• Software spia, le nuove armi africane

    Ufficialmente introdotti contro il terrorismo, sono usati anche per controllare dissidenti politici.

    Almeno dal 2009 l’Egitto è tra i principali acquirenti di strumentazioni per la sorveglianza di massa. #Software intrusivi che si possono agganciare ai telefonini oppure alle mail e tracciare così i comportamenti di chiunque. Specialmente se considerato un nemico politico dal regime. Al Cairo, dopo la primavera araba, si è abbattuto un rigido inverno dei diritti: oppositori politici, sindacalisti, persino ricercatori universitari come Giulio Regeni sono stati fatti sparire, ammazzati o torturati. Per fare tutto questo, le agenzia di sicurezza hanno spiato i loro bersagli attraverso sistemi informatici. Tra le aziende, chi ha fatturato vendendo gli strumenti per spiare i nemici politici, c’è l’italiana #Hacking_Team, le cui mail sono state rese pubbliche da una maxi fuga di notizie nel luglio 2015.

    L’Egitto non è l’unico paese africano a fare uso di questo tipo di tecnologie. In particolare in Africa, questo genere di strumenti per tenere sotto controllo la popolazione stanno diventando una costante. Sono l’ultima frontiera del mercato delle armi. Nemico ufficiale contro cui utilizzarle: il terrorismo, che si chiami Al Shabaab, Boko Haram, Isis. In pratica, da semplici persone “sospette” a dissidenti politici.

    Una stima di Markets and Markets del 2014 prevede che per il 2019 il mercato delle “intercettazioni” varrà 1,3 miliardi di dollari. E accanto a questo corre un mercato nero dalle dimensioni inimmaginabili, dove ogni transazione avviene nel deep web, il doppio fondo del contenitore di internet. Senza bisogno di autorizzazioni, né di sistemi di licenze, come invece previsto dalle normative di tutto il mondo. I paesi africani sono tra i nuovi agguerriti compratori di queste armi 2.0, di fabbricazione per lo più israeliana ed europea.

    La mappa degli spioni

    L’utilizzo e la vendita di questi sistemi – proprio come per le armi – in diversi paesi è schermato dal segreto militare, nonostante il “duplice uso” (civile e militare) che possono avere questi strumenti. Detti, appunto, dual-use. L’inchiesta Security for Sale (https://irpi.eu/sicurezza-vendesi), condotta in febbraio da 22 giornalisti europei, ha individuato i principali importatori di tecnologie intrusive in Africa. La lista è lunga: oltre il Kenya, di cui Osservatorio Diritti ha già parlato, e l’Egitto, l’esempio più famoso, ci sono Libia (ancora sotto Gheddafi, ndr), Etiopia, Nigeria, Sudan, Sudafrica, Mauritania e Uganda.
    #Kenya #Libye #Ethiopie #Nigeria #Soudan

    In Mauritania è in carcere da due anni il cittadino italiano #Cristian_Provvisionato per una vendita di sistemi di intercettazione finita male. Provvisionato, una guardia giurata che non sarebbe mai stata in grado di vendere sistemi di questo genere, avrebbe dovuto presentare ai mauritani un sistema di intercettazione per Whatsapp, che la sua azienda – Vigilar – avrebbe a sua volta acquistato attraverso la società indiano-tedesca Wolf Intelligence. Bersaglio del sistema sarebbero dovuti essere terroristi attivi al confine mauritano, per quanto diverse organizzazioni internazionali abbiano sollevato riserve rispetto al possibile utilizzo di sistemi del genere in un paese che viola i diritti umani.
    #Mauritanie

    L’accusa nei confronti di Cristian Provvisionato, cioè truffa, non regge perché il cittadino italiano era all’oscuro, come è stato comprovato da più ricostruzioni giornalistiche, di ciò che stava presentando in Mauritania. Aveva accettato il lavoro perché gli era stato promesso che sarebbe stato veloce, pulito e con un buon guadagno. Invece si trova ancora dietro le sbarre. Per il caso Provvisionato la magistratura milanese ha aperto un’inchiesta che coinvolge anche #Vigilar e #Wolf_Intelligence. Il partner israeliano dei due è una delle aziende da sempre competitor di Hacking Team.

    La stessa Hacking Team ha venduto ad altri regimi autoritari africani (scarica la ricerca del centro studi CitizenLab – università di Toronto). Il caso più clamoroso è quello dei servizi segreti del Sudan, che nel 2012, prima che entrasse in vigore qualunque embargo, hanno acquistato merce per 960 mila euro. Anche le Nazioni Unite, nel 2014, quando è entrato in vigore l’embargo con il Sudan, hanno fatto domande ad Hacking Team in merito alle relazioni commerciali con le forze d’intelligence militare del Paese.
    #Soudan #services_secrets

    Nello stesso 2012 una compagnia britannica aveva iniziato a vendere software intrusivi alle forze militari dell’Uganda. Era l’inizio di un’operazione di spionaggio di alcuni leader politici dell’opposizione che arrivava, denunciavano media locali nel 2015, fino al ricatto di alcuni di loro. Paese di fabbricazione del software spia, come spesso accade, Israele.
    #Ouganda

    Il Sudafrica è un caso a sé: da un lato importatore, dall’altro esportatore di tecnologie-spia. Il primo fornitore di questo genere di software per il Sudafrica è la Gran Bretagna, mentre il mercato di riferimento a cui vendere è quello africano. Il Paese ha anche una propria azienda leader nel settore. Si chiama #VASTech e il suo prodotto di punta è #Zebra, un dispositivo in grado di intercettare chiamate vocali, sms e mms.
    #Afrique_du_sud

    Nel 2013 Privacy International, un’organizzazione internazionale con base in Gran Bretagna che si occupa di privacy e sorveglianza di massa, ha scoperto una fornitura di questo software alla Libia di Gheddafi, nel 2011, nel periodo in cui è stato registrato il picco di attività di spionaggio (dato confermato da Wikileaks). Eppure, dal 2009 al 2013 solo 48 potenziale contravvenzioni sono finite sotto indagine del Ncac, l’ente governativo preposto a questo genere di controlli.

    Il settore, però, nello stesso lasso di tempo ha avuto un boom incredibile, arrivando nel solo 2012 a 4.407 licenze di esportazione per 94 paesi in totale. Il mercato vale circa 8 miliardi di euro. In Sudafrica sono in corso proteste per chiedere le dimissioni del presidente Jacob Zuma, coinvolto in diversi casi di corruzione e ormai considerato impresentabile. È lecito pensare che anche questa volta chi manifesta sia tenuto sotto osservazione da sistemi di sorveglianza.


    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/05/08/software-spia-le-nuove-armi-africane
    #Afrique #surveillance #interception #surveillance_de_masse #Egypte #business

    ping @fil

    • Security for sale

      The European Union has deep pockets when it comes to security. Major defense contractors and tech giants compete for generous subsidies, to better protect us from crime and terrorism. At least that’s the idea. But who really benefits? The public or the security industry itself?

      Over the past year, we’ve worked with more than twenty journalists in eleven European countries to investigate this burgeoning sector. We quickly discovered that the European security industry is primarily taking good care of itself – often at the expense of the public.

      In this crash course Security for Sale, we bring you up to speed on EU policy makers and industry big shots who’ve asserted themselves as “managers of unease,” on the lobbies representing major defense companies, on the billions spent on security research, and on the many ethical issues surrounding the European security industry.

      “Security for sale” is a journalistic project coordinated by Dutch newspaper De Correspondent and IRPI collaborated for the Italian context. The webportal of “Security for Sale” collects all articles produced within the project in several languages.

      https://irpi.eu/en/security-for-sale

    • Lawful Interception Market worth $1,342.4 Million by 2019

      The report “Lawful Interception Market by Network Technologies and Devices ( VOIP, LTE, WLAN, WIMAX, DSL, PSTN, ISDN, CDMA, GSM, GPRS, Mediation Devices, Routers, Management Servers); Communication Content; End Users - Global Advancement, Worldwide Forecast & Analysis (2014-2019)” defines and segments the LI market on the basis of devices, network technologies, communication content, and services with in-depth analysis and forecasting of revenues. It also identifies drivers and restraints for this market with insights on trends, opportunities, and challenges.

      Browse 80 market tables and 23 figures spread through 177 pages and in-depth TOC on “Lawful Interception Market by Network Technologies and Devices ( VOIP, LTE, WLAN, WIMAX, DSL, PSTN, ISDN, CDMA, GSM, GPRS, Mediation Devices, Routers, Management Servers); Communication Content; End Users - Global Advancement, Worldwide Forecast & Analysis (2014-2019)”
      https://www.marketsandmarkets.com/Market-Reports/lawful-interception-market-1264.html
      Early buyers will receive 10% customization on reports.

      Lawful Interception (LI) has been proven to be very helpful for the security agencies or Law Enforcement Agencies (LEAs) for combating terrorism and criminal activities. Across the world, countries have adopted such legislative regulations and made it compulsory for the operators to make LI-enabled communication network. Since the advancement of communication channels and network technologies over the period of time, the interception techniques have also enhanced for variety of communications such as Voice over Internet Protocol (VoIP), web-traffic, Electronic Mail (Email), and more. Now, the interception is possible for all networks that deliver voice, data, and Internet services.

      Sophisticated communication channels and advanced network technologies are the major driving factors for the LI market. Nowadays, communication can be done in various forms such as voice, text, video, and many more. To transfer these types of data, network technologies need to constantly upgrade. The different types of network technologies that can be intercepted are VoIP, LTE, WLAN, WiMax, DSL, PSTN, ISDN, CDMA, GSM, and GPRS, are discussed in this report.

      MarketsandMarkets has broadly segmented the LI market by devices such as management servers, mediation devices, Intercept Access Points (IAP), switches, routers, gateways, and Handover Interfaces (HIs). The LI market is also segmented on the basis of communication contents and networking technology. By regions: North America (NA), Europe (EU), Asia Pacific (APAC), Middle East and Africa (MEA), and Latin America (LA).

      The LI market is expected to grow at a rapid pace in the regional markets of APAC and MEA. The investments in security in APAC and MEA are attracting the players operating in the LI market. These regions would also be the highest revenue generating markets in the years to come. Considerable growth is expected in the NA and European LI markets. New wireless network and network technologies like LTE, WiMax, NGN, and many more are expected to be the emerging technological trends in the LI market.

      MarketsandMarkets forecasts the Lawful Interception market to grow from $251.5 million in 2014 to $1,342.4 million by 2019. In terms of regions, North America and Europe are expected to be the biggest markets in terms of revenue contribution, while Asia-Pacific, Middle East and Africa, and Latin America are expected to experience increased market traction, during the forecast period.

      About MarketsandMarkets

      MarketsandMarkets is a global market research and consulting company based in the U.S. We publish strategically analyzed market research reports and serve as a business intelligence partner to Fortune 500 companies across the world.

      MarketsandMarkets also provides multi-client reports, company profiles, databases, and custom research services. M&M covers thirteen industry verticals, including advanced materials, automotives and transportation, banking and financial services, biotechnology, chemicals, consumer goods, energy and power, food and beverages, industrial automation, medical devices, pharmaceuticals, semiconductor and electronics, and telecommunications and IT.

      We at MarketsandMarkets are inspired to help our clients grow by providing apt business insight with our huge market intelligence repository.

      https://www.marketsandmarkets.com/PressReleases/lawful-interception.asp

    • Antiterrorismo con licenza d’uccidere

      Kenya osservato speciale: le ong parlano di vittime, sparizioni e intercettazioni diffuse.

      Da gennaio a ottobre 2016 in Kenya sono state uccise dalle forze dell’ordine 177 persone. Lo scrive nel suo rapporto annuale 2016/2017 la ong Amnesty international. Uccisioni stragiudiziali per mano delle cosiddette Kenyan Death Squads, gli squadroni della morte in azione contro presunti terroristi. A risalire la catena di comando, si arriva fino ai piani alti del governo, come aveva raccontato Al Jazeera in un’inchiesta del 2015.

      Il Kenya ha conosciuto il terrorismo di matrice jihadista alla fine del 1998, all’epoca della prima bomba all’ambasciata americana di Nairobi: un attentato che ha lanciato nel mondo il marchio Al Qaeda. Il Paese è passato attraverso centinaia di attentati e oggi il terrorismo si chiama Al-Shabaab (leggi “Al-Shabaab avanza in Somalia”). Ma i presunti terroristi sono solo una parte delle vittime degli squadroni della morte: anche avvocati, attivisti e oppositori politici sono finiti sulla lista dei torturati e uccisi. Fare leva sulla paura dei cittadini, in Kenya, è facile.

      Dal 2010 al 2015 si ha notizia di almeno 500 persone fatte sparire da questi nuclei interni di alcuni corpi speciali delle forze dell’ordine del Kenya. Operazioni supervisionate dal Nis, i servizi segreti, svolte poi da agenti della Criminal investigation division (Cid), oppure dall’unità Recce o ancora dalle Kenyan Defence Forces. «Si potrebbero chiamare “morti accettabili”», dice un ufficiale dei servizi segreti kenyoti intervistato sulla vicenda da un ricercatore della ong Privacy International.

      INTERCETTAZIONI DIFFUSE

      E l’argomento “terrorismo” è sufficiente a giustificare un sistema d’intercettazioni persistente, dove non esiste comunicazione che non sia tracciata, né supporti informatici che le forze dell’ordine non possano acquisire. Tutto il meccanismo per rintracciare “i nemici” passerebbe dalle comunicazioni telefoniche, ignorando qualunque norma costituzionale kenyota. «Gli ufficiali che abbiamo intervistato hanno ammesso che spesso si finisce sotto intercettazione per motivi politici e non solo per presunte attività di terrorismo», continua il ricercatore di Privacy International che ha curato il report “Traccia, cattura, uccidi” (per motivi di sicurezza, non è possibile rivelare il suo nome).

      Le forze speciali del Kenya avrebbero una presenza stabile all’interno delle compagnie telefoniche del paese. «Agenti Nis sono informalmente presenti nelle strutture per le telecomunicazioni, apparentemente sotto copertura», si legge nel rapporto. Elementi che sarebbero stati confermati da dipendenti di compagnie telefoniche e agenti. «I dipendenti hanno paura che negare l’accesso possa avere delle ripercussioni», aggiunge il ricercatore.

      Safaricom è la più importante compagnia telefonica del paese: controlla oltre il 60% del mercato della telefonia kenyota. Azionista di maggioranza è Vodafone e secondo il rapporto al suo interno ci sarebbero dieci agenti della Cid. Attraverso un’interfaccia, avrebbero libero accesso al database interno in cui sono registrate telefonate, proprietari, transazioni monetarie attraverso la rete mobile. Un universo.

      Questo è quello che raccontano le fonti interne scovate da Privacy International. Mentre Safaricom, ufficialmente, nega questo flusso di informazioni. L’amministratore delegato di Safaricom, Bob Collymore, tra gli uomini più ricchi del Kenya, ha risposto alla ong sostenendo che la sua azienda «non ha relazioni con Nis riferite alla sorveglianza delle comunicazioni in Kenya e non ci sono ufficiali Nis impiegati nell’azienda, ufficialmente o sotto copertura».

      Il Kenya acquista all’estero le strumentazioni di cui è dotato il sistema di intercettazioni in funzione nel paese. «Le fonti a cui abbiamo avuto accesso nominavano aziende inglesi ed israeliane, ma non sanno come funziona l’acquisto degli strumenti per intercettazioni», aggiunge il ricercatore di Privacy International. Gli strumenti più diffusi sono i famosi IMSI Catcher. All’apparenza, delle semplice valigette con un involucro nero all’estero, rinforzato. In realtà sono delle antenne attraverso cui è possibile intercettare telefonate effettuate nel raggio di circa 300 metri.

      Ci sono poi anche software intrusivi, che agganciano il telefono una volta che l’utente apre uno specifico messaggio via Sms o WhatsApp. Nel 2015 le rivelazioni su Hacking Team, l’azienda milanese che vendeva in mezzo mondo dei software spia, avevano permesso di scoprire anche trattative in corso con forze speciali del Kenya. Gli obiettivi dello spionaggio sarebbero stati uomini legati all’opposizione.

      https://www.osservatoriodiritti.it/2017/04/12/antiterrorismo-con-licenza-di-uccidere
      #anti-terrorisme #opposition #opposants_au_régime #persécution

  • Nuove rotte per i minerali insanguinati

    Verisk Maplecroft: combattenti trafficano stagno, oro e tungsteno in Colombia e #Myanmar.

    La mappa dei paesi a rischio violazione di diritti umani legati ai cosiddetti “minerali insanguinati”, o “minerali di conflitto”, si allarga a Colombia e Myanmar. Secondo l’ultimo rapporto dalla società di consulenza Verisk Maplecroft attiva nella gestione del rischio globale, infatti, le zone interessate da questi fenomeni non sono più solo la Repubblica democratica del Congo o la regione africana dei Grandi Laghi, dove da tempo i signori della guerra finanziano i conflitti locali proprio trafficando questi materiali.

    La ricerca ha esaminato venti fattori di rischio di natura politica, sociale e ambientale relativi all’estrazione e al commercio di tantalio, stagno, tungsteno e oro (noti anche con l’acronimo 3TG derivato dalle tre T dei primi tre – stagno è tin in inglese – più la G di gold, oro) nei principali paesi produttori a livello globale di questi minerali.

    L’analisi condotta dalla multinazionale britannica mostra che i paesi africani della regione dei Grandi Laghi, in particolare la Repubblica democratica del Congo, non sono più né gli unici né i più importanti fornitori di 3TG, fondamentali per la produzione di dispositivi ad alta tecnologia e batterie per auto elettriche, per citare solo un paio di esempi. Secondo le conclusioni degli analisti di Verisk Maplecroft, infatti, i quattro minerali sono prodotti anche sotto il controllo di gruppi armati attivi in Myanmar (ex Birmania) e Colombia, al fine di finanziare la guerriglia nei due paesi.

    Uno tra i più importanti di questi gruppi è lo United Wa State Army (Uswa), un esercito formato da oltre 30 mila uomini, che grazie al sostegno di Pechino dal 1989 controlla di fatto lo Stato di Wa, nel nord-est del Myanmar. Lo stagno prodotto nelle miniere di Man Maw sotto il controllo dei ribelli birmani viene esportato nella vicina Cina e immesso nelle catene di fornitura di oltre 500 aziende locali, che producono materiale elettronico. Nel 2003, l’Uwsa è stata sanzionata dal governo degli Stati Uniti per il suo coinvolgimento nel traffico internazionale di stupefacenti.

    In Colombia, invece, alcune formazioni armate come l’Esercito di liberazione nazionale (Eln) che, dopo le Farc, rappresenta il secondo principale gruppo ribelle di ispirazione marxista attivo nella nazione latino-americana, attualmente detengono il controllo dell’attività estrattiva di ingenti giacimenti di oro e tungsteno.

    Le disposizioni in vigore in Europa e negli Stati Uniti per risalire all’esatta catena di fornitura di un dato minerale e renderlo tracciabile, si sono finora concentrate sulle nazioni della regione dei Grandi Laghi, nonostante la miriade di rischi che possono sorgere nelle catene di approvvigionamento di atri paesi.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/04/28/nuove-rotte-per-minerali-insanguinati
    #matières_premières #extractivisme #Colombie #or #Birmanie #Tungstène #Étain #rapport #mines #risques #rapport #Congo #RDC

    Lien vers le rapport :
    Conflict Minerals Risk Analysis

    Verisk Maplecroft’s conflict minerals analysis quantifies 20 political, social and environmental risk related to the production of tantalum, tin, tungsten and gold (#3TG) in the largest global producers of the minerals. The focus of the risk assessment is at the mine level of the value chain, though risk issues present across the wider value chains of the assessed commodities are also incorporated.


    https://www.osservatoriodiritti.it/wp-content/uploads/2017/04/VM_Conflict_Minerals.pdf
    #cartographie #visualisation

  • Caporalato e macellazione carne: cosa c’è dietro al cotechino di Natale

    In alcuni casi i salumi arriveranno sulle nostre tavole a Natale attraverso appalti illegali, contratti irregolari e giornate lavorative di 13 ore. Negli impianti di macellazione della carne si diffonde il nuovo caporalato. La denuncia arriva dalla Flai Cgil dell’Emilia Romagna


    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/12/18/caporalato-macellazione-carne
    #caporalato #travail #exploitation #Italie #industrie_de_la_viande #viande #alimentation

  • Reati di solidarietà: leggi europee colpiscono chi aiuta i migranti

    La ong inglese Irr denuncia 45 casi di persecuzione per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Tutti casi in cui le leggi europee contro il traffico di esseri umani hanno colpito attivisti e persone intenzionati ad aiutare i migranti. L’Italia è tra i Paesi più severi proprio contro chi soccorre i profughi

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/12/04/reati-di-solidarieta-migranti
    #délit_de_solidarité #solidarité #désobéissance_civile #asile #migrations #réfugiés #Italie

  • #Sami_Blood: i primi abitanti della Lapponia protagonisti di un film

    Il film Sami Blood di #Amanda_Kernell arriva oggi, 30 novembre, nelle sale italiane. Un racconto di formazione, un viaggio nella storia di una delle popolazioni indigene del Nord Europa. Che fino agli anni Cinquanta ha subito discriminazioni e razzismo. E che ancora oggi è vittima d’attacchi in Svezia e Norvegia


    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/11/30/sami-blood-film-recensione-trailer-lapponia
    #Lapponie #film #peuples_autochtones #cinéma #Suède #Norvège #racisme #discriminations #xénophobie

  • Spose bambine: la prima indagine italiana registra record mondiale

    Una ricerca dell’Associazione 21 luglio svela una situazione drammatica nelle baraccopoli di Roma, dove il tasso di matrimoni precoci raggiunge il 77 per cento. Un dato peggiore anche del Niger, che finora ha detenuto il record mondiale quanto a spose bambine. E di gran lunga un primato negativo anche a livello europeo

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/11/27/spose-bambine-italia-record-mondiale
    #mariage_forcée #enfants #enfance #Italie #Rome

  • Togo, la polveriera d’Africa pronta ad esplodere

    Opposizione e governo sono a un punto di stallo. Il presidente Faure Gnassingbé non vuole mollare il potere e continua a vietare manifestazioni e arrestare nemici. Fuori dal Togo, la diaspora protesta. Mentre i negoziatori cercano di far collimare la soluzione della crisi con i tanti interessi in gioco


    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/11/07/togo-africa-gnassingbe-proteste-diaspora
    #Togo #répression #it_has_begun #Gnassingbé #arrestations_arbitraires

  • BALCANI : « VIOLENZA DELLA POLIZIA DI FRONTIERA SUI BAMBINI MIGRANTI »

    Il rapporto combina dati medici e di salute mentale con le testimonianze di giovani pazienti: «Oggi, per i bambini e i ragazzi che provano a lasciare la Serbia, la violenza è una costante e nella maggior parte dei casi è perpetrata dalla polizia di frontiera degli Stati membri dell’UE», dichiara Andrea Contenta, responsabile affari umanitari di MSF in Serbia. «Da più di un anno i nostri medici e infermieri continuano ad ascoltare la stessa identica storia di giovani picchiati, umiliati e attaccati con i cani nel tentativo disperato di proseguire il loro viaggio».

    http://www.nelpaese.it/altro/nazionale/item/5632-balcani-violenza-della-polizia-di-frontiera-sui-bambini-migranti

    #MNA #mineurs #violence #violences_policières #enfants #Balkans #mineurs_non_accompagnés #police #rapport #Serbie #Bulgarie #vulnérabilité #frontières #Hongrie #Croatie

    GAMES OF VIOLENCE UNACCOMPANIED CHILDREN AND YOUNG PEOPLE REPEATEDLY ABUSED BY EU MEMBER STATE BORDER AUTHORITIES
    http://archivio.medicisenzafrontiere.it/pdf/serbia-games-of-violence-3.10.17.pdf

  • #Caporalato: ecco il vero costo dei vestiti

    «Presso le nostre sedi arrivano numerosissime testimonianze di veri e propri fenomeni di caporalato industriale che coinvolgono sia lavoratori del territorio, sia numerosi immigrati»: la Cgil Filctem denuncia le condizioni dei lavoratori nel settore della moda

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/10/02/caporalato-vestiti-abbigliamento-moda
    #mode #Italie #industrie_textile #migrations #travail #exploitation #esclavage_moderne

  • Messico: violenza contro giovani in una foto

    Quattro ragazzini morti, seduti per terra, appoggiati a un muro, vestiti con t-shirt e jeans. Con il sangue ancora attaccato alla pelle. Una foto di Bernardino Hernández diventa il simbolo della violenza contro i giovani nel paese

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/09/18/messico-violenza-giovani
    #Mexique #jeunes #violence #meurtres #photographie

    Mais je n’ai pas trouvé la photo...
    Celle publiée dans le blog ne correspond pas la description:

    cc @albertocampiphoto

    • Taranto : hotspot prigione per minori

      Quattordici minori stranieri non accompagnati sarebbero stati trattenuti illegalmente nell’hotspot di Taranto a giugno. Non è la prima volta che accade. Ma ora la Corte europea dei diritti dell’uomo è chiamata a occuparsene e a giudicare l’Italia. Osservatorio Diritti ha potuto leggere in anteprima il ricorso presentato alla Cedu

      https://www.osservatoriodiritti.it/2017/08/17/hotspot-taranto-minori-stranieri-trattenuti-illegalmente
      #CEDH #MNA

      Avec ce commentaire de Paolo Bernasconi, qu’il a envoyé aux médias tessinois :

      Trasmetto questo studio sul hot spot di Taranto poiché tocca il comportamento delle Guardie di confine svizzere della Regione Sud e della Polizia ticinese.
      1. Per cominciare,decine di minorenni non accompagnati,ragazzi e ragazze,vengono respinti sui due piedi senza accompagnarli al Centro di registrazione di Chiasso. Questo spiega anche la diminuzione del numero di domande di asilo e la diminuzione della occupazione del Centro di Rancate, le cui statistiche vengono pubblicate senza commento critico da parte dei media ticinesi.
      2.La valutazione sulla maggior età viene lasciata all’apprezzamento immediato del singolo agente. Talvolta viene effettuata l’analisi dello sviluppo osseo, che le associazioni dei pediatri considerano scientificamente non affidabili. In qualche caso si procede alla analisi dello sviluppo degli organi genitali da parte del medico,che ignora completamente le comparazioni in paesi africani o asiatici.Per l’esecuzione di queste analisi invasive non esiste base legale.La base legale é necessaria per alcolemia e tossicomania nei confronti di persone accusate in procedimenti penali.Ma i rifugiati hanno meno diritti degli accusati di reati.
      3.Ai rifugiati minorenni non accompagnati viene negata anche la protezione prevista per legge svizzera a favore di qualsiasi minorenne non accompagnato,anche quando hanno parecjti in Svizzera,violando anche le Convenzioni sul ricongiungimento familiare.
      4.Gran parte dei minorenni non accompagnati respinti in Italia viene inviata a Taranto,di cui vengono qui descritte le condizioni.Da Taranto parecchi vengono rimandati a casa,specialmente in paesi africani.
      5. Chi sfugge al Centro di Taranto si rifugia nell’autosilo dismesso della Valle dei Mulini,a Como.La Polizia italiana presidia la Stazione di Como,per evitare che si veda l’abbandono dei migranti al quale collaborano anche agenti svizzeri e ticinesi,violando la legge svizzera.

      #Côme #Chiasso #frontières #Suisse #Italie

    • Migranti, odissea Ventimiglia-Taranto: l’inutile e costosa deportazione

      Per ridurre il numero dei migranti presenti sul territorio di Ventimiglia in attesa di passare verso la Francia, da oltre due anni vanno avanti le operazion ideate dall’ex-ministro dell’Interno Alfano e perpetuate da Minniti e Salvini. Queste persone, che il Regolamento di Dublino costringe in Italia, vengono fermate e trasferite all’hotspot di Taranto. “In aperta violazione dell’articolo 13 della Costituzione” denuncia Alessandra Ballerini, esperta di diritto dell’immigrazione che osserva "la totale mancanza di riferimenti normativi che regolino questi trasferimenti”. Abbiamo seguito una di queste ‘deportazioni’ che, oltre a costare uno sproposito, si rivela anche sostanzialmente inefficace. I migranti trasferiti, infatti, nella maggioranza dei casi sono liberi di circolare sul territorio italiano, e in poche ore risalgono l’Italia, verso la frontiera.

      https://video.repubblica.it/edizione/genova/migranti-odissea-ventimiglia-taranto-l-inutile-e-costosa-deportazione/323113/323734
      #migrerrance

    • Da Ventimiglia a Taranto, e ritorno: lo Stato e il gioco dell’oca sui migranti

      Ogni settimana un pullman parte pieno di uomini rastrellati al confine. Che vengono riportati negli hotspot del Sud dove arrivano dopo 23 ore. I sedili vengono foderati di plastica. Le stazioni di servizio chiudono i bagni ai clienti «perché ci sono gli immigrati». Decine di agenti di scorta e mezzi impiegati. Per fare una cosa del tutto inutile


      https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/12/21/news/migranti-214825963/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P5-S1.8-T1

    • La Corte europea condanna l’Italia a pagare per i maltrattamenti ai migranti : costretti a denudarsi, privati della libertà e malnutriti

      Le périple des 4 Soudanais en résumé :
      – 4 personnes concernées, ressortissants soudanais
      – 2 arrivés à Cagliari en juillet 2016, un le 14 juillet à Reggio Calabria, un le 16 août 2016
      – Transfert des 4 au centre d’accueil de la Croix-Rouge à Vintimille avec un fourgon de la police —> dénudés, humiliés
      – Transfert (avec 20 autres) vers l’hotspot de Taranto
      23 août —> transfert à Vintimille par bus, RV avec un représentant du gouvernement soudanais qui a reconnu leur nationalité soudanaise, début procédure de renvoi vers Soudan en avion
      – Transfert à l’aéroport de Torino Caselle, mais pas de place pour les 4 dans l’avion
      – Transfert au centre de rétention de Turin
      – Personne ne part, les 4 arrivent à demander l’asile et obtenir le statut de réfugié
      – Novembre 2023 : Italie condamnée par la Cour européenne des droits de l’homme
      https://seenthis.net/messages/1027766

    • Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot

      Nelle ultime settimane centinaia di migranti sono stati coattivamente trasferiti da Ventimiglia e Como verso gli hotspot del sud Italia. Una doppia motivazione ufficiale accompagna le operazioni. Da un lato, il trasferimento di massa viene presentato in ragione della necessità di alleggerire la pressione sulla frontiera, dopo le tensioni delle ultime settimane. Allo stesso tempo, vengono evocate motivazioni di identificazione: all’interno degli hotspot, infatti, i funzionari della polizia provvedono ad effettuare il fotosegnalamento e a verificare la posizione giuridica dei migranti. Evidentemente, il significato di questi trasferimenti – descritti molto spesso in termini di deportazioni – va ben oltre le necessità logistiche e di identificazione richiamate dal governo.
      Geografia del controllo

      Con riferimento alla necessità di alleggerire la pressione alla frontiera, è evidente come non sia il numero delle persone attualmente presenti nelle zone di confine a delineare, di per sé, un’emergenza. La situazione emergenziale è il prodotto del regime di governo dei confini, degli interventi repressivi, delle politiche alloggiative inefficaci, strutturalmente precarie, funzionali al controllo della mobilità e alla reiterazione di un immaginario caotico e confuso.
      In relazione, invece, della necessità di identificare, appare per lo meno paradossale che siano chiamati in causa i lontanissimi hotspot del sud Italia. A partire (almeno) dall’inizio del 2016, infatti, i migranti che sbarcano in Italia sono identificati e fotosegnalati all’interno degli hotspot “ufficiali” o di quelli “mobili” predisposti nelle aree di sbarco non ufficialmente catalogate come hotspot. I trasferimenti verso sud non sembrano quindi necessari ai fini identificativi: le impronte e l’identificazione sono già state rilevate all’arrivo e, più in generale, per accertare la posizione giuridica di un migrante non è evidentemente necessario trasportalo a più di mille chilometri di distanza. Le identificazioni, infatti, possono avvenire – e avvengono quotidianamente – nelle questure di tutto il territorio nazionale. In aggiunta, è proprio il Ministero degli Interni a parlare, con frequenza, della necessità di applicare l’approccio hotspot anche al di fuori degli hotspot “classici”, e della previsione di hotspot mobili (equipe formate da funzionari della polizia, funzionari delle agenzie europee, mediatori, ecc) che operano in maniera diffusa sul territorio.

      Alla luce di questi elementi, la reale natura della deportazione dai luoghi di frontiera verso il sud appare più chiara: è una scelta politica punitiva nei confronti di chi rifiuta di essere confinato nei luoghi e nei tempi delineati dalle politiche pubbliche di gestione dei flussi migratori. Non siamo davanti ad un’eccezione legata ai contesti specifici delle zone di confine: le proteste e i comportamenti poco collaborativi attraversano tutta la filiera dell’accoglienza, a cominciare dal tentativo diffuso di sottrarsi al rilascio delle impronte all’interno degli hotspot, arrivando fin dentro i CIE, oggetto di proteste e sabotaggi senza soluzione di continuità. Rifiuto e disobbedienze sono, quindi, elementi strutturali e ciò che sta avvenendo in queste settimane a Ventimiglia e Como – deportazioni comprese – rappresenta un messaggio politico chiaro, diretto nei confronti di chi prova incessantemente ad attraversare le frontiere, violando i dispositivi di controllo, e di chiunque, in altri luoghi, mette in discussione le prassi ed esercita a vario titolo desideri ritenuti indegni.
      Sguardi dal margine

      Decine di pullman, scortati dalle forze di polizia, attraversano l’Italia trasportando centinaia di migranti lungo un percorso tortuoso ed inutile: è una messa in scena potente e inquietante. Al di là del chiaro segnale punitivo nei confronti di chi con il proprio corpo prova a disobbedire, attraversando una frontiera che gli è vietata, le deportazioni rappresentano una dichiarazione di guerra ad un’idea semplice: che i migranti siano soggetti portatori di legittimi desideri.

      Da questo punto di vista, se è comunemente accettato, nella retorica dominante, che i migranti possano manifestare necessità e bisogni, mostrandosi come corpi bisognosi di assistenza e cura, appare quasi eversiva l’idea che si sottraggano all’immaginario diffuso che li qualifica come mere vittime, manifestando desideri e volontà non contemplate non solo nelle procedure codificate e nella legge, ma anche nel discorso pubblico sulle migrazioni.

      È con queste lenti che vanno lette le deportazioni di queste settimane: come un messaggio politico generalizzato nei confronti di un’opzione – quella del conflitto e della resistenza – rimossa dall’apparato di sapere dominante in tema di immigrazione e politiche pubbliche. Da questo punto di vista, i corpi ancora situati – nonostante le politiche pubbliche repressive, le notevoli difficoltà logistiche, la pressione della polizia e la criminalizzazione della solidarietà – lungo i confini, che rivendicano il diritto alla mobilità, e lo esercitano concretamente, rappresentano a loro volta un messaggio politico inequivocabile. Non si tratta, evidentemente, di comportamenti disperati messi in scena da soggetti vulnerabili e/o marginali. Si tratta di un rifiuto collettivo di occupare i margini assegnati dalla storia e dalle politiche pubbliche.
      La dignità del desiderio

      Le deportazioni non hanno, evidentemente, un’efficacia reale: molte delle persone trasportate negli hotspot, infatti, ripartono appena possibile per le stesse zone di confine dalle quali sono state prelevate. Si tratta di una geografia del controllo simbolica e materiale, che lancia messaggi e proclami, da nord a sud, che ostacola e allontana i migranti – in maniera tutt’altro che definitiva – dalla realizzazione dei progetti migratori soggettivi.

      Il tentativo di transito verso un altro paese può avere chiaramente a che fare con il desiderio di ricongiungersi con le comunità nazionali o con le reti affettive e familiari, con la ricerca di opportunità di lavoro, e così via. Può, allo stesso tempo, eccedere ogni categorizzazione e classificazione, essendo situato, appunto, nel campo del desiderio, che è per sua natura complesso, molteplice, dai contorni sfumati. Dovremmo ricordarcene, ogni volta che leggiamo i percorsi migratori come mera risultante algebrica della relazione tra le motivazioni della fuga dai contesti di origine (la fame, la miseria, la guerra, ecc) e i fattori di attrazione verso determinate destinazioni (affinità linguistiche e culturali, opportunità lavorative, ecc). Esiste una geografia del desiderio migrante, non diluibile nelle categorie umanitarie – richiedente asilo, migrante economico, ecc – che non va necessariamente indagata, interpretata, compresa, che segue traiettorie che possono essere anche imprevedibili e, perché no, incomprensibili. Esiste concretamente, è visibile nelle pratiche di resistenza attuate dalle e dai migranti, ed ha una chiarissima dignità politica, al di là delle ragioni di fondo e della nostra comprensione delle stesse.

      Siamo davanti, dunque, a una sfida nella sfida, che riguarda migranti e attivisti: è necessario denunciare l’arbitrarietà, l’inutilità e la portata punitiva delle deportazione e, contemporaneamente, affermare la legittimità politica del desiderio, rivendicando il diritto alla mobilità (anche) come forma di disobbedienza nei confronti del regime di governo delle migrazioni e come esercizio effettivo dell’irriducibile e non classificabile volontà soggettiva.

      C’è un ampio campo di tensione, che da diverse settimane a questa parte attraversa le aree di frontiera. È delineato dalla relazione tra migranti, attivisti, polizia e istituzioni italiane, francesi, svizzere e austriache, lungo, dentro e contro i confini e le forme di controllo sulla mobilità e sul transito. Lo stesso campo di tensione mette indubbiamente in crisi l’idea che i confini della cittadinanza europea siano equi e giusti, in un’ottica -finalmente – di apertura e solidarietà. Qui è situata la vera posta in gioco delle deportazioni in corso: è un tentativo muscolare di ricondurre all’interno del binomio bisogno/assistenza il discorso pubblico sulle migrazioni, riassorbendo tutto ciò che eccede da questa lettura. È proprio qui, dal rifiuto collettivo da parte dei migranti di occupare i margini assegnati, che è possibile ripartire per leggere in maniera politicamente orientata i conflitti delle ultime settimane ed affermare, in tante e tanti, che il desiderio è una legittima opzione politica e, allo stesso tempo, un esercizio irrinunciabile di dignità.

      https://www.meltingpot.org/2016/08/guerra-al-desiderio-migrante-deportazioni-da-ventimiglia-e-como-verso-gl

  • Profughi egiziani a rischio rimpatrio

    Venti profughi egiziani arrivati all’hotspot di #Lampedusa rischiano di essere rimpatriati presto verso il loro paese. E questo nonostante «abbiano manifestato la loro volontà di presentare domanda di protezione internazionale». Ad aver impedito ai migranti di formalizzare subito la richiesta, come accade normalmente a chi sbarca nell’isola siciliana, sarebbe stata «l’assenza di modelli C-3 all’interno dell’Hot Spot di Lampedusa». In altre parole, non ci sarebbero stati i moduli per poter chiedere l’asilo.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/06/01/profughi-egitto-a-rischio-rimpatrio
    #asile #migrations #réfugiés #push-back #refoulement #expulsion #renvoi #hotspots #Egypte #réfugiés_égyptiens

  • Chiedevano l’asilo: riportati in Egitto

    Alla fine i venti profughi egiziani arrivati all’hotspot di Lampedusa sono stati riportati in Egitto ieri, 31 maggio, con un volo charter partito dall’aeroporto Punta Raisi di Palermo. Il gruppo di migranti sarebbe stato trasferito direttamente allo scalo aeroportuale, senza passare per la questura del capoluogo siciliano, come invece era sembrato in un primo momento. La conferma è arrivata poco fa a Osservatorio Diritti da una fonte molto vicina al dossier che ha chiesto l’anonimato. Dal ministero dell’Interno, invece, non è ancora arrivata alcuna conferma ufficiale, nonostante la richiesta di informazioni sia stata fatta questa mattina alle 11, circa quattro ore fa.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/06/01/profughi-chiedevano-asilo-rimpatrio-egitto

    #hotspots #Lampedusa #renvois #expulsions #asile #réfugiés #réfugiés_égyptiens #Italie

  • L’OIM découvre des « marchés aux esclaves » qui mettent en péril la vie des migrants en Afrique du Nord
    http://asile.ch/2017/05/15/loim-decouvre-marches-aux-esclaves-mettent-peril-vie-migrants-afrique-nord

    Le week-end dernier, le personnel de l’OIM au Niger et en Libye a relaté des événements choquants sur les itinéraires migratoires d’Afrique du Nord, qu’il a décrit comme des « marchés aux esclaves » qui touchent des centaines de jeunes Africains en route vers la Libye.

    • Il pomodoro? Troppo spesso è sfruttamento

      “Spolpati”, il report dell’associazione onlus Terra!, accusa: ogni anno in Italia sono prodotte cinque milioni di tonnellate di pomodori su soli 70mila ettari. Ma gli effetti negativi sull’ambiente, sul sociale e sulla qualità dei prodotti porteranno grandi guai

      http://www.lastampa.it/2017/05/26/scienza/ambiente/il-caso/il-pomodoro-troppo-spesso-sfruttamento-xfVstgIbdDzpIXtAXfAC8M/pagina.html

      Lien pour télécharger le #rapport:
      http://www.filierasporca.org/wp-content/uploads/2016/11/Terzo-Rapporto-Filierasporca_WEB1.pdf

    • Caporalato, a un anno dalla legge «non è cambiato quasi nulla»

      La lotta allo sfruttamento del lavoro agricolo fatica a raccogliere risultati nonostante ci sia una legge, un protocollo nazionale e una rete del lavoro agricolo di qualità. Preoccupa la situazione in provincia di Foggia: nuovi ghetti e pochi controlli. La denuncia di Giovanni Mininni (Flai Cgil): “Buona legge ma inapplicata. Una sconfitta per lo stato”

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/545527/Caporalato-a-un-anno-dalla-legge-non-e-cambiato-quasi-nulla

    • Nei ghetti foggiani è calato il silenzio sui nuovi schiavi

      Il ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, è imponente. Oggi, la pista dell’ex aeroporto militare, a ridosso del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (#Cara), ospita circa 3 mila migranti. Secondo le forze dell’ordine, forse, molti di più. A riguardo, non esistono dati ufficiali. Non ci sono numeri, censimenti, registri. È una situazione al limite, che le istituzioni, a vari livelli, non riescono a gestire.


      http://www.terredifrontiera.info/ghetto-borgo-mezzanone

    • Lavoratrici romene sfruttate in Sicilia: nulla è cambiato

      Sono trascorsi mesi dalle denunce di Observer e Guardian sullo stato di semi-schiavitù di centinaia di lavoratrici romene in Sicilia. Da allora qualcosa si è mosso, nulla è però cambiato.

      Sono passati cinque mesi dalle rivelazioni dell’Observer e del Guardian in cui emergeva l’avvilente e cruda realtà di migliaia di donne romene sfruttate nei campi siciliani e spesso vittime di abusi da parte dei datori di lavoro. Cinque mesi in cui si sono succeduti clamore, sdegno, incontri, visite d’urgenza, operazioni di polizia e contatti Roma-Bucarest sia a livello politico che associativo. Cinque mesi in cui, però, la situazione sul campo sembra essere rimasta quasi invariata. Resta il timore di denunciare, resta il bisogno di lavorare e di mandare più soldi possibile a casa, resta la mancanza di una vera e propria task force o di un punto di riferimento per coloro che pur a fatica ne volessero uscire.
      Accordi

      Alcuni passi, però, sono stati fatti. Tra questi collaborazione diretta tra gli Ispettorati del lavoro di Romania e Italia, dialogo tra ministeri, uno sportello informativo per i romeni presso il centro polifunzionale del comune di Vittoria, una campagna informativa e di prevenzione già in campo e che è in procinto di essere ampliata. Lo ha spiegato l’ambasciatore romeno in Italia George Bologan, che è stato in visita a Catania e Ragusa a metà luglio. “La tutela della dignità umana come valore universale è interesse comune dei nostri stati – ha dichiarato dopo la visita - ho incontrato le autorità pubbliche e i rappresentanti della società civile e potrei affermare che qualcosa si è fatto e sono fiducioso in quello che di positivo si fa. Ho incontrato anche cittadini romeni e italiani che lavorano insieme senza problemi, con regolare contratto di lavoro e hanno tutti i benefici previsti dalla legge. Sono buoni esempi da seguire. Il lavoro nero, lo sfruttamento, sono come una cancrena che deve essere eliminata per salvaguardare l’intero corpo sociale”.

      Le migliaia di lavoratrici impiegate nei campi e nelle serre, però, restano sostanzialmente nella stessa situazione. Anche se subito dopo le notizie apparse sui giornali il governo romeno aveva raggiunto un’intesa per collaborare con le autorità italiane per fermare abusi e sfruttamenti tra Ragusa e Vittoria, non è ancora chiaro quale sia in Romania il ministero incaricato di trovare soluzioni e spingere le autorità italiane ad avviare strategie per interrompere il circolo vizioso in atto. Complice una breve crisi di governo in Romania, in cui il premier Sorin Grindeanu è stato sconfessato dal suo stesso partito, resta in sospeso la decisione su chi abbia il budget per avviare i progetti, se il ministero per i Romeni all’estero, se la Giustizia o gli Interni. Grindeanu, infatti, aveva chiesto subito dopo le rivelazioni stampa, che venisse redatto un piano sulla situazione con dati e suggerimenti e che successivamente si sarebbe provveduto a decidere il ministero competente. Ma la scelta resta ancora in sospeso.
      Una comunità d’accoglienza

      Secondo i dati emersi dalle indagini della stampa britannica delle circa 5.000 donne che lavorano nel settore agricolo nel ragusano, un terzo è duramente sfruttato e spesso vittima di abusi sessuali da parte dei datori di lavoro, con il tacito assenso di mariti che vivono alle spalle della moglie. Don Beniamino Sacco, che da anni denuncia quanto avviene nelle campagne della zona, ha le idee ben precise su cosa non rompe questo circolo e su cosa potrebbe, invece, essere d’aiuto. “Quello che succede nelle campagne è un mondo sommerso. Come al solito quando esplode una notizia c’è stato clamore, ma poi tutto torna nel dimenticatoio. Negli incontri con le autorità il mio suggerimento è stato quello di costruire una comunità, un punto di appoggio, di riferimento che possa fare da parafulmine per coloro che vogliono uscire da questa situazione – ha dichiarato Don Sacco – la Chiesa ortodossa potrebbe avere questo ruolo.

      "Fino ad ora è stata la Chiesa cattolica ad accogliere i pochi disperati che hanno voluto denunciare - continua Don Sacco - ma i romeni non sono uniti e non c’è chi li tiene uniti per risolvere questo problema. Le romene, che hanno sostituito i tunisini nei campi, sono costrette a lavorare, a guadagnare, per poter mandare il denaro ai figli lasciati a casa. Spesso hanno accanto un marito violento e che non le difende dalle aggressioni del datore di lavoro. Un andazzo che mortifica la dignità della persona. E in questo caso c’è chi non si pone il problema e chi difficoltosamente denuncia”. Nel concreto “con padre Nicolae (il giovane prete ortodosso che gira per le campagne per sostenere la comunità) stiamo cercando di acquistare un terreno per creare un punto di raccolta per la comunità. Sarebbe un passo importante”.
      20 euro al giorno

      Secondo le stime della polizia italiana nel settore agricolo siciliano lavorano oltre 7.500 donne, la maggior parte romene, e moltissime sono in condizioni di sfruttamento.

      Le ragioni di questa presenza massiccia dipendono da un lato dalla necessità dei datori di lavoro di assumere forza lavoro comunitaria, dall’altro, da parte delle lavoratrici, dalla chimera di una paga 56 euro al giorno per otto ore, come previsto dalla legge. Ma la realtà è ben diversa e le lavoratrici percepiscono, nonostante quanto sia stato accordato sulla carta, al massimo 20 euro al giorno, sotto continue minacce e violenze.


      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Lavoratrici-romene-sfruttate-in-Sicilia-nulla-e-cambiato-181825
      #Roumanie #femmes

    • Le “schiave” romene dietro ai pomodori di Ragusa

      Nelle campagne della Sicilia vi sono centinaia di donne emigrate dalla Romania per lavoro e ridotte in una sorta di «schiavitù» contemporanea. La vicenda è approdata al Parlamento europeo, dove diversi deputati vogliono spingere l’Ue a intervenire.

      Silvia Dumitrache mi mette in guardia: “Spero che lei abbia un bel po’ di tempo per ascoltare” la storia di quello che è successo negli ultimi undici anni in Italia, paese membro dell’Unione europea.

      Alla fine chiedo il permesso di abbassare il telefono: avevo ascoltato non una storia da incubo, ma la quotidianità di molte donne romene emigrate. La schiavitù esiste ancora. Ed è tanto più terribile in quanto, molto spesso, è accettata.

      “Tutto comincia in Romania”, racconta Dumitrache, presidente dell’Associazione delle donne romene in Italia” (Adri), “a Botosani, in una delle zone più arretrate del paese, da dove le donne hanno cominciato a emigrare nel 2007. L’esodo non si è mai interrotto. Vanno a raccogliere i pomodori in Italia, a Ragusa. E spesso partono senza sapere a cosa vanno incontro. Quello che è più triste è che anche quando qualcuna di loro riesce a scappare da quell’inferno, finisce sempre per tornarci, obbligata in qualche modo dalla spirale dei debiti, dai vicini a cui ha chiesto un prestito, e che la spingono a partire di nuovo per riavere i loro soldi”.

      Il filo del racconto si dipana, sempre più terrificante, come se fosse tratto dai vecchi romanzi che parlano di schiavi. Lo scandalo non è nuovo, riemerge periodicamente e si gonfia come una bolla di sapone. Ci sono le retate della polizia, le visite delle autorità, e a volte si intravede qualche barlume di speranza.
      Un sordida vicenda alle porte dell’Europa

      Gli ingredienti di questa brutta storia proprio davanti alla nostra porta? In Sicilia? Il banale affare della produzione dei pomodori a Ragusa, che con il tempo è diventata la più grande esportatrice di pomodori italiani in Europa, è anche una delle più sordide vicende del nostro continente.

      All’inizio c’è stata l’adesione della Romania all’Unione europea, nel 2007. E un’ondata massiccia di forza lavoro è arrivata sui mercati d’Italia, Spagna, Francia e Gran Bretagna. Donne partite per lavorare, ma che una volta arrivate a Ragusa vengono obbligate a prestare servizi sessuali ai padroni per poter conservare il proprio posto di lavoro. “La forza lavoro che arrivava dalla Romania era più la accomodante, la più disposta ad accettare compromessi”, spiega Silvia Dumitrache.

      “Le donne romene sono già tenute in una sorta di stato di schiavitù dai loro uomini, vengono picchiate… Molte di loro se ne vanno dalla Romania proprio per sfuggire a queste violenze. Raccontano che, anche se sono sfruttate, almeno in Italia guadagnano qualche soldo. Poi c’è un altro aspetto: in questo tipo di lavoro, se accettano le richieste di favori sessuali da parte dei padroni, possono tenersi vicini i figli, mentre se dovessero fare le badanti non sarebbe possibile”. Ma il lavoro nei campi, sotto la soffocante sorveglianza dei padroni? E gli anni in cui un osservatore attento avrebbe potuto farsi delle domande sul numero abnorme di aborti compiuti all’ospedale di Vittoria?

      Poi sono arrivati gli articoli. Prima pubblicati sulla stampa italiana, poi dal Guardian. È uscito un libro, Voi li chiamate clandestini , e i fatti sono stati raccontati dall’ong italiana Proxima.

      Di questa storia sono al corrente sia la polizia sia la procura, ma senza grandi risultati, perché in Italia le risorse di queste istituzioni sono piuttosto ridotte. Come racconta Silvia Dumitrache, per sollevare il problema c’è stato bisogno – per ironia della sorte – delle proteste di alcuni padroni, preoccupati perché sul mercato internazionale i prodotti etichettati Ragusa venivano boicottati a causa dallo scandalo scoppiato. “Le loro pressioni, che si sono concretizzate in un opera di lobbismo a livello europeo, hanno smosso le cose. Da allora sono cominciati gli arresti, a danno della mafia, che di fatto controlla questa situazione. Ma non basta ancora”.

      Gli eventi, finiti più volte sotto i riflettori dei mezzi d’informazione europei, hanno catturato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e, soprattutto, delle istituzioni europee. In qualche modo era prevedibile, dato che la legislazione in questo settore esiste ma non è sufficientemente applicata.

      Su richiesta di alcuni deputati europei, la commissione del parlamento europeo per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, Femm – di cui ha fatto parte anche l’attuale premier romena, Viorica Dancila, deputa europea fino al gennaio del 2018 – ha intrapreso una visita a Ragusa . Molti eurodeputati hanno presentato un’interpellanza alla Commissione europea e i governi romeno e italiano hanno avviato un tavolo di lavoro bilaterale sul tema.

      Sul piano politico europeo sono seguite risoluzioni, gruppi di lavoro, interpellanze; a livello locale, invece, ci sono stati arresti e retate. Le visite bilaterali italo-romene si sono intensificate e, nel mese di maggio, il governo romeno ha lanciato il programma “Parti informato!”, che punta a dare informazioni a chi desidera emigrare. “Inoltre”, osserva il deputato europeo Emilian Pavel , “il ministero del Lavoro e romeno e il ministero romeno per la Diaspora hanno adottato provvedimenti congiunti con il ministero del Lavoro italiano”. Emilian Pavel, membro del Gruppo dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici al Parlamento europeo è solo uno dei deputati che dall’autunno scorso continuano a battersi per mettere fine ai casi di schiavitù che sopravvivono in pieno XXI secolo.
      Boicottaggio paneuropeo contro i prodotti che provengono da Ragusa?

      “Certe rivelazioni producono necessariamente reazioni forti, e i deputati del Parlamento europeo sono estremamente sensibili e attenti a questioni del genere. Non è ancora troppo tardi per pensare di organizzare un boicottaggio paneuropeo contro i prodotti che arrivano da luoghi dove si pratica la schiavitù o che sono il frutto di tali pratiche. Tenere un essere umano, una donna, in schiavitù, è un’umiliazione per ogni essere umano”, dice Emilian Pavel.

      “Le istituzioni europee possono e devono agire conformemente alla loro missione e ai trattati. Sicuramente ci sono cose che possono essere fatte a livello europeo, come monitorare l’applicazione della legislazione europea attualmente in vigore, fare pressioni per accelerare l’implementazione di tutti gli accordi internazionali. Ma soprattutto bisogna dare appoggio concreto alle vittime! Questi fatti devono arrivare davanti ai giudici. Purtroppo è un traguardo difficile, e possiamo comprendere a livello umano che le vittime di schiavitù, dopo anni di umiliazioni, difficilmente avranno la forza per cercare di portare i colpevoli davanti alla giustizia. Io faccio parte della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del parlamento europeo; lottiamo contro le discriminazioni di genere e facciamo pressioni sugli stati affinché applichino la Convenzione di Istanbul, approvata nel 2011 dal Consiglio d’Europa, sulla prevenzione e la lotta alle violenze domestiche e contro le donne”.

      Secondo l’eurodeputato Pavel, tuttavia, una delle cause che più hanno contribuito a creare un simile problema è l’esistenza stessa del lavoro nero. Molte donne si sono ritrovate in questa situazione perché le autorità italiane non sono riuscite a combattere con successo il lavoro nero. “Il principio è semplice. È tanto semplice in via di principio quanto è terribile nella vita reale. Il lavoro in nero porta agli abusi, fa crescere le disuguaglianze, è causa di tragedie. Dobbiamo essere tutti molto più determinati nel combatterlo”, afferma.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Le-schiave-romene-dietro-ai-pomodori-di-Ragusa-187940

  • #Violence politique au #Burundi ou l’impossible #démocratisation

    Petit État de la région des grands lacs (environ 28 000 Km²), le Burundi est peu connu des Français et des Européens en général. Cette méconnaissance est même utilisée à des fins comiques : à la fin du film à succès « Qu’est-ce qu’on a fait au bon Dieu », Christian Clavier présente son acolyte, avec lequel il voyage en fraude dans un train de la SNCF, comme le ministre des finances burundais ! De façon moins « légère », les Occidentaux se souviennent que deux de ses principales composantes « ethniques », les Hutus et les Tutsis, se sont affrontés dans un génocide particulièrement meurtrier dans la première moitié des années 1990. Ils ont découvert plus récemment, et en même temps que les membres de la diaspora vivant sur le « Vieux Continent », le déclenchement d’une nouvelle crise politique, dont les origines semblent se trouver dans la réélection contestée de Pierre Nkurunziza, en 2015. L’objet de ce café géographique était donc de débattre et d’apporter, en toute modestie, quelques pistes d’interprétation de ce blocage politique. Deux questions ont guidé le propos de l’intervenant et structurent ce compte-rendu : Pourquoi le « pays des mille collines » fait-il face à un nouveau cycle de violence, après ceux de 1972 et 1993 ? Et quelles sont les perspectives d’accalmie à moyens termes ?


    http://cafe-geo.net/violence-politique-au-burundi-ou-l-impossible-democratisation
    #conflit
    via @ville_en

  • 9 Farmers Commit Suicide Daily In Drought-Hit Maharashtra | IndiaSpend
    http://www.indiaspend.com/cover-story/9-farmers-commit-suicide-daily-in-drought-hit-maharashtra-41797

    As many as 3,228 farmers committed suicide in Maharashtra in 2015, the highest since 2001, according to data tabled in the Rajya Sabha on March 4, 2016–that is almost nine farmers every day.

    #Inde #suicide #agriculture #sécheresse