it/cronaca/decreto-salvini-scintille-fra-de-marchi-dara-e-palazzi
      #Mantova

    • "Al fianco di Leoluca Orlando". Lettera dei sindaci della provincia

      Un gruppo di sindaci del Palermitano si è schierato ufficialmente con il primo cittadino di Palermo, Leoluca Orlando, nello scontro con il ministro dell’Interno Matteo Salvinin sull’applicazione del decreto Sicurezza. Si tratta di #Franco_Ribaudo di #Marineo, #Ciccio_Nicolosi di #Corleone, #Franco_Agnello di #Villafrati, #Epifanio_Mastropaolo di #Godrano, #Massimo_Diano di #Santa_Cristina_Gela, #Rosario_Petta di #Piana_degli_Albanesi, #Piero_Aldeghieri di #Campofelice_di_Fitalia, che fanno parte del «Centro polifunzionale per l’inclusione degli immigrati della #Valle_dell'Eleuterio_di_Marineo».

      https://livesicilia.it/2019/01/03/al-fianco-di-leoluca-orlando-lettera-dei-sindaci-della-provincia_1024679

    • #Monterotondo:
      Contro il decreto Salvini per la tutela dei migranti e della sicurezza del territorio

      Il Vicesindaco reggente Antonino Lupi si schiera al fianco del Sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

      In armonia con gli orientamenti del Consiglio Comunale, fortemente contrari al Decreto Sicurezza, il Vicesindaco Reggente Antonino Lupi:

      esprime pieno sostegno ideale all’iniziativa promossa dal Sindaco di Palermo Leoluca Orlando contro l’applicazione di alcune norme fortemente discriminatorie verso i migranti, in particolare contro quelle che impediscono l’iscrizione anagrafica di richiedenti asilo pur in possesso di regolare permesso di soggiorno;

      auspica che la conseguente azione, avviata ai diversi livelli istituzionali, possa far si che la Corte Costituzionale si esprima, nel più breve tempo possibile, sulla costituzionalità di norme che, oltre a risultare lesive di diritti umani tutelati dalle convenzioni internazionali, appaiono violare valori e principi fondanti della nostra Costituzione;

      si unisce alla richiesta rivolta all’ANCI ed al suo Presidente Antonio Decaro di avviare un serrato confronto con il Governo Centrale per l’esame e la risoluzione dei numerosi problemi che si stanno generando sui territori a seguito dell’applicazione di alcune delle norme contenute nel Decreto Salvini e per la revisione dei contenuti del decreto stesso.

      “Forte dell’esperienza pluriennale che ha visto il nostro Comune impegnato in progetti di accoglienza, di integrazione e di autonomia di tanti migranti inseriti nei progetti SPRAR, ritengo che il Decreto Salvini che, a parole, vorrebbe garantire sicurezza, finirà con il generare rottura della coesione sociale, insicurezza, illegalità e criminalità nei territori.

      L’uscita di tante persone da percorsi legali, controllati e monitorati, (come quelle dei progetti SPRAR ma anche quelli dei CARA come quello di Castelnuovo di Porto che accoglie oggi più di 400 persone), – prosegue il Vicesindaco Reggente Antonino Lupi – vorrà dire renderle senza volto (senza iscrizione anagrafica e relativa residenza), senza prospettive, senza speranze: tante persone disperate continueranno a vivere, a vagare nei nostri territori, saranno facile preda del malaffare.

      Il Governo ha colpevolmente ignorato il pensiero degli Enti Locali, delle organizzazioni del Terzo Settore, del Sindacato, della stessa Conferenza Episcopale Italiana, in merito ad un tema così complesso come quello dell’immigrazione.

      Il Governo, forse alla ricerca del facile consenso sulle politiche contro l’accoglienza dei migranti che caratterizzano tutti i governi di destra in Europa e nel resto del mondo, non ha saputo valutare gli effetti che le nuove norme generano sui territori e che rischiano di far saltare quel delicato equilibrio tra Stato Centrale e Enti Locali: al Governo gli onori e i successi elettorali, ai Sindaci gli oneri economici e sociali di scelte che, anziché risolvere i vecchi problemi, ne generano di nuovi, difficili da prevedere e da affrontare.”

      http://www.comune.monterotondo.rm.it/comunicati-stampa/contro-il-decreto-salvini-per-la-tutela-dei-migranti-e-della-

    • Decreto Salvini, da sinistra pressioni sui sindaci ma nessuno segue la linea Orlando. E Giacomelli: «La Regione faccia da guida ai Comuni»
      #Prato:

      #Biffoni frena: «Chiedo il rispetto delle regole anche quando non ci piacciono, va fatta una battaglia politica per cambiare il decreto a beneficio dei cittadini».

      Il sindaco di #Poggio e presidente della Provincia Francesco Puggelli critica in più di un aspetto questa legge voluta dal ministro Salvini: «Si chiama sicurezza ma di sicurezza ha ben poco e le norme che contiene generanno il caos. Mi aspettavo qualche strumento per combattere la microcriminalità e per impedire a persone arrestate in flagranza di reato, come il caso dei marocchini di Poggio, di essere rimessi in libertà dopo poche ore; mi aspettavo più soldi per la videosorveglianza che attendiamo da tempo. E’ una legge piena di norme discriminatorie e quindi anticostituzionali. Lotterò per cambiarla».

      #Edoardo_Prestanti, sindaco di #Carmignano, definisce il decreto «un abominio che non risolve nessun problema ma anzi ne crea di nuovi perchè apre la porta a persone per strada senza diritti. Siamo pronti al ricorso alla Consulta».

      Sulla stessa lunghezza d’onda il primo cittadino di #Montemurlo, #Mauro_Lorenzini: «Chiederò al Consiglio comunale di prendere una posizione politica in merito per imboccare la strada del ricorso alla Corte Costituzionale. Noi sindaci non possiamo violare la legge ma possiamo combattere per modificarla. Questo decreto crea più problemi di quanti ne risolva soprattutto in fatto di sicurezza e salute».

      Stessa posizione per i sindaci di #Vaiano e di #Vernio, #Primo_Bosi e #Giovanni_Morganti: «I nostri territori non sono toccati dal fenomeno come le grandi città - dicono - ma lotteremo nelle forme previste dalla legge per cambiare questo decreto che riteniamo ingiusto».

      Più sfumata la posizione del sindaco di Cantagallo, Guglielmo Bongiorno che si limita a dire: «Ho giurato sulla Costituzione che parla chiaro su accoglienza e discriminazione». Nessun chiarimento se applicherà o meno il decreto Salvini anche se in un piccolo Comune come il suo, in alta Val di Bisenzio, l’eventuale disobbedienza è un esercizio molto teorico.

      http://www.notiziediprato.it/news/decreto-salvini-da-sinistra-pressioni-sui-sindaci-ma-nessuno-segue-la

    • Da #Salerno diffida a Salvini. Appello al sindaco alla disobbedienza civile

      Un presidio, una diffida nei confronti di Conte, Salvini e Toninelli, e un invito alla disobbedienza civile al sindaco di Salerno, #Vincenzo_Napoli. Da Salerno si leva il grido di solidarietà e umanità verso i 49 migranti a bordo della Sea Watch e della Sea Eye, in mare ormai da 15 giorni, impossibilitata a sbarcare sulle coste italiane a causa della presa di posizione del vicepremier della Lega. Lunedì mattina, alle 11, su iniziativa di Antonio Nigro e del collettivo Move to resist, sarà presentata, presso la prefettura di Salerno, regolare diffida nei confronti del presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli.

      https://napoli.repubblica.it/cronaca/2019/01/06/news/da_salerno_diffida_a_salvini_-215979824

    • Cori, con la presentazione del corto ‘Non Calpestare’, l’amministrazione ricorda l’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e stigmatizza il decreto sicurezza

      “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Questo è il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, un codice etico di importanza storica fondamentale: è stato il primo documento a sancire universalmente i diritti che spettano all’essere umano. ‘Non Calpestare’, il cortometraggio diretto nell’anno appena passato da Angelo Bianchi con i testi del collettivo letterario Cardiopoetica, che è stato presentato al Teatro Comunale ‘Luigi Pistilli’ di Cori, vuole essere proprio un contributo al 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che “oggi più che mai – commenta il Sindaco Mauro De Lillis – manifesta la sua importanza nel nostro Paese: il cosiddetto decreto sicurezza da poco divenuto legge calpesta, infatti, sia i principi costituzionali sia i valori presenti nella Dichiarazione Universale. Esso mette in discussione anni di politiche tese all’accoglienza diffusa e all’integrazione, che sicuramente presentavano aspetti critici ma nel complesso realizzavano una forma di governo dell’immigrazione che stava dando buoni risultati. Ora noi Sindaci non abbiamo più la possibilità di garantire assistenza sociale e sanitaria ai richiedenti asilo. Non possiamo più garantire i diritti basilari assicurati agli altri cittadini. Una vergogna per l’Italia. Occorre – conclude il primo cittadino – un sussulto di responsabilità, di sensibilità e un forte atto di denuncia verso questo provvedimento. Credo che l’iniziativa di ieri possa aiutarci in tal senso, sollecitando una riflessione profonda e una seria presa di coscienza da parte di tutti”. Intanto, Mauro de Lillis di concerto con i colleghi Sindaci e con l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) sta valutando i passi da compiere per accertare davanti a un giudice la costituzionalità della norma.


      http://www.mondoreale.it/2019/01/cori-con-la-presentazione-del-corto-non-calpestare-lamministrazione-ricor

    • #Salve, sindaco contro decreto Salvini, la Lega replica

      Il sindaco di Salve (Le) è intervenuto ieri sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno unendosi al coro dei sindaci contro il decreto sicurezza di Matteo Salvini:

      «In una lettera scritta dalla prigione di Birmingham nell’aprile 1963, il reverendo Martin Luther King si chiede come sia possibile rispettare alcune leggi e disobbedire a delle altre. Trova la risposta nel fatto che possono darsi due tipi di leggi: giuste ed ingiuste. Il reverendo King afferma dunque di essere il primo ad avvertire la responsabilità legale e morale di obbedire alle leggi giuste, ma di sentire al tempo stesso la responsabilità morale di disobbedire alle leggi “ingiuste”.


      https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/lecce/1098267/salve-sindaco-contro-decreto-salvini-la-lega-replica.html

      #Francesco_Villanova

    • Tra i sindaci in trincea contro il decreto Salvini

      A #Francesco_Maragno, sindaco di centrodestra di #Montesilvano, il dl Salvini non piace. “I latini – dice Maragno al Foglio – dicevano dura lex sed lex: è una legge dello stato e come tale va rispettata. Noi, finora, abbiamo applicato la legge Bossi-Fini per eliminare i rischi della presenza di immigrati lasciati a se stessi – come avviene con i Cas, Centri di accoglienza straordinaria – concentrandoci sulla valorizzazione degli Sprar”.

      Maragno condivide la protesta dei sindaci? “Condivido la preoccupazione su un aspetto di primaria importanza e su cui tanti colleghi sindaci, come me, si sono impegnati in prima persona per governare l’emergenza immigrati, venendo in soccorso del governo su una problematica che non rientra minimamente tra le competenze dei comuni. L’abbiamo fatto per spirito di solidarietà nei confronti del governo in difficoltà e ci saremmo aspettati, da parte di quest’ultimo, di essere presi in considerazione nel confezionamento della normativa cosa che, purtroppo, non è avvenuta con la conversione in legge”.

      https://www.ilfoglio.it/politica/2019/01/04/news/tra-i-sindaci-in-trincea-contro-il-decreto-salvini-231422

    • Valsusa, i sindaci in marcia contro il decreto Sicurezza

      Abituata da anni a scendere in piazza per manifestare il proprio dissenso, la Val Susa si prepara a imboccare la strada della manifestazione di protesta anche contro il decreto Sicurezza. O, meglio, contro gli effetti della norma varata dal governo Lega-Cinque Stelle su indicazione del partito di Matteo Salvini: il rischio, diconno, è di gettare nell’illegalità chi ha un regolare permesso di soggiorno e i tagli ai fondi per l’accoglienza, che potrebbero far saltare il progetto di integrazione di profughi e richiedenti asilo avviato oltre due anni fa sul territorio.

      L’ipotesi

      Per ora nulla è deciso, ma si fa largo l’ipotesi della marcia di Valle ad Avigliana il 26 gennaio, con sindaci e cittadini dietro gli striscioni per invocare il rispetto dei diritti umani e di chi fugge da guerre, fame e miseria. In settimana la questione sarà discussa dai primi cittadini, che cercheranno di conciliare le diverse anime sul delicato tema immigrazione: riportato di attualità a livello locale dall’annuncio del sindaco di Susa, Sandro Plano, che venerdì ha «bocciato» il provvedimento del governo, rassicurando però (anche a nome dei colleghi) che in Val Susa la legge verrà rispettata confidando nella sua bocciatura per incostituzionalità.

      Le parole del presidente dell’Unione dei Comuni, all’indomani di un primo confronto interno, sono suonate «affrettate» ad alcuni colleghi di Plano. Tanto che ha subito preso a circolare un ordine del giorno per sollecitare azioni più incisive. La prima a intervenire è Emanuela Sarti, responsabile del turismo in Unione montana: «Troppa fretta. E’ un tema su cui occorre un confronto serio» commenta la sindaca di Condove su Facebook a poche ore dalle dichiarazioni di Plano.

      Altri primi cittadini, da Fabrizio Borgesa (Chiusa San Michele) a Susanna Preacco (Sant’Antonino), intervengono sulla questione sposando le parole del sindaco di Firenze, Dario Nardella - tra i «disobbedienti» alla legge - e invitando ad approfondire il dibattito. Pure la consigliera regionale Stefania Batzella sprona i sindaci ad azioni concrete. E sempre Emanuela Sarti rilancia l’ipotesi di impugnare la legge: «La Regione sta valutando il ricorso alla Corte Costituzionale. Questa è la strada». La manifestazione di Valle potrebbe trovare un punto di contatto tra i «moderati» e chi è pronto ad alzare i toni. Nel frattempo, Vaie ha votato in Consiglio un ordine del giorno di netta contrarietà al Decreto Salvini.


      https://www.lastampa.it/2019/01/06/cronaca/valsusa-i-sindaciin-marcia-contro-il-decreto-sicurezza-prRl78guk2xs6ON8EgXVPM/pagina.html

      #Valsusa e tutti i suoi comuni (#Almese, #Avigliana, #Borgone_Susa, #Bruzolo, #Bussoleno, #Caprie, #Caselette, #Chianocco, #Chiusa_di_San_Michele, #Condove, #Mattie, #Mompantero, #Novalesa, #San_Didero, #San_Giorio_di_Susa, #Sant’Ambrogio_di_Torino, #Sant’Antonino_di_Susa, #Susa, #Vaie, #Venaus, #Villar_Dora, #Villar_Focchiardo)

    • #Piacenza:
      Decreto Salvini, #Giardino (Misto) “Illogiche alcune norme sull’immigrazione”

      «Alcune norme – non tutte – di tale decreto appaiono anche a me illogiche e incomprensibili. Si tratta delle disposizioni in materia di abolizione della protezione umanitaria, di restrizione del sistema di accoglienza, di esclusione dal registro anagrafico dei richiedenti asilo e di revoca della cittadinanza. Il resto del decreto presenta una sua organicità, ma su questi aspetti credo sia opportuno, anzi inevitabile intervenire con una correzione di rotta.»

      https://www.piacenzasera.it/2019/01/decreto-salvini-giardino-gruppo-misto-illogiche-alcune-norme-sullimmigrazione/279449

    • Decreto sicurezza: la Lombardia tra sindaci “ribelli” e sindaci “difensori”

      Polmiche a #Crema, dove il sindaco di Centrosinistra #Stefania_Bonaldi ha espresso il proprio dissenso in maniera chiara, anche attraverso la propria pagina Facebook, ed è stata invitata a dimettersi dalla leghista Gobbato.

      Ci ha messo la faccia anche il sindaco di #Cremona, #Gianluca_Galimberti, che ha dichiarato: “Il decreto produrrà nella nostra città più insicurezza, mettendo in difficoltà i Comuni che si troveranno ad affrontare da soli un fenomeno che andava gestito diversamente e congiuntamente, ma la sospensione degli obblighi di legge di un provvedimento approvato dal Parlamento non è nel potere di un sindaco e non è la soluzione adottabile dai Comuni.”E’ proprio dalla Bassa, per ciò che concerne la situazione lombarda, che stanno arrivando al momento le resistenze maggiori.

      https://giornaledimonza.it/politica/decreto-sicurezza-la-lombardia-tra-sindaci-ribelli-e-sindaci-difenso

    • SISTEMA SPRAR: DUBBI DEL CONSIGLIERE VIAN SUL DECRETO SALVINI E SULLE RIPERCUSSIONI AL COMUNE DI SAN DONÀ

      È stata presentata ieri dal Consigliere Vian l’interrogazione sul sistema Sprar, in contrasto con il Decreto Salvini e in ottica di eventuali ripercussioni al comune di San Donà di Piave.

      Nel testo letto ieri in Consiglio comunale, si fa riferimento alla situazione dello stesso comune: sono circa 60 i richiedenti asilo o i titolari di una qualche forma di protezione inseriti nei progetti SPRAR e CAS con il modello virtuoso dell’accoglienza diffusa. Secondo Vian, con l’applicazione del Decreto Salvini, quello che alcune amministrazioni (come San Donà) hanno raggiunto in termini di inclusione e autonomia delle persone accolte, verrebbe cancellato.

      “Le nuove norme non faranno altro che rafforzare la retorica di chi considera il fenomeno migratorio come straordinario ed emergenziale, quando invece è strutturale, alimentando un sistema non solo dannoso per i migranti e i territori, ma spesso anche poco trasparente in termini di gestione economica e finanziaria delle risorse pubbliche”, sostiene il Consigliere dem. “Non dobbiamo sottovalutare inoltre la presenza nei CAS di persone con vulnerabilità, attualmente titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari o di permessi speciali, come quello per motivi di salute, introdotti dal Decreto, che si vedono sfumare la possibilità di entrare nella rete SPRAR, finendo letteralmente per strada“. Questa la preoccupazione numero uno di Vian, il quale prosegue: “Tale Decreto prevede lo smantellamento di fatto della rete SPRAR e ciò si tradurrà nell’aumento delle persone ospitate nei grossi centri di accoglienza, hub e hotspot: strutture spesso sovraffollate che non riescono a garantire ai migranti l’assistenza sanitaria e legale né un percorso di inserimento e integrazione, incrementando quindi la loro marginalizzazione e il rischio di coinvolgimento degli stessi in attività illecite”. Dal circolo PD interviene anche la segretaria Sandre: “Non possiamo fare altro che pensare che questo sia l’obiettivo del ministro degli interni, per alimentare l’astio nei confronti di chi è costretto a cercare una vita migliore nel nostro continente, e ottenere consenso politico sulla spaccatura che questo tema crea tra i cittadini.”

      http://www.piavetv.net/2018/11/sistema-sprar-dubbi-del-consigliere-vian-sul-decreto-salvini-e-sulle-riperc
      #San_Donà_di_Piave

      v. anche:
      https://www.facebook.com/gruppoconsiliarepdsd/videos/269710063693456

    • I Sindaci della Rete dei Piccoli Comuni del #Welcome della provincia di Benevento e di Avellino che sottoscrivono il presente comunicato si schierano in solidarietà al dolore, alla fatica ed al grido di speranza delle popolazioni migranti; manifestano il proprio desiderio di trovare una soluzione concreta tra il corretto esercizio del dovere di accoglienza dello Stato Italiano sancito dalla Carta Costituzionale, i diritti civili riconosciuti dall’ordinamento giuridico e le risorse del welfare disponibili per i Comuni, si dichiarano apertamente contrari alle norme del cosiddetto “Decreto Sicurezza”, oggi legge 113/2018.
      Ci uniamo alle preoccupazioni espresse dal Sindaco di Bari, Antonio De caro, Presidente Anci:
      “Se ai migranti presenti nelle nostre città non possiamo garantire i diritti basilari assicurati agli altri cittadini, né, ovviamente, abbiamo alcun potere di rimpatriarli, come dovremmo comportarci noi sindaci? Inoltre da quando si è deciso di chiudere i centri Sprar, che distribuendo su tutto il territorio nazionale il flusso migratorio assicuravano un’accoglienza diffusa, anticamera di una necessaria integrazione, alcune città hanno visto un aumento considerevole di stranieri nei centri Cas e Cara, a gestione ministeriale". «Si è interrotto, così - aggiunge - un percorso virtuoso di accoglienza e integrazione e si è favorito l’aumento di tensioni sociali nelle comunità di riferimento».
      I nostri Piccoli Comuni del #Welcome avevano partecipato alle sedute della Commissione immigrazione ANCI riunite ad hoc per proporre emendamenti al Decreto nella sua fase di conversione in Parlamento, ma le osservazioni di noi Sindaci non sono state recepite in nulla dal testo legislativo approvato. Come dichiarato dal presidente della Commissione, Matteo Biffoni, a nome di tutti noi: “I Sindaci erano già allora consapevoli che applicare quelle norme avrebbe significato far diventare formalmente ‘invisibili’ persone che sui territori vivono e che in futuro torneranno a rivolgersi ai Comuni”.
      Per queste ragioni manifestiamo il nostro aperto dissenso all’applicazione della legge 113/2018 e ne chiediamo urgentemente una attenta revisione.
      Inoltre facciamo appello al Governo Italiano di voler accogliere i 49 profughi che si trovano tuttora a bordo di navi nel Mediterraneo dichiarando l’ospitalità immediata presso i nostri SPRAR, dove gli attuali posti liberi superano complessivamente quel numero.

      I SINDACI
      Domenico Canonico, #Baselice
      Vito Fusco, #Castelpoto
      Carlo Grillo, #Chianche
      Giuseppe Addabbo, #Molinara
      Giuseppe Lombardi, #Petruro_Irpino
      Roberto Del Grosso, #Roccabascerana
      Carmine Agostinelli, #San_Bartolomeo_in_Galdo
      Angelina Spinelli, #Santa_Paolina

      https://www.facebook.com/danibiella/posts/1280776618741066?comment_id=1281293568689371&notif_id=1547050269865860&not

    • Il sindaco di #Gaiola Biolè critico sul «Decreto sicurezza»: «Piena adesione alla manifestazione di sabato 27 ottobre»

      «In particolare per scongiurare le inedite e disastrose conseguenze sul sistema Sprar - cui come Comune abbiamo aderito - derivanti dalla applicazione del cosiddetto ’Decreto Sicurezza’»


      http://www.targatocn.it/2018/10/26/mobile/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/il-sindaco-di-gaiola-biole-critico-sul-decreto-sicurezza-piena-adesione-al

      #Fabrizio_Biolè

    • Il sindaco di #Gaiola Biolè critico sul «Decreto sicurezza»: «Piena adesione alla manifestazione di sabato 27 ottobre»

      «In particolare per scongiurare le inedite e disastrose conseguenze sul sistema Sprar - cui come Comune abbiamo aderito - derivanti dalla applicazione del cosiddetto ’Decreto Sicurezza’»


      http://www.targatocn.it/2018/10/26/mobile/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/il-sindaco-di-gaiola-biole-critico-sul-decreto-sicurezza-piena-adesione-al

      #Fabrizio_Biolè

    • Il sindaco di #Gaiola Biolè critico sul «Decreto sicurezza»: «Piena adesione alla manifestazione di sabato 27 ottobre»

      «In particolare per scongiurare le inedite e disastrose conseguenze sul sistema Sprar - cui come Comune abbiamo aderito - derivanti dalla applicazione del cosiddetto ’Decreto Sicurezza’»


      http://www.targatocn.it/2018/10/26/mobile/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/il-sindaco-di-gaiola-biole-critico-sul-decreto-sicurezza-piena-adesione-al

      #Fabrizio_Biolè

    • Il sindaco di #Gaiola Biolè critico sul «Decreto sicurezza»: «Piena adesione alla manifestazione di sabato 27 ottobre»

      «In particolare per scongiurare le inedite e disastrose conseguenze sul sistema Sprar - cui come Comune abbiamo aderito - derivanti dalla applicazione del cosiddetto ’Decreto Sicurezza’»


      http://www.targatocn.it/2018/10/26/mobile/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/il-sindaco-di-gaiola-biole-critico-sul-decreto-sicurezza-piena-adesione-al

      #Fabrizio_Biolè

    • Il sindaco di #Gaiola Biolè critico sul «Decreto sicurezza»: «Piena adesione alla manifestazione di sabato 27 ottobre»

      «In particolare per scongiurare le inedite e disastrose conseguenze sul sistema Sprar - cui come Comune abbiamo aderito - derivanti dalla applicazione del cosiddetto ’Decreto Sicurezza’»


      http://www.targatocn.it/2018/10/26/mobile/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/il-sindaco-di-gaiola-biole-critico-sul-decreto-sicurezza-piena-adesione-al

      #Fabrizio_Biolè

    • Zona del Cuoio, i sindaci contro il Dl Sicurezza: «Slogan facili contro gli stranieri»

      Il decreto sicurezza fa discutere, e molto, anche in Toscana. Dopo le dichiarazioni di Dario Nardella, sono arrivate quelle dei sindaci dell’Unione dell’Empolese Valdelsa, a cui si aggiunge ora il coro dei primi cittadini della Zona del Cuoio, ovvero Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d’Arno e San Miniato. Di seguito la nota congiunta a firma Giulia Deidda, Gabriele Toti, Giovanni Capecchi e Vittorio Gabbanini. Un provvedimento bandiera. Perfetto dal proprio punto di vista della propaganda. Parla alla pancia delle persone, slogan facile contro lo straniero e non creerà più sicurezza ma l’esatto opposto. E’ così che appare il “decreto sicurezza”, chiamato in questo modo anche se è legge dello stato, convertito dal Parlamento. Insomma una operazione perfetta per la campagna elettorale permanente. Che non risolve i problemi, ma questo è un dettaglio trascurabile. Condividiamo le critiche che sono state fatte da molte colleghi sindaci sugli effetti che si determinano col decreto sicurezza, perché colpendo sull’aspetto relativo ai diritti, va a incidere pesantemente anche sulla convivenza tra le persone. Mandare in una situazione di irregolarità molti migranti, senza attivare altri tipi di percorsi, è evidentemente il modo più veloce per creare le condizioni perché possano delinquere. Sono convinto che quando si creano delle situazioni di rottura di questa tipo, con molti sindaci che protestano in maniera pesante, la via maestra sarebbe quella di organizzare un incontro, per un dialogo necessario tra il governo e chi amministra le comunità a livello locale. Quindi vedo positivamente la apertura del presidente del consiglio, ammesso che poi abbia la forza di portarla avanti, e non debba subire il veto di qualche alleato di maggioranza. In questo contesto di forte scontro, condividiamo altresì la posizione della regione Toscana di ricorrere alla Corte Costituzionale, per la verifica delle parti della normativa che ne risultano in contrasto. In particolare l’articolo 13, che stabilisce come l’immigrato con permesso di soggiorno abbia diritto solo al domicilio e non alla residenza. Sembra un dettaglio ma è sostanziale, perché non consente di prestare l’assistenza sanitaria, né l’iscrizione a scuola dei figli, o l’iscrizione nelle liste di collocamento e nelle liste di mobilità. In questo percorso di ascolto una parte va dedicata al coinvolgimento dei volontari e delle associazioni che si occupano in ambito umanitario e di supporto.

      https://www.gonews.it/2019/01/06/dl-sicurezza-zona-cuoio-sindaci-decreto

    • Italia in Comune Puglia ‘schiera’ 60 amministratori contro il decreto Salvini

      Sindaci, assessori, consiglieri di Italia in Comune Puglia uniti per dire ‘no’ al decreto Salvini su immigrazione.

      Italia in Comune Puglia scende in campo contro il decreto Salvini. E lo fa con il suo fronte di oltre sessanta amministratori comunali, tra sindaci, consiglieri e assessori comunali, che si sono detti pronti a farsi portavoce di una mozione per chiedere la sospensione degli effetti del provvedimento in materia di immigrazione e sicurezza, sulla scorta di quanto avvenuto già in alcuni comuni del nord Italia.

      Il decreto del Ministero dell’Interno prevede, infatti, 23 mila migranti in meno nel circuito dell’ accoglienza, la revoca di circa 1500 permessi di protezione umanitaria e la chiusura di decine di Cas e Sprar. Tuttavia, le stime ANCI sono raccapriccianti per i Comuni: 280 milioni di euro di costi amministrativi che ricadrebbero su Servizi sociali e sanitari territoriali.

      Ma non è una questione solo di costi, avvertono dal partito: “Il sistema elaborato da Salvini è fallimentare. Con le chiusure di CAS e Sprar, si tolgono vite umane dal circuito ‘sano’ dell’accoglienza per immetterle in strada. Non occorre essere degli esperti per comprendere come gli effetti del provvedimento sarebbero addirittura opposti a quelli prefissati, ovvero aumento di clandestinità, casi di emarginazione sociale e, quindi, anche di delinquenza. A voler essere sospettosi, verrebbe addirittura da pensare che questo incremento generalizzato di insicurezza e panico che si diffonderebbe nelle città sia una trovata utile per futuri fini elettorali”, ha commentato Michele Abbaticchio, sindaco del comune di Bitonto.

      “Ci spieghi Salvini come dovrebbe condurre questo provvedimento a una maggiore sicurezza nelle città se l’attuale Governo non ha stipulato nemmeno un accordo con i Paesi di provenienza dei migranti per il loro rimpatrio. Se questi soggetti vengono sbattuti fuori dai centri di accoglienza e non vengono rimpatriati, dove finiranno, se non sulle nostre strade? Per non parlare, poi, dell’ aspetto più prettamente ‘umano’ della questione, che siamo certi non sarà stato preso in considerazione dal Ministro, ovvero l’abbandono in strada di giovanissimi che vengono tristemente condannati a un futuro di precarietà, stenti e espedienti”, le parole di un altro sindaco del partito, Davide Carlucci che amministra Acquaviva delle Fonti.

      Per tali ragioni, i sindaci, gli assessori e i consiglieri comunali già iscritti al partito hanno deciso di ‘fare squadra’ e, ora, si sono detti pronti a presentare nei rispettivi comuni amministrati un ordine del giorno in cui chiederanno al Governo di sospendere gli effetti del decreto legge e di rivalutare, magari a seguito di confronto con i territori, le ricadute concrete dell’atto sia in termini economici che sociali e di sicurezza, e alla Regione Puglia di condividere i loro intenti.

      “Al Sud, sarebbe la prima risposta a questo provvedimento lontano dalla realtà e da una stima degli effetti reali”, hanno concluso i referenti.

      https://www.acquavivapartecipa.it/italia-in-comune-puglia-schiera-60-amministratori-contro-il-decre

    • Ufficio anagrafe a Palermo, Orlando ai dipendenti: «I documenti li firmo io». Salta la seduta in consiglio

      Il sindaco di #Palermo Leoluca Orlando, oggi a Roma per alcuni incontri istituzionali, ha partecipato nel pomeriggio ad un incontro con la Stampa Estera in Italia, nel corso del quale fra l’altro ha confermato che «a tutela dei dipendenti comunali dell’Ufficio anagrafe» sarà lui a sottoscrivere i documenti di iscrizione anagrafica legati a permessi di soggiorno per protezione umanitaria".

      Avendo appreso dall’Assessore alle politiche di cittadinanza che già una pratica di questa tipologia è in fase istruttoria da alcuni giorni, il Sindaco ha affermato di sperare «che l’iter si concluda quanto prima». Per ovvii motivi di tutela della privacy, si legge in una nota diffusa dall’ufficio stampa del Comune, non saranno diffusi dati di alcun tipo relativi alla pratica in corso, né ad altre analoghe il cui iter istruttorio dovesse essere avviato nei prossimi giorni

      Intanto tre ufficiali d’anagrafe del Comune di Palermo hanno spedito una lettera al capo area Maurizio Pedicone per chiedere chiarimenti sulla sospensiva delle procedure previste dal decreto sicurezza che lo stesso Pedicone aveva fatto pervenire all’ufficio lo scorso 3 gennaio, dopo aver ricevuto, il giorno precedente, la disposizione del sindaco Leoluca Orlando che invita a sospendere alcune norme della legge sicurezza che impedisce ai richiedenti asilo di ottenere la residenza.

      I tre dipendenti, «gli unici presenti», si legge in calce alla lettera scritta il 7 gennaio, fanno riferimento alle responsabilità degli ufficiali d’anagrafe e scrivono che compete esclusivamente alla Consulta stabilire la legittimità costituzionale della legge. «L’ufficiale d’anagrafe è obbligato ad operare secondo i principi di legalità fissati dagli art. 97 e 98 della Costituzione».

      I tre firmatari osservano che l’inosservanza dei principi di legge non può certamente essere disposta con un ordine di servizio, «strumento privo di validità sufficiente a esimere l’operatore dal proprio obbligo giuridico di osservanza del dettato normativo e non inidoneo a esonerarlo dalle proprie personali responsabilità». «Sono necessari chiarimenti idonei a superare le evidenziate criticità delle disposizioni impartite a questo ufficio e ai singoli ufficiali d’anagrafe materialmente chiamati ad applicarle», conclude la lettera.

      Manca il dirigente dell’area servizi al cittadino Maurizio Pedicone e salta la seduta del Consiglio comunale di Palermo che avrebbe dovuto trattare la questione legata alla disposizione del sindaco Leoluca Orlando con la quale si chiede all’ufficio di continuare a rilasciare ai cittadini richiedenti asilo i certificati anagrafici.

      Duro il commento del consigliere di opposizione Fabrizio Ferrandelli: «Dopo aver voluto questa seduta alla presenza del sindaco, dell’assessore Nicotri, del capo dell’ufficio legale e del dirigente dell’anagrafe per individuare un atto amministrativo chiaro ed efficace che abbia il supporto di quella parte di Consiglio che come me intende garantire i diritti umani, sorprende l’assenza del sindaco e del dottore Pedicone». «Mi auguro che domani il confronto si possa fare per superare le criticità di una posizione che altrimenti rischia di restare senza efficacia e strumentale», conclude Ferrandelli. La seduta è stata aggiornata a domani alle ore 11.

      Per Sabrina Figuccia, dell’Udc, «il dirigente dell’ufficio anagrafe diserta il consiglio comunale, forse per il troppo imbarazzo causato dal Sindaco negli ultimi giorni, che ben si guarda dall’affrontare il tema in aula». "A questo punto - aggiunge - immagino che il Sindaco intenda occupare una stanza in viale Lazio, presso l’ufficio anagrafe, visto che il tema della residenza gli sta così a cuore e che ha dichiarato di volere firmare di suo pugno gli atti. Predisponga gli atti, lavori le pratiche e infine le firmi, assumendosene tutte le responsabilità. Così forse sarà ricordato come il miglior sindaco di sempre».

      «L’amministrazione comunale di Palermo è ormai allo sbando anche sulla vicenda del decreto sicurezza, tanto che oggi sia il sindaco Orlando che il capo dell’ufficio anagrafe, Maurizio Pedicone, hanno preferito disertare la seduta in consiglio comunale per chiarire i contorni oscuri di una questione che sta spostando l’attenzione dell’opinione pubblica rispetto ai reali, drammatici problemi della città». Lo dichiarano Igor Gelarda, capogruppo della Lega in consiglio comunale a Palermo, e il consigliere dello stesso gruppo Elio Ficarra che chiedono le dimissioni di Orlando.

      http://palermo.gds.it/2019/01/09/orlando-firma-sicurezza-tre-ufficiali-dellanagrafe-di-palermo-chiedono-c
      #Palerme

    • #Pozzallo

      Peraltro, una voce critica arriva anche da sinistra. Il sindaco di Pozzallo #Roberto_Ammatuna è stato eletto con una lista civica, ma viene dal Pd anche se «da un anno e mezzo non faccio parte dell’organizzazione. Siamo una città di accoglienza, non condivido il decreto Salvini. Va bene la sostanza della battaglia di Orlando, ma non sono d’accordo con il metodo, come non condividevo i sindaci di destra che rifiutavano di celebrare le unioni di fatto. Meglio usare altri strumenti, come il referendum. La sacralità delle istituzioni viene prima di tutto».

      https://www.lastampa.it/2019/01/03/italia/quei-sindaci-contro-orlando-il-primo-cittadino-non-pu-esercitare-la-disobbedienza-civile-fY2VUkK958OK8NUZNppNKJ/pagina.html

    • Des maires italiens se lèvent contre les mesures anti-migrants de Salvini

      Plus d’une centaine de maires italiens font front contre la loi 132 sur la sécurité, tant voulue par le ministre de l’intérieur, Matteo Salvini. Ils dénoncent les mesures qui concernent les migrants, inconstitutionnelles selon eux.
      Palerme, de notre correspondante.- « Je fais du droit, pas de la musique, donc je sais très bien ce à quoi je m’expose. » Sur le parvis de sa mairie, Leoluca Orlando ne bouge pas d’un pouce : hors de question d’appliquer la loi sécurité approuvée à la fin du mois de novembre par l’Assemblée italienne. Face à lui, Piazza Pretoria, une marée de parapluies desquels fusent applaudissements nourris et cris de soutien. « Ce sont des choix difficiles mais en tant que maire, mon devoir est d’envoyer un message clair, et c’est celui du respect des droits de l’homme », poursuit-il entre deux acouphènes d’une sono mal réglée.

      Il faut dire que le rassemblement de soutien au maire de Palerme a été organisé à la hâte, après une attaque en règle du ministre de l’intérieur, Matteo Salvini, à l’origine du texte de loi. Le 21 décembre dernier, le maire de la ville, Leoluca Orlando, demande à ses employés municipaux de ne pas appliquer la nouvelle loi sur la sécurité, estimant que les mesures à l’encontre des migrants « violent les droits humains et la Constitution italienne ». Mais ce n’est que début janvier que la nouvelle devient publique, provoquant la colère du ministre de l’intérieur qui, comme à son habitude, riposte sur Facebook : « Avec tous les problèmes que connaît Palerme, c’est sur la question des immigrés que ce sinistre maire pense à être désobéissant. »

      En quelques heures, ce qui aurait pu n’être que l’une des nombreuses joutes qui émaillent régulièrement le débat public italien a pris une ampleur nationale. Et plusieurs maires ont embrayé le pas de Leoluca Orlando : Luigi De Magistris, à Naples, Dario Nardella à Florence, Beppe Sala à Milan et avec eux, une centaine d’autres maires, du nord au sud du pays. « Ces maires allègent un peu le sentiment de honte qu’on ressent dernièrement avec la politique du gouvernement, notamment sur les questions liées aux migrants », glisse Anita Riotta, une Palermitaine qui n’est d’ordinaire pas une adepte des manifestations. « On espère qu’en repartant des territoires et des institutions locales, on pourra de nouveau défendre les personnes les plus fragiles », poursuit la quinquagénaire.

      En réalité, le pouvoir des maires est limité pour s’opposer de manière concrète à cette loi. Contenant plusieurs chevaux de bataille idéologiques défendus par Matteo Salvini lors de sa campagne avec la Ligue, la loi 132 s’attaque à l’un des grands chantiers du ministère de l’intérieur : la sécurité. Pêle-mêle, le texte englobe plusieurs mesures sur la mafia, le terrorisme, les biens occupés illégalement et, in fine, l’immigration. C’est ce dernier chapitre qui se retrouve aujourd’hui au cœur des polémiques. Il prévoit entre autres un allongement de la durée de détention des migrants avant leur expulsion, une modification de la liste des pays sûrs, une augmentation des fonds alloués aux expulsions, la déchéance de nationalité en cas de délits liés au terrorisme, mais surtout une remise en cause profonde du système d’accueil italien avec l’abrogation de la protection humanitaire.

      La brèche, pour les édiles locaux, c’est l’inscription à l’« anagrafe », un terme qui désigne dans l’administration italienne un bureau d’enregistrement municipal, donc qui relève de la compétence des maires. Selon l’article 13 de la loi, le permis de séjour dont disposent les demandeurs d’asile ne garantira plus l’inscription à l’« anagrafe ». Or, défendent les maires, c’est en s’inscrivant à ce bureau que les citoyens peuvent obtenir la résidence dans la ville et bénéficier ainsi des services de santé, de l’école ou de l’aide à la recherche d’emploi, par exemple.

      « Cette loi est inhumaine et criminogène », tonne Leoluca Orlando au micro, largement applaudi sous la pluie battante, Piazza Pretoria. En réalité, une loi de 2015 a modifié les conditions nécessaires à l’accès de ces services et un demandeur d’asile peut, en théorie, en bénéficier sans la résidence. Dans les faits, de nombreuses administrations n’ont pas pris en compte ce changement législatif et le risque que les demandeurs d’asile se retrouvent privés de nombreux droits élémentaires est réel.

      Surtout, retranchés derrière l’article 13, les maires rebelles dénoncent un ensemble de mesures anti-migrants dont la plus spectaculaire est la suppression pure et simple de la protection humanitaire, celle la plus fréquemment attribuée aux migrants présents en Italie au terme de leur demande d’asile. En 2017, en Italie, sur un total de 130 000 demandes d’asile, plus de la moitié ont été refusées, 8 % des demandeurs ont reçu le statut de réfugié, contre 25 % pour la protection humanitaire. S’opposer à cette loi, « c’est du bon sens, pas de la bien-pensance », tranche le maire de Florence, Dario Nardella.

      Sur les marches de marbre de la fontaine de la place, à l’écart de l’agitation de la manifestation, Ismael Cissé et Diabaté Toumani suivent chacun des mots de Leoluca Orlando. À peine son discours terminé, ils se mettent à chanter avec quelques amis les louanges de la ville qui les a accueillis. « Ce n’est pas en restant à la maison que les problèmes se résolvent », sourit Diabaté Toumani avant d’ajouter, « avec cette nouvelle loi, on a l’impression d’être des criminels, des bandits et bien sûr nous sommes inquiets ». À son arrivée en Italie, il a reçu la protection humanitaire, tout comme Ismael Cissé, 17 ans et majeur dans quelques semaines : « J’ai quitté la Côte d’Ivoire il y a cinq ans, à cause des violences dans le pays, je suis en Italie depuis un an et quatre mois. Ce n’est pas parce qu’il n’y a pas la guerre dans notre pays qu’on mérite moins d’être là. »

      En présentant son projet de loi, Matteo Salvini avait défendu « les vrais réfugiés », épargnés selon lui par les mesures prévues par le texte de loi. « Il serait temps d’abolir cette distinction entre migrant économique et réfugié, réplique Leoluca Orlando. Ce sont des personnes et ils doivent être traités comme des humains. » Jusqu’à cette loi, un demandeur d’asile pouvait recevoir le statut de réfugié, la protection internationale ou, le cas échéant, et selon des critères allant de raisons de santé à des conditions de vie d’une pauvreté extrême dans le pays d’origine, la protection humanitaire, introduite en Italie en 1998.

      Le risque pour Diabaté Toumani, Ismael Cissé et les dizaines de milliers d’autres migrants bénéficiant actuellement de la protection humanitaire, c’est d’être exclus d’une partie des centres d’accueil, les Sprar, et surtout de ne pas pouvoir renouveler leur titre de séjour – d’une durée de six mois à deux ans – lorsqu’il arrivera à échéance. « C’est comme si on nous arrachait nos papiers », résume Diabaté Toumani. « Cette loi n’aura pas comme effet plus de sécurité, on va devenir des hommes sans empreintes, sans papiers, personne ne nous retrouvera jamais », déplore Ismael Cissé, qui souhaiterait poursuivre ses études en Italie. Selon les projections réalisées par le chercheur Matteo Vila, de l’Institut pour les études de politique internationale, d’ici décembre 2020, près de 140 000 migrants seront illégalement sur le territoire italien, soit plus du double des prévisions antérieures à l’adoption de la loi.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/120119/des-maires-italiens-se-levent-contre-les-mesures-anti-migrants-de-salvini?

    • Decreto sicurezza, cresce il fronte delle Regioni contro: con le Marche i ricorsi sono otto

      La Regione #Marche è stata l’ultima a rompere gli indugi: nei giorni scorsi la Giunta, guidata da Luca Ceriscioli (Pd), ha deliberato il ricorso alla Corte Costituzionale per il decreto sicurezza. «Noi riteniamo che il Decreto Sicurezza violi numerosi punti della Carta Costituzionale - ha detto il governatore Luca Ceriscioli - e quindi abbiamo fatto ricorso, come credo abbiano fatto altre Regioni».

      https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-01-25/decreto-sicurezza-cresce-fronte-regioni-contro-le-marche-ricorsi-sono-o

    • La Regione impugna il decreto sicurezza: «Viola Costituzione e Statuto della #Sardegna»

      L’avevano annunciato, lo hanno fatto: la Regione presenta ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto Sicurezza (convertito in Legge n. 132) voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Lo ha deciso oggi la Giunta approvando una delibera proposta dal presidente Francesco Pigliaru in cui si contesta la presunta violazione di importanti precetti costituzionali e dello Statuto della Sardegna e viene rilevata anche «la violazione di diritti dei cittadini, costituzionalmente riconosciuti».

      “In stretto coordinamento con altre regioni italiane, rafforzati dal nostro Statuto di Autonomia - dichiara il presidente Francesco Pigliaru - abbiamo scelto la strada del ricorso. Il decreto Sicurezza nasce da presupposti errati e sta danneggiando seriamente un sistema di accoglienza dei richiedenti asilo faticosamente costruito in questi anni grazie alla proficua sinergia di Regione, Comuni e Prefetture. Restiamo dell’idea che sia possibile attuare un processo di inclusione e integrazione in modo equilibrato e in un quadro di regole che non sono certamente quelle imposte con il recente decreto”.

      L’assessore degli Affari generali Filippo Spanu, con delega ai flussi migratori, ribadisce che “la Sardegna sin dall’inizio si sta muovendo in raccordo con altre Regioni, Umbria, Toscana e Piemonte in primis, perché siamo convinti che il decreto poi diventato legge genera insicurezza e crea gravi problemi ai Comuni chiamati a gestire le conseguenze provocate dalla sua applicazione. La decisione di oggi – chiarisce Spanu – è in piena sintonia con i principi umanitari di accoglienza e solidarietà che la Sardegna ha sempre messo in pratica”. Spanu ricorda infine che "con il ricorso viene data una veste nuova e più solida alle tante critiche arrivate dai sindaci, perché la ribellione a una legge ingiusta passa prima di tutto per gli strumenti Costituzionali. È quindi assolutamente improprio parlare di illegalità delle proteste, ma nel ricorso si trovano le risposte alle gravi preoccupazioni esposte dai primi cittadini, delle quali la Regione si fa completamente carico”.

      Ecco le motivazioni del ricorso. La violazione della Costituzione parte, in primo luogo, dall’art. 28 che concerne attribuzioni di diretta spettanza regionale, poiché l’ordinamento degli enti locali è materia di competenza regionale esclusiva per la Regione Autonoma della Sardegna in virtù dell’art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto. Il Decreto, infatti, prevede poteri straordinari in capo al Prefetto, per il Commissariamento degli Enti Locali, violando, quindi gravemente l’Autonomia Regionale Sarda. Tali poteri risultano inoltre avulsi dal contesto dello stesso Decreto Sicurezza, e generici nelle motivazioni. Il ricorso evidenzia inoltre la grave lesione dei diritti di autonomia, nello stabilire norme (art. 1,12 e 13 appunto) che, riformando i criteri della protezione umanitaria e delle conseguenti tutele legate all’assistenza, all’integrazione ed al riconoscimento anagrafico, violano gravemente diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini stranieri, incidendo impropriamente nella normativa regionale legata in particolare all’assistenza, all’istruzione, al lavoro. Nello specifico, benché l’art. 117, comma 2, lett. b) e h), della Costituzione, ricomprenda la materia “immigrazione” e la materia “ordine pubblico e sicurezza” tra quelle assegnate alla competenza esclusiva dello Stato, la stessa Costituzione, all’art. 118, comma 3, riconosce esplicitamente l’esistenza di un profondo legame fra queste materie e quelle di competenza concorrente, affidate (anche) alla cura delle Regioni, dove recita: “La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117 […]”. Ciò equivale a dare atto dell’intreccio di competenze fra queste due materie e quelle di competenza regionale. Nel caso della Regione Autonoma della Sardegna sono coinvolte le competenze statutarie sia di tipo esclusivo (“polizia locale urbana e rurale” ex art. 3, comma 1 dello Statuto) che concorrente; competenze che, concretamente, la Regione Sardegna ha puntualmente esercitato.

      https://www.youtg.net/v3/top-news/14059-la-regione-impugna-il-decreto-sicurezza-viola-costituzione-e-statuto-de

    • Migranti, la sfida del sindaco di Mugnano: sospeso il decreto sicurezza di Salvini

      Decreto Sicurezza, il sindaco di #Mugnano #Luigi_Sarnataro ha firmato la richiesta di sospensione dell’articolo 13. La richiesta è stata inoltrata ai responsabili dell’ufficio Anagrafe, per permettere così ai richiedenti asilo di usufruire di un servizio anagrafico temporaneo. Il primo cittadino ha accolto l’istanza formulata dagli attivisti locali di Potere al Popolo: «Riteniamo - dicono - necessario intraprendere un percorso di discussione sulle ripercussioni economiche, sociali e di sicurezza che il Decreto avrà sui nostri territori».

      La mossa del primo cittadino ha scatenato reazioni immediate: il circolo locale di Fratelli d’Italie e il coordinatore provinciale del partito della Meloni, Nello Savoia, hanno annunciato di essere pronti a «denunciare Sarnataro per la mancata applicazione del decreto».

      https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/migranti_sfida_sindaco_mugnano_sospeso_decreto_sicurezza_salvini-4272975.h

    • La Toscana fa partire il ricorso contro il decreto Salvini, ecco i Comuni che aderiscono

      La Toscana ieri ha notificato il ricorso contro la legge Salvini: un ricorso alla Consulta contro il decreto del governo, poi convertito in legge. La Regione non è da sola, però, visto che farà da capofila ad oltre 60 comuni che hanno sottoscritto l’iniziativa lanciata dal governatore Enrico Rossi.

      Tra questi #Firenze, due capoluoghi di provincia come #Prato e #Lucca, ma anche altri municipi importanti come #Cortona, #Empoli, #Fiesole, #Pontassieve, #Scandicci, #Sesto_Fiorentino, #Campi_Bisenzio, #Bagno_a_Ripoli e #Calenzano.

      «E’ evidente - sottolinea il presidente della #Toscana, Enrico Rossi - come con questo decreto si ostacoli il soddisfacimento di un nucleo di diritti fondamentali e universali che appartengono alla persona e già ribaditi da più sentenze».

      Con la nuova norma, aggiunge l’assessore alla Presidenza e all’Immigrazione Vittorio Bugli, «si ledono e si incide anche sulle competenze regionali e dei Comuni, limitando la possibilità di continuare ad erogare servizi in campo sociale, sanitario, e che riguardano anche l’istruzione e la formazione professionale erogata in tutti questi anni. Per questo ricorriamo».

      https://www.lanazione.it/cronaca/regione-toscana-ricorso-salvini-1.4420433

    • Migranti, a Parma fronte dei sindaci contro la prefettura e il decreto Salvini

      Uno schieramento trasversale di sindaci per chiedere alla prefettura di Parma di rivedere radicalmente i contenuti del nuovo bando di accoglienza dei migranti.

      Parole chiare, spedite all’indirizzo del prefetto Giuseppe Forlani, che evidenziano un giudizio «fortemente critico» di fronte a «un’operazione verticale che rischia di esasperare nuovamente gli animi e di rinfocolare un clima non più sostenibile».

      I sindaci di #Collecchio, #Fidenza, #Langhirano, #Medesano, #Montechiarugolo, #Noceto, #Parma e #Salsomaggiore, che rappresentano 314.875 cittadini del territorio, individuano nel bando alcune «novità impattanti» così riassunte: «Si riapre la stagione delle grandi concentrazioni alberghiere (con più di 12 persone per unità), il bando sarà dedicato solo ai Comuni che hanno una popolazione superiore ai 10mila abitanti e l’arrivo sul territorio di altre 300 persone che si andrebbero a sommare alle poco meno di mille già presenti nelle varie strutture diffuse in provincia».

      https://parma.repubblica.it/cronaca/2019/02/25/news/migranti_a_parma_fronte_dei_sindaci_contro_il_nuovo_bando_della_pre

    • Maires, magistrats, intellectuels, ils sont entrés en résistance contre Matteo Salvini

      #Luigi_de_Magistris, le maire de Naples, a été le premier à s’opposer aux décisions du très xénophobe ministre de l’Intérieur. D’autres édiles ont suivi ainsi que des magistrats et des intellectuels. Jusqu’où ira la fronde ?

      Le maire de #Naples a fait un rêve. Dans la baie qui s’étale sous ses fenêtres, au pied du Vésuve, une kyrielle de voiliers se dirigent vers le port. « Comme sur une gouache du XVIIIe siècle », commente-t-il. Sauf qu’ils sont tous chargés de migrants. Et lui, Luigi #de_Magistris, 51 ans, premier citoyen de « la capitale du Sud », va à leur rencontre, debout sur une barque, pour leur dire « Benvenuti ! ».

      Mais, dans l’Italie de Matteo Salvini, ce rêve n’est pas près de se réaliser. Car le très xénophobe ministre de l’Intérieur, patron de la Ligue, est entré en guerre contre les migrants. Fermeture des centres d’accueil, interdiction aux bateaux de sauvetage d’accoster, réduction drastique des aides aux réfugiés... Le message est clair : il ne veut plus voir un seul migrant arriver sur la péninsule.

      Alors le maire adoré du popolino ("petit peuple") napolitain, qui exhibe dans son bureau tous les cadeaux de ses administrés, ce « populiste progressiste », comme il se définit lui-même, sorte de miroir inversé de Salvini, s’est retroussé les manches : lui, le « Giggino » (Petit Louis) comme on le surnomme, l’édile à la mâchoire de boxeur, est entré en résistance.

      Le porte-drapeau des « maires résistants »

      C’est fin janvier, lorsque Matteo Salvini a bloqué le navire « Sea-Watch » au large de Naples, pendant cinq jours avec 47 migrants à bord, que Luigi de Magistris a décidé de le défier. Au nom du « droit de la mer », il leur a offert l’hospitalité. Les Napolitains ont aussitôt répondu à l’appel : ils ont envoyé 5.831 e-mails de soutien en 24 heures et 12.951 offres d’aide (logements, propositions de cours gratuits et 100.000 euros de donations). « Qui donc ira faire un procès au maire de Naples et à 10.000 citoyens ? », fanfaronne « Giggino ». Le 26 janvier, ils étaient même un millier de volontaires au théâtre Augusteo pour dire leur rejet du décret-loi anti-immigration de Salvini. Il y avait là Manfredi, 53 ans, qui « offre son samedi pour donner des cours d’italien », Giulia, 73 ans, qui « ouvre sa maison de campagne », et Lorenzo, 17 ans, qui « fera tout pour casser la propagande Salvini ».

      Matteo Salvini : comment le leader populiste hypnotise les Italiens

      Luigi de Magistris venait de tirer le pays de sa torpeur face à la menace Salvini. Depuis cet acte de bravoure, il a été rejoint par des édiles du centre et du sud de la Botte, Sicile, Calabre, Toscane, Ombrie, tous révulsés par la politique migratoire de Matteo Salvini. Voilà « Giggino » devenu le porte-drapeau des « maires résistants ». Il n’y voit là rien de moins qu’"une bataille de civilisation" :

      « Contre la haine, la xénophobie, le racisme, nous opposons la solidarité, la valorisation des différences, la justice sociale ».

      A #Palerme, le maire #Leoluca_Orlando, 71 ans, a inscrit à l’état civil quatre migrants, au nez et à la barbe de Salvini qui avait retiré ce pouvoir aux municipalités. Détenteurs d’un permis de séjour humanitaire, les réfugiés avaient vu leurs droits considérablement restreints par le décret-loi sur l’immigration : impossible désormais d’avoir un boulot déclaré et un logement. « Cette inscription à l’état civil est-elle illégale ? Non ! s’insurge le maire. Je me contente de respecter la Constitution, qui exige la régularisation des habitants. » Depuis, 200 autres migrants se sont inscrits sur la liste d’attente.

      Migrants : « Il faut supprimer le permis de séjour comme on a supprimé la peine de mort »

      A #Castelnuovo_di_Porto, près de Rome, le maire Enrico #Travaglini, 40 ans, a quant à lui offert - suprême provocation - couvert et logis chez lui à Mouna, une jeune Somalienne. En cadenassant le centre d’accueil de la petite ville, Salvini l’avait mise à la rue. C’est là tout le paradoxe de sa politique. En fermant les centres d’accueil, il accroît le nombre de clandestins.

      Une mutinerie qui fait ricaner le premier flic d’Italie

      Après les maires, c’est la société civile qui a rejoint les rebelles. D’habitude, l’#écrivain #Sandro_Veronesi, 59 ans, déteste faire parler de lui autrement que pour ses romans. Mais les bateaux bloqués et les invectives racistes du ministre ("Pour les migrants, la fête est finie" ; « Les ONG ? Des complices des trafiquants ») l’ont fait sortir de sa réserve. L’écrivain s’est alors jeté à corps perdu dans la bataille anti-Salvini. A la terrasse d’un café romain, il nous raconte avec passion comment il a mis sur pied un collectif d’artistes et d’intellectuels pour financer l’achat d’un ancien remorqueur, le « Mare Iono ». Objectif : « Secourir des embarcations chargées d’immigrés et y monter à notre tour, par solidarité, et en nous exposant physiquement », raconte-t-il. Lorsqu’ils ont affrété leur bateau, Salvini s’est contenté d’un tweet ironique : « Bon voyage ! »

      Ottima idea : buon viaggio ! ???? https://t.co/4RS5FW32vW

      –- Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 9 juillet 2018

      Cette mutinerie fait bien ricaner le premier flic d’Italie. Rien ne lui fait peur, il se sent invincible. Mais jusqu’à quand ? Lorsque des magistrats ont à leur tour fait entendre leur voix, il a pour la première fois serré les dents. Lui qui avait accusé le navire humanitaire « Sea-Watch » d’avoir enfreint la loi s’est vu désavoué par le procureur de Catane (Sicile), Carmelo Zuccaro : non, l’équipage n’a commis aucun délit ; il pourra même reprendre la mer.

      C’est également de Catane qu’est venu l’orage suivant. Cette fois, les magistrats voulaient traîner Salvini devant le tribunal des ministres (l’autorité compétente pour les membres du gouvernement) pour « non-assistance à personne en danger ». Une première ! En cause : l’affaire du bateau « Diciotti », bloqué plusieurs jours en août dernier au large de l’Italie avec 177 migrants à bord. « Dois-je continuer à remplir mes devoirs de ministre ou demander à tel ou tel tribunal de décider de la politique migratoire ? », a enragé Salvini, toujours sur Twitter, évidemment.

      « Le meilleur opposant à Salvini, c’est lui-même »

      Mais la fronde ne faiblit pas. Peut-être est-elle même en train de porter ses fruits. Le 11 février, une fiction télé signée #Andrea_Camilleri, le célèbre auteur sicilien ("Commissaire Montalbano"), a rassemblé 11 millions de téléspectateurs, soit 44,9% de parts d’audience. Pour toile de fond : un port, un bateau chargé de migrants et le célèbre commissaire qui leur ouvre grand les bras.

      Il fallait bien que tout cela finisse par sortir l’opposition politique de son coma. Carlo Calenda, 45 ans, ex-ministre du Parti démocrate, a compris qu’il était temps de se saisir de ce soulèvement civil. Son mouvement Siamo Europei ("Nous sommes européens") rassemble déjà 150.000 adhérents, des associations, des entrepreneurs, des intellectuels, le Parti démocrate... L’idée est de présenter une liste « anti-souverainiste » aux européennes. Mais ce technocrate sans charisme qui nous reçoit dans un appartement bourgeois, avec tableaux de maître et moulures, à deux pas de la fontaine de Trevi, pourra-t-il rivaliser avec l’animal politique qui occupe le ministère de l’Intérieur ?

      « Le populisme n’est pas tombé comme une météorite sur l’Italie »

      « Le meilleur opposant à Salvini, c’est lui-même », philosophe #Claudio_Cerasa, le jeune directeur du quotidien « Il Foglio ». « Regardez, il a déjà ressoudé une partie de la société autour de valeurs non négociables et plongé le pays dans la récession économique », s’amuse-t-il.

      « Européens, vous remercierez un jour l’Italie parce qu’elle aura démontré, la première, que le populisme, ça ne marche pas. »

      Pourvu que cela ne prenne pas trop de temps.

      https://www.nouvelobs.com/monde/20190228.OBS0967/maires-magistrats-intellectuels-ils-sont-entres-en-resistance-contre-matt

    • Decreto sicurezza. L’accoglienza creativa dei Comuni per superare la norma sui migranti

      Nessuna illegalità, ma lettura attenta delle leggi in vigore, partendo dal Testo unico sull’immigrazione e l’orientamento giurisprudenziale
      Prendete il caso del Consiglio comunale di Jesi, in provincia di Ancona, che nei giorni scorsi si è confrontato sul punto che desta maggiore preoccupazione: l’impossibilità di iscrizione all’anagrafe per i richiedenti asilo con permesso di soggiorno umanitario.

      «La mancata iscrizione comporta la perdita di alcuni diritti fondamentali – ricorda Tommaso Cioncolini, consigliere di maggioranza della lista JesInsieme, che ha lavorato alla proposta – dall’accesso all’assistenza sanitaria ordinaria alla ricerca di un lavoro, fino all’apertura di un semplice conto corrente».

      Il sindaco della città, Massimo Bacci, ha sempre ribadito che non intendeva fare «disobbidienza civile» e che voleva applicare la legge. «Studiando attentamente la questione – prosegue Cioncolini – ci siamo accorti che la legge non stravolge quello che c’è nel Testo unico sull’immigrazione. Quella legge infatti non vieta l’iscrizione, ma non riconosce il permesso di soggiorno come titolo valido per la registrazione.

      In questo senso, il Testo unico sull’immigrazione e l’orientamento giurisprudenziale ammettono che dopo tre mesi di dimora abituale l’ente sia obbligato a riconoscere l’iscrizione. Su questo, per non vanificare lo spirito di accoglienza e le iniziative a sostegno degli ultimi, abbiamo elaborato una risoluzione, che è già stata votata ed è passata. Il Comune si impegna in questa direzione, che può essere una soluzione di sistema, oltre che un esempio pilota per altre città. In quei primi tre mesi il migrante non viene così comunque abbandonato, perché si trova ancora nel progetto di accoglienza. Così si va in aiuto al migrante percorrendo una strada di sistema, garantendo i diritti a chi altrimenti ne verrebbe privato».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/accoglienza-creativa-dei-comuni

    • Comune di #Padova procede all’iscrizione dei richiedenti asilo: «Questione di sicurezza, già due giudici hanno condannato comuni che non lo fanno»

      „«La mia scelta non è dettata da elementi ideologici ma piuttosto dal buon senso e dal mio dovere di tutelare sempre l’ente coi suoi collaboratori e dirigenti da condotte stigmatizabili in sede giudiziaria, nonché da pesanti rischi risarcitori a carico dell’ente pubblico rispetto alla negazione di un diritto di rango Costituzionale»“

      Comune di Padova procede all’iscrizione dei richiedenti asilo: «Questione di sicurezza, già due giudici hanno condannato comuni che non lo fanno»

      Nel mese di Aprile è giunta presso gli Uffici Anagrafici del Comune di Padova la prima richiesta di iscrizione anagrafica da parte di persona titolare di permesso di soggiorno per richiesta d’asilo avente dimora stabile e regolare nel nostro territorio Comunale da ormai diversi mesi. Già nel mese di ottobre e con l’obiettivo dichiarato di attenersi alle norme, il Sindaco Sergio Giordani, le assessore competenti Benciolini e Nalin, l’avvocatura civica e tutti gli uffici competenti, hanno iniziato ad analizzare e seguire gli elementi introdotti dal cosiddetto “Decreto Sicurezza”, monitorandone gli sviluppi, anche in collegamento con ANCI nazionale e con numerose amministrazioni locali. Parimenti un accurato approfondimento è stato svolto in collaborazione con il Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” in virtù del protocollo vigente, nonché con numerose e autorevoli realtà locali competenti in materia.

      Normativa vigente

      Sulla base di queste interlocuzioni e di pareri legali specificamente richiesti, è emerso come la normativa vigente possa e debba essere applicata in forma letterale e in senso costituzionalmente conforme. Soprattutto, a riprova di ciò, sono giunte le recenti pronunce dell’autorità giudiziaria ordinaria dei tribunali di Bologna e Firenze. Tali pronunce hanno infatti ordinato ai comuni convenuti che l’avevano diniegata di procedere con l’immediata iscrizione anagrafica dei ricorrenti richiedenti asilo, vedendo quindi tali enti soccombenti in sede giudiziaria. Allo stesso tempo e a fronte di tali pronunce di tribunali ordinari che hanno condannato i Comuni, non sono stati reperiti pronunciamenti di segno contrario da parte del Giudice Ordinario chiamato a esprimersi sull’applicazione della norma e questo rende possibile per non dire probabile che anche in considerazione della rilevanza degli interessi e dei diritti coinvolti la violazione degli stessi potrebbe determinare serie responsabilità risarcitorie in capo al Comune di Padova e ai suoi uffici.
      Silenzio assenso

      Intercorrendo lunedì 17 giugno l’ultimo giorno utile da un punto di vista amministrativo per rispondere all’istanza prima di entrare nel “Silenzio-assenso”, per le ragioni riportate in precedenza, per la necessaria prudenza che si deve in presenza di pronunciamenti di Giudici Ordinari e per tutti gli elementi dettagliatamente riportati nell’atto amministrativo allegato, il Sindaco Sergio Giordani ha avocato a sé la pratica in oggetto scegliendo di accogliere, sulla base dell’interpretazione oggi resa dalla magistratura ordinaria, la richiesta di iscrizione anagrafica della persona prima citata. Ciò significa che se giungeranno pronunciamenti di segno nuovo e di superiore gerarchia giuridica o normativa il Comune di Padova potrà sempre sospendere tale atto agendo con lo strumento dell’autotutela.
      Giordani

      Dichiara il Sindaco Sergio Giordani: «Nel valutare quali scelte assumere su questa pratica, per me che ho sempre dichiarato di voler agire nel rispetto della legge era impossibile far finta di non vedere che già due Giudici Ordinari hanno condannato importanti Comuni Italiani a procedere immediatamente all’iscrizione anagrafica. La mia scelta non è dettata da elementi ideologici ma piuttosto dal buon senso e dal mio dovere di tutelare sempre l’ente coi suoi collaboratori e dirigenti da condotte stigmatizzabili in sede giudiziaria, nonché da pesanti rischi risarcitori a carico dell’ente pubblico rispetto alla negazione di un diritto di rango Costituzionale. Buttarla in politica non paga e non mi interessa, ad oggi i fatti giuridici sono sufficientemente chiari e se ne interverranno di nuovi mi adeguerò con gli strumenti che riconosce e prevede il diritto amministrativo. Queste pratiche non sono molte, probabilmente si conteranno sulle dita di una mano per un grande Comune come il nostro, tuttavia in queste settimane ai Sindaci di tutta Italia cominciano a venire sottoposte tali istanze e sono certo che molti colleghi si comporteranno come ho fatto io sulla scorta delle pronunce dei giudici già intercorse. Siamo arrivati a questo risultato dopo un grande lavoro di squadra favorito dal rigoroso lavoro delle assessore e mio nonché con il supporto di tutti gli uffici competenti, che ringrazio, forti della consapevolezza di agire nel solco costituzionale di fronte ad una norma non chiara che ha lasciato le amministrazioni e i territori nell’incertezza, così come ha avuto modo di sottolineare diverse volte anche la stessa ANCI nazionale. Tutto ciò premesso va detto che in ogni caso l’iscrizione anagrafica è uno strumento che innanzitutto tutela la sicurezza dei cittadini e della nostra comunità. Il ruolo cruciale dell’anagrafe è infatti quello di conoscere chi c’è nel nostro territorio e dove si trova, poter quindi avere sotto controllo e monitorare tutte le situazioni, e permettere di intervenire per evitare rischi, anche alla salute pubblica, rispetto a soggetti che diversamente sarebbero fantasmi sconosciuti alla pubblica amministrazione. Insomma, sono assolutamente sicuro che questa scelta sia quella giusta non solo su base normativa e costituzionale, ma anche nell’interesse della nostra comunità, della sicurezza, del decoro urbano e della salute pubblica. Io sono tenuto a comportarmi da Sindaco, la politica viene dopo i miei concittadini, tutti».

      http://www.padovaoggi.it/politica/padova-iscrizione-richiedenti-asilo-questione-sicurezza-giudici-condannat
      #Padoue

    • Decreto sicurezza, bocciati i super poteri dei prefetti: «Non possono sostituirsi ai sindaci»

      La Consulta ha però dichiarato inammissibili i ricorsi di Calabria, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria, che avevano impugnato numerose disposizioni del provvedimento, approvato dal governo lo scorso ottobre, lamentando la violazione diretta o indiretta delle loro competenze

      La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro il decreto sicurezza presentati dalle Regioni Calabria, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria, che ne hanno impugnato numerose disposizioni lamentando la violazione diretta o indiretta delle loro competenze. La Corte ha ritenuto che le nuove regole su permessi di soggiorno, iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo e Sprar sono state adottate nell’ambito delle competenze riservate in via esclusiva allo Stato.

      In particolare, la Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibili i ricorsi delle Regioni sulle politiche migratorie, ha ritenuto che con il decreto sicurezza voluto dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e diventato legge a dicembre 2018, non ha avuto incidenza diretta o indiretta sulle competenze regionali. Ma la Corte non ha compiuto alcuna valutazione sulla legittimità costituzionale dei contenuti delle norme impugnate.

      Ma la Consulta ha ritenuto, allo stesso tempo, che sia stata violata l’autonomia costituzionalmente garantita a comuni e province. Pertanto, ha accolto le censure sull’articolo 28 che prevede un potere sostitutivo del prefetto nell’attività di tali enti.

      https://www.repubblica.it/politica/2019/06/20/news/decreto_sicurezza_per_la_consulta_inammissibili_i_ricorsi_delle_regioni-229262618/?ref=RHPPLF-BH-I229260461-C8-P1-S1.8-T1
      #cour_constitutionnelle #justice

    • Sindaco del Torinese disobbedisce al decreto Sicurezza: «Iscrivo lo stesso un migrante all’anagrafe»

      La mossa di #Nicola_De_Ruggiero, primo cittadino di #Rivalta: «Garantisco un diritto a un cittadino, mi auguro di non essere il solo»

      Rivalta, comune di 20 mila abitanti dell’area metropolitana di Torino, ha iscritto all’anagrafe comunale un richiedente asilo nonostante il divieto del decreto Sicurezza che dispone che chi non è ancora titolare di un permesso di asilo non può avere una carta di identità.

      Il primo cittadino Nicola De Ruggiero ha provveduto a firmare il documento di persona. «So di commettere una violazione del decreto e per questo mi sono preso io la responsabilità senza delegare, questa volta, le impiegate dell’anagrafe - spiega il primo cittadino - La mia è in parte una provocazione ma anche una necessità perché questo signore ha trovato un lavoro ma gli servono i documenti per iniziare». Ousseynou Fall, 40 anni, quattro figli rimasti in Senegal è in Italia da due anni, da sei mesi ospite dal centro di accoglienza straordinaria di Strada del Dojrone. «Dopo aver firmato l’atto l’ho inviato con una lettera al prefetto che prenderà i dovuti provvedimenti se lo riterrà necessario», spiega ancora il sindaco.

      «Mi auguro che questo mio gesto non sia isolato e che altri primi cittadini, in Italia, accolgano le istanze di iscrizione all’anagrafe di migranti e richiedenti asilo, in modo che si possa portare il problema all’attenzione del nuovo governo, perché l’esecutivo ponga rimedio a una situazione potenzialmente lesiva e discriminatoria», commenta Nicola De Ruggiero.

      Ousseynou inizierà a lavorare come magazziniere a Torino con la cooperativa Le Soleil. «Noi abbiamo 40 ospiti, sono convinto che sia molto meglio che queste persone partecipino alla vita della città lavorando - dice - La salute e la possibilità di lavorare sono diritti che vanno garantiti».

      «Il Viminale deve impugnare il provvedimento con il quale il sindaco di Rivalta ha iscritto un rifugiato all’anagrafe nonostante il divieto del Decreto Legge sicurezza», ha dichiarato Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d’Italia, che prosegue: «Il decreto continua a essere legge dello Stato e pertanto il ministro dell’interno ha il dovere di far rispettare quella legge. Ci aspettiamo che non vi siano indugi e tentennamenti che rischierebbero di portare l’anarchia negli uffici demografici di tutta Italia. Non vogliamo che si crei un pericoloso precedente. Prefetto e Ministro si attivino perché nessuna iscrizione avvenga».

      https://torino.repubblica.it/cronaca/2019/09/30/news/sindaco_del_torinese_disobbedisce_al_decreto_sicurezza_iscrivo_lo_stesso_un_migrante_all_anagrafe_-237315448/?ref=fbpr

    • #Pisa: l’iscrizione anagrafica torna ad essere un diritto di tutte e tutti. Accolto il ricorso contro il diniego del Comune

      Anche a Pisa il Tribunale ha riconosciuto, con una recente ordinanza, il pieno diritto dei richiedenti asilo all’iscrizione anagrafica. La Legge “Sicurezza”, che provava a negare tale diritto, subisce così un’ennesima battuta d’arresto anche nel nostro territorio, dopo che molti altri giudici in tutta Italia si erano già espressi a favore dei richiedenti asilo ricorrenti.
      L’ordinanza del Tribunale di Pisa riconosce non solo la residenza al richiedente che ha fatto ricorso, difeso dall’avvocata Silvia Davini, ma anche tutti quei diritti il cui esercizio è connesso con la residenza sul territorio, come le cure continuative, l’assistenza sociale e l’iscrizione ai centri per l’impiego.

      Già a marzo scorso, dopo una mozione portata in Consiglio comunale e bocciata dalla maggioranza, la coalizione Diritti in Comune aveva diffidato, allegando il parere legale del’Avvocato Andrea Callaioli, il Sindaco e l’amministrazione comunale dal procedere ad una lettura restrittiva della Legge Salvini, sollecitandola a iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo, anche sulla scia di una giurisprudenza univoca e chiara in materia.

      La Giunta leghista ha tenuto un comportamento in aperta violazione delle leggi e in spregio della Costituzione, negando per tutti questi mesi un diritto fondamentale a uomini e donne, colpevoli semplicemente di aver cercato rifugio da condizioni di vita insostenibili. La decisione del Tribunale di Pisa, che intima al sindaco di iscrivere all’anagrafe il richiedente asilo ricorrente, chiarisce ancora una volta e speriamo definitivamente la questione.

      Il sindaco deve ora rispettare la legge. Per questo chiediamo che invii subito una direttiva al dirigente dell’ufficio anagrafe in cui dia disposizione di accogliere tutte le richieste presenti e future di iscrizione anagrafica da parte di richiedenti asilo. In questo modo eviterà anche ulteriori ricorsi e soprattutto l’addebito di possibili spese legali per sé e l’amministrazione comunale, ossia per la collettività.

      Conclude l’avvocata Davini: «Il provvedimento del Tribunale di Pisa accoglie in pieno le argomentazioni sviluppate nel ricorso e già accolte in analoghi ricorsi da numerosi Tribunali in tutta la penisola. Il giudice ha messo in evidenza l’inconsistenza delle difese del Comune in quanto basate su una errata interpretazione delle norme giuridiche di riferimento, in altri termini, il divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo non sussiste a livello normativo e quindi le domande di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo devono essere accolte dal Comune in quanto si tratta di soggetti regolarmente soggiornanti sul territorio italiano. Mentre in alcuni Comuni si è autorizzata l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo alla luce delle ordinanza che si sono succedute dal maggio scorso sulla materia, per tutti cito il Comune di Padova, la nostra amministrazione ha continuato a negare l’iscrizione anagrafica privando così i richiedenti asilo dell’accesso a prestazioni essenziali in materia di lavoro, sanità e altri servizi essenziali. Anche sotto questo profilo il Tribunale ha riconosciuto la sussistenza di un pregiudizio ingiustificato nei confronti dei richiedenti asilo che secondo l’interpretazione del Comune sarebbero in possesso di un titolo regolare di soggiorno ma privi dei diritti connessi a tale status. Siamo pronti a continuare la battaglia in sede giudiziaria forti del precedente favorevole pur auspicando un riesame da parte del Comune dei dinieghi recenti».

      https://www.meltingpot.org/Pisa-l-iscrizione-anagrafica-torna-ad-essere-un-diritto-di.html

    • IL TRIBUNALE DI CATANIA DICE SÌ ALL’ISCRIZIONE ANAGRAFICA DEI RICHIEDENTI ASILO

      Il Tribunale di Catania ha accolto il ricorso di una richiedente asilo alla quale era stata rigettata la richiesta di iscrizione anagrafica, ordinando al Comune di Catania di procedere all’inserimento della ricorrente nei registri della popolazione residente.

      La richiedente asilo si era inizialmente rivolta allo sportello legale del Centro Astalli di Catania, associazione di volontariato da anni impegnata sul territorio per l’assistenza agli immigrati, per ricevere supporto ai fini della presentazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale presso la competente Questura.

      I volontari del Centro hanno proceduto con l’accompagnamento della richiedente presso gli uffici della Questura e, dopo la formalizzazione della richiesta, si sono attivati per reperire un alloggio idoneo alla richiedente asilo. È stata così inserita in una struttura ospitante, ove ha iniziato a dimorare dal gennaio del 2019. Durante la permanenza sul territorio, ha intrapreso un fattivo percorso di inserimento sociale, comprendente corsi di alfabetizzazione della lingua italiana e progetti di tirocinio formativo. Il percorso di integrazione ha, tuttavia, subito una battuta d’arresto a causa dell’impossibilità di richiedere l’iscrizione anagrafica presso il Comune ove aveva, da più di tre mesi, stabilito la sua dimora.

      Alla luce di tali avvenimenti e tenuto conto delle prime pronunce della giurisprudenza di merito in tema di residenza anagrafica dei richiedenti asilo dopo l’introduzione del cd. Decreto Sicurezza, gli avvocati del Centro Astalli si sono attivati per prestare assistenza alla richiedente.

      Dopo la formale presentazione della richiesta di iscrizione anagrafica nel giugno 2019, il Comune di Catania ha opposto un netto rifiuto, ritenendo che la nuova normativa precludesse ai richiedenti asilo l’iscrizione nelle liste della popolazione residente. Non condividendo tale interpretazione, gli avvocati hanno informato la richiedente della possibilità di adire le vie legali. È stato, pertanto, presentato tempestivo ricorso al Tribunale di Catania, il quale ha pienamente aderito all’interpretazione condivisa dalla giurisprudenza di merito maggioritaria, ritenendo che nessun divieto esplicito di iscrizione anagrafica del richiedente asilo sia stato introdotto dal Decreto Sicurezza, ma che sia stato esclusivamente eliminato il regime speciale di iscrizione anagrafica che era stato sancito dalla Legge n. 46/17.

      Secondo la lettura offerta dal Tribunale di Catania, quindi, l’iscrizione anagrafica del richiedente asilo resta regolata dal regime ordinario: sarà pertanto necessaria una dichiarazione da parte dell’interessato alla quale seguiranno gli accertamenti disposti dall’ufficio in ordine, in particolare, al requisito della dimora abituale. In merito a tale ultimo requisito viene ribadito che la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza.

      Tale interpretazione del Tribunale di Catania offre indubbiamente una lettura della norma coerente con il quadro normativo costituzionale e comunitario. Agli stranieri presenti sul territorio devono essere riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme del diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Vietare l’iscrizione anagrafica ad un richiedente asilo comporterebbe un’inaccettabile ed ingiustificata discriminazione dei cittadini extracomunitari i quali, pur essendo regolarmente presenti sul territorio italiano, subirebbero una grave limitazione nel godimento dei diritti fondamentali della persona.

      https://www.facebook.com/CentroAstalliCatania/posts/3126983087387066

    • #Modena: via libera all’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo

      Il sindaco di Modena #Gian_Carlo_Muzzarelli ha firmato oggi martedì 3 dicembre il provvedimento che consente l’iscrizione nei registri anagrafici di tutti i cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale che, avendone diritto, lo richiedono.

      L’ordinanza del sindaco è stata adottata in seguito al provvedimento giudiziale del Tribunale ordinario di Bologna Sezione Protezione Internazionale Civile, depositato il 28 novembre, con cui si ordina al Comune di Modena di iscrivere al registro dell’anagrafe della popolazione residente un richiedente protezione internazionale in accoglimento totale del ricorso da questi presentato.

      “Lo avevamo annunciato pochi giorni fa in occasione dell’apertura del Festival delle Migrazioni e lo abbiamo fatto – ha sottolineato il sindaco Gian Carlo Muzzarelli – Non appena ci sono state le condizioni per garantire un diritto, nel rispetto della legge e attenti ad evitare problemi agli operatori dell’Anagrafe, a Modena torniamo ad iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo che lo richiedono. Innanzitutto per una questione di dignità, ma anche per non relegare le persone in una sorta di non luogo giuridico da cui possono trarre vantaggio solo il lavoro nero e la criminalità; noi vogliamo invece che i diritti vadano di pari passo coi i doveri”.

      Otterranno quindi subito l’iscrizione anagrafica alcuni richiedenti protezione internazionale la cui richiesta era in corso di valutazione. L’ordinanza del sindaco dispone, infatti, di adottare in autotutela gli atti utili alla cessazione del contendere per evitare le conseguenze dei ricorsi (costi, eventuali risarcimenti e conseguente danno erariale). Mentre dovrà ripresentare la domanda quella cinquantina di stranieri richiedenti protezione internazionale che negli ultimi mesi, sulla base dei contenuti del decreto sicurezza del precedente governo, avevano ottenuto risposta negativa.

      La disposizione del Comune sottolinea che l’ordinanza del Tribunale, sentita l’Avvocatura civica comunale, fornisce, con motivazione ampia ed approfondita, un’interpretazione costituzionalmente orientata, valevole nei confronti dell’Ente in quanto parte in causa, delle modifiche introdotte dal Decreto 133 del 2018, convertito in Decreto Sicurezza, e coerente con l’ordinamento interno in materia di iscrizione anagrafica. Inoltre, unitamente a precedenti pronunce di diverse corti di merito (Firenze, Bologna, Ancona, Ferrara, Parma, Genova, Parto, Lecce, Cagliari, Salerno, Roma) costituisce un riferimento giurisprudenziale significativo all’amministrazione comunale e in particolare all’Ufficio Anagrafe.

      https://www.bologna2000.com/2019/12/03/modena-via-libera-alliscrizione-anagrafica-dei-richiedenti-asilo

    • Migranti, anche a Bologna prorogati i percorsi ex Sprar

      Il Comune di Bologna tra i primi a chiedere al Viminale un passo indietro sui decreti sicurezza. Una lettera del primo cittadino, poi una visita a Roma, fino all’ok della ministra Lamorgese. Nel capoluogo emiliano-romagnolo quasi 700 persone avrebbero rischiato di trovarsi per strada

      https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/migranti_anche_a_bologna_prorogati_i_percorsi_ex_sprar

      #Bologne #Bologna

  • CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/724156

    v. aussi la métaliste sur les ONG et les sauvetages en Méditerranée :
    https://seenthis.net/messages/706177

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    Un bateau de pêche espagnol « coincé » en mer Méditerranée après avoir secouru 12 migrants

    Un navire de pêche espagnol est « coincé » en mer Méditerranée depuis plusieurs jours avec 12 migrants à son bord. Aucun pays n’a en effet accepté de les accueillir depuis leur sauvetage la semaine dernière, a indiqué mardi 27 novembre le capitaine du bateau.

    « Nous sommes coincés en mer, nous ne pouvons aller nulle part », a déclaré à l’AFP Pascual Durá, capitaine du « #Nuestra_Madre_Loreto ». Depuis jeudi dernier, les 13 membres de l’équipage du navire cohabitent avec 12 migrants originaires du Niger, de Somalie, du Soudan, du Sénégal et d’Egypte. Ils ont été secourus après le naufrage de leur bateau pneumatique en provenance de Libye.

    « Renvoyés vers l’endroit qu’ils fuient »

    L’Italie et Malte leur ont refusé l’entrée dans leurs ports. Quant aux services espagnols de sauvetage maritime, avec lesquels les marins sont en contact, ils ont seulement offert la possibilité de les renvoyer en Libye. ""Si nous allons vers la Libye, nous risquons une mutinerie", a indiqué le capitaine, précisant que « dès qu’ils entendent le mot ’Libye’, ils deviennent très nerveux et hystériques, il est difficile de les rassurer »."

    « Nous ne voulons pas renvoyer ces pauvres gens en Libye. Après ce qu’ils ont accompli pour venir jusqu’ici, nous ne voulons pas les renvoyer vers l’endroit qu’ils fuient », a-t-il ajouté. Le capitaine du navire assure qu’il ne dispose plus que de six ou sept jours de provisions et qu’une tempête approche.

    Depuis le début de l’année, plus de 106.000 migrants sont arrivés en Europe par la mer, selon l’Organisation internationale pour les migrations, qui a enregistré 2.119 décès pendant cette période.

    https://www.nouvelobs.com/monde/migrants/20181128.OBS6155/un-bateau-de-peche-espagnol-coince-en-mer-mediterranee-apres-avoir-secour
    #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #Méditerranée #frontières

    • #Nuestra_Madre_de_Loreto”: appello urgente dei parlamentari europei per l’apertura di porti sicuri.

      “NUESTRA MADRE DE LORETO”. APPELLO URGENTE DEI PARLAMENTARI EUROPEI PER L’APERTURA DI PORTI SICURI.

      RICHIESTA URGENTE ALL´UE ED AI GOVERNI EUROPEI PER CONSENTIRE AL PESCHERECCIO “NUESTRA MADRE LORETO” DI SBARCARE IN UN PORTO SICURO.

      Stiamo rischiando di essere testimoni di un’altra tragedia nel Mar Mediterraneo. Un peschereccio spagnolo, “Nuestra Madre de Loreto”, è bloccato da giorni in mare dopo aver salvato 12 persone che tentavano di raggiungere la costa Europea dalla Libia a bordo di un gommone.

      Nessun Paese Europeo ha consentito all’imbarcazione spagnola di attraccare e probabilmente sono in corso negoziati per riportare questi migranti, che potrebbero avere diritto di protezione internazionale, in Libia.

      Secondo l’UNHCR e la Commissione Europea la Libia non è un Paese sicuro. Per cui non può essere considerato un porto sicuro per lo sbarco. Non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, mentre media e organizzazioni internazionali riportano violazioni sistematiche dei diritti umani nei centri di detenzione per migranti.

      Mentre si attende l’autorizzazione allo sbarco, le condizioni metereologiche stanno peggiorando e l’imbarcazione scarseggia beni essenziali, cibo e carburante. Si sta esaurendo il tempo a disposizione: abbiamo urgentemente bisogno di una soluzione sensata, nel pieno rispetto delle leggi internazionali ed Europee, inclusa la Convenzione SAR. I governi Europei non possono chiedere all’imbarcazione spagnola di violare il principio di “non-respingimento”.

      Chiediamo ai governi Europei di rispettare pienamente la legge internazionale e la Convenzione SAR e di offrire un porto sicuro alla “Nuestra Madre de Loreto”, evitando così un’altra tragedia nel Mediterraneo. Chiediamo alla Commissione Europea di prendere una posizione chiara e di facilitare una soluzione rapida.

      Questo è un appello aperto, chiediamo a ciascuno di condividerlo e di chiedere ai nostri governi di rispettare i diritti umani e di dimostrare solidarietà alle persone in pericolo in mare.

      Marina Albiol, Sergio Cofferati, Eleonora Forenza, Ska Keller, Elly Schlein, Miguel Urban Crespo, Ernest Urtasun, Gabriele Zimmer (Parlamentari Europei)

      https://mediterranearescue.org/news/nuestra-madre-de-loreto-appello-urgente-dei-parlamentari-europei

    • Faute de port d’accueil, un bateau espagnol erre toujours en Méditerranée avec 12 migrants à bord

      Le Nuestra Madre Loreto, un navire espagnol, erre depuis une semaine en Méditerranée avec 12 migrants à son bord. Les rescapés refusent d’être renvoyés en Libye. Le navire demande à l’Europe l’autorisation de débarquer dans l’un de ses ports.

      Le gouvernement espagnol a indiqué mercredi 28 novembre être en contact avec l’Italie et Malte en vue de trouver un port d’accueil pour un bateau de pêche espagnol errant en mer Méditerranée avec 12 migrants à bord.

      Depuis jeudi dernier, les 13 membres de l’équipage du « Nuestra Madre Loreto » cohabitent avec 12 migrants originaires du Niger, de Somalie, du Soudan, du Sénégal et d’Egypte rescapés d’un bateau pneumatique en provenance de Libye.

      « Nous sommes coincés en mer, nous ne pouvons aller nulle part », a déclaré Pascual Durá, le capitaine du bateau.

      Le gouvernement espagnol a dans un premier temps demandé à la Libye de prendre les réfugiés en charge, comme le prévoit le droit international. Les embarcations de migrants secourues dans la SAR zone (zone de détresse en Méditerranée où ont lieu les opérations de recherche et de sauvetage) relèvent en effet de l’autorité de Tripoli depuis le mois de juin 2018.

      Les migrants refusent d’être ramenés en Libye. Face à leur refus, le navire espagnol « fait des démarches auprès des gouvernements de l’Italie et de Malte, dont les côtes sont proches du lieu où se trouve le bateau, dans le but de favoriser une solution alternative, rapide et satisfaisante » pour les accueillir, a indiqué la vice-présidente de l’exécutif Carmen Calvo dans un communiqué.

      « En aucune circonstance, [les migrants] ne devraient être renvoyées en Libye, où elles risquent d’être victimes de détention arbitraire, de torture et d’autres violences. Toute instruction donnée au capitaine du Nuestra Madre de Loreto de transférer les survivants en Libye serait contraire au droit international », s’est alarmé de son côté Matteo de Bellis, chercheur sur l’asile et les migrations à Amnesty International.

      « Si nous allons en Libye, nous risquons une mutinerie »

      Face à l’aggravation des conditions météorologiques, le bateau a pris mardi la direction de l’île italienne de Lampedusa, selon le gouvernement espagnol.

      Le capitaine du « Nuestra Madre Loreto », avait indiqué de son côté mardi que l’Italie, dont le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini (Ligue, extrême droite) s’oppose à l’arrivée de nouveaux migrants dans son pays, et Malte lui avaient refusé l’entrée dans leurs ports.

      Il avait également souligné que les services espagnols de sauvetage maritime lui avaient seulement offert la possibilité de les renvoyer en Libye.

      Selon le capitaine, les migrants à bord de son bateau « deviennent très nerveux et hystériques dès qu’ils entendent le mot ‘Libye’ ». « Si nous allons vers la Libye, nous risquons une mutinerie », avait-il averti.

      Depuis l’arrivée du socialiste Pedro Sanchez au pouvoir, l’Espagne a accueilli un navire humanitaire, l’Aquarius, refusé par l’Italie et Malte et à trois reprises un bateau de l’ONG Open Arms. Mais elle a refusé un retour de l’Aquarius, préférant négocier avec d’autres États européens la répartition des migrants qu’il avait à bord.


      http://www.infomigrants.net/fr/post/13639/faute-de-port-d-accueil-un-bateau-espagnol-erre-toujours-en-mediterran

    • #Sophia mission will cease unless rules changed - Salvini

      The EU’s anti-human trafficking Sophia naval mission in the Mediterranean will stop when its current mandate expires at the end of the year unless the rules of the operation are changed, Deputy Premier and Interior Minister Matteo Salvini said on Wednesday. The government says the operation currently puts too much of the burden of rescued migrants on Italy.

      “We are staying firm in our unwillingness to accept landing procedures that involve dockings only in Italian ports,” Salvini told a Schengen committee hearing.

      “Unless there is convergence on our positions, we do not consider it opportune to continue the mission”.

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2018/12/05/sophia-mission-will-cease-unless-rules-changed-salvini_05836d11-3f8c-474c-
      #Opération_Sophia #EUNAVFOR_MED

      #Salvini (encore lui)

    • MSF et SOS Méditerranée mettent un terme aux opérations de sauvetage de l’« Aquarius »

      Déplorant les « attaques » répétées, les ONG étudient des options pour un nouveau navire et un futur pavillon. Depuis février 2016, le bateau a secouru 30 000 personnes.

      L’Aquarius est devenu le symbole de la crise politique autour de l’accueil des migrants. Il ne sera bientôt plus. Médecins sans frontières (MSF) et SOS Méditerranée ont annoncé, jeudi 6 décembre, devoir « mettre un terme » aux opérations de sauvetage de leur navire humanitaire, privé de pavillon depuis deux mois.

      « Renoncer à l’Aquarius a été une décision extrêmement difficile à prendre », a déclaré dans un communiqué Frédéric Penard, directeur des opérations de SOS Méditerranée, en déplorant « les attaques incessantes dont le navire et ses équipes ont fait l’objet ». Mais l’ONG basée à Marseille « explore déjà activement les options pour un nouveau navire et un nouveau pavillon », et « étudie sérieusement toutes les propositions d’armateurs qui lui permettraient de poursuivre sa mission de sauvetage ». « Nous refusons de rester les bras croisés sur le rivage alors que des gens continuent de mourir en mer », a assuré M. Penard.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2018/12/07/msf-et-sos-mediterranee-mettent-un-terme-aux-operations-de-sauvetage-de-l-aq

    • MSF forced to terminate search and rescue operations as Europe condemns people to drown

      As men, women and children continue to die in the Mediterranean Sea, international medical humanitarian organisation Médecins Sans Frontières/Doctors Without Borders (MSF) and its partner SOS Méditerranée have been forced to terminate the lifesaving operations of their search and rescue vessel, Aquarius.

      Over the last two months as people have continued to flee by sea on the world’s deadliest migration route, the Aquarius has remained in port, unable to carry out its vital humanitarian work.

      This is due to a sustained smear campaign, spearheaded by the Italian government and backed by other European countries to delegitimise, slander and obstruct aid organisations trying to save the lives of vulnerable people in the Mediterranean.

      Coupled with ill-conceived policies aimed at trapping people outside Europe’s borders, this campaign has undermined international law and humanitarian principles.

      With no immediate solution to these attacks, MSF and SOS Méditerranée have no option but to end the operations of the Aquarius.

      https://www.msf.org.uk/article/msf-forced-terminate-search-and-rescue-operations-europe-condemns-people-dro

    • « Aquarius » : « La #non-assistance_à_personnes_en_danger est revenue en force en Méditerranée »

      Mego Terzian, président de MSF-France et Michaël Neuman, directeur d’études à MSF expliquent dans une tribune au « Monde » pourquoi leur ONG et SOS Méditerranée, l’Association européenne de sauvetage en mer, mettent un terme aux opérations de sauvetage de l’« Aquarius ».

      « Dont acte, la politique de harcèlement judiciaire, administratif, politique aura eu raison de l’“Aquarius”, déployé entre 2015 et le milieu de l’année 2018 en mer Méditerranée. » usage worldwide/DPA / Photononstop

      Tribune. Dont acte, la politique de harcèlement judiciaire, administratif, politique aura eu raison de l’« Aquarius », déployé entre 2015 et le milieu de l’année 2018 en mer Méditerranée.
      En 2014, l’opération « Mare Nostrum », mise en place par les autorités italiennes inaugurait pourtant une séquence pendant laquelle le sauvetage d’embarcations de migrants en détresse fut pourtant considéré comme légitime.

      Ce qui est d’abord, rappelons-le, une obligation légale était alors politiquement et publiquement acceptable. En 2018, les Italiens furent de nouveau à la manœuvre, signifiant cette fois-ci qu’ils ne sauraient accepter davantage que se poursuivent ces interventions : dès le début de l’été, Matteo Salvini, tout récent ministre de l’intérieur, œuvra pour fermer ses ports aux bateaux de secours, accélérant une politique de dissuasion largement entamée par Marco Minniti, son prédécesseur, qui aboutit, in fine, à la liquidation des moyens destinés à secourir les personnes fuyant la Libye.

      Bien sûr, des organisations de la société civile tentent vaille que vaille et, avec une
      remarquable ténacité, de maintenir leurs activités de secours en mer : Sea Watch, Mare Jonio, Proactiva Open Arms sont de celles-là. Les pilotes volontaires du Moonbird et du Colibri poursuivent leurs survols, tentant de déceler entre les vagues des embarcations à la dérive et d’éviter ainsi que la longue liste des décès – plus de 17 000 depuis 2014 – ne s’allonge davantage.

      Pressions italiennes

      Mais toutes le font avec d’extrêmes difficultés : ennuis administratifs récurrents, obstacles posés aux escales techniques, interdiction d’accoster en Europe, et poursuites judiciaires, comme c’est le cas de l’« Aquarius », navire de secours affrété en partenariat avec SOS Méditerranée. Celui-ci, déjà privé de pavillon sous pressions italiennes, est maintenant menacé d’une mise sous séquestre à la suite des accusations grotesques de crime organisé, de nouveau, en Italie.

      Une partie de l’équipage et des membres des équipes de MSF sont mis en cause : leur activité de secours est criminalisée. Force est de constater que ce dispositif de secours en mer, auquel nous avons participé depuis 2015 avec cinq navires différents, quelquefois en partenariat avec d’autres organisations, est mis hors-la-loi.

      Les victimes de ce combat à armes inégales sont évidemment ces personnes migrantes, demandeuses d’asiles ou réfugiées, dont plus grand monde ne semble désormais se soucier. D’ailleurs combien sont-elles, ces victimes ? Aujourd’hui, sans témoin en mer, personne ne le sait, tandis que le piège libyen se referme, un piège dont la maintenance est assurément l’œuvre d’autorités libyennes disparates mais dont la mécanique est bien due à l’ingéniosité européenne.

      Des milliers de personnes sont condamnées à tenter de survivre dans l’entrelacs de centres de détention dits « officiels » et de prisons clandestines en Libye. On ne saurait suffisamment conseiller à nos décideurs d’aller visiter ces geôles pour se faire une idée de l’avenir qu’ils promettent à leurs frères humains. Beaucoup d’autres personnes, enfin, prises dans les mailles serrées d’un dispositif militaro-technique de pointe, meurent plus en amont sur les routes dans la vaste région sahélienne.

      Absence de l’Europe

      S’il est beaucoup question d’Italie, il ne faudrait pas négliger l’unanimisme européen dans lequel cette dynamique mortifère s’est mise en place : ni la France, ni l’Espagne, ni aucun Etat ou institution européenne ne s’est réellement opposé à la mise en coupe réglée de la politique européenne de gestion des frontières par des dirigeants aux pratiques racistes et violentes. Rien de surprenant puisque la manœuvre était en cours depuis quelque temps déjà.

      Ainsi, on ne trouva personne ou presque, pour se résoudre à accueillir quelques centaines de personnes qui, par une chance inouïe, bénéficiaient ça et là du programme de relocalisation du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR). Depuis longtemps, le refoulement des indésirables aux frontières, notamment franco-italienne, était acté, tout comme l’abandon de 15 000 personnes sur les îles grecques dans des conditions épouvantables, laissés-pour-compte d’une mise en scène sordide de la frontière.

      L’errance durant plus d’une semaine du Nuestra Madre de Loreto, en est le dernier avatar : ayant secouru douze personnes, ce chalutier espagnol s’est vu refuser l’autorisation de débarquer dans les ports européens, y compris de l’Espagne, jusque-là bonne élève dans l’accueil des rescapés de la mer mais qui là prôna leur retour dans l’univers carcéral libyen. Ce n’est qu’après la décision du capitaine de faire, malgré tout, route vers l’Espagne, que le navire obtint le transfert des rescapés vers Malte.

      Non-assistance généralisée

      Aujourd’hui s’ouvre une séquence bien plus lourde de menaces. Aux côtés de la délégation du secours en mer aux gardes-côtes libyens, la généralisation de la non-assistance à personnes en danger est revenue en force en Méditerranée. On se souvient, en effet, qu’en 2011, en pleine intervention militaire occidentale en Libye, des dizaines de migrants étaient morts noyés, au terme d’une dérive de plusieurs jours, malgré les survols et observations d’un nombre important d’avions et de bateaux de l’OTAN.

      Ces pratiques de non-assistance ressurgissent : par crainte de ne pas savoir où débarquer leurs rescapés, les navires commerciaux se détournent de leurs routes habituelles, ou s’écartent lorsqu’ils aperçoivent l’embarcation redoutée. Telle est, en tout cas, la teneur des témoignages que nos équipes travaillant en Libye ont recueillis auprès des rescapés du Nivin, un porte-véhicules dont l’histoire raconte l’ensemble des lâchetés des responsables politiques européens et des agences internationales.

      Tous ceux-là avaient, pourtant, affirmé, à un moment ou à un autre, que les migrants interceptés ne sauraient être ramenés en Libye contre leur gré. Ce fut pourtant exactement ce qu’il s’est passé avec le Nivin, duquel les quatre-vingt-quinze rescapés qu’il transportait refusèrent de débarquer au port de Misrata, à l’est de Tripoli. L’occupation du navire se poursuivit une dizaine jours pendant lesquels nos équipes apportèrent de l’aide médicale à bord et constatèrent qu’aucune solution alternative à la remise en détention ne fut sérieusement examinée.

      Elle prit fin lorsque les forces libyennes lancèrent un assaut, au cours duquel une dizaine de personnes furent blessées, dont certaines grièvement. Certains sont aujourd’hui poursuivis par la justice libyenne pour crimes de piraterie. Telle est donc l’alternative pour les migrants de Libye : la folie, la torture, ou la mort. Et pour les marins, fuir leurs obligations ou subir les persécutions européennes.

      Alors que, de part et d’autre de la Méditerranée, les Etats s’arrogent le droit de vie et de mort sur des gens n’ayant pour motivation que celle de rendre leur vie meilleure, nous ne renonçons pas pour autant à porter secours là où nous le pouvons encore, à soutenir les initiatives de secours en mer et participer à en renouveler le modèle. Spectateurs et acteurs lucides, nous ne renonçons pas à contester ces logiques de sacrifice.

      Mego Terzian (Médecin, président de Médecins sans frontières (MSF)) et Michaël Neuman(Directeur d’études à MSF)

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2018/12/07/aquarius-la-non-assistance-a-personnes-en-danger-est-revenue-en-force-en-med

    • Le accuse a Open Arms, ovvero il mondo capovolto.

      Proactiva Open Arms è compagna di viaggio di Mediterranea fin dall’inizio. Insieme noi e a Sea Watch è parte dell’alleanza United4Med: una piattaforma aperta per un’Europa solidale in mare e in terra.
      Ma le ipotesi di reato contenute nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari depositate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa non ci lasciano sgomenti solo perché colpiscono ancora una volta delle persone di cui conosciamo direttamente l’integrità, e perché rilanciano la criminalizzazione del salvataggio della vita umana in mare e del rispetto della dignità delle persone salvate.

      L’accusa di violenza privata, unita a quella del favoreggiamento dell’immigrazione illegale, rappresenta un pericolosissimo uso del diritto che estende all’inverosimile il concetto di violenza, e, rispetto al soggetto offeso che in questo caso sarebbe il Ministero dell’Interno come Istituzione, rappresenta un precedente particolarmente inquietante che potrebbe estendersi praticamente ad ogni azione giuridicamente rilevante. Rimandando per i dettagli all’articolata e preziosa analisi elaborata in merito dal Giudice del Tribunale di Torino Andrea Natale, quello che emerge sempre più chiaramente è che davvero il mondo per come lo conoscevamo appare capovolto.
      Il comandante della nave Proactiva Open Arms, Marc Reig Creus, e la capo missione Ana Isabel Montes avrebbero esercitato violenza privata, disattendendo gli ordini dell’Italia e poi delle autorità libiche di non intervenire, per avere salvato centinaia di persone che stavano rischiando di annegare in mare. Successivamente, quando la cosiddetta guardia libica si è presentata sul posto, la violenza privata sarebbe consistita nel rifiuto di riconsegnare le persone salvate ai libici, ovvero nel fatto di non restituire 216 donne, bambini e giovani uomini alle sevizie e alle torture già subite nei campi della Libia.
      Anabel e Marc avrebbero poi esercitato violenza privata per non aver chiesto a Malta di fornire un porto sicuro, cosa che Malta negli anni precedenti aveva rifiutato sistematicamente di fare, ed essersi diretti verso l’Italia. Il culmine della violenza privata sarebbe stato quindi quello di avere obbligato l’Italia a fornire un porto sicuro di approdo, e quindi di avere costretto il nostro governo a non avere anche questi profughi sulla propria coscienza.
      Cosa ci sia di violento e di privato in tutti questi accadimenti, e come possa un Ministero dell’Interno in quanto Istituzione essere soggetto a violenza privata è qualcosa che davvero appare ad oggi circondata da un alone di mistero, a meno che non si guardi a queste accuse come a ipotesi di reato fortemente ideologiche e orientate da una precisa visione politica.
      Appare già distintamente, a prescindere da quello che accadrà in sede processuale, che il diritto rischia sempre di più di diventare uno strumento di potere che colpisce in maniera arbitraria, paradossalmente, il rispetto del diritto stesso, proprio mentre la violazione dei diritti diventa normale maniera di procedere dei decisori politici europei e italiani innanzitutto. E questa riflessione andrebbe estesa ad ogni ambito e non solo alle politiche migratorie che colpendo le persone rese più vulnerabili sono, come sempre, un campanello d’allarme che ci dice fino a che punto le garanzie di libertà e i diritti di ogni persona siano sempre più messi in discussione.
      Rispettare i diritti umani è un reato, violarli è un merito: c’è ancora qualcuno che crede che questo capovolgimento del mondo vada arrestato prima che travolga tutti? La storia di Mediterranea, la sua comunità di mare e quella sempre più grande di terra ci racconta di sì. E si stringe intorno a Open Arms, Marc e Anabel, ringraziandoli profondamente per ogni singola vita sottratta alla morte e portata in salvo, per tutto il coraggio, per avere difeso da anni la nostra possibilità di essere umani e di immaginare una società più giusta.

      https://mediterranearescue.org/news/accuse-open-arms

    • L’Italie ferme ses ports à un navire d’une ONG et 300 migrants à bord

      Les ports italiens seront fermés aux quelque 310 migrants sauvés en Méditerranée par l’ONG espagnole, Proactiva Open Arms, a déclaré samedi le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, après un premier refus des autorités de Malte.

      « Ma réponse est claire : les ports italiens sont fermés ! », a twitté le ministre d’extrême droite. « Pour les trafiquants d’êtres humains et pour ceux qui les aident, la fête est terminée ».

      M. Salvini a précisé que la demande de l’ONG de permettre l’accès au territoire italien des hommes, femmes, enfants et bébés sauvés vendredi, avait été déposée après une réponse négative de Malte.

      L’ONG a précisé que parmi les migrants, une femme et son bébé, né sur une plage libyenne, ont été emmenés à Malte par un hélicoptère des gardes-côtes.

      « Nous restons avec 311 personnes à bord, sans port où accoster, et avec des besoins », a twitté l’ONG de son côté.

      Proactiva Open Arms a annoncé vendredi avoir secouru près de 300 migrants au large de la Libye, dont des femmes enceintes, qui se trouvaient à bord de trois embarcations.

      L’ONG a posté en ligne une vidéo de certains des migrants secourus « d’une mort certaine en mer ». « Si vous pouviez aussi ressentir le froid, il serait plus facile de comprendre l’urgence. Aucun port pour débarquer, et refus de Malte de nous donner de la nourriture. Ceci n’est pas Noël ».

      Le navire avait repris fin novembre, avec deux autres bateaux d’ONG, ses missions de sauvetage en Méditerranée centrale, au large de la Libye.

      Cet itinéraire de l’immigration clandestine est le plus mortel, avec plus de 1.300 migrants morts en tentant de gagner l’Italie ou Malte depuis le début de l’année, selon l’Organisation internationale pour les Migrations (OIM).

      Les navires humanitaires opèrent dans cette zone malgré l’opposition farouche de M. Salvini, qui leur ferme les ports en les accusant de favoriser les affaires des passeurs, et les réticences de Malte.

      Une autre ONG, l’allemande Sea-Eye, a annoncé vendredi soir le départ, depuis Algésiras dans le sud de l’Espagne, d’un nouveau bateau vers le large des côtes libyennes, le « Professor Albrecht-Penck ».

      Une partie des 18 membres de son équipage sont d’anciens volontaires de l’Aquarius, ce bateau qui avait déclenché l’été dernier une crise diplomatique entre les États européens et mis définitivement à l’arrêt début décembre.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/litalie-ferme-ses-ports-un-navire-dune-ong-et-300-migrants-bo

    • Sea Watch 3 e Sea Eye: le due navi che nessuno vuole far attraccare

      Le navi delle due Ong vagano da giorni nel Mediterraneo con decine di migranti a bordo, senza un porto sicuro dove approdare e in condizioni sempre più complicate. I sogni delle persone salvate

      32 esseri umani, tra cui 3 minori non accompagnati, 2 bambini piccoli e un neonato, sono da 10 giorni in mare. Sono stati salvati dalla Ong tedesca Sea Watch. A questi si sono aggiunti altre 17 persone salvati da un’altra Ong tedesca, Sea Eye.
      Nessuno li vuole, nessun Paese europeo vuol farsi carico del destino di queste persone. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha chiesto agli Stati Ue di garantire lo sbarco delle due navi.

      «Non vogliamo che le persone che ci hanno salvato la vita, i nostri fratelli, passino dei guai per averci soccorso in mare», dice Youssef. «Siamo sfuggiti a torture e violenze. Quando abbiamo lasciato la nostra casa abbiamo perso i nostri affetti più cari, e proprio per questi motivi la nostra vita in futuro non potrà che essere migliore», aggiunge Lamin.

      Nonostante tutto, in queste parole c’è speranza. Se i loro nomi sono di fantasia, per proteggerne le identità, i loro sogni, ma anche le loro paure e le loro attese sono autentiche: così come lo sono le loro vite sottratte alla morte dal coraggio dei volontari della nave Sea Watch 3. Da dieci giorni è con queste 32 persone salvate dai marosi che l’equipaggio del comandante Anne Paul Lancet condivide umanità, cibo e riparo: «Durante la notte stiamo stretti sotto coperta, in questo modo tutti quanti possiamo stare all’asciutto ed evitare che qualcuno debba dormire sul ponte esposto alle intemperie», racconta Ayla, uno dei medici a bordo della nave della Ong tedesca.
      «Stamattina ho quasi pianto - aggiunge l’altro medico a bordo - perché tante persone mi pregavano solo di poter contattare le loro famiglie almeno per dire loro che erano al sicuro e stavano arrivando in Europa: volevano solo sentire le voci dei loro cari per qualche secondo. E noi non possiamo far nulla: e se io mi trovassi al loro posto, e se io avessi quegli stessi bisogni e desideri?», si chiede ancora il medico tedesco, guardando fuori l’orizzonte.
      L’inverno e il mare alto non perdonano, le temperature sono rigide e i rischi per l’incolumità delle 54 persone che si trovano sulla nave Sea Watch non dovrebbero venire sottovalutati. Al tavolo della politica europea, però, lontano dalle onde alte due metri, non si è ancora presa alcuna decisione sulla sicurezza di queste persone, tenute in “ostaggio” senza l’indicazione di un porto sicuro di approdo.
      Malta, Italia, Spagna, Germania e Olanda hanno rifiutato nei giorni scorsi di aiutarli e a bordo della Sea Watch 3 così come della Sea Eye si sta vivendo un’altra odissea umanitaria: molto simile nelle modalità alle crisi che avevano tenuto in scacco in estate le navi Aquarius, Open Arms e Lifeline delle ong internazionali, e i pescherecci Sarost5 e Nuestra Madre de Loreto che dovettero attendere giorni e giorni prima di potersi mettere al riparo in porto. E perfino della Diciotti, la nave della Guardia Costiera Italiana, costretta a navigare da Lampedusa a Catania e infine rimasta bloccata nel porto etneo in attesa che dal Viminale arrivasse l’ok allo sbarco dei migranti, in gran parte profughi di guerra dal Corno d’Africa.

      La situazione a bordo della Sea Watch inizia a farsi proibitiva, anche a causa del peggioramento delle condizioni meteo: «Non abbiamo problemi con il carburante - rassicura il capitano - ma lentamente stiamo esaurendo le provviste di cibo fresco e di sicuro nelle prossime settimane, pur cercando a bordo di sprecare meno acqua possibile, avremo problemi ad avere acqua a disposizione a causa del nostro sistema di filtraggio».
      «Ma perché non ci permettono di entrare in Europa?», chiede Amina che ha 31 anni e viene dal Sudan: lei è la portavoce dei sogni di tanti dei suoi compagni di sventura, ma riesce anche a dare voce all’interrogativo di tantissimi soccorritori che in mare hanno speso le loro vite per salvarne altre. «Oramai è diventato sempre più difficile spiegare alle persone che abbiamo tratto in salvo e con cui stiamo condividendo tantissime emozioni contrastanti e ore infinite di attesa, che dobbiamo restare in mare un giorno in più, perché dall’Europa non riceviamo indicazioni per un porto sicuro», spiega ancora Ayla, la dottoressa olandese, convinta che «i Paesi europei abbiano scelto finora di non assumersi la responsabilità delle vite delle persone in gioco sul confine mortale dell’Europa».
      Come abbiamo raccontato su Avvenire, Amina e le altre 31 persone sono state salvate dalla Sea Watch 3 lo scorso 22 dicembre grazie alla collaborazione con la ong Pilotes Volontaires che sorvola i cieli con l’obiettivo di avvistare gommoni e imbarcazioni in emergenza. Da allora e in attesa di ricevere indicazioni per approdare sulla terraferma l’equipaggio del capitano Lancet non si è arreso e - sostenuto anche dalle persone salvate «Sono qui per aiutare», ha detto subito Youssef mettendosi a disposizione del comandante - ha continuato a pattugliare la zona di search and rescue (Sar) libica, rispondendo alle chiamate di soccorso. Così era accaduto per le 75 persone che erano a bordo di un gommone pochi giorni fa, ma di cui non si sono più avuto notizie, probabilmente perché ingoiati dal mare o ripresi da una motovedetta libica che li ha riportati nei campi di detenzione.

      «Ho davvero paura di tornare in Libia, ho provato a scappare due volte senza riuscirci - ha raccontato ancora Amina lasciando uscire le parole con lentezza -. Quello che ho passato è stato terribile», così tanto da non riuscire quasi più a parlarne, come accade spesso con i traumi più violenti. «Avevamo molta paura quando eravamo sul gommone. Non abbiamo usato il telefono satellitare per il terrore di essere localizzati e ripresi dai libici - ha aggiunto Youssef -. Grazie a Dio siamo stati molto fortunati e i nostri fratelli ci hanno salvati. E ora possiamo prepararci a scoprire quello che sarà il nostro futuro in Europa».

      I bambini provano a raccontare i loro giorni più tristi e le paure attraverso i disegni. Uno di loro ha riportato su carta tre momenti: la vista del barcone su cui sarebbero saltati per lasciarsi alla spalle l’inferno libico, poi il gommone che si sgonfia, mentre i 32 temevano di perdere la vita, e infine la visione della Sea Watch 3, l’unico soggetto disegnato completamente a colori. Un passaggio, dal bianco e nero del gommone alla vivacità della nave di salvataggio, che da solo spiega i timori e le speranze di chi adesso, finalmente al sicuro, non si spiega il perché delle porte chiuse.
      Un sogno e un desiderio, quello dell’Europa, che emerge ancora dalle parole straziate dal dolore di Amina: «Noi donne dobbiamo essere forti – si lascia andare la donna, mentre i medici di bordo le prestano le cure –. Soprattutto possiamo essere libere in Europa. Lì possiamo vivere la nostra vita, ecco perché voglio raggiungerla». Quell’Europa che però sembra aver voltato loro le spalle.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-migranti-bloccati-in-mare

    • E LA NAVE VA… È piena di naufraghi nessun porto la vuole

      Da dieci giorni in mare decine di profughi e nessuno li vuole

      C’è un bambino appena nato che ha trascorso la notte di Capodanno in mezzo al mare. Al largo di Malta. Le autorità europee hanno deciso che è bene così. Che se l’è meritata. Insieme a quel bambino ci sono due ragazzini un po’ più grandi, tre quattr’anni, altri tre adolescenti senza genitori, e poi ancora 26 adulti, tutti africani, tutti in fuga dalla guerra, scappati dai campi di prigionia in Libia. Stavano su un gommone il 22 dicembre, volevano arrivare in Sicilia, ma il gommone ha iniziato a sgonfiarsi, le onde erano alte, il vento gelido, e loro pensavano di essere a pochi minuti dalla morte. Poi li ha avvistati un piccolo aereo da ricognizione di una Ong tedesca, Dio lo benedica, ed ha lanciato la esseoesse ad una imbarcazione sempre della stessa Ong tedesca, la Sea Watch. L’aereo ha fornito al comandante della Sea Watch le coordinate del gommone, e la Sea Watch ha raggiunto i naufraghi in tempo. Li hanno fatti salire a bordo, li hanno asciugati, riscaldati, hanno dato loro da mangiare. Il bimbo neonato ha smesso di piangere. I 31 naufraghi hanno ringraziato il personale tedesco e olandese a bordo, erano commossi, non si aspettavano più di poter sopravvivere.

      Hanno raccontato a Ilaria Solaini, che è una giornalista inviata dell’Avvenire, i loro sentimenti, il terrore di morire o di finire nel lager libici. Hanno detto che avrebbero voluto poter parlare un minuto solo, al telefono, con i loro cari lasciati a casa. Ma non hanno potuto. Hanno chiesto di poter sbarcare in un porto europeo. Malta, Spagna e poi Italia hanno risposto con un no secco. Hanno detto che loro devono difendere i confini. Anche Germania e Olanda – che non dispongono di porti ( né di confini) nel Mediterraneo – hanno detto di no. Le onde da qualche ora si sono fatte più alte. Il meteo dice che da stanotte si va sottozero. Di acqua non ce n’è tantissima. Di cibo poco. I medici a bordo della nave temono che possano apparire delle malattie. I marinai temono che il mare possa alzarsi molto. Gli ausiliari temono il freddo. Fin qui sono riusciti a far dormire tutti, di notte, sottocoperta. Anche sottocoperta però, se si va sottozero, diventa dura. Intanto un’altra imbarcazione di una Ong tedesca, la See Eye, ha raccolto altri 17 naufraghi. Anche loro sono stati rifiutati da tutti i porti europei. Qui non c’è posto, hanno detto. Tornate in Libia. Buona Fortuna.

      L’altro giorno la Sea Watch ha ricevuto una richiesta di soccorso di un altro gommone ancora. Lo ha avvistato sempre l’aereo di ricognizione. Dall’aereo hanno detto che a bordo c’erano circa 75 persone. E hanno fornito alla Sea Watch, di nuovo, le coordinate. La Sea Watch però non ha trovato il gommone. Neanche l’aereo lo ha più visto. Spariti. Nella migliore delle ipotesi sono stati catturati dai libici, e portati in un lager sulla costa. Nella peggiore se li è mangiati il mare.

      E’ vero, i confini ora sono ben difesi. E i caduti tra le fila dei nemici aumentano a vista d’occhio. La vittoria è vicina. Vabbè, diciamo che comunque 32, più 17, più una ventina di persone di equipaggio, tra marinai, medici e ausiliari, in tutto fa un po’ meno di settanta persone. Cosa volete che sia se 70 persone passano il Capodanno in mare per decisione delle autorità europee. Con tutto quello che succede nel mondo volete scandalizzarvi per così poco?

      Facevo un po’ di conti. Se non calcoliamo i soccorritori, che comunque poi se ne torneranno a casa loro, si tratta di 48 persone più un neonato di un paio di chili. L’Europa comunitaria, secondo le statistiche ufficiali, ha 503 milioni, 679 mila e 730 abitanti. Voi dite che se ospita anche questi 48, più un neonato, scoppia? O dite che i suoi 15 mila 326 miliardi di Pil annuo potrebbero andare dispersi nel soccorrere questi 49 disperati?

      Eppure è così. Talvolta la politica è esattamente così. Succede che sia la ragion di Stato a prevalere sul senso di umanità. Succede spesso. Stavolta la ragion di stato non c’entra niente. C’entrano solo i calcoli politici dei leader europei. Quanto potranno costare 49 naufraghi? Qualche migliaia di euro, che sono niente per gli Stati. E diverse migliaia, o centinaia di migliaia di voti: che sono molto, molto per i partiti.

      P. S. Inizia così la dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, redatta dall’Onu 70 anni fa: «Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità…» . Poi c’è l’articolo 13 che dice così: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese».

      E infine l’articolo 14, che si potrebbe anche imparare a memoria, perché è molto breve: «Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni». Chissà se i governanti di Germania, Olanda, Spagna, Malta e Italia hanno mai letto questi articoli. Si potrebbe proporre agli Stati europei di chiedere a chiunque entri in un governo della Ue di superare un esamino nel quale dimostra di conoscere la dichiarazione dei diritti dell’Uomo…

      http://ildubbio.news/ildubbio/2019/01/02/e-la-nave-va-e-piena-di-naufraghi-nessun-porto-la-vuole

    • Le Sea Watch 3, avec à bord 32 migrants depuis le 22 décembre, a été autorisé par les autorités maltaises à pénétrer dans ses eaux territoriales, pour s’abriter de la très menaçante météo. Mais ni accostage, ni soins ni accueil

      Un bateau de l’alliance #United4Med (Sea Watch et Mediterranea) a rejoint aujourd’hui (4/1/19) SeaWatch3. A bord le témoignage d’Alessandra Sciurba (Mediterranea) :
      https://www.instagram.com/p/BsNom3NCA1X

    • Un nouveau bateau de sauvetage affrété par la société civile basque et andalouse

      Le 14 ou le 15 janvier, partira de Pasaia, port basque, l’ex-chalutier l’#Aita_Mari, pour secourir en Méditerranée les personnes fuyant la Libye.
      Il fera escale le 16 janvier à Bilbao, passera par Barcelone puis par Majorque - avant de rejoindre les eaux au large de la Libye.
      Ce bateau a été acheté, dans cet objectif, par le gouvernement basque et remis en état par la société civile.
      Le projet est soutenu par deux associations, une basque et une andalouse.
      Les rescapés à bord, le bateau tentera d’accoster à Malte ou en Italie, mais aura toujours la possibilité, en cas de refus, de faire route vers un port espagnol, puisqu’il navigue sous pavillon espagnol.
      A son bord, sept bénévoles, 5 secouristes, 2 médecins.
      Il y aussi un mécanicien et un cuisinier.
      Et les deux capitaines, celui du bateau, et celui des secours.
      Une cabine est prévue pour un.e journaliste.
      L’équipe communiquera régulièrement et aura besoin de relai.

      Reçu via la mailing-list Migreurop

    • EU nations deadlocked on rescued migrants

      Nearly 50 migrants rescued in the Mediterranean by two ships run by rights groups are still looking for countries to take them in, one of the groups told AFP Saturday.

      “The situation is still the same,” a spokeswoman for one of the groups, Sea Watch, said.

      Their vessel, Sea Watch 3, was sheltering from stormy weather off the coast of Malta, which like Italy, has refused to allow the boat into port.

      It has had 32 migrants on board, three of them children, since rescuing them on December 22.

      A one-year-old baby and two children, aged six and seven, “are vomiting continuously and are at risk of hypothermia and dehydration,” Alessandro Metz of rights group Mediterranean wrote on Twitter Friday.

      The German NGO Sea-Eye also has a ship stranded in the Mediterranean with 17 migrants on board.


      https://www.thenational.ae/world/europe/eu-nations-deadlocked-on-rescued-migrants-1.809725

    • Ecco la diffida al governo per accogliere i 49 migranti bloccati in mare

      Azione di cittadinanza attiva in almeno 90 Province italiane: «Abbiamo consegnato in Prefettura un documento che obbliga le autorità ad adempiere alle leggi di soccorso di mare», spiega Antonio Nigro del movimento Move to resist, che ha mutuato il testo diffuso da Possibile

      http://www.vita.it/it/article/2019/01/07/ecco-la-diffida-al-governo-per-accogliere-i-49-migranti-bloccati-in-ma/150262

    • “La Chiesa accoglierà i migranti della Sea Watch”

      L’annuncio di Nosiglia durante la festa dei Popoli: un gesto simbolico ma concreto.
      «Voglio dichiarare la disponibilità della Chiesa torinese ad accogliere alcune delle famiglie che si trovano a bordo delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye». Lo ha annunciato l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, oggi alla chiesa del Santo Volto, durante l’omelia nella Festa dei Popoli. «La nostra Chiesa, come si ricorderà - ha aggiunto Nosiglia - aveva già offerto questa disponibilità per i profughi della nave Diciotti, nel settembre scorso».


      https://www.lastampa.it/2019/01/06/cronaca/la-chiesa-accoglier-i-migranti-della-sea-watch-8uxIAoytx33U6r7hjA65UN/pagina.html

    • #Diaconia_Valdese e #FCEI pronti all’accompagnamento dei profughi della Sea-Watch
      Chiese evangeliche. “Il nostro sostegno alle ONG perché il soccorso in mare e l’accoglienza a terra sono un dovere umanitario. Per noi è anche la testimonianza dell’amore di Cristo”. FCEI e Diaconia valdese pronti all’accompagnamento e all’accoglienza dei 49 profughi della Sea-Watch e della Sea eye.

      “Confermiamo il nostro sostegno alle ONG che svolgono azioni di soccorso in mare e ci rendiamo disponibili a sostenere il trasferimento e l’accoglienza dei migranti salvati dalla Sea-Watch e dalla Sea eye”. Lo affermano congiuntamente il Presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, past. Luca M. Negro, e il Presidente della Diaconia Valdese, Giovanni Comba. “Come FCEI siamo impegnati in un partenariato con Open Arms, la ONG che nei giorni scorsi ha salvato oltre trecento persone in mare – aggiunge Negro – e oggi sentiamo nostro dovere esprimere il sostegno attivo alla altre navi impegnate in azioni di soccorso che da giorni aspettano un porto sicuro in cui attraccare”. E infatti la vicepresidente della FCEI, Christiane Groeben, oggi 4 gennaio parteciperà alla delegazione di politici, esponenti della società civile e del volontariato che saliranno a bordo della Sea-Watch per chiedere con forza una rapida soluzione a quella che rischia di diventare una drammatica violazione del diritto alla protezione internazionale. “Stiamo lavorando con i nostri partner per costruire un corridoio europeo e la città di Heidelberg e le sue chiese hanno già manifestato la loro disponibilità all’accoglienza. Siamo pronti a farci carico del trasporto dei migranti nella loro destinazione finale e a collaborare per la loro accoglienza" aggiunge il presidente Comba.

      https://www.diaconiavaldese.org/csd/news/diaconia-valdese-e-fcei-pronti-all-accompagnamento-e-all-accoglienz

    • #Malte profite de l’urgence pour se délester de 220 migrants

      Le Premier ministre maltais a annoncé un accord pour le débarquement des 49 migrants bloqués sur deux navires d’ONG allemandes et leur répartition dans huit pays européens. Il se débarrasse en passant de 220 migrants déjà accueillis à Malte.

      Les 49 migrants coincés depuis parfois plus de deux semaines en mer avaient été secourus dans les eaux internationales au large de la Libye, le 22 décembre par l’ONG Sea-Watch pour 32 d’entre eux, et le 29 décembre par l’ONG Sea-Eye pour les 17 autres.

      Les pays européens se sont finalement mis d’accord pour les secourir. Ils doivent être transférés « dès que possible » sur des vedettes de la marine maltaise, qui les conduiront à La Valette. Ensuite, Malte a prié les navires des deux ONG de s’éloigner « immédiatement ».

      Les deux navires avaient été autorisés il y a une semaine à s’abriter du mauvais temps dans les eaux maltaises, mais l’accord en vue d’un débarquement des migrants a pris du temps parce que Malte exigeait d’y inclure 249 autres migrants que ce petit pays méditerranéen avait secourus et accueillis ces derniers jours.

      « Un accord ad hoc a été trouvé. Sur les 249 (migrants) présents à Malte et les 49 à bord (des navires de) Sea-Watch and Sea-Eye, 220 personnes seront redistribuées dans d’autres pays membres ou rentreront dans leur pays d’origine », a déclaré Joseph Muscat au cours d’une conférence de presse à Malte.

      Les migrants seront répartis entre l’Allemagne, la France, le Portugal, l’Irlande, la Roumanie, le Luxembourg, les Pays-Bas et l’Italie, a précisé Joseph Muscat.

      Parallèlement, 44 Bangladais du groupe des migrants déjà présents à Malte seront renvoyés dans leur pays, La Valette estimant qu’ils n’ont pas de raison d’y demander l’asile. Au final, 78 des migrants du premier groupe resteront à Malte, le plus petit pays de l’UE avec 450 000 habitants.

      « Malte n’a jamais fermé ses ports et reste un port sûr. Nous voulons simplement que tous respectent les règles internationales que nous n’avons pas créées, nous », a assuré le Premier ministre, malgré l’interdiction jusqu’ici exprimée.

      « Un signe de faiblesse »

      « Nous voulions faire passer un message politique fort, à savoir que le fardeau devait être partagé car il s’agit d’un problème européen. Il ne s’agit pas d’un discours contre les ONG, nous voulons simplement que tous suivent les règles », a insisté le Maltais.

      « Chaque heure passée sans règlement n’était pas une heure dont j’étais fier », a-t-il ajouté, en regrettant que la solution n’implique que quelques pays et non l’ensemble de l’UE.

      Redoutant de voir les arrivées dans ses eaux se multiplier à l’avenir maintenant que les navires de secours plus au sud se sont raréfiés, Malte avait plaidé pour une solution « complète et globale ».

      « Malte est un très petit pays et il est dans notre nature d’aider les personnes en détresse, mais en tant que Premier ministre, je ne peux pas me soustraire à la responsabilité de préserver notre sécurité et nos intérêts nationaux », a expliqué Joseph Muscat, répétant que le présent accord ne constituait pas « un précédent ».

      Le commissaire européen chargé des migrations, Dimitris Avramopoulos, s’est réjoui qu’une solution ait été trouvée pour permettre aux migrants de débarquer et a salué le geste de solidarité de Malte et des États membres.

      En Italie, la question faisait encore débat : le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini s’oppose farouchement à tout débarquement, mais le chef du gouvernement Giuseppe Conte s’est dit prêt à aller chercher les migrants « en avion ».

      « À Bruxelles, ils font semblant de ne rien comprendre et facilitent le travail des passeurs et des ONG. Je suis et je resterai absolument opposé à de nouvelles arrivées en Italie », a réagi Matteo Salvini, également patron de la Ligue (extrême droite), dans un communiqué.

      « Céder aux pressions et aux menaces de l’Europe et des ONG est un signe de faiblesse que les Italiens ne mérite pas », a ajouté le ministre, qui a lancé mardi soir sur Twitter le mot d’ordre #SalviniNonMollare (« Salvini tiens bon »), parmi les plus partagés depuis en Italie.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/malte-profite-de-lurgence-pour-se-delester-de-220-migrants

    • Migranti, anche in Spagna stretta sulle Ong: Open Arms bloccata a Barcellona

      Dopo aver fatto sbarcare ad #Algeciras 311 migranti il 28 dicembre scorso, la nave sarebbe dovuta ripartire l’8 gennaio per una nuova missione. Ma le autorità hanno negato l’autorizzazione: così nel Mediterraneo centrale non ci sono più imbarcazioni delle organizzazioni per il salvataggio

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/01/14/news/migranti_open_arms_bloccata_in_spagna-216523058

    • "Je ne pourrai bientôt plus parler, je gèle" : faute de secours, 100 migrants ont passé plus de 12 heures en mer

      Pendant plus de 12h, la plateforme téléphonique Alarm Phone a alerté dimanche les autorités italiennes, maltaises et libyennes sur une embarcation en détresse au large de la Libye. Rome et La Valette ont, toute la journée, renvoyé la responsabilité à Tripoli qui a finalement coordonné le secours de ce canot en envoyant un navire marchand, plus de 12h après la première alerte.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/14641/je-ne-pourrai-bientot-plus-parler-je-gele-faute-de-secours-100-migrant

    • Navire Sea-Watch bloqué en Méditerranée : « La mer est agitée et certains migrants sont malades »

      Après avoir été bloqué deux semaines début janvier en Méditerranée dans l’attente d’être accepté par un port européen, le navire humanitaire Sea-Watch erre une nouvelle fois en mer depuis son dernier sauvetage. Cinq jours se sont déjà écoulés, avec 47 migrants rescapés à bord dont huit enfants, et aucun signe encourageant de la part des pays européens.

      L’histoire se répète. L’ONG allemande Sea Watch, dont le navire humanitaire a secouru le 19 janvier dernier 47 personnes qui se trouvaient à bord d’un bateau pneumatique, attend depuis maintenant cinq jours l’autorisation d’accoster en Europe. Lors d’une précédente opération de sauvetage, le même navire avait erré deux semaines en mer avant d’être autorisé à débarquer ses rescapés à Malte le 9 janvier dernier. Un épisode qualifié de “record de la honte” par plusieurs ONG.

      L’équipage et les passagers actuellement à bord sont “assez stressés”, confie une porte-parole de Sea Watch contactée par InfoMigrants. “La nuit a été difficile. La mer est agitée et certains sont malades”, poursuit-elle, précisant que le groupe compte huit mineurs non-accompagnés et neuf nationalités différentes : Guinée, Sénégal, Guinée-Bissau, Mali, Sierra Leone, Centrafrique, Côte d’Ivoire, Gambie et Soudan.

      "Une fois de plus, nous sommes à la merci des autorités"

      “Aucun État n’a encore répondu à nos requêtes pour un port sûr”, déplore l’ONG sur Twitter, estimant que “l’Union européenne empêche le dernier navire humanitaire de travailler, alors que des centaines de personnes meurent en Méditerranée”.

      Les 47 migrants actuellement à bord du Sea-Watch ont été pris en charge après qu’Alarm Phone et l’avion de repérage Moonbird ont donné l’alerte. “Juste après le sauvetage, nous avons informé le MRCC de Rome puisque le port sûr le plus proche de notre position était celui de Lampedusa. Ils nous ont renvoyés vers les garde-côtes libyens. Nous avons essayé de les joindre, en vain. Nous ne savons même pas s’ils lisent nos emails”, explique la porte-parole de l’ONG jointe par InfoMigrants.

      Dans l’impasse, l’équipage du Sea-Watch s’est donc tourné vers le MRCC de Malte puis celui de Den Helder, au Pays-Bas puisque le navire humanitaire bat pavillon néerlandais. “Tous les deux ont décliné toute responsabilité. Nous avons demandé un port sûr à plusieurs reprises à tous ces interlocuteurs, mais nous sommes une fois de plus à la merci des autorités, dans l’attente d’un ordre de leur part”, affirme-t-elle.

      "La détresse des migrants comme outil de chantage politique"

      Dix jours avant ce nouveau sauvetage, le Sea-Watch et un autre navire humanitaire, le Sea-Eye, avaient finalement pu débarquer 49 migrants à Malte après plus de deux semaines d’errance en Méditerranée. Une période particulièrement difficile, les installations à bord des navires humanitaires ne permettant pas d’héberger durablement autant de personnes et les conditions météorologiques rendant la vie à bord très pénible.

      Malgré les demandes répétées des ONG, pendant 19 jours, le gouvernement maltais avait refusé de laisser débarquer dans son port ces 49 migrants : 32 secourus au large de la Libye le 22 décembre par le Sea-Watch et 17 autres sauvés le 29 décembre par le Sea-Eye.

      Redoutant de voir les arrivées dans ses eaux se multiplier et de devenir la principale porte d’entrée des migrants en Europe – l’Italie ayant fermé ses ports aux navires humanitaires – Malte a finalement négocié avec plusieurs pays européens un accord de répartition des 49 migrants ainsi que 249 autres recueillis quelques jours plus tôt par les autorités maltaises.

      "Nous voulions faire passer un message politique fort, à savoir que le fardeau devait être partagé car il s’agit d’un problème européen. Il ne s’agit pas d’un discours contre les ONG, nous voulons simplement que tous suivent les règles", avait déclaré le Premier ministre maltais Joseph Muscat au moment où l’accord a été trouvé.

      Mais Sea Watch ne l’entend pas de la sorte. “Nous ne pouvons pas nous retrouver encore dans cette impasse, c’était trop difficile la dernière fois pour notre équipage comme pour les rescapés. Il est inacceptable que les gouvernements européens utilisent des personnes en détresse comme outils de chantage dans leurs luttes de pouvoir”, conclut la porte-parole.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/14700/navire-sea-watch-bloque-en-mediterranee-la-mer-est-agitee-et-certains-

    • Dutch refuse Italian request to accept 47 migrants on rescue ship: government

      The Netherlands refused on Monday an Italian request to take in 47 migrants on a humanitarian ship that is being blocked from Italian ports, saying there was a need to distinguish between genuine refugees and economic migrants.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-italy-netherlands/dutch-refuse-italian-request-to-accept-47-migrants-on-rescue-ship-governmen
      #Pays-Bas #tri #catégorisation

      Dans l’article on parle de:
      #genuine_refugees and #economic_migrants
      #terminologie #mots #vocabulaire

      v. aussi le tweet de Sea Watch:
      Le comunicazioni intercorse tra #SeaWatch e l’Olanda per la richiesta di porto rifugio (POR).
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1089815346113069057

    • Caso Sea Watch. Il Garante, Mauro Palma: “E’ illecita detenzione”

      Inviata informativa alla Procura di Siracusa e richiesto al Ministro dei trasporti Toninelli di consentire urgentemente lo sbarco: «Le persone sono la nostra giurisdizione, anche se con bandiera straniera». Intanto 50 organizzazioni scrivono al premier Conte: «Sbarco Immediato». E il Cnca si dice disponibile ad accogliere i migranti nelle sue strutture

      http://www.agenzia.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/617603/Caso-Sea-Watch-Il-Garante-Mauro-Palma-E-illecita-detenzione

    • Les migrants du Sea-Watch 3 vont pouvoir débarquer grâce à un accord entre sept pays européens

      L’Italie a annoncé un accord avec six autres pays européens pour répartir les 47 migrants bloqués depuis 12 jours en mer sur le Sea-Watch. Le navire est attendu dans la nuit au port de Catane, dans l’est de la Sicile.

      Les 47 migrants bloqués depuis près de deux semaines à bord du Sea-Watch 3 au large de la Sicile vont pouvoir débarquer grâce à un accord conclu mercredi 30 janvier entre l’Italie et six autres pays européens pour répartir les migrants.

      Le Sea-Watch 3, qui se trouvait depuis vendredi au large du port sicilien de Syracuse pour s’abriter du mauvais temps, « a reçu l’instruction de se diriger vers le port de Catane », environ 70 km plus au nord, où il est attendu dans la nuit, a annoncé une source ministérielle italienne.

      A la mi-journée, le chef du gouvernement italien, Giuseppe Conte, avait annoncé que les opérations de débarquement allaient débuter « dans les prochaines heures ». Les six pays avec laquelle l’Italie a conclu un accord sont la France, le Portugal, l’Allemagne, Malte, le Luxembourg et la Roumanie. Il n’était pas clair si l’Italie elle-même garderait une partie des migrants. Giuseppe Conte l’a laissé entendre mais son ministre de l’Intérieur, Matteo Salvini, qui s’y est toujours opposé de manière catégorique, ne l’a pas confirmé.

      « Prise d’otages européenne »

      « Nous sommes heureux que cette prise d’otages européenne prenne fin », a déclaré le porte-parole de Sea-Watch, Ruben Neugebauer. « En même temps, c’est un mauvais jour pour l’Europe car les droits humains ont une fois de plus été subordonnés à des négociations au sein de l’UE. Encore un jour amer », a-t-il ajouté.

      Depuis des mois, diplomates européens et humanitaires réclament un mécanisme permanent de répartition des migrants secourus en mer pour leur épargner les interminables discussions au cas par cas.

      Mais les cas pourraient devenir de plus en plus rares avec le blocage progressif des navires humanitaires privés, comme l’Aquarius de SOS Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF) ou l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms.

      Le choix d’envoyer à Catane le Sea-Watch 3, affrété par l’ONG allemande Sea-Watch et battant pavillon néerlandais, semble répondre au souhait formulé par M. Salvini de voir la justice enquêter sur les activités de l’équipage.

      Le gouvernement italien lui reproche de ne pas avoir laissé les garde-côtes libyens se charger des migrants, puis de s’être précipité vers l’Italie plutôt que de chercher refuge sur la côte tunisienne, qui était beaucoup plus proche. Mais l’ONG assure n’avoir jamais reçu de réponse de Tripoli ni de Tunis.

      Le procureur de Syracuse, Fabio Scavone, a estimé lundi que le commandant du Sea-Watch n’avait « commis aucun délit » et avait seulement « sauvé les migrants et choisi la route qui semblait la plus sûre sur le moment ».

      Mais à Catane, le procureur Carmelo Zuccaro s’est montré particulièrement incisif contre les ONG depuis deux ans. En mars 2018, il avait obtenu le placement sous séquestre de l’Open Arms dans le cadre d’une enquête pour aide à l’immigration clandestine contre les responsables du bateau qui avaient refusé de remettre des migrants secourus aux garde-côtes libyens.

      La source au ministère de l’Intérieur a expliqué que Catane avait été choisie parce qu’elle compte des centres pour l’accueil des 13 adolescents du groupe. Les migrants majeurs seront conduits dans un centre d’identification et de premier accueil à Messine, également en Sicile.

      « Mission accomplie ! », s’est réjoui M. Salvini mercredi. « Encore une fois (...), l’Europe a été contrainte à intervenir et à prendre ses responsabilités ».

      https://www.france24.com/fr/20190130-migrants-sea-watch-italie-catane-salvini-accord-europeen

    • No more civilian rescue boats off Libyan coast

      The civilian rescue vessel Sea Watch 3, which was detained in Italy on Friday, is the latest of such boats to stop operations in the central Mediterranean. Now, only the Libyan Coast Guard is able to save migrants risking their lives at sea in an attempt to reach Europe from North Africa.

      The main non-government organizations rescuing migrants off the coast of Libya stopped their efforts in mid-2017, mainly because of increased threats from the Libyan Coast Guard. The news agency AFP compiled this update on migrant rescue organizations and their activities:

      The Maltese aid group MOAS, which was the first to carry out migrant rescue operations in 2014 and had deployed two vessels, transferred its activities to helping the Rohingya in Bangladesh in September 2017.

      At about the same time, Doctors Without Borders (MSF) ended its operations with the Vos Prudence, the biggest private boat deployed off Libya with a record 1,500 people rescued at the same time.

      Save the Children ended its search and rescue operations with the Vos Hestia in October 2017.

      In August 2017, Italian authorities impounded the Juventa, operated by small German aid group Jugend Rettet, after it was accused of helping Libyan human traffickers. Jugend Rettet has denied the charge.

      The Lifeline rescue vessel, operated by a German aid group of the same name, was impounded on arrival in Valletta, Malta, in June 2018, for alleged registration issues.

      The aid groups SOS Mediterranee and MSF stopped search and rescue operations with the Aquarius in December 2018 after it was stuck in a French port for two months following the revocation of its registration.

      In January 2019, Spanish authorities refused to allow the Open Arms ship to leave Barcelona harbor. In early 2018 the boat, operated by the Spanish NGO Proactiva Open Arms, was impounded for a month by Italy. It was then forced to take rescued migrants to Spain several times after Malta and Italy refused to allow them to disembark.

      The Sea Eye charity from Germany had several vessels impounded during 2018 but deployed another ship, the Professor Albrecht Penck, in December, rescuing 12 migrants. The boat is currently in Majorca and plans to set sail again in around two weeks, according to AFP.

      SOS Mediterranee has said it is looking for another boat and flag so it can continue search and rescue operations.

      In Italy a collective of associations launched the Mediterranea, flying an Italian flag, mainly to witness the situation for migrants off Libya.

      There are also two light aircraft which overfly the Mediterranean trying to identify and locate boats in trouble: the Colibri operated by French aid group Pilotes Volontaires, and the Moonbird operated by Sea Watch.


      http://www.infomigrants.net/en/post/14966/no-more-civilian-rescue-boats-off-libyan-coast
      #the_end

    • Sea Watch 3 still held in Catania, despite rescue vessel vacuum in the Mediterranean

      The crew of the migrant rescue vessel Sea Watch 3 are ready to continue life saving operations in the central Mediterranean but the vessel remains without permission to leave from Catania harbour, the NGO said yesterday.

      With NGO vessels being barred from leaving ports and coast guard and navy ships withdrawn from the area, it is not known how many attempted crossings there have been over the past week.

      The Sea-Watch 3 vessel remains unable to leave Catania under orders of the port authority and is barred from performing essential search and rescue activities in the Central Mediterranean Sea.

      The vessel was recently caught up in another migrant stand-off between Malta and Sicily and was eventually allowed to disembark the migrants it had rescued in Catania.

      However, the vessel has not been allowed to leave, in what is reminiscent of the time it spent impounded in Malta during the summer of 2018.

      Earlier this year, the vessel, along with another ship operated by the Sea-Eye NGO, was left stranded off the coast of Malta for over two weeks.

      The rescued migrants were eventually disembarked in Malta after an agreement was reached between several member states. The vessels were then ordered to leave Maltese waters, with permission for a crew change reportedly denied.

      Maltese national Danny Mainwaring is among the crew members currently stuck on the Sea Watch in the port of Catania.

      In comments to The Malta Independent, Sea Watch said: “The Public Prosecutor’s Office of Catania stated that Sea-Watch and the crew of its last mission have committed no criminal offence and that all their actions in the rescue of 19 January were justified, as the vessel and her crew saved the lives of 47 people whose boat was bound to sink.

      “That mission culminated in a stand-off that saw vulnerable people stranded at sea on the coast of Syracuse as European leaders failed to provide a port of safety in a timely manner. Despite the public acknowledgement that Sea-Watch conducted itself within the law, the vessel remains barred from departing on technical grounds and awaits a visit from the Dutch flag state requested by the Italian Coast Guard.

      “The Sea-Watch 3 passed a flag state inspection in the summer of 2018, which also confirmed its correct registration. We find ourselves in a scenario reminiscent to that which unfolded in Malta that same summer, when the vessel was kept from leaving port for over four months while a record number of people drowned at sea.

      “EU governments have unanimously adopted a policy of attempting to criminalize sea rescue NGOs and instead finance, train and provide logistical support to the so-called Libyan Coast Guard.

      “Despite the fact that Libya remains in a state of civil war and migrants and refugees face well documented human rights abuses in its detention facilities, the EU is outsourcing a policy of forced return to the so-called Libyan Coast Guard in violation of the principle of non-refoulement.

      “This principle, enshrined in international law, prohibits governments from returning asylum seekers to a country in which they face a well-founded fear of persecution, and inhumane and degrading treatment.

      “With many national coast guard and navy assets withdrawn from the Central Mediterranean and no NGO vessels currently at sea, it is not known how many attempted crossings there have been over the past week. With absolute numbers of crossings declining but the death rate rising, one can only conclude that Europe has strayed from the spirit of cooperation and respect for human rights that it was founded on; the same spirit that breathed life into Operation Sophia when mass drownings alarmed the continent and the world in May 2015.

      “The Sea-Watch 3 and her crew are ready to sail and perform the essential life saving duties for which the organisation has been lauded across the world.

      “European governments must meet their responsibilities towards those in distress both at sea and on land. Rather than criminalize rescue NGOs, who are upholding this responsibility in Europe’s stead, governments must seek sustainable solutions while cooperating with NGOs and opening their ports to people rescued at sea.”


      http://www.independent.com.mt/articles/2019-02-11/local-news/Sea-Watch-3-still-held-in-Catania-despite-rescue-vessel-vacuum-in-th

    • When commercial ships tell migrants rescued at sea they are going to bring them to Europe

      Some commercial ships that have rescued people in danger have lied about their destination, according to a telephone hotline that helps migrants lost at sea. Alarm Phone says the crews of several ships led migrants to believe they would be dropped off in Europe, but instead returned them to Libya.

      https://www.infomigrants.net/en/post/15194/when-commercial-ships-tell-migrants-rescued-at-sea-they-are-going-to-b

    • When rescue is capture: kidnapping and dividing migrants in the Mediterranean

      EU member states are holding migrants hostage while playing pass the parcel with their fates. It’s a strategy that is as cruel as it is deliberate.

      The Italian minister of the interior, Matteo Salvini, is currently under investigation for abuse of power and the kidnapping of 177 migrants. These migrants were, on Salvini’s orders, confined to the coast guard vessel Diciotti for more than one week in late August last year. While this case received international media attention, it was not an isolated event. Over the last several years Italian ministers and politicians have repeatedly violated international and domestic law as they have sought to prevent individuals from migrating over the Mediterranean Sea. The disembarkation of rescued migrants has been denied or delayed many times. On a few occasions, Italy has arbitrarily closed its ports entirely.

      While the closure of ports and the kidnapping of migrants triggered a strong reaction from some citizens and municipalities, many seemingly do not care. They do not care about the kidnapping of people by the state, nor about an interior minister who violates the law. They just do not want the migrants to land in Italy. Yet, far from being an exclusive Italian affair, the above mentioned legal and political controversies are part of a European battle, in which member states compete to not take care of a few dozen people on a boat seeking asylum. In fact, the recurrent strategy of taking migrants hostage is a sign of how deep Europe’s crisis has become.

      Kidnapping migrants is a strategy designed to deter and exhaust migrants while putting pressure on other member states.
      Migrants as hostages of European politics

      31 January 2019: after being held on a ship of the NGO Sea Watch for 13 days by the Italian authorities, the 47 migrants who were rescued in central Mediterranean were finally authorised to disembark in Sicily, or to put it better they had been liberated. During the period of their captivity the Italian government had argued that the Netherlands should receive them, due to the Dutch flag on the Sea Watch vessel. The Dutch authorities refused to do so. The standoff resulted in a meeting at the European Commission in Brussels to discuss how to deal with the 47 migrants nobody wanted to take. After days of negotiations, the Vatican offered to host the minors while eight member states (France, Germany, Romania, Malta, Portugal, Spain, Luxembourg and Italy) agreed to take a few migrants each. Meanwhile, the NGO Sea Watch was defending itself against a cynical smear campaign in which the Italian government accused it of “putting migrants’ lives at risk”.

      This case is only the latest in a series of episodes that took place in central Mediterranean. The kidnapping of migrants has been repeatedly enacted by the Italian government and by Malta over the last year. It’s a strategy designed to deter and exhaust migrants, on the one hand, and to put pressure on the EU and on other member states, on the other. It is worth highlighting the continuity of this tactic. Among other episodes, in July 2018 the coast guard vessel Diciotti was prevented from disembarking rescued migrants in the port of Catania until the Italian president at the time successfully intervened. One month later, the Diciotti was again blocked for more than one week, this time with 177 migrants on board. In both these cases the rescue vessel was Italian. In more recent episodes the vessels have belonged to NGOs registered to other member states. In the closing days of 2018, 49 migrants had to wait 19 days after being rescued by the Sea Eye and Sea Watch vessels. They were finally disembarked in Malta on 9 January, and then relocated to other EU countries.

      The strategy of migrant kidnapping on the northern shore of the Mediterranean is part of a broader politics of migration containment. Together with the protracted detention of migrants on rescue vessels, the Libyan Coast Guard intercepts and rescues migrants in distress and takes them back to detention centres in Libya as a result of the 2017 Italy-Libya Memorandum of Understanding. International organisations like UNHCR and the IOM are involved in their containment in Libya once they arrive. In both cases – the confinement of migrants on rescue ships and the return of migrants to Libya – rescue at sea turns out to be a mode of capture.

      We might have been pulled out of the sea, the argument goes, but we are no less human and we are not to be bartered and haggled over.
      The European battle over numbers

      The migrants at the centre of these intra-European diplomatic battles are actually very few in number. Meetings, internal political crises, and struggles between states and non-state actors have resulted from a few dozen migrants seeking entry into Europe despite already being within European territory; confined to their rescue ships either in or just off European harbours for no other reason than member states’ refusal to take them. It is noticeable that the dispute among European countries was also predicated on migrants’ vulnerability: some member states have declared that they would welcome women and minors only. In this way, the right to protection and to mobility appear as a sort of “privilege” of those deemed to be the most vulnerable.

      The “fear of the small numbers”, as the anthropologist Ariun Appadurai calls it, has rarely been so evident. With just a few dozen migrants at issue, Salvini is by no means staving off a ‘crisis’ of quantity. Yet that is what makes recent events so troubling. They show that public sentiment does not soften when the counterargument focuses on how small the numbers are, as it has done so far. Both citizens’ active consensus and passive acceptance of migration containment has proved immoveable. The European front against migrants ultimately remains solid.

      At the same time, the anti-migrant front does not monopolise the field. Thousands of citizens mobilised across Europe and in Italy to demand the liberation of the detained migrants. Their solidaric reaction was not primarily driven by the fact that there were only a ‘few’ migrants to host, but by a conviction that those kidnapped – like with any other kidnapping – must be unconditionally released. As such, during the protests that haven taken place we have seen many more banners with the words “let them disembark!” than with more Italy-centric slogans like “not in my name”. In short, it’s not about Italy, it’s about the people on the ship.

      That central point is further enshrined in the “We are not fish” campaign, launched in Rome on 28 January 2019. We might have been pulled out of the sea, the argument goes, but we are no less human and we are not to be bartered and haggled over. The “We are not fish” campaign demands that Italian harbours remain open and that migrants are allowed to disembark. It opposes the fundamental inequality of lives that sustain the politics of migration, which is premised on the suggestion that migrants are not truly humans.

      The widespread citizen reaction against migrants’ seizure at sea and against deaths in the Mediterranean constitutes not only a fundamental ethical response, but also potentially a catalyst for actively refusing the leave-to-die politics playing out in the Mediterranean. Indeed, the ongoing civic mobilisation should be seized as an opportunity for moving beyond the horizon of a politics of rescue and the current debate that pivots around the question, should we rescue or not rescue the migrants?

      Indeed, a left-wing discourse on migration would require fighting the politics of migration containment as a whole, including the most recent bilateral agreement between Italy and Libya that the previous government led by the Democratic Party signed. It would also require challenging the racialisation and inequalities of lives enforced by the global visa regime, which forces many people across the world to become shipwrecked lives to be rescued. Neither the trial of Salvini nor the acceptance of the terms of the current debate centred around leave-to-die politics will liberate migrants from being held hostage to European politics. “We are not fish”. This motto is circulating widely. It posits the existence of a ‘we’, a common ground, between migrants and European citizens that refuses the reproduction of the asymmetries between ‘rescuers’ and ‘rescued’.

      https://www.opendemocracy.net/beyondslavery/martina-tazzioli/when-rescue-is-capture-kidnapping-and-dividing-migrants-in-mediterran

    • Un seul navire humanitaire est actuellement présent au large de la Libye

      Près de 17 000 personnes sont mortes en mer Méditerranée ces quatre dernières années. Pour tenter d’enrayer la tragédie, des navires humanitaires se sont relayés dans la zone de détresse, au large des côtes libyennes pour les secourir. Mais actuellement, un seul patrouille dans cette zone.

      Actuellement, seul le bateau Aylan Kurdi (anciennement appelé Professor Albrecht Penck) est actuellement au large de la Libye. Il appartient à l’ONG allemande Sea Eye.

      Où sont les autres bateaux d’ONG ? InfoMigrants fait le point.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Le Sea-Watch 3 de l’ONG Sea Watch est en escale dans le port de Marseille pour un problème administratif relatif à son pavillon néerlandais (et effectuer sa maintenance). Il devrait repartir en mer mi-mars.

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      –En Italie, un collectif d’associations a lancé le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer. Il est actuellement à Palerme.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      – Médecins sans frontières (MSF) a mis fin au même moment aux activités du Vos Prudence, le plus gros navire humanitaire privé actif au large de la Libye avec un record de de 1 500 personnes secourues en même temps.

      – Save the Children a également mis fin aux activités de sauvetage du navire Vos Hestia.

      – L’ONG maltaise Moas, la première à s’engager dans les opérations de secours en 2014 et qui a compté jusqu’à deux navires dans la zone, a transféré ses activités auprès des Rohingyas au Bangladesh.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/15426/un-seul-navire-humanitaire-est-actuellement-present-au-large-de-la-lib

    • Sea Watch segreto di Stato. Viminale e Infrastrutture: no accesso agli atti

      Non è possibile sapere da chi e come fu bloccata la nave. Ed è giallo anche sull’omesso sbarco dei minori. Cortocircuito tra Prefettura, Comune e Tribunale di minori

      Nel Paese dei misteri irrisolti anche la sorte dei migranti rischia di diventare un “segreto di Stato”. Non sarà infatti possibile sapere chi, nello scorso gennaio, ha dato l’ordine di bloccare a Siracusa la nave umanitaria Sea Watch, né chi e perché ha impedito lo sbarco immediato dei 15 minorenni, dirottando poi il vascello verso il porto di Catania.

      La conferma dello stato di riservatezza degli atti arriva dal Viminale, che ha respinto la richiesta di divulgazione dei documenti depositati presso il ministero delle Infrastrutture. Intorno al caso, dopo che Avvenire aveva documentato la smentita del ministero che esclude sia mai stato dato l’ordine di «porti chiusi», è stato eretto un muro di gomma. Nei giorni scorsi il Viminale aveva assicurato che da Salvini, contrariamente alle reiterate dichiarazioni pubbliche, non era mai partito alcun ordine di stop alle navi umanitarie né alcun «divieto di sbarco».

      Non restava che interpellare il dicastero guidato da Danilo Toninelli, competente per la Guardia costiera e i porti. Ma la nuova richiesta di accesso ai documenti è stata respinta. Motivo? «La tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria». Così il capo di gabinetto del ministro Salvini ha risposto all’istanza «indirizzata – viene precisato nella risposta – anche al ministero delle Infrastrutture», a cui era stata originariamente rivolta. Nella missiva, che reca la data del 26 febbraio, viene escluso per il caso Sea Watch l’obbligo di divulgazione delle informazioni.

      Secondo la legge richiamata nello scambio di documenti tra l’avvocato Alessandra Ballerini, che aveva chiesto trasparenza per contro di Adif (Associazione Diritti e Frontiere), e il prefetto a capo del gabinetto del ministro, viene invocata la norma che giustifica il rifiuto alla conoscibilità per «la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive». In quale di queste categorie rientri il caso della Sea Watch e dei minorenni bloccati a bordo per 13 giorni non è dato da sapere.

      Indirettamente, però, una cosa il Viminale la conferma. Se nei giorni scorsi era stata negata l’esistenza di deliberazioni riconducibili al ministro Matteo Salvini, adesso viene implicitamente riconosciuto che le decisioni furono prese formalmente dal ministero delle Infrastrutture. Una circostanza che di fatto esenta Salvini, che aveva dato “indicazioni politiche”, da responsabilità che eventualmente ricadrebbero su Toninelli.

      La gestione dei 15 minori non accompagnati e l’omissione dello sbarco immediato (come previsto dalle norme per i minorenni non accompagnati) potrebbe avere seguiti giudiziari. Da uno scambio di comunicazioni tra la prefettura di Siracusa, il Tribunale dei minori di Catania e il Comune di Siracusa risulta, infatti, che la scelta di trasferire la nave al porto di Catania, dopo giorni alla fonda davanti al “Porto rifugio” siracusano, sarebbe stata assunta dal Comando generale delle Capitanerie di porto, che dipende dal ministero delle Infrastrutture. Disposizione necessaria «in ragione della presenza di minori a bordo».

      A scriverlo è proprio la prefettura aretusea in una nota trasmessa il 31 gennaio (giorno dello sbarco) al Tribunale per i minorenni di Catania. Eppure ventiquattr’ore prima lo stesso tribunale aveva inviato i decreti di affido dei 15 minori ai Servizi sociali del Comune di Siracusa, che immediatamente aveva individuato e messo a disposizione 4 strutture del circondario. Invece, nessuno viene fatto sbarcare e in serata la Sea Watch, dopo una settimana di attesa in Sicilia, riceve l’ordine di procedere verso Catania. Una decisione, come sostiene il prefetto Luigi Pizzi in uno dei documenti ottenuti da Avvenire, dovuta alla mancanza di strutture di prima accoglienza idonee. Una carenza che però non risulta, vista la disponibilità certificata dal Comune e che sorprende anche il Tribunale che proprio dall’ente locale aveva ricevuto l’elenco dei centri di accoglienza.

      «Non c’era nessun bisogno che intervenisse il tribunale per far sbarcare i minori. La legge è chiara: andavano fatti sbarcare subito», dice Sandra Zampa, ex parlamentare del Pd e autrice della legge sui minori non accompagnati votata nella precedente legislatura con il sostegno del M5s. L’intervento del tribunale dei minorenni ha confermato l’efficacia delle norme, «interrompendo – spiega Zampa – l’omissione che si stava compiendo».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-segreto-di-stato

    • Sea Watch, inchieste sugli atti «top secret». Si muovono le procure

      Dopo che il Viminale si è rifiutato di rendere pubblici gli ordini, i pm accendono un faro. Il sindaco di Siracusa: «Anomalie, abbiamo le prove. Fare chiarezza». E accusa: «Ci furono ordini politici»

      Il caso Sea Watch, con lo stallo davanti al porto di Siracusa e poi il trasferimento nello scalo di Catania, avrà seguiti giudiziari. Sono almeno due le procure che stanno esaminando i fatti riguardanti l’omesso sbarco immediato dei 15 minorenni e le modalità con cui le autorità politiche hanno eretto un muro intorno alla catena di comando. Una barriera contro cui è disposta a fare breccia la giunta di Siracusa, che si dichiara pronta ad andare davanti ai magistrati per riferire tutte le anomalie registrate a fine gennaio.
      Le inchieste, a quanto trapela, riguardano non solo Sea Watch, ma anche altri sbarchi con le navi umanitarie costrette al largo per giorni prima di poter mettere al sicuro, sulla terraferma, i naufraghi scampati ai lager libici e alle tempeste. Vari esposti erano da tempo sui tavoli della procura di Roma e di alcune procure siciliane, che hanno acquisito quanto rivelato da «Avvenire» giovedì scorso. A cominciare dalla massima riservatezza apposta dal ministero dell’Interno sugli atti relativi alla Sea Watch, mentre il dicastero guidato da Danilo Toninelli ha lasciato trascorrere i 30 giorni previsti dalle norme per rispondere alle richieste di accesso civico agli atti presentata dall’Associazione Diritti e frontiere. Uniche spiegazioni sono arrivate dal Viminale con due risposte in apparente contraddizione. La prima, firmata dal Dipartimento Immigrazione, escludeva che fosse mai stato dato l’ordine di porti chiusi e divieto di sbarco. La seconda, siglata dal capo di gabinetto del ministro, precisava che «la tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria». Da qualche parte, dunque, ci sono documenti che non si vuole rendere noti. Perché?
      Quanto all’ipotetico cavillo usato per trasferire la Sea Watch copn i suoi 47 naufraghi improvvisamente da Siracusa a Catania, emerge un dettaglio da un documento della prefettura di Siracusa, che come è noto risponde al Viminale. La lettera, visionata da “Avvenire”, è del 31 gennaio 2019, giorno in cui la nave ricevette l’ordine di lasciare le acque antistanti il “Porto Rifugio” di Siracusa per recarsi, scortata da Guardia costiera e Guardia di finanza, verso Catania. La missiva, indirizzata al presidente e al procuratore del Tribunale dei minorenni, rivela che la nave è stata dirottata «proprio in ragione della presenza di minori a bordo che in quella sede saranno immediatamente accolti in idonee strutture. Diversamente da quanto sarebbe avvenuto in questa provincia, ove non si dispone di centri destinati ai minori in argomento». Sarebbe questo, dunque, uno dei grimaldelli adottati per sottrarre la Sea Watch alla procura di Siracusa - che aveva escluso irregolarità commesse in mare dall’equipaggio - consegnando la nave umanitaria alla procura di Catania, mai stata tenera con le Ong. Il procuratore Zuccaro (Catania) ha però dato ragione alle indagini del collega Scavone (Siracusa) non ravvisando comportamenti illeciti dell’equipaggio.

      I fatti emersi in questi giorni hanno provocato la reazione del Comune di Siracusa, accusato di non avere a disposizione luoghi di accoglienza per minori non accompagnati. «Bisognerà far chiarezza su come si sono svolti i fatti», afferma Alessandra Furnari, assessore alle Pari opportunità sociali. Su richiesta del Tribunale dei minorenni erano invece state individuate strutture adeguate presenti nel comprensorio. «Sul trasferimento dei minori a Catania – prosegue l’assessore Furnari - non abbiamo mai avuto notizie ufficiali, ma solo colloqui telefonici con la prefettura». Scambi verbali senza che mai «la prefettura – insiste l’assessore - desse riscontro per iscritto». Una costante durante quei giorni ad alta tensione. «Ciò che ha caratterizzato tutta la vicenda - osserva il sindaco di Siracusa, Francesco Italia – è stata proprio l’assenza di risposte formali». Come se si avesse il timore di lasciare tracce. «In tutti gli sbarchi avvenuti a Siracusa precedentemente – ricorda Italia – i minori sono sempre stati accolti nelle strutture di II livello (le stesse predisposte per la Sea Watch, in linea con l’ordine del tribunale), senza che ciò creasse alcun problema». Per il primo cittadino c’è una sola spiegazione: «Si è trattato di decisioni di tipo politico».
      Ora a Siracusa attendono solo una convocazione da parte dei magistrati inquirenti. «Non abbiamo alcun problema a raccontare quello che è successo», ribadisce l’assessore Alessandra Furnari. E a differenza del muro di gomma eretto nei ministeri, le accuse della giunta possono essere «documentalmente provate, perché molti rapporti con il tribunale e con la prefettura, almeno da parte nostra, sono avvenuti per iscritto».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-inchiesta-su-atti-top-secret

    • Migrants on hunger strike in Malta after stuck for 2 months

      Many of the 49 people rescued in December by the #Sea_Watch and #Sea_Eye ships are engaged in a hunger strike, the platform Mediterranea Saving Humans reports. The migrants have been in a Malta center for two months and are protesting “against the de facto detention that they are illegally subjected to.”

      https://www.infomigrants.net/en/post/15616/migrants-on-hunger-strike-in-malta-after-stuck-for-2-months
      #Malte #grève_de_la_faim #attente #limbe #détention #Marsa

    • Migranti, la nave ong Alan Kurdi diretta a Malta. Esposto di Mediterranea contro il governo

      Dopo il rifiuto delle madri con figli di sbarcare a Lampedusa senza i loro mariti. La Procura di Agrigento dovrà aprire un fascicolo sulla mancata autorizzazione a entrare in acque italiane e la non assegnazione di un porto sicuro. E il capitano De Falco andrà sulla nave che partirà verso la Libia per soccorrere naufraghi

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/04/06/news/migranti-223409223

    • Italy’s prime minister and Matteo Salvini under investigation over detention of migrants

      Far-right politician Matteo Salvini and Italy’s prime minister Giuseppe Conte have been placed under investigation over the detention of 47 migrants.

      Mr Salvini said he was once again under investigation for alleged false imprisonment on Monday after a dispute earlier this year over whether the interior minister and Lega Nord party leader should be tried over the detention of 177 asylum seekers last August.

      The current case concerns the decision to prevent migrants from leaving a Sea-Watch ship, which rescued them off the coast of Libya on 19 January.

      Deputy prime minister Luigi Di Maio and infrastructure minister Danilo Toninelli, also face charges with Mr Salvini and Mr Conte.

      The 47 migrants were forced to wait off the coast of Sicily for more than a week after the ship was denied the right to dock in Palermo, inspiring an emergency appeal to the European Court of Human Rights and criticism from the United Nations.

      The Sea-Watch ship was only allowed to dock after other European countries agreed to accept the migrants.

      In March, senators stopped a criminal case against Mr Salvini for blocking a rescue ship in August 2018 after an Italian court ruled that he should be tried.

      Mr Salvini has repeatedly berated rescue ships and accused charitable organisations of aiding and abetting illegal immigration.

      “I am under investigation again, but as long as I am the interior minister, the government colleagues can say what they want, the Italian ports remain closed,” he said, maintaining his hardline stance on immigration.

      “Another 18 criminal proceedings can be opened, I don’t change my mind."

      Before the senate vote on Mr Salvini’s case in March, Mr Conte and Mr Di Maio, who leads the Five Star Movement (M5S), formally defended the minister.

      “If Salvini is responsible for the seizure [of the boat] then the whole government is responsible,” they said in a statement.

      Giorgia Linardi, a spokesperson for Sea-Watch in Italy, said the organisation had worked within the law and the boat was unjustly detained.

      “The detention on board for propaganda purposes cannot once again be unjustified, because it is protected be politics,” she said.

      “People fleeing Libya must be rescued and protected, not exploited.”

      The court will reportedly have three months to decide whether the four politicians should face trial.

      If the court decides to bring charges, the senate will vote on whether their parliamentary immunity should be removed.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/matteo-salvini-italy-prime-minister-conte-migrants-detention-a8872301

  • Italian government pressures #Panama to stop #Aquarius rescues on world’s deadliest maritime route

    Central Mediterranean– SOS MEDITERRANEE and Médecins Sans Frontières (MSF) are reeling from the announcement by the Panama Maritime Authority (PMA) that it has been forced to revoke the registration of the search and rescue ship Aquarius, under blatant economic and political pressure from the Italian government. This announcement condemns hundreds of men, women and children who are desperate to reach safety to a watery grave, and deals a major blow to the life-saving humanitarian mission of the Aquarius, the only remaining non-governmental search and rescue vessel in the Central Mediterranean. Both organisations demand that European governments allow the Aquarius to continue its mission, by affirming to the Panamanian authorities that threats made by the Italian government are unfounded, or by immediately issuing a new flag under which the vessel can sail.

    On Saturday, 22 September, the Aquarius team was shocked to learn of an official communication from the Panamanian authorities stating that the Italian authorities had urged the PMA to take “immediate action” against the Aquarius. The PMA message explained that, “unfortunately, it is necessary that [the Aquarius] be excluded from our registry, because it implies a political problem against the Panamanian government and the Panamanian fleet that arrive to European port.” The message came despite the fact that Aquarius meets all maritime standards and is in full compliance with rigorous technical specifications as required under the Panama flag.

    SOS MEDITERRANEE and MSF strongly denounce the actions as further proof of the extent to which the Italian government is willing to go to, knowing that the only consequence is that people will continue to die at sea and that no witnesses will be present to count the dead.

    “European leaders appear to have no qualms implementing increasingly abusive and vicious tactics that serve their own political interests at the expense of human lives,” said Karline Kleijer, MSF’s Head of Emergencies. “For the past two years, European leaders have claimed that people should not die at sea, but at the same time they have pursued dangerous and ill-informed policies that have brought the humanitarian crisis in the Central Mediterranean and in Libya to new lows. This tragedy has to end, but that can only happen if EU governments allow the Aquarius and other search and rescue vessels to continue providing lifesaving assistance and bearing witness where it is so desperately needed.”

    Since the beginning of the year, more than 1,250 people have drowned while attempting to cross the Central Mediterranean. Those that attempt the crossing are three times more likely to drown than those who made the same journey in 2015. The real number of deaths is likely much higher, as not all drownings are witnessed or recorded by authorities or U.N. agencies. This underreporting is represented in shipwrecks like the one in early September in which it is estimated that at least 100 people drowned.

    Meanwhile, the European-sponsored Libyan coastguard continues to make an increasing number of interceptions in international waters between Italy, Malta and Libya, while denying survivors their right to disembark in a place of safety as required by International Maritime and Refugee Law. Instead, these vulnerable people are returned to appalling conditions in Libyan detention centres, several of which are now affected by heavy fighting in Tripoli’s conflict zones.

    “Five years after the Lampedusa tragedy, when European leaders said ‘never again’ and Italy launched its first large scale search and rescue operation, people are still risking their lives to escape from Libya while the death rate on the Central Mediterranean is skyrocketing” said Sophie Beau, vice president of SOS MEDITERRANEE international. “Europe cannot afford to renounce its fundamental values.”

    News from the PMA arrived at the Aquarius while the team was engaged in an active search and rescue operation in the Central Mediterranean. Over the past three days, Aquarius has assisted two boats in distress and now has 58 survivors on board, several of whom are psychologically distressed and fatigued from their journeys at sea and experiences in Libya, and who must be disembarked urgently in a place of safety in accordance with international maritime law. Throughout its current operation and during all previous rescue operations, the Aquarius has maintained full transparency while operating under the instructions of all maritime coordination centres and following international maritime conventions.

    SOS MEDITERRANEE and MSF demand that European governments allow the Aquarius to continue its rescue mission by reassuring the Panama authorities that the threats made by the Government of Italy are unfounded, or by immediately issuing a new flag under which the vessel can sail.

    https://www.msf.org/italian-government-pressures-panama-stop-aquarius-rescues-worlds-deadliest-mari
    #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #ONG #sauvetage #pavillon

    • Le gouvernement italien fait pression sur le Panama pour stopper les opérations de sauvetage de l’Aquarius

      Les autorités maritimes du Panama ont annoncé à SOS Méditerranée et Médecins Sans Frontières (MSF) avoir été forcées de révoquer l’enregistrement du navire de secours en mer Aquarius. Cette révocation résulte de la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien et condamne des centaines d’hommes, de femmes et d’enfants en fuite à rejoindre le cimetière marin qu’est devenu la Méditerranée. Elle porte un coup violent à la mission humanitaire vitale de l’Aquarius, le seul navire de recherche et de sauvetage non gouvernemental encore présent en Méditerranée centrale. Nos deux organisations demandent aux gouvernements européens d’autoriser l’Aquarius à poursuivre sa mission en intercédant auprès des autorités panaméennes et en réaffirmant que les menaces de rétorsion formulées à leur égard par les autorités italiennes sont infondées, ou en lui délivrant immédiatement un nouveau pavillon sous lequel naviguer.

      Le samedi 22 septembre, l’équipe de l’Aquarius a été choquée d’apprendre qu’une communication officielle émanant des autorités panaméennes, indiquait que le gouvernement italien les avait exhorté à prendre des « mesures immédiates » contre l’Aquarius. Le message des autorités maritimes du Panama expliquait alors que « malheureusement, il faut qu’il [l’Aquarius] soit exclu de notre registre, car maintenir ce pavillon impliquerait de sérieuses difficultés politiques pour le gouvernement panaméen et pour la flotte panaméenne qui travaille dans les ports européens ». Cela intervient en dépit du fait que l’Aquarius répond à toutes les normes maritimes en vigueur et qu’il respecte scrupuleusement les spécifications techniques exigées par les autorités du Panama.

      Les deux organisations humanitaires dénoncent ces actions comme une preuve supplémentaire du jusqu’au-boutisme du gouvernement italien qui choisit sciemment de laisser les gens se noyer en mer Méditerranée, et cherche à se débarrasser des derniers témoins de ces naufrages.

      "Les dirigeants européens semblent n’avoir aucun scrupule à mettre en œuvre des tactiques de plus en plus violentes et sordides qui servent leurs propres intérêts politiques au détriment des vies humaines", a déclaré Karline Kleijer, responsable des urgences chez MSF. « Au cours des deux dernières années, les dirigeants européens ont affirmé que plus personne ne devait mourir en mer, mais elles ont parallèlement mis en place des politiques dangereuses qui n’ont fait que renforcer la crise humanitaire en Méditerranée et en Libye. Cette tragédie doit cesser, et pour cela, il faut que les gouvernements de l’Union européenne autorisent l’Aquarius et d’autres navires de recherche et de sauvetage à continuer à fournir une assistance, là où elle est nécessaire, pour sauver des vies et témoigner de ce qu’il se passe. »

      Depuis le début de l’année, plus de 1 250 personnes se sont noyées alors qu’elles essayaient de traverser la Méditerranée centrale. Ceux qui tentent la traversée à présent ont trois fois plus de risque de se noyer que ceux qui ont fait le même trajet en 2015. Le nombre réel de décès est probablement beaucoup plus élevé, les autorités ou les agences des Nations unies n’étant pas témoins de toutes les noyades. Cela a été clairement mis en évidence lors du naufrage survenu au début du mois de septembre au large des côtes libyennes, où plus de 100 personnes se sont noyées.

      Pendant ce temps, les garde-côtes libyens, soutenus par l’Europe, continuent d’intercepter dans les eaux internationales entre l’Italie, Malte et la Libye un nombre croissant de personnes fuyant la Libye, les privant de leur droit à débarquer dans un lieu sûr, comme l’exige le droit international maritime et le droit international relatif aux réfugiés. Ces personnes vulnérables sont renvoyées dans un dangereux système de détention en Libye, où plusieurs centres de détention sont d’ailleurs actuellement touchés par les violents combats qui se déroulent à Tripoli, la capitale.

      "Cinq ans après la tragédie de Lampedusa, lorsque les dirigeants européens ont déclaré ‘plus jamais ça’ et que l’Italie a lancé sa première opération de recherche et de sauvetage à grande échelle, les gens risquent toujours leur vie pour fuir la Libye tandis que le taux de mortalité en mer Méditerranée grimpe en flèche », a tancé Francis Vallat, président de SOS MEDITERRANEE France.

      L’annonce des autorités maritimes du Panama est parvenue à l’Aquarius alors que ses équipes étaient engagées dans une opération active de recherche et de sauvetage en Méditerranée. Au cours des trois derniers jours, l’Aquarius a porté assistance aux passagers de deux bateaux en détresse et compte maintenant 58 rescapés à son bord. Plusieurs d’entre eux sont dans un état de détresse psychologique, épuisés par les expériences traumatisantes vécues en mer et en Libye Ces rescapés doivent être rapidement débarqués dans un port sûr conformément au droit international maritime.

      Tout au long de son opération de sauvetage actuelle et au cours de toutes les opérations précédentes, l’Aquarius a maintenu une transparence totale sur ses actions, intervenant sous les instructions des centres de coordination maritimes et respectant les conventions maritimes internationales en vigueur.

      SOS Méditerranée et MSF insistent de nouveau sur le fait que l’Aquarius doit être autorisé à poursuivre sa mission de secours humanitaire. Elles exigent que les gouvernements européens lui attribuent un nouveau pavillon ou qu’ils intercèdent auprès des autorités panaméennes, leur confirmant que les menaces de rétorsion formulées par le gouvernement italien sont infondées.

      http://www.sosmediterranee.fr/journal-de-bord/CP23-09-2018-Panama

    • Migranti, Panama blocca la nave #Aquarius_2. Msf e Sos Méditerranée: «Pressioni dal governo italiano»

      Le autorità panamensi hanno revocato l’iscrizione dai propri registri navali, informando il proprietario della richiesta italiana di «azioni immediate». Il Viminale nega ogni intervento. Salvini: «Nessun Paese vuole essere identificato con una nave che intralcia i soccorsi in mare e attacca governi democratici»

      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/09/23/news/aquarius2-207151404

    • Pressioni italiane su Panama che cancellerà Aquarius dai registri navali, l’accusa è per non aver restituito alla Libia i migranti salvati

      SOS Méditerranée e Medici Senza Frontiere sono «sconvolte dall’annuncio dell’Autorità marittima di Panama di essere stata costretta a revocare l’iscrizione dell’Aquarius dal proprio registro navale sotto l’evidente pressione economica e politica delle autorità italiane.

      Questo provvedimento condanna centinaia di uomini, donne e bambini, alla disperata ricerca di sicurezza, ad annegare in mare e infligge un duro colpo alla missione umanitaria di Aquarius». Così in una nota le due organizzazioni umanitarie.

      SOS Mediterrannee e MSF chiedono all’Europa di permettere all’Aquarius di poter continuare ad operare nel Mediterraneo centrale e di far sapere alle autorità panamensi che «le minacce del governo italiano sono infondate o di garantire immediatamente una nuova bandiera per poter continuare a navigare».

      E’ quanto chiedono le due Ong in una nota nella quale è riportata anche una dichiarazione di Karline Kleijer, responsabile delle emergenze per Msf. «I leader europei - afferma Kleijer - sembrano non avere scrupoli nell’attuare tattiche sempre più offensive e crudeli che servono i propri interessi politici a scapito delle vite umane. Negli ultimi due anni, i leader europei hanno affermato che le persone non dovrebbero morire in mare, ma allo stesso tempo hanno perseguito politiche pericolose e male informate che hanno portato a nuovi minimi la crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale e in Libia. Questa tragedia deve finire, ma ciò può accadere solo se i governi dell’Ue permetteranno all’Aquarius e alle altre navi di ricerca e soccorso di continuare a fornire assistenza».

      Salvini,denuncerò ong che aiutano scafisti - «Denuncerò per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina chi aiuta gli scafisti». Lo afferma il Ministro dell’Interno Matteo Salvini che aggiunge: «Nelle ultime ore i trafficanti hanno ripreso a lavorare, riempiendo barchini e approfittando della collaborazione di qualche Ong. Tra queste c’è Aquarius 2, che poco fa ha recuperato 50 persone al largo di Zuara. Altri due gommoni, con a bordo 100 immigrati ciascuno, sarebbero in navigazione».

      Aquarius 2 recupera 50 persone,altre 100 in arrivo - Aquarius 2 ha recuperato 50 persone al largo della Libia, più precisamente al largo della città di Zuara. A renderlo noto è il Ministro dell’Interno Matteo Salvini.
      Salvini riferisce anche che Aquarius 2 sta per essere cancellata dai registri navali di Panama. La notizia era stata pubblicata due giorni fa dal quotidiano panamense La Prensa.

      "Per aver disatteso le procedure internazionali in materia di immigranti e rifugiati assistiti al largo delle coste nel Mediterraneo - si legge nell’articolo - l’amministrazione marittima panamense ha avviato l’iter per annullare d’ufficio la registrazione della nave «Aquarius 2», ex «Acquarius», con numero IMO 7600574. Questa nave ha registrato la prima immatricolazione in Germania e circa un mese fa è arrivata a Panama".

      «L’autorità marittima di Panama - riporta ancora la Prensa - ha riferito che la denuncia principale proviene dalle autorità italiane, che hanno riferito che il capitano della nave si è rifiutato di restituire gli immigranti e i rifugiati assistiti al loro luogo di origine».

      Nell’articolo si ricorda inoltre che già «l’amministrazione marittima di Gibilterra aveva negato il permesso di ’Aquarius’ di agire come un battello di emergenza e anche nel mese di giugno e luglio di quest’anno, ha chiesto formalmente che ’sospenda le sue operazioni’ e ritorni al suo stato di registrazione originale come ’nave oceanografica’».

      Galantino, strano parlare di migranti in dl sicurezza - «A me sembra strano che si parli di immigrati all’interno del decreto sicurezza. Inserirlo lì dentro significa giudicare già l’immigrato per una sua condizione», «per il suo essere immigrato e non per i comportamenti che può avere. E’ un brutto segnale sul piano culturale, perché si tratta di un tema sociale che va affrontato nel rispetto della legalità ma non possiamo considerare la condizione degli immigrati come una condizione di delinquenza». Lo ha detto a «Stanze Vaticane» di Tgcom24, Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale Cei.

      https://dirittiumani1.blogspot.com/2018/09/pressioni-italiane-su-panama-che.html

    • The Aquarius : Migrant rescue ship has registration revoked

      A rescue vessel operating in the central Mediterranean Sea has had its registration revoked, leaving its future operations in jeopardy.

      When the Aquarius next docks, it will have to remove its Panama maritime flag and cannot set sail without a new one.

      It is the last private rescue ship operating in the area used for crossings from Libya to Europe.

      The charities who run the vessel accuse the Italian government of pressuring Panama into deflagging the Aquarius.

      The two groups who lease it, Médecins Sans Frontières (MSF) and SOS Mediterranée, say they were notified of the decision by the Panama Maritime Authority (PMA) on Saturday.

      The authority is said to have described the ship as a “political problem” for the country’s government, and said Italian authorities had urged them to take “immediate action” against them, according to SOS Mediterranée.

      Italy’s Interior Minister Matteo Salvini, who has previously described the aid boats as a “taxi service” for migrants, denies his country put pressure on Panama.

      On Sunday, he tweeted he “didn’t even know” what prefix Panama has for telephone calls.

      https://www.bbc.com/news/world-europe-45622431

    • Dopo le accuse alle ong da oggi Mediterraneo senza presidi umanitari

      Oggi, 20 settembre 2018, uno degli obiettivi politici di molti governi europei sembra pienamente raggiunto: il Mediterraneo centrale è privo di presidi umanitari, di imbarcazioni destinate a prestare soccorso, di mezzi attrezzati e personale formato al fine di salvare vite umane.

      Dunque, con la sola eccezione della nave Aquarius, dove opera Medici Senza Frontiere, il Mediterraneo è stato, per così dire, sgomberato dalla presenza di tutti i soccorritori e i volontari. E di tutti gli operatori umanitari (medici, psicologi, mediatori e interpreti) – a partire dal 2015 – hanno realizzato centinaia di missioni e centinaia di salvataggi, risparmiando migliaia e migliaia di vittime, offrendo riparo e protezione ai fuggiaschi di tante guerre e di tante miserie. E riducendo il numero delle stragi che, non da ieri ma dai primi anni novanta (attenzione: dai primi anni novanta), si ripetono in quel tratto di mare. Ora lì operano, quando operano, solo navi e organismi degli stati europei, in genere indirizzati verso la difesa delle frontiere piuttosto che verso il soccorso dei naufraghi.

      E alcune guardie costiere prive di indirizzi politici univoci e le motovedette della Libia (meglio sarebbe dire: delle diverse milizie libiche). È ciò che alcuni governi europei, compreso quello italiano, si sono proposti da tempo: cancellare, o comunque ridurre al minimo, il ruolo delle organizzazioni non governative finalizzate al soccorso per lasciare campo libero all’attività di respingimento di migranti e profughi attraverso il blocco del Mediterraneo con la chiusura di porti, vie d’accesso, canali di fuga e rotte alternative. L’obiettivo è chiarissimo: attraverso l’esclusione delle Ong si persegue la mortificazione, fino all’annullamento, del diritto/dovere al soccorso.

      E per ottenere quest’ultimo scopo, nel corso degli ultimi due anni si è attuata una sequenza micidiale: prima una campagna di delegittimazione delle Ong tramite lo sfregio della loro identità e della loro immagine e l’indecente assimilazione dei soccorritori ai criminali («Le ong complici degli scafisti»); poi una successione di iniziative giudiziarie tendenti ad assimilare l’attività di soccorso a una fattispecie penale: ovvero il salvataggio come reato. Infine, un attacco politico fondato sulla rappresentazione di migranti e richiedenti asilo come nemici della stabilità e della sicurezza dell’Europa – e in particolare dell’Italia – e delle ong come loro complici e sicari.

      Oggi, a distanza di qualche anno da quando questa manovra politica è iniziata, sul piano giudiziario non c’è stato nemmeno un rinvio a giudizio per un solo membro di una sola ong e, all’opposto, si sono avute ordinanze e sentenze che riconoscevano la loro attività come fondamentale e pienamente rispettosa delle leggi e del diritto internazionale. Tuttavia, come si è detto, oggi nel Mar Mediterraneo i presidi umanitari sono ridotti al lumicino e le conseguenze materiali e il relativo carico di sofferenze è stato onerosissimo. Le navi delle Ong hanno dovuto percorrere molte miglia in più durante ciascuna missione e sono rimaste in mare per giorni senza l’indicazione di un porto di approdo sicuro – costringendo donne, uomini e bambini, già provati fisicamente e psicologicamente, ad affrontare lunghissime traversate, spesso in condizioni meteorologiche avverse. Non solo, quindi, le recenti politiche nazionali e internazionali hanno messo in pericolo la loro incolumità e quella degli equipaggi delle Ong, ma perfino la Guardia Costiera italiana, come è noto, ha dovuto attendere dieci giorni prima di poter sbarcare a Catania le persone salvate.

      Eppure la partita è tutt’altro che conclusa. I flussi di migranti e profughi continuano e le morti non si arrestano. E la riduzione delle cifre relative agli sbarchi corrisponde, in una certa misura, all’incremento del numero di quanti vengono rinchiusi nei centri di detenzione in Libia, e lì torturati, stuprati, uccisi. L’assenza di presidi umanitari nel Mediterraneo fa sì che sempre meno si sappia di quanto lì accade: ma se è vero, come è vero, che appena qualche giorno fa ben 184 persone sono sbarcate a Lampedusa, ciò significa che le fughe continuano ma che si sono fatte meno visibili e meno controllabili.

      Per tutte queste ragioni, ieri si è tenuta una conferenza stampa alla Camera dei Deputati dove Sandro Veronesi, i rappresentanti di Proactiva Open Arms, Sea Watch e Medici Senza Frontiere, Eleonora Forenza, Riccardo Magi e chi scrive, hanno ragionato intorno al tema «Mediterraneo. Mare loro». Si è ricordato che Proactiva Open Arms ha deciso di trasferire le sue missioni nel Mediterraneo Occidentale, in attesa di tornare il prima possibile a fare il suo lavoro: salvare vite umane. Altrettanto intendono fare Sea Watch e Medici Senza Frontiere, come hanno affermato Giorgia Linardi e Marco Bertotto, convinti che il diritto/dovere al soccorso costituisca una prerogativa fondamentale della civiltà umana.

      https://ilmanifesto.it/dopo-le-accuse-alle-ong-da-oggi-mediterraneo-senza-presidi-umanitari

      #ONG #Méditerranée #asile #migrations #Méditerranée_centrale #sauvetage #réfugiés

    • Le Panama retire son pavillon à l’“Aquarius 2”, le dernier bateau d’ONG en Méditerranée

      Les autorités panaméennes ont annoncé leur intention de retirer son pavillon au bateau Aquarius 2. SOS Méditerranée et Médecins sans frontières, qui affrètent le bateau, dénoncent des pressions du gouvernement italien.


      https://www.courrierinternational.com/article/le-panama-retire-son-pavillon-laquarius-2-le-dernier-bateau-d

    • L’Aquarius demande à accoster en France, Paris préfère une « solution européenne »

      Bientôt privé de pavillon, le navire humanitaire Aquarius était lundi « en route vers Marseille » après avoir demandé « à titre exceptionnel » à la France de pouvoir y débarquer les 58 migrants secourus à son bord. Mais Paris y semblait peu favorable, évoquant plutôt une « solution européenne ».

      « Aujourd’hui, nous faisons la demande solennelle et officielle aux autorités françaises » de donner, « de manière humanitaire, l’autorisation de débarquer » les rescapés, parmi lesquels 17 femmes et 18 mineurs, a indiqué le directeur des opérations de SOS Méditerranée, Frédéric Penard.

      Il est pour l’instant impossible de prévoir « quand le navire arrivera » sur les côtes françaises, a souligné M. Penard lors d’une conférence de presse à Paris, l’Aquarius étant « toujours susceptible d’être mobilisé » pour une opération de sauvetage.

      Mais il faudrait « environ quatre jours » au navire, qui se trouve actuellement au large de la Libye, pour gagner Marseille, a précisé Francis Vallat, le président de l’ONG en France.

      Depuis le début de la crise provoquée cet été par la fermeture des ports italiens aux migrants, la France n’a jamais accepté de laisser débarquer les navires humanitaires, arguant qu’en vertu du droit maritime les naufragés doivent être débarqués dans le « port sûr » le plus proche.

      « Nous avons alerté d’autres pays mais nous avons du mal à imaginer que la France puisse refuser, compte tenu de la situation humanitaire », a ajouté M. Vallat. Sans préjuger de la réponse, il a assuré qu’à aucun moment les autorités, qui ont été prévenues en amont, « ne nous ont dissuadés de monter vers Marseille ».

      Mais Paris semblait dans la soirée peu favorable à cette hypothèse. Contacté par l’AFP, Matignon a d’abord indiqué chercher « une solution européenne » selon le principe du « port sûr le plus proche ». « Et en l’occurrence ce n’est pas Marseille », a ensuite précisé le porte-parole du gouvernement, Benjamin Griveaux, sur Canal+.

      Pour SOS Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF), qui ont affrété le navire, la situation est également « extrêmement critique » parce que le navire risque de perdre le pavillon du Panama au moment de toucher terre, a fait valoir M. Penard. Regagner Marseille, port d’attache du navire et siège de SOS Méditerranée, est donc crucial pour « mener ce combat, qui va être difficile, pour repavilloner l’Aquarius ».

      – « Du jamais vu » -

      Les autorités maritimes panaméennes ont annoncé samedi qu’elles allaient retirer son pavillon à l’Aquarius, déjà privé en août de pavillon par Gibraltar, pour « non-respect » des « procédures juridiques internationales » concernant le sauvetage de migrants en mer Méditerranée.

      « Du jamais vu et en soi un scandale », selon M. Vallat, qui a demandé au Panama « de revenir sur sa décision » et sinon aux Etats européens de fournir un pavillon à l’Aquarius. « Nous ne voulons pas nous arrêter, nous ne cèderons qu’à la force ou à la contrainte », a-t-il lancé.

      Les deux ONG avaient précédemment dénoncé « la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien » sur les autorités panaméennes — allégation contestée par le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Aujourd’hui « l’Aquarius est le seul navire civil en Méditerranée centrale, qui est la route maritime la plus mortelle du monde », a fait valoir SOS Méditerranée, avec « plus de 1.250 noyés » depuis le début de l’année.

      Les autres navires humanitaires, qui étaient encore une dizaine il y a un peu plus d’un an au large de la Libye, ont quitté la zone pour des raisons diverses. Le Lifeline est bloqué à La Valette où les autorités ont ouvert une enquête administrative, tandis que le Iuventa, soupçonné de collusion avec des passeurs, a été saisi par les autorités italiennes en août 2017.

      « Non seulement les Européens ne mettent pas en place de mécanisme de sauvetage pérenne, mais ils essaient de détruire la capacité de la société civile à répondre à cette crise en Méditerranée », s’est indignée AssiBa Hadj-Sahraoui de MSF.

      Même si on est loin du pic des arrivées de 2015, la question migratoire divise encore profondément l’Europe, qui cherche à empêcher les départs clandestins.

      En juin, l’Aquarius avait déjà été au cœur d’une crise diplomatique, après avoir récupéré 630 migrants au large de la Libye, débarqués en Espagne après le refus de l’Italie et de Malte de les accepter. Le scénario s’était répété en août pour 141 migrants débarqués à Malte.

      https://www.liberation.fr/planete/2018/09/24/l-aquarius-demande-a-accoster-en-france-paris-prefere-une-solution-europe

    • La marine royale ouvre le feu sur un go-fast et fait 1 mort et 3 blessés

      Les personnes à bord étaient toutes marocaines, à l’exception du pilote, espagnol.

      Un bateau qui naviguait dans les eaux marocaines de la Méditerranée, a été, ce mardi 25 septembre, la cible de tirs d’une unité de la marine royale, annonce un communiqué de la préfecture de M’diq-Fnideq. L’embarcation avait refusé de se conformer aux avertissements qui lui avaient été adressés, poursuit le communiqué.

      Le bateau rapide de type “Go fast”, qui a été arrêté, était piloté par un citoyen espagnol et transportait des candidats à l’immigration clandestine, selon les données initiales rapportées par la préfecture. Les migrants à bord seraient quant à eux de nationalité marocaine, rapportent 2M.ma.

      La #fusillade a causé 4 blessés qui ont été transférés à l’hôpital régional de Fnideq pour recevoir les traitements nécessaires.

      Une première information rapportée par nos confrères de 2M, citant une source hospitalière dans un post sur Twitter, indiquait qu’une femme parmi les blessés avait succombé à ses blessures à l’hôpital. Ce post a été supprimé dans la soirée, avant de repartager l’info après 22h.

      https://www.huffpostmaghreb.com/entry/la-marine-royale-ouvre-le-feu-sur-un-go-fast-et-fait-un-mort-et-tro
      #Maroc

      Une des victimes:
      Una joven, víctima de los disparos de la Marina Real de Marruecos cuando huía a España


      https://elpais.com/politica/2018/09/26/actualidad/1537984724_391033.html?id_externo_rsoc=TW_CC

    • L’"Aquarius", un bateau pirate ? Quatre questions sur l’imbroglio juridique qui menace le navire humanitaire

      Le Panama a décidé de retirer le pavillon accordé cet été au bateau géré par l’ONG SOS Méditerranée, remettant en cause sa mission de sauvetage de migrants récupérés au large de la Libye.

      Les obstacles à la navigation de l’Aquarius s’accumulent. Le Panama a annoncé, samedi 22 septembre, qu’il allait retirer son pavillon au navire humanitaire, alors que celui-ci cherche un port pour débarquer 58 naufragés secourus au large de la Libye. L’Aquarius avait repris ses activités de sauvetage la semaine dernière après une escale forcée de 19 jours, faute de pavillon, et a annoncé qu’il faisait désormais route vers Marseille. Franceinfo fait le point sur cette décision et ses conséquences pour le navire humanitaire.

      Comment le Panama justifie-t-il cette décision ?

      Les autorités maritimes du Panama se sont fendues d’une explication de quelques lignes dans un communiqué diffusé sur leur site. « L’administration maritime panaméenne a entamé une procédure d’annulation officielle de l’immatriculation du navire Aquarius 2, ex-Aquarius (...) après la réception de rapports internationaux indiquant que le navire ne respecte pas les procédures juridiques internationales concernant les migrants et les réfugiés pris en charge sur les côtes de la mer Méditerranée », établit ce communiqué.

      Le Panama évoque également le fait que le navire s’est déjà vu retirer son pavillon par Gibraltar. En août, le gouvernement de Gibraltar avait révoqué le pavillon de l’Aquarius après lui avoir demandé de suspendre ses activités de sauvetage pour lesquelles il n’est pas enregistré dans le territoire britannique. Le bateau s’était alors tourné vers le Panama.

      L’"Aquarius" a-t-il enfreint le droit international ?

      A quelles « procédures juridiques internationales » le Panama fait-il référence ? L’Etat d’Amérique centrale indique que la principale plainte émane des autorités italiennes, selon lesquelles « le capitaine du navire a refusé de renvoyer des migrants et réfugiés pris en charge vers leur lieu d’origine ».

      Une référence, ici, au refus du navire de ramener en Libye des naufragés qui avaient pris la mer depuis les côtes libyennes, selon Alina Miron, professeure de droit international à l’université d’Angers et spécialisée dans le droit maritime, « puisque tous les naufragés secourus par l’Aquarius, depuis qu’il bat le pavillon panaméen, venaient de Libye », souligne-t-elle à franceinfo.

      Et « de ce point de vue-là, l’Aquarius ne contrevient nullement au droit international », explique Alina Miron. « L’Aquarius a surtout l’obligation de ne pas les ramener en Libye », fait-elle valoir. En effet, les conventions maritimes internationales prévoient que toute personne secourue en mer, quels que soient son statut et sa nationalité, soit débarquée dans un lieu sûr. Or, la Libye n’est pas considérée comme un lieu sûr de débarquement, comme l’a rappelé le Haut-Commissariat pour les réfugiés des Nations unies (HCR) en septembre.

      Quel est le rôle de l’Italie dans cette décision ?

      « Cette révocation résulte de la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien » sur le Panama, ont déclaré les ONG Médecins sans frontières et SOS Méditerrannée, qui gèrent l’Aquarius, dans un communiqué.

      « Le communiqué du Panama établit que les autorités ont pris cette décision suite à une communication avec l’Italie. Cela veut bien dire que le Panama n’a pas pris cette décision de son propre chef, d’autant plus qu’il avait pris le temps de vérifier la situation de l’Aquarius avant de lui accorder son pavillon cet été », souligne de son côté Alina Miron.

      Le communiqué du Panama précise par ailleurs que « l’exécution d’actes portant atteinte aux intérêts nationaux constitue une cause de radiation d’office de l’immatriculation des navires ».

      Cela illustre les pressions de l’Italie qui ont conduit le Panama à prendre cette décision.Alina Miron, spécialiste du droit maritimeà franceinfo

      Qu’est-ce que cela change pour l’"Aquarius" ?

      Le retrait du pavillon panaméen n’est pas effectif immédiatement. Les conventions internationales établissent qu’aucun changement de pavillon ne peut intervenir au cours d’un voyage ou d’une escale. L’Aquarius conserve donc son pavillon pendant toute la durée de son voyage, jusqu’à ce qu’il rejoigne son port d’attache au Panama ou qu’il fasse une longue escale technique.

      « Ça, c’est en théorie, détaille Alina Miron, mais le Panama a créé une situation de confusion et certaines marines nationales, notamment la marine libyenne, vont utiliser cette confusion pour considérer l’Aquarius comme un navire sans nationalité. » Or, les marines nationales peuvent exercer des pouvoirs de police sur des navires sans nationalité en haute mer, ce qui est impossible sur un navire qui bat pavillon, développe la juriste. « Le risque le plus immédiat, pour l’Aquarius, c’est que la marine libyenne monte à bord pour opérer des vérifications, même sans accord du capitaine », explique Alina Miron.

      Face à cette situation, SOS Mediterrannée et Médecins sans frontières « demandent aux gouvernements européens d’autoriser l’Aquarius à poursuivre sa mission, en intercédant auprès des autorités panaméennes et en réaffirmant que les menaces de rétorsion formulées à leur égard par les autorités italiennes sont infondées, ou en lui délivrant immédiatement un nouveau pavillon sous lequel naviguer ».

      https://mobile.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/aquarius/l-aquarius-un-bateau-pirate-quatre-questions-sur-l-imbroglio-juridique-qui-menace-le-navire-humanitaire_2954663.html#xtref=http://m.facebook.com

    • Aquarius, "Stati Ue concedano bandiera”. E spunta l’ipotesi Vaticano

      Dopo le pressioni Panama cancella Aquarius II dal suo registro. Penard (Sos Mediterranée): “Stati che dicono di aderire a solidarietà propongano soluzione”. Lodesani (Msf): “Stanchi di menzogne e attacchi, nostro obiettivo salvare vite, a bordo anche famiglie libiche che scappano da inferno”

      Un appello a tutti gli Stati europei, in particolare a quelli che “ripetono di aderire a valori di solidarietà” perché consentano l’iscrizione della bandiera della nave Aquarius II, in uno dei loro registri nazionali. “L’unico gesto concreto per rendere ancora possibile il salvataggio in mare di persone in difficoltà all’ultima nave di ong rimasta nel Mediterraneo”. Lo hanno ribadito in una conferenza stampa oggi a Roma Frederic Penard, direttore delle operazioni Sos Mediterranee e Claudia Lodesani, presidente di Medici senza frontiere.

      Il caso politico diplomatico è noto: dopo gli ultimi salvataggi in mare operati da Aquarius II, a largo della Libia, e il rifiuto di riconsegnare le persone alla cosiddetta guardia costiera libica, Panama ha comunicato di voler ritirare la sua bandiera alla nave, per evitare di avere “problemi politici” con l’Italia. Ma l’assenza di una bandiera vuol dire di fatto fermare la nave. “Per noi è stato uno shock - spiega Penard - In questo momento siamo l’ultima nave a fare ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Per l’iscrizione al registro di Panama abbiamo fornito oltre 70 certificazioni alle autorità, siamo perfettamente in regola e abbiamo sempre agito nella legalità - aggiunge il responsabile di Sos Mediterranèe -. Abbiamo chiesto spiegazioni, anche per capire il perché di questo passo indietro”. Le due ong spiegano che in una nota riservata dell’autorità marittima panamense inviata all’ armatore di Aquarius, si dice esplicitamente che la nave deve essere esclusa dal registro perché la sua permanenza provocherebbe un “problema politico” con l’Italia. L’armatore di Aquarius ha parlato esplicitamente di “pressioni politiche” sul governo panamense.

      “La nostra richiesta è che Panama torni indietro sulla sua decisione, riconsiderandola - aggiunge Penard -. Inoltre chiediamo agli Stati europei di proporre una soluzione per Aquarius, e alla società civile di fare pressione sui propri governi per sostenere il nostro lavoro, il soccorso in mare non può essere criminalizzato”. In queste ore alcuni parlamentari si sono mossi in Svizzera per chiedere che il governo elvetico conceda la propria bandiera.

      Un appello dal basso, che inizia a circolare anche sui social, chiama in causa anche il Vaticano: “Non so se sia possibile, ma se lo fosse, sarebbe bello che il Vaticano offrisse la propria bandiera alla nave Aquarius - sottolinea don Luca Favarin, parroco di Padova su Facebook-. Una chiesa in acqua non farà mai acqua. Così limpidamente e semplicemente schierata dalla parte degli ultimi, sbilanciata sui diritti dei poveri”. Penard ha spiegato di non aver contattato direttamente nessuno stato, e che l’appello vale per tutti quindi semmai fosse offerto il registro Vaticano sarebbe accettato con favore, anche se “probabilmente quel registro, che esiste, non viene usato da secoli”.

      Intanto, le due organizzazioni non nascondono il malumore per i continui attacchi politici, e mediatici, nei confronti del loro operato. "Siamo stanchi di menzogne, attacchi e intimidazioni, di essere additati come quelli che violano le norme internazionali. È il momento di accusare chi sono i veri responsabili del business degli scafisti: le scellerate politiche europee” sottolinea Claudia Lodesani. “Siamo stati chiamati noi vicescafisti - aggiunge - ma oggi gli Stati europei non prendono neanche in considerazione l’ipotesi di pensare a vie legali di ingresso. Sono queste politiche che aiutano gli scafisti, non certo noi. Il nostro obiettivo è la salvaguardia della vita umana e in nome di questo operiamo salvataggi in mare”. Lodesani ricorda che dall’inizio dell’anno, pur a fronte di una diminuzione di arrivi dell’80 per cento, ci sono già stati 1260 morti in mare. “Siamo passati da 1 morto ogni 32 a 1 morto ogni 18 - Ostacolare il soccorso e l’azione umanitaria vuol dire solo eliminare testimoni scomodi dal Mediterraneo. La vita delle persone non è più al centro delle politiche, ma ora le persone sono usate come ostaggio dalla politica - aggiunge - . Questa situazione è responsabilità è di tutti i paesi europei, anche perché parlando di poche persone. Inoltre, bisogna ricordare che il salvataggio in mare va distinto dall’accoglienza ed è governato da leggi internazionali. Va assicurato il porto più sicuro e più vicino di sbarco. Poi - continua - come sempre abbiamo fatto, chiediamo la solidarietà europea nell’accoglienza”.

      Tra le 58 persone tratte in salvo da Aquarius II nel Mediterraneo ci sono anche 37 libici: “ si tratta di famiglie che scappano dall’Inferno della Libia, un paese attualmente in guerra. E che quindi non può essere considerato un luogo sicuro, le persone non possono essere respinte in Libia. Ci chiediamo se riportarle in quell’inferno sia etico e se sia legale”. “Tra le altre persone a bordo - aggiunge Mathilde Auvillain, di Sos Mediterranée, ci sono 18 minori, 17 donne, di cui una incinta. Ci siamo rifiutati di fare il trasbordo di queste persone sulle motovedette libiche, perché riportarle indietro è illegale”. Lo sbarco, dopo il rifiuto dell’Italia dovrebbe avvenire nei prossimi giorni a Malta, ma non si sa ancora quando. I migranti saranno poi accolti in 4 paesi: Francia, Portogallo, Spagna e Germania.

      “Il soccorso in mare è regolato da principi fondamentali e regole precise - spiega Lorenzo Trucco, presidente di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) - In particolare, dalla Convenzione Soas sulla salvaguardia in mare, dalla Convenzione Sar e dalla Convenzione europea sul soccorso in mare. Tutte queste convenzioni sono state ratificate con leggi in Italia e tutte dicono che il principio primario è la salvaguardia della persona, che va salvata e portata in un luogo sicuro. Per questo la questione libica non è un’opinione, è certificato che non si tratti un luogo sicuro, quello che accade nei centri di detenzione è stato denunciato a settembre anche da Unhcr. Il respingimento di persone in Libia è grave - afferma - La questione del soccorso non è solo diritto ma un obbligo sanzionato da tutte le nazioni. E’ paradossale, quindi, quello che sta succedendo”.

      Duro il commento anche di Filippo Miraglia di Arci sulle pressioni dell’Italia verso il governo panamense: “Msf e Sos Medierranée in questo momento rappresentano tutti noi in mare, mi fa accapponare la pelle pensare che il governo italiano abbia intimidito in maniera mafiosa il governo panamense - afferma - E’ un gesta che fa venire i brividi, come fa venire i brividi il combinato disposto tra la chiusura dei porti e il decreto Salvini. C’è da vergognarsi”.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/598417/Aquarius-Stati-Ue-concedano-bandiera-E-spunta-l-ipotesi-Vaticano
      #Vatican

    • Appel à donner le pavillon suisse à l’Aquarius : interview de Guillaume Barazzone

      Le Conseil fédéral doit accorder un pavillon suisse à l’Aquarius, ont demandé mercredi trois parlementaires. Depuis trois jours, ce navire qui porte secours aux migrants en mer Méditerranée, n’a plus de drapeau. Interview de Guillaume Barazzone (PDC/GE), l’un des auteurs de cette interpellation.

      https://www.rts.ch/play/radio/forum/audio/appel-a-donner-le-pavillon-suisse-a-laquarius-interview-de-guillaume-barazzone?i

    • Vive émotion au Maroc après les tirs meurtriers de la marine sur un bateau de migrants

      La jeune femme tuée tentait d’atteindre l’Espagne. Un trajet de plus en plus emprunté, sur fond de tension migratoire accrue dans le royaume.

      L’émotion était vive au Maroc, mercredi 26 septembre, au lendemain de la mort d’une femme de 22 ans, originaire de la ville de Tétouan, tuée alors qu’elle tentait d’émigrer vers l’Espagne. Selon les autorités locales, la marine a été « contrainte » d’ouvrir le feu alors qu’un « go fast » (une puissante embarcation à moteur) piloté par un Espagnol « refusait d’obtempérer » dans les eaux marocaines au large de M’diq-Fnideq (nord). Outre la jeune Marocaine décédée, trois autres migrants ont été blessés, a confirmé une source officielle à l’AFP.

      Le drame s’est produit dans un contexte de tension migratoire au Maroc, confronté à une forte hausse des tentatives d’émigration depuis ses côtes et autour des enclaves espagnoles de Ceuta et Melilla. Rabat a ainsi indiqué avoir empêché 54 000 tentatives de passage vers l’Union européenne depuis janvier. De son côté, le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) chiffre le nombre d’arrivées en Espagne à quelque 40 000 personnes depuis le début de l’année (contre 28 000 en 2017 et 14 000 en 2016).

      Rafles et éloignements forcés

      La route migratoire Maroc-Espagne, qui était très utilisée il y a une dizaine d’années, a connu une nouvelle hausse d’activité depuis le renforcement des contrôles sur la Libye et les témoignages d’extrême violence contre les migrants par les réseaux de passeurs dans ce pays. Mais le Maroc voit également augmenter le nombre de ses nationaux candidats au départ, poussés par l’absence de perspectives dans un pays où 27,5 % des 15-24 ans sont hors du système scolaire et sans emploi. Selon le HCR, les Marocains représentaient 17,4 % des arrivées en Espagne en 2017, la première nationalité devant les Guinéens et les Algériens.

      Depuis 2015, le palais royal avait mis en avant une nouvelle politique migratoire avec deux campagnes de régularisation de 50 000 clandestins, principalement des Subsahariens. Mais ces derniers mois, le royaume a considérablement durci ses pratiques, multipliant les rafles et les éloignements forcés. Selon le Groupe antiraciste de défense et d’accompagnement des étrangers et migrants, une association marocaine, 6 500 personnes ont ainsi été arrêtées et déplacées du nord du pays vers des villes reculées du centre et du sud entre juillet et septembre.

      Le gouvernement a eu beau plaider que ces déplacements se font dans le « respect de la loi », les associations dénoncent des violences et l’absence de cadre légal concernant ces pratiques. Mi-août, deux migrants sont morts après avoir sauté du bus qui les éloignait de Tanger. Amnesty International a souligné une « répression choquante », « à la fois cruelle et illégale ». « Depuis fin juillet, la police marocaine ainsi que la gendarmerie royale et les forces auxiliaires procèdent à des raids majeurs dans les quartiers de plusieurs villes où vivent les réfugiés et les migrants, d’une intensité particulière dans les provinces du nord du pays de Tanger, Nador et Tétouan, qui bordent la frontière espagnole », écrit l’ONG. Les zones entourant les deux enclaves espagnoles en terre africaine, Ceuta et Melilla, sont traditionnellement le lieu de regroupement des migrants qui veulent tenter de rejoindre l’Europe.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/09/27/vive-emotion-au-maroc-apres-les-tirs-meurtriers-de-la-marine-sur-un-bateau-d

    • Migranti, la sfida delle associazioni italiane: una imbarcazione nel Mediterraneo per salvarli

      Ong e Onlus hanno organizzato un’imbarcazione battente la bandiera del nostro Paese per «un’azione di disobbedienza morale contro gli slogan delle destre nazionaliste e di obbedienza alle leggi del mare, del diritto internazionale e della Costituzione»

      A BORDO DELLA NAVE APPOGGIO BURLESQUE - Il rimorchiatore battente bandiera italiana “Mare Ionio” è partito nella notte di mercoledì dal porto di Augusta alla volta della costa Libica. Si tratta della prima missione in acque internazionali completamente organizzata in Italia ed è stata ribattezzata “Mediterranea”.
      Il progetto, promosso da varie associazioni (tra cui Arci nazionale, Ya Basta di Bologna, la Ong Sea-Watch, il magazine online I Diavoli e l’impresa sociale Moltivolti di Palermo) e sostenuto politicamente e finanziariamente da Nichi Vendola e tre parlamentari di Leu (Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto e Rossella Muroni). E’ stato avviato nello scorso luglio ed ha preso corpo nei mesi successivi. L’attività del “Mar Ionio” sarà ufficialmente circoscritta di “monitoraggio, testimonianza e denuncia”, spiegano gli organizzatori. Tuttavia tra le dotazioni a disposizione del “Mare Ionio” ci sono anche gli equipaggiamenti per il Sar, l’attività di search and rescue per la quale però non è abilitato.

      Nelle prossime ore l’imbarcazione, seguita dalla barca appoggio Burlesque (uno sloop Bavaria 50 battente bandiera spagnola con a bordo giornalisti nazionali e internazionali, attivisti e mediatori culturali), entrerà in azione nella stessa zona in cui da qualche giorno incrocia il veliero Astral dell’ong spagnola Open Arms, più volte definita dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, un “taxi del mare”.

      “Non potevamo più stare a guardare – dicono da bordo gli attivisti - bisognava agire e trovare il modo di contrastare il declino culturale e morale che abbiamo davanti. Quella di Mediterranea è un’azione di disobbedienza morale ed al contempo di obbedienza civile. Disobbediamo al prevalente del discorso pubblico delle destre nazionaliste obbedendo alle leggi del mare, del diritto internazionale e della nostra Costituzione che prevedono l’obbligatorietà del salvataggio di chi si trova in condizioni di pericolo”.


      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/04/news/migranti_una_nave_delle_ong_italiane_nel_mediterraneo_per_salvarli-208134

      –-> reçu par la mailing-list Migreurop, en commentaire de l’article italien:

      FR : Plusieurs ONG ont organisé un bateau battant le drapeau de l’Italie comme une « action de désobéissance morale contre les slogans des droites nationalistes et d’obéissance aux droits de la mer, au droit international et à la Constitution »
      Le remorqueur battant le drapeau italien « #Mare_Ionio » est parti dans la nuit de mercredi du port d’Auguste (Sicile) vers les côtes libyennes. C’est la première mission en eaux internationales entièrement organisée en Italie et a été nommée « #Mediterranea ».
      Le projet, à l’initiative de diverses associations (dont Arci, Ya Basta de Bologne, l’ONG Sea-Watch, la revue en ligne I Diavoli et Moltivolti de Palerme) est politiquement soutenue et financée par Nichi Velonda et trois autres parlementaires LeU (Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto e Rossella Muroni).
      Le projet a commencée en juillet dernier et a pris forme dans les mois suivants. L’activité de « Mare Ionio » sera officiellement circonscrite à celles de la « surveillance, le témoignage et la dénonciation », expliquent les organisateurs. Cependant, parmi les équipements et les dispositifs du « Mare Ionio », on retrouve des équipements Sar, l’activité de Search and Rescue pour laquelle il ne dispose pas d’habilitation.
      Dans les prochaines heures, l’embarcation, suivie par le bateau Burlesque (un voilier Bavaria 50 battant le drapeau espagnol, avec à bord des journalistes nationaux et internationaux, des activistes et des médiateurs culturels), entrera en action dans la même zone que le voilier Astral de l’ONG espagnole Open Arms, défini à plusieurs reprises comme un « taxi de la mer » par le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini.

    • New Italian-flagged migrant rescue ship heads into Mediterranean

      A new Italian-flagged migrant rescue ship was headed for the waters off Libya on Thursday, one of the aid groups running the boat said, after similar vessels were prevented from operating.

      “The #MareJonio is on its way!” Sea-Watch tweeted. “In cooperation with #Mediterranea we are back at sea, to keep a sharp lookout and to challenge the European policy of letting people drown.”

      The announcement came on the same day that the Aquarius rescue ship sailed into Marseille harbour and an uncertain fate after Panama pulled its flag, meaning it cannot leave port without a new flag.

      The Mare Jonio is a tug flying the Italian flag that left Augusta in Sicily on Wednesday evening, headed south, maritime tracking websites said. The 37-metre vessel – around half the length of the Aquarius – is not intended to rescue migrants and bring them to a safe port, but to spot and secure migrant-carrying boats that are in distress.

      It will also provide a civilian presence in an area where they say the Libyan coastguard and international military vessels are failing to rescue people, despite several shipwrecks in September. Spanish NGO Proactiva Open Arms sent the Astral sailboat to the area on a similar mission a few days ago.

      The Astral was off the coast of Lampedusa on Wednesday to commemorate the fifth anniversary of a shipwreck there in which 366 migrants died in 2013. The disaster pushed Italy to launch its Mare Nostrum military operation to rescue migrants making the perilous journey from North Africa to Europe.

      Since then European Union and NGO boats have joined in, although most of the aid group boats have now stopped work, some because of what they say are trumped-up administrative charges.

      The International Organisation for Migration says that around 15,000 migrants have drowned in the central Mediterranean since the Lampedusa disaster. During the same period Italy has received around 600,000 migrants on its coast, while other European nations have closed their borders.

      Italy’s former centre-left government tried to stem the flow of migrants by working with the Libyan authorities and limiting the NGO effort. Anti-immigrant Deputy Prime Minister Matteo Salvini, who came to power as part of a populist government in June, has since then closed Italian ports to civilian and military boats that have rescued migrants, saying Italy bears an unfair share of the migrant burden.


      https://www.thelocal.it/20181004/new-italian-flagged-migrant-rescue-ship-heads-into-mediterranean
      #Mare_Jonio

    • Tweet de Matteo Villa:

      Tutto sbagliato nella missione di #Mediterranea. Un disastro pronto per succedere, sotto tutti i punti di vista: tecnico, logistico, politico. Non è così che si fa salvataggio in mare. E non è così che si fa azione politica.
      Il problema è molteplice. Non si va in mare: (a) con gente impreparata; (b) con navi scassate e che contengono a malapena l’equipaggio; (c) con intenti solo politici, senza possibilità di salvare vite; (d) con lo scopo di forzare, portando violenza dove dovrebbe esserci soccorso.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1047886597071548416

    • Italian-flagged migrant rescue boat defies anti immigration minister

      Vessel Mare Jonio sets out towards Libya despite Matteo Salvini clampdown on rescued migrants entering Italian ports

      The first non-military, Italian-flagged, rescue boat to operate in the Mediterranean since the migration crisis began has left for waters off Libya, in a direct challenge to Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini.

      NGO rescue boats have all but disappeared from the main migration routes since Salvini announced soon after taking office this summer that he was closing Italian ports to non-Italian rescue vessels.

      The Italian flag on the 38-metre Mare Jonio will make it harder for Salvini to prevent it from docking, though he could still move to prevent people from disembarking. The boat has been bought and equipped by a coalition of leftwing politicians, anti-racist associations, intellectuals and figures in the arts, under the supervision of two NGOs. Its mission has been called Mediterranea.
      “We want to affirm a principle of humanity that rightwing policies seem to have forgotten,” Erasmo Palazzotto from the leftwing LeU (Free and Equal) party said.

      Anti-immigration policies by the Maltese and Italian governments, which have closed their ports to rescue vessels, have driven a sharp decrease in rescue missions. People seeking asylum are still attempting the risky crossing. But without the rescue boats, shipwrecks are likely to rise dramatically.
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      In August, Salvini refused a landing to 177 people saved in the central Mediterranean by an Italian coastguard ship. The vessel was authorised to dock at the port of Catania but the people on board were forced to remain on board for almost a week.

      ‘‘Should we expect Salvini to close the ports to us too? We are an Italian boat, flying the Italian flag. They will have to answer to this,” Palazzotto said. “If they then attempt to refuse to let the migrants disembark we will not remain silent and will give voice to them from the ship.”

      The ship has received support from the Spanish NGO Pro-Activa and the aid group Seawatch, as well as the writer Elena Stancanelli and the film director Paolo Virzì.

      “This is a moral disobedience mission but also a civil obedience one,” the Mediterranea mission’s press office said in a statement. “We will disobey nationalism and xenophobia. Instead we will obey our constitution, international law and the law of the sea, which includes saving lives.”

      The death toll in the central Mediterranean has fallen in the past year, but the number of those drowning as a proportion of arrivals in Italy has risen sharply in the past few months, with the possibility of dying during the crossing now three times higher. So far in 2018, 21,041 people have made the crossing and 1,260 have died.

      https://www.theguardian.com/world/2018/oct/04/italian-flagged-migrant-rescue-boat-mare-jonio-sets-sail-in-challenge-t

    • Giovedì 4 ottobre – ore 16.25 – Salvini: “Nave Mediterranea? In Italia non ci arrivate”. “Ho saputo che c’è una nave dei centri sociali che vaga per il Mediterraneo per una missione umanitaria e proverà a sbarcare migranti in Italia. Fate quello che volete, prendete il pedalò. Andate in Tunisia, Libia o Egitto, ma in Italia nisba”. Lo ha detto il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini in una diretta Facebook con riferimento alla nave italiana Mediterranea, salpata oggi per svolgere un’attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della situazione nel Mediterraneo.

      “Potete raccogliere chi volete però in Italia non ci arrivate”, ha aggiunto Salvini.

      https://www.tpi.it/2018/10/05/governo-ultime-news

    • *Perché la missione umanitaria «Mediterranea» rischia di diventare un boomerang*

      Mezzi inadeguati, personale non preparato, ricerca dello scontro diplomatico. «Politicizzare i salvataggi in mare rischia di non portare benefici», dice Matteo Villa dell’Ispi.

      Una piccola missione umanitaria nel Canale di Sicilia rischia di compromettere le operazioni di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, già rese complesse dalla politica dei respingimenti adottata dal governo italiano. Nella notte tra mercoledì e giovedì il piccolo rimorchiatore Mare Jonio è salpato dal porto di Augusta per dirigersi verso le acque sar (search and rescue) della Libia, nell’ambito dell’operazione denominata “Mediterranea”. La missione è stata preparata in gran segreto durante gli ultimi mesi e coinvolge ong (Sea Watch), associazioni (Ya Basta Bologna e Arci), e politici (Fratoianni, Palazzotto, Vendola e Muroni) che hanno raccolto i finanziamenti necessari. L’obiettivo – spiega il sito di “Mediterranea” – è quello di svolgere l’“essenziale funzione di testimonianza, documentazione e denuncia di ciò che accade in quelle acque, e che oggi nessuno è più messo nelle condizioni di svolgere”. Quasi un assist per il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che l’ha subito definita una «nave di scalcagnati dei centri sociali che va a prendere tre merluzzetti». «E’ una sentinella civica, benvenga», ha commentato invece l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, ribadendo la scarsa condivisione di vedute con la Lega in tema di immigrazione.

      Mare Jonio è un’imbarcazione datata – varata nel 1972 – e rimessa a nuovo per l’occasione, ma soprattutto piccola, con appena 35 metri di lunghezza e 9 di larghezza. E’ coadiuvata dal veliero Astral dell’ong Proactiva Open Arms, l’unica nave umanitaria ancora attiva nel Mediterraneo centrale (anch’essa con soli compiti di osservazione) e da una goletta con a bordo giornalisti e mediatori culturali. Degli 11 membri dell’equipaggio a bordo del Mare Jonio, fatta eccezione per due operatori dell’ong Sea Watch, nessuno ha esperienze di operazioni sar in mare. La nave è dotata di un solo Rhib (la sigla sta per Rigid Inflatable boats), uno dei piccoli motoscafi adatti a svolgere salvataggi, anche in condizioni difficili. Un container è stato invece adattato a ospedale di bordo, pronto a prestare soccorso in caso di emergenza.

      Nonostante la missione voglia essere una risposta delle ong alla campagna anti-migranti voluta dal governo gialloverde, le criticità sono diverse. “L’idea di fondo, quella di aumentare l’attenzione generale nel Mediterraneo, è giusta. Ma politicizzare i salvataggi in mare rischia di non portare benefici, soprattutto nel lungo periodo”, spiega al Foglio Matteo Villa dell’Ispi. Secondo il ricercatore, che da anni studia i flussi migratori attraverso il Mediterraneo, gli strumenti a disposizione di “Mediterranea” sono inadeguati rispetto all’obiettivo della missione: “Pensare di pattugliare una zona tanto vasta con una sola imbarcazione non ha senso, oltre a comportare un esborso eccessivo tra carburante e strumentazione. Se davvero l’attività principale è quella di monitorare, è molto più efficace usare gli aerei, come succede già con i ’Piloti volontari’, attivi con ottimi risultati da maggio”.

      Ma l’aspetto ancora più preoccupante riguarda i rischi cui saranno sottoposti sia i migranti sia l’equipaggio di “Mediterranea”. Dice Villa: “Le perplessità sono tante e sono condivise anche da molti altri operatori umanitari che con professionalità compiono attività sar. Sotto diversi punti di vista, sia logistici sia politici, la missione è pronta a trasformarsi in un disastro a causa della notevole approssimazione con cui è organizzata, dice il ricercatore dell’Ispi. Nella migliore delle ipotesi l’operazione potrebbe risolversi in una magra figura, come già successo un anno fa con ’Defend Europe’, la nave anti-ong partita per ostacolare le missioni umanitarie e poi finita in avaria”. Ma potrebbero crearsi anche circostanze più complesse. “In caso di identificazione di un barcone in emergenza non è chiaro come si comporterà Mare Jonio. Sulla base di quanto avviene già adesso, è probabile che contatterà il comando Mrcc di Roma che coordina le operazioni di salvataggio e che, a sua volta, contatterà le autorità libiche. Nel caso di intervento delle motovedette di Tripoli potrebbe succedere di tutto: il rimorchiatore come intende agire? Interverrà? Segnalerà l’emergenza e basta?”, si chiede Villa. Per non parlare delle difficoltà logistiche: “In quei momenti concitati i migranti, soprattutto alla vista delle motovedette libiche, sono presi dal panico, molti si gettano in acqua per paura di essere riportati indietro. A bordo del rimorchiatore pare possano essere raccolte poche persone, e certo non per lunghi periodi di tempo”. Andare a cercare lo scontro aperto o l’incidente diplomatico per riaccendere l’attenzione dei governi sui salvataggi in mare può trasformarsi in un boomerang per le ong. La mobilitazione è figlia senza dubbio della politica migratoria più stringente adottata dal governo italiano. “Ma affidare a gruppi antagonisti le operazioni di salvataggio, senza una preparazione e una visione di lungo periodo – conclude Villa – rischia di essere controproducente per chi ritiene i salvataggi in mare una questione molto seria”.

      https://www.ilfoglio.it/cronache/2018/10/05/news/perche-la-missione-umanitaria-mediterranea-rischia-di-diventare-un-boomeran

    • « On doit veiller à ce que ces gens ne se noient pas »

      L’Aquarius vient de perdre pour la deuxième fois son pavillon. Le navire de sauvetage fait route vers Malte avec 58 migrants à son bord. Sans pavillon, il devrait interrompre sa mission. Des parlementaires demandent qu’on lui donne le pavillon suisse.

      Avec les organisations d’entraide Médecins sans frontières (MSFLien externe) et SOS MéditerranéeLien externe, l’Aquarius sauve des migrants en détresse. Il est le dernier navire de sauvetage non gouvernemental en Méditerranée centrale. Depuis que l’Italie a fermé ses ports aux bateaux humanitaires, toutes les ONG se sont retirées du secteur.

      Le week-end dernier, le Panama a annoncé qu’il retirerait son pavillon à l’Aquarius, car celui-ci n’aurait pas respecté le droit international de la mer. En août, Gibraltar avait déjà biffé le navire de son registre maritime. Sans pavillon, l’Aquarius ne peut plus remplir ses missions de sauvetage.

      Cette semaine, trois parlementaires suisses ont demandé, par voie d’interpellation, un geste humanitaire de la Suisse, afin qu’elle accorde son pavillon à l’Aquarius. L’un d’eux est #Kurt_Fluri, conseiller national du Parti libéral-radical et maire de la ville de Soleure. Interview.

      swissinfo.ch : Vous avez la réputation d’être un politicien réaliste. Cette idée humanitaire a-t-elle des chances de passer ?

      Kurt Fluri : Ce qui nous émeut, ce sont les tragédies qui se jouent en Méditerranée. Et c’est peut-être une solution possible pour atténuer le problème. Je ne sais pas si c’est une illusion. C’est pourquoi nous posons la question au gouvernement.
      La Suisse n’a qu’une petite flotte marchande de 30 navires. Pourquoi devrait-elle précisément accorder son pavillon à un bateau de sauvetage ?

      Nous sommes tous d’accord qu’il s’agit d’une situation tout à fait exceptionnelle. Pour moi, cela ne change rien au fait que l’on devrait faire en sorte que ces gens n’essaient même pas de traverser la Méditerranée. Mais s’ils le font quand même, on doit veiller à ce qu’ils ne se noient pas et à ce qu’ils soient admis en Europe.
      Selon la loi, le pavillon suisse est réservé aux navires de commerce. S’il faut modifier la loi pour répondre à votre demande, cela va prendre beaucoup de temps pour que l’Aquarius puisse hisser le pavillon suisse. Or, il a besoin d’une solution rapide…

      Le sens de notre interpellation, c’est de clarifier à quelles conditions il serait possible d’arriver à quelque chose. Ce que nous allons faire concrètement dépendra de la réponse du gouvernement.
      Si l’Aquarius battait pavillon suisse, est-ce qu’il n’en résulterait pas automatiquement l’exigence que les migrants qu’il sauve soient conduits en Suisse ?

      Ici comme ailleurs, c’est le système de Dublin qui s’applique. Il définit quel pays est en charge de l’examen de la demande d’asile. Les requérants doivent demander l’asile dans le premier pays de l’UE ou pays signataire de l’accord, comme la Suisse, où ils arrivent. La répartition se fait ensuite.

      Toutefois, l’UE est invitée à décider d’une répartition plus équitable, afin de soulager le plus vite possible les pays méditerranéens, l’Italie, la Grèce et l’Espagne, des réfugiés qui arrivent chez eux.
      Avez-vous pleine confiance en les responsables de ce navire de sauvetage, auquel vous voulez accorder le pavillon suisse ?

      Oui, je fais confiance à ces responsables.
      Le Panama leur a pourtant retiré son pavillon au prétexte qu’ils auraient violé le droit maritime international…

      D’après moi, c’était pour se protéger. Le Panama veut se débarrasser de ce devoir, qui est apparemment devenu un fardeau pour lui.
      MSF et SOS Méditerranée disent que le Panama a retiré son pavillon sur pression de l’Italie. Ça vous paraît possible ?

      Il y a certainement eu des tentatives de pression.
      Cette pression ne pourrait-t-elle pas s’exercer sur la Suisse, si elle intervient ?

      C’est possible. Nous soutenons l’appel lancé à l’UE pour qu’elle décide d’une répartition plus équitable des réfugiés. L’Italie serait alors également satisfaite. Malheureusement, l’UE n’y arrive pas.

      https://www.swissinfo.ch/fre/pavillon-suisse-pour-l-aquarius-_-on-doit-veiller-%C3%A0-ce-que-ces-gens-ne-se-noient-pas-/44434264

    • Nous avons un navire !

      Dans un texte confié à Mediapart, le sociologue et activiste italien #Sandro_Mezzadra revient sur la mise à l’eau du « Mare-Ionio », ce navire battant pavillon italien, affrété jeudi par des activistes de la gauche italienne pour secourir des migrants en Méditerranée, en opposition aux politiques de l’extrême droite au pouvoir à Rome.

      Les noms des victimes résonnent les uns après les autres, des noms sans corps qui racontent une multitude de vies et d’histoires, brisées sur les frontières de l’Europe : le court-métrage de Dagmawi Yimer s’intitule Asmat-Nomi, une des œuvres les plus puissantes et évocatrices sur le naufrage du 3 octobre 2013 [visible ici : https://vimeo.com/114343040]

      . Au fond, l’anonymat est une des caractéristiques qui définissent les femmes, les hommes et les enfants en transit dans la mer Méditerranée — comme dans de nombreux autres espaces frontaliers. Réhabiliter la singularité irréductible d’une existence est le geste extrême de résistance que nous propose Asmat-Noms.

      Cinq ans après ce naufrage, alors que l’on continue de mourir en Méditerranée, nous avons mis un navire à la mer, le Mare-Ionio. Nous l’avons fait après un été marqué par un gouvernement italien qui a déclaré la guerre contre les migrations et contre les organisations non gouvernementales, en fermant les ports et en séquestrant sur un navire de la Garde côtière des dizaines de réfugié.e.s et de migrant.e.s. La criminalisation des opérations « humanitaires » a vidé la Méditerranée des présences gênantes, a repoussé les témoins et a réaffirmé l’anonymat de femmes et d’hommes en transit : à l’abri des regards indiscrets, la Garde côtière libyenne a pu renvoyer aux centres de détention, c’est-à-dire à la torture, à la violence et à l’esclavage, des centaines de personnes, tandis que d’autres ont fait naufrage. Et certains se réjouissent de cela, en criant victoire...

      Cela n’a pas été facile de réaliser la mise à l’eau du Mare-Ionio. La plateforme qui s’est appelée très simplement Operazione Mediterranea n’est pas une ONG : celles et ceux qui ont travaillé à la recherche et à la préparation de l’embarcation ces dernières semaines n’avaient aucune expérience de ce monde associatif. Mais sur les docks de nombreux ports, nous avons rencontré des gens qui nous ont aidé.e.s sur la base de rapports professionnels, mais aussi guidé.e.s par une solidarité instinctive et par l’élan de refus de plus en plus partagé par les gens de la mer, une réponse au mépris de la vie et du droit international — en particulier après l’affaire du navire Diciotti.

      L’expérience et la collaboration de diverses ONG actives ces dernières années dans la Méditerranée ont joué un rôle décisif dans la réalisation de notre projet. L’une d’entre elles (Sea-Watch) fait partie de la plateforme, tandis qu’Open Arms coordonnera ses activités avec les nôtres. D’autre part, l’opération que nous avons lancé affronte ouvertement la criminalisation actuelle des interventions « humanitaires ». Ils sont loin les jours où la « raison humanitaire » pouvait être analysée comme un élément appartenant à un système de gouvernance (des migrations, notamment) bien plus large. Le défi ne peut être que radicalement politique. Il s’agit d’investir en particulier cela : l’affirmation pratique du droit d’un ensemble de sujets non étatiques à intervenir politiquement dans une zone où les « autorités compétentes » violent de manière flagrante le devoir de préserver la vie des gens en transit.

      C’est autour de ce point que la plateforme Operazione Mediterranea : une plateforme ouverte à l’adhésion et à la participation de celles et ceux qui voudront nous soutenir dans les semaines à venir (notamment via un crowdfunding, ce qui est vraiment essentiel pour assurer la réalisation d’un projet ambitieux et prenant). Cet aspect est évidemment fondamental. Mais l’objectif est plus général : il s’agit d’ouvrir, à travers une pratique, un espace de débat, d’action et de conflit à propos des migrations en Italie et en Europe.

      Nous voudrions que notre navire fende la mer, comme la terre des mobilisations qui, sur la question migratoire, se sont déployées ces derniers mois, de Vintimille aux Pouilles, de Catane à Milan ; nous voudrions que le Mare-Ionio devienne une sorte de forum, que des milliers de femmes et d’hommes se l’approprient, qu’il soit présent sur les places et dans les rues, que de lui se propagent des récits d’une migration radicalement différente de celle incarnée par les menaces et les décrets de Salvini : nous voudrions que le navire soit un instrument pour proposer une Italie et une Europe autres.

      Nous ne sous-évaluons pas la difficulté de cette période. Nous savons que nous agissons en tant que minorité, que nous devons affronter une hégémonie qui nous est hostile concernant la migration ; nous savons que ces derniers mois l’équation entre le migrant et l’ennemi (à laquelle même des forces politiques qui ne se définissent pas de droite ont donné une contribution essentielle) a été exacerbée, autorisant et promouvant la diffusion en Italie d’un racisme de plus en plus agressif. Mais nous savons aussi que cette hégémonie peut et doit être renversée, en assumant les risques et le hasard qui sont inévitables. L’opération qui a commencé ce 3 octobre, date chargée d’une valeur symbolique, est une contribution qui va dans ce sens.

      Un navire, comme le disait C.L.R. James dans son grand livre sur Melville (écrit en 1952 dans une cellule d’Ellis Island, en attendant son expulsion des États-Unis pour « activité anti-américaine »), n’est au fond qu’un ensemble divers et varié des travaux et des activités à bord, qui littéralement le constituent. Voilà, notre navire ne serait rien sans la passion et l’engagement de centaines de femmes et d’hommes qui ont travaillé et qui travaillent pour le faire naviguer, mais aussi pour construire et démultiplier de nouvelles passerelles entre mer et terre. Un navire, comme le rajoutait James, « est une miniature du monde dans lequel nous vivons ». Dans notre cas, c’est une miniature du monde que nous nous engageons à construire. Et nous sommes certain.e.s que nous serons bientôt des milliers à partager cet engagement.

      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/061018/nous-avons-un-navire

    • L’Aquarius, sous pavillon suisse ? Carlo Sommaruga face à Hugues Hiltpod

      Trois parlementaires suisses - Ada Marra (PS/VD) Guillaume Barrazone (PDC/GE) et Kurt Fluri (PLR/SO) - ont déposé à Berne une interpellation pour que notre pays octroie le pavillon national à l’Aquarius. Le navire affrété par SOS Méditerranée, qui est en mer depuis 2016, a recueilli quelque 30 000 personnes en danger de mort. Sur change.org, près de 20 000 personnes ont signé une pétition dans ce sens. Carlo Sommaruga, conseiller national socialiste et Hugues Hiltpold, conseiller national PLR exposent leurs point de vue.

      Pour un pavillon suisse humanitaire

      Carlo Sommaruga, conseiller national socialiste

      La Suisse doit accorder le pavillon à l’Aquarius, le bateau humanitaire affrété par SOS Méditerranée, pour secourir les migrants en perdition en pleine mer. C’est une nécessité humanitaire destinée à sauver des milliers de vies. Un geste qui s’inscrit dans la tradition humanitaire de la Suisse. En cohérence tant avec la générosité de la population suisse pour les populations en difficulté qu’avec la position défendue jusqu’à aujourd’hui par notre pays sur la scène politique et diplomatique internationale. Le dernier rapport de l’Organisation internationale des migrations montre que les traversées de la Méditerranée par des hommes et des femmes de tout âge, accompagnés de leurs enfants, voire de nouveau-nés, ont commencé dès les années 70.

      La cause en est la fermeture progressive de la migration légale par les pays européens, qui ont rejeté les migrants sur les routes clandestines et dangereuses, notamment la Méditerranée. Or, ceux qui depuis des décennies empruntent ces routes ne le font pas par plaisir ou par goût de l’aventure. Comme les Suisses du XIXe siècle dont plus de 500 000 rejoignirent les USA ou les 29 millions d’Italiens qui quittèrent leur pays de 1860 à nos jours, les migrants d’aujourd’hui se mettent en marche pour les mêmes raisons. La croissance démographique et le manque d’opportunités de travail dans les campagnes et dans les villes.

      Aujourd’hui s’ajoutent les affres des dictatures, comme en Érythrée, des conflits civils, comme en Libye, et des guerres internationales, comme en Syrie. En 2013, suite au naufrage de 366 migrants au large des côtes italiennes, le premier ministre Enrico Letta lançait l’opération Mare Nostrum. La marine italienne sauvait plus de 150 000 êtres humains de la noyade en Méditerranée. L’opération fut close en raison de la lâcheté des pays européens qui refusaient de venir en appui à l’Italie. L’Union européenne remplaça le dispositif de sauvetage par un dispositif de défense des frontières géré par Frontex. Depuis lors, ce sont les organisations humanitaires et leurs bateaux qui assument l’immense et courageuse tâche de sauver les naufragés en Méditerranée.

      Les bateaux se nomment Sea-eye, Lifeline, Aquarius et, depuis peu, le Mare Jonio. Au cours des deux dernières années SOS Méditerranée, organisation créée et soutenue par des citoyens européens, par son navire l’Aquarius, a sauvé 29 600 personnes, soit l’équivalent de la population de Lancy. L’Aquarius comme les autres bateaux humanitaires doivent poursuivre leur mission aussi longtemps que les États se défaussent de leurs responsabilités.

      Il est inacceptable que l’Aquarius reste à quai sans pavillon alors que des personnes meurent en pleine Méditerranée. La Suisse neutre doit rester fidèle à ses engagements humanitaires, qu’elle a poursuivi en soutenant le CICR, le HCR et bien d’autres organisations. Elle doit accorder le pavillon. La loi le permet et cela ne coûte rien. Il faut saluer l’intervention de parlementaires du PLR, PDC, Verts et PS dans ce sens, tout comme la lettre adressée ce jour par des personnalités au Conseil fédéral. Refuser le pavillon à l’Aquarius, c’est un choix politique. Celui de mépris de la vie et du rejet de la solidarité humaine. Il faut tous espérer que Conseil fédéral ne s’inscrive pas dans cette logique.

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      Aquarius : le respect de la loi avant tout !

      Hugues Hiltpold, conseiller national PLR

      La crise des migrants en Méditerranée est terrible, personne ne peut le contester. Bon nombre de personnes sont attirées par l’Europe et se livrent à la merci de passeurs peu scrupuleux, avec à la clé de nombreux et épouvantables drames humains. Durant deux ans, le navire humanitaire Aquarius, ancien navire des gardes-côtes allemands battant pavillon panaméen, a secouru près de 30 000 personnes en détresse. Avec un certain succès il faut le reconnaître. Puis, sous pression internationale, il a cessé de battre pavillon panaméen, errant en mer quelque temps à la recherche d’un port d’accueil voulant bien l’accueillir.

      Ayant mouillé l’ancre aujourd’hui à Marseille, il attend de pouvoir naviguer à nouveau, mais a besoin pour ce faire qu’un pays accepte qu’il puisse battre son pavillon. Certains élus fédéraux estiment que ce navire humanitaire devrait battre pavillon suisse. Or, la loi suisse ne le permet tout simplement pas. L’article 3 de la loi fédérale sur la navigation maritime sous pavillon suisse stipule qu’un pavillon suisse ne peut être arboré que par des navires suisses. L’article 35 de cette même loi précise, s’agissant de la navigation non professionnelle, que des exceptions peuvent être autorisées par le Département fédéral des affaires étrangères pour inscrire, dans le registre des navires suisses, un bâtiment exploité par une société suisse ou ayant son siège en Suisse, à des fins notamment humanitaires.

      Cette dérogation doit faire l’objet d’une enquête minutieuse permettant de fixer les conditions de la dérogation, notamment eu égard aux intérêts pour la Suisse de justifier cette dérogation. Il convient de noter qu’une telle dérogation est exceptionnelle. On constate que la situation actuelle du navire humanitaire Aquarius n’est pas conforme à la loi.

      Il n’est pas contesté que l’association SOS Méditerranée, qui exploite l’Aquarius, n’est pas suisse, n’a pas son siège en Suisse et n’a aucune relation particulière avec notre pays.

      Dès lors, permettre à l’Aquarius de battre pavillon suisse reviendrait purement et simplement à bafouer la loi ! Ce faisant, nous violerions de surcroît les accords de Schengen et Dublin qui nous lient avec l’Union européenne, au respect desquels ceux qui voudraient accorder le pavillon Suisse à l’Aquarius sont notoirement attachés. Aussi terrible que soit cette catastrophe humanitaire, elle ne doit pas conduire notre pays à bafouer notre État de droit et le droit international. Il en va de notre crédibilité et du respect de nos institutions.

      https://www.tdg.ch/blog-wch/standard/aquarius-pavillon-suisse-carlo-sommaruga-face-hugues-hiltpod/story/31191020

    • Migrants : le hold-up de la Libye sur les sauvetages en mer

      Cet été, en Méditerranée, la Libye a créé en toute discrétion sa propre « zone de recherche et de secours », où ses garde-côtes sont devenus responsables de la coordination de tous les sauvetages, au grand dam de l’Aquarius et des ONG. Enquête sur une décision soutenue par l’Union européenne qui jette toujours plus de confusion en mer.

      Vu de loin, c’est un « détail ». Un simple ajout sur une carte maritime. Cet été, la Libye a tracé une ligne en travers de la Méditerranée, à 200 kilomètres environ au nord de Tripoli. En dessous, désormais, c’est sa zone SAR (dans le jargon), sa « zone de recherche et de secours ». Traduction ? À l’intérieur de ce gigantesque secteur, les garde-côtes libyens sont devenus responsables de l’organisation et de la coordination des secours – en lieu et place des Italiens.

      Pour les navires humanitaires, la création de cette « SAR » libyenne, opérée en toute discrétion, est tout sauf un « détail ». Il n’est pas un sauveteur de l’Aquarius, pas un soutier du Mare Jonio ni de l’Astral (partis relayer sur place le bateau de SOS Méditerranée) qui ne l’ait découvert avec stupeur. Car non seulement les garde-côtes libyens jettent leurs « rescapés » en détention dès qu’ils touchent la terre ferme, mais certaines de leurs unités sont soupçonnées de complicité avec des trafiquants et leurs violences sont régulièrement dénoncées.

      Pour les migrants qui s’élancent en rafiot de Sabratha ou Zaouïa, ce « détail » est surtout une trahison supplémentaire : l’Union européenne a budgété plus de 8 millions d’euros en 2017 pour aider Tripoli à créer cette zone « SAR » bien à elle. Alors que les vingt-huit ministres de l’intérieur doivent discuter vendredi 12 octobre du renforcement des frontières de l’UE, Mediapart a enquêté sur ces trois petites lettres qui mettent les humanitaires en colère et jettent la confusion en mer.

      Pour comprendre, il faut d’abord savoir que la Libye, comme n’importe quel État côtier, est souveraine dans ses « eaux territoriales ». Sur cette bande de 19 kilomètres, les garde-côtes de Tripoli ont toujours joué à domicile et jamais l’Aquarius n’y aventurerait sa quille. Mais au-delà, la Méditerranée se complique, elle se découpe en zones SAR : celle de l’Italie ici, celle de la Grèce là-bas, celles de Malte ou encore de l’Égypte, toutes déclarées auprès de l’Organisation maritime internationale (OMI), chacune associée à un « centre de coordination des secours » national (ou MRCC), qui reçoit l’ensemble des signaux de détresse émis dans sa zone, de même que les appels des navires humanitaires qui repèrent des migrants aux jumelles.

      Selon les conventions internationales, chaque MRCC, celui de Rome par exemple, a ensuite la responsabilité d’organiser les secours dans son secteur, de solliciter les navires les mieux placés (tankers et militaires compris), de dépêcher ses propres garde-côtes si nécessaire.

      Jusqu’ici, au large de ses eaux territoriales, la Libye n’avait pas déclaré de zone SAR, faute d’une flotte suffisante et surtout d’un « centre de coordination » en état de marche, capable de communiquer avec la haute mer par exemple. Pour éviter un « triangle des Bermudes » des secours, les Italiens s’y étaient donc collés ces dernières années, élargissant de fait – sinon en droit – leur champ d’activité. Puis le 28 juin dernier, sans prévenir, Tripoli a déclaré sa zone « SAR » et son « centre de coordination » auprès de l’OMI, officialisés du jour au lendemain. Les Italiens ont passé la main. Changement de régime.

      Depuis, dans l’esprit des Libyens, « aucun navire étranger n’a le droit d’accéder [à leur SAR] sauf demande expresse [de leur part] ». C’est ainsi, en tout cas, que le commandant de la base navale de Tripoli, Abdelhakim Bouhaliya, interprétait les choses en 2017 – quand les autorités avaient esquissé une première SAR avant de se rétracter. Dans leur viseur : « les ONG qui prétendent vouloir sauver les migrants clandestins et mener des actions humanitaires », selon les mots sans fard du général Ayoub Kacem, l’un des porte-parole de la marine à l’époque. Un an plus tard, la SAR est bel et bien là. Et il devient urgent que les garde-côtes ouvrent un manuel de droit.

      Car en principe, « la navigation dans leur SAR reste libre, décrypte Kiara Neri, spécialiste de droit maritime et maîtresse de conférences à l’université Jean-Moulin-Lyon-III. Ils n’ont absolument pas le pouvoir d’interdire leur SAR aux navires humanitaires, ce n’est pas devenu leur chasse gardée ». Dans les faits, pourtant, « ils font comme s’ils étaient souverains, s’indigne Nicola Stalla, coordinateur des sauvetages sur l’Aquarius. Ils étaient déjà agressifs avant, mais ils se comportent de plus en plus comme s’ils étaient dans leurs eaux territoriales. Ils ordonnent aux ONG de s’éloigner, ils menacent, par le passé ils ont déjà ouvert le feu plusieurs fois ».

      Concrètement, depuis cet été, « ce n’est plus Rome mais le MRCC de Tripoli qui reçoit les signaux d’alerte et désigne le navire le plus proche pour intervenir », insiste Kiara Neri. À supposer qu’ils répondent aux appels, déjà. « Le MRCC de Rome, lui, était efficace, regrette Nicola Stalla. Quand j’appelais, il y avait toujours un officier à qui parler. Là c’est tout le contraire : les garde-côtes libyens ne répondent pas, ou ne parlent pas bien anglais, ou ne répercutent pas les infos à tous les navires présents sur la zone… » Il y a quelques jours, l’association Pilotes volontaires, qui scrute la mer depuis le ciel à bord de son petit Colibri, s’est aussi arraché les cheveux. « On a repéré une embarcation avec une vingtaine de migrants, raconte un bénévole. On a vite appelé Rome, qui nous a renvoyés automatiquement sur Tripoli, qui n’a jamais répondu. » Ils ont fini par contacter, en direct, un tanker qui croisait à proximité. Du bricolage impensable jusqu’à cet été.

      À supposer qu’ils réagissent correctement, les Libyens peuvent aussi être tentés d’ignorer les humanitaires, de « privilégier » leurs garde-côtes pour les sauvetages, voire des navires marchands. Car ces derniers acceptent parfois de remettre aux Libyens les migrants qu’ils « repêchent », de les transborder en pleine mer pour s’en débarrasser sans trop se dérouter, sans égard pour le droit international qui impose de débarquer ses rescapés dans un « port sûr » où les droits de l’homme sont respectés – ce que la Libye n’est certainement pas, de l’avis même du HCR, l’agence des Nations unies pour les réfugiés. « Sans ONG pour témoigner, ces personnes sont perdues dans la narration », dénonce l’Italien Nicola Stalla, d’une formule presque poétique.

      Et si les humanitaires repèrent un pneumatique par eux-mêmes, peuvent-ils désormais être interdits de sauvetage ? « Il y a une subtilité, répond Kiara Neri. Dans leur SAR, les Libyens ont compétence pour coordonner les opérations. Donc s’ils approchent d’une embarcation en détresse [en même temps que l’Aquarius par exemple – ndlr], ils peuvent toujours dire : “On s’en occupe.” Mais ils n’ont certainement pas le droit de monter à bord, aucun pouvoir de police… » Dans les faits, la confusion est à son maximum.

      Ainsi, le 23 septembre, l’Aquarius et les garde-côtes libyens se sont disputés quarante-sept vies en pleine nuit, pendant des heures. Directement alerté par Alarm Phone (une sorte de « central téléphonique » associatif à disposition des migrants qui tentent la traversée), l’Aquarius a foncé vers le secteur indiqué tout en contactant le MRCC de Tripoli, conformément à ses obligations. Au début, pas de réponse. Puis un accord de principe. Puis un patrouilleur libyen arrivé sur le tard a voulu stopper le sauvetage entamé (des femmes et des enfants d’abord), pour reprendre l’affaire en mains. « Quittez la zone ! », ont hurlé les garde-côtes à la radio, selon une journaliste du Monde à bord. « Vous connaissez Tripoli ? Vous voulez venir faire une petite visite ? (…) Vous allez avoir de gros problèmes, on ne veut plus coopérer avec vous parce que vous nous désobéissez. » Le capitaine a tenu bon, mais l’Aquarius a quitté la zone à l’issue de l’opération – sa dernière à ce jour, puisque le Panama l’a privé de pavillon.

      « Le comble du cynisme »

      « Si nous trouvons une embarcation en détresse dans la SAR libyenne, nous ferons le sauvetage même si les garde-côtes demandent de ne pas intervenir », annonce aussi l’équipe de l’Aita Mari, un chalutier basque espagnol sur le point de prendre la route de la Méditerranée centrale, à l’initiative de deux ONG (Salvamento maritimo humanitario et Proem-Aid) soutenues par le gouvernement régional de centre-droit (qui a déboursé 400 000 euros), ainsi que de petites communes basques et andalouses. « La loi, c’est celle du port sûr. Peu importe que l’OMI ait dit “Oui” à la Libye », résume Daniel Rivas Pacheco, porte-parole du projet.

      D’ailleurs, comment une telle zone de « secours » a-t-elle pu être créée ? La Libye, membre de l’OMI (institution des Nations unies) et signataire des conventions internationales sur le secours en mer, a simplement déclaré les coordonnées géographiques de sa zone et de son MRCC. En fait, l’OMI ne « reconnaît » pas les SAR, elle les enregistre, sans audit préalable. N’a-t-elle pas le pouvoir de rejeter l’initiative d’un pays dénué de « port sûr » ? « L’OMI n’a pas le droit de décider si tel ou tel pays est un lieu sûr », nous répondent ses services. Elle peut toujours intervenir en cas de « coordonnée non valide » ou d’« erreur typographique ». Pour le reste…

      Ce processus de déclaration suppose tout de même une coordination préalable avec les pays voisins et des discussions préparatoires (Mediapart a retrouvé un point d’étape soumis à l’OMI en décembre 2017 par l’Italie, qui évoque le soutien de l’UE). Rome et l’Europe ont bien encouragé Tripoli à prendre ses « responsabilités ».

      Pour s’en convaincre, il faut se plonger dans les détails d’un vaste programme européen de soutien à la Libye datant de 2017, doté de 46 millions d’euros, qui vise tout à la fois le renforcement de ses frontières, la lutte contre son immigration illégale et l’amélioration de ses opérations de sauvetage en mer. On y découvre que l’UE a budgété plus de 6 millions d’euros, sur plusieurs années, rien que pour aider Tripoli à créer sa propre SAR et son MRCC « maison » – auxquels s’est ajouté 1,8 million via le Fonds pour la sécurité intérieure de l’Union.

      Les activités programmées ne peuvent être plus claires : « Assister les autorités libyennes pour qu’elles soient en capacité de déclarer une zone SAR », « Évaluations techniques pour la conception d’un véritable MRCC », « Formation pour le personnel opérationnel du MRCC », « Aider les garde-côtes à organiser leur unité SAR » ou encore « à développer des procédures SAR standard », etc.

      Jusqu’ici, on avait surtout entendu parler des fonds européens engagés pour former les garde-côtes (au droit international, au droit des réfugiés, etc.) ou de la fourniture d’équipements censés améliorer la qualité et l’efficacité de leurs opérations de « secours » (voir ici notre précédent article). Les ONG s’en étaient indignées, moult fois. Mais c’est encore autre chose que d’aider les Libyens à élargir leur périmètre d’action, à endosser la responsabilité des opérations au-delà même de leurs eaux territoriales.

      « L’idée n’est évidemment pas de les mettre en compétition avec les ONG et les autres acteurs, plaide-t-on à la Commission. C’est de lutter contre les trafiquants et de sauver des vies. » L’UE n’en démord pas.

      Les services de la Commission tiennent tout de même à préciser qu’à ce stade, sur les quelque 8 millions d’euros budgétés, seul 1,8 million a effectivement été déboursé pour une « étude de faisabilité » de la SAR libyenne. Rien d’autre n’aurait été mis en place avant que la Libye ne dégaine le 28 juin, plus vite que son ombre, aiguillonnée par l’Italie de Matteo Salvini.

      « Le secours n’est absolument pas la priorité de l’Union européenne, dénonce Charles Heller, chercheur associé à l’agence Forensic Architecture, collectif basé à l’université londonienne de Goldsmiths qui enquête sur les violations des droits humains, notamment en Méditerranée. Ce que font les garde-côtes libyens, ce sont des interceptions, de pures opérations de contrôle des frontières pour le compte de l’UE. »

      En 2012, rappelle-t-il, la Cour européenne des droits de l’homme avait condamné l’Italie pour ses pratiques de « refoulement direct » de migrants, après qu’un vaisseau de la marine nationale avait récupéré à son bord (soit sur le sol italien juridiquement) des Somaliens et des Érythréens, raccompagnés illico à Tripoli sans qu’ils aient pu exercer leur droit fondamental à demander l’asile. La nouvelle politique consiste donc « à opérer des “refoulements indirects”, à externaliser auprès des Libyens le contrôle de nos frontières », analyse Charles Heller. « Après une phase de criminalisation des ONG, après l’aide au rétablissement d’une institution de garde-côtes à peu près fonctionnelle, la déclaration d’une SAR libyenne était fondamentale pour donner à ces opérations un vernis humanitaire. Il fallait que les garde-côtes libyens aient tous les attributs : une SAR, un MRCC, etc. C’est la consécration d’un processus. Sachant que ces opérations de “secours” ont pour effet de ramener des gens sur un territoire où leurs droits sont systématiquement violés, c’est le comble du cynisme. »

      Sauvé le 21 juin dernier par le Lifeline, un exilé du Darfour a confié à Mediapart qu’il avait été intercepté trois fois en mer par les garde-côtes libyens, et ramené trois fois dans des centres de détention officiels où les gardiens « frappent tout le monde, tout le temps, avec des bâtons ». « On nettoyait, on lavait le linge, on faisait de la peinture sans être jamais payés », raconte Abazer, aujourd’hui réfugié en France, évoquant une forme d’« esclavage ». Ça, un port sûr ?

      « L’UE fait décidément preuve d’un grand courage, grince Patrick Chaumette, professeur de droit à l’université de Nantes. On laisse les Libyens menacer les ONG, tirer en l’air, confondre leur SAR avec leurs eaux territoriales, dire : “Vous devez nous obéir !”… On a des politiques qui trouvent des prétextes fallacieux pour poursuivre leur véritable objectif : aider la Libye à empêcher les départs en mer. Comme si le droit ne servait plus à rien. Pour nous, universitaires, c’est terrifiant. »

      D’après des chiffres provisoires compilés par Matteo Villa, chercheur pour un think tank italien (l’ISPI), 1 072 migrants se seraient lancés depuis la Libye en septembre, 713 auraient été interceptés, 125 auraient posé le pied en Europe, 234 auraient disparu. Soit un taux de mortalité de plus de 21 %, treize fois plus élevé qu’il y a un an, jamais atteint depuis des années.


      https://www.mediapart.fr/journal/international/111018/migrants-le-hold-de-la-libye-sur-les-sauvetages-en-mer
      #SAR #zone_SAR #cartographie #visualisation

    • Barcone in avaria con 70 persone al largo di Lampedusa: l’Italia prima dice no, poi interviene

      Dopo il braccio di ferro con la nave «Mare Jonio» che ha raccolto l’sos e si è diretta sul posto. E con Malta che non aveva mezzi per i soccorsi. Soddisfatti gli attivisti del progetto umanitario Mediterranea: «Siamo felici che tutti siano in salvo»

      Un barcone con 70 migranti partito dalla Libia venerdì mattina è stato scortato dalle motovedette della Guardia Costiera italiana fino al porto di Lampedusa dove ha attraccato in banchina intorno alle tre del mattino. Di lì a poco, è iniziato lo sbarco dei suoi passeggeri. E questa, già di per sé, è una notizia in epoca di porti chiusi, respingimenti e frontiere blindate. Ma lo è ancora di più se si considera che il gesto della Guardia Costiera è stato solo l’atto finale, la resa, di una lunga partita a scacchi giocata sin dalle sette del pomeriggio dal rimorchiatore Mare Jonio – la nave del progetto Mediterranea – contro le autorità, maltesi prima, e italiane poi.

      La Mare Jonio, giunta al suo ultimo giorno di missione nelle acque libiche, stava lentamente tornando verso l’Italia quando, poco dopo il tramonto, è stata raggiunta da un Navtext, un messaggio di allerta, inviato dalle autorità di La Valletta (l’Mrcc, maritime rescue coordination center): nel testo si segnalava “un gommone in avaria con 70 persone a bordo in acque maltesi”. L’imbarcazione, stando alle coordinate messe nero su bianco nel messaggio, si trovava sì in una zona di competenza maltese ma molto vicino all’isola di Lampedusa. Praticamente al confine. Il messaggio non dava altri elementi.

      La Mare Jonio si trovava, in quel momento, a 40 miglia di distanza dal gommone. Ci sarebbero volute almeno quattro ore buone. Dopo aver modificato la rotta, la plancia del rimorchiatore italiano ha così deciso di mettersi in contatto con Mrcc Malta per avere eventuali altre informazioni o, quanto meno, capire la fonte di quella notizia. I maltesi, però, non avevano altri elementi utili. E soprattutto non avevano mezzi a disposizione per arrivare “fino là” a vedere che cosa era capitato al gommone. Quanto alla fonte, era l’Alarmphone: un servizio dedicato che smista allarmi raccolti dalle varie imbarcazioni che incrociano nel Mediterraneo.

      La Mare Jonio ha così provato a tirare quel filo, ha chiamato Alarmphone e ha chiesto informazioni, scoprendo che di quell’allarme, loro, non sapevano nulla. Malta, dunque, aveva mentito.Mentre il rimorchiatore procedeva verso le coordinate impostate subito dopo l’arrivo del Navtext, gli italiani hanno quindi chiamato l’Mrcc di Roma. E’ vero che l’imbarcazione era in zona di competenza maltese, ma è vero anche che era in avaria e che, stando alle informazioni, la corrente la stava spingendo verso le acque italiane. E poi Malta aveva dichiaratamente rinunciato a intervenire. Il naufragio di quelle settanta anime, insomma, era un rischio più che concreto. La risposta delle autorità italiane è però stata piuttosto rigida. Burocratica. “In acque di competenza maltese coordina Malta. Non è un problema nostro, quando verranno in acque italiane, vedremo”.

      La situazione agli occhi degli attivisti cominciava a farsi preoccupante. Né La Valletta né Roma volevano intervenire e la Mar Jonio era a quattro ore di distanza. E’ cominciata così una lunga serie di telefonate tra il parlamentare di Sinistra Italiana, Erasmo Palazzotto – uno degli ideatori della Missione Mediterranea – la Guardia Costiera e il ministero delle Infrastrutture. Danilo Toninelli aveva il telefono staccato, e dunque il dossier era gestito dal capo di Gabinetto, Gino Scaccia. Il quale però non ha voluto andare oltre il concetto iniziale: “Acque maltesi-problema maltese”.

      Il comandante della Guardia Costiera di fronte alle insistenze di Palazzotto, “siamo una nave italiana e le segnaliamo un problema a due miglia dalle acque italiane”, ha spiegato che “nessuna nave italiana quando ha un problema in Brasile si sogna di chiamare la Guardia Costiera italiana”. Il resto della triangolazione è stato utile solamente per capire tre cose. Uno quello che inizialmente doveva essere un gommone era in realtà un barcone di legno. Due, l’avevano trovato due pescherecci tunisini (il Fauzi e l’Adamir) che però dopo aver dato l’allarme se ne erano andati. Tre, a distanza di quattro ore, il Mare Jonio continuava ad essere l’unica imbarcazione che si stava dirigendo verso il barcone per cercare di trarre in salvo le settanta persone che erano a bordo.

      Era l’una del mattino, ormai. E il rimorchiatore era quasi arrivato alla zona indicata dal primo allarme. Ma in mare non c’era nessuno. Dalla plancia hanno ricontattato sia Roma che La Valletta per avere coordinate più precise. Ma dai due Mrcc sono arrivate le indicazioni di due punti diversi. A distanza di dodici miglia l’uno dall’altro, più di un’ora di navigazione: mentre i maltesi davano l’imbarcazione in acque italiane, molto vicino a Lampedusa, secondo gli italiani il barcone si trovava ancora nel mare di Malta.

      A quel punto il rimorchiatore ha smesso di contare sugli aiuti via radio delle autorità che evidentemente stavano giocando a nascondere la barca più che a fargliela trovare e hanno cominciato a perlustrare la zona, partendo dalle coordinate fornite dall’Mrcc italiano. Dopo nemmeno mezz’ora, via radio, l’ultima comunicazione della nottata: “La Guardia Costiera italiana ha intercettato il barcone a 2,7 miglia da Lampedusa. E l’ha scortato in porto. I migranti stanno tutti bene”. Festeggiano quelli di Mediterranea: “Siamo felici di apprendere che dopo una notte di monitoraggi e segnalazioni queste persone siano in salvo, in Italia”.


      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/12/news/gommone_con_70_persone_in_avaria_davanti_a_lampedusa_mare_jonio_chiede_in

    • Un jeune migrant marocain de 16 ans blessé par balles par la #Marine_royale

      La Marine royale a encore tiré à balles réelles sur des migrants. Après la mort de #Hayat, c’est cette fois-ci un jeune de 16 ans qui est blessé par balles à l’épaule lors de l’interception d’une barque transportant 50 migrants, tous marocains, qui tentaient de rejoindre illégalement l’Europe, selon 2M.ma citant une source sécuritaire et précisant sur Twitter qu’il s’agissait « de tirs de sommations d’usage en direction de l’embarcation ». L’adolescent blessé a d’ores et déjà été transporté vers l’hôpital de Tanger, précise la même source. L’embarcation interceptée tôt ce matin se trouvait entre Assilah et Larache, sur la façade Atlantique des côtes marocaines. Contactée par Le Desk, une source militaire autorisée confirme l’information précisant qu’un communiqué officiel est en cours de préparation.

      https://ledesk.ma/encontinu/un-jeune-migrant-marocain-de-16-ans-blesse-par-balles-par-la-marine-royale

    • Au Maroc, deux ans de prison pour avoir dénoncé sur #Facebook la mort d’une migrante

      La jeune femme originaire de Tétouan a été tuée fin septembre par des tirs de la marine royale alors qu’elle tentait de rejoindre clandestinement les côtes espagnoles.

      Un Marocain a été condamné à deux ans de prison ferme pour avoir protesté sur les réseaux sociaux contre la mort d’une jeune migrante tuée fin septembre par des tirs de la marine marocaine, a-t-on appris jeudi 18 octobre auprès de son avocat.

      #Soufiane_Al-Nguad, 32 ans, a été condamné dans la nuit de mercredi à jeudi par le tribunal de Tétouan, ville du nord du Maroc, pour « #outrage_au_drapeau_national », « #propagation_de_la_haine » et « #appel_à_l’insurrection_civile », selon son avocat Jabir Baba. Il avait été interpellé début octobre, après des troubles lors d’un match de football le 30 septembre à Tétouan.

      Selon son avocat, avant ce match, M. Al-Nguad avait appelé, à travers des publications sur sa page Facebook, le groupe des ultras Los Matadores du club de football local à « manifester et à porter des habits noirs de deuil » pour protester contre le décès de #Hayat_Belkacem.

      La mort de cette étudiante de 22 ans, tuée le 25 septembre par la marine marocaine alors qu’elle tentait de gagner clandestinement les côtes espagnoles en bateau, avait suscité la colère dans le pays. Les autorités marocaines avaient dit avoir visé l’embarcation en raison de ses « manœuvres hostiles ».

      « Venger Hayat »

      Dix-neuf supporters âgés de 14 à 23 ans sont également jugés à Tétouan pour « outrage au drapeau national », « manifestation non autorisée » et « destruction de biens publics et privés », pour avoir manifesté le soir du même match.

      Ces supporters avaient été arrêtés peu après pour avoir brandi des drapeaux espagnols et crié des slogans comme « Viva España » (« Vive l’Espagne ») lors du match. Ils avaient aussi manifesté sur le chemin du stade en appelant à « #venger_Hayat ».

      Ces dernières semaines, des dizaines de vidéos montrant des jeunes Marocains en route vers l’Espagne à bord de bateaux pneumatiques sont devenues virales sur les réseaux sociaux, dans un pays marqué par de grandes inégalités sociales sur fond de chômage élevé chez les jeunes.

      Depuis le début de l’année, l’Espagne est devenue la première porte d’entrée vers l’Europe, avec près de 43 000 arrivées par voie maritime et terrestre, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/10/18/au-maroc-deux-ans-de-prison-pour-avoir-denonce-sur-facebook-la-mort-d-une-mi
      #réseaux_sociaux #délit_de_solidarité #condamnation #résistance #manifestation

    • Avec l’équipage du « Mare Ionio », les anti-Salvini retrouvent de la voix en Italie

      Le Mare Ionio, parti des côtes italiennes le 4 octobre, sillonne la Méditerranée pour une mission de surveillance et de contrôle. Dans un pays gouverné par l’extrême droite, une myriade d’acteurs de la société civile a imaginé cette aventure, humanitaire mais aussi très politique.

      Palerme (Italie), correspondance.- Sur le mur de la cour du centre Santa Chiara, en plein cœur de la Palerme populaire, cinq visages s’affichent, vidéo-projetés dans l’obscurité. Tee-shirts blancs siglés du logo bleu et rouge de la plateforme civile Mediterranea, traits fatigués, les membre de l’équipage du Mare Ionio s’apprêtent à dresser un bilan de leur première semaine en mer.

      « Regardez, on peut dire qu’il y a du monde ce soir, vous les voyez ? » interroge Alessandra Sciurba, face aux mines circonspectes de l’équipage. Au moins 200 personnes sont venues écouter les cinq hommes. « Ça fait plaisir, on se sent parfois très seuls en mer », sourit Luca Casarini, un activiste italien connu pour sa participation au mouvement de désobéissance civile Tute Bianche (« Les Blouses blanches »), particulièrement actif de 1994 à 2001.

      Malgré la connexion parfois hésitante de l’équipage, qui se trouve à 35 miles de Khoms et de la côte libyenne, Erasmo Palazzotto se lance, en direct sur Skype : « Le climat est surréaliste ici. On n’a croisé personne d’autre, la radio est silencieuse. C’est comme si la mer était déserte. » Copropriétaire du bateau Mare Ionio, député palermitain de la Sinistra italiana (« Gauche italienne », à la gauche des sociaux-démocrates), il se réjouit : « On ne sait pas si c’est parce que nous sommes présents en mer mais Malte a effectué un sauvetage de deux embarcations de migrants. Ça faisait près d’un an que ce n’était pas arrivé. »

      La remarque sur le sauvetage de 220 personnes les 6 et 7 octobre au large des eaux maltaises n’est pas anodine. Depuis la formation du nouveau gouvernement italien et la nomination de Matteo Salvini au ministère de l’intérieur en juin, la Méditerranée centrale est devenue le terrain d’une véritable bataille navale. Les ONG évincées, les cartes sont redistribuées entre gardes-côtes italiens, maltais et libyens.

      Battant pavillon italien, composé d’un équipage italien, le Mare Ionio s’est donné pour mission de surveiller, contrôler et témoigner de ce qui se passe en Méditerranée centrale, dans ce tronçon de mer emprunté par les migrants pour rejoindre les côtes italiennes et déserté par les bateaux des ONG depuis quelques semaines. Il ne s’agit donc pas d’un bateau de sauvetage, même si l’équipage est paré à cette éventualité.

      Matteo Salvini a bien compris la portée politique de cette aventure. Quelques heures après l’annonce du départ de l’embarcation, le 4 octobre, il avait offert à ses sympathisants un direct Facebook plus exalté qu’à son habitude. « Prenez un pédalo, faites ce que vous voulez », a-t-il ironisé, mais hors de question d’amener des migrants en Italie, a-t-il poursuivi, ricanant au sujet de ce « bateau des centres sociaux qui erre en Méditerranée ».

      Parmi les protagonistes de la plateforme civile Mediterranea, personne ne s’aventure sur le terrain de la politique partisane. Comme si, d’une certaine manière, le paysage politique italien n’était pas à la hauteur des enjeux. « Attention, on n’est pas là pour reconstruire la gauche italienne », met en garde Fausto Melluso de l’Arci Porco Rosso, un local associatif particulièrement impliqué dans l’aide aux migrants.

      Même le député de Gauche italienne évite les joutes politiques et élude : « Je représente des milliers de personnes indignées par ce qui se passe et qui n’ont peut-être pas voté pour moi mais avaient besoin de savoir qu’une partie des institutions italiennes se trouve ici, au milieu de cette bataille historique entre barbarie et civilisation. » Une indignation qu’ils ont voulu « transformer en action », ajoute-t-il.

      « On discute de politique à terre, pas en mer. En mer, on ne laisse personne mourir, on amène les gens dans un port sûr et ensuite on discute de ce que vous voulez », tranche Giorgia Linardi, porte-parole en Italie de l’ONG allemande Sea Watch, qui est associée au projet Mediterranea.

      « C’est une mission d’obéissance civile et de désobéissance morale. On ne pouvait pas se résoudre à se dire que c’était la seule société possible », résume Alessandra Sciurba, l’une des membres de la plateforme Mediterranea et chercheuse à l’université de Palerme. Tous répètent à l’envi cette formule, énoncée par Marta Pastor, jeune diplômée de 26 ans qui s’est embarquée sur le bateau comme bénévole : « L’important, pour nous, c’est aussi de nous sauver nous-mêmes, de nous sauver des saletés qui se passent tous les jours sous nos yeux. »

      Pour Alessandra Sciurba, ce défi va bien au-delà de l’Italie : « Dans le débat politique, tout un monde n’est plus représenté, entre l’Europe démocratico-progressiste qui a accepté les plans économiques de la Troïka [FMI, BCE et Commission européenne – ndlr] et joué avec les politiques migratoires, et l’Europe de Visegrad [Hongrie, Pologne, Slovaquie, République tchèque – ndlr], souverainiste et nationaliste. Nous sommes convaincus qu’il existe une troisième Europe, et c’est surréaliste qu’il faille aller en mer pour lui redonner de la voix. »

      Ce projet européen doit « partir de la société civile, des citoyens et surtout des villes », défend l’équipage. Ce n’est pas un hasard, expliquent les membres de Mediterranea, si les deux drapeaux hissés sur le mât sont celui de l’Union européenne et celui de la ville de Palerme. Dans son habituel costume noir, entouré par quelques journalistes et par les membres de Mediterranea, Leoluca Orlando, le maire de la ville, a profité de la première escale technique du Mare Ionio sur le quai trapézoïdal de Palerme pour marteler, une fois encore, ce discours si singulier dans le reste de l’Italie : « Le port de Palerme sera toujours ouvert ! »

      Sur le pont du bateau, Claudio Arrestivo a moins l’habitude de ces raouts que son voisin. Il représente le Moltivolti, un espace de restauration et de coworking au cœur de Palerme, qui a rejoint la plateforme Mediterranea dès ses débuts, en juin : « On prend plus de risques à ne pas s’embarquer qu’à faire partie du projet. » Les entrepreneurs rêvent désormais de faire des émules à travers le reste du pays.

      C’est le défi majeur de la plateforme civile : réussir, à terre, à susciter l’adhésion. « Dans tout le pays, nous allons organiser une “via terra”, un parcours sur terre de Mediterranea en organisant des événements culturels qui nous permettront de recueillir des fonds », explique Evelina Santangelo, écrivaine palermitaine à la tête d’un groupement national d’artistes, écrivains et acteurs du monde de la culture qui soutiennent l’initiative.

      La tâche est grande : près de 195 000 euros ont déjà été récoltés grâce à une cagnotte participative soutenue par 1 892 personnes, sur un budget total estimé à 700 000 euros pour deux mois de mission en mer.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/221018/avec-l-equipage-du-mare-ionio-les-anti-salvini-retrouvent-de-la-voix-en-it

    • Migrant campaign ship confronts Italy in the Mediterranean

      A Mediterranean coalition of campaigners against Italy’s hardline migration policies have bought a ship in a crowdfunding appeal to shame authorities into rescuing stranded migrants off the North African coast.

      The group, Mediterranea Saving Humans, raised more than 250,000 euros in three weeks, to buy and launch the Italian-flagged Mare Jonio to raise the alarm about migrant boats in distress in the Mediterranean Sea.

      Its first mission launched on October 4 from the southern Italian island of Sicily and succeeded in pressuring the Italian Coast guard into rescuing 70 people aboard a dinghy eight days later, according to the group.

      “The presence of Mediterranea was fundamental in raising attention to what is really happening in the waters south of Sicily and to prevent our governments from turning their backs to tragedies that call upon human compassion,” the group wrote on its website.

      https://www.thenational.ae/world/europe/migrant-campaign-ship-confronts-italy-in-the-mediterranean-1.787355

    • E infine restò solo la Mediterranea a salvare le vite in mare

      Ormai, quelli della Mediterranea sono rimasti i soli a cercare di rendere meno amaro il bilancio delle morti di migranti in mare in questo terrificante 2018. Soltanto nel mese di settembre, il 20 per cento di chi è partito dalla Libia risulta morto o disperso. Si tratta di uno degli anni peggiori di sempre, da questo punto di vista. E poco importa che in Italia siano diminuiti gli sbarchi se ciò coincide con un tasso di mortalità maggiore nelle acque internazionali.

      Dopo le 13 di oggi, la nave è salpata dal porto di Palermo per la seconda missione di monitoraggio e denuncia nelle acque internazionali tra le coste italiane e la Libia. C’era stata, nei mesi scorsi, l’avvio della missione, iniziata lo scorso 4 ottobre e durata 12 giorni, aiutata anche dal parlamentare di Liberi e Uguali Erasmo Palazzotto.
      Mediterranea, il suo ruolo in mare per sorvegliare una frontiera letale

      In questi ultimi giorni, la nave italiana della piattaforma Mediterranea era all’ancora nel porto siciliano per una sosta tecnica e di rifornimento: si tratta dell’unica nave in navigazione nel Mediterraneo centrale con l’essenziale funzione di testimonianza e pronta a intervenire, qualora fosse necessario, in soccorso di imbarcazioni in difficoltà. Un vero e proprio baluardo ultimo per evitare quella che può a buon diritto essere considerata una tragedia del nostro secolo.

      Il fatto che non ci siano più imbarcazioni a monitorare le rotte dei migranti è una diretta conseguenza della campagna di criminalizzazione delle ONG e delle politiche di chiusura dei confini, portata avanti in maniera risoluta dalla Lega e dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Non dobbiamo dimenticarci, che il Mediterraneo è considerato la frontiera più letale al mondo e che nello scorso mese di settembre ha registrato il numero drammatico di una persona morta o dispersa su cinque, tra coloro che hanno tentato la traversata.
      L’importanza di Mediterranea nei giorni scorsi

      Il 12 ottobre scorso, la nave Mediterranea ha avuto un ruolo determinante nel sollecitare il salvataggio tempestivo di settanta persone in pericolo al largo di Lampedusa, dopo il rimpallo di responsabilità tra Malta e Italia. Non solo: ha tenuto accesa l’attenzione dell’opinione pubblica su quanto realmente accade nelle acque a sud della Sicilia.

      Alla missione iniziata oggi parteciperà anche Riccardo Gatti di Proactiva Open Arms e un team di soccorso in mare della Ong tedesca Sea-Watch partner del progetto.


      https://www.giornalettismo.com/archives/2682517/mediterranea-unica-nave-mare-migranti

    • Trois ONG lancent une opération de sauvetage au large de la Libye

      Plus aucun bateau d’ONG ne menait d’opération de sauvetage dans la zone depuis celle menée fin septembre par l’« Aquarius ».
      Trois ONG ont lancé une mission de sauvetage de migrants au large de la Libye, où il n’y avait plus de bateaux humanitaires depuis fin septembre. Les trois navires engagés dans cette mission, l’#Open-Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms, le #Sea-Watch3 de l’ONG allemande Sea-Watch et le Mare-Jonio de l’ONG italienne Mediterranea, naviguent depuis vendredi dans les eaux internationales entre l’Italie et la Libye.

      Le Mare-Jonio était déjà parti début octobre patrouiller dans la zone pour témoigner du drame des migrants. Plus aucun bateau d’ONG ne menait d’opération de sauvetage dans la zone depuis celle menée fin septembre par l’Aquarius. Ce navire, affrété par Médecins sans frontières et SOS Méditerranée, est à quai à Marseille dans l’attente d’un pavillon lui permettant de naviguer, après le retrait de ceux de Gibraltar puis du Panama. La justice italienne a par ailleurs demandé mardi son placement sous séquestre pour une affaire de traitement illégal de déchets.

      La mission n’avait pas été annoncée en amont pour « ne pas se retrouver bloquée par une quelconque ruse, comme cela a été le cas pour l’Aquarius », a dit le fondateur de Proactiva Open Arms, Oscar Camps. Plongée dans le chaos depuis la chute du dictateur Mouammar Kadhafi dans une insurrection soutenue par l’OTAN en 2011, la Libye est l’un des principaux pays de transit pour les migrants subsahariens tentant de rejoindre l’Europe à partir de ses côtes. L’Espagne est devenue cette année la première porte d’entrée des migrants en Europe devant l’Italie mais la route de la Méditerranée centrale reste la plus dangereuse avec 1 277 des 2 075 morts recensés cette année par l’Organisation internationale pour les migrations.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/11/23/trois-ong-lancent-une-operation-de-sauvetage-au-large-de-la-libye_5387774_32

    • What It Means for Migrants When Europe Blocks Sea Rescues

      With no NGO vessels to rescue migrants crossing the central Mediterranean, people are drowning. Dr. David Beversluis, physician onboard one of the last rescue ships in the Mediterranean, looks at what it means when Europe turns its back.

      There is no more tragic place to witness the consequences of populist politics and anti-immigrant fears than the central Mediterranean Sea, where people are dying trying to reach safety in Europe.

      Many flee violence and poverty in forgotten places across Africa and beyond, before being kidnapped by traffickers and horribly abused in Libya. In a final bid for freedom, they board crowded, flimsy rafts that launch from the Libyan shore into Mediterranean waters.

      This year alone, more than 1,200 men, women and children have died trying to make this journey to Europe, according to the International Organization for Migration’s Missing Migrants project. These are just the deaths we know about.

      This summer I served as the physician onboard the Aquarius, a search and rescue ship operated by the aid organizations Doctors Without Borders and SOS Mediterranee that has assisted nearly 30,000 people since it launched in 2016. It was one of the ship’s last missions before the Italian government pressured Panama to revoke its registration after months of blocking rescue ships from Italian ports. In its current predicament, the Aquarius is unable to conduct search and rescue operations. Currently, there are no NGO aid vessels to rescue people crossing the central Mediterranean, and because of this people are drowning.

      On missions, we rescue people from boats in distress, we pull drowning people from the water, and we give food, water and lifesaving medical care. After we stabilize our patients, we sit and talk to people and hear their stories.

      I spoke with a young man who told me his brothers were targeted and killed last year during a violent conflict in Cameroon. He decided to leave his wife and young son behind because he was being threatened himself, and he was hopeful that if he made it to Europe he could eventually build a better life for his child. I could feel the pain in his words; he had no choice but to leave his loved ones behind.

      Several Somali boys told me of the months they spent traveling from country to country, first across the sea to Yemen, then to Sudan and eventually through the Sahara to Libya. Each step was a gamble for a better life. Along the way they faced extortion, imprisonment and death.

      An Eritrean boy told me he was kidnapped in Sudan and spent more than a year in captivity in Libya, where countless men and women are imprisoned by human traffickers and subjected to torture, rape and death. Another soberly described how his brother was shot in the head next to him, his body left behind in the desert.

      Each person has horrific stories of their time in Libya. They pause and shake their heads as they remember, deciding how to replay their experiences for somebody who can’t even imagine. One Nigerian man told me, “My mouth can’t form the words to describe what happened to me in Libya.”

      But he slowly opened up about his months spent in captivity. He described extreme sexual violence – rapes and genital mutilation – stories we hear repeatedly from both men and women who are trafficked in Libya.

      A Somali teenager said he was held in Libya for seven months inside a small room with more than 300 people where they had one latrine, were never able to shower or change clothes and were given meager food and water.

      And they were lined up every day, beaten with sticks and shouted at for money they didn’t have. He showed me scars on his back and arms as he mimicked the daily beating motion. The violence he lived through is written permanently in these scars on his body.

      Libya is simply not a safe place for refugees and migrants. But instead of responding humanely through a dedicated search and rescue system in the Mediterranean, or by creating safe and legal ways to apply for asylum, the European Union has poured money into building up the Libyan coast guard, which intercepts thousands of migrants and refugees as they attempt to flee. They are returned to Libya and held in official detention centers in atrocious, inhumane conditions. And as conflict erupts again between warring militias in the capital, Tripoli, many of them are directly in the line of fire.

      The stories we hear on the Aquarius highlight how people are repeatedly stripped of their humanity and dignity. And while they also have flashes of hope for a brighter future, each person understands that their difficult journey is far from over.

      In today’s political climate, Doctors Without Borders and other organizations have had to fight to disembark each rescued person in a safe place where their human rights will be respected. We’ve had to take people as far away as Spain after closer countries such as Italy have repeatedly closed their ports and European governments have refused to find sustainable and humane solutions.

      These difficulties grow as narratives of fear and hate toward migrants and refugees are repeated over and over, from Europe to America and elsewhere around the world. People are being treated as pawns by politicians unwilling to take responsibility for human lives. Borders close, walls are built and people are left to suffer and die.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/11/19/what-it-means-for-migrants-when-europe-blocks-sea-rescues

    • Italy orders seizure of migrant rescue ship over ’HIV-contaminated’ clothes

      Prosecutors allege garments on Aquarius should have been labelled as ‘toxic waste’.

      Italian authorities have ordered the seizure of the migrant rescue ship Aquarius after claiming that discarded clothes worn by the migrants on their voyage from Libya to Italy could have been contaminated by HIV, meningitis and tuberculosis.

      Prosecutors from Catania, eastern Sicily, alleged that the waste was illegally labelled by the ship’s crew as “special waste” rather than “toxic waste”.

      The Aquarius is currently docked in Marseilles, France, where so far it is beyond the reach of the Italian authorities.

      The ship is operated by the charity Médecins Sans Frontières (MSF) and SOS Méditerranée. Prosecutors in Catania said: “If Aquarius would disembark to Italy, it will be immediately put under seizure.”

      Nevertheless, the Italian authorities have placed 24 people under investigation for ‘‘trafficking and the illegal management of waste,” including the captain of the Aquarius, Evgenii Talanin, and Michele Trainiti, deputy head of the Italy mission of MSF Belgium. The Sicilian prosecutors also fined MSF a total of €460,000 (£409,000) and froze some of its bank accounts based in Italy.

      A total of 24 tonnes of discarded material – including leftover food and medical materials as well as clothes – was being investigated.

      Aids campaigners criticised the prosecutors’ claims that clothing could have been contaminated with HIV. “Clothing categorically is not, and has never been, an HIV transmission risk,” said Deborah Gold, chief executive of the National AIDS Trust.

      “This would have stood out as ridiculous even amongst the misinformation of the 1980s, never mind in 2018. Migrants and people seeking asylum have historically been attacked using myths about HIV and infectious conditions, and we condemn this both for its stigmatising of people living with HIV and of migrants fleeing hardship.”

      The Aquarius has been stuck in Marseilles since the Panamanian authorities revoked its flag, after “complaints by the Italian authorities”. But the ship seemed to have reached an agreement with a country that would offer the NGO its flag and was ready to leave the French port in few days to reach the waters of Libya.

      Matteo Salvini, Italy’s far-right deputy prime minister, hailed the seizure order for the Aquarius, tweeting: “It seems I did well to close the Italian ports to the NGOs.”

      NGO rescue boats have almost all disappeared from the central Mediterranean since Salvini announced soon after taking office that he was closing Italian ports to non-Italian rescue vessels.

      The chief prosecutor of Catania, Carmelo Zuccaro, who is leading the investigation against the Aquarius and who is known for having launched several investigations against the rescue boats operated by aid groups, has recently dropped the charges for illegal detention and kidnapping against Salvini, after the minister of the interior was placed under investigation for preventing the disembarkation of migrants from the coastguard ship Ubaldo Diciotti, last August.

      In a statement released on Tuesday, MSF described the allegations against the Aquarius crew as “disproportionate and unfounded, purely aimed at further criminalising lifesaving medical-humanitarian action at sea’’.

      “After two years of defamatory and unfounded allegations of collusion with human traffickers against our humanitarian work, we are now accused of organised crime aimed at illicit waste trafficking. This latest attempt by the Italian authorities to stop humanitarian lifesaving search and rescue capacity at any cost is sinister” says Karline Kleijer, MSF’s head of emergencies.

      “This is another strike in the series of attacks criminalising humanitarian aid at sea. The tragic current situation is leading to an absence of humanitarian search and rescue vessels operating in the central Mediterranean, while the mortality rate is on the rise,” said Frédéric Penard, SOS Méditerranée’s head of operations.

      People seeking asylum are still attempting the risky crossing but, without the rescue boats, the number of shipwrecks is likely to rise dramatically.

      The death toll in the Mediterranean has fallen in the past year, but the number of those drowning as a proportion of arrivals in Italy has risen sharply in the past few months, with the possibility of dying during the crossing now three times higher.

      According to the International Organization for Migration, so far in 2018 more than 21,000 people have made the crossing and 2,054 have died.

      https://www.theguardian.com/world/2018/nov/20/italy-orders-seizure-aquarius-migrant-rescue-ship-hiv-clothes
      #maladies #contamination

      La réponse de MSF:
      Sequestro nave Aquarius. Inquietante e strumentale attacco per bloccare azione salvavita in mare
      https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/sequestro-nave-aquarius-inquietante-e-strumentale-attacco-per-b

      v. aussi:
      https://seenthis.net/messages/740369

    • L’Italie demande la mise sous séquestre de l’« Aquarius » à Marseille

      La justice italienne a demandé le placement sous séquestre de l’Aquarius, actuellement bloqué à Marseille, a annoncé, mardi 20 novembre, l’ONG Médecins sans frontières (MSF). Des comptes bancaires en Italie de MSF ont également été placés sous séquestre.

      Le navire humanitaire affrété par les ONG SOS Méditerranée et MSF pour secourir les migrants au large de la Libye est soupçonné d’avoir fait passer vingt-quatre tonnes de déchets potentiellement toxiques pour des déchets classiques.

      L’enquête, coordonnée par le parquet de Catane (Sicile), porte sur le traitement des déchets à bord – restes alimentaires, vêtements des personnes secourues, déchets issus des activités médicales – dans les ports italiens où l’Aquarius débarque des milliers de migrants secourus en mer.

      « Empêcher les actions médicales et humanitaires »

      « Les opérations portuaires de nos navires de secours en mer ont toujours suivi les normes en vigueur, s’est défendu MSF dans un communiqué. Les autorités compétentes n’ont jamais questionné nos procédures ni identifié un quelconque risque pour la santé publique depuis que MSF a commencé ses opérations de secours. »

      La mise sous séquestre de l’Aquarius est « mise en œuvre dans l’unique but d’empêcher les actions médicales et humanitaires pour sauver des vies en mer en les criminalisant encore davantage », dénonce l’ONG.

      Depuis que le Panama a annoncé sa décision de retirer au bateau humanitaire son pavillon à la fin de septembre pour « non-respect » des « procédures juridiques internationales » concernant le sauvetage des migrants en mer, l’Aquarius est bloqué dans le port de Marseille.

      L’Aquarius est le dernier navire humanitaire à parcourir la Méditerranée pour secourir des migrants qui tentent la traversée clandestine vers l’Europe, fait valoir l’association. Depuis quatre ans, plus de 15 000 personnes sont mortes noyées en Méditerranée en tentant la traversée sur des embarcations de fortune, selon l’ONG. En deux ans et demi, SOS Méditerranée dit avoir secouru 29 523 personnes dont 23 % sont des mineurs.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/11/20/l-italie-demande-la-mise-sous-sequestre-de-l-aquarius-a-marseille_5385916_32

    • Migrants : la justice italienne demande la mise sous séquestre à Marseille de l’Aquarius

      La justice italienne a demandé le placement sous séquestre du navire humanitaire Aquarius à Marseille pour une affaire de traitement illégal de déchets, un nouveau coup dur pour les ONG qui se portent au secours des migrants en mer.

      L’ONG Médecins sans frontières (MSF), qui affrète l’Aquarius avec SOS Méditerranée depuis 2016, a réfuté toute malversation et dénoncé « une mesure disproportionnée et instrumentale, visant à criminaliser pour la énième fois l’action médico-humanitaire en mer ».

      A la demande du parquet de Catane (Sicile), la justice italienne « a ordonné le placement sous séquestre » du navire et de comptes bancaires de MSF, selon un communiqué du parquet. Mais MSF a annoncé son intention de faire appel.

      Interrogé par l’AFP, le procureur de la République de Marseille, Xavier Tarabeux, a déclaré n’avoir reçu « à ce jour » aucune demande des autorités italiennes concernant l’Aquarius.

      La mesure ne change de toute façon pas la donne au large de la Libye, où les ONG ont secouru plus de 120.000 migrants depuis 2014 mais sont désormais quasi-absentes après 18 mois d’incessantes attaques politiques — de gauche comme de droite —, judiciaires et administratives.

      Plusieurs ONG ont suspendu ou déplacé leurs activités, tandis que d’autres voient leur navire bloqué en Italie, à Malte ou en France, comme c’est le cas de l’Aquarius.

      L’Aquarius est amarré à Marseille depuis début octobre dans l’attente d’un pavillon lui permettant de naviguer après le retrait de ceux de Gibraltar puis du Panama.

      « J’ai bien fait de bloquer les navires des ONG », a réagi Matteo Salvini (extrême droite), ministre italien de l’Intérieur depuis juin. « J’ai arrêté non seulement le trafic des immigrés clandestins mais aussi celui des déchets toxiques ».

      Selon le parquet, l’Aquarius et le Vos Prudence, un autre navire affrété par MSF en 2017, sont soupçonnés d’avoir fait passer pour des déchets classiques un total de 24 tonnes de déchets présentant un risque sanitaire, économisant au total 460.000 euros.

      – « Aucune mise en garde » -

      L’enquête porte sur le traitement des vêtements trempés et souillés abandonnés par les migrants à bord, ainsi que des restes alimentaires et déchets sanitaires, que les deux navires ont confiés aux services des ordures des ports où ils débarquaient les migrants secourus en mer.

      Or, les équipes médicales de MSF à bord ont signalé parmi les migrants de nombreux cas de gale, HIV, méningites ou infections respiratoires comme la tuberculose et ne pouvaient ignorer le risque de transmission de virus ou d’agents pathogènes via leurs vieux vêtements, selon le parquet.

      « Nous avons suivi les procédures qui nous étaient indiquées. La preuve en est qu’en trois ans d’activité, dans un contexte très surveillé, nous n’avons reçu aucune mise en garde, aucune amende, aucune forme d’alerte préventive de la part des autorités », a déclaré Marco Bertotto, un responsable de MSF, lors d’une conférence de presse.

      « En ce moment, nos équipes travaillent avec le virus Ebola au Congo, le choléra au Congo également et dans d’autres pays d’Afrique Centrale. Donc le fait d’être accusés de comportement irresponsable (...) est ridicule », a dénoncé Gianfranco de Maio, médecin de MSF.

      En Italie, des voix se sont également élevées pour demander comment avaient été traités les déchets similaires sur les navires de la marine ou des garde-côtes italiens, qui ont secouru plus de 300.000 migrants depuis 2014.

      Pour l’instant, plusieurs comptes bancaires de MSF ont été placés sous séquestre dans le cadre de cette enquête, qui concerne aussi deux agents maritimes qui faisaient l’interface avec les autorités portuaires, les capitaines des navires et plusieurs responsables de MSF à bord.

      Mais pour Gabriele Eminente, directeur général de MSF en Italie, le « seul crime que nous voyons aujourd’hui en Méditerranée est le démantèlement total du système de recherches et de secours ».

      Grâce à des accords controversés conclus en Libye par le précédent gouvernement de centre gauche pour empêcher les migrants de prendre la mer, puis à la politique des ports fermés de M. Salvini, l’Italie a vu le nombre d’arrivées sur ses côtes chuter drastiquement à partir de l’été 2017.

      Cette année, l’Italie a enregistré 22.500 arrivées sur ses côtes, soit une baisse de plus de 80% par rapport aux années précédentes. Mais selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), faute de navires de secours, la traversée depuis la Libye a coûté la vie à au moins 1.267 migrants cette année.


      https://www.la-croix.com/Monde/Migrants-justice-italienne-demande-mise-sequestre-Marseille-Aquarius-2018-

    • How the Debate Over Flags Sidelined Europe’s Migrant-Rescue Ships

      Europe’s aggressive migration policy has seen Italy dive into the obscure world of national shipping flags to sabotage rescue missions. Researcher Hannah Markay argues that such moves undermine the international legal requirement to save human lives at sea.

      To deter migrants crossing the Mediterranean Sea, European authorities have seized upon a seemingly innocuous bit of international maritime law to block NGO-run rescue ships from their lifesaving work: the requirement that every vessel with seaward ambitions – from search-and-rescue vessel to pleasure boat – carry a national flag.

      The debate over whether NGO boats that rescue migrants are lifelines or “taxis of the sea” is old news. Lately, Italy and other European states have pursued a similar tactic to the one used by the United States in 1931 when it caught gangster Al Capone on charges of tax fraud: Unable to find legal issues with actual rescue missions, authorities are trying to sideline NGO vessels by diving into the minutiae of ships’ national registrations. Italian prosecutors got even more creative this week when they ordered the seizure of the rescue ship Aquarius, operated by Doctors Without Borders, over “illegal waste disposal.”

      Thus, debates over bureaucratic details have eclipsed another requirement of international law: the duty to save human lives at sea.

      Another way in which Italy has used bureaucracy to sabotage NGOs’ rescue missions is by asking them to sign a “code of conduct.” The 11-point code – aimed at stopping what Italy viewed as the groups’ facilitation of people-smuggling across the sea – barred them from entering Libyan territorial waters to undertake rescues; banned them from making calls or sending up flares to signal their location to migrant boats in distress; and threatened to bar access to Italian ports if groups did not sign or comply. Several NGO vessels refused to sign. In retaliation, Italy ordered some of them to be seized.

      These disputes have prevented ships with hundreds of just-rescued, vulnerable people aboard from disembarking in Europe. This happened recently with the Aquarius, the Lifeline and even the Diciotti, an Italian coast-guard ship barred from disembarking 177 refugees and migrants in Italy’s port of Catania for several days.

      Humanitarian groups have found ways around Europe’s bureaucratic obstacles. When Italian deputy prime minister Matteo Salvini threatened to close Italian ports to rescue vessels not bearing the country’s flag, a coalition of activists launched the first-ever Italian-flagged rescue ship, Mare Jonio, to conduct missions off Libya earlier this fall.

      But more often bureaucracy wins. Desperate migrants do not have the luxury of waiting for courts to rule on the legality of states’ actions. The bureaucratic games are directly responsible for the rising rate of deaths in the Mediterranean.
      A Game of Migrant ‘Hot Potato’

      Under international maritime law, every state must require any ship flying its flag – whether it’s a civilian, military or humanitarian vessel – to assist persons in distress at sea, without endangering the ship or crew. Coastal states must also render assistance in areas identified as their search-and-rescue (SAR) zones.

      In theory, the duty to assist applies to any ship able to hear a distress signal. Maritime rescue coordination centers around the world coordinate rescue missions in their respective zones and determine the national authority responsible for responding.

      But in reality this resembles a game of hot potato in the central Mediterranean, in which states quickly delegate or refuse responsibility.

      This was evident when Malta recently gave life-vests, petrol and a compass to a migrant boat in its SAR zone, then directed it to the shores of Lampedusa. European ships within reach of the distress signal are starting to preemptively avoid the waters near Libya altogether or are (illegally) turning around before acknowledging a migrant boat’s mayday signals.

      In this political climate, the few still-operational NGO rescue vessels are more important than ever. In their absence, rescues coordinated by European authorities end with migrants being returned to Libya, which may breach international laws around non-refoulement. With its ongoing civil war and record of detaining migrants, Libya is hardly a safe haven.

      This was the fate of 92 rescued refugees and migrants aboard a cargo ship docked in Libya’s port of Misrata who defiantly claimed they would rather die than return to Libya. The 10-day standoff ended when Libyan authorities used rubber bullets and tear gas to force disembarkation.

      Meanwhile, Libya is also playing the bureaucratic game. Under international law, territorial waters consist of the 12 nautical miles (13.8 miles/22.2km) off the coast of any state, but last year Libya declared its own SAR zone of 74 nautical miles. There is no legal basis for this expansion. Libyan authorities warned NGOs to stay out. Three European NGOs stopped sea rescue missions after Libya’s threats of violence.

      Martin Taminiau, a volunteer with the NGO vessel Sea-Watch, which Malta detained for months over its national registration, said NGO ships must weigh bureaucratic roadblocks against the need to help migrants in distress.

      “We have the right to enter these waters to save lives, but we also want to be able to operate long term,” he said.
      Responsibility to Save Lives ‘Lost at Sea’

      The legal and moral responsibility to save lives has been lost at sea, overshadowed by the technical debates over national flags, zones of responsibility, territorial waters and waste-disposal procedures.

      Watchdog and humanitarian groups must maintain pressure on the European Union to respond promptly to distress calls in their SAR zones and to communicate transparently with any boats prepared to make the rescue, in accordance with international law.

      The 1979 Search and Rescue Convention clearly designates areas of responsibility for responding to distress calls. This must translate into true responsibility and life-saving.

      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/11/22/how-the-debate-over-flags-sidelined-europes-migrant-rescue-ships

    • Che cosa può una nave?

      Si può fare!

      Era la metà di giugno quando ha cominciato a prendere forma quella che sarebbe poi divenuta la piattaforma “Mediterranea”. Salvini aveva da poco chiuso i porti italiani alla nave Aquarius, di “Medici Senza Frontiere” e “Sos Méditerranée”, definendo una “crociera” la lunga traversata che avrebbe portato in Spagna gli oltre novecento profughi e migranti che si trovavano a bordo. Era il coronamento di una vera e propria guerra alle ONG, avviata nell’aprile del 2017 dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e poi proseguita dal ministro Minniti – il coronamento e al tempo stesso un’intensificazione senza precedenti: se negli anni scorsi molti di noi avevano analizzato criticamente la svolta governamentale della “ragione umanitaria”, cioè l’incorporazione delle ONG nei dispositivi di governo dei confini e delle migrazioni, era evidente che ci trovavamo davanti a una brutale soluzione di continuità. L’intervento umanitario era ora direttamente criminalizzato, azzerando quelle reti di soccorso volontario che negli anni precedenti, spesso integrate con le operazioni SAR delle diverse guardie costiere e delle forze armate, erano state comunque dispiegate nel Mediterraneo.

      Che fare di fronte a questa svolta, evidentemente sintomatica di un atteggiamento destinato a improntare l’azione del governo per mare e per terra nei mesi successivi? La domanda non poteva essere aggirata, e ha cominciato a risuonare con insistenza nelle conversazioni tra compagni e compagne. La resistenza, certo: la denuncia di quanto stava accadendo, i presìdi di protesta, le iniziative di pressione per la riapertura dei porti. E il tentativo di comprendere il significato più profondo di quanto stava accadendo, di anticipare le mosse successive del governo definendo un quadro interpretativo generale della “fase”. Ma ci sembrava che tutto questo non fosse sufficiente, che si dovesse e si potesse fare di più: che fosse necessario mettere in campo una pratica, capace di determinare spiazzamento e quantomeno di alludere a una mossa “offensiva”, al di là del carattere necessariamente difensivo della resistenza – e per riqualificare il terreno su cui quest’ultima si determina. E allora, perché non agire direttamente nel vivo delle contraddizioni del dispositivo retorico e politico della campagna governativa? Perché non comprare e mettere in mare una nave? Una nave battente bandiera italiana, in modo che nessun governo potesse chiuderle i porti del nostro Paese…

      Nei mesi successivi abbiamo misurato a pieno il carattere quasi donchisciottesco dell’impresa in cui avevamo deciso – letteralmente – di imbarcarci: una scommessa, un azzardo in qualche modo al buio. Qualche compagno, con conoscenza professionale dei mondi che ruotano attorno alle navi, ci ha aiutato a orientarci. Per un po’ abbiamo accantonato la filosofia e la teoria politica, cercando di farci almeno un’idea del diritto della navigazione, dell’ingegneria navale e della scienza logistica applicata. Mentre la ricerca della nave proseguiva, abbiamo trovato molti complici e sodali, a volte inaspettati e spesso proprio in quei mondi dello shipping dove il principio per cui “ogni singola vita a rischio in mare deve essere messa al sicuro” appare profondamente radicato e viene ritenuto intangibile. E abbiamo incontrato la disponibilità di Banca Etica a sostenere il progetto dal punto di vista finanziario, aprendo una linea di credito dedicata.

      Dentro e contro i mondi della logistica e della finanza ha dunque cominciato a prendere corpo “Mediterranea”, mentre un insieme di soggetti collettivi di diversa provenienza e natura si aggregava a prefigurare un’originale piattaforma sociale e politica. Quando infine abbiamo trovato e siamo riusciti ad acquistare la nave (la “Mare Jonio”), abbiamo subito capito che il lavoro più importante – costruire la nostra nave – cominciava allora: si trattava intanto, letteralmente, di adeguarla alle operazioni di “ricerca e salvataggio” (un compito a cui si sono dedicati con entusiasmo decine di compagne e compagni, con l’essenziale collaborazione della ONG tedesca Sea Watch); e poi di preparare gli equipaggi e di tessere le reti di terra che avrebbero sostenuto e reso possibile l’azione in mare della “Mare Jonio”. Questo lavoro di costruzione collettiva è ben lungi dall’essere terminato. E tuttavia, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre, la nostra nave è salpata per la sua prima missione. Senza alcuna supponenza abbiamo pensato che un primo obiettivo era stato raggiunto. Avevamo dimostrato che si può fare.

      Per mare …

      Tra il 4 ottobre e il 4 dicembre scorsi la “Mare Jonio” ha percorso in tre distinte missioni più di 4.800 miglia marine, più o meno la distanza che separava i migranti italiani tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dall’agognato approdo a Ellis Island. Ci siamo mossi all’interno di quello che viene chiamato il Mediterraneo Centrale, entro un mare solcato e striato da tensioni geopolitiche che si traducono in confini elusivi, ma non per questo meno cogenti. Il caleidoscopio composto da acque territoriali, zone contigue, zone economiche esclusive, aree SAR (Search And Rescue) è come tagliato trasversalmente dalle linee di attrito tra Grecia e Turchia (che solcano il Mediterraneo Orientale), tra Marocco e Spagna (il Mediterraneo Occidentale) e tra Italia e Libia (appunto il Mediterraneo Centrale), con altri Paesi costieri a fare ciascuno il proprio gioco (dalla Tunisia a Malta, dall’Algeria all’Egitto).

      Non è affatto casuale che le aree marittime appena menzionate corrispondano anche alle tre principali “rotte” seguite dai flussi migratori verso l’Europa e che la maggiore o minore pressione lungo ciascuno di questi corridoi di transito rinvii, di volta in volta, a cangianti condizioni economiche, sociali e politiche nei Paesi di partenza e di arrivo; alle spinte soggettive che caratterizzano la propensione a migrare di questa o quella composizione; alle differenti e articolate strategie di gestione dei flussi, prima fra tutte la progressiva esternalizzazione dei confini dell’Unione Europea stessa, in un gioco di continui ridislocamenti che sembra ben lungi dall’aver trovato un suo punto di equilibrio. Basti pensare al ruolo che il Marocco si sta oggi preparando (nuovamente) a giocare sul terreno – mercantile! – degli accordi per il contenimento e il respingimento, entro un quadro in cui l’accordo tra UE e Turchia e i patti stretti da diversi governi italiani con tribù e milizie libiche hanno fatto, negli ultimi tre anni, da apripista. O, in quest’ultimo quadrante, ai tentativi di spostare più a sud, alla frontiera tra Niger e Libia, il “lavoro sporco” svolto in questi anni da apparati “formali e informali” in Tripolitania e Cirenaica.

      In questa cornice, di cui abbiamo potuto registrare le continue modificazioni perfino nel corso delle otto settimane delle nostre prime tre missioni, la presenza e l’attività della “Mare Jonio” hanno messo in tensione il regime SAR, costringendo più volte imbarcazioni della Guardia Costiera maltese e italiana a muoversi in soccorso dei migranti, e hanno svolto una rilevante funzione di inchiesta, facendo luce là dove si pretendeva (obiettivo essenziale dell’attacco alle ONG) che non ci fossero più testimoni attenti e consapevoli. L’Operazione Mediterranea ha conteso con successo alle “autorità competenti” il diritto a intervenire in aree di crisi e ha così aperto un campo in cui sono divenute visibili le trasformazioni già intervenute e in atto nel regime SAR, le cui aree di competenza funzionale sono state via via interpretate come veri e propri spazi di esercizio di sovranità nazionali, sostituendo nei fatti la logica del primato della concreta efficacia nel salvataggio in mare con quella mortifera della sclerotizzazione burocratica dei protocolli operativi nella gestione di rigide “frontiere” acquee. Abbiamo così disvelato e misurato nei fatti la ormai costitutiva inadeguatezza dell’attuale regime SAR a esercitare funzioni di soccorso in mare, ma anche una serie di elementi di cruciale importanza: il fatto che dalla Libia, al contrario di quanto affermato dalla propaganda del governo italiano, si continui a partire, seppure con modalità diverse rispetto al passato; le mutate geografie, i nuovi assetti logistici, la composizione variabile degli attraversamenti del Mediterraneo; la dipendenza dell’intervento sui flussi a monte, cioè sul territorio libico, dalla contingenza di complessi e tutt’altro che trasparenti giochi di potere, economico e politico (come si è visto in coincidenza con lo svolgimento a Palermo, nel novembre scorso, della Conferenza Internazionale sulla Libia); la continuità dell’intervento della “Guardia Costiera” libica (le virgolette sono d’obbligo, visto che al suo interno operano, sotto diretta supervisione del Viminale, soggetti che fino a pochi mesi fa sarebbero stati considerati “trafficanti di esseri umani”) nell’agire dentro e fuori le acque territoriali del Paese africano per operare veri e propri respingimenti collettivi; la resistenza, la formidabile determinazione delle donne e degli uomini in fuga dai campi di detenzione libici a non farsi ricondurre in quei luoghi di violenza e di sfruttamento (le due vicende della nave “Nivin” e del peschereccio “Nuestra Madre de Loreto” sono da questo punto di vista esemplari).

      A metà novembre il ministro dell’Interno italiano ha annunciato trionfalmente che il Mediterraneo era stato infine liberato dalla presenza delle navi delle ONG. “Mediterranea”, con la sua azione, ha al contrario determinato le condizioni di possibilità di un’alleanza transnazionale senza precedenti tra diverse ONG: nel corso di quella che è stata per noi la terza missione ci siamo coalizzati con Open Arms e Sea Watch, dando vita a United4Med e mettendo in mare un piccola flotta, sostenuta dal cielo da due velivoli da ricognizione. Indipendentemente dagli esiti di questa missione (caratterizzata dall’intervento a sostegno del peschereccio “Nuestra Madre de Loreto”), sono state poste le condizioni per un coordinamento operativo destinato a durare nel tempo e per ulteriori nuove alleanze nei prossimi mesi. Ma un momento di significativa importanza è stata anche la sosta di diversi giorni nel porto di Zarzis, in Tunisia, dove l’incontro con le associazioni dei pescatori – da sempre impegnati nelle operazioni di soccorso in mare, e per questo criminalizzati in Italia – e con gli attivisti del “Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali”, ci ha consentito di cominciare a gettare ponti con la terra non solo verso Nord, ma anche verso Sud.

      … e per terra.

      La costruzione di una forte e strutturale connessione tra “terra e mare” è stata per noi fin dall’inizio, del resto, uno degli obiettivi essenziali di “Mediterranea”. Abbiamo spesso affermato che non siamo una ONG, senza per questo mancare di riconoscere l’importanza fondamentale, per il nostro progetto, della collaborazione con Sea Watch e Open Arms, la straordinaria passione che anima molte volontarie e molti volontari delle ONG, e i risultati concreti ottenuti negli anni da queste ultime, in termini di vite umane strappate a morte certa. Quest’affermazione significa piuttosto che non consideriamo il nostro intervento semplicemente limitato ai luoghi in cui si produce l’emergenza “umanitaria”; che ne enfatizziamo il carattere politico e non semplicemente “tecnico” o “neutrale”; che rivendichiamo la possibilità di agire, laddove se ne determinino le condizioni, al di fuori dei quadri giuridici stabiliti, per alludere semmai alla fondazione conflittuale di nuovi diritti.

      È su queste basi che valutiamo l’indubbio successo che “Mediterranea” ha raccolto in terra (tra l’altro per i risultati, inediti per il contesto italiano, del crowdfunding, con quasi quattrocentomila euro raccolti in poco più di due mesi). Tanto nel corso delle iniziative organizzate da un gruppo di donne e uomini di cultura e spettacolo (la “Via di Terra”), quanto nelle decine e decine di assemblee che si sono tenute in tutta Italia (e in qualche città europea) abbiamo fatto esperienza di un entusiasmo e di una passione, di una partecipazione anche emotiva, di una curiosità e di un’adesione che da tempo non ricordavamo. Si badi: queste “tonalità emotive” non corrispondono in alcun modo a un’omogeneità politica. La nostra nave è stata appropriata e in qualche modo reinventata dalle posizioni più diverse, all’interno di centri sociali così come di parrocchie, di università e di scuole, di piccoli circoli di Paese e di assemblee metropolitane; mentre il 24 novembre, ci piace ricordarlo, sulla “Mare Jonio” la bandiera di “Mediterranea” ha sventolato accanto a quella del movimento più forte e radicale dei nostri giorni, “Non Una di Meno”. Ma è proprio questa eccedenza di significati attribuiti a “Mediterranea”, anche al di là delle intenzioni iniziali di questo progetto, a rappresentare per noi il dato più significativo. E a costituire la potenzialità più rilevante per l’immediato futuro.

      La situazione “in terra” è del resto anch’essa cambiata nei due mesi in cui la “Mare Jonio” ha effettuato le sue missioni nel Mediterraneo. Il consolidamento dell’egemonia di Salvini all’interno del governo “giallo-verde” e l’indubbio consenso che circonda la sua azione si sono coniugati con la conversione in legge del cosiddetto “Decreto sicurezza” (mentre un discorso a parte meriterebbe la vicenda della legge di Bilancio e lo “scontro” con la Commissione Europea). Non è questo il luogo per un’analisi nel dettaglio delle disposizioni di legge in esso contenute. Basti dire che il drastico ridimensionamento del sistema SPRAR punta a radicare ulteriormente nel tessuto sociale una logica emergenziale, producendo “illegalità” e rendendo sempre più fragile e insicura la condizione di migliaia di profughi e migranti. Mentre il sostanziale smantellamento della “protezione umanitaria” colpisce tra l’altro duramente, e in modo selettivo, le donne migranti, in particolare quelle in fuga da condizioni di violenza. Al tempo stesso, l’inasprimento delle sanzioni penali per blocchi stradali e occupazioni abitative colpisce in primo luogo ancora i e le migranti, protagonisti in questi anni di straordinarie lotte sul lavoro (si pensi ai blocchi dei magazzini della logistica) e per la casa.

      Siamo di fronte a un tendenziale azzeramento delle mediazioni, che si manifesta prima di tutto sul terreno della migrazione, ma che si indirizza selettivamente contro un insieme più ampio di soggetti. Come agire di fronte a questa rottura? “Mediterranea” non ha certo lezioni da impartire a chi quotidianamente pratica la resistenza. Ha forse però, a partire dalla sua parziale esperienza, almeno due indicazioni da proporre.

      In primo luogo, mostra l’importanza di accompagnare all’azione di resistenza la messa in campo di pratiche capaci di intervenire direttamente sui problemi che si presentano. Si può pensare che oggi queste pratiche possano e debbano dispiegarsi anche sul terreno della costruzione di infrastrutture, materiali e immateriali, una costruzione aperta e in divenire, come aperta e in divenire è stata ed è la costruzione della nostra nave. Proviamo a immaginare un’azione che combini, in modo aperto ed espansivo, la resistenza allo smantellamento del sistema SPRAR e della protezione umanitaria con la costruzione di infrastrutture alternative per l’ “accoglienza”, coinvolgendo il mondo degli operatori e delle operatrici e facendo tesoro dell’esperienza dei centri anti-violenza e delle case rifugio all’interno del movimento femminista. Non ne risulterebbe straordinariamente più forte la stessa resistenza?

      In secondo luogo, “Mediterranea” può offrire l’esperienza di quella che vorremmo chiamare una politica del diritto, ovvero di un tentativo di affermare (ancora una volta: con una pratica) la legittimità e la legalità di qualcosa di tanto elementare quanto il dovere di salvare i naufraghi in mare. In questo tentativo, ha “testato” l’intreccio tra molteplici sistemi giuridici (quelli nazionali, quello europeo, il “diritto internazionale del mare”), tentando di allargare le tensioni all’interno e tra di essi, aprendo varchi e scontrandosi con limiti. È un tentativo che bisogna continuare a fare (per mare così come per terra) con maggiore determinazione. E con la necessaria spregiudicatezza e radicalità, perché siamo convinti che di fronte ai limiti occorra forzare, sia cioè indispensabile praticare, dal nostro punto di vista, la rottura.

      To be continued.

      Che cosa può dunque una nave? Va da sé che c’è un tratto ironico in questa variazione sul tema di una celebre domanda deleuziana. Pur non disdegnando imprese donchisciottesche, cerchiamo di mantenere una qualche sobrietà. Indubbiamente, la nostra nave ha dimostrato di poter intervenire operativamente nel Mediterraneo, svolgendo tra le altre cose un’efficace funzione di inchiesta e denuncia sulle trasformazioni del regime SAR e delle dinamiche di attraversamento e rafforzamento del confine marittimo. Ha messo in collegamento le due sponde del Mediterraneo e ha prodotto straordinari effetti di risonanza in terra, aprendo spazi nuovi attraverso una molteplicità di incontri imprevisti. Ma una nave può essere soltanto uno dei molti dispositivi di cui dobbiamo dotarci nella lotta per costruire un mondo in cui sia possibile, tanto per cominciare, respirare più liberamente.

      In ogni caso, la nostra nave – lo abbiamo detto più volte – è in costruzione, ed è in fondo questo ininterrotto processo di costruzione collettiva che ci sembra prezioso. Che cosa diventerà “Mediterranea” nei prossimi mesi? È una domanda che deve rimanere aperta nelle sue linee generali. Certamente, proseguiremo le operazioni marittime. Questo richiederà un’ulteriore “professionalizzazione” del lavoro, un salto di qualità nella strutturazione dell’ “impresa per fare l’impresa”, una rinnovata cura per gli aspetti logistici e finanziari, la formazione di attivisti e attiviste auspicabilmente nel quadro di una cooperazione rafforzata con diverse ONG. È questo un aspetto fondamentale di “Mediterranea”, nata da un patto tra soggetti diversi che si sono riconosciuti uguali nella condivisione dell’urgenza dell’intervento di soccorso in mare.

      Al tempo stesso, sarà necessario riaffermare e riqualificare il significato della nostra affermazione secondo cui “non siamo una ONG”. Si tratterà cioè di riprendere gli elementi essenziali che abbiamo indicato in precedenza: il carattere politico del progetto, la moltiplicazione di ponti tra il mare e la terra, una “politica del diritto” certo consapevole dei quadri ordinamentali dati (e delle forzate interpretazioni consuetudinarie che i più recenti rapporti di forza politici hanno orientato), ma anche determinata nella capacità di praticare rotture. E occorrerà farlo allargando le relazioni e approfondendo il lavoro tanto sul piano sociale quanto nello spazio europeo, puntando in primo luogo al coinvolgimento delle tante città che si sono costituite, esplicitamente o implicitamente, come “città rifugio” negli ultimi anni.

      Sono questioni attorno a cui è aperto il confronto tra tutti coloro che partecipano al progetto. La nostra proposta è quella di lavorare – da qui alla primavera – alla costruzione di una sorta di “stati generali” di “Mediterranea”: non un evento, ma l’esito di un percorso di inchiesta e di discussione, che riprenda i fili delle molte risposte che “Mediterranea” ha raccolto e che ci permetta di avanzare sul terreno della costruzione collettiva. Ripartire dai territori in cui si sono svolte (e continuano a svolgersi) le iniziative di sostegno al progetto, valorizzare gli “incontri imprevisti” per quel che riguarda tanto eterogenee aree politiche e culturali quanto i diversi “mondi” che abbiamo attraversato in questi mesi (da quelli dello shipping ai medici e agli operatori del diritto con cui abbiamo collaborato, per fare solo qualche esempio particolarmente importante): questo ci sembra possa essere il metodo da seguire, per continuare a essere là dove è necessario essere e agire – per mare e per terra.


      http://www.euronomade.info/?p=11437

  • Revue de presse de Claire Rodier sur l’affaire #Diciotti (via la mailing-list Migreurop), que je compile sur ce fil de discussion.

    Cette compilation est à mettre en lien avec les autres compilations et les autres documents en lien avec la question #ONG #sauvetage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #sauvetages #sauvetage

    Pour voir les compilations annexes :
    https://seenthis.net/messages/706177

    cc @isskein

    ps. je n’ai suivi que partiellement ce nouvel épisode tragique car j’étais en Asie du Sud-Est et pas toujours connectée lors des événements

    • Chronique reçu de Camille Richard via la mailing-list Migreurop, le 20.09.2018

      Août 2018
      L’Arci et le cabinet légal Giuliano de Syracuse ont présenté un recours au Tribunal civil de Catane et au Tribunal administratif régional sicilien de Catane : un recours d’urgence (art 200 du Code de Procédure Civile) pour la protection immédiate des droits primaires des 150 migrants détenus illégitimement sur le bateau de la Garde côtière italienne Diciotti ; et devant le tribunal administratif, un recours avec une demande conservatoire d’un pourvoi de la mesure du ministre de l’Intérieur illégitimement adoptée.
      L’Arci a également demandé l’application immédiate des lignes directrices de l’OIM, dont le non-respect constitue une violation grave du droit international, notamment l’article 3 de la Charte européenne des droits de l’Homme (traitements inhumains et dégradants).
      Le recours a également été transmis -pour information- à la Questura, à la Préfecture et à la Garde côtière.
      Avec cette action, l’Arci insiste sur le fait qu’il n’y aucune trace écrite de la mesure et que celle-ci a d’autres objectifs, au vu des négociations avec l’UE et la campagne électorale sans relâche de Matteo Salvini.
      https://www.arci.it/larci-presenta-un-ricorso-contro-il-governo-per-il-trattenimento-illegittimo-de

      Septembre 2018
      Tribunal des ministres1, Palerme : L’enquête est née du fait qu’un ordre formel n’a été donné pour le blocus du navire Diciotti ou pour le débarquement, après 10 jours, des migrants secourus dans les eaux territoriales maltaises.
      Le tribunal, présidé par Fabio Pilato, a commencé à se réunir de manière informelle pour fixer les lignes du procès contre Salvini. L’examen du dossier, qui a débuté le 8 septembre, sera bref : le cas doit être clos dans les 90 jours. La première question concerne la compétence territoriale.
      Il s’agit d’abord de déterminer le lieu d’où serait partie la conduite illicite présumée de Salvini : les eaux territoriales de Lampedusa, où les migrants ont été secourus, ou le port de Catane où la Diciotti est restée pendant des jours dans l’attente du débarquement. Dans le premier cas, l’enquête resterait dans les mains de la magistrature de Palerme, à qui le dossier fut transmis par Agrigente (qui a compétence pour l’enquête mais ne peut être le siège du tribunal des ministres). Dans l’autre cas, la compétence reviendrait à la magistrature de Catane.
      Afin de déterminer le lieu de l’infraction, il faut reconstruire la « chaîne de commandement » à l’aide des nombreux témoins, dont quelques uns ont déjà été écoutés (le commandant de la Diciotti, le capitaine Massimo Kothmeir). Seront prochainement écoutés le chef de cabinet Matteo Piantedosi (qui n’est plus considéré comme suspect mais comme témoin), les commandants de la capitainerie de Porto Empedocle et de Catane, le responsable du bureau maritime de Lampedusa, le chef de Département des libertés civiles, Gerarda Pantalone, et son vice-président Bruno Corda.
      Dans le cas où le Tribunal décide de procéder, il sera nécessaire d’obtenir l’autorisation de la part du Sénat pour prendre des mesures contre le Premier ministre. À ce jour, il ne reste qu’un chef d’accusation contre Salvini : la séquestration de personnes, aggravée.
      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/salvini-riceve-comunicazione-atti-indagine-diciotti
      https://www.corriere.it/politica/18_settembre_08/indagini-sequestro-persona-tribunale-ministri-cd4a9ea0-b2d9-11e8-af77-790d0

      Les réactions de Matteo Salvini
      "Mi sono semplicemente detto sorpreso che una procura siciliana, con tutti i problemi di mafia che ci sono in Sicilia, stia dedicando settimane di tempo a indagare me, ministro delll’interno, che ho fatto quello che ho sempre detto che avrei fatto e cioè bloccare le navi. È una decisione politica.’’
      « Je me suis simplement dit surpris qu’une magistrature sicilienne, avec tous les problèmes de mafia qui existent en Sicile, soit en train de dédier plusieurs semaines à enquêter sur moi, ministre de l’Intérieur, alors que j’ai fait ce que j’avais toujours dit que je ferais, c’est-à-dire bloquer les bâteaux. C’est une décision politique ».
      Matteo Salvini parle d’un complot politique (aussi pour la récente séquestration des fonds de son parti). Le premier ministre se concentre aujourd’hui sur les politiques de lutte contre l’immigration clandestine et a confirmé que d’ici l’automne, il conclura une série d’accords avec les pays africains et asiatiques pour les rapatriements et les expulsions.
      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/salvini-riceve-comunicazione-atti-indagine-diciotti

      La Cour des Comptes ouvre une enquête sur les « coûts supplémentaires » du blocus naval pour lequel le ministre Matteo Salvini est suspecté.
      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/diciotti-inchiesta-per-danno-erariale
      « Prendre ’en otage’ pendant 10 jours 177 demandeurs d’asile sur la Diciotti a coûté au moins 5 fois plus que de les accueillir dans un CAS -Centre extraordinaire d’accueil » (Avvenire, 29 août). Selon les premiers calculs, seulement pour la Diciotti, les caisses publiques devront débourser au moins 200,000 euros non prévus. Auxquels s’ajoutent les dépenses qui ont servi à couvrir l’accompagnement de l’Aquarius par la Garde côtière jusqu’en Espagne.
      La Cour des Comptes a ouvert un dossier d’enquête pour « préjudice financier » sur trois faits principaux : l’accompagnement de l’Aquarius jusqu’à Valence le 17 juin dernier ; le cas Diciotti du 13 juillet quand le gouvernement à envoyer le navire de la Garde côtière à Trapani ; et le cas Diciotti du mois d’août et la séquestration des migrants que l’embarcation (qui aurait coûté 10,000€ par jour).

      1 Le Tribunal est composé de trois magistrats choisis par tirage au sort tous les deux ans. À ce jour, le président est Fabio Pilato (ex- juge des tutelles du Tribunal de Palerme), avec deux autres juges : Filippo Serio (Commission de Révision) et Giuseppe Sidoti.

    • Diciotti, scontri al #sit-in di Catania: feriti un agente e un dimostrante

      In centinaia alla protesta per chiedere lo sbarco dei migranti. Tensioni fra manifestanti e polizia.

      In centinaia al presidio antirazzista sul molo due del porto di Catania, a pochi metri dalla nave Diciotti della Guardia costiera da giorni bloccata dal governo gialloverde con circa 130 migranti a bordo dopo lo sbarco di 17 persone per motivi sanitari. Ci sono le bandiere di Legambiente, dell’Arci, di Potere al popolo, della Cgil. Ci sono i volontari dei Briganti di Librino. Ci sono gli scout dell’Agesci. Ci sono i collettivi antirazzisti e i componenti dei centri sociali. La parola chiave è “Facciamoli scendere”.

      C’è stato un contatto tra forze dell’ordine e manifestanti che hanno tentato di forzare l’accesso al molo di Levante dove è ormeggiata la nave. Una decina di giovani con salvagenti e tavolette si sono lanciati a mare nel tentativo di raggiungere il pattugliatore della Guardia Costiera gridando ’libertà, libertà’. C’è stato uno scontro con le forze dell’ordine per evitare lo ’sfondamento’, e un poliziotto è rimasto ferito. L’agente è stato soccorso dai suoi colleghi e portato in un cellulare della polizia per le prime cure. Ferito anche un militante.

      In rappresentanza del Pd anche Antonio Rubino e l’ex deputato Giovanni Panepinto che avevano una bandiera dem. Quando è stata esposta i ragazzi di Potere al popolo hanno urlato e protestato creando un po’ di tensione, poi rientrata. Sul molo già centinaia di persone. Fra gli altri c’è il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, accompagnato dall’assessora Giovanna Marano: «Palermo e la Sicilia . dicono - sono in prima fila per ribadire che la cultura dell’accoglienza e la cultura della solidarietà rappresentano la vera cultura del popolo italiano. Una cultura e una prassi per altro sancite dalla nostra Costituzione e dalle leggi, cui il governo nazionale pensa di poter derogare a colpi di tweet e dirette Facebook mettendo a rischio la tenuta democratica del Paese».

      La manifestazione si è incrociata con il momento dello sbarco dei migranti scesi dalla nave Diciotti per motivi sanitari. Intanto la Sicilia si mobilita: i vescovi si dicono pronti allo sciopero della fame, mentre diversi militanti stanno inviando migliaia di e-mail al ministero degli Interni e a quello dei Trasporti per chiedere lo sbarco dei migranti. Si è intanto conclusa l’audizione di due funzionari del Viminale condotta dai pm di Agrigento.

      http://palermo.repubblica.it/cronaca/2018/08/25/news/scout_sinistra_volontari_ambientalisti_diciotti_a_catania_comincia_il_sit-in-204901986/?refresh_ce
      #Catane #résistance

    • Migrants : l’UE ne propose aucune solution pour les passagers du « Diciotti »

      Malgré la menace du gouvernement italien de suspendre sa participation au budget communautaire, aucun accord n’a été trouvé pour les 150 migrants bloqués à Catane.

      Bruxelles n’a pas cédé devant l’ultimatum formulé par Luigi Di Maio, le chef de file du Mouvement 5 étoiles (M5S, populiste) et vice-président du conseil italien : l’Union européenne (UE) n’a pas pris de décision, vendredi 24 août, sur l’accueil des 150 migrants toujours bloqués à bord du Diciotti et, plus généralement, sur la redistribution, en Europe, des candidats à l’asile.

      Jeudi, M. Di Maio avait pris le relais du ministre de l’intérieur et dirigeant de la Ligue (extrême droite), Matteo Salvini, en indiquant que, faute d’accord vendredi, son pays pourrait suspendre sa contribution au budget européen dès le début 2019. Soit 20 milliards d’euros, selon M. Di Maio. Aucun pays membre de l’UE n’a, jusqu’alors, refusé d’acquitter sa participation au budget communautaire.

      Une réunion de diplomates et d’experts avait été convoquée vendredi, à Bruxelles, par la Commission. Il s’agissait, au départ, de reparler de l’ensemble du dossier migratoire mais difficile, évidemment, de gommer la polémique actuelle avec Rome sur le Diciotti.

      Le navire des garde-côtes italien a secouru, dans la nuit du 15 au 16 août, 190 migrants. Treize d’entre eux ont été débarqués pour des raisons sanitaires à Lampedusa, puis le navire a accosté, le 20 août, à Catane, en Sicile. Depuis, les mineurs ont pu descendre mais le gouvernement italien exige que les autres rescapés soient envoyés ailleurs en Europe avant de les laisser débarquer.

      « Fixer des principes »

      Les menaces « ne servent à rien et ne mènent nulle part », a répliqué à M. Di Maio, vendredi midi, un porte-parole de la Commission. « Les commentaires peu constructifs n’aident pas et ne nous rapprochent pas d’une solution », a-t-il insisté. Bruxelles ne manque pas d’ajouter que si elle est désormais un contributeur net au budget européen – elle paie plus qu’elle reçoit en retour –, l’Italie perçoit quand même 10 milliards à 12 milliards par an en moyenne via des fonds structurels, d’investissements, d’aides à la recherche… Au total, elle a aussi reçu 650 millions pour la gestion des migrants arrivés sur son territoire – soit quelque 700 000 personnes depuis 2014.

      Selon l’un des participants, les représentants italiens à la discussion de vendredi n’ont pas réitéré la menace de M. Di Maio. « Mais elle planait », indique-t-il. Pas question, en tout cas, pour les autres pays présents (France, Allemagne, Espagne, Autriche, Grèce, Malte et les pays du Benelux) de donner l’impression de céder au chantage, tout en reconnaissant l’urgence d’une solution humanitaire.

      « Il s’agissait de tirer les leçons de ce qui s’est déroulé cet été et, surtout, de fixer des principes, des mécanismes durables pour l’accueil des bateaux, la répartition des migrants et le problème de leurs mouvements secondaires », souligne un diplomate. La recherche d’une garantie de solidarité entre les Etats membres, la question de l’aide financière à apporter aux pays d’accueil et celle des lieux de débarquement – en principe, le « port sûr le plus proche » selon le droit maritime international – sont d’autres thèmes de débats qui se poursuivront en septembre.

      Et le Diciotti ? « Pas le sujet du jour »,tranche l’un des participants. Il s’agissait pour les pays présents d’obtenir un engagement clair de l’Italie, « une définition de ses principes et une orientation quant à ce qu’elle fera à l’avenir ». « On ne se voit pas avoir une discussion bateau après bateau », insiste une autre source.

      La Commission affirme, de son côté, rester en contact avec Rome et d’autres capitales pour régler le sort des occupants du Diciotti. Vendredi, elle devait convenir qu’il restait incertain. En juillet, 450 migrants étaient restés trois jours à bord du même bateau, jusqu’à ce que l’Italie accepte leur débarquement, après avoir obtenu que d’autres pays européens en accueillent une partie.

      « Cotiser est un devoir légal »

      Dans une interview au Corriere della Sera, M. Salvini a ébauché à sa manière une solution à l’impasse. Elle consisterait en « un bel avion qui arrive d’une des capitales européennes à l’aéroport de Catane. Les Européens peuvent montrer qu’ils ont un grand cœur en embarquant tous les aspirants réfugiés. Nous avons joué notre rôle avec les jeunes », a-t-il déclaré. Annonçant une prochaine rencontre avec le premier ministre Viktor Orban, à Milan, il évoquait une modification des traités et des conventions qui régissent l’asile.

      Face à son allié, le M5S paraît divisé. Mais M. di Maio apporte son soutien à M. Salvini, qui a réagi vendredi soir à la non-décision de Bruxelles en déclarant « aujourd’hui, l’UE nous a encore prouvé qu’elle n’est qu’une entité abstraite ».

      A propos du Diciotti, M. Salvini a lancé : « Nous fournirons toute l’assistance nécessaire à bord du navire. Mais personne ne débarque. Un seul pays ne peut pas gérer tout ce qui se passe. Et un continent comme l’Afrique ne peut pas continuer de se vider. Avec 5 millions d’Italiens en état de pauvreté absolue, dont 1,2 million d’enfants, je pense d’abord aux Italiens. »

      Sur Facebook, M. Di Maio ne voulait pas rester en reste : « L’UE a décidé de nous tourner le dos, de se moquer des principes de solidarité et de responsabilité. (…) On ne va plus se laisser marcher dessus. » Et de confirmer sa menace d’un gel de la contribution italienne au budget européen.

      Sur Facebook toujours, le premier ministre Giuseppe Conte évoque « une belle occasion » perdue selon lui par l’Europe, qui aurait dû démontrer sa solidarité. Seul le ministre des affaires étrangères, Enzo Moavero, a fait entendre une autre petite musique. « Cotiser [au budget européen] est un devoir légal », a-t-il tenté de rappeler.

      https://abonnes.lemonde.fr/europe/article/2018/08/24/l-italie-pose-un-ultimatum-pour-trouver-une-solution-aux-migrants-du ?

    • L’Italie pose un ultimatum pour trouver une solution aux migrants du « Diciotti »

      Une réunion de la Commission européenne doit se tenir vendredi pour répartir dans plusieurs pays les migrants bloqués dans le port de Catane depuis lundi.
      LE MONDE | 24.08.2018 à 10h41 • Mis à jour le 24.08.2018 à 10h45

      Dix jours après avoir recueilli 190 migrants en mer, cinq jours après avoir pu accoster dans le port de Catane, en Sicile, le Diciotti, navire des gardes-côtes italiens, fait toujours l’objet d’un bras de fer entre l’Italie et les autres pays européens.
      Jeudi 23 août, le vice-président du conseil italien, Luigi Di Maio, a lancé un ultimatum à la Commission européenne, qui a annoncé travailler sur une solution similaire à celle trouvée la semaine dernière avec Malte pour les passagers de l’Aquarius. Il a sommé Bruxelles de trouver une solution vendredi, dans le cadre de la réunion du groupe PSDC (Politique de sécurité et de défense commune) de la Commission européenne. Faute de quoi son Mouvement 5 Etoiles, au pouvoir dans le cadre d’une coalition avec la Ligue, d’extrême droite, est prêt à suspendre la contribution italienne au budget de l’UE à compter de l’année prochaine.
      « Si rien ne sort de la réunion de la Commission européenne demain sur la répartition des migrants à bord du Diciotti, le Mouvement 5 Etoiles et moi-même ne serons plus disposés à verser chaque année 20 milliards d’euros à l’UE », a-t-il dit dans une vidéo postée jeudi soir sur Facebook.
      27 mineurs débarqués

      Mercredi, le ministre de l’intérieur italien, Matteo Salvini, avait confirmé qu’il n’autoriserait pas le débarquement des 177 migrants restant à bord. « Je ne donne aucune autorisation au débarquement. Si le président de la République veut le faire qu’il le fasse ; si le président du conseil [Giuseppe Conte, chef du gouvernement] veut le faire qu’il le fasse. Mais ils le feront sans l’accord du vice-premier ministre et du ministre de l’intérieur », a-t-il écrit sur Facebook.
      Plus tard, il a toutefois dû céder en ce qui concerne les mineurs non accompagnés, et 27 migrants, âgés de 14 à 16 ans, ont débarqué tard dans la nuit. Certains portaient encore les traces de leur séjour en Libye. « Un d’entre eux ne voit plus très bien, il a les pupilles dilatées, parce qu’il m’a raconté avoir été détenu dans le noir pendant un an », a raconté Nathalie Leiba, psychologue auprès de l’ONG Médecins sans frontières, qui a pu venir en aide à certains de ces jeunes migrants.
      Mais les adultes, eux, sont toujours bloqués à bord. La Libye a exclu de recueillir les passagers. Mohamed Siala, ministre des affaires étrangères du gouvernement d’union nationale (GNA), a estimé, mercredi, que ce retour serait une « mesure injuste et illégale » car la Libye compte déjà « plus de 700 000 migrants ».
      Le procureur sicilien d’Agrigente a ouvert une enquête pour « séquestration de personnes », mais le gouvernement italien fait la sourde oreille.

      https://abonnes.lemonde.fr/europe/article/2018/08/23/vent-de-fronde-parmi-les-gardes-cotes-italiens_5345376_3214.html ?

    • Vent de fronde parmi les gardes-côtes italiens contre la politique « zéro migrants » de Salvini

      Le ministre de l’intérieur, Matteo Salvini, prend pour cible les activités de sauvetage de migrants en Méditerranée.
      LE MONDE | 23.08.2018 à 11h51 • Mis à jour le 24.08.2018 à 10h22 | Par Margherita Nasi (Catane (Sicile), envoyée spéciale)

      C’est une institution centenaire et intrépide. Depuis 1865, la garde côtière italienne veille à l’application de la loi en mer, suivant le slogan : « Omnia vincit animus » (« le courage est toujours vainqueur »). Il faut de la témérité, en effet, pour lutter contre les trafics illicites et pratiquer des sauvetages en mer. Il en faut tout autant pour dénoncer la politique « zéro migrants » du ministre italien de l’intérieur, Matteo Salvini.
      Le 19 août, l’organisme est sorti de sa réserve pour dénoncer le traitement que le chef de la Ligue (ex-Ligue du Nord) impose au navire Diciotti. Le patrouilleur des gardes-côtes était coincé depuis plusieurs jours au large de Lampedusa, après avoir recueilli 177 migrants sur une embarcation qui prenait l’eau. M. Salvini a refusé de laisser accoster les marins italiens, intervenus sur un bateau relevant selon lui des autorités maltaises. Dans un entretien au Corriere della Sera, le lieutenant Antonello Ciavarelli s’est alarmé d’une situation « incompréhensible et même gênante ».
      Lire aussi : A Catane, les migrants du « Diciotti » patientent dans un silence irréel
      Le 20 août, le navire a finalement pu entrer dans le port de Catane, en Sicile. Mais ses passagers n’ont pas le droit de débarquer : M. Salvini menace même de les ramener en Libye si l’Union européenne n’accepte pas de prendre en charge les migrants. Escalade, le 22 août : entre un Tweet où il s’émeut du sort des centaines de milliers de bêtes égorgées par les musulmans pendant l’Aïd, et un autre où il promet la fermeture d’un camp de migrants, le très droitier ministre s’en prend aux gardes-côtes. « Le PD [Parti démocrate] et la gauche ont fait en sorte que le pays soit envahi par plus de 700 000 immigrés, et je serais “gênant” ?, fait-il mine de s’interroger. C’est du délire. Je ne lâche pas, les amis, je continue. »
      « Le phénomène migratoire a tellement augmenté que je considère que ce n’est plus du secours en mer ce que nous faisons », considère un garde-côtes qui souhaite ne pas être cité nommément
      Depuis, la direction des gardes-côtes italiens se refuse à tout commentaire. Dans leur bureau de Catane, on nous fait lanterner, puis on nous accompagne dans le bureau d’un responsable qui préfère ne pas être cité nommément. « On a reçu des ordres, on ne doit pas parler, et puis le Diciotti n’est pas sous notre responsabilité, on ne fait que fournir de l’assistance logistique. C’est le quartier général qui s’en occupe, indique le hiérarque. Le phénomène migratoire a tellement augmenté que je considère que ce n’est plus du secours en mer ce que nous faisons. J’espère qu’avec cette histoire, l’Europe va comprendre que l’immigration, c’est plus complexe que ce que l’on croit, et finira peut-être par remercier Salvini. »
      Pourtant, un vent de fronde souffle bien parmi les gardes-côtes italiens. Antonello Ciavarelli s’en fait le porte-voix : « Beaucoup de collègues m’écrivent pour exprimer leur malaise. On nous attaque sur les réseaux sociaux, on demande la destitution du commandant général, l’amiral Giovanni Pettorino. Le Diciotti est comparé au navire d’une ONG, notre action à celle des passeurs de clandestins. Ce sont des attaques injustes », témoigne le lieutenant au Corriere della Sera.
      M. Ciavarelli s’inquiète des conséquences de la politique de Matteo Salvini : « Pour l’heure, les 177 migrants sont sains et saufs et les collègues à bord m’écrivent sur WhatsApp pour me dire que tout va bien. Mais si ces mêmes personnes comprennent que nous voulons les ramener en Libye, ou les transborder dans un autre bateau direction la Libye, ils seraient prêts à tout, même au suicide (…). L’équipage reste serein, car il sait qu’il fait son travail dans le respect de la Constitution. »
      Problème légal et éthique

      Des propos en accord avec ceux du défenseur italien des droits des personnes détenues, Mauro Palma, qui estime que « la permanence prolongée des migrants à bord du bateau – ils doivent dormir sur le pont, ils sont exposés aux conditions météorologiques et sont en situation de surpopulation et de promiscuité – pourrait se révéler être un traitement inhumain et dégradant, violant la Constitution ». Le procureur d’Agrigente a évoqué le cas des 29 mineurs présents sur le navire, estimant qu’ils « avaient le droit d’être débarqués » en vertu des conventions internationales et de la loi italienne sur les mineurs non accompagnés. M. Salvini a déclaré qu’il ne s’y opposait pas pour les mineurs.
      Pour les gardes-côtes, le problème n’est pas seulement légal, il est d’abord éthique. « C’est obligation juridique, mais aussi morale : tous les marins, même lorsque les conventions n’existaient pas encore, ont secouru ceux qui se trouvaient en difficulté. On n’a jamais laissé personne seul en mer », déclarait déjà, le 26 juin, le patron des gardes-côtes italiens, l’amiral Giovanni Pettorino.
      « Si vraiment on ne veut plus sauver les gens, il faut changer les règles, et je veux voir si la personne qui s’en charge dormira bien la nuit. Et puis si c’est un bateau de croisière qui est en détresse, qu’est-ce qu’on fait ? Cela reviendrait à dire que toutes les vies n’ont pas la même valeur », s’emporte Vittorio Alessandro. Ce garde-côtes à la retraite déplore l’inefficacité de la stratégie de Matteo Salvini.
      Selon une enquête menée par la plate-forme indépendante EUobserver, l’Italie aurait déboursé sur fonds européens au moins 200 000 euros pour escorter en juin l’Aquarius et ses 600 passagers jusqu’à Valence, en Espagne, après lui avoir interdit d’accoster. « Une somme faramineuse pour un résultat ridicule ! On joue avec la souffrance des personnes pour obtenir sur le moment la répartition de quelques migrants. Depuis, je n’ai pas l’impression que les autres pays européens aient montré plus de disponibilité pour accueillir des migrants. »

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/08/23/vent-de-fronde-parmi-les-gardes-cotes-italiens_5345376_3214.html

    • La « prise d’otage » du Diciotti dénoncée, 29 mineurs autorisés à débarquer

      29 mineurs non accompagnés ont été autorisés à quitter le Diciotti dans le port de Catane la nuit dernière. Et c’est par un message sur les réseaux sociaux que le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini a finalement donné son feu vert à leur débarquement. Message qui disait ceci : « Il y à bord du Diciotti 29 enfants ? Ils peuvent descendre, maintenant, même si Bruxelles dort... »
      Le navire des gardes-côtes italiens est arrivé lundi en Sicile, avec interdiction du gouvernement de débarquer ses 177 migrants sauvés des eaux méditerranéennes.
      Rome dit espérer qu’une solution soit trouvée au plus vite, après son accrochage avec Malte et ses menaces de renvoyer les migrants en Libye.
      Le premier ministre lui même Giuseppe Conte s’est plaint sur Facebook qu’aucun Etat européen n’ait proposé son aide... La commission européenne a répondu qu’elle était toujours en négociation avec les Etats-membres pour résoudre cette question. 177 pour une population européenne de 500 millions, ce doit être possible, mais le bras de fer se poursuit...
      Et de plus en plus de voix s’élèvent pour dénoncer cette « prise d’otages », l’ONU qui rappelle que le droit d’asile est un « droit fondamental, pas un crime », mais aussi l’écrivain antimafia Roberto Saviano qui estime que « c’est un cas grave et illégal de séquestration de personnes ».
      Trois juridictions siciliennes ont d’ailleurs ouvert une enquête sur le Diciotti pour associations de malfaiteurs visant le trafic d’êtres humains et pour séquestration de personnes.
      En charge de cette dernière enquête, le procureur d’Agrigente était monté mercredi à bord du Diciotti. Il avait alors évoqué le cas des 29 mineurs présents sur le navire estimant qu’ils « avaient le droit d’être débarqués » en vertu des conventions internationales et de la loi italienne sur les mineurs non accompagnés.

      http://fr.euronews.com/2018/08/23/la-prise-d-otage-du-diciotti-denoncee-29-mineurs-autorises-a-debarquer

    • A Catane, les migrants du « Diciotti » patientent dans un silence irréel

      Une flottille de voiliers traverse le port de Catane, en Sicile. A en croire les cris du moniteur et la trajectoire zigzagante des Optimist, il s’agit de débutants. Avec nonchalance, ils dépassent le navire amarré, estampillé « Guardia Costiera ». Puis, prennent le large, narguant le grand bateau blanc, bloqué à quai.

      De fait, le Diciotti, patrouilleur des gardes-côtes italiens, est au cœur d’un imbroglio international depuis qu’il a sauvé 177 migrants qui se trouvaient sur une embarcation en Méditerranée, entre Malte et l’île italienne de Lampedusa, mi-août. Coincé cinq jours au large de Lampedusa, le navire a enfin pu accoster à Catane, le 20 août au soir. Mais ses passagers n’ont toujours pas le droit de débarquer.

      Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Salvini, résume ainsi les termes du chantage qu’il leur fait subir : « Soit l’Europe commence à agir sérieusement en défendant ses frontières et en répartissant les migrants, soit on les ramène dans les ports où ils sont partis, tweetait-il le 21 août. L’Italie a déjà joué son rôle, quand c’est trop, c’est trop. »
      « Creuses promesses »

      Saisie, la Commission européenne a assuré s’activer pour obtenir une répartition entre plusieurs pays, mais aucune solution n’était encore en vue mercredi 22 août au matin. Le chef de la Ligue (extrême droite) accuse dans le même temps Malte d’avoir « accompagné » l’embarcation des migrants « vers les eaux italiennes », au lieu de les sauver. « Avec ces gouvernants italiens, on ne peut plus avancer », contre-attaque le premier ministre maltais, Joseph Muscat. « Ces crises requièrent des actions concrètes et du sang froid, pas de creuses promesses et de la propagande », a-t-il écrit à la Commission européenne, d’après le quotidien italien La Stampa.

      A mille lieues de ce tapage, c’est dans un silence presque irréel que patiente le Diciotti. Sur le pont, les passagers s’abritent du soleil sous une grande bâche. Combinaisons blanches et masques de la même couleur, des hommes s’activent à leurs côtés ; ce sont probablement des membres de la guardia costiera, eux aussi interdits de descente. Impossible d’en avoir le cœur net, car l’accès au bateau est bloqué par deux voitures et quatre camionnettes – une de la police, deux des carabiniers, une des gardes-côtes. Elles sont aussi statiques que leurs occupants sont mutiques. De temps en temps, un hélicoptère survole les lieux.

      A l’entrée du port, des associations protestent contre le blocage du Diciotti : Welcome to Europe, Réseau antiraciste catanais, Città Felice, Ragnatela… Beaucoup de noms mais bien peu de monde en ce 21 août : une poignée de personnes, regroupées derrière deux maigres bannières, manifestent leur soutien aux migrants. « On est là depuis hier soir, on se relaie, et on ne lâche pas tant que la situation ne se sera pas débloquée », prévient le militant Giusi Milazzo.

      Climat xénophobe

      « Catane a toujours été une ville ouverte. Mais depuis l’été 2015, la ville héberge le siège italien de Frontex [l’agence européenne de gardes-frontières] et tout a changé, regrette Adolfo Di Stefano, le leader du Réseau antiraciste catanais. Avant, on pouvait accueillir les migrants à la sortie du bateau, on leur distribuait le règlement de Dublin [sur l’accueil des demandeurs d’asile]. Maintenant, on ne peut pas s’en approcher. »

      Le militant a du mal à comprendre les raisons du climat xénophobe qui s’est installé dans sa ville, dont le maire (Forza Italia, centre droit), élu en mai, a reçu l’onction de M. Salvini : « C’est de ce même port que partaient, au XXe siècle, les émigrés siciliens. Et aujourd’hui encore, les jeunes continuent de s’en aller. Ils sont 250 000 à avoir quitté le pays l’année dernière, contre 119 000 migrants qui sont arrivés. Ce n’est pas comme si on manquait de place. »

      En mai 2017, M. Di Stefano s’est interposé lorsque les activistes d’extrême droite de Generazione Identitaria ont tenté de bloquer l’Aquarius, le navire de sauvetage de l’ONG SOS Méditerranée. Cela lui a valu insultes et menaces, mais aussi quelques marques de sollicitude. « Les canotiers nous ont prêté des canoës, assure-t-il. Un bar du coin nous faisait des prix d’amis. »
      « L’Europe doit assumer »

      A Catane comme dans le reste du pays, la solidarité est cependant devenue une denrée rare. Depuis la société d’aviron du port, installé sur un rameur, Francesco surveille les militants avec méfiance. « J’en ai fait, des opérations en mer, j’en ai sauvé des gens, j’ai même vu beaucoup de morts. En fait, depuis 2017, je ne fais que ça, déplore ce fonctionnaire de la marine militaire. On fait des sacrifices, on est mal payés, on garde ces gens chez nous, alors qu’il n’y a pas de travail pour nos enfants. L’Europe doit assumer ses responsabilités. »

      Dans la minuscule pièce qui fait office de bureau pour la coopérative d’assistance aux bateaux, Giacomo Molini déroule les pages Facebook de Matteo Salvini et du ministre italien des transports, Danilo Toninelli. « Depuis que Salvini est là, on a de moins en moins de débarquements, et vous savez pourquoi ? Parce qu’il a raison : il faut avoir une poigne de fer avec les migrants », selon cet ancien pêcheur.

      « Il y a une propagande tellement forte sur les réseaux sociaux autour des débarquements que les Siciliens oublient les vrais problèmes : la Mafia, une santé publique déficiente, des autoroutes dans un état minable », se désole Lorenzo Urciullo, plus connu sous le nom de Colapesce. Début août, ce chanteur basé à Catane a participé à la campagne « Solo in Cartolina » (« en carte postale seulement ») : 10 000 cartes postales montrant des naufragés en détresse ont été envoyées à Matteo Salvini. Manière de répondre au ministre de l’intérieur qui, à la suite de la crise de l’Aquarius, avait affirmé : « Cet été, les ONG ne verront l’Italie qu’en carte postale. »


      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/08/22/a-catane-177-migrants-retenus-a-bord-du-diciotti_5344916_3214.html ?

    • Italie : des garde-côtes et 177 migrants bloqués depuis jeudi au large de Lampedusa

      Un navire des garde-côtes italiens est bloqué depuis jeudi 16 août au large de Lampedusa avec à bord 177 migrants secourus entre Malte et l’île italienne, alors qu’aucun pays ne souhaite les accueillir.

      Le ministre italien de l’intérieur, Matteo Salvini (extrême droite), avait critiqué l’initiative des garde-côtes italiens, qui sont intervenus sur un bateau relevant selon lui des autorités maltaises. L’embarcation avec au départ 190 migrants à bord est en effet passée mercredi par la zone de recherches et de secours (SAR) maltaise, mais selon La Valette, les personnes à bord ont refusé toute aide et poursuivi leur route vers Lampedusa.

      Ils ont ensuite été pris en charge dans la nuit de mercredi à jeudi par le navire Diciotti des garde-côtes italiens, qui ont évacué en urgence 13 personnes vers l’hôpital de Lampedusa mais attendent depuis jeudi soir au large de l’île italienne l’autorisation de débarquer les autres. Selon des médias italiens, le ministre des affaires étrangères, Enzo Moavero, a entamé des discussions avec d’autres pays européens pour trouver une solution.

      « Les partenaires européens comptent laisser l’Italie seule »

      Alors que M. Salvini refuse toujours que le bateau accoste en Italie, les services de son ministère ont choisi jeudi soir de faire planer la menace d’une nouvelle volte-face sur le dossier de l’Aquarius qui est arrivé le 15 août à Malte avec à son bord 141 migrants. Ces derniers ont ensuite été répartis entre la France, l’Allemagne, l’Italie, le Luxembourg, le Portugal et l’Espagne, grâce à un accord entre ces pays.

      Lire aussi : Entre deux Tweet xénophobes, Salvini accueille des migrants

      « Les partenaires européens comptent laisser l’Italie seule en lui imposant un bateau avec 170 personnes. Si c’est vraiment leurs intentions, Rome remettra en question la possibilité de participer à la redistribution des personnes qui étaient à bord de l’Aquarius, comme l’a annoncé Malte au cours des dernières heures », assure le ministère dans un communiqué

      En juillet, le Diciotti, envoyé surveiller de loin 450 migrants entassés sur une barque de pêche entre Lampedusa et Malte, les avait déjà recueillis alors que le gouvernement leur demandait d’attendre que Malte s’en charge.

      « Nous sommes des marins, des marins italiens. Nous avons 2 000 ans de civilité derrière nous et ces choses-là, nous les faisons », avait déclaré quelques jours plus tard le commandant des garde-côtes, l’amiral Giovanni Pettorino. Les 450 migrants étaient restés trois jours à bord du Diciotti, jusqu’à ce que M. Salvini les laisse débarquer en Sicile après avoir obtenu que d’autres Etats européens en accueillent une partie.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/08/18/italie-des-garde-cotes-et-177-migrants-bloques-depuis-jeudi-au-large-de-lamp

    • Les migrants du « Diciotti », bateau bloqué cinq jours à Catane, enfin autorisés à débarquer

      Les 150 migrants qui se trouvaient à bord du Diciotti, un bateau des garde-côtes italiens bloqué depuis cinq jours dans le port sicilien de Catane, avaient tous quitté le navire dimanche 26 août au matin, une solution ayant été trouvée la veille pour leur prise en charge.

      Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Salvini, avait annoncé, samedi 25 août, que les migrants qui étaient encore bloqués à bord du navire Diciotti depuis son arrivée lundi à Catane, en Sicile, seraient autorisés à débarquer « dans les prochaines heures ». « Une grande partie sera hébergée par l’Eglise italienne, par les évêques qui ont ouvert leurs portes, leur cœur et leur portefeuille », a-t-il déclaré au cours d’une réunion politique dans le nord de l’Italie.

      Le Diciotti, un navire des gardes-côtes italiens, avait procédé à une opération de sauvetage il y a une dizaine de jours. Dans un premier temps, les autorités sanitaires du port de Catane avaient autorisé le débarquement pour raison de santé de seize personnes – onze femmes et cinq hommes – auxquelles s’était ajouté un sixième homme, malade lui aussi, portant le total à dix-sept personnes. Plusieurs médecins et inspecteurs du ministère de la santé étaient montés à bord dans la matinée pour contrôler l’état de santé des rescapés.
      « Ils ne nous arrêteront pas »

      De son côté, la cour de justice de Palerme s’est saisie d’une enquête visant notamment M. Salvini pour « séquestration de personnes, arrestations illégales et abus de pouvoir » dans cette affaire, ont annoncé, samedi soir, les médias italiens. Le chef de cabinet du ministre, Matteo Piantedosi, est également visé.

      Comme la Constitution italienne interdit aux tribunaux habituels de se charger de ce type d’affaire, l’enquête a été transmise à un « tribunal des ministres », chargé depuis la cour de Palerme de traiter de potentiels délits commis par des membres du gouvernement sur la juridiction sicilienne.

      « Ils ne nous arrêteront pas. C’est une honte », a immédiatement réagi M. Salvini, par ailleurs chef de file du parti d’extrême droite La Ligue, depuis la ville de Pinzolo, où il tenait une réunion politique. « Ils peuvent m’arrêter moi, mais pas la volonté de 60 millions d’Italiens », a ajouté le ministre.
      Nombreuses critiques

      Luigi Patronaggio, le procureur du parquet d’Agrigente, avait d’abord ouvert, vendredi, une enquête de justice, cherchant à comprendre la chaîne de commandement ayant mené à l’interdiction du débarquement des 150 migrants secourus par les gardes-côtes.

      M. Salvini, tenant d’une ligne dure envers les migrants, avait réagi le jour même à l’annonce de cette première enquête, demandant au magistrat de l’interroger directement. « Il devrait m’interroger moi et non pas demander des éclaircissements à des fonctionnaires qui exécutent les directives données par le responsable, c’est-à-dire moi », avait déclaré le ministre.

      De nombreuses critiques, venant de tous bords, pleuvent depuis des jours sur M. Salvini. L’une des plus dures a été formulée par l’archevêque d’Agrigente, le cardinal Francesco Montenegro : « Parfois, il m’arrive de penser que s’il s’était agi d’animaux, on les aurait mieux traités », a-t-il déclaré samedi au quotidien La Stampa.
      « La solidarité européenne est importante »

      Depuis Genève, le Haut-Commissariat de l’ONU pour les réfugiés (HCR) a lancé, samedi, « un appel aux Etats membres de l’Union européenne [UE] pour qu’ils offrent d’urgence des places de réinstallation » aux migrants du Diciotti, exhortant Rome « à autoriser [leur] débarquement immédiat ».

      Le seul soutien de l’UE est venu samedi soir de l’Irlande, qui, par la voix de son ministre des affaires étrangères Simon Coveney, a offert de prendre en charge 20 à 25 migrants. « La solidarité européenne est importante », a souligné le chef de la diplomatie irlandaise.

      L’Albanie, un pays qui n’appartient pas à l’UE, a donné son accord pour en accueillir vingt. En début de soirée, le ministère des affaires étrangères italien, Enzo Moavero Milanesi, a remercié sur Twitter « l’Albanie pour sa décision d’accueillir vingt réfugiés du Diciotti, un signal de grande solidarité et de grande amitié ».

      Après avoir menacé, vendredi, l’UE « de payer moins » pour le budget communautaire en raison de l’absence de solidarité, ce dernier est revenu à la charge samedi en promettant que « l’Italie ne votera pas lorsqu’il faudra l’unanimité pour adopter le budget ».


      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/08/25/italie-douze-migrants-du-diciotti-autorises-a-debarquer-en-sicile-pour-raiso

    • Pour compléter la compilation, voici les liens envoyés par Sara Prestianni, toujours via la mailing-list Migreurop :
      – La Procure de Agrigento met sous enquête le Ministre Salvini et son chef de cabinet pour séquestration de personne, abus d’office et arrestation illegale dans le cas Diciotti. Les actes ont été transférés à la Procure de Palerme puisque puisse les envoyer au tribunal des ministres.
      en ENG -> https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/24/diciotti-il-report-della-guardia-costiera-una-nave-fantasma-maltese-ha-portato-il-barcone-verso-la-zona-sar-italiana/4578569

      – ici la reconstruction des operation de sauvetage et des tensions Malte/Italie sur le cas Diciotti : https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/24/diciotti-il-report-della-guardia-costiera-una-nave-fantasma-maltese-ha-portato-il-barcone-verso-la-zona-sar-italiana/4578569

      – Salvini annonce que les migrants seront “redistribué” entre Albanie, Irlande et plus de 100 seront pris en charge par la CEI (l’Eglise Catholique)
      https://www.corriere.it/politica/18_agosto_25/diciotti-salvini-se-ue-non-risolve-veto-bilancio-farnesina-l-albania-pronta
      Cette solution sonne surreale : tant le fait d’envoyer des erytréens en Albanie mais aussi pour la CEI qui, de fait se trouve en territoire italien ….
      Du moment que il se trouvent sur un bateau italien - donc en territoire italien - et surtout ceux qui seront pris en charge par l’église italiennes les réfugiés de la Diciotti ont le droit de demander l’asile en Italie et c’est l’Italie qui doit être responsable pour leur accueil.
      La menace de l’autre VicePresident du Conseil Di Maio pour la réponse negative de l’UE dans la redistribution des migrants de la Diciotti vue comme un chantage est celle de ne pas voter le bilan UE ...

      – Mardi prochain Salvini rencontre Orban à Milano. Ambiguïté pour une rencontre qui a été annoncé comme politique mais pas institutionnel mais qui surement se focalisera sur une alliance italo/hongrois sur la migration.
      La société civile italienne - qui a démontré sa capacité de mobilisation hier au port de Catane - a annoncé une manifestation pour mardi à Milano.
      http://www.adnkronos.com/fatti/politica/2018/08/25/salvini-orban-non-incontro-istituzionale_WalFIXn1NA6IzNX33puN9O.html

    • Salvini indagato per la «Diciotti», spunta sentenza Ue su caso simile

      La Corte europea dei diritti dell’uomo, due anni fa, si è pronunciata condannando l’Italia per il trattenimento illegale di tre migranti tunisini: la Procura di Agrigento ha allegato il verdetto agli atti dell’inchiesta sul leader della Lega trasmessi ai colleghi di Palermo.

      Le leggi italiane sul trattenimento dei migranti irregolari sono imprecise. E l’ambiguità legislativa che ne deriva «ha dato luogo a numerose situazioni di privazione della libertà». Il giudizio è netto e arriva dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che, due anni fa, si è pronunciata, condannando l’Italia, per il trattenimento illegale di tre migranti tunisini, prima nel centro di accoglienza di Lampedusa, poi a bordo di due navi. Un caso che, per i magistrati agrigentini, sarebbe una «fotocopia» di quello della nave Diciotti costato al ministro dell’Interno Matteo Salvini e al suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi le accuse di sequestro di persona, sequestro di persona a scopo di coazione, abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio e arresto illegale.

      Tanto la vicenda somiglia a quella dei profughi soccorsi dalla Guardia costiera il 16 agosto e costretti a restare per giorni a bordo della Diciotti, che la Procura di Agrigento ha allegato il verdetto Cedu agli atti dell’inchiesta sul leader della Lega trasmessi ai colleghi di Palermo. Il provvedimento della Corte di Strasburgo, emesso il 15 dicembre del 2016, è dunque ora a disposizione dei pm del capoluogo - il fascicolo è intestato al procuratore Francesco Lo Voi e all’aggiunto Marzia Sabella - che, con le loro deduzioni dovranno inviare le carte al Tribunale dei ministri visto il coinvolgimento di un esponente dell’esecutivo. I magistrati possono anche modificare i reati ipotizzati.

      La sentenza di Strasburgo, che nasce dal ricorso di tre tunisini soccorsi nel 2011 nel Canale di Sicilia, rimasti giorni nel Cpa di Lampedusa e poi, in attesa del rimpatrio, trattenuti sulle navi Audacia e Vincent, sembra «sposare» l’ipotesi, tra quelle formulate dai magistrati di Agrigento, del sequestro di persona, e non del sequestro di persona a scopo di coazione. Quest’ultima infatti, pure attualmente contestata agli indagati, richiederebbe un dolo specifico al momento non riscontrabile.

      «Il trattenimento in un Centro di accoglienza - dicono i giudici della Cedu che hanno riconosciuto ai tre tunisini 10 mila euro di risarcimento per la violazione dell’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo - sfugge al controllo dell’autorità giudiziaria, il che, anche nell’ambito di una crisi migratoria, non può conciliarsi con lo scopo della norma che prevede che nessuno sia privato della sua libertà in maniera arbitraria». «Le considerazioni sopra esposte - spiegano - bastano alla Corte per concludere che la privazione della libertà dei ricorrenti non soddisfaceva il principio generale della certezza del diritto e contrastava con lo scopo di proteggere l’individuo dall’arbitrarietà».

      Secondo la Cedu, «i ricorrenti non solo sono stati privati della libertà in assenza di base giuridica chiara ed accessibile, ma non hanno nemmeno potuto beneficiare delle garanzie fondamentali dell’habeas corpus, enunciate, ad esempio, nell’articolo 13 della Costituzione italiana che prevede che la restrizione della libertà personale deve fondarsi su un atto motivato dell’autorità giudiziaria, e le misure provvisorie adottate, in casi eccezionali di necessità e urgenza, dall’autorità di pubblica sicurezza, devono essere convalidate dall’autorità giudiziaria entro un termine di 48 ore».

      https://www.lasicilia.it/news/cronaca/185808/salvini-indagato-per-la-diciotti-spunta-sentenza-ue-su-caso-simile.html

    • Cei, migranti Diciotti nel centro di Ariccia/ Ultime notizie, don Maffeis “Non sia la soluzione al problema"

      Il centro #Auxilia della #CEI di #Ariccia accoglie 100 migranti Diciotti/ Ultime notizie: “Non guardiamo altrove", aveva confessato il numero uno della Conferenza Episcopale Italiana, Bassetti.

      Sono stati accolti nel centro Cei di Ariccia, cento dei migranti che fino a pochi giorni fa erano sulla nave Diciotti. A riguardo ha parlato don Ivan Maffeis, sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali, che all’agenzia dei vescovi italiani, la Sir, ha fatto capire di come questa sia una soluzione solo “tampone”: «Questa è una risposta di supplenza – ammette Maffeis - non è ‘la risposta’. La risposta di un Paese democratico matura attraverso ben altri processi. La Chiesa italiana – ha comunque fatto sapere Maffeis - è disposta a prendere tutti quelli che hanno necessità». Il dirigente della Cei ha poi voluto sottolineare come la Chiesa italiana accolga già oltre 26mila persone nelle sue strutture, e che a breve i migranti presenti nel centro di Ariccia verranno smistati nelle diocesi di Torino, Brescia, Bologna, Agrigento, Cassano all’Jonio, Rossano Calabro, e probabilmente altre se ne aggiungeranno. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
      IL CENTRO CEI DI ARICCIA NE ACCOGLIE 100

      Ben cento dei migranti presenti fino a poche ore fa sulla nave Diciotti della Guardia Costiera italiana, sono stati accolti dalla Chiesa e precisamente dal centro Auxilia delle CEI presente ad Ariccia, in provincia di Roma. Dopo che il governo italiano ha autorizzato lo sbarco, anche il Vaticano è voluto intervenire, ospitando parte dei profughi soccorsi dal pattugliatore. A breve verranno poi smistati presso le diocesi che hanno dato la loro disponibilità, dal nord al sud della nostra penisola. Una scelta decisamente condivisibile quella della chiesa, alla luce anche della nota di poco più di un mese fa, diffusa dal numero uno della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, che sul tema dell’immigrazione aveva spiegato: «Rispetto a quanto accade non intendiamo volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
      IL COMMENTO DEL VESCOVO RASPANTI

      Vicepresidente per il Sud della Conferenza episcopale Italiana, il vescovo di Acireale Antonino Raspanti è intervenuto ai microfoni di Avvenire per commentare il caso della Nave Diciotti, con la Cei che ospiterà 100 migranti a Rocca di Papa. Ecco le sue paroole: “Non c’è dubbio che la situazione sia complessa. Ma bisogna avere il coraggio di entrare nella complessità se vogliamo capire cosa sta accadendo davvero e quali principi siano in discussione. Non servono toni divisivi, ma capacità di ascolto e dialogo”. Il vescovo di Acireale ha poi analizzato il dibattito degli ultimi giorni: «Quello dell’immigrazione è un problema complesso che non si può affrontare con risposte banali e frasi fatte. È complesso sia all’interno, cioè in nel nostro amato Paese, come pure in Europa, perché richiede la capacità di soccorrere, di accogliere, ma anche di ascoltare i cittadini quando esprimono disagio. Occorre farlo con sapienza, perché non prevalga la reazione ideologica, aggressiva, che in fondo finisce (magari in modo non voluto) per alimentare divisioni. Ma è un problema complesso soprattutto all’esterno, penso in particolare all’Africa, da dove centinaia di migliaia di persone fuggono da conflitti, carestie, da un contesto nel quale la violenza e il sopruso, per interessi politici ed economici, sembrano talvolta non lasciare speranza. Si tratta di persone che provengono o attraversano “Paesi polveriera”, come sono la Libia, il Niger, il Sudan ed altri. Senza guardare alla globalità della questione, temo che finiremo per peggiorare le cose», invitando a «non strumentalizzare la vita umana». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
      UNHCR: «MA LA PROSSIMA VOLTA?»

      Il caso della Diciotti è ufficialmente chiuso: sia sul fronte politico, con la Procura di Agrigento che a passato gli atti al Tribunale dei Ministri dopo aver iscritto nel registro degli indagati il ministro Salvini; sia sul fronte sociale, con i migranti ripartiti tra la Cei (quasi tutti) l’Albania e l’Irlanda. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) Filippo Grandi commenta soddisfatto per la fine dell’emergenza a bordo della nave Diciotti, ma si chiede cosa potrà accadere la prossima volta, con la prossima nave. «L’agenzia Onu elogia i Paesi e le organizzazioni che hanno dimostrato solidarietà offrendo di accogliere coloro che erano rimasti a bordo, ma allo stesso tempo l’Unhcr continua ad incoraggiare la messa in atto di accordi prestabiliti e prevedibili per la gestione delle persone soccorse in mare nella regione mediterranea, e sollecita gli Stati ad accelerare gli sforzi per mettere in atto tali accordi». Solo nel 2018, spiega ancora l’agenzia Onu, sono morte più di 1600 persone nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste Ue: «La vita di rifugiati e richiedenti asilo è messa in pericolo mentre gli Stati sono impegnati in discussioni politiche per trovare soluzioni a lungo termine. La situazione della nave Diciotti è ora risolta, ma cosa succederà la prossima volta? Abbiamo bisogno di un approccio europeo collaborativo e prevedibile nei confronti delle persone soccorse in mare», conclude Grandi.
      PAPA FRANCESCO: “SARANNO INTEGRATI A ROCCA DI PAPA”

      Da alcune ore si è concluso l’incubo per i migranti a bordo della nave Diciotti, dopo giorni di attesa. Nella notte tra il 25 ed il 26 agosto sono finalmente sbarcati a Catania dopo essere rimasti cinque giorni a bordo dell’imbarcazione della Guardia costiera, ormeggiata al molo etneo. Dopo un estenuante braccio di ferro politico, però, la situazione si è finalmente sbloccata. Sono 143 i migranti condotti nell’hotspot di Messina e in attesa ora di essere trasferiti nelle strutture messe a disposizione dalla Chiesa. Gli altri, in un numero nettamente inferiore, saranno invece equamente distribuiti tra Albania e Irlanda. I migranti della Diciotti accolti dalla Chiesa saranno comunque «integrati»: lo ha fatto sapere Papa Francesco, nel corso della conferenza stampa che si è tenuta nelle passate ore sul volo di ritorno da Dublino. Bergoglio si è rivolto poi con una battuta ai giornalisti e, come riferisce RaiNews, ha aggiunto: «Io non ho messo lo zampino, lo zampino lo mette il diavolo». Quindi ha chiarito che il merito di ciò che è stato fatto con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, va attribuito a padre Aldo Buonaiuto e alla Conferenza Episcopale. Il Papa ha poi specificato quale sarà il destino dei migranti, i quali saranno accolti a Rocca di Papa presso «Mondo Migliore», Centro di Accoglienza Straordinaria (Cas), a sud della Capitale e che in passato era un centro congressi gestito dai padri oblati. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
      CHIESA SFIDA IL GOVERNO

      La Conferenza Episcopale Italiana ieri sera, nel pieno del caos per la vicenda dei migranti sulla nave Diciotti della Guardia Costiera (qui tutti i dettagli dei 137 migranti sbarcati nella notte a Catania), ha preso una decisione molto importante e dal forte significativo umanitario, prima di tutto, e poi anche politico. «La Chiesa italiana garantirà l’accoglienza a un centinaio di migranti della nave Diciotti. L’accordo con il Viminale è stato raggiunto per porre fine alle sofferenze di queste persone, in mare da giorni»: poco prima era stato lo stesso Ministro Salvini, che nelle scorse ore è stato indagato proprio per la gestione del caso Diciotti (arresto illegale, sequestro di persona e abuso di ufficio, ndr) aveva spiegato dal palco della Lega a Pinzolo «Gli immigrati a bordo della Diciotti sbarcheranno tutti nelle prossime ore», annuncia al suo arrivo alla festa della Lega a Pinzolo. E «gran parte saranno ospitati dalla Chiesa italiana, dai vescovi, che ringrazio». 100 di quei rifugiati verranno dunque accolti all’interno delle varie Diocesi italiane, mentre 20 andranno in Albania e gli ultimi 20 in Irlanda (dove ora è impegnato proprio Papa Francesco per il Meeting delle Famiglie).
      LA “SPINTA” DI PAPA FRANCESCO

      «Non si può fare politica sulla pelle dei poveri», ha spiegato a Sky Tg24 lo stesso Maffeis, quando poco prima il Presidente Bassetti aveva rilanciato il dover di accogliere persone disagiate e da tempo in mare dopo «gli orrori della guerra e della fame. L’Europa e l’Italia non possono essere lasciate sole nel gestire un’emergenza umanitaria del genere, ma detto questo quando si vedono persone in difficoltà come quelle sulla nave Diciotti il primo dovere è l’accoglienza». Secondo alcuni osservatori, una spinta decisa per l’accoglienza della Cei ai migranti - in aperta sfida al Governo gialloverde - potrebbe essere arrivata proprio da Dublino: secondo De Marchis su Repubblica, «Il Vaticano era pronto anche ad allestire un campo profughi. Nel suo territorio, a Santa Maria di Galeria, pochi chilometri da Roma, dove ci sono le antenne radio dismesse di Radio Vaticana. Poi, in una riunione convocata d’urgenza venerdì nella Santa Sede si è deciso che la collocazione degli immigrati della Diciotti sarebbe toccata alla Conferenza episcopale italiana, cioè ai vescovi e alle strutture delle diocesi sul territorio italiano». Il Papa ha dato il suo consenso e l’iter è scattato: risultato, ora i migranti sono tutti sbarcati e il “caso mediatico” per il momento almeno è terminato.

      http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2018/8/26/Cei-accoglie-100-migranti-della-Diciotti-Chiesa-sfida-il-Governo-non-si-fa-politica-sulla-pelle-dei-poveri-/836222

    • Diciotti, 50 migranti irreperibili. Tensione Chiesa-Governo, la Caritas: non sono detenuti

      Sono una cinquantina i migranti della Diciotti che si sono resi irreperibili. Alcuni casi sono stati segnalati già alle prefetture di competenza. Diversi si sono allontanati dal centro di Rocca di Papa individuato dalla Cei prima di partire verso le diocesi ospitanti, altri hanno fatto perdere le loro tracce una volta arrivati nei vari centri Caritas.

      Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha commentato: «Più di 50 degli immigrati sbarcati dalla Diciotti erano così ’bisognosi’ di avere protezione, vitto e alloggio, che hanno deciso di allontanarsi e sparire! Ma come, non li avevo sequestrati? È l’ennesima conferma che non tutti quelli che arrivano in Italia sono ’scheletrini che scappano dalla guerra e dalla fame’. Lavorerò ancora di più per cambiare leggi sbagliate e azzerare gli arrivi».

      Nel dettaglio, a quanto si apprende da fonti del Viminale, 6 si sono allontanati il primo giorno di trasferimento, cioè venerdì 31. A questi si aggiungono 2 eritrei destinati alla Diocesi di Firenze che sono si sono allontanati in data 2 settembre; altri 19 il cui allontanamento è stato riscontrato il 3 settembre, e 13 il cui allontanamento è stato riscontrato ieri ed erano destinati a varie Diocesi.

      A Bologna, per esempio, aspettavano oggi due giovani eritrei che non sono mai arrivati. A Frosinone erano invece già arrivati, ospiti della Caritas locale, e poi hanno scelto di non presentarsi più al centro di accoglienza. Il conto non sarebbe definitivo.

      Caritas Italiana conferma l’accaduto, ma ci tiene a sottolineare che «è stato allontanamento volontario, non una fuga. Si fugge da uno stato di detenzione e non è questo il caso, nessuno vuole rimanere in Italia, si sa», dice il direttore don Francesco Soddu.

      «Queste persone - spiega il sacerdote che in queste ore ha gestito per la Cei l’accoglienza - davanti ad una situazione di affidamento, o prima o dopo avrebbero potuto scegliere di allontanarsi volontariamente» perché la struttura che li accoglie non ha il compito di trattenerli. I migranti, ovunque verranno trovati, in Italia o anche all’estero, «potranno chiedere asilo - dice don Soddu - ricominciando quella procedura che era stata avviata nelle nostre strutture».

      I migranti che si sono allontanati si erano limitati a «manifestare l’interesse per formalizzare la domanda d’asilo», fanno sapere dal Viminale.

      Tutte le persone in questione erano state identificate con rilievi fotodattiloscopici e inserite in un sistema digitale europeo. Controlli anche sulla nazionalità di chi si è allontanato: almeno in 6 provengono dalle Isole Comore.

      Per la cronaca, oggi al centro Mondo Migliore di Rocca di Papa c’era stata una grande festa proprio per i migranti della Diciotti, soprattutto per quelli in partenza verso le varie strutture Caritas. A portare la benedizione di Papa Francesco era stato il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del pontefice, che si è fermato a pranzo portando per tutti gli ospiti presenti dei gelati.

      http://gds.it/2018/09/05/diciotti-50-migranti-irreperibili-tensione-chiesa-governo-la-caritas-non-sono-de
      #disparitions

    • Italie : Matteo #Salvini sous #enquête_judiciaire pour « #abus_de_pouvoir »

      La décision du parquet d’Agrigente est intervenue au moment où la situation des migrants du « Diciotti » trouvait une issue, notamment à cause des pressions du Mouvement des Cinq Etoiles.

      « C’est une honte. Ils peuvent m’arrêter mais ils n’arrêteront pas le changement. » En meeting samedi soir dans le nord de l’Italie, le leader de l’extrême droite Matteo Salvini a durement réagi à sa mise sous enquête par le parquet d’Agrigente. Pour avoir interdit pendant près d’une semaine à une centaine de migrants de débarquer dans le port de Catane alors qu’ils se trouvaient à bord du Diciotti, un navire des gardes-côtes italiens qui les avaient recueillis à proximité de Lampedusa, le ministre de l’Intérieur a en effet appris samedi qu’il était suspecté de « séquestration de personnes, arrestations illégales et abus de pouvoir ».

      En clair, Matteo Salvini et son chef de cabinet sont accusés d’avoir outrepassé leurs attributions et violé la loi. Les normes sur l’immigration prévoient en particulier qu’aucune décision ne peut être prise à l’encontre d’une personne avant que celle-ci n’ait été identifiée et mise dans les conditions de pouvoir déposer éventuellement une demande d’asile ou de protection humanitaire. Or sur le Diciotti figuraient de nombreux Erythréens ainsi que des Syriens, tous jugés de manière expéditive comme des « illégaux » par Matteo Salvini.

      Concrètement, la procédure judiciaire a peu de chances. L’éventuel renvoi devant la justice du ministre nécessite en effet son improbable levée de l’immunité parlementaire au Sénat. « Matteo Salvini ne cherchait que cela […] : se retrouver sous enquête est ce qu’il désirait », s’inquiète l’éditorialiste du quotidien La Stampa.
      « Matteo, ça suffit, trouve une solution »

      Ce qui est sûr, c’est que l’autorisation donnée par le ministre de l’Intérieur pour faire finalement débarquer dans la nuit de samedi à dimanche les migrants du Diciotti est passée au second plan. C’est un appel téléphonique du vice-premier ministre, Luigi Di Maio, du Mouvement des Cinq Etoiles (M5S), à son homologue de la Ligue qui aurait permis de débloquer la situation : « Matteo, ça suffit, trouve une solution. Je ne tiens plus mes troupes. »

      Si Luigi Di Maio soutient pleinement la ligne dure de Matteo Salvini, une partie des responsables des M5S, dont le président de la Chambre des députés, Roberto Fico, critiquent la politique intransigeante du leader d’extrême droite. Après l’annonce de la part de l’Albanie (rejointe par l’Irlande) que Tirana était prêt à accueillir 20 migrants du bateau, Salvini a donc donné son feu vert glissant au passage : « Je remercie le gouvernement albanais qui s’est montré plus sérieux que le gouvernement français. »

      Les autres passagers du Diciotti seront hébergés par l’Eglise catholique. Selon la presse italienne, le pape aurait même été disposé à les accueillir sur le territoire du Vatican mais ils seront finalement repartis dans les différents diocèses italiens. « L’Eglise ouvrira les portes, le cœur et le portefeuille », a résumé Matteo Salvini qui continue de défier l’UE : « C’est l’Europe qui a besoin de l’Italie et non l’inverse. »

      Le gouvernement de Giuseppe Conte menace toujours de ne pas verser sa contribution au budget de la Commission si elle n’obtient pas des concessions notamment sur la question migratoire. « Je pense que les hommes politiques de votre pays devraient comprendre que vous n’êtes pas seuls en ce moment, que l’Europe cherche à vous aider », a répliqué dans les colonnes du Corriere della Sera le commissaire européen à la Migration, Dimitris Avramópoulos. Et de mettre en garde : « Qui attaque l’UE se tire une balle dans le pied. »

      http://www.liberation.fr/planete/2018/08/26/italie-matteo-salvini-sous-enquete-judiciaire-pour-abus-de-pouvoir_167459

    • Processo penale e stato di diritto dopo i soccorsi in mare

      1.Le reazioni all’atto di accusa dei giudici di Agrigento sul caso del blocco in mare e del trattenimento prolungato dei naufraghi soccorsi il 16 agosto scorso dalla nave Diciotti della Guardia costiera italiana fanno chiaramente comprendere i rischi che corre lo stato di diritto nel nostro paese. Non ci riferiamo soltanto alle reazioni spesso scomposte dei media a supporto dell’azione del ministro dell’interno, ma anche a pareri giuridici apparentemente neutrali, riportati dai soliti giornali “bene informati”, magari a firma di qualche autorevole giurista, che tendono a colpire alle fondamenta l’impianto accusatorio del Procuratore di Agrigento che venerdì 31 agosto ha trasmesso il fascicolo d’indagine al Tribunale dei Ministri a Palermo. In arrivo ad Agrigento anche una ispezione decisa dal ministro della Giustizia, silente di fronte agli attacchi che sta subendo la magistratura inquirente, attacchi di cui si occuperà il Consiglio superiore della magistratura nella prossima seduta del 5 settembre, su richiesta di tutte le componenti. E potrebbe essere rimosso anche il capo della Guardia costiera, “reo” di avere consentito troppi soccorsi in acque internazionali.

      Da ultimo il Messaggero pubblica un sondaggio per confermare il supporto popolare a Salvini, senza neppure un accenno critico alla possibilità che il ministro, o altri, possano avere violato leggi e regolamenti. L’indipendenza della magistratura, dunque uno dei valori di base del patto costituzionale, alla mercè dei sondaggisti. Una domanda secca da quale parte schierarsi. La maggioranza degli italiani sembrerebbe scegliere la parte di chi fa ogni giorno una politica basata sull’odio e sugli abusi contro i migranti. Un altro passo verso il “fascismo democratico”, al quale sta contribuendo un apparato mediatico, la Bestia, in grado di controllare ed orientare la comunicazione sui social.

      Nelle posizioni più tecniche a difesa del ministero del’interno, si contesta alla Procura di Agrigento di avere voluto influire sulla linea politica del governo in carica nella attuazione di quello che, sui media è stato definito come “blocco dei porti”, ma che in realtà non è stato mai deciso formalmente da nessun ministro, risultando piuttosto effetto di decisioni trasmesse oralmente a mezzo facebook da Salvini, e da una precisa omissione nella indicazione di un porto di sbarco da parte del ministero dell’interno e del ministero delle infrastrutture. Come è precisato anche nei report periodici della guardia costiera, l’indicazione del porto di sbarco avviene da tempo su indicazione del ministero dell’interno in cordinamento con la Centrale operativa della stessa Guardia costiera (IMRCC).

      Chi oggi contesta che i verbali sull’inchiesta Diciotti sarebbero stati pubblicati impropriamente, circostanza che rimane tutta da dimostrare, potrebbe ricordare a sè, ad ai suoi lettori, che lo scorso anno le relazioni degli agenti infiltrati a bordo della nave Vos Hestia di Save the Children, che poi costituirono i principali testimoni di accusa nell’indagine che portò al sequestro della nave Juventa, ed a successive imputazioni individuali, furono “passate” con mesi di anticipo proprio a Matteo Salvini che le utilizzò per la sua campagna elettorale contro le ONG, rendendo noti elementi di indagine prima che la Procura di Trapani adottasse i provvedimenti di sequestro. Allora nessuno sollevò eccezioni per quella attività di indagine sotto copertura con informazioni riservate trasmesse ai politici, che contro le ONG era una prassi in corso da tempo. Mentre oggi, sia pure in presenza di una grande discrezione da parte delle autorità inquirenti, si cerca di scerditarle battendo sul tasto della pubblicità che sarebbe stata data agli atti di indagine relativi a responsabilità ministeriali. Evidentemente gli obblighi di riservatezza sono valutati in modo diverso a seconda degli imputati.

      Nessuno si interroga su quanto abbiano “influito sulla gestione politica dei controlli di frontiera” le diverse iniziative della magistratura che lo scorso anno mettevano sotto indagine le ONG e diversi operatori umanitari, che avevano salvato la vita a decine di miglliaia di vite di migranti fuggiti dalla Libia e che si trovavano sulle prime pagine dei giornali, prima ancora che negli atti giudiziari, indicati come complici dei trafficanti, taxi del mare, speculatori senza scrupoli su una situazione di bisogno. I magistrati che hanno fatto scattare la criminalizzazione della soldarietà sono stati portati come esempio da certa politica, quella stessa politica che oggi si indigna per accertanenti doverosi che altri magistrati stanno facendo sulla correttezza delle procedure seguite nel caso della nave Diciotti. Il principio di eguaglianza davanti alla legge dovrebbe essere il primo fondamento di uno stato di diritto.

      2 .I fatti a base delle accuse sul trattenimento indebito dei naufraghi sulla Diciotti non sono stati divulgati dalla Procura agrigentina ma sono documentati in due relazioni “informative” inviate alla stessa Procura dal Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, che ha inviato a bordo della nave una delegazione che ha accertato una prima parte dei fatti poi contestati al ministro Salvini. I risultati delle attività di indagine del Garante sono noti e consultabili on line, e su questi si è basata la successiva diffusione di notizie che si è poi attenuta scrupolosamente ai comunicati ufficiali emessi nel rispetto delle regole processuali dalla Procura di Agrigento. Altre visite di parlamentari ed organizzazioni umanitarie che hanno assistito le persone subito dopo lo sbarco, hanno confermato il trattenimento illegittimo a bordo della Diciotti e le pessime condizioni igieniche ed ambientali nelle quali i naufraghi, malgrado il prodigarsi degli uomini della Guardia costiera, sono stati costretti per quasi dieci giorni, per effetto della mancata autorizzazione allo sbarco.

      Come hanno ammesso in diverse occasioni i ministri dell’interno e delle infrastrutture,la libertà personale dei naufraghi soccorsi dalla nave Diciotti e trattenuti a bordo per quasi dieci gioni è stata limitata, anche sotto sorveglianza armata, in attesa che l’Unione Europea adottasse provvedimenti relativi alla loro successiva rilocazione in altri paesi UE, e non per ragioni attinenti alla loro condizione personale, anche perchè trovandosi già su nave italiana dopo una azione di soccorso, era doveroso il loro sbarco dopo i primi esami medici e le procedure di preidentificazione già svolti a bordo della nave.
      Per la Cassazione ( Sez. VI, sent. n. 23423 del 26.03.2010) “il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l’elemento materiale (consistente nella privazione della libertà di un soggetto), ma si differenziano per l’elemento soggettivo, che nel primo caso richiede la volontà dell’agente di tenere la persona offesa nella sfera del suo dominio, mentre nel secondo caso è diretto comunque a mettere la persona offesa a disposizione dell’autorità competente, sia pure privandola della libertà in maniera illegale. (Fattispecie in cui la S. C. ha escluso il meno grave reato di cui all’art. 606 cod. pen., ravvisando quello di sequestro di persona nell’indebito trattenimento di una persona, per alcune ore, presso un posto di polizia ferroviaria).

      Secondo la Cassazione Penale (sez V, sent. 25.07.2017, n. 36885) I pubblici ufficiali che trattengono una persona in caserma con la finalità di raccogliere le loro deposizioni rispondono di sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere (art. 605, co. 2, n. 2, c.p.) e non di arresto illegale (art. 606 c.p.).

      Come ha rilevato l’Unione delle Camere penali in una lettera al Presidente della Repubblica, in base all’art.289 ter del Codice Penale, “chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli 289-bis e 630, sequestra una persona o la tiene in suo potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi, una persona fisica o giuridica o una collettività di persone fisiche, a compiere un qualsiasi atto o ad astenersene, subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni”. L‘Unione delle Camere Penali ha anche osservato che nell’ultimo caso della nave Diciotti “si tratta di una violazione dei più elementari principi costituzionali e della normativa internazionale in materia di Diritti dell’Uomo, sia per la prolungata privazione di fatto della libertà personale delle persone forzatamente trattenute (art. 13 Cost., art. 5 CEDU), sia per le condizioni in cui la detenzione si esplica, costringendole a stazionare promiscuamente sul ponte della nave in condizioni assolutamente non dignitose (art. 3 CEDU)”.

      Se poi si contesta alla Procura di Agrigento di avere ricostruito una decisione riferibile al ministro dell’interno in assenza di un “atto formale e scritto”, si omette di considerare la rilevanza penale che possono assumere i provvedimenti amministrativi adottati attraverso gli ordini verbali, soprattutto se comunicati con mezzi informali, o in assenza dei provvedimenti formali ( indicazione di un porto di sbarco) che si dovevano adottare con la massima tempestività, come previsto dalla Procedura operativa standard (S.O.P.) adottata dal ministero dell’interno a partire dal dicembre 2015, a seguito di due decisioni del Consiglio europeo del settembre dello stesso anno (decisione 1523 del 14 settembre 2015 e 1601 del 22 settembre 2015) . Si dovrebbe poi considerare l’ipotesi che altri soggetti, funzionari, militari o in ipotesi altri ministri, abbiano concorso nei medesimi reati fin qui contestati dalla Procura di Agrigento, alla stregua dell’art. 110 del Codice penale. In queste circostanze anche la comunicazione verbale o a mezzo social media potrebbe assumere rilevanza.

      Non appare configurabile alcuna scriminante come quella che deriverebbe dall’art. 51 del Codice Penale, avere agito in adempimento di un dovere, “imposto da una norma giuridica o da un ordine legitimo di una autorità”. Appare ben strano che da una parte si escluda l’imputabilità del ministro per l’assenza di un provvedimento formale, e da un’altra parte si invochi in suo favore una causa di giustificazione che si basa proprio sulla ricorrenza di un “ordine legittimo di una autorità”. Le norme giuridiche vigenti imponevano ben altro nel caso delle persone soccorse dalla nave Diciotti, e nello stesso caso non vi è traccia di “ordini legittimi dell’autorità”. Si può invece dubitare proprio della legittimità degli ordini impartiti, anche in modo informale, dalle diverse autorità che hanno prima ritardato l’indicazione del porto di attracco e poi lo sbarco a terra dei naufraghi. Ma su questo saranno gli accertamenti della magistratura a fare chiarezza.

      Al termine della procedura operativa (S.O.P.) stabilita per i richiedenti asilo dopo lo sbarco in porto, il richiedente ammesso alla successiva fase di formalizzazione della richiesta ed alle misure di prima accoglienza, riacquista la sua libertà personale, circostanza che nel caso dei naufraghi soccorsi dalla nave Diciotti è stata differita di almeno una settimana. Una settimana di ingiusta privazione della libertà personale, anche nei confronti di donne già sottoposte in Libia a gravi abusi, e di minori non accompagnati, come tali non respingibili in frontiera e tutti aventi diritto quanto meno ad un permesso di soggiorno per minore età. Periodo di tempo che è decorso da quando la nave Diciotti è stata bloccata davanti all’isola di Lampedusa per diversi giorni, senza ricevere la indicazione di un porto di sbarco in Italia, ma con la minaccia addirittura, esternata dallo stesso ministro dell’interno, di procedere ad un respingimento collettivo verso la Libia, qualora l’Unione Europea, o il gruppo di stati dell’Unione, definito come “volenterosi”, non avesse ceduto sulla richiesta di una immediata redistribuzione dei naufraghi, dopo lo sbarco, in diversi paesi europei. Salvini, ha sfidato ancora una volta l’Europa minacciando, come ha riferito l’agenzia di stampa Ansa, di rimandare nuovamente in Libia le persone tratte in salvo dalla Diciotti, al suo quarto giorno di permanenza in rada davanti a Lampedusa. “O l’Europa decide seriamente di aiutare l’Italia in concreto, a partire ad esempio dai 180 immigrati a bordo della nave Diciotti, oppure saremo costretti a fare quello che stroncherà definitivamente il business degli scafisti. E cioè riaccompagnare in un porto libico le persone recuperate in mare”, “ha tuonato senza mezzi termini Salvini” ben prima che la nave arrivasse a Catania. Il reato di illecito trattenimento e di sequestro di persona che si potrebbe configurare in questa ipotesi è quindi caratterizzato dalla “continuità territoriale”. La competenza investigativa, dunque, rimane radicata alla procura che per prima ha aperto il fascicolo.

      Il ministro dell’interno, dopo la trasmissione del fasciclo di indagine al Tribunale dei ministri,, ha poi rinnovato il proposito di procedere nella stessa direzione, ove si dovessero verificare in futuro casi analoghi, magari con qualche respingimento collettivo, in violazione dell’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU, già oggetto di una condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, nel 2012, sul caso Hirsi.

      Le Procedure operative standard previste dopo lo sbarco in porto a seguito di azioni di salvataggio (SAR) non sono state mai recepite integralmente in un provvedimento di legge, ma vengono richiamate dall’art.10 ter del T.U. n.286 del 1998 come modificato nel 2017. Secondo questa norma “Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare e’ condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresi’ effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed e’ assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilita’ di ricorso al rimpatrio volontario assistito. 2. Le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico sono eseguite, in adempimento degli obblighi di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, anche nei confronti degli stranieri rintracciati in posizione di irregolarita’ sul territorio nazionale. 3. Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all’articolo 14. Il trattenimento e’ disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali e’ stato disposto. Si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 14, commi 2, 3 e 4. Se il trattenimento e’ disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e’ competente alla convalida il Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. 4. L’interessato e’ informato delle conseguenze del rifiuto di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2.”

      Se si intendeva adottare una diversa procedura operativa per impedire lo sbarco dei migranti fino ad una decisione dell’Unione europea favorevole alle richieste del governo, in difformità al passato, si sarebbe dovuta adottare almeno una circolare ed adottare un provvedimento formale coerente con gli indirizzi impartiti dall’Unione Europea e con gli obblighi di soccorso in mare sanciti da Convenzioni internazionali che l’Italia ha ratificato, e che dunque non sono derogabili per effetto di un ordine verbale.

      3. Secondo quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo – SAR del 1979 , gli obblighi degli Stati parti non si limitano al salvataggio delle persone in pericolo in mare, ma comprendono anche lo sbarco delle stesse in un “luogo sicuro” (place of safety), come conferma la definizione di soccorso: “[a]n operation to retrieve persons in distress, provide for their initial medical or other needs, and deliver them to a place of safety”. Appare, dunque, evidente che, una volta soccorse, le persone tratte in salvo, compresi i migranti irregolari, debbano essere trasportate e sbarcate in un porto qualificabile come “place of safety”. Questi obblighi riguardano le autorità nazionali di coordinamento e tutte le navi private o militari che battono bandiera dello stato e anche quelle straniere che sono coinvolte nelle operazioni di ricerca e salvataggio, siano operazioni delle ONG o missioni militari come Themis di Frontex o Sophia di Eunavfor Med.

      Nel 2004, l’urgente necessità di individuare un luogo sicuro in cui condurre le pesone soccorse in mare ha indotto il Comitato per la sicurezza marittima dell’IMO a chiarire le procedure esistenti ai fini della sua determinazione. Ciò è avvenuto attraverso l’adozione di due risoluzioni di emendamento, rispettivamente, alla Convenzione SAR e alla Convenzione SOLAS, entrate in vigore nel 2006 per tutti gli Stati parte alle medesime Convenzioni con la sola eccezione di Malta, aventi quali obbiettivi quello di garantire agli individui in pericolo l’assistenza necessaria e di minimizzare le possibili conseguenze negative per l’imbarcazione che presti soccorso. Si tratta di norme che si applicano innanzitutto alle navi private che sono coinvolte in attività SAR ( ricerca e salvataggio) ma gli standard operativi stabiliti a loro riguardo devono trovare applicazione a maggior ragione ai soccorsi operati da mezzi appartenenti alla Guardia costiera italiana.

      Occorre ricordare che al punto 3.1.9 (emendato) della Convenzione SAR del 1979 si dispone:

      «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile.”

      In termini sostanzialmente analoghi, sempre con riferimento alle navi private, l’emendato art. 4.1.1 della Convenzione SOLAS dispone che:
      “Contracting Governments shall co-ordinate and co-operate to ensure that masters of ships providing assistance by embarking persons in distress at sea are released from their obligations with minimum further deviation from the ships’ intended voyage, provided that releasing the master of the ship from the obligations under the current regulation does not further endanger the safety of life at sea. The Contracting Government responsible for the search and rescue region in which such assistance is rendered shall exercise primary responsibility for ensuring such coordination and co-operation occurs, so that survivors assisted are disembarked from the assisting ship and delivered to a place of safety, taking into account the particular circumstances of the case and guidelines developed by the Organisation. In these cases, the relevant Contracting Governments shall arrange for such disembarkation to be effective as soon as reasonably practicable”.

      Con l’entrata in vigore del suddetto emendamento, lo Stato responsabile della zona SAR risulta gravato di un più incisivo obbligo di risultato, e non solo di un obbligo di cooperazione e di condotta.Obbligo di risultato che va garantito innanzitutto attraverso l’impiego tempestivo dei mezzi della guardia costiera, cui spetta il compito di coordinamento degli interventi SAR. Nel caso di navi della guardia costiera la rapidità dello sbarco in un porto sicuro non è indicata espressamente dalle Convenzioni internazionali in quanto rientra nelle finalità istituzionali e nei compiti attuativi demandati ai mezzi del Corpo delle Capitanerie di porto nell’espletamento delle attività di ricerca e salvataggio /SAR).

      La Convenzione SAR 1979 trova rispondenza negli articoli del Codice della navigazione, ma soprattutto nella specifica normativa interna d’implementazione costituita dal D.P.R. 28 settembre 1994 n. 662. L’autorità responsabile per l’applicazione della Convenzione è il Ministro dei trasporti mentre l’organizzazione centrale e periferica è affidata al Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto ed ad relative strutture periferiche. Non si vede quali possano essere le competenze del ministero dell’interno nello svolgimento e nel coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio. Va dunque trovata la fonte degli ordini impartiti alla nave Diciotti nei dieci giorni intercorsi tra il soccorso dei naufraghi 17 miglia a sud di Lampedusa il 16 agosto e lo sbarco degli ultimi rimasti a bordo fino al 26 agosto.

      Il citato decreto 662/94 conferisce alle attuali 15 Direzioni Marittime ed all’Autorità Marittima dello Stretto (Messina) le funzioni di Centri Secondari di soccorso marittimo (M.R.S.C. – Maritime Rescue Sub Center) che assicurano il coordinamento delle operazioni marittime di ricerca e salvataggio, ciascuna nella propria giurisdizione, secondo le direttive specifiche o le deleghe del Centro Nazionale di coordinamento (I.M.R.C.C.).

      In base all’art. 2 del decreto, “l’autorita’ nazionale responsabile dell’esecuzione della convenzione e’ il Ministro dei trasporti e della navigazione”. In base all’art. 5 del decreto, “Il centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo (I.M.R.C.C.), i centri secondari di soccorso marittimo (M.R.S.C.) e le unita’ costiere di guardia (U.C.G.), secondo le rispettive competenze, coordinano o impiegano le unita’ di soccorso. L’I.M.R.C.C. e gli M.R.S.C. richiedono agli alti comandi competenti della Marina militare e dell’Aeronautica militare, in caso di necessita’, il concorso dei mezzi navali ed aerei appartenenti a tali amministrazioni dello Stato. Parimenti le U.C.G. richiedono alle altre amministrazioni dello Stato o a privati il concorso di mezzi navali ed aerei, ritenuti idonei per partecipare alle operazioni di soccorso marittimo secondo le procedure e le modalita’ previste dal decreto del Ministro della marina mercantile 1 giugno 1978,pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 174 del 27 giugno 1979.

      4. Quanto alla mancanza di un arresto illegale che non si sarebbe verificato a bordo della nave Diciotti, perchè… mancherebbe un provvedimento di arresto, altra contestazione opposta alla Procura di Agrigento, si ignora che l’art. 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, alla quale si è attribuita rilevanza immediata anche nell’ordinamento interno, prescrive che la limitazione della libertà personale in vista dell’espulsione o del respingimento si debba verificare sulla base di una previsione di legge, in conformità a quanto previsto dalla legge. E dunque non per effetto di una decisione informale o di una mera prassi fattuale, che limita la libertà della persona sottraendola peraltro alla tutela giurisdizionale, alla concreta possibilità di ricorrrere al giudice per impugnare il provvedimento limitativo della libertà personale. Ammettere che si possa limitare di fatto la libertà personale in assenza di un provvedimento amministrativo e di una specifica previsione di legge, equivale a riconoscere che nel nostro ordinamento esistono soggetti sottratti a qualsiasi giurisdizione, sia pure temporaneamente, esttamente quello che vieta l’art. 13 della Costituzione italiana.

      Come ha osservato il Sindacato Nazionale Forense, “la libertà personale tutelata dalla norma penale di cui all’art. 605 c.p. è un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 13 della Carta Costituzionale, a tenore del quale non è ammessa alcuna forma di restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. E’ evidente come la decisione dei Ministri Salvini e Toninelli nulla abbia a che vedere con un provvedimento dell’autorità giudiziaria ed, ancora una volta, il governo italiano mostra sprezzante il suo spregio per quell’assetto costituzionale che regge il nostro Stato di diritto, la fonte delle garanzie e dei diritti di tutti, che impedisce abusi e soprusi da parte di chiunque si vesta d’autorità per impedire l’esercizio di diritti fondamentali.”

      Il trattenimento del migrante irregolare è un istituto compatibile con quanto previsto dalla CEDU, poiché integra una delle ipotesi tassative che consentono una compressione del diritto alla libertà riconosciuto all’art. 5 CEDU. Nell’intento di evitare un ricorso abusivo alla detenzione dei migranti da parte degli Stati membri, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha elaborato alcuni parametri per valutare la legittimità di una misura detentiva. In ossequio al principio di legalità, la Corte di Strasburgo ha innanzi tutto richiesto che qualsiasi privazione della libertà abbia un fondamento giuridico nella normativa interna dello Stato, la quale deve fornire “adequate legal protection in domestic law against arbitrary interferences by public authorities with the rights safeguarded by the Convention”. Il principio di “regolarità” richiede, invece, che la privazione di libertà sia conforme allo scopo previsto e che via sia un nesso tra la motivazione di quest’ultima e il luogo e le condizioni della detenzione stessa. La legge italiana non prevede alcuna limitazione della libertà personale a bordo di navi militari dopo le operazioni di salvataggio in mare, una colta che siano esaurite le esigenze connesse al compimento delle attività SAR.

      Come ha affermato la Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Khlaifia,per il trattenimento irregolare nel Cpsa di Lampedusa, a prescindere dalla denominazione attribuita a una determinata misura al fine di valutarne la compatibilità con l’art. 5 CEDU, occorre esaminare il contenuto della stessa, la situazione concreta nel suo complesso e tenere conto di un insieme di criteri specifici del suo caso particolare come il genere, la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della misura considerata. Per un commento alla sentenza si veda GILIBERTO, La pronuncia della Grande Camera della Corte EDU sui trattenimenti (e i conseguenti respingimenti) a Lampedusa nel 2011, in Diritto penale contemporaneo, pubblicato il 23 dicembre 2016, disponibile al sito www.penalecontemporaneo.it/d/5123-la-pronu

      Il prolungato trattenimento a bordo della nave Diciotti con limitazione della libertà personale delle persone sottoposte peraltro a sorveglianza armata ha costituito di fatto un temporaneo respingimento in frontiera, paragonabile a quelli adottati nelle zone di transito degli aeroporti. Si ricorda al riguardo che in base all’articolo”19 § 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico illecito di migranti per via terrestre, aerea e marittima («Protocollo di Palermo) ,”Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo status dei Rifugiati e il principio di non respingimento ivi enunciato.” Le esigenze di contrasto dell’immigrazione irregolare non possono dunque prevalere sul rispetto dei diritti fondamentali della persona migrante, a maggior ragione dopo una operazione di salvataggio e nei confronti di persone duramente provate dalla loro permanenza in Libia.

      Particolarmente rilevante risulta il caso Medvedyev deciso nel 2008 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo. La Corte di Strasburgo decidendo in merito a quanto previsto all’art. 5, par. 1, CEDU, ha precisato che:

      “(…) where the ‘lawfulness’ of detention is in issue, including the question whether ‘a procedure prescribed by law’ has been followed, the Convention refers essentially to national law but also, where appropriate, to other applicable legal standards, including those which have their source in international law. In all cases it establishes the obligation to conform to the substantive and procedural rules of the laws concerned, but it also requires that any deprivation of liberty be compatible with the purpose of Article 5, namely, to protect the individual from arbitrariness (…)”. Aggiungendo poi che ” “(…) where deprivation of liberty is concerned it is particularly important that the general principle of legal certainty be satisfied. It is therefore essential that the conditions for deprivation of liberty under domestic and/or international law be clearly defined and that the law itself be foreseeable in its application, so that it meets the standard of “lawfulness” set by the Convention, a standard which requires that all law be sufficiently precise to avoid all risk of arbitrariness (…)

      In ogni caso andrebbe rispettato l’art. 13 del Regolamento 562 del 2006 (Codice Frontiere Schengen), norma direttamente precettiva in Italia, laddove si prescrive che “il respingimento può essere disposto solo con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise. Il provvedimento è adottato da un’autorità competente secondo la legislazione nazionale ed è d’applicazione immediata… le persone respinte hanno il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono disciplinati conformemente alla legislazione nazionale. Al cittadino di paese terzo sono altresì consegnate indicazioni scritte riguardanti punti di contatto in grado di fornire informazioni su rappresentanti competenti ad agire per conto del cittadino di paese terzo a norma della legislazione nazionale”.

      5. L’Habeas Corpus costituisce la base dello stato di diritto ed il suo riconoscimento non può essere piegato alle finalità politiche del governo. Successe già nel secolo scorso e succede oggi in tanti paesi del mondo governati da regimi dittatoriali, non può sucedere in Italia e la magistratura deve vigilare sul rigoroso rispetto di questo principio, sia riguardo icittadini, sia anche riguardo i cittadini stranieri, quale che sia la loro condizione giuridica (regolare o irregolare) se si trovano nel territorio dello stato ( art. 2 del Testo Unico n.286/98 sull’immigrazione).

      I difensori del ministro Salvini dimenticano poi che se è vero che l’attracco in porto può essere negato per ragioni di ordine pubblico questa decisione può essere adottata dal ministro delle infrastrutture e non dal ministro dell’interno, e che in ogni caso queste ragioni di ordine pubblico dovrebbero essere contenute in un provvedimento formale e motivato, e non ricollegarsi di certo ad una trattativa in corso con l’Unione europea sulla ricollocazione dei naufraghi in altri paesi. In base all’ art. 83 (Divieto di transito e di sosta) del Codice della Navigazione è infatti il Ministro dei trasporti e della navigazione e non il ministro dell’interno che puo’ “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”.

      Non è competenza del ministro dell’interno dunque decidere se uno sbarco sia “compatibile con l’ordine pubblico”, soprattutto nel caso in cui lo sbarco debba avvenire da una nave della Guardia costiera dopo una azione di soccorso in mare. Se lo stesso ministro dell’interno ravvisasse una ragione ostativa allo sbarco, ad esempio la presenza di presunti terroristi a bordo, dovrebbe adottare un provvedimento formale da trasmettere al Ministro delle infrastrutture per l’adozione del divieto di cui all’art. 83 della navigazione. Una nave della Guardia costiera italiana, come qualunque altra nave che abbia operato un soccorso, non può essere bloccata in alto mare, come è avvenuto al largo di Lampedusa, o utilizzata come nave prigione dopo l’attracco in porto, quando ormai ha cessato di essere quello che le Convenzioni internazionali definiscono “place of safety temporaneo”.

      Lo stato responsabile ha dunque l’onere di indicare un porto di sbarco sicuro (POS). Nella sentenza pronunciata dal Tribunale di Agrigento il 7 ottobre 2009 relativa al caso Cap Anamur, il collegio giudicante ha ritenuto di specificare che tale “peso” non si riferisce unicamente alle incombenze legate alla somministrazione del vitto e dell’assistenza medica, ma, soprattutto, va rapportato alla necessità di garantire ai naufraghi “il diritto universalmente riconosciuto di essere condotti sulla terraferma!”

      Se il ministro delle infrastrutture o il ministro dell’interno potrebbero anche avere un livello più elevato di discrezionalità nell’ammettere in porto una nave privata dopo una azione di soccorso, questa soglia di discrezionalità si riduce drasticamente quando a bordo della nave si trovano persone non respingibili, già identificate, e in molti casi vulnerabili, come donne in stato di gravidanza e minori non accompagnati- Oppure persone che, con qualunque mezzo, anche a gesti, manifestino la volontà di richiedere protezione, esattamente come si è verificato a bordo della Dicotti e come può essere confermato dalle numerose delegazioni che hanno avuto modo di salire sulla nave attraccata nel porto di Catania o che hanno visitato i migranti a Messina dopo lo sbarco.

      L’unico limite incontrato dalla discrezionalità statale nell’ammissione in porto di una nave privata è rappresentato dalla presenza tra i migranti irregolari soccorsi in mare di rifugiati o richiedenti asilo: lo Stato interveniente e lo Stato costiero devono, infatti, rispettare il principio di non refoulement anche nell’individuazione del luogo ove le operazioni di soccorso in mare possono essere considerate terminate. Appare evidente che nel caso di un soccorso operato da una nave della Guardia costiera, quali che siano le circostanze iniziali dell’intervento, una volta che la nave si trovi all’interno delle acque territoriali, addirittura in porto, nessuna discrezionalità può essere rimessa al ministro dell’interno o al ministro delle infrastrutture per impedire lo sbarco delle persone a terra. Ferma restando l’adozione delle possibili misure di internamento o di allontanamento forzato, se non di ammissione alle procedure di protezione ed al sistema di accoglienza, di competenza del ministero dell’interno nell’ambito del cd. approccio Hotspot e secondon quanto previsto dall’art.10 comma terzo del Testo Unico sull’immigrazione.

      Se il ministro dell’interno non ha adottato alcun provvedimento per ordine di chi ed a che titolo i migranti soccorsi dalla Diciotti sono stati trattenuti per dieci giorni a bordo della nave, mentre potevano essere sbarcati a Lampedusa dai primi due mezzi più piccoli della guardia costiera che li aveva soccorsi a sud dell’isola ? Se il ministero dell’interno ha imposto con un qualsiasi provvedimento anche verbale il blocco della Diciotti, e poi il trattenimento dei migranti a bordo della nave attraccata nel porto di Catania, per quello che è stato definito come uno “scalo tecnico”, come poteva e sulla base di quale norma ordinare tale blocco invadendo la competenza di un’altro ministro ? Una volta sbarcati a terra i migranti della Diciotti attraverso la procedura Hotspot e secondo quanto previsto dall’art. 10 del Testo Unico sull’immigrazione, avrebbero potuto essere ammessi alla procedura di asilo, ricollocati in altri paesi, oppure espulsi o respinti, come avvenuto in altre decine di migliaia di casi fino al mese di giugno di quest’anno, in conformità a leggi nazionali e Regolamenti europei.Perchè si è voluto attendere dieci giorni per lo sbarco ? Era legittima l’esigenza che questa attesa potesse incidere sulle richieste di burden sharing avanzate dall’Italia, i vista di un vertice a Buxelles peraltro privo di alcuna effettiva capacità deliberativa, non trattandosi di un Consiglio Europeo.

      La ricorrenza di un “abuso d’ufficio” o di una “omissione in atti d’ufficio” al di là della considerazione sulla valenza di questo reato che non ne elide la rilevanza penale, non può essere esclusa a priori per il ministro dell’interno, o per altri ministri, all’interno della catena di comando che si doveva occupate dell’attracco in porto e dello sbarco, in nome della discrezionalità che presiede alla indicazione ministeriale di un place of safety alle navi dopo il compimento di attività di salvataggio. Tale discrezionalità può essere esercitata per scegliere il porto di sbarco d’intesa con le prefetture per individuare le soluzioni più idonee di prima accoglienza. Ma non può tradursi nella mancata indicazione di un porto di sbarco ( insita nella indicazione di un porto come “scalo tecnico”) o peggio nell’indebito trattenimento a tempo indeterninato di migranti a bordo. E ricordiamo che in questo caso non si trattava di una nave delle tanto vituperate ONG, ma della nave di punta della nostra Guardia costiera, una nave che fino a due mesi fa ha salvato migliaia di persone soccorse in acque internazionali, sbarcandoie sollecitamente in Italia, come prescritto dal diritto interno e dal diritto internazionale.

      Ricordiamo anche la richiesta di sbarco formulata dalla Procura dei minori di Catania in favore dei minori non accompagnati indebiatamente trattenuti per nove giorni assieme agli adulti a bordo della nave Diciotti. Un trattenimento indebito a fronte dell’art.19 del Testo Unico sull’immigrazione, che non può essere cancellato dallo sbarco avvenuto il 25 agosto scorso solo a seguito della richiesta della magistratura.

      Inutile dire che appare del tutto improprio attribuire alla Procura di Agrigento una richiesta di dimissioni del ministro che non è stata mai formalizzata, essendo rimasta la stessa Procura nel solco della procedura prevista per i cosiddetti reati ministeriali, con la trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri del distretto di Palermo. Per quanto esposto sembra dunque del tutto infondata, anche se ne è chiaro l’intento di delegittimazione dell’operato dei procuratori agrigentini, l’accusa finale che questi avrebbero voluto intervenire su politiche migratorie avallate dal suo elettorato. Come se il ministro dell’interno dovesse rispondere al suo elettorato soltanto e non rispettare strettamente il principio di legalità ed il giuramento sulla Costituzione reso nelle mani del Presidente della Repubblica al momento dell’assunzione fomale del suo incarico. Il consenso popolare non può creare zone franche sottratte al controllo di legalità della magistratura.

      L’accusa-ammonimento finale rivolta al Procuratore di Agrigento di eccessivo “protagonismo” appare del tutto inifluente sugli argomenti giuridici a fondamento delle contestazioni relative al blocco della Diciotti ed al trattenimento illegitimo dei 177 naufraghi che erano rimasti a bordo dopo le prime evacuazioni. Quando le responsabilità possono essere tanto elevate e quando i politici creano la bolla mediatica è difficile che i magistrati possano lavorare con la dovuta discrezione. Certo la stessa accusa di protagonismo non era stata rivolta nei confronti di altri magistrati che lo scorso anno, campeggiavano nelle prime pagine dei giornali nelle inchieste contro le Organizzazoni non governative che salvavano vite in mare, con procedimenti che oggi sono stati archiviati, o fortemente ridimensionati, se non ancora privi di un qualunque sbocco processuale.

      Eppure sembra proprio che il colpo finale all’impianto accusatorio della Procura di Agrigento possa essere dato dagli specialisti delle questioni di competenza territoriale per la possibilità, che qualcuno già sta ventilando, che l’inchiesta possa essere trasferita da Agrigento a Catania, o a Palermo. Su queste scelte,e sulle successive fasi dei procedimenti, non meno che sui comportamenti delle autorità di governo nei confronti della magistratura, si misurerà quanto rimane ancora dello stato di diritto nel nostro paese.

      https://www.a-dif.org/2018/09/02/processo-penale-e-stato-di-diritto

    • Prima di parlare ascoltate John

      La guerra. La fuga. E un anno sotto terra, a desiderare la morte. Una storia come tante. Ma da conoscere, per restare umani.

      Rocca di Papa, centro di accoglienza Mondo Migliore. Massimiliano Coccia e Andrea Billau, giornalisti di Radio Radicale, intervistano John, profugo eritreo di 22 anni. John era sulla Diciotti, la nave della Guardia costiera italiana che per giorni è stata in mare, ostaggio del governo italiano che ha usato il suo carico umano per ricattare l’Europa. Alla fine di questa dolorosa vicenda, i migranti della Diciotti, in larga parte eritrei, sono stati accolti dalla Chiesa italiana, sul suolo italiano. Sono in Italia: li abbiamo dunque accolti.

      La conversazione tra Massimiliano Coccia e John ( si può ascoltare sul sito di Radio Radicale, e consiglio di farlo ) è semplice e permette di capire tanto. John in Eritrea studiava, ma non aveva ancora terminato la scuola quando viene prelevato per fare il servizio militare che, però, non aveva fine. Così John decide di lasciare l’Eritrea, dove sa di non avere un futuro. Dall’Eritrea alla Libia ha dovuto pagare la traversata del Sudan. Il viaggio è costato diciassettemila dollari che non erano i risparmi della famiglia, ma frutto di una colletta tra parenti e amici: si investe su una persona giovane per provare a farle avere un futuro altrove e per avere qualcuno che possa aiutare chi resta in patria. Arrivato in Libia, John viene preso subito in consegna da trafficanti che pretendono da lui 5 mila dollari senza però farlo partire per l’Europa: lo rinchiudono invece sotto terra, dove rimarrà per un anno. È stato il periodo più nero della sua vita. Sedici ragazze hanno partorito in quelle condizioni, sotto terra. E io penso all’espressione “venire alla luce”: John ha visto sedici bambini “venire alla luce” sotto terra, nel posto più lontano dalla luce che si possa immaginare. Nuove vite al buio di una detenzione illegale, forzata e inumana.

      I trafficanti estorcevano continuamente denaro e per spaventare usavano scariche elettriche. John non riesce a trovare le parole per descrivere l’inferno vissuto. Erano tutti libici gli aguzzini, senza divise, tutti armati. Armati anche quando portavano via le donne per violentarle senza che nessuno potesse reagire. C’erano più di quattrocento persone in quella condizione: quattrocento persone da torturare, a cui estorcere denaro. Quattrocento persone disperate e spaventate. Quattrocento persone che subivano senza poter reagire. Per uscire dal bunker si pagava: migliaia di dollari per pochi minuti di aria, mai di libertà. Venti minuti. Non di più. Da quella situazione nessuno pensava di poter uscire vivo. Non c’era cibo, non c’era acqua, non c’era luce e con le torture inferte l’unica speranza era che la fine (anche la morte) arrivasse prima possibile. Arriva la svolta: altri 2.500 euro per partire. Chi può pagare viene separato da chi non ha i soldi, per essere poi riuniti tutti e rivenduti a un nuovo trafficante che chiede altri millecinquecento euro perché inizi davvero il viaggio in mare. Gli spostamenti avvenivano tutti di notte perché i migranti non dovevano essere visibili, eppure al porto non c’era nessuno: né polizia, né Guardia costiera libica. Solo trafficanti.

      Quando comincia il viaggio in mare - dice John - sai che quel viaggio è l’ultimo: o arrivi vivo o resti in mare. Morirai magari in mare, ma ci provi. Il tempo durante la navigazione non è buono, il motore dell’imbarcazione si spegne, poi si riaccende. Poi si avvicina una barca che li rifornisce di acqua e cibo. Giunti nei pressi di Lampedusa, vengono presi in carico dalla Diciotti e lì, nonostante quello che noi abbiamo vissuto dalla terra ferma, nonostante l’indignazione e la rabbia per il “sequestro forzato”, per i migranti finisce l’inferno e ricomincia la speranza. Sulla Diciotti, racconta John, stavano benissimo. Il personale era pieno di umanità, c’era da mangiare e il comandante «è stato come un padre». Quando John è partito dall’Eritrea non credeva di avere scelta, ma non aveva idea dell’inferno libico. Ora vuole solo ricominciare ovunque ci sia pace ed è pieno di gratitudine, gratitudine verso l’Italia e gli abitanti di Catania. Dalla Diciotti guardando a terra, guardando il nostro Paese (mentre scrivo sono pieno di orgoglio) John vedeva persone che erano lì per loro, per difendere i loro diritti e per accoglierli. Dalla Diciotti guardava l’Italia e riusciva a leggere, distintamente, una parola semplice, una parola universale: WELCOME!


      http://espresso.repubblica.it/opinioni/l-antitaliano/2018/09/06/news/prima-di-parlare-ascoltate-john-1.326674?refresh_ce

    • L’Arci presenta un ricorso contro il governo per il trattenimento illegittimo dei 150 migranti della Diciotti

      In assenza di senso dello Stato da parte di chi governa, la legge, la magistratura con la sua autonomia, sono gli unici strumenti per salvaguardare la nostra Costituzione e la dignità dell’Italia

      Oggi l’Arci presenterà un ricorso in via cautelare al Tribunale Civile di Catania ed al TAR Catania, a tutela dei diritti dei 150 migranti, prevalentemente eritrei, privati senza titolo della libertà personale, contro i provvedimenti del governo per il loro trattenimento illegittimo.

      L’Arci ha avviato, con lo Studio Legale Giuliano di Siracusa, le azioni avanti il Tribunale Civile di Catania ed il TAR Sicilia Sez. di Catania: avanti il primo un ricorso d’urgenza (ex.art 700 del Codice di procedura Civile) per la immediata tutela dei diritti primari dei 150 migranti detenuti illegittimamente sulla nave della nostra Guardia Costiera “Diciotti”; ed avanti il TAR Sicilia Sez. Catania un ricorso con domanda cautelare di impugnativa del provvedimento del Ministro degli Interni illegittimamente adottato.

      L’Arci inoltre rivendicherà l’applicazione immediata delle linee guida IMO sul soccorso in mare, la cui inottemperanza da parte del Ministro Salvini comporta una gravissima violazione del diritto internazionale e invocherà la violazione dell’art. 3 della Convenzione CEDU contro i trattamenti inumani e degradanti.

      Il ricorso, inviato per conoscenza anche alla Questura, alla Prefettura e alla Guardia Costiera, è mirato a ripristinare la legalità violata con un provvedimento, di cui peraltro non c’è traccia scritta, usato con altri scopi, nelle trattative con l’UE e nella campagna elettorale senza sosta a cui il nuovo governo, e il Ministro Salvini, sottopongono il nostro Paese.

      Il conflitto aperto con l’UE, la vicinanza riaffermata con Orban e con il gruppo di Visegrad, è una evidente prova del contrasto aperto tra gli interessi dell’Italia (che dalla linea razzista e isolazionista del gruppo di Visegrad non può che trarne svantaggi) e la linea seguita dal nostro Ministro dell’Interno Salvini.

      In assenza di senso dello Stato da parte di chi governa, la legge, la magistratura con la sua autonomia, sono gli unici strumenti per salvaguardare la nostra Costituzione e la dignità dell’Italia.

      Oltre alle azioni giudiziarie possibili, l’Arci intende, con tutti i soggetti della società civile impegnati con noi in questo ambito, mobilitare tutte le sue forze per impedire che il governo trascini il nostro Paese verso il baratro.

      Le leggi e la Costituzione non possono essere piegate agli interessi di parte. Quando si viola la nostra Costituzione la democrazia muore e con essa le garanzie che valgono per tutte e tutti, non solo per chi decide di garantirle il governo di turno.

      Noi continueremo a mobilitarci per difendere la democrazia, la libertà e i diritti umani: insieme all’Arci Sicilia, abbiamo aderito e parteciperemo al presidio convocato dai Comitati di base di Catania, che si svolgerà domani al porto a partire dalle ore 17.

      https://www.arci.it/larci-presenta-un-ricorso-contro-il-governo-per-il-trattenimento-illegittimo-de

    • Pour la première fois, l’Aquarius refuse d’obéir aux ordres des garde-côtes libyens

      Jeudi 20 septembre, l’Aquarius a refusé de transborder sur le bateau des garde-côtes libyens des migrants secourus par le navire humanitaire quelques heures plus tôt. Hors de question de renvoyer des naufragés dans un pays qui ne garantit pas leur sécurité, se justifient les militants.

      Pour la première fois depuis leur présence en Méditerranée, les membres du navire humanitaire Aquarius, affrété par SOS Méditerranée, ont refusé d’obéir aux ordres des garde-côtes libyens : ces derniers leur avaient demandé, le 20 septembre, de transborder sur leur bateau libyen des migrants que l’ONG avait secourus.

      « Conformément à la Convention SAR [zone de recherche et de sauvetage, ndlr], nous ne pouvons ni ne devons transférer des personnes secourues aux garde-côtes libyens », écrit l’Aquarius, dans un email envoyé aux autorités portuaires libyennes.

      L’ONG SOS Méditerranée répète inlassablement le même credo depuis des mois. « La Libye ne peut être considérée comme un port sûr. Nous ne ramènerons jamais les migrants secourus en Libye », a encore déclaré l’ONG, joint par InfoMigrants.

      Que s’est-il passé ? Dans la matinée du 20 septembre, l’Aquarius repère, au large des côtes libyennes, une embarcation en difficulté avec 11 personnes à bord. L’équipage suit alors la procédure officielle et contacte le centre de contrôle maritime libyen (JRCC). Depuis la mi-juin, les opérations de sauvetage dans la zone de détresse de la Méditerranée appelée « SAR zone », ne sont en effet plus gérées par le MRCC italien, sorte de tour de contrôle maritime chargée de coordonner les actions de secours en mer. Ces missions sont désormais gérées par Tripoli.

      Les autorités libyennes ne répondent pas. Sans réponse, l’Aquarius avertit alors les autorités italiennes que le navire s’apprête à procéder au sauvetage. Une fois les migrants en sécurité à bord, les humanitaires reçoivent finalement un email du JRCC libyen. « En tant qu’autorités libyennes, nous assurons la coordination des secours. Nous allons dépêcher un navire afin de récupérer les migrants », écrivent les autorités portuaires. « Nous vous ordonnons de vous diriger vers Zaouïa [ville côtière libyenne, NDLR] pour un rendez-vous avec la patrouille libyenne ».

      « Que l’Aquarius aille où il veut, mais pas en Italie »

      L’Aquarius refuse catégoriquement le transfert. « Nous avons toutes les raisons de croire qu’aucun des ports libyens ne constitue un lieu de sécurité pour les rescapés », fait savoir l’équipage du navire humanitaire aux autorités libyennes, italiennes et maltaises. « Nous avons également toutes les raisons de croire qu’une opération de transfert mettrait en danger la sécurité des personnes secourues et de mon équipage en raison de risque de panique ». La Libye a dit prendre note du refus de l’Aquarius.

      Sur Twitter, le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a déjà pris les devants. Il estime que l’Aquarius" a refusé de collaborer avec les garde-côtes libyens". « Maintenant il erre en Méditerranée. Je le dis et je le répète : qu’il aille où il veut mais pas en Italie, les ports sont fermés », a ajouté le ministre.

      Actuellement, le navire humanitaire reste dans la zone de sauvetage et ne cherche pas un port de débarquement. « Nous avons encore de la place à bord et nous savons que nous allons devoir procéder à d’autres sauvetages dans les jours qui viennent », précise à InfoMigrants Julie Bégin, porte-parole de SOS Méditerranée.

      Reste à savoir où seront débarqués les rescapés. « Nous ne savons pas, nous verrons au moment voulu », conclut-elle.

      Depuis plusieurs mois, les autorités italiennes et maltaises refusent d’ouvrir leurs ports aux navires humanitaires. Des refus qui ont entraîné des dissensions au sein de l’Union européenne – toujours aussi déchirée sur la politique à adopter pour faire face à l’afflux de migrants.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/12168/pour-la-premiere-fois-l-aquarius-refuse-d-obeir-aux-ordres-des-garde-c

    • Aquarius. Le Panama annonce qu’il retire son pavillon au navire humanitaire
      https://www.ouest-france.fr/monde/migrants/aquarius-le-panama-annonce-qu-il-retire-son-pavillon-au-navire-humanita

      « L’administration maritime panaméenne a entamé une procédure d’annulation officielle de l’immatriculation du navire Aquarius 2, ex-Aquarius […] après la réception de rapports internationaux indiquant que le navire ne respecte pas les procédures juridiques internationales concernant les migrants et les réfugiés pris en charge sur les côtes de la mer Méditerranée », indiquent les autorités dans un communiqué diffusé sur leur site.

      Selon le Panama, la principale plainte émane des autorités italiennes, selon lesquelles « le capitaine du navire a refusé de renvoyer des migrants et réfugiés pris en charge vers leur lieu d’origine ». Elle rappelle également que le navire s’est déjà vu retirer son pavillon par Gibraltar. Or, selon le communiqué, « l’exécution d’actes portant atteinte aux intérêts nationaux constitue une cause de radiation d’office de l’immatriculation des navires ».

    • Migranti. Inchiesta Diciotti, la Procura chiede l’archiviazione per Salvini

      La Procura di Catania ha formulato una richiesta di archiviazione nei confronti del ministro degli Interni per la vicenda del presunto «sequestro» di migranti a bordo della nave Diciotti.

      «Adesso prendo il caffè, infilo la giacca, spengo la tele, e da persona libera e non più indagata torno al mio lavoro. Grazie, grazie, grazie». Lo ha detto Matteo Salvini dopo aver dato lettura in diretta Facebook della lettera che lo informava della richiesta di archiviazione della procura di Catania per i fatti della nave Diciotti. «Il procuratore di Catania #Zuccaro chiede l’archiviazione. Gioia, soddisfazione. Ma il procuratore di Agrigento perché ha indagato? Quanto è costata l’inchiesta per un reato che non esisteva? Quanti uomini sono stati impiegati? Sono innocente, potevo e dovevo bloccare gli immigrati. È una buona notizia per me, i gufi dei centri sociali saranno abbacchiati. Richiesta motivata di archiviazione».

      In realtà non è debba ancora la parola «fine» sulla vicenda. Infatti il Tribunale dei ministri etneo (composto da tre giudici sorteggiati tra i magistrati del Distretto della Corte d’appello) ha ancora 90 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno la richiesta di archiviazione del procuratore Carmelo Zuccaro. Il ministro era stato indagato per vari reati, tra cui quello di sequestro di persona, per aver trattenuto la nave militare Diciotti alcuni di giorni attraccata al porto di Catania senza far sbarcare i 150 migranti a bordo. La vicenda si era poi sbloccata quando altri Stati dell’Unione europea, tra cui Irlanda e Albania e la Chiesa italiana, hanno dato disponibilità a partecipare alla redistribuzione dei rifugiati.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/18

    • Italie. #Salvini bientôt jugé pour #séquestration ?

      En août, le ministre de l’Intérieur italien avait refusé à 177 migrants de débarquer dans le port de Catane, en Sicile, les bloquant pendant six jours. Un tribunal de Palerme a recommandé, à la surprise générale, que Matteo Salvini soit jugé pour séquestration.


      https://www.courrierinternational.com/article/italie-salvini-bientot-juge-pour-sequestration

    • Caso Diciotti, ecco l’atto d’accusa del tribunale: “Il ministro Salvini ha agito fuori dalla legge”

      Per i giudici sono state violate norme internazionali e nazionali. «L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme finalizzate al contrasto dell’immigrazione irregolare»

      https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/01/24/news/caso_diciotti_ecco_l_atto_d_accusa_del_tribunale_il_ministro_salv

    • La richiesta di autorizzazione a procedere nel caso Diciotti

      Domanda di autorizzazione a procedere per il delitto di sequestro di persona aggravato a carico del Ministro dell’interno in carica, nonché leader di uno dei due partiti che governano il Paese con ampio sostegno popolare. Il provvedimento che qui si annota non può lasciare indifferenti: sta succedendo qualcosa di eccezionale quando un Tribunale della Repubblica chiede che il Ministro dell’interno venga processato per un reato che prevede la pena della reclusione da tre a quindici anni.

      E la situazione è ancora più anomala, se si considera che il fatto per cui la magistratura chiede ad una Camera di procedere (in questo caso il Senato, essendo il Ministro dell’interno anche senatore della Repubblica) non è un episodio corruttivo o comunque legato a fatti che l’indagato nega o sono discutibili. In questo caso il reato che si contesta risulta integrato da una condotta, la chiusura dei porti ai migranti provenienti dalla Libia, che il Ministro dell’interno continua tuttora a rivendicare come parte fondamentale del proprio programma politico e di governo. Il contrasto all’ingresso di stranieri irregolari in Italia viene attuato con la strategia dei “porti chiusi”, che riscuote, stando ai sondaggi, un larghissimo consenso nel corpo elettorale.

      Con questo provvedimento, i magistrati di Catania affermano che il Ministro, diretto responsabile della concreta attuazione di tale strategia politica, deve rispondere del gravissimo reato di sequestro di persona a carico di 177 migranti, e chiedono al Senato, secondo la procedura prevista per i reati ministeriale dalla legge cost. n. 1/1989, l’autorizzazione a procedere a suo carico. Il Tribunale di Catania sta esorbitando dalle proprie competenze, come afferma il Ministro parlando di «toghe di sinistra che invadono il campo della politica»? Avrebbe dovuto il Tribunale accogliere la richiesta della procura etnea di archiviare il procedimento, in quanto il principio di separazione dei poteri vieterebbe alla magistratura penale di valutare la legittimità di atti politici esplicitamente rivendicati dalle più alte autorità di governo? A noi pare che le 50 pagine che mettiamo qui a disposizione del lettore forniscano una risposta convincente del contrario, e cioè che la decisione presa dai giudici di Catania è corretta, e per quanto dirompente è l’unica risposta appropriata rispetto alla gravità dei fatti avvenuti, sotto gli occhi di tutti, la scorsa estate a Catania.

      Di seguito forniremo al lettore niente più che una “guida alla lettura” dell’articolato percorso argomentativo seguito dai giudici siciliani, per svolgere poi alcune riflessioni riguardo ai prossimi esiti cui può dare luogo la vicenda.

      Le motivazioni della richiesta di autorizzazione a procedere

      Gli eventi sono noti, e possono essere qui riassunti in termini molto sintetici. Il 14 agosto 2018 veniva segnalata un’imbarcazione con a bordo diverse decine di soggetti di varie nazionalità (in prevalenza eritrea e somala), proveniente dalla Libia, che versava in una situazione molto precaria. Nei giorni successivi all’avvistamento, insorgeva una controversia tra le autorità italiane e maltesi circa la responsabilità per il soccorso dei naufraghi, sino a che il precipitare della situazione induceva le motovedette della Guardia costiera italiana ad intervenire, trasferendo poi i 177 stranieri soccorsi sulla motonave Diciotti. Dopo tre giorni di stazionamento nei pressi di Lampedusa, dovuto al fatto che tra le autorità italiane e maltesi perdurava il contrasto circa l’individuazione del Paese responsabile dell’indicazione del Pos (place of safety), il 20 agosto la Diciotti riceveva l’autorizzazione ad entrare nel porto di Catania, ma non a sbarcare i migranti della nave. Il Ministro degli interni rifiutava, infatti, il rilascio del Pos (e quindi l’autorizzazione allo sbarco), sino a che non si fosse sbloccata la trattativa a livello europeo su quali Paesi fossero disponibili ad accogliere i migranti presenti sulla nave. In considerazione delle difficili condizioni in cui i migranti versavano, costretti a vivere da diversi giorni su un’imbarcazione inadatta ad accogliere un numero così elevato di ospiti, il 22 agosto, a seguito di esplicita richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minori di Catania, veniva autorizzato lo sbarco dei minori non accompagnati, mentre solo il 25 agosto venivano sbarcati tutti gli altri.

      Il Tribunale, che ripercorre giorno per giorno le vicende appena descritte, distingue due fasi temporali. La prima, dal 15/16 agosto, quando i migranti vengono tratti a bordo dalla Diciotti, sino all’ingresso nel porto di Catania del 20 agosto; e la seconda, da tale data sino al 25 agosto, durante la quale i migranti vengono trattenuti sulla Diciotti senza poter sbarcare.

      Per quanto riguarda la prima fase, il Tribunale etneo esclude la sussistenza di condotte costituenti reato da parte del Ministro, richiamandosi integralmente alle motivazioni sul punto del Tribunale dei ministri di Palermo, che peraltro non vengono neppure curiosamente riassunte, e che non sono note a chi scrive. Ci limitiamo qui a ricordare che la Procura di Agrigento aveva aperto il procedimento a carico del Ministro, trasferendo gli atti al competente Tribunale dei ministri di Palermo, sul presupposto che fosse penalmente rilevante già lo stazionamento forzato nelle acque di Lampedusa, mentre proprio una diversa valutazione di questa prima fase della vicenda aveva indotto i giudici palermitani a trasferire gli atti ai colleghi catanesi, reputando che solo in relazione al trattenimento nel porto etneo si potesse configurare un fatto penalmente illecito.

      Riguardo allora ai cinque giorni (dal 20 al 25 agosto) in cui gli stranieri sono stati bloccati sulla Diciotti nel porto di Catania, il Tribunale ritiene che sussistano gli estremi della fattispecie di cui all’art. 605, comma 3 (sequestro di persona aggravato dall’abuso della qualità di pubblico ufficiale e della minore età di alcune delle vittime).

      Il quadro probatorio su cui il Tribunale fonda le proprie conclusioni è ampio, visto in particolare che nella fase istruttoria condotta dal medesimo Tribunale è stata assunta la testimonianza di tutti i membri apicali della catena decisionale che ha condotto alla chiusura per 5 giorni del porto di Catania ai migranti della Diciotti: il Questore, il Prefetto e il Comandante della Capitaneria di porto di Catania, e il capo di gabinetto del Ministero dell’interno e il suo vice.

      Prima di analizzare i singoli elementi costitutivi del reato, la sentenza si impegna in una ricostruzione del «quadro normativo di riferimento del procedimento di sbarco e delle competenze amministrative» ad esso relative, con l’obiettivo di «chiarire quali siano i doveri degli Stati, le relative competenze e i limiti di discrezionalità esistenti nella gestione del fenomeno del soccorso in mare» (p. 6).

      La premessa da cui prende le mosse il Tribunale nella sua analisi del quadro sovranazionale è che «l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzione internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 Cost., non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica, assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna» (p. 7).

      Il provvedimento ricostruisce allora la normativa di riferimento, con particolare riferimento alla Convenzione Solas del 1974 e alla Convenzione Sar del 1979, così come emendate nel 2006. Un’analisi del concreto piano operativo predisposto dalle autorità italiane, in conformità agli obblighi internazionali in materia di soccorso in mare, mostra secondo il Tribunale come «ove l’attività di soccorso in mare sia stata effettuata materialmente da unità navali della Guardia costiere italiana, la richiesta di assegnazione del POS debba essere presentata da MRCC Roma (Maritime Rescue Coordination Center) al Centro nazionale di coordinamento (NCC), che poi provvederà all’inoltro della stessa al competente Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione del Ministero dell’interno, competente all’indicazione del POS ove operare lo sbarco» (p. 12).

      Molto importante è poi il passaggio in cui il Tribunale ricostruisce i caratteri essenziali del procedimento delineato per i reati ministeriali dalla legge cost. n. 1/1989, ove è necessario tenere distinta la «valutazione di tipo tecnico-giuridico» demandata al Tribunale, che deve decidere della sussistenza del reato secondo i canoni della legislazione penale comune, e la valutazione politica che l’art. 9 della legge affida al Parlamento quando prevede che l’assemblea della Camera di appartenenza «può, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo». Proprio tenendo a mente la peculiare scansione procedimentale prevista per i reati ministeriali, il Tribunale esclude di dover valutare i connotati politici della decisione di impedire lo sbarco dei migranti, richiamando puntualmente in senso conforme una decisione delle Sezioni unite della Cassazione, per cui «il carattere politico del reato, il movente che ha determinato il soggetto a delinquere, nonché il rapporto che può sussistere tra il reato commesso e l’interesse pubblico della funzione esercitata, proprio in conseguenza di quanto disposto dalla l. cost. n. 1/1989, sono criteri idonei a giustificare la concessione o negazione dell’autorizzazione a procedere da parte della Camera o del Senato, ma non sono certamente qualificabili come condizioni per la configurabilità dei reati ministeriali» (Cass., Sez. unite, n. 14/1994, citata a p. 14).

      Venendo ad analizzare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato, il Tribunale prende ovviamente le mosse dall’elemento oggettivo, e dedica particolare attenzione ad individuare il momento a partire dal quale gli uffici competenti del Ministero dell’interno avevano il dovere giuridico di assegnare un Pos ai migranti, e dunque la loro permanenza sulla Diciotti deve ritenersi illegittima. I giudici catanesi ripercorrono le concitate vicende dei giorni successivi all’avvistamento dell’imbarcazione e la controversia insorta tra autorità italiane e maltesi su chi fosse tenuto secondo la normativa internazionale a prestare soccorso (in un passaggio il Tribunale arriva a definire «moralmente censurabile» il comportamento della autorità maltesi). Una volta tuttavia constatata l’indisponibilità di Malta ad indicare un Pos per i migranti, ed una volta autorizzata la Diciotti a dirigersi verso le coste siciliane, le autorità italiane avevano assunto di fatto e di diritto la gestione dei soccorsi, e avevano secondo la normativa internazionale il dovere di indicare nel più breve tempo possibile un Pos ove i naufraghi potessero sbarcare. Per queste ragioni, conclude sul punto il Tribunale, «l’omessa indicazione del POS da parte del Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione, dietro precise direttive del MdI, ha determinato, dopo che alle ore 23.49 del 20 agosto l’unità navale Diciotti raggiungeva l’ormeggio presso il porto di Catania (così creando le condizioni oggettive per operare lo sbarco), una situazione di costrizione a bordo delle persone soccorse fino alle prime ore del 26 agosto (quando veniva avviata la procedura di sbarco a seguito dell’indicazione del POS nella tarda serata del 25 agosto dal competente Dipartimento, dietro nulla osta del Ministro), con conseguente apprezzabile limitazione della libertà di movimento dei migranti, integrante l’elemento oggettivo del reato contestato. Non vi è dubbio, invero, che la protratta presenza dei migranti per cinque giorni a bordo di una nave ormeggiata sotto il sole in piena estate dopo avere già affrontato un estenuante viaggio durato diversi giorni, la necessità di dormire sul ponte della nave, le condizioni di salute precaria di numerosi migranti, la presenza a bordo di donne e bambini, costituiscono circostanze che manifestano le condizioni di assoluto disagio psico-fisico sofferte dai migranti a causa di una situazione di “costrizione” a bordo non voluta e subita, sì da potersi qualificare come “apprezzabile”, e dunque, penalmente rilevante, l’arco temporale di privazione della libertà personale sofferto» (p. 24).

      Quanto all’elemento soggettivo del reato, il Tribunale ricorda anzitutto come l’art. 605 cp delinei una fattispecie a dolo generico, per la cui integrazione è sufficiente la consapevolezza di infliggere alla persona offesa una illegittima privazione della libertà personale, mentre risultano irrilevanti gli scopi ulteriori perseguiti dall’agente. Nel medesimo paragrafo del provvedimento in materia di elemento soggettivo il Tribunale affronta poi tre questioni attinenti a ben vedere non già all’elemento psicologico del reato, bensì alle diverse questioni (di natura in realtà oggettiva) della riferibilità del divieto di sbarco ad una condotta personale del Ministro, e della presenza di cause giustificazione: la «questione della riconducibilità dell’omessa indicazione del POS e del correlato divieto di sbarco ad una precisa direttiva del MdI», la questione dell’«accertamento del carattere illegittimo della privazione dell’altrui libertà, in quanto adottata contra legem», e infine la questione dell’«assenza di cause di giustificazione con valenza scriminante ex art. 51 c.p.».

      Nulla quaestio circa il primo profilo, relativo al personale e diretto coinvolgimento del Ministro degli interni nella decisione di non far sbarcare i migranti. Oltre al fatto che il Ministro in numerose occasioni pubbliche ha esplicitato come la decisione di non fare sbarcare i porti fosse a lui direttamente ascrivibile, tutti i vertici amministrativi sentiti in fase istruttoria hanno confermato il continuo e diretto coinvolgimento del Ministro nella gestione della vicenda, ed in particolare hanno chiarito come la mancata indicazione del Pos nei giorni in cui la Diciotti si trovava a Catania fosse unicamente ascrivibile alle chiare indicazioni in tal senso provenienti dal Ministro stesso.

      Nella motivazione segue poi un paragrafo intitolato «La consapevolezza della “illegittimità” della restrizione dell’altrui libertà», ove peraltro il Tribunale torna ad argomentare intorno alla questione della legittimità (oggettiva) del rifiuto di sbarco alla luce della normativa internazionale (ribadendo come il contenzioso con Malta circa la responsabilità per i soccorsi non può valere a giustificare il rifiuto di sbarcare i migranti una volta che questi erano arrivati in Italia, dietro indicazione della stessa autorità italiana), piuttosto che interrogarsi circa la consapevolezza da parte del Ministro di tale normativa. Tale consapevolezza, considerato il ruolo apicale nella catena decisionale rivestito dall’imputato e l’importanza della questione, viene in sostanza ritenuta implicita dal Tribunale. In effetti, ragionando altrimenti si tratterebbe di ritenere scusante l’eventuale ignoranza da parte del Ministro della normativa nazionale e sovranazionale relativa alle materie oggetto delle sue specifiche competenze istituzionali. Un’ipotesi che peraltro non trova alcun riscontro nell’istruttoria dibattimentale, ove al contrario è emerso come i collaboratori diretti del Ministro gli avessero riferito la richiesta di Pos della Diciotti ed il Ministro avesse opposto un deciso e consapevole rifiuto all’adempimento del dovere di sbarcare i migranti. Probabilmente sarebbe stato preferibile se il Tribunale avesse più chiaramente motivato le ragioni per cui riteneva con ragionevole certezza che il Ministro conoscesse i doveri internazionali connessi alle attività di salvataggio; ma non ci sembra che in effetti vi siano elementi per sostenere l’ignoranza incolpevole della disciplina normativa da parte del Ministro, che peraltro non ha mai sostenuto tale linea difensiva nelle accese reazioni social conseguenti alla richiesta di autorizzazione.

      L’ultimo profilo analizzato dal Tribunale in ordine agli elementi costitutivi del reato riguarda la configurabilità della scriminante di cui all’art. 51 cp. Il provvedimento in esame ne esclude gli estremi, in quanto il Ministro non ha agito in adempimento del suo dovere istituzionale di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica: «Lo sbarco di 177 cittadini stranieri non regolari non poteva costituire un problema cogente di “ordine pubblico” per diverse ragioni, ed in particolare: a) in concomitanza con il “caso Diciotti”, si era assistito ad altri numerosi sbarchi dove i migranti soccorsi non avevano ricevuto lo stesso trattamento; b) nessuno dei soggetti ascoltati da questo Tribunale ha riferito (come avvenuto invece per altri sbarchi) di informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di “persone pericolose” per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale» (p. 40).

      La sola ragione per cui per cinque giorni è stato impedito lo sbarco degli stranieri dalla Diciotti è stata secondo il Tribunale la volontà politica del Ministro di fornire un’immagine di fermezza nella trattativa in corso in sede europea circa i criteri per la ripartizione dei migranti che fuggono dalla Libia: «La decisione del Ministro non è stata adottata per problemi di ordine pubblico in senso stretto, bensì per la volontà meramente politica – “estranea” alla procedura amministrativa prescritta dalla normativa per il rilascio del POS – di affrontare il problema della gestione dei flussi migratori invocando, in base al principio di solidarietà, la ripartizione dei migranti a livello europeo tra tutti gli Stati membri» (ibidem).

      Il Tribunale ricorda le sentenze della Corte costituzionale (n. 105/2001) e della Corte Edu (Khlaifia, 2016) che hanno affermato l’applicabilità delle garanzie sul rispetto della libertà personale anche agli stranieri in situazione di ingresso o soggiorno irregolari, e conclude che l’estraneità della decisione di impedire lo sbarco a finalità proprie dell’ufficio ricoperto dall’inquisito, che era mosso da finalità politiche estranee ai suoi doveri istituzionali, impedisce il riconoscimento della scriminante di cui all’art. 51 cp.

      L’ultimo passaggio della motivazione riguarda proprio il rilievo giuridico da attribuire alla natura politica dell’atto contestato al Ministro; l’argomento della natura politica dell’atto, che alla luce del principio della separazione dei poteri ne avrebbe impedito la sindacabilità da parte dell’autorità giudiziaria, aveva condotto la Procura di Catania a chiedere l’archiviazione del procedimento, e il tema viene affrontato con particolare acribia dal Tribunale. I giudici catanesi affermano la necessità di distinguere tra «atto politico», insindacabile tout court dal giudice penale, e «atto amministrativo adottato sulla scorta di valutazioni politiche», che non si sottrae al vaglio di legalità del giudice penale. In ogni caso,

      «il dogma dell’intangibilità dell’atto politico è oggi presidiato da precisi contrappesi, caratterizzati dal “principio supremo di legalità”, dalla Carta costituzionale e dal rispetto dei diritti inviolabili in essa indicati, tra i quali spicca in primo luogo il diritto alla libertà personale. Segnatamente, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, i cui artt. 24 e 113 sanciscono l’indefettibilità ed effettività della tutela giurisdizionale, non è giuridicamente tollerabile l’esistenza di una particolare categoria di atti dell’esecutivo in relazione ai quali il sindacato giurisdizionale a tutela dei diritti individuali possa essere limitato o addirittura escluso» (p. 44).

      L’atto politico insindacabile dal potere giudiziario è solo quello che «afferisce a questioni di carattere generale che non presentino un’immediata e diretta capacità lesiva nei confronti delle sfere soggettive individuali» (il Tribunale cita a titolo esemplificativo l’adozione di decreti leggi e di decreti legislativi, o la stipula di un’intesa con una confessione religiosa ex art. 8, comma 3 Cost.). Nel caso di specie, il rifiuto del POS configura un atto amministrativo che, mosso da motivazioni politiche, è andato tuttavia pesantemente ad incidere sui diritti degli stranieri, in violazione della normativa interna e sovranazionale, e non può per questa ragione essere sottratto al controllo giurisdizionale.

      «L’atto del Ministro Sen. Matteo Salvini costituisce un atto amministrativo che, perseguendo finalità politiche ultronee rispetto a quelle prescritte dalla normativa di riferimento, ha determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, che hanno comportato l’intrinseca illegittimità dell’atto amministrativo censurata da questo Tribunale (…). Va dunque sgomberato il campo da un possibile equivoco e ribadito come questo Tribunale intenda censurare non già un atto politico dell’Esecutivo, bensì lo strumentale ed illegittimo utilizzo di una potestà ammnistrativa di cui era titolare il Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione, che costituisce articolazione del Ministero dell’interno presieduto dal Sen. Matteo Salvini» (p. 47).

      Quali siano e quale rilievo abbiano le motivazioni politiche dell’agire del Ministro, sono argomenti che dovrà tenere in considerazione il Senato per decidere se concedere o meno l’autorizzazione a procedere. Il Tribunale si arresta alla constatazione che nell’esercizio delle sue funzioni il Ministro, con la decisione di impedire lo sbarco dei migranti della Diciotti, ha realizzato un fatto tipico di reato, non coperto da alcuna causa di giustificazione; i senatori decideranno se il Ministro abbia agito «per il perseguimento di un preminente interesse pubblico», e se dunque per tale reato l’autorità giudiziaria possa o meno procedere.

      La correttezza della decisione del Tribunale di Catania e gli scenari prossimi-venturi

      Le articolate argomentazioni appena sintetizzate ci paiono convincenti, e risultano anche, se studiate con attenzione, capaci di rispondere a molte delle critiche mosse alla decisione dal diretto interessato e da molti dei suoi sostenitori.

      Il primo punto consiste nella conformità o meno alla normativa interna ed internazionale della scelta di negare l’autorizzazione allo sbarco quando i migranti a bordo della Diciotti si trovavano nel porto di Catania. Il provvedimento qui annotato ha mostrato in modo molto chiaro come il problema della responsabilità di Malta nel non adempiere al proprio obbligo di soccorso proprio nulla abbia a che vedere con la questione dello sbarco a Catania, che è l’unico frammento della vicenda ritenuto dal Tribunale di rilievo penale.

      Una volta che l’Italia aveva assunto la concreta gestione del soccorso e aveva accettato, di fronte all’ostinato silenzio delle autorità maltesi, di accogliere la Diciotti a Catania, era evidente che gli stranieri dovessero sbarcare a Catania. Il problema della distribuzione dei migranti anche in altri Paesi europei si sarebbe posto in un momento successivo; ma non serve essere esperti di diritto internazionale del mare per capire che i migranti presenti da giorni in condizioni precarie su una nave militare italiana ancorata in un porto italiano dovevano essere immediatamente sbarcati e soccorsi in territorio italiano. Invocare la responsabilità di Malta per negare il dovere di fornire un POS una volta che i naufraghi erano arrivati a Catania, significa semplicemente sviare il discorso, sovrapponendo il problema della distribuzione dei flussi migratori a livello europeo e dell’incapacità di Malta di far fronte ai propri obblighi in materia Sar, al dovere di fornire un luogo di sbarco sicuro a coloro che in un modo o nell’altro erano comunque stati soccorsi da una nave italiana, e si trovavano in un porto italiano.

      Insomma, la controversia con Malta o il problema della distribuzione dei migranti a livello europeo sono irrilevanti al fine di valutare la legittimità del trattenimento per diversi giorni sulla nave Diciotti di soggetti, che avevano secondo la normativa interna ed internazionale il diritto a ricevere al più presto l’indicazione di un luogo sicuro dove poter sbarcare e ricevere assistenza, quale che fosse poi il loro destino e la loro destinazione finale. Il Ministro ha consapevolmente deciso di trattenere senza alcuna base legale i migranti sulla nave Diciotti, per apparire più forte sullo scenario politico internazionale ad avere più peso nelle trattative in corso a livello europeo per una gestione condivisa dei flussi di migranti dalla Libia. Ma è evidente che tale scelta politica sia stata attuata fuori dalla cornice normativa in cui è disciplinata la privazione dello straniero comunque presente nel territorio dello Stato.

      Ammesso allora che la privazione della libertà c’è stata ed è stata illegale, si pone il problema più delicato, e che nel dibattito pubblico ha assunto un peso determinante. Il Tribunale ha travalicato le proprie competenze? I giudici di Catania si sono arrogati il potere di sindacare le scelte politiche assunte dal Governo con il consenso degli elettori, violando in questo modo il principio della separazione dei poteri? Anche in questo caso, le motivazioni del provvedimento indicano le ragioni per cui la richiesta di autorizzazione non comporta alcuna ingerenza del potere giudiziario nelle prerogative politiche dell’esecutivo.

      È sufficiente, per giungere a tale conclusione, prendere in considerazione l’insieme della procedura delineata dalla legge costituzionale del 1989 riguardo all’accertamento dei cd. reati ministeriali, da intendere ai sensi dell’art. 96 Cost. come quei reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni. Come correttamente ricorda il Tribunale, proprio la particolare natura politica degli atti ministeriali ha indotto il legislatore costituzionale a prevedere che la decisione di procedere all’accertamento di eventuali responsabilità penali conseguenti alla loro adozione non spetti solo alla magistratura penale, posto che il Parlamento può negare l’autorizzazione a procedere quando ritenga che le condotte integranti reato fossero volte al perseguimento di un «preminente interesse pubblico». Lo schema è molto chiaro: la magistratura penale accerta secondo i criteri del diritto penale comune se il Ministro abbia commesso un reato nell’esercizio del proprio potere di governo; il Parlamento può assumere la decisione politica di negare l’autorizzazione a procedere, se la commissione del reato era funzionale alla tutela di un più rilevante interesse pubblico.

      Ritenere allora, come ha fatto la Procura di Catania nella richiesta di archiviazione (della quale, peraltro, sono noti a chi scrive solo gli stralci pubblicati sulla stampa, e i brevi cenni contenuti nel provvedimento qui annotato), che la magistratura penale dovesse archiviare il procedimento in ragione delle finalità politiche che avevano mosso la decisione del Ministro, significa confondere le attribuzioni che il sistema costituzionale di accertamento dei reati ministeriali attribuisce rispettivamente al potere giudiziario e al Parlamento. I giudici devono valutare la commissione di un reato; nel caso di specie, valutare se la significativa privazione di libertà degli stranieri sulla Diciotti conseguente alla decisione del Ministro di vietare lo sbarco era stata disposta secondo la legge, configurandosi in caso contrario il delitto di sequestro di persona aggravato. Il Senato dovrà ora decidere se le finalità politiche addotte dal Ministro a giustificazione del proprio operato siano talmente pregnanti da imporre alla magistratura di arrestarsi nel procedimento di accertamento delle responsabilità.

      La separazione dei poteri, per concludere sul punto, non può comportare l’irragionevole conclusione che i membri del Governo sono immuni dalla giurisdizione penale ogniqualvolta esercitino le proprie funzioni politiche, che come ovvio devono invece sempre svolgersi nel quadro della legalità interna ed internazionale. Come tutti i cittadini, anche i Ministri, se nell’esercizio delle loro funzioni commettono dei reati, ne devono rispondere davanti alla giustizia penale, quali che siano i moventi politici che stanno a fondamento delle loro azioni. Il sistema costituzionale, proprio in ossequio al principio della separazione dei poteri, prevede tuttavia che il potere politico possa assumersi, mediante il voto del Parlamento, la responsabilità politica dell’azione del Ministro, che può venire ritenuta non meritevole di essere perseguita in quanto funzionale al raggiungimento di un più alto interesse pubblico. Ecco perché la magistratura non compie alcuna invasione di campo quando, constatata la commissione di un reato ad opera della condotta di un Ministro, non compie direttamente una valutazione circa la rilevanza politica di tale condotta, archiviando la notitia criminis perché connotata da motivi politici, ma correttamente chiede al Parlamento di decidere se dare o meno copertura politica all’operato del Ministro.

      La questione passa ora dunque nelle mani del Senato. Ai sensi dell’art. 9, comma 2, legge. cost. n. 1/1989, prima la Giunta competente per le autorizzazioni a procedere riferisce «con relazione scritta» all’assemblea, «dopo avere sentito i soggetti interessati ove lo ritenga opportuno o se questi lo richiedano»; entro sessanta giorni dalla trasmissione dalla richiesta al Senato (avvenuta il 23 gennaio), l’assemblea, a maggioranza assoluta dei suoi membri può «con valutazione insindacabile» negare l’autorizzazione a procedere quando ritiene che «l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo».

      Non rimane, dunque, che attendere lo svolgimento dell’attività della Giunta e l’esito della deliberazione che assumerà l’assemblea del Senato. Vogliamo ora in conclusione provare a svolgere qualche cursoria riflessione su due problemi che ci paiono in questo momento centrali: quello dei presupposti e dei limiti del potere discrezionale del Parlamento in ordine alla richiesta di autorizzazione a procedere; e quello dell’eventuale giustiziabilità della decisione del Parlamento di fronte alla Corte costituzionale.

      Quanto alla prima questione, dal testo della norma (di rango costituzionale) che disciplina l’autorizzazione a procedere si evincono in particolare due elementi che ci paiono meritevoli di considerazione.

      In primo luogo, la norma prevede il quorum della maggioranza assoluta dei componenti per negare l’autorizzazione a procedere, mostrando l’attenzione del legislatore costituzionale a bilanciare l’ampio potere discrezionale assegnato al Parlamento con il richiedere che ad assumersi la responsabilità di impedire per ragioni di interesse superiore alla magistratura penale di procedere all’accertamento dei reati sia una maggioranza qualificata dei componenti l’assemblea. Una sorta di favor per il proseguimento dell’azione penale, che conferma la natura eccezionale dei casi in cui il movente politico può rendere lecita la commissione di reati [1].

      Il secondo punto riguarda proprio l’ampiezza del potere discrezionale che la legge costituzionale attribuisce al Parlamento, non solo per la definizione molto ampia dei requisiti che legittimano il diniego dell’autorizzazione, ma in particolare per la precisazione che il Parlamento si esprime «con valutazione insindacabile». È chiara la volontà di sottolineare la natura politica, e non più tecnico-giuridica, del giudizio che il Parlamento è chiamato a svolgere. La sua diretta legittimazione democratica gli consente di dichiarare «insindacabilmente» non perseguibile una condotta che pur potrebbe costituire reato, quando la ritiene funzionale ad un interesse pubblico superiore.

      Nel caso che ci interessa, il problema ci pare presentarsi in questi termini: la tutela dei confini e la gestione dei flussi migratori, invocate dal Ministro a giustificazione della scelta di impedire lo sbarco dei migranti dalla Diciotti, rendono non perseguibile la privazione per 5 giorni della libertà personale di 177 persone, che sono state trattenute in violazione della normativa in materia interna ed internazionale? Ci auguriamo che su questo interrogativo, dai profondi risvolti etici oltre che giuridici, si voglia concentrare il dibattito politico e parlamentare, più che su vacui e inconferenti richiami alla presunzione di innocenza o alla separazione dei poteri. Il Parlamento è libero di fornire a tale domanda la risposta «insindacabile» che politicamente la maggioranza riterrà opportuna, ma almeno è auspicabile che la questione, molto seria, posta dal Tribunale di Catania venga affrontata nel suo reale contenuto, e non ricalcando stereotipi conflittuali tra magistratura e politica, che ottengono il solo risultato di impedire un reale confronto sul merito politico della questione.

      Si tratta, in effetti, di una questione che tocca da vicino i fondamenti stessi del sistema democratico e di tutela dei diritti fondamentali. La questione che al Parlamento è sottoposta porta infatti con sé il problema quanto mai delicato di fissare i limiti entro cui il potere governativo può legittimamente esplicare la propria volontà politica. Proprio la legge costituzionale sui reati ministeriali ci dice che, a differenza che per gli altri cittadini, per i Ministri il limite fissato dalla legge penale non è di per sé sempre invalicabile nell’ambito della loro attività funzionale, perché il Parlamento, con valutazione insindacabile, può ritenere la commissione di un reato ministeriale non perseguibile per ragioni politiche. A bene vedere, è la stessa previsione dell’istituto dell’autorizzazione a procedere a comportare che la legge penale non è di per sé sempre un limite all’azione politica di governo.

      Eppure, è ovvio che in un sistema costituzionale e democratico un limite all’agire politico ci deve essere. Nessuno può avere dubbi che il Parlamento non potrebbe ad esempio, pur invocando il proprio potere discrezionale, negare l’autorizzazione a procedere qualora la magistratura fornisse le prove ad esempio che una decisione di un Ministro ha provocato la morte di più persone. Nel dibattito relativo ai casi di chiusura dei porti, del resto, si considera come implicito, anche da parte dei sostenitori della linea più intransigente, che la vita dei profughi non possa essere messa a rischio dal divieto di sbarcare. La politica quindi, anche quando si esprime con le forme più dure, riconosce l’esistenza di un limite oltre il quale non può spingersi, e nel caso dei migranti nei porti il limite è stato individuato nella tutela della vita umana dei migranti. Ma questo limite, che fissa i termini entro cui neppure la più alta ragion di Stato può condurre a legittimare un fatto lesivo dei diritti fondamentali, può essere davvero nella libera e assoluta disponibilità del potere politico, o il sistema costituzionale e sovranazionale vigente pone dei vincoli alla sua fissazione?

      Nel sistema di tutela convenzionale dei diritti fondamentali, questo limite come noto è fissato in maniera molto netta all’art. 15 Cedu, secondo cui neppure nei casi estremi di urgenza, come «in caso di guerra o in caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione», lo Stato può derogare alla tutela dei diritti garantiti agli artt. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), 4 § 1 (divieto di schiavitù) e 7 (nullum crimen). Il sistema costituzionale non prevede, come noto, alcuna disposizione relativa alla possibile deroga ai diritti fondamentali determinata da ragioni eccezionali, ma l’indicazione convenzionale ci pare senz’altro da tenere in considerazione anche in prospettiva costituzionale, considerato il rilievo para-costituzionale che le disposizioni convenzionali assumono a livello interno per il tramite dell’art. 117 Cost.

      In questa prospettiva, il problema rispetto al caso della Diciotti sarebbe quello di valutare se il trattenimento dei migranti – sicuramente lesivo del diritto alla libertà personale riconosciuto dall’art. 13 Cost. e dall’art. 5 Cedu – sia altresì in contrasto con il divieto di trattamenti inumani e degradanti di cui all’art. 3 Cedu, cui le autorità italiane si sono convenzionalmente impegnate a non derogare neppure nei casi più estremi di pericolo per la Nazione. La questione non è stata oggetto di particolare attenzione da parte dei giudici catanesi, posto che il reato di sequestro di persona contestato al Ministro era configurabile a prescindere dalle condizioni in cui avveniva il trattenimento. E tuttavia, se si accoglie l’idea che i limiti all’inderogabilità dei diritti convenzionali fissino anche il perimetro entro cui può esercitarsi il potere di governo, proprio l’attenta valutazione delle condizioni in cui versavano i migranti dovrebbe risultare decisiva per decidere se i fatti commessi possano essere legittimamente dichiarati improcedibili da una discrezionale scelta politica del Parlamento.

      Accolta l’idea che sia necessario porre dei limiti non solo politici, ma anche giuridici, all’azione di governo, il successivo problema da risolvere risulta quello della giustiziabilità di tali limiti. Nel sistema convenzionale la risposta è chiara: lo Stato risponde sempre delle violazioni dei diritti inderogabili di cui all’art. 15 Cedu commessi dai suoi rappresentanti, quale che siano le ragioni politiche che ne giustifichino il compimento. In ambito interno, il problema si fa più arduo, anche perché mancano precedenti specifici. Qualora il Parlamento dovesse negare l’autorizzazione a procedere, ritenendo che la privazione di libertà e i trattamenti inumani e degradanti subiti dai migranti della Diciotti siano giustificati dalla necessità politica di tutelare i confini dello Stato, potrebbe il Tribunale di Catania sollevare un conflitto di attribuzione con il Senato di fronte alla Corte costituzionale, adducendo che il Senato ha ecceduto i poteri conferitigli dalla legge costituzionale del 1989?

      Il problema, inedito a quanto ci risulta nella giurisprudenza costituzionale, è stato poco indagato anche dalla dottrina, specie penalistica. Uno dei pochi contributi che prende specifica posizione sul punto ritiene di non escludere la possibilità che la Corte costituzionale censuri l’uso distorto del proprio potere discrezionale da parte del Parlamento, anche se il vaglio della Corte deve stare attento a non sindacare il merito delle scelte politiche attribuite in via esclusiva al Parlamento dalla legge costituzionale del 1989 [2]. A noi pare in effetti che sarebbe disarmonico rispetto al complessivo sistema costituzionale di bilanciamento tra i poteri, prevedere nel caso dei reati ministeriali che il Parlamento possa opporre al potere giudiziario un rifiuto del tutto sottratto al giudizio di legittimità della Corte costituzionale. La legge costituzionale è chiara nel prevedere che il potere dell’organo parlamentare si esercita sulla base di determinati presupposti, il cui rispetto non può essere sottratto al controllo della Corte costituzionale, pena un pericoloso sbilanciamento del sistema costituzionale di check and balance. Qualora dunque la Corte venisse investita della questione, dovrebbe certo astenersi dal valutare nel merito la legittimità politica della decisione del Parlamento, ma non dovrebbe invece astenersi dal valutare se il rifiuto opposto dal Parlamento all’autorità giudiziaria sia conforme al complessivo sistema normativo di valori che l’azione di ogni autorità pubblica, in uno Stato democratico, è tenuta a rispettare; ed in questo senso, lo ripetiamo, il catalogo di cui all’art. 15 Cedu delinea a nostro avviso in modo anche costituzionalmente significativo il perimetro di liceità delle azioni di governo, quale che sia il contesto in cui intervengono o la finalità che perseguono.

      La natura “a caldo” di queste righe non consente di soffermarci più a lungo sulle complesse questioni, penalistiche e costituzionalistiche, che abbiamo appena cercato di evidenziare. Ci permettiamo in conclusione di auspicare che nelle prossime settimane, che vedranno impegnato il Senato nella decisione demandatagli dal Tribunale di Catania, la comunità dei giuristi voglia fornire un contributo significativo al dibattito pubblico che si svilupperà in Senato. Al di là della decisione che il Parlamento sovranamente vorrà assumere, ci pare importante che l’opinione pubblica sia resa consapevole dell’importanza della decisione che il Senato è chiamato a prendere. Si tratta di capire sino a che punto l’attuazione di una pur legittima pretesa politica possa andare ad incidere sui diritti fondamentali delle persone, e su dove di conseguenza sia fissato il limite che in uno Stato democratico non può essere superato dall’azione di governo. Su un tema di tale portata, sarebbe fondamentale avere un’opinione pubblica capace di prendere posizione in modo consapevole. I limiti al potere politico devono trovare affermazione, se necessario, anche di fronte alle Corti supreme, italiane e europee; ma il vero fondamento dei valori affermati nelle Carte dei diritti fondamentali e nella Costituzione sta solo nella condivisione di tale valori da parte dei consociati, e la vicenda della Diciotti può essere una occasione preziosa per condurre il dibattito pubblico a riflettere seriamente sulla pericolosa direzione che sta prendendo, anche nelle ore in cui si scrive, la politica governativa in materia di soccorso e assistenza ai naufraghi provenienti dalla Libia.

      [1] In questo senso cfr. un recente lavoro monografico dedicato al tema dei reati ministeriali: M. Bellacosa, I profili penali del reato ministeriale, 2012, p. 72.

      [2] Così M. Bellacosa, cit., pp. 73 ss.: «Stante la fissazione legislativa di precisi criteri che l’Assemblea deve seguire onde pervenire al diniego di autorizzazione, non pare si possa escludere l’ammissibilità del ricorso proposto dal potere giudiziario avverso il rifiuto di autorizzazione motivato con riferimento ad interessi diversi da quelli indicati dall’art. 9 l. cost. 1/89 o, peggio, fondato solo su motivi di opportunità politica. Invero, considerati i margini ridotti entro i quali le Camere possono disporre il diniego di autorizzazione, la Corte costituzionale dovrebbe potersi spingere a sindacare quelle delibere che appaiano viziate dallo sviamento rispetto alle finalità considerate dalla legge di revisione (…) Rimarrebbe perciò precluso esclusivamente il sindacato sul merito delle valutazioni compiute dalle Assemblee, quando esse abbiano legittimamente individuato l’interesse costituzionalmente rilevante o preminente nella funzione di Governo, che prevale, a loro insindacabile giudizio, sull’interesse tutelato dalla norma incriminatrice violata dal ministro inquisito».

      http://questionegiustizia.it/articolo/la-richiesta-di-autorizzazione-a-procedere-nel-caso-diciotti_29-0

    • Gli eritrei della Diciotti: un po’ di storia per Salvini e i “portavoce” 5S

      Il Ministro del’Interno leghista li ha definiti “irregolari”. Mauro Coltorti, portavoce 5S, ha affermato che in Eritrea e in Etiopia “non si muore di fame e non si vive male”. Dietro la propaganda del governo, però, ci sono guerre, torture, leva a tempo indeterminato e affari di “imprenditori” italiani. Compreso qualche ex esponente leghista.

      https://www.dinamopress.it/news/gli-eritrei-della-diciotti-un-po-storia-salvini-portavoce-5s
      #réfugiés_érythréens #Erythrée #réfugiés_éthiopiens #Ethiopie

    • Il caso Diciotti tra Italia e Malta

      A Bruxelles il 24 agosto non si parlò del contenzioso tra Italia e Malta sul caso Diciotti. Lo rivela a Report un diplomatico presente alla riunione. In vista del dibattito in Senato sulle accuse al ministro dell’Interno Salvini, torna alla ribalta anche il caso dei minorenni bloccati a bordo della Sea Watch

      http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Il-caso-Diciotti-tra-Italia-e-Malta-39a16c1e-eea3-49a0-9674-d58762c6bd56.htm

    • Migrants : le Sénat italien doit se prononcer sur la levée de l’#immunité de #Salvini

      Ce mercredi 20 mars, à 13 heures, les sénateurs italiens voteront pour ou contre la poursuite de la procédure judiciaire lancée contre le ministre de l’intérieur Matteo Salvini. Cela fait suite au « cas #Diciotti » : en août dernier, 177 migrants ont été contraints de rester dix jours à bord du navire qui les avait secourus en Méditerranée.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/190319/migrants-le-senat-italien-doit-se-prononcer-sur-la-levee-de-l-immunite-de-
      #levée_de_l'immunité

    • I dubbi sulla capacità della Libia di soccorrere migranti

      Si torna a parlare del caso Diciotti, cioè del caso della nave della guardia costiera italiana bloccata per cinque giorni nel porto di Catania alla fine di agosto del 2018, senza che fosse concessa l’autorizzazione a far scendere l’equipaggio e le 177 persone soccorse qualche giorno prima, nelle acque internazionali tra l’Italia e Malta. Per questa vicenda il ministro dell’interno Matteo Salvini è stato accusato di sequestro di persona aggravato.

      Il senato il 20 marzo dovrà votare sull’autorizzazione a procedere, presentata dal tribunale dei ministri di Catania contro il ministro, mentre il 18 marzo Rai 3 trasmetterà un’inchiesta del giornalista Manuele Bonaccorsi sul caso. Nell’ambito di questo lavoro il giornalista Lorenzo Di Pietro ha intervistato Fred Kennedy, direttore degli affari legali dell’International maritime organization (Imo), che spiega perché anche se per altre organizzazioni delle Nazioni Unite– come l’Agenzia per i rifugiati, l’Unhcr – la Libia non è un paese sicuro in cui riportare i migranti intercettati in mare, Tripoli ha potuto in ogni caso dichiarare una zona di ricerca e soccorso libica nel giugno del 2018.

      In base alla Convenzione internazionale di ricerca e soccorso dell’International maritime organization (Imo) – l’agenzia delle Nazioni Unite per la sicurezza della navigazione – ogni paese membro determina la propria zona di ricerca e soccorso e ne decide l’ampiezza coordinandosi con gli stati confinanti. Anche nel caso della Libia è andata così: l’autorità marittima internazionale non ha valutato in maniera autonoma le capacità di Tripoli di agire nella propria area di competenza.

      https://www.internazionale.it/video/2019/03/18/imo-libia-sar-diciotti

    • Migrants : le Sénat italien doit se prononcer sur la levée de l’immunité de Salvini

      Ce mercredi 20 mars, à 13 heures, les sénateurs italiens voteront pour ou contre la poursuite de la procédure judiciaire lancée contre le ministre de l’intérieur Matteo Salvini. Cela fait suite au « cas Diciotti » : en août dernier, 177 migrants ont été contraints de rester dix jours à bord du navire qui les avait secourus en Méditerranée.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/190319/migrants-le-senat-italien-doit-se-prononcer-sur-la-levee-de-l-immunite-de-

  • Libia. La rivolta dei migranti nel lager: temono di essere venduti ai trafficanti

    All’improvviso a decine spariscono. Finiscono nelle mani di persone che chiedono un riscatto alla famiglia o li vendono come schiavi. Onu e diplomatici faticano ad avere accesso ai campi di detenzione

    La tensione accumulata da mesi è esplosa domenica nel sovraffollato centro di detenzione libica di #Sharie (o #Tarek) #al_Matar, nei sobborghi di Tripoli, con scontri con le guardie e tre feriti. Le drammatiche testimonianze di alcuni detenuti raccolte da noi in diretta telefonica, le foto dei feriti, gli audio e il video su Facebook postato da Abrham, (ora anche sul nostro canale Youtube, linkato a questo articolo) giovane rifugiato eritreo di Bologna, domenica pomeriggio documentano l’esasperazione e la protesta dei prigionieri per le condizioni da tutti gli osservatori considerate inumane di prigionia e contro trasferimenti in altri centri per paura di essere venduti ai trafficanti di esseri umani.

    Paura giustificata dalla sparizione di 20 detenuti nei giorni scorsi e di 65 donne con bambini che i libici giustificano come alleggerimento dell’affollatissima struttura e sulla quale sta compiendo verifiche l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Per protesta i prigionieri eritrei, molti in carcere da mesi, parecchi intercettati e sbarcati dalla guardia costiera libica dopo la chiusura delle coste di questi mesi, hanno incendiato due materassi provocando la repressione durissima della polizia libica, la quale ha ferito tre richiedenti asilo, due dei quali hanno dovuto essere ricoverati in ospedale. Negli stanzoni roventi, lerci e stipati come pollai sono stati sparati lacrimogeni e le guardie hanno picchiato i detenuti con i fucili per riportare la calma.

    «Sono stati momenti di battaglia tra eritrei e libici – spiega il nostro contatto Solomon, pseudonimo di un prigioniero fuggito dal regime dell’Asmara, nel campo da maggio scorso dopo aver trascorso i precedenti sei mesi nell’altro lager di Gharyan – loro ci ripetono che siamo troppi e che vogliono venderci. Siamo disperati, molti parlano di suicidio. Non vediamo vie di uscita. Non possiamo tornare in Eritrea e l’Europa non ci vuole». La tensione insomma potrebbe portare ad altre rivolte.

    I libici sono accusati di rallentare il processo di registrazione dei detenuti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite chiudendo le porte per ragioni di sicurezza e spostando senza preavviso le persone non ancora iscritte nelle liste Onu dei richiedenti asilo per venderli ai trafficanti.

    Ieri funzionari del Palazzo di Vetro sono riusciti a entrare di mattina presto a #Tarek_al_Matar e a proseguire nella difficile registrazione di 200 eritrei. L’intento, spiegano fonti Acnur a Tripoli, è duplice: registrare tutti e offrire ai soggetti più vulnerabili - donne, minori, ammalati che non possono venire rimpatriati per timore di persecuzioni - una evacuazione umanitaria nel centro Onu in Niger per alleggerire il campo e favorire il reinsediamento in Paesi terzi. Ma i posti a disposizione non bastano per i 1.800 dannati di Tarek Al Matar, dove il precedente governo aveva avviato progetti per due milioni per l’emergenza ormai conclusi, come anche nei centri di Tarek Al Sika a Tagiura. Anche l’Onu ammette che le condizioni del campo sono peggiorate.

    E il sovraffollamento deriva dal fatto che la Guardia costiera libica ha intercettato finora 13 mila persone. In tutto il 2017 ne aveva intercettati oltre 15mila.

    Secondo una fonte libica, sempre ieri a una diplomatica dell’Unione europea sarebbe stato impedito l’accesso al centro di detenzione. La motivazione ufficiale è che non avrebbe presentato richiesta in tempo. Ma si sospetta che in realtà le autorità tripoline vogliano nascondere all’Ue i danni dell’incendio e le violenze sui detenuti.

    Secondo dati dell’Acnur, al 31 luglio nel Paese erano stati registrati 54.416 richiedenti asilo e rifugiati, 9.838 solo nel 2018. Ma se le proporzioni sono quelle del campo di Tarek al Matar, solo un terzo è stato identificato, gli altri galleggiano tra violenze, condizioni igienico sanitarie inumane e il rischio di sequestri nel limbo dei centri di detenzione, sia ufficiali che quelli nelle mani delle milizie. Ieri con un tweet eloquente la sezione italiana dell’Oim, organizzazione internazionale delle migrazioni, ha puntualizzato che il suo personale è presente agli sbarchi nei porti libici, ma la gestione dei campi è in carico alle autorità locali.

    Le tensioni a Tarek Al Matar sono esplose principalmente per il terrore di venire venduti ai trafficanti, i quali gestiscono sì le partenze sui barconi, ma solo dopo aver torturato i prigionieri per estorcere riscatti alle famiglie, oppure rivenderli come schiavi.

    Dal campo abbiamo scritto sabato su Avvenire che erano sparite 20 persone, uno solo dei quali è riuscito a tornare.
    «Chiamiamolo Fish, mi ha contattato – racconta Abrham, rifugiato eritreo in Italia che raccoglie le grida di aiuto della sua generazione rinchiusa – perché è riuscito a tornare a Tarek al Matar. Sono stati trasferiti in uno stanzone in un luogo sconosciuto senza cibo e senza acqua. Hanno sentito due libici che dicevano che la notizia della loro sparizione era girata in rete e quindi la vendita doveva essere interrotta. Lo hanno riportato indietro, adesso aspetta i suoi compagni».

    La circolazione delle notizie via social avrebbe salvato anche gli oltre 200 prigionieri «trasferiti» due settimane fa dal centro di Tarek Al Siqa senza preavviso in un luogo sconosciuto e pressoché privo di sorveglianza dove un trafficante eritreo che collabora con i libici spacciandosi per mediatore culturale li ha contattati invitandoli a seguirlo. Il gruppo, che teme di essere già stato venduto e dove ci sono persone non registrate nelle liste umanitarie, prosegue il braccio di ferro a colpi di messaggi via social urlando nel silenzio della rete il proprio diritto ad essere accolto.

    Perché il paradosso, scorrendo le nazionalità censite dall’Onu in Libia, è che molti detenuti sono rifugiati e richiedenti asilo che dovrebbero trovarsi legalmente in Paesi sicuri a chiedere asilo oppure essere liberi di circolare in Libia. Come gli oltre 9mila sudanesi, e i 6mila eritrei e i 3mila somali e gli oltre mille etiopi cui persino Tripoli, che pure non ha firmato la Convenzione di Ginevra, riconosce lo status. Senza contare che un terzo ha meno di 18 anni e dovrebbe essere protetto dai civilissimi Stati europei. Ma nel caos libico si trovano ingabbiati sotto la sorveglianza di miliziani rivestiti con una divisa da poliziotto senza uno straccio di formazione e che considerano i prigioneri migranti illegali e merce da rivendere.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-rivolta-dei-migranti-nel-lager-in-libia
    #Libye #camps #lager #résistance #révolte #asile #migrations #réfugiés #camps_de_réfugiés #détention #violence #torture

    https://www.youtube.com/watch?v=wGZH6Br7S0o

  • J’essaie de compiler ici des liens et documents sur les processus d’ #externalisation des #frontières en #Libye, notamment des accords avec l’#UE #EU.

    Les documents sur ce fil n’ont pas un ordre chronologique très précis... (ça sera un boulot à faire ultérieurement... sic)

    Les négociations avec l’#Italie sont notamment sur ce fil :
    https://seenthis.net/messages/600874
    #asile #migrations #réfugiés

    Peut-être qu’Isabelle, @isskein, pourra faire ce travail de mise en ordre chronologique quand elle rentrera de vacances ??

    • Ici, un des derniers articles en date... par la suite de ce fil des articles plus anciens...

      Le supplice sans fin des migrants en Libye

      Ils sont arrivés en fin d’après-midi, blessés, épuisés, à bout. Ce 23 mai, près de 117 Soudanais, Ethiopiens et Erythréens se sont présentés devant la mosquée de Beni Oualid, une localité située à 120 km au sud-ouest de Misrata, la métropole portuaire de la Tripolitaine (Libye occidentale). Ils y passeront la nuit, protégés par des clercs religieux et des résidents. Ces nouveaux venus sont en fait des fugitifs. Ils se sont échappés d’une « prison sauvage », l’un de ces centres carcéraux illégaux qui ont proliféré autour de Beni Oualid depuis que s’est intensifié, ces dernières années, le flux de migrants et de réfugiés débarquant du Sahara vers le littoral libyen dans l’espoir de traverser la Méditerranée.

      Ces migrants d’Afrique subsaharienne – mineurs pour beaucoup – portent dans leur chair les traces de violences extrêmes subies aux mains de leurs geôliers : corps blessés par balles, brûlés ou lacérés de coups. Selon leurs témoignages, quinze de leurs camarades d’évasion ont péri durant leur fuite.

      Cris de douleur
      A Beni Oualid, un refuge héberge nombre de ces migrants en détresse. Des blocs de ciment nu cernés d’une terre ocre : l’abri, géré par une ONG locale – Assalam – avec l’assistance médicale de Médecins sans frontières (MSF), est un havre rustique mais dont la réputation grandit. Des migrants y échouent régulièrement dans un piètre état. « Beaucoup souffrent de fractures aux membres inférieurs, de fractures ouvertes infectées, de coups sur le dos laissant la chair à vif, d’électrocution sur les parties génitales », rapporte Christophe Biteau, le chef de la mission MSF pour la -Libye, rencontré à Tunis.

      Leurs tortionnaires les ont kidnappés sur les routes migratoires. Les migrants et réfugiés seront détenus et suppliciés aussi longtemps qu’ils n’auront pas payé une rançon, à travers les familles restées au pays ou des amis ayant déjà atteint Tripoli. Technique usuelle pour forcer les résistances, les détenus torturés sont sommés d’appeler leurs familles afin que celles-ci puissent entendre en « direct » les cris de douleur au téléphone.

      Les Erythréens, Somaliens et Soudanais sont particulièrement exposés à ce racket violent car, liés à une diaspora importante en Europe, ils sont censés être plus aisément solvables que les autres. Dans la région de Beni Oualid, toute cette violence subie, ajoutée à une errance dans des zones désertiques, emporte bien des vies. D’août 2017 à mars 2018, 732 migrants ont trouvé la mort autour de Beni Oualid, selon Assalam.

      En Libye, ces prisons « sauvages » qui parsèment les routes migratoires vers le littoral, illustration de l’osmose croissante entre réseaux historiques de passeurs et gangs criminels, cohabitent avec un système de détention « officiel ». Les deux systèmes peuvent parfois se croiser, en raison de l’omnipotence des milices sur le terrain, mais ils sont en général distincts. Affiliés à une administration – le département de lutte contre la migration illégale (DCIM, selon l’acronyme anglais) –, les centres de détention « officiels » sont au nombre d’une vingtaine en Tripolitaine, d’où embarque l’essentiel des migrants vers l’Italie. Si bien des abus s’exercent dans ces structures du DCIM, dénoncés par les organisations des droits de l’homme, il semble que la violence la plus systématique et la plus extrême soit surtout le fait des « prisons sauvages » tenues par des organisations criminelles.

      Depuis que la polémique s’est envenimée en 2017 sur les conditions de détention des migrants, notamment avec le reportage de CNN sur les « marchés aux esclaves », le gouvernement de Tripoli a apparemment cherché à rationaliser ses dispositifs carcéraux. « Les directions des centres font des efforts, admet Christophe Biteau, de MSF-Libye. Le dialogue entre elles et nous s’est amélioré. Nous avons désormais un meilleur accès aux cellules. Mais le problème est que ces structures sont au départ inadaptées. Il s’agit le plus souvent de simples hangars ou de bâtiments vétustes sans isolation. »

      Les responsables de ces centres se plaignent rituellement du manque de moyens qui, selon eux, explique la précarité des conditions de vie des détenus, notamment sanitaires. En privé, certains fustigent la corruption des administrations centrales de Tripoli, qui perçoivent l’argent des Européens sans le redistribuer réellement aux structures de terrain.

      Cruel paradoxe
      En l’absence d’une refonte radicale de ces circuits de financement, la relative amélioration des conditions de détention observée récemment par des ONG comme MSF pourrait être menacée. « Le principal risque, c’est la congestion qui résulte de la plus grande efficacité des gardes-côtes libyens », met en garde M. Biteau. En effet, les unités de la marine libyenne, de plus en plus aidées et équipées par Bruxelles ou Rome, ont multiplié les interceptions de bateaux de migrants au large du littoral de la Tripolitaine.

      Du 1er janvier au 20 juin, elles avaient ainsi reconduit sur la terre ferme près de 9 100 migrants. Du coup, les centres de détention se remplissent à nouveau. Le nombre de prisonniers dans ces centres officiels – rattachés au DCIM – a grimpé en quelques semaines de 5 000 à 7 000, voire à 8 000. Et cela a un impact sanitaire. « Le retour de ces migrants arrêtés en mer se traduit par un regain des affections cutanées en prison », souligne Christophe Biteau.

      Simultanément, l’Organisation mondiale des migrations (OIM) intensifie son programme dit de « retours volontaires » dans leurs pays d’origine pour la catégorie des migrants économiques, qu’ils soient détenus ou non. Du 1er janvier au 20 juin, 8 571 d’entre eux – surtout des Nigérians, Maliens, Gambiens et Guinéens – sont ainsi rentrés chez eux. L’objectif que s’est fixé l’OIM est le chiffre de 30 000 sur l’ensemble de 2018. Résultat : les personnes éligibles au statut de réfugié et ne souhaitant donc pas rentrer dans leurs pays d’origine – beaucoup sont des ressortissants de la Corne de l’Afrique – se trouvent piégées en Libye avec le verrouillage croissant de la frontière maritime.

      Le Haut-Commissariat pour les réfugiés (HCR) des Nations unies en a bien envoyé certains au Niger – autour de 900 – pour que leur demande d’asile en Europe y soit traitée. Cette voie de sortie demeure toutefois limitée, car les pays européens tardent à les accepter. « Les réfugiés de la Corne de l’Afrique sont ceux dont la durée de détention en Libye s’allonge », pointe M. Biteau. Cruel paradoxe pour une catégorie dont la demande d’asile est en général fondée. Une absence d’amélioration significative de leurs conditions de détention représenterait pour eux une sorte de double peine.

      http://lirelactu.fr/source/le-monde/28fdd3e6-f6b2-4567-96cb-94cac16d078a
      #UE #EU

    • Remarks by High Representative/Vice-President Federica Mogherini at the joint press conference with Sven Mikser, Minister for Foreign Affairs of Estonia
      Mogherini:

      if you are asking me about the waves of migrants who are coming to Europe which means through Libya to Italy in this moment, I can tell you that the way in which we are handling this, thanks also to a very good work we have done with the Foreign Ministers of the all 28 Member States, is through a presence at sea – the European Union has a military mission at sea in the Mediterranean, at the same time dismantling the traffickers networks, having arrested more than 100 smugglers, seizing the boats that are used, saving lives – tens of thousands of people were saved but also training the Libyan coasts guards so that they can take care of the dismantling of the smuggling networks in the Libyan territorial waters.

      And we are doing two other things to prevent the losses of lives but also the flourishing of the trafficking of people: inside Libya, we are financing the presence of the International Organisation for Migration and the UNHCR so that they can have access to the detention centres where people are living in awful conditions, save these people, protect these people but also organising voluntary returns to the countries of origin; and we are also working with the countries of origin and transit, in particular Niger, where more than 80% of the flows transit. I can tell you one number that will strike you probably - in the last 9 months through our action with Niger, we moved from 76 000 migrants passing through Niger into Libya to 6 000.

      https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/26042/remarks-high-representativevice-president-federica-mogherini-joint-press
      #Libye #Niger #HCR #IOM #OIM #EU #UE #Mogherini #passeurs #smugglers

    • Il risultato degli accordi anti-migranti: aumentati i prezzi dei viaggi della speranza

      L’accordo tra Europa e Italia da una parte e Niger dall’altra per bloccare il flusso dei migranti verso la Libia e quindi verso le nostre coste ha ottenuto risultati miseri. O meglio un paio di risultati li ha avuti: aumentare il prezzo dei trasporti – e quindi i guadagni dei trafficanti di uomini – e aumentare a dismisura i disagi e i rischi dei disperati che cercano in tutti i modi di attraversare il Mediterraneo. Insomma le misure adottate non scoraggiano chi vuole partire. molti di loro muoiono ma non muore la loro speranza di una vita migliore.

      http://www.africa-express.info/2017/02/03/il-risultato-dellaccordo-con-il-niger-sui-migranti-aumentati-prezzi

    • C’était 2016... et OpenMigration publiait cet article:
      Il processo di esternalizzazione delle frontiere europee: tappe e conseguenze di un processo pericoloso

      L’esternalizzazione delle politiche europee e italiane sulle migrazioni: Sara Prestianni ci spiega le tappe fondamentali del processo, e le sue conseguenze più gravi in termini di violazioni dei diritti fondamentali.

      http://openmigration.org/analisi/il-processo-di-esternalizzazione-delle-frontiere-europee-tappe-e-conseguenze-di-un-processo-pericoloso/?platform=hootsuite

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • The Human Rights Risks of External Migration Policies

      This briefing paper sets out the main human rights risks linked to external migration policies, which are a broad spectrum of actions implemented outside of the territory of the state that people are trying to enter, usually through enhanced cooperation with other countries. From the perspective of international law, external migration policies are not necessarily unlawful. However, Amnesty International considers that several types of external migration policies, and particularly the externalization of border control and asylum-processing, pose significant human rights risks. This document is intended as a guide for activists and policy-makers working on the issue, and includes some examples drawn from Amnesty International’s research in different countries.

      https://www.amnesty.org/en/documents/pol30/6200/2017/en

    • Libya’s coast guard abuses migrants despite E.U. funding and training

      The European Union has poured tens of millions of dollars into supporting Libya’s coast guard in search-and-rescue operations off the coast. But the violent tactics of some units and allegations of human trafficking have generated concerns about the alliance.

      https://www.washingtonpost.com/world/middle_east/libyas-coast-guard-abuses-desperate-migrants-despite-eu-funding-and-training/2017/07/10/f9bfe952-7362-4e57-8b42-40ae5ede1e26_story.html?tid=ss_tw

    • How Libya’s #Fezzan Became Europe’s New Border

      The principal gateway into Europe for refugees and migrants runs through the power vacuum in southern Libya’s Fezzan region. Any effort by European policymakers to stabilise Fezzan must be part of a national-level strategy aimed at developing Libya’s licit economy and reaching political normalisation.

      https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/north-africa/libya/179-how-libyas-fezzan-became-europes-new-border
      cc @i_s_

      v. aussi ma tentative cartographique :


      https://seenthis.net/messages/604039

    • Avramopoulos says Sophia could be deployed in Libya

      (ANSAmed) - BRUSSELS, AUGUST 3 - European Commissioner Dimitris Avramopoulos told ANSA in an interview Thursday that it is possible that the #Operation_Sophia could be deployed in Libyan waters in the future. “At the moment, priority should be given to what can be done under the current mandate of Operation Sophia which was just renewed with added tasks,” he said. “But the possibility of the Operation moving to a third stage working in Libyan waters was foreseen from the beginning. If the Libyan authorities ask for this, we should be ready to act”. (ANSAmed).

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2017/08/03/avramopoulos-says-sophia-could-be-deployed-in-libya_602d3d0e-f817-42b0-ac3

    • Les ambivalences de Tripoli face à la traite migratoire. Les trafiquants ont réussi à pénétrer des pans entiers des institutions officielles

      Par Frédéric Bobin (Zaouïa, Libye, envoyé spécial)

      LE MONDE Le 25.08.2017 à 06h39 • Mis à jour le 25.08.2017 à 10h54

      Les petits trous dessinent comme des auréoles sur le ciment fauve. Le haut mur hérissé de fils de fer barbelés a été grêlé d’impacts de balles de kalachnikov à deux reprises, la plus récente en juin. « Ils sont bien mieux armés que nous », soupire Khaled Al-Toumi, le directeur du centre de détention de Zaouïa, une municipalité située à une cinquantaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli. Ici, au cœur de cette bande côtière de la Libye où se concentre l’essentiel des départs de migrants vers l’Italie, une trentaine d’Africains subsahariens sont détenus – un chiffre plutôt faible au regard des centres surpeuplés ailleurs dans le pays.

      C’est que, depuis les assauts de l’établissement par des hommes armés, Khaled Al-Toumi, préfère transférer à Tripoli le maximum de prisonniers. « Nous ne sommes pas en mesure de les protéger », dit-il. Avec ses huit gardes modestement équipés, il avoue son impuissance face aux gangs de trafiquants qui n’hésitent pas à venir récupérer par la force des migrants, dont l’arrestation par les autorités perturbe leurs juteuses affaires. En 2014, ils avaient repris environ 80 Erythréens. Plus récemment, sept Pakistanais. « On reçoit en permanence des menaces, ils disent qu’ils vont enlever nos enfants », ajoute le directeur.

      Le danger est quotidien. Le 18 juillet, veille de la rencontre avec Khaled Al-Toumi, soixante-dix femmes migrantes ont été enlevées à quelques kilomètres de là alors qu’elles étaient transférées à bord d’un bus du centre de détention de Gharian à celui de Sorman, des localités voisines de Zaouïa.

      On compte en Libye une trentaine de centres de ce type, placés sous la tutelle de la Direction de combat contre la migration illégale (DCMI) rattachée au ministère de l’intérieur. A ces prisons « officielles » s’ajoutent des structures officieuses, administrées ouvertement par des milices. L’ensemble de ce réseau carcéral détient entre 4 000 et 7 000 détenus, selon les Nations unies (ONU).

      « Corruption galopante »

      A l’heure où l’Union européenne (UE) nourrit le projet de sous-traiter à la Libye la gestion du flux migratoire le long de la « route de la Méditerranée centrale », le débat sur les conditions de détention en vigueur dans ces centres a gagné en acuité.

      Une partie de la somme de 90 millions d’euros que l’UE s’est engagée à allouer au gouvernement dit d’« union nationale » de Tripoli sur la question migratoire, en sus des 200 millions d’euros annoncés par l’Italie, vise précisément à l’amélioration de l’environnement de ces centres.

      Si des « hot spots » voient le jour en Libye, idée que caressent certains dirigeants européens – dont le président français Emmanuel Macron – pour externaliser sur le continent africain l’examen des demandes d’asile, ils seront abrités dans de tels établissements à la réputation sulfureuse.

      La situation y est à l’évidence critique. Le centre de Zaouïa ne souffre certes pas de surpopulation. Mais l’état des locaux est piteux, avec ses matelas légers jetés au sol et l’alimentation d’une préoccupante indigence, limitée à un seul plat de macaronis. Aucune infirmerie ne dispense de soins.

      « Je ne touche pas un seul dinar de Tripoli ! », se plaint le directeur, Khaled Al-Toumi. Dans son entourage, on dénonce vertement la « corruption galopante de l’état-major de la DCMI à Tripoli qui vole l’argent ». Quand on lui parle de financement européen, Khaled Al-Toumi affirme ne pas en avoir vu la couleur.

      La complainte est encore plus grinçante au centre de détention pour femmes de Sorman, à une quinzaine de kilomètres à l’ouest : un gros bloc de ciment d’un étage posé sur le sable et piqué de pins en bord de plage. Dans la courette intérieure, des enfants jouent près d’une balançoire.

      Là, la densité humaine est beaucoup plus élevée. La scène est un brin irréelle : dans la pièce centrale, environ quatre-vingts femmes sont entassées, fichu sur la tête, regard levé vers un poste de télévision rivé au mur délavé. D’autres se serrent dans les pièces adjacentes. Certaines ont un bébé sur les jambes, telle Christiane, une Nigériane à tresses assise sur son matelas. « Ici, il n’y a rien, déplore-t-elle. Nous n’avons ni couches ni lait pour les bébés. L’eau de la nappe phréatique est salée. Et le médecin ne vient pas souvent : une fois par semaine, souvent une fois toutes les deux semaines. »

      « Battu avec des tuyaux métalliques »

      Non loin d’elle, Viviane, jeune fille élancée de 20 ans, Nigériane elle aussi, se plaint particulièrement de la nourriture, la fameuse assiette de macaronis de rigueur dans tous les centres de détention.

      Viviane est arrivée en Libye en 2015. Elle a bien tenté d’embarquer à bord d’un Zodiac à partir de Sabratha, la fameuse plate-forme de départs à l’ouest de Sorman, mais une tempête a fait échouer l’opération. Les passagers ont été récupérés par les garde-côtes qui les ont répartis dans les différentes prisons de la Tripolitaine. « Je n’ai pas pu joindre ma famille au téléphone, dit Viviane dans un souffle. Elle me croit morte. »

      Si la visite des centres de détention de Zaouïa ou de Sorman permet de prendre la mesure de l’extrême précarité des conditions de vie, admise sans fard par les officiels des établissements eux-mêmes, la question des violences dans ces lieux coupés du monde est plus délicate.

      Les migrants sont embarrassés de l’évoquer en présence des gardes. Mais mises bout à bout, les confidences qu’ils consentent plus aisément sur leur expérience dans d’autres centres permettent de suggérer un contexte d’une grande brutalité. Celle-ci se déploie sans doute le plus sauvagement dans les prisons privées, officieuses, où le racket des migrants est systématique.

      Et les centres officiellement rattachés à la DCMI n’en sont pas pour autant épargnés. Ainsi Al Hassan Dialo, un Guinéen rencontré à Zaouïa, raconte qu’il était « battu avec des tuyaux métalliques » dans le centre de Gharian, où il avait été précédemment détenu.

      « Extorsion, travail forcé »

      On touche là à l’ambiguïté foncière de ce système de détention, formellement rattaché à l’Etat mais de facto placé sous l’influence des milices contrôlant le terrain. Le fait que des réseaux de trafiquants, liés à ces milices, peuvent impunément enlever des détenus au cœur même des centres, comme ce fut le cas à Zaouïa, donne la mesure de leur capacité de nuisance.

      « Le système est pourri de l’intérieur », se désole un humanitaire. « Des fonctionnaires de l’Etat et des officiels locaux participent au processus de contrebande et de trafic d’êtres humains », abonde un rapport de la Mission d’appui de l’ONU en Libye publié en décembre 2016.

      Dans ces conditions, les migrants font l’objet « d’extorsion, de travail forcé, de mauvais traitements et de tortures », dénonce le rapport. Les femmes, elles, sont victimes de violences sexuelles à grande échelle. Le plus inquiétant est qu’avec l’argent européen promis les centres de détention sous tutelle de la DCMI tendent à se multiplier. Trois nouveaux établissements ont fait ainsi leur apparition ces derniers mois dans le Grand Tripoli.

      La duplicité de l’appareil d’Etat, ou de ce qui en tient lieu, est aussi illustrée par l’attitude des gardes-côtes, autres récipiendaires des financements européens et même de stages de formation. Officiellement, ils affirment lutter contre les réseaux de passeurs au maximum de leurs capacités tout en déplorant l’insuffisance de leurs moyens.

      « Nous ne sommes pas équipés pour faire face aux trafiquants », regrette à Tripoli Ayoub Kassim, le porte-parole de la marine libyenne. Au détour d’un plaidoyer pro domo, le hiérarque militaire glisse que le problème de la gestion des flux migratoires se pose moins sur le littoral qu’au niveau de la frontière méridionale de la Libye. « La seule solution, c’est de maîtriser les migrations au sud, explique-t-il. Malheureusement, les migrants arrivent par le Niger sous les yeux de l’armée française » basée à Madama…

      Opérations de patrouille musclées

      Les vieilles habitudes perdurent. Avant 2011, sous Kadhafi, ces flux migratoires – verrouillés ou tolérés selon l’intérêt diplomatique du moment – étaient instrumentalisés pour exercer une pression sur les Européens.

      Une telle politique semble moins systématique, fragmentation de l’Etat oblige, mais elle continue d’inspirer le comportement de bien des acteurs libyens usant habilement de la carte migratoire pour réclamer des soutiens financiers.

      La déficience des équipements des gardes-côtes ne fait guère de doute. Avec son patrouilleur de 14 mètres de Zaouïa et ses quatre autres bâtiments de 26,4 mètres de Tripoli – souffrant de défaillances techniques bien qu’ayant été réparés en Italie –, l’arsenal en Tripolitaine est de fait limité. Par ailleurs, l’embargo sur les ventes d’armes vers la Libye, toujours en vigueur, en bride le potentiel militaire.

      Pourtant, la hiérarchie des gardes-côtes serait plus convaincante si elle était en mesure d’exercer un contrôle effectif sur ses branches locales. Or, à l’évidence, une sérieuse difficulté se pose à Zaouïa. Le chef local de gardes-côtes, Abdelrahman Milad, plus connu sous le pseudonyme d’Al-Bija, joue un jeu trouble. Selon le rapport du panel des experts sur la Libye de l’ONU, publié en juin, Al-Bija doit son poste à Mohamed Koshlaf, le chef de la principale milice de Zaouïa, qui trempe dans le trafic de migrants.

      Le patrouilleur d’Al-Bija est connu pour ses opérations musclées. Le 21 octobre 2016, il s’est opposé en mer à un sauvetage conduit par l’ONG Sea Watch, provoquant la noyade de vingt-cinq migrants. Le 23 mai 2017, le même patrouilleur intervient dans la zone dite « contiguë » – où la Libye est juridiquement en droit d’agir – pour perturber un autre sauvetage mené par le navire Aquarius, affrété conjointement par Médecins sans frontières et SOS Méditerranée, et le Juvena, affrété par l’ONG allemande Jugend Rettet.

      Duplicité des acteurs libyens

      Les gardes-côtes sont montés à bord d’un Zodiac de migrants, subtilisant téléphones portables et argent des occupants. Ils ont également tiré des coups de feu en l’air, et même dans l’eau où avaient sauté des migrants, ne blessant heureusement personne.

      « Il est difficile de comprendre la logique de ce type de comportement, commente un humanitaire. Peut-être le message envoyé aux migrants est-il : “La prochaine fois, passez par nous.” » Ce « passez par nous » peut signifier, selon de bons observateurs de la scène libyenne, « passez par le réseau de Mohamed Koshlaf », le milicien que l’ONU met en cause dans le trafic de migrants.

      Al-Bija pratiquerait ainsi le deux poids-deux mesures, intraitable ou compréhensif selon que les migrants relèvent de réseaux rivaux ou amis, illustration typique de la duplicité des acteurs libyens. « Al-Bija sait qu’il a commis des erreurs, il cherche maintenant à restaurer son image », dit un résident de Zaouïa. Seule l’expérience le prouvera. En attendant, les Européens doivent coopérer avec lui pour fermer la route de la Méditerranée.

      http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/08/16/en-libye-nous-ne-sommes-que-des-esclaves_5172760_3212.html

    • A PATTI CON LA LIBIA

      La Libia è il principale punto di partenza di barconi carichi di migranti diretti in Europa. Con la Libia l’Europa deve trattare per trovare una soluzione. La Libia però è anche un paese allo sbando, diviso. C’è il governo di Tripoli retto da Fayez al-Sarraj. Poi c’è il generale Haftar che controlla i due terzi del territorio del paese. Senza contare gruppi, milizie, clan tribali. Il compito insomma è complicato. Ma qualcosa, forse, si sta muovendo.

      Dopo decine di vertici inutili, migliaia di morti nel Mediterraneo, promesse non mantenute si torna a parlare con una certa insistenza della necessità di stabilizzare la Libia e aiutare il paese che si affaccia sul Mediterraneo. Particolarmente attiva in questa fase la Francia di Macron, oltre naturalmente all’Italia.

      Tra i punti in discussione c’è il coinvolgimento di altri paesi africani di transito come Niger e Ciad che potrebbero fungere da filtro. Oltre naturalmente ad aiuti diretti alla Libia. Assegni milionari destinati a una migliore gestione delle frontiere ad esempio.

      Ma è davvero così semplice? E come la mettiamo con le violenze e le torture subite dai migranti nei centri di detenzione? Perché proprio ora l’Europa sembra svegliarsi? Cosa si cela dietro questa competizione soprattutto tra Roma e Parigi nel trovare intese con Tripoli?

      http://www.rsi.ch/rete-uno/programmi/informazione/modem/A-PATTI-CON-LA-LIBIA-9426001.html

    • Le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique adopte un programme de soutien à la gestion intégrée des migrations et des frontières en Libye d’un montant de 46 millions d’euros

      À la suite du plan d’action de la Commission pour soutenir l’Italie, présenté le 4 juillet, le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique a adopté ce jour un programme doté d’une enveloppe de 46 millions d’euros pour renforcer les capacités des autorités libyennes en matière de gestion intégrée des migrations et des frontières.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-2187_fr.htm

    • L’Europe va verser 200 millions d’euros à la Libye pour stopper les migrants

      Les dirigeants européens se retrouvent ce vendredi à Malte pour convaincre la Libye de freiner les traversées de migrants en Méditerranée. Ils devraient proposer d’équiper et former ses gardes-côtes. Le projet d’ouvrir des camps en Afrique refait surface.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020217/leurope-va-verser-200-millions-deuros-la-libye-pour-stopper-les-migrants

      –-> pour archivage...

    • Persécutés en Libye : l’Europe est complice

      L’Union européenne dans son ensemble, et l’Italie en particulier, sont complices des violations des droits humains commises contre les réfugiés et les migrants en Libye. Enquête.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/refugies-et-migrants-persecutes-en-libye-leurope-est-complice

      #complicité

      Et l’utilisation du mot « persécutés » n’est évidemment pas été choisi au hasard...
      –-> ça renvoie à la polémique de qui est #réfugié... et du fait que l’UE essaie de dire que les migrants en Libye sont des #migrants_économiques et non pas des réfugiés (comme ceux qui sont en Turquie et/ou en Grèce, qui sont des syriens, donc des réfugiés)...
      Du coup, utiliser le concept de #persécution signifie faire une lien direct avec la Convention sur les réfugiés et admettre que les migrants en Libye sont potentiellement des réfugiés...

      La position de l’UE :

      #Mogherini was questioned about the EU’s strategy of outsourcing the migration crisis to foreign countries such as Libya and Turkey, which received billions to prevent Syrian refugees from crossing to Greece.

      She said the situation was different on two counts: first, the migrants stranded in Libya were not legitimate asylum seekers like those fleeing the war in Syria. And second, different international bodies were in charge.

      “When it comes to Turkey, it is mainly refugees from Syria; when it comes to Libya, it is mainly migrants from Sub-Saharan Africa and the relevant international laws apply in different manners and the relevant UN agencies are different – the UNHC

      https://www.euractiv.com/section/development-policy/news/libya-human-bondage-risks-overshadowing-africa-eu-summit
      voir ici : http://seen.li/dqtt

      Du coup, @sinehebdo, « #persécutés » serait aussi un mot à ajouter à ta longue liste...

    • v. aussi:
      Libya: Libya’s dark web of collusion: Abuses against Europe-bound refugees and migrants

      In recent years, hundreds of thousands of refugees and migrants have braved the journey across Africa to Libya and often on to Europe. In response, the Libyan authorities have used mass indefinite detention as their primary migration management tool. Regrettably, the European Union and Italy in particular, have decided to reinforce the capacity of Libyan authorities to intercept refugees and migrants at sea and transfer them to detention centres. It is essential that the aims and nature of this co-operation be rethought; that the focus shift from preventing arrivals in Europe to protecting the rights of refugees and migrants.

      https://www.amnesty.org/fr/documents/document/?indexNumber=mde19%2f7561%2f2017&language=en
      #rapport

    • Amnesty France : « L’Union Européenne est complice des violations de droits de l’homme en Libye »

      Jean-François Dubost est responsable du Programme Protection des Populations (réfugiés, civils dans les conflits, discriminations) chez Amnesty France. L’ONG publie un rapport sur la responsabilité des gouvernements européens dans les violations des droits humains des réfugiés et des migrants en Libye.

      https://www.franceinter.fr/emissions/l-invite-de-6h20/l-invite-de-6h20-12-decembre-2017
      #responsabilité

    • Accordi e crimini contro l’umanità in un rapporto di Amnesty International

      La Rotta del Mediterraneo centrale, dal Corno d’Africa, dall’Africa subsahariana, al Niger al Ciad ed alla Libia costituisce ormai l’unica via di fuga da paesi in guerra o precipitati in crisi economiche che mettono a repentaglio la vita dei loro abitanti, senza alcuna possibile distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo. Anche perché in Africa, ed in Libia in particolare, la possibilità concreta di chiedere asilo ed ottenere un permesso di soggiorno o un visto, oltre al riconoscimento dello status di rifugiato da parte dell’UNHCR, è praticamente nulla. Le poche persone trasferite in altri paesi europei dai campi libici (resettlement), come i rimpatri volontari ampiamente pubblicizzati, sono soltanto l’ennesima foglia di fico che si sta utilizzando per nascondere le condizioni disumane in cui centinaia di migliaia di persone vengono trattenute sotto sequestro nei centri di detenzione libici , ufficiali o informali. In tutti gravissime violazioni dei diritti umani, anche subito dopo la visita dei rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM, come dichiarano alcuni testimoni.

      https://www.a-dif.org/2017/12/12/accordi-e-crimini-contro-lumanita-in-un-rapporto-di-amnesty-international

    • Bundestag study: Cooperation with Libyan coastguard infringes international conventions

      “Libya is unable to nominate a Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC), and so rescue missions outside its territorial waters are coordinated by the Italian MRCC in Rome. More and more often the Libyan coastguard is being tasked to lead these missions as on-scene-commander. Since refugees are subsequently brought to Libya, the MRCC in Rome may be infringing the prohibition of refoulement contained in the Geneva Convention relating to the Status of Refugees. This, indeed, was also the conclusion reached in a study produced by the Bundestag Research Service. The European Union and its member states must therefore press for an immediate end to this cooperation with the Libyan coastguard”, says Andrej Hunko, European policy spokesman for the Left Party.

      The Italian Navy is intercepting refugees in the Mediterranean and arranging for them to be picked up by Libyan coastguard vessels. The Bundestag study therefore suspects an infringement of the European Human Rights Convention of the Council of Europe. The rights enshrined in the Convention also apply on the high seas.

      Andrej Hunko goes on to say, “For two years the Libyan coastguard has regularly been using force against sea rescuers, and many refugees have drowned during these power games. As part of the EUNAVFOR MED military mission, the Bundeswehr has also been cooperating with the Libyan coastguard and allegedly trained them in sea rescue. I regard that as a pretext to arm Libya for the prevention of migration. This cooperation must be the subject of proceedings before the European Court of Human Rights, because the people who are being forcibly returned with the assistance of the EU are being inhumanely treated, tortured or killed.

      The study also emphasises that the acts of aggression against private rescue ships violate the United Nations Convention on the Law of the Sea. Nothing in that Convention prescribes that sea rescues must be undertaken by a single vessel. On the contrary, masters of other ships even have a duty to render assistance if they cannot be sure that all of the persons in distress will be quickly rescued. This is undoubtedly the case with the brutal operations of the Libyan coastguard.

      The Libyan Navy might soon have its own MRCC, which would then be attached to the EU surveillance system. The European Commission examined this option in a feasibility study, and Italy is now establishing a coordination centre for this purpose in Tripoli. A Libyan MRCC would encourage the Libyan coastguard to throw its weight about even more. The result would be further violations of international conventions and even more deaths.”

      https://andrej-hunko.de/presse/3946-bundestag-study-cooperation-with-libyan-coastguard-infringes-inter

      v. aussi l’étude:
      https://andrej-hunko.de/start/download/dokumente/1109-bundestag-research-services-maritime-rescue-in-the-mediterranean/file

    • Migrants : « La nasse libyenne a été en partie tissée par la France et l’Union européenne »

      Dans une tribune publiée dans « Le Monde », Thierry Allafort-Duverger, le directeur général de Médecins Sans Frontières, juge hypocrite la posture de la France, qui favorise l’interception de migrants par les garde-côtes libyens et dénonce leurs conditions de détention sur place.

      https://www.msf.fr/actualite/articles/migrants-nasse-libyenne-ete-en-partie-tissee-france-et-union-europeenne
      #hypocrisie

    • Libye : derrière l’arbre de « l’esclavage »
      Par Ali Bensaâd, Professeur à l’Institut français de géopolitique, Paris-VIII — 30 novembre 2017 à 17:56

      L’émotion suscitée par les crimes abjectes révélés par CNN ne doit pas occulter un phénomène bien plus vaste et ancien : celui de centaines de milliers de migrants africains qui vivent et travaillent depuis des décennies, en Libye et au Maghreb, dans des conditions extrêmes d’exploitation et d’atteinte à leur dignité.

      L’onde de choc créée par la diffusion de la vidéo de CNN sur la « vente » de migrants en Libye, ne doit pas se perdre en indignations. Et il ne faut pas que les crimes révélés occultent un malheur encore plus vaste, celui de centaines de milliers de migrants africains qui vivent et travaillent depuis des décennies, en Libye et au Maghreb, dans des conditions extrêmes d’exploitation et d’atteinte à leur dignité. Par ailleurs, ces véritables crimes contre l’humanité ne sont, hélas, pas spécifiques de la Libye. A titre d’exemple, les bédouins égyptiens ou israéliens - supplétifs sécuritaires de leurs armées - ont précédé les milices libyennes dans ces pratiques qu’ils poursuivent toujours et qui ont été largement documentées.

      Ces crimes contre l’humanité, en raison de leur caractère particulièrement abject, méritent d’être justement qualifiés. Il faut s’interroger si le qualificatif « esclavage », au-delà du juste opprobre dont il faut entourer ces pratiques, est le plus scientifiquement approprié pour comprendre et combattre ces pratiques d’autant que l’esclavage a été une réalité qui a structuré pendant un millénaire le rapport entre le Maghreb et l’Afrique subsaharienne. Il demeure le non-dit des inconscients culturels des sociétés de part et d’autre du Sahara, une sorte de « bombe à retardement ». « Mal nommer un objet, c’est ajouter au malheur de ce monde » (1) disait Camus. Et la Libye est un condensé des malheurs du monde des migrations. Il faut donc les saisir par-delà le raccourci de l’émotion.

      D’abord, ils ne sont nullement le produit du contexte actuel de chaos du pays, même si celui-ci les aggrave. Depuis des décennies, chercheurs et journalistes ont documenté la difficile condition des migrants en Libye qui, depuis les années 60, font tourner pour l’essentiel l’économie de ce pays rentier. Leur nombre a pu atteindre certaines années jusqu’à un million pour une population qui pouvait alors compter à peine cinq millions d’habitants. C’est dire leur importance dans le paysage économique et social de ce pays. Mais loin de favoriser leur intégration, l’importance de leur nombre a été conjurée par une précarisation systématique et violente comme l’illustrent les expulsions massives et violentes de migrants qui ont jalonné l’histoire du pays notamment en 1979, 1981, 1985, 1995, 2000 et 2007. Expulsions qui servaient tout à la fois à installer cette immigration dans une réversibilité mais aussi à pénaliser ou gratifier les pays dont ils sont originaires pour les vassaliser. Peut-être contraints, les dirigeants africains alors restaient sourds aux interpellations de leurs migrants pour ne pas contrarier la générosité du « guide » dont ils étaient les fidèles clients. Ils se tairont également quand, en 2000, Moussa Koussa, l’ancien responsable des services libyens, aujourd’hui luxueusement réfugié à Londres, a organisé un véritable pogrom où périrent 500 migrants africains assassinés dans des « émeutes populaires » instrumentalisées. Leur but était cyniquement de faire avaliser, par ricochet, la nouvelle orientation du régime favorable à la normalisation et l’ouverture à l’Europe et cela en attisant un sentiment anti-africain pour déstabiliser la partie de la vieille garde qui y était rétive. Cette normalisation, faite en partie sur le cadavre de migrants africains, se soldera par l’intronisation de Kadhafi comme gardien des frontières européennes. Les migrants interceptés et ceux que l’Italie refoule, en violation des lois européennes, sont emprisonnés, parfois dans les mêmes lieux aujourd’hui, et soumis aux mêmes traitements dégradants.

      En 2006, ce n’était pas 260 migrants marocains qui croupissaient comme aujourd’hui dans les prisons libyennes, ceux dont la vidéo a ému l’opinion, mais 3 000 et dans des conditions tout aussi inhumaines. Kadhafi a signé toutes les conventions que les Européens ont voulues, sachant qu’il n’allait pas les appliquer. Mais lorsque le HCR a essayé de prendre langue avec le pouvoir libyen au sujet de la convention de Genève sur les réfugiés, Kadhafi ferma les bureaux du HCR et expulsa, en les humiliant, ses dirigeants le 9 juin 2010. Le même jour, débutait un nouveau round de négociations en vue d’un accord de partenariat entre la Libye et l’Union européenne et le lendemain, 10 juin, Kadhafi était accueilli en Italie. Une année plus tard, alors même que le CNT n’avait pas encore établi son autorité sur le pays et que Kadhafi et ses troupes continuaient à résister, le CNT a été contraint de signer avec l’Italie un accord sur les migrations dont un volet sur la réadmission des migrants transitant par son territoire. Hier, comme aujourd’hui, c’est à la demande expresse et explicite de l’UE que les autorités libyennes mènent une politique de répression et de rétention de migrants. Et peut-on ignorer qu’aujourd’hui traiter avec les pouvoirs libyens, notamment sur les questions sécuritaires, c’est traiter de fait avec des milices dont dépendent ces pouvoirs eux-mêmes pour leur propre sécurité ? Faut-il s’étonner après cela de voir des milices gérer des centres de rétention demandés par l’UE ?

      Alors que peine à émerger une autorité centrale en Libye, les pays occidentaux n’ont pas cessé de multiplier les exigences à l’égard des fragiles centres d’un pouvoir balbutiant pour leur faire prendre en charge leur protection contre les migrations et le terrorisme au risque de les fragiliser comme l’a montré l’exemple des milices de Misrata. Acteur important de la réconciliation et de la lutte contre les extrémistes, elles ont été poussées, à Syrte, à combattre Daech quasiment seules. Elles en sont sorties exsangues, rongées par le doute et fragilisées face à leurs propres extrémistes. Les rackets, les kidnappings et le travail forcé pour ceux qui ne peuvent pas payer, sont aussi le lot des Libyens, notamment ceux appartenant au camp des vaincus, détenus dans ce que les Libyens nomment « prisons clandestines ». Libyens, mais plus souvent migrants qui ne peuvent payer, sont mis au travail forcé pour les propres besoins des miliciens en étant « loués » ponctuellement le temps d’une captivité qui dure de quelques semaines à quelques mois pour des sommes dérisoires.

      Dans la vidéo de CNN, les sommes évoquées, autour de 400 dinars libyens, sont faussement traduites par les journalistes, selon le taux officiel fictif, en 400 dollars. En réalité, sur le marché réel, la valeur est dix fois inférieure, un dollar valant dix dinars libyens et un euro, douze. Faire transiter un homme, même sur la seule portion saharienne du territoire, rapporte 15 fois plus (500 euros) aux trafiquants et miliciens. C’est par défaut que les milices se rabattent sur l’exploitation, un temps, de migrants désargentés mais par ailleurs encombrants.

      La scène filmée par CNN est abjecte et relève du crime contre l’humanité. Mais il s’agit de transactions sur du travail forcé et de corvées. Il ne s’agit pas de vente d’hommes. Ce n’est pas relativiser ou diminuer ce qui est un véritable crime contre l’humanité, mais il faut justement qualifier les objets. Il s’agit de pratiques criminelles de guerre et de banditisme qui exploitent les failles de politiques migratoires globales. On n’assiste pas à une résurgence de l’esclavage. Il ne faut pas démonétiser l’indignation et la vigilance en recourant rapidement aux catégories historiques qui mobilisent l’émotion. Celle-ci retombe toujours. Et pendant que le débat s’enflamme sur « l’esclavage », la même semaine, des centaines d’hommes « libres » sont morts, noyés en Méditerranée, s’ajoutant à des dizaines de milliers qui les avaient précédés.

      (1) C’est la véritable expression utilisée par Camus dans un essai de 1944, paru dans Poésie 44, (Sur une philosophie de l’expression), substantiellement très différente, en termes philosophiques, de ce qui sera reporté par la suite : « Mal nommer les choses, c’est ajouter aux malheurs du monde. »

      http://www.liberation.fr/debats/2017/11/30/libye-derriere-l-arbre-de-l-esclavage_1613662

    • Quand l’Union européenne veut bloquer les exilé-e-s en Libye

      L’Union européenne renforce les capacités des garde-côtes Libyens pour qu’ils interceptent les bateaux d’exilé-e-s dans les eaux territoriales et les ramènent en Libye. Des navires de l’#OTAN patrouillent au large prétendument pour s’attaquer aux « bateaux de passeurs », ce qui veut dire que des moyens militaires sont mobilisés pour empêcher les exilé-e-s d’atteindre les côtes européennes. L’idée a été émise de faire le tri, entre les personnes qui relèveraient de l’asile et celles qui seraient des « migrants économiques » ayant « vocation » à être renvoyés, sur des bateaux ua large de la Libye plutôt que sur le sol italien, créant ainsi des « #hotspots_flottants« .

      https://lampedusauneile.wordpress.com/2016/07/15/quand-lunion-europeenne-veut-bloquer-les-exile-e-s-en-lib

    • Le milizie libiche catturano in mare centinaia di migranti in fuga verso l’Europa. E li richiudono in prigione. Intanto l’Unione Europea si prepara ad inviare istruttori per rafforzare le capacità di arresto da parte della polizia libica. Ma in Libia ci sono tante «guardie costiere» ed ognuna risponde ad un governo diverso.

      Sembra di ritornare al 2010, quando dopo i respingimenti collettivi in Libia eseguiti direttamente da mezzi della Guardia di finanza italiana a partire dal 7 maggio 2009, in base agli accordi tra Berlusconi e Gheddafi, si inviarono in Libia agenti della Guardia di finanza per istruire la Guardia Costiera libica nelle operazioni di blocco dei migranti che erano riusciti a fuggire imbarcandosi su mezzi sempre più fatiscenti.

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/05/le-milizie-libiche-catturano-in-mare.html?m=1

    • Merkel, Hollande Warn Libya May Be Next Big Migrant Staging Area

      The European Union may need an agreement with Libya to restrict refugee flows similar to one with Turkey as the North African country threatens to become the next gateway for migrants to Europe, the leaders of Germany and France said.

      http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-04-07/merkel-hollande-warn-libya-may-be-next-big-migrant-staging-area
      #accord #Libye #migrations #réfugiés #asile #politique_migratoire #externalisation #UE #Europe

    • Le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique adopte un programme de 90 millions € pour la protection des migrants et l’amélioration de la gestion des migrations en Libye

      Dans le prolongement de la communication conjointe sur la route de la Méditerranée centrale et de la déclaration de Malte, le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique a adopté ce jour, sur proposition de la Commission européenne, un programme de 90 millions € visant à renforcer la protection des migrants et à améliorer la gestion des migrations en Libye.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-951_fr.htm

    • L’Europa non può affidare alla Libia le vite dei migranti

      “Il rischio è che Italia ed Europa si rendano complici delle violazioni dei diritti umani commesse in Libia”, dice il direttore generale di Medici senza frontiere (Msf) Arjan Hehenkamp. Mentre le organizzazioni non governative che salvano i migranti nel Mediterraneo centrale sono al centro di un processo di criminalizzazione, l’Italia e l’Europa stanno cercando di delegare alle autorità libiche la soluzione del problema degli sbarchi.

      http://www.internazionale.it/video/2017/05/04/ong-libia-migranti

    • MSF accuses Libyan coastguard of endangering people’s lives during Mediterranean rescue

      During a rescue in the Mediterranean Sea on 23 May, the Libyan coastguard approached boats in distress, intimidated the passengers and then fired gunshots into the air, threatening people’s lives and creating mayhem, according to aid organisations Médecins Sans Frontières and SOS Méditerranée, whose teams witnessed the violent incident.

      http://www.msf.org/en/article/msf-accuses-libyan-coastguard-endangering-people%E2%80%99s-lives-during-mediter

    • Enquête. Le chaos libyen est en train de déborder en Méditerranée

      Pour qu’ils bloquent les flux migratoires, l’Italie, appuyée par l’UE, a scellé un accord avec les gardes-côtes libyens. Mais ils ne sont que l’une des très nombreuses forces en présence dans cet État en lambeaux. Désormais la Méditerranée devient dangereuse pour la marine italienne, les migrants, et les pêcheurs.


      http://www.courrierinternational.com/article/enquete-le-chaos-libyen-est-en-train-de-deborder-en-mediterra

    • Architect of EU-Turkey refugee pact pushes for West Africa deal

      “Every migrant from West Africa who survives the dangerous journey from Libya to Italy remains in Europe for years afterwards — regardless of the outcome of his or her asylum application,” Knaus said in an interview.

      To accelerate the deportations of rejected asylum seekers to West African countries that are considered safe, the EU needs to forge agreements with their governments, he said.

      http://www.politico.eu/article/migration-italy-libya-architect-of-eu-turkey-refugee-pact-pushes-for-west-a
      cc @i_s_

      Avec ce commentaire de Francesca Spinelli :

    • Pour 20 milliards, la Libye pourrait bloquer les migrants à sa frontière sud

      L’homme fort de l’Est libyen, Khalifa Haftar, estime à « 20 milliards de dollars sur 20 ou 25 ans » l’effort européen nécessaire pour aider à bloquer les flux de migrants à la frontière sud du pays.

      https://www.rts.ch/info/monde/8837947-pour-20-milliards-la-libye-pourrait-bloquer-les-migrants-a-sa-frontiere-

    • Bruxelles offre 200 millions d’euros à la Libye pour freiner l’immigration

      La Commission européenne a mis sur la table de nouvelles mesures pour freiner l’arrivée de migrants via la mer méditerranée, dont 200 millions d’euros pour la Libye. Un article de notre partenaire Euroefe.

      http://www.euractiv.fr/section/l-europe-dans-le-monde/news/bruxelles-offre-200-millions-deuros-a-la-libye-pour-freiner-limmigration/?nl_ref=29858390

      #Libye #asile #migrations #accord #deal #réfugiés #externalisation
      cc @reka

    • Stuck in Libya. Migrants and (Our) Political Responsibilities

      Fighting at Tripoli’s international airport was still under way when, in July 2014, the diplomatic missions of European countries, the United States and Canada were shut down. At that time Italy decided to maintain a pied-à-terre in place in order to preserve the precarious balance of its assets in the two-headed country, strengthening security at its local headquarters on Tripoli’s seafront. On the one hand there was no forsaking the Mellitah Oil & Gas compound, controlled by Eni and based west of Tripoli. On the other, the Libyan coast also had to be protected to assist the Italian forces deployed in Libyan waters and engaged in the Mare Nostrum operation to dismantle the human smuggling network between Libya and Italy, as per the official mandate. But the escalation of the civil war and the consequent deterioration of security conditions led Rome to leave as well, in February 2015.

      http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/stuck-libya-migrants-and-our-political-responsibilities-16294

    • Libia: diritto d’asilo cercasi, smarrito fra Bruxelles e Tripoli (passando per Roma)

      La recente Comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, il Memorandum Italia-Libia firmato il 2 febbraio e la Dichiarazione uscita dal Consiglio europeo di venerdì 3 alla Valletta hanno delineato un progetto di chiusura della “rotta” del Mediterraneo centrale che rischia di seppellire, di fatto, il diritto d’asilo nel Paese e ai suoi confini.

      http://viedifuga.org/libia-diritto-d-asilo-cercasi-smarrito-fra-bruxelles-e-tripoli

    • Immigration : l’Union européenne veut aider la Libye

      L’Union européenne veut mettre fin à ces traversées entre la Libye et l’Italie. Leur plan passe par une aide financière aux autorités libyennes.

      http://www.rts.ch/play/tv/19h30/video/immigration-lunion-europeenne-veut-aider-la-libye?id=8360849

      Dans ce bref reportage, la RTS demande l’opinion d’Etienne Piguet (prof en géographie des migrations à l’Université de Neuchâtel) :
      « L’Union européenne veut absolument limiter les arrivées, mais en même temps on ne peut pas simplement refouler les gens. C’est pas acceptable du point de vue des droits humains. Donc l’UE essaie de mettre en place un système qui tient les gens à distance tout en leur offrant des conditions acceptables d’accueil » (en Libye, entend-il)
      Je m’abstiens de tout commentaire.

    • New EU Partnerships in North Africa: Potential to Backfire?

      As European leaders meet in Malta to receive a progress report on the EU flagship migration partnership framework, the European Union finds itself in much the same position as two years earlier, with hundreds of desperate individuals cramming into flimsy boats and setting off each week from the Libyan coast in hope of finding swift rescue and passage in Europe. Options to reduce flows unilaterally are limited. Barred by EU law from “pushing back” vessels encountered in the Mediterranean, the European Union is faced with no alternative but to rescue and transfer passengers to European territory, where the full framework of European asylum law applies. Member States are thus looking more closely at the role transit countries along the North African coastline might play in managing these flows across the Central Mediterranean. Specifically, they are examining the possibility of reallocating responsibility for search and rescue to Southern partners, thereby decoupling the rescue missions from territorial access to international protection in Europe.

      http://www.migrationpolicy.org/news/new-eu-partnerships-north-africa-potential-backfire

    • Migration: MSF warns EU about inhumane approach to migration management

      As European Union (EU) leaders meet in Malta today to discuss migration, with a view to “close down the route from Libya to Italy” by stepping up cooperation with the Libyan authorities, we want to raise grave concerns about the fate of people trapped in Libya or returned to the country. Médecins Sans Frontières (MSF) has been providing medical care to migrants, refugees and asylum seekers detained in Tripoli and the surrounding area since July 2016 and people are detained arbitrarily in inhumane and unsanitary conditions, often without enough food and clean water and with a lack of access to medical care.

      http://www.msf.org/en/article/migration-msf-warns-eu-about-inhumane-approach-migration-management

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Libya is not Turkey: why the EU plan to stop Mediterranean migration is a human rights concern

      EU leaders have agreed to a plan that will provide Libya’s UN-backed government €200 million for dealing with migration. This includes an increase in funding for the Libyan coastguard, with an overall aim to stop migrant boats crossing the Mediterranean to Italy.

      https://theconversation.com/libya-is-not-turkey-why-the-eu-plan-to-stop-mediterranean-migration

    • EU aims to step up help to Libya coastguards on migrant patrols

      TUNIS (Reuters) - The European Union wants to rapidly expand training of Libyan coastguards to stem migrant flows to Italy and reduce deaths at sea, an EU naval mission said on Thursday, signaling a renewed push to support a force struggling to patrol its own coasts.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya/eu-aims-to-step-up-help-to-libya-coastguards-on-migrant-patrols-idUSKCN1GR3

      #UE #EU

    • Why Cooperating With Libya on Migration Could Damage the EU’s Standing

      Italy and the Netherlands began training Libyan coast guard and navy officers on Italian and Dutch navy ships in the Mediterranean earlier in October. The training is part of the European Union’s anti-smuggling operation in the central Mediterranean with the goal of enhancing Libya’s “capability to disrupt smuggling and trafficking… and to perform search-and-rescue activities.”

      http://europe.newsweek.com/why-cooperating-libya-migration-could-damage-eus-standing-516099?rm
      #asile #migrations #réfugiés #Europe #UE #EU #Libye #coopération #externalisation #Méditerranée #Italie #Pays-Bas #gardes-côtes

    • Les migrants paient le prix fort de la coopération entre l’UE et les garde-côtes libyens

      Nombre de dirigeants européens appellent à une « coopération » renforcée avec les garde-côtes libyens. Mais une fois interceptés en mer, ces migrants sont renvoyés dans des centres de détention indignes et risquent de retomber aux mains de trafiquants.

      C’est un peu la bouée de sauvetage des dirigeants européens. La « coopération » avec la Libye et ses légions de garde-côtes reste l’une des dernières politiques à faire consensus dans les capitales de l’UE, s’agissant des migrants. Initiée en 2016 pour favoriser l’interception d’embarcations avant leur entrée dans les eaux à responsabilité italienne ou maltaise, elle a fait chuter le nombre d’arrivées en Europe.

      Emmanuel Macron en particulier s’en est félicité, mardi 26 juin, depuis le Vatican : « La capacité à fermer cette route [entre la Libye et l’Italie, ndlr] est la réponse la plus efficace » au défi migratoire. Selon lui, ce serait même « la plus humaine ». Alors qu’un Conseil européen crucial s’ouvre ce jeudi 28 juin, le président français appelle donc à « renforcer » cette coopération avec Tripoli.

      Convaincu qu’il faut laisser les Libyens travailler, il s’en est même pris, mardi, aux bateaux humanitaires et en particulier au Lifeline, le navire affrété par une ONG allemande qui a débarqué 233 migrants mercredi soir à Malte (après une semaine d’attente en mer et un blocus de l’Italie), l’accusant d’être « intervenu en contravention de toutes les règles et des garde-côtes libyens ». Lancé, Emmanuel Macron est allé jusqu’à reprocher aux bateaux des ONG de faire « le jeu des passeurs ».

      Inédite dans sa bouche (mais entendue mille fois dans les diatribes de l’extrême droite transalpine), cette sentence fait depuis bondir les organisations humanitaires les unes après les autres, au point que Médecins sans frontières (qui affrète l’Aquarius avec SOS Méditerranée), Amnesty International France, La Cimade et Médecins du monde réclament désormais un rendez-vous à l’Élysée, se disant « consternées ».

      Ravi, lui, le ministre de l’intérieur italien et leader d’extrême droite, Matteo Salvini, en a profité pour annoncer mercredi un don exceptionnel en faveur des garde-côtes de Tripoli, auxquels il avait rendu visite l’avant-veille : 12 navires de patrouille, une véritable petite flotte.

      En deux ans, la coopération avec ce pays de furie qu’est la Libye post-Kadhafi semble ainsi devenue la solution miracle, « la plus humaine » même, que l’UE ait dénichée face au défi migratoire en Méditerranée centrale. Comment en est-on arrivé là ? Jusqu’où va cette « coopération » qualifiée de « complicité » par certaines ONG ? Quels sont ses résultats ?

      • Déjà 8 100 interceptions en mer
      À ce jour, en 2018, environ 16 000 migrants ont réussi à traverser jusqu’en Italie, soit une baisse de 77 % par rapport à l’an dernier. Sur ce point, Emmanuel Macron a raison : « Nous avons réduit les flux. » Les raisons, en réalité, sont diverses. Mais de fait, plus de 8 100 personnes parties de Libye ont déjà été rattrapées par les garde-côtes du pays cette année et ramenées à terre, d’après le Haut Commissariat aux réfugiés (le HCR). Contre 800 en 2015.

      Dans les écrits de cette agence de l’ONU, ces migrants sont dits « sauvés/interceptés », sans qu’il soit tranché entre ces deux termes, ces deux réalités. À lui seul, ce « / » révèle toute l’ambiguïté des politiques de coopération de l’UE : si Bruxelles aime penser que ces vies sont sauvées, les ONG soulignent qu’elles sont surtout ramenées en enfer. Certains, d’ailleurs, préfèrent sauter de leur bateau pneumatique en pleine mer plutôt que retourner en arrière.

      • En Libye, l’« abominable » sort des migrants (source officielle)
      Pour comprendre les critiques des ONG, il faut rappeler les conditions inhumaines dans lesquelles les exilés survivent dans cet « État tampon », aujourd’hui dirigé par un gouvernement d’union nationale ultra contesté (basé à Tripoli), sans contrôle sur des parts entières du territoire. « Ce que nous entendons dépasse l’entendement, rapporte l’un des infirmiers de l’Aquarius, qui fut du voyage jusqu’à Valence. Les migrants subsahariens sont affamés, assoiffés, torturés. » Parmi les 630 passagers débarqués en Espagne, l’une de ses collègues raconte avoir identifié de nombreux « survivants de violences sexuelles », « des femmes et des hommes à la fois, qui ont vécu le viol et la torture sexuelle comme méthodes d’extorsion de fonds », les familles étant souvent soumises au chantage par téléphone. Un diagnostic dicté par l’émotion ? Des exagérations de rescapés ?

      Le même constat a été officiellement dressé, dès janvier 2017, par le Haut-Commissariat aux droits de l’homme de l’ONU. « Les migrants se trouvant sur le sol libyen sont victimes de détention arbitraire dans des conditions inhumaines, d’actes de torture, notamment de violence sexuelle, d’enlèvements visant à obtenir une rançon, de racket, de travail forcé et de meurtre », peut-on lire dans son rapport, où l’on distingue les centres de détention officiels dirigés par le Service de lutte contre la migration illégale (relevant du ministère de l’intérieur) et les prisons clandestines tenues par des milices armées.

      Même dans les centres gouvernementaux, les exilés « sont détenus arbitrairement sans la moindre procédure judiciaire, en violation du droit libyen et des normes internationales des droits de l’homme. (…) Ils sont souvent placés dans des entrepôts dont les conditions sont abominables (…). Des surveillants refusent aux migrants l’accès aux toilettes, les obligeant à uriner et à déféquer [là où ils sont]. Dans certains cas, les migrants souffrent de malnutrition grave [environ un tiers de la ration calorique quotidienne minimale]. Des sources nombreuses et concordantes [évoquent] la commission d’actes de torture, notamment des passages à tabac, des violences sexuelles et du travail forcé ».

      Sachant qu’il y a pire à côté : « Des groupes armés et des trafiquants détiennent d’autres migrants dans des lieux non officiels. » Certaines de ces milices, d’ailleurs, « opèrent pour le compte de l’État » ou pour « des agents de l’État », pointe le rapport. Le marché du kidnapping, de la vente et de la revente, est florissant. C’est l’enfer sans même Lucifer pour l’administrer.

      En mai dernier, par exemple, une centaine de migrants a réussi à s’évader d’une prison clandestine de la région de Bani Walid, où MSF gère une clinique de jour. « Parmi les survivants que nous avons soignés, des jeunes de 16 à 18 ans en majorité, certains souffrent de blessures par balles, de fractures multiples, de brûlures, témoigne Christophe Biteau, chef de mission de l’ONG en Libye. Certains nous racontent avoir été baladés, détenus, revendus, etc., pendant trois ans. » Parfois, MSF recueille aussi des migrants relâchés « spontanément » par leurs trafiquants : « Un mec qui commence à tousser par exemple, ils n’en veulent plus à cause des craintes de tuberculose. Pareil en cas d’infections graves. Il y a comme ça des migrants, sur lesquels ils avaient investi, qu’ils passent par “pertes et profits”, si j’ose dire. »

      Depuis 2017, et surtout les images d’un marché aux esclaves diffusées sur CNN, les pressions de l’ONU comme de l’UE se sont toutefois multipliées sur le gouvernement de Tripoli, afin qu’il s’efforce de vider les centres officiels les plus honteux – 18 ont été fermés, d’après un bilan de mars dernier. Mais dans un rapport récent, daté de mai 2018, le secrétaire général de l’ONU persiste : « Les migrants continuent d’être sujets (…) à la torture, à du rançonnement, à du travail forcé et à des meurtres », dans des « centres officiels et non officiels ». Les auteurs ? « Des agents de l’État, des groupes armés, des trafiquants, des gangs criminels », encore et encore.

      Au 21 juin, plus de 5 800 personnes étaient toujours détenues dans les centres officiels. « Nous en avons répertorié 33, dont 4 où nous avons des difficultés d’accès », précise l’envoyé spécial du HCR pour la situation en Méditerranée centrale, Vincent Cochetel, qui glisse au passage : « Il est arrivé que des gens disparaissent après nous avoir parlé. » Surtout, ces derniers jours, avec la fin du ramadan et les encouragements des dirigeants européens adressés aux garde-côtes libyens, ces centres de détention se remplissent à nouveau.

      • Un retour automatique en détention
      Car c’est bien là, dans ces bâtiments gérés par le ministère de l’intérieur, que sont théoriquement renvoyés les migrants « sauvés/interceptés » en mer. Déjà difficile, cette réalité en cache toutefois une autre. « Les embarcations des migrants décollent en général de Libye en pleine nuit, raconte Christophe Biteau, de MSF. Donc les interceptions par les garde-côtes se font vers 2 h ou 3 h du matin et les débarquements vers 6 h. Là, avant l’arrivée des services du ministère de l’intérieur libyen et du HCR (dont la présence est autorisée sur la douzaine de plateformes de débarquement utilisées), il y a un laps de temps critique. » Où tout peut arriver.

      L’arrivée à Malte, mercredi 27 juin 2018, des migrants sauvés par le navire humanitaire « Lifeline » © Reuters
      Certains migrants de la Corne de l’Afrique (Érythrée, Somalie, etc.), réputés plus « solvables » que d’autres parce qu’ils auraient des proches en Europe jouissant déjà du statut de réfugiés, racontent avoir été rachetés à des garde-côtes par des trafiquants. Ces derniers répercuteraient ensuite le prix d’achat de leur « marchandise » sur le tarif de la traversée, plus chère à la seconde tentative… Si Christophe Biteau ne peut témoigner directement d’une telle corruption de garde-côtes, il déclare sans hésiter : « Une personne ramenée en Libye peut très bien se retrouver à nouveau dans les mains de trafiquants. »

      Au début du mois de juin, le Conseil de sécurité de l’ONU (rien de moins) a voté des sanctions à l’égard de six trafiquants de migrants (gel de comptes bancaires, interdiction de voyager, etc.), dont le chef d’une unité de… garde-côtes. D’autres de ses collègues ont été suspectés par les ONG de laisser passer les embarcations siglées par tel ou tel trafiquant, contre rémunération.

      En tout cas, parmi les migrants interceptés et ramenés à terre, « il y a des gens qui disparaissent dans les transferts vers les centres de détention », confirme Vincent Cochetel, l’envoyé spécial du HCR. « Sur les plateformes de débarquement, on aimerait donc mettre en place un système d’enregistrement biométrique, pour essayer de retrouver ensuite les migrants dans les centres, pour protéger les gens. Pour l’instant, on n’a réussi à convaincre personne. » Les « kits médicaux » distribués sur place, financés par l’UE, certes utiles, ne sont pas à la hauteur de l’enjeu.

      • Des entraînements financés par l’UE
      Dans le cadre de l’opération Sophia (théoriquement destinée à lutter contre les passeurs et trafiquants dans les eaux internationales de la Méditerranée), Bruxelles a surtout décidé, en juin 2016, d’initier un programme de formation des garde-côtes libyens, qui a démarré l’an dernier et déjà bénéficié à 213 personnes. C’est que, souligne-t-on à Bruxelles, les marines européennes ne sauraient intervenir elles-mêmes dans les eaux libyennes.

      Il s’agit à la fois d’entraînements pratiques et opérationnels (l’abordage de canots, par exemple) visant à réduire les risques de pertes humaines durant les interventions, et d’un enseignement juridique (droit maritimes, droits humains, etc.), notamment à destination de la hiérarchie. D’après la commission européenne, tous les garde-côtes bénéficiaires subissent un « check de sécurité » avec vérifications auprès d’Interpol et Europol, voire des services de renseignement des États membres, pour écarter les individus les plus douteux.

      Il faut dire que les besoins de « formation » sont – pour le moins – criants. À plusieurs reprises, des navires humanitaires ont été témoins d’interceptions violentes, sinon criminelles. Sur une vidéo filmée depuis le Sea Watch (ONG allemande) en novembre dernier, on a vu des garde-côtes frapper certains des migrants repêchés, puis redémarrer alors qu’un homme restait suspendu à l’échelle de bâbord, sans qu’aucun Zodiac de secours ne soit jamais mis à l’eau. « Ils étaient cassés », ont répondu les Libyens.

      Un « sauvetage » effectué en novembre 2017 par des garde-côtes Libyens © Extrait d’une vidéo publiée par l’ONG allemande Sea Watch
      Interrogée sur le coût global de ces formations, la commission indique qu’il est impossible à chiffrer, Frontex (l’agence de garde-côtes européenne) pouvant participer aux sessions, tel État membre fournir un bateau, tel autre un avion pour trimballer les garde-côtes, etc.

      • La fourniture d’équipements en direct
      En décembre, un autre programme a démarré, plus touffu, financé cette fois via le « Fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique » (le fonds d’urgence européen mis en place en 2015 censément pour prévenir les causes profondes des migrations irrégulières et prendre le problème à la racine). Cette fois, il s’agit non plus seulement de « formation », mais de « renforcement des capacités opérationnelles » des garde-côtes libyens, avec des aides directes à l’équipement de bateaux (gilets, canots pneumatiques, appareils de communication, etc.), à l’entretien des navires, mais aussi à l’équipement des salles de contrôle à terre, avec un objectif clair en ligne de mire : aider la Libye à créer un « centre de coordination de sauvetage maritime » en bonne et due forme, pour mieux proclamer une « zone de recherche et sauvetage » officielle, au-delà de ses seules eaux territoriales actuelles. La priorité, selon la commission à Bruxelles, reste de « sauver des vies ».

      Budget annoncé : 46 millions d’euros avec un co-financement de l’Italie, chargée de la mise en œuvre. À la marge, les garde-côtes libyens peuvent d’ailleurs profiter d’autres programmes européens, tel « Seahorse », pour de l’entraînement à l’utilisation de radars.

      L’Italie, elle, va encore plus loin. D’abord, elle fournit des bateaux aux garde-côtes. Surtout, en 2017, le ministre de l’intérieur transalpin a rencontré les maires d’une dizaine de villes libyennes en leur faisant miroiter l’accès au Fonds fiduciaire pour l’Afrique de l’UE, en contrepartie d’un coup de main contre le trafic de migrants. Et selon diverses enquêtes (notamment des agences de presse Reuters et AP), un deal financier secret aurait été conclu à l’été 2017 entre l’Italie et des représentants de milices, à l’époque maîtresses des départs d’embarcations dans la région de Sabratha. Rome a toujours démenti, mais les appareillages dans ce coin ont brutalement cessé pour redémarrer un peu plus loin. Au bénéfice d’autres milices.

      • L’aide à l’exfiltration de migrants
      En même temps, comme personne ne conteste plus l’enfer des conditions de détention et que tout le monde s’efforce officiellement de vider les centres du régime en urgence, l’UE travaille aussi à la « réinstallation » en Europe des exilés accessibles au statut de réfugié, ainsi qu’au rapatriement dans leur pays d’origine des migrants dits « économiques » (sur la base du volontariat en théorie). Dans le premier cas, l’UE vient en soutien du HCR ; dans le second cas, en renfort de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

      L’objectif affiché est limpide : épargner des prises de risque en mer inutiles aux réfugiés putatifs (Érythréens, Somaliens, etc.), comme à ceux dont la demande à toutes les chances d’être déboutée une fois parvenus en Europe, comme les Ivoiriens par exemple. Derrière les éléments de langage, que disent les chiffres ?

      Selon le HCR, seuls 1 730 réfugiés et demandeurs d’asile prioritaires ont pu être évacués depuis novembre 2017, quelques-uns directement de la Libye vers l’Italie (312) et la Roumanie (10), mais l’essentiel vers le Niger voisin, où les autorités ont accepté d’accueillir une plateforme d’évacuations de 1 500 places en échange de promesses de « réinstallations » rapides derrière, dans certains pays de l’UE.

      Et c’est là que le bât blesse. Paris, par exemple, s’est engagé à faire venir 3 000 réfugiés de Niamey (Niger), mais n’a pas tenu un vingtième de sa promesse. L’Allemagne ? Zéro.

      « On a l’impression qu’une fois qu’on a évacué de Libye, la notion d’urgence se perd », regrette Vincent Cochetel, du HCR. Une centaine de migrants, surtout des femmes et des enfants, ont encore été sortis de Libye le 19 juin par avion. « Mais on va arrêter puisqu’on n’a plus de places [à Niamey], pointe le représentant du HCR. L’heure de vérité approche. On ne peut pas demander au Niger de jouer ce rôle si on n’est pas sérieux derrière, en termes de réinstallations. Je rappelle que le Niger a plus de réfugiés sur son territoire que la France par exemple, qui fait quand même des efforts, c’est vrai. Mais on aimerait que ça aille beaucoup plus vite. » Le HCR discute d’ailleurs avec d’autres États africains pour créer une seconde « plateforme d’évacuation » de Libye, mais l’exemple du Niger, embourbé, ne fait pas envie.

      Quant aux rapatriements vers les pays d’origine des migrants dits « économiques », mis en œuvre avec l’OIM (autre agence onusienne), les chiffres atteignaient 8 546 à la mi-juin. « On peut questionner le caractère volontaire de certains de ces rapatriements, complète Christophe Biteau, de MSF. Parce que vu les conditions de détention en Libye, quand on te dit : “Tu veux que je te sorte de là et que je te ramène chez toi ?”… Ce n’est pas vraiment un choix. » D’ailleurs, d’après l’OIM, les rapatriés de Libye sont d’abord Nigérians, puis Soudanais, alors même que les ressortissants du Soudan accèdent à une protection de la France dans 75 % des cas lorsqu’ils ont l’opportunité de voir leur demande d’asile examinée.
      En résumé, sur le terrain, la priorité des États de l’UE va clairement au renforcement du mur de la Méditerranée et de ses Cerbère, tandis que l’extraction de réfugiés, elle, reste cosmétique. Pour Amnesty International, cette attitude de l’Union, et de l’Italie au premier chef, serait scandaleuse : « Dans la mesure où ils ont joué un rôle dans l’interception des réfugiés et des migrants, et dans la politique visant à les contenir en Libye, ils partagent avec celle-ci la responsabilité des détentions arbitraires, de la torture et autres mauvais traitements infligés », tance un rapport de l’association publié en décembre dernier.

      Pour le réseau Migreurop (regroupant chercheurs et associations spécialisés), « confier le contrôle des frontières maritimes de l’Europe à un État non signataire de la Convention de Genève [sur les droits des réfugiés, ndlr] s’apparente à une politique délibérée de contournement des textes internationaux et à une sous-traitance des pires violences à l’encontre des personnes exerçant leur droit à émigrer ». Pas sûr que les conclusions du conseil européen de jeudi et vendredi donnent, à ces organisations, la moindre satisfaction.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/280618/les-migrants-paient-le-prix-fort-de-la-cooperation-entre-lue-et-les-garde-

    • Au Niger, l’Europe finance plusieurs projets pour réduire le flux de migrants

      L’Union européenne a invité des entreprises du vieux continent au Niger afin qu’elles investissent pour améliorer les conditions de vie des habitants. Objectif : réduire le nombre de candidats au départ vers l’Europe.

      Le Niger est un pays stratégique pour les Européens. C’est par là que transitent la plupart des migrants qui veulent rejoindre l’Europe. Pour réduire le flux, l’Union européenne finance depuis 2015 plusieurs projets et veut désormais créer un tissu économique au Niger pour dissuader les candidats au départ. Le président du Parlement européen, Antonio Tajani, était, la semaine dernière dans la capitale nigérienne à Niamey, accompagné d’une trentaine de chefs d’entreprise européens à la recherche d’opportunités d’investissements.
      Baisse du nombre de départ de 90% en deux ans

      Le nombre de migrants qui a quitté le Niger pour rejoindre la Libye avant de tenter la traversée vers l’Europe a été réduit de plus de 90% ces deux dernières années. Notamment grâce aux efforts menés par le gouvernement nigérien avec le soutien de l’Europe pour mieux contrôler la frontière entre le Niger et la Libye. Mais cela ne suffit pas selon le président du Parlement européen, Antonio Tajani. « En 2050, nous aurons deux milliards cinq cents millions d’Africains, nous ne pourrons pas bloquer avec la police et l’armée l’immigration, donc voilà pourquoi il faut intervenir tout de suite ». Selon le président du Parlement européen, il faut donc améliorer les conditions de vie des Nigériens pour les dissuader de venir en Europe.
      Des entreprises françaises vont investir au Niger

      La société française #Sunna_Design, travaille dans le secteur de l’éclairage public solaire et souhaite s’implanter au Niger. Pourtant les difficultés sont nombreuses, notamment la concurrence chinoise, l’insécurité, ou encore la mauvaise gouvernance. Stéphane Redon, le responsable export de l’entreprise, y voit pourtant un bon moyen d’améliorer la vie des habitants. « D’abord la sécurité qui permet à des gens de pouvoir penser à avoir une vie sociale, nocturne, et une activité économique. Et avec ces nouvelles technologies, on aspire à ce que ces projets créent du travail localement, au niveau des installations, de la maintenance, et de la fabrication. »
      Le Niger salue l’initiative

      Pour Mahamadou Issoufou, le président du Niger, l’implantation d’entreprises européennes sur le territoire nigérien est indispensable pour faire face au défi de son pays notamment démographique. Le Niger est le pays avec le taux de natalité le plus élevé au monde, avec huit enfants par femme. « Nous avons tous décidé de nous attaquer aux causes profondes de la migration clandestine, et l’une des causes profondes, c’est la #pauvreté. Il est donc important qu’une lutte énergique soit menée. Certes, il y a les ressources publiques nationales, il y a l’#aide_publique_au_développement, mais tout cela n’est pas suffisant. il faut nécessairement un investissement massif du secteur privé », explique Mahamadou Issoufou. Cette initiative doit être élargie à l’ensemble des pays du Sahel, selon les autorités nigériennes et européennes.

      https://mobile.francetvinfo.fr/replay-radio/en-direct-du-monde/en-direct-du-monde-au-niger-l-europe-finance-plusieurs-projets-p
      #investissements #développement #APD

    • In die Rebellion getrieben

      Die Flüchtlingsabwehr der EU führt zu neuen Spannungen in Niger und droht womöglich gar eine Rebellion im Norden des Landes auszulösen. Wie Berichte aus der Region bestätigen, hat die von Brüssel erzwungene Illegalisierung des traditionellen Migrationsgeschäfts besonders in der Stadt Agadez, dem Tor zur nigrischen Sahara, Zehntausenden die Lebensgrundlage genommen. Großspurig angekündigte Ersatzprogramme der EU haben lediglich einem kleinen Teil der Betroffenen wieder zu einem Job verholfen. Lokale Beobachter warnen, die Bereitschaft zum Aufstand sowie zum Anschluss an Jihadisten nehme zu. Niger ist ohnehin Schauplatz wachsenden jihadistischen Terrors wie auch gesteigerter westlicher „Anti-Terror“-Operationen: Während Berlin und die EU vor allem eine neue Eingreiftruppe der Staatengruppe „G5 Sahel“ fördern - deutsche Soldaten dürfen dabei auch im Niger eingesetzt werden -, haben die Vereinigten Staaten ihre Präsenz in dem Land ausgebaut. Die US-Streitkräfte errichten zur Zeit eine Drohnenbasis in Agadez, die neue Spannungen auslöst.
      Das Ende der Reisefreiheit

      Niger ist für Menschen, die sich aus den Staaten Afrikas südlich der Sahara auf den Weg zum Mittelmeer und weiter nach Europa machen, stets das wohl wichtigste Transitland gewesen. Nach dem Zerfall Libyens im Anschluss an den Krieg des Westens zum Sturz von Muammar al Gaddafi hatten zeitweise drei Viertel aller Flüchtlinge, die von Libyens Küste mit Ziel Italien in See stachen, zuvor das Land durchquert. Als kaum zu vermeidendes Nadelöhr zwischen den dichter besiedelten Gebieten Nigers und der Wüste fungiert die 120.000-Einwohner-Stadt Agadez, von deren Familien bis 2015 rund die Hälfte ihr Einkommen aus der traditionell legalen Migration zog: Niger gehört dem westafrikanischen Staatenbund ECOWAS an, in dem volle Reisefreiheit gilt. Im Jahr 2015 ist die Reisefreiheit in Niger allerdings durch ein Gesetz eingeschränkt worden, das, wie der Innenminister des Landes bestätigt, nachdrücklich von der EU gefordert worden war.[1] Mit seinem Inkrafttreten ist das Migrationsgeschäft in Agadez illegalisiert worden; das hatte zur Folge, dass zahlreiche Einwohner der Stadt ihren Erwerb verloren. Die EU hat zwar Hilfe zugesagt, doch ihre Maßnahmen sind allenfalls ein Tropfen auf den heißen Stein: Von den 7.000 Menschen, die offiziell ihre Arbeit in der nun verbotenen Transitreisebranche aufgaben, hat Brüssel mit einem großspurig aufgelegten, acht Millionen Euro umfassenden Programm weniger als 400 in Lohn und Brot gebracht.
      Ohne Lebensgrundlage

      Entsprechend hat sich die Stimmung in Agadez in den vergangenen zwei Jahren systematisch verschlechtert, heißt es in einem aktuellen Bericht über die derzeitige Lage in der Stadt, den das Nachrichtenportal IRIN Ende Juni publiziert hat.[2] Rangiert Niger auf dem Human Development Index der Vereinten Nationen ohnehin auf Platz 187 von 188, so haben die Verdienstmöglichkeiten in Agadez mit dem Ende des legalen Reisegeschäfts nicht nur stark abgenommen; selbst wer mit Hilfe der EU einen neuen Job gefunden hat, verdient meist erheblich weniger als zuvor. Zwar werden weiterhin Flüchtlinge durch die Wüste in Richtung Norden transportiert - jetzt eben illegal -, doch wachsen die Spannungen, und sie drohen bei jeder neuen EU-Maßnahme zur Abriegelung der nigrisch-libyschen Grenze weiter zu steigen. Das Verbot des Migrationsgeschäfts werde auf lange Sicht „die Leute in die Rebellion treiben“, warnt gegenüber IRIN ein Bewohner von Agadez stellvertretend für eine wachsende Zahl weiterer Bürger der Stadt. Als Reiseunternehmer für Flüchtlinge haben vor allem Tuareg gearbeitet, die bereits von 1990 bis 1995, dann erneut im Jahr 2007 einen bewaffneten Aufstand gegen die Regierung in Niamey unternommen hatten. Hinzu kommt laut einem örtlichen Würdenträger, dass die Umtriebe von Jihadisten im Sahel zunehmend als Widerstand begriffen und für jüngere, in wachsendem Maße aufstandsbereite Bewohner der Region Agadez immer häufiger zum Vorbild würden.
      Anti-Terror-Krieg im Sahel

      Jihadisten haben ihre Aktivitäten in Niger in den vergangenen Jahren bereits intensiviert, nicht nur im Südosten des Landes an der Grenze zu Nigeria, wo die nigrischen Streitkräfte im Krieg gegen Boko Haram stehen, sondern inzwischen auch an der Grenze zu Mali, von wo der dort seit 2012 schwelende Krieg immer mehr übergreift. Internationale Medien berichteten erstmals in größerem Umfang darüber, als am 4. Oktober 2017 eine US-Einheit, darunter Angehörige der Spezialtruppe Green Berets, nahe der nigrischen Ortschaft Tongo Tongo unweit der Grenze zu Mali in einen Hinterhalt gerieten und vier von ihnen von Jihadisten, die dem IS-Anführer Abu Bakr al Baghdadi die Treue geschworen hatten, getötet wurden.[3] In der Tat hat die Beobachtung, dass Jihadisten in Niger neuen Zulauf erhalten, die Vereinigten Staaten veranlasst, 800 Militärs in dem Land zu stationieren, die offiziell nigrische Soldaten trainieren, mutmaßlich aber auch Kommandoaktionen durchführen. Darüber hinaus beteiligt sich Niger auf Druck der EU an der Eingreiftruppe der „G5 Sahel“ [4], die im gesamten Sahel - auch in Niger - am Krieg gegen Jihadisten teilnimmt und auf lange Sicht nach Möglichkeit die französischen Kampftruppen der Opération Barkhane ersetzen soll. Um die „G5 Sahel“-Eingreiftruppe jederzeit und überall unterstützen zu können, hat der Bundestag im Frühjahr das Mandat für die deutschen Soldaten, die in die UN-Truppe MINUSMA entsandt werden, auf alle Sahelstaaten ausgedehnt - darunter auch Niger. Deutsche Soldaten sind darüber hinaus bereits am Flughafen der Hauptstadt Niamey stationiert. Der sogenannte Anti-Terror-Krieg des Westens, der in anderen Ländern wegen seiner Brutalität den Jihadisten oft mehr Kämpfer zugeführt als genommen hat, weitet sich zunehmend auf nigrisches Territorium aus.
      Zunehmend gewaltbereit

      Zusätzliche Folgen haben könnte dabei die Tatsache, dass die Vereinigten Staaten gegenwärtig für den Anti-Terror-Krieg eine 110 Millionen US-Dollar teure Drohnenbasis errichten - am Flughafen Agadez. Niger scheint sich damit dauerhaft zum zweitwichtigsten afrikanischen Standort von US-Truppen nach Djibouti mit seinem strategisch bedeutenden Hafen zu entwickeln. Washington errichtet die Drohnenbasis, obwohl eine vorab durchgeführte Umfrage des U.S. Africa Command und des State Department ergeben hat, dass die Bevölkerung die US-Militäraktivitäten im Land zunehmend kritisch sieht und eine starke Minderheit Gewalt gegen Personen oder Organisationen aus Europa und Nordamerika für legitim hält.[5] Mittlerweile dürfen sich, wie berichtet wird, US-Botschaftsangehörige außerhalb der Hauptstadt Niamey nur noch in Konvois in Begleitung von nigrischem Sicherheitspersonal bewegen. Die Drohnenbasis, die ohne die von der nigrischen Verfassung vorgesehene Zustimmung des Parlaments errichtet wird und daher mutmaßlich illegal ist, droht den Unmut noch weiter zu verschärfen. Beobachter halten es für nicht unwahrscheinlich, dass sie Angriffe auf sich zieht - und damit Niger noch weiter destabilisiert.[6]
      Flüchtlingslager

      Hinzu kommt, dass die EU Niger in zunehmendem Maß als Plattform nutzt, um Flüchtlinge, die in libyschen Lagern interniert waren, unterzubringen, bevor sie entweder in die EU geflogen oder in ihre Herkunftsländer abgeschoben werden. Allein von Ende November bis Mitte Mai sind 1.152 Flüchtlinge aus Libyen nach Niger gebracht worden; dazu wurden 17 „Transitzentren“ in Niamey, sechs in Agadez eingerichtet. Niger gilt inzwischen außerdem als möglicher Standort für die EU-"Ausschiffungsplattformen" [7] - Lager, in die Flüchtlinge verlegt werden sollen, die auf dem Mittelmeer beim Versuch, nach Europa zu reisen, aufgegriffen wurden. Damit erhielte Niger einen weiteren potenziellen Destabilisierungsfaktor - im Auftrag und unter dem Druck der EU. Ob und, wenn ja, wie das Land die durch all dies drohenden Erschütterungen überstehen wird, das ist völlig ungewiss.

      [1], [2] Eric Reidy: Destination Europe: Frustration. irinnews.org 28.06.2018.

      [3] Eric Schmitt: 3 Special Forces Troops Killed and 2 Are Wounded in an Ambush in Niger. nytimes.com 04.10.2017.[4] S. dazu Die Militarisierung des Sahel (IV).

      [5] Nick Turse: U.S. Military Surveys Found Local Distrust in Niger. Then the Air Force Built a $100 Million Drone Base. theintercept.com 03.07.2018.

      [6] Joe Penney: A Massive U.S. Drone Base Could Destabilize Niger - And May Even Be Illegal Under its Constitution. theintercept.com 18.02.2018.

      [7] S. dazu Libysche Lager.

      https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7673

      –-> Commentaire reçu via la mailing-list Migreurop :

      La politique d’externalisation de l’UE crée de nouvelles tensions au Niger et risque de déclencher une rebellion dans le nord du pays. Plusieurs rapports de la région confirment que le fait que Bruxelle ait rendu illégal la migration traditionnelle et de fait détruit l’économie qui tournait autour, particulièrement dans la ville d’Agadez, porte d’entrée du Sahara nigérien, a privé de revenus des dizaines de milliers de personnes. Les programmes de développement annoncés par l’UE n’ont pu aider qu’une infime partie de ceux qui ont été affectés par la mesure. Les observateurs locaux constatent que une augmentation des volontés à se rebeller et/ou à rejoindre les djihadistes. Le Niger est déja la scène d’attaques terroristes djihadistes ainsi que d’opérations occidentales « anti-terreur » : alors que Berlin et l’UE soutiennent une intervention des forces du G5 Sahel - les soldats allemands pourraient être déployés au Niger - les Etats Unis ont étendu leur présence sur le territoire. Les forces US sont en train de construire une base de #drones à Agadez, ce qui a déclenché de nouvelles tensions.

      #déstabilisation

    • Libya: EU’s patchwork policy has failed to protect the human rights of refugees and migrants

      A year after the emergence of shocking footage of migrants apparently being sold as merchandise in Libya prompted frantic deliberations over the EU’s migration policy, a series of quick fixes and promises has not improved the situation for refugees and migrants, Amnesty International said today. In fact, conditions for refugees and migrants have largely deteriorated over the past year and armed clashes in Tripoli that took place between August and September this year have only exacerbated the situation further.

      https://www.amnesty.org/en/documents/mde19/9391/2018/en
      #droits_humains

      Pour télécharger le rapport:
      https://www.amnesty.org/download/Documents/MDE1993912018ENGLISH.pdf

    • New #LNCG Training module in Croatia

      A new training module in favour of Libyan Coastguard and Navy started in Split (Croatia) on November the 12.
      Last Monday, November the 12th, a new training module managed by operation Sophia and focused on “Ship’s Divers Basic Course” was launched in the Croatian Navy Training Centre in Split (Croatia).

      The trainees had been selected by the competent Libyan authorities and underwent a thorough vetting process carried out in different phases by EUNAVFOR Med, security agencies of EU Member States participating in the Operation and international organizations.

      After the accurate vetting process, including all the necessary medical checks for this specific activity, 5 Libyan military personnel were admitted to start the course.

      The course, hosted by the Croatian Navy, will last 5 weeks, and it will provide knowledge and training in diving procedures, specifically related techniques and lessons focused on Human Rights, Basic First Aid and Gender Policy.

      The end of the course is scheduled for the 14 of December 2018.

      Additionally, with the positive conclusion of this course, the threshold of more than 300 Libyan Coastguard and Navy personnel trained by #EUNAVFOR_Med will be reached.

      EUNAVFOR MED Operation Sophia continues at sea its operation focused on disrupting the business model of migrant smugglers and human traffickers, contributing to EU efforts for the return of stability and security in Libya and the training and capacity building of the Libyan Navy and Coastguard.


      https://www.operationsophia.eu/new-lncg-training-module-in-croatia

    • EU Council adopts decision expanding EUBAM Libya’s mandate to include actively supporting Libyan authorities in disrupting networks involved in smuggling migrants, human trafficking and terrorism

      The Council adopted a decision mandating the #EU_integrated_border_management_assistance_mission in Libya (#EUBAM_Libya) to actively support the Libyan authorities in contributing to efforts to disrupt organised criminal networks involved in smuggling migrants, human trafficking and terrorism. The mission was previously mandated to plan for a future EU civilian mission while engaging with the Libyan authorities.

      The mission’s revised mandate will run until 30 June 2020. The Council also allocated a budget of € 61.6 million for the period from 1 January 2019 to 30 June 2020.

      In order to achieve its objectives EUBAM Libya provides capacity-building in the areas of border management, law enforcement and criminal justice. The mission advises the Libyan authorities on the development of a national integrated border management strategy and supports capacity building, strategic planning and coordination among relevant Libyan authorities. The mission will also manage as well as coordinate projects related to its mandate.

      EUBAM Libya responds to a request by the Libyan authorities and is part of the EU’s comprehensive approach to support the transition to a democratic, stable and prosperous Libya. The civilian mission co-operates closely with, and contributes to, the efforts of the United Nations Support Mission in Libya.

      The mission’s headquarters are located in Tripoli and the Head of Mission is Vincenzo Tagliaferri (from Italy). EUBAM Libya.

      https://migrantsatsea.org/2018/12/18/eu-council-adopts-decision-expanding-eubam-libyas-mandate-to-include-

      EUBAM Libya :
      Mission de l’UE d’assistance aux frontières (EUBAM) en Libye


      https://eeas.europa.eu/csdp-missions-operations/eubam-libya_fr

    • Comment l’UE a fermé la route migratoire entre la Libye et l’Italie

      Les Européens coopèrent avec un Etat failli, malgré les mises en garde sur le sort des migrants dans le pays

      L’une des principales voies d’entrée en Europe s’est tarie. Un peu plus de 1 100 personnes migrantes sont arrivées en Italie et à Malte par la mer Méditerranée sur les cinq premiers mois de l’année. Un chiffre en fort recul, comparé aux 650 000 migrants qui ont emprunté cette voie maritime ces cinq dernières années. Le résultat, notamment, d’une coopération intense entre l’Union européenne, ses Etats membres et la Libye.

      En 2014, alors que le pays est plongé dans une guerre civile depuis la chute du régime de Kadhafi, plus de 140 000 migrants quittent ses côtes en direction de l’Italie, contre quelque 42 000 l’année précédente pour toute la rive sud de la Méditerranée centrale. Cette dernière devient, deux ans plus tard, la principale porte d’entrée sur le continent européen.

      Inquiète de cette recrudescence, l’Italie relance en mars 2016 ses relations bilatérales avec la Libye – interrompues depuis la chute de Kadhafi –, à peine le fragile gouvernement d’union nationale (GNA) de Faïez Sarraj installé à Tripoli sous l’égide de l’ONU. Emboîtant le pas à Rome, l’UE modifie le mandat de son opération militaire « Sophia ». Jusque-là cantonnée à la lutte contre le trafic de migrants en Méditerranée, celle-ci doit désormais accompagner le rétablissement et la montée en puissance des gardes-côtes libyens.

      Dans cette optique, dès juillet 2016, l’UE mandate les gardes-côtes italiens pour « assumer une responsabilité de premier plan » dans le projet de mise en place d’un centre de coordination de sauvetage maritime (MRCC) à Tripoli et d’une zone de sauvetage à responsabilité libyenne dans les eaux internationales. C’est une étape majeure dans le changement du paysage en Méditerranée centrale. Jusque-là, compte tenu de la défaillance de Tripoli, la coordination des sauvetages au large de la Libye était assumée par le MRCC de Rome. Les migrants secourus étaient donc ramenés sur la rive européenne de la Méditerranée. Si Tripoli prend la main sur ces opérations, alors ses gardes-côtes ramèneront les migrants en Libye, même ceux interceptés dans les eaux internationales. Une manière de « contourner l’interdiction en droit international de refouler un réfugié vers un pays où sa vie ou sa liberté sont menacées », résume Hassiba Hadj-Sahraoui, conseillère aux affaires humanitaires de Médecins sans frontières (MSF).

      Les premières formations de gardes-côtes débutent en octobre 2016, et les agences de l’ONU sont mises à contribution pour sensibiliser les personnels au respect des droits de l’homme. « C’est difficile d’en mesurer l’impact, mais nous pensons que notre présence limite les risques pour les réfugiés », estime Roberto Mignone, l’ancien représentant du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés en Libye.

      Au sein de l’UE, tous les outils sont mobilisés. Même les équipes du Bureau européen d’appui à l’asile sont sollicitées. Un fonctionnaire européen se souvient du malaise en interne. « Le Conseil a fait pression pour nous faire participer, rapporte-t-il. On n’était clairement pas emballés. C’était nous compromettre un peu aussi dans ce qui ressemble à une relation de sous-traitance et à un blanc-seing donné à des pratiques problématiques. »
      Le travail des ONG entravé

      Le pays est alors dans une situation chaotique, et les migrants en particulier y encourent de graves violences telles que le travail forcé, l’exploitation sexuelle, le racket et la torture.

      Mais l’Europe poursuit son plan et continue de s’appuyer sur l’Italie. Le 2 février 2017, le gouvernement de gauche de Paolo Gentiloni (Parti démocrate) réactive un traité d’amitié de 2008 entre Rome et Tripoli, avec l’approbation du Conseil européen dès le lendemain. Des moyens du Fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique sont fléchés vers les enjeux migratoires en Libye – 338 millions d’euros jusqu’à aujourd’hui –, bien que l’Union fasse état de « préoccupations sur une collusion possible entre les bénéficiaires de l’action et les activités de contrebande et de traite ».

      A cette époque, les Nations unies dénoncent l’implication des gardes-côtes de Zaouïa (à 50 km à l’ouest de Tripoli) dans le trafic de migrants. En mai 2017, Marco Minniti, ministre italien de l’intérieur (Parti démocrate), remet quatre bateaux patrouilleurs à la Libye. Trois mois plus tard, Tripoli déclare auprès de l’Organisation maritime internationale (OMI) qu’elle devient compétente pour coordonner les sauvetages jusqu’à 94 milles nautiques au large de ses côtes.

      Le travail des ONG, lui, est de plus en plus entravé par l’Italie, qui les accuse de collaborer avec les passeurs et leur impose un « code de conduite ». S’ensuivront des saisies de bateaux, des retraits de pavillon et autres procédures judiciaires. L’immense majorité d’entre elles vont jeter l’éponge.

      Un tournant s’opère en Méditerranée centrale. Les gardes-côtes libyens deviennent à l’automne 2017 les premiers acteurs du sauvetage dans la zone. Ils ramènent cette année-là 18 900 migrants sur leur rive, presque quarante fois plus qu’en 2015.

      Leur autonomie semble pourtant toute relative. C’est Rome qui transmet à Tripoli « la majorité des appels de détresse », note un rapport de l’ONU. C’est Rome encore qui dépose en décembre 2017, auprès de l’OMI, le projet de centre libyen de coordination des sauvetages maritimes financé par la Commission européenne. Un bilan d’étape interne à l’opération « Sophia », de mars 2018, décrit d’ailleurs l’impréparation de Tripoli à assumer seule ses nouvelles responsabilités. La salle d’opération depuis laquelle les sauvetages doivent être coordonnés se trouve dans « une situation infrastructurelle critique »liée à des défauts d’électricité, de connexion Internet, de téléphones et d’ordinateurs. Les personnels ne parlent pas anglais.

      Un sauvetage, le 6 novembre 2017, illustre le dangereux imbroglio que deviennent les opérations de secours. Ce jour-là, dans les eaux internationales, à 30 milles nautiques au nord de Tripoli, au moins 20 personnes seraient mortes. Une plainte a depuis été déposée contre l’Italie devant la Cour européenne des droits de l’homme. Des rescapés accusent Rome de s’être défaussé sur les gardes-côtes libyens.« Un appel de détresse avait été envoyé à tous les bateaux par le MRCC Rome, relate Violeta Moreno-Lax, juriste qui a participé au recours. L’ONG allemande Sea-Watch est arrivée sur place quelques minutes après les gardes-côtes libyens. C’est Rome qui a demandé aux Libyens d’intervenir et à Sea-Watch de rester éloignée. »

      Les gardes-côtes présents – certains formés par l’UE – n’ont alors ni gilets ni canot de sauvetage. Sur les vidéos de l’événement, on peut voir l’embarcation des migrants se coincer sous la coque de leur patrouilleur. Des gens tombent à l’eau et se noient. On entend aussi les Libyens menacer l’équipage du Sea-Watch de représailles, puis quitter les lieux en charriant dans l’eau un migrant accroché à une échelle.

      Tout en ayant connaissance de ce drame, et bien qu’elle reconnaisse un suivi très limité du travail des gardes-côtes en mer, la force navale « Sophia » se félicite, dans son bilan d’étape de mars 2018, du « modèle opérationnel durable » qu’elle finance.

      L’année 2018 confirme le succès de cette stratégie. Les arrivées en Italie ont chuté de 80 %, ce qui n’empêche pas le ministre de l’intérieur, Matteo Salvini (extrême droite), d’annoncer à l’été la fermeture de ses ports aux navires humanitaires.
      « Esclavage » et « torture »

      L’ONU rappelle régulièrement que la Libye ne doit pas être considérée comme un « port sûr » pour débarquer les migrants interceptés en mer. Les personnes en situation irrégulière y sont systématiquement placées en détention, dans des centres sous la responsabilité du gouvernement où de nombreux abus sont documentés, tels que des « exécutions extrajudiciaires, l’esclavage, les actes de torture, les viols, le trafic d’être humains et la sous-alimentation ».

      La dangerosité des traversées, elle, a explosé : le taux de mortalité sur la route de la Méditerranée centrale est passé de 2,6 % en 2017 à 13,8 % en 2019.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/comment-l-ue-a-ferme-la-route-entre-la-libye-et-l-italie_5459242_3210.html

  • Il y a déjà beaucoup de matériel sur seenthis concernant les #ONG en #Méditerranée (v. https://seenthis.net/messages/678296)

    Je me suis dite que cela valait la peine de commencer un nouveau fil, car il y aura encore beaucoup de choses à archiver depuis que le nouveau gouvernement en Italie a été formé...

    Ce fil complète plus particulièrement celui-ci : https://seenthis.net/messages/514535

    #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #sauvetage

    cc @isskein

    • Ong, Saviano replica a #Salvini: «Il diritto del mare ha una regola sacra: non si lasciano annegare le persone»

      Lo scrittore e giornalista Roberto Saviano risponde attraverso un video alle parole pronunciate dal leader della Lega e neo ministro Matteo Salvini ("Le Ong? No ai vice scafisti che attraccano nei porti"): «La poca conoscenza che ha il ministro Salvini del diritto del mare lo porta a ignorare un elemento fondamentale: le Ong agiscono sempre coordinate dalla Guardia Costiera italiana, quindi sempre nel rispetto delle regole. Dando dei ’vice scafisti’ a persone che salvano vite in mare, sta dando anche colpa alla Guardia costiera italiana e di questo deve prendersene responsabilità». Infine dice: «Il diritto del mare ha una regola eterna: Non si lasciano persone a mare, non si lasciano annegare. E non sarà Salvini a interrompere questo diritto sacro»

      https://video.repubblica.it/politica/ong-saviano-replica-a-salvini-il-diritto-del-mare-ha-una-regola-sacra-non-si-lasciano-annegare-le-persone/306649/307279?refresh_ce

    • Migranti, Salvini a Malta: «La nave Aquarius non può attraccare in Italia». La replica: «Non spetta a noi»

      La decisione del ministro dell’Interno che ha intimato a Malta di accettare la nave con a bordo 629 migranti che sta entrando nelle acque di competenza de La Valletta. Gino Strada: «Sconcertato nel vedere ministri razzisti o sbirri alla guida del mio Paese»


      https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/18_giugno_11/migranti-salvini-la-aquarius-non-potra-approdare-un-porto-italiano-28e
      #Malte

    • #Aquarius, da Napoli a Palermo i sindaci contro Salvini: “I nostri porti sono aperti. È senza cuore e viola le norme”

      #Luigi_De_Magistris e #Leoluca_Orlando danno la loro disponibilità ad accogliere la nave Aquarius con a bordo gli oltre 600 migranti. Il sindaco di #Messina: «La nave è diretta qui, no a diktat: il porto è aperto». #Falcomatà (#Reggio_Calabria): «Disponibili come sempre». Pd: «Rischi umanitari, parli Conte». Boldrini: «Il ministro dell’Interno riporta il Paese ai tempi di sua nonna». Ma Forza Italia sta con il governo

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/10/aquarius-da-napoli-palermo-sindaci-contro-salvini-nostri-porti-sono-aperti-e-senza-cuore-e-viola-le-norme/4417316
      #Naples #Palerme #port

    • Migranti, Salvini a Malta: «Accolga la nave Aquarius, porti italiani chiusi». La replica: «Non è nostra competenza»

      Messaggio alle autorità maltesi: «Il porto più sicuro è il vostro». La risposta è negativa: «Il soccorso è stato coordinato da Roma». Il premier Conte: «Inviamo motovedette con medici». Alle 22.50 arrivano nuove istruzioni: fermarsi in mezzo al mare a 35 miglia dalla Sicilia


      http://www.repubblica.it/politica/2018/06/10/news/porti_salvini-198644488

    • De Magistris: «Il porto di Napoli pronto ad accogliere i migranti»

      Il sindaco del capoluogo campano risponde così alla decisione del ministro dell’Interno: «Metodo brutale, noi siamo per le vite umane». Con lui, i primi cittadini di Messina, Palermo, Reggio Calabria. Molte le critiche da sinistra. Grasso (Leu) commenta la foto di Salvini: «Olio di ricino su tela»

      http://www.repubblica.it/politica/2018/06/10/news/de_magistris_il_porto_di_napoli_pronto_ad_accogliere_i_migranti_-19866240

    • L’#Espagne va accueillir le navire avec 629 migrants en Méditerranée, le ministre italien Salvini crie victoire et prévient les autres navires

      L’Espagne a accepté d’accueillir le navire transportant les 629 migrants secourus au large de la Libye, dont le sort était l’enjeu d’un bras de fer entre Malte et l’Italie, a annoncé lundi le gouvernement de Pedro Sanchez. « Le président du gouvernement Pedro Sanchez a donné des instructions pour que l’Espagne honore les engagements internationaux en matière de crise humanitaire et a annoncé qu’elle accueillerait dans un port espagnol le navire Aquarius dans lequel se trouvent plus de 600 personnes abandonnées à leur sort en Méditerranée », indique un communiqué de la présidence du gouvernement.

      http://www.lalibre.be/actu/international/l-espagne-va-accueillir-le-navire-avec-629-migrants-en-mediterranee-le-minis

    • Migrants rejetés par l’Italie : l’Espagne propose d’accueillir l’« Aquarius » dans le port de Valence

      Six cent vingt-neuf passagers, dont de nombreux enfants, sont depuis samedi à bord du navire de sauvetage qui ne trouve pas de port pour l’accueillir.

      Un espoir pour les 629 migrants de l’Aquarius ? Le chef du gouvernement espagnol, Pedro Sanchez, a annoncé lundi 11 juin que son pays accueillerait le navire de sauvetage affrété par l’ONG française SOS-Méditerranée qui s’est vu refuser depuis samedi l’accès aux ports italiens et maltais.

      « Il est de notre obligation d’aider à éviter une catastrophe humanitaire et d’offrir un “port sûr” à ces personnes », dit un communiqué de la présidence du gouvernement, précisant que le port de Valence a été choisi comme destination du navire.

      Le premier ministre maltais, qui a lui-même refusé d’accueillir le navire, a remercié sur Twitter son homologue espagnol et proposé de faire parvenir des provisions à l’Aquarius. « Nous devrons nous réunir pour éviter qu’une telle situation se reproduise », écrit-il, ajoutant : « Il s’agit d’un problème européen. »

      Rien n’est pourtant acté du côté de l’association SOS-Méditerranée : « Cette déclaration politique doit encore trouver une traduction opérationnelle, notamment auprès des autorités maritimes », a indiqué au Monde Fabienne Lassalle, directrice adjointe de l’ONG.

      Depuis dimanche, la situation n’a pas évolué au large de Malte, où se trouve l’Aquarius, à quelque 30 milles de la petite île méditerranéenne, malgré les appels en ce sens de l’ONU et de Bruxelles. Sept femmes enceintes, 11 enfants en bas âge et 123 mineurs isolés notamment se trouvent à bord.

      « Impératif humanitaire »

      « Nous demandons à toutes les parties concernées de contribuer à un règlement rapide afin que les personnes à bord du navire Aquarius puissent être débarquées en toute sécurité dès que possible », a déclaré devant la presse le porte-parole de la Commission européenne, Margaritis Schinas, évoquant un « impératif humanitaire ».

      Le même terme a été repris par le Haut-Commissariat pour les réfugiés (HCR) de l’Organisation des Nations unies, qui a décrit la situation comme « un impératif humanitaire urgent ». « Les gens sont en détresse, ils sont à court de provisions et ont besoin d’aide rapidement », affirment les Nations unies. « Les questions plus larges de savoir qui a la responsabilité et comment ces responsabilités doivent être partagées entre Etats devraient être traitées plus tard », ajoute leur communiqué.

      En Europe, Berlin a fait part de sa préoccupation. « Le gouvernement allemand appelle toutes les parties impliquées à assumer leur responsabilité humanitaire », a déclaré le porte-parole du gouvernement allemand, Steffen Seibert.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/06/11/la-commission-europeenne-exhorte-malte-et-l-italie-a-trouver-une-solution-po
      #Valence

    • El Gobierno ofrece el puerto de Valencia para acoger a los 629 refugiados a la deriva en el Mediterráneo

      El Gobierno central acepta el ofrecimiento de Valencia como ciudad de acogida de los más de 600 inmigrantes que llevan días deambulando en un barco en el Mediterráneo. El alcalde de València, Joan Ribó, ha ofrecido este lunes la ciudad de para acoger a los refugiados del Aquarius, el barco de rescate de la ONG SOS Mediterráneo con 629 inmigrantes a bordo, entre ellos 123 menores, al que Italia ha cerrado sus puertos.

      https://www.eldiario.es/cv/Ribo-Valencia-refugiados-rescatados-Mediterraneo_0_781122098.html

    • Pedro Sánchez ofrece València como puerto para el ‘Aquarius’

      El Gobierno de España ha ofrecido a la ONU la ciudad de València como “puerto seguro” para el barco ‘Aquarius’, que navega con 629 inmigrantes y refugiados rescatados por MSF y Sos Mediterranée, cuya entrada a Italia ha sido impedida por el nuevo ministro del Interior, Matteo Salvini. La alcaldesa de Barcelona, Ada Colau, también había ofrecido su puerto.

      Pedro Sánchez ha dado instrucciones para que España “cumpla con los compromisos internacionales en materia de crisis humanitarias”, ha destacado el Ejecutivo en un comunicado. “Es nuestra obligación ayudar a evitar una catástrofe humanitaria y ofrecer ‘un puerto seguro’ a estas personas, cumpliendo de esta manera con las obligaciones del Derecho Internacional”, añade. El destino será València previa coordinación con la Generalitat valenciana.


      http://www.lavanguardia.com/local/valencia/20180611/4519741327/valencia-se-ofrece-puerto-aquarius.html

    • Aquarius: Spagna troppo lontana, fa rotta verso l’Italia

      Sos e Msf decidono di non fare rotta verso la Spagna, troppo rischioso. Raggiungere Valencia significa sottoporre i migranti a ore estenuati di viaggio. A bordo c’è ancora cibo e acqua ma non sufficienti per i giorni necessari a raggiungere la Spagna: l’equipaggio ritiene che sia comunque rischioso.

      La nostra corrispondente, Anelise Borges, direttamente dalla nave, ha intervistato in esclusiva per Euronews il coordinatore della ong Sos Mediterranée Italia, Nicola Stalla:

      «Abbiamo informato Spagna e Italia e tutte le autorità marittime in comunicazione con l’Aquarius in queste ore, che le circostanze in cui ci troviamo e con la quantittà ingente di persone a bordo, non ci sarebbero le condizioni di sicurezza per la nave e per l’equipaggio e per tutte le persone che sono a bordo per affrontare quest’altro viaggio e arrivare in spagna»

      Avremmo potuto affrontare questo tipo di viaggio se avessimo avuto meno persone sulla nave in modo tale che potessero essere accomodati e protetti all’interno di uno spazio coperto e non esposti all’aperto sui pontili. Le condizioni atmosferiche peggioreranno nei prossimi giorni infatti"
      La Sos Mediterrannée che opera in parternariato con Medici senza frontiere, reputa insomma troppo lontana la Spagna e non puo accettare la proposta del neo premier Pedro Sànchez.

      http://it.euronews.com/2018/06/11/aquarius-spagna-troppo-lontana-fa-rotta-verso-l-italia

    • L’Aquarius non approderà in Spagna

      La ong SOS Mediterranée ha rifiutato l’offerta del governo spagnolo: il viaggio fino al porto di Valencia sarebbe stato insostenibile per i seicento migranti a bordo della nave

      Lunedì sera la ong SOS Mediterranée ha fatto sapere che la nave Aquarius in arrivo dalla Libia e con circa seicento migranti a bordo non approderà al porto di Valencia, nonostante l’offerta del nuovo governo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sánchez. SOS Mediterranée – che si trova ancora tra Malta e Italia dopo che le era stato rifiutato l’approdo dal governo italiano – ha detto che il viaggio per Valencia sarebbe stato troppo lungo, dai tre ai cinque giorni, e avrebbe messo in pericolo la vita delle persone a bordo. La nave, infatti, ha già raggiunto la sua massima capienza e nei prossimi giorni è previsto un peggioramento del tempo. SOS Mediterranée ha ringraziato il governo spagnolo dell’offerta e ha sollecitato quello italiano a trovare una soluzione per le oltre seicento persone che si trovano sulla nave, molte delle quali minori e alcune in condizioni di salute precarie.

      Il governo spagnolo – che da pochi giorni è guidato dal leader socialista Pedro Sánchez – aveva fatto sapere di aver messo a disposizione il porto di Valencia «per evitare una crisi umanitaria». Valencia dista però più di 1.500 chilometri e fin da subito erano emersi dubbi sul fatto che l’equipaggio e le persone soccorse sarebbero state in grado di compiere un viaggio così lungo.

      https://www.ilpost.it/2018/06/11/aquarius-migranti-salvini

    • Commentaire de Sara Prestianni sur FB :

      Valencia è a 700 miglia da dove si trova ora L’Aquarius, a 3-4 giorni di traversata .... non certo il porto più sicuro.

      Inoltre con il far approdare la nave della Marina al porto di Catania, Salvini ribadisce che il suo obbiettivo sono, oltre ai migranti, le ong che praticano salvataggio in mare.

      https://www.facebook.com/prestianni.sara/posts/10216315178380129

      Et réponse d’Alessandro Fioroni :

      infatti mi pare che questo aspetto sia quasi espunto dal dibattito, tra l’altro 4 giorni per andare e 4 per tornare fanno 8, 8 giorni di assenza dalla zona calda. Spero proprio che non si verifichino tragedie

    • Pourquoi le navire humanitaire « Aquarius » n’accosterait pas en France ?

      A la différence de l’Espagne, la France n’a pour l’heure pas fait de proposition à l’ONG SOS Méditerranée pour accueillir son bateau, et rien ne l’y oblige.

      Bonjour,

      Le navire Aquarius, qui secoure les migrants en difficulté en Méditerranée au cours de la traversée vers l’Europe, s’est vu proposer, lundi 11 juin, un port espagnol pour accoster. Habitué des rades italiennes, le bateau affrété par SOS Méditerranée paye cher l’arrivée au pouvoir, de l’autre côté des Alpes, de la coalition Ligue du Nord (extrême droite) - mouvement Cinq Étoiles (anti système).

      Le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini (Ligue du Nord) a en effet refusé, pendant le week-end, d’accueillir l’Aquarius, et les plus de 600 migrants rescapés à son bord. Dimanche, Salvini reprochait à Malte de ne pas prendre ses responsabilités, menaçant de ne plus laisser accoster aucun bateau humanitaire dans les ports italiens, si La Valette n’ouvrait pas ses rades à l’Aquarius. Mais les Maltais ont refusé.

      Le Premier ministre socialiste espagnol Pedro Sanchez est alors entré en jeu, proposant le port de Valence au navire. Salvini s’est alors félicité, lors d’une conférence de presse à Milan, ce lundi après-midi, que le bateau débarque « dans un autre port qu’un port italien ». « Victoire », a aussi écrit le droitiste ministre de l’Intérieur italien sur Twitter. Dans la foulée, le Premier ministre maltais annonçait que l’île allait envoyer des ravitaillements à l’Aquarius, pour lui permettre de rallier l’Espagne.
      Querelle de droits

      L’Aquarius est intervenu dans les eaux territoriales libyennes, et a réalisé, selon l’Agence France-Presse, six opérations dans la nuit de samedi à dimanche. Il compte aujourd’hui 629 migrants à son bord. Sur marinetraffic.com, on peut situer le navire, au sud de la Sicile, à l’est de Malte et observer le trajet du bateau jusqu’aux côtes de Libye et en sens inverse.

      « Selon la Convention internationale sur le sauvetage (Search and Rescue, SAR) de 1979, les Etats définissent une zone où ils sont habilités à effectuer des sauvetages », explique à CheckNews Kiara Neri, maître de conférences à Lyon III. Puisque la Libye n’a pas les moyens d’assurer cette mission, la « zone SAR » italienne s’étend jusqu’aux côtes de l’Etat africain. « C’est donc le commandement de Rome qui gère les bateaux humanitaires qui interviennent là-bas », résume la spécialiste du droit international et maritime.

      L’Organisation internationale pour les migrations (OIM), dans une résolution de 2004, rappelle qu’il faut, en vertu des conventions internationales, que « dans un temps raisonnable, un endroit sûr [place of safety] » soit assuré aux personnes assistées en mer. Et ensuite : « La responsabilité de mettre à disposition un endroit sûr, ou de s’assurer qu’un endroit sûr soit mis à disposition, incombe au gouvernement responsable de la zone SAR dans laquelle les survivants ont été sauvés. » En l’occurrence, l’Italie.

      Or, à 19 heures ce lundi, Rome n’a toujours pas donné de consignes à l’Aquarius. « Nous sommes toujours en stand by », se désole Antoine Laurent, responsable des opérations maritimes de SOS Méditerranée, auprès de CheckNews. « On attend d’avoir des nouvelles des Italiens, soit pour nous dire d’accoster quelque part, soit pour nous confirmer qu’on doit aller en Espagne. »

      Sur le papier, toutefois, plusieurs villes, comme Reggio de Calabre, ou Naples, ont offert l’hospitalité, via les réseaux sociaux, à l’Aquarius. « Mais ces propositions ne servent pas si le ministère de l’Intérieur s’y oppose », rappelle Kiara Neri.
      Et la France dans tout ça ?

      Théoriquement, le bateau a le droit de sortir de la zone SAR italienne. Le problème, c’est qu’il n’en a pas les moyens. L’Espagne est à près de trois jours de mer, et le bateau ne dispose de vivres que pour une journée, selon Sophie Beau. La directrice générale de SOS Méditerranée, interrogée par l’AFP, juge la proposition espagnole « encourageante » mais « concrètement, il faut qu’on puisse débarquer au plus vite. »

      Ce manque de nourriture constitue, selon l’ONG, un « impératif humanitaire urgent », qui pourrait contraindre Malte ou l’Italie à laisser accoster l’Aquarius.

      Le bâtiment appartenant à une ONG française, que peut et doit faire Paris ? « Légalement, rien n’oblige la France à proposer quoi que ce soit », observe Kiara Neri. Par ailleurs, « la France n’est pas beaucoup plus près que l’Espagne », remarque Antoine Laurent qui préférerait voir le bateau jeter l’ancre à Malte ou en Sicile.

      Toutefois, selon le responsable de SOS Méditerranée, l’ONG n’a reçu aucune proposition de la part des autorités françaises. Sollicités par CheckNews, les ministères de l’Intérieur et des Affaires étrangères, et la présidence de la République n’ont pas répondu.

      Interrogé à ce sujet par une journaliste de BFM, lors d’une conférence de presse en marge d’une rencontre bilatérale avec la Belgique sur la sécurité et la lutte contre le terrorisme, le Premier ministre Edouard Philippe a botté en touche, évoquant plus largement la politique migratoire française, estimant notamment qu’il faut « traiter avec les pays d’origine de ces migrations […] pour éviter les départs ».

      Cordialement

      http://www.liberation.fr/checknews/2018/06/11/pourquoi-le-navire-humanitaire-aquarius-n-accosterait-pas-en-france_16582

    • UN High Commissioner for Refugees welcomes Spain’s decision to allow Aquarius to dock
      Today’s decision of Prime Minister Pedro Sanchez of Spain to exceptionally allow a rescue ship, Aquarius, to dock in his country is courageous and welcome. It ends what was becoming an increasingly difficult and untenable situation for the crew of the Aquarius and the more than 600 rescued people who were aboard.

      Irrespective of how European countries choose to manage their sea borders, the principle of rescue at sea is one that should never be in doubt. I would welcome opportunity to discuss with concerned governments arrangements for search and rescue operations in the Mediterranean and to avoid any repetition of the situation in which the Aquarius found itself.

      My office stands ready, as always to work with countries of Europe and the Mediterranean to ensure that saving lives and maintaining asylum remains our shared priority.

      http://www.unhcr.org/news/press/2018/6/5b1ea1824/un-high-commissioner-refugees-welcomes-spains-decision-allow-aquarius-dock.ht

    • Refugees in Orbit – again !

      Matteo Salvini, Italy’s new far-right home secretary, tweeted “Vittoria!” after news broke that the 629 persons stranded aboard the M.S. Aquarius would be forced to proceed to the Spanish city of Valencia rather than being allowed to disembark at much closer ports in Sicily. But for whom was it a “victory”?

      Surely not for those seeking asylum who had been stranded at sea for days on an overcrowded search and rescue ship. The ability of ship’s crew of 12 had been strained to the breaking point attempting to meet the medical and survival needs of those rescued on Saturday, including persons with serious chemical burns and others requiring urgent orthopaedic surgery, as Italy and Malta bickered like petulant children about which should step in to save lives.

      And surely not for international law. The longstanding principle that a shipmaster has a duty to rescue persons in distress without regard for their nationality, status, or circumstances is pragmatically viable only when states honour their duty to enable the speedy disembarkation of those rescued – a duty that Italy (and perhaps also Malta) breached in this case.

      But is it a victory for Italy, as the home secretary presumably meant to suggest? There is no doubt that Italy (and to a much greater extent, Greece) has shouldered more than its fair share of refugees arriving to seek protection in Europe. Nor can it be doubted that Europe and the rest of the world have acted too slowly and undependably to share-out what is in principle a common responsibility to protect refugees, thus fueling frustration and even anger. The EU’s absurd “Dublin Regulation” rule that allocates nearly all protection duties to the first country in which a refugee arrives is both unprincipled and cruel. So while nothing can justify Italy’s flagrant breach of the duty to facilitate speedy disembarkation of those rescued, its determination to force a redistribution of responsibility is perhaps more comprehensible.

      In truth, the real villain here is an outmoded system of implementing protection obligations under the UN’s Refugee Convention. Under the status quo, whatever country a refugee reaches is the one and only country that has protection obligations to that refugee. Accidents of geography, rather than any principled metric, determine which states are obliged to carry the burdens for implementing what is in theory a universal duty to protect refugees. That approach has led to some 60% of the world’s refugees being left in the hands of just 10, mostly very poor, countries – with the rest of us giving them only bits of charity and offering resettlement to only about 1% of the refugees they admit. There is therefore a perverse incentive built into the system to turn refugees away – as this week’s horrific events in the Mediterranean make clear.

      The UN’s “global compact” process was supposed to end this prisoner’s dilemma. Yet under the proposal now offered by UNHCR (the UN’s global refugee agency), little will change. The agency suggests only that states agree to attempt to hash out possible voluntary relief to frontline states on a case-by-case basis – leaving those states confronted with the arrival of refugees in the truly horrible bind of choosing between waiting and hoping for solidarity (that may or may not come) and turning refugees away. For the UN to have failed to put forward a plan for binding and immediate sharing of financial burdens and human responsibilities is ethically inexcusable.

      So if Italy is angry, it should turn its anger toward those responsible for its dilemma – the EU for failing to move beyond the manifestly wrong-headed “first country of arrival rule,” and the UN for failing to offer leadership on a serious system to share refugee burdens and responsibilities. But taking out its anger on sick and exhausted refugees as it did this week was not a victory for anyone.

      https://verfassungsblog.de/refugees-in-orbit-again

    • En 1939, l’Amérique ferma sa frontière à un paquebot de 908 réfugiés #juifs

      À l’heure où l’Europe ferme ses frontières aux réfugiés, il est bon de se rappeler cet épisode de 1939 où un bateau de plus de 900 réfugiés juifs fut prié de retourner en Europe, sous le régime nazi.

      Le 13 mai 1939, le #Saint-Louis, paquebot transatlantique allemand, quitte le port de Hambourg. À son bord, 937 passagers. La grande majorité d’entre eux sont des juifs allemands fuyant le Troisième Reich.

      Persécutés–quelques mois auparavant avait lieu la Nuit de Cristal, pogrom où une centaine de juifs furents assassinés–, ils ont réuni l’argent nécessaire pour un visa et un aller simple sur le Saint-Louis dans l’espoir de trouver refuge en Amérique.

      Mais, alors que leur paquebot appareille dans le port de la Havane, les autorités cubaines ne les autorisent pas à débarquer. Hostile envers les juifs, « le pays souffrait en plus d’une dépression économique et beaucoup de Cubains n’appréciaient pas du tout le nombre relativement grand de réfugiés [...], qui étaient perçus comme des concurrents pour les rares emplois », rapporte l’Encyclopédie multimédia de la Shoah. Seuls vingt-neuf d’entre eux sont autorisés à rester sur le sol cubain.

      Quotas de réfugiés

      Après Cuba, le Saint-Louis tente sa chance aux États-Unis. Le bateau navigue si près des côtes de la Floride que les passagers aperçoivent les lumières de Miami. Un câble est envoyé au président Franklin D. Roosevelt, lui demandant de leur accorder l’asile. Il ne reçut jamais de réponse.
      À l’époque, la presse américaine s’est largement fait l’écho de la situation critique des passagers du Saint-Louis. Mais l’Acte d’immigration de 1924, mis en place aux États-Unis, limitait le nombre de réfugiés pouvant être admis chaque année. À l’été 1939, le quota était déjà atteint.

      Les Américains, quoique compatissants vis-à-vis des réfugiés et indignés par la politique du régime nazi, soutiennent ces restrictions à l’immigration. La crise économique de 1929 venait de passer par là, laissant des millions d’Américains au chômage, et l’arrivée d’immigrés était vue comme une menace sur les derniers emplois disponibles.

      Souvenir honteux

      Le Saint-Louis a dû faire demi-tour pour l’Europe, alors sous la botte nazie. Beaucoup de ses passagers furent victimes des camps, comme les membres de cette famille, tous tués à Auschwitz, rapporte le site News :

      Le Saint-Louis a dû faire demi-tour pour l’Europe, alors sous la botte nazie. Beaucoup de ses passagers furent victimes des camps

      Le souvenir honteux du paquebot Saint-Louis, désormais immortalisé dans les musées de l’holocauste à travers le monde, n’est pas sans rappeler la situation critique de l’Europe.

      La Méditerranée est devenue un cimetière marin, avec plus de 30.000 migrants morts depuis 2000 lors du naufrage de leur embarcation, tandis qu’à Calais les réfugiés tentent de forcer l’entrée du tunnel sous la Manche au péril de leur vie. Pendant ce temps, les pays européens hésitent sur la marche à suivre pour gérer cet afflux de migrants et de réfugiés fuyant la guerre dans leur pays.

      Faut-il leur ouvrir toutes grandes les portes de l’Europe ? Faut-il se protéger avec encore plus de barbelés ? L’opinion oscille entre bonne volonté utopique et xénophobie voilée. Il n’existe aucune solution simple, mais conclut le site Project Syndicate, « se rappeler du sort des juifs d’Europe dans les années 1930 devrait au moins nous obliger à ne pas faire preuve d’indifférence envers le sort de ceux qui n’ont nulle part où aller ».


      http://www.slate.fr/story/106249/1939-amerique-refoulait-refugies-juifs
      #histoire #WWII #deuxième_guerre_mondiale #seconde_guerre_mondiale

    • Cronaca di una giornata sull’Aquarius

      Dalla sera del 10 giugno la nave Aquarius di Sos Méditerranée e Medici senza frontiere è ferma a 35 miglia dalle coste italiane, in attesa che le autorità decidano quale è il porto di destinazione, ma la situazione a bordo è sempre più critica. La nave trasporta 629 persone, salvate in diverse operazioni al largo della Libia nel corso del weekend: i viveri basteranno ancora soltanto per poche ore. Nel frattempo il nuovo governo spagnolo, guidato dal socialista Pedro Sánchez, ha dato la sua disponibilità allo sbarco dei migranti nel porto di Valencia, in Spagna, che dista però qualche giorno di navigazione dal punto in cui la nave umanitaria si trova in questo momento.

      L’annuncio è stato accolto con sorpresa da Medici senza frontiere che in un comunicato ha detto di non aver ricevuto ancora comunicazioni ufficiali. “Medici senza frontiere ha appreso dai mezzi d’informazione che il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, ha offerto Valencia come porto di sbarco per la nave Aquarius. Non abbiamo ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale in merito da parte dei centri di coordinamento dalla centrale operativa della guardia costiera di Italia o Spagna. La situazione a bordo per le 629 persone soccorse, con diverse di loro che hanno bisogno di assistenza medica, richiede una soluzione urgente”.

      “Le persone a bordo hanno cominciato a chiedere cosa sta succedendo”, racconta Alessandro Porro, uno dei volontari italiani di Sos Méditerranée. “Li abbiamo informati che stiamo aspettando istruzioni per l’indicazione di un porto di sbarco, ma li abbiamo rassicurati sul fatto che non li porteremo in Libia, questa è la loro maggiore preoccupazione”, racconta Porro. A bordo non ci sono casi medici che hanno bisogno di un immediato trasferimento: ci sono sette donne incinte che probabilmente saranno trasportate in Italia con delle motovedette italiane perché non possono sostenere il viaggio verso la Spagna. “Le persone a bordo hanno problemi di disidratazione, di ustioni da carburante e infine c’è un ragazzo che ha bisogno di un intervento chirurgico”, continua Porro. Le motovedette con i presidi medici, che erano state annunciate dal governo italiano, non sono mai arrivate.

      “Avere più di seicento persone a bordo implica che lo spazio a loro disposizione non sia molto, la nave è lunga settanta metri, non è un traghetto. Per ora non ci sono ancora state tensioni, ma la situazione non è facile, ci stiamo facendo aiutare dagli stessi migranti per le pulizie. Solo le donne possono stare sotto coperta, gli uomini e i ragazzi sono sul ponte, all’aperto”, continua Porro che spiega che di solito il tempo di permanenza in queste condizioni è di uno o due giorni. “Non c’è problema né per il carburante né per l’acqua, perché l’Aquarius ha al momento parecchia autonomia e ha un impianto di desalinizzazione dell’acqua marina, ma i viveri finiranno entro poche ore”, conclude Porro.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/06/11/cronaca-giornata-aquarius

    • Yesterday, Monday 11th June, at 9pm, more than a thousand of people gathered in front of the port of Palermo to protest against the decision of Salvini, Italian Minister of Internal Affairs, to close Italian ports to boats carrying migrants.

      Hier, lundi 11 juin, à 21h, plus de mille personnes se sont rassemblées devant le port de Palerme pour protester contre la décision de Salvini, Ministre de l’Intérieur italien, de fermer les ports aux bateaux transportant des migrant.e.s.

      Des associations, des civils, des officiels dont le maire, se sont rejoints devant le port, un peu avant 21h. Le cortège s’est ensuite rendu jusqu’à Piazza Massimo, coeur de la ville, en passant devant la Préfecture de Palerme.

      Quelques articles/ photos sur la situation en Italie / et la manifestation (en italien)
      http://palermo.repubblica.it/cronaca/2018/06/12/foto/palermo_in_migliaia_al_porto_per_solidarieta_all_aquarius-198792435/1/#4

      http://siciliainformazioni.com/cettina-vivirito/834435/palermo-reato-di-altruismo-siamo-tutti-colpevoli-al-presidio-ap

      http://www.radiondadurto.org/2018/06/11/nave-aquarius-lega-e-5-stelle-chiudono-i-porti-scoppia-il-caso-diplom

    • Les dirigeants nationalistes corses proposent d’accueillir l’«Aquarius», chassé d’Italie

      Le président du conseil exécutif de Corse Gilles Simeoni a proposé ce mardi d’accueillir sur l’île le navire affrété par l’ONG qui a secouru 629 migrants en Méditerranée, enjeu d’un bras de fer entre l’Italie et Malte, qui refusent de le laisser accoster. « Manque de vivres, mauvaises conditions météo, et port espagnol trop éloigné : face à l’urgence, le conseil exécutif de Corse propose à @SOSMedFrance d’accueillir l’#Aquarius dans un port #corse », a tweeté Gilles Simeoni. L’Espagne avait proposé lundi d’accueillir le navire mais les dirigeants de l’ONG SOS Méditerranée jugent que les conditions de sécurité ne sont pas réunies pour mener le bateau jusqu’à l’Espagne.

      http://www.liberation.fr/direct/element/les-dirigeants-nationalistes-corses-proposent-daccueillir-laquarius-chass

      #Corse

    • Marie-Christine Vergiat : « C’est l’Union européenne qui a créé cette situation »

      L’eurodéputée Marie-Christine Vergiat dénonce la responsabilité de l’Union européenne qui, depuis une demi-douzaine d’années, laisse l’Italie gérer seule l’accueil des migrants pour l’Europe. Avec les dégâts politiques que l’on sait.
      Qui porte la responsabilité du blocage de l’Aquarius depuis dimanche, aux portes de l’Europe ? Si Matteo Salvini, le ministre de l’intérieur italien d’extrême droite, fait du refus de l’accueil des migrants sa marque de fabrique électoraliste, c’est l’Union européenne qui est la principale coupable du drame qui se joue actuellement, estime Marie-Christine Vergiat, députée européenne Front de gauche, membre de la GUE au Parlement de Strasbourg.

      L’Aquarius bloqué pendant deux jours en pleine mer : à qui la faute ?

      Marie-Christine Vergiat : C’est l’Union européenne qui, par absence de solidarité vis-à-vis de l’Italie, a créé cette situation. Avant 2011, et pendant des années, Malte [sollicitée après le refus de l’Italie – ndlr] a dû gérer toute seule l’arrivée des migrants, c’est pourquoi cette fois elle a refusé de prendre en charge l’Aquarius.

      Depuis 2011, date à laquelle les mouvements de population ont commencé à devenir plus importants, on a ensuite laissé l’Italie en première ligne se débrouiller. Aujourd’hui, elle accueille chaque année entre 100 000 et 150 000 personnes sur son territoire. Avec la mise en avant de « Dublin 3 », l’Italie a pris en charge le poids du sauvetage en mer pour toute l’Europe, et elle l’a plutôt bien fait.

      Il faut voir que quand le gouvernement italien a lancé l’opération « Mare Nostrum » pour aller secourir les personnes, elle s’est retrouvée seule. Matteo Renzi a dû trouver 95 millions d’euros d’octobre 2013 à octobre 2014 pour financer l’opération et, quand il a demandé de l’aide, le Conseil européen lui a donné 5 millions d’euros. Quant à la Grèce, elle a été en première ligne en 2015 et 2016, et a accueilli un million de personnes, là encore, seule.

      Comment expliquez-vous qu’il n’y ait jamais eu de répartition concertée des migrants entre les États membres ?

      En 2015, Jean-Claude Juncker, le président de la Commission européenne, a fait ce qu’il a pu : il a demandé à ce que 160 000 personnes soient « délocalisées » depuis l’Italie et la Grèce vers les autres pays européens sur deux ans. Même si cela était très insuffisant puisqu’il y avait 1,4 million de personnes arrivées en Italie et en Grèce sur la même période. Mais le premier réflexe des pays a été de refuser et de fermer leurs frontières. Heureusement qu’en 2015 et 2016, l’Allemagne d’Angela Merkel a accueilli 60 % des réfugiés (parmi eux, deux tiers de Syriens). Mais il faut rappeler que le nombre de réfugiés accueillis en Europe est une goutte d’eau par rapport à ce que vit le Moyen-Orient.

      Et pourtant, si l’on en croit les récentes élections en Italie notamment, le discours de l’extrême droite contre les migrants semble payant politiquement…

      Récemment, la Commission européenne a présenté une étude qui montre que les Européens restent solidaires des réfugiés dans tous les pays d’Europe, excepté en Italie. On peut pousser des cris d’orfraie, ce sentiment anti-immigré ne tombe pas du ciel. C’est facile de commenter alors qu’en France, on n’a jamais ouvert nos ports pour soulager l’Italie ou la Grèce. En réalité, la France a été très peu impactée par la crise migratoire. Le nombre de demandeurs d’asile n’a presque pas augmenté. Entre 2015 et 2016, il est passé de 85 000 à 95 000. Et encore, nous sommes un des pays où le taux d’acceptation des demandes d’asile est le plus bas – entre 35 et 40 % –, ce qui est en dessous de bien des pays européens. Quand on voit ce qui se passe à la frontière franco-italienne, c’est hallucinant : on fait du contrôle au faciès des migrants, au mépris des lois nationales, européennes et internationales… Il y a de quoi avoir honte de nos gouvernements ! En plus, ils se cachent derrière les accords de Dublin pour renvoyer les migrants dans le pays où ils ont accosté, donc très souvent en Italie, alors qu’il n’y a aucune obligation de « dublinage » : si le pays d’arrivée est obligé d’accepter le retour de la personne qui lui a été renvoyée, en revanche, l’autre pays européen n’est absolument pas obligé de la renvoyer là d’où elle vient.

      Où en êtes-vous de la réforme des accords de Dublin ?

      Il y a actuellement un bras de fer entre le Parlement européen et le Conseil européen. Au Parlement, six groupes sur huit, de la droite à la gauche européenne, sont d’accord pour proposer une clé de répartition. Le problème, c’est que le Conseil européen ne veut pas de cette solution et veut durcir Dublin en obligeant au renvoi dans le pays. Et contrairement à ce qu’on peut croire, il n’y a pas que les pays de l’Est qui bloquent. Les gouvernants, à l’exception des pays du Sud, affirment que mettre en place une répartition est trop compliqué pour les migrants et que c’est pour cela qu’ils refusent. Mais le problème, c’est qu’ils ne se donnent pas les moyens de l’accueil…

      Comment faire avancer les choses, puisqu’un blocage politique semble favoriser la flambée des extrêmes droites ?

      Le seul moyen de résister c’est, au lieu de courir derrière l’extrême droite, de faire tout le contraire : de montrer, d’une part, qu’il n’y a pas de « submersion » migratoire et, d’autre part, que si l’accueil est pensé et organisé, tout peut très bien se passer. Ce n’est de toute façon pas en construisant des murs qu’on va empêcher les migrants de venir.

      Cet épisode très médiatique de l’Aquarius bloqué en mer peut-il pousser le Conseil européen à revoir ses positions ?

      Il faut espérer que cette histoire permette de montrer ce qui se passe au Conseil européen. En tout cas, Pedro Sánchez, le nouveau président espagnol, a été courageux d’accepter que les 629 personnes bloquées sur le bateau débarquent en Espagne – même si cela s’explique par le fait que la question migratoire apparaît moins comme un enjeu du débat en Espagne… Aujourd’hui, il faut travailler dans deux directions pour l’opinion publique européenne : d’abord, expliquer que les migrations principales viennent non pas des pays du Sud, mais du Nord et d’Asie (Inde et Chine), et que les premiers migrants en Europe sont ukrainiens – ils arrivent en Pologne pour le travail. Ensuite, rappeler que la grande majorité des migrants arrivent de façon régulière (immigration de travail, pour faire des études, regroupement familial…) et que l’une des manières d’éviter les morts en Méditerranée et de ne pas faire le jeu des passeurs et des trafiquants, c’est d’ouvrir des voies de passage légales.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/110618/marie-christine-vergiat-c-est-l-union-europeenne-qui-cree-cette-situation?

    • Un plan de acogida vetado por Rajoy en 2015, clave para la llegada a Valencia de los refugiados del Aquarius

      La Conselleria de Igualdad y Políticas Inclusivas de la Generalitat Valenciana, dirigida por Mónica Oltra, ha desempolvado un plan elaborado hace tres años para acoger a refugiados sirios llegados a las islas griegas que el Gobierno Central nunca autorizó. El martes por la tarde habrá una reunión entre Generalitat, Ayuntamiento de Valencia y ONG para organizar la llegada de los 629 migrantes y refugiados a los que Italia ha negado sus puertos.

      http://www.publico.es/sociedad/plan-acogida-vetado-rajoy-2015-clave-llegada-valencia-refugiados-del-aquariu

    • Message de Sara Prestianni, via la mailing-list Migeurop (12.06.2018):

      Le Gouvernement Italien confirme sa volonté (folle) de ramener les migrants à Valencia bien que à plusieurs reprises Sos Med et autres ont signalé le risque que cela représentait pour les 629 migrants à bord de l’Aquarius de faire autres 3/4 jours de navigation avec la meteo qui semble empirer.
      Les migrants seront obligés à l’énième “trasbordo” - transfert - vers des bateaux de la Marine Militaire Italienne qui devraient les ramener à Valencia.

      La volonté du Gouvernement est clairement celle de criminaliser l’accès aux ports pour les ong qui sauvent vies humaines en mer.
      Hier, sans aucune déclaration officielle du Gouvernement, les 900 migrants interceptés en mer après les 629 qui se trouvent à bord de l’Aquarius,qui se trouvaient à bord de la Marine Militaire Italienne ont été autorisé à entrer dans le port de Catane. Le message de Salvini est claire : plus aucun bateau qui a un pavillon étranger pourra rentrer dans les ports italiennes avec à bord des migrants.
      Par ailleurs Salvini a annoncé une visite rapide en Libye et dans la réunion d’urgence sur le cas “Aquarius” il semblerait que la question de l’externalisation était à l’ordre du jour.

    • Lettera aperta di Gabriele Del Grande al Ministro dell’Interno Matteo Salvini

      Confesso che su una cosa sono d’accordo con Salvini: la rotta libica va chiusa. Basta tragedie in mare, basta dare soldi alle mafie libiche del contrabbando. Sogno anch’io un Mediterraneo a sbarchi zero. Il problema però è capire come ci si arriva. E su questo, avendo alle spalle dieci anni di inchieste sul tema, mi permetto di dare un consiglio al ministro perché mi pare che stia ripetendo gli stessi errori dei suoi predecessori.

      Blocco navale, respingimenti in mare, centri di detenzione in Libia. La ricetta è la stessa da almeno quindici anni. Pisanu, Amato, Maroni, Cancellieri, Alfano, Minniti. Ci hanno provato tutti. E ogni volta è stato un fallimento: miliardi di euro persi e migliaia di morti in mare.
      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2105161009497488&id=100000108285082

      Voici, hélas, ce qui est en train de se décider au niveau européen: un nouveau fonds pour la protection des frontières....
      https://seenthis.net/messages/701648

      Questa volta non sarà diverso. Per il semplice fatto che alla base di tutto ci sono due leggi di mercato che invece continuano ad essere ignorate. La prima è che la domanda genera l’offerta. La seconda è che il proibizionismo sostiene le mafie.

      In altre parole, finché qualcuno sarà disposto a pagare per viaggiare dall’Africa all’Europa, qualcuno gli offrirà la possibilità di farlo. E se non saranno le compagnie aeree a farlo, lo farà il contrabbando.

      Viviamo in un mondo globalizzato, dove i lavoratori si spostano da un paese all’altro in cerca di un salario migliore. L’Europa, che da decenni importa manodopera a basso costo in grande quantità, in questi anni ha firmato accordi di libera circolazione con decine di paesi extraeuropei. Che poi sono i paesi da dove provengono la maggior parte dei nostri lavoratori emigrati: Romania, Albania, Ucraina, Polonia, i Balcani, tutto il Sud America. La stessa Europa però, continua a proibire ai lavoratori africani la possibilità di emigrare legalmente sul suo territorio. In altre parole, le ambasciate europee in Africa hanno smesso di rilasciare visti o hanno reso quasi impossibile ottenerne uno.

      Siamo arrivati al punto che l’ultima e unica via praticabile per l’emigrazione dall’Africa all’Europa è quella del contrabbando libico. Le mafie libiche hanno ormai il monopolio della mobilità sud-nord del Mediterraneo centrale. Riescono a spostare fino a centomila passeggeri ogni anno con un fatturato di centinaia di milioni di dollari ma anche con migliaia di morti.

      Eppure non è sempre stato così. Davvero ci siamo dimenticati che gli sbarchi non esistevano prima degli anni Novanta? Vi siete mai chiesti perché? E vi siete mai chiesti perché nel 2018 anziché comprarsi un biglietto aereo una famiglia debba pagare il prezzo della propria morte su una barca sfasciata in mezzo al mare? Il motivo è molto semplice: fino agli anni Novanta era relativamente semplice ottenere un visto nelle ambasciate europee in Africa. In seguito, man mano che l’Europa ha smesso di rilasciare visti, le mafie del contrabbando hanno preso il sopravvento.

      Allora, se davvero Salvini vuole porre fine, come dice, al business delle mafie libiche del contrabbando, riformi i regolamenti dei visti anziché percorrere la strada del suo predecessore. Non invii i nostri servizi segreti in Libia con le valigette di contante per pagare le mafie del contrabbando affinché cambino mestiere e ci facciano da cane da guardia. Non costruisca altre prigioni oltremare con i soldi dei contribuenti italiani. Perché sono i nostri soldi e non vogliamo darli né alle mafie né alle polizie di paesi come la Libia o la Turchia.

      Noi quelle tasse le abbiamo pagate per veder finanziato il welfare! Per aprire gli asili nido che non ci sono. Per costruire le case popolari che non ci sono. Per finanziare la scuola e la sanità che stanno smantellando. Per creare lavoro. E allora sì smetteremo di farci la guerra fra poveri. E allora sì avremo un obiettivo comune per il quale lottare. Perché anche quella è una balla. Che non ci sono soldi per i servizi. I soldi ci sono, ma come vengono spesi? Quanti miliardi abbiamo pagato sottobanco alle milizie libiche colluse con le mafie del contrabbando negli anni passati? Quanti asili nido ci potevamo aprire con quegli stessi denari?

      Salvini non perda tempo. Faccia sbarcare i seicento naufraghi della Acquarius e anziché prendersela con le ONG, chiami la Farnesina e riscrivano insieme i regolamenti per il rilascio dei visti nei paesi africani. Introduca il visto per ricerca di lavoro, il meccanismo dello sponsor, il ricongiungimento familiare. E con l’occasione vada a negoziare in Europa affinché siano visti validi per circolare in tutta la zona UE e cercarsi un lavoro in tutta la UE anziché pesare su un sistema d’accoglienza che fa acqua da tutte le parti.

      Perché io continuo a non capire come mai un ventenne di Lagos o Bamako, debba spendere cinquemila euro per passare il deserto e il mare, essere arrestato in Libia, torturato, venduto, vedere morire i compagni di viaggio e arrivare in Italia magari dopo un anno, traumatizzato e senza più un soldo, quando con un visto sul passaporto avrebbe potuto comprarsi un biglietto aereo da cinquecento euro e spendere il resto dei propri soldi per affittarsi una stanza e cercarsi un lavoro. Esattamente come hanno fatto cinque milioni di lavoratori immigrati in Italia, che guardate bene non sono passati per gli sbarchi e tantomeno per l’accoglienza. Sono arrivati dalla Romania, dall’Albania, dalla Cina, dal Marocco e si sono rimboccati le maniche. Esattamente come hanno fatto cinque milioni di italiani, me compreso, emigrati all’estero in questi decenni. Esattamente come vorrebbero fare i centomila parcheggiati nel limbo dell’accoglienza.

      Centomila persone costrette ad anni di attesa per avere un permesso di soggiorno che già sappiamo non arriverà in almeno un caso su due. Perché almeno in un caso su due abbiamo davanti dei lavoratori e non dei profughi di guerra. Per loro non è previsto l’asilo politico. Ma non è previsto nemmeno il rimpatrio, perché sono troppo numerosi e perché non c’è la collaborazione dei loro paesi di origine. Significa che di qui a un anno almeno cinquantamila persone andranno ad allungare le file dei senza documenti e del mercato nero del lavoro.

      Salvini dia a tutti loro un permesso di soggiorno per motivi umanitari e un titolo di viaggio con cui possano uscire dal limbo dell’accoglienza e andare a firmare un contratto di lavoro, che sia in Italia o in Germania. E dare così un senso ai progetti che hanno seguito finora. Perché l’integrazione la fa il lavoro. E se il lavoro è in Germania, in Danimarca o in Norvegia, non ha senso costringere le persone dentro una mappa per motivi burocratici. Altro che riforma Dublino, noi dobbiamo chiedere la libera circolazione dentro l’Europa dei lavoratori immigrati. Perché non possiamo permetterci di avere cittadini di serie a e di serie b. E guardate che lo dobbiamo soprattutto a noi stessi.

      Perché chiunque di noi abbia dei bambini, sa che cresceranno in una società cosmopolita. Già adesso i loro migliori amici all’asilo sono arabi, cinesi, africani. Sdoganare un discorso razzista è una bomba a orologeria per la società del domani. Perché forse non ce ne siamo accorti, ma siamo già un noi. Il noi e loro è un discorso antiquato. Un discorso che forse suona ancora logico alle orecchie di qualche vecchio nazionalista. Ma che i miei figli non capirebbero mai. Perché io non riuscirei mai a spiegare ai miei bambini che ci sono dei bimbi come loro ripescati in mare dalla nave di una ONG e da due giorni sono bloccati al largo perché nessuno li vuole sbarcare a terra.

      Chissà, forse dovremmo ripartire da lì. Da quel noi e da quelle battaglie comuni. Dopotutto, siamo o non siamo una generazione a cui il mercato ha rubato il futuro e la dignità? Siamo o non siamo una generazione che ha ripreso a emigrare? E allora basta con le guerre tra poveri. Basta con le politiche forti coi deboli e deboli coi forti.

      Legalizzate l’emigrazione Africa –Europa, rilasciate visti validi per la ricerca di lavoro in tutta l’Europa, togliete alle mafie libiche il monopolio della mobilità sud-nord e facciamo tornare il Mediterraneo ad essere un mare di pace anziché una fossa comune. O forse trentamila morti non sono abbastanza?

    • By rejecting a migrant ship, Italian populists are simply following the EU’s lead

      The standoff over a boatload of men, women and children rescued in the Mediterranean encapsulates the morass of Europe’s migration policy so neatly that it is almost redundant to call it a metaphor.

      Some 629 migrants were left adrift in international waters while European Union member states competed to sound more resolute in their refusal of a safe port. It was left to Spain to intervene as supplies began to run out aboard the rescue ship, the Aquarius, one of the handful of charity boats still operating despite their routine harassment by the EU-backed Libyan coastguard. Meanwhile, Italy and Malta sniped at each other on social media, as policy was made in the form of hashtags such as “we’re shutting our ports”. Germany was too busy to comment as its leaders sound off over tougher asylum laws in response to the grisly murder of a teenage girl.

      Watching from the sidelines, the UN refugee agency asked meekly if Europe’s politicians could disembark the people in need aboard the Aquarius first and sort out their differences later.
      The starting point in understanding this mess should be to ask why Italy’s new interior minister, Matteo Salvini, has picked a fight over the Aquarius now.

      Migration policy watchers will be tempted to think that this is a public play to strengthen Italy’s position ahead of an end-of-June deadline to reform parts of the EU’s maddeningly complex asylum system. In this reading, Salvini is seeking an overhaul of the so-called Dublin regulations to ease the burden on frontline states such as Italy and Greece and remove the obligation for new arrivals to seek asylum in their country of first arrival.

      This interpretation would be both reassuring and completely wrong. This is not about the incremental advance of national interests.

      Where European observers had expected Italy to pick a fight with the EU over the single currency, its interior minister has gone straight for migration. Salvini understands, just as Viktor Orbán in Hungary and Sebastian Kurz in Austria do, that the EU has no response. Italy has been left alone to deal with sea arrivals from north Africa and talks over new Dublin regulations will not change this. There is no solidarity on asylum and migration.

      Salvini has blocked the Aquarius because this is the terrain on which he wins regardless of the outcome. As the leader of the far-right Northern League, he has built a campaign around promises of mass deportations of migrants. The fact that his proposals were and are impracticable and illegal did not prevent the League from gaining a 17% share of the vote.

      Salvini’s bombastic claims that African migrants are turning Italy into a giant refugee camp ignore the fact that sea arrivals so far this year have dropped to one-fifth of the level during the same period last year.

      No matter – rhetorical battles over migration allow him to pose as the senior coalition partner and defender of Italy.

      EU migration policy, particularly since the record inflows of 2015, has been built on the idea that controlling sea arrivals would shore up Europe’s political centre. Human rights and international law could be subordinated to the need for control even if this meant co-opting Libyan militias, paying smugglers to act as coastguards or redirecting development aid to corrupt African regimes in return for trapping Africans on the move.

      European voters, the reasoning went, would forgive rights abuses in faraway places in return for harder borders. In its simplest formulation, EU policy-makers framed the choice as one between allowing moderates to talk like Salvini or getting Salvini himself.

      Critics of this policy consensus were dismissed as naive.

      Its arch practitioner was Italy’s previous interior minister Marco Minniti, who delivered a huge reduction in sea arrivals through a series of shady deals in Libya that turned smugglers and traffickers into Europe’s paid gatekeepers.

      Before the votes were counted in Italy the “Minniti plan” had many admirers in Europe’s capitals and on the European commission, the bloc’s executive body. Since the man himself and his party were swept out of power it has become painfully apparent that there is no electoral dividend for centrists who endorse anti-migration populism.

      Over the weekend Minniti and his former government colleagues hit out at Salvini’s refusal of a safe port to the Aquarius and boasted of the balance they had struck between “security” and “reception” – in other words between the deterrence of migration and the humane treatment of those who somehow slipped through. They are still missing the point.

      By treating migration policy as an arena of crisis where human rights and international law could be discarded in the rush to respond to a perceived panic, Minniti and his supporters in Brussels and Berlin were the midwives of Salvinism.

      It has been left to the mayors of southern Italy to defy their own government and publicly offer the Aquarius a safe port. Often the strongest rebuttal to the populists comes not from the tainted centre but from Europeans in the areas most affected by the actual movement of people.

      https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/jun/11/italy-migrant-rescue-ship-standoff-aquarius

    • ASGI : Gravi responsabilità dell’Italia nella vicenda Aquarius

      Il comportamento del governo italiano nella vicenda Aquarius è gravissimo e l’intervento della Spagna non solleva l’Italia dalle sue responsabilità. ASGI lancia l’allarme sul possibile imminente ripetersi di episodi analoghi.

      Mentre scriviamo ancora non è definitivamente conclusa la vicenda della nave Aquarius, che ci auguriamo possa trovare felice esito anche grazie all’intervento delle autorità spagnole e, comunque, oltre la gestione che ha avuto da parte del Governo italiano.

      La scelta di solidarietà fatta dal Governo spagnolo di fornire assistenza materiale e giuridica ai naufraghi salvati dalla nave Aquarius, infatti, non deve oscurare la gravi responsabilità del governo italiano nella conduzione complessiva di tutte le operazioni.

      Va infatti ricordato che le operazioni di soccorso sono partite su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma e che pertanto, in base al diritto internazionale – l’Italia è sempre stato il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi.

      Solo in questo senso possono essere lette le principali Convenzioni internazionali pertinenti in materia e, tra esse:

      – la Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione SOLAS, firmata a Londra nel 1974 e ratificata dall’Italia con L. 313/1980);
      – la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il soccorso in mare (Convenzione SAR, firmata ad Amburgo nel 1979 e ratificata dall’Italia con L. 147/1989, da cui il Regolamento di attuazione D.P.R. 662/1994;
      – la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione CNUDM o UNCLOS, adottata a Montegobay nel 1982 e ratificata dall’Italia con L. 689/1994)

      Fino al momento nel quale la Spagna non ha annunciato il suo intervento per ragioni umanitarie il centro di coordinamento dei soccorso italiano, competente e responsabile degli stessi, ha continuato a non indicare alcuna destinazione alla barca Aquarius, rendendosi completamente inadempiente verso precisi obblighi indicati dal diritto internazionale ed interno e ponendo a rischio la vita di centinaia di persone.

      La situazione di pericolo e di estrema difficoltà, in cui si trovavano e si trovano tutt’ora i migranti, oltre ai membri dell’equipaggio, integra senza dubbio una situazione di pericolo che non fa ritenere legittima alcuna limitazione all’approdo in un porto italiano. Nel caso di specie doveva, infatti, immediatamente trovare applicazione l’art. 18, par. 2 della Convenzione UNCLOS, la quale prevede che lo Stato costiero non può invocare una violazione del diritto di passaggio inoffensivo né obbligare la nave straniera a riprendere il largo. Conseguentemente, lo Stato costiero, nel cui mare territoriale, o nelle vicinanze del quale, si trovi una nave in una situazione di pericolo è, infatti, il titolare primario dell’obbligo di portare soccorso ed è responsabile della conclusione del salvataggio. La nave che si trova quindi in una situazione di pericolo implicante una minaccia per la vita delle persone a bordo, qualsiasi sia lo status di questi passeggeri, gode di un “diritto” di accesso al porto.

      Il diniego di accesso ai porti italiani a imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare comporta la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, applicabile poiché l’Italia, nel coordinare l’azione SAR, esercita funzioni esecutive al di fuori del proprio territorio «conformemente al diritto internazionale» (v. mutatis mutandis, Al-Skeini c. Regno Unito e Jaloud c. Paesi Bassi). Le persone soccorse vertevano infatti in evidente necessità di cure mediche urgenti, nonché di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali), e tali bisogni non potevano esser soddisfatti in alto mare. Le condizioni alle quali gli stessi sono stati sottoposti determinano l’esposizione di uomini, donne e bambini ad un reale trattamento disumano e degradante ( in violazione dell’art. 3 cedu) e ad un serio rischio per la loro vita (in violazione dell’ art. 2 cedu).

      Sulla nave Aquarius vi erano richiedenti asilo e rifugiati, pertanto la scelta del governo italiano di negare un porto sicuro a queste persone, anche poiché le operazioni di soccorso erano state gestite dalle autorità italiane, avrebbe potuto comportare per lo Stato Italiano la violazione del principio di non refoulment ai sensi dell’art 33 della Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati del 1951 se non si fosse trovato un porto sicuro. Il principio di non refoulment è un principio di diritto internazionale generale, vincolante per tutti gli Stati anche indipendentemente dalla ratifica della Convenzione del 1951; esso stabilisce il divieto di respingimento verso qualsiasi luogo in cui una persona potrebbe trovarsi esposta al rischio di persecuzione e/o di condizione ascrivibile a trattamento disumano e degradante, trattamento nel quale si sono trovati a vivere coloro che erano da giorni in alto mare in assenza di approdo in porto sicuro.
      Sotto il profilo del diritto penale, l’obbligo di prestare soccorso configura una precisa prescrizione giuridica, la quale non può essere disattesa. Si ritiene che la condotta tenuta dall’MRCC di Roma sia stata suscettibile da integrare almeno la fattispecie dell’omissione di soccorso ai sensi dell’art. 593 c.p. A ciò si aggiunga che se dal ritardo dell’ingresso fossero derivate (o dovessero derivare) morte o lesioni in capo alle persone a bordo, ciò integrerebbe fattispecie penali autonome, quali omicidio o lesioni, che sarebbero imputabili a tutta la catena di comando italiana in ragione dell’evidente dovere giuridico di salvaguardia della vita che incombe sul paese che coordina i soccorsi

      Il “braccio di ferro” diplomatico attuato parte del Governo italiano con le Autorità di Malta e con la UE ha messo a rischio la vita di centinaia di persone ed il rispetto di basilari diritti della persona e ciò costituisce un precedente gravissimo nella storia europea.

      Il governo italiano aveva tutti gli strumenti legali e politici per far valere nella fase di discussione e votazione del Regolamento Dublino IV le argomentazioni che ha portato invece sul piano mediatico e dell’uso della forza contro persone in stato di necessità dimostrando l’esplicita volontà di non proporre politiche costruttive rinunciando ad un ruolo centrale nel dibattito europeo. Il governo italiano, invece, ha voluto imporre il solo uso della forza. Sarebbe stato possibile per il Ministro degli Interni in carica recarsi a Bruxelles e discutere della necessità di ripartizione equa dei rifugiati fra gli stati europei facendo valere in modo democratico e legale presso tale sede le priorità individuate dall’esecutivo italiano, senza incorrere nelle violazioni dei diritti umani fondamentali e delle norme cogenti.

      ASGI, nell’auspicare che la specifica vicenda abbia esito rapido e positivo, ha tuttavia il fondato timore che situazioni analoghe possano ripetersi già dalle prossime ore fa appello a tutte le istituzioni e al Parlamento, nonché a tutte le forze democratiche del Paese, affinché l’Italia non si renda più responsabile degli indecorosi eventi che si sono consumati negli ultimi giorni e che il diritto internazionale e quello interno in materia di soccorsi in mare venga scrupolosamente rispettato.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/aquarius-violazione-diritto-internazionale

    • Migranti, Toninelli: «Non è detto che il posto in cui debbano sbarcare sia un porto. Può essere una nave»

      "Non c’è scritto da nessuna parte che il «place of safety», cioè il luogo in cui devono essere sbarcati e messi in sicurezza i migranti, debba essere un porto. Può essere anche una nave, battente bandiera straniera. Di conseguenza noi chiederemo un’assunzione di responsabilità a quei paesi di cui le navi della Ong battono bandiera". Così il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, al termine del vertice sull’immigrazione a Palazzo Chigi. Di fronte a chi gli fa notare che però questo significherebbe, nel caso della nave Aquarius che batte bandiera britannica, circumnavigare l’Oceano per arrivare in Inghilterra (contravvenendo dunque al principio del porto sicuro più vicino), Toninelli fa dietrofront: «Noi chiediamo un’assunzione di responsabilità e condivisione delle spese».

      https://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/migranti-toninelli-non-e-detto-che-il-posto-in-cui-debbano-sbarcare-sia-un-porto-puo-essere-una-nave/307625/308254

    • Aquarius : l’Union européenne et les Etats membres doivent cesser de traiter les migrants comme « des patates chaudes »

      Bruxelles, 13 juin 2018 – Stupéfaits et inquiets de ce moderne Exodus, on voit se profiler à l’horizon le cabotage infini de ce bateau qui passe du statut de sauveteur à celui de fardeau. Le nouveau gouvernement italien, en large partie acquis aux idées xénophobes et racistes de Matéo Salvini, montre ses muscles et refuse de laisser mouiller l’Aquarius dans ses ports. Dont acte, l’AEDH savait ne rien devoir attendre d’un gouvernement dont les partenaires avaient annoncé pendant la campagne électorale qu’il ne respecterait pas les droits de l’Homme.

      Aujourd’hui, le nouveau gouvernement espagnol a annoncé que son pays est prêt à accueillir les « naufragés des droits » dans le port de Valence. L’AEDH salue cet acte et souhaite qu’il fasse exemple pour tous les États membres. Elle recommande que cet accueil se révèle inconditionnel et qu’ayant fait le principal, sauver des vies, le gouvernement de Pedro Sanchez s’illustre en offrant de dignes conditions de séjour. On souhaiterait également que ce nouveau gouvernement mette fin aux opérations de push-back des migrants se présentant aux enceintes de Ceuta et Melilla.

      Et les autres pays concernés par « les affaires de Méditerranée », que font-ils ? Malte refuse d’accueillir mais se donne bonne conscience en envoyant des vivres, la France de Macron se réfugie derrière une interprétation hasardeuse du droit de la mer contre le droit humanitaire pour ne rien faire et attend piteusement 48 h qu’un autre pays se dévoue…

      L’AEDH est au regret de constater que l’Union européenne est à la remorque des Etats membres. Notre association souhaite que le Conseil européen joue enfin son rôle d’orientation de la politique européenne et condamne l’attitude indigne des États membres qui, dominés par la peur, alignent leurs politiques migratoires sur celles prônées par les forces d’extrême droite.

      L’AEDH condamne avec force le refus d’accueillir du gouvernement italien. Mais depuis longtemps elle s’oppose aussi aux refus de la Pologne, de la Hongrie, de la Slovaquie, de la République tchèque d’accueillir des réfugiés. Elle ne peut non plus accepter les faux semblants de bien d’autres gouvernements, qui tout en proclamant qu’ils vont accueillir, imposent des règles tellement restrictives qu’ils organisent de fait la chasse aux migrants et les expulsent. C’est en particulier le cas de la France où l’on retrouve des migrants morts à la fonte des neiges, de la Belgique où la police peut tirer sur des migrants.

      L’AEDH affirme que le refus des Etats membres et de la Commission de procéder à l’abrogation du règlement Dublin est non seulement un manquement grave aux droits des personnes mais une stupidité qui enferme les États-membres situés aux frontières extérieures de l’U.E. dans un dilemme impossible : accueillir des milliers de migrants ou les repousser. C’est à cause du règlement Dublin, que le système d’accueil est devenu purement et simplement un moyen d’externaliser les migrants vers les pays de leur première entrée, en particulier l’Italie et la Grèce. Et si la Méditerranée a tant d’importance, c’est que la route par la Turquie a été bloquée par l’ignoble accord conclu avec ce pays, en fermant pudiquement les yeux sur la politique d’Erdogan qui piétine les droits fondamentaux de tant de citoyens en Turquie.

      L’AEDH considère que l’ensemble des Etats membres sont collectivement responsables du désastre italien. Elle demande à toutes ses associations membres, à tous les citoyens et à toutes les citoyennes de l’UE d’agir pour que l’on change de politique.

      C’est le but de l’ICE lancée depuis quelques semaines : « Nous sommes une Europe accueillante : laissez-nous agir ! ». Signez, faites signer, transmettez, montrez votre appui envers ces enfants, ces femmes, ces hommes qui croyaient avoir enfin pu prendre le bateau de l’espoir, cet Aquarius qui symbolise notre solidarité.

      http://www.aedh.eu/aquarius-lunion-europeenne-et-les-etats-membres-doivent-cesser-de-traiter-les-m

    • Migranti nel Mediterraneo, ong non può fare trasbordo: “Nessun porto assegnato, si rischia nuovo caso Aquarius”

      Una nave della Marina Usa ha salvato 41 persone e recuperato 12 corpi senza vita nel Mediterraneo. Ma l’imbarcazione di Sea Watch, che l’ha raggiunta e a bordo ha cibo e coperte, non può assistere i sopravvissuti. Perché da Roma non sono arrivate istruzioni

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/13/migranti-salvati-su-nave-militare-usa-ma-la-ong-sea-watch-non-puo-fare-trasbordo-nessun-porto-assegnato-si-rischia-nuovo-caso-aquarius/4426052

    • Aquarius procede a fatica contro il mare in burrasca, ancora a ridosso della Sicilia, a sud di Marsala. La velocita con la quale avanza verso nord-ovest d’ di appena 5 nodi e mezzo. A questa velocità impiegherà almeno 6 giorni per arrivare a Valencia. Salvini sta imponendo un trattamento disumano ai migranti dopo quello che si può definire un respingimento illecito. I migranti erano stati soccorsi da mezzi della Guardia costiera ed erano già entrati in territorio italiano.

      LA AQUARIUS DEVE ENTRARE NEL PORTO DI TRAPANI CHE SI TROVA SULLA SUA ROTTA. ASSIEME ALLA DATTILO CHE LA SCORTA CON ALTRI MIGRANTI A BORDO.
      VALENCIA NON E’ RAGGIUNGIBILE . IL PIANO DI SALVINI E’ DISUMANO.

      VI PREGO DI FARE GIRARE AL MASSIMO QUESTA NOTIZIA. LE AGENZIE DI INFORMAZIONI DANNO SOLO NOTIZIE RASSICURANTI CHE NON CORRISPONDONO ALLA SITUAZIONE REALE DEL MARE.


      https://www.facebook.com/isabelle.saintsaens/posts/10215493114986035?comment_id=10215493417153589&notif_id=1528933312392754&n

    • Autre ONG bloquée dans ses opérations de sauvetage en mer, cette fois-ci c’est #Sea-Watch. Voici leur communiqué du 13 juin 2018 :
      Shipwreck survivors and bodies stuck on US warship due to italian port closure – Sea-Watch 3 last rescue vessel left in Mediterranean.

      41 survivors and 12 deceased in a shipwreck off the Libyan Coast yesterday morning are still stuck on a US warship as Italy closed its ports to rescue vessels. Sea-Watch strongly denounces the fact that once again people in distress at sea are being held in diplomatic limbo. The dispute on migration must not be carried out at the expense of people in need. A surveillance aircraft of the civil rescue fleet is currently operating in the SAR zone to search for further distress cases and bodies of yesterday’s shipwreck. The Sea-Watch 3 is also patrolling the SAR zone in close proximity to the US warship. Meanwhile, we still await instructions as no state has taken responsibility so far. The Sea-Watch 3 is currently the only dedicated rescue asset in the Mediterranean Sea.

      At 12.36 local time, the Sea-Watch office received a request by a US Navy warship to take over 41 survivors and 12 deceased in a shipwreck 20 nautical miles off the Libyan coast. Our vessel Sea-Watch 3 proceeded towards the given position as the only civil rescue asset left in the mediterranean sea at that moment. “It is unacceptable that people who have literally been picked out of the water, who have seen their friends drowning, still do not get a place of safety, this is a damning indictment of the European Union’s policy on immigration. A dispute about the distribution of asylum seekers must not be carried out at the expense of people in maritime distress” says Johannes Bayer, Sea-Watch chairman and head of the current mission of the Sea-Watch 3. “We urge the European governments to find a quick solution for this humiliating tragedy”.

      Meanwhile, Italian Coast Guard asset CP941 is disembarking 932 people and 2 dead bodies in the Sicilian port of Catania today, which shows a double standard upheld by the Italian government.
      NGO vessels have consistently taken responsibility for search and rescue activities in the world’s most dangerous migration route, yet they have become the scapegoat of the Italian government, as it attempts to pressure the rest of the EU to share in the responsibility towards people in distress and in wider migration policy reforms, including that of the Dublin III regulation. Sea-Watch therefore urges the European states to make way for a political solution for this charade; after safe arrival to Italy, there are also many roads that lead from Rome.

      Furthermore, yesterday’s shipwreck shows a deadly lack of rescue capacity at sea, and it is evident that in the absence of safe and legal passage to Europe, such shipwrecks will only continue to occur. “If the Aquarius wasn’t stuck on the way to Valencia, maybe those people could have been rescued” Bayer says. Still there is no knowledge about the real number of drownings as it is likely not all bodies could be retrieved. “We urge the European states to take responsibility and to stop gambling with lives at sea,” Bayer says.

      https://sea-watch.org/en/shipwreck-survivors-and-bodies-stuck-on-us-warship-due-to-italian-port-cl

    • « Aquarius » 2018, « Saint-Louis » 1939 : l’histoire bégaie

      Alors que l’Aquarius a été refoulé par l’Italie, il y a quatre-vingts ans des réfugiés fuyaient le nazisme en embarquant sur un paquebot transatlantique, le « Saint-Louis ».

      Le refus de l’Italie de laisser accoster l’Aquarius n’est que l’expression paroxystique de la politique des Etats européens qui, depuis des années, mettent toute leur énergie à tenir à distance migrants et exilés. Mais cette image d’un vaisseau fantôme nous renvoie aussi quatre-vingts ans en arrière, quand les réfugiés fuyant le nazisme se voyaient systématiquement refuser l’accès à une terre d’asile.

      Entre hier et aujourd’hui, les analogies sont frappantes : la fermeture de plus en plus hermétique des frontières à mesure que la persécution s’aggrave et que les flux d’exilés augmentent ; des réfugiés contraints d’embarquer clandestinement sur des bateaux de fortune avec l’espoir, souvent déçu, qu’on les laissera débarquer quelque part ; en guise de justification, la situation économique et le chômage, d’un côté, l’état de l’opinion dont il ne faut pas attiser les tendances xénophobes et antisémites, de l’autre ; le fantasme, hier, de la troisième colonne – agitateurs communistes, espions nazis –, aujourd’hui de la menace terroriste ; et finalement une diplomatie qui n’hésite pas à pactiser avec les pires dictatures, hier pour tenter de sauver la paix (on sait ce qu’il en est advenu), aujourd’hui pour tenter d’endiguer les flux de réfugiés.
      Réfugiés interdits de débarquer à Cuba

      Visas refusés, frontières closes : les réfugiés sont acculés, en désespoir de cause, à prendre la mer, le plus souvent clandestinement. A la veille de la guerre, des dizaines, des centaines de bateaux, parfois des paquebots de ligne, souvent des bâtiments de fortune ou de contrebande qui ont pris leurs passagers en charge frauduleusement, naviguent sur les océans à la recherche d’un port où ils seront autorisés à débarquer : le Cairo part le 22 avril 1939 de Hambourg pour Alexandrie ; l’Usaramo pour Shanghai ; l’Orbita pour le Panama en juin 1939 ; l’Orinoco, vers Cuba… (1). D’autres restent bloqués pendant des semaines ou des mois dans les ports roumains de la mer Noire ou sur le Danube.

      Même ceux qui ont des papiers d’immigration en règle ne sont pas assurés d’être admis, comme le montre l’histoire cruelle du Saint-Louis. Ce paquebot transatlantique quitte Hambourg le 13 mai 1939 en direction de La Havane. Ses 937 passagers, presque tous des juifs fuyant le Troisième Reich, sont en possession de certificats de débarquement émis par le directeur général de l’Immigration de Cuba. Mais, dans l’intervalle, le président cubain a invalidé ces certificats. On interdit donc aux passagers de débarquer. Le bateau repart, et lorsqu’il passe le long des côtes de Floride une demande est adressée au président des Etats-Unis afin qu’il leur accorde l’asile – elle ne reçoit pas de réponse. Le 6 juin 1939, le Saint-Louis reprend sa route vers l’Europe. In extremis, avant que le bateau ne soit contraint de revenir en Allemagne, le Jewish Joint Commitee réussit à négocier avec les gouvernements européens une répartition des passagers entre la Grande-Bretagne, la France, la Belgique et les Pays-Bas qui n’acceptèrent de les accueillir qu’à condition qu’il ne s’agisse que d’un transit dans l’attente d’une émigration définitive vers une autre destination. Temporairement sauvés, une majorité d’entre eux connaîtra le sort réservé aux juifs dans les pays occupés par l’Allemagne.
      Un gigantesque marché noir

      Les embarquements clandestins se poursuivent une fois la guerre déclenchée, les réfugiés prenant des risques croissants pour tenter de rejoindre clandestinement la Palestine depuis les ports de la mer Noire, à travers le Bosphore, les Dardanelles et la mer Egée. Un gigantesque marché noir s’organise, avec la bénédiction des nazis qui, avant la programmation de la « solution finale », y voient une façon de débarrasser l’Europe de ses juifs. Beaucoup de ces « bateaux cercueils », comme on les a appelés, font naufrage, d’autres sont victimes des mines ou des sous-marins allemands, et les épidémies déciment ceux qui ont réussi à survivre. Décidément, on a l’impression que l’histoire bégaie.

      http://www.liberation.fr/debats/2018/06/13/aquarius-2018-saint-louis-1939-l-histoire-begaie_1658569

    • #Marie-Christine_Vergiat : « C’est l’Union européenne qui a créé cette situation »

      L’eurodéputée Marie-Christine Vergiat dénonce la responsabilité de l’Union européenne qui, depuis une demi-douzaine d’années, laisse l’Italie gérer seule l’accueil des migrants pour l’Europe. Avec les dégâts politiques que l’on sait.

      Qui porte la responsabilité du blocage de l’Aquarius depuis dimanche, aux portes de l’Europe ? Si Matteo Salvini, le ministre de l’intérieur italien d’extrême droite, fait du refus de l’accueil des migrants sa marque de fabrique électoraliste, c’est l’Union européenne qui est la principale coupable du drame qui se joue actuellement, estime Marie-Christine Vergiat, députée européenne Front de gauche, membre de la GUE au Parlement de Strasbourg.

      L’Aquarius bloqué pendant deux jours en pleine mer : à qui la faute ?

      Marie-Christine Vergiat : C’est l’Union européenne qui, par absence de solidarité vis-à-vis de l’Italie, a créé cette situation. Avant 2011, et pendant des années, Malte [sollicitée après le refus de l’Italie – ndlr] a dû gérer toute seule l’arrivée des migrants, c’est pourquoi cette fois elle a refusé de prendre en charge l’Aquarius.

      Depuis 2011, date à laquelle les mouvements de population ont commencé à devenir plus importants, on a ensuite laissé l’Italie en première ligne se débrouiller. Aujourd’hui, elle accueille chaque année entre 100 000 et 150 000 personnes sur son territoire. Avec la mise en avant de « Dublin 3 », l’Italie a pris en charge le poids du sauvetage en mer pour toute l’Europe, et elle l’a plutôt bien fait.

      Il faut voir que quand le gouvernement italien a lancé l’opération « Mare Nostrum » pour aller secourir les personnes, elle s’est retrouvée seule. Matteo Renzi a dû trouver 95 millions d’euros d’octobre 2013 à octobre 2014 pour financer l’opération et, quand il a demandé de l’aide, le Conseil européen lui a donné 5 millions d’euros. Quant à la Grèce, elle a été en première ligne en 2015 et 2016, et a accueilli un million de personnes, là encore, seule.

      Comment expliquez-vous qu’il n’y ait jamais eu de répartition concertée des migrants entre les États membres ?

      En 2015, Jean-Claude Juncker, le président de la Commission européenne, a fait ce qu’il a pu : il a demandé à ce que 160 000 personnes soient « délocalisées » depuis l’Italie et la Grèce vers les autres pays européens sur deux ans. Même si cela était très insuffisant puisqu’il y avait 1,4 million de personnes arrivées en Italie et en Grèce sur la même période. Mais le premier réflexe des pays a été de refuser et de fermer leurs frontières. Heureusement qu’en 2015 et 2016, l’Allemagne d’Angela Merkel a accueilli 60 % des réfugiés (parmi eux, deux tiers de Syriens). Mais il faut rappeler que le nombre de réfugiés accueillis en Europe est une goutte d’eau par rapport à ce que vit le Moyen-Orient.

      Et pourtant, si l’on en croit les récentes élections en Italie notamment, le discours de l’extrême droite contre les migrants semble payant politiquement…

      Récemment, la Commission européenne a présenté une étude qui montre que les Européens restent solidaires des réfugiés dans tous les pays d’Europe, excepté en Italie. On peut pousser des cris d’orfraie, ce sentiment anti-immigré ne tombe pas du ciel. C’est facile de commenter alors qu’en France, on n’a jamais ouvert nos ports pour soulager l’Italie ou la Grèce. En réalité, la France a été très peu impactée par la crise migratoire. Le nombre de demandeurs d’asile n’a presque pas augmenté. Entre 2015 et 2016, il est passé de 85 000 à 95 000. Et encore, nous sommes un des pays où le taux d’acceptation des demandes d’asile est le plus bas – entre 35 et 40 % –, ce qui est en dessous de bien des pays européens. Quand on voit ce qui se passe à la frontière franco-italienne, c’est hallucinant : on fait du contrôle au faciès des migrants, au mépris des lois nationales, européennes et internationales… Il y a de quoi avoir honte de nos gouvernements ! En plus, ils se cachent derrière les accords de Dublin pour renvoyer les migrants dans le pays où ils ont accosté, donc très souvent en Italie, alors qu’il n’y a aucune obligation de « dublinage » : si le pays d’arrivée est obligé d’accepter le retour de la personne qui lui a été renvoyée, en revanche, l’autre pays européen n’est absolument pas obligé de la renvoyer là d’où elle vient.

      Où en êtes-vous de la réforme des accords de Dublin ?

      Il y a actuellement un bras de fer entre le Parlement européen et le Conseil européen. Au Parlement, six groupes sur huit, de la droite à la gauche européenne, sont d’accord pour proposer une clé de répartition. Le problème, c’est que le Conseil européen ne veut pas de cette solution et veut durcir Dublin en obligeant au renvoi dans le pays. Et contrairement à ce qu’on peut croire, il n’y a pas que les pays de l’Est qui bloquent. Les gouvernants, à l’exception des pays du Sud, affirment que mettre en place une répartition est trop compliqué pour les migrants et que c’est pour cela qu’ils refusent. Mais le problème, c’est qu’ils ne se donnent pas les moyens de l’accueil…

      Comment faire avancer les choses, puisqu’un blocage politique semble favoriser la flambée des extrêmes droites ?

      Le seul moyen de résister c’est, au lieu de courir derrière l’extrême droite, de faire tout le contraire : de montrer, d’une part, qu’il n’y a pas de « submersion » migratoire et, d’autre part, que si l’accueil est pensé et organisé, tout peut très bien se passer. Ce n’est de toute façon pas en construisant des murs qu’on va empêcher les migrants de venir.

      Cet épisode très médiatique de l’Aquarius bloqué en mer peut-il pousser le Conseil européen à revoir ses positions ?

      Il faut espérer que cette histoire permette de montrer ce qui se passe au Conseil européen. En tout cas, Pedro Sánchez, le nouveau président espagnol, a été courageux d’accepter que les 629 personnes bloquées sur le bateau débarquent en Espagne – même si cela s’explique par le fait que la question migratoire apparaît moins comme un enjeu du débat en Espagne… Aujourd’hui, il faut travailler dans deux directions pour l’opinion publique européenne : d’abord, expliquer que les migrations principales viennent non pas des pays du Sud, mais du Nord et d’Asie (Inde et Chine), et que les premiers migrants en Europe sont ukrainiens – ils arrivent en Pologne pour le travail. Ensuite, rappeler que la grande majorité des migrants arrivent de façon régulière (immigration de travail, pour faire des études, regroupement familial…) et que l’une des manières d’éviter les morts en Méditerranée et de ne pas faire le jeu des passeurs et des trafiquants, c’est d’ouvrir des voies de passage légales.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/110618/marie-christine-vergiat-c-est-l-union-europeenne-qui-cree-cette-situation

    • La nave Usa che ha lasciato i corpi in mare vicina al porto di Augusta

      La Trenton della Us Navy, con a bordo i 40 superstiti del naufragio di martedì, ha abbandonato i cadaveri alla deriva perché non ha celle frigorifere. Ora incrocia al largo del porto siciliano, ma all’Italia non è arrivata nessuna richiesta formale.

      La nave Trenton della sesta flotta della Us Navy, con a bordo i 40 superstiti del naufragio di un gommone avvenuto martedì mattina, è ricomparsa al largo del porto di Augusta. Appare evidente l’intenzione di sbarcare nel porto siciliano i superstiti che ha a bordo ormai da tre giorni, nell’attesa che qualcuno dia indicazioni sul porto più vicino disposto a farli scendere. Tuttavia non risulta alcuna richiesta formale da parte degli Stati Uniti all’Italia che, peraltro, non ha mai assunto alcun coordinamento del soccorso, avvenuto a sole venti miglia dalle coste libiche.

      Perché dunque la nave americana, che ha lasciato andare alla deriva i corpi delle 12 vittime del naufragio, ha fatto rotta verso l’Italia invece di chiedere l’approdo in un altro Paese? Un altro caso spinoso per il governo italiano, che si trova adesso a dover decidere se autorizzare l’ingresso della nave della Us Navy nel porto di Augusta.

      Da tre giorni, ormai, dopo aver invano chiesto di poter trasbordare il suo carico sulla nave della Ong tedesca Sea Watch, la nave vagava in attesa di sapere dove poter sbarcare i vivi. I morti, quelli, vista la complessità della situazione, hanno deciso di abbandonarli in acqua. "Non ci sono salme a bordo della Trenton - ha confermato a «Repubblica» l’ufficio pubbliche relazioni della Us Navy - l’equipaggio continua a prendersi cura delle 40 persone soccorse. Ci stiamo coordinando con i nostri partner internazionali per decidere la destinazione delle persone a bordo".

      Dalla Us Navy spiegano così l’abbandono dei 12 cadaveri le cui operazioni di recupero erano state comunicate via radio dalla Trenton martedi mattina contestualmente alla richiesta di aiuto avanzata alla vicina nave della ong tedesca Sea Watch prima e all’IMRCC di Roma poi. < Abbiamo visto in un primo momento 12 corpi apparentemente senza vita. I soccorritori hanno dato priorità al recupero di coloro che avevano bisogno di aiuto immediato. La barca di salvataggio è poi tornata sul posto per cercare quei corpi, ma non li ha trovati". «Se necessario - si legge in una nota - le navi della US Navy sono in grado di conservare i corpi in depositi refrigerati».
      Un orrore destinato a scatenare un nuovo caso visto che, a impedire un rapido trasferimento dei superstiti e delle salme a terra, è l’impasse provocato dall’ostracismo annunciato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini alle navi delle Ong. Martedi, subito dopo il soccorso, dopo aver chiamato le guardie costiere libica e italiana, la nave americana si è rivolta alla Sea watch, comunicando di avere in corso il recupero dei 12 corpi, e ha chiesto la disponibilità al trasbordo. «Corpi non possiamo prenderne, non abbiamo le celle. E i superstiti li prendiamo solo se ci assegnano contestualmente un porto sicuro che non sia più lontano di 36 ore di navigazione».

      Dopo il caso Aquarius, il rischio è che poi, con i migranti a bordo, non venga concesso un porto in Italia e la nave, che non è grande, non potrebbe affrontare una lunga navigazione come quella cui è stata costretta la Aquarius. La richiesta viene reiterata dagli americani alla sala operativa di Roma, ma la risposta è che il soccorso non è stato coordinato da Roma e dunque non spetta a loro indicare il porto. In realtà il soccorso non è stato coordinato da nessuno.

      http://www.repubblica.it/cronaca/2018/06/14/news/la_nave_usa_senza_celle_frigoriferi_alla_deriva_12_corpi-198956762/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1

    • Aquarius, la nave di migranti cambia rotta e si dirige verso la Sardegna

      La decisione dovuta al maltempo. Sos Mediterranee spiega: «Le persone a bordo sono esauste, scioccate e con il mal di mare». Il ministro Salvini ribatte: «Problemi loro. A giorni ci saranno novità sul ruolo delle ong»

      «Dattilo, la nave della Guardia Costiera italiana che guida il nostro convoglio, ha deciso di cambiare rotta», twitta Sos Mediterranee, sottolineando che si tratta di una scelta dovuta al maltempo. «Aquarius proseguirà lungo la costa orientale della Sardegna — aggiunge la ong francese — per ripararsi dal maltempo altrimenti insopportabile per le persone a bordo, esauste, scioccate e con il mal di mare». Il ministro degli Interni Matteo Salvini, però, non cede: non ci sarà nessun attracco sulle coste sarde, Aquarius «arriverà in Spagna». Se le persone a bordo hanno problemi, «sono solo loro — afferma —. La nave prende a bordo sistematicamente 500 persone a tratta: ora ne hanno 100, un quinto di quelle che imbarcano di solito. Non è che adesso possano anche decidere dove cominciare e dove finire la crociera». «A giorni ci saranno novità sul ruolo delle ong», aggiunge. «Verranno messi i puntini sulle i, su chi fa cosa e su chi rispetta la legge e chi non la rispetta», ha aggiunto.

      La situazione sull’Aquarius

      Sull’Aquarius ci sono al momento 52 donne, 10 bambini e 45 uomini, tra cui alcuni trattati per sindrome da annegamento o con gravi ustioni da carburante e acqua salata; gli altri 523 profughi sono stati trasbordati sulle due unità navali italiane che la stanno scortando. Tutti i 629 migranti sono stati trasferiti per sicurezza all’interno delle tre imbarcazioni del convoglio: diversi di loro hanno accusato malori durante la notte per il «vento a 35 nodi e le onde alte 4 metri — comunicano i soccorritori —, abbiamo messo dei corrimano perché è difficile stare in piedi».

      Lo «schermo» alle onde

      Il percorso iniziale per il porto di Valencia prevedeva un passaggio a sud della Sardegna ma, considerato che l’apice della perturbazione è previsto sul lato occidentale, si vogliono utilizzare l’isola come «barriera» al maltempo; e tagliare le Bocche di Bonifacio, sotto la Corsica, per raggiungere quindi la Spagna. L’operazione è destinata ad allungare ulteriormente il viaggio verso la terra ferma della «nave della discordia», che ha innescato una crisi diplomatica tra Italia e Francia e un durissimo scambio di accuse con Malta, oltre all’accorato appello di Papa Francesco. L’approdo, meteo permettendo, potrebbe avvenire a questo punto domenica sera. «Abbiamo distribuito arance, barrette di cereali, cornetti e thè freddo forniti ieri dalla Guardia Costiera Italiana» rende noto il personale di Medici senza frontiere, che gestisce l’emergenza con Sos Mediterranee. Nel frattempo la zona di ricerca e soccorso resta sempre più scoperta e 12 cadaveri sono rimasti in mare». «L’identificazione del porto di sbarco è una decisione nazionale su cui l’Ue non ha competenza - afferma intanto la ministra degli Esteri europea, Federica Mogherini -, però viste le notizie sulle condizioni del mare» nella legge «c’è una chiara indicazione» affinché venga fatto «ogni sforzo per limitare al minimo il tempo di permanenza sulla nave» degli immigrati; da ormai 5 giorni consecutivi in balìa del mare e delle polemiche politiche.

      Madrid prepara l’accoglienza

      Le autorità spagnole, dal canto loro, fanno sapere che esamineranno «caso per caso» la situazione dei 629 richiedenti asilo per decidere, con «colloqui individuali», quali trasferire nei centri di aiuto umanitario e quali nelle strutture di detenzione per stranieri; esattamente come avviene per gli extracomunitari che arrivano attraverso i barconi o le enclavi marocchine di Ceuta e Melilla. Il governo iberico sostiene di essersi comportato semplicemente «come obbliga la Costituzione rispetto ai trattati internazionali e europei». Lo sbarco dei migranti avverrà comunque in maniera scaglionata e lontano dagli occhi dei media.

      https://www.corriere.it/cronache/18_giugno_14/odissea-aquarius-nave-cambia-rotta-la-sardegna-24e4bd94-6fb4-11e8-b9b6-434f

    • Francia prenderà parte migranti Aquarius

      La vicepremier spagnola Carmen Calvo ha annunciato che la Francia collaborerà all’accoglienza dei migranti dell’Aquarius. Lo riporta La Vanguardia. Calvo, responsabile del coordinamento per l’accoglienza, ha accettato la proposta presentata dal governo francese, dopo una conversazione con l’ambasciatore francese in Spagna. Il presidente Pedro Sanchez, riferisce il quotidiano, ha ringraziato il presidente francese Emmanuel Macron, sottolineando che questa è la cooperazione «con cui l’Europa deve rispondere».

      http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2018/06/16/francia-prendera-parte-migranti-aquarius_53ace0c1-88b9-4511-b1ab-6ab072e084aa.h
      #France

    • Migranti, dirottare le Ong nei porti di bandiera farebbe solo danni

      L’esperto di diritto del mare e di asilo Paleologo a L43: «La proposta di Salvini? Così si rallenta l’obbligo di salvataggio». Il ministro può ridiscutere Dublino, ma «non sulla pelle dei naufraghi».

      Il rallentamento, in alcuni casi fino al blocco, della catena di salvataggio in acque maltesi e libiche, di norma attraverso il coordinamento del comando della guardia costiera italiana, per effetto della chiusura dei nostri porti alle navi delle Ong straniere nel Mediterrano ha contribuito a provocare 12 morti e altre decine di feriti al largo della Libia, in seguito all’’altolà del neo ministro dell’Interno Matteo Salvini alla See Watch 3, «pronta dopo la Aquarius a raccogliere il suo carico umano davanti a Tripoli». Altre decine, centinaia di morti si temono nelle settimane a venire.

      CAMBIARE DUBLINO. Con i respingimenti delle navi straniere, il leader della Lega si aspetta un cambio della prassi e in prospettiva del regolamento di Dublino sui richiedenti asilo: far attraccare le imbarcazioni di Ong battenti bandiera straniera nei luoghi d’origine e non più in Italia, come i mezzi delle Marine di altri Paesi. Peccato che la legge internazionale non possa dargli ragione, né ora né mai: «Guardando alle bandiere», spiega a L43 l’avvocato in prima linea nei soccorsi in mare, componente della Clinica legale per i diritti umani dell’Università di Palermo e consulente del team legale di Open Arms, Fulvio Vassallo Paleologo, «verrebbe meno il salvataggio internazionale, ossia la stessa legge del mare».

      DOMANDA. Salvini ha chiuso i porti alle navi delle Ong straniere che caricano a bordo migranti naufraghi e sottolinea che debbano attraccare nei porti dei loro Paesi e non in Italia. Giuridicamente ha un fondamento la sua rivendicazione?
      RISPOSTA. No, intanto un ministro non può stabilire regole che valgono esclusivamente per le navi delle Ong. Quando richiamano i luoghi di sbarco – da indicare dalle competenti autorità nazionali e nel nostro caso dal comando della guardia costiera di Roma – le convenzioni di diritto del mare non distinguono tra navi umanitarie, navi commerciali o militari.

      D. La See Watch 3, additata da Salvini e bloccata nelle operazione come la Aquarius, è una Ong tedesca ma batte bandiera olandese: dopo i salvataggi potrebbe per esempio rientrare nei porti anche in Olanda, in Germania, o per legge deve attraccare per forza in Italia?
      R. Il criterio dello Stato di bandiera è arbitrario e non garantisce una sollecita conclusione delle operazioni di soccorso in un porto sicuro, che non è necessariamente quello più vicino ma deve trovarsi nello Stato della centrale operativa della guardia costiera che coordina i soccorsi.

      D. Nel caso del trasbordo dei 629 migranti nelle acque tra Malta e l’Italia dell’Aquarius, il coordinamento era della guardia costiera italiana. E inoltre la Aquarius è una nave umanitaria di Sos Mediterranee e Medici senza frontiere: Ong transeuropee o addirittura internazionali.
      R. Non a caso il criterio dello Stato di bandiera non è mai stato applicato in anni di soccorsi nel Mediterraneo perché è sussidiario. Non garantisce lo svolgimento rapido delle procedure di soccorso imposto dalle convenzioni internazionali. Seguirlo, come dice Salvini, segnerebbe la fine dell’obbligo di soccorso internazionale.

      D. La fine della legge universale del mare. Sempre legalmente, con i regolamenti europei e le norme internazionali attuali, si può chiedere alle navi per esempio della Marina francesi, inglesi e tedesche che salvano migranti nel Mediterraneo di dirigersi poi nei propri porti nazionali?
      R. Tutte le navi straniere delle operazioni Ue Frontex ed Eunavfor Med, ossia l’operazione militare Sofia, sono coordinate dalla centrale operativa della guardia costiera italiana, anche quando soccorrono nella zona di ricerca e salvataggio libica Sar, che in realtà esiste solo sulla carta. Di conseguenza devono sbarcare, come sbarcano, solo in porti italiani.

      D. Sulle responsabilità da redistribuire nelle acque territoriali dei Paesi membri dell’Ue, «e non solo all’Italia» ricorda sempre Salvini, la Francia se ne può lavare completamente le mani? La Spagna può fare di più? E Malta può essere pressata almeno dall’Ue a sottoscrivere le normative internazionali vigenti, per sgravare l’Italia anche dagli impegni nelle sue acque?
      R. A meno di una modifica sostanziale del regolamento Dublino, nessun Paese europeo può essere costretto a prendere a suo carico naufraghi soccorsi nelle zone di ricerca e salvataggio libiche o italiane. E il nuovo ministro dell’Interno non può imporre le modifiche con un ricatto sulla pelle di uomini, donne e bambini già duramente provati dalla sofferenza e dagli abusi subiti in Libia.

      D. La visione di Salvini può essere portata avanti politicamente al tavolo per cambiare il regolamento Dublino? È concepibile cioè un’Unione europea dove ogni mezzo di forze militari o Ong di Paesi membri impegnati nel Mediterraneo faccia riferimento, anziché all’Italia, al proprio Stato Ue specifico? Prendendosi a questo punto in carico anche la prima registrazione dei richiedenti asilo?
      R. L’odissea dell’Aquarius sta dimostrando che una redistribuzione dei naufraghi soccorsi in acque internazionali è possibile e lecita solo dopo il loro sbarco in un porto italiano, indicato dal comando centrale della guardia costiera. La scelta di sbarrare dei porti non aiuterà a cambiare il regolamento Dublino, specie se l’Italia farà fronte comune con l’Ungheria di Viktor Orban e l’Austria di Sebastian Kurz. Si avranno soltanto centinaia di morti in più, come conseguenza della cacciata delle Ong.

      https://www.lettera43.it/it/articoli/interviste/2018/06/17/migranti-soccorso-ong-straniere-salvini/221051

    • The Italian interior minister Matteo Salvini (Lega) has announced after negotiations with minister of infrastructure Danilo Toninelli (5 Stars), and the minister of defence Elisabetta Trenta (5 Stars) the retreat of the Italian rescue forces from the international waters of the central Mediterranean Sea. Instead, France, Spain, Greece, Malta, Libya, Tunisia, the EU with the Frontex-Themis operation and the NATO should take on the job. It is important to stress the following: this concerns the ‘death zone’ near the Libyan-Italian off-shore oil station in the central Mediterranean, where in the past three decades the most boat-people have drowned. Salvini’s plans are directed against the “radical crowd that wants to turn Italy into a refugee camp”. All the more important will it be to connect the activities of non-governmental rescuers in the Central Mediterranean with strategies of admit boat-people in Germany, France, and other EU member states.

      Salvini kündigt Abzug der Küstenwache aus internationalen Gewässern an
      Der italienische Innenminister Matteo Salvini (Lega) kündigt

      nach Beratung mit dem Infrastruktur-Minister Danilo Toninelli (5Stelle), und der Verteidigungsministerin Elisabetta Trenta (5Stelle) den Rückzug der italienischen Seenotrettung aus den internationalen Gewässern des zentralen Mittelmeers an. Stattdessen sollten Frankreich, Spanien, Griechenland, Malta, Libyen, Tunesien, die EU mit Frontex-Themis und die Nato diese Arbeit übernehmen.

      Hinzuweisen ist auf folgenden Hintergrund: Es geht um die Todeszone in der Nähe der libysch-italienischen Off-Shore-Petro-Förderanlagen im zentralen Mittelmeer, wo in den vergangenen drei Jahrzehnten die meisten Boat-people ertrunken sind. Salvini richtet dieses Abzugs-Vorhaben gegen die „radikale linke Schickeria, die Italien in ein Flüchtlingslager verwandeln will“.

      Um so dringlicher wird es, die Aktivität der NGO-Seenotrettung im zentralen Mittelmeer mit Strategien der Aufnahme von Bootsflüchtlingen in Deutschland, Frankreich und anderen EU-Ländern zu verbinden.

      http://ffm-online.org/2018/06/18/salvini-kuendigt-abzug-der-kuestenwache-aus-internationalen-gewaessern-a

    • Du « Saint-Louis » à l’« Aquarius » : 80 ans d’abomination envers les réfugiés

      Retour sur la pérégrination tragique du paquebot Saint-Louis, chargé de réfugiés juifs fuyant l’Allemagne nazie au printemps 1939, qui fut partout refoulé. Or voici que récidivent, sous nos yeux, la méprise et le mépris envers ceux qui migrent.

      Si cette histoire vous amuse,
      Nous allons la, la, la recommencer,
      Ohé ! Ohé !

      Ainsi s’achève – sans donc jamais se terminer – une comptine atroce (il y est question d’un mousse tiré à la courte paille échappant de peu à l’anthropophagie), qui semble saturer l’univers politique des adultes après avoir bercé leur enfance : Il était un petit navire. Le da capo suit son cours inexorable ; jusqu’à mimer le bégaiement de l’Histoire, maintenant et toujours.

      Navigation rime avec immigration et les Suisses opposèrent au flot des réfugiés de la Seconde Guerre mondiale une image impitoyable, dont le cinéaste helvète Markus Imhoof a fait un film : La barque est pleine (Das Boot ist voll). Le mot d’ordre apparaît plus que jamais d’actualité en cette fin de printemps 2018.

      Sous nos yeux se déroule l’errance d’un paquebot, dont le nom signifie en latin « qui se rapporte à l’eau » : Aquarius. Le sort réservé à ces migrants par une Europe absorbée dans sa graisse et dans ses ténèbres, rappelle la condition faite aux réfugiés du Saint-Louis par un monde sans lumières, opiniâtre et petit en tout à l’excès. C’était en 1939 : c’était hier et pourtant aujourd’hui.

      Nazifier les personnes et les événements relève certes du lieu commun, dénote une paresse de la pensée, tient du réflexe rhétorique pavlovien. Mais la concordance des temps s’avère parfois indéniable. À preuve, cet épisode du transatlantique allemand qui, le 13 mai 1939 – six mois après la Nuit de cristal –, laisse derrière lui le port de Hambourg dans un mugissement libérateur et des fumées de bon augure, avec à son bord quelque 900 juifs persuadés d’avoir échappé à la souricière hitlérienne.

      Le Saint-Louis fait route vers Cuba. Les voyageurs ont acheté à prix d’or des permis de débarquement : 500 dollars par passager (ce qui ferait aujourd’hui près de 9 000 dollars). Mais le président Federico Laredo Brú a signé entretemps son décret 937, qui invalide tous les engagements précédents de son pays. Ainsi prétend-il mettre fin à un trafic de visas ayant pris des proportions scandaleuses dans une île en crise.

      Le 27 mai, lorsque le paquebot entre dans le port de La Havane, interdiction lui est signifiée de s’approcher du quai, puis ordre lui est donné de regagner les eaux internationales. Surchauffée par l’extrême droite et ses journaux ayant soutenu la croisade de Francisco Franco en Espagne contre les rouges, la population cubaine manifeste (40 000 personnes dans les rues). Ne surtout pas laisser débarquer ces vecteurs du communisme – le messianisme juif étant lié à la révolution et donc à la dissolution de la société occidentale, selon un poncif politico-religieux de l’époque…

      Le navire se dirige alors vers la Floride, jette l’ancre au large de Miami. Attente angoissante. Rien n’y fait : l’Amérique isolationniste et le Département d’État antisémite auquel se fie encore le président Roosevelt, au pouvoir depuis plus de sept ans à Washington, se montrent inflexibles. Le souvenir et les effets de la Grande Dépression sont patents : 83 % des Américains s’opposent à l’allègement des quotas et restrictions de la loi sur l’immigration, selon un sondage du magazine Fortune.

      Les républicains ont réussi une percée lors des élections de mi-mandat, en novembre 1938. Pas question de céder à l’émotion, de créer un appel d’air en passant pour faible : l’Amérique renvoie l’encombrant vaisseau vers l’Europe. Les câbles adressés au président démocrate par certains passagers du Saint-Louis restent sans réponse.

      Gustav Schröder, capitaine au grand cœur du transatlantique, pour ne pas réexpédier ses passagers vers une mort certaine en Allemagne, a bien l’intention de mettre le feu à son navire au large des côtes britanniques, histoire de forcer le gouvernement de Londres à recueillir les passagers. Mais il apprend en mer que Morris Troper, directeur pour l’Europe du « Joint » (American Jewish Joint Distribution Committee), a obtenu – moyennant une caution de 500 000 dollars (près de 9 millions de dollars actuels) – que certaines nations démocratiques européennes, Pays-Bas, France, Grande-Bretagne et Belgique, accueillent la plupart des passagers.

      Après 40 jours et 40 nuits océaniques, le Saint-Louis débarque à Anvers sa cargaison humaine. Les rescapés rejoignent leur pays d’accueil. La guerre puis l’occupation nazie rattraperont certains d’entre eux. Des 288 personnes arrivées en Grande-Bretagne, toutes survécurent, sauf une qui fut tuée lors d’une attaque aérienne en 1940. Des 620 passagers sur le continent, 87 (14 %) purent émigrer avant l’invasion allemande de mai-juin 1940. 532 subirent la conquête nazie. 278 survécurent. 254 périrent, victimes de la Shoah (84 raflés en Belgique, 84 aux Pays-Bas et 86 en France).

      Les survivants se liguèrent après la guerre, pour venir en aide à l’ancien capitaine du Saint-Louis, Gustav Schröder, qui vivait dans la précarité en RFA. Le 11 mars 1993, Yad Vashem devait honorer la mémoire de ce marin allemand antinazi en lui accordant le titre de Juste parmi les nations.
      Scélérats d’État

      Quand montent les périls, des individus clairvoyants et volontaires se posent en vigies des libertés. Les Sentinelles, tel est le titre d’un beau roman tragique de Bruno Tessarech (Grasset, 2009), qui relate comment, à la fin des années 1930, les pseudo démocraties pactisent avec les dictateurs. Elles se vautrent, humainement, moralement et politiquement, face aux tyrans de rencontre : « Nous [les] supplions de résoudre le problème qu’ils ont eux-mêmes créé, manière de leur répéter, au cas où ils ne l’auraient pas encore compris, que nous leur laissons les mains libres », se désole un jeune diplomate français, héros imaginaire et pourtant si incarné de ce récit d’une marche à la guerre durant laquelle les supposés décideurs agissent en somnambules.

      Le livre s’ouvre sur la conférence internationale d’Évian en 1938, qui explique les tribulations tragiques du Saint-Louis l’année suivante. Les trente-deux pays réunis (le Reich nazi n’est pas invité, l’Urss de Staline ne s’y fait pas représenter) s’entendent pour fermer leurs portes et leurs ports aux juifs d’Allemagne. La Suisse estime en avoir assez fait depuis l’Anschluss et ses afflux de juifs autrichiens : Berne va jusqu’à réclamer à Berlin d’apposer la lettre « J », en rouge sur les passeports de ses ressortissants israélites, afin de les mieux repérer !

      Comble de cette époque désespérante : la République dominicaine du dictateur Trujillo s’avère le seul pays à souhaiter recevoir des réfugiés juifs allemands, afin de « blanchir » sa population ! Les victimes du racisme nazi refuseront la proposition raciste du despote des Antilles. Et la presse hitlérienne exulte à la suite de ce lâche fiasco d’Évian, au mois de juillet 1938 : « Juifs à vendre : même à bas prix, personne n’en veut ! » Le Führer se paie le luxe de faire la leçon à ses donneurs de leçon : « Une honte de voir les démocraties dégouliner de pitié pour le peuple juif et rester de marbre quand il s’agit de vraiment venir en aide aux Juifs ! »

      Tous les clignotants de la mémoire et de l’histoire sont au rouge, en 2018, quatre-vingts ans après la conférence d’Évian. Refuser les réfugiés tient lieu de politique commune aux États froids et veules, qui se satisfont des pertes humaines en temps de paix comme dans la guerre. Et tant de citoyens en âge de voter, perdus pour la raison, se fichent aujourd’hui du destin des musulmans comme ils se fichaient jadis du sort des juifs. Fortifiés par de telles masses électorales, les soi-disant responsables des prétendues démocraties se font scélérats d’État. Emmanuel Macron invite à ne « jamais céder à l’émotion ». Angela Merkel, qui passait pour l’ultime digue contre « l’orbanisation » de l’Europe, rend les armes face au premier ministre hongrois Viktor Orbán : « La Hongrie fait le travail pour nous », a-t-elle glissé dimanche 10 juin sur la chaîne de télévision publique allemande ARD.

      Comme à contre-courant, Justin Trudeau, le premier ministre du Canada, s’est repenti, le mois dernier, au sujet du refus de son pays d’accepter de recevoir les passagers errants du Saint-Louis en 1939 : « Ces excuses ne pourront pas ramener ceux dont la vie a été volée ni réparer les vies brisées par cette tragédie. Cependant, nous avons la responsabilité commune de reconnaître cette réalité difficile, d’en tirer des leçons, et de continuer à nous dresser contre l’antisémitisme tous les jours. C’est ainsi que nous donnerons un sens au vœu solennel : “Plus jamais.” »

      Faudra-t-il attendre 2098 pour que des regrets officiels se manifestent à Paris, Rome, Budapest, Londres ou Berlin, au sujet de la disgrâce européenne imposée en 2018 aux réfugiés de l’Aquarius ? Faudra-t-il qu’entretemps une calamité géopolitique – dont cet épisode aura été annonciateur – ait à nouveau ravagé les peuples et les consciences, pour que l’aveuglement laisse place à la solidarité ?

      Une chanson pour finir. Et pour comprendre à quel point nous avons régressé depuis une cinquantaine d’années. En 1967-1968, alors que l’Occident prônait l’ouverture, l’accueil, le brassage, la rencontre et l’hybridation dans le sillage de l’après-guerre et de la décolonisation, triomphait une comédie musicale : Hair. C’est désormais notre Atlantide. Aquarius était son titre phare. Aquarius, en anglais, signifie « verseau », la constellation du porteur d’eau, dont l’ère tant attendue devait advenir : « La paix guidera les planètes/ Et l’amour conduira les étoiles (Then peace will guide the planets/ And love will steer the stars). »

      Regardez, ci-dessous, dans le film de Miloš Forman (Hair, 1979), comment la diversité engendrait alors la richesse, au lieu de provoquer la suspicion. Écoutez ces paroles, aujourd’hui incroyables, annonçant « Harmonie et compréhension (Harmony and understanding), illumination séraphique (Angelic illumination) », avec cet hymne propre à un monde englouti : « Guidé par les forces cosmiques, prends soin de nous, ô verseau (Guided by the cosmic forces/ O care for us/ Aquarius). » C’était hier ; c’était il y a mille ans, hélas !…


      https://www.mediapart.fr/journal/international/150618/du-saint-louis-l-aquarius-80-ans-d-abomination-envers-les-refugies?onglet=

    • EU inaction over Mediterranean migrants is criminal

      Frederic Penard of SOS Mediterranee urges EU member states to adopt immediately an adequate and common response plan to the ongoing crisis in the Med

      The extraordinary support we have received from European civil society since we were first refused a port of safety for the 630 people who were stranded on the Aquarius shows that citizens are wiser than their leaders (Report, 13 June). By showing their attachment to human life and dignity first, they contrast with the European heads of state and governments for whom this intolerable journey should be a wake-up call. To those EU leaders who would like us gone, we repeat that, as a maritime and humanitarian organisation, our only aim is to save and preserve life according to the law of the sea; and to bear witness on behalf of civil society to the ongoing tragedy in the Mediterranean.

      To those who’ve been supportive, we are sincerely thankful. Nevertheless, we have to remind them that as EU member states, they are co-responsible for the situation in the Mediterranean. By contributing to the training and financing of the Libyan coastguard, they are consciously participating in interceptions of boats in distress, which not only result in people being sent back to the Libyan hell, but also gravely jeopardises safe, efficient and professional search and rescue activities in international waters. To those of them who have been indifferent to our repeated calls for more coordinated search and rescue capacity in the central Mediterranean and for a European response to the drama on our common shores, we say that time has come to wake up. We urge all EU states to adopt immediately an adequate and common response plan to this tragedy: a European rescue fleet must be deployed and a EU-shared policy must be found for the safe disembarkation of the rescued people in the nearest port of safety.

      Indifference has resulted in too many deaths; inaction is criminal. As long as there will be people risking their lives at sea, SOS Méditerranée will pursue its mission in the international waters at the doorstep of Europe to search, rescue and testify.
      Frédéric Penard
      Director of operations, SOS Méditerranée


      https://www.theguardian.com/world/2018/jun/17/eu-inaction-over-mediterranean-migrants-is-criminal?CMP=share_btn_tw

    • L’Italie ferme ses port(e)s

      Cette semaine, en effet, ça se passe beaucoup à Rome ! Nous avons tous entendu parler de l’interdiction faite au navire Aquarius de débarquer en Italie les près de 700 migrants secourus par son affréteur l’ONG SOS Méditerranée. Cette décision du gouvernement italien a été inspirée et incarnée par son ministre de l’Intérieur, le très télégénique chef du parti d’extrême-droite : la Ligue. Pas plus tard qu’hier, ce même Matteo Salvini en a rajouté une couche : aucun navire d’ONG n’accostera plus en Italie. Mais c’est fou ça !

      Pourquoi ? Car, qu’il y ait des ONG humanitaires ou qu’il n’y en ait pas, les personnes qui sont déterminées à traverser la Méditerranée pour rejoindre l’Europe le font. De plus, les navires des ONG sont équipés pour faire de l’humanitaire : sur l’Aquarius, il y a des vivres, des équipements médicaux, du personnel médical. Les cargos, les tankers, les chalutiers, lorsqu’ils se déroutent pour sauver les passagers d’une embarcation en détresse, eux, ne sont pas tout armés pour recueillir des personnes migrantes en train de couler.

      Mardi dernier, quelque-part au milieu de la mer Méditerranée. Un navire de la sixième flotte de la marine américaine, l’USS Trenton, se porte au secours de 40 naufragés. Malheureusement, précise le communiqué du 14 juin, concentré sur ce sauvetage, l’équipage n’a pu repêcher les douze cadavres qui flottaient au milieu des vivants. Ben oui : les navires militaires, jusqu’à preuve du contraire, ne sont équipés ni d’hôpital ambulant, ni de cellule de soutien, et encore moins de chambre froide. C’est important, pourtant, de donner au corps une sépulture, et d’identifier les morts.

      Salvini et le gouvernement populiste italien s’en prennent aux ONG. Vont-ils aussi interdire l’accostage dans leurs ports des navires militaires de l’Otan ? De leur propres gardes-côtes ? Vont-ils tomber sur la tête au point de se soustraire aux obligations du droit de la mer qui les oblige, en tant qu’Etat, à porter secours ?

      Avec Salvini, tout est possible... Ce gouvernement, au pouvoir depuis moins d’un mois, a mis dans son programme qu’il expulserait d’Italie les centaines de milliers de ressortissants étrangers déboutés du droit d’asile ou sans permis de séjour. En attendant, ce gouvernement, dont le président, Giuseppe Conte, était reçu par Emmanuel Macron à Paris vendredi, s’en prend aux ONG. Et, contrairement à une autre partie très importante de la société italienne qui se mobilise pour accueillir les personnes migrantes, les électeurs qui ont voté pour les deux partis au pouvoir, la Ligue et le Mouvement Cinq Etoiles, applaudissent des deux mains. S’ils apprécient la dureté et le peu d’humanité de leur gouvernement, c’est non seulement car ils sont souvent en phase avec le caractère xénophobe du programme de ces deux partis, mais c’est aussi car ils en ont marre que, depuis plusieurs années, les autres pays de l’Union européenne, notamment la France qui cadenasse sa frontière avec l’Italie, les laissent seuls face à ces arrivées de personnes migrantes, qui plus est dans ces conditions tragiques.
      Un « axe » qui fait tourner les têtes

      Car il n’y a pas que les Romains, en fait : ils sont nombreux, les dirigeants Européens à être tombés sur la tête cette semaine ! Les ministres de l’intérieur de trois pays, Salvini pour l’Italie, Kickl pour l’Autriche, Seehofer pour l’Allemagne, ont ainsi appelé à la constitution d’un « axe de la volonté ». De la volonté de quoi ? De renvoyer manu militari à la frontière toute personne entrée sans papier sur leur territoire. Les renvoyer où alors ? Dans le pays frontalier qu’elles auraient traversé précédemment ? A la mer ? Le gouvernement autrichien, que dirige Sebastian Kurz chef de l’ÖVP de droite, en coalition avec le FPÖ d’extrême droite, a déjà proposé, la semaine précédente, avec Lars Lokke Rasmussen, son homologue danois, d’ouvrir des centres d’examens des demandes d’asile à l’extérieur de l’UE, pourquoi pas dans les Balkans occidentaux, et d’y amener les demandeurs d’asile. De cette façon, ceux qui seraient déboutés ne seraient déjà plus dans l’UE.

      Il y a donc une ligne de front le long de laquelle s’affrontent deux conceptions du territoire européen : l’hospitalité et la xénophobie. La seconde est maintenant au gouvernement en Italie, en Autriche, au Danemark, en Hongrie, en République tchèque, en Slovaquie, et en Pologne. En France et en Belgique, les politiques publiques mises en œuvre glissent petit à petit de l’hospitalité vers le rejet et la fermeture. Cette semaine, le gouvernement français n’a pas voulu accueillir l’Aquarius, soit disant pour ne pas céder au chantage de Matteo Salvini. Résultat, c’est l’Espagne du tout nouveau gouvernement socialiste de Pedro Sanchez, pourtant bien plus éloignée de la Sicile, qui a proposé un de ses havres à l’Aquarius. En Allemagne, le ministre de l’intérieur, issu du parti qui dirige la Bavière, s’oppose, comme on vient de le voir, à la politique d’hospitalité et d’intégration voulue par sa cheffe de gouvernement.

      Les Européens sont donc divisés entre eux, et cette division passe au sein de chaque état-membre de l’UE. Les chefs d’État et de gouvernement vont se réunir les 28 et 29 juin prochains : ils sont censés se mettre d’accord sur une politique de migration et d’asile européenne. Une de ces deux lignes l’emportera-t-elle ? Un compromis ou une synthèse est-elle possible ? L’UE va-t-elle se briser sur la politique migratoire ? Jusqu’à quel point marchons-nous, nous les Européens, sur la tête ?

      Défié par son propre ministre de l’Intérieur qui prône cet axe des pays européens volontaires pour refouler les migrants, la chancelière d’Allemagne, Angela Merkel et la Commission européenne se battent pour un « dispatching » équilibré des migrants dans tous les pays de l’UE au delà du pays par lequel ces personnes arrivent en Europe. Elles proposent de mettre en place une procédure européenne d’instruction des demandes d’asile, de façon à éviter que l’étude des dossiers incombent uniquement aux pays d’entrée. Au passage, gardons bien en tête le nombre de personnes concernées. Selon Eurostat, citée par Euractiv.fr, le nombre de demandes d’asile est passé en UE de 563 000 en 2014 à environ 1,2 million en 2015 et 2016, au plus fort de la crise. En 2017, 650 000 demandes enregistrées. Si l’Allemagne, qui a suspendu l’application du règlement de Dublin au plus fort de la crise, récupère toujours la majorité des demandes (31% de l’ensemble des demandes en UE), l’Italie (20%) et la Grèce (9%) sont respectivement à la deuxième et quatrième place en raison de leurs situations aux portes de la Méditerranée.
      Ce qui est en cause, c’est donc ce qu’on appelle la convention de Dublin sur l’asile dans l’UE. Les 26 états-membres de l’espace Schengen de libre circulation (dans cet espace, les individus passent d’un pays à l’autre avec une simple carte d’identité et sans obligation de la montrer à la frontière) ont décidé que toute demande d’asile devait forcément être instruite par le pays d’entrée. Deux façons de réformer cette procédure qui n’est plus adaptée se font face : soit, au mépris de l’État de droit et des conventions internationales, on refoule les entrants et on examine leur demande dans des camps extra-territoriaux. C’est ce qui correspond aux propositions des gouvernements où l’extrême-droite est maintenant au pouvoir.

      Cela prolongerait et amplifierait ce que l’UE appelle ses hotspots : des centres installés dans plusieurs pays voisins qui sont sur les routes qui mènent des pays en guerre ou en crise que fuient les migrants vers l’UE, centres vers lesquels ils sont dirigés et retenus par les gouvernement locaux, pour que les fonctionnaires européens y examinent les demandes d’asile. Cette politique consiste, de plus en plus, en une diplomatie du carnet de chèque de moins en moins soucieuse du droit d’asile et des conventions de Genève réputées protéger les personnes en danger. Depuis 2015, la Turquie a ainsi coupé la route à des centaines de milliers de syriens fuyant la guerre civile ; elle les héberge dans des camps humanitaires financés par l’UE. L’Italie et l’UE ont passé des accords de même type avec la Libye pour les personnes fuyant la guerre au Soudan ou en Somalie, notamment. Mais, en Libye, ces personnes vivent un véritable enfer... pour partie financé par les accords avec l’UE.
      Vers un « axe de l’hospitalité » ?

      Les institutions de l’UE prévoient ce qui s’appelle des coopérations renforcées : un groupe de pays membre de l’UE peut mettre en œuvre une politique publique européenne si les autres ne s’y opposent pas. On pourrait imaginer que les pays hospitaliers refusent les propositions des pays actuellement gouvernés par l’extrême-droite de renvoi et d’externalisation ; et qu’ils obtiennent que les gouvernements xénophobes de ces pays ne s’opposent pas aux propositions de mutualisation de l’asile par les gouvernements des pays hospitaliers.

      Ceci ne serait pourtant que du court terme. À long terme, il s’agit de changer de discours et de regard sur la réalité migratoire. Il s’agit d’arrêter de marcher sur la tête, et de retomber sur nos pieds. Et là, cette semaine, ça se passe à Bilbao. Dans la capitale du pays basque espagnol qui est aussi une des plus belles villes d’Espagne, un allemand, Rainer Haas, s’est levé et a dit : « L’Union européenne doit adopter une législation unique sur les migrations ». Mais qui est Rainer Haas ? Il n’est que co-président du Conseil des communes et régions d’Europe (CCRE) et président du Comté de Ludwigsbourg (Allemagne). C’était mercredi dernier, en clôture de la conférence « Égalité, Diversité et Inclusion » organisée par le CCRE.

      Ce conseil regroupe toutes les collectivités locales d’Europe. Il n’a certes pas de pouvoir ni de souveraineté. Mais enfin, sur le terrain, c’est dans les collectivités territoriales que ça se passe. Rainer Haas a souligné l’impact positif de l’intégration des réfugiés et des demandeurs d’asile sur l’économie locale et régionale. « Actuellement, rapporte Euractiv.fr, notre taux de chômage dans la région oscille autour de 3 %, ce qui signifie le plein emploi. C’est le taux de chômage le plus bas depuis de très nombreuses années. ». Sa ville de Ludwigsbourg a intégré 11 000 réfugiés, soit l’équivalent de 2 % de la population locale.

      C’est la fermeture des voies d’accès légales à la migration vers l’Europe qui est à l’origine des trafics de passeurs et des morts en Méditerranée, ce n’est pas le projet migratoire lui même ! Au contraire, ces tragédies et ces crispations prouvent par l’absurde et de façon inhumaine et bien peu urbaine, que rien, même le risque de mourir, n’entame la détermination du petit nombre de personnes qui sont résolues à venir en Europe. Alors que les économistes, les démographes et les employeurs expliquent que l’Europe a rationnellement besoin de la venue de personnes migrantes, on pourrait peut-être mobiliser nos intelligences collectives et les formidables ressources de nos administrations si développées et si ingénieuses pour valoriser ces énergies, cette motivation, ces qualifications... avec lesquels ces candidats à des papiers européens font corps : le leur ! On pourrait peut-être trouver d’autre mode de sélection que la traversée de la Méditerranée au péril de sa vie, non ? Seuls les survivants auraient droit, et encore, à un permis de séjour ?

      Si donner des permis de séjour fait si peur à certains, on pourrait inventer des permis de circuler entre plusieurs pays. La France empêche les demandeurs d’asile de travailler, dans l’espoir de paraître une terre inhospitalière. L’Allemagne au contraire autorise les demandeurs d’asile à travailler peu de temps après le dépôt de la demande, de façon à ce que les gens se sentent bien et utiles le plus vite possible, et mènent une vie normale.... Il n’est pas surprenant qu’elle soit devenue une destination souhaitée par beaucoup.

      A Bilbao, Bart Sommers, maire de Malines en Belgique, a souligné l’impact positif de l’intégration des migrants. « Nous avons 138 nationalités différentes et nous avons plus de musulmans dans notre ville que la Hongrie et la Slovaquie réunies. » "Peut-être que Monsieur Orbán, [premier ministre hongrois depuis 2010 dont l’idéologie illibérale est très anti migrants], pourrait nous rendre visite", a-t-il ajouté.

      Mais ils sont fous ces Européens !


      https://www.explicite.info/articles/1003-leuroscope-de-la-semaine

      #aquarelle #dessins

    • La Spagna accoglie l’Aquarius, ma l’azione delle ong si restringe

      Il sole è già alto nel cielo e l’aria è ferma, il rumore dell’elicottero della polizia spagnola a bassa quota non dà tregua. Dopo otto giorni in mare e 1.300 chilometri percorsi in condizioni non sempre favorevoli per la navigazione, alle 10.25 del 17 giugno la nave umanitaria Aquarius appare all’orizzonte ed entra nel porto di Valencia, scortata da un’imbarcazione della guardia civil, da una della guardia costiera e dalle lance dell’ong Proactiva Open Arms.

      Aquarius sfila con il suo scafo arancione davanti alle televisioni di tutto il mondo schierate sul molo, mentre dal ponte i naufraghi intonano un canto. Sulla banchina gli operatori che aspettavano l’attracco dalle prime luci dell’alba si lasciano andare a un applauso. I medici e gli operatori sanitari spagnoli sono i primi a salire a bordo della nave diventata il simbolo della chiusura verso i migranti del nuovo governo italiano e della crisi politica che rischia di mandare in pezzi l’intera Unione europea.

      Circa un’ora dopo, le 106 persone soccorse al largo della Libia scendono dalla scaletta, tra loro undici bambini e sette donne incinte. L’ultimo a lasciare la nave è Reward, un ragazzo nigeriano, che scherza con i soccorritori. Per salutarlo uno degli operatori prende un’armonica e si mette a suonare. Dopo lunghi giorni di tensione, esplode la gioia. Un agente della guardia civil spagnola schierata allo sbarco non riesce a trattenere il sorriso. “Il momento più difficile è stato quando abbiamo dovuto spiegare ai migranti quello che stava succedendo”, ricorda Alessandro Porro, soccorritore di Sos Méditerranée e operatore della Croce rossa, originario di Asti, in Piemonte. “I migranti temevano di essere rimandati in Libia”.

      La rotta spagnola
      Alle 13.30 attracca la nave Orione della marina militare italiana, nave Dattilo della guardia costiera era sbarcata all’alba. Tutti i 630 migranti respinti il 10 giugno dall’Italia sono finalmente arrivati in un porto sicuro. Più di cento sono portati in ospedale, ma solo sei sono ricoverati. Le operazioni di sbarco vanno avanti per tutto il giorno e si concludono verso le 19.30, quando le autorità spagnole definiscono Valencia “capitale europea della solidarietà” e si dichiarano soddisfatte della buona riuscita del piano di emergenza che hanno chiamato “speranza nel Mediterraneo”.

      “Siamo contenti che questa inutile Odissea sia finita”, commenta la portavoce di Sos Méditerranée Mathilde Auvillain subito dopo lo sbarco dell’Aquarius. “L’accoglienza da parte degli spagnoli è stata molto umana, sono stati condotti prima i controlli medici e poi le identificazioni da parte della polizia”, continua. Il comune di Valencia ha preparato un’accoglienza imponente con la partecipazione di più di 2.300 operatori e funzionari, tra cui 800 volontari della Croce rossa. “Un aspetto che mi sembra molto positivo è il fatto che siano stati coinvolti circa 400 mediatori culturali e questo permetterà ai profughi di essere seguiti con attenzione durante le procedure di registrazione e di identificazione, fondamentali per la richiesta di asilo”, conclude. I migranti riceveranno un permesso umanitario valido per 45 giorni poi dovranno accedere alla procedure di richiesta di asilo ordinaria.

      Ma non tutti condividono la speranza che le sofferenze e gli ostacoli per queste persone siano terminati. Una parte dei migranti appena arrivati sarà trasferita in Francia, perché il governo di Emmanuel Macron ha comunicato la sua disponibilità, ma non vengono diffusi troppi dettagli su questa opzione. Mentre in particolare i migranti di origine algerina e marocchina rischiano di essere rimpatriati. Durante lo sbarco nel porto di Valencia, un gruppo di attivisti protesta davanti alla sala stampa.

      “Nessuno è illegale”, gridano. Denunciano le politiche di respingimento della Spagna nei confronti dei migranti nelle enclave di Ceuta e Melilla in Nordafrica e chiedono la chiusura dei centri di detenzione per il rimpatrio nella penisola iberica. “Molti dei migranti appena arrivati sono algerini e marocchini e dopo questo lungo calvario durato giorni in mare, ora rischiano di finire in un centro di detenzione per 60 giorni”, afferma Iñigo, un attivista della Campagna per la chiusura dei Centri di detenzione (Cie) mentre arrotola lo striscione con la scritta “No Cie” per tornarsene a casa dopo il sit in.

      La Spagna è il paese europeo con più immigrati in relazione alla popolazione (il 10 per cento) e il secondo paese dopo la Germania in termini assoluti con 6 milioni di immigrati. Ma è anche uno dei primi stati europei ad aver investito sulla militarizzazione della frontiera, tanto che le recinzioni di Ceuta e Melilla, costruite negli anni novanta, sono diventate il simbolo della cosiddetta Fortezza Europa.

      Negli ultimi due anni però la Spagna ha registrato a un nuovo aumento degli arrivi via mare in particolare dall’Algeria e dal Marocco. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nei primi sei mesi del 2018, in Spagna sono arrivati più di 14mila migranti, il 50 per cento in più di quelli arrivati nello stesso periodo del 2017, ma più o meno in linea con il numero di persone arrivate in Italia nei primi sei mesi del 2018 attraverso la rotta del Mediterraneo centrale. Solo nel finesettimana appena trascorso, la guardia costiera spagnola ha soccorso 1.290 persone nello stretto di Gibilterra e al largo delle isole Canarie. Nelle operazioni sono stati recuperati quattro cadaveri e 43 persone risultano disperse. I numeri della rotta spagnola sono destinati ad aumentare, secondo Frontex, ma nonostante questo, anche la Spagna è stata accusata dal governo italiano di non “fare la sua parte” sull’immigrazione.

      Un punto di non ritorno?
      Qualche ora dopo l’arrivo a Valencia, il coordinatore delle operazioni della nave Aquarius di Sos Méditerranée Nicola Stalla confessa tutto il suo sconcerto per l’esperienza appena vissuta. Originario di Alassio, in Liguria, e con una lunga esperienza alle spalle da coordinatore della missione, Stalla non avrebbe mai pensato che la Centrale operativa della guardia costiera di Roma avrebbe potuto ordinare alla nave Aquarius di attraccare a Malta, dopo aver coordinato i drammatici soccorsi di sabato notte.

      “Domenica sera ci siamo resi conto che quella decisione da parte di Roma ci avrebbe messo in una condizione di stallo pericolosa”, afferma. “Il nostro timore era quello di esaurire i viveri nel giro di poche ore, mentre Italia e Malta si rimpallavano le responsabilità”, racconta. Per Stalla la lunga traversata dell’Aquarius è la dimostrazione che i porti spagnoli e francesi non possano essere considerati un’alternativa valida a quelli italiani per i migranti soccorsi al largo della Libia.

      Il coordinatore della missione definisce “inumano e irrealistico” pensare che i migranti debbano essere sbarcati in Spagna o in Francia. “I giornalisti che erano a bordo hanno documentato cosa significhi sottoporre queste persone così vulnerabili a un viaggio lungo attraverso il Mediterraneo, un mare tutt’altro che facile per una nave sovraccarica in certe condizioni del meteo”.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/06/17/aquarius-valencia-ong

    • @stesummi fait, dans cet article, un lien entre ce qui se passe en Méditerranée, la fermeture des ports, et les discussions sur la réforme du #règlement_Dublin...

      Riformare Dublino ? Campa cavallo

      Nonostante la portata simbolica, giuridica e umana della chiusura dei porti a diverse navi di ONG, Matteo Salvini riuscirà difficilmente ad imporre ai paesi europei una maggior solidarietà nei confronti dell’Italia, ritengono diversi esperti. Il caso Aquarius ha reso ancor più evidente la frattura in seno all’Unione e l’incapacità dei paesi membri di trovare una risposta comune alla sfida del secolo.

      https://www.tvsvizzera.it/tvs/vicenda-aquarius_riformare-dublino--campa-cavallo/44198368
      #Dublin_IV #Dublin

    • Aquarius, una nave ostaggio della politica

      Concesso: l’Italia non può essere lasciata sola dall’Unione Europea a gestire il flusso di immigranti che attraversano il Mediterraneo partendo dall’Africa. Così come non può essere lasciata sola la Grecia, che ospita centinaia di migliaia di persone che la raggiunsero dalla Turchia due anni fa. Su questa sfida si misura la statura morale e politica dell’idea di comunità europea. Che per ora appare bassa. Ma la decisione del ministro degli interni italiano Matteo Salvini di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius della ong italo-franco-tedesca Sos Mediterranée con 629 persone a bordo (dando così prova di essere il vero capo del governo, visto che la competenza spettava in realtà ad un altro ministero) è una brutta notizia per chi ha a cuore il diritto e l’impegno umanitario.

      La decisione del governo italiano è un atto illegale, contravviene alla Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (ratificata dall’Italia nel 1989), la quale impone non solo il salvataggio in mare ma anche il trasferimento in luogo sicuro. Ed essendo stata la Aquarius incaricata dalla guardia costiera di Roma di portare in salvo le 629 persone, raccolte in diverse operazioni al largo della Libia, la chiusura dei porti ordinata da Salvini risulta ancora più assurda, tanto più che i porti restano aperti alle navi militari italiane, una delle quali ha portato oltre 900 migranti a Catania.

      Evidentemente il ministro degli interni e capo della Lega voleva mandare un segnale «forte» anche alle ong che in questi anni si sono prodigate per salvare più vite possibile sul Mediterraneo (essendo le forze messe in piedi dall’Unione europea insufficienti), da lui accusate di favorire l’immigrazione clandestina e di fare affari con i passatori. Ma il messaggio più forte è rivolto all’Unione Europea, che non riesce a riformare l’accordo di Dublino sul primo asilo e mettere d’accordo i suoi Stati membri sulla redistribuzione dei profughi, di cui si fa attualmente carico soprattutto l’Europa meridionale. Una redistribuzione cui si oppongono in particolare gli Stati del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia), con l’appoggio dell’Austria, con cui Salvini si sente maggiormente in sintonia.

      Ma è questa la strada per far crescere la solidarietà all’interno dell’Ue? O non è piuttosto un tentativo di minarla dall’interno, scatenando una litigiosità su un tema altamente delicato? Se il presidente francese Macron non è la persona più indicata per dare del «cinico» a Salvini (visto che il suo paese ha più volte chiuso le frontiere ai migranti che volevano raggiungerla dall’Italia), quale altro titolo può essere assegnato ad un ministro che gioca sulla pelle di centinaia di persone per raggiungere i suoi scopi politici ed elettorali?

      http://www.azione.ch/editoriale/dettaglio/articolo/aquarius-una-nave-ostaggio-della-politica.html

    • [L’intervista] #De_Falco, il comandante dei Cinque Stelle: “Salvini si rassegni: i naufraghi in mare vanno salvati”

      Parla l’ufficiale di Marina #Gregorio_De_Falco che la notte del 13 gennaio 2012 ordinò al capitano Schettino della Cosa Concordia di “tornare subito a bordo”. Il senatore 5 Stelle ricorda al ministro dell’Interno che il governo è “un organo collegiale”. Ma riconosce al segretario della Lega di aver ragione su Malta: “Non può continuare a sottrarsi”. Da sue ricerche la nave della Ong Lifeline è olandese. Insensato parlare di “blocco navale”. E assurdo ipotizzare di arretrare le navi rispetto alla zona dei salvataggi. “Le Capitanerie non lo faranno…

      http://notizie.tiscali.it/politica/articoli/intervista-de-falco-fusani

      v. anche:
      L’ex M5s De Falco: «Salverò i migranti. La legge del mare è superiore a quella di Salvini» - L’intervista
      https://www.open.online/primo-piano/2019/04/06/news/de_falco_intervista-187159

    • Corsica offers to take migrant boat

      The speaker of Corsica’s regional parliament, Jean-Guy Talamoni, said Monday that the French island was ready to open its port to the Lifeline, the boat of German NGO Mission Lifeline with some 230 migrants on board. Italy and Malta have refused to let the boat dock on their territory, as has Spain, which accepted the Aquarius, another boat, earlier this month.

      https://euobserver.com/tickers/142192
      #Corse

    • Publié par Fulvio Vassallo sur FB, le 27.06.2018:

      La Lifeline sta attraccando a Malta. Tra poco Muscat -su ordine di Salvini- la sequestrera’.

      I servizi giornalistici confermano che si contesta al comandante, che verrà arrestato, il grave fatto di non avere obbedito agli ordini provenienti dalla Centrale Operativa della Guardia costiera italiana di consegnare i naufraghi alle motovedette libiche, se non portarli direttamente in un porto libico.

      Sotto processo chi ha rispettato le regole delle Convenzioni internazionali, legittimati gli ordini illegittimi di riconsegna ai libici. Ai libici dai quali fuggono persone vittime di abusi e violenze che Salvini definisce soltanto come «retorica». Ma per la Direzione Distrettuale antimafia e per il Tribunale di Ragusa la Libia non offre «porti sicuri di sbarco».

      Questa e’ la fine del diritto internazionale. Ma anche dello stato di diritto in Italia.

      https://www.facebook.com/fulvio.vassallo.3/posts/10156549963911926

    • Pubblicato da Fulvio Vassallo, il 27.06.2018, su FB:

      Provata la prassi adottata dalla Centrale operativa della Guardia Costiera italiana (IMrcc) di Roma che ha ordinato al comandante della Lifeline, prima di riconsegnare i migranti alle motovedette libiche e poi di dirigere direttamente su Tripoli, per una «rendition» dei naufraghi agli agenti delle unità antimmigrazione del governo Serraj. Si tratta di ordini illegittimi, mai impartiti prima, frutto delle direttive informali impartite da Salvini e Toninelli. Più mettono sotto accusa le Ong, piu’ aprono processi contro gli operatori umanitari, piu vengono fuori le magagne della Guardia costiera ( e della Marina) italiana. Siamo solo all’inizio. Verranno fuori tracciati, notam, mappe, registrazioni e testimonianze . Vedremo alla fine chi ha rispettato la legge e le convenzioni internazionali e chi le ha violate. Se da qualche parte esistono ancora giudici indipendenti, come i giudici di Palermo e di Ragusa che hanno scritto nelle loro sentenze che in Libia non esistono «porti sicuri di sbarco».

      https://www.facebook.com/fulvio.vassallo.3/videos/10156550134361926

    • Una zona SAR per la “Libia” che non esiste. Si perfeziona la politica dell’annientamento.

      Sull’onda dei successi delle manovre di criminalizzazione delle ONG avviate lo scorso anno durante il governo Gentiloni-Minniti, dopo le operazioni di “soccorso” in acque internazionali delegate ai guardiacoste di Tripoli, giunge la notizia che l’IMO (Organizzazione delle Nazioni Unite per la navigazione matrittima internazionale) avrebbe inserito nei suoi data base una zona SAR “libica” con la indicazione di una Centrale operativa di coordinamento.

      https://www.a-dif.org/2018/06/28/una-zona-sar-per-la-libia-che-non-esiste-si-perfeziona-la-politica-dellannien

    • La Libia ha dichiarato la sua zona SAR: lo conferma l’IMO

      Tripoli definisce una propria area di ricerca e soccorso riconosciuta dall’Organizzazione Marittima Internazionale. Una svolta che complica ulteriormente la situazione, rendendo ancora più incerto il futuro di chi è intrappolato in Libia e il ruolo delle navi umanitarie. Diverse le domande, prima tra tutte: come si può affidare la responsabilità del soccorso a un Paese che non può essere considerato “Place of Safety”?

      http://www.vita.it/it/article/2018/06/28/la-libia-ha-dichiarato-la-sua-zona-sar-lo-conferma-limo/147392
      #SAR #Libye #it_has_begun #sauvetage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #zone_SAR

    • Colau ofrece Barcelona como “puerto seguro” para acoger migrantes a la deriva

      La alcaldesa de la capital catalana apela directamente al presidente Pedro Sánchez y la vicepresidenta Carmen Calvo para ayudar a la oenegé Open Arms “a salvar vidas”

      http://www.lavanguardia.com/politica/20180624/45375909848/ada-colau-barcelona-puerto-seguro-migrantes-deriva.html
      #Barcelone

      #Berlin aussi a déclaré vouloir accueillir des demandeurs d’asile de la #Lifeline...
      Berlin will Flüchtlinge aufnehmen
      http://www.taz.de/!5516521

      –-> je vais mettre les infos concernant les villes qui se sont déclarées prêtes à accueil des migrants sur ce fil autour des #villes-refuge : https://seenthis.net/messages/656848

    • Les ONG ne sont pas les complices des passeurs

      Non seulement les opérations de secours en mer sauvent des personnes de la noyade, mais elles œuvrent à leur évacuation en situation de danger immédiat dans leur pays, rappelle MSF.

      La Méditerranée est devenue depuis trois semaines l’arène au sein de laquelle les Etats européens s’adonnent à des jeux politiques sordides aux dépens de la vie de milliers de personnes et mettent en scène la fermeture de leur territoire. Dernier épisode en date, le 26 juin, commentant l’opération de sauvetage du Lifeline, un navire d’une organisation non gouvernementale et son débarquement accordé in extremis par Malte, le président Emmanuel Macron l’accuse d’être « intervenue en contravention de toutes les règles et des garde-côtes libyens » et ainsi d’avoir « fait le jeu des passeurs ». Poursuivant, il regrette qu’« au nom de l’humanitaire », il puisse n’y avoir « plus aucun contrôle ».

      Ainsi, c’est l’ensemble des organisations humanitaires de secours en mer qui se retrouvent qualifiées de complice des trafiquants. Une accusation aussi absurde qu’inacceptable. Les ONG n’agissent en mer que sur instruction du centre de coordination des secours maritimes italien. Emmanuel Macron oublie également, à l’instar de ses homologues européens, que les opérations non-gouvernementales ne secourent qu’une minorité de celles et ceux qui sont sauvés en mer, la plupart l’étant par les garde-côtes italiens et des navires marchands. Plutôt qu’encourager les migrants à prendre la mer dans des conditions périlleuses, nous disent les responsables européens, il s’agit de confier la responsabilité du sauvetage aux garde-côtes libyens, ainsi que celui de la surveillance des côtes pour empêcher les départs. Comme s’en félicite le porte-parole du gouvernement Benjamin Griveaux, « grâce à un investissement que la France et l’Union européenne auprès des autorités libyennes », le rythme des traversées a considérablement ralenti.

      Ce résultat a été obtenu au prix de mesures révoltantes. Car les Européens dans leur ensemble, et la France et l’Italie au premier chef, encouragent l’interception en mer, le refoulement et le maintien en Libye de milliers de personnes qui y ont enduré des mois, et même pour certains des années, de privations, d’extorsion, de torture et d’esclavage. Personne n’ignore plus en effet ces sévices depuis la publication de nombreux rapports, dont ceux issus de notre travail dans le pays, en Libye ainsi que la diffusion CNN de la vidéo d’un marché aux esclaves en octobre dernier. Le président Macron n’hésitait pas lui-même à qualifier de « crimes contre l’Humanité » les faits d’esclavage en Libye en novembre dernier.

      Depuis le début de l’année 2018, ils sont déjà plus de 10 000 à avoir été interceptés et refoulés par les « garde-côtes libyens », bannière regroupant des groupes disparates de militaires et milices en armes. Des garde-côtes que l’Union européenne finance et forme, malgré la porosité de certains de ces groupes avec les trafiquants d’êtres humains comme cela a été largement démontré. Pour rappel, le Conseil de sécurité de l’ONU a sanctionné le 7 juin dernier six personnes, dont quatre Libyens, à la tête de réseaux de trafiquants : parmi eux, un des chefs des garde-côtes de la ville de Zawiya. Pourtant, par un tour de passe-passe tragique, la France se satisfait aujourd’hui, à l’instar de l’Italie, de sa coopération – de sa complicité ? – avec ces autorités aux contours flous et dont on sait qu’elles maltraitent les migrants et organisent elles-mêmes parfois leur passage.

      Une fois reconduites dans les centres de détention, les personnes interceptées seront pour la plupart soumises à un chantage de fait : rester enfermées dans ces cages fétides des mois encore ou bien se résoudre à intégrer le programme de « retours volontaires » dans leur pays d’origine organisé par l’Organisation internationale des migrations. Bien que certains d’entre eux accueillent ces propositions avec soulagement, d’autres ne s’y soumettent que pour échapper au pire. Quelques-uns finiront par bénéficier de la protection du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, seront envoyés au Niger en attente d’une hypothétique relocalisation dans un pays européen. Mais leur nombre est terriblement faible – un peu moins de deux cents depuis la fin de l’année 2017 – au regard des dizaines de milliers de personnes reconnues demandeuses d’asile en Libye.

      A ce regard, rien ne fonctionne : il n’existe aucun système d’enregistrement digne de ce nom et les activités du HCR dans le pays sont extrêmement contraintes. Enfin, une partie des personnes interceptées se retrouve à nouveau plongée dans des réseaux de criminalité et enfermée dans des prisons sauvages, où elles sont torturées pour obtenir une rançon de leurs proches. Les migrants détenus en Libye aujourd’hui se trouvent d’ailleurs majoritairement dans ces lieux de captivité clandestins, soumis aux pratiques les plus barbares et parfois tués. MSF sait, pour jouer les fournisseurs de sacs à cadavre à une association locale au nord de la Libye, que ce sont des centaines de personnes qui disparaissent ainsi chaque mois.

      Dès lors, la fuite est pour ses personnes une nécessité bien plus qu’un choix. En ce sens, les opérations de secours en mer des ONG répondent autant à sauver les gens d’une noyade certaine que d’œuvrer à l’évacuation de personnes en situation de danger immédiat.

      L’alternative au secours en mer n’est pas, comme feignent de le croire Emmanuel Macron et Matteo Salvini, sa disparition, mais bien plutôt une capacité accrue pour faire sortir les migrants qui le souhaitent de cette situation où ils connaissent l’enfer, et cela sans que le recours aux passeurs soit leur unique possibilité : sortir d’une logique de détention, accorder toute sa place à la demande d’asile en prenant conscience que certains d’entre eux ne pourront être rapatriés, accélérer les processus de relocalisation dans les pays tiers, y compris en Europe. Que penserait Paul Ricoeur, dont se réclame notre président, d’un de ses disciples faisant de l’ambulancier le complice de l’agresseur ?

      http://www.liberation.fr/debats/2018/06/29/les-ong-ne-sont-pas-les-complices-des-passeurs_1662820

    • Migranti: Toninelli, divieto di attracco per la nave ong #Astral

      «In ragione della nota formale che mi giunge dal Ministero dell’Interno e che adduce motivi di ordine pubblico, dispongo il divieto di attracco nei porti italiani per la nave Ong Astral, in piena ottemperanza dell’articolo 83 del Codice della Navigazione». Lo dice in una nota il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli.

      http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/06/29/migranti-toninelli-divieto-di-attracco-per-la-nave-ong-astral-_d1b9ba19-7f42-44

      Commentaire de Marta Esperti sur FB:

      Decisione puramente politica, l’Astral non ha nessun migrante a bordo tra l’altro. Inoltre Astral è il nome della nave e non della ONG (#Proactiva_Open_Arms). Un’altra decisione meschina ed irregolare.

    • Updated (3): Another battle between Malta, Italy brewing on yet another ship with migrants

      Another battle of words is brewing between Malta and Italy on yet another group of migrants that has been rescued by a ship belonging to a non-governmental organisation.

      Italian Home Minister Matteo Salvini, on Twitter, wrote that Italy will not be accepting the ship with the migrants which, according to him, is closer to Malta.

      But, in a reply, Home Affairs Minister Michael Farrugia said that Lampedusa, which is Italian territory, is closer to the area where the SAR operation took place. The map shows that Lampedusa is 124.99 nautical miles away from the site, while Malta is 141.02 nautical miles away.


      http://www.independent.com.mt/articles/2018-06-30/local-news/Another-battle-between-Malta-Italy-brewing-on-yet-another-migrant-sh

    • "Avete fatto annegare 100 migranti". Open Arms accusa l’Italia

      La ong #Open_Arms accusa la Guardia costiera italiana e quella libica della morte dei migranti annegati in un naufragio al largo della Libia. «Ieri 100 persone sono morte nel naufragio di una barca di fronte alle coste della Libia», afferma la ong, che ha in queste ore nel Mediterraneo la nave Astral, a bordo della quale si trovano 59 migranti soccorsi oggi.

      Open Arms - prosegue il tweet dell’europarlamentare socialista spagnolo Javi Lopez, che si trova a bordo e che in un filmato si sofferma in un colloquio con Oscar Camps, fondatore della ong spagnola - «avrebbe potuto salvarle ma il suo appello è stato ignorato dalla Guardia costiera italiana e da quella libica».Il gommone naufragato tra ieri e giovedì scorso aveva a bordo almeno 120 migranti. Al naufragio sono sopravvissuti in 16. Tra i morti ci sono almeno tre bambini. «L’evento Sar avvenuto nella giornata di ieri e per il quale risultano dispersi circa 100 migranti è accaduto in acque territoriali libiche e non ha visto in alcun modo il coinvolgimento della Centrale operativa della Guardia costiera di Roma». E’ quanto precisa la stessa Guardia costiera in riferimento alla ricostruzione di Open Arms che ha accusato l’Italia.

      https://www.huffingtonpost.it/2018/06/30/avete-fatto-annegare-100-migranti-open-arms-accusa-litalia_a_23471711

    • Migrants rescue boat allowed to dock in Barcelona

      A Spanish rescue boat which plucked 60 migrants from a patched-up rubber dinghy in the Mediterranean Sea near Libya has been given permission to sail to Barcelona, following another political row between Italy and Malta over where the vessel should dock.

      The boat, Open Arms, run by Spanish aid group Proactiva Open Arms, said it rescued the migrants – including five women, a nine-year-old child and three teenagers – after it spotted a rubber boat patched with duct tape floating in the sea. All the migrants appeared in good health.

      Italy’s right-wing interior minister Matteo Salvini quickly declared that the rescue boat “can forget about arriving in an Italian port”, and claimed it should instead go to Malta, the nearest port.

      Malta swiftly pushed back, with its interior minister contending that the tiny Italian island of Lampedusa, south of Sicily, was closer to the boat.

      http://www.itv.com/news/2018-06-30/migrants-rescue-boat-allowed-to-dock-in-barcelona

    • Dopo l’allontanamento delle ONG è strage quotidiana sulla rotta del Mediterraneo centrale

      Nel giorno in cui il ministro dell’interno e vice-presidente del Consiglio rilancia da Pontida l’ennesimo attacco contro le ONG, che vedranno “solo in cartolina” i porti italiani, e mentre tre navi umanitarie sono bloccate nel porto de La Valletta, per decisione del governo maltese, nelle acque del Mediterraneo Centrale si continua a morire. Si continua a morire nell’indifferenza della maggior parte della popolazione italiana, schierata con chi ha promesso che, chiudendo i porti, e le vie di fuga, ai migranti da soccorrere in mare, le condizioni di vita degli italiani colpiti dalla crisi potranno migliorare. Una tragica illusione. Il vero pericolo per tutti oggi non viene dal mare, ma dalla costituzione di un fronte sovranista ed identitario europeo, che potrebbe cancellare lo stato di diritto e la democrazia rappresentativa. E allora non ci sarà più spazio nè per i diritti umani nè per i diritti sociali. i più forti imporranno le loro leggi ai più deboli.

      Questa volta nessuno potrà accusare le navi umanitarie, come hanno fatto fino a oggi direttori di giornali in Italia ed esponenti della sedicente Guardia costiera libica. Adesso i libici, in assenza delle navi umanitarie, sono costretti ad avvalersi delle navi commerciali in navigazione nelle loro acque, per operazioni di soccorso che da soli non sono in grado di garantire, salvo poi attaccare le ONG. Per le persone “soccorse” in mare da questi mezzi il destino è segnato, lo sbarco avviene a Tripoli, porto più vicino ma non “place of safety“, e dopo poche ore, per coloro che sono trasferiti dal centro di prima accoglienza al porto, ai vari centri di detenzione gestiti dalle milizie, il destino è segnato.

      Si ripetono intanto attacchi scomposti contro gli operatori umanitari, che rilanciano la macchina del fango che da oltre un anno si rivolge contro le ONG, accusate di tutti i possibili reati, per il solo fatto di salvare vite umane in mare. Si vogliono eliminare tutti i testimoni dell’Olocausto nel Mediterraneo. Senza un voto del Parlamento si è cercato di introdurre in via surrettizia il reato di solidarietà, in spregio al principio di legalità, affermato dalla Costituzione italiana.

      Questa striscia di morte, che si allunga giorno dopo giorno, con una cadenza mai vista prima, deriva direttamente dalla eliminazione delle navi umanitarie e dall’arretramento degli assetti militari italiani ed europei che in passato, anche se si verificavano gravi stragi, riuscivano tuttavia a garantire più solleciti interventi di soccorso. Il blocco di tre navi umanitarie a Malta, come il sequestro della Juventa lo scorso anno, potrebbero essere stati causa di una forte riduzione della capacità di soccorso in acque internazionali, tra la Libia e ‘Europa, una capacità di soccorso che gli stati non hanno voluto mantenere negli standards imposti dalle Convenzioni internazionali a ciascun paese responsabile di una zona SAR ( ricerca e soccorso). La presenza delle navi umanitarie è stata bollata come un fattore di attrazione delle partenze, se non come vera e propria complicità con i trafficanti, come ha ripetuto in più occasioni Salvini. Ne vediamo oggi le conseguenze mortali.

      Anche l’UNHCR ha espresso la sua preoccupazione per la diminuzione degli assetti navali in grado di operare interventi di soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale. Secondo l’OIM negli ultimi tre giorni sono annegate oltre 200 persone, una serie di stragi ignorate dall’oipinione pubblica italiana e nascoste dai politici concentrati nel rinnovato attacco contro le ONG. La “banalità” della strage quotidiana in mare costituisce la cifra morale del governo Salvini-Di Maio. Con il sommarsi delle vittime, e l’allontanamento dei testimoni, si vuole produrre una totale assuefazione nella popolazione italiana. Per alimentare altro odio ed altra insicurezza, utili per le prossime scadenze elettorali.

      Nelle prime settimane di insediamento del nuovo governo, ed in vista del Consiglio europeo di Bruxelles del 28-29 giugno scorso, il ministero dell’interno ha disposto in modo informale la chiusura dei porti ed il divieto di ingresso nelle acque territoriali, per alcune imbarcazioni delle Organizzazioni non governative che avevano effettuato soccorsi nelle acque internazionali antistanti le coste libiche. Sono state anche ritardate le operazioni di sbarco di centinaia di persone, soccorse da unità militari ( come la nave americana Trenton), o commerciali ( come il cargo Alexander Maersk), che, solo dopo lunghi giorni di attesa, hanno potuto trasbordare i naufraghi che avevamo a bordo e proseguire per la loro rotta. In molti casi si sono trasferite le responsabilità di coordinamento dei soccorsi alle autorità libiche, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

      Le ultime vicende delle navi umanitarie Acquarius , Lifeline e Open Arms, dopo il sequestro, lo scorso anno, della nave Juventa, ancora bloccata a Trapani, hanno aperto una nuova fase di tensioni anche a livello internazionale, in particolare con il governo maltese e con le autorità spagnole. Il governo italiano ha chiuso i porti alle poche navi umanitarie ancora impegnate nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) sulla rotta del Mediterraneo centrale, mentre si è rilanciata la criminalizzazione delle Ong, e più in generale di chiunque rispetti il dovere di salvare vite umane in mare, malgrado importanti decisioni della magistratura (di Ragusa e di Palermo) riconoscessero come lecite, anzi doverose, le attività di soccorso umanitario delle stesse Ong sotto inchiesta.

      Da ultimo si è appreso che ci sarebbero motivi “di ordine pubblico” alla base della decisione del ministro dell’Interno Matteo Salvini di vietare l’accesso ai porti italiani alla Open Arms.
Questi motivi, stando a informazioni che non sono state formalizzate in un provvedimento notificato agli interessati, sarebbero costituiti dalle “vicende giudiziarie” in cui è stata coinvolta la nave delle Ong spagnola, dissequestrata con una sentenza del Gip poi confermata dal tribunale di Ragusa, e dalle “manifestazioni”(rischio proteste) che si sono verificate in occasione del sequestro preventivo alla quale era stata sottoposta nel porto di Pozzallo.

      Si configura così come problema di “ordine pubblico” il doveroso espletamento di una operazione SAR che si è svolta nel pieno rispetto della legge e del diritto internazionale, per legittimare un provvedimento, ancora segretato, forse una circolare probabilmente da redigere, del ministro Toninelli, che vieta l’ingresso alle navi delle Ong nelle acque territoriali e nei porti italiani .

      L’allontanamento delle ONG per effetto delle “chiusure” informali dei porti, e la istituzione unilaterale di una zona SAR libica, oltre al blocco imposto alle navi umanitarie dalle autorità maltesi, riducono la presenza dei mezzi di soccorso nel Mediterraneo centrale e hanno già comportato un aumento esponenziale delle vittime.

      La realizzazione del progetto italiano di istituire una zona SAR , completata con una forte pressione sull’IMO a Londra, sta producendo tutti i suoi effetti mortali, considerando che la Guardia costiera “libica” non può coprire tutte le azioni di soccorso che è chiamata ad operare (spesso da assetti italiani), avendo a disposizione soltanto sei motovedette. Si tratta di mezzi ceduti dai precedenti governi italiani, oggi abbastanza logorati malgrado siano stati curati nella manutenzione dai marinai delle unità italiane, di stanza nel porto di Tripoli, nell’ambito della missione NAURAS. Non si sa come e quando arriveranno in Libia le 12 motovedette promesse alla Guardia costiera di Tripoli da Salvini, che doveva fare approvare la sua proposta in Consiglio dei ministri, approvazione che ancora non c’e’ stata. Una iniziativa che potrebbe infuocare ancora di più lo scontro tra le milizie libiche per il controllo dei porti, e del traffico di gas e petrolio.
      La creazione fittizia di una zona SAR libica, che sembra sia stata notificata anche all’IMO, sta legittimando gli interventi più frequenti della Guardia costiera di Tripoli, che arrivano a minacciare anche gli operatori umanitari mentre sono impegnati negli interventi di soccorso in acque internazionali. Interventi di soccorso che sono sempre monitorati dalle autorità militari italiane ed europee, che però non intervengono con la stessa tempestività che permetteva in passato il salvataggio di migliaia di vite.

      Il cerchio si chiude. Adesso arriva anche il supporto europeo alla chiusura contro le ONG, anche se non si traduce in alcun atto dotato di forza normativa vinclante. Tutte le politiche europee sull’immigrazione, anche i respingimenti, avverranno “su base volontaria”. Ma le navi di Frontex ( e di Eunavfor Med) rimangono vincolate agli obblighi di soccorso previsti dai Regolamenti europei n.656 del 2014 e 1624 del 2016. Atti normativi, vincolanti anche per i ministri,che subordinano le azioni contro i trafficanti alla salvaguardia della vita delle vittime, non esternazioni di leader sull’orlo di una crisi di nervi alla fine di un Consiglio europeo estenuante ed inconcludente.

      L’illegalità di scelte politiche e militari che vanno contro il diritto internazionale viene giustificata con lo spauracchio di manifestazioni democratiche di protesta. Non e’ a rischio soltanto la libertà di manifestazione o il diritto a svolgere attività di assistenza e di soccorso umanitario. Il messaggio lanciato dal governo italiano, e ripreso dal governo maltese, è chiaro, riguarda tutti, non solo i migranti. E’ la strategia mortale della dissuasione, rivolta ai migranti ed agli operatori umanitari. Altro che “pacchia”. Per chi si trova costretto a fuggire dalla Libia, senza alternative sicure per salvare la vita, il rischio del naufragio si fa sempre più concreto. Anche se gli “sbarchi” sono drasticamente calati, rispetto allo scorso anno, è in forte aumento il numero delle vittime, morti e dispersi, abbandonati nelle acque del Mediterraneo.

      In questa situazione la magistratura italiana è chiamata a fare rispettare le regole dello stato di diritto e gli impegni assunti dall’Italia con la firma e la ratifica delle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Ma è anche importante il contributo della società civile organizzata, delle associazioni, di tutto quel mondo del volontariato che in questi ultimi mesi è stato messo sotto accusa con lo slogan della “lotta al business dell’immigrazione”. Quando erano state proprio le Organizzazioni non governative a denunciare chi faceva affari sulla pelle dei migranti e chi ometteva i controlli, denunce fatte in Parlamento e nel lavoro quotidiano di tanti cittadini solidali. L’attacco contro il sistema di accoglienza è stato utilizzato per delegittimare e bloccare chi portava soccorso in mare, mentre gli stati venivano meno ai loro obblighi di salvataggio. Verranno dalla società civile europea e dagli operatori umanitari le denunce che inchioderanno i responsabili delle stragi per omissione.

      Rispetto alle richieste di soccorso, e persino rispetto alle istanze che si stanno proponendo per avere chiarite le basi normative e i contenuti dei provvedimenti amministrativi, sulla base dei quali si sta interdicendo l’ingresso nelle acque territoriali e nei porti italiani alle navi delle ONG, impegnate in attività SAR nelle acque internazionali a nord delle coste libiche, silenzi e ritardi. Si può riscontrare silenzio e ritardo nell’attività delle pubbliche amministrazioni riconducibili al Ministero delle infrastrutture ( quanto al divieto di ingresso) e dell’interno (quanto alle note di rilevazione ed alla dichiarazione di una situazione di pericolo per l’ordine pubblico). Le decisioni dei ministri, su materie così importanti che incidono sulla vita ( e sulla morte) delle persone, non possono essere comunicate sui social, con messaggi Twitter o attraverso Facebook.

      Se gli avvistamenti iniziali ed il coordinamento “di fatto” (come rilevato dalla magistratura) della Guardia costiera “libica” sono effettuati da parte di autorità militari italiane, in sinergia con gli assetti aero-navali europei delle missioni Themis di Frontex ed Eunavfor MED, le autorità italiane non possono dismettere la loro responsabilità di soccorso.

      In questi casi il ministero dell’interno italiano ha l’obbligo di indicare un porto sicuro (place of safety) di sbarco in Italia, dal momento che la Libia non offre porti sicuri, e che Malta ha negato in diverse occasioni l’attracco a navi commerciali o umanitarie, che avevano operato soccorsi nelle acque del Mediterraneo centrale.

      Contro la scelta di chiudere i porti e di interdire l’ingresso delle navi delle ONG nelle acque territoriali, tanto per sbarcare naufraghi soccorsi in alto mare, quanto per effettuare rifornimenti e cambi di equipaggio, occorre rilanciare una forte iniziativa sul piano sociale, politico e legale. Per affermare il diritto alla vita, un diritto incondizionato, che non può essere piegato a finalità politiche o giudiziarie. Per battere quell’ondata di disinformazione e di rancore sociale che sta disintegrando il tessuto umano della nostra Repubblica, e la stessa Unione Europea, indicando nei migranti e in chi li assiste la ragione di tutti i mali che affliggono i cittadini italiani. Come se si trattasse di nemici interni da eliminare. Di fronte a tutto questo, la resistenza è un dovere.

      https://www.a-dif.org/2018/07/01/dopo-lallontanamento-delle-ong-e-strage-quotidiana-sulla-rotta-del-mediterran

    • Migrants : pour les armateurs, secourir les naufragés est « un devoir absolu »

      Le devoir des navires est de porter assistance aux personnes en situation de détresse en mer, quelles que soient les circonstances, souligne le délégué général d’Armateurs de France Hervé Thomas, alors que l’Italie a bloqué pendant trois jours un cargo danois qui avait secouru des migrants.

      http://www.levif.be/actualite/international/migrants-pour-les-armateurs-secourir-les-naufrages-est-un-devoir-absolu/article-normal-860223.html
      #droit_de_la_mer

    • #Sea-Watch hindered from leaving port while people drown at sea

      +++ Current surge in death toll linked to crack down on sea rescue +++ Sea-Watch fully entitled with Dutch flag, investigations are political campaign against civil rescue fleet +++

      Sea-Watch learned today that its vessel is detained in Malta, without any legal grounds provided by authorities. Since the Sea-Watch 3 is not registered in the sportboat register, as is the case for LIFELINE and SEEFUCHS, but is listed in the royal shipping register as a Dutch seagoing vessel, fully entitled to fly the Dutch flag, the lack of permission to sail from Malta turns out not to be a registration issue, but a political campaign to stop civil rescue at sea.

      While rescue assets are blocked in port, recent days have become the deadliest this year. Yesterday, the UNHCR reported another 63 people missing, while on Friday more than 100 people had drowned, among them babies and children. At the moment there is no suitable rescue asset left in the area of operation, despite the fact that the Sea-Watch 3 is well equipped and ready to sail. Sea-Watch strongly urges the Maltese government to stop hindering rescue workers, as human lives are at acute risk.

      https://sea-watch.org/en/321

    • Terzo naufragio in quattro giorni. I governi uccidono ed i giudici processano la solidarietà.

      Oggi vogliamo soltanto fissare la sequenza dei fatti, le vicende di questa ultima strage, che rischia di essere cancellata dall’indifferenza generale, per restituire una lacrima ed un ricordo a quelli che potrebero essere nostri padri, madri, fratelli, sorelle, figli, nipoti. Che oggi, dopo questo ennesimo naufragio, saranno dispersi in qualche parte del Mediterraneo, senza che le loro famiglie possano avere almeno restituiti i cadaveri. Altre 114 vite cancellate dalle politiche di “lotta ai trafficanti” e di “difesa dei confini” che in Europa ed alle sue frontiere esterne stanno prevalendo persino sul diritto alla vita.

      https://www.a-dif.org/2018/07/02/terzo-naufragio-in-quattro-giorni-i-governi-uccidono-ed-i-giudici-processano-

      v. aussi:
      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/02/news/migranti_unhcr_nuovo_naufragio_in_libia_114_dispersi_in_mare-200669661
      https://www.corriere.it/cronache/18_luglio_02/migranti-altro-naufragio-l-agenzia-onu-ci-sono-114-dispersi-850cef22-7e26-1
      http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2018/07/02/nuovo-naufragio-in-libia-114-dispersi_79f8cc8a-ea4b-42a9-8be5-19b6c31b0545.html

    • 16/06: Alarm Phone alerted to two boats in the Western Mediterranean – one person died during rescue operation

      Watch The Med Alarm Phone Investigations – 16th of June 2018
      Case name: 2018_06_16-WM264
      Situation: Alarm Phone alerted to two distress cases between Morocco and Spain, one traveller died during the rescue operation.
      Status of WTM Investigation: Concluded
      Place of Incident: Western Mediterranean Sea

      Summary of the Case: On Saturday the 16th of June, the Alarm Phone shift team was alerted to two boats in distress in the Western Mediterranean. Both boats were rescued by the Moroccan navy. However, one traveller drowned during the rescue operation of the second boat.

      At 12.48pm, the Alarm Phone shift team was alerted by a contact person to a boat in distress carrying 51 travellers, amongst them seven women. The boat had left the day before in the early evening from Nador. The contact person had not been able to reach the travellers since the previous evening, and we did also not manage to establish direct contact. At 1.13pm the contact person informed us that the travellers had been intercepted by the Moroccan navy.

      At 09.10pm, the Alarm Phone shift team was alerted by a contact person to a group of 11 travellers, who had left from a beach just south of Tangier two hours earlier. Via the contact person we received the position of the travellers, but from 10.25pm it was not possible for neither us nor the contact person to reach the travellers. At 10.45pm we called the Spanish search and rescue organisation Salvamento Maritimo (SM) and passed on our information. At 11.41 we managed to reach the travellers. They had been rescued by the Moroccan navy and were back in Morocco, but they informed us that one person had drowned. We learned via the contact person that the person had drowned during the rescue operation, and that the Moroccan navy had been unwilling to resuscitate him.
      Four days later we received a testimony from the group of travellers, explaining the events on the night that their friend lost his life. They explained that the Moroccan navy had come towards them, just as a Spanish helicopter had spotted them from above. The navy had approached them quickly, creating big waves which caused the boat to capsize. Most of the travellers managed to cling on to their rubber boat, which had flipped over. They explained how their friend was not able to grab hold of the boat, and how the navy made no effort to help him, but simply watched him drown. Afterwards they allowed the remaining distressed people onto their vessel, and brought them back to Morocco. We send all our condolences to the family and friends of the traveller who passed away, and want to once again point out that the Moroccan navy is not a rescue organisation, but first and foremost a military unit with border management as their main aim.

      http://www.watchthemed.net/index.php/reports/view/923

    • Malta blocks migrant search plane from operating in Mediterranean as EU toughens stance on refugee rescues

      Malta has blocked an aircraft used to search for migrant boats in the Mediterranean from operating out of the country, according to a migrant rescue group.

      Sea Watch, which runs the #Moonbird aircraft, condemned the move, accusing authorities of grounding the plane during the “deadliest days” in the Mediterranean since records began.

      The German NGO said the plane had been involved in the rescue of some 20,000 people since it began operating.


      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/malta-blocks-moonbird-plane-mediterranean-refugee-crisis-ngo-sea-watc

    • Libya’s Authorities Rescue 41 Migrants after Shipwreck

      The Libyan Coast Guard rescued 41 migrants after the shipwreck of a pneumatic boat in which 63 other people, declared missing, were also traveling, today reported the government.

      The boat, which sank off the coast of Garabolli, 50 kilometers east of this capital, was carrying 104 people, a figure that can be deduced from the possible victims still to be found, according to the Navy spokesman, Colonel Major Ayoub Gassem.

      The 41 migrants who traveled as passengers survived because of their life vests, which allowed them to resist until they were rescued.

      Gassem lamented the limited resources of the Coast Guard, including only three operational vessels, often immobilized in the port due to lack of fuel, breakdowns and life jackets, in a country through which thousands of Africans try to reach Europe.

      That body of operations rescued only last June more than 4,000 migrants, a thousand of them in a single day.

      http://www.plenglish.com/index.php?o=rn&id=30585&SEO=libyas-authorities-rescue-41-migrants-after-s

    • Aquarius : les étudiantes rousseauistes de l’ULB livrent leur analyse

      En mai dernier, nous avons eu la chance de participer au Concours de procès simulé en droit international Charles-Rousseau, lequel abordait cette année la problématique des migrants interceptés en mer. Le cas pratique mettait en scène deux États mettant en cause la responsabilité d’un troisième État, le Takaramé, devant le Tribunal international du droit de la mer. Il lui était reproché d’avoir manqué à ses obligations en matière de droit de la mer, de droits de l’Homme et de droit des réfugiés. En effet, cet État, dont le port était le plus proche du navire, avait refusé l’accès à ce même port à un navire en situation de détresse à la suite du secours qu’il avait apporté à une centaine de migrants fuyant les persécutions subies dans leur pays d’origine. Ce cas fictif n’est évidemment pas sans rappeler les récents évènements en méditerranée. Pendant plusieurs jours, l’Italie et Malte se sont en effet renvoyées la responsabilité d’accueillir l’Aquarius, un navire ayant recueilli à son bord plusieurs centaines de migrants. Le 10 juin 2018, ce navire de l’ONG SOS Méditerranée avait secouru 629 migrants, parmi lesquels se trouvaient 123 mineurs isolés, 11 enfants en bas âge, et 7 femmes enceintes. L’Italie ayant refusé de les accueillir, le navire s’était retrouvé bloqué à 35 milles marins de l’Italie, et à 27 milles marins de Malte. L’ONG avait pourtant comme pratique, en raison d’un accord passé avec les autorités italiennes, d’accoster et de débarquer les personnes secourues dans les ports italiens. Il semblait donc logique que le navire débarque, comme à son habitude, ces personnes en Italie. Mais logique ne fait pas forcément droit. Il convient donc de s’interroger sur ce que dit le droit international quant au débarquement des migrants secourus en mer. Les conclusions qui suivent s’appuient sur les recherches que nous avons pu effectuer dans le cadre du Concours Charles-Rousseau.

      Dans la suite de la présente analyse, nous démontrerons d’abord que les Etats ne manquent pas de profiter des zones grises du droit de la mer pour oublier leurs obligations envers l’Aquarius. Ensuite, nous insisterons sur l’importance de l’obligation de respecter les droits de l’Homme en mer, qui apparaissait s’imposer tout particulièrement à l’Italie, mais également aux autre États, dans le cas présent.

      1. Les États côtiers de la méditerranée ont vite fait d’oublier les obligations que leur impose la Convention des Nations Unies sur le droit de la mer

      L’obligation pour les Etats de secourir les personnes en détresse en mer est une des plus anciennes règles coutumières en droit de la mer, et est désormais codifiée à l’article 98 de la Convention des Nations Unies sur le droit de la mer. Si ce dernier requiert des Etats qu’ils exigent des navires battant leur pavillon de se porter aussi vite que possible au secours des personnes en détresse en mer, il exige tout autant des États côtiers qu’ils facilitent la création et le fonctionnement d’un service permanent de recherche et de sauvetage adéquat et efficace pour assurer la sécurité maritime. Il nous semble dès lors important d’insister sur un premier point. Si les Conventions SAR et SOLAS précisent et mettent en œuvre cette obligation de coopération par la création de Régions de recherches et de sauvetage, elles ne font pas disparaitre l’obligation principale de coopération qui pèse sur tous les États côtiers. Nous nous étonnons dès lors d’entendre le président français, dont les côtes s’étendent sur plus de 1500km en méditerranée, dénoncer « l’irresponsabilité de l’Italie ». Les États ont beau jeu de se cacher derrière les obligations de l’Italie pour faire oublier les leurs.

      Quoi qu’il en soit, qu’en est-il plus précisément des obligations spécifiques de l’Italie et de Malte, États responsables de la Région de recherche et de sauvetage dans laquelle se trouvait l’Aquarius ? Si la Convention SAR a principalement pour objet de régler le déroulement des opérations de sauvetage et la coopération entre Etats, sa version initiale ne donne aucune indication sur l’endroit dans lequel les navires secourus devraient pouvoir débarquer. Les amendements de 2004 ont tenté, suite à l’affaire du Tampa en Australie, de combler cette lacune en imposant aux Etats de remettre les personnes en « lieu sûr ». Néanmoins, l’on se heurte à un premier problème en ce qui concerne Malte : elle n’a pas ratifié ces amendements, et ce, afin précisément de ne pas être soumise à l’obligation d’accueillir des navires en détresse tels que l’Aquarius. La République maltaise n’est dès lors tenue qu’à l’obligation de coopération en vue du sauvetage du navire et des personnes à son bord.

      Ensuite, en ce qui concerne l’obligation de remettre les personnes secourues en lieu sûr, inscrite à la Règle 33 (1-1) de la Convention SOLAS, ainsi qu’au paragraphe 3.1.9. de la Convention SAR dans sa version amendée, elle n’implique aucune obligation de débarquement sur le territoire de l’État responsable de la Région de recherche et de sauvetage. L’Organisation Maritime Internationale (ci-après l’OMI) définit un lieu sûr comme étant « un endroit où la vie des personnes secourues n’est plus menacée et où leurs besoins fondamentaux (tels que la nourriture, le logement et les besoins médicaux) peuvent être satisfaits ». Le navire ayant prêté assistance peut ainsi être considéré comme un lieu sûr. Néanmoins, un tel navire ne peut être qu’un lieu sûr temporaire, les besoins fondamentaux des quelques 600 personnes secourues ne pouvant être indéfiniment contentés à son bord.

      S’il n’est pas requis de l’Etat côtier qu’il accueille les personnes secourues sur son territoire, les Principes relatifs aux procédures administratives pour le débarquement des personnes secourues en mer de l’OMI précisent que l’État responsable de la Région de recherche et de sauvetage a l’obligation résiduelle d’autoriser le débarquement sur son propre territoire, lorsqu’il n’est pas possible ailleurs. Toutefois, ces principes sont dénués de force juridique, et n’engagent donc les États à aucune obligation véritablement contraignante.

      En l’espèce, l’Italie et Malte n’ont pas coopéré pour trouver un lieu sûr pour ces personnes, mais se sont contentés de refuser qu’elles débarquent sur leurs territoires. Si l’Espagne n’avait pas proposé d’accueillir ce navire, l’Aquarius serait toujours en haute mer sans solution. L’Italie n’était certes pas dans l’obligation d’accepter les personnes sur son territoire, mais elle ne pouvait se contenter de refuser ce navire sans tenter de coopérer avec les autres Etats côtiers. En espèce, c’est l’Espagne qui s’est proposée, palliant de fait les violations de l’Italie.

      On constate donc ici une volonté de l’Italie et de Malte de profiter des zones grises du droit de la mer, en jouant de l’ambiguïté de la notion de « lieu sûr » dans le cas de l’Italie, ou en limitant autant que faire se peut l’étendue de son obligation de secours et sauvetage dans le cas de Malte. Si l’Italie est à blâmer pour avoir totalement nié sa responsabilité envers l’Aquarius, il nous semble qu’elle n’est pas la seule à devoir l’être, l’Europe entière étant concernée par la situation en méditerranée. En faisant la sourde oreille à celle-ci, les États européens oublient toutefois leur obligation de coopération en matière de secours et sauvetage. Ils oublient également les obligations qui leurs incombent en vertu des instruments de protection des droits de la personne, comme nous allons maintenant l’évoquer.

      2. Les considérations élémentaires d’humanité imposaient aux États côtier de se proposer afin d’accueillir les migrants

      Les obligations relatives au droit de la mer ne sont pas les seules à entrer en jeu. Les Etats doivent en effet également respecter les considérations élémentaires d’humanité. Par cette expression, on entend l’ensemble des principes juridiques visant à la protection du respect de la dignité des personnes. La Cour internationale de justice s’est prononcé à plusieurs reprises quant à celles-ci, insistant sur l’importance de leur respect (Détroit de Corfou, Activités militaires et paramilitaires au Nicaragua et contre celui-ci, Licéité de la menace ou de l’emploi d’armes nucléaires, Immunités juridictionnelles de l’État). Le Tribunal international du droit de la mer a également rappelé que ces principes s’appliquent dans le droit de la mer (Affaires du Navire Saïga No. 2, Incident de l’Enrica Lexie, Navire Louisa, Juno Trader). Plus spécifiquement, ces considérations élémentaires d’humanité sont reflétées dans les instruments conventionnels de protection des droits fondamentaux, qu’il s’agisse de la Convention européenne des droits de l’Homme (ci-après la CEDH) ou du Pacte international relatif aux droits civils et politiques (ci-après le PIDCP).

      Afin de déterminer si ces instruments sont applicables au cas d’espèce, il convient toutefois d’abord de déterminer si les États en cause exerçaient bien leur juridiction. En principe, une personne se trouvant sur le territoire d’un État est présumée se trouver sous sa juridiction. Toutefois, l’Aquarius ne se trouvant pas dans la mer territoriale de l’Italie ou de Malte, mais bien en Haute Mer, cette présomption ne joue pas en l’espèce. Toutefois, dans certaines circonstances exceptionnelles, un État peut exercer sa juridiction de manière extraterritoriale. Tel est le cas notamment, comme l’a rappelé la Cour européenne des droits de l’homme dans l’affaire Al-Skeini contre Royaume-Uni, quand des agents étatiques exercent un contrôle effectif sur les personnes victimes de violations de droits de l’Homme. Bien qu’aucun agent de l’État italien ne soit monté à bord de l’Aquarius, le simple fait d’empêcher un navire de se diriger vers son territoire permet d’indiquer que l’Italie exerçait bien juridiction sur le navire et les personnes à son bord. Par ailleurs, l’article 92 de la Convention de Montego Bay précise bien que « les navires naviguent sous le pavillon d’un seul État et sont soumis (…) à sa juridiction exclusive en haute mer ». Ainsi, l’Aquarius battant pavillon anglais, le Royaume-Uni pourrait potentiellement être tenu responsable des violations des droits de l’Homme commises à bord du navire. Le silence et la passivité de cet État dans cette affaire est dès lors interpellant…

      En l’espèce, il existait plusieurs risques de violations des droits fondamentaux. Tout d’abord, les migrants et les membres de l’équipage de l’Aquarius ont été contraint à vivre durant quatre jours à bord du navire dans des conditions déplorables, et à retraverser la mer méditerranéenne en direction de l’Espagne (dont le port le plus proche se situait à 1500 km du navire au moment des faits). Se pose alors la question de savoir si l’Italie, Malte et les autres États européens n’ont pas soumis ces personnes à des traitements inhumains et dégradants. De tels traitements sont prohibés par l’article 3 de la Convention européenne des droits de l’Homme, ainsi que par l’article 7 §1 du Pacte international relatif aux droits civils et politiques. Selon le Comité des droits de l’Homme, le fait qu’un acte relève ou non du champ d’application de l’article 7 du Pacte précité « dépend de toutes les circonstances, par exemple la durée et les modalités du traitement considéré, ses conséquences physiques et mentales ainsi que le sexe, l’âge et l’état de santé de la victime » (affaire Vuolanne contre Finlande). Au vu de la vulnérabilité accrue et de la situation personnelle des personnes se trouvant à bord du navire, et compte tenu de l’état de détresse du navire, le fait de les forcer à vivre ainsi à bord de l’Aquarius durant plusieurs jours, est constitutif de traitements inhumains et dégradants.

      Ensuite, bien qu’au regard du droit de la mer, aucun État n’ait formellement l’obligation de permettre le débarquement de migrants secourus en mer sur son territoire, il se peut qu’au final permettre un tel débarquement soit la seule façon pour un État d’agir conformément à ses obligations prévues en matière de droits de l’Homme. En effet, l’article 33 §1 de la Convention de Genève relative au statut des réfugiés interdit à tout État de refouler des personnes vers un territoire où leur vie ou leur liberté serait menacée. Dans le même sens, l’article 3 de la CEDH interdit aux États membres du Conseil de l’Europe de renvoyer une personne vers un territoire où elle risque d’être soumise à de la torture ou à d’autres mauvais traitements. A contrario, le renvoi de migrants vers un « pays sûr » est autorisé. A ce sujet, nous avons été assez surprises d’apprendre que l’Italie avait indiqué à l’Aquarius de se rendre en Libye, sachant que l’État italien a été condamné en 2012 par la Cour européenne des droits de l’Homme pour avoir violé l’article 3 de la CEDH en ayant refoulé des ressortissants somaliens et érythréens en Libye, lors de l’affaire Hirsi Jamaa.

      Conclusion

      En conclusion, l’actualité européenne concernant le navire Aquarius met en exergue l’intention des États d’exploiter les vides juridiques existants en matière de prise en charge des personnes secourues en mer et témoigne également de l’urgente nécessité que les États membres de l’Union européenne s’accordent afin d’apporter une réponse globale à la migration. Reste que, comme on l’a vu, les États sont liés par leurs obligations découlant des droits de la personne. Ici aussi cependant, les États en procédant à des refoulements en mer, cherchent à contourner celles-ci. Il est en effet plus que difficile pour un migrant refoulé vers la Lybie de pouvoir attraire l’Italie devant la Cour européenne des droits de l’homme.

      Justine Braun
      Marianne Chagnon
      Caroline Delava
      France Laurent

      http://cdi.ulb.ac.be/aquarius-etudiantes-rousseauistes-de-lulb-livrent-analyse/#more-4589

    • "Porti chiusi anche alle navi militari europee", ma Salvini irrita la Difesa: “Non ha nessuna competenza”

      L’affondo del vicepremier dopo lo sbarco a Messina di 106 migranti da una nave irlandese: «Stortura da modificare, porterò la questione al vertice dei ministri dell’Interno Ue». Ma arriva lo stop: «Questa missione europea è gestita da Esteri e Difesa»

      http://www.repubblica.it/cronaca/2018/07/08/news/nave_militare_irlandese_sbarca_a_messina_con_106_migranti-201198516

    • Les #gardes-côtes_libyens interceptent de plus en plus de migrants en Méditerranée

      Est-ce la conséquence d’une raréfaction des secours en Méditerranée ? Pendant le week-end du 14 juillet, un bateau de pêche en bois, avec à son bord 450 personnes, a été secouru dans les eaux internationales, non loin de l’île italienne de Lampedusa. Un mois après la crise de l’Aquarius, le navire que l’Italie – sous la pression de son ministre de l’intérieur d’extrême droite Matteo Salvini – a refusé d’accueillir avec 630 migrants à son bord, les ONG ne peuvent presque plus opérer au large des côtes libyennes, poussant les migrants à tenter des voies toujours plus dangereuses.
      « Ce n’est pas la première fois que ce type d’embarcations tente la traversée depuis la Libye, même si l’on voit plus souvent des petits bateaux pneumatiques, réagit Nicola Stalla, coordinateur des opérations de recherche et sauvetage à bord du navire humanitaire “Aquarius”. En revanche, le fait qu’ils soient parvenus aussi loin est clairement une conséquence du manque de moyens de sauvetage en mer. »

      L’Aquarius est à quai à Marseille, tandis que le Lifeline et le Sea-Watch sont empêchés de repartir de Malte. Seul l’Open-Arms, le bateau affrété par l’ONG catalane Proactiva, navigue actuellement en Méditerranée centrale, de retour de Barcelone où il avait accosté le 4 juillet, avec à son bord soixante migrants que l’Italie avait refusé d’accueillir.

      Le navire secouru ce week-end rappelle le naufrage d’un chalutier aux abords de Lampedusa en 2013, au cours duquel près de 400 personnes s’étaient noyées. La catastrophe avait déclenché l’opération militaire et humanitaire européenne « Mare Nostrum ». « Ces bateaux sont particulièrement dangereux, car le risque de chavirage est très important, ajoute M. Stalla. En fonction de la quantité de carburant et d’eau à bord, le centre de gravité est modifié. Il y a aussi un risque d’asphyxie dans la cale, souvent surchargée. »

      Ping-pong diplomatique

      Transbordées à bord de bateaux italien et britannique, les personnes secourues ce week-end ont accosté lundi en Sicile après un nouveau ping-pong diplomatique entre Rome et La Valette, les deux capitales se renvoyant la responsabilité de leur accueil. La situation s’est débloquée après que cinq pays européens, dont la France, ont accepté de recevoir plus de la moitié de ces migrants, à la demande du gouvernement italien. « On voit se mettre en place un mécanisme de solidarité entre certains pays européens, c’est un début mais c’est très fragile », commente Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) pour la situation en Méditerranée centrale.

      Conséquence directe du retrait des ONG, la proportion de morts en mer parmi les personnes tentant la traversée entre la Libye et l’Italie a doublé, passant de 1 % à 2,1 % entre les premiers semestres de 2017 et 2018, d’après des chiffres du HCR. Sur l’ensemble de la zone de Méditerranée centrale, 564 personnes ont disparu en juin. Un chiffre légèrement supérieur à celui de juin 2017, alors même que les flux d’arrivées sont sept fois moins importants. « Les noyades se multiplient pendant que les gouvernements européens bloquent les secours humanitaires », ont alerté la semaine dernière SOS-Méditerranée et Médecins sans frontières, les deux ONG qui affrètent l’Aquarius.

      « Ceux qui criminalisent les ONG sont responsables des morts, parce qu’ils omettent délibérément de porter assistance aux personnes », a réagi Axel Steier, cofondateur de Lifeline, dont le bateau a débarqué 234 migrants à Malte, le 27 juin, après que l’Italie lui a également refusé l’accès à ses ports. Depuis, le navire a été saisi, et son capitaine est convoqué devant la justice maltaise le 30 juillet, accusé de ne pas avoir enregistré correctement l’immatriculation de son bateau. Egalement empêché de repartir, le navire de l’ONG allemande Sea Watch est amarré à La Valette. La capitaine, Pia Klemp, explique : « Quand on a décidé de partir le 2 juillet après une opération de maintenance, on a requis une autorisation aux autorités portuaires. Elle nous a été refusée. C’est la première fois ».

      « Le droit maritime est complètement foulé au pied »

      Enfin, le Moonbird, l’avion de reconnaissance géré par Sea Watch et l’ONG suisse Humanitarian Pilots Initiative, est bloqué au sol. « Malte nous interdit d’entrer ou de quitter la région d’information de vol libyenne, donc ça nous empêche de faire nos opérations », constate Tamino Böhm, chef de mission. « Depuis deux mois, il y a moins de capacités de recherche et de sauvetage, résume Vincent Cochetel, du HCR. Or, toutes les bonnes volontés sont nécessaires pour sauver des vies. Les ONG représentaient 40 % des efforts en mer. »

      Dans le même temps, les interceptions d’embarcations par les gardes-côtes libyens ont augmenté de plus de 28 %. Depuis le début de l’année, ce sont 10 466 personnes tentant la traversée qui ont été ramenées en Libye. Dans cet objectif, Rome apporte une aide importante à Tripoli, notamment en fournissant des vedettes aux gardes-côtes. « Si les Libyens réalisent des interceptions dans leurs eaux territoriales, ce n’est pas problématique en soi. Mais dans les eaux internationales, à notre avis, les Libyens peuvent coordonner les sauvetages dans leur zone de secours, mais pas débarquer les personnes chez eux tant qu’ils n’ont pas de lieu sûr. En tout cas, les centres de détention ne correspondent pas à un port sûr », prévient Vincent Cochetel, en référence au droit maritime international, qui considère que les migrants secourus doivent être débarqués dans le port sûr le plus proche. Plusieurs ONG font toutefois état d’opérations menées par les Libyens dans les eaux internationales. En outre, elles témoignent d’un transfert de responsabilité entre Rome et Tripoli en matière de coordination des sauvetages dans les eaux internationales. « Le droit maritime est complètement foulé au pied, s’alarme Sophie Beau. On ne peut pas construire un modèle autour de la Libye, c’est le chaos le plus total. »

      https://abonnes.lemonde.fr/europe/article/2018/07/17/les-gardes-cotes-libyens-interceptent-de-plus-en-plus-de-migrants-en

    • Libyan coastguard left refugees to die in Mediterranean : NGO

      A woman and a child were found dead hours after they were left in their damaged boat by the Libyan coastguard.

      Proactiva Open Arms, which has been rescuing refugees crossing the Mediterranean Sea from North Africa to Europe, says the Libyan coastguard has left at least two refugees to die after abandoning them at sea.

      The Spanish NGO, which carries out search and rescue operations in Mediterranean, posted a video and pictures on Twitter showing how their boat took aboard three people; two women and a child.

      By the time the three were found by Proactiva, one woman and the child had already died.

      According to tweets by Oscar Camps, founder and director of Proactiva, the boat was damaged and abandoned by the Libyan coastguard.

      “Today we’ve found the bodies of a woman and a small child, as well as a woman who was still alive among the wreck of a ship,” Camps said in a video.

      “I want to condemn the lack of assistance in international waters and the merchant ship Triades which abandoned a boat in danger in the middle of the night,” he added.

      “They don’t know how to manage an emergency situation they arrived two days late and abandoned two women and a child in the wreckage of a ship that they themselves destroyed,” Camps said.

      The boat carrying the two bodies and one survivor were found about 120km off the Libyan coast.


      https://www.aljazeera.com/news/2018/07/libyan-coastguard-left-refugees-die-mediterranean-ngo-180717195213059.htm

      #gardes-côtes_libyens

    • Press Release: Migrants rescued in Distress in Maltese Search and Rescue Zone illegally transferred to Tunisian territorial waters

      Over the past four days, the WatchTheMed Alarm Phone has collected information that strongly suggest that a boat carrying 40 migrants from several African countries seeking protection in Europe was illegally transferred into Tunisian territorial waters after having already reached international waters and the Maltese Search and Rescue (SAR) zone. Among the group are eight women, two of whom are pregnant. The wooden boat had left from Libya and was rescued on Friday the 13th of July north of the oil platform Astrat in international waters and in the Maltese SAR zone by the supply vessel Sarost 5. MRCC Tunis as well as the crew of the supply vessel confirmed the position of the migrant boat in the Maltese SAR zone. Both Malta and Italy denied the supply vessel their permission to disembark the migrants in Maltese and Italian harbours.

      The migrants are still in limbo. After rescue, they were provided with some food and brought to the oil platform. Later, the supply vessel took course on Sfax/Tunisia to disembark the people there. The authorities of Sfax, however, refused to allow them to disembark. They were then told to disembark in Zarzis/Tunisia. But since Monday the 16th of July, at 1am, they are also blocked from entering the port there.

      We demand that the people are safely and immediately brought to a safe harbour in Europe. We demand that European coastguards take responsibility for coordinating Search and Rescue operations of boats in situations of distress in their Search and Rescue zones, as legally mandated. We demand a long-term solution that allows those in distress at sea to be swiftly disembarked in European harbours, rather than the case-by-case evaluations that we see currently, which unnecessarily prolong the suffering of those rescued. We also declare our solidarity with the crews of non-governmental and commercial vessels that carry out vital search and rescue operations despite the obstacles that European governments create.


      https://alarmphone.org/en/2018/07/18/press-release-migrants-rescued-in-distress-in-maltese-search-and-rescue-zone-illegally-transferred-to-tunisian-territorial-waters/?post_type_release_type=post

    • #Marc_Gasol, il campione Nba da 20 milioni di dollari all’anno che salva i migranti come volontario

      Il giocatore dei Memphis Grizzlies - fratello dell’ex Laker, Pau, e nazionale spagnolo come lui - era a bordo della nave della Ong catalana che martedì ha denunciato l’inefficienza della Guardia Costiera libica accusandola di aver abbandonato Josephine e una mamma con il figlio piccolo, poi morti, al largo delle coste di Tripoli. Il cestista al El Pais: «Scioccato dalla foto del piccolo Aylan circolata nel 2015. Da allora ho deciso di fare la mia parte»


      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/18/marc-gasol-il-campione-nba-da-20-milioni-di-dollari-allanno-che-salva-i-migranti-come-volontario/4500446

    • #Josephine, l’unica sopravvissuta al naufragio libico: è rimasta 48 ore in acqua attaccata a un pezzo di legno

      Lo sguardo traumatizzato, quasi vitreo, di chi ancora non distingue la vita dalla morte. Così appare l’unica donna sopravvissuta all’ultimo naufragio libico, in cui sono morti una madre e un bambino. Questa donna miracolata si chiama Josephine, viene dal Camerun ed è rimasta due giorni in mare, attaccata ad un pezzo di legno, prima che i volontari della Ong spagnola Open Arms la recuperassero al largo della Libia. A raccontare la sua storia è Annalisa Camilli, una giornalista di ’Internazionale’ che si trova a bordo della nave e ha assistito al salvataggio. A soccorrere la donna è stato Javier Figuera, uno volontario spagnolo di 25 anni: «Quando le ho preso le spalle per girarla - dice - ho sperato con tutto il mio cuore che fosse ancora viva. Dopo avermi preso il braccio non smetteva di toccarmi, di aggrapparsi a me». A quel punto, prosegue Camilli, sono arrivati altri soccorritori e l’hanno trasportata sulla nave, dove ora si trova con sintomi di ipotermia. Accanto a lei gli uomini di Open Arms hanno trovato anche un’altra donna e un bambino di circa 5 anni, che però erano già morti. I loro corpi sono a bordo della nave della Ong. Secondo il medico di bordo - scrive ancora Camilli - «la donna era morta da diverse ore mentre il bimbo era deceduto da poco». Per la Ong quanto avvenuto è «un’omissione di soccorso» da parte della guardia costiera libica - dice il fondatore di Open Arms Oscar Camps - che non è in grado di gestire una situazione d’emergenza e ha abbandonato due donne e un bambino"


      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/17/foto/naufragio_libia_open_arms_mamma_bimbo-202013383/1/?ref=fbpr#1

    • “Abbiamo lasciato in mare solo due morti”. I libici raccontano l’ultimo naufragio – La Stampa

      Parla l’equipaggio della Guardia costiera di Tripoli intervenuto lunedì per soccorrere il barcone alla deriva e fotografato da Open Arms. Resta il mistero sul dramma di Josefa, l’unica sopravvissuta: “Non c’era, non avremmo abbandonato nessuno vivo in acqua”

      Lunedì 16 luglio all’ora di pranzo abbiamo ricevuto una chiamata dal mercantile spagnolo Triades che ci segnalava un’imbarcazione di migranti in difficoltà tra Khoms e Tripoli e ci siamo mossi per intervenire, ne abbiamo tirati a bordo 165, maschi e femmine, tutti. Abbiamo lasciato in mare solo i due corpi senza vita di una donna e un bambino dopo aver provato invano a rianimarli: erano morti e portarli a terra non aveva alcun senso, ma oltre loro non c’era nessun altro in acqua». A raccontare la versione libica dell’ultimo scontro tra Roma, Tripoli e l’Ong Open Arms, quello che da due giorni si consuma intorno alle tragiche immagini del salvataggio della superstite Josefa, è Tofag Scare, colonnello della Guardia Costiera di Misurata che lavora in coordinamento con i colleghi della capitale.

      “L’Italia fa fare a noi il lavoro sporco solo perché non vuole accogliere gli africani”

      Mentre parla con «La Stampa» il suo comando operativo riceve un Sos dalla zona SaR al largo di Khoms, l’ennesimo, ci dice: «Nonostante il nostro equipaggiamento obsoleto, dal 2011 a oggi abbiamo salvato oltre 80 mila persone alla deriva nel Mediterraneo».

      Le ricostruzioni di quanto avvenuto nella notte tra lunedì e martedì coincidono fino a un certo punto, poi divergono lasciando aperte molte domande. Secondo la Open Arms le motovedette di Tripoli avrebbero distrutto il barcone dei migranti e abbandonato in mare quelli riluttanti a salire a bordo, di loro sarebbe sopravvissuta solo Josefa che, ancora sotto choc, dice alla giornalista di «Internazionale» di non ricordare il momento del naufragio ma di essere stata picchiata dai libici al pari dei suoi compagni di cui non sa più nulla. Tripoli, al contrario, afferma di non aver fatto altro che recuperare 165 disperati: la novità è che parla anche di due corpi in mare, cadaveri che, si apprende, «secondo la legge libica vanno identificati prima di essere sepolti o rimandati a casa e dunque in questi casi vengono lasciati al mare».

      “Contro di noi solo accuse infamanti: abbiamo salvato più di 80 mila persone”

      Il colonnello Scare telefona a più riprese ai colleghi in servizio il 16 luglio e raccoglie i tasselli del suo puzzle: «La motovedetta Ras al Jade è andata a soccorrere 165 persone in condizioni penose, affamate, bruciate dal sole, c’era un cattivo odore spaventoso. Dopo averci chiamato, il mercantile Triades è rimasto lì ad attenderci, ma nel frattempo non ha neppure dato da mangiare e da bere a quella gente, ha detto che non era il suo lavoro e che non poteva fare nulla».

      Scare fornisce il verbale della conversazione tra la Guardia Costiera e la Triades con la posizione dell’intervento fatto (37.74147°/ 13.84367°) che, grossomodo, coincide con quella indicata dalla Open Arms. Anche la motovedetta Ras al Jade pare essere la stessa (quella che già in passato aveva incrociato le spade con la Open Arms): possibile che quella notte ci sia stato più di un salvataggio? Che i cadaveri di cui si parla siano diversi? Le fotografie diffuse dalla Open Arms – che domani arriverà a Maiorca – mostrano chiaramente che i due corpi senza vita si trovano sullo stesso relitto su cui è rimasta a galla Josefa. E dai centri dove i migranti soccorsi vengono condotti non escono numeri sugli arrivi di martedì.

      La risposta dal banco degli imputati è decisa e va oltre la testimonianza della giornalista tedesca Nadja Kriewwald, che quella notte era a bordo con i libici e ha raccontato di non aver visto altro che i superstiti accolti sul ponte: «Non avremmo avuto alcuna ragione di abbandonare in acqua delle persone vive: anche se si fossero rifiutate di salire a bordo le avremmo tirare su a forza, lo abbiamo fatto con gli uomini e lo avremmo fatto facilmente con le donne. È una bugia, è propaganda contro di noi. Non c’era nessuno oltre i due morti che, per altro, al nostro arrivo erano già morti. Quello di cui ci accusano è privo di senso».

      Il fastidio che si respira a Misurata e a Tripoli è forte, ma non tanto per l’attacco della Open Arms quanto per la stanchezza di «gestire una grana altrui» e prendere colpi. Lo esprime un membro della Guardia Costiera che però chiede di non pubblicare il suo nome: «L’Italia ci fa fare il lavoro sporco perché non vuole gli africani, ma anche noi non siamo contenti di prenderli qui, le nostre città sono piene fino a scoppiare, i centri per loro non bastano più e sono diventati bombe a orologeria. Certe volte con le motovedette ci spingiamo fin dentro le acque internazionali, dove sarebbe illegale, e io dico che sbagliamo. Lo facciamo perché abbiamo un accordo e l’Italia ci ha promesso delle cose, ma se non arriva nulla ci stiamo solo caricando di problemi e di cattiva reputazione. Quando bruciamo i barconi degli scafisti lo facciamo per metterli fuori uso, non per sadismo. E comunque siete voi a chiederci di bloccare gli africani che vogliono venire in Europa, loro di certo non sognano la Libia».

      La notte di lunedì resta un capitolo aperto che ne ha aperti altri. Un terzo marinaio di Misurata racconta che il numero dei migranti è cresciuto talmente tanto negli ultimi mesi, in concomitanza con il rinnovato impegno di pattugliamento della Guardia Costiera, da aver modificato la situazione sul terreno: «Non c’è neppure più lavoro per loro. Noi li prendiamo in mare ma dopo nessuno li vuole. I siriani adesso hanno cominciato ad andare in aereo in Sudan, dove non hanno bisogno del visto, e poi con 1500 dollari si fanno portare a Tripoli e da qui ad Algeri per avere maggiori chance».

      https://www.nuovaresistenza.org/2018/07/abbiamo-lasciato-in-mare-solo-due-morti-i-libici-raccontano-lultimo

    • L’ammiraglio. Pettorino: prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la vita in mare

      Il comandante della Guardia Costiera: c’è un principio non scritto che risiede nell’animo di ogni marinaio: quello di prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare.

      C’è un «principio non scritto che risiede nell’animo di ogni marinaio: quello di prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare». A dirlo non è un esponente delle “magliette rosse”, ma l’ammiraglio Giovanni Pettorino, comandante della Guardia Costiera italiana. Davanti al ministro Danilo Toninelli e al presidente della Camera Roberto Fico l’ufficiale ha scandito il caposaldo di chi va per mare. Parole espresse per ribadire quale sia la spinta interiore che sentono i suoi uomini ogni volta che arriva un Sos.

      Nel tono e nel lessico di Pettorino non ci sono accenti polemici. Ma quelle affermazioni pesano. E quando il comandante le pronuncia, viene calorosamente interrotto dagli applausi prolungati delle centinaia di divise bianche che lo ascoltano in occasione della cerimonia con cui mercoledì è stata ricordata la fondazione, 153 anni fa, della Guardia costiera. Un atto di fierezza che avrebbe dovuto chiudersi lì. Ma un servitore dello Stato lo riconosci anche quando sa celebrare i signornò. E succede quando l’ammiraglio si sfila le lenti da lettura e con piglio da comandante ricorda un episodio lontano.

      Un fuori programma con cui l’ammiraglio decide di chiudere il saluto alle autorità civili. Che il numero uno della Guardia Costiera stia per dire qualcosa che lascerà il segno lo intuisce chiunque lo conosca. Una citazione inizialmente non contenuta nel testo originario.

      È la rievocazione del leggendario comandante siciliano Salvatore Todaro, che durante la Seconda guerra mondiale affondò una nave militare belga per poi salvarne l’equipaggio. Todaro, come ha ricordato Pettorino, venne «violentemente apostrofato» dall’ammiraglio alleato tedesco Karl Donitz, che irrise l’ufficiale italiano definendolo «don Chisciotte del mare» e minacciando gravi conseguenze per avere tratto in salvo i nemici, mettendo a rischio il suo stesso equipaggio. Il perché di quella disobbedienza lo spiega Pettorino, guardando negli occhi gli esponenti politici sulla tribuna e facendo propria la risposta di Todaro: «Noi siamo marinai, marinai italiani, abbiamo duemila anni di civiltà, e noi queste cose le facciamo».

      Poi l’eroe di guerra «si avviò al congedo restando per sempre nella leggenda e nei cuori di tutti i marinai». A tanti uomini della Guardia Costiera queste parole sono suonate come un incoraggiamento. «In questi ultimi anni, ad invarianza di risorse umane disponibili, il corpo delle capitanerie di porto aveva ricordato prima Pettorino – è stato chiamato a far fronte ad uno sforzo inedito, quello del soccorso prestato, in mare, a migliaia di persone in pericolo di perdersi, operando su un’area ampia oltre la metà della superficie del mar Mediterraneo».

      Un impegno gravoso, «che abbiamo assolto nella piena consapevolezza di ben onorare il giuramento prestato, da ciascuno di noi, di osservare la Costituzione e le leggi». Dimostrando, una volta di più, quali siano quella vocazione e quell’abnegazione che non si può barattare: «Uomini e donne che ogni giorno si impegnano per far sì che altri possano continuare a vivere».


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/pettorino-prestare-aiuto-a-chiunque-rischi-di-perdere-la-vita-in-mare

    • EU-Rettungsmission im Mittelmeer vorerst gestoppt

      Italien weigert sich, aus dem Mittelmeer gerettete Flüchtlinge aufzunehmen - auch nicht im Zuge der EU-Mission „Sophia“.
      Die EU ist ratlos, der Kommandeur hat nach SPIEGEL-Informationen alle Schiffe in den Hafen beordert.

      Die EU-Mission „Sophia“ zur Rettung von Flüchtlingen auf dem Mittelmeer wird vorerst eingestellt. Nach SPIEGEL-Informationen beorderte der Kommandeur der Mission, der italienische Admiral Enrico Credendino, jetzt alle beteiligten Kriegsschiffe zurück in die Häfen.

      Mit der Order ist die Mission faktisch gestoppt, vorerst jedenfalls. Betroffen ist auch ein deutsches Versorgungsschiff. Nach SPIEGEL-Informationen befand sich der Tender „Mosel“ bereits vor dem Befehl von Credendino routinehalber in einem Mittelmeerhafen. Dort sollen das Schiff und die deutschen Soldaten nun erstmal bleiben, heißt es in Berlin.

      Hintergrund für den spontanen Stopp der Mission ist die Weigerung Italiens, von den EU-Militärschiffen gerettete Menschen weiter aufzunehmen. Italien hatte seine Blockadehaltung diese Woche in einem Brief an die EU angekündigt. Kurzfristig anberaumte Beratungen der EU-Partner brachten zunächst keine Lösung.

      Die Operation „Sophia“ ist nach dem Baby einer geretteten Somalierin benannt, das auf einer deutschen Fregatte geboren wurde. Seit 2015 ist die Mission mit einer kleinen Flotte von Kriegsschiffen auf dem Mittelmeer aktiv. So sollen die dort agierenden Schleusernetzwerke aufgeklärt und an ihrem lukrativen Geschäft gehindert werden.

      Seit dem Beginn der Mission konnten die EU-Soldaten, derzeit auf sechs Kriegsschiffen aus Spanien, Italien, Frankreich, Irland, Kroatien und Deutschland unterwegs, 148 mutmaßliche Schleuser festnehmen und mehr als 200 der benutzten Schiffe und Boote zerstören. Die EU sieht die Mission deswegen als Erfolg an.

      Rom verbietet privaten Rettern gerettete Flüchtlinge nach Italien zu bringen

      Regelmäßig werden die EU-Soldaten auf den Schiffen auch zu Seenotrettern. Fast 50.000 Flüchtlinge hat die Mission gerettet, fast die Hälfte davon wurde von deutschen Soldaten aus meist seeuntüchtigen Schiffen und Barkassen auf dem Mittelmeer gezogen. Anschließend wurden die Menschen nach Italien gebracht.

      Genau gegen diesen Automatismus geht Italien jetzt vor, die neue Regierung in Rom fährt einen radikalen Kurs gegen Flüchtlinge und will nicht länger akzeptieren, dass Italien die Hauptlast der ankommenden Menschen trägt. Folglich verbietet Rom privaten Rettern schon länger, gerettete Flüchtlinge nach Italien zu bringen.

      Als Reaktion auf den Brief aus Rom trafen sich die mit der Sicherheitspolitik betrauten EU-Botschafter umgehend zu einer Krisensitzung - eine Einigung konnte nicht erzielt werden. Folglich beorderte der Kommandeur der Mission die Schiffe in die Häfen.

      Auch am Freitag setzten sich die Botschafter erneut zusammen. Dem Vernehmen nach wollte man Italien anbieten, einen Schlüssel zu erstellen, wie die von der EU-Mission geretteten Menschen in ganz Europa verteilt werden können. Bis zum späten Nachmittag war nicht bekannt, ob sich Rom auf den Kompromiss einlässt.

      Ähnliche Angebote der anderen EU-Nationen hatten zumindest die quälenden Odysseen privater Rettungsschiffe in den jüngsten Tagen beendet, die von Italien an der Einfahrt in seine Häfen gehindert worden waren. Auch Deutschland hatte sich zur Aufnahme von kleineren Kontingenten der Geretteten bereit erklärt.

      Kommissionschef Jean-Claude Juncker ließ am Freitag mitteilen, dass er kommende Woche Vorschläge machen will, um die Flüchtlingskrise in Italien zu lindern. Details wurden zunächst nicht bekannt.

      Denkbar ist, dass es um Vorschläge geht, Flüchtlinge, die in Italien an Land gehen, rasch auf Länder zu verteilen, die sich dazu bereit erklären. Zudem soll die Kooperation mit Drittstaaten außerhalb der EU Thema sein.

      In der Debatte der EU-Sicherheitsbotschafter am Mittwoch versuchten die anderen Mitgliedsländer Italien davon zu überzeugen, sich weiter an das gemeinsam beschlossene Mandat zu halten. Italien trüge damit die Hauptlast der Operation „Sophia“, das Mandat läuft noch bis Ende des Jahres.

      Über die künftige Ausgestaltung des Mandats sollte im September ohnehin diskutiert werden. Denkbar ist, dass dies nun vorgezogen wird.

      In einem Schreiben an Italiens Premier Conte betonte Juncker, dass die Mission „Sophia“ eine wesentliche Rolle im Rahmen der europäischen Sicherheits- und Verteidigungspolitik spiele. Conte hatte sich am Donnerstag für eine EU-Kriseneinheit zur Verteilung von aus Seenot geretteten Flüchtlingen ausgesprochen.

      Am Freitagabend endete in Brüssel das Krisentreffen der Botschafter zunächst ohne konkrete Lösung. Einigen konnte man sich nur, den sogenannten Operationsplan für die Mission „Sophia“ in wenigen Wochen neu zu fassen. Darin soll dann auf italienischen Wunsch auch festgelegt werden, wie bei der Mission gerettete Flüchtlinge künftig verteilt werden, nachdem sie an Land gebracht wurden. Diplomaten sagten, Italien habe dies durch seine Blockade-Ankündigung erzwungen. Um den Verteilungsschlüssel dürfte bald heftig gestritten werden.

      http://www.spiegel.de/politik/ausland/mittelmeer-kommandeur-stoppt-eu-rettungsoperation-sophia-a-1219476.html

    • Ora le ong schierano i droni per salvare sempre più migranti

      La mossa dell’Aquarius: «Non ci arrivano più informazioni sui naufragi in atto, dobbiamo aggiustare la nostra strategia». Ed essere sempre più autonome
      Le navi delle ong tornano in mare e questa volta schierano anche i droni, per continuare nella propria ricerca delle imbarcazioni di migranti e salvare sempre più persone.

      Ad annunciare la novità un volontario imbarcato sulla nave Aquarius, che già nelle scorse settimane era stata protagonista della prima grande offensiva politica di Matteo Salvini dopo l’insediamento come ministro dell’Interno. Al momento a Marsiglia, la nave di Sos Mediterranée si attrezza per fronteggiare le mutate condizioni del quadro politico internazionale: «Ci stiamo preparando a diversi scenari, sicuramente avremo più cibo e autonomia di navigazione, perché dovremo stare più a lungo in mare. E avremo anche un drone per la ricerca dei migranti da soccorrere», spiega all’Ansa uno dei volontari.

      Dalla nave denunciano che nel mar Mediterraneo «alle navi di soccorso non arrivano più informazioni sui soccorsi in atto e non sappiamo perché». Per questo la variegata flottiglia delle molte associazioni non governative impiegate in queste missioni umanitarie si sta attrezzando per estendere il raggio d’azione e adeguarsi alla nuova situazione che impone loro di essere sempre più autonome. Il volontario Alessandro Porro ha svelato anche che ci sarebbero stati alcuni incontri fra le diverse organizzazioni proprio per coordinare al meglio gli sforzi.

      «Nell’attuale situazione ci sono naufragi di cui non si sa niente - spiega- Attualmente la mortalità è aumentata al 10%, quindi su 100 migranti che partono, 10 muoiono nel viaggio nel tratto di mare che oggi è il più pericoloso al mondo. Siamo arrabbiati ma ci sosteniamo a vicenda e ognuno di noi fa proposte per migliorare le operazioni di soccorso».

      http://m.ilgiornale.it/news/2018/07/20/ora-le-ong-schierano-i-droni-per-salvare-sempre-piu-migranti/1555943
      #drones

    • Omissione di soccorso come prassi di deterrenza ?

      Dopo l’arrivo delle due imbarcazioni di Open Arms a Palma di Maiorca è stata depositata presso la locale procura una denuncia sui fatti verificati in occasione del ritrovamento in acque internazionali, avvenuto il 17 luglio a circa 80 miglia dalle coste di Homs, di una donna e di due cadaveri sopra il relitto di un gommone alla deriva. Nella conferenza stampa che si è svolta oggi a Palma di Maiorca,sono stati esposti i fatti, secondo la documentazione in possesso dellla Organizzazione consegnata all’autorità giudiziaria spagnola. Le imbarcazioni di Open Arms hanno dovuto fare rotta verso la Spagna per le dichiarazioni del ministro dell’interno che esponevano la superstite al rischio di pressioni dopo lo sbarco a Catania, porto indicato dallo stesso Salvini.

      Il ministro, che su questo naufragio, e sulle conseguenti responsabilità, aveva annunciato prove inconfutabili attraverso “una teste indipendente”, una giornalista della televisione tedesca RTL, piuttosto che rispondere sulla vicenda, esibendo la documentazione in suo possesso, rilancia adesso pesanti accuse sulle fonti di finanziamento della Open Arms e minaccia a sua volta altre denunce su chi ha soltanto rappresentato quanto accaduto. Per il ministro Toninelli l’Italia non sarebbe neppure in grado di documentare i movimenti delle motovedette libiche.

      Alla fine, ancora una volta, tutte le colpe vengono riversate sulla ONG Open Arms che per la Meloni sarebbe addirittura responsabile di tratta e di causata strage. Un rovesciamento completo della narrazione dei fatti che si vuole imporre agli italiani in preda alla paura per la insicurezza che subiscono, una insicurezza che ha cause e responsabili molto diversi da quelli indicati dai politici di governo. Che attaccando le ONG devono solo nascondere i propri fallimenti, sia sul piano interno, che in Europa e nei rapporti con i paesi terzi, a partire dalla clamorosa bocciatura da parte dei libici di tutti i piani proposti da Salvini e Moavero.

      Le versioni inzialmente fornite dalla sedicente Guardia costiera di Tripoli, e quindi dalla giornalista che si trovava a bordo della motovedetta libica, venivano rapidamente modificate, fino all’ammissione che davvero i libici avevano avvistato il gommone poi soccorso da Open Arms, e dopo avere presumibilmente recuperato i vivi, avevano lasciato a bordo del relitto due cadaveri, come sarebbe prassi, per loro stessa ammissione. Saranno le indagini ad accertare se le persone, poi rinvenute cadavere sulle tavole del relitto, siano state abbandonate ancora in vita a seguito di un rifiuto a salire sulla motovedetta. Episodi nei quali la Guardia costiera libica aveva allontanato o minacciato imbarcazioni delle ONG intervenute in soccorso in acque internazionali, spesso sotto il coordinamento iniziale della guardia costiera italiana, si sono ripetute da tempo.

      Viene confermata anche dai libici la presenza, a 80 miglia a nord di Homs, dunque nell’area nella quale poi gli spagnoli hanno trovato il relitto semiaffondato del gommone, con Josepha e due cadaveri, di una nave commerciale, la TRIADES, che dopo lo scambio di vari messaggi radio, si sarebbe allontanata, o sarebbe stata allontanata, dal luogo dell’evento SAR, proseguendo la sua rotta verso il porto di Misurata. Open Arms ha presentato la sua denuncia alla magistratura spagnola contro il comandante della Triades, contro il comandante della motovedetta libica che sarebbe intervenuta sul gommone poi ritrovato distrutto ed alla deriva, e contro eventuali ignoti che dovessero emergere dalle indagini come responsabili del coordinamento dei soccorsi.

      Quanto poi affermato da un esponente daila Guardia costiera di Misurata, negli ultimi comunicati, conferma buona parte della ricostruzione iniziale fornita da Open Arms, e subito smentita da Salvini. Sarà la magistratura spagnola ad accertare le responsabilità relative all’abbandono in mare di due cadaveri, ammesso che il bambino fosse già morto al momento dell’intervento della Guardia costiera libica, e dell’unica sopravvissuta, che quando potrà raccontare la sua versione dei fatti, sarà sentita dalla Procura di Palma di Maiorca. L’obbligio di accertare fatti tanto gravi, se l’abbandono in mare si collega anche ad un rifiuto di salire sulla motovedetta, incombe ai magistrati, chi ha sollevato il velo della censura su queste stragi non ha paura. Anche se altri avrebbero preferito il silenzio.

      Come riferisce la stampa,“Dal Viminale fanno trapelare che l’intenzione non è quella di stare a guardare. Secondo l’agenzia AGI – Roma, 21 lug. – “Non meritano risposta le Ong che insinuano, scappano, minacciano denunce ma non svelano con trasparenza finanziatori e attivita””. E” quanto fanno trapelare fonti del Viminale dopo le denunce di Open Arms a Libia e Italia per omicidio colposo. “La denuncia di Josefa? Qualcuno strumentalizza una vittima per fini politici – proseguono le stesse fonti -. Noi denunceremo chi, con bugie e falsita”, mette in dubbio l”immensa opera di salvataggio e accoglienza svolta dall”Italia”. (AGI)

      Rimane la certezza di una grave anomalia democratica in Italia. Da una parte si ritiene di potere diffamare e calunniare le ONG, ed anche chi li difende, senza dovere mai pagare il conto di accuse che non trovano ancora conferme certe da parte della magistratura, che ha pure archiviato indagini sulle quali si è giocata una ignobile speculazione mediatica. Sembrerebbe ormai scontata la violazione delle regole internazionali di soccorso, anche quando questo inizialmente è gestito dalla Guardia costiera italiana, come è avvenuto a giugno nel caso della nave Aquarius. Un caso che ha occupato per giorni le prime pagine di giornali. Ma tutto questo oggi non sembra interessare più nessuno. Si deve rimanere in silenzio anche su queste vicende ?

      A causa di questa campagna mediatica, già scatenata lo scorso anno, ed adesso rilanciata con toni ancora più minacciosi, si sono ritirate, o sono state bloccate, la maggior parte delle navi umanitarie. A Malta sono ancora sotto sequestro, per “effetto domino” rispetto alle scelte italiane,due navi delle ONG, la Sea Watch e la Lifeline Le accuse di costituire un fattore di attrazione (pull factor) si sono poi estese alle attività di ricerca e salvataggio (SAR) della Guardia costiera italiana, ed addirittura alle attività di contrasto dei trafficanti e dei terroristi della missione Eunavfor Med. Dal 28 giugno si è inventata una zona SAR libica nella quale le autorità italiane declinano la loro competenza ad intervenire, ritendola trasferita sulle autorità di Tripoli che dispongono di sole 4 motovedette d’altura, e di una dozzina di mezzi veloci inadatti a caricare naufraghi a bordo.

      Le sentenze dei tribunali siciliani hanno confermato che la Libia non offre porti sicuri di sbarco e il ruolo di coordinamento nella cosiddetta “SAR libica” affidato nei mesi scorsi alla Marina italiana. Cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, dopo il 28 giugno, quando si è affidata soltanto ai libici una immensa zona SAR che evdentemente non sono in grado di gestire garantendo la salvaguardia della vita umana in mare ?

      Risultato di queste politiche di progressivo ritiro e delle prassi aggressive nei confronti di chiunque soccorre migranti in alto mare, sulla rotta del Mediterraneo centrale, un aumento delle vittime,oltre quattrocento nelle ultime settimane, e probabilmente di tante altre non se ne sa nulla. Come non si sarebbe saputo nulla di Josepha e delle due vittime con le quali era rimasta aggrappata ad una tavola in alto mare, se Open Arms non avesso continuato le sue missioni, pur restando in acque internazionali, ad una distanza assai elevata dalla costa libica, oltre 140 chilometri ( 80 miglia marine). Adesso si profila una guerra totale alle ONG, dopo avere portato a compimento la criminalizzazione della solidarietà. Sembra che la parola ONG sia tra quelle più “odiate” dagli italiani. Le campagne di stampa, agite in maniera scientifica sui social, hanno prodotto più effetti delle sentenze della magistratura. Adesso fa notizia che una ONG abbia denunciato una omissione di soccorso, senza essere invece inquisita per agevolazione di ingresso clandestino.

      Una cappa di silenzio è invece calata sulla vicenda dei 40 migranti bloccati da sei giorni a bordo di un rimorchiatore, il SAROST, fermo davanti alla città tunisina di Zarzis perchè nessuno vuole offrire un porto sicuro di sbarco. Nè la Tunisia, che pure risulta stato di bandiera, nè l’Italia o Malta, che in passato soccorrevano e indicavano un luogo di sbarco sicuro, generalmente in Italia, per le persone soccorse nella zona SAR maltese, la stessa nella quale sono stati soccorsi gli sfortunati naufraghi presi a bordo dal SAROST, rimorchiatore di servizio di una piattaforma petrolifera offshore.

      Il comandante della SAROST ha chiesto lo sbarco in Tunisia, ma nessuno gli ha risposto. Nessuno ha raccolto gli appelli delle ONG perchè si procedesse allo sbarco. Adesso in peroicolo ci sono vite di esseri umani, dopo che l’equipaggio della nave ha ceduto tutto quello che poteva per garantire la sopravvivevanza. Chiediamo che a questo punto almeno la Tunisia garantisca un porto di sbarco e soccorsi per i feriti. Chiediamo che la Croce Rossa, che ha comnciato a fornire qualche aiuto alla SAROST, si impegni attivamente per risolvere questo ennesimo caso, frutto delle politiche di abbandono attuate da parte di Malta e dell’Italia. E tanti altri simili ne verranno nei prossimi mesi, fino alla prossima strage, e poi ancora un’altra. No. Non è possibile alcuna assuefazione, che vorrebbero imporci. Sul rimorchiatore fermo davanti Zarzis, di fatto trasformato in prigione galleggiante, 40 persone rischiano ormai la vita per effetto dell’abbandono imposto da Italia e Malta, e per la mancata disponibilità da parte della Tunisia, ad accettare almeno uno sbarco provvisorio.

      A bordo della SAROST sono ancora in attesa di sbarco in un porto sicuro, che nessuno ha indicato, due donne incinta e un ferito, che sono in acqua da 10 giorni. Persone che lo scorso anno, in una occasione simile, sarebbero state già soccorse da una nave umanitaria, in assenza di mezzi statali, e sbarcati in Italia in un porto sicuro. Ma ormai è l’Italia che non offre più porti sicuri, a fronte delle dichiarazioni del ministro dell’interno e delle prassi imposte alla Guardia costiera, alla Marina, alle autorità di frontiera e richieste persino alla magistratura, come nel caso della richiesta di arresti per i “facinorosi” soccorsi dal rimorchiatore Vos Thalassa e poi sbarcati a Trapani da una nave militare.

      A chi governa è concesso ogni giorno spacciare notizie false, come l’esistenza a Tripoli, di un centro di accoglienza sicuro, o, dopo la visita di Salvini in Libia, come la possibilità di creare campi di raccolta in quel paese, o addirittura in Niger, che sarebbero considerati come ubicati in un “paese terzo sicuro”, dunque nel quale si potrebbero creare vere e proprie “piattaforme di sbarco”, per impedire ai migranti qualsiasi possibilità di fuga verso l’Europa. Ma l’Unione Europea ha già fatto conoscere la sua ferma opposizione a questo progetto dietro il quale si camuffano i respinginenti collettivi vietati dalle Connvezioni internazionali, come dovrebbe sapere il leghista Salvini dopo che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia sul caso Hirsi nel 2012 per i respingimenti collettivi ordinati tre anni prima dal suo predecessore al Viminale, il leghista Roberto Maroni. Le torture e le estorsioni nei centri di detenzione libici sono ormai provate ed ancora attuali, secondo le testimonianze raccolte allo sbarco.

      Si spaccia per contrasto dell’immigrazione, che si definisce “illegale” la pratica degli accordi con le milizie libiche, o con i sindaci delle città che ne sono espressione, apparentemente per rilanciare iniziative civili, di fatto per incentivare l’arresto e la detenzione del maggior numero di persone al fine di impedire la prosecuzione della loro fuga verso il Mediterraneo. Il numero degli immigrati presenti in questi mesi nei centri di detenzione libici è raddoppiato, lo conferma l’ONU. Si richiamano protocolli operativi e Trattati di amicizia stipulati con una Libia che oggi non esiste più’. Sullo sfondo altri accordi con le milizie. Tutto questo senza la minima base legale di un voto parlamentare.Sembra proprio la fine del diritto internazionale, piegato dalla politica della forza muscolare esibita sui social e del fatto compiuto.

      Quando invece giornalisti indipendenti o rappresentanti delle ONG raccontano fatti documentati e facilmente verifiicabili, quando gli avvocati esercitano in pieno il loro ruolo di difensori dei diritti umani, si scatenano le minacce e le ritorsioni, che collegano pezzi di istituzioni, servizi e gruppi delle destre identitarie europee, ben oltre quanto consentirebbero i ruoli istituzionali dei soggetti da cui provengono. Insinuazioni calunniose si rivolgono anche a chi difende gli operatori umanitari ed i migranti.

      Nessuno però riferisce della corruzione diffusa in Libia e della stretta commistione tra il traffico di esseri umani ed il contrabbando di petrolio che dalla Libia raggiunge Malta ed altri paesi europei. Quando i processi contro le ONG si arrestano, o le indagini vengono archiviate, solo uno spazio a fondo pagina, la sentenza di condanna gli italiani la hanno già emessa nei giorni della tempesta mediatica. La fine della presunzione di innocenza e del diritto ad un giusto processo.

      Sono tempi in cui una menzogna ripetuta cento volte sembra valere più della verità, lo sappiamo, e vediamo la marea nera di consenso che si sta aggregando attorno alle posizioni più estreme sul tema immigrazione, che giocano sulla vita delle persone per raccattare consensi elettorali o per aumentare il potere contrattuale con gli altri paesi europei. Si spaccia una emergenza che non esiste, la vera emergenza è l’attacco alla democrazia ed alle garanzie dello stato di diritto, che si gioca proprio sulle questioni del soccorso in mare e della protezione internazionale ( con il ricatto sul Regolamento Dublino). Evidente la saldatura nei fatti tra le estreme destre identitarie e nazionaliste europee e la poltica di Salvini, che aspira ad un asse con Orban in Ungheria e Kurtz in Austria. Due “alleati” sul piano ideologico, ma che in nome del loro nazionalismo hanno già respinto tutte le richieste avanzate dal governo italiano, a partire dai trasferimenti Dublino. Alla fine in Europa i diversi nazionalismi si scontreranno tra loro, ma dalle macerie ne usciremo tutti impoveriti e con una grave lesione dei principi democratici.

      Tutto questo preoccupa ma non spaventa, restiamo al nostro posto, testimoni di un tempo terribile in cui la vita delle persone vale meno della difesa di un confine sull’acqua, un confine che nell’ordine naturale non può esistere. Nell’immaginario collettivo però i confini si stanno moltiplicando proprio per effetto della politica, e non conta se chi si presenta come difensore dell’identità nazionale e del territorio italiano, ricorre poi alla menzogna ed all’odio per costruire altri muri, questa volta all’interno della nostra società. per alimentare un livello di conflittualità sempre più elevato, dal quale ricava evidenti vantaggi in vista delle prossime scadenze elettorali. Ma le ferite inferte oggi ai rapporti internazionali, alla coesione sociale, alla possibilità di convivenza pacifica con gli immigrati tutti, resteranno aperte per anni. E per costruire una finta sicurezza costruiranno sempre più muri, fino a quando saremo tutti reclusi.

      Non arretriamo.Saremo ancora attivi nella difesa degli operatori umanitari e di tutti coloro che saranno accusati di crimine per avere soccorso o prestato assistenza alle persone migranti. Perchè prima che di migranti si tratta di persone, che devono avere riconosciuti gli stessi diritti fondamentali che spettano a qualunque persona, a partire dal diritto alla vita. Perchè i loro diritti sono i nostri diritti.

      https://www.a-dif.org/2018/07/21/omissione-di-soccorso-come-prassi-di-deterrenza

    • Italian coastguards express unease as government closes ports to migrants

      The decision by Italy’s new populist government to close the country’s ports to migrants saved at sea is causing unease within the heart of the Italian coastguard, some staff say, who until recently played a key role in rescue missions.

      Over the last decade the coastguard has coordinated the rescue of hundreds of thousands of migrants off the coast of Libya, in many cases pulling them from the water themselves in treacherous conditions.

      But as of June, they have been ordered to transfer calls for help and reports of boats in distress to the Libyan capital Tripoli.

      Now — despite a culture of traditionally not criticising government policy — a handful of coastguard staff have spoken out.

      In an interview with Italian daily Il Sole 24 Ore last week, a coastguard admiral criticised the government and in particular far-right interior minister Matteo Salvini’s new hardline stance.

      Speaking on condition of anonymity, the admiral recalled that the Italian justice system had deemed Libya was not a “safe place” for rescued people to returned to.

      Many migrants trying to reach Europe are desperate not to go back to Libya as they potentially face abuse and rape in detention centres.

      The admiral also denounced the absence of an official decree or act regarding the decision to close the country’s ports to vessels carrying migrants.

      In recent weeks the policy has left the coastguard powerless as several ships with rescued migrants aboard spent days stranded in the Mediterranean unable to dock in Italy.

      On Wednesday, at an event marking the 153rd anniversary of the Italian Coastguard, admiral Giovanni Pettorino, coastguard commander, evoked the memory of Salvatore Todaro, a submariner who during WW2 took serious risks to rescue the survivors of a ship he had just sunk.

      “In times of war, these things are not done,” a German admiral is said to have told Todaro at the time.

      The coastguard commander concluded his speech given before Italy’s new political authorities, by recalling Todaro’s response: “We are Italian sailors. We have 2000 years of civility behind us and we do these things.”

      – ’Feeling of helplessness’ -

      Speaking anonymously to Catholic daily Avvenire and Radio Radicale, some coastguard officers said the priority to rescue those in danger was demonstrated earlier this month.

      On 13 July the coastguard was sent to keep watch on 450 migrants crammed into a fishing boat, but took part in a later rescue mission even though Rome had told them to let Malta take charge, the officers said.

      Recalling the decision to intervene, the officers spoke of their “feeling of helplessness” which had built up in the weeks prior, as migrants attempted the perilous sea crossing.

      The vast majority of Italy’s around 13,000 coastguard officers work along the country’s 8,000 km of coastline, but the institution says that more than 2,000 of them have had first-hand experience on vessels operating off Libya — where a large number of the migrant tragedies occur.

      “At the moment, the atmosphere among the coastguard corps is not the best,” says Sergio Scandura, a journalist with Radio Radicale.

      The month of June was the deadliest in the Mediterranean in recent years with the International Organisation for Migration (IOM) reporting some 564 deaths or disappearances, despite the fact that overall departures have dropped sharply since the summer of 2017.

      Salvini’s hardline immigration stance appears to, however, be very popular among Italians: according to about half a dozen separate polls, some two-thirds of citizens approve his decision to close ports to rescued migrants.

      His far-right League party — which governs the country as part of a coalition — has also experienced a boom in the polls: the League garnered 17 percent of the vote at the March general election, but opinion polls now suggest support of around 30 percent.

      The new policy has come under fire from the country’s opposition politicians, however, and some of Italy’s prominent Catholic figures have also spoken out.

      After two bodies were discovered in a deflated dinghy off Libya, along with one survivor suffering from shock and hypothermia on Tuesday, the Episcopal Conference of Italy released a statement denouncing a “tragedy which we cannot manage to get used to”.

      “We warn unequivocally that to save our humanity from vulgarity and barbarism, we must protect life. Every life. From the most exposed, humiliated and trampled,” the bishops wrote.

      http://www.digitaljournal.com/news/world/italian-coastguards-express-unease-as-government-closes-ports-to-migrants/article/527517

    • Quale futuro per le operazioni di soccorso in mare svolte dalle ONG ?

      1.Quanto successo nell’ultimo mese, a partire dal blocco dell’attracco della Aquarius in un porto italiano, e poi, a ridosso del Consiglio Europeo del 28 giugno con la istituzione, sulla carta, di una zona SAR libica, e quindi con il seguito di naufragi in acque internazionali, deve indurre ad una riflessione sulle operazioni di ricerca e salvataggio (SAR) svolte dalle Organizzazioni non governative. Operazioni sempre di più spesso oggetto attacchi calunniosi e nel mirino di iniziative giudiziarie, in Italia ed a Malta. Anche se le prime inchieste contro alcune ONG sono state già archiviate.

      Giorno dopo giorno, abbiamo assistito ad una continua escalation del governo italiano contro le ONG, alle quali si è negata ogni possibilità di attracco e di sbarco, con Salvini che si è reso anche protagonista dei tentativi di inasprimento delle prassi adottate dalle missioni europee Frontex ed Eunavfor Med, giungendo a negare, anche dopo stragi gravissime, l’indicazione di un porto sicuro di sbarco a navi militari, persino americane, ed a mezzi della missione europea EUNAVFOR MED ( Sophia). Un tentativo che l’Unione Europea ha respinto, ribadendo gli impegni operativi ed i doveri di soccorso sanciti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei, che nessun paese membro può violare unilateralmente.

      Analoga risposta negativa è giunta alla proposta di Salvini che intendeva lanciare un piano Marshall per la Libia, allo scopo evidente di rinforzare la cd. Guardia costiera “libica” e di finanziare grandi centri di trattenimento dei migranti in modo da impedire che questi potessero imbarcarsi verso l’Europa. Un progetto già avviato da anni da precedenti governi, al quale si voleva dare adesso maggiore concretezza con un ulteriore fornitura di motovedette al governo Serraj. Ma le promesse italiane si sono rivelate farlocche, le motovedette da regalare ai libici sono pochissime, e sembra che il loro arrivo a Tripoli sia previsto per il mese di ottobre. Sempre che ad ottobre a Tripoli ci sia ancora il governo Serraj. Tutta la politica italiana in questi ultimi due mesi ha nascosto come non si possa parlare più di un processo di riconciliazione in Libia, e dunque di una unica Libia, la vera fake-news che continua ad essere distribuita agli italiani per tranqullizzari sui “successi” conseguiti dai loro governanti.

      Adesso anche la sedicente “Guardia costiera libica” ammette di non avere i mezzi per garantire le attività di ricerca e soccorso in “alto mare”, fino a 85 miglia dalla costa, che sarebbero imposte dalle Convenzioni internazionali, e che si sarebbero dovute verificare prima di concedere l’inserimento della SAR Zone libica nei registri ufficiali dell’Organizzazione marittima della Nazioni Unite (IMO). Chi ha spinto per quella zona SAR libica che ancora oggi non esiste, porta sulla coscienza le centinaia di vittime che i ritardi degli interventi dei libici, e le modalità di ingaggio violento adottate dalle motovedette di Tripoli, hanno prodotto in questo ultimo mese. Una responsabilità che non sarà facile accertare nei tribunali, ma che peserà come una pietra sul destino politico dei protagonisti di queste scelte.

      Di fronte ad un fallimento di così vaste dimensioni, ed alle prime denunce che stanno arrivando, non solo in cartolina, i governanti italiani hanno scelto la linea del totale capovolgimento dei fatti e delle responsabilità, inasprendo i blocchi e lo sbarramento dei porti, ed imposto a Malta un analogo inasprimento, che si sta traducendo anche nel sequestro arbitrario a La Valletta di due navi delle ONG ( Lifeline e Seawatch). Salvini lo aveva promesso, e i maltesi hanno eseguito.

      Le ONG ritornano dunque nel mirino, in nome di un emergenza che non esiste e di una lotta contro ai trafficanti che nessuno però garantisce perchè in Libia non si riesce ad affermare una giurisdizione indipendente dalle milizie che controllano i diversi territori, e gestiscono direttamente rapporti con i trafficanti di persone ( e di petrolio). Dal momento che queste scelte politiche, alle quali corrispondono prassi operative prive di fondamento legale, come la “chiusura dei porti” imposta da Salvini e Toninelli, o gli ordini di “stand by“,già impartiti lo scorso anno, producono e produrranno ancora in futuro centinaia di morti. Perchè cambieranno soltanto le rotte, ma sempre i migranti saranno messi in mare dalla Libia verso l’Europa, occorre chiedersi che ruolo possono giocare ancora le ONG. Per tentare almeno di ridurre il numero delle vittime, e per continuare a denunciare i casi sempre più frequenti di omissione di soccorso in acque internazionali. In attesa che i tribunali internazionali o l’Unione Europea impongano agli stati il pieno rispetto delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti europei che privilegiano la salvaguardia della vita umana in mare ed il diritto di chiedere protezione, rispetto alla difesa dei confini marittimi.

      2.Occorre innanzitutto prendere atto che, come si è evidenziato in queste ultime settimane, sempre più spesso le decisioni amministrative o le direttive emanate dal governo potranno creare i presupposti per l’avvio di azioni penali da parte della magistratura nei confronti di quegli operatori umanitari e di quelle ONG che si atterranno al rispetto delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti europei, nello svolgimento di attività di ricerca e soccorso nelle acque del Mediterraneo Centrale.

      Si verificherà poi, in occasioni sempre più frequenti, che la manipolazione dei dati e la successiva diffusione di fake-news capovolga il senso della narrazione degli eventi di soccorso in mare, fino a fare assumere ai veri responsabili la veste di accusatori ed ai soccorritori la posizione di inquisiti, in modo da eliderne del tutto le possiblità di intervento, sia in mare che nel dibattito pubblico, minandone la credibilità.

      Per contrastare tutto questo e permettere la prosecuzione delle attività di ricerca e salvataggio delle ONG in acque internazionali occorre rafforzare i team legali di esperti che verifichino il rispetto delle regole di Diritto internazionale, e del diritto dei rifugiati, da parte di tutti gli attori chiamati ad intervenire, o che si trovano nelle posizioni più vicine alle aree nelle quali si verificano gli eventi SAR.

      Appare fondamentale in questa prospettiva denunciare la istituzione di una zona SAR libica da parte dell’IMO,su impulso ed avallo delle autorità italiane. Va denuinciata altresì la inefficacia delle attività di ricerca e salvataggio svolta da Malta nella vastissima zona SAR che per ragioni economiche il governo di La Valletta continua ad attribuirsi. Occorre dunque una forte iniziativa a livello di Nazioni Unite e quindi dell’IMO per stabilire con certezza vere zone SAR, individuando le autorità che effettivamente sono in grado di intervenire con effettive capacità di coordinamento e di raccordo con altre autorità SAR. La vita umana in mare non può essere data in appalto per ragioni elettorali o di convenienza politica. Gli accordi bilaterali tra stati in questo campo possono assumere rilievo solo nell’ambito di un riconoscimento internazionale effettivo della capacità di coordinamento dei soccorsi attraverso una Centrale operativa nazionale (MRCC).

      Al fine di garantire la massima trasparenza, contro il rischio di altre e più gravi ricostruzioni farlocche degli interventi SAR da parte dei ministri, e di altre autorità, occorre realizzare sistemi di trasmissione video in tempo reale, accessibili in rete, di tutte le attività di ricerca e soccorso che saranno svolte dalle navi delle ONG, utilizzando anche le rilevazioni radar, quelle satellitari, e la via del monitoraggio aereo con l’uso di droni, per documentare i casi di intervento della Guardia costiera “libica”, che libica non è più, ed eventuali casi di abbandono in mare. Si corre altrimenti il rischio concreto che alla prossima strage, se soltanto una nave delle ONG si trovi nelle vicinanze dell’evento di soccorso, tutte le responsabilità posano essere adossate sugli operatori umanitari. Una certa parte dell’opinione pubblica, ormai incline all’odio senza verificare i fatti, non aspetta altro.

      In un momento in cui le spinte nazionaliste dei governi sovranisti e populisti europei hanno messo tutti contro tutti, occorre negoziare accordi con i singoli stati, anche della sponda sud, come la Tunisia, per garantire possibilità di rifornimento alle singole navi delle ONG che saranno ancora impegnate in attività di ricerca e salvataggio sulla rotta del Mediterraneo Centrale. Vanno inoltre utilizzate le navi più grandi che le ONG saranno in grado di inviare in questa zona come stazione galleggiante di rifornimento e assistenza anche sanitaria, per i casi più urgenti. Ornai è evidente che l’Italia e Malta non garantiscono più “porti sicuri di sbarco” (POS), e le offerte più recenti di attracco altro non sono che un passaggio strumentale al sequestro delle imbarcazioni ed all’incriminazione degli equipaggi.

      Si è visto lo scorso anno come i provvedimenti amministrativi di controllo o di fermo tecnico siano finalizzati alla successiva adozione di inziative penali, con il caso della Juventa, attratta con un ordine della Guardia costiera per il trasbordo di tre migranti a Lampedusa, e poi sequestrata. Un processo ancora in corso, nel quale si dovrà chiarire anche il ruolo degli agenti di sicurezza infiltrati a bordo della nave Vos Hestia di Save The Children, poi finita pure nell’inchiesta. Si è ripetuto ancora quest’anno, in Italia, a Pozzallo, con il sequestro della Open Arms, ed a Malta con il sequestro illegale ( perchè in assenza di provvedimenti giudiziari che lo legittimassero) della nave Sea Watch e della Lifeline, bloccate da settimane per problemi burocratici. Tutti casi nei quali le scelte degli esecutivi e gli ordini di natura amministrativa delle autorità marittime hanno contribuito alla costruzione di una fattispecie penale. E quindi ad una gigantesca operazione mediatica che ha condannato le ONG e tutti i cittadini solidali prima ancora che i processi offrissero almeno qualche effettiva possibilità di difesa e di ribaltamento della narrazione tossica diffusa a reti unificate. Ma la Libia non offre “porti sicuri di sbarco”, dopo i giudici siciliani adesso lo dice anche l’Unione Europea.

      Quanto alla individuazione di porti sicuri di sbarco (POS), che sono garantiti dalle Convenzoni internazionali, prima di ciascuna missione le imbarcazioni delle ONG va garantita la possibilità di rientro in un paese ed in un porto nel quale le persone soccorse possano essere sbarcate in sicurezza, e nel quale gli operatori umanitari non rischino l’apertura di procedimenti penali o il sequestro della nave. Queste attività repressive che si riconducono generalmente al contrasto dell’immigrazione irregolare, come pure il ritardo immotivato nella indicazione di un porto sicuro di sbarco, si ripercuotono direttamente sulla salute psico-fisica dei naufraghi, e possono ridurre notevolmente la capacità operativa delle imbarcazioni delle ONG, mettemndo a rischio anche il diritto alla vita.

      3. Le attività di ricerca e salvataggio ancora svolte da Organizzazioni non governative non si possono collocare al di fuori di una cornice di coordinamento che va comunque garantita con le Autorità SAR nazionali competenti, come previsto dal diritto internazionale del mare. Non si può però continuare a ricorrere ad una negoziazione caso per caso, dopo o addirittura durante l’espletamento delle operazioni di soccorso.

      Retweeted Paolo Biondi (@PaoloBiondi82):

      Oggi Malta ha coordinato il salvataggio di 19 migranti in difficoltà all’interno della Regione di ricerca e soccorso maltese (DDR) circa 50 miglia a sud dell’isola. Rcc Malta è stata informata di questa barca da parte di Mrcc Roma e della guardia costiera libica quando era ancora nella SAR Libica.

      Malta coordinated the rescue of 19 migrants in distress within the Maltese Search and Rescue Region (SRR) some 50NM south of the island. RCC Malta was informed of this boat by MRCC Rome and the Libyan Coast Guard when it was still in Libya SRR

      Bisogna dunque attivare canali di comunicazioni costanti con quelle autorità SAR che possono garantire lo sbarco in un porto sicuro, che come prevedono le Convenzioni internazionali di diritto del mare, non è necessariamente il “porto più vicino”, come qualcuno ha ritenuto in Italia, ma è quel porto nel quale la persona sbarcata ( e potremmo aggiungere adesso, anche i soccorritori) abbiano la piena garanzia che i diritti fondamentali della persona siano rispettati. Occorre che le ONG si raccordino tra loro e stilino loro una “Carta dei soccorsi nel mare Mediterraneo”, sulla quale aggregare consenso in modo da garantire modalità di intervento generalmente condivise. Un documento con prasse operative concordate da verificare con la Guardia costiera italiana che ha una tradizione di soccorso in mare che non può essere smentita da atti di indirizzo politico.

      Ricordiamo bene come l’attacco alle ONG sia patrtito dalle destre identitarie europee e, subito dopo, da Frontex, all’inizio dello scorso anno. Ma il confronto ed il coordinamento sulle operazioni SAR nel Mediterraneo centrale non potrà prescindere dal tentativo di coinvolgimento dell’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX), oggi ridefinita come “Guardia costiera e di frontiera europea” ( in base al Regolamento UE 1624 del 2016) . Sarò anche importante verificare la disponibilità a partecipare ad attività SAR della missione EUNAVFOR MED ( Operazione Sophia), un obbligo ineludibile da garantire nel rigoroso rispetto del proprio mandato operativo, deciso nell’ambito della politica estera comune dell’Unione Europea (PESC). Non sarà un confronto facile, ma nessuno può pensare che ritirando le navi militari, limitandone le attività in operazioni SAR, o costringendo le ONG al ritiro totale, si possa garantire un miglior risultato delle politiche migratorie europee e nazionali, anche a costo di passare sopra le migliaia di morti e dispersi che queste politiche hanno fin qui prodotto.

      Il soccorso in mare è condizionato anche da quello che succede nei paesi della sponda sud del Mediterraneo. Senza una soluzione politica del conflitto in Libia e senza la garanzia di un qualsiasi stato di diritto che sia almeno in parte esente dalla corruzione diffusa che caratterizza quel paese, qualsiasi accordo con le milizie e con le forze che controllano le diverse Guardie costiere, rischia di tradursi ancora una volta con un ulteriore rafforzamento delle organizzazioni criminali. Le minacce, reiterate anche di recente, rivolte dalla Guardia costiera di Tripoli alle Organizzazioni non governative comprendono ormai il rischio di attacchi armati e di sequesto di persona.

      Le navi delle ONG ben dificilmente potranno avventurarsi a meno di 70 miglia (120 chilometri) dalla costa libica. La minaccia di sequestro da parte della Guardia costiera di Tripoli diventa ogni giorno più grave. Un motivo in più che dovrebbe spingere la comunità internazionale, o singoli paesi, questa volta davvero “volenterosi”, ad organizzare missioni internazionali di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. In acque internazionali che ormai, dopo la creazione di una zona SAR “libica”, sono rimaste nella esclusiva disponibilità di un gruppo di milizie che non garantisce il rispetto dei diritti e dei corpi delle persone, nè durante le azioni di soccorso, nè durante le successive fasi dello sbarco a terra e dell’internamento nei centri di detenzione. Adesso sono ache alcuni esponenti della Guardia costiera di Tripoli, di cui Salvini si fida tanto, che ammettono di non avere i mezzi necessari per salvaguardare la vita umana in mare.

      In questa direzione la società civile organizzata deve andare oltre l’impegno qui profuso, occorre davvero che “si imbarchi” con tutte le proprie capacità organizzative sulle navi delle ONG, che significa garantire un impegno continuo a livello più ampio. Non certo con la presenza fisica, ma con una attività ben documentata di diffusione delle notizie, di accertamento delle fake news, di iniziativa politica e di sostegno economico e legale, che permetta di difendere i valori del soccorso e della solidarietà contro tutti i tentativi di depistaggio e di diffusione di messaggi di odio, di negazione della dignità umana e di subordinazione del diritto alla vita alle esigenze della difesa delle frontiere, se non alla mera propaganda elettorale.

      https://www.a-dif.org/2018/07/22/quale-futuro-per-le-operazioni-di-soccorso-in-mare-svolte-dalle-ong

    • JOSEFA : «SONO ARRIVATI I LIBICI E CI HANNO PICCHIATO»

      Sicuri da morire. L’accusa dell’unica superstite al naufragio. Da Open Arms denuncia per omicidio colposo

      «Denunceremo chi, con bugie e falsità, mette in dubbio l’opera di salvataggio e accoglienza svolta dall’Italia»: il Viminale ieri ha attaccato ancora l’Ong catalana Proactiva open arms, arrivata ieri mattina a Palma di Maiorca con il cadavere della donna e del bambino ritrovati martedì con l’unica superstite, Josefa, aggrappata alle assi del fondo del gommone distrutto a 80 miglia dalla cosa libica, 90 da Lampedusa. La donna camerunese, ricoverata in forte stato di choc e con i postumi dell’ipotermia, dopo essere rimasta due giorni a galleggiare in acqua, ha raccontato: «Sono arrivati i libici, ci hanno picchiato e ci hanno lasciato in mare». Il Viminale insiste: «Qualcuno strumentalizza una vittima per fini politici. Se la Ong ha preferito rifiutare l’approdo per scappare altrove è un problema suo. I porti siciliani erano aperti». Alla Proactiva era stato offerto lo scalo di Catania ma il coordinatore della missione, Riccardo Gatti, aveva chiarito: «Rifiutiamo il porto di sbarco italiano dopo le dichiarazioni del governo (che aveva definito la denuncia dei volontari catalani una fake news ndr) e perché non crediamo che in Italia ci sia un porto sicuro». La scelta di Catania, poi, era risultata sospetta visto che la procura locale sta processando l’Ong tedesca Jugend Rettet per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

      I membri della Proactiva open arms, insieme al campione dell’Nba Marc Gasol, si sono recati ieri al tribunale di Palma per presentare una denuncia per omissione di soccorso e omicidio colposo contro il capitano della Triades, il mercantile che per primo ha individuato i migranti e avvertito Tripoli senza però soccorrerli. «Lo faremo anche contro il capitano del pattugliatore della Guardia costiera libica» che avrebbe volontariamente affondato il gommone mentre a bordo c’erano ancora due donne e un bambino ha spiegato Oscar Camps, fondatore dell’Ong catalana, confermando anche l’intenzione di presentare una denuncia contro la Guardie costiera italiana e Malta perché potrebbero aver commesso il reato di omissione del dovere di assistenza.

      Alla stampa Camps ha poi spiegato che l’Europa lascia alla Libia («un paese senza stato») le operazioni in mare nonostante i sospetti di connivenza della sua Guardia costiera con i trafficanti: «Siamo etichettati come criminali, l’Italia ci accusa di mentire, diffamare e insultare, vuole rimandare in Libia le persone che salviamo. Siamo gli unici testimoni e adesso nessun’altra Ong è attiva nell’area. Siamo stati testimoni della barbarie disumana che vive il Mediterraneo». L’ultima stoccata è per il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che da mesi ripete «le Ong vedranno i nostri porti in cartolina». Camps ne ha mandata una virtuale via twitter al leader leghista con la dedica «Un abbraccio da Maiorca. Oscar e Josefa». A Palma c’era anche il deputato di Leu, Erasmo Palazzotto, che ha partecipato alla missione: «Chiederò al governo italiano che renda pubblici i dati su ciò che è accaduto nel luogo in cui è stata trovata morta la madre con il bambino per vedere se c’è responsabilità del governo e della guardia costiera nell’omicidio».

      La Marina italiana ieri ha respinto ogni addebito: «Non siamo mai stati coinvolti nel soccorso. Dopo il ritrovamento, all’Ong è stata data piena disponibilità a trasferire la donna, ancora in vita, in Italia, per ricevere assistenza sanitaria, è stata data anche la possibilità di raggiungere direttamente il porto di Catania». Anche il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, difende l’operato del governo: «Open Arms sbaglia obiettivo. L’Italia è un esempio per umanità ed efficienza nei soccorsi».

      Nessuno però sa spiegare la presenza di una donna viva e due cadaveri tra i relitti del gommone distrutto. Non sa spiegarlo soprattutto la Libia, che martedì aveva negato di averli lasciati in mare, chiamando in causa una troupe di giornalisti tedeschi presenti durante le operazioni. Poi è stata costretta a precisare che i salvataggi lunedì sera erano stati due e quindi venerdì ha parzialmente ammesso di aver provato a rianimare i corpi senza vita ma di non saper spiegare la presenza di Josefa. Una spiegazione arriva però dall’Italia. Il fatto quotidiano, riportando notizie apprese dai nostri militari, spiega: «I migranti non vogliono essere riportati in Libia, per convincerli ad accettare il soccorso è ormai prassi che i libici inizino le operazioni per affondare la barca». È la spiegazione che aveva dato Camps martedì, bollata da Salvini come «fake news».

      https://ilmanifesto.it/josefa-sono-arrivati-i-libici-e-ci-hanno-picchiato

    • Open Arms, a una settimana dalla tragedia Salvini incalzato non dà spiegazioni e loda i libici

      Era il 17 luglio quando la ong spagnola Proactiva Open Arms annunciava di aver recuperato nel Mediterraneo tre corpi - un bambino e una donna morta e un’altra invece ancora in vita - accanto a un relitto abbandonato dalla Guardia Costiera libica dopo un’operazione di recupero di migranti. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva negato che i libici avessero abbandonato delle persone in mare, tantomeno affondando il barcone nel quale viaggiavano, e aveva promesso le prove a sostegno della sua tesi. Poco dopo, dal Viminale si segnalava la presenza di una giornalista tedesca a bordo delle motovedette dei libici che avrebbero compiuto il salvataggio oggetto della questione e che avrebbe documentato la correttezza del loro operato.

      Con il passare delle ore, però, è emerso da diverse testimonianze, compresa quella della stessa giornalista, come in realtà l’operazione che avrebbe portato all’abbandono dei corpi sarebbe stata differente da quella documentata dalla troupe televisiva. Come e perché Josefa (la donna superstite) e la madre e il bambino annegati siano finiti in mare rimane dunque una domanda senza risposta.

      A una settimana di distanza dai fatti, siamo tornati a chiedere a Salvini una spiegazione sulla vicenda, senza ottenere una risposta.

      https://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/open-arms-a-una-settimana-dalla-tragedia-salvini-incalzato-non-da-spiegazioni-e-loda-i-libici/311052/311687

    • Watch: 10 days at sea, the real story of the Aquarius

      For us, journalists, bearing witness is both an instinct and a responsibility.

      The Aquarius deployment came about because I wanted to see for myself how NGOs conducted search and rescue missions in the so-called “world’s deadliest migration route”.

      I had reported on the refugee crisis for years - from the Turkish-Syrian border, but also from Greece, Macedonia, Hungary, Germany, France... I had seen fear and desperation. But also solidarity and hope.

      I wanted to understand what this part of the story was all about. And what impact it had on the whole of the European Union.

      Little did I know I would be reporting on a story that would threaten to split Europe apart.

      10 days at sea: the real story of the Aquarius is about what happened aboard the humanitarian vessel while it found itself at the heart of one of the most serious storms Europe has ever faced.

      http://www.euronews.com/2018/07/16/10-days-at-sea-the-real-story-of-the-aquarius-exclusive

    • Stampa spagnola, Josepha vuole denunciare Libia e Italia

      La donna sopravvissuta e soccorsa da Open Arms, secondo Diario de Mallorca, pensa alle vie legali per l’omissione di soccorso.

      Josepha, la donna del Camerun salvata dalla Ong spagnola Proactiva Open Arms dopo aver trascorso due giorni in mare aggrappata a un pezzo di legno, denuncerà l’Italia per aver rifiutato di sbarcare i cadaveri dei migranti morti nel Mediterraneo nel porto di Catania. Lo scrive il quotidiano Diario de Mallorca. La donna per 48 ore è stata in balia delle onde a largo della Libia, aggrappata a un pezzo di legno. Insieme a lei c’erano i cadaveri di una donna e un bambino.

      Secondo il quotidiano il quotidiano spagnolo, dopo essere sbarcata a Palma - dove è arrivata, insieme ai volontari, da poche ore - denuncerà alle autorità spagnole la guardia costiera della Libia per aver speronato la barca a bordo della quale si trovava. Si rivolgerà alla giustizia spagnola per segnalare anche una presunta omissione dell’Italia. Josefa, che ha raccontato di essere scappata dal Camerun per fuggire dal marito che la picchiava perché non poteva avere figli, riceverà lo status di rifugiata.

      Anche i volontari di Open Arms hanno deciso di denunciare la guardia Costiera libica per omissione di soccorso e di avere intenzione di fare lo stesso con «qualsiasi altra persona che ha preso parte ai fatti con azioni o omissione». A tal proposito, hanno detto, anche la Guardia costiera italiana «avrà qualcosa da dichiarare riguardo ciò che è avvenuto a 80-90 miglia dalle sue coste».

      Dal Viminale rispondono: «Se la Ong spagnola ha preferitorifiutare l’approdo in Italia per scappare altrove, è un problema suo. I porti siciliani erano aperti anche per accogliere i cadaveri a bordo, e per questo alla Ong era stata esclusa l’opzione Lampedusa: l’isola è infatti sprovvista di celle frigorifere per i corpi».

      https://www.huffingtonpost.it/2018/07/21/stampa-spagnola-josepha-vuole-denunciare-libia-e-italia_a_23486787

    • « #Sarost_5 » : une situation dramatique selon les migrants relayés par une ONG

      L’épuisement, la fatigue, le découragement ne font que croître à bord du Sarost 5. Le navire commercial est toujours bloqué devant le port de #Zarzis en #Tunisie, après avoir été refusé par les autorités maltaises et tunisiennes. Cela fait maintenant une semaine que les 14 membres d’équipages et les 40 migrants attendent le débarquement, avec peu de vivres, dans une situation sanitaire de plus en plus compliquée. Aucun des pays proches n’a pour l’instant accepté que le bateau accoste et permette à ces ressortissants africains de débarquer. Pour alerter l’opinion sur leur situation, l’ONG Watch the Med a recueilli des témoignages à bord du Sarost 5.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180723-migrants-sarost-5-situation-dramatique-temoignages-relayes-ong-watch-th

    • Secondo il Viminale la versione di Open Arms è una “fake news”, ma ad oggi non ha fornito le prove

      Pochi giorni fa, a circa 80 miglia dalle coste libiche l’associazione non governativa Proactiva Open Arms ha trovato i resti di un’imbarcazione con due cadaveri e una donna ancora viva. L’ipotesi e poi l’accusa della ONG è che la «Guardia costiera libica», nel corso di un’operazione di salvataggio, abbia lasciato volutamente alcune persone in mare perché non volevano ritornare in Libia. Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha definito questa ricostruzione una «fake news» e ha promesso che avrebbe fornito le prove della sua falsità. Al momento, però, queste prove non sono state ancora esibite.

      https://www.valigiablu.it/ong-salvini-fake-news

    • Rejetés par les pays européens, 40 migrants sont bloqués au large de la Tunisie

      Quarante migrants et l’équipage du Sarost 5 sont bloqués devant le port de Zarzis, en Tunisie. Le navire battant pavillon tunisien est arrivé sur place après avoir été refusé par l’Italie, la France et surtout Malte. C’est pourtant ce dernier pays qui est censé secourir ces rescapés, car leur embarcation était située en zone maltaise quand elle a été signalée. Deux femmes enceintes se trouvent à bord.

      www.rfi.fr/europe/20180721-sarost-5-zarzis-malte-italie-france-migrants-bloques-tunisie

    • La Tunisie s’apprête à accueillir les 40 migrants bloqués sur le Sarost 5

      Après deux semaines bloqué en mer, au large de Zarzis, le navire Sarost 5 devrait finalement avoir l’autorisation d’accoster en Tunisie. Le Premier ministre tunisien, Youssef Chahed, a expliqué samedi devant le Parlement que le pays allait lui ouvrir ses ports pour des raisons humanitaires. Quarante migrants dont deux femmes enceintes se trouvent en effet sur le Sarost 5 que ni la France, ni l’Italie, ni Malte n’ont jusqu’ici accepté d’accueillir.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180730-tunisie-accueille-quarante-migrants-sarost-5-zarzis-youssef-chahed

    • WatchTheMed Alarm Phone : Press Release on the Sarost 5 Disembarkation Announcement

      July 29, 2018
      Watch the Med Alarm Phone has been in regular contact with crew members as well as rescued people of the Sarost 5 since the first distress call that took place in the Maltese SAR zone on Friday 13.07.18. The 40 rescued people have been at sea for more than two weeks. The rescued people and the crew of the supply vessel Sarost 5 have been stationed off the port of Zarzis since Monday 16.07.18 and have endured unbearable living conditions on board. We are relieved that the Tunisian government will let the people disembark for ‘humanitarian reasons’. However, we remain extremely concerned about the following points:

      The ordeal endured by the crew and passengers of the Sarost 5 is the direct result of EU migration policies, which externalize border controls and condone the closure of ports in Italy and Malta to NGO and private rescue vessels. The case of the Sarost 5 adds to other worrying developments in the Central Mediterranean, such as the increased collaboration between Italy and the Libyan Coast Guard and the failure to give authorizations to rescue vessels to disembark people, leaving them stranded at sea for days.
      The EU has announced its plans to establish regional disembarkation mechanisms in North Africa. The arrival of the Sarost 5 on Tunisian soil does not constitute a precedent for such disembarkation points. The Sarost 5 sails under Tunisian flag and no North African country has agreed to disembarkation points on their territory. We strongly oppose any steps towards such regional disembarkation points.
      The case of the Sarost 5 illustrates the erosion of SAR responsibilities in the central Med. Malta has not abided by its responsibilities to provide a port of safety to the 40 people who were first given supplies at sea by the Caroline III, under Maltese orders and in the Maltese SAR zone. This denial of responsibility not only breaks international maritime law, but also violates the principle of non-refoulment. The People on board the Sarost 5 have declared in video testimonies that they are in need of international protection. Furthermore, the lack of a legal framework to apply for international protection in Tunisia will deprive the people on board the Sarost 5 from their right to an effective remedy. The violation of basic rights of asylum seekers in Tunisia has been documented through the ongoing ordeal faced by the ex-Choucha camp refugees, who are still fighting for legal status and a dignified life in Tunisia. In fact, their struggle continues four years after the closure of the camp. In addition, the rights of LGBTQ people are severely restricted in Tunisia. For the reasons mentioned above, we strongly believe that ports in Tunisia should not be considered as ports of safety.

      Watch the Med Alarm Phone denounces the EU states’ failure to take responsibility and their stark negligence of international human rights, as well as the lack of a public statement from the UNHCR in favour of the people on board the Sarost 5. Watch The Med Alarm Phone will monitor the disembarkation closely and remain in contact with the people from the Sarost 5.

      In light of the Sarost 5 case, we immediately call for:

      – Full and unconditional respect for human rights and the international Maritime law;
      – Immediate disembarkations in ports of safety, which cannot be in Tunisia or Libya, given their non-compliance with international refugee and human rights law;
      – The abolition of the Dublin regulation so that the arrival of migrants can be shared among member states of the EU and that the pressure on southern EU states can be alleviated;
      – The re-opening of Italian and Maltese ports to NGOs and private vessels transporting people rescued at sea, as they are the closest safe ports to the rescue zone

      communiqué de presse reçu via la mailing-list de Migreurop

    • Le Sarost 5 toujours bloqué au large de la Tunisie : situation confuse dans les eaux tunisiennes

      Le week end dernier, de nombreuses informations contradictoires, concernant le sort des 40 migrants bloqués au large de la Tunisie depuis 15 jours, ont circulé. Alors que le navire humanitaire espagnol Open Arms n’était qu’à quelques km du Sarost 5, les autorités tunisiennes ont annoncé leur intention d’accueillir sur leur sol les 40 migrants. Cependant pour l’heure, la situation à bord n’a pas changé.

      Samedi 28 juillet, le Premier ministre tunisien Youssef Chahed a déclaré lors d’une séance plénière au Parlement que « pour des raisons humanitaires », la Tunisie allait finalement « accueillir les 40 migrants » bloqués au large du port tunisien de Zarzis depuis le 16 juillet.

      Lundi 30 juillet en milieu d’après-midi, le Sarost 5 était cependant toujours immobilisé en pleine mer. « Les autorités portuaires tunisiennes n’ont pas encore reçu l’autorisation de Tunis de laisser entrer le bateau », déclare à InfoMigrants Mongi Slim du Croissant rouge tunisien. « On sait que le gouvernement a accepté que notre navire accoste en Tunisie mais depuis cette annonce on est toujours bloqués ! On attend quoi », se plaignait déjà samedi soir à InfoMigrants un des membres d’équipage.

      Pour que le bateau puisse amarrer à Zarzis, il faut que le MRCC tunisien - le centre de contrôle maritime tunisien - donne son autorisation. On ignore encore pourquoi il n’a rien reçu malgré l’annonce du Premier ministre samedi.

      Open Arms au large des côtes tunisiennes

      Tout le week-end, la confusion a régné à bord du Sarost 5. À leur réveil samedi matin, les migrants aperçoivent au loin le navire humanitaire Open Arms qui est immobilisé à quelques milles nautiques de là. L’espoir renaît à bord du bateau. L’ONG espagnole a l’autorisation d’entrer dans les eaux tunisiennes pour offrir une assistance humanitaire et médicale aux membres du Sarost 5. Mais en milieu d’après-midi, Open Arms rebrousse chemin vers Malte pour évacuer d’urgence un de ses sauveteurs.

      Le lendemain, dimanche 29 juillet, le navire humanitaire reprend la route en direction des côtes tunisiennes et se positionne de nouveau à proximité du Sarost 5 – il repart finalement dans les eaux internationales lundi en début d’après-midi, les autorités tunisiennes ne l’autorisant pas à stationner dans leur zone maritime.

      Entre-temps, le gouvernement tunisien a fait part de son intention d’accueillir les 40 migrants. L’ONG espagnole assure que sa présence dans les eaux tunisiennes a permis de débloquer la situation. « Quand la Tunisie a vu qu’une organisation aussi médiatique que la nôtre était devant sa porte - et que nous voulions rencontrer les migrants à bord - ils ont eu peur qu’on montre publiquement que les migrants n’étaient pas bien traités », a déclaré à l’agence de presse espagnole EFE Oscar Camps, le président de l’ONG.

      À bord du Sarost 5, l’incertitude pèse sur les migrants déjà éprouvés moralement et physiquement par plus de deux semaines en mer. « Mon Dieu, quand est-ce que tout cela va s’arrêter. Le gouvernement donne officiellement son accord mais il ne se passe rien. Que nous veut la Tunisie encore ? », s’interroge lundi Samuel*, un migrant qui est en contact régulier avec InfoMigrants.

      La Tunisie, pas un « port sûr » selon les ONG

      Par ailleurs, les ONG s’inquiètent de l’arrivée éventuelle de ces migrants en Tunisie. « Ce pays ne remplit pas les critères pour être qualifiée de ‘port sûr’. Il n’y a pas de cadre légal pour y déposer une demande d’asile », dénonce à InfoMigrants Olivia Santer, porte-parole d’Alarm Phone. « La violation des droits fondamentaux des demandeurs d’asile en Tunisie a été documentée par ce que subissent les anciens migrants du camp de Choucha qui luttent toujours pour un statut légal (..). Quatre ans après la fermeture du camp, leur combat se poursuit toujours », déclare l’ONG dans un communiqué.

      Le Croissant rouge tunisien assure lui que tout est prêt pour gérer au mieux l’arrivée des 40 migrants du Sarost 5. Ces derniers doivent être accueillis par l’ONG au port de Zarzis et seront ensuite envoyés au foyer de Médenine (à l’ouest de Zarzis) où « ils pourront bénéficier de soins médicaux, de distribution de nourriture et de vêtements », selon Mongi Slim du Croissant rouge tunisien.

      Les demandeurs d’asile pourront, toujours selon le croissant rouge tunisien, déposer une demande auprès du Haut-commissariat des Nations-Unies pour les réfugiés (HCR). Sur ce sujet aussi, les informations demeurent floues. L’agence onusienne assure avoir déjà rencontré plusieurs migrants du Sarost 5 lors d’une mission sur le navire, mais les naufragés et l’équipage nient la visite du HCR à bord. « Nous avons demandé plusieurs fois que l’agence onusienne vienne nous voir mais ils ne sont jamais venus », assure Samuel.

      L’ONG Alarm Phone se dit outrée par le HCR qui « n’a pas su se positionner clairement en faveur des droits des rescapés ». « Cela renforce notre inquiétude pour l’avenir de ces 40 migrants », signale Olivia Santer. « Ils devraient être en Europe car ils ont été repérés dans les eaux maltaises. Mais une nouvelle fois, les autorités européennes n’ont pas pris leurs responsabilités et ont renvoyé le problème », souffle-t-elle.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/10974/le-sarost-5-toujours-bloque-au-large-de-la-tunisie-situation-confuse-d

    • Rejetés par les pays européens, 40 migrants sont bloqués au large de la Tunisie

      Quarante migrants et l’équipage du Sarost 5 sont bloqués devant le port de Zarzis, en Tunisie. Le navire battant pavillon tunisien est arrivé sur place après avoir été refusé par l’Italie, la France et surtout Malte. C’est pourtant ce dernier pays qui est censé secourir ces rescapés, car leur embarcation était située en zone maltaise quand elle a été signalée. Deux femmes enceintes se trouvent à bord.

      C’est le capitaine du Sarost 5, un navire d’approvisionnement battant pavillon tunisien, qui a appelé les autorités tunisiennes à « intervenir d’urgence » pour lui permettre d’accoster au large de Zarzis, dans le sud du pays.

      Ce navire commercial a secouru 40 migrants, dont huit femmes et notamment deux enceintes. Or, il patiente au large de ce port. Une attente qui « commence à être très longue, au détriment de notre travail », déplore le capitaine, Ali Hajji, interrogé par l’Agence France-Presse.

      « L’équipage du bateau est épuisé moralement et physiquement », explique-t-il à l’AFP. « Nous faisons notre maximum pour apporter notre aide aux migrants, dont certains sont malades, et nous risquons d’être contaminés. »

      Selon une source de l’AFP - un responsable de la garde maritime tunisienne s’exprimant sous couvert d’anonymat -, l’autorisation d’accoster à Zarzis « dépasse » ses équipes. « Nous attendons une décision politique », fait-il remarquer. Mais cette dernière tarde à venir de Tunis pour le moment.

      Les 40 migrants à bord du Sarost 5 n’en sont pas au début de leur calvaire. Ils seraient originaires d’Afrique subsaharienne et d’Egypte, et seraient partis de Libye à bord d’une embarcation pneumatique avant d’être perdus en mer cinq jours.

      Un problème symptomatique de la crise européenne

      Ces personnes ont finalement été repérées, à une date non précisée, par le navire Caroline III, envoyé par un centre de secours maltais. Problème : selon des ONG tunisiennes, quand ce bateau a appelé à l’aide les gardes-côtes d’Italie, de France et de Malte, ces derniers « ont refusé d’accueillir les rescapés ».

      Selon ces ONG, le prétexte des Européens, c’était que « les ports les plus proches étaient situés en Tunisie ». Les migrants ont donc finalement été pris en charge par le Sarost 5. Le Croissant-Rouge a pu les examiner à deux reprises.

      « Huit migrants ont la gale et les deux femmes enceintes risquent de perdre leur bébé », relate Mongi Slim, responsable du Croissant-Rouge à Médenine, une ONG qui continue d’envoyer médicaments et nourriture. « Nous avons demandé aux autorités tunisiennes d’hospitaliser au moins trois personnes », ajoute-t-il.

      La Tunisie fait partie des pays cités pour l’émergence de possibles centres d’accueil de migrants hors Europe souhaités par l’UE. Mais selon M. Slim, les passagers du Sarost 5 « refusent d’être accueillis par la Tunisie et veulent rejoindre l’Europe ».

      Watch The Med-Alarm Phone s’est fait une spécialité de repérer les bateaux à la dérive en Méditerranée, pour les guider vers d’éventuels sauveteurs. Et pour Olivia Santer, militante au sein de ce réseau, la situation du Sarost 5 est symptomatique de la crise de l’accueil européen. Ci-dessous, ses explications sur RFI.

      http://www.rfi.fr/europe/20180721-sarost-5-zarzis-malte-italie-france-migrants-bloques-tunisie

    • Sur la Sarost 5, voici le commentaire de @_kg_, qui m’a été envoyé par email, et qui répond à la question : si la Tunisie acceptait de prendre les migrants sur son territoire...

      - les personnes vont être logés au centre de logement du Croissant Rouge Tunisien (CRT) à Médenine
      – le Conseil Italien des Réfugiés va venir sur place pour categoriser entre « migrant.e.s » et « réfugiés » ; les réfugiés peuvent faire une demande d’asile en Tunisie et sont logés au centre d’UNHCR...t’imagines la situation d’un demandeur d’asile en Tunisie...réinstallation dans un pays tiers = environ 12 personnes/année...un très grand taux des demandeurs d’asile disparait, on ne les retrouve plus...
      – les « migrant.e.s » restent au centre CRT dont ils sont pris en charge au maximum deux mois (cf. Monghi Slim http://www.rfi.fr/afrique/20180730-tunisie-accueille-quarante-migrants-sarost-5-zarzis-youssef-chahed) ; l’OIM vient sur place pour leur proposer le « retour volontaire » dans leur pays d’origine comme seule solution... donc ces « migrant.e.s » sont maintenant bloqués en Tunisie, le nombre monte.
      – Il reste quel projet futur ? Dans la plupart des cas ils/elles quittent le centre de logement pour les grandes villes tunisiennes : travailler pour financer le prochain voyage vers l’Europe ou vers un autre pays...

    • 2018 sind schon mehr als 1500 Flüchtlinge im Mittelmeer ertrunken | NZZ.ch 2018-08-04

      https://www.nzz.ch/international/2018-schon-mehr-als-1500-fluechtlinge-auf-dem-mittelmeer-ertrunken-ld.1408860

      https://nzz-img.s3.amazonaws.com/2018/8/4/4e09c75c-b1d0-4211-bd3f-a77d296b1d19.jpeg

      Nach einer Mitteilung des Uno-Flüchtlingshilfswerks ist die Zahl der Todesfälle gestiegen, obwohl die Gesamtzahl der über das Mittelmeer nach Europa gekommenen Personen zuletzt deutlich zurückgegangen war.

      Mehr als 1500 Flüchtlinge sind nach Angaben der Uno in den ersten sieben Monaten dieses Jahres im Mittelmeer ertrunken. Mehr als die Hälfte von ihnen sei dabei im Juni und Juli ums Leben gekommen, teilte das Uno-Flüchtlingshilfswerk UNHCR am Freitag in Genf mit. Demnach stieg die Zahl der Todesfälle, obwohl die Gesamtzahl der über das Mittelmeer nach Europa gekommenen Personen zuletzt deutlich zurückgegangen war.

      Laut UNHCR gelangten seit Januar ungefähr 60 000 Flüchtlinge nach Europa. In den ersten sieben Monaten des Vorjahres waren es noch etwa doppelt so viele Personen. Spanien löste Italien mittlerweile als wichtigstes Ankunftsland ab. Dort kamen von Januar bis Juli rund 23 500 Menschen an – so viele wie im gesamten Jahr 2017. Italien verzeichnete im Betrachtungszeitraum dagegen rund 18 500 Ankünfte; in Griechenland waren es zirka 16 000 Personen.

      [...]

    • Ong, Open Arms in attesa di un porto in cui sbarcare 87 migranti: “Caldo rovente sul ponte”

      Dopo tre giorni l’ong spagnola attende ancora indicazioni: a bordo di Open Arms ci sono 87 migranti, tra cui 8 minori.

      Terzo giorno a bordo di Open Arms, la temperatura è rovente sul ponte. La paura di essere riportati in Libia si placa. Ci affidano le loro storie terribili, molte provenienti dall’inferno Darfur e dagli abusi ripetuti della Libia. Ancora nessun porto di destinazione". Lo fanno sapere i volontari con un tweet lanciato dalla nave della ong che il 2 agosto ha soccorso 87 migranti, fra cui 8 minori, che erano alla deriva su un gommone al largo della Libia.

      I profughi erano stati salvati dopo che il loro gommone si trovava da due giorni alla deriva in acque internazionali. Secondo il racconto del segeratario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni – che si trova a bordo della nave dell’ong per continuare la staffetta di solidarietà iniziata da Riccardo Magi, deputato di +Europa, e proseguita poi dal parlamentare di LeU Erasmo Palazzotto – i migranti sono in condizioni di salute precarie: alcuni di loro hanno sul corpo ustioni provocate dalla miscela di acqua di mare e gasolio.

      La prima segnalazione della presenza in mare del gommone era arrivata lunedì scorso dalla Guardia Costiera libica. Open Arms, una volta completato le operazioni, aveva informato l’Italia la Spagna e la Libia. In quello stesso giorno il ministro degli Interni Matteo Salvini aveva sottolineato l’assoluta chiusura dei porti italiani all’imbarcazione carica di migranti: «La nave spagnola Open Arms ha raccolto a bordo 90 immigrati nelle acque libiche. Visto che venti giorni fa aveva dichiarato che i porti italiani non sono sicuri perché c’è Salvini, sono certo che porteranno questi immigrati ovunque, tranne che in Italia. Buon viaggio», aveva scritto in un tweet il vicepremier leghista.

      https://www.fanpage.it/ong-open-arms-in-attesa-di-un-porto-in-cui-sbarcare-87-migranti-caldo-rovent

    • Aquarius, diario di bordo – giorno 2: “In caso di avvistamento non chiederemo autorizzazione, come prevede la legge”

      Prosegue il nostro viaggio a bordo della nave Aquarius. Il terzo giorno di navigazione è quello della preparazione al soccorso in mare. L’arrivo in zona Sar è previsto per stanotte. “A quel punto cominceranno le guardie notturne. A turno si resterà di vedetta per un’ora e mezzo a testa”. E, in caso di avvistamento di un’imbarcazione in difficoltà, di un naufragio, di persone in mare, “non chiederemo autorizzazione a nessuno per intervenire. Semplicemente lo farà, come richiede la legge”

      Sono le quattro del pomeriggio quando il wi-fi di bordo finalmente si risveglia – almeno per un po’ – e il Gps certifica: da un lato Tripoli, dall’altro Marsala. Il mare sembra avere un altro volto. Il blu è diverso. La stessa consistenza dell’acqua sembra essere cambiata. “Sul colore hai ragione”, dice serio Eduard, logista di Medici senza frontiere. “Il resto è una tua percezione”. Lui è un marinaio. Ha vissuto e lavorato per qualche anno sui pescherecci nella Manica, racconta. “Se hai lavorato in mare in quella zona, vieni considerato affidabile in questo lavoro”, mi spiega. Il suo sguardo a volte molto serio è ora, di fronte a una neofita del mare, comprensivo. “Il tempo, in quest’area, può cambiare da un momento all’altro. Ma non c’è il problema delle correnti. Nella Manica sì”. E giù a spiegare il funzionamento dei nodi, delle navi, del vento, delle correnti, della pesca. I gradi di classificazione di maltempo e tempeste, come reagiscono le imbarcazioni a seconda della loro grandezza. Cosa cambia a seconda del verso in cui dondolano. “Questa è una nave molto stabile”, mi assicura. “Certo che ho avuto paura, e spesso, quando lavoravo nella Manica e il mare era brutto. La paura è sana. Insieme alla rabbia, in quelle occasioni ti fa reagire e ti dà energia”.

      Nella notte la nave Open Arms dell’ong spagnola Proactiva ha soccorso 87 persone, di cui otto minori. Erano alla deriva da due giorni. Se ne parla nel corso della riunione mattutina su nave Aquarius. “In un’ideale staffetta umanitaria, Open Arms vorrebbe forse guadagnare un po’ di tempo ora e attendere il più possibile il nostro arrivo. Altrimenti non resterebbe nessuno a salvare vite”. L’arrivo di Aquarius in zona Sar è previsto per stanotte, al più tardi domani mattina. “A quel punto cominceranno le guardie notturne”, spiega Tanguy, bretone dall’espressione paciosa: uno sguardo che diventa incredibilmente serio quando vuole assicurarsi che tutti abbiano ascoltato e compreso chiaramente. È il “deputy Sar co”, ovvero chi coordina il momento del soccorso in mare e le lance che si avvicineranno a un’eventuale imbarcazione in difficoltà. Nick, invece, è il Search and rescue coordinator: coordina l’operazione dal ponte.

      Il terzo giorno di navigazione è quello della preparazione al momento che dà il senso alla missione: quello del soccorso in mare. Protagonista la squadra Sar di SOS Mediterranée: Nick, Tanguy, Basile, Baptiste, Dragos, Alessandro, Viviana, Hassad, Marc, Jeremie e Theo. Anche il fotografo dell’organizzazione, Guglielmo – 28enne palermitano – è parte attiva: in caso di necessità dovrà lasciare la macchina fotografica e dare una mano mentre è a bordo di uno dei gommoni dell’operazione. Da poppa a prua, il team passa la mattinata a spostare, montare, gonfiare, disporre, verificare. Per poi, dopo pranzo, animare un incontro di “teoria SAR” in cui Tanguy spiega, lavagna, pennarello e modellini di barchetta alla mano, la posizione delle lance in mare: come si muoveranno, chi sarà dove e chi farà cosa.

      Da stanotte “a turno si resterà di vedetta per un’ora e mezzo a testa”. E, in caso di avvistamento di un’imbarcazione in difficoltà, di un naufragio, di persone in mare, “Aquarius non chiederà autorizzazione a nessuno per intervenire. Semplicemente lo farà, come richiede la legge”. Quella dell’autorizzazione al IMRCC (Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo) di Roma “era una consuetudine non scritta, non un obbligo”, spiegano. Assicurava coordinamento e regolare svolgimento delle operazioni finché tutti gli attori coinvolti parlavano la stessa lingua. Una consuetudine valsa fino a prima della vicenda che a giugno ha portato la nave Aquarius a Valencia. Ora che “il contesto del Mediterraneo Centrale” è cambiato così tanto, “faremo direttamente quello che richiede la legge: fornire immediata assistenza a chi è in pericolo di vita in mare”.

      Il “drill”, il segnale, scatta nel primo pomeriggio: tutti – le equipe di SOS e di MSF e i giornalisti a bordo – indossano casco, giacchetto di salvataggio, pantaloni lunghi, magliette possibilmente con le maniche lunghe: “Durante un soccorso potrebbe capitare di restare in mare, sotto al sole, per ore”, spiega Tanguy. La simulazione vera e propria, con tanto di lance a mare e di persone a bordo nelle rispettive postazioni per assicurare efficienza e sicurezza (“Quella del giornalista sul gommone è una posizione fissa. Non ti devi muovere”, spiega serio il bretone guardandoti dritto negli occhi) è prevista per oggi. Ragioni di sicurezza: ieri Aquarius si trovava su una traiettoria molto trafficata. Mentre il primo giorno di navigazione aveva incrociato solo giovani delfini che giocavano in mare, e qualcuno aveva anche avvistato una balena, ieri, attraversando il Canale di Sicilia, erano tante le navi intorno.

      È poi la volta del team di Medici Senza Frontiere, con un meeting obbligatorio per tutte le persone a bordo: quello sul primo soccorso. David, il medico, spiega insieme alle due infermiere Catherine e Aoife e a una delle ostetriche, Nina, le principali tecniche di rianimazione su adulti e bambini. “Sai come capisci qual è il ritmo giusto per le pressioni del massaggio cardiaco? Cantando ‘Stayin’ Alive’”, dice David, mentre ne dà dimostrazione pratica con apposito manichino. Il trucco per ricordare sembra efficace: provano tutti, vogliono tutti sapere. Perché non si sa mai nella vita, e perché hanno scelto di essere su questa nave.

      Il sole tramonta questa volta quasi alle spalle di Aquarius: la traiettoria sta cambiando, si vira a est. E, guardando il mare, cominciano i racconti. Di soccorsi e naufragi, nel tentare di immaginare cosa voglia dire rimanere stipati su una barca di legno o su un gommone – o direttamente in acqua, naufragati – in solitudine e circondati da nient’altro che il mare nero della notte. “Quando ero su Vos Prudence (la nave SAR MSF che ha operato fino a un annetto fa, ndr), la notte ci capitava di vedere quelli che chiamavamo gli ‘angeli del mare’: pesciolini che saltano e seguono la luce delle barche”, racconta Ben. È uno dei due mediatori culturali e sarà a bordo di una lancia in caso di soccorso: è suo, e solo suo, il primissimo contatto con i migranti, suo il messaggio per spiegare che si tratta di un salvataggio e cosa accadrà alle persone soccorse in mare. “E i delfini spesso vengono accanto alla barca a sfregarsi il muso per pulirsi. Chissà se li vedremo”

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/04/aquarius-diario-di-bordo-giorno-2-in-caso-di-avvistamento-non-chiederemo-autorizzazione-come-prevede-la-legge/4537889

    • OpenArms: terzo giorno con 87 migranti a bordo, nessun porto aperto

      «Terzo giorno a bordo di OpenArms, la temperatura è rovente sul ponte. La paura di essere riportati in Libia si placa. Ci affidano le loro storie terribili, molte provenienti dall’inferno Darfur e dagli abusi ripetuti della Libia. Ancora nessun porto di destinazione». E’ il tweet lanciato dalla nave della Ong che il 2 agosto ha soccorso 87 migranti, fra cui 8 minori, che erano alla deriva su un gommone al largo della Libia.


      http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/openarms-terzo-giorno-con-87-migranti-a-bordo-nessun-porto-aperto_3

    • L’inchiesta “madre” Ong-scafisti verso l’archiviazione

      È trascorso circa un anno – era il 13 agosto 2017 – da quando il Fatto pubblicò la notizia che la procura di Catania indagava, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sul ruolo delle Ong nel Mediterraneo. Un anno dopo, per quanto risulta al Fatto, quel fascicolo sembra destinato inesorabilmente all’archiviazione. E per molti motivi.

      Il più importante: non è stato trovato alcun riscontro alle accuse. O meglio: nel fascicolo non è potuto confluire nulla, di quel po’ che è stato riscontrato, che sia possibile sostenere in un processo. La vicenda – che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare – è più complessa di quanto possa sembrare. Innanzitutto, le lancette dell’orologio, vanno portate indietro di un anno: l’inchiesta inizia infatti nel 2016.

      È la Marina Militare a sospettare per prima dei collegamenti tra Ong e scafisti nelle operazioni di sbarco e salvataggio. Nessuna informativa ufficiale. Ma notizie che giungono comunque alla procura di Catania e spingono il procuratore Carmelo Zuccaro a delegare delle indagini amplissime: verificare le possibili condotte associative per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

      Contestualmente – questo è però un percorso parallelo, che nulla ha a che fare con l’inchiesta, ma paradossalmente ne influenza parecchio l’esito – le nostre agenzie di intelligence, attraverso i satelliti militari, captano conversazioni tra scafisti e volontari delle Ong, dimostrando l’esistenza di alcuni contatti che non certificano però alcun reato. Operazione benedetta dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che ha già avviato la sua strategia per sgomberare il Mediterraneo dalle Ong. E infatti: le Ong finiscono nella bufera. Dal punto di vista giudiziario, nei fatti, oggi però resta in piedi una sola inchiesta: quella di Trapani, che non contesta l’associazione per delinquere, ma comportamenti di singoli volontari specificando che le eventuali violazioni del codice penale erano motivate esclusivamente da fini umanitari.

      Ma torniamo alla primavera del 2017. Non è un caso che, ad aprile il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto Operazioni del Comando generale della GdF, dinanzi alla Commissione Difesa del Senato affermi: “Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti fra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti”. Non è un caso perché sia lo Sco della Polizia sia gli investigatori della Gdf, già da un anno stanno indagando, proprio su delega della procura di Catania.

      Nelle audizioni Zuccaro si mostra più ottimista, rispetto l’esito dell’inchiesta, spingendosi a dichiarare, alla trasmissione Agorà, che “alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti e so di contatti”. I contatti, effettivamente, sono stati riscontrati. Ma è lo stesso Zuccaro a rendersi conto della difficoltà della situazione quando, circa un mese dopo, precisa: “Non siamo più in grado di svolgere indagini di ampio respiro volte a contrastare il traffico di migranti clandestini”. Sarebbe necessario, spiega il procuratore, poter “fare indagini in acque libiche” e utilizzare “intercettazioni delle comunicazioni satellitari”.

      Il punto, infatti, è che gli investigatori stanno utilizzando metodi di indagine “sperimentali” che non pare possibile produrre in giudizio: le intercettazioni via etere – avvenute con strumenti utilizzati in ambito militare – necessitano di essere ulteriormente “blindate” per poter certificare senza ombra di dubbio l’identità degli interlocutori. Se non bastasse, sono state realizzate in acque libiche.

      Difficile considerarle valide sotto il profilo probatorio: per quanto risulta al Fatto di questi (pochi) riscontri nel fascicolo non v’è traccia. La campagna del governo sulle Ong, il codice di condotta richiesto da Minniti, l’ulteriore indagine di Trapani e le polemiche di quei mesi, infine, ottengono l’effetto politico desiderato: gran parte delle Ong in quei mesi lascia il Mediterraneo a ridosso della Libia. Risultato: per la procura di Catania c’è poco da intercettare. Resta qualche indizio. Prove, zero.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/linchiesta-madre-ong-scafisti-verso-larchiviazione

    • Soccorsi in mare. Un anno dopo cadute le accuse di legami tra Ong e scafisti

      Erano quattro le inchieste a carico delle Ong che salvano migranti. Tutte accusate di essere in combutta con gli scafisti. Ma di indagini ne sopravvivono due: una (Catania) si avvia all’archiviazione; l’altra (Trapani) ha derubricato l’associazione per delinquere all’ipotesi di irregolarità allo scopo di ’commettere’ salvataggi.

      Le procure di Palermo e Ragusa, invece, hanno già archiviato, concludendo che non ci sono stati reati.

      CATANIA Il procuratore Carmelo Zuccaro ipotizzava a carico della Ong Open Arms il reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione illegale. Secondo diverse fonti, sarebbe vicina

      RAGUSA A Ragusa il Tribunale del Riesame ha stabilito che la ’disobbedienza’ delle organizzazioni non governative che scelgono di non cooperare con le autorità libiche è motivata dallo «stato di necessità» connaturato al soccorso dei naufraghi.

      TRAPANI Nell’inchiesta sono stati adoperati infiltrati a bordo delle navi delle Ong. Lo scopo? Dimostrare un presunto patto tra scafisti e volontari per raccogliere i migranti in mare. Per proteggere gli equipaggi, sarebbe stato reclutato personale vicino a movimenti identitari.

      PALERMO Le indagini, condotte anche dagli investigatori che avevano segnalato anomalie, non hanno portato ad alcun risultato. I pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto dal gip l’archiviazione di entrambe le inchieste.

      Quasi due anni di indagini (la cui esistenza è stata ufficializzata alla vigilia dell’estate scorsa) e un dispiegamento di forze e risorse senza precedenti – con agenti infiltrati, intercettazioni satellitari, elaborazioni di tracciati radar, informative richieste ai servizi segreti – ad oggi hanno prodotto un unico risultato: l’allontanamento dal Mediterraneo della gran parte delle organizzazioni non governative e l’aumento dei naufragi in rapporto al numero di migranti messi in acqua dai trafficanti.

      Le Ong respinte e quelle bloccate a terra (due le navi sequestrate, di cui una ancora bloccata nel porto di Trapani) non sono state rimpiazzate da dispositivi degli Stati Ue, mentre la comunità internazionale non è stata in grado di stabilizzare la Libia né di fermare i trafficanti di uomini e chiudere i loro lager.

      Due procedimenti sono già stati definitivamente mandati in archivio. A Ragusa il Tribunale del riesame ha stabilito che la ’disobbedienza’ delle organizzazioni non governative che scelgono di non cooperare con le autorità libiche è motivata dallo «stato di necessità» connaturato al soccorso dei naufraghi. Un’ordinanza contro cui la procura non ha avanzato ricorso in Cassazione, di fatto diventando giurisprudenza a cui possono appigliarsi tutti gli operatori che agiscono nel Canale di Sicilia.
      Sempre a Ragusa era stata inizialmente sequestrata (per ordine della procura di Catania, poi spogliata dalla competenza territoriale restituita ai magistrati ragusani) la nave di Proactiva Open Arms. Ma il giudice per le indagini preliminari ne aveva disposto la riconsegna all’equipaggio dell’organizzazione iberica.

      Anche Trapani si avvierebbe a chiudere definitivamente nel cassetto l’inchiesta. Nel porto rimane sotto sequestro la nave dell’organizzazione tedesca Jugend Rettet. Il pool di magistrati aveva tra l’altro inviato un avviso di garanzia al sacerdote eritreo don Mosé Zerai che con la sua agenzia umanitaria

      Habeshia

      raccoglie da anni gli Sos dei migranti e li trasmette alle forze dell’ordine. Un comportamento che a qualche poliziotto era sembrato ’sospetto’.
      Nell’inchiesta vennero anche adoperati infiltrati a bordo delle navi delle Ong. Agli atti ci sono anche le dichiarazioni di alcuni addetti alla sicurezza arruolati da una delle navi umanitarie. Secondo questi ultimi, pur in mancanza di concreti riscontri, doveva esservi una qualche losca intesa tra scafisti e volontari per raccogliere i migranti in mare. Qualche tempo dopo si scoprirà che, prima di venire assunti per proteggere gli equipaggi, i bodyguard avevano avuto a che fare con i movimenti identitari protagonisti della campagna internazionale scatenata contro le organizzazioni umanitarie anche a colpi di false notizie.

      A Palermo, dove erano aperti due fascicoli d’indagine, a lungo hanno investigato i magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Non proprio dei tirocinanti. Ma anche qui non è stata rinvenuta alcuna prova di connivenze tra l’Ong Sea Watch e i trafficanti libici.
      Le inchieste, condotte dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri, avevano ad oggetto un procedimento avviato a maggio del 2017 dopo lo sbarco, a Lampedusa, di 220 migranti; l’altro aperto dopo una segnalazione della Guardia di Finanza che ipotizzava delle «incongruenze» nel comportamento della Sea Watch in occasione di un soccorso portato ad aprile del 2017. Le indagini, condotte anche dagli investigatori che avevano segnalato anomalie, non hanno portato ad alcun risultato. I pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto dal gip l’archiviazione di entrambe le inchieste.

      L’esercito di detrattori da tastiera, da mesi fa circolare la leggenda secondo cui i magistrati che archiviano sono, nel migliore dei casi, inquirenti dal cuore tenero oppure, secondo alcune delle bufale più in voga, eterodiretti da una qualche corrente. Il caso di Palermo, però, smentisce platealmente. I pm che hanno indagato e poi chiesto l’archiviazione, sono gli stessi che hanno fatto arrestare il presunto superboss eritreo del traffico di uomini, Mered Medhanie Yedhego. Il ragazzo in carcere si professa innocente e sia le inchieste giornalistiche, come quella che da due anni conduce il Guardian, sia le analisi difensive che l’esame del Dna confermano che si tratterebbe di un clamoroso scambio di persona. Nonostante questo i magistrati inquirenti – autori dell’archiviazione per le Ong – vanno avanti. Segno che non si tratta di giudici che rispondono a inesistenti diktat umanitari.

      Le archiviazioni contrastano e mettono allo scoperto le contraddizioni dell’indagine monstre avviata a Catania dal procuratore Carmelo Zuccaro. La procura etnea, che secondo diverse fonti potrebbe chiedere a giorni l’archiviazione dell’indagine perché gli elementi raccolti non sopravviverebbero all’esame di un tribunale, ipotizzava in particolare a carico della Ong Open Arms il reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione illegale. In mancanza di prove incontrovertibili, Zuccaro non ha mai mancato di fare conoscere la sua opinione sull’operato delle organizzazioni non governative. «Fanno parte di un sistema profondamente sbagliato – ha sostenuto –, che affida la porta d’accesso all’Europa a trafficanti che sono criminali senza scrupolo. Questo è l’aspetto sbagliato delle cose che non risponde né a senso di umanità né di solidarietà». Opinione rispettabile e che nell’attuale governo certo trova consensi. Ma giudiziariamente irrilevante.


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/un-anno-dopo-svanisce-il-patto-trafficantiong

    • 34’000 signatures pour que la Suisse donne son pavillon à l’Aquarius

      L’initiateur de la pétition pour que la Suisse accorde son pavillon à l’Aquarius, #Nicolas_Morel, revendique aujourd’hui 34’000 signatures. Il attend une réponse du Conseil fédéral pour fin novembre.

      Dans un entretien mardi à la RTS, ce Lausannois, qui avait à lui seul démarré le mouvement, indique que le résultat est atteint après 6 semaines de récolte.

      Il espère « une réponse du Conseil fédéral d’ici la fin du mois de novembre ». La pétition avait été déposée le 8 octobre, munie de 25’000 signatures.

      Elle faisait suite à une lettre ouverte signée par des personnalités suisses et une interpellation déposée par Ada Marra et deux autres parlementaires au Conseil fédéral il y a deux semaines.
      Une interpellation parlementaire pendante

      « Cette interpellation parlementaire a entraîné plein d’événements. Selon moi, les Suisses sont donc prêts à accorder ce pavillon », estimait en octobre la conseillère nationale vaudoise Ada Marra.

      Mais le combat politique n’est pas encore gagné, car du côté des parlementaires, la question divise. D’un côté il y a l’émotion que la situation d’urgence suscite, et de l’autre, une analyse plus froide. Certains demandent du temps pour une réflexion plus aboutie sur la question.

      D’autres vont jusqu’à dire qu’accorder le pavillon suisse à ce bateau reviendrait à encourager la migration.

      L’Aquarius, bateau de sauvetage des migrants en Méditerranée, est actuellement bloqué au port de Marseille, faute d’un pavillon lui permettant de naviguer.

      https://www.rts.ch/info/suisse/9992576-34-000-signatures-pour-que-la-suisse-donne-son-pavillon-a-l-aquarius.htm

    • Le Conseil fédéral refuse que le navire Aquarius batte pavillon suisse

      Le navire humanitaire Aquarius ne battra pas pavillon suisse. Le Conseil fédéral estime qu’une telle action compromettrait les efforts coordonnés de l’Union européenne dans la résolution de la crise migratoire en mer Méditerranée.

      Les opérations de secours en Méditerranée nécessitent une approche de l’admission des réfugiés coordonnée et fondée sur une répartition équitable, argumente le gouvernement dans sa réponse à plusieurs interpellations du PS, des Verts et du PLR, publiée lundi. Toute action isolée, comme l’attribution d’un pavillon suisse à un navire particulier, compromettrait l’action commune.
      Pas d’exception

      Le Conseil fédéral refuse ainsi d’appliquer la clause d’exception de la loi sur la navigation maritime au navire Aquarius, comme le demandaient les interpellations. Il estime par ailleurs impossible d’établir une stratégie générale pour que la flotte maritime suisse participer aux sauvetages en mer Méditerranée. La Confédération ne peut contraindre cette dernière qu’à approvisionner des pays en cas de grave pénurie.

      Affrété par SOS Méditerranée et Médecins sans frontières, le navire Aquarius a sauvé près de 30’000 migrants tentant de rejoindre l’Europe en deux ans. Il s’est vu retirer son pavillon panaméen fin septembre. Depuis, il mouille en attente dans les eaux du port de Marseille, en France. De nombreuses ONG dénoncent une action politique derrière sa mise aux arrêts.

      https://www.rts.ch/info/suisse/10040572-le-conseil-federal-refuse-que-le-navire-aquarius-batte-pavillon-suisse.

    • L’Aquarius ne battra pas pavillon suisse

      Le navire humanitaire Aquarius ne battra pas pavillon suisse. Le Conseil fédéral estime qu’une telle action compromettrait les efforts coordonnés de l’Union européenne dans la résolution de la crise migratoire en mer Méditerranée.

      Les opérations de secours en Méditerranée nécessitent une approche de l’admission des réfugiés coordonnée et fondée sur une répartition équitable, argumente le gouvernement dans sa réponse à plusieurs interpellations du PS, des Verts et du PLR, publiée lundi. Toute action isolée, comme l’attribution d’un pavillon suisse à un navire particulier, compromettrait l’action commune.

      Le Conseil fédéral refuse ainsi d’appliquer la clause d’exception de la loi sur la navigation maritime au navire Aquarius, comme le demandaient les interpellations. Il estime par ailleurs impossible d’établir une stratégie générale pour que la flotte maritime suisse participe aux sauvetages en mer Méditerranée. La Confédération ne peut contraindre cette dernière qu’à approvisionner des pays en cas de grave pénurie.

      Affreté par SOS Méditerranée et Médecins sans frontières, le navire Aquarius a sauvé près de 30’000 migrants tentant de rejoindre l’Europe en deux ans. Il s’est vu retirer son pavillon panaméen fin septembre. Depuis, il mouille en attente dans les eaux du port de Marseille, en France. De nombreuses ONG dénoncent une action politique derrière sa mise aux arrêts.

      https://www.swissinfo.ch/fre/toute-l-actu-en-bref/l-aquarius-ne-battra-pas-pavillon-suisse/44590636

  • #Expanding_the_fortress

    La politique d’#externalisation_des_frontières de l’UE, ses bénéficiaires et ses conséquences pour les #droits_humains.

    Résumé du rapport

    La situation désespérée des 66 millions de personnes déplacées dans le monde ne semble troubler la conscience européenne que lorsqu’un drame a lieu à ses frontières et se retrouve sous le feu des projecteurs médiatiques. Un seul État européen – l’Allemagne – se place dans les dix premiers pays au monde en termes d’accueil des réfugiés : la grande majorité des personnes contraintes de migrer est accueillie par des États se classant parmi les plus pauvres au monde. Les migrations ne deviennent visibles aux yeux de l’Union européenne (UE) que lorsque les médias s’intéressent aux communautés frontalières de Calais, Lampedusa ou Lesbos et exposent le sort de personnes désespérées, fuyant la violence et qui finissent par mourir, être mises en détention ou se retrouver bloquées.

    Ces tragédies ne sont pas seulement une conséquence malheureuse des conflits et des guerres en cours dans différents endroits du monde. Elles sont aussi le résultat des politiques migratoires européennes mises en œuvre depuis les accords de Schengen de 1985. Ces politiques se sont concentrées sur le renforcement des frontières, le développement de méthodes sophistiquées de surveillance et de traque des personnes, ainsi que l’augmentation des déportations, tout en réduisant les possibilités de résidence légale malgré des besoins accrus. Cette approche a conduit un grand nombre de personnes fuyant la violence et les conflits et incapables d’entrer en Europe de manière légale à emprunter des routes toujours plus dangereuses.

    Ce qui est moins connu, c’est que les tragédies causées par cette politique européenne se jouent également bien au-delà de nos frontières, dans des pays aussi éloignés que le Sénégal ou l’Azerbaïdjan. Il s’agit d’un autre pilier de la gestion européenne des flux migratoires : l’externalisation des frontières. Depuis 1992, et plus encore depuis 2005, l’UE a mis en œuvre des politiques visant à externaliser les frontières du continent et empêcher les populations déplacées de parvenir à ses portes. Cela implique la conclusion d’accords avec les pays voisins de l’UE afin qu’ils reprennent les réfugiés déportés et adoptent, comme l’Europe, des mesures de contrôle des frontières, de surveillance accrue des personnes et de renforcement de leurs frontières. En d’autres termes, ces accords ont fait des pays voisins de l’UE ses nouveaux garde-frontières. Et parce qu’ils sont loin des frontières européennes et de l’attention médiatique, les impacts de ces politiques restent relativement invisibles aux yeux des citoyens européens.

    Ce rapport cherche à mettre en lumière les politiques qui fondent l’externalisation des frontières européennes et les accords conclus, mais aussi les multinationales et sociétés privées qui en bénéficient, et les conséquences pour les personnes déplacées ainsi que pour les pays et les populations qui les accueillent. Il est le troisième de la série Border Wars, qui vise à examiner les politiques frontalières européennes et à montrer comment les industries des secteurs de l’armement et de la sécurité ont contribué à façonner les politiques de sécurisation des frontières de l’Europe, puis en ont tiré les bénéfices en obtenant un nombre croissant de contrats dans le secteur.

    Ce rapport étudie l’augmentation significative du nombre de mesures et d’accords d’externalisation des frontières depuis 2005, le phénomène s’accélérant massivement depuis le sommet Europe-Afrique de La Valette en novembre 2015. Via une série de nouveaux instruments, tels que le Fonds fiduciaire d’urgence pour l’Afrique (EUTF), le Cadre pour les partenariats avec les pays tiers en matière de gestion des migrations et la Facilité en faveur des réfugiés en Turquie, l’UE et les États membres injectent des millions d’euros dans un ensemble de projets visant à prévenir la migration de certaines populations vers le territoire européen.

    Cela implique la collaboration avec des pays tiers en matière d’accueil des personnes déportées, de formation des forces de police et des garde-frontières ou le développement de systèmes biométriques complets, ainsi que des donations d’équipements incluant hélicoptères, bateaux et véhicules, mais aussi des équipements de surveillance et de contrôle. Si de nombreux projets sont coordonnés par la Commission européenne, un certain nombre d’États membres, tels que l’Espagne, l’Italie et l’Allemagne, prennent également des initiatives individuelles plus poussées en finançant et en soutenant les efforts d’externalisation des frontières par le biais d’accords bilatéraux.

    Ce qui rend cette collaboration particulièrement problématique est le fait que de nombreux gouvernements qui en bénéficient sont profondément autoritaires, et que les financements sont souvent destinés aux organes de l’État les plus responsables des actes de répression et de violations des droits humains. L’UE fait valoir, à travers l’ensemble de ses politiques, une rhétorique consensuelle autour de l’importance des droits humains, de la démocratie et de l’état de droit ; il semble cependant qu’aucune limite ne soit posée lorsque l’Europe soutient des régimes dictatoriaux pour que ces derniers s’engagent à empêcher « l’immigration irrégulière » vers le sol européen. Le résultat concret se traduit par des accords et des financements conclus entre l’UE et des régimes aussi tristement célèbres que ceux du Tchad, du Niger, de Biélorussie, de Libye ou du Soudan.

    Les politiques européennes dans ce domaine ont des conséquences considérables pour les personnes déplacées, que le statut « illégal » rend déjà vulnérables et plus susceptibles de subir des violations de droits humains. Nombre d’entre elles finissent exploitées, avec des conditions de travail inacceptables, ou encore sont mises en détention ou directement déportées dans le pays qu’elles ont fui. Les femmes réfugiées sont particulièrement menacées par les violences basées sur le genre, les agressions et l’exploitation sexuelles.

    La violence et la répression que subissent les déplacés favorisent également l’immigration clandestine, reconfigurant les activités des passeurs et renforçant le pouvoir des réseaux criminels. De fait, les personnes déplacées sont souvent forcées de se lancer sur des routes alternatives, plus dangereuses, et de s’en remettre à des trafiquants de moins en moins scrupuleux. En conséquence, le nombre de morts sur les routes migratoires s’élève de jour en jour.

    En outre, le renforcement des organes de sécurité de l’Etat dans l’ensemble des pays du MENA (Moyen Orient Afrique du Nord), du Maghreb, du Sahel et de la Corne de l’Afrique constitue une menace directe contre les droits humains et la responsabilité démocratique dans ces zones, notamment en détournant des ressources essentielles qui pourraient suppress être destinées à des mesures économiques ou sociales. En effet, ce rapport montre que l’obsession européenne à prévenir les flux migratoires réduit non seulement les ressources disponibles, mais dénature également les échanges, l’aide et les relations internationales entre l’Europe et ces régions. Comme l’ont signalé de nombreux experts, ce phénomène crée un terreau favorable à toujours plus d’instabilité et d’insécurité, et a pour conséquence de pousser toujours plus de personnes à prendre la route de l’exil.

    Un secteur économique a cependant grandement tiré parti des programmes d’externalisation des frontières de l’UE. En effet, comme l’ont montré les premiers rapports Border Wars, les secteurs de l’industrie militaire et de sécurité ont été les principaux bénéficiaires des contrats de fourniture d’équipements et de services pour la sécurité frontalière. Les entreprises de ces secteurs travaillent en partenariat avec un certain nombre d’institutions intergouvernementales et (semi) publiques qui ont connu une croissance significative ces dernières années, à mesure qu’étaient mise en oeuvre des dizaines de projets portant sur la sécurité et le contrôle des frontières dans des pays tiers.
    Le rapport révèle que :

    La grande majorité des 35 pays considérés comme prioritaires par l’UE pour l’externalisation de ses frontières sont gouvernés par des régimes autoritaires, connus pour leurs violation des droits humains et avec des indicateurs de développement humain faibles.
    48% d’entre eux (17) ont un gouvernement autoritaire, et seulement quatre d’entre eux sont considérés comme démocratiques (mais toujours imparfaits)
    448% d’entre eux (17) sont listés comme « non-libres », et seulement trois sont listés comme « libres » ; 34% d’entre eux (12) présentent des risques extrêmes en matière de droits humains et les 23 autres présentent des risques élevés.
    51% d’entre eux (18) sont caractérisés par un « faible développement humain », seulement huit ont un haut niveau de développement humain.
    Plus de 70% d’entre eux (25) se situent dans le dernier tiers des pays du monde en termes de bien-être des femmes (inclusion, justice et sécurité)

    Les États européens continuent à vendre des armes à ces pays, et cela en dépit du fait que ces ventes alimentent les conflits, les actes de violence et de répression, et de ce fait contribuent à l’augmentation du nombre de réfugiés. La valeur totale des licences d’exportations d’armes délivrées par les États membres de l’UE à ces 35 pays sur la décennie 2007-2016 dépasse les 122 milliards d’euros. Parmi eux, 20% (7) sont sous le joug d’un embargo sur les ventes d’armes demandé par l’UE et/ou les Nations Unies, mais la plupart reçoivent toujours des armes de certains États membres, ainsi qu’un soutien à leurs forces armées et de sécurité dans le cadre des efforts liés aux politiques migratoires.

    Les dépenses de l’UE en matière de sécurité des frontières dans les pays tiers ont considérablement augmenté. Bien qu’il soit difficile de trouver des chiffres globaux, il existe de plus en plus d’instruments de financement pour les projets liés aux migrations, la sécurité et les migrations provient de plus en plus d’instruments, la sécurité et les migrations irrégulières étant les principales priorités. Ces fonds proviennent aussi de l’aide au développement. Plus de 80% du budget de l’EUTF vient du Fonds européen de développement et d’autres fonds d’aide au développement et d’aide humanitaire.

    L’augmentation des dépenses en matière de sécurité des frontières a bénéficié à un large éventail d’entreprises, en particulier des fabricants d’armes et des sociétés de sécurité biométrique. Le géant de l’armement français Thales, qui est également un exportateur incontournable d’armes dans la région, est par exemple un fournisseur reconnu de matériel militaire et de sécurité pour la sécurisation des frontières et de systèmes et équipements biométriques. D’autres fournisseurs importants de systèmes biométriques incluent Véridos, OT Morpho et Gemalto (qui sera bientôt racheté par Thales). L’Allemagne et l’Italie financent également leurs propres groupes d’armement – Hensoldt, Airbus et Rheinmetall pour l’Allemagne et Leonardo et Intermarine pour l’Italie – afin de soutenir des programmes de sécurisation des frontières dans un certain nombre de pays du MENA, en particulier l’Égypte, la Tunisie et la Libye. En Turquie, d’importants contrats de sécurisation des frontières ont été remportés par les groupes de défense turcs, notamment Aselsan et Otokar, qui utilisent les ressources pour subventionner leurs propres efforts de défense, également à l’origine des attaques controversées de la Turquie contre les communautés kurdes.

    Un certain nombre d’entreprises semi-publiques et d’organisations internationales ont également conclu des contrats de conseil, de formation et de gestion de projets en matière de sécurité des frontières. On y trouve la société para-gouvernementale française Civipol, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et le Centre international pour le développement des politiques migratoires (ICMPD). Les groupes Thales, Airbus et Safran sont présents au capital de Civipol, qui a rédigé en 2003, à titre de consultant pour la Commission Européenne, un document très influent établissant les fondations pour les mesures actuelles d’externalisation des frontières, dont elle bénéficie aujourd’hui.

    Les financements et les dons en matière d’équipements militaires et de sécurité ainsi que la pression accrue sur les pays tiers pour qu’ils renforcent leurs capacités de sécurité aux frontières ont fait croître le marché de la sécurité en Afrique. Le groupe de lobbying Association européenne des industries aérospatiales et défense (ASD) a récemment concentré ses efforts sur l’externalisation des frontières de l’UE. De grands groupes d’armement tels qu’Airbus et Thales lorgnent également sur les marchés africains et du Moyen-Orient, en croissance.

    Les décisions et la mise en œuvre de l’externalisation des frontières au niveau de l’Union européenne ont été caractérisées par une rapidité d’exécution inhabituelle, hors du contrôle démocratique exercé par le Parlement européen. De nombreux accords importants avec des pays tiers, parmi lesquels les pactes « Migration Compact » signés dans le Cadre pour les partenariats et l’Accord UE- Turquie, ont été conclus sans ou à l’écart de tout contrôle parlementaire.

    Le renforcement et la militarisation de la sécurité des frontières ont conduit à une augmentation du nombre de morts parmi les personnes déplacées. En général, les mesures visant à bloquer une route particulière de migration poussent les personnes vers des routes plus dangereuses. En 2017, on a dénombré 1 mort pour 57 migrants traversant la Méditerranée ; en 2015, ce chiffre était de 1 pour 267. Cette statistique reflète le fait qu’en 2017, les personnes déplacées (pourtant moins nombreuses qu’en 2015), principalement originaires d’Afrique de l’Ouest et de pays subsahariens, ont préféré la route plus longue et plus dangereuse de la Méditerranée Centrale plutôt que la route entre la Turquie et la Grèce empruntée en 2015 par des migrants (principalement Syriens). On estime que le nombre de migrants morts dans le désert est au moins le double de ceux qui ont péri en Méditerranée, bien qu’aucun chiffre officiel ne soit conservé ou disponible.

    On assiste à une augmentation des forces militaires et de sécurité européennes dans les pays tiers pour la sécurité aux frontières. L’arrêt des flux migratoires est devenu une priorité des missions de Politique de sécurité et de défense commune (PSDC) au Mali et au Niger, tandis que des États membres tels que la France ou l’Italie ont également décidé de déployer des troupes au Niger ou en Libye.

    Frontex, l’Agence européenne de garde-frontières et garde-côtes, collabore de plus en plus avec les pays tiers. Elle a entamé des négociations avec des pays voisins de l’UE pour mener des opérations conjointes sur leurs territoires. La coopération en matière de déportation est déjà largement implantée. De 2010 à 2016, Frontex a coordonné 400 vols de retours conjoints avec des pays tiers, dont 153 en 2016. Depuis 2014, certains de ces vols ont été appelés « opérations de retour conjoint », l’avion et les escortes navigantes provenant des pays de destination. Les États membres invitent de plus en plus fréquemment des délégations de pays tiers à identifier les personnes « déportables » sur la base de l’évaluation de nationalité. Dans plusieurs cas, ces identifications ont conduit à l’arrestation et à la torture des personnes déportées.

    Ce rapport examine ces impacts en cherchant à établir comment ces politiques ont été mises en œuvre en Turquie, en Libye, en Égypte, au Soudan, au Niger, en Mauritanie et au Mali. Dans tous ces pays, pour parvenir à la conclusion de ces accords, l’UE a dû fermer les yeux ou limiter ses critiques sur les violations des droits humains.

    En Turquie, l’UE a adopté un modèle proche de celui de l’Australie, externalisant l’ensemble du traitement des personnes déplacées en dehors de ses frontières, et manquant ainsi à des obligations fondamentales établies par le droit international, telles que le principe de non-refoulement, le principe de non-discrimination (l’accord concerne exclusivement les populations syriennes) et le principe d’accès à l’asile.

    En Libye, la guerre civile et l’instabilité du pays n’ont pas empêché l’UE ni certains de ses États membres, comme l’Italie, de verser des fonds destinés aux équipements et aux systèmes de gestion des frontières, à la formation des garde-côtes et au financement des centres de détention – et ce bien qu’il ait été rapporté que des garde-côtes avaient ouvert le feu sur des bateaux de migrants ou que des centres de détentions étaient gérés par des milices comme des camps de prisonniers.

    En Égypte, la coopération frontalière avec le gouvernement allemand s’est intensifiée malgré la croissante consolidation du pouvoir militaire dans le pays. L’Allemagne finance les équipements et la formation régulière de la police aux frontières égyptienne. Les personnes déplacées se trouvent régulièrement piégées dans le pays, dans l’impossibilité de se rendre en Libye du fait de l’insécurité qui y règne, et subissent les tirs des gardes-côtes égyptiens s’ils décident de prendre la route maritime.

    Au Soudan, le soutien à la gestion des frontières fourni par l’UE n’a pas seulement conduit à suppress sortir un régime dictatorial de son isolement sur la scène internationale, mais a également renforcé les Forces de soutien rapide, constituées de combattants de la milice Janjawid, considérée comme responsables de violations de droits humains au Darfour.

    La situation au Niger, un des pays les plus pauvres au monde, montre bien le coût de la politique de contrôle des migrations subi par les économies locales. La répression en cours à Agadez a considérablement affaibli l’économie locale et poussé la migration dans la clandestinité, rendant la route plus dangereuse pour les migrants et renforçant le pouvoir des gangs de passeurs armés. De même au Mali, l’imposition des mesures d’externalisation des frontières par l’UE dans un pays tout juste sorti d’une guerre civile menace de raviver les tensions et de réveiller le conflit.

    L’ensemble des cas étudiés met en lumière une politique de l’UE via-à-vis de ses voisins obsessionnellement focalisée sur les contrôles migratoires, quel que soit le coût pour les pays concernés ou les populations déplacées. C’est une vision étroite et finalement vouée à l’échec de la sécurité, car elle ne s’attaque pas aux causes profondes qui poussent les gens à migrer : les conflits, la violence, le sous-développement économique et l’incapacité des États à gérer correctement ces situations. Au lieu de cela, en renforçant les forces militaires et de sécurité dans la région, ces politiques prennent le risque d’exacerber la répression, de limiter la responsabilité démocratique et d’attiser des conflits qui pousseront plus de personnes à quitter leurs pays. Il est temps de changer de cap. Plutôt que d’externaliser les frontières et les murs, nous devrions externaliser la vraie solidarité et le respect des droits de l’homme.


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    pour télécharger le #rapport :
    https://www.tni.org/files/publication-downloads/expanding_the_fortress_-_1.6_may_11.pdf

    cc @reka @albertocampiphoto @daphne @marty

    • Esternalizzare le frontiere europee significa militarizzare

      Come dimostra il recente rapporto del Transnational Institut, «Espandendo la Fortezza», la crescita della spesa per il controllo delle frontiere esterne avvantaggia produttori di armi e società di sicurezza biometrica. Molte delle loro proposte sono poi apparse nell’Agenda europea sotto forma di decisioni politiche. Sara Prestianni analizza le conseguenze militari dell’esternalizzazione delle frontiere europee.

      http://openmigration.org/analisi/esternalizzare-le-frontiere-europee-significa-militarizzare

    • 3 liens vers des articles/reportages de #Gabriele_Del_Grande, un des premiers journalistes à avoir visité les centres en Libye.

      C’était 2008-2009
      Libia: siamo entrati a #Misratah. Ecco la verità sui 600 detenuti eritrei

      Di notte, quando cessano il vociare dei prigionieri e gli strilli della polizia, dal cortile del carcere si sente il rumore del mare. Sono le onde del Mediterraneo, che schiumano sulla spiaggia, a un centinaio di metri dal muro di cinta del campo di detenzione. Siamo a Misratah, 210 km a est di Tripoli, in Libia. E i detenuti sono tutti richiedenti asilo politico eritrei, arrestati al largo di Lampedusa o nei quartieri degli immigrati a Tripoli. Vittime collaterali della cooperazione italo libica contro l’immigrazione. Sono più di 600 persone, tra cui 58 donne e diversi bambini e neonati. Sono in carcere da più di due anni, ma nessuno di loro è stato processato. Dormono in camere senza finestre di 4 metri per 5, fino a 20 persone, buttati per terra su stuoini e materassini di gommapiuma. Di giorno si riuniscono nel cortile di 20 metri per 20 su cui si affacciano le camere, sotto lo sguardo vigile della polizia. Sono ragazzi tra i 20 e i 30 anni. La loro colpa? Aver tentato di raggiungere l’Europa per chiedere asilo.

      Da anni la diaspora eritrea passa da Lampedusa. Dall’aprile del 2005 almeno 6.000 profughi della ex colonia italiana sono approdati sulle coste siciliane, in fuga dalla dittatura di Isaias Afewerki. La situazione a Asmara continua a essere critica. Amnesty International denuncia continui arresti e vessazioni di oppositori e giornalisti. E la tensione con l’Etiopia resta alta, cosicché almeno 320.000 ragazzi e ragazze sono costretti al servizio militare, a tempo indeterminato, in un paese che conta solo 4,7 milioni di abitanti. Molti disertano e scappano per rifarsi una vita. La maggior parte dei profughi si ferma in Sudan: oltre 130.000 persone. Tuttavia ogni anno migliaia di uomini e donne attraversano il deserto del Sahara per raggiungere la Libia e da lì imbarcarsi clandestinamente per l’Italia.

      La prima volta che sentii parlare di Misratah fu nella primavera del 2007, durante un incontro a Roma con il direttore dell’Alto commissariato dei rifugiati a Tripoli, Mohamed al Wash. Pochi mesi dopo, nel luglio del 2007, insieme alla associazione eritrea Agenzia Habeshia, riuscimmo a stabilire un contatto telefonico con un gruppo di prigionieri eritrei che erano riusciti a introdurre un telefono cellulare nel campo. Si lamentavano delle condizioni di sovraffollamento, della scarsa igiene dei bagni, e delle precarie condizioni di salute, specie di donne incinte e neonati. E accusavano gli agenti di polizia di avere molestato sessualmente alcune donne durante le prime settimane di detenzione. Amnesty International si espresse più volte per bloccare il loro rimpatrio. E il 18 settembre 2007 la diaspora eritrea organizzò manifestazioni nelle principali capitali europee.

      Il direttore del centro, colonnello ‘Ali Abu ‘Ud, conosce i report internazionali su Misratah, ma respinge le accuse al mittente: “Tutto quello che dicono è falso” dice sicuro di sé seduto alla scrivania, in giacca e cravatta, dietro un mazzo di fiori finti, nel suo ufficio al primo piano. Dalla finestra si vede il cortile dove sono radunati oltre 200 detenuti. Abu ‘Ud ha visitato nel luglio 2008 alcuni centri di prima accoglienza italiani, insieme a una delegazione libica. Parla di Misratah come di un albergo a cinque stelle comparato agli altri centri libici. E probabilmente ha ragione. Il che è tutto un dire. Dopo una lunga insistenza, insieme a un collega della radio tedesca, Roman Herzog, siamo autorizzati a parlare con i rifugiati eritrei. Scendiamo nel cortile. Ci dividiamo. Intervisto F., 28 anni, da 24 mesi chiuso qua dentro. Mentre lui parla mi accorgo che non lo sto ascoltando, in verità provo a mettermi nei suoi panni. Abbiamo grossomodo la stessa età, ma lui i migliori anni della vita li sta buttando via in un carcere, senza un motivo apparente.

      Dall’altro lato del cortile, Roman è riuscito a parlare per qualche minuto con un rifugiato sottraendosi al controllo degli agenti della sicurezza che vigilano sul nostro lavoro e riprendono con una telecamera le nostre attività. Si chiama S.. Parla liberamente: “Fratello, siamo in una pessima situazione, siamo torturati, mentalmente e fisicamente. Siamo qui da due anni e non conosciamo quale sarà il nostro futuro. Puoi vederlo da solo, guarda!” Intanto l’interprete li ha raggiunti e traduce tutto al direttore del campo, che interrompe l’intervista e chiede a S. se per caso non vuole ritornare in Eritrea. Lui risponde di no, intanto Roman lo invita ad allontanarsi a passo svelto e a dire tutto quello che può prima che il direttore li interrompa di nuovo. “Siamo qui da più di due anni, senza nessuna speranza. Siamo tutti eritrei. Io sono venuto in Libia nel 2005. Cerchiamo asilo politico, a causa della situazione nel nostro paese. Ma il mondo non si interessa a noi. Non è facile stare due anni in prigione, senza nessuna comodità. Siamo in prigione, non vediamo mai l’esterno. Tutti noi abbiamo bisogno della libertà, ecco di cosa abbiamo bisogno”.

      La polizia si avvicina nuovamente, Roman chiede a S. di mostrargli la sua stanza. Zigzagando tra la folla nel cortile entrano nel corridoio su cui danno la vista quattro stanze. All’interno, 18 ragazzi siedono su coperte e materassini di gommapiuma stesi sul pavimento. La stanza misura quattro metri per cinque. Al centro, una pentola gorgoglia sopra un fornellino da campeggio. Non ci sono finestre. “Siamo in troppi qui, è sovraffollato – dice S. – non vediamo la luce del sole e non c’è ricambio d’aria. Con il caldo d’estate la gente si ammala. E anche di inverno, fa molto freddo di notte, la gente si ammala”. Siamo a fine novembre, e i ragazzi indossano ciabatte da mare e leggeri pullover. La stanza accanto è più grande, ci sono solo donne e bambini, ma sono almeno il doppio.

      A quel punto gli uomini della sicurezza interrompono l’intervista e portano Roman fuori dal cortile, dove gli presentano un rifugiato scelto dal direttore... “Sono anche io un prigioniero” gli dice. Ma lui preferisce parlare con J.. Ha 34 anni e dice di essere stato in 13 prigioni diverse in Libia: “Alcuni di noi sono qui da quattro anni. Personalmente sono a Misratah da tre anni. Siamo nella peggiore delle situazioni. Non abbiamo commesso reati, stiamo solo chiedendo asilo politico. E non ci viene concesso. Diteci almeno perchè? Visto che nessuno ci informa. Che cosa sta succedendo là fuori? Diteci che cosa sarà di noi! Nemmeno l’Acnur. Non ci dicono mai niente. Non ho più speranza, quando ci vado a parlare nemmeno mi ascoltano. Pesavo 60 kg quando sono entrato, adesso ne peso 48, immagina perchè..”

      Il colonnello Abu ‘Ud segue la conversazione grazie alla traduzione in arabo dell’interprete, finché non riesce più a trattenersi. “Vuoi ritornare in Eritrea?” chiede a J. interrompendo bruscamente l’intervista. “Preferisco morire – gli risponde – tutti preferirebbero morire. “Se vuoi andare in Eritrea ti rimpatriamo in un solo giorno” minaccia il direttore. “Ci vietano di parlare con te” dice J. a Roman. Il direttore diventa furioso. Gli grida in faccia “Dite loro che li rimpatrieremo tutti!”. Poi si avvicina a Roman e con un urlo secco ordina: “Finito!”. Roman cerca di protestare, “abbiamo finito” gli ripette Abu ‘Ud mentre gli agenti lo tirano per le braccia verso l’uscita. Intanto il colonnello sale sui gradini e si rivolge a gran voce a tutti i rifugiati che nel frattempo si sono avvicinati per vedere cosa stia accadendo. “Se vi sentite maltrattati qui, organizzeremo il vostro rimpatrio immediatamente. Avete già rifiutato di ritornare nel vostro paese, ecco perchè siete in questo posto. Ma ognuno di voi è libero di ritornare in Eritrea! Chi vuole andare in Eritrea?” chiede alla folla. “Nessuno!” gli fanno eco i presenti. Scende e grida al mio collega “Hai visto! Adesso abbiamo veramente finito”.

      Saliamo di nuovo nell’ufficio del colonnello, che con toni molto nervosi cerca di convincerci del suo impegno. Per ben due volte l’ambasciata eritrea ha inviato dei funzionari per identificare i prigionieri. Ma i rifugiati hanno sempre rifiutato di incontrarli. Hanno addirittura organizzato uno sciopero della fame. Comprensibile, visto che rischiano di essere perseguitati in patria. La Libia dovrebbe averlo capito da un pezzo, visto che il 27 agosto 2004 uno dei voli di rimpatrio per l’Eritrea partiti da Tripoli venne addirittura dirottato in Sudan dagli stessi passeggeri. Ma il concetto di asilo politico sfugge alle autorità libiche. Eritrei o nigeriani, vogliono tutti andare in Europa. E visto che l’Europa chiede di controllare la frontiera, l’unica soluzione sono le deportazioni. E per chi non collabora con le ambasciate – come i rifugiati eritrei - la detenzione diventa a tempo indeterminato. Così per tornare in libertà non rimangono che due possibilità. Avere la fortuna di rientrare nei programmi di reinsediamento all’estero dell’Alto commissariato dei rifugiati (Acnur), oppure provare a scappare.

      Haron ha 36 anni. A casa ha lasciato una moglie e due bambini. Dall’Eritrea è scappato dopo 12 anni di servizio militare non retribuito. Dopo due anni di detenzione a Misratah, la Svezia ha accettato la sua richiesta di reinsediamento. E’ partito tre giorni dopo la nostra visita, il 27 novembre 2008, con un gruppo di altri 26 rifugiati eritrei del campo di Misratah, tra cui molte donne. I posti lasciati vuoti saranno presto riempiti con i nuovi arrestati. Già la settimana scorsa sono arrivate otto donne. I reinsediamenti sono le uniche carte che l’Acnur riesce a giocare, da un anno a questa parte, in Libia. Le prime 34 donne eritree lasciarono il campo di Misratah nel novembre del 2007 e furono accolte dall’Italia, a Cantalice, un piccolo comune nella campagna di Rieti. Per l’Italia fu il primo reinsediamento ufficiale di rifugiati dai tempi della crisi cilena del 1973. Ma l’operazione venne censurata dagli uffici stampa del Ministero dell’Interno, per non sollevare polemiche tra i leghisti. Insieme alle donne arrivarono 5 uomini e una bambina nata pochi giorni prima.

      Da allora, circa 200 rifugiati sono stati trasferiti da Misratah in vari paesi. Oltre all’Italia (70), anche in Romania (39), Svezia (27), Canada (17), Norvegia (9) e Svizzera (5). A snocciolarmi i dati è Osama Sadiq. E’ il coordinatore dei progetti della International organisation for peace care and relief (Iopcr). Una importante ong libica, che si dichiara non governativa, ma che tanto indipendente non deve essere, visto che ha al suo interno ex funzionari del ministero dell’interno e della sicurezza. E che è talmente influente, che l’Acnur riesce a entrare a Misratah soltanto sotto la sua copertura. Proprio così. In un paese dove transitano ogni anno migliaia di rifugiati eritrei, ma anche sudanesi, somali ed etiopi, l’Acnur conta meno di una ong. Non ha nemmeno un accordo di sede. E non riesce a spendere una parola a livello internazionale per la liberazione dei 600 prigionieri di Misratah. Probabilmente a dettare la linea politica dell’Acnur in Libia sono fragili equilibri diplomatici da non rompere per non rischiare di farsi cacciare da un Paese che non ha nemmeno mai firmato la Convenzione di Ginevra. Eppure la Libia sta conoscendo una importante fase di apertura. E il governo lavora a una nuova legge sull’immigrazione che però – secondo chi ha letto la bozza - non contiene nessun riferimento alla protezione dei rifugiati.

      Per quelli che non rientrano nei progetti di reinsediamento dell’Acnur, non rimane che l’ennesima fuga. Koubros è uno di loro. Lo incontriamo sulle scale della chiesa di San Francesco, nel quartiere Dhahra di Tripoli, dopo la messa del venerdì mattina. Un gruppo di eritrei è in fila per lo sportello sociale della Caritas, dove lavora l’infaticabile suor Sherly. A Misratah ha passato un anno. Era stato arrestato a Tripoli durante una retata nel quartiere di Abu Selim. E’ scappato durante un ricovero in ospedale. Poi però è stato di nuovo arrestato e portato al carcere di Tuaisha, vicino all’aeroporto di Tripoli. Dove è riuscito a corrompere un poliziotto facendosi inviare 300 dollari dagli amici eritrei in città. Siede vicino a Tadrous. Anche lui eritreo, anche lui disertore in fuga dal suo paese. E’ uscito due settimane fa dal carcere di Surman. Era stato condannato a cinque mesi di galera dopo essere stato trovato in mare con altri 90 passeggeri, a Zuwarah. In carcere si è preso la scabbia. Gli chiediamo di accompagnarci nel quartiere di Gurgi, dove vivono gli eritrei pronti a partire per l’Italia. Dice che è pericoloso. Gli eritrei vivono nascosti. La nostra presenza potrebbe allertare la polizia e provocare una retata. Y. però la pensa diversamente, vive in una zona diversa. Lo seguiamo.

      Scendiamo in una traversa sterrata di Shar‘a Ahad ‘Ashara, l’undicesima strada, a Gurgi. Qui vivono molti immigrati africani. L’appartamento è di proprietà di una famiglia chadiana, che ha affittato a sette eritrei le due piccole stanze sul terrazzo. Ci togliamo le scarpe per entrare. I pavimenti sono coperti di tappeti e coperte. Ci dormono in cinque ragazzi. La televisione, collegata alla grande parabola montata sul terrazzo, manda in onda videoclip in tigrigno di cantanti eritrei. E’ un posto sicuro, dicono, perchè l’ingresso della casa passa dall’appartamento della famiglia chadiana, che è a posto coi documenti. Si sono trasferiti qui da poco, dopo le ultime retate a Shar‘a ‘Ashara. Adesso quando sentono la sirena della polizia non ci fanno più caso. Prima si correvano a nascondere. Ci offrono cioccolata, una salsa di patate e pomodoro con del pane, 7-Up e succo di pera.

      Continuiamo a parlare delle loro esperienze nelle carceri libiche. Ognuno di loro è stato arrestato almeno una volta. E tutti sono usciti grazie alla corruzione. Basta pagare la polizia, da 200 a 500 dollari, per scappare o per non essere arrestati. I soldi arrivano con Western Union, grazie a una rete di solidarietà tra gli eritrei della diaspora, in Europa e in America.

      Anche Robel è stato a Misratah. C’ha passato un anno. Ci mostra il certificato di richiedente asilo rilasciato dall’Acnur. Scade l’11 maggio 2009. Ma con quello non si sente al sicuro. “Un mio amico è stato arrestato lo stesso, glielo hanno strappato sotto gli occhi”. Durante la detenzione, ha scritto un appello alla comunità internazionale, con un gruppo di sei studenti eritrei.

      Sul muro, accanto al poster di Gesù, c’è una foto in bianco e nero di una bambina di pochi anni, con su scritto il suo nome, Delina, con il pennarello. L’ho riconosciuta. E’ la stessa bambina che giocava sulle scale della chiesa con Tadrous. Anche lei dovrà rischiare la vita in mare. “L’importante è arrivare nelle acque internazionali”, dice Y.. Gli intermediari eritrei (dallala) che organizzano i viaggi, hanno diverse reputazioni. Ci sono intermediari spregiudicati e altri di cui ci si può fidare. Ma il rischio rimane. Non posso non pensarci, mentre sull’aereo di ritorno per Malta, comodamente seduto e un po’ annoiato, sfoglio la mia agenda con i numeri di telefono e le email dei ragazzi eritrei conosciuti a Tripoli. Prima della mia partenza per la Libia, un amico etiope mi aveva dato il numero di telefono di un suo compagno di viaggio, ancora a Tripoli, un certo Gibril. Ho provato a chiamarlo per tutto il tempo, ma il numero era spento. Nell’orecchio mi risuona ancora l’incomprensibile messaggio vocale in arabo. Speriamo che sia arrivato in Italia, o piuttosto a Misratah. E non in fondo al mare.


      https://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/libia-siamo-entrati-misratah-ecco-la.html

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      Frontiera Sahara. I campi di detenzione nel deserto libico
      SEBHA - “Con noi c’era un bambino di quattro anni con la madre, durante tutto il viaggio mi sono domandato: come si può mandare una madre con un bambino di quattro anni insieme ad altre cento persone stipate come animali in un camion come quelli per la frutta, dove non c’è aria e dove stavamo stretti stretti, senza spazio per muoversi, per 21 ore di viaggio, dove le persone urinavano e defecavano davanti a tutti perché non c’era altra possibilità? Abbiamo viaggiato dalle 16:00 alle 13:00 del giorno dopo. Durante il giorno ogni volta che l’autista faceva una sosta per mangiare noi rimanevamo chiusi dentro il rimorchio sotto il sole. Mancava l’aria e tutti si alzavano in preda al panico perché non si respirava e volevamo scendere. Guardare il bambino ci faceva coraggio. Quando il camion si fermava lo prendevamo e lo mettevamo vicino al finestrino. Si chiamava Adam. Il camion si è fermato almeno tre volte nel deserto per far mangiare gli autisti e per la preghiera... Verso l’una siamo arrivati a Kufrah… Quando sono sceso ho rubato il burro con il pane che tenevano appeso fuori dal container. Non avevamo mangiato per tutto il viaggio, eravamo 110 persone, compreso Adam di quattro anni e sua madre”. [1]

      Menghistu non è l’unico a essere stato chiuso dentro un container e deportato. In Libia è la prassi. I container servono a smistare nei vari campi di detenzione i migranti arrestati sulle rotte per Lampedusa. Ne esistono di tre tipi. Il più piccolo è un pick-up furgonato. Quello medio è l’equivalente di un camioncino. E quello più grande è un vero e proprio container, blu, con tre feritoie per lato, trainato da un auto rimorchio. Quando un rifugiato eritreo, nella primavera del 2006, me ne parlò per la prima volta, stentai a crederlo. L’immagine di centinaia di uomini, donne e bambini rinchiusi dentro una scatola di ferro per essere concentrati in dei campi di detenzione e da lì deportati, mi rievocava i fantasmi della seconda guerra mondiale. Mi sembrava troppo. Ma la figura del container ritornava, come un marchio di autenticità, in tutte le storie di rifugiati transitati dalla Libia che avevo intervistato dopo di lui. Finché quei camion ho avuto modo di vederli con i miei occhi.

      A Sebha ce n’è uno per ogni tipo. Siamo alle porte del grande deserto libico, nella capitale della storica regione del Fezzan. Da qui, fino al secolo scorso passavano le carovane che attraversavano il Sahara. Oggi alle carovane si sono sostituiti gli immigrati. Il colonnello Zarruq è il direttore del nuovo centro di detenzione della città. È stato inaugurato lo scorso 20 agosto. I tre capannoni si intravedono oltre il muro di cinta. Ognuno ha quattro camerate, in tutto il centro possono essere detenute fino a 1.000 persone. Nel parcheggio sterrato, è parcheggiato un camion con uno dei container utilizzati per lo smistamento degli immigrati detenuti. Con una pacca sulle spalle, il direttore mi invita a salire sulla motrice. Un Iveco Trakker 420, a sei ruote. Mi indica il tachimetro: 41.377 km. Nuovo di pacca. È rientrato ieri sera da Qatrun, a quattro ore di deserto da qui. A bordo c’erano 100 prigionieri, arrestati alla frontiera con il Niger. Entriamo nel container, dalle scale posteriori. L’ambiente è claustrofobico anche senza nessuno. Difficile immaginarsi cosa possa diventare con 100 o 200 persone ammassate una sull’altra in questa scatola di ferro. I raggi del sole filtrati dalla polvere illuminano le taniche di plastica vuote, a terra, sotto le panche di ferro. Su una c’è scritto Gambia.

      L’acqua è il bagaglio essenziale per i migranti che attraversano il deserto. Ognuno prima di partire si porta dietro una o due taniche. Le riveste di juta per proteggerle dal sole e ci scrive su il proprio nome per riconoscerle una volta appese ai lati dei camion. Nelle traversate del Sahara la vita è appesa a un filo. Se il motore va in panne, se il camion si insabbia, o l’autista decide di abbandonare i passeggeri, è finita. Nel raggio di centinaia di chilometri non c’è altro che sabbia. Muoiono a decine ogni mese, ma le notizie filtrano difficilmente. Sulla stampa internazionale abbiamo censito almeno 1.621 vittime in tutto il Sahara. Ma stando alle testimonianze dei sopravvissuti, ogni viaggio conta i suoi morti. E ogni viaggio conta i suoi attacchi da parte di bande armate in Niger e Algeria.

      Tra i cento migranti arrivati a Sebha nel container di ieri c’è anche una famiglia di Sikasso, in Mali. Padre, madre e bambino. Arrestati tre giorni prima, a Ghat, alla frontiera con l’Algeria. Li incontriamo nell’ufficio del direttore. Il piccolino ha otto anni, faceva la terza elementare. Il padre lo stringe affettuosamente tra le forti braccia, mentre racconta in arabo, al nostro interprete, che lui in Europa non ci voleva andare. Che era venuto a Sebha perché aveva già lavorato qui nel 2002, con una compagnia tedesca. Hanno con sé i passaporti, ma senza il visto libico. Nel campo sono chiusi in celle separate. Il bimbo sta con la madre. I loro nomi compaiono sulle liste dei prossimi aerei pronti a partire. Nei primi undici mesi dell’anno, soltanto da Sebha, hanno deportato più di 9.000 persone, soprattutto nigeriani, maliani, nigerini, ghanesi, senegalesi e burkinabé. Solo a novembre i rimpatri sono stati 1.120. Zarruq mi mostra l’elenco dei voli: 467 nigeriani deportati il 2 settembre, 420 maliani a metà novembre. Le ambasciate mandano qui i loro funzionari per identificare i propri cittadini, e poi si provvede al rimpatrio. Kabbiun e Ajouas hanno già incontrato l’ambasciata nigeriana. I piedi di Kabbiun sono scalzi. Lo hanno arrestato a Ghat, le scarpe le ha lasciate in mezzo al deserto. Ajouas invece viveva a Tripoli da sei anni. Nessuno di loro ha visto un giudice o un avvocato. Avviene tutto senza convalida e senza nessuna possibilità di presentare ricorso e tantomeno di chiedere asilo politico.

      È il caso di Patrick. Viene dalla Repubblica democratica del Congo, recentemente tornata alle cronache per la crisi nella regione del Kivu. È stato arrestato un mese fa a Tripoli, mentre cercava lavoro alla giornata sotto i cavalcavia di Suq Thalatha. Possiamo parlare liberamente in francese, perché l’interprete non lo conosce. Mi porge un foglio spiegazzato dalla tasca. È il suo certificato di richiedente asilo politico. Rilasciato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) a Tripoli, il nove ottobre 2007. Qua dentro è carta straccia. Come gli altri detenuti, Patrick non ha diritto di telefonare a nessuno, nemmeno all’Acnur. Se non trova prima i soldi per corrompere qualche poliziotto, anche lui, prima o poi, sarà deportato. E come lui i suoi compagni di cella. Sono camerate di otto metri per otto. I detenuti sono buttati per terra su stuoini e cartoni. La luce entra dalle vetrate in cima alle alte pareti. Ogni camerata è riempita con 60-70 persone. Stanno chiusi tutto il giorno, escono solo per i pasti, in un locale adibito a mensa, accanto a un piccolo chiosco dove i detenuti possono comprare bibite, dolci o medicine, sempre all’interno del muro di cinta.

      Le compagnie aeree che si occupano delle deportazioni sono libiche: Ifriqiya e Buraq Air. I soldi pure, garantisce il direttore. Ma è difficile credergli. Dopotutto il rapporto della Commissione europea del dicembre 2004 parlava già allora di 47 voli di rimpatrio finanziati dall’Italia. Zarruq scuote il capo. Dice che da Roma hanno avuto soltanto due fuoristrada per il pattugliamento, con il progetto Across Sahara. E il nuovo centro di detenzione? Ha finanziato tutto la Libia, insiste. Ammette però che l’Italia si era impegnata a costruire un nuovo centro, e che la a sha‘abiyah, la municipalità, aveva anche predisposto un terreno. Ma poi non se ne è fatto niente. Intanto però il vecchio campo è stato restaurato e ampliato, grazie anche ai lavori forzati degli immigrati detenuti. Questo Zarruq non me lo può dire, ma sono voci che corrono tra i rimpatriati, dall’altro lato della frontiera, a Agadez, in Niger. Ad ogni modo, insiste, oggi tutti i rimpatri avvengono in aereo, anche quelli verso il Niger: Sono passati i tempi dei cosiddetti “rimpatri volontari”, quando, nel 2004, oltre 18.000 nigerini e non solo vennero caricati sui camion e abbandonati alla frontiera in pieno deserto, con le decine di vittime che ne seguirono a causa degli incidenti.

      Ma Zarruq non ha intenzione di parlare di questo. E nemmeno il luogo tenente Ghrera. È lui il responsabile delle pattuglie nel Sahara. L’Italia e l’Europa si sono impegnate a finanziare alla Libia un sistema di controllo elettronico delle frontiere terrestri, firmato FinMeccanica. Lui alla sola idea sorride. Lavora nel deserto da 35 anni. Conosce bene il terreno. Per darci un’idea ci accompagna a Zellaf, 20 km a sud di Sebha. Ancora non siamo nel grande Sahara. Eppure davanti a noi non si vede che sabbia. I due fuoristrada, dopo una corsa a cento km all’ora sulle dune, fermano i motori. Ghrera e l’altro autista, ‘Ali, si lavano le mani nella sabbia. E si inginocchiano verso est. Dopo la preghiera, si riavvicinano. Controllare le rotte nel Sahara è impossibile, dice. Sono 5.000 km di deserto. Un’area troppo vasta e un terreno troppo accidentato Gli 89 autisti – quasi tutti libici – arrestati nei primi undici mesi del 2008 sono un’inezia rispetto alle migliaia di persone che attraversano il Sahara ogni anno. Alle missioni di pattugliamento partecipano gruppi di 10 fuoristrada. Stanno fuori per cinque giorni, ci spiega. Poi sorride. Ha trovato una bottiglia vuota di Gin, per terra. L’alcol in Libia è illegale. E infatti sulla bottiglia c’è scritto fabriqué au Niger, prodotto in Niger. Ghrera lancia la bottiglia nella sabbia, poco lontano. Non dice niente. I traffici non riguardano solo gli immigrati. Ci sono l’alcol, le sigarette, la droga, le armi. Prima di riaccendere il motore ribadisce il concetto: anche con il doppio delle pattuglie, il deserto rimane una porta aperta.

      Il centro di detenzione di Sebha non è l’unico campo di detenzione al sud. Ce ne sono almeno altri cinque. Quelli di Shati, Qatrun, Ghat e Brak, nel sud ovest del paese, fanno capo a Sebha, nel senso che gli immigrati arrestati in queste località vengono poi smistati a Sebha dentro i container. L’altro campo si trova 800 km a sud est, a Kufrah, e lì vengono detenuti i rifugiati eritrei e etiopi in arrivo dal Sudan. È il carcere che gode della peggiore fama, tra gli stessi libici.

      Mohamed Tarnish è il presidente dell’Organizzazione per i diritti umani, una ong libica finanziata dalla Fondazione di Saif al Islam Gheddafi, il primogenito del colonnello. Ci incontriamo al Caffè Sarayah, a due passi dalla Piazza Verde, a Tripoli. La sua organizzazione, sotto la guida del suo predecessore, Jum‘a Atigha, ha ottenuto il rilascio di circa 1.000 prigionieri politici e si è battuta per il miglioramento delle condizioni delle carceri libiche. Da un paio d’anni hanno accesso anche ai centri di detenzione degli immigrati. Ne hanno visitati sette. Ha la bocca cucita, davanti a noi c’è un funzionario dell’agenzia per la stampa estera del governo libico. Ma riesce comunque a farci capire che il centro di Kufrah è il peggiore. Le condizioni del vecchio fabbricato, il sovraffollamento, la scadenza del cibo e l’assenza di assistenza sanitaria.

      Per capire il significato delle allusioni di Tarnish, rileggo le interviste fatte ai rifugiati eritrei ed etiopi nel 2007.“Dormivamo in 78 in una cella di sei metri per otto” - “Dormivamo per terra, la testa accanto ai piedi dei vicini” - “Ci tenevano alla fame. Un piatto di riso lo potevamo dividere anche in otto persone” - “Di notte mi portavano in cortile. Mi chiedevano di fare le flessioni. Quando non ce la facevo più mi riempivano di calci e maledivano me e la mia religione cristiana” – “Usavamo un solo bagno in 60, nella cella c’era un odore perenne di scarico. Era impossibile lavarsi” - “C’erano pidocchi e pulci dappertutto, nel materasso, nei vestiti, nei capelli” - “I poliziotti entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti”. È il ritratto di un girone infernale. Ma anche di un luogo di affari. Sì perché da un paio d’anni la polizia è solita vendere i detenuti agli stessi intermediari che poi li porteranno sul Mediterraneo. Il prezzo di un uomo si aggira sui 30 dinari, circa 18 euro.

      Non sono stato autorizzato a visitare il centro di Kufrah e non ho potuto verificare di persona. Tuttavia il fatto che le versioni dei tanti rifugiati con cui ho parlato coincidano nel disegnare un luogo di abusi, violenze e torture, mi fa pensare che sia tutto vero. Nel 2004 la Commissione europea riferiva che l’Italia stava finanziando il centro di detenzione di Kufrah. Nel 2007 il governo Prodi smentiva la notizia, dicendo che si trattava di un centro di assistenza sanitaria. Poco importa. Dal 2003, Italia e Unione Europea finanziano operazioni di contrasto dell’immigrazione in Libia. La domanda è la seguente: perché fingono tutti di non sapere?

      Nel 2005, il prefetto Mario Mori, ex direttore del Sisde, informava il Copaco: “I clandestini [in Libia, ndr.] vengono accalappiati come cani... e liberati in centri... dove i sorveglianti per entrare devono mettere i fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi”. Ma i funzionari della polizia italiana sapevano già tutto. Già perché dal 2004 alcuni agenti fanno attività di formazione in Libia. E alcuni funzionari del ministero dell’Interno, hanno visitato in più occasioni i centri di detenzione libici, Kufrah compreso, limitandosi a non rilasciare dichiarazioni. E l’ipocrita Unione Europea? Il rapporto della Commissione europea del 2004, definisce le condizioni dei campi di detenzione libici “difficili” ma in fin dei conti “accettabili alla luce del contesto generale”. Tre anni dopo, nel maggio 2007, una delegazione di Frontex visitò il sud della Libia, compreso il carcere di Kufrah, per gettare le basi di una futura cooperazione. Indovinate cosa scrisse? “Abbiamo apprezzato tanto la diversità quanto la vastità del deserto”. Sulle condizioni del centro di detenzione però preferì sorvolare. Una dimenticanza?

      [1] Testimonianza raccolta dalla scuola di italiano Asinitas, Roma, 2007


      https://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/frontiera-sahara-i-campi-di-detenzione.html

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      Guantanamo Libia. Il nuovo gendarme delle frontiere italiane

      La porta di ferro è chiusa a doppia mandata. Dalla piccola feritoia si affacciano i volti di due ragazzi africani e un di egiziano. L’odore acre che esce dalla cella mi brucia le narici. Chiedo ai tre di spostarsi. La vista si apre su due stanze di tre metri per quattro. Incrocio gli sguardi di una trentina di persone. Ammassati uno sull’altro. A terra vedo degli stuoini e qualche lercio materassino in gommapiuma. Sui muri qualcuno ha scritto Guantanamo. Ma non siamo nella base americana. Siamo a Zlitan, in Libia. E i detenuti non sono presunti terroristi, ma immigrati arrestati a sud di Lampedusa e lasciati marcire in carceri fatiscenti finanziate in parte dall’Italia e dall’Unione europea.

      I prigionieri si accalcano contro la porta della cella. Non ricevono visite da mesi. Alcuni alzano la voce: “Aiutateci!”. Un ragazzo allunga la mano oltre quelli della prima fila e mi porge un pezzettino di cartone. C’è scritto sopra un numero di telefono, a penna. Il prefisso è quello del Gambia. Lo metto in tasca prima che la polizia se ne accorga. Il ragazzo si chiama Outhman. Mi chiede di dire a sua madre che è ancora vivo. È in carcere da cinque mesi. Fabrice invece non esce da questa cella da nove mesi. Entrambi sono stati arrestati durante le retate nei quartieri degli immigrati a Tripoli. Da anni la polizia libica è impegnata in simili operazioni. Da quando nel 2003 l’Italia siglò con Gheddafi un accordo di collaborazione per il contrasto dell’immigrazione, e spedì oltremare motovedette, fuoristrada e sacchi da morto, insieme ai soldi necessari a pagare voli di rimpatrio e tre campi di detenzione. Da allora decine di migliaia di immigrati e rifugiati ogni anno sono arrestati dalla polizia libica e detenuti nei circa 20 centri fatiscenti sparsi per il paese, in attesa del rimpatrio. Insieme a un collega tedesco, siamo i primi giornalisti autorizzati a visitare questi centri.

      “La gente soffre! Il cibo è pessimo, l’acqua è sporca. Ci sono donne malate e altre incinte”. Gift ha 29 anni. Viene dalla Nigeria. Indossa ancora il vestito che aveva quando l’arrestarono tre mesi fa, ormai ridotto a uno straccio sporco e consumato. Stava passeggiando con il marito. Non avevano documenti e furono arrestati. Non lo vede da allora, lui nel frattempo è stato rimpatriato. Dice di avere lasciato i due figli a Tripoli. Di loro non ha più notizie. Viveva in Libia da tre anni. Lavorava come parrucchiera e non aveva nessuna intenzione di attraversare il Canale di Sicilia. Come molti degli immigrati detenuti dai nuovi gendarmi della frontiera italiana.

      All’Europa invece aveva pensato Y.. C’aveva pensato e come. Disertore dell’esercito eritreo, per chiedere asilo politico, si era imbarcato due mesi fa per Lampedusa. Ma è stato fermato in mare. Dai libici. Da quel giorno è rinchiuso a Zlitan. Anche lui senza nessuna convalida dello stato d’arresto. Prima di farlo entrare nello studio del direttore, un poliziotto gli sussurra qualcosa all’orecchio. Lui fa cenno di sì col capo. Quando gli chiediamo delle condizioni del centro, risponde “Everything is good”. Va tutto bene. È spaventato a morte. Sa che ogni risposta sbagliata gli può costare un pestaggio. Il direttore del campo, Ahmed Salim, sorride compiaciuto delle risposte e ci assicura che non sarà deportato. Nel giro di qualche settimana sarà trasferito al centro di detenzione di Misratah, 210 km a est di Tripoli, dove sono concentrati i prigionieri di nazionalità eritrea.

      Nella provincia esistono altri tre centri di detenzione per stranieri, a Khums, Garabulli e Bin Ulid. Ma sono strutture più piccole e i detenuti vengono poi tradotti nel campo di Zlitan, che può rinchiudere fino a 325 persone, in attesa del loro rimpatrio. Ma quanti sono i centri di detenzione in tutta la Libia? Sulla base delle testimonianze raccolte in questi anni, ne abbiamo contati 28, perlopiù concentrati sulla costa. Ne esistono di tre tipi. Ci sono dei veri e propri centri di raccolta, come quelli di Sebha, Zlitan, Zawiyah, Kufrah e Misratah, dove vengono concentrati i migranti e i rifugiati arrestati durante le retate o alla frontiera. Poi ci sono strutture più piccole, come quelle di Qatrun, Brak, Shati, Ghat, Khums… dove gli stranieri sono detenuti per un breve periodo prima di essere inviati nei centri di raccolta. E poi ci sono le prigioni: Jadida, Fellah, Twaisha, Ain Zarah… Prigioni comuni, nelle quali intere sezioni sono dedicate alla detenzione degli stranieri senza documenti. Anche nelle prigioni, le condizioni di detenzione sono pessime. Scabbia, parassiti e infezioni sono il minimo che ci si possa prendere. Molte donne sono colpite da infezioni vaginali. E non mancano i decessi, dovuti perlopiù all’assenza di assistenza sanitaria o a ricoveri ospedalieri troppo tardivi. Il nome più ricorrente nei racconti dei migranti è quello del carcere di Fellah, a Tripoli, che però è stato recentemente demolito per far spazio a un grande cantiere edilizio, in linea con il restyling di tutta la città. La sua funzione è stata sostituita dal Twaisha, un’altra prigione vicino all’aeroporto.

      Koubros è riuscito a scappare da Twaisha poche settimane fa. È un rifugiato eritreo di 27 anni. Viveva in Sudan, ma dopo che un amico eritreo è stato rimpatriato da Khartoum, non si è più sentito al sicuro e ha pensato all’Europa. Da Twaisha è uscito sulle stampelle. Non poteva pagare la cifra che gli aveva chiesto un poliziotto ubriaco. Allora l’hanno portato fuori dalla cella e preso a manganellate. È uscito grazie a una colletta tra i prigionieri eritrei. Per corrompere una delle guardie carcerarie sono bastati 300 dollari. Lo incontro davanti alla chiesa di San Francesco, a Tripoli. Come ogni venerdì, una cinquantina di migranti africani aspetta l’apertura dello sportello sociale della Caritas. Tadrous è uno di loro. È stato rilasciato lo scorso sei ottobre dal carcere di Surman. È uno dei pochi ad essere stato giudicato da una corte. La sua storia mi interessa. Era il giugno del 2008. Si erano imbarcati da Zuwarah, in 90. Ma dopo poche ore decisero di invertire la rotta, perché il mare era in tempesta. E tornarono indietro. Appena toccata terra furono arrestati e portati nella prigione di Surman. Il giudice li condannò a 5 mesi di carcere per emigrazione illegale. Finiti i quali è stato rilasciato. Gli chiedo se gli fu dato un avvocato d’ufficio. Sorride scuotendo la testa. La risposta è negativa.

      Niente di strano, sostiene l’avvocato Abdussalam Edgaimish. La legge libica non prevede il gratuito patrocinio per reati passibili di pene inferiori a tre anni. Edgaimish è il direttore dell’ordine degli avvocati di Tripoli. Ci riceve nel suo studio in via primo settembre. Ci spiega che tutte le pratiche di arresto e detenzione sono svolte come procedure amministrative, senza nessuna convalida del giudice. Senza nessuna base legale dunque, ma solo sull’onda dell’emergenza. Anche in Libia una persona non potrebbe essere privata della libertà senza un mandato d’arresto. Ma questa è la teoria. La pratica invece è quella delle retate casa per casa nei sobborghi di Tripoli.

      “I migranti sono vittime di una cospirazione tra le due rive del Mediterraneo. L’Europa vede soltanto un problema di sicurezza, nessuno vuole parlare dei loro diritti”. Anche Jumaa Atigha è un avvocato di Tripoli. Nella parete del suo ufficio è appesa una Laurea in Diritto penale dell’Università La Sapienza, di Roma, conferita nel 1983. Dal 1999 ha presieduto l’Organizzazione per i diritti umani della Fondazione guidata dal primogenito di Gheddafi, Saif al Islam. Lo scorso anno si è dimesso. Dal 2003 ha condotto una campagna che ha portato alla liberazione di 1.000 prigionieri politici. Ci descrive un paese in rapido cambiamento, ma ancora lontano da una situazione ideale sul fronte delle libertà individuali e politiche. In Libia non c’è nessuna legge sull’asilo, ci conferma, ma in compenso una commissione si sta occupando di scrivere un nuova legge sull’immigrazione.

      Atigha conosce personalmente le condizioni di detenzione in Libia. Dal 1991 al 1998 è stato incarcerato, senza processo, come prigioniero politico. Ci dice che la tortura è comunemente praticata dalla polizia libica. “Dal 2003 abbiamo fatto una campagna contro la tortura nelle carceri. Abbiamo organizzato conferenze, visitato le prigioni, fatto dei corsi agli ufficiali di polizia. La mancanza di consapevolezza fa sì che la polizia pratichi la tortura pensando così di servire la giustizia”.

      Mustafa O. Attir la pensa allo stesso modo. Insegna sociologia all’Università El Fatah di Tripoli. “Non è un problema di razzismo. I libici sono gentili con gli stranieri. È un problema di polizia”. Attir sa quello che dice. È entrato nelle carceri libiche come ricercatore nel 1972, nel 1984 e nel 1986. Gli agenti di polizia non hanno istruzione - sostiene -, e sono educati al concetto di punizione.

      Le sue parole mi fanno ripensare ai parrucchieri ghanesi nella medina, ai sarti chadiani, ai negozianti sudanesi, ai camerieri egiziani, alle donne delle pulizie marocchine e agli spazzini africani che armati di scope di bambù ogni notte ripuliscono le vie dei mercati della capitale. Mentre gli eritrei si nascondono nei sobborghi di Gurji e Krimia, migliaia di immigrati africani vivono e lavorano, in condizioni di sfruttamento, ma con relativa tranquillità. Sicuramente per sudanesi e chadiani è tutto più facile. Parlano arabo e sono musulmani. La loro presenza in Libia è decennale e quindi tollerata. Lo stesso per egiziani e marocchini. Al contrario eritrei ed etiopi sono qui esclusivamente per il passaggio in Europa. Spesso non parlano arabo. Spesso sono cristiani. E i loro nonni combattevano contro i libici a fianco delle truppe coloniali italiane. E poi si sa che hanno spesso in tasca i soldi per la traversata. Per cui diventano facile mira di piccoli delinquenti e poliziotti corrotti. Per i nigeriani, e più in generale i sub-sahariani anglofoni, è ancora diverso. Che siano diretti in Europa oppure no, il loro destino in Libia si scontra sistematicamente contro il pregiudizio che si è venuto a creare contro i nigeriani, sulla scia di qualche fatto di cronaca nera. Sono accusati di portare droga, alcol e prostituzione, di essere autori di rapine e omicidi, e di diffondere il virus dell’Hiv.

      Il professor Attir, nel 2007, ha organizzato tre seminari sul tema dell’immigrazione nei paesi arabi. In Libia è uno dei massimi esperti. Ed è pronto a smentire la cifre che circolano in Europa. “Due milioni di immigrati in Libia pronti a partire per l’Italia? Non è vero”. In realtà non esistono statistiche di nessun tipo. Ma solo stime. Che però – secondo Attir – non sono attendibili. Basta dare un occhio in giro. La popolazione libica è di cinque milioni e mezzo di persone. Gli stranieri non possono ragionevolmente essere più di un milione, compresi gli immigrati arabi egiziani, tunisini, algerini e marocchini. La maggior parte di loro non ha mai pensato all’Europa. E la Libia ha bisogno di loro, perché è un paese sottopopolato e perché i libici non vogliono più fare lavori pesanti e mal retribuiti. Attir è consapevole delle pressioni che l’Europa sta facendo sulla Libia perché sigilli le sue frontiere. Ma sa che “non c’è modo per farlo”.

      La Libia ha circa 1.800 km di costa, in buona parte disabitati. Il colonnello Khaled Musa, capo delle pattuglie anti immigrazione a Zuwarah, non sa che farsene delle sei motovedette promesse dall’Italia. Potrebbero servire a pattugliare meglio il tratto di mare tra la frontiera tunisina, Ras Jdayr, e Sabratah, ammette. Ma sono solo 100 km. Il 6% della costa libica. E le partenze si sono già spostate sul litorale a est di Tripoli, tra Khums e Zlitan, a più di 200 km da Zuwarah. Il dipartimento anti immigrazione di Zuwarah è nato nel 2005. Il numero di migranti arrestati è sceso da 5.963 nel 2005 a soli 1.132 nel 2007. Per il capo del dipartimento investigazioni, Sala el Ahrali, i dati indicano il successo delle misure repressive. Molti degli organizzatori dei viaggi sono stati arrestati, questo sarebbe il motivo per cui le partenze si sono ridotte. E la costa è più controllata. Ogni dieci chilometri è installata una tenda, in mezzo alla spiaggia. Serve da appoggio ai fuoristrada della polizia, che da due anni pattugliano la litoranea, appoggiati da quattro motovedette della marina. Il tratto di costa attualmente pattugliato è di una cinquantina di chilometri. Parte da Farwah, a una decina di chilometri dalla frontiera tunisina, e finisce 15 km a est di Zuwarah, a Mellitah, nei pressi dell’imponente impianto di trattamento del gas di proprietà dell’Eni e della libica National Oil Company.

      E proprio da Mellitah parte il #Greenstream, il gasdotto sottomarino più lungo del Mediterraneo. Collega la Libia a Gela, in Sicilia. Ironia della sorte, corre lungo la stessa rotta che porta i migranti a Lampedusa. Come dire che mentre sulla superficie del mare l’Europa dispiega le sue forze militari per bloccare il transito degli esseri umani, otto miliardi di metri cubi di gas ogni anno scorrono silenziosi nei 520 km di condotta posata sui fondali di quello stesso mare, in mezzo alle ossa delle migliaia di uomini e donne morti nella traversata del Canale di Sicilia. Un’immagine che sintetizza perfettamente le relazioni degli ultimi cinque anni tra Roma e Tripoli, condotte all’insegna dello slogan “più petrolio e meno immigrati”.

      https://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/guantanamo-libia-il-nuovo-gendarme.html
      #gazoduc

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      Liens qu’il a mis aujourd’hui sur FB pour accompagner ce message:

      Non conosco nessuno dell’equipaggio di #Lifeline, la nave della ONG accusata dal ministro Salvini di aver agito fuorilegge soccorrendo 239 passeggeri in difficoltà in acque libiche. Purtroppo però conosco bene le carceri libiche. Fui il primo giornalista italiano a visitarle nel 2008 insieme al collega e amico Roman Herzog. Abusi, pestaggi, violenze sulle donne erano la norma già allora. Gli unici che si salvavano erano quelli che riuscivano a farsi mandare abbastanza soldi dai familiari in Europa con cui corrompevano facilmente le guardie colluse con le mafie del contrabbando per farsi rilasciare e tentare di nuovo la traversata. Gli altri, dopo mesi di prigione in condizioni inumane venivano rimpatriati sui voli dell’OIM oppure, molto più spesso, stipati come vuoti a rendere dentro i container dei camion che prendevano la via del deserto, per decine di ore, mentre sotto il sole le lamiere di ferro diventavano un forno, per essere infine abbandonati alla frontiera sud con il Niger e il Sudan, in una terra di nessuno. E quanti ne sono morti anche lì, in mezzo al Sahara. Con molti giornalisti e documentaristi abbiamo denunciato questa situazione fin dal 2007. Da quando Prodi e Amato negoziarono gli accordi di respingimento con Gheddafi a quando Berlusconi e Maroni li misero in pratica nel 2009. Da allora sembra non essere cambiato molto. E allora, pur non conoscendoli, mi azzardo a pensare che l’equipaggio della #Lifeline abbia disobbedito all’ordine di consegnare i passeggeri alla guardia costiera libica temendo per il destino di quegli uomini, di quelle donne e di quei bambini, immaginando il triste destino che li attendeva nelle prigioni oltremare.

      Dopodiché se il comportamento della #Lifeline costituisca un reato lo deciderà un giudice anche alla luce di queste considerazioni. Perché quello che il ministro Salvini si dimentica di ricordare è che la Libia non è Malta, non è la Spagna, non è la Francia. La Libia di oggi non è un paese sicuro.

      Ciononostante, attenzione, gli sbarchi devono cessare. Ma come si fa?

      Si aprono vie legali. Perché, ministro, da contribuenti italiani non vogliamo finanziare altre prigioni in Libia. Vogliamo finanziare asili nido, scuole, parchi, ospedali. Non vogliamo continuare a finanziare le milizie colluse con le stesse mafie del contrabbando che dite di voler combattere.

      Per sconfiggere quelle mafie, azzerare gli sbarchi e porre fine alle tragedie delle traversate c’è un unico modo: legalizzare l’emigrazione Africa-Europa. Perché fin quando quell’emigrazione sarà illegale, ci sarà qualche mafia pronta a lucrarci. Oggi i libici, domani gli egiziani o i tunisini. Il mare è grande e incontrollabile.

      La soluzione sarebbe così semplice che è incredibile credere che i vostri consiglieri non ve l’abbiano prospettata. Andate in Europa e chiedete a gran voce che le ambasciate UE in Africa riaprano i canali legali dei visti che hanno progressivamente chiuso in questi ultimi vent’anni, spingendo centinaia di migliaia di giovani nelle mani del contrabbando libico a cui abbiamo concesso il monopolio della mobilità sud-nord in questo mare.

      Calcolate quante persone ogni anno attraversano il mare per rimanere bloccati in Italia, senza documenti e senza lavoro. Calcolate quanti sono e rilasciate lo stesso numero di visti per ricerca di lavoro. Affinché quelle stesse persone possano comodamente imbarcarsi in aereo, con in tasca un passaporto e un visto europeo liberi di circolare in tutta Europa, ricongiungersi con i propri familiari e cercare lavoro là dove il lavoro c’è, in quel centro e nord Europa che in questi anni ha importato milioni di lavoratori dall’est mentre noi a sud predicavamo il blocco navale e continuavamo a contare i morti.

      In caso contrario, signor ministro, siate più chiari. Dite semplicemente che di negri in Europa non volete vederne. Né per le vie legali né per quelle illegali.

      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2121309374549318&id=100000108285082

    • La zona SAR libica non esiste. Il grande inganno nel rimbalzo dei soccorsi

      "Una zona SAR libica ad oggi non esiste”, spiega Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato, esperto di immigrazione, membro del direttivo di Osservatorio Solidarietà. “E non esiste in quanto il governo di Tripoli non ha soddisfatto i requisiti imposti dall’IMO (Organizzazione marittima internazionale) per il riconoscimento delle zone SAR”, aggiunge l’avvocato.

      I requisiti consistono nell’accordo tra lo Stato che si pone come responsabile delle operazioni di salvataggio in una propria area di mare l’Organizzazione marittima internazionale (IMO). A quel punto i dati della zona SAR devono essere inseriti in un database ufficiale e pubblico, il GISIS. A marzo, in seguito al caso Open Arms, Famiglia Cristiana aveva fatto una verifica con l’IMO e la risposta ricevuta era stata: “La Libia non ha inviato le sue informazioni”.

      “Quasi tutte le operazioni di soccorso in acque internazionali nelle ultime settimane sono state coordinate dal Comando della Guardia costiera italiana proprio perché la Libia non esiste come paese unitario e non ha un Comando centrale unificato”, aggiunge Vassallo Paleologo.

      “Ma tutto è cambiato dal caso Aquarius”. Infatti da alcuni giorni anche sul sito dell’IMO compare il riferimento alla zona SAR libica “ma continua a non esistere uno stato unitario e anche le guardie costiere delle diverse città rispondono a milizie diverse“, avverte l’avvocato. “Alla fine il risultato è che il trasferimento di competenze ai libici e l’allontanamento delle Ong produce un ritardo nei soccorsi, un amento delle vittime e delle persone riportate nei centri di detenzione in Libia dove continuano gli abusi”.

      Esiste invece una zona SAR maltese. Ma Malta ha dichiarato unilateralmente la sua zona di ricerca e soccorso, un’area molto ampia che però non è riconosciuta dalle autorità marittime internazionali poiché il Governo de la Valletta non ha mai sottoscritto alcune modifiche della convenzione di Amburgo del 1979 e della convenzione #Solas introdotte nel 2004. Queste norme prevedono che lo sbarco avvenga nel paese che ha coordinato i soccorsi, e da sempre in quel tratto di mare i soccorsi sono stati coordinati dall’Italia. Quindi, in base al diritto internazionale e alla prassi i soccorsi coordinati dall’Italia hanno sempre indicato un porto di sbarco italiano.

      http://osservatoriosolidarieta.org/la-zona-sar-libica-non-esiste-il-grande-inganno-nel-rimbalz
      #Malte #SAR

    • Conséquences pour les droits de l’homme de la « dimension extérieure » de la politique d’asile et de migration de l’Union européenne : loin des yeux, loin des droits ?

      Les objectifs de la délégation des procédures de migration aux pays en dehors des frontières de l’Union européenne sont, entre autres, d’alléger la pression migratoire des États membres aux frontières de l’UE et de réduire le besoin des migrants d’entreprendre des voyages terrestres et maritimes potentiellement mortels. La réinstallation dans toute l’Europe devrait ensuite faciliter un afflux plus régulier sur le continent. Cependant, le transfert des responsabilités et l’engagement de pays tiers dans le renforcement de contrôles aux frontières de l’UE comportent de sérieux risques pour les droits de l’homme. Il augmente le risque que les migrants soient « bloqués » dans les pays de transit par la réadmission et le recours accru à des mesures punitives et restrictives telles que le refoulement, la rétention arbitraire et les mauvais traitements. C’est également un moyen pour de nombreux États membres de l’Union européenne de prendre leurs distances par rapport à la question de l’assistance et de l’intégration des réfugiés, qui est source de divisions politiques.

      Ce #rapport exhorte les États membres à œuvrer ensemble pour que le recours accru à des politiques de dissuasion ne porte pas atteinte au devoir des États européens de respecter et de défendre les droits de l’homme à l’échelle mondiale et à s’abstenir d’externaliser le contrôle des migrations vers les pays où la législation, les politiques et les pratiques ne respectent pas les normes de la Convention européenne des droits de l’homme et de la Convention des Nations Unies relative au statut des réfugiés.

      http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-fr.asp?fileid=24808&lang=fr

    • Sahel, la France en guerre ?

      Au Mali, alors que la campagne pour les élections présidentielles du 29 juillet bat son plein, l’insécurité liée au terrorisme grandit. La France a-t-elle encore un rôle a jouer ? Elle a depuis 2013 une forte présence militaire entre le Sahel et le Sahara, mais quelle place tient-elle dans la guerre contre le terrorisme ?

      Sahel, la France en guerre ? Par David Dominé-Cohn ntoine de Saint-Exupéry dans Terre des hommes (1939) dresse le portrait des officiers français des compagnies méharistes au Sahara. Développées à partir de 1897 par le commandant Laperrine, ces unités d’infanterie, relevant pour partie de la Légion étrangère, apparentées aussi aux spahis, ont effectué un travail de police et de contrôle des populations des oasis. Chez l’écrivain, le capitaine Bonnafous exerce son autorité, fascinante pour l’observateur occidental, dans un mélange d’héroïsme, d’humanité et d’extrême violence : « À cause de Bonnafous chaque pas vers le sud devient un pas riche de gloire »… et d’insurrections des populations locales.

      Les grandes formes historiques semblent se reproduire dans le désert. Depuis 2013, la France entretient une présence militaire entre le Sahel et le Sahara : 4500 hommes au printemps 2018. Avec 500 opérations en trois ans et demi, l’objectif affiché est d’abord de maintenir la pression sur les groupes terroristes et d’apporter un soutien à la population locale. Les attaques terroristes sur place sont l’occasion de s’interroger sur l’espace du Sahara et du Sahel comme étant redevenu un espace majeur d’action militaire de la France. Témoignant dans le livre de David Revault d’Allones, Les guerres du président (2015), Sacha Mandel, plume de Jean-Yves Le Drian, revendique le terme de guerre pour ce qui a causé, pour la France 22 morts et des dizaines de blessés et des centaines morts et de blessés pour les adversaires. Or peut-on faire la guerre au terrorisme ?

      Faire la « guerre au #Mali » puis faire la guerre au #terrorisme

      L’intervention française au Mali avec l’opération Serval commence le 11 janvier 2013 pour soutenir l’État malien dans la reprise des villes du pays contrôlées par une alliance entre le MNLA (Mouvement national de libération de l’Azawad) touareg, qui réclame le développement et l’indépendance du Nord du pays, l’Azawad, et des mouvements islamistes comme Ansar Dine et le MUJAO (Mouvement pour l’unicité et le jihad en Afrique de l’Ouest) et d’autres issus de la guerre civile algérienne des années 1990 comme AQMI. Les opérations militaires françaises, appuyées par les forces des États voisins, visent d’abord à sécuriser Bamako, comme l’affirme le président Hollande le 15 janvier aux Émirats Arabes Unis. La boucle du fleuve Niger est reprise entre le 22 et le 28 janvier, la ville de Gao le 25. Le 27 janvier par une opération aéroportée de la Légion, Tombouctou est contrôlée, puis Kidal le 30. En février et mars les forces avancent vers le nord, vers Tesslit et Tigharghâr, pendant que Gao connaît un regain de violence et d’actes terroristes kamikazes comme dans la nuit du 9 au 10 février. Un effort important est fait pour séparer les mouvements de l’Azawad des islamistes. Ainsi, le général tchadien Mahamat Idriss Déby Itno déclare le 11 janvier à RFI que ses troupes, qui occupent la ville, entretiennent de bonnes relations avec le MNLA. Le 2 février, dans un discours à Bamako, François Hollande considère l’action française comme inachevée et se donne comme objectif l’éradication du terrorisme. Les opérations antiterroristes scandent toute la seconde moitié de l’année 2013 et le début de 2014. Le 1er août 2014, l’opération Serval et l’opération Épervier au Tchad sont regroupées dans l’opération Barkhane qui porte sur l’ensemble de la bande sahélo-saharienne. Michel Galy (La guerre au Mali. Comprendre la crise au Sahel et au Sahara. Enjeux et zones d’ombre, 2013) rappelle que l’intervention française s’inscrit à la fois dans une forme de tradition française et dans un contexte général de transformation de la région. Au-delà de la remise en cause du mode de gouvernement du président Amadou Toumani Touré, les différents mouvements indépendantistes ou djihadistes s’inscrivent dans des enjeux régionaux où pèsent certains voisins du Maghreb, les puissances d’Afrique de l’Ouest et de toutes les grandes puissances mondiales occidentales ou orientales. Elles sont attentives au développement des mouvements terroristes se revendiquant de l’islam mais aussi à une région de plus en plus stratégique, jeune, au sous-sol très riche et qui sera un foyer de peuplement du XXI siècle.

      De la ligne de front à une ligne de postes

      Barkhane est devenue une opération de surveillance anti-terroriste d’un territoire immense à partir de postes avancés en liaison avec les forces locales. Le 18 avril 2018, Michel Cambon, président de la commission sénatoriale des affaires étrangères, de la défense et des forces armées souligne que dans ce cadre, la stratégie française est celle de « coups de poing » menées par des forces spéciales basées à Ouagadougou grâce au dispositif Sabre. Celui-ci est ancien, plus ancien que Barkhane et Serval. Dans le livre blanc de défense et de sécurité nationale en 2008, la désignation de l’arc de crises, allant de l’Océan atlantique à l’Océan indien entraîne la mise en place d’un plan Sahel qui comporte un large volet anti-terroriste. Comme le souligne Jean- Christophe Notin (La guerre de la France au Mali, 2014), la composante essentielle de ce volet est le prépositionnement d’unités dites Sabre de forces spéciales. Elles ont joué un rôle au début de Serval dans la protection des sites nucléaires du Niger et ont participé aux opérations Serval et Barkhane. Le soutien à la lutte anti-terroriste est un moyen majeur d’influence des grandes puissances en Afrique. Les États-Unis sont ainsi très présents depuis 2007 via leur commandement pour l’Afrique (Africom) ; la qualification de terroriste permet à chacun de se trouver un ennemi commun. Le passage d’une logique d’action militaire de reprise d’un territoire à une action de surveillance, de police et de contre-terrorisme se traduit par de nouveaux besoins en matériel, comme le souligne le sénateur Cambon : « les hélicoptères lourds, les véhicules de type quad/pickup pour la mobilité, les ISMI catcher pour l’écoute des GSM, la biométrie, la capacité « drones » ». Il conclue son rapport par « un message assez clair et assez pessimiste » : une opération militaire ne réglera pas un problème politique.

      Le terrorisme persiste largement dans la région. Le Groupement de Soutien à l’Islam et aux Musulmans, qui fédère plusieurs groupes djihadistes, dont Ansar Dine, des katibats d’al-Qaïda au Maghreb islamique et d’al-Mourabitoune, lance régulièrement des attaques contre les forces dans la région. Le 2 mars 2018, deux attaques à Ouagadougou au Burkina Faso ont fait 8 morts et une soixantaine de blessés. Le 14 avril, le GSIM a lancé une attaque « complexe » avec une quinzaine d’attaquants à Tombouctou contre la force Barkhane et la Mission des Nations unies au Mali. Le groupe a revendiqué son action comme une réponse à des raids aériens. Le 5 juillet, Emmanuel Macron évoque un redéploiement du dispositif français. Le bureau pour l’Afrique de l’Ouest et le Sahel de l’ONU soulignait dans un rapport du 29 juin la montée en capacité des mouvements terroristes autant que le possible resserrement des liens entre les différents mouvements djihadistes violents avec une extension de leurs zones d’activité. La réduction des adversaires à des mouvements avant tout terroristes mais mobiles et circulant dans un large territoire a conduit à un renouvellement des logiques d’action : le droit de poursuite au-delà de la frontière est nécessaire. Créé en février 2014, le G5 regroupe le Mali, le Niger, le Burkina Faso et le Tchad. Il vise le développement régional et la lutte contre le terrorisme. Cependant l’objectif d’une force commune actée en novembre 2015 peine à se réaliser et il a fallu attendre juin 2017 pour que l’ONU salue sa mise en place. Les financements sont aujourd’hui très insuffisants par rapport aux immenses besoins nés des contraintes du territoire. La France occupe donc de fait un rôle central dans la réalisation d’opérations de contreterrorisme par sa capacité très supérieure dans les domaines du renseignement, de la mobilité et de la frappe. Dans un milieu désertique, un espace que l’on traverse, l’action militaire est une action de contrôle de flux qui entraîne soit l’enlisement, soit des reconfigurations politiques, militaires et institutionnelles profondes. La criminalisation des personnes circulant dans de tels espaces est une stratégie classique de contrôle. Pour Hélène Claudot-Hawad (Galy, La guerre au Mali, 2013), la question Touareg a été construite tout au long de la colonisation : à partir des années 1910, l’administration française déploie un projet de tribalisation dans le but de contrôler des groupes et des circulations dans la bande sahélo-saharienne. La question des Touaregs est restée problématique pour les pouvoirs issus de la décolonisation. A l’aube de la décennie 2000 les tensions sont fortes d’autant plus que les organisations régionales de contrebande rejoignent une partie des mouvements islamistes.

      L’envers de la lutte contre les pirates du désert

      Le G5 Sahel se veut l’instrument d’une action régionale centrée sur la lutte anti-terroriste. Le terroriste y est celui qui circule impunément et qui devient ce que Daniel Heller-Roazen a vu dans la figure ancienne du pirate : l’ennemi de tous (L’ennemi de tous. Le pirate contre les nations, 2010, édition originale anglaise 2009). Le pirate brouille la limite entre criminalité et politique : « la piraterie entraine une transformation du concept de guerre. » C’est dans cette perspective qu’on peut lire le rapport du Haut Commissariat des Nations Unies pour les Droits de l’Homme qui dénombre au Mali 1200 violations entre janvier 2016 et juin 2017 faisant 2700 victimes dont 441 morts. Si plus de 70% des violations sont le fait d’acteurs non étatiques on peut, par exemple, s’interroger sur le statut des 150 arrestations administratives faites par les forces de Barkhane. Les « neutralisations » des terroristes, leur mort pendant des combats ou suite à des frappes aériennes, posent également question. Le respect des Droits de l’Homme est en jeu, mais aussi le cadre juridique dans lequel interviennent les troupes françaises. En arrière plan, le rapport de l’ONU pointe que 20% des violations sont le fait des forces de sécurité maliennes. A l’horizon de ce rapport qui suit plusieurs autres avant lui, par exemple celui en mai 2017 de la FIDH « Mali : Terrorisme et impunité font chanceler un accord de paix fragile » souligne les impasses d’une approche centrée sur l’anti-terrorisme et qui ne vise pas un processus politique global dans la région. De ce fait, interroger l’action française au Sahel c’est aussi nous interroger sur le rapport au territoire des autres, particulièrement des pays en développement, le rapport aux flux dans un contexte d’urgence migratoire. Cela questionne les actions militaires futures. Ces engagements sont usants pour les hommes et les matériels et constituent un poids considérable sur notre appareil militaire. Les opérations de lutte contre le terrorisme sont légitimes dans la mesure où la terreur et les actes criminels ne sauraient être tolérés. Il faut mesurer le dilemme moral qui pèse sur tout gouvernant à la tête d’une puissance militaire capable d’une opération pour faire cesser ce qui constitue à un moment donné un scandale moral. Mais il faut admettre que ce qui constitue un scandale moral aujourd’hui s’inscrit dans des problématiques plus vastes et plus anciennes. Oublier que le terrorisme et les terroristes sont les manifestations de problèmes plus larges qu’eux-mêmes, c’est accepter de croire qu’il est possible aujourd’hui, en démocratie de faire la guerre à un mode d’action et à des idées et de gagner. L’aveuglement de certaines grandes puissances face à ces enjeux tient souvent du refoulement de problèmes qui leurs sont propres. Dans un coin du parc Montsouris à Paris, un obélisque commémore le colonel Flatters et ses compagnons tués par des Touaregs en 1881 à Bir el-Garama en tentant de rejoindre le Soudan français par le Sahara. Son expédition était l’aboutissement d’un projet porté depuis 1879 par la commission supérieure du Transsaharien visant à la création d’un chemin de fer allant de l’Algérie à Dakar via le Mali dans une double perspective de contrôle des circulations sahélo-sahariennes et donc des populations y vivant mais aussi des ressources présentes dans la région et pouvant présenter un intérêt colonial. L’échec de la mission Flatters n’a pas limité ces entreprises puisque le contrôle de ces espaces de désert a été un axe politique majeur des autorités coloniales de l’Algérie comme de l’Afrique occidentale française.

      https://aoc.media/analyse/2018/07/11/sahel-france-guerre

      signalé par @isskein via la mailing-list Migreurop

    • États africains, portiers de l’Europe

      À coups de milliards versés par l’Union européenne, les États africains deviennent les nouveaux gardes-frontières du Vieux Continent. Cette vaste enquête menée dans douze pays explore les rouages et les conséquences humaines de cette politique européenne controversée, dont les exilés paient le prix fort.

      L’Espagne a été la première à franchir le pas : face à l’afflux de migrants sur les côtes des #Canaries, le pays a décidé de subventionner plusieurs pays d’#Afrique_de_l’Ouest afin qu’ils se chargent d’arrêter à leurs frontières les candidats à l’exil. L’#Union_européenne a emboîté le pas à l’Espagne, en conditionnant l’#aide_au_développement à destination d’une vingtaine de pays africains à un renforcement de ces contrôles. Policiers et militaires européens sont parallèlement envoyés sur place pour aider à briser les routes migratoires. L’UE n’hésite d’ailleurs pas à faire de dictatures comme l’#Érythrée et le #Soudan ses « partenaires » dans la chasse aux migrants. Les véritables gagnants de ces interventions à grande échelle sont les entreprises d’armement et de sécurité européennes, dans lesquelles sont réinvesties les subventions versées. Au fil d’une vaste enquête dans douze pays, Jan M. Schäfer explore les rouages et les conséquences humaines de cette politique européenne controversée, dont les exilés paient le prix fort.

      https://www.arte.tv/fr/videos/078195-000-A/etats-africains-portiers-de-l-europe
      #film #documentaire
      #business #armes #armement

      Le documentaire n’est plus disponible sur arte, mais peut être visionné sur Youtube, voici quelques liens actuellement valides :
      https://www.youtube.com/watch?v=IUSIi-qP2pY


      https://www.youtube.com/watch?v=o0nf5c4FOPo

      https://www.youtube.com/watch?v=Hu7VvY5fs7Y

    • La relation dangereuse entre migration, développement et #sécurité pour externaliser les frontières en Afrique

      L’ARCI, dans le cadre du projet de monitorat de l’externalisation des politiques européennes et italiennes sur les migrations – parallèlement à son travail de communication constant sur l’évolution des accords multilatéraux et bilatéraux avec les pays d’origine et de transit, a produit ce document d’analyse pour alerter la société civile et les gouvernements sur les dérives possibles de ces stratégies qui conduisent à des violations systématiques des droits fondamentaux et des Conventions internationales


      https://www.arci.it/documento/la-relation-dangereuse-entre-migration-developpement-et-securite-pour-externali
      #rapport #Soudan #Niger #Tunisie

      In English :
      https://www.arci.it/documento/the-dangerous-link-between-migration-development-and-security-for-the-externali

    • Giochi pericolosi: delocalizzare in Africa le frontiere Ue

      Più di 25mila persone riportate nell’inferno e 600 morti nel solo mese di maggio 2018. L’esternalizzazione delle frontiere – ovvero la collaborazione con i Paesi di origine e transito per espellere facilmente i migranti o bloccarli prima dell’arrivo – nuoce gravemente alle vite dei migranti ma anche ai diritti dei cittadini dei Paesi in cui sono state delocalizzate le frontiere della Fortezza Europa e non fa certo bene alle “democrazie” che vogliono rendere invisibili i profughi messi in fuga dalle loro stesse politiche commerciali. «Esternalizzare significa spingere le responsabilità giuridiche e politiche dei nostri Paesi più a sud nella cartina del mondo, alla ricerca di una totale impunità o nel tentativo di farla ricadere su altri Paesi». A tre anni dal vertice della Valletta dove furono sancite le linee guida dell’esternalizzazione, l’Arci fa un bilancio dell’impressionante subappalto europeo a regimi come quelli nigerino, sudanese, tunisino (sono più famosi gli accordi con Libia, Egitto e Turchia) per richiamare l’attenzione di società civile e governi sugli effetti negativi di queste strategie e le loro implicazioni in merito alle violazioni sistematiche dei diritti fondamentali di migranti e popolazioni interessate. Si tratta di “La pericolosa relazione tra migrazione, sviluppo e sicurezza per esternalizzare le frontiere in Africa“, un documento d’analisi curato da Sara Prestianni dell’ufficio Immigrazione dell’Arci nell’ambito del progetto di monitoraggio Externalisation Policies Watch che ha previsto missioni sul campo tra il dicembre 2016 e luglio 2018.

      Tanto è devastante per i diritti umani, quanto fa bene ai bilanci dell’industria militare del Nord del mondo e al destino politico dei governi populisti e xenofobi che, «con la guerra ai migranti, alimentano l’immaginario di un nemico da combattere alle nostre porte, e che con la loro presenza nel continente africano si giocano la partita dell’influenza territoriale». “Aiutarli a casa loro” significa fornire carri armati ed elicotteri, sistemi biometrici e satellitari, eserciti e truppe: il rapporto segnala come il processo di esternalizzazione del controllo della frontiera europea in Africa sembra evolversi verso una predominanza della dimensione militare e della sicurezza. EucapSahel, missione “civile” per “modernizzare” le forze dell’ordine di Niger e Mali, da forza antiterrorismo è diventata centrale nella politica di gestione delle frontiere – poi ci sono le missioni militari italiane in Libia e Niger, quindi la forza congiunta G5 Sahel che – oltre ad un contributo di 100 milioni di euro – si è vista attribuire ulteriori 500 milioni di euro nel summit del marzo 2018. Si tratta di cifre ingenti che potrebbero essere usate per una reale politica di cooperazione allo sviluppo o di integrazione, come ha detto proprio a Left Selly Kane, responsabile Immigrazione della Cgil nazionale.

      La militarizzazione dell’esternalizzazione, però, non solo serve a bloccare gli arrivi in Europa ma coincide con gli interessi dell’industria italiana della sicurezza e con la concorrenza interna all’Ue per una presenza geostrategica in quelle aree. La trasformazione di Frontex nell’European Border and Coastguard Agency è solo una delle tante proposte “suggerite” dalle lobby militar-industriali alla Commissione europea. Avverte il rapporto Arci (dal quale attingiamo con ampi stralci): «L’attuazione del processo di esternalizzazione deve essere osservato anche come esempio di riduzione dello spazio democratico all’interno dell’Europa stessa e degli Stati membri. Per molte delle attività e dei fondi attribuiti per l’attuazione di tali politiche è stato aggirato il controllo democratico del Parlamento europeo cosi come, a livello italiano, si è evitata la ratificazione degli Accordi Bilaterali da parte delle Camere, in flagrante violazione dell’Art 80 della Costituzione».

      Che poi «le procedure di selezione e monitoraggio dei progetti finanziati dal Trust Fund risultino «non trasparenti e i processi di valutazione privi di coerenza» (come denunciato nel rapporto Concord) non sembra scuotere la coscienza dei governi europei avvezzi a scandali di vario tipo. Per questo il rapporto sottolinea «il compito fondamentale delle associazioni della società civile di analizzare queste politiche, riportando le responsabilità giuridiche e politiche ai diretti responsabili».

      L’analisi dell’uso dei fondi europei e italiani per attività di controllo delle frontiere – anche grazie alla retorica “aiutiamoli a casa loro” – evidenzia una parte dei progetti finanziati con l’Eutf (Centro operativo Regionale di supporto al processo di Khartoum e all’Iniziativa nel Corno d’Africa) prevede la formazione di forze di polizia e guardie di frontiera, la diffusione del sistema biometrico per la tracciabilità delle persone e la “donazione” di elicotteri, veicoli e navi di pattuglia, apparecchiature di sorveglianza e monitoraggio, «aprendo cosi alla relazione sempre più strutturata tra migrazione, sviluppo e sicurezza». L’obiettivo dell’istituzione del Fondo fiduciario era quello di ottenere maggior collaborazione da parte dei governi locali nel controllo dei flussi attraverso il finanziamento di programmi di sviluppo (sia nei Paesi di origine che di transito) e mediante il rafforzamento delle forze di polizia lungo le rotte. Una strategia europea «drammaticamente efficace»: nel 2017 il numero di ingressi irregolari in Europa è diminuito del 67%. Una diminuzione che si accompagna ad una pesante riduzione del rispetto dei diritti sia dei migranti, in mare e in terra, che della popolazione di molti dei Paesi africani coinvolti. Italia e Ue hanno calpestato tanto le Convenzioni internazionali di cui sono firmatarie che i diritti fondamentali, tra cui il diritto alla vita. La chiusura della rotta del Mediterraneo ha portato l’Italia, grazie al contributo europeo, a subappaltare le operazioni di salvataggio alla Guardia costiera libica, pur cosciente, come evidenziato dalla decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, del profondo legame di questo corpo con le milizie, nonché delle violenze perpetrate sia in mare che sulla terraferma. La campagna denigratoria delle Ong che salvano vite in mare è funzionale alle politiche di esternalizzazione delle frontiere.

      Se i migranti vengono esposti a rischi sempre maggiori non se la passano meglio i cittadini dei Paesi di transito contro i quali vengono adoperati gli “aiuti a casa loro” gentilmente forniti dall’Europa. Una dinamica visibile sia nel Mediterraneo orientale, fra Turchia e Siria (l’Ue è particolarmente affabile di fronte alla deriva dittatoriale di Erdogan suo partner nel blocco di profughi afgani e siriani), sia sulla rotta del Mediterraneo Centrale. Armarsi per diventare il gendarme d’Europa è una scusa per rafforzare l’arsenale nazionale, spesso a discapito dei loro stessi cittadini. Un accordo tra Italia ed Egitto del settembre 2017, nell’ambito del progetto Itepa, prevede l’istituzione di un centro di formazione per alti funzionari di polizia incaricati della gestione delle frontiere e dell’immigrazione dai Paesi africani presso l’Accademia di polizia egiziana. Con buona pace della battaglia per verità e giustizia per Giulio Regeni.

      Ricapitolando: i governi Ue hanno firmato accordi per legittimare i governi di tali Paesi chiudendo un occhio sulle violazioni dei diritti umani e finanziando e formando aguzzini già abbondantemente specializzati nella repressione e negli abusi dei diritti umani.

      Il Sudan è al centro dello scacchiere delle rotte migratorie, luogo di transito obbligato per i migliaia di rifugiati del Corno d’Africa ma anche paese di origine. La collaborazione della Fortezza Europa con Al Bashir «è uno strumento di repressione dei rifugiati obbligati a transitare da quel paese per fuggire, ma anche per i cittadini sudanesi in Europa, a rischio di sistematica e delle popolazioni rimaste nel paese che, con il ruolo rafforzato del dittatore sudanese, rischiano un ulteriore aumento della repressione». Un attivista incontrato durante la missione effettuata da Arci a Khartoum nel dicembre del 2016 spiega: «Non ci sarà mai giustizia per il Darfour fino a quando i vostri Stati considereranno Al Bashir un interlocutore credibile per il controllo dei migranti invece di chiudere ogni dialogo con lui. Per Al Bashir l’esternalizzazione delle frontiere è un modo per far vacillare l’embargo economico e politico imposto dopo i molteplici mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità.

      Nel 2016 il dittatore sudanese ha dispiegato una nuova forza paramilitare – i Rapid support forces (Rsf) – alla frontiera nord con la Libia per il controllo dei migranti in uscita. Tra le fila dei RSF ci sono molti capi della milizia Jan Jaweed, tra le forze che più si sono sporcate le mani di sangue per l’eccidio nel Darfour e ora riciclati dallo stesso Al Bashir. Dalla fine del 2017 è stato annunciato il dispiegamento dei RSF anche nella regione di Kassala, nella zona di confine con l’Eritrea. «Di fatto la presenza di questi miliziani non fa altro che aumentare il numero d’interlocutori a cui i migranti sono obbligati a pagare tangenti e le violenze che sono costretti a subire». Refugees Deeply denuncia come personaggi chiave del regime sono i principali complici del traffico di migranti. Coloro che fingono davanti ai funzionari europei di controllare le frontiere sono di fatto coloro che gestiscono il passaggio. Una formula che l’Europa già conosceva all’epoca di Gheddafi che chiudeva e apriva le frontiere libiche «lucrando sulla vita di chi cercava di trovare rifugio, in nome della collaborazione con la UE». A Khartoum il clima di terrore che vivono i rifugiati eritrei è palpabile, vivono nascosti per evitare di essere arrestatie sanzionati o dalla polizia “dell’ordine pubblico” (di matrice islamica) che in tribunali speciali giudica comportamenti considerati illegali, o per aver violato il Sudan’s Passport and Immigration Act per cui incombono multe fino a360$. Il contributo europeo in Sudan per il controllo della migrazione ammonta a 200 milioni di euro. Nei campi avvengono continue incursioni da parte di sicari del regime di Afewerky o di trafficanti che rapiscono gli eritrei obbligandoli poi a telefonare alla famiglia in Europa, promettendola liberazione solo in cambio di soldi e progetti (come BMM e ROCK) consentono al regime sudanese di aggirare l’embargo di armi.

      Il report è un pozzo di informazioni. Per esempio quella dell’accordo di polizia firmato il 3 agosto del 2016 dal capo della nostra Polizia Gabrielli con il suo omologo sudanese che ha permesso di attuare il charter Torino-Khartoum del 24 agosto carico di sudanesi, molti provenienti dal Darfour, arrestati in retate a Ventimiglia. Le autorità italiane sarebbero rimaste totalmente impunite per questa violazione dei diritti umani se non fosse per l’importante azione di Asgi e Arci che, in collaborazione con i parlamentari europei della GUE, hanno incontrato alcuni dei sudanesi espulsi da Torino portando il loro caso davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Le polizie di Francia e Belgio si comportano proprio come quella italiana.

      Il Niger è il principale beneficiario del Fondo Fiduciario Europeo per l’Africa – quasi 200 milioni di progetti finanziati ad oggi a cui si aggiunge la recente promessa di ulteriori 500 milioni nella regione del Sahel – e del nostrano Fondo Africa – 50 milioni di euro in cambio dei quali il Niger si impegna a creare nuove unità specializzare necessarie al controllo dei confini e nuovi posti di frontiera – così come dei fondi allo sviluppo: è ormai la frontiera sud dell’Europa, «il laboratorio più avanzato della politica di esternalizzazione». La criminalizzazione del “traffico illecito dei migranti” sancito nel 2015 obbliga a nascondersi chi tenta di andare verso l’Algeria o la Libia e in alcuni casi di imbarcarsi poi verso Italia e Spagna. I ghetti si spostano sempre più alla periferia della città, le partenze si fanno di notte e alla spicciolata. I costi del viaggio aumentano. Un ex passeur, citato nello studio, dice: «Se prima andare in Libia costava 150mila FCFA e in Algeria 75mila, ora, con l’aumento dei controlli ed il rischio i farsi arrestare, i prezzi sono saliti: 400mila per la Libia e 150mila per l’Algeria». L’Algeria ha risposto con sistematiche e violentissime retate di migranti ed il loro abbandono alla sua frontiera sud senza distinzioni in base allo status dei migranti. Il Teneré, come il Mediterraneo, si sta trasformando in un deserto di morte. Ma come spiega in un’inchiesta Giacomo Zandonini, in Libia, nonostante la criminalizzazione, si è continuato a entrare.

      L’Ue, con il Fondo Fiduciario, ha cercato di proporre delle alternative di riconversione per spingere i passeurs a lasciare l’attività, ma a una cifra che risulta ridicola a fronte dei milioni di FCFA che un passeur poteva guadagnare trasportando uomini e donne nel deserto.

      In Niger, uno dei Paesi più poveri al mondo seppure ricco di materie prime qualiuranio, oro e petrolio, si fronteggiano anche gli interessi italiani contro quelli francesi. Bazoum, ministro dell’interno nigerino sta negando all’Italia l’accesso dei suoi militari nel nord del paese. Annunciata prima come operazione Deserto Rosso, poi rinnegata, la missione militare italiana in Niger è stata infine ripresentata al voto al Parlamento a Camere sciolte nel febbraio 2018, con un budget di 30 milioni di euro per 9 mesi di presenza di 400 uomini nel nord del paese. Riproposta dalla neo ministra Trenta con riferimento ad un eventuale appoggio agli americani che proprio ad Agadez stanno costruendo un enorme base per i droni armati. Lo stop alla presenza armata italiana è probabilmente legata ad una opposizione francese che non cede tanto facilmente la roccaforte di Madama, al confine con la Libia.

      Infine la Tunisia, collaboratore dell’Ue nel ruolo di intercettazione dei migranti partiti dalle coste della vicina Libia e perciò rifornita di mezzi navali. Un contributo del Fondo Africa, istituito nel 2017, per un totale di 12 milioni di euro, è transitato dal MAECI al Dipartimento di Sicurezza del Ministero degli Interni alla voce “Migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, inclusi la lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. La Commissione ha annunciato lo stanziamento di ulteriori 55 milioni di euro in Marocco e Tunisia in un programma che sarà gestito dal Ministero degli Interni Italiano e ICMPD (InternationalCentre for Migration Policy Development). Se la Tunisia dimostra un alto grado di collaborazione nelle attività di monitoraggio delle proprie coste e di identificazione dei suoi cittadini in vista dell’espulsione, sembra però rigettare l’idea di costruzione di punti di sbarco dei migranti partiti dalla Libia sul suo territorio. Asgi, Arci e l’associazione tunisina FTDES, nel maggio 2018, hanno monitorato le procedure di espulsione dei cittadini tunisini dall’aeroporto di Palermo. Numerose le violazioni dei diritti di cui sono stati vittime durante la loro permanenza in Italia, ed in particolare detenzione illegale senza convalida del giudice all’interno di una struttura – l’hotspot – che manca di base giuridica nella legislazione italiana, nonché spesso vittime di trattamenti degradanti. I tunisini lamentano la presenza di sonniferi nel cibo e l’inganno usato per l’espulsione, facendo credere loro che dopo il trasferimento a Palermo sarebbero stati poi liberati. Lo stesso Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, a seguito del monitoraggio effettuato sulle operazioni di rimpatrio, esprime viva preoccupazione per la «pratica di non avvisare gli interessati per tempo dell’imminente rimpatrio, e cioè con un anticipo utile a verificare eventuali aggiornamenti della propria posizione giuridica, prepararsi non solo materialmente ma anche psicologicamente alla partenza e avvisare i familiari del proprio ritorno in patria». A nessuno è stato permesso difare richiesta d’asilo in una logica assurda per cui l’Italia considera i tunisini provenienti da un paese sicuro, in contrasto con la convenzione di Ginevra per cui lo studio di ogni caso deve essere fatto sulla base della singola storia personale e non sulla base del paese di origine. Con i polsi bloccati da fascette di plastica, i tunisini sono scortati da due poliziotti ciascuno fino all’aeroporto di Enfidha, più discreto di quello di Tunisi. Spesso picchiati e insultati, vengono poi rilasciati, senza neanche un centesimo in tasca. Molti sono al secondo, terzo viaggio.

      https://left.it/2018/08/07/giochi-pericolosi-delocalizzare-in-africa-le-frontiere-ue

    • Europe Is Making Its Migration Problem Worse. The Dangers of Aiding Autocrats

      Three years after the apex of the European refugee crisis, the European Union’s immigration and refugee policy is still in utter disarray. In July, Greek officials warned that they were unable to cope with the tens of thousands of migrants held on islands in the Aegean Sea. Italy’s new right-wing government has taken to turning rescue ships with hundreds of refugees away from its ports, leaving them adrift in the Mediterranean in search of a friendly harbor. Spain offered to take in one of the ships stuck in limbo, but soon thereafter turned away a second one.

      Behind the scenes, however, European leaders have been working in concert to prevent a new upsurge in arrivals, especially from sub-Saharan Africa. Their strategy: helping would-be migrants before they ever set out for Europe by pumping money and technical aid into the states along Africa’s main migrant corridors. The idea, as an agreement hashed out at a summit in Brussels this June put it, is to generate “substantial socio-economic transformation” so people no longer want to leave for a better life. Yet the EU’s plans ignore the fact that economic development in low-income countries does not reduce migration; it encourages it. Faced with this reality, the EU will increasingly have to rely on payoffs to smugglers, autocratic regimes, and militias to curb the flow of migrants—worsening the instability that has pushed many to leave in the first place.

      https://www.foreignaffairs.com/articles/africa/2018-09-05/europe-making-its-migration-problem-worse?cid=soc-tw-rdr

    • À QUI VA LA FORTUNE DÉPENSÉE POUR LUTTER CONTRE L’IMMIGRATION ?

      La politique migratoire européenne, de plus en plus restrictive, est une aubaine pour de nombreuses sociétés privées. En effet, les Etats européens sous-traitent des pans entiers de la gestion des migrations : surveillance des frontières, construction, entretien, surveillance et gestion de murs et de centres de rétention, délivrance des visas, livraison de repas, etc. Tous les éléments de cette politique coûteuse, inefficace et criminelle, profitent à de grandes entreprises, comme #Bouygues ou #Sodexo, pour ne citer que deux exemples français.

      Les migrations font partie de l’histoire de l’humanité mais les frontières n’ont jamais été aussi fermées qu’aujourd’hui. Les conventions issues des politiques migratoires actuelles ont divisé les migrants en différentes catégories (politiques, économiques, climatiques...) en fonction de la supposée légitimité ou non d’avoir accès au droit d’asile ou à séjourner sur un territoire étranger. « Le migrant économique », qui se déplace pour fuir la misère engendrée par les politiques liées au remboursement de la dette, est la catégorie qui bénéficie du moins de droits et son accès aux territoires extérieurs varie en fonction des besoins de main-d’œuvre ou des politiques de fermetures aux frontières.

      Ainsi, parmi les millions de personnes qui fuient leurs conditions de vie indécentes, celles qui migrent pour des raisons économiques seraient des migrants illégitimes ? Tout comme celles à qui on n’accorde pas le statut de réfugié politique mettant leur vie en péril ? Confrontés à une crise migratoire ou une crise de l’accueil ? Ces flux migratoires liés aux situations économiques sont en grande partie le résultat des politiques d’austérité et d’endettement insoutenables imposés par les Institutions financières internationales et les pays industrialisés du Nord aux pays appauvris du Sud, et par les pays du centre – dont ceux de l’Europe – aux pays de la périphérie. Ces politiques ont eu comme effet d’amplifier le phénomène de la pauvreté, de généraliser la précarité et, par conséquent, des situations d’exils. Les situations qui encouragent l’exode de populations pauvres sont la conséquence d’enjeux géostratégiques liés aux ressources et donc aux richesses, ou sont provoqués par l’hémorragie de capitaux pour honorer le service d’une dette bien souvent entachée d’illégitimité.

      Malmenés par la guerre ou la misère, les candidats à l’exil se retrouvent sur des routes rendues de plus en plus périlleuses par les politiques de gestion de l’immigration irrégulière. En plus d’être extrêmement coûteuses pour les populations qui en supportent les coûts, ces politiques criminalisent les migrants et les forcent à emprunter des voies de plus en plus dangereuses, comme les traversées en mer sur de frêles embarcations et à devoir s’adresser à la mafia des passeurs. Elles sont criminelles, coûteuses et inefficaces. Les murs n’ont jamais résolu de conflits et ne bénéficient qu’aux firmes qui les conçoivent, les construisent et les contrôlent.

      Loin d’adopter une politique d’accueil aux réfugiés conformément au droit international tel que stipulé par la Convention de Genève, les États adoptent des politiques sécuritaires qui bafouent le droit fondamental de liberté de circulation inscrit dans l’article 13 de la Déclaration Universelle des Droits de l’Homme |1|. Alors que de nouveaux traités de libre-commerce ne cessent de prôner la libre-circulation des marchandises et des capitaux, les candidats à l’exil font face à des « agences de sécurité » lourdement armées et équipées par les grands industriels qui enfreignent le droit de circulation des laissés-pour-compte. Le fond de la Méditerranée est transformé en véritable fosse commune |2|, les frontières se referment et des murs sont érigés un peu partout sur la planète. Une fois passée la frontière, s’ils ne sont pas déportés vers leur pays d’origine, les migrants s’entassent dans des camps inhumains ou sont enfermés dans des centres de détention |3| qui leur sont dédiés, tels les 260 que l’on compte au sein de l’UE en 2015 |4|. Seule une faible proportion d’entre eux, suivant un fastidieux parcours bureaucratique, parvient à obtenir un droit à l’asile distribué avec parcimonie.

      A quel point les politiques migratoires européennes sont-elles dictées par l’activité de lobbying des entreprises privées de l’armement et de la sécurité ? Avec ces politiques sécuritaires, les migrants sont considérés non plus comme des personnes mais comme des numéros remplissant des quotas arbitraires pour honorer des courbes statistiques irrationnelles satisfaisant bien plus les cours de la Bourse que le bien-être collectif et les valeurs de partage et de solidarité.

      Qu’importent les conditions de travail des employés et les conditions d’accueil des migrants au mépris de leurs droits et de la dignité humaine, de plus en plus d’entreprises privées nationales ou multinationales profitent d’un business en pleine expansion aux dépens de la justice sociale et des budgets de nos États.

      Frontex, une agence européenne coûteuse, puissante, opaque et sans contrôle démocratique

      L’Europe a créé l’espace Schengen en 1985, elle l’a communautarisé en 1997 avec le traité d’Amsterdam. L’objectif annoncé était de créer un espace de « liberté, de sécurité et de justice » au sein de l’Union européenne (UE). Dans les faits, la liberté de circulation au sein de l’Europe a avancé à deux vitesses en fonction des pays et a principalement concerné les marchandises. Au fur-et-à-mesure, l’UE s’est coordonnée pour contrôler ses frontières extérieures en tentant d’appliquer une politique commune et un « soutien » aux pays ayant une frontière extérieure propice à l’entrée de migrants comme la Grèce, l’Espagne ou encore l’Italie. Depuis 2005, L’UE s’est dotée d’un arsenal militaire, l’agence Frontex, pour la gestion de la coopération aux frontières extérieures des États membres de l’Union européenne. Cette agence est la plus financée des agences de l’UE à l’heure où des efforts budgétaires sont imposés dans tous les secteurs.

      Cette agence possède des avions, des hélicoptères, des navires, des unités de radars, des détecteurs de vision nocturne mobiles, des outils aériens, des détecteurs de battement cardiaque... Frontex organise des vols de déportations, des opérations conjointes aux frontières terrestres, maritimes et aériennes |5|, la formation des gardes-frontières, le partage d’informations et de systèmes d’informations notamment via son système EUROSUR, qui a pour objectif la mise en commun de tous les systèmes de surveillance et de détections des pays membres de l’UE, etc. Son budget annuel n’a cessé d’augmenter jusqu’à ce jour : de 19 millions d’euros en 2006, il est passé à 238,7 millions en 2016 ! Les moyens militaires qui lui sont dévolus et son autonomie par rapport aux États membres ne cessent de croître.

      Depuis fin 2015, la tendance vers une ingérence de la Commission européenne dans les États membres s’accentue : La Commission européenne élargit le mandat de Frontex, elle devient « le corps européen de garde-frontières et de garde-côtes ». Cette nouvelle agence peut dorénavant agir dans le processus d’acquisition d’équipement des États membres. Elle a notamment la possibilité d’intervention directe dans un État membre sans son consentement par simple décision de la Commission européenne. Elle a par exemple la possibilité de faire des « opérations de retour conjoint » de sa propre initiative |6|, l’objectif étant de sous-traiter à l’agence le renvoi forcé des personnes indésirables, à moindre coût mais au détriment du respect des droits humains.

      Migreurop et Statewatch, deux ONG qui défendent les droits des migrants, ont dénoncé une zone de flou entourant l’agence Frontex qui ne permet pas de faire respecter les droits humains fondamentaux : une responsabilité diluée entre l’agence et les États, une violation du droit d’asile et un risque de traitement inhumains et dégradants. La priorité du sauvetage en mer, normalement reconnue à Frontex, passe en second plan face au contrôle militarisé. En novembre 2014, l’Italie illustre dramatiquement cette situation en mettant fin à Mare Nostrum, opération de sauvetage de la marine italienne qui a sauvé des dizaines de milliers de vies en mer. L’opération Triton mise en place par Frontex l’a remplacée avec un budget trois fois moindre, une portée géographique plus limitée et surtout avec un changement de perspective orienté sur le renforcement des frontières plutôt que les missions de recherche et sauvetage en mer |7|.

      Plus Frontex est subventionnée, plus elle délègue à des entreprises privées. Via l’argent public qu’elle perçoit, l’agence s’adresse à des entreprises privées pour la surveillance aériennes mais aussi pour la technologie de pointe (drones, appareils de visions nocturnes…). De nombreuses multinationales se retrouvent à assumer les « services » qui étaient auparavant assumés par les États et pour des questions de rentabilité propre au secteur privé, les coûts augmentent. Le contrôle aux frontières est devenu un business florissant.

      Le complexe militaro-industriel de l’immigration irrégulière un business florissant qui grève les caisses des États

      La dangerosité accrue des parcours profite aux passeurs et aux réseaux criminels auxquels les migrants sont obligés de faire appel, alors que ces mêmes politiques de gestion des flux migratoires disent les combattre. Mais, d’autres secteurs d’activité moins médiatisés tirent un avantage financier bien plus important de l’immigration irrégulière, tellement important qu’on peut se demander s’ils ne font pas tout pour l’encourager ! Pour les gestionnaires des centres de détentions pour migrants ; les sociétés qui y assurent la livraison des repas, la sécurité ou le nettoyage ; les entreprises qui fournissent gardes et escortes de celles et ceux que l’on expulse ; les fabricants d’armes et l’industrie aéronautique ; la technologie de pointe pour la surveillance des frontières ou les sous-traitants pour la délivrance des visas, la crise des migrants constitue une véritable aubaine, voire un filon en or.

      Cette proportion non négligeable de services autrefois du ressort exclusif de l’État est maintenant gérée par de grands groupes privés qui – pour des raisons d’image notamment – s’abritent derrière une kyrielle de sous-traitants. Cette privatisation rampante grève encore plus les caisses des pouvoirs publics, favorise l’opacité et dilue les responsabilités en cas d’incident au cours des interventions, mettant les États à l’abri de violations de la loi, pourtant fréquentes |8|.

      Instrumentalisation de l’aide publique au développement

      L’Union européenne utilise les financements de l’#Aide_publique_au_développement (#APD) pour contrôler les flux migratoires, comme avec le #Centre_d’Information_et_de_Gestion_des_Migrations (#CIGEM) inauguré en octobre 2008 à Bamako au Mali par exemple4. Ainsi, le 10e #Fonds_européen_de_développement (#FED) finance, en #Mauritanie, la formation de la police aux frontières. Pour atteindre les objectifs qu’ils se sont eux mêmes fixés (allouer 0,7 % du revenu national brut à l’APD), certains États membres de l’UE comptabilisent dans l’APD des dépenses qui n’en sont clairement pas. Malgré les réticences des États membres à harmoniser leurs politiques migratoires internes, ils arrivent à se coordonner pour leur gestion extérieure.

      « Crise migratoire » ou « crise de l’accueil » ? L’Europe externalise ses frontières

      À la croisée des chemins entre l’Europe et l’Asie, la Turquie et la Grèce sont des pays de transit pour de nombreux migrants et réfugiés faisant face aux conflits chroniques et à l’instabilité politique et économique du Moyen-Orient. Après avoir ouvert ses frontières en 2015, dans un contexte de crise, l’UE se rétracte, dépourvue d’une réflexion à long terme sur sa politique d’accueil.

      Ainsi, sans grande opposition du gouvernement Tsipras, l’UE signe avec le gouvernement turc un accord visant à contrôler et filtrer l’immigration. L’accord qui entre en vigueur le 20 mars 2016, prévoit de renvoyer en Turquie tout nouveau migrant, réfugiés syriens compris, arrivé en Grèce. Et pour chaque Syrien renvoyé, l’UE réinstallera en Europe, un autre Syrien séjournant en territoire turc. On pourrait croire à un vulgaire arrangement comptable, il n’en est rien. Le rapport est clairement déséquilibré. L’UE a spécifié un quota maximum de 72 000 syriens réinstallés alors que plus d’1 millions ont été refoulés du territoire européen. Par ces échanges déshumanisés, l’UE se donne la liberté de choisir ses immigrés en fonction de ses intérêts économiques. En échange, l’UE promet 6 milliards d’euros à la Turquie, dit vouloir relancer les négociations d’adhésion du pays à l’Union et accélère le processus de libéralisation des visas pour les citoyens turcs. De plus, Ankara s’engage à enrayer le flux migratoire vers l’Europe. En conséquence de quoi, l’argent donné sert bien plus à ériger des murs qu’à accueillir. Déjà, béton, barbelés et militaires s’installent à la frontière turco-syrienne pour consolider l’Europe forteresse.

      D’autres accords ont déjà été conclus en ce sens mais aucun n’avait atteint de tels montants, ni ne comportait de tels enjeux. Le fait qu’il soit conclu directement par l’UE marque également le début d’une nouvelle ère. L’institution eurocrate négocie maintenant au nom et en amont de ses États membres, se substituant aux politiques nationales en termes d’affaires étrangères.Avec cet accord, l’UE se targue de respecter le droit international. Mais autant la Déclaration universelle des droits de l’homme que la Convention de Genève sur les réfugiées stipulent qu’une expulsion ne peut se faire que vers un pays considéré comme sûr. Or, on ne peut décemment pas, à la signature de l’accord, considérer la Turquie comme une terre sûre et accueillante pour les migrants. Le président Erdoğan a en effet entamé une purge sans précédent et se révèle encore plus répressif envers ses opposants politiques, depuis qu’il sait l’Europe dépendante et conciliante. Et il ne suffit pas de fustiger le gouvernement turc. Au cœur même de l’Europe, les murs s’érigent et les politiques autoritaires et xénophobes refont surface.
      Privatisation de la « gestion » des migrations

      Une telle gestion de l’immigration grève les recettes des États pour, in fine, bénéficier aux sociétés privées et leurs actionnaires aux dépens de la satisfaction des services publics essentiels aux populations concernées. Le lobbying de ces sociétés s’inscrit dans une surenchère militariste qui profite aux grandes entreprises du secteur. Au lieu d’investir dans des infrastructures d’accueil dignes et dans la gestion des conflits dont les pays industrialisés sont en grande partie responsables, l’orientation politique de nos dirigeants va dans le sens d’un accroissement des budgets liés à la sécurité et aux polices aux frontières.

      Les flux migratoires constituent non seulement une source de revenus pour les passeurs, mais également, dans des proportions bien plus importantes, un juteux business pour les grandes entreprises, qui rappelons-le, s’arrangent pour payer le moins d’impôt sur leurs bénéfices et accroître les dividendes de leurs actionnaires. Le marché de la sécurisation des frontières, estimé à quelques 15 milliards d’euros en 2015, est en pleine croissance et devrait augmenter à plus de 29 milliards d’euros par an en 2022 |9|.

      Dans un contexte de crise migratoire aiguë, de contrôles exacerbés, de détentions et déportations en forte augmentation, une multitude de sociétés privées se sont trouvé un juteux créneau pour amasser des profits.

      Concrètement, de plus en plus de sociétés privées bénéficient de la sous-traitance de la délivrance des visas (un marché entre autres dominé par les entreprises #VFS et #TLS_Contact), et facturent aux administrations publiques la saisie des données personnelles, la prise des empreintes digitales, des photos numérisées... Comme on pouvait s’y attendre, le recours au privé a fait monter les prix des visas et le coût supplémentaire est supporté par les requérants. Mais les demandes introduites pour obtenir visas ou permis de séjour ne sont pas à la portée de tout le monde et beaucoup se retrouvent apatrides ou sans-papiers, indésirables au regard de la loi.

      La gestion des centres de détention pour migrants où sont placés les sans-papiers en attente d’expulsion est, elle aussi, sous-traitée à des entreprises privées. Ce transfert vers la sphère privée renforce le monopole des trois ou quatre multinationales qui, à l’échelle mondiale, se partagent le marché de la détention. Ainsi, près de la moitié des 11 centres de détention pour migrants du Royaume-Uni sont gérés par des groupes privés. Ces entreprises ont tout intérêt à augmenter la durée d’incarcération et font du lobbying en ce sens, non sans résultats. Ainsi, les sociétés de sécurité privées prospèrent à mesure que le nombre de migrants augmente |10|. En outre, l’hébergement d’urgence est devenu un secteur lucratif pour les sociétés privées qui perçoivent des fonds de certains États comme l’Italie, aux dépens d’associations humanitaires qui traditionnellement prennent en charge les réfugiés.

      En Belgique, entre 2008 et 2012, le budget consacré aux rapatriements forcés - frais de renvois, sans même compter les séjours en centre fermé des quelque 8 000 détenus chaque année - est passé de 5,8 millions d’euros à 8,07 millions d’euros |11|.

      La société française Sodexo a vu les détentions de migrants comme une opportunité d’extension de ses activités dans les prisons. L’empire du béton et des médias français Bouygues est chargé de la construction des centres de détention pour migrants dans le cadre de contrats de #partenariats_publics-privés (#PPP) |12| et l’entreprise de nettoyage #Onet y propose ses services. Au Royaume-Uni, des multinationales de la sécurité telles #G4S (anciennement Group 4 Securitor) |13|, Serco ou #Geo, ont pris leur essor grâce au boom des privatisations. Aux États-Unis, #CCA et GEO sont les principales entreprises qui conçoivent, construisent, financent et exploitent les centres de détention et #Sodexho_Marriott est le premier fournisseur de services alimentaire de ces établissements.

      Certaines sociétés en profitent même pour faire travailler leurs détenus en attente de leur expulsion. Ainsi, au centre de Yarl’s Wood géré par l’entreprise #Serco au Royaume-Uni, le service à la cantine ou le nettoyage des locaux est effectué par des femmes détenues contre une rémunération 23 fois moindre que le salaire pratiqué à l’extérieur pour ce type de tâche (50 pence de l’heure en 2011, soit 58 centimes d’euros). Le groupe GEO, qui en 2003 a obtenu la gestion du camp de Guantanamo « offre » à ses occupants aux centres de Harmondsworth près de l’aéroport d’Heathrow et de Dungavel en Écosse, des « opportunités de travail rémunéré » pour des services allant de la peinture au nettoyage |14|. Ces entreprises ne lésinent pas sur l’opportunité d’exploiter une main d’œuvre très bon marché et sans droits.

      L’immigration rapporte plus qu’elle ne coûte

      Les quelques migrants qui finalement parviennent à destination se mettent alors à la recherche d’un emploi et le pays d’accueil profite d’une main-d’œuvre bon marché dont il s’épargne les frais de formation payée par le pays d’origine |15|. Une telle main-d’œuvre, flexible et exploitable à merci, comble un besoin dont les économies des pays industrialisés ne peuvent se passer si facilement.

      Loin de constituer une menace et contrairement à une idée fausse, les migrations ont généralement un impact positif sur les économies des pays d’accueil. Sur un plan purement économique, d’après l’OCDE, un immigré rapporte en moyenne 3 500 euros de rentrées fiscales annuelles au pays qui l’accueille |16|. Les sans-papiers qui travaillent ont des fiches de paies, souvent au nom de tierce personne et cotisent à une couverture sociale dont ils ne peuvent bénéficier.

      En définitive, s’installe le doute quant aux résultats attendus d’une telle stratégie de gestion des flux de déplacements humains. La politique anti-migratoire mise en œuvre tue, l’Europe compte les morts mais continue à dresser ses barricades. Pourtant les migrations ne sont pas un problème, un fléau en tant que tel contre lequel il faut lutter. Les migrations sont la conséquence des conflits, des persécutions, des catastrophes environnementales, des injustices sociales et économiques dans le monde. Et c’est à ces causes-là qu’il faut s’attaquer, si l’on veut mener une politique migratoire réellement juste et humaine.

      https://www.lautrequotidien.fr/articles/lesprofiteurs
      #privatisation #Frontex

    • Border-induced displacement: The ethical and legal implications of distance-creation through externalization

      Introduction: The role of #distance

      The externalization of European border control can be defined as the range of processes whereby European actors and Member States complement policies to control migration across their territorial boundaries with initiatives that realize such control extra-territorially and through other countries and organs rather than their own. The phenomenon has multiple dimensions. The spatial dimension captures the remoteness of the geographical distance that is interposed between the locus of power and the locus of surveillance. But there is also a relational dimension, regarding the multiplicity of actors engaged in the venture through bilateral and multilateral interactions, usually through coercive dynamics of conditional reward, incentive, or penalization. And there are functional and instrumental dimensions too, concerning the cost-effectiveness of distance-creation (in both ethical and legal grounds) vis-à-vis the (unwanted) migrant, who, removed from sight, is no longer considered of concern to the supervising State,[1] and the range of externalizing policy devices at the service of externalising agents in terms of purpose, format, delivery, and ultimate control.[2] European borders thus (re-)emerge as ubiquitous, multi-modal and translational systems of coercion – as an interconnected network of ‘little Guantánamos’.[3] This, in turn, creates a distance, both physically and ethically, that is utilized to shift away concomitant responsibilities.[4]
      Distance, as the next sections will demonstrate, plays a crucial role as a mechanism not only of dispersion of legal duties, blurring the lines of causation and making attribution of wrongful conduct a difficult task, but also as an artefact of oppression and displacement in itself. It does not prevent (unwanted) migration but rather makes it unviable through legally sanctioned, safe channels, diverting it through ever more perilous routes. The immediate effect of this distance that externalization engenders is at least threefold. First, it leads to the disempowerment of migrants, who are left with no options for safe and legal escape, being instead coerced into dangerous courses operated by smugglers. Second, it legitimizes the actors enforcing externalized control on behalf, and for the benefit, of the European Union and its Member States. Repressive forces in third countries gain standing as valid interlocutors for cooperation, as a result; their democratic and human rights credentials becoming secondary, if at all relevant, as the Libyan case illustrates below. Third, legal alternatives, like the relaxation of controls or the creation of safe and regular pathways, are rejected; perceived as an illogical concession to the failure of the externalization project.
      The final outcome, and what constitutes the focus of this contribution, is the ‘border-induced displacement’ effect,[5] resulting from the combination of the processes of extraterritorialisation and externalization taken together. Border-induced displacement is not equivalent to the original reasons forcing people into exile, but rather functions as a second-order type of (re-)displacement, produced precisely via (the violence implicated in) border control. This then leads to forms of ‘engineered regionalism’, that is, politics re-producing displacement in certain areas closest to the origin of flows.[6] ‘Safe third country’ rules and practices are the main vehicle of this development, discernible also within the EU, where the Dublin System has ‘rulified’ an asymmetric allocation of responsibility for asylum claims to peripheral countries situated at the external common frontiers of the Union, like Spain, Italy and Greece.[7] In the case of externalization, border-induced displacement is then imposed upon already-displaced persons by non-European actors implementing the EU’s pre-emptive control agenda, reinforcing prevailing patterns of exploitation and existing hierarchies of exclusion and subordination.
      The ethical and legal consequences of ‘distance-creation’ are what we turn to analyse in the remainder of this article. Section 2 pays attention to the assumptions and ethical and political-economic dimensions behind this strategy, discussing exit control, coercion, and the democratic legitimization of unelected actors enforcing the EU border within third countries. Section 3 investigates the legal impact of externalization and extraterritorialization, centring on the apparent accountability gaps that it generates, contesting the legality of responsibility dispersion mechanisms. The overall conclusion we reach is that the ‘rulification’ of externalization at EU level does not render it ethically and legally tenable under international law. The ‘lawification’ at EU level of practices inconsistent with human rights is insufficient to render them compatible with international legal standards.
      2. Ethical distance-creation: Examining attempts to justify externalization and border-induced displacement

      Although immigration ethics has thrived as a discipline since its late arrival in the 1980s, debates on border control between cosmopolitanism and liberal nationalism have often remained at an ideational level and generally based on liberal democratic foundations,[8] thus overlooking the composite ways through which border control is realized and experienced on the ground. This includes practices of externalization and extra-territorialization. Often, the assumptions guiding ethical debates on border control have reproduced a territorially trapped gaze, circumscribed by methodological nationalism,[9] which, through a set of idealized premises, reduces the complex and transnational dynamics of displacement and border control to a phenomenon of mis-placement between territorially bordered societies.[10] Such reduction is marred by what can be called reactive and regionalist postulations. These view border control, first, as a manifestation of State agency, and, second, as only a response to migration flows. Third, they naturalize the containment of displacement within certain regions, perceiving the phenomenon as geographically and morally distant from Europe.
      But immigration ethics is far from alone in reproducing methodological nationalism and reactive and regionalist conjectures, as these mirror prevailing paradigms about the relationship between displacement and borders.[11] However, it is instructive, nonetheless, to examine European externalization by applying existing ethical debates about the democratic legitimacy, coercion, and rights of border control to the issue of externalization.[12]
      2.1. The democratic legitimacy question

      One fundamental debate has concerned the democratic legitimacy of border control as such. Assuming that freedom and democracy are instrumentally valuable for securing individual autonomy, a principled concern is that the coercive aspects of border control amount to violations of autonomy when they happen without the consent of those exposed to them. In order for border control to be legitimate from a liberal democratic perspective, it would have to be justifiable to non-members – however the demos may initially be defined – through a deliberative process.[13] Yet, proponents of border control might argue that access to asylum procedures can resolve this concern, if asylum applications are seen as granting such deliberative voice to them. Although this debate has only concerned an undifferentiated notion of border control, we can extend it to the politics of externalization, if we imagine proponents to argue that, if externalized control is able to respect individual autonomy, it might also be deemed democratically legitimate.[14] The strength of such an argument will then depend on the meaning and function of externalization.
      European externalization processes occur when European Member States, through bi-, multi- or supranational venues, complement policies of controlling cross-border migration into their territories with pre-emptive initiatives realizing such control extra-territorially and/or through sub-contracting to actors and agencies other than their own.[15] Externalization has been discussed in terms of policy transfer, issue-linkages, and ripple effects,[16] but, crucially, its dynamics apply also to intra-European relations. For many years, the Dublin system has served to transfer the border control burdens of North-Western Member States to South-Eastern ones, causing heated discussions about lacking solidarity,[17] similar to those between European and non-European countries.[18]
      Justifications offered for externalization oscillate between grammars of securitized control and humanitarian care.[19] For instance, the June 2018 proposal by the EU ministers about ‘controlled centres’ and ‘regional disembarkation platforms’, whereto ‘boat migrants’ can be deported, is framed as an innovative idea allowing Member States both to ‘stem illegal migration’ and simultaneously save vulnerable migrants by breaking the ‘business model’ of smugglers and traffickers purportedly in accordance with human rights and the rule of law.[20]
      Yet, the 2018 externalization proposal is not as innovative as it may seem. Between the 1980s and mid-2000s, five very similar – and similarly controversial – externalization proposals were put forth by the British, Danish, Dutch, and German governments and by the European Commission. And they all revolved around externalized centres in Eastern Europe and North Africa whereto EU Member States would send asylum seekers or interdicted ‘boat migrants’. The terminologies varied from ‘regional protection areas’ by the British, ‘processing centres’ by the Danes, ‘reception centres’ by the Dutch, ‘EU reception centres’ by the German, and ‘Regional Protection Programmes’ (RPPs) by the European Commission.[21] All but the RPP proposal focused on administrative deportation from European territory, so that, as put by the Blair government, ‘refoulement should be possible and the notion of an asylum seeker in[land] should die’.[22] By 2005, the German proposal had dropped any talk of extraterritorial asylum processing and moved on to identifying Libya as a promising collaborator for pre-emptive containment.[23] In light of the concurrent dysfunctional intra-European dynamics of the Dublin system, the proposals between 1986 and 2018 illustrate how the externalization logic has long been invoked as a magic remedy to the Dublin ills, always couched in crisis-laden and emergency-driven rhetoric, while also holding out vague promises of protection.
      Externalization can be criticized for co-opting protection in favour of methods of ‘consensual containment’ that re-produce displacement in regions neighbouring the EU.[24] For instance, especially since 2017, Italy and the EU have pursued a policy of transferring search and rescue to the so-called Libyan Coast Guard (LYCG), thereby effectively turning missions into operations of exit control. It is due to their material contribution and close involvement in the internal command-and-control structure of the Libyan forces that the LYCG performed 19,452 pull-backs in 2017.[25] Political discourses on externalization can, however, be seen as arguing that this kind of regionalist engineering creates ‘protection elsewhere’ based on three claims, popular in ethical discussions on border control within liberal national regimes. In the following, we analyse them through standing ethical debates about coercion and prevention, peoples’ rights to enter and exit territories, and democratic legitimacy.
      2.2. Coercion: From ‘protection elsewhere’ to ‘protection nowhere’

      First comes the claim that border control, and thus also its externalized manifestations, is not illegitimately coercive, because it is only preventive. Here, coercion has been referred to as when individuals are forced to do a specific thing, while prevention is taken to mean when they are forced not to do a specific thing.[26] Second comes the aforementioned argument that border control can be legitimate when agreed upon democratically.[27] Third follows the statement of an entry/exit-asymmetry signifying that people’s rights against one State not to prevent them from exiting its territory is held to be morally paramount, but that it does not entail an equally forceful obligation on any other State to let them enter their territory.[28]
      Combining these claims, we then arrive at a ‘protection elsewhere’ argument maintaining that externalization is legitimate, since agreed to by all governments involved, and because it preserves displaced persons’ rights through extraterritorial asylum processing. Even if the policy may block their movement, this argument goes, it only prevents them from entering European territory, while still allowing them to find protection elsewhere, after having exited their own country. The zero-sum game effect that the generalisation of this policy would generate goes unaverted – if all countries did the same there would be ‘protection nowhere’.[29]
      But this argument is categorically flawed. Its definitions of coercion and prevention are problematic and rest upon a disconnect between abstract assumptions about border control guiding liberal nationalistic immigration ethics and the actual reality of displacement and European border surveillance, discounting its concrete effects on the ground. EU externalization practices yield extremely coercive checks amounting to violent regimes of exit control, also contravening the legally-sanctioned right – assumed in debates on immigration ethics – to leave one’s own country.[30] That is, even if one, for the sake of argument, assumes the right to exit to hold more value than that of entry – since at international law one is universally applicable while the other is only opposable to one’s own country[31] – actual externalization practices still violate not just the latter, but also the former.[32] The containment of migrants in Libyan detention structures, for instance, reveals an abusive regime that bars access to asylum. Amnesty International has counted twenty reports from reliable monitors, including UN and EU sources, attesting to this reality.[33] The abject brutality facing displaced persons, contained and circulated through externalization, can only be labelled non-coercive prevention from a Eurocentric, and extremely abstract vantage point. In truth, they cause suffering on such a scale that they may amount to atrocity crimes, according to the ICC Prosecutor,[34] and, as the UN High Commissioner for Human Rights has put it, they constitute ‘an outrage to the conscience of humanity’ – at least as far as the situation in Libya is concerned.[35] Collaborative border infrastructures are endowed with the power to coerce at a distance, with externalization leading to practices of ‘remote control’ that extraterritorially negate access to the European asylum systems to those (theoretically) entitled to international protection,[36] literally ‘trapping’ migrants in a constant ‘cycle of abuse’.[37]
      Nevertheless, even if the ethical ‘protection elsewhere’ argument must be rejected as an invalid justification for current European externalization policies the reasons for it are instructive. Seeing how externalization produces highly coercive collaborative regimes of exit control makes clear the problematic ramifications of the reactive and regionalist assumptions on which it rests. Conventional views on international relations and forced migration see the displacement to which borders respond as induced by conflicts or developmental or environmental factors.[38] Yet, while attention to the causes of displacement is important, this model embraces borders as only reactive to – rather than also constitutive of – displacement. But this is wrong. A range of border practices and infrastructures, performed at or beyond the physical frontiers of the EU, such as interdiction, detention, and deportation, do not just react to, but also in themselves cause displacement, by diverting flows towards increasingly dangerous routes and by multiplying death ratios at sea and at border zones.[39] This ‘border-induced displacement’, therefore, challenges the regionalist and reactive premise that the production of forced migration is primarily a problem created outside European territory and agency and contests the structural incorporation of (foreseeably lethal) coercion as a legitimate mechanism of border control.
      EU-Libyan relations, since the 2000s, illustrate how externalization has built the infrastructures enabling this kind of coercive re-displacement. This problematizes prevailing assumptions still dominating immigration ethics and politics, namely that the agency of border control consists of States’ discretion over movement across their territorial borders. Externalization underscores the need to consider more composite notions of agency – and thus responsibility – decoupled from national territories, and spanning several governments, organisations as well as non-state actors.
      The decades-long European-Libyan collaboration on border control is a case in point. After the European Commission decided to lift its arms embargo against Libya in 2004, two ‘technical missions’ followed. The first, in 2004, was meant to ‘identify concrete measures for possible balanced EU-Libyan cooperation particularly on illegal immigration’ and the second, in 2007, to develop ‘an operational and technical partnership’ for extraterritorial border control.[40] The case of Libya is but one example of how European externalization policies have facilitated the transformation of European border control into a flourishing market of violent deterrence and containment,[41] with little to do with a rights-based protection paradigm, and also how third countries’ control apparatuses have become a lucrative export venture for the arms-, security-, and IT-industries of the EU Member States.[42]
      2.3. Trading in rights for border control

      Companies like Spanish Indra, British BAE Systems, Italian Leonardo, French Thales and Ocea, Dutch Damen, German Rheinmetall and Airbus all compete for contracts to expand the capacity for surveillance and control of not just Libya, but also other Eastern European, North African and Middle Eastern countries collaborating on EU externalization. In 2012, an industrial consulting actor valued the global border industry at €25.8 billion, projecting an increase to €56 billion by 2022.[43] And European sales of patrol boats, jeeps, planes, drones, satellites, helicopters, radar systems and whole surveillance mechanisms for border control purposes were part of the EU export licenses worth €82 billion to the Middle East and North Africa between 2005–2014.[44] This political economy of externalization also applies to the industries of EU partner countries. For instance, in 2016, the EU channelled more than €83 million to contracts with Turkish Aselsan and Otokar to provide heavily armoured vehicles placed, respectively, at the Greek-Turkish border and the newly constructed 911 kilometre border-wall between Turkey and Syria.[45]
      The dynamics reshaping third-country border infrastructures elucidate how borders can function as engines of, rather than just responses to, displacement. This means that arguments for externalization appealing to democratic legitimacy face more problems than merely the barring of access to asylum procedures: First, because when EU Member States use their political-economic leverage to make externalization deals with non-EU countries, they are effectively asking them to replace their own public interest with the EU preference of avoiding asylum seeker flows towards the Member States. Second, because several examples, like the EU collaboration with Libyan actors, including militias and former traffickers, as further discussed in the next section, illustrate how the EU’s externalization partners very often lack democratic legitimacy.[46] EU border externalization entrenches forms of undemocratic governance in third countries, empowering undemocratic actors, transforming their relative weight within domestic structures, and weakening democratic channels of scrutiny, accountability, and power control. Externalization thereby risks creating a vicious cycle, where the influx of arms and funds to those actors willing to enact the European containment agenda grants them political validity, which is then used to undermine not only migrant rights, but also to repress domestic opposition and dissidence and thus destabilize internal democratisation processes. The short-term European goal of preventing asylum seeker flows thereby risks compromising the stated long-term goal of tackling the root causes of displacement,[47] which is sacrificed in the altar of externalised ‘integrated border management’.[48]
      3. Legal distance-creation: The juridical implications of externalization and border-induced displacement

      Externalization has not only been encapsulated in political and policy arguments and practices, but has also been embedded in law through the ‘protection elsewhere’ model. The ‘protection elsewhere’ model ultimately rests on the assumption that refugees and migrants are best served ‘at home’, whether it be in their countries of origin or in the neighbouring region (but away from the EU at any rate). ‘Onward movements’ defy this logic and are thus seriously penalized. Responsibility for reception and asylum has accordingly been delegated (or redirected) to countries proximate to the source of flows, via targeted rules on ‘safe third countries’ and readmission agreements that legalise the practice. But, as stated above, this (re-)allocation of protection duties to peripheral States is also part and parcel of the Common European Asylum System within the EU. The Dublin Regulation enshrines and ‘rulifies’ this vision for the Member States, allowing non-external border countries to deflect responsibility in a legal manner.
      Against this background, EU countries feel legitimized to claim their own irresponsibility vis-à-vis non-Member States,[49] projecting the model onto their external relations and imposing compliance with EU control rules as a matter of course. Fatalities at sea and elsewhere are then presented as the result of disorder and illegality; something avoidable if only (EU) rules were observed and effectively enforced by non-EU partners. The structural conditions imposed by the externalization apparatus, and the injustice that ensues, are usually disregarded or downplayed as unintended collateral damage. The fact that illegality is the only way out of a situation of want or persecution, and that smuggling is the only remaining vehicle to reach safety, is routinely silenced. It is the smugglers who profit of the precarious situation of ‘boat migrants’ – the argument goes. So, the eradication of smuggling and a return to (EU) law and order is portrayed as the solution. The option to relax border control rules and adapt them to the imperatives of human dignity, decriminalising the irregular movement of forced migrants, is not even contemplated. That would be perceived as an illogical concession; a descent into chaos and the negation of the rule of (EU) law. This EU-centric conception of the law is what sustains the externalization edifice and nurtures the collaboration with third countries.
      At the legal-strategic level, externalization politics are accompanied by at least two degrees of ‘irresponsibilitization’, enshrined in, and sanctioned by, EU law: responsibility diffusion and responsibility denial. ‘Diffusion’ refers to the relational dimension of externalization, to situations of multi-actor alliance where the causation chain and attribution operation become unclear, with different agents and organs of different States contributing to a particular (unlawful) result. By contrast, ‘denial’ captures scenarios of outright disclaiming of responsibility, where this is said to belong to a different actor altogether, according to the (usually EU-based) rules in place (or their self-serving interpretation).
      3.1. Responsibility diffusion

      The creation of physical distance, via exit control, disembarkation platforms, holding sites, or reception camps abroad, contributes to ‘irresponsibilitization’ through diffusion. None of the proposals put forth so far clarifies exactly who should be considered responsible for those intercepted in, and repatriated to, Libya or any alternative location hosting the centres. The overall supposition appears to be that EU Member States would ultimately escape the task.[50] But there is some residual notion that European countries could not completely ‘circumvent’ their obligations[51] – albeit without elaboration, even the Legal Service of the European Parliament concedes that migrants sent to disembarkation platforms located outside the territory of the Member States ‘should benefit from the guarantees provided for in the 1951 Geneva Convention […] and in the European Convention of Human Rights’, including the principle of non-refoulement.[52]
      Actually, under international law, ‘no State can avoid responsibility by outsourcing or contracting out its obligations’.[53] Cooperation with third countries does not exonerate EU Member States from their non-refoulement and related duties – both under general customary law and as per the relevant international Conventions.[54] According to the Strasbourg Court, ‘[w]here States establish […] international agreements to pursue cooperation in certain fields of activity’, whatever their legal nature, validity, and intent,[55] ‘there may be implications for the protection of fundamental rights’. With this in mind, it would be ‘incompatible with the purpose and object of the [European Convention of Human Rights][56] if Contracting States were thereby absolved from their responsibility under the Convention in relation to the field of activity covered by such [agreements]’.[57] As a result, ‘[i]n so far as any liability under the Convention is or may be incurred, it is liability incurred by the Contracting State […]’.[58] Despite its cooperation with Libya or any other third country, the independent responsibility of each EU Member State participating in the scheme of externalized migration controls subsists, ‘where the person[s] in question […] risk suffering a flagrant denial of the guarantees and rights secured to [them] under the Convention’.[59]
      Nor would Member States be able to evade responsibility by transferring functions to the UNHCR or the IOM – whatever their support and potential separate liability.[60] ‘Absolving Contracting States completely from their Convention responsibility in the areas covered by such a transfer would [again] be incompatible with the purpose and object of the Convention’, as Strasbourg clarifies. The final effect would be for ‘the guarantees of the Convention [to] be limited or excluded at will thereby depriving it of its peremptory character and undermining the practical and effective nature of its safeguards’,[61] negating the basic premise of the pacta sunt servanda principle.[62] And the same is true in regard to other instruments of international human rights law.
      Even though several actors combine to produce re-displacement, individual responsibility for its effects cannot be deflected. The principle is well established in international law. Article 47 of the ILC Articles on Responsibility of States for International Wrongful Acts (ARSIWA) contemplates precisely the scenario where several States participate in the same internationally wrongful act, stipulating that in such cases ‘the responsibility of each State may be invoked in relation to that act’.[63] Each State retains responsibility and, according to the ILC Commentary, ‘is separately responsible for the conduct attributable to it’. The fact that one or more additional States also contribute to the same act in no way reduces the responsibility of each single country.[64] So, any orders or transfers performed, or orchestrated by, EU Member States will engage their responsibility for any resulting breaches of their international commitments.
      Neither the ‘disembarkation platforms’ proposal, nor any other of the similar initiatives emerged since the 1980s explored above specifies where exactly those repatriated or ‘pulled back’, whether to Libya or other third countries, would be accommodated.[65] It is conceivable that proponents envisage offshore reception centres to be closed, since the ultimate aim is to contain and deter irregular movement.[66] This then entails large-scale, and potentially long-term, detention, in breach of Article 5 ECHR guarantees,[67] which have been recognised to apply extraterritorially, extending to cases of deprivation of liberty abroad.[68] Yet, the border-induced displacement effects of externalization practices, like involuntary retention in international waters, forcible transfer to warships, coercive escorting or imposing of a certain course, constitute restrictions of physical freedom and need to accommodate the legal safeguards of the Convention.[69]
      It is not known whether the ‘disembarkation platforms’ proposal foresees transfers to the country concerned to be automatic. Should that be the case, EU Member States risk incurring direct and indirect violations of the prohibition of collective expulsion and the (non-derogable/non-limitable) protection against refoulement. Regarding the latter, the Strasbourg Court attaches paramount importance to country information contained in reports from independent sources,[70] so that when reliable accounts of the circumstances prevailing in the receiving State make it ‘sufficiently real and probable’ that the general situation entails a ‘real risk’ of ill treatment in the sense of Article 3 ECHR, a refoulement presumption is activated and removal cannot be performed.[71] What is more, on account of the absolute character of Article 3, Contracting Parties must undertake the relevant investigation proprio motu and abstain from actions/omissions that put individuals at risk. As the Court asserted in Hirsi, ‘it [is] for the national authorities, faced with a situation in which human rights [are] systematically violated […] to find out about the treatment to which the applicants would be exposed after their return’.[72] So, the Member States concerned are to comply with their non-refoulement obligations proactively, regardless of whether the persons in question seek protection or specifically alert of the dangers faced upon return. The fact that potential applicants fail to request asylum or to formally oppose their removal does not absolve Contracting Parties of their Convention duties,[73] and especially their positive due diligence obligations.
      This includes the requirement to provide access to adequate procedures.[74] Member States must offer a real opportunity for individuals to submit and defend their claims,[75] including an ‘effective remedy’.[76] This requires that the remedy in question be able to ‘prevent the execution of measures that are contrary to the Convention and whose effects are potentially irreversible’. Therefore, ‘it is inconsistent with Article 13 [ECHR] for such measures to be executed before the national authorities [of the Member State concerned] have examined whether they are compatible with the Convention’.[77] In these cases, appeals must have ‘automatic suspensive effect’.[78] And screening on board interdicting vessels or somewhere else offshore cannot satisfy these requirements.[79] Procedural responsibilities, just like substantive guarantees, cannot be deflected, postponed, or negated. The ultimate guarantors of ECHR safeguards are the Contracting Parties, which must ‘secure to everyone within their jurisdiction the rights and freedoms defined in [the] Convention’.[80]
      Due diligence commands the dual duty to refrain from any conduct that may result in arbitrary violations as well as the obligation to enact laws and policies that effectively protect individuals against abuse. Following the Human Rights Committee’s recent General Comment on the Right to Life, by analogy, State Parties are required to ‘organise all State organs and governance structures through which public authority is exercised in a manner consistent with the need to respect and ensure [human rights]’. This includes a duty of ‘continuous supervision’ in order to ‘prevent, investigate, punish and remedy’ any harm.[81] As a result, actions such as the ‘sale […] of […] weapons’, and presumably other similar law enforcement and border control equipment, must be preceded by a conscientious examination of its foreseeable impact on human rights.[82] As members of the international community and as subjects of customary law, States must take into account
      ‘their responsibility […] to protect lives and to oppose widespread or systematic attacks on [human rights]’[83] – like those sustained by migrants in Libya.[84] And, in particular, States have an obligation under general international law ‘not to aid or assist activities undertaken by other States and non-State actors that violate [human rights]’.[85]

      All these reasons should lead to the rejection of ‘disembarkation platforms’ and similar initiatives as ‘externalization fantasyland’.[86] EU Member States should not invest in a formula that promotes cooperation with human rights perpetrators and impedes the fulfilment of their pre-contracted obligations – such a course would hardly qualify as a good faith implementation of their binding commitments.[87] Instead, domestic systems of territorial protection should be reinforced, including the necessary intra-EU solidarity and responsibility-sharing mechanisms to make them effective.[88] Physical distance-creation, through off-shoring and outsourcing, does not translate into an erasure or diminution of legal duties. EU rules on ‘safe third countries’ and readmission cannot (unilaterally) undo international standards.[89]
      3.2. Responsibility denial

      Besides tools of responsibility deflection, mechanisms of outright denial of obligations are equally challenging. Usually, the capacitation of third countries’ control infrastructures, mimicking the Schengen ‘integrated border management’ system,[90] is framed as unproblematic. The transfer of funds, know-how, and equipment, as in the cases referred to in the previous section, are considered to emanate from a spirit of solidarity with non-EU partners and to be fully in line with the relevant criteria. The ethical distance between the EU or Member State gifting assets, ceding resources, or providing training and any potential human rights violations that may ensue is taken to preclude liability. There is no intent – no dolus specialis – intervening in the operation. Thus, the denial of responsibility on the European side for the atrocities in Libya, the abuses in Turkey, or the fatalities at sea associated with border-induced displacement, commonly recurs.[91]
      Yet, international law paints a more complex picture.[92] If one considers that it is ‘thanks’[93] to Italy, for instance, that the LYCG continues to exist in any functional form in the post-Kaddafi period,[94] an outright denial of responsibility becomes difficult.[95]
      Especially since the signature of the Memorandum of Understanding between Italy and the Libyan Government of National Accord in February 2017,[96] the delivery of training, equipment, and assets (including the four main patrol vessels employed by the LYCG) has intensified. Italy has created a dedicated ‘Africa Fund’, € 2.5 million of which has been allocated to the maintenance of LYCG boats and the training of their crews.[97] The EU, too, has committed € 46 million to prop up Libyan interdiction capacity.[98] It has been calculated that the total combined investment by Italy and the EU will be € 285 million by 2023,[99] with the EU alone providing € 282 million – most of which via programmes administered, coordinated, or supervised by Italy.[100] In addition, an extension of the Mare Sicuro Operation, named NAURAS,[101] was approved by the Italian Parliament in August 2017, consisting of four ships, four helicopters, and 600 servicemen, of which 70 per cent are deployed at sea, with the other 30 per cent stationed in Tripoli harbour. Their key mission, as declared by the Italian Navy itself, is to ‘establish [the] operational condition[s] for LN/LNCG [i.e. Libyan Navy and LYCG] assets and develop C2 [ie command-and-control] capabilities’. Meanwhile, an ‘ITN [ie Italian Navy] naval asset in Tripoli Harbour [is] acting as LNCC [ie Libyan Navy Communication Centre] and logistic assistance/support hub’, thus assuming the function of a floating maritime rescue coordination centre.[102]
      The nature of the LYCG as a proxy for Italian interdiction has furthermore been confirmed by the judge of Catania adjudicating on the related case concerning the rescue ship Open Arms of the NGO Proactiva. In his decision, the judge takes as proven the crucial role played by Italy in leading LYCG operations. The judge goes so far as to affirm that the interventions of Libyan patrol vessels happen ‘under the aegis of the Italian Navy’ and that the coordination of rescue missions is ‘essentially entrusted to the Italian Navy, with its own naval assets and with those provided to the Libyans’.[103] This corroborates the ‘high degree of integration’ between the two,[104] and the ‘effective control’ exercised by Italy over LYCG operations, making ensuing violations attributable to it.[105]
      The subsequent abuse of those pulled back to Tripoli happens despite Italy’s knowledge of the desperate situation facing migrants in Libya, including widespread and systematic torture, rape, inhuman and degrading treatment, and enslavement. The Deputy Minister for Foreign Affairs himself admitted that ‘taking [migrants] back to Libya, at this moment, means taking them back to hell’.[106] Nonetheless, the interdiction by proxy policy of Italy continues.[107] Amnesty International estimates that there are over 10,000 persons currently held in official detention centres in Libya – all of which funded through EU/Italian money. And, virtually all of them have been brought there as a result of their interdiction at sea by the EU/Italian-equipped and -trained LYCG.[108] Consequently, the combination of control exercised – though ‘contactless’[109] – and the knowledge of the circumstances migrants face should be understood to render Italy answerable for the resulting human rights violations, even if the LYCG is used as a surrogate.
      As per Article 8 ARSIWA, ‘[t]he conduct of a person or group of persons [such as the LYCG] shall be considered an act of a State [i.e. Italy in this case]’, when the group in question ‘is in fact acting on the instructions of, or under the direction or control of, that State in carrying out the conduct’. Taking the Italian Navy and the Judge of Catania’s assertions at face value, the LYCG are to be considered ‘auxiliaries’ of the Italian border machinery deployed extraterritorially, ‘instructed to carry out particular [interdiction] missions abroad’. The Italian Navy conducts the specific operations through its NAURAS effectives exercising coordination as well as command-and-control functions, meaning that the (wrongful) conduct of the LYCG shall be considered ‘an integral part of the operations’ aimed at impeding departures across the Central Mediterranean and thus be attributed to Italy.[110] It is the Italian authorities that locate targets, relay maritime coordinates, and equip and mandate the LYCG to proceed to the interdiction of migrant boats.[111] It is Italy that ‘directs’ the operations in a way that ‘does not encompass mere incitement or suggestion but rather connotes actual direction of an operative kind’.[112] Italian intervention is a sine qua non for the ‘pull-backs’ at sea to materialise, which could not be carried out autonomously by the LYCG.[113] Italy exercises ‘such a degree of control […] as to justify treating the [LYCG] as acting on its behalf’.[114]
      Italy’s involvement in Libyan search and rescue (or rather, interdiction) operations, in different ways and throughout time, rather than just an instance of complicity,[115] engaging indirect responsibility, can thus be characterised as a breach entailing direct responsibility, consisting of a ‘composite act’. Article 15 ARSIWA establishes that an international obligation (of non-refoulement, for instance, and of non-arbitrary interference with the right to leave) may indeed be violated via ‘a series of actions or omissions defined in aggregate as wrongful’. The financing or training of the LYCG alone may be harmless and perfectly licit, but, when taken together and alongside the infiltration of the command-and-control chain of the LYCG by the Italian Navy, the whole, in light of the final outcome of pull-backs, becomes an illicit under international law.
      Italian jurisdiction may indeed be engaged not only in relation to action occurring within its territory and in other areas subject to its ‘effective control’, but, as the Human Rights Committee has stated, also regarding conduct ‘having a direct and reasonably foreseeable impact on the right[s] […] of individuals [abroad]’.[116] The obligation to respect and protect human rights extends beyond territorial domain to all persons subject to its jurisdiction, that is, to ‘all persons over whose enjoyment of the right[s] [concerned] it exercises power’, including ‘persons located outside any territory effectively controlled by the State, whose [rights are] nonetheless impacted by its military and other activities’ – the transfer of money, equipment and enforcement capacity thus acquiring a significance of its own as a possible trigger of independent responsibility for wrongful conduct.[117] Not only the aiding and abetting of human rights violations is of relevance, whatever the form the assistance provided to the LYCG may take (whether commercial, financial, political, or logistical), but also actions (or omissions) that impede the effective enjoyment of human rights – counting the right to leave any country, to seek protection from harm, and to non-refoulement – matter too, from a legal perspective.[118] Following the Legal Service of the European Parliament in the context of its viability analysis of ‘disembarkation platforms’, engagement in any formal or informal arrangement with third countries – including Libya – to finance or contribute to the functioning of externalized structures of migration control ‘have to respect the prescriptions of the relevant provisions of international law’[119] – presumably including those under the ECHR, the ICCPR and general customary norms.[120] Failure to do so flouts the obligations concerned. Direct perpetration of an international wrong is not a pre-requisite for legal responsibility. Indirect contraventions – including via proxy – incur liability as well.[121]
      Distance-creation, through the ‘rulification’ of ‘irresponsibility’ in legal texts or self-seeking effectuations, does not do away with international obligations, nor does it legitimize the suffering it provokes. The EU and its Member States must come to recognise the predictable effect and implications of their externalization agenda. And, alongside the UN Special Rapporteur on Torture, acknowledge that, as currently designed, their ‘migration policies can amount to ill-treatment’.[122] Actually, ‘[t]he primary cause for the massive abuse suffered by migrants […] is neither migration itself, nor organised crime […] but the growing tendency of States to base their official migration policies and practices on deterrence, criminalisation and discrimination’.[123] It is this distinct strategy that causes border-induced displacement, breaches human rights obligations and triggers international legal responsibility.[124]
      4. Conclusion: ‘Rulification’ as the co-option of protection

      ‘Rulification’ does not represent a paradigm shift in European politics, but rather an up-scaling of the logic observable also in proposals pursued from the 1980s and onwards and which have led to the integration of the concepts of ‘first country of arrival’, ‘safe third country’ and maritime interdiction within the legal architecture of the common borders and asylum acquis, the primary purpose of which has been the avoidance of asylum seekers on EU territory. It is the abuse and exploitation entrenched within externalization strategies that engenders border-induced displacement in Europe’s border-region. With EU Member States viewing the opening up of legal escape routes as an irrational concession, the side-effects of externalization are exacerbated as the systemic logic of asymmetric, diffused, and denied responsibility for displaced persons is reproduced further and further away from Europe, and closer and closer to the repressive regimes people attempt to escape from.
      The reactionary and regionalist assumptions underpinning externalization arguments and practices tell a securitized tale of displacements constantly generated and managed far removed from European territory and agency. However, distance-creation strategies, whether ethical, spatial, or legal, belong to the category of ‘policies based on deterrence, militarization and extraterritoriality’, denounced by UN Special Rapporteurs and others, ‘which implicitly or explicitly tolerate [and perpetuate] the risk of migrant deaths as part of an effective control of entry’.[125] As the previous sections demonstrate, the structural nature of externalization problematizes traditional assumptions and debates in immigration ethics and politics. It traps migrants in a ‘vicious circle’ of more control, more danger, and more displacement, where they must rely on facilitators to escape life-threatening perils.[126]
      But smuggling and trafficking is the consequence, rather than the cause, of suffering. Suffering is embedded in the externalization system by design through the vehicle of ‘rulification’, which serves to launder the pernicious (and perfectly foreseeable) impact of extra-territorialised/externalised coercion into ‘law-ified’ (and purportedly unintended) side effects. At the same time, the European transfer of equipment and capacity for control outwards also risks undermining processes of accountability and democratic legitimacy in regions bordering Europe. And the ‘rulification’ of border-induced displacement does not make these implications any more palatable. In the words of UN Special Rapporteur Agnès Callamard, it is simply ‘not acceptable’ to deter entry by endangering life.[127] The fallacy of coercion-based protection needs to give way to an ethically grounded and legally sustainable rights-honouring paradigm. This is not to contest the legal existence of borders or their enforcement, but to challenge the legitimacy of mechanisms through which they are presently enacted in a manner incompatible with the most basic requirements of international law.

      http://www.qil-qdi.org/border-induced-displacement-the-ethical-and-legal-implications-of-distance-
      #responsabilité #déni_de_responsabilité #protection

  • Armi italiane nel mondo: dove finiscono e chi colpiscono

    Bombe per decine di milioni di euro all’Arabia Saudita, che le usa nella guerra in Yemen. E le armi italiane finiscono pure in Nord Africa, Turchia e in tanti altri paesi del Medio Oriente. Un commercio che vede tra i protagonisti la #Rwm_Italia (della #Rheinmetall) e le autorità italiane che lo permettono. Una situazione così grave che gli attivisti hanno presentato un esposto.

    Più di 45 milioni di euro di bombe all’Arabia Saudita. Una fornitura che rappresenta un record non solo per la piccola azienda di Domusnovas in Sardegna, dove la Rwm Italia produce bombe aeree del tipo MK 82. MK83 e MK84 per conto della multinazionale tedesca Rheinmetall, ma per l’intera produzione italiana di ordigni.

    Un dato che, considerata la rilevanza a livello manifatturiero e soprattutto la criticità del destinatario e utilizzatore finale, dovrebbe apparire in chiara evidenza nella Relazione destinata al Parlamento. Di cui, invece, non si trova menzione nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento per l’anno 2017” pubblicata – in totale silenzio (nemmeno un tweet per annunciarla) – lo scorso venerdì 4 maggio sul sito del Senato (ma non ancora disponibile su quello della Camera).
    Armi italiane in Medio Oriente e Nord Africa

    Della Relazione sul controllo del commercio di armi ci siamo in parte già occupati, commentando alcune anticipazioni offerte, in modo alquanto insolito, dal direttore dell’Unità nazionale per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama), Francesco Azzarello, con una sua intervista all’Ansa. Ma i dati che emergono dal documento ufficiale sono molto più preoccupanti di quelli finora anticipati.

    Innanzitutto perché, degli oltre 10,3 miliardi di euro di autorizzazioni all’esportazione di materiali d’armamento rilasciate nel 2017 dal governo Gentiloni, il 57,5% è destinato a Paesi non appartenenti all’Ue o alla Nato e prevalentemente ai paesi del Medio Oriente e Nord Africa. Ma soprattutto perché tra i principali destinatati figurano nazioni belligeranti, monarchie assolute, regimi autoritari irrispettosi dei diritti umani, governi fortemente repressivi.

    L’esatto opposto di quello che ci si aspetterebbe: ai sensi della normativa nazionale che regolamenta questa materia, la legge 185 del 1990, le esportazioni di armamenti «devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e dovrebbero essere regolamentate «secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 1).
    Guerra in Yemen e regimi: le armi italiane nel mondo

    L’elenco di questi Paesi è impressionante. Si comincia con il Qatar (4,2 miliardi di euro), a cui sono state fornite da Fincantieri quattro corvette, una nave per operazioni anfibie e due pattugliatori e in aggiunta il sistema di combattimento e missilistico della Mbda: un intero arsenale bellico che la sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, onorevole Maria Elena Boschi, nella sezione di sua competenza liquida sbrigativamente come una mera «fornitura di navi e di batterie costiere».

    Segue l’Arabia Saudita (52 milioni), a cui vanno aggiunti altri 245 milioni di euro per gli Efa “Al Salam” e i Tornado “Al Yamamah” riportati nei programmi intergovernativi.

    E poi Turchia (266 milioni), Pakistan (174 milioni), Algeria (166 milioni), Oman (69 milioni), Iraq (55 milioni), Emirati Arabi Uniti (29 milioni), Giordania (14 milioni), Malaysia (10 milioni), Marocco (7,7 milioni), Egitto (7,3 milioni), Tunisia (5,5 milioni), Kuwait (2,9 milioni), Turkmenistan (2,2 milioni).
    #Pakistan #Algérie #Oman #Irak #EAU #Emirats_Arabes_Unis #Jordanie #Malaysie #Maroc #Birmanie #Egypte #Tunisie #Kuwaït #Turkmenistan

    Come ha rilevato con un comunicato la Rete italiana per il Disarmo, «il risultato è evidente: gli affari “armati” dell’industria a produzione militare italiana si indirizzano sempre di più al di fuori dei contesti di alleanze internazionali dell’Italia verso le aree più problematiche del mondo».

    Armi all’Arabia Saudita: «Violati i diritti umani»

    Soprattutto le forniture di armamenti all’Arabia Saudita sono state oggetto di specifiche denunce da parte delle associazioni pacifiste italiane ed europee. Si tratta di forniture – non va dimenticato – che il Parlamento europeo ha chiesto con tre specifiche risoluzioni di interrompere ponendo un embargo sugli armamenti destinati all’Arabia Saudita «visto il coinvolgimento del paese nelle gravi violazioni del diritto umanitario accertato dalle autorità competenti delle Nazioni Unite» (risoluzione del Parlamento europeo sulle esportazioni di armi del 13 settembre 2017).

    Insieme all’’European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr) e all’organizzazione yemenita per i diritti umani Mwatana, lo scorso 18 aprile la Rete Italiana per il Disarmo ha presentato una denuncia penale alla Procura della Repubblica italiana di Roma.
    Autorità e Rwm Italia: chiesta apertura indagine

    Nella denuncia si chiede che venga avviata un’indagine sulla responsabilità penale dell’Autorità italiana che autorizza le esportazioni di armamenti (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento – Uama) e degli amministratori della società produttrice di armi Rwm Italia S.p.A. per le esportazioni di armamenti destinate ai membri della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita coinvolti nel conflitto in Yemen.

    La denuncia è estremamente dettagliata e riporta il caso di un raid aereo effettuato l’8 ottobre 2016, verosimilmente dalla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, che ha colpito il villaggio di Deir Al-Hajari, nello Yemen nord-occidentale, distruggendo la casa della famiglia Houssini e uccidendo sei persone, tra cui una madre incinta e quattro bambini. Sul luogo dell’attacco sono stati rinvenuti dei resti di bombe e un anello di sospensione prodotti da Rwm Italia.
    Rheinmetall nel mirino dell’azionariato critico

    Le associazioni non si sono limitate alla denuncia. Per sensibilizzare l’opinione pubblica la Fondazione Finanza Etica (Ffe) ha partecipato lo scorso 8 maggio a Berlino all’assemblea degli azionisti della Rheinmetall, l’azienda che controlla la Rwm Italia.

    All’assemblea era presente, in rappresentanza delle associazioni pacifiste italiane, Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Disarmo. Numerose anche le organizzazioni tedesche che, acquistando azioni della Rheinmetall, hanno potuto partecipare all’assemblea dei soci: tra le altre va ricordata la banca cattolica Bank für Kirche und Caritas (presente in rappresentanza del network SfC-Shareholder for Change), Urgewald, Campact, varie associazioni cattoliche ed Ecchr (European Centre for Constitutional and Human Rights).

    Particolarmente significativo l’intervento di Bonyan Gamal, in cui l’attivista yemenita di Mwatana ha descritto la tragica morte della famiglia Houssini, suoi vicini di casa, centrati da una bomba prodotta dalla Rwm Italia.
    Mons. Zedda su Rwm Italia: «No a produzione di armi»

    Una presa di posizione quanto mai significativa è venuta dal vescovo di Iglesias, monsignor Giovanni Paolo Zedda. Il prelato è titolare della diocesi di cui fa parte Domusnovas, dove ha sede la fabbrica della Rwm Italia. Dopo aver ricordato nel suo messaggio la «gravissima situazione occupativa» nell’iglesiente, monsignor Zedda evidenzia che «la gravissima situazione economico-sociale non può legittimare qualsiasi attività economica e produttiva, senza che ne valutiamo responsabilmente la sostenibilità, la dignità e l’attenzione alla tutela dei diritti di ogni persona».

    «In particolare, non si può omologare la produzione di beni necessari per la vita con quella che sicuramente produce morte. Tale è il caso delle armi che – è purtroppo certo – vengono prodotte nel nostro territorio e usate per una guerra che ha causato e continua a generare migliaia di morti».

    E, in merito ai piani proposti dalla Rwm Italia per ampliare la fabbrica, monsignor Zedda afferma con chiarezza: «Qualunque idea di conservazione o di allargamento di produzione di armi è da rifiutare». Un messaggio che è stato accolto con grande attenzione dai partecipanti al convegno “Pace, lavoro, sviluppo”, che proprio in quei giorni si teneva a Iglesias per riflettere anche sulle prospettive di una possibile riconversione della fabbrica delle bombe.


    https://www.osservatoriodiritti.it/2018/05/15/armi-italiane-nel-mondo-arabia-saudita-yemen
    #armes #Italie #armement #commerce_d'armes #Arabie_Saoudite #Yémen #Turquie
    cc @albertocampiphoto

    • Armi italiane in Yemen: Governo del Cambiamento alla prova

      Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, vuole vederci chiaro sull’esportazione di armi italiane verso Arabia Saudita e altri Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen. E si dichiara pronta a bloccare le vendite di armi «verso Paesi in guerra o verso altri Paesi che potrebbero rivenderle a chi è coinvolto». Nel frattempo, però, servirebbe più trasparenza.

      Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha annunciato ieri l’intenzione, «laddove si configurasse una violazione della legge 185 del 1990», di interrompere le esportazioni di armamenti a Paesi coinvolti in conflitti bellici. L’annuncio, pubblicato sulla sua pagina Facebook, fa seguito a una serie di dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi da diversi parlamentari del Movimento 5 Stelle (M5S) ed in particolare dal suo leader politico, Luigi Di Maio.

      Al termine della riunione della Cabina di Regia per l’Italia internazionale, il ministro dello Sviluppo economico, Di Maio, aveva infatti affermato:

      «Non vogliamo, ad esempio, continuare ad esportare armi verso Paesi in guerra o verso altri Paesi che, a loro volta, potrebbero rivenderle a chi è coinvolto in un conflitto bellico».

      Una dichiarazione salutata positivamente da alcuni parlamentari del M5S che hanno annunciato di voler avviare iniziative parlamentari «per imprimere un cambiamento anche in questo settore».
      Trenta chiede chiarimenti su esportazione armi italiane

      Ma torniamo alla dichiarazione del ministro della Difesa. A fronte delle «immagini di quel che accade in Yemen ormai da diversi anni», Elisabetta Trenta annuncia innanzitutto di aver chiesto «un resoconto dell’export, o del transito di bombe o altri armamenti dall’Italia all’Arabia Saudita». Il ministro, specificando agli organi di stampa che «fino ad ora, erroneamente, si era attribuita la paternità della questione al ministero della Difesa, mentre la competenza è del ministero degli Affari Esteri (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento-UAMA)», comunica di aver inviato «venerdì scorso una richiesta di chiarimenti, sottolineando – laddove si configurasse una violazione della legge 185 del 1990 – di interrompere subito l’export e far decadere immediatamente i contratti in essere».

      Si tratta, evidenzia, di «contratti firmati e portati avanti dal precedente governo» (leggi Armi italiane ai regimi autoritari). La titolare della Difesa annuncia infine di aver «allertato il collega Moavero, che sono certa si interesserà quanto prima dell’argomento». Al momento, dal ministero degli Esteri non risulta alcuna risposta. Ma la dichiarazione della Trenta evidenzia un’attenzione, finora inedita, da parte di un organo governativo, da non sottovalutare.
      Rete Disarmo e Amnesty su armi italiane vendute all’estero

      La Rete italiana per il Disarmo, che per anni insieme a diverse altre organizzazioni della società civile ha sollevato in varie sedi la questione, ha salutato positivamente la presa di posizione della ministro Trenta sulla questione delle vendite di bombe italiane all’Arabia Saudita, evidenziando che «va nella giusta direzione e verso l’unica e sola soluzione sensata e umana: lo stop di qualsiasi fornitura militare».

      https://www.osservatoriodiritti.it/2018/09/18/armi-italiane-in-yemen-arabia-saudita

    • Triplicherà la produzione la fabbrica di bombe in Sardegna che rifornisce i sauditi

      L’azienda tedesca investe sulle sue filiali all’estero per aggirare il blocco di forniture a Riyadh imposto da Angela Merkel

      #Rwm verso l’ampliamento. Il comitato di riconversione e Italia Nostra Sardegna in piazza per protestare: «Il comune di Iglesias non ci ascolta»

      La Rwm, la fabbrica di bombe situata a Domusnovas in Sardegna, triplicherà la sua produzione e amplierà le sue strutture su un territorio che rientra sotto il comune di Iglesias. È prevista la costruzione di due nuovi reparti produttivi; a giorni verrà pubblicata l’autorizzazione sull’albo pretorio comunale.

      Secondo Italia Nostra Sardegna, la richiesta di autorizzazione all’ampliamento è stata formulata in modo che i due reparti impiegati nel processo di miscelazione, caricamento e finitura di materiali esplodenti non vengano inquadrati come impianti chimici, così da eludere le valutazioni di Impatto ambientale e il coinvolgimento della Regione Sardegna. Con i due nuovi reparti la produzione passerà da 5 mila a 15 mila bombe l’anno.

      La Rwm è tristemente famosa per le forniture all’Arabia Saudita, che utilizza gli ordigni per bombardare i civili in Yemen nella guerra contro i ribelli sciiti Houthi che ormai va avanti dal 2015. La fabbrica è una filiale dell’azienda tedesca di armamenti Rheinmetall, il cui presidente Papperger già a maggio scorso dichiarava durante il consiglio di amministrazione il rinnovo di investimenti per il sito di Domusnovas. Gli investimenti sono arrivati e l’ampliamento ha ricevuto l’autorizzazione.

      In circa 18 mesi i lavori dovrebbero essere conclusi: a dare la tempistica approssimativa era stato proprio l’amministratore delegato di Rwm, Fabio Sgarzi, in un’intervista a La Nuova Sardegna lo scorso luglio. Proprio in quel periodo, infatti, la società aveva presentato la richiesta di ampliamento per la quale lo scorso 3 novembre è scaduta la prima fase autorizzativa.

      «Non possiamo essere complici di una tale sciagura» dichiara Arnaldo Scarpa, portavoce del Comitato di riconversione, che giovedì 8 novembre era in piazza assieme all’associazione Italia Nostra Sardegna per un sit in di protesta. Lo scorso luglio le due associazioni si sono costituite nella Conferenza dei Servizi, in cui vengono presi in considerazione gli interessi pubblici, per richiedere la necessità di una valutazione di impatto ambientale. Ma questa volta non sono stati ascoltati: in assenza di pareri contrari, la procedura di ampliamento va avanti. «Diventa così ancora più importante la protesta” continua Scarpa “Stiamo valutando gli estremi per un ricorso al Tar».

      È dal 2016 che la Rwm prova ad ampliarsi nel territorio di Iglesias: due anni fa, infatti, la società aveva richiesto l’autorizzazione per la costruzione di un nuovo campo per i test. Ma questa richiesta è al momento bloccata in fase istruttoria presso la regione Sardegna, in attesa di una Valutazione di impatto ambientale, istanza fortemente voluta dall’associazione Italia Nostra Sardegna. Fino ad ora, denunciano le associazioni, la politica locale non ha preso una posizione, sostenendo che l’approvazione o il rigetto delle autorizzazioni di ampliamento siano questioni puramente tecniche di competenza del Suap (Sportello unico per le attività produttive). «Ci siamo rivolti direttamente al Sindaco di Iglesias, al responsabile del Suap e al responsabile del procedimento del comune di Iglesias, speriamo che in questi giorni la situazione possa essere ribaltata” conclude Scarpa «la lotta non violenta continua e con maggiore motivazione».

      I progetti di espansione peraltro vanno nella direzione contraria a quella indicata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, che in relazione al caso Kashoggi ha minacciato di sospendere il commercio di armi con l’Arabia Saudita. Di fatto però la Merkel sa benissimo che in mancanza di una regolamentazione definita sulle filiali all’estero, le grosse aziende tedesche di armi possono continuare a commerciare impunite.

      La Rheinmetall infatti sta implementando gli investimenti sulle sue due più grosse succursali all’estero: da un lato procede all’ampliamento della sarda Rwm e dall’altra ha appena ricevuto una grossa offerta dalla compagnia della difesa saudita Sami (Saudi Arabian Military Industries) per la sudafricana Rdm (Rheinmetall Denel Munition). Secondo una fonte anonima riportata dalla Reuters l’offerta ammonterebbe a un miliardo di dollari e riguarderebbe Denel, l’azienda che dal 2008 si è legata in una join venture con la Rheinmetall Waffe Munition tedesca e che attualmente detiene il 49% della filiale sudafricana. In tale modo i sauditi, con una quota di minoranza, entrerebbero di diritto nel consiglio di amministrazione e riuscirebbero ad impossessarsi di una grossa parte della fabbrica.

      Se nelle dichiarazioni politiche viene messa in discussione la possibilità di commerciare con l’Arabia Saudita, nei fatti quando si parla di affari milionari, la solidarietà tra i vari paesi coinvolti risulta più compatta che mai.

      https://www.dirittiglobali.it/2018/11/triplichera-la-produzione-la-fabbrica-di-bombe-in-sardegna-che-riforn
      #Allemagne

    • Armi italiane vendute all’estero per rilanciare il “Sistema Paese”

      Il Governo del Cambiamento non ha intenzione di rinunciare alla vendita di armi italiane in Medio Oriente. Tanto che per il sottosegretario alla Difesa Tofalo si tratta di un business «da sfruttare al massimo». Con buona pace dei diritti umani violati dall’Arabia Saudia nella guerra in Yemen. Società civile e Comuni, invece, chiedono un’inversione di rotta

      Ha preso il via domenica scorsa Idex 2019 (International Defence Exhibition), l’esposizione biennale di sistemi militari di Abu Dhabi giunta alla quattordicesima edizione. Un salone che rappresenta il punto di riferimento per i ricchi acquirenti del Medio Oriente e, soprattutto, per le aziende produttrici di armamenti.

      Come annunciato (leggi Marina militare: dalla Spezia al Medio Oriente per affari di guerra), la Marina Militare ha voluto inviare ad Abu Dhabi la fregata Margottini per arricchire con le sue tecnologie belliche il salone Navdex, che si tiene in contemporanea a Idex.

      Tra le 1.235 aziende di 57 Paesi, la presenza italiana è rilevante: 31 aziende, tra cui oltre ai colossi #Leonardo (ex #Finmeccanica) e #Fincantieri, figurano i produttori di bombe (#Simmel_Difesa del gruppo francese #Nexter), di “armi leggere” (#Beretta, #Benelli, #Tanfoglio, #Fiocchi, ma anche la meno nota #Mateba), di “materiali da difesa” di ogni tipo e soprattutto di sistemi elettronici tra cui spicca #Hacking_Team, l’azienda sospettata di essere coinvolta nello spionaggio di Giulio Regeni (con relative proteste dell’azienda) e anche nel caso dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi.

      In breve, un ampio campionario dell’arsenale bellico italiano, pesante e leggero, con tanto di associazione di rappresentanza, l’Aiad (Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza), la cosiddetta “Confindustria degli armamenti”, capitanata dal suo presidente Guido Crosetto che è anche coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia.

      Armi italiane vendute all’estero: occasione da “sfruttare”

      In questo contesto non poteva certo mancare la visita di un rappresentante del governo italiano: vi ha infatti partecipato il sottosegretario alla Difesa, l’onorevole pentastellato Angelo Tofalo. Per non far passare inosservata la sua presenza, il sottosegretario ha voluto dedicare al salone militare un ampio scritto sulla sua pagina Facebook con tanto di foto ricordo della visita agli stand ed in particolare del suo incontro con Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il Principe erede dell’Emirato di Abu Dhabi e delegato per il ministero della Difesa.

      Un resoconto entusiasta, in cui il sottosegretario parla di Idex 2019 nei termini di «una grande opportunità per stabilire e rafforzare cooperazioni con i principali attori dell’area», di «un’occasione da sfruttare al massimo» e, soprattutto, del suo ruolo «per sostenere le nostre eccellenze (…) per affermare il “made in Italy” nel mercato internazionale». «Anche questo vuol dire fare politica, quella buona, e gli interessi dell’Italia», chiosa Tofalo.

      Dichiarazioni in perfetto stile “commesso viaggiatore” dell’industria militare italiana. Quanto questo risponda al suo ruolo di sottosegretario alla Difesa, il cui compito principale sarebbe quello di assicurare la sicurezza del nostro Paese a fronte della minaccia che queste monarchie rappresentano (ne parlo più sotto), non è dato di sapere.

      In sfregio alle violazioni e ai crimini di guerra

      La partecipazione di Tofalo a Idex 2019 è un messaggio molto chiaro: il governo Conte non intende rinunciare agli affari militari e coglie l’occasione del salone di Abu Dhabi per rafforzare i legami con le monarchie del Golfo. Manifestando così il suo appoggio politico all’intervento militare che vede protagonisti gli Emirati Arabi insieme ai sauditi in Yemen.

      Un sostegno inammissibile alla luce della relazione dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani dell’agosto scorso che documenta come tutte le parti implicate nel conflitto nello Yemen stiano commettendo “crimini di guerra”. E in totale disprezzo della risoluzione 2018/2853 del Parlamento europeo che lo scorso ottobre ha esortato tutti gli Stati membri dell’Ue ad «astenersi dal vendere armi e attrezzature militari all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e a qualsiasi membro della coalizione internazionale, nonché al governo yemenita e ad altre parti del conflitto».

      Sulla questione dello Yemen il sedicente governo del Cambiamento quindi si mostra non solo in perfetta continuità con i governi che l’hanno preceduto (leggi Armi italiane in Yemen: Governo del Cambiamento alla prova), ma anzi intende incentivare le forniture belliche perché – come spiega il sottosegretario Tofalo – «in questo settore, quando viene a crearsi un bisogno, accade che tanti competitor sono pronti a inserirsi e affermare le proprie tecnologie e prodotti». E per promuovere l’export armato sta pensando «ad una a grande fiera sull’Industria della Difesa, magari a Milano», scrive Tofalo nel suo post.
      Armi sviate alle milizie in Yemen

      Tutto questo avviene a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione di un rapporto in cui Amnesty International documenta che «gli Emirati Arabi Uniti sono diventati il principale fornitore di veicoli blindati, sistemi di mortaio, fucili, pistole e mitragliatrici a milizie presenti in Yemen che compiono crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani in modo del tutto impunito».

      Non solo. Amnesty evidenzia che «i gruppi armati destinatari finali di questi loschi traffici – tra cui i “Giganti”, la “Cintura di sicurezza” e le “Forze di elite” – sono addestrati e finanziati dagli Emirati Arabi Uniti ma non rispondono ad alcun governo». Alcuni di loro sono stati accusati di crimini di guerra, anche nel corso della recente offensiva contro la città portuale di Hodeidah e nella gestione del sistema di prigioni segrete nel sud dello Yemen».
      Guerra in Yemen: anche gli Usa ci ripensano

      Accuse confermate da un’inchiesta della CNN che documenta come Arabia Saudita e Emirati Arabi hanno trasferito armamenti di fabbricazione americana a combattenti legati ad al Qaeda, alle milizie salafite e ad altre fazioni attive nella guerra nello Yemen. Arabia Saudita e Emirati Arabi «hanno usato le armi prodotte dagli Stati Uniti come una forma di valuta per comprare la lealtà delle milizie e delle tribù, rafforzare i rapporti con gruppi armati scelti e influenzare il complesso panorama politico», riporta la CNN.

      Anche a fronte di queste inchieste, nei giorni scorsi la Camera degli Stati Uniti ha votato per porre fine al coinvolgimento militare e al sostegno di Washington alla coalizione a guida saudita nello Yemen. Un fatto rilevante, sia per il ruolo fondamentale di sostegno degli Stati Uniti alla coalizione a guida saudita nel conflitto yemenita, sia perché la risoluzione è passata grazie al voto anche di 18 rappresentanti repubblicani (248 voti a favore, 177 contrari): è la prima volta che la Camera approva una risoluzione del “War Powers Act” da quando la legge è stata emanata nel 1973.
      Le città italiane: basta armi italiane all’Arabia Saudita

      Il blocco delle forniture belliche all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti è stato ripetutamente richiesto, oltre che dal Parlamento europeo (leggi Basta armi ai sauditi, lo chiede l’Europa), anche da numerose associazioni della società civile italiana (da Amnesty International Italia a Fondazione Finanza Etica, dal Movimento dei Focolari a Oxfam Italia, dalla Rete della Pace alla Rete Italiana per il Disarmo e Save the Children Italia che ieri ha diffuso un nuovo appello). E sta trovando il sostegno da parte di numerose amministrazioni comunali.

      La mozione per fermare le forniture belliche è partita da Assisi, “Città della pace”, dove nel novembre scorso è stata approvata all’unanimità nel consiglio comunale. È poi approdata a Cagliari (la città dal cui porto e aeroporto partono le bombe della serie MK 80 fabbricate dalla Rwm Italia di Domusnovas e destinate all’Arabia Saudita), dove il consiglio comunale lo scorso 8 gennaio ha approvato un ordine del giorno che sollecita l’applicazione delle legge 185/90, che vieta la produzione e la vendita di armi ai Paesi in guerra. Sono seguite le mozioni approvate nei consigli comunali di Verona e di Bologna.

      È quindi approdata nell’assemblea capitolina che lo scorso 12 febbraio ha approvato la mozione “Stop bombe per la guerra in Yemen”. La mozione impegna la giunta, tra l’altro, a:

      «Promuovere, insieme agli altri comuni convergenti su questi intenti, alle associazioni e ai comitati di cittadini interessati, ogni azione perché il Governo e il Parlamento Italiano diano attuazione ai principi costituzionali e alle risoluzioni del Parlamento Europeo, bloccando l’esportazione di armi e articoli correlati, prodotti in Italia, destinate all’Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen».

      Un’iniziativa importante, che andrebbe replicata in tutte le città e comuni d’Italia.

      Per riportare all’attenzione nazionale il tema delle esportazioni di armamenti, segnaliamo il convegno “Produzione e commercio di armamenti: le nostre responsabilità”, che si terrà il 1° marzo a Roma (iscrizione obbligatoria entro il 22 febbraio).

      https://www.osservatoriodiritti.it/2019/02/22/armi-italiane-vendute-all-estero-yemen-arabia-saudita

    • No all’allargamento della #RWM a #Iglesias

      La Tavola Sarda della Pace prende atto della decisione dell’Amministrazione comunale di Iglesias che autorizza d’ufficio l’allargamento della fabbrica di armamenti RWM, con la costruzione di due nuove linee di produzione che porteranno lo stabilimento a triplicare la capacità produttiva. Poiché tutto ciò è avvenuto con scarsa trasparenza, nessuna apertura ad un dibattito pubblico che coinvolga le popolazioni locali, nessuna considerazione dei documenti a tale scopo presentati da comitati ed organizzazioni della società civile, intende prendere posizione su questo grave fatto.

      Da oltre tre anni ormai la RWM, succursale italiana della multinazionale degli armamenti Reinhmetal a maggioranza tedesca e con sede a Berlino, vende i suoi micidiali ordigni all’Arabia Saudita, che li utilizza per i bombardamenti a tappeto contro i centri abitati e le popolazioni civili dello Yemen, che hanno fino ad oggi causato oltre 10mila vittime, in un’emergenza umanitaria gravissima, amplificata dalla mancanza di acqua e cibo e dalla conseguente epidemia di colera che ha colpito la popolazione. Il Governo italiano in carica, come peraltro quello precedente, continua ad ignorare l’applicazione della legge 185 del 1990 che fa divieto alla vendita e al transito sul suolo italiano di armi dirette a paesi in guerra o che violino i diritti umani. La monarchia saudita non sfugge ad entrambi i criteri, in quanto viola i diritti umani (il caso Khashoggi è solo la punta dell’iceberg, le donne continuano ad essere pesantemente discriminate) e bombarda la popolazione yemenita con le bombe prodotte nella fabbrica RWM situata nei territori dei Comuni di Domusnovas e Iglesias.

      Essendo fermamente avversi ad ogni guerra, violenza e discriminazione, pensiamo che questo devastante e illecito commercio d’armi vada fermato e, nel rispetto del diritto ad un lavoro dignitoso, vadano con urgenza ricercate soluzioni di sviluppo ecosostenibile sul territorio sardo.

      Per questo chiediamo che il Sindaco di Iglesias Mauro Usai riconsideri la decisione presa troppo frettolosamente, che il Presidente della Giunta Francesco Pigliaru intervenga in modo chiaro utilizzando le prerogative della Regione, che il Governo italiano aderisca all’embargo proposto dall’Unione Europea sulla vendita d’armi all’Arabia Saudita.

      https://www.arci.it/no-allallargamento-della-rwm-a-iglesias
      #Sardaigne

    • Rwm nel #Sulcis. Fabbrica delle bombe giorni decisivi per l’ampliamento

      Il momento è decisivo. In questi due giorni si gioca la fase clou della partita per l’ampliamento della “fabbrica delle bombe” sarde. Così è spesso chiamato lo stabilimento di Rwm Italia situato nel Sulcis, in bilico fra il comune di Domusnovas e quello di Iglesias. La ragione è semplice. L’impianto è specializzato – come si evince dal sito ufficiale – nella produzione di «sistemi antimine, testate missilistiche, dispositivi elettronici con spolette». In particolare, ordigni Mk-80. I cui frammenti, con tanto di codici identificativi – come documenta da anni Avvenire – sono stati ritrovati sul territorio yemenita dopo i bombardamenti della coalizione a guida saudita.

      Riad, del resto, è tra i clienti principali della Rwm Italia. Proprio da quest’ultima, nel 2016, ha ricevuto un “mega-ordine” da 411 milioni di euro. A cui si sono sommate, nel periodo successivo, commesse più piccole, tutte già autorizzate. Le richieste hanno fatto aumentare di oltre il 50 per cento il fatturato dell’azienda in un biennio. I ricavi delle vendite sono passati da 48,1 milioni di euro nel 2015 a 90 milioni di euro. Al contempo, però, esso ha innescato una “maratona produttiva”.

      L’impianto sardo lavora ormai h 24, sette giorni su sette. Nemmeno questo, però, sembra essere sufficiente per soddisfare la domanda. Da qui, l’idea di un’espansione. Dal 2016, nell’ambito di un piano di investimenti da 40 milioni di euro, Rwm Italia ha presentato al Comune di Iglesias dodici pratiche di ampliamento. La sorte della più significativa di queste si conoscerà domani. Ieri, è scaduto il termine per la presentazione di “osservazioni” relative all’effetto sul territorio dell’autorizzazione per la costruzione di due nuovi siti nella regione iglesiente da parte dei diversi enti locali.

      Solo domani, però, data la concomitanza della festa, si saprà se queste sono state effettivamente inoltrate. In caso affermativo, le parti ne dovranno discutere in una riunione ad hoc già prevista per giovedì. Il mancato recapito di rimostranze, invece, equivarrebbe a un via libera all’ampliamento, senza necessità di una valutazione dell’impatto ambientale. A quel punto, Rwm Italia potrebbe raddoppiare o triplicare la produzione, passando dall’attuale media annuale di 5mila ordigni a 10 o 15mila. Certo, tale espansione avrebbe anche ricadute in termini di occupazione.

      Un problema non da poco in un’aerea depressa come il sud della Sardegna che, nel 2017, s’è aggiudicato il penultimo posto nella classifica italiana per Pil pro capite. Dal 2015 al 2017, sono stati assunti altri 37 nuovi dipendenti, raggiungendo quota 171, in buona parte con contratti a termine o interinali. «Siamo pienamente consapevoli del dramma della disoccupazione che tanto ferisce la nostra terra – spiega Cinzia Guaita, del Comitato riconversione Rwm –. Eventuali nuove assunzioni, tuttavia, aumenterebbero una produzione eticamente inaccettabile e totalmente incompatibile con la legislazione italiana, che consente la produzione di armi solo per fini difensivi.

      Non solo. Finirebbero per incrementare ulteriormente l’esercito dei precari e, poi, dei disoccupati. In caso di blocco dell’export a Riad, i contratti sarebbero soggetti a immediata risoluzione». Nato il 15 maggio 2017, il Comitato – a cui aderiscono venti tra associazioni, fondazioni, singole persone di diverse orientamento – si batte per la riconversione dell’impianto. In occasione della scadenza di ieri, in collaborazione con Italia Nostra, ha rivolto forti appelli agli enti locali perché approfondissero le conseguenze ambientali dell’ultimo ampliamento. «Lottiamo pacificamente per un lavoro sostenibile e umano. In questo anno e mezzo, abbiamo promosso incontri con esperti per trovare insieme alternative per tutti i dipendenti della fabbrica – spiega il portavoce Arnaldo Scarpa –. Soluzioni non assistenziali, pacifiche, sostenibili e foriere di duraturo sviluppo nel nostro territorio».

      «Dobbiamo costruire pezzi di pace nei territori, invertendo il processo di un’economia armata che fa cadere sui lavoratori, ultimo anello della catena, un peso di coscienza insostenibile», conclude Guaita. Curioso che una delle partite decisive per Rwm si giochi proprio proprio l’indomani del moto di indignazione mediatica per la morte per fame della piccola yemenita Amal. Mentre la foto della bimba scompare dai social, il flusso di armi occidentali verso i teatri di guerra, prosegue.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/rwm-si-prepara-a-ingrandirsi-fino-a-15mila-bombe-lanno

    • La fabbrica di bombe e armi si amplia: reportage della tv di Stato tedesca

      Il primo canale della tv di Stato tedesca continua a interessarsi al Sulcis, e in particolare alla fabbrica di bombe di #Domusnovas. Ieri, in prima serata, sulla Ard è andato in onda un dettagliato servizio firmato da Philipp Grüll e Karl Hoffmann (qui il video completo con un’intervista al vescovo di Iglesias, Giovanni Paolo Zedda). Al centro ci sono gli ampliamenti previsti – e già in corso, come si capisce dalle immagini – della sede locale della Rwm (di proprietà del colosso tedesco #Rheinmetall). Undici gli interventi diversi – autorizzati dal Comune di Iglesias – che porteranno all’aumento della produzione di bombe e armi, impiegate, come documentato anche da un’inchiesta del New York Times nello Yemen. Più volte, inutilmente, il Parlamento europeo ha approvato risoluzioni contrarie ell’export di armi verso i paesi in conflitto. Ma di fatto produzione e carichi non si sono mai fermati. E ora arriva il rilancio. Alle proteste di pacifisti e dello stesso presidente della Regione, Francesco Pigliaru, si contrappongono i lavoratori e chi sostiene la linea “se non qui si produrranno altrove”.

      https://www.sardiniapost.it/cronaca/la-fabbrica-di-bombe-e-armi-si-amplia-il-servizio-della-tv-di-stato-ted

    • Iglesias, la fabbrica di bombe Rwm raddoppia: ok del Comune per l’ampliamento dello stabilimento

      La fabbrica di bombe, al centro di tantissime polemiche nel corso degli ultimi anni dopo che si è scoperto che gli ordigni qui prodotti venivano utilizzato contro i civili in Yemen, non lascia la Sardegna, anzi raddoppia.

      https://www.vistanet.it/cagliari/2018/11/14/iglesias-la-fabbrica-di-bombe-rwm-raddoppia-ok-del-comune-per-lampliamento-