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    • Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.

  • « Tribunal des bannis » : pourquoi « faire appel » des décisions de modération auprès d’un « tribunal » pose problème | Le Club
    https://blogs.mediapart.fr/edition/les-debats-de-la-moderation/article/020523/tribunal-des-bannis-pourquoi-faire-appel-des-decisions-de-moderation

    Il semble donc légitime de questionner l’intérêt pédagogique de ces streamers qui jugent le temps d’une journée un travail inconnu à leurs yeux. D’autant plus lorsqu’il s’agit d’un délit répréhensible par la loi.

    Mettre en avant les « bannis » joue un jeu pervers. Ces internautes ont enfreint les règles, posté des insultes, des messages sexistes, participé à du harcèlement. Dans un même temps, ils sont applaudis et vus par des millions de personnes. Quel genre de message cela donne-t-il à la communauté ?

    C’était prévisible, mais ce quart d’heure de gloire numérique a donné l’idée à certains de se faire bannir uniquement pour pouvoir passer ensuite sur ce tribunal en ligne… Détricotant ainsi le travail minutieux des modérateurs pour assainir les débats.

    Sans oublier que non content de mettre en scène les internautes bannis, il est de rigueur, dans ce type d’exercice, de dévoiler les commentaires problématiques. Un aspect contraire au principe même de modération, dont le but est d’effacer tout propos oppressif.

    En tant que modérateurs, nous trouvons plus violent d’exposer ces messages que la prétendue violence d’un ban.

    Cette démarche participe à décrédibiliser le travail des modérateurs Twitch. Elle édulcore la réalité des échanges en ligne, et incite certains à mal se comporter pour quelques minutes de « gloire ». Un stream invitant les modérateurs pour recueillir leurs témoignages sur la violence des échanges, partager leurs expertises sur la médiation, sensibiliser au harcèlement en ligne, voilà qui donnerait une tout autre dimension à ces vidéos.

  • « Tribunal des bannis » : pourquoi « faire appel » des décisions de modération auprès d’un « tribunal » pose problème
    https://blogs.mediapart.fr/edition/les-debats-de-la-moderation/article/020523/tribunal-des-bannis-pourquoi-faire-appel-des-decisions-de-moderation

    La vidéo du « Tribunal des bannis » du youtubeur Squeezie a engrangé près de 8 millions de vues sur internet. Un engouement qui questionne l’essence du travail de modérateur et minimise le principe même de cyberharcèlement. Mise en scène comique, valorisation d’internautes qui ne respectent pas les règles sur Twitch, violence discriminatoire tournée en dérision : derrière cette fausse impertinence se cache un mépris pour le travail de modération, que Mediapart prend au sérieux.

  • Salarié·es de Mediapart grévistes et solidaires
    De grévistes à grévistes. Dans la perspective d’un mouvement qui dure, les salarié·es de Mediapart engagé·es dans le mouvement contre la réforme des retraites ont décidé d’utiliser le Club comme caisse de résonance aux luttes actuelles, en créant un journal de grève participatif et solidaire, et en mettant leurs compétences au service de celles et ceux qui se mobilisent.

    https://blogs.mediapart.fr/edition/reforme-des-retraites-grevistes-solidaires/article/060223/salarie-es-de-mediapart-grevistes-et-solidaires
    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/02/06/feministes-en-colere-64-ans-cest-non-43-annuites-cest-non-et-autres-textes/#comment-55287

    #retraite

  • Céline, le trésor retrouvé – Une série de Jean-Pierre Thibaudat
    https://blogs.mediapart.fr/edition/lhebdo-du-club/article/050822/hebdo-130-celine-le-tresor-retrouve-une-serie-de-jean-pierre-thibaud

    Il y a tout juste un an, Jean-Pierre Thibaudat, journaliste et contributeur régulier du Club, révélait dans son blog avoir été « le miraculeux dépositaire » de manuscrits inédits de Louis-Ferdinand Céline. À partir du 6 août, il revient avec une série de neuf billets nous raconter toute l’histoire de ce trésor, son contenu, sa circulation et l’identité du chaînon manquant… A lire aussi le premier entretien accordé par Jean-Pierre Thibaudat : Le dernier secret des manuscrits retrouvés de Louis-Ferdinand Céline.

    https://youtu.be/Kovcb58RRDE

    #Celine #Littérature #manuscrits_retrouvés

  • #Pinar_Selek : une #persécution sans fin

    Ce 21 juin la Cour suprême de Turquie a prononcé une condamnation à la #prison_à_perpétuité contre l’écrivaine et sociologue réfugiée en France, confirmant une nouvelle fois qu’il n’y a pas d’état de droit dans ce pays. Publication de la première réaction de Pinar Selek ainsi que du communiqué de presse du Collectif de solidarité.

    Il y a un mois, en rédigeant une recension du second roman de Pinar Selek, je me disais que l’écrivaine allait pouvoir un peu souffler, se consacrer à l’écriture, à la recherche et à ses luttes et que le régime turc l’avait probablement oubliée. Aujourd’hui je ne peux m’empêcher de me souvenir du choc de la condamnation de janvier 2013 que nous avions apprise à l’université de Strasbourg où Pinar faisait sa thèse en bénéficiant de la protection académique. Et je me dis que le choc de la condamnation de ce 21 juin 2022 est encore plus violent. Parce que la condamnation vient de la #Cour_suprême de Turquie et qu’on pouvait espérer que les juges de cette instance auraient un minimum d’indépendance par rapport au pouvoir politique. Il n’en est rien. Ce choc est encore plus violent parce que le procureur de la Cour suprême avait requis une condamnation à la prison à perpétuité le 25 janvier 2017 et que les juges ont mis cinq ans à prononcer leur verdict. Plus violent aussi parce que la torture à distance se poursuit, inexorablement. Plus violent enfin parce que les voies de recours s’amenuisent et que la possibilité d’un retour de Pinar dans son pays s’éloigne à nouveau.

    Rappelons pour celles et ceux qui ignoreraient le destin de Pinar Selek qu’elle est la victime de la plus longue et la plus terrible persécution judiciaire infligée par le pouvoir turc. Bientôt un quart de siècle d’acquittements et de nouvelles condamnations qui s’enchainent sans fin, dans le déni absurde des faits : la sociologue n’a jamais posé de bombe sur le Marché aux épices d’Istanbul en 1998 pour la simple et bonne raison qu’il s’agissait d’un accident provoqué par une bouteille de gaz. Les preuves en ont été apportées par plusieurs commissions d’enquête et le seul témoin qui accusait Pinar s’est rétracté après qu’il a été établi que son témoignage avait été arraché sous la torture. Je renvoie à cette biographie (https://pinarselek.fr/biographie) qui comporte un tableau historique de l’affaire judiciaire et à cet entretien avec Livia Garrigue (https://blogs.mediapart.fr/edition/lhebdo-du-club/article/101220/hebdo-95-savoir-lutter-poetiser-entretien-avec-pinar-selek).

    Pourquoi cette persécution sans fin ? Peut-être d’abord parce que le régime turc ne supporte pas que la contestation vienne de ses propres citoyen.nes. Le pouvoir d’Erdogan reproche simplement à Pinar Selek d’être turque. Ce qu’il tolère encore moins, c’est une parole libre. Celle des artistes, des journalistes et des universitaires. Par ses livres, ses enquêtes de terrain et ses recherches, par son enseignement aussi, Pinar accomplit un travail relatif à ces trois professions qui sont parmi les plus réprimées par le pouvoir turc. Quand en plus il s’agit de la voix d’une femme qui porte loin la défense des femmes et de toutes les minorités, d’une femme antimilitariste qui dénonce les violences d’une société patriarcale, qui est l’amie des kurdes et des arméniens sur lesquels elle conduit des recherches, on comprend pourquoi le régime politique turc fait de Pinar Selek un exemple. Avec Pinar Selek il ne s’agit pas simplement de la répression d’une opposante politique. Mais de la répression d’une femme libre.

    Il y a quelques semaines, sur son blog de Mediapart (https://blogs.mediapart.fr/pinar-selek/blog/270422/les-otages-de-la-resistance-de-gezi), Pinar, prenant la défense de huit intellectuel.les condamné.es par le pouvoir turc et devenu.es des « otages de la résistance de Gezi », écrivait ceci : « La spécificité du régime répressif turc découle de la définition constitutionnelle de la citoyenneté républicaine : le #monisme y prévaut dans tous les domaines. Quiconque s’écarte des normes établies par le pouvoir politique est immédiatement perçu comme dangereux, destructeur, voire ennemi. » Mais elle poursuivait ainsi : « Et c’est précisément la #résistance à ce monisme qui depuis longtemps fertilise les alliances entre les différents mouvements féministe, LGBT, antimilitariste, écologiste, libertaire, de gauche, kurde, arménien ». Pinar Selek incarne cette résistance. Le pouvoir turc s’en prend à un #symbole. Mais on ne fait pas disparaître un symbole. Plus la #violence d’un Etat s’exerce contre un symbole, plus le symbole devient vivant et fort. Pinar Selek est une « force qui va ». Mais elle est aussi une force fatiguée et fragile. Elle a besoin de notre soutien. Nous lui devons, après qu’elle a tant donné aux luttes locales et européennes, après qu’elle nous a tant appris. D’ores et déjà la Coordination nationale des Collectifs de solidarité (https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/160917/la-coordination-des-collectifs-de-solidarite-avec-pinar-selek-est-ne) se mobilise et prépare de multiples actions, dont je rendrai compte dès la semaine prochaine dans un nouveau billet. Je donne à lire ci-dessous la première réaction de Pinar à sa condamnation ainsi que le communiqué des Collectifs de solidarité.

    –—

    DÉCLARATION DE PINAR SELEK FAITE À LA BBC SUITE À SA CONDAMNATION À PERPÉTUITÉ LE 21 JUIN

    Tout est possible sauf ma condamnation à nouveau.
    Ce jugement n’est pas seulement injuste et insensé mais de plus inhumain dans la mesure où dans le dossier, il y a de nombreux rapports d’expertise qui établissent qu’il s’agissait d’une explosion due à une fuite de gaz, où l’on n’a pas pris une seule fois ma déposition sur cette question, on ne m’a pas posé une seule question sur ce sujet.
    Le procès avait été lancé en s’appuyant uniquement sur la déposition d’Abdülmecit O. qui avait déclaré que nous avions agi ensemble, qui, par la suite, a renié sa déposition au tribunal car elle avait été extorquée sous la torture. Cette personne a été acquittée avec moi et son acquittement fut définitif et l’appel est demandé uniquement pour mon acquittement.
    Ce jugement n’a donc rien à voir avec le Droit.
    Comme les motifs du jugement ne sont pas encore publiés, je ne peux pas commenter davantage.
    Je lutterai, nous lutterons contre cette #injustice jusqu’à la fin.

    Pinar Selek

    –-

    Communiqué de presse

    mercredi 22 juin 2022

    Nous, collectifs de solidarité avec Pınar Selek, sommes choqués et révoltés par la décision grotesque et scandaleuse de la Cour suprême de Turquie qui vient de condamner l’écrivaine et sociologue à la prison à perpétuité.

    Absolument rien dans le dossier judiciaire ne tient debout, comme l’avaient démontré les quatre acquittements successifs(*).

    Les conséquences pour Pınar en apparaissent d’autant plus inhumaines : la condamnation à perpétuité en elle-même d’une part, mais également les millions d’euros de dommages et intérêts qui vont désormais s’abattre et faire peser sur Pınar et sa famille une pression financière inouïe.

    Nous, collectifs de solidarité avec Pınar Selek, restons pleinement mobilisés à ses côtés et allons mettre en œuvre tout ce qui est possible pour défaire cette décision inacceptable.

    Dès maintenant, nous en appelons à l’État Français afin qu’il exprime son soutien ferme et entier à sa ressortissante Pınar Selek, qu’il proteste officiellement auprès des autorité turques et s’engage à protéger Pınar Selek contre toutes les conséquences potentielles de cette décision inique.

    La Coordination des collectifs de solidarité avec Pınar Selek

    contact : comitepinarseleklyon@free.fr

    (*) Sociologue, écrivaine et militante de Turquie aujourd’hui exilée en France, Pınar Selek s’est engagée en Turquie pour la justice, les droits de tou·te·s et contre la violence et le militarisme, et subit pour cela la répression de l’État turc depuis 24 ans.

    En 1998, Pınar Selek est arrêtée et emprisonnée à cause de ses recherches. Elle est ensuite accusée d’avoir commis un attentat sur le marché d’Istanbul. Tous les rapports officiels d’expertise concluent à l’explosion accidentelle d’une bonbonne de gaz. Pınar Selek est acquittée à 4 reprises, mais à chaque fois l’État fait appel.

    Le seul témoin qui l’avait accusée d’avoir commis un attentat avec lui, un jeune homme kurde, s’est rétracté par la suite car ses aveux avaient été extorqués sous la torture, et il a été acquitté définitivement. Dans ce contexte, la poursuite des accusations contre Pınar Selek révèle donc son unique visée, qui est répressive.

    https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/250622/pinar-selek-une-persecution-sans-fin

    #condamnation #justice (euhhh...) #Turquie

    • Pinar Selek : lettre ouverte au Président de la République

      Emmanuel Macron et son gouvernement apporteront-ils « un soutien ferme et inconditionnel » à Pinar Selek ? C’est la demande que formulent une cinquantaine de personnalités. Parmi les premiers signataires Arié Alimi, Ariane Ascaride, Julien Bayou, Judith Butler, Annie Ernaux, Olivier Faure, Mathilde Panot ou bien encore Edwy Plenel. Vous pouvez désormais vous associer à ce texte en le signant.

      Rédigée par les Collectifs de solidarité avec Pinar Selek et publiée initialement dans Libération, une Lettre ouverte à Emmanuel Macron demande que la France apporte son « soutien ferme et inconditionnel » à la sociologue persécutée par le pouvoir turc. Parmi les premiers signataires le journaliste Edwy Plenel, des personnalités du monde politique (Julien Bayou, Elsa Faucillon, Olivier Faure, Mathilde Panot, Sandra Regol), de la culture (Annie Ernaux, Ariane Ascaride, Robert Guédiguian, Valérie Manteau …), des chercheur·es et des intellectuel·les engagé·es (Etienne Balibar, Ludivine Bantigny, Judith Butler, Claude Calame, Laurence De Cock, Eric Fassin …), des avocats (Arié Alimi, Henri Braun, Patrick Baudouin, président de la LDH…), des présidents d’université et des responsables syndicaux (Solidaires, SNESUP et CGT). Un formulaire permet de recueillir de nouvelles signatures. Signez et faites signer cette lettre ouverte. Merci à vous ! Merci pour Pinar Selek.

      Pascal Maillard

      PS : Pour plus d’informations voir le site dédié à Pinar Selek et cet autre billet. Je signale également une tribune signée par des chercheur.es en sciences sociales parue dans Le Monde. Je rappelle enfin le lien vers une cagnotte qui doit permettre de financer les frais d’avocat et les déplacements en Turquie pour soutenir et défendre Pinar Selek.
      LETTRE OUVERTE

      À M. Emmanuel Macron, Président de la République Française,

      Copie : Mme Élisabeth Borne, Première ministre

      Copie : Mme Catherine Colonna, ministre de l’Europe et des affaires étrangères

      Copie : Mme Laurence Boone, secrétaire d’État chargée de l’Europe

      Copie : M. Gérald Darmanin, ministre de l’intérieur et des outre-mer

      Copie : Mme Sylvie Retailleau, ministre de l’enseignement supérieur et de la recherche

      Copie : Mmes et MM. les président·es de groupes à l’Assemblée nationale

      Lyon, le 12 juillet 2022

      Objet : Quatrième annulation de l’acquittement de Pinar Selek par la Cour suprême de Turquie le 21 juin 2022 et réaction de la France

      Monsieur le Président de la République,

      Au cours des dernières années, nous avons été amenés à échanger à plusieurs reprises avec vous et avec des membres de vos gouvernements successifs au sujet de la situation de Pinar Selek et de l’indispensable mobilisation de l’État français pour assurer la sécurité de notre concitoyenne eu égard à la persécution judiciaire dont elle est victime en Turquie, son pays d’origine.

      Ainsi, répondant à notre sollicitation, vous nous écriviez le 16 janvier 2018 que vous entreteniez « avec la Turquie un dialogue soutenu et exigeant sur la question des Droits de l’Homme », et que « la Turquie [devait] respecter ses engagements européens et internationaux en matière de libertés fondamentales ».

      Aujourd’hui, la situation de Madame Pinar Selek a brutalement évolué depuis l’annonce par la Cour suprême de Turquie mardi 21 juin 2022 de l’annulation de son acquittement, en dépit d’un dossier judiciaire vide et des quatre audiences qui après un examen des faits ont conduit, au fil de 24 ans de procédure, à ce que soit à chaque fois reconnue son innocence. Outre la gravité de la nouvelle injonction de la Cour Suprême de Turquie, qui au mépris de la réalité des faits exige que Pinar Selek soit condamnée, ce sont également des demandes de dommages et intérêts qui risquent à présent de s’abattre sur Pinar Selek et de faire peser sur elle et sa famille une pression financière inouïe.

      Nous nous permettons de rappeler que Pinar Selek a bénéficié de l’asile politique dans notre pays, qu’elle a ensuite acquis la nationalité française et qu’elle est aujourd’hui enseignante-chercheure à Université Côte d’Azur. Femme engagée, sociologue reconnue et écrivaine talentueuse, Pinar Selek est une grande figure de la défense de la liberté, de la recherche et des Droits humains. Nous croyons qu’elle mérite la reconnaissance et le soutien de la République.

      C’est pourquoi nous attirons votre attention sur l’urgence qu’il y aurait à ce que la France rappelle publiquement son soutien ferme et inconditionnel à notre compatriote et proteste auprès de la Turquie contre cette décision, qui traduit un harcèlement judiciaire hors du commun, une torture institutionnelle insupportable, et une atteinte au droit de Pinar Selek à être jugée de manière équitable, par un juge indépendant et impartial dans un délai raisonnable. Nous estimons enfin essentiel que votre gouvernement mette tout en œuvre pour assurer la protection nécessaire de notre ressortissante face aux conséquences de cette décision de justice, en particulier sur la sécurité et les biens de Pinar Selek.

      Nous sommes convaincus, Monsieur le Président de la République, que vous serez sensible à la situation de Pinar Selek et que vous agirez à la mesure de l’urgence.

      Veuillez agréer, Monsieur le Président de la République, l’expression de toute notre considération.

      La coordination nationale des collectifs de solidarité avec Pinar Selek

      Premiers signataires :

      Arié Alimi, avocat

      Ariane Ascaride, comédienne
      Rusen Aytaç, avocate, membre du Conseil national des barreaux

      Etienne Balibar, professeur émérite, Université de Paris-Nanterre
      Ludivine Bantigny, universitaire, historienne
      Jeanne Barseghian, Maire de Strasbourg
      Zerrin Bataray, avocate, conseillère régionale Auvergne Rhône-Alpes
      Patrick Baudouin, avocat, président de la Ligue des droits de l’Homme
      Julien Bayou, député, président du groupe Écologiste-NUPES à l’Assemblée Nationale
      Alain Beretz, ancien président de l’Université de Strasbourg
      Oristelle Bonis , éditrice en chef, Éditions iXe

      Henri Braun, avocat au Barreau de Paris
      Jeanick Brisswalter, président Université Côte d’Azur
      Christine Buisson, chercheuse, co-secrétaire nationale de Sud Recherche EPST Solidaires
      Judith Butler, Maxine Eliot Professor of Comparative Literature and Critical Theory, University of California, Berkeley
      Claude Calame, historien et anthropologue, directeur d’études à l’EHESS, Président de la Section EHESS de la LDH
      Gérard Chaliand, écrivain
      Fabien Charreton, libraire
      Laurence De Cock, historienne, LDH
      Michel Deneken, président de l’Université de Strasbourg
      Jean-Pierre Djukic, Directeur de recherche, Université de Strasbourg
      Simon Duteil et Murielle Guilbert, délégués généraux de l’Union syndicale Solidaires
      Annie Ernaux, écrivaine
      Eric Fassin, sociologue, Paris 8
      Elsa Faucillon, députée, Gauche démocrate et républicaine-NUPES
      Olivier Faure, député de Seine-et-Marne – Premier secrétaire du Parti socialiste
      Robert Guédiguian, réalisateur
      Jacqueline Heinen, professeure émérite de sociologie, UVSQ Paris-Saclay
      Béatrice Hibou, politiste, directrice de recherche, Sciences Po, CERI, CNRS
      Ahmet Insel, économiste, ancien professeur de l’Université Galatasaray
      Henri Leclerc, avocat honoraire, Président d’Honneur de la Ligue des droits de l’Homme
      Marie Lesclingand, directrice du département de sociologie-démographie de l’Université Côte d’Azur
      Valérie Manteau, écrivaine, prix Renaudot 2018
      Sylvie Monchatre, sociologue, professeure, Université Lumière Lyon 2
      Rina Nissim, écrivaine, éditrice et naturopathe
      Mathilde Panot, députée, présidente du groupe LFI-NUPES à l’Assemblée Nationale
      Marie-Aimée Peyron, avocate, Ancienne Bâtonnière de Paris, vice-Présidente du Conseil national des barreaux
      Jean-François Pinton, président de l’ENS de Lyon
      Edwy Plenel, journaliste
      Martin Pradel, avocat, membre du Conseil national des barreaux
      Reine Prat, autrice, ancienne haute fonctionnaire au ministère de la Culture
      Sandra Regol, députée écologiste-NUPES
      Anne Roger, secrétaire générale du SNESUP-FSU
      Marie Rodriguez, LDH de Marseille
      Laurence Roques, avocate, présidente de la commission Libertés droits de l’Homme du Conseil national des barreaux
      Gaëlle Ronsin, directrice de publication de la revue Silence
      Réjane Sénac, directrice de recherche au CNRS
      Josiane Tack et Patrick Boumier, co-secrétaires généraux du SNTRS-CGT

      https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/180722/pinar-selek-lettre-ouverte-au-president-de-la-republique

    • pas de côté en paca - via Le Ravi

      https://www.leravi.org/social/alternatives/la-region-paca-loin-de-lextreme-droite-est-aussi-une-terre-de-resistance-a-l

      N’est-il pas plus beau pied-de-nez que d’avoir à passer devant le domicile de Christophe Castaner à Forcalquier pour aller à Longo Maï ? Une communauté autonome et autogérée bien implantée dans la région puisque présente aussi dans le Luberon et la Crau.

      Emblématique de cet attrait pour le pas de côté, deux lieux à Marseille (Manifesten et la Déviation) appartiennent au Clip, un réseau de lieux en propriété d’usage, en clair, un système de propriété collective qui permet à une demi-douzaine d’espaces gérés collectivement de « sortir » du marché immobilier ! Et, lors de l’AG annuelle, plusieurs projets en Paca se sont fait connaître, notamment du côté d’Avignon mais aussi dans les départements alpins.

      Comme le disait en rigolant un occupant de la « Zone à patates », cette Zad visant à préserver des terres agricoles de l’extension d’une zone industrielle à Pertuis : « Entre le bocage nantais et une Zad dans le sud, y a pas à hésiter ! » Même si la « Zap » est désormais expulsable à tout moment.

    • Intervention qui m’a un peu laissé dubitatif, par l’écart entre l’ampleur du problème décrit (avec des mots très justes) et la faiblesse de ce qui est mis en avant en conséquence, c’est à dire pas grand chose d’autre que la fuite individuelle. Une référence bienvenue à Terre de Liens qui font un gros boulot pour l’installation des jeunes, mais c’est à peu près tout.
      Ou alors j’ai pas pigé le propos...

    • @koldobika vers quelle alternative organisée pourraient-elles et ils se tourner ? ce qui est frappant, c’est l’émergence parmi les jeunes « éduqués » d’un tel courant exprimant le refus d’entrer « dans le système  » ; refus fondé sur des motivations diverses plus ou moins politiques (de la conscience du caractère destructeur du système, que ce soit social ou écologique, au rejet des perspectives de vie qui s’offrent à elleux). Qui aujourd’hui porte un tel rejet ?

      Par mon bout de lorgnette : j’interviens depuis pas mal de temps en tout de fin de cycle d’une spécialisation dans le domaine de l’énergie destinée à des ingénieurs tout juste sortis d’école ; ça fait 3-4 ans que certains d’entre eux expriment ce refus du système et sortent « ailleurs » que dans les débouchés naturels, les grands du secteur ou les startups variées, les unes comme les autres faisant pourtant miroiter à leur destination un monde nouveau à créer plein d’énergies renouvelables et de consommation maîtrisée par des réseaux intelligents… Je n’ai, hélas, pas la possibilité de suivre ce qu’elles et ils deviennent dans la durée.

    • @simplicissimus Est-ce du fait de l’endroit où j’habite, je m’attendais à ce qu’ils parlent de l’urgence à développer des systèmes nourriciers robustes en dehors de ce système destructeur qu’ils décrivent parfaitement bien. Des chambres d’agricultures issues de la paysannerie comme #EHLG, des associations d’aide à la conversion ou installation en bio, des centres de recherche comme le CREAB dans le Gers, batailler pou une sécurité sociale de l’alimentation, pour des modèles agricoles moins dépendants d’intrants globalisés, des initiatives comme https://www.prommata.org/?lang=fr, comme https://latelierpaysan.org etc. Il existe plein d’initiatives qui ne demandent qu’à être étendues, copiées, propagées, et je m’attendais à ce que ces jeunes agros les connaissent bien mieux que moi, et lancent un appel à reconstruire des agricultures non nuisibles et capables de survivre au bordel qui s’installe. Car malheureusement ce ne sont pas les fuites individuelles qui pourront contrecarrer les famines qui s’annoncent.

    • @latelierpaysan même
      https://www.creabio.org
      https://securite-sociale-alimentation.org

      Des désertions rendues publiques pour des raisons politiques, il y en a toujours eu, au moins depuis les années 70, et on voit bien que ça n’a jamais changé quoi que ce soit. Ce qui change un peu, ce qui est particulier, c’est peut-être la précocité de ces désertions, avant même d’être vraiment incorporés au système (même si les écoles d’ingé c’est déjà en faire partie). Mais même pas sûr si on lit les archives des années post 68, yavait aussi des très jeunes comme ça.

      Donc oui c’est pas ça qui va changer la face du monde, et c’est vrai que publiciser dans une grande salle + dans une vidéo devenue pas mal virale, des initiatives comme l’atelier paysan ou la SSA, ça aurait carrément eu plus de gueule que juste dire « je vais faire du miel à la place ». Une occasion un peu manquée.

    • Il y a un autre phénomène qui n’a pas été soulevé : c’est le nombre important de bac + 5 ou plus qui s’installent en tant qu’agriculteurs. Pour ma part, je n’y vois pas forcément un effet de cette désertion, mais de la complexité de la démarche même de l’installation agricole.

    • Je trouve ça plutôt inquiétant. Dans ma vision idéale du futur, il n’y a pas besoin de faire bac + 5 (avec tout ce que ça suppose à la fois en terme de concurrence pour y accéder à ce niveau que de vision du monde acquise via un tel parcours) pour cultiver la terre et nourrir autrui.
      Je ferai même un lien avec l’influence du réseau salariat dans les alternatives alimentaire et agricoles, lequel propose un salaire à vie dont le montant est fonction de la qualification.

    • @deun Le problème c’est que les études sont vues comme un « bagage », une compétence potentielle. Et on se juge beaucoup plus sur ce qu’on pourrait être que sur ce qu’on est.

      Un bac+5 / 7 / 11 est encore vu comme supérieur à un bac-3 / 0 / 2 / 3 dans l’esprit collectif. Même quand le second fait un truc bien plus utile et nécessaire que le premier (comme ramasser les poubelles, faire pousser des légumes ou faire du pain). Et le salaire, n’en parlons même pas, va en proportion des études. Souvent indexé sur les « responsabilités », qui est un synonyme de domination des autres (combien de personne tu encadres) ou les capitaux engagés (combien de fric tu brasses, alors qu’en général, c’est pas le tiens).

      Donc les études, c’est un peu un pare-chocs social, un badge que tu brandis quand on est un peu trop condescendant envers toi : « Je pues le poireau et le lisier de porc ? Mais j’ai fait des études, je sais écrire et parler, je maitrise la rhétorique aussi bien que l’algèbre, alors viens pas me chercher sur l’échelle sociale ! »

      Bon, ça ne rend pas confiant en soi pendant des décennies quand tu fais un boulot chiant et nul ou éco-destructeur à te maudire sur 13 générations, et ça rendrait même un peu schizophrène. Et puis c’est un peu une reproduction du système qu’on refuse tant.

    • Partie 2, c’est peut etre aussi pour cela que le syndicalisme ne reprend pas de membres ou se divise en petits syndicats.
      Et oui, les salariés étant plus instruits, ils se sentent aussi plus apte à se défendre individuellement, là où d’autres complétaient leurs lacunes en s’unissant.

    • La situation de crise que connaissent les hôpitaux de ce pays appelle des débats dignes, qui s’appuient sur des preuves scientifiques solides et qui respectent l’éthique. Nous appelons à combattre les propositions inéthiques et dangereuses faites sur les réseaux sociaux, notamment par l’intermédiaire d’une tribune publiée le 2 janvier 2022 dans le Journal du dimanche, concernant les personnes non-vaccinées : « rédiger des directives anticipées pour dire si elles souhaitent ou non être réanimées en cas de forme grave de Covid ». Prise au pied de la lettre, cette proposition pourrait être interprétée comme un appel fait aux non-vaccinés à renoncer à des soins de réanimation, donc à envisager de possiblement mourir pour ne pas engorger les services hospitaliers.

      Les vingt dernières années de politique d’austérité ont vulnérabilisé les hôpitaux publics. La gestion catastrophique de l’épidémie par le gouvernement a aggravé la situation. Au vu de la cinquième vague, de la saturation des services, des dilemmes éthiques qu’elle impose, des pertes de chances pour d’autres patients, de l’épuisement des personnels, la situation semble désespérée. Nous avons plus que jamais besoin d’un débat qui replace l’éthique, la dignité humaine et les acquis de la santé publique au centre de l’action politique. Or, les idées circulant sur les réseaux sociaux et relayées notamment dans une tribune du JDD de ce dimanche 2 janvier vont dans le sens contraire. Ces propositions soulèvent de nombreuses questions :

      Cette proposition s’inscrit dans une logique libérale des politiques de santé, selon laquelle la responsabilité individuelle doit primer. Quelles seraient les prochaines étapes ? Ne plus soigner un usager de drogues malade d’une hépatite virale ? Faire payer la prise en charge de son cancer du poumon à un fumeur ? Mettre une amende à un diabétique qui ne respecte pas son régime ?

      Les études en santé publique sur l’adhésion vaccinale n’ont jamais démontré que la stigmatisation induite par ce type de proposition ait une quelconque efficacité. Au contraire, elle a des effets néfastes : par exemple, la honte induite peut retarder le moment où une personne non vaccinée et contaminée sollicitera une aide ou se fera dépister.

      Ce genre de provocation empêche de discuter de mesures efficaces : la lutte contre les inégalités en santé, le financement de stratégies d’aller vers, l’appui sur des stratégies de santé communautaire, des campagnes d’information claire sur tous les outils de prévention, présentant clairement l’intérêt et les limites de chacun d’entre eux et la nécessité de les combiner.

      Le droit de mourir dans la dignité est un sujet essentiel. La nécessaire information sur la rédaction de directives anticipées mérite mieux qu’un tel détournement qui ne vise que la provocation gratuite.

      Nous appelons chaque personnalité publique à appuyer ses interventions sur des principes d’éthique, de dignité et de scientificité. La crise en cours les rend encore plus nécessaires. Nous appelons les médias à fixer enfin des limites dans la publicité qu’ils accordent à des provocations inéthiques et dangereuses.

    • Assez clairement, cet article se base sur l’accroche « putaclic » (pour citer Colporteur) de la reprise du Monde, plutôt que sur la tribune elle-même publiée par le JDD.

      Si je ne suis pas fana d’introduire ici la promotion des directives anticipées, la tribune n’est pas du tout du tonneau décrit ici.

      Et comme je l’écrit par ailleurs : la situation actuelle n’est pas qu’on refuserait de soigner les non-vaccinés, mais au contraire qu’on a une priorité donnée aux patients Covid (massivement non vaccinés), priorité qui se fait donc au détriment d’autres patients :

      D’ores et déjà, l’activation des plans blancs amène à reporter des opérations et des hospitalisations non urgentes pour donner la priorité aux patients Covid devant être intubés et ventilés.

      Encore une fois : actuellement c’est cette priorité qui a des conséquences « inéthiques » que les soignants sont forcés d’assumer, et c’est cela qui est évoqué dans la tribune.

      Le paragraphe suivant est une belle saloperie digne des activistes anti-vax, parce que c’est faux :

      Quelles seraient les prochaines étapes ? Ne plus soigner un usager de drogues malade d’une hépatite virale ? Faire payer la prise en charge de son cancer du poumon à un fumeur ? Mettre une amende à un diabétique qui ne respecte pas son régime ?

      Dans la tribune du JDD, qu’on partage ou pas, le cœur de l’argument est celui-ci :

      Les médecins prêtent pour cela le serment d’Hippocrate. Cela ne veut pas dire qu’ils n’ont pas un jugement « moral », mais que ce jugement ne doit pas intervenir dans leur relation avec le patient et influencer leurs décisions. Mais ce rappel éthique ne gomme pas la question du tri quand il n’y a qu’un lit pour deux patients relevant tous deux de la réanimation.

      Auquel donner la priorité ? C’est aux soignants de décider collégialement, mais cela devrait être aux sociétés savantes, aux agences indépendantes, aux comités d’éthique et, au-delà, à la société dans son ensemble et à ses élus de débattre des principes qui doivent guider les soignants. Parmi ces principes doit figurer le nombre de vies sauvées par unité de moyens mobilisés, sachant que la durée moyenne de séjour en réanimation des patients hors Covid est de quatre à cinq jours alors que la durée moyenne pour les patients Covid est de deux à trois semaines.

      Alors crier à la « provocation inéthique » avec ça, évidemment il vaut mieux inventer des arguments qui n’y sont pas.

    • Ah, et sur l’imputation de « logique libérale des politiques de santé », la tribune commence par ceci :

      La colère de nombre de soignants a deux cibles, les gouvernants et les non-vaccinés. Ils reprochent au gouvernement de ne pas s’être donné les moyens (en dehors des augmentations de salaire significatives mais insuffisantes) de garder le personnel hospitalier et d’accroître le nombre de lits de réanimation et de soins de suite post-réanimation.

    • Il n’empêche que si le gouvernement irresponsable n’avait pas continué à supprimer tous ces lits pendant cette pandémie on n’en serait pas là à se demander quelles sont les priorités, on pourrait soigner tout le monde sans distinction et sans rejeter la faute sur les non vaccinés, pour lesquels on a choisi la politique du bouc émissaire.

    • Marielle, tu ne peux pas écrire « il n’empêche » pour ensuite réécrire quasiment mot pour mot l’extrait que je viens tout juste de tirer de la tribune du JDD qui est soit-disant si « inéthique ».

      Donc je le remets :

      La colère de nombre de soignants a deux cibles, les gouvernants et les non-vaccinés. Ils reprochent au gouvernement de ne pas s’être donné les moyens (en dehors des augmentations de salaire significatives mais insuffisantes) de garder le personnel hospitalier et d’accroître le nombre de lits de réanimation et de soins de suite post-réanimation.

      Pour autant, si le manque de moyens est criant et criminel, l’utiliser pour justifier la « liberté » de ne pas se faire vacciner est tout aussi indéfendable et criminel.

    • Désolée nos commentaires se sont croisés ; le mien étant resté en suspend quelques minutes.
      Je poursuis :
      Ce gouvernement est hypocrite ; et si on se demandait pourquoi il ne veut pas rendre la vaccination obligatoire en l’inscrivant dans la loi mais de façon détournée de fait.

    • Ce gouvernement est hypocrite ; et si on se demandait pourquoi il ne veut pas rendre la vaccination obligatoire en l’inscrivant dans la loi mais de façon détournée de fait.

      Oui. C’est ce que j’écrivais à l’annonce du passe sanitaire :
      https://seenthis.net/messages/923990
      ainsi que Claude Guillon ici :
      https://seenthis.net/messages/923843

      Il me semble aussi avoir écrit il y a quelques jours qu’en présentant ouvertement le « passe vaccinal » comme une obligation vaccinale sans être une obligation vaccinale (je pense que c’est Attal qui l’a dit explicitement), le gouvernement prenait le risque de se faire invalider par le Conseil constitutionnel.

    • @marielle par ailleurs la fixette sur ce gouvernement (dont il est logique et salubre de souligner qu’il a continué de fermer des lits, y compris des lits de réa, en pandémie : on l’avait vu avec je ne sais plus quel CHU dans un Est très impacté par la première vague dès ce moment), rate une politique qui structure l’offre de soins depuis le début des années 80 (avec la psychiatrie comme laboratoire in vivo de la suppression des lits par dizaines de milliers et la revitalisation du soin). Il n’y a pas un gouvernement qui ait mis en cause d’aucune manière que ce soit la logique bureaucratico-comptable.

    • En fait en ne rendant pas la vaccination obligatoire il s’assure de son irresponsabilité pénale et il choisit une politique proto-fasciste du bouc émissaire et celle de la déchéance de nationalité... « Un irresponsable n’est plus un citoyen. »
      Et après on se moque (sic) de Bruno Gaccio (tweet apartheid), de Mathilde Panot et Yvan le Bolloc’h...@arno

      Constitution du 24 juin 1793
      Article 34. - Il y a oppression contre le corps social lorsqu’un seul de ses membres est opprimé. Il y a oppression contre chaque membre lorsque le corps social est opprimé.
      https://seenthis.net/messages/942454

    • Marielle, je suis d’accord au sujet de la ligne proto-fasciste de laRem, c’est pas nouveau. Mais ce n’est pas parce que les REM sont des grosses merdes que ses opposants ne devraient pas être critiqués quand ils racontent n’importe quoi sur le masque et la vaccination. Sinon Martine Wonner, Francis Lalanne et QAnon pourraient tout aussi bien être considérés comme des modèles de la lutte contre le macronisme.

    • Sinon Martine Wonner, Francis Lalanne et QAnon pourraient tout aussi bien être considérés comme des modèles de la lutte contre le macronisme.

      Je partage cela, j’accepte la critique argumentée et le débat, mais j’ai du mal avec la moquerie. Les Insoumis ne sont pas parfaits mais ils se battent avec d’autres courageusement pour un Monde Meilleur !

  • COVID-10 : questions / réponses sur la « levée des brevets »

    RÉSUMÉ

    Pour faire face à la crise du COVID-19, une des solutions proposées par de nombreux pays à l’Organisation mondiale du commerce (OMC) est le recours à une disposition prévue par le droit, qui consiste à suspendre les monopoles conférés par les brevets sur toutes les technologies permettant de lutter contre le COVID-19 afin de permettre d’augmenter leur production, notamment dans des pays en développement.

    Ce document rappelle quelques éléments essentiels au débat, notamment en matière de propriété intellectuelle, le périmètre de la demande de « levée des brevets » à l’OMC, les limites des stratégies mises en place jusqu’ici, et les enjeux liés au transfert de technologie.

    Il est essentiel d’éclairer le débat. La technicité apparente ne doit pas dissimuler la simplicité des enjeux : sauver des vies, mettre fin à la pandémie, appliquer le droit à la santé.

    https://blogs.mediapart.fr/edition/transparence-dans-les-politiques-du-medicament/article/291221/covid-10-questions-reponses-sur-la-levee-des-brevets

  • Existen los medios para controlar los precios de las vacunas
    https://blogs.mediapart.fr/edition/transparence-dans-les-politiques-du-medicament/article/190421/les-moyens-pour-controler-les-prix-des-vaccins-existe
    Los precios deben renegociarse y reducirse drásticamente ante la realidad de las inversiones públicas y la ausencia de riesgos asumidos por las empresas. Deben levantarse las barreras a la propiedad intelectual. Los sitios de producción pueden ser requisados, según lo dispuesto por la ley estatal de emergencias de salud. Se debe establecer un centro público de drogas lo antes posible

  • #Economie

    #Dette https://seenthis.net/messages/906106

    #Monnaie
    https://seenthis.net/messages/914942

    #Médias https://seenthis.net/messages/907242#message907243

    #Union_européenne #Austérité https://seenthis.net/messages/906272

    #Finance https://seenthis.net/messages/905877

    #Conflits_d'intérêts #Lobbying https://seenthis.net/messages/908244#message908244
    https://seenthis.net/messages/907214

    #Alternatives https://seenthis.net/messages/906522

    #Vidéos https://seenthis.net/messages/905858

    –Naufrage de l’orthodoxie économique, par Paul Ormerod (Le Monde diplomatique, juillet 1996)
    http://www.monde-diplomatique.fr/1996/07/ORMEROD/5629

    Police de la pensée économique à l’Université, par Laura Raim (Le Monde diplomatique, juillet 2015)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2015/07/RAIM/53196

    Gilles RAVEAUD Blog : L’Association française d’économie politique réagit au délire de Pierre Cahuc et d’André Zylberberg
    http://alternatives-economiques.fr/blogs/raveaud/2016/09/07/lassociation-francaise-deconomie-politique-reagit-au-delire

    "deux économistes parés des plus hauts titres universitaires et de recherche, viennent de publier un ouvrage intitulé… “Le négationnisme économique, et comment s’en débarrasser”.

    Faut-il mettre fin aux débats en sciences économiques ? | Les Économistes Atterrés
    http://www.atterres.org/article/faut-il-mettre-fin-aux-d%C3%A9bats-en-sciences-%C3%A9conomiques

    « Si le procédé consistant à frapper d’anathèmes les analyses contestant l’orthodoxie économique est connu, jamais l’attaque n’a été d’un aussi bas niveau. »

    Principaux courants et théories économiques (Le Monde diplomatique, juillet 2015)
    http://www.monde-diplomatique.fr/cartes/courantseco

    –L’économie comme on ne vous l’a jamais expliquée, par Renaud Lambert & Hélène Richard (Le Monde diplomatique, septembre 2016)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2016/09/LAMBERT/56201

    "D’ordinaire, augmenter le taux des prélèvements obligatoires accroît les recettes de l’État. Sous le climat néoclassique, au contraire, cela revient… à les réduire, puisque toutes sortes de mécanismes d’évasion et de niches fiscales permettent aux contribuables de refuser des impôts qu’ils jugent soudain trop élevés. La sagesse locale milite donc pour la plus grande prudence en la matière."

    "Mais la Grèce appartient au monde réel, et la recette néoclassique a fait bondir la dette. Pouvait-on vraiment s’en étonner, lorsque les mêmes prescriptions avaient conduit aux mêmes afflictions trente ans plus tôt en Amérique latine ?"

    "Infalsifiable, leur modèle n’échoue jamais — un privilège qui garantit une confortable légitimité. À charge pour la réalité de s’adapter."

    "Conclusion stratégique du très optimiste père de cette théorie, Robert Lucas : il fallait déréguler toujours davantage les marchés financiers. En 2003, Lucas considérait que ses appels avaient été entendus et déclarait devant l’American Economic Association que le problème des dépressions était « résolu, et pour de nombreuses années »."

    "Au cœur de la tempête, le dogme néolibéral ressemble parfois au roseau de la fable : il plie, et les « experts » aménagent leurs convictions. Quand la foudre a menacé l’euro, la Banque centrale européenne (BCE) a levé le tabou monétariste qui la guidait en rachetant massivement des obligations d’État."

    "c’est qu’il s’agissait de sauver l’essentiel : maintenir les affaires économiques à l’abri d’une démocratie jugée trop versatile. (...) Le sabir économique (qui recèle des trésors d’euphémismes) parle de « crédibilité » des politiques menées. Entendre : l’abdication par les élus de leur pouvoir de décision au profit de règles préétablies, comme les traités européens. Les capitaux sont autorisés à déstabiliser un pays (...). À la liberté dont ils jouissent répond désormais le carcan appliqué à la démocratie (...) dont les fondements théoriques surprennent parfois par leur désinvolture. Ainsi, un étrange plafond limite les déficits publics à 3 % du produit intérieur brut (PIB) au sein de la zone euro.

    Et, lorsque la potion du Fonds monétaire international (FMI) n’a pas donné les résultats escomptés en Grèce, c’est qu’Athènes s’est montré trop timoré, comme le suggère la directrice du FMI Christine Lagarde, sourde aux revirements du département de la recherche de sa propre institution : « Une des raisons pour lesquelles le programme grec a été beaucoup moins réussi [que ceux de la Lettonie ou de l’Irlande], c’est qu’il y a eu une résistance des gouvernements successifs (1).  »"

    Quand Messieurs Cahuc et Zylberberg découvrent la science | AlterEco+ Alterecoplus
    http://www.alterecoplus.fr/quand-messieurs-cahuc-et-zylberberg-decouvrent-la-science/00012139

    "la thèse qui est au cœur du livre : « depuis plus de trois décennies, l’économie est devenue une science expérimentale dans le sens plein du terme comme la physique, la biologie, la médecine ou la climatologie. »"

    "Je signale ce point parce qu’une des conclusions centrales du livre est que « Pour ne pas se faire abuser par des informations pseudo-scientifiques, en économie comme dans tout autre domaine, il y a quelques principes à respecter ». Quels sont-ils ? « Une précaution minimale consiste à s’assurer que ces informations sont extraites de textes publiés par des revues scientifiques reconnues »."

    "Vous chercherez en vain dans l’ensemble de leurs travaux le moindre article consacré à la méthode expérimentale en économie. Ils n’ont jamais rien publié sur ce sujet. Ce livre est leur première incursion dans ce domaine de telle sorte que, si l’on suit leurs propres critères, leurs analyses doivent être rejetées. Nous sommes face à un livre qui contient sa propre réfutation ! Et nous verrons, en effet, dans ce qui suit qu’il y a tout lieu d’être plus que sceptiques quant aux capacités de nos deux auteurs en matière d’épistémologie."

    "à savoir Pierre Cahuc lui-même. J’ai consulté ses quinze derniers articles, de 2002 à aujourd’hui, et j’ai eu la surprise de constater que jamais il n’a employé cette méthode révolutionnaire ! "

    "Messieurs Cahuc et Zylberberg se montrent fort habiles à manipuler la notion de « méthode expérimentale ». Dans le but de recueillir les puissants bénéfices réputationnels que produit l’identification aux sciences exactes"

    "La suite du livre est des plus étonnantes. Il s’agit essentiellement pour nos auteurs de faire savoir que l’économie orthodoxe n’ignore pas la détresse sociale et qu’elle n’est pas du côté des nantis."

    "La suite est du même tonneau : « Les pourfendeurs de la science économique ignorent [qu’il existe des approches expérimentales étudiant l’impact des programmes éducatifs sur les milieux défavorisés] ». Comprenne qui pourra"

    "Il faut dire que le débat est affreusement mal posé, ne serait-ce que parce que nos auteurs confondent les travaux économiques à proprement parler et les travaux des autres disciplines portant sur l’économie en tant qu’institution sociale. Il est clair que nos auteurs ne voient pas ces derniers d’un bon œil."

    "Mais ce qui frappe, c’est à quel point il s’agit d’une discussion économique traditionnelle. Je ne vois pas où seraient ces vérités expérimentales si bruyamment convoquées par les auteurs."

    "Il suffit d’imaginer ce qu’est pour un économiste hétérodoxe d’avoir comme « pairs » Messieurs Cahuc et Zylberberg, avec l’ouverture d’esprit qu’on leur connaît. Le lecteur pense-t-il, en son âme et conscience, que ces deux-là sont aptes à juger équitablement les travaux de collègues qu’ils n’hésitent pas à assimiler à des négationnistes ?"

    #Sciences_épistémologie #Universités #Bêtisier

    L’économie « pure », nouvelle sorcellerie, par Samir Amin (Le Monde diplomatique, août 1997)
    https://www.monde-diplomatique.fr/1997/08/AMIN/4886

    "En imputant d’office le chômage au coût prétendument élevé du travail, les économistes « purs » ignorent superbement que, dans la logique même de leur système, une quelconque modification des salaires transforme toutes les données de l’équilibre général.

    Dans la même veine, le monétarisme, dernier cri de l’économie « pure », décrète que le montant de l’offre de monnaie peut être fixé librement par la banque centrale. Une analyse élémentaire de l’émission monétaire montre pourtant que la monnaie n’est pas une marchandise comme les autres, dans la mesure où son offre est déterminée par sa demande, laquelle dépend, en partie, des taux d’intérêt.

    D’ailleurs les banques centrales, dont on souhaite alors une gestion « indépendante » (de qui ?), au prétexte qu’elles auraient le pouvoir magique de fixer l’offre de monnaie, se révèlent bien incapables de tenir ce rôle. Tout simplement parce qu’il est hors de leur portée : par le choix du taux d’intérêt, elles peuvent seulement agir — et encore de manière partielle et indirecte — sur la demande de monnaie, et non pas sur son offre. Mais alors, comment ignorer que ce choix réagit à son tour sur le niveau de l’activité (par les investissements, les consommations différées, etc.), et donc sur toutes les données de l’équilibre ?"

    "« Dis moi ce que tu veux, et je te fabriquerai le modèle qui le justifie. » Sa force est de fournir un paravent derrière lequel un pouvoir peut cacher ses objectifs réels — subis ou choisis —, tels l’aggravation du chômage et l’inégalité grandissante dans la répartition des richesses. Comme de semblables objectifs ne sauraient être affichés, il importe de « démontrer » qu’ils constituent seulement les moyens d’une transition conduisant à la croissance, au plein emploi, etc. Demain on rase gratis..."

    Guerre des économistes : dernières nouvelles du front | AlterEco+ Alterecoplus
    http://www.alterecoplus.fr/gilles-raveaud/guerre-des-economistes-dernieres-nouvelles-du-front/00012243

    Les Économistes atterrés démasqués par Messieurs Cahuc et Zylberberg | Le Club de Mediapart
    https://blogs.mediapart.fr/eric-berr/blog/301016/les-economistes-atterres-demasques-par-messieurs-cahuc-et-zylberberg
    #Médias

    "Et reconnaissons enfin que la libéralisation financière orchestrée par les économistes sérieux a conduit à une plus grande stabilité, a permis d’éviter des crises de grande ampleur tout en réduisant les inégalités.

    Afin de « sortir de cette opposition caricaturale et stérile », nos deux éminents collègues suggèrent aux journalistes de cesser « de faire systématiquement appel aux mêmes intervenants, surtout lorsqu’ils n’ont aucune activité de recherche avérée tout en étant néanmoins capables de s’exprimer sur tous les sujets. Ils devraient plutôt solliciter d’authentiques spécialistes »"

    "Enfermés dans leur approche sectaire et idéologique, les Économistes atterrés entendent continuer à saturer l’espace médiatique avec leurs analyses partisanes et non scientifiques relayées complaisamment par des médias acquis à leur cause et détenus par leurs amis, Vincent Bolloré, Bernard Arnault, Serge Dassault, etc."

    Théorème de la soumission, par Hélène Richard (Le Monde diplomatique, octobre 2016)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2016/10/RICHARD/56430

    Idée reçue : « ce sont les entreprises qui créent l’emploi », par Frédéric Lordon (Le Monde diplomatique, septembre 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/publications/manuel_d_economie_critique/a57222


    Crise de la “science économique” ? (1/2), Par Gaël Giraud, économiste en chef de l’Agence Française de Développement (AFD), directeur de la Chaire Energie et Prospérité, et directeur de recherche au CNRS. | Édition | Le Club de Mediapart
    https://blogs.mediapart.fr/edition/au-coeur-de-la-recherche/article/291115/crise-de-la-science-economique-12

    Attention, hérésie !

    « Il est vrai que de nombreux phénomènes contemporains remettent largement en cause les doctrines économiques conventionnelles. Ainsi, selon l’analyse traditionnelle, le déluge monétaire orchestré par presque toutes les Banques centrales de l’hémisphère nord –la quantité de monnaie émise par les Banques centrales double tous les trois ans en moyenne depuis 2007— aurait dû provoquer de l’inflation. Rien de tel n’a été observé, au contraire. De même, l’explosion de la dette publique des Etats-Unis (supérieure à 125% du PIB américain) aurait dû induire une hausse des taux d’intérêt auxquels cet Etat emprunte sur les marchés : les taux ont baissé. Ou encore : l’augmentation depuis trois décennies de la part des profits dans le PIB de la plupart des pays industrialisés aurait dû provoquer une augmentation de l’investissement : celui-ci est constamment en baisse depuis lors. Enfin, les programmes d’austérité budgétaire dans les pays du sud de l’Europe auraient dû conduire à un assainissement de leurs finances publiques et donc à une reprise de la croissance : on constate, à l’inverse, que les pays qui sont allés le plus loin dans l’austérité (relativement à leur budget) sont exactement ceux dont le PIB a chuté le plus vite depuis 2008. Quant à l’explosion des inégalités de patrimoine dans les pays riches, elle provient essentiellement des bulles liées aux rentes immobilière et financière, et non pas d’une logique tragique, immanente au capitalisme. »

    N.., non, il faut arrêter monsieur. Virez moi ça du plateau, vite !!

    « Il serait faux d’imaginer que cette mise à l’épreuve de l’économie par le réel est récente : l’inflation des années 1970 n’a été aucunement provoquée par une explosion des dépenses publiques, contrairement à ce qui est si souvent répété, mais évidemment par les chocs pétroliers. L’arrivée de la NSDAP au pouvoir en 1933 n’a rien à voir avec l’hyperinflation allemande, puisque cette dernière date de 1923. Et l’on pourrait multiplier les exemples… »

    Génie orthodoxe :

    "ces modèles sont ceux d’économies de troc où changer d’unité de compte monétaire ne devrait pas y avoir plus d’effet que de troquer des degrés Kelvin contre des Celsius en thermodynamique. Ou encore : multiplier par deux la quantité de monnaie en circulation ne devrait pas avoir d’autre impact que de multiplier exactement par deux tous les prix et les salaires. (...) Il est vrai que la prise au sérieux de la “non-neutralité” de la monnaie obligerait à reconsidérer certains dogmes politiques majeurs comme l’indépendance des Banques centrales. Car, si la monnaie n’est pas neutre, disjoindre la politique monétaire de la politique budgétaire n’a plus aucun sens."

    -"Krugman divise les économistes en deux tribus : les “économistes d’eau douce” (par allusion à ceux qui travaillent dans des universités nord-américaines situées près des Grands Lacs, à l’instar de Chicago) et les “économistes d’eau salée” (en référence aux universités de la Côte Est, comme Princeton)" ;

    –"qu’ils soient d’eau douce ou d’eau salée, les modèles que je décris ici relèvent tous d’un paradigme “néo-classique” hérité de travaux initiés en 1870. Ce paradigme est d’inspiration fondamentalement psychologique : chaque individu (salarié, employeur, consommateurs, épargnant…) y est supposé ajuster son comportement à la maximisation d’une certaine mesure de son “bonheur” ou de son profit[11] ---et cela dans un monde régi par de vastes enchères sans monnaie et sans ressources naturelles (et sans banques, ni système financier comme on va le voir bientôt). Un tel paradigme n’a connu aucun bouleversement majeur au vingtième siècle, même s’il a été partiellement et temporairement remis en cause par le courant keynésien durant les Trente glorieuses. C’est là sans doute une autre originalité de la “science économique” : ce que Walras, Jevons ou Menger enseignaient à la fin du dix-neuvième siècle s’enseigne encore aujourd’hui, quasiment sans modification de substance. Aucune autre science ne peut se prévaloir d’une telle “constance”…" ;

    –"Ainsi, même quand ils tiennent compte de la non-neutralité de la monnaie, ces modèles n’incorporent presque jamais le rôle des banques, c’est-à-dire d’institutions financières capables de créer de la monnaie. La plupart du temps, les banques y sont assimilées à de purs intermédiaires financiers supposés prêter à long-terme ce que les déposants leurs prêtent à court terme" ;

    –"Faut-il s’étonner, dès lors, si la profession des économistes néo-classiques est si démunie pour proposer des réformes pertinentes du secteur bancaire européen hypertrophié [17] ? Un tel secteur n’existe pas, tout simplement, dans ses modèles de prédilection. Il en va malheureusement de même des marchés financiers. Lorsque ceux-ci sont explicitement modélisés (ce qui est très rare au sein des modèles macro-économiques qui incorporent le marché des biens et le “marché” du travail), ils sont généralement caricaturés dans le style “eau douce”. Autrement dit, ils sont réputés “parfaits”, allouant de manière optimale et instantanée le risque et le capital sur l’ensemble de la planète. Et même lorsque l’on s’accorde à reconnaître qu’ils exhibent à intervalle régulier des bulles spéculatives (i.e., des prix dont les variations sont sans rapport avec les fondamentaux réels et qui ne peuvent donc pas transmettre de “bons signaux”), les conséquences n’en sont presque jamais tirées " ;

    –"Qu’aujourd’hui les marchés d’actifs financiers dérivés représentent 12 fois le PIB de l’ensemble de la planète Terre, et que seulement 7% des transactions sur ces marchés mettent en jeu un acteur économique de la sphère réelle (i.e., hors marché financier) est impossible à appréhender dans de tels modèles" ;

    –"Le constat est malheureusement accablant : pas de chômage, pas d’énergie, ni de ressources naturelles, pas de monnaie, pas de secteur bancaire, pas de système financier. Le monde que décrivent la plupart de nos modèles est un monde hors sol. (...) La découverte ébahie que nous pourrions ne plus avoir de croissance du PIB pour les siècles à venir pourrait bien faire partie de ce retour du refoulé."

    Crise de la science économique ? (2/2) | Édition | Le Club de Mediapart
    https://blogs.mediapart.fr/edition/au-coeur-de-la-recherche/article/011215/crise-de-la-science-economique-22

    -"“théorème d’équivalence ricardienne” (...) Conclusion ? L’euro injecté par l’Etat-cigale est aussitôt retiré du circuit par les fourmis prévoyantes. Cette prétendue corrélation entre dépense publique et épargne est évidemment invalidée empiriquement. Mais nous avons déjà vu que la falsification empirique, même la plus massive, n’est pas un obstacle pour les théories néo-classiques. La conséquence politique ? Un discrédit jeté sur la dépense publique (et qui est aujourd’hui bien ancré jusque dans la tête de certains de nos hauts fonctionnaires), l’idée que toute dépense est un pur coût (puisqu’elle est sans effet sur l’économie réelle) et qu’il convient de borner supérieurement a priori tout déficit public et toute dette publique. Bien entendu, remettre en cause une telle idée au motif que la théorie qui la sous-tend est indigne d’un collégien conduirait à reconnaître, par exemple, le caractère arbitraire des 3% de déficit et des 60% de dette publique maximale autorisés par les Traités européens." ;

    –"dans le monde néo-classique d’eau douce comme d’eau salée, un cataclysme comme celui de 2007-2009 est tout bonnement impossible ---et c’est la raison pour laquelle, même lorsque l’existence de bulles spéculatives est admise (voir plus haut), elle ne conduit pas, le plus souvent, à une analyse des crises que de telles bulles engendrent. En effet, dans un tel monde, si la bulle des dérivés de crédit subprime avait dû crever un jour (ce qui est advenu en 2007), cet événement aurait été parfaitement anticipé par les investisseurs, lesquels n’auraient par conséquent jamais investi dans de tels dérivés. De sorte que ladite bulle n’aurait même pas pu se former (sic !)5. En outre, pour qu’un tel krach financier puisse provoquer la faillite d’une banque comme Lehman Brothers, il eût fallu qu’existât un secteur bancaire dans les modèles économiques. Et pour que cette faillite (qui eut lieu le 15 septembre 2008) puisse provoquer une récession mondiale majeure, il eût fallu que la monnaie fût non-neutre (à court terme). Plutôt que de reconnaître qu’aucun de ces enchaînements logiques n’est compatible avec la plupart des modèles en vigueur, nous avons préféré se réfugier derrière l’idée que 2007-2009 avait été un “cygne noir” : un événement qui ne survient qu’une fois par siècle (ou par millénaire), et dont il serait extravagant d’exiger de la communauté des économistes qu’elle fût capable de l’anticiper. Autrement dit, nous avons troqué l’éthique scientifique contre celle des « astrologues ». Car, depuis le début des années 1980 (qui coïncident avec le début de l’expérience de déréglementation financière), le monde connaît une crise financière grave tous les 4 ans en moyenne…" ;

    Eux, simplistes ?!

    -" c’est alors la “complexit锑 (au sens contemporain du terme) de l’agrégation de millions de comportements partiellement coordonnés qui est entièrement esquivée par ce type d’approche." ;

    –"Au passage, une telle hypothèse a des conséquences déterminantes pour l’intelligence des phénomènes économiques : elle implique, par exemple, que le secteur des ménages n’a jamais de dette (privée). Comment, en effet, un unique ménage (représentatif !) pourrait-il avoir des dettes vis-à-vis de lui-même ? Pour qu’il y ait dettes, il faut un créancier et un débiteur distincts. Cela explique pourquoi, dans la plupart de ces modèles, les dettes privées ne sont jamais un problème. (Et nous avons vu plus haut pourquoi la dette publique, elle, en est toujours un, cf. le “théorème d’équivalence ricardienne”.)" ;

    –"Ensuite, que répondent les économistes eux-mêmes ? Le plus souvent, ils ne répondent rien. L’ouvrage de Steve Keen, que l’un de mes doctorants et moi avons traduit8, et qui contient une partie des critiques formulées ci-dessus n’a suscité rigoureusement aucun débat contradictoire entre économistes, sinon une table ronde aux Rendez-vous de l’histoire de Blois (11 octobre 2014). Enfin, les économistes néo-classiques qui consentent à discuter évoquent souvent le même genre d’argument : prises isolément, certaines des critiques qui précèdent ont été envisagées dans un cadre néo-classique." ;

    –"De même, à l’issue de la querelle des deux Cambridge sur le capital au cours des années 1960, les économistes néo-classiques nord-américains, au premier rang desquels Paul Samuelson, ont reconnu que leurs contradicteurs britanniques avaient raison12. Les premiers défendaient une définition englobante du capital, ne permettant pas de distinguer entre différents secteurs d’infrastructures, immobilier, capital financier... Les seconds défendaient l’idée que ces distinctions sont vitales pour la compréhension de l’économie. Cette querelle, pourtant fondamentale, n’est presque jamais enseignée. L’aveu final des Nord-américains reconnaissant leurs erreurs l’est encore moins. "

    "Qui plus est, quand bien même ces aménagements partiels du paradigme néo-classique ne seraient pas tout simplement ignorés, il est aisé de comprendre que la réalité systémique de l’économie exige de traiter ensemble les différents problèmes soulevés dans cet article13. (...) Car, si la moitié des jeunes Espagnols sont aujourd’hui au chômage, ce n’est évidemment pas parce qu’ils aiment prendre des vacances sans solde. Mais c’est bel et bien parce que l’Espagne, criblée de dettes privées (et non pas publiques), en particulier bancaires, entre lentement mais sûrement dans la déflation monétaire, et donc la récession. Quant à cet excès d’endettement privé, il provient lui-même de la bulle immobilière (andalouse notamment) qui, aidée par des opérations financière de titrisation massive, a gonflé en Espagne au début des années 2000, pour éclater durant la crise de 2008.14 On le voit : ne fût-ce que pour rendre compte du chômage espagnol contemporain, ce sont presque toutes les réformes analytiques évoquées supra qui doivent être mises en œuvre simultanément. A moins de cela, les aménagements à la marge permettront au mieux aux économistes de ressembler à ces savants aveugles cherchant à deviner à tâtons ce qu’est un éléphant…

    Un argument ultime est parfois invoqué : “certes, toutes ces critiques sont fondées mais, que voulez-vous, il n’existe malheureusement pas d’alternative. Alors, faute de mieux…” Argument irrecevable : les alternatives sont nombreuses."

    http://www.dailymotion.com/video/x2bpm8f_gael-giraud-les-economistes-orthodoxes-n-ont-pas-du-tout-intere

    –Quand les économistes font l’économie du débat, PAR MATHIEU BLARD | Bondy Blog
    http://bondyblog.liberation.fr/201512180001/quand-les-economistes-font-leconomie-du-debat

    "en décembre 2014, Jean Tirole, célèbre économiste, envoie une lettre à Geneviève Fioraso, alors secrétaire d’état chargée de l’Enseignement supérieur et de la Recherche pour faire retirer « une réforme qui avait pour seul but de reconnaître dans l’université un espace de d’expérimentation en rupture avec la pensée économique dominante ». La secrétaire d’état s’exécute. Les auteurs y voient un soutien politique aux penseurs « mainstream » de la science économique."

    #Université #Recherche

    En hommage à Bernard Maris
    Vérités et mensonges du discours économique. Par Philippe Frémeaux
    Veblen Institute
    http://www.veblen-institute.org/Nouvel-article,291?lang=fr

    -"L’organisation des rédactions continue d’opposer service politique et service économique. L’information économique y est généralement considérée comme une matière spécifique, destinée aux décideurs ou épargnants, ou comme un domaine très technique, qui peut être traitée objectivement. Or, les analyses et les recommandations que formulent journalistes spécialisés et experts devraient toujours être mises en débat puisqu’ils passent leur temps à nous expliquer ce qui est possible et surtout, ce qui ne l’est pas !

    Tout l’enjeu aujourd’hui est donc de remettre l’économie – et son traitement – à la place qui devrait être la sienne : un moyen au service de la société et non une fin en soi à laquelle celle-ci doit se soumettre." ;

    –"le premier grand reproche qui peut être fait au discours économique dominant, c’est de prétendre pouvoir dire quel temps il fait ou fera demain avec autorité, quitte à expliquer avec la même autorité, après que la réalité l’ai contredit, pourquoi ça ne s’est pas passé comme prévu." ;

    –"certains économistes critiques avaient parfaitement prévu la crise des subprime à l’inverse de la vulgate dominante. Pour autant, si leurs prévisions se sont révélées justes a posteriori, ils n’étaient pas non plus en situation de dire exactement quand et où la crise se déclencherait, et il a fallu un enchainement spécifique de comportements humains en partie imprévisibles pour qu’elle prenne la dimension qui a été la sienne." ;

    –"Les modèles, par nature, reposent toujours sur une hypothèse de fixité de toutes les variables qu’ils n’intègrent pas : la plupart des économistes travaillent " toutes choses égales par ailleurs". C’est pourquoi les faits viennent régulièrement contredire les prévisions même les plus sophistiquées." ;

    –"Tout le problème vient d’ailleurs quand le recours à l’outil mathématique se transforme en un artifice destiné à assimiler l’économie à une science dite exacte." ;

    –"Un article récent a ainsi montré que près de cinquante pour cent des articles publiés dans les revues économiques les plus prestigieuses sont fondés sur des séries statistiques souvent introuvables, ou très contestables, les faits venant contredire la thèse défendue étant passé à la trappe." ;

    –" il se voit reconnu comme un scientifique énonçant une parole incontestable, alors que les recommandations qu’il formule reflètent toujours, au moins pour partie, ses propres préférences personnelles, et que, lorsqu’il décrit le champ des contraintes dans lequel nous sommes placés, il tend à leur donner l’apparence de la nécessité. Ce faisant, il ferme l’espace où le débat public devrait pouvoir se déployer." ;

    –"le discours économique entretient un rapport complexe au politique : il se défend d’en faire, alors qu’il est au cœur même de ce qui fait son objet : le discours des économistes ne consiste-t-il pas à nous expliquer, à longueur de temps, ce qui est possible et, serait-on tenté de dire, surtout ce qui ne l’est pas ! Soyons clair : les contraintes sont une réalité, non pas comme contraintes absolues, mais comme effets induits de telle ou telle décision. De fait, le discours des économistes dominants pare trop souvent de l’apparence de la nécessité l’acceptation du monde tel qu’il est - l’économiste parle alors de "contraintes incontournables" – sachant que cette acceptation du monde ne lui interdit pas de nous inviter à mieux nous adapter - l’économiste parle alors de la nécessité de conduire des "réformes courageuses". En clair, flexibiliser encore plus l’emploi, ou réduire le champ de la protection sociale." ;

    –" le discours économique objective très souvent le discours politique quand celui-ci affirme mener "la seule politique possible" ou répète qu’’’il n’y a pas d’alternative"." ;

    –"on peut reprocher à nombre d’économistes, quand ils interviennent dans les médias, de préférer mettre en avant leurs activités d’enseignement ou de recherche plutôt que d’annoncer la couleur sur l’origine principale et le montant de leurs revenus." ;

    –"Le discours convenu tenu par une large majorité des économistes est d’autant plus problématique qu’il est peu questionné par ceux dont ce devrait être le travail : les journalistes. (...) du fait des intérêts défendus par les médias qui les emploient, ou des « ménages » qu’ils assurent et qui leur permettent d’arrondir leurs revenus de manière significative." ;

    –"la plupart des journalistes politiques n’ont pas de compétences sur le fond des dossiers économiques et sociaux. Ils se concentrent sur les rivalités de personnes, les petites histoires d’appareil, et quand une question économique s’impose dans l’agenda politique, elle n’est que très rarement traitée sur le fond, en s’efforçant de comprendre ce qu’il en est, en analysant ce que seraient les implications de tel ou tel choix. Au contraire, l’angle retenu privilégie une analyse en termes de choix tacticiens : si le président choisit telle solution, c’est pour se démarquer de X, ou pour concurrencer Y." ;

    –" les économistes dominants proposent une vision hors sol de la réalité qui les conduit quand les faits sociaux viennent contredire leur modèle, à considérer que c’est la réalité qui a tort puisqu’elle se refuse à se plier au fonctionnement optimal décrit dans la théorie."

    #Epistémologie #Economie #Sciences_humaines #Médias #Discours_orthodoxes #Orthodoxie #Conflits_d'intérêts

    –- <http://seenthis.net/messages/12237#message16063>

    –Dans nos archives. Erythrée, Maroc, Côte d’Ivoire… les dragons du XXIe siècle | Courrier international
    http://www.courrierinternational.com/article/dans-nos-archives-erythree-maroc-cote-divoire-les-dragons-du-

    « Le monde en 2040. En novembre, Courrier international a fêté ses 25 ans. A cette occasion, nous republions des articles qui résonnent avec l’actualité de 2015. Aujourd’hui : les futurs géants de l’économie mondiale. Enfin presque !
    [Article paru initialement dans Courrier international le 8 décembre 1994]

    Certains pays parmi les plus pauvres du monde d’aujourd’hui deviendront les puissances économiques de demain – à l’image de Singapour ou de la Corée du Sud. La clé du miracle : une économie diversifiée et libéralisée, profitable aux investissements des étrangers. » ;

    –"Pour qu’un bébé dragon grandisse bien, il faut en fait – d’après les économistes – respecter les grands principes : favoriser l’épargne et l’investissement, tout en maîtrisant l’inflation. Pour cela, la seule solution est un puissant cocktail de réformes, essentiellement à base de libéralisation des prix et des tarifs douaniers, à quoi s’ajoute l’ouverture aux capitaux étrangers."

    –« Les inégalités de revenus nuisent à la croissance »

    http://www.lemonde.fr/economie/article/2015/06/15/les-inegalites-de-revenus-nuisent-a-la-croissance_4654546_3234.html "Les inégalités de revenus nuisent à la croissance" http://www.monde-diplomatique.fr/2014/03/VERGOPOULOS/50204 "La croissance des inégalités explique-t-elle la stagnation économique ?

    Eloge des syndicats, par Serge Halimi (Le Monde diplomatique, avril 2015)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2015/04/HALIMI/52834

    L’affreux doute des libéraux américains, par Kostas Vergopoulos (Le Monde diplomatique, mars 2014)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2014/03/VERGOPOULOS/50204
    #Libéralisme #Orthodoxie #Discours_orthodoxes #FMI #Economie #Libre_échange

    Le temps des colères, par Serge Halimi (Le Monde diplomatique, mars 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/03/HALIMI/54932
    #FMI #OCDE #Médias #Discours_orthodoxes #Orthodoxie
    #Conflits_d'intérêts #Ploutocratie

    -"La chose s’étant faite à bas bruit, la droite, la gauche libérale et les grands médias peuvent feindre de n’avoir rien remarqué et continuer à suivre l’étoile du Berger qui guide leurs pas chaque fois que tout autour d’eux se déglingue : à crise du marché, remèdes de marché (1). Toutefois, l’inefficacité de leurs talismans habituels — baisse des impôts et des cotisations sociales, précarité plus grande, extension du libre-échange — est devenue patente. Et la démystification d’éléments centraux de ce credo a désormais recruté des ennemis de l’intérieur.

    Affaiblir les syndicats, démanteler le code du travail devaient libérer l’esprit d’entreprise et permettre la flexibilité. Deux économistes du Fonds monétaire international (FMI) ont récemment admis que le résultat de cette politique — longtemps défendue par le FMI — a surtout été de creuser les inégalités (2). Voilà qui est tout de même gênant au moment où la question d’un apartheid social occupe les esprits au point que les dirigeants occidentaux font mine périodiquement de s’en préoccuper." ;

    –"Eh bien, pas de chance là non plus. L’an dernier, l’Organisation de coopération et de développement économiques (OCDE) a calculé que l’enrichissement des plus riches (un groupe qui compte au moins autant d’intermédiaires parasites que de « patrons entreprenants ») avait compromis « la croissance économique à long terme » là où, au contraire, une amélioration des revenus des plus pauvres l’aurait accélérée" ;

    –"Las, l’hebdomadaire britannique The Economist, bible du libéralisme mondial, vient de concéder, un peu piteux tout de même, que « les prévisions selon lesquelles la réduction des impôts générerait assez de croissance pour être autofinancée semblent un peu irresponsables aujourd’hui (5) ». Trente ans de matraquage néolibéral flanqués par terre…" ;

    –"même ce principe fondateur du libéralisme économique (la théorie des avantages comparatifs et de la spécialisation internationale) vacille à son tour (lire « La révélation de saint Jean-Baptiste »). La concurrence des produits chinois sur le marché américain aurait ainsi entraîné la perte de deux millions et demi d’emplois aux Etats-Unis." ;

    –"En 2007-2008, la chute des banques s’expliquait par l’effondrement de leurs actifs immobiliers ; aujourd’hui, leur surexposition au secteur pétrolier les menace des mêmes désagréments. Et, avec elles, bien des pays que ces banques continuent de tenir en otage." ;

    –"Nul besoin en effet que la droite soit au pouvoir pour que ceux-ci contrôlent les ministères-clés (M. Macron). Des banques ou des fonds spéculatifs recrutent par ailleurs d’anciens dirigeants socialistes dans leurs conseils d’administration (MM. Blair, Schröder, Strauss-Kahn), sans négliger pour autant de financer les campagnes de candidats démocrates. Comme celle de Mme Hillary Clinton en ce moment."

    La révélation de saint Jean-Baptiste, par Pierre Rimbert (Le Monde diplomatique, mars 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/03/RIMBERT/54928

    Prenez garde à la jeune garde du libéralisme, par Antoine Schwartz 
    https://www.monde-diplomatique.fr/2021/12/SCHWARTZ/64142

    Pour les vrais libéraux, la meilleure défense, c’est l’attaque, Eric Dupin
    https://www.monde-diplomatique.fr/2009/02/DUPIN/16832

    • #IFI #PAS #Austérité

      Un rapport accablant
      Bonnet d’âne pour le #FMI
      https://www.monde-diplomatique.fr/2011/08/RIMBERT/20857

      FMI : la mondialisation financière nourrit les inégalités, par CHRISTIAN CHAVAGNEUX | AlterEco+ Alterecoplus
      http://www.alterecoplus.fr/en-direct-de-la-recherche/fmi-la-mondialisation-financiere-nourrit-les-inegalites-201512100600-00

      -"Pour les experts du Fonds monétaire international (FMI), il n’y a aucun doute : quand un pays ouvre son économie aux grands vents de la finance mondiale, il voit croître ses inégalités sociales. C’est la conclusion d’une étude empirique menée sur 149 pays pour la période 1970-2010." ;
      –"la libéralisation accroît les chocs liés aux crises financières. Les turbulences de la finance mondiale n’ont cessé de se répéter et de prendre de plus en plus d’amplitude depuis les années 1970. " ;
      –"par la réalité ou la menace de délocalisation des investissements, la libéralisation financière conduit à un rapport de force favorable aux employeurs et à une baisse de la part des salaires dans la répartition des revenus. L’effet est non seulement important mais durable." ;
      –"plus un pays libéralise sa finance, plus les effets sur les inégalités sont importants ; mais s’il décide ensuite de refermer un peu ses frontières, l’effet sur la réduction des inégalités n’est pas statistiquement significatif"


      Contre le FMI : le triomphe des insoumis (1) Par Antoine Dumini, François Ruffin, 30/06/2013 - FAKIR | Presse alternative | Edition électronique
      http://www.fakirpresse.info/Contre-le-FMI-le-triomphe-des.html

      -"Tout se passe comme si les recommandations du FMI servaient de programme au gouvernement. Il faut se préparer, alors, comme le préconise l’institution internationale, à « revoir les allocations chômage », à une « déréglementation des services », à une nouvelle « révision du régime des retraites qui devra reposer sur une augmentation de l’âge du départ à la retraite », etc.

      En France, le FMI agit en sous-main. Il influence, oriente les ministres, participe d’un climat libéral – parmi d’autres institutions : la Commission, les agences de notation, la Banque centrale européenne, le Médef, etc., dont les voix accordées fixent la norme économique. Y déroger réclame du courage politique. Mais ailleurs en Europe, le FMI ne recommande plus : il tient les commandes. En Grèce, évidemment. Mais au Portugal, en Espagne, en Irlande, à Chypre également." ;

      –" Le gouvernement espagnol, socialiste à l’époque, a aussitôt approuvé : « L’analyse du FMI correspond à la nôtre (…) Le gouvernement ne doit pas retarder les réformes structurelles annoncées. »" ;

      –"Ça coince en 2011, avec le chômage, la récession, les déficits ? « Cela signifie que les réformes menées doivent être renforcées » ! Et de le faire « courageusement », avec une négociation collective plus flexible, des indemnités de licenciement diminuées, etc. Ça empire en 2012, avec un taux de chômage de 24,4 %, le plus élevé du monde industrialisé ? Réponse : « Le FMI exige plus d’austérité en Espagne » !(...)et ce « pour aider à rétablir la confiance et remettre l’économie sur le chemin de la croissance ». Le triomphe n’a pas tardé : le chômage s’établit désormais à 26,2 %..." ;

      –"Seul hic : le Portugal va connaître sa troisième année de récession. Le chômage crève tous les mois un plafond, il est au-dessus de 16 % désormais.
      Sa jeunesse fuit, 100 000 Portugais quittent leur pays chaque année. Et même, l’endettement public grimpe encore : 93 % du PIB fin 2010, 107 % fin 2011, 118 % en vue pour 2013." ;

      –"Un jour viendra où l’on se moquera de la novlangue du FMI comme de la Pravda soviétique : quels que soient le taux de chômage, l’endettement, les désaveux électoraux, voire les suicides, le « programme reste globalement sur la bonne voie », notent granitiquement les chefs de mission." ;

      –"Et bien sûr, la privatisation des terres, de l’eau, du sous-sol.
      Le FMI et la Banque mondiale sont ravis : un élève modèle.
      Deux décennies durant, le Ghana suit les consignes à la lettre. Et à la place de retrouver « la voie de la croissance, de l’emploi », comme le promettaient les experts, il s’enfonce dans le marasme." ;

      –"Comme les institutions internationales ont délivré à peu près les mêmes conseils aux nations alentours, tout miser sur l’exportation, le Nigeria, le Cameroun, et surtout la Côte d’Ivoire se sont lancés à fond, à leur tour, dans le cacao, les cours ont encore été divisés par deux. Mais les compagnies du nord peuvent se fournir en chocolat à bas coût… " ;

      –"L’eau, même à la pompe, est devenue payante." ;

      –"Cette jeune femme, elle, est retenue prisonnière. Elle vient d’accoucher de deux jumeaux, dont l’un est décédé. Elle doit payer pour les journées d’hospitalisation, pour les soins, pour les médicaments. Et comme elle n’a pas un sou, elle est retenue en otage. Son mari, au chômage, est parti depuis cinq jours pour quémander un prêt à son oncle, ses cousins. « Quand j’étais petit, se souvient le médecin, je n’ai jamais payé pour des frais médicaux. Pourtant, j’ai été admis plusieurs fois à l’hôpital universitaire. »
      Tout ça va néanmoins dans le bon sens, estime le FMI : « Le libre-échange, et tout ce qui contribue au libre-échange, est juste », assène son représentant." ;

      –"epuis trois ans que la récession s’est installée, l’Argentine suit, au mieux, les conseils du FMI et des États-Unis, d’un « plan de rigueur » à un « programme de privatisations ». C’est un échec patent. Malgré cette déconfiture (...) le Fonds demeure droit dans ses certitudes" ;

      –"Durant tout ce temps, évidemment, les loups de Washington ont hurlé au « populisme ». Avant de, sur le tard, adresser un satisfecit à l’Argentine pour son redressement : entre 2003 et 2011, son PIB a triplé. "

      Contre le FMI : le triomphe des insoumis (2) - FAKIR | Presse alternative | Edition électronique
      http://www.fakirpresse.info/Contre-le-FMI-le-triomphe-des-600.html

      -"Sept jours ont suffi, néanmoins, aux experts du FMI pour, en décembre 1997, appréhender cette longue histoire, saisir ses particularités, établir un diagnostic, et dresser leur feuille de route. C’est simple : tout le passé est à balayer. Eux le raient d’un trait de plume : le marché du travail à flexibiliser, les flux financiers à libéraliser, les conglomérats à restructurer…" ;

      –" Avec quels brillants résultats ? Un marasme : la fuite des capitaux s’accélère, le taux de croissance passe de + 5 % à – 6 %, et le chômage triple, de 2,5 % à 8,5 %. En un an de direction par le FMI !" ;

      –"Chan Keun Lee, dresse un réquisitoire fort bien argumenté, qui mérite d’être cité longuement :

      « Premièrement, le FMI est incapable de prévoir les crises financières (...) Deuxièmement, le FMI n’a absolument pas su gérer la crise. (...) Troisièmement, le FMI outrepasse ses statuts (...) Si le FMI s’arroge autant de domaines régaliens, en quoi un état-nation reste-t-il nécessaire ? (...) » ;

      –"Le FMI lui-même s’est senti un peu péteux. Dès janvier 1999, dans un rapport, ses conseilleurs admettent des « erreurs », notamment en sousestimant la « sévérité des revers économiques ». Mais que dire lorsque l’ « erreur » se reproduit dix fois ?" ;

      –"en Malaisie, au sommet de l’État, ne règne pas le consensus. Deux thèses s’affrontent – et Camdessus veut soutenir son favori : ici comme ailleurs, le ministre des Finances et Vice-Premier ministre, Ibrahim Anwar, souhaite « moderniser » le pays, main dans la main avec le FMI. Mais le président Mahathir, un archaïque, dénonce au contraire les organisations internationales, qui déstabiliseraient les « structures saines » du pays. Il limoge son dauphin et l’accuse de corruption. Tandis que le viré lance un « mouvement de la réforme », bien sûr soutenu par l’Occident." ;

      –"Le président Mahathir prend alors, en ce mois de septembre, des mesures « désastreuses », complètement dépassées (...) Les experts ricanent, du n’importe quoi, des recettes d’un autre temps (..) Sauf que l’inverse se produit. (...) Même, le FMI doit faire amende honorable (...) Juste un oubli, dans ces textes : comment, en Malaisie, cette « gestion de la crise a été bien conduite » ? En désobéissant aux recommandations du FMI, qui emmenait les pays alentours dans le mur !" ;

      –"« La Grèce a mené à bien 60 % des réformes qui lui étaient demandées, relève l’hebdomadaire allemand Der Spiegel. Quelques 20 % sont encore en discussion au sein du gouvernement, et les autres restent à programmer. » Voilà un pays plutôt obéissant, donc." ;

      –"À l’arrivée, le pays est en lambeaux. La récession s’installe, avec un PIB en chute de 12 % depuis 2008. Du coup, l’endettement s’accroît plus qu’il ne se résorbe : 158 % en 2011, 175 % en 2012, 190 % prévu en 2013 (hors banqueroute). Le chômage dépasse les 20 %. Le taux de suicide a triplé, devenant le plus important de toute son histoire. Et sans même des chiffres, c’est une société, avec ses hôpitaux, sa solidarité, son espoir, qui s’écroule." ;

      –"Quelle solution propose alors le FMI dans un énième audit ? « La Grèce va devoir encore mener à bien 150 nouvelles réformes de son économie » ! Et en échange, on lui accordera « deux ans de plus pour ramener son déficit sous la barre des 3 % en 2016 – au lieu de 2014 comme prévu jusque-là »." ;

      –"ils mettent un pays genoux, à feu et à sang, et parlent de quoi ? De quelle priorité ? Un déficit sous les 3 % ! (...) Et le FMI n’en démord pas : « Le programme peut placer la dette grecque dans une trajectoire viable. »" ;

      –"Et à quoi est dû ce relatif succès ? Parce que l’Islande n’a pas adopté les recettes traditionnelles du FMI ! Elle a même fait tout le contraire !"

      #Austérité #Discours_orthodoxes #Orthodoxie #PS #FMI #IFI #Espagne #PSOE #Espagne_PSOE #Portugal #Novlangue #Afrique #Amérique_du_Sud #Asie #Grèce #Islande

      Comme quoi, même un petit pays ayant la folie de "s’isoler" en refusant le bonheur et l’avancée civilisationnelle que représentent l’appartenance à l’UE et ses "réformes structurelles" peut naviguer hors des ténèbres promises à ceux qui voudraient quitter la belle union.
      Ah oui c’est vrai, "petit pays", "petite population", "pas comparable" etc.

      Miracle à l’islandaise : à Reykjavik, le taux de chômage est tombé à 1,9%. Par Pierre Magnan
      http://geopolis.francetvinfo.fr/miracle-a-l-islandaise-a-reykjavik-le-taux-de-chomage-est-tomb

      -"Selon le Premier ministre, « nous n’aurions pu sortir de la crise si nous avions été menbre de l’Union européenne », avait-il dit en novembre 2015. Sigmundur Davíð Gunnlaugsson avait même été plus loin en affirmant que ne pas être membre de la zone euro avait été une chance pour l’Islande : « Si toutes ces dettes avaient été en euros, et si nous avions été obligés de faire la même chose que l’Irlande ou la Grèce et de prendre la responsabilité des dettes des banques en faillite, cela aurait été catastrophique pour nous sur le plan économique. »" ;
      –"Le pays a mené une politique mêlant contrôle des capitaux (une idée mal vue en Europe), austérité budgétaire mais aussi hausse des impôts et surtout dévaluation importante de sa monnaie (60%) qui a entraîné une importante inflation, aujourd’hui maîtrisée... et une reprise de la croissance. Résultat, Reykjavik n’a pas sacrifié sa politique sociale et le FMI a été totalement remboursé de ses avances financières."

      "L’Islande a laissé ses banques faire faillite, et jeté des banquiers en prison. Et voici ce qui s’est produit"
      http://www.express.be/business/fr/economy/lislande-a-laisse-ses-banques-faire-faillite-et-jete-des-banquiers-en-prison-et-voici-ce-qui-sest-produit/214182.htm
      #Islande #UE #Finance

      CADTM - Belgique : 50 milliards d’austérité en 5 ans, pour quels résultats ?
      http://www.cadtm.org/Belgique-50-milliards-d-austerite
      #UE_Belgique_Austérité

      "Les plans d’austérité prescrits aujourd’hui aux pays européens ressemblent à s’y méprendre aux plans d’ajustement structurel imposés depuis trente ans par la Banque mondiale et le FMI aux pays dits pauvres, avec les résultats que l’on connaît : une dette impayable et des peuples entiers dépossédés de leur souveraineté et plongés dans une pauvreté extrême. Plusieurs études, et les chiffres d’Eurostat, le montrent sans détour : plus les pays européens ont appliqué d’austérité, plus leur dette a augmenté |10|"

      "Tout citoyen-ne est en droit de se demander pourquoi, malgré le fait que ces politiques ont prouvé leur inefficacité partout sur la planète, et alors que des institutions comme la Commission européenne ou le FMI ont elles-mêmes reconnu leurs erreurs à plusieurs reprises |12|, nos gouvernements persistent et signent dans cette orientation. Une bonne partie de la réponse se trouve dans le fait que ce n’est pas le bon sens qui dirige le monde, mais bien les rapports de force. Or, lorsqu’on analyse les politiques d’austérité sous cet angle, on se rend très vite compte que celles-ci servent les intérêts des « 1% »."

      "- 13.000 entreprises belges ont envoyé 62 milliards au Luxembourg en 2014 |16| ;
      – Les quelques 732 citoyens qui ont fondé des sociétés offshores dans des paradis fiscaux (affaire Panama Papers) ne seront apparemment pas inquiétés ;
      – Le gouvernement décide d’aller en appel contre la décision de la Commission européenne demandant à la Belgique de récupérer 700 millions d’euros indûment octroyés à des multinationales dans le cadre du système des rulings fiscaux."

      –"« Vivre avec la dette » : le conseil d’experts du FMI aux pays riches" « Bonnet d’âne pour le FMI »…

      http://www.liberation.fr/economie/2015/06/02/vivre-avec-la-dette-le-conseil-d-experts-du-fmi-aux-pays-riches_1321651 "« Vivre avec la dette » : le conseil d’experts du FMI aux pays riches"
      http://www.monde-diplomatique.fr/2011/08/RIMBERT/20857 « Bonnet d’âne pour le FMI »

      « Certains pays riches peuvent se permettre de « vivre avec leur dette » et doivent se garder de rembourser en avance leurs créanciers au prix de cures d’austérité « néfastes », indique une étude publiée mardi par des experts du FMI. »  ; « cette recommandation ne concerne toutefois qu’une certaine catégorie de pays, ceux disposant d’une marge de manoeuvre budgétaire et qui se financent à bas coûts sur les marchés, précise cette étude. » ; « « Le coût de mesures visant à délibérément réduire le stock de dette a des chances d’excéder les bienfaits d’une dette plus faible en termes d’assurance contre les crises », assure l’étude, qui a été validée par l’économiste en chef du FMI Olivier Blanchard mais ne représente pas la position officielle de l’institution. »

      http://zinc.mondediplo.net/messages/2775#message13076
      #FMI #Dette #Dette_publique #Discours_orthodoxes #Novlangue

      Quand le FMI critique... le néolibéralisme : "Ses bienfaits ont été exagérés" - Politique Economique - Trends-Tendances.be
      http://trends.levif.be/economie/politique-economique/quand-le-fmi-critique-le-neoliberalisme-ses-bienfaits-ont-ete-exageres/article-normal-507041.html
      #FMI #IFI #Grèce #Austérité #Discours_orthodoxes

      L’institution qui a inventé l’#Amérique_latine
      par Baptiste Albertone & Anne-Dominique Correa
      https://www.monde-diplomatique.fr/2022/02/ALBERTONE/64336
      #Organisations_internationales_CEPALC

    • Gilles RAVEAUD » Blog Archive » Baisses d’impôts, déficits et dette : ce que dit le rapport Carrez (2010)
      http://alternatives-economiques.fr/blogs/raveaud/2013/06/17/impots-deficits-et-dette-ce-que-dit-le-rapport-carrez-2010/#comment-25052

      Depuis vingt ans, la France diminue les charges des entreprises. Par Samuel Laurent
      http://www.lemonde.fr/politique/article/2012/11/08/depuis-vingt-ans-la-france-diminue-les-charges-des-entreprises_1786486_82344
      Depuis vingt ans, la France diminue les charges des entreprises
      http://mobile.lemonde.fr/politique/article/2012/11/08/depuis-vingt-ans-la-france-diminue-les-charges-des-entreprises_178648

      Non, les entreprises ne sont pas écrasées par les « charges ». Par SANDRINE FOULON ET GUILLAUME DUVAL | AlterEco+ Alterecoplus
      http://www.alterecoplus.fr/Medef-Gattaz-Bezieux-non-les-entreprises-ne-sont-pas-ecrasees-par-les-c

      À combien étaient imposés les plus riches lorsque l’économie allait bien ? | La socioéconomie, pour mettre un peu de social dans l’économie
      https://socioeconomie.wordpress.com/2011/11/27/a-combien-sont-imposes-les-plus-riches

      30 ans d’injustice fiscale : L’impôt, est-ce que ça marche ? Par François Ruffin - FAKIR | Presse alternative | Edition électronique
      http://www.fakirpresse.info/30-ans-d-injustice-fiscale-L-impot.html

      Non, Pierre Gattaz, la France n’a pas le Smic le plus élevé d’Europe. Par Pauline Moullot - Libération
      http://www.liberation.fr/desintox/2016/01/15/non-pierre-gattaz-la-france-n-a-pas-le-smic-le-plus-eleve-d-europe_142641

      « En Allemagne, qui l’a introduit le 1er janvier 2015, contrairement à ce que ses opposants prévoyaient (ils tablaient sur la suppression de 900 000 emplois), le chômage n’a jamais été aussi bas depuis la réunification en 1990. Un résultat contredisant l’idée selon laquelle le coût du salaire minimum empêche la création d’emplois. »

      #Fiscalité

      La richesse mondiale a doublé depuis 2000 (et 9 autres chiffres révoltants) - Rue89 - L’Obs
      http://rue89.nouvelobs.com/2013/10/10/richesse-monde-crise-europe-choc-deux-rapports-246485
      #Stats

      Les 10 plus grosses multinationales au monde pèsent davantage, financièrement, que 180 États. 13 SEPTEMBRE 2016 PAR OLIVIER PETITJEAN - Observatoire des multinationales
      http://multinationales.org/Les-10-plus-grosses-multinationales-au-monde-pesent-davantage-finan

      « Il n’en reste pas moins dans un monde de plus en plus dominé par une froide logique comptable et financière, y compris au niveau de la gestion des États, les chiffres mis en avant par Global Justice Now parlent d’eux-mêmes. »

      #France , éternelles "réformes"
      #Macron #PS #LR
      Intouchables entreprises privées, épisode I : quand le contribuable paye pour le MEDEF
      https://www.frustrationmagazine.fr/intouchables-entreprises-privees-episode-i-quand-le-contribuable

    • #DataGueule S4E11 - Le #PIB, cette fausse boussole IRL
      http://irl.nouvelles-ecritures.francetv.fr/datagueule-S4E11-1.html

      L’Insee intègre le trafic de drogues au calcul du PIB
      http://www.boursorama.com/actualites/l-insee-integre-le-trafic-de-drogues-au-calcul-du-pib-22034855797384a449
      http://s.brsimg.com/static-1517407988/cache/i/content/images/e/3/5/e35aac3fc2a42646b0b72255abc20302-300x170.jpg

      « La décision de l’Insee fait suite à un long débat lancé par Eurostat en 2013. L’institut statistique européen avait alors demandé aux États membres d’intégrer le trafic de drogue et la prostitution dans leurs statistiques nationales, estimant qu’il s’agissait de transactions commerciales consenties librement. L’objectif était d’harmoniser les données, ces activités étant considérées comme légales dans certains États (Pays-Bas), ce qui gonfle leur PIB. Après la demande d’Eurostat, l’Espagne, le Royaume-Uni et l’Italie ont intégré ces données. Ce nouveau système s’est à chaque fois traduit par une révision à la hausse de leur PIB. »

      Chasse aux dogmes économiques - Chroniques de l’Anthropocène
      https://alaingrandjean.fr/points-de-repere/chasse-dogmes-economiques

      Réformer la comptabilité privée pour réformer le capitalisme - Alain Grandjean. Chroniques de l’Anthropocène.
      https://alaingrandjean.fr/2016/01/26/reformer-la-comptabilite-privee-pour-reformer-le-capitalisme/#_ftnref


      #Alternatives

      -"La comptabilité d’entreprise, telle que nous la connaissons aujourd’hui a été codifiée au Moyen-Age" ;
      –" On peut dire dès lors que la nature ne compte pas pour le décideur qui se base sur ces comptes-là puisqu’elle n’est pas comptée" ;
      –" la comptabilité est la base de la représentation qu’on a de ce qu’est la richesse, de ce qu’est le profit et donc est bien au cœur du système économique. Sujet stratégique mais ignoré parce qu’il ennuie presque tout le monde, à l’exception de ceux qui en vivent, les experts comptables et les commissaires au compte…" ;
      –"Dans les entreprises de ce secteur-là, en théorie, le profit n’est pas le moteur de la décision. Dans la pratique, elles sont néanmoins soumises aux même règles comptables. De très grandes mutuelles d’assurance font partie de l’ ESS ; elles sont sans doute gérées un peu différemment des groupes privés mais la représentation comptable de leur activité et de leur impact sur l’environnement est construite de la même manière.
      Il s’agit donc de réformer la comptabilité de manière très profonde de sorte que la nature se retrouve au cœur de la comptabilité et pas à l’extérieur." ;
      –"Dans cette vision anglo-saxonne, incarnée dans l’institution gardienne du temple, l’IASB, c’est le marché qui fixe la « juste » valeur de tous les actifs de comptabilité. Ce mode d’enregistrement des comptes de l’entreprise a évidemment un inconvénient majeur : il est très court-termiste." ;
      –"Jacques Richard (...) pousse à adopter en particulier le référentiel CARE. « La comptabilité adaptée aux Renouvellement de l’Environnement (CARE) est une méthode comptable qui rend compte de l’engagement réel de l’entreprise en matière de développement durable La méthode CARE tend à éliminer les clivages entre la gestion financière et la gestion environnementale Elle tente de raisonner en coût de restauration (coût historique) et permet, via le mécanisme de l’amortissement, la conservation par l’entreprise des trois capitaux – financier, naturel et humain (comme proposé par la Banque mondiale). »"

  • Sciences Po Grenoble, un repaire d’« islamogauchistes » ? Par Caroline IBOS https://blogs.mediapart.fr/edition/fac-checking/article/140421/sciences-po-grenoble-un-repaire-d-islamogauchistes

    La découverte de collages accusant deux professeurs d’être des fascistes relance l’emballement médiatique contre l’"islamogauchisme" à l’université. La gravité de l’affaire tient bien sûr à l’injure dont ces enseignants sont victimes. Elle tient aussi à la polémique que les médias fabriquent, exposant deux chercheuses à la vindicte publique et appelant à la censure des savoirs critiques. (Mars 2021)...

    Pour certain·es journalistes, les #sciences_sociales usurpent donc le nom de science dès lors qu’elles troublent le sens commun : les savoirs critiques sont dangereux pour la société. Il reste un point, vérifiable, sur lequel on ne saurait leur donner raison : loin d’avoir été étudié dans « le monde entier », l’#islamogauchisme semble être une obsession française. Pour objectiver sa fragilité empirique, on pourra, par exemple, consulter dans la revue Mouvements un récent article de Timothy Peace. La bibliothèque numérique Jstor qui archive douze millions d’articles de revues scientifiques de 160 pays dans 75 disciplines, signale trois références pour « islamo-gauchisme » et 17 pour « islamo-leftism » ; seules quatre se réapproprient la notion tandis que les autres la déconstruisent. À titre de comparaison, le mot-clé « islamophobia » propose 5388 références : pas de doute, la « notion fourre-tout inventée de toute pièce » que le professeur d’allemand a dénoncée lors de sa semaine de célébrité médiatique nomme un champ de recherche. Comme tous les autres, il est traversé par la construction de controverses : celles-ci se déploient selon des méthodologies éprouvées et dont les chercheur.es doivent pouvoir rendre compte. L’opinion libre peut bien sûr questionner ces résultats à tout moment, mais ne peut les nier sans se soumettre à son tour à la rigueur qui fait la science. Le nier c’est sombrer dans un monde de post-vérité que d’aucuns appellent de leurs vœux du fait de son potentiel électoral. Le débat ouvert autour des sciences humaines et sociales doit en effet interpeler les mondes scientifiques dans toute leur diversité, c’est la seule échelle possible de riposte à la violence de l’offensive idéologique en cours.

  • #Démission de #Frédérique_Vidal : la pression monte !

    Les appels à la démission de la ministre de l’enseignement supérieur et de la recherche (#ESR), Frédérique #Vidal, se multiplient depuis qu’elle a annoncé vouloir commander une enquête sur les ravages de « l’islamo-gauchisme » à l’Université (https://www.soundofscience.fr/2648). Les raisons de mettre un terme à son sinistre mandat ne manquent pas : chasse aux sorcières « islamo-gauchistes » donc, appuyée sur des rumeurs fallacieuses (https://blogs.mediapart.fr/edition/fac-checking/article/280221/un-seminaire-sur-la-deradicalisation-annule-pantheon-sorbonne-octobr), mais aussi abandon des étudiant·es pendant la pandémie (https://universiteouverte.org/2021/01/13/face-a-notre-detresse-rassemblons-nous-jeudi-14-janvier-2021-plac) (voir et signer cet appel des étudiants de la cité U de Nanterre : https://www.change.org/p/emmanuel-macron-appel-des-%C3%A9tudiants-de-la-cit%C3%A9-u-de-nanterre), marchandisation xénophobe de l’université avec la hausse des frais d’inscription pour les étudiant·es étrangèr·es (https://universiteouverte.org/2019/04/28/officialisation-de-la-hausse-des-frais-que-retenir-des-decrets), duplicité intellectuelle, duplication de bandes de gel (https://academia.hypotheses.org/24479), mandarinat et recrutement local.

    Ah, et on oubliait la Loi de Programmation de la Recherche (LPR), une loi de précarisation (https://universiteouverte.org/2020/09/25/loi-de-programmation-de-la-recherche-une-loi-de-precarisation) !

    –---

    Liste des #appels_à_la_démission de la ministre Vidal :

    - La #pétition et tribune parue dans le Monde (https://www.wesign.it/fr/science/nous-universitaires-et-chercheurs-demandons-avec-force-la-demission-de-freder) qui a dépassé les 22 000 signatures individuelles et qu’il faut encore signer et faire signer !
    - La pétition initiée par l’ANCMSP (https://www.wesign.it/fr/science/vidal--demission-#), que nous avons co-signée avec d’autres organisations, ouverte également aux signatures individuelles :
    - les associations professionnelles ANCMSP (Association nationale des candidat·e·s aux métiers de la science politique), ASES Association des Sociologues Enseignant.e.s du Supérieur, Association des enseignant·es-chercheur·ses en science politique (AECSP), Confédération des Jeunes Chercheurs (CJC)
    - Les collectifs : CDNT Collectif des non-titulaires de Lyon 2, DICENSUS, EFiGiES Association de jeunes chercheur-euse-s en Études Féministes, Genre et Sexualités, FASOPO (Fonds d’Analyse des Sociétés Politiques), Les Jaseuses, Réseau de jeunes chercheur-euse-s travaillant sur des corpus féminins, féministes et queer, Noria Research, Université Ouverte
    - Les groupes de recherche GIS études africaines en France, Unité de Recherches Migrations et Société (URMIS)
    - Les syndicats L’Alternative, Solidaires étudiant-e-s/syndicat de luttes, SUD Education, Sud Recherche EPST
    Les syndicats SNCS (https://sncs.fr/2021/02/23/le-sncs-fsu-demande-la-demission-de-la-ministre-frederique-vidal) et SNESUP (https://www.snesup.fr/article/frederique-vidal-doit-etre-remplacee-lenseignement-superieur-et-la-recherche-) de la FSU, Ferc-sup (https://cgt.fercsup.net/les-dossiers/enseignement-superieur/lppr-frederique-vidal-2019-2021/article/declarations-de-la-ministre-sur-l-islamo-gauchisme-a-l-universite-la-ru) de la CGT, SUD Recherche et SUD Education (https://www.sudeducation.org/communiques/vidal-porte-atteinte-a-la-liberte-de-recherche-des-universitaires-un-t)
    – La Commission Permanente du Conseil National des Universités (CP-CNU) : https://www.lavue.cnrs.fr/actions-publiques/article/lettre-de-la-cp-cnu

    D’autres textes, sans appeler explicitement à la démission de Frédérique Vidal, expliquent qu’il est n’est plus possible de travailler avec elle :

    - Communiqué de presse de la CEPED (Conférence Permanente des chargé·es de mission Égalité, Diversité ou mission assimilée des établissements d’enseignement supérieur et de recherche : https://www.cped-egalite.fr/wp-content/uploads/2021/02/CP-CPED-Islamo-gauchisme-et-manque-de-moyens-24022021-1.pdf) du 24 février 2021, qui explique que « les engagements de la ministre ne sont pas suivis d’effets et l’histoire de leur annonce est réécrite par le ministère, comme pour les effacer de notre mémoire » et que « le manque de soutien et de moyens sont les principaux facteurs justifiant la difficulté des chargé·es de mission égalité–diversité. » En conséquence, « la CPED ne transmettra plus au Ministère, comme elle en avait l’habitude, les actions des établissements d’enseignement supérieur et de recherche autour des problématiques d’égalité femmes-hommes et de lutte contre les discriminations. »
    - Les conseils d’administration (CA) des universités Bordeaux Montaigne ou de Lyon 2 condamnent les propos de la ministre.

    Frédérique Vidal doit donc partir !
    Voici pourquoi : petite liste non-exhaustive de ses dernières casseroles.

    1. Les contradictions

    Pour Vidal, « l’islamo-gauchisme » n’existait pas en octobre 2020 ; elle le voit partout en février 2021. Duplicité dans le discours ? Dans les expériences scientifiques aussi, apparemment :

    2. L’affaire des duplications de bandes de gel

    Grâce au carnet Academia (https://academia.hypotheses.org/24479) qui a retranscrit et traduit le billet de Leonid Schneider (https://forbetterscience.com/2019/04/01/frederique-vidal-minister-for-research-and-gel-band-duplication/amp/?__twitter_impression=true) nous avons accès aux suspicions de fraude qui pèsent sur les travaux de Frédérique Vidal.

    « La #fraude repose, selon l’article, sur des dispositifs élaborés. Pour étayer leurs résultats, les autrices et les auteurs ont réemployé des clichés, plus ou moins éclaircis par logiciel, comme preuves distinctes. Après avoir publié un premier article sur un cas de fraude dans un article publié 2001 dans le Journal of Cell Science, l’auteur a poursuivi son enquête à propos de deux nouveaux articles et établit la preuve du réemploi du même matériel pour illustrer des processus cellulaires différents, sans le préciser. On apprend par ailleurs, après investigation auprès de l’équipe, que les archives de laboratoire, sous la responsabilité de Frédérique Vidal, sont illisibles ou, dans le cas du carnet de laboratoire, ont carrément disparu ! »

    3. Mandarinat et recrutement local, publié par le Canard enchaîné

    4. Les poursuites qui se finissent en douche froide

    Comme l’explique Gilles d’Hallouaran (https://blogs.mediapart.fr/gilles-dhallouaran/blog/200221/douche-froide-pour-frederique-vidal-et-pour-l-ex-president-de-l-univ), Frédérique Vidal a tout fait pour voir sanctionnés deux universitaires nantais mobilisés pour le retrait du dispositif de sélection « ParcourSup » et de la loi relative à l’orientation et à la réussite des étudiants (ORE) adoptée le 8 mars 2018. Or, le 11 février dernier, le conseil de discipline national des enseignants-chercheurs vient d’infliger en appel un camouflet à Frédérique Vidal et à l’ancien président de l’Université de Nantes.
    5. La porte ouverte à l’alt-right – qu’il est préférable d’appeler « extrême-droite », ou « droite suprémaciste »

    La privatisation de l’université et de la recherche publiques, les mesures racistes et xénophobes, les discours qui font la part belle aux idées d’extrême-droite et aux « raisonnements complotistes » : on peut dire que Frédérique Vidal a un agenda politique clair, qui n’est favorable ni au service public de l’ESR, ni au travail scientifique, mais qui prépare le terrain pour les thématiques fascistoïdes des extrêmes-droites contemporaines.

    C’est ce que montre parfaitement David Chavalarias (https://politoscope.org/2021/02/islamogauchisme-le-piege-de-lalt-right-se-referme-sur-la-macronie), dans son article du 21 février intitulé « Islamogauchisme : Le piège de l’Alt-right se referme sur la Macronie », en s’appuyant sur une analyse des échanges sur Twitter.

    « En résumé, la première étape pour ancrer l’idéologie alt-right et arriver à saboter une démocratie est de concrétiser dans l’imaginaire collectif la représentation d’un ennemi de l’intérieur qui pilote nos élites et fait alliance avec des ennemis de l’extérieur (non-blancs). La notion d’« islamo-gauchisme » est en cela une trouvaille géniale qui véhicule en quelques lettres cette idée maîtresse. En France, l’alt-right n’aurait pu rêver mieux que l’intervention récente de la Ministre : l’« islamo-gauchisme » pourrait être en train de corrompre les têtes pensantes de nos Universités ; propos amplifié par le Ministre de l’Éducation Nationale qui le voit “« comme un fait social indubitable ». La polémique nationale que cela a suscité est un service rendu inestimable. »

    Avec Frédérique Vidal, la destruction du service public (https://blogs.mediapart.fr/bernard-gensane/blog/210221/frederique-vidal-voit-des-islamo-gauchistes-partout-et-privatise-l-u) et les discours fascistoïdes font bon ménage. Elle fait peser sur la recherche et sur les libertés académiques de graves menaces, qui sont celles que nos collègues de Turquie, de Hongrie, de Russie ou de Pologne connaissent hélas déjà trop bien. C’est ce que dénoncent nombre de collègues, comme Pinar Selek (https://blogs.mediapart.fr/pinar-selek/blog/210221/lettre-frederique-vidal) ou Alain Blum et Juliette Cadiot (https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/02/23/en-france-les-sciences-humaines-et-sociales-ne-sont-pas-au-service-du-politi).
    6. Son mépris pour les deux chercheur·ses détenu·es en Iran

    Comme l’explique parfaitement Jean-François Bayart (https://blogs.mediapart.fr/jean-francois-bayart/blog/220221/trois-raisons-de-la-necessaire-demission-de-frederique-vidal), ce mépris est indéniable :

    « Le 5 juin 2019 deux chercheurs français ont été arrêtés en Iran de manière arbitraire et réduits au statut de monnaie d’échange. Roland Marchal a été troqué contre un membre des Gardiens de la Révolution, le 20 mars 2020. Fariba Adelkhah, elle, est toujours retenue contre son gré en Iran, assignée à résidence et sous contrôle d’un bracelet électronique. Alors que le comité de soutien à ces deux prisonniers scientifiques a été reçu à l’Élysée et au ministère des Affaires étrangères, il n’a jamais enregistré le moindre signe d’empathie de la part de la ministre ou de son cabinet. Interrogée par des parlementaires ou des journalistes, celle-ci a toujours botté en touche, comme si le problème ne la concernait pas. Elle n’a pas non plus rencontré Roland Marchal à son retour en France. Voilà qui en dit long. »

    7. En 2021, toujours moins de postes d’enseignant·es-chercheur·ses ouverts…

    Ça se passe de commentaires, hélas.

    https://universiteouverte.org/2021/02/24/demission-de-frederique-vidal-la-pression-monte

    #université #ESR #facs #France

    –-

    ajouté sur ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/902062

  • L’instrumentalisation de ce professeur par la droite extrémiste est inquiétante

    Le but : Dire que l’islamophobie n’existe pas

    C’est ce que pense ce professeur qui refusait le mot « islamophobie » dans un groupe de travail et qui a harcelé une collègue pour l’enlever.

    https://twitter.com/CNEWS/status/1369201573595844611

    Dans un premier mail au ton assez hallucinant, il refuse le mot dans « Racisme, islamophobie, antisémitisme »

    Il se demande même si le mot à un sens, et s’il n’est pas "l’arme de propagande d’extrêmistes plus intelligents que nous".

    L’argument est plutôt complotiste d’ailleurs.

    Une collègue lui répond simplement que si l’islamophobie est actuellement contesté dans le champ politique, il ne l’est pas dans le champ scientifique, et qu’il n’y a aucune raison de ne pas employer ce terme.

    Kinzler répond avec un long mail très agressif, et conclut que les persécutions des musulmans sont imaginaires, que l’islamophobie n’a rien à faire aux côté de « l’antisémitisme millénaire », que le nom du groupe est une « réécriture de l’histoire qui fait honte à l’établissement »

    On voit déjà le profil de Kinzler. La violence des tournures de phrase, l’insistance, les formes de langages et la longueur des mails montrent l’agressivité des échanges.

    Il fait ensuite une confidence : Il déteste l’islam et préfère le Christ « Qui pardonne la femme adultère »

    Puis on retrouve les arguments de l’extrême droite « pourquoi n’y a-t-il pas des millions de musulmans dans les rues après chaque attentat ? »
    Il avoue que l’islam « lui fait franchement peur » mais il « en connaît de nombreux » donc il n’est pas islamophobe.

    L’échange de mail termine par un mail d’excuse de Kinzler envers sa collègue, qui reconnaît son agressivité, et se justifie en disant avoir été énervé par « l’arrogance d’une jeune enseignante-chercheuse »

    On peut donc rajouter la misogynie au tableau de chasse.

    Vous remarquerez aussi dans ce mail qu’il menace de "quitter le groupe" si le nom n’est pas changé.

    Il prétendra dans d’autres écrits avoir été "exclu du groupe".

    https://twitter.com/Babar_le_Rhino/status/1369277304740982784

    #Klaus_Kinzler #Kinzler #islamophobie

    • Chronologie des faits, rétablis par la directrice du labo PACTE :

      En préambule il semble essentiel d’affirmer que Pacte, comme les trois tutelles dont le laboratoire dépend (Science Po, Univ Grenoble Alpes, CNRS), dénonce absolument les collages sur les murs de l’IEP qui mettent en cause deux collègues -dont un membre du laboratoire, et demande que l’enquête puisse éclaircir toutes les responsabilités en la matière.
      Mais il faut ensuite comprendre que la mise en cause médiatique du laboratoire repose sur une confusion entre deux communiqués.
      – Nous avons bien, en date du 7/12/2020, établi un communiqué interne, envoyé à l’ensemble des membres du groupe de travail alors appelé « Racisme, antisémitisme, islamophobie » - dont 4 étudiants de l’IEP, et à la directrice de l’IEP. Celui-ci ne dénonçait personne à titre nominatif. La notion de harcèlement qui y était mentionnée portait sur le dysfonctionnement des échanges ayant eu lieu par mail, dans leur tonalité notamment. Il disait : « Nier, au nom d’une opinion personnelle, la validité des résultats scientifiques d’une collègue et de tout le champ auquel elle appartient, constitue une forme de harcèlement et une atteinte morale violente ». Des excuses ont par la suite été rédigées par la personne mise en cause. Une autre phrase importante de ce texte était : « L’instrumentalisation politique de l’Islam et la progression des opinions racistes dans notre société légitiment la mobilisation du terme "islamophobie" dans le débat scientifique et public ». Le terme a par ailleurs été retiré du titre du débat qui a eu lieu en janvier. La justification de ce communiqué est un débat dans lequel on me demande de ne pas entrer ici.
      – À la suite de cela, notre collègue attaquée a saisi le Défenseur des Droits qui a confirmé notre interprétation des faits par un courrier officiel envoyé à l’IEP en janvier 2021.
      Puis le laboratoire n’a plus jamais entendu parler de cette affaire jusqu’aux collages du 6 mars 2021.
      – Notre deuxième communiqué a été rédigé le 3 mars 2021 par le conseil d’unité et le directoire. Il était lui tout à fait public, publié sur le site web du labo, traduit en anglais, etc.. Suite aux déclarations de la ministre Mme Vidal, la direction du laboratoire et le conseil d’unité ont en effet pris une position contre la façon dont la croisade contre l’islamo-gauchisme permettait de nier la scientificité des SHS dans leur ensemble, voire de tout le champ scientifique. C’est le seul communiqué visible à ce jour sur notre site. Il n’avait rien à voir avec la situation inter-personnelle qui avait justifié le premier
      Nous n’avons donc jamais traité quiconque d’islamophobe.
      La gravité des faits entraîne une double enquête, à la fois de l’Inspection Générale du Ministère et du Parquet.
      Les deux collègues dont les noms ont été affichés sur les murs de l’IEP, mais aussi celle dont le nom a été exposé contre sa volonté dans la presse, les étudiants concernés et moi-même sommes actuellement sous protection judiciaire.

      https://www.facebook.com/annelaure.amilhatszary/posts/3702745506474976

    • Mediapart : Accusations d’islamophobie : la direction de Sciences Po Grenoble a laissé le conflit s’envenimer

      Une violente polémique agite Sciences Po Grenoble depuis que l’Unef a relayé des affiches accusant de manière nominative deux professeurs d’« islamophobie ». Des enseignants et étudiants dénoncent pourtant l’« instrumentalisation de cette affaire » et un « traitement médiatique biaisé ». Depuis décembre, d’après nos informations, de nombreuses instances avaient été alertées sans entraîner de réaction de la direction.

    • Accusations d’islamophobie : la direction de Sciences Po Grenoble a laissé le conflit s’envenimer

      Une violente polémique agite #Sciences_Po_Grenoble depuis que l’Unef a relayé des affiches accusant de manière nominative deux professeurs d’« islamophobie ». Des enseignants et étudiants dénoncent pourtant l’« instrumentalisation de cette affaire » et un « traitement médiatique biaisé ». Depuis décembre, d’après nos informations, de nombreuses instances avaient été alertées sans entraîner de réaction de la direction.

      Il est midi mardi 9 mars lorsqu’une vingtaine d’étudiants de l’#Institut_d’études_politiques (#IEP) de Grenoble déploient une banderole au pied de l’#université. « Islam ≠ Terrorisme », peut-on lire en plus de deux autres inscriptions affichées sur des cartons pour rappeler que le « racisme est un délit » et pour dire « stop à l’islamophobie ». En face, quelques journalistes attendent de pouvoir interroger les étudiants. Le climat est tendu. Les jeunes se méfient de la presse accusée de « manquer de rigueur » depuis le début de cette polémique. Un étudiant prend la parole.

      La presse s’attend à des excuses publiques. Les étudiants en réalité reviennent à la charge et accusent de nouveau deux professeurs « d’islamophobie », témoignages à l’appui. « Vous vous rendez compte que vous assassinez entre guillemets votre prof ? », lâche un confrère, qui n’a plus envie de cacher sa colère. « Je n’aurais pas dû prendre la parole. Je ne me suis pas fait comprendre », regrette plus tard l’étudiant pris à partie.

      Quelques jours avant, ce sont d’autres affiches qui avaient été placardées sur ces mêmes murs de l’IEP avec les noms de deux enseignants de l’IEP. « Des fascistes dans nos amphis Vincent T. [...] et Klaus K. démission. L’islamophobie tue. » Si ces pancartes ont rapidement été retirées, l’Unef les avait relayées sur les réseaux sociaux avant de se raviser. Marianne et Le Figaro ont ensuite embrayé avant qu’une enquête pour « injures publiques » et « dégradation » ne soit ouverte par le parquet de Grenoble.

      De manière unanime, la classe politique a dénoncé cette action, représentant selon elle une véritable mise en danger pour les deux enseignants. « Je condamne fermement que six mois après l’assassinat, même pas, de Samuel Paty, des noms soient ainsi jetés en pâture. La liberté d’opinion est constitutionnelle pour les enseignants chercheurs… », a déclaré le maire EELV de Grenoble Éric Piolle. Même condamnation pour la ministre de l’enseignement supérieur Frédérique Vidal, qui a diligenté une enquête administrative et rappelé que « les tentatives de pression » et « l’instauration d’une pensée unique » n’avaient « pas leur place à l’université ».

      Sur le parvis de Sciences Po mardi, les étudiants sont aussi unanimes : « Ces collages, c’était une vraie connerie et une mise en danger pour ces deux profs. L’Unef n’aurait jamais dû les relayer non plus », explique un étudiant en troisième année. « Notre communication était clairement maladroite », reconnaît Emma, la présidente de l’Unef Grenoble. « On ne tolère pas que des affiches puissent mettre la vie de profs en danger », renchérit Maxime Jacquier de l’Union syndicale de l’IEP. Tous en revanche disent ne pas savoir qui a collé ces pancartes.

      « Depuis que tout ça a éclaté, les médias comparent cette affaire à ce qui est arrivé à Samuel Paty. On parle de terrorisme intellectuel, d’entrisme islamo-gauchiste ou de fatwa. Mais il y a un décalage magistral entre la réalité de ce qui se passe à l’IEP et la récupération qu’en font les politiques », regrette Thibault, étudiant en master : « C’est une affaire bien plus complexe qui a démarré bien avant. »

      Visé par ces collages, #Klaus_Kinzler, professeur d’allemand, enchaîne les médias depuis, pour témoigner et livrer sa version de la genèse de l’affaire. Cette « cabale » serait née simplement parce qu’il contestait le choix d’utiliser le terme « islamophobie » lors d’une semaine de l’égalité. D’après lui, « la liberté d’expression n’existe plus à Sciences Po ». « Ils voulaient nous faire la peau à moi et mon collègue », dit-il aussi dans Le Point en évoquant une partie des étudiants de l’institution.

      Auprès de Mediapart, ce prof de 61 ans, « 35 ans d’enseignement », introduit la conversation en se félicitant que les médias soient « si nombreux à en parler ». « C’est un vrai marathon, mais le plus intéressant était CNews. Il y a des extraits de l’émission qui sont vus plus de 100 000 fois sur les réseaux », se réjouit l’enseignant qui dit vouloir désormais se concentrer sur le volet judiciaire. « Grâce à l’essayiste Caroline Fourest, j’ai pris l’avocat Patrick Klugman pour préparer ma riposte », explique le prof qui accuse ses collègues de l’avoir complètement lâché.

      Il explique avoir été exclu d’un groupe de travail pour avoir voulu débattre de l’utilisation du terme « islamophobie ». Il dit avoir été accusé de harcèlement pour avoir simplement remis en cause les arguments de Claire M., sa collègue également membre de ce groupe. Il accuse même sa directrice de lui avoir fait fermer une page de son site internet pour le punir d’avoir été se répandre médiatiquement. Il dénonce enfin la pression constante des étudiants qui n’hésiteraient plus à entraver la « liberté d’expression » et la « liberté académique » des enseignants.

      « Le problème, c’est qu’il y a beaucoup d’erreurs et de mensonges dans son récit », regrette l’un de ses collègues de l’IEP qui rappelle qu’il a été immédiatement soutenu par ses pairs. « On est scandalisé par les propos qu’il a tenus sur CNews. Il regrette ne pas avoir de soutien alors qu’il y a eu une boucle de mails dans la foulée des collages. Notre soutien a été unanime et immédiat et la condamnation de ces affiches a été très ferme », rectifie Florent Gougou, maître de conférences à l’IEP. Une motion, votée mardi par le conseil d’administration de Sciences Po, condamne d’ailleurs « fermement cet affichage qui relève de l’injure et de l’intimidation ».

      Mais ce texte rappelle aussi l’importance « du devoir de réserve » et du respect des « règles établies et légitimes de l’échange académique ». Un élément clé de toute cette affaire que ni les enseignants visés, ni Marianne et Le Figaro n’ont évoqué jusqu’à présent. Sur la base de nombreux témoignages d’étudiants, de professeurs et de la direction mais aussi en s’appuyant sur l’intégralité des mails et échanges en cause, Mediapart a tenté de retracer les raisons de cette affaire débutée fin novembre. Et qui, de l’aveu de tous, « n’aurait jamais dû prendre cette tournure nationale ».

      Fin novembre donc, sept étudiants et une autre enseignante, Claire M., planchent ensemble dans un groupe de travail pour préparer la « semaine de l’égalité et contre les discriminations » qui se tient annuellement depuis 2017. Ce groupe a pour intitulé « Racisme, islamophobie, antisémitisme ». Klaus Kinzler le rejoint alors qu’il est déjà constitué et remet immédiatement en cause l’intitulé.

      « Bonsoir à tout le monde, concernant notre groupe thématique “Racisme, islamophobie, antisémitisme”, je suis assez intrigué par l’alignement révélateur de ces trois concepts dont l’un ne devrait certainement pas y figurer (on peut même discuter si ce terme a un vrai sens ou s’il n’est pas simplement l’arme de propagande d’extrémistes plus intelligents que nous) », écrit d’emblée le professeur d’allemand qui livre la véritable raison de sa présence dans ce groupe : « Je ne vous cache pas que c’est en vertu de ce contresens évident dans le nom de notre groupe thématique que je l’ai choisi. »

      Claire M., l’enseignante en question, répond le lendemain pour défendre le choix de l’intitulé qui n’est d’ailleurs pas de son fait. Ce dernier a été décidé après un sondage en ligne lancé par l’administration et a été validé par un comité de pilotage. « La notion d’islamophobie est effectivement contestée et prise à partie dans le champ politique et partisan. Ce n’est pas le cas dans le champ scientifique », défend la maîtresse de conférences qui cite des arguments scientifiques pour se justifier. Elle précise aussi « qu’utiliser un concept ne dispense pas d’en questionner la pertinence, de se demander s’il est opérant ».

      Quelques heures plus tard, Klaus Kinzler répond de manière plus virulente. Les étudiants du groupe de travail, eux, sont toujours en copie. « Affirmer péremptoirement, comme le fait Claire, que la notion d’islamophobie ne serait “pas contestée dans le champ académique” me paraît une imposture », estime l’enseignant qui conteste les références utilisées par Claire qui mettait en avant « le champ académique ». « Ou alors soyons francs et reconnaissons tout de suite ceci : ce “champ académique” dont (Claire) parle et dont elle est un exemple parfait, est lui-même, du moins dans certaines sciences sociales (qu’à l’INP on appelle “sciences molles”), devenu partisan et militant depuis longtemps », poursuit-il.

      Il ajoute : « Contrairement à ce que Claire affirme ex cathedra, le débat académique sur la notion hautement problématique de l’“islamophobie” n’est absolument pas clos… » Il enchaîne pour évoquer une notion « fourre-tout », « inventée de toutes pièces comme arme idéologique dans une guerre mondiale menée par des “Fous de Dieu” (au sens littéral) contre les peuples “impies”, notion qui semble avoir envahi de nombreux cerveaux, y compris dans notre vénérable institut ». « C’est pour cela que je refuse catégoriquement de laisser suggérer que la persécution (imaginaire) des extrémistes musulmans (et autres musulmans égarés) d’aujourd’hui ait vraiment sa place à côté de l’antisémitisme millénaire et quasi universel ou du racisme dont notre propre civilisation occidentale (tout comme la civilisation musulmane d’ailleurs) est passée championne du monde au fil des siècles... »

      Il dénonce ensuite « le véritable scandale » que représente selon lui le nom de ce groupe de travail, « une réécriture de l’histoire » qui ferait « honte » à l’IEP de Grenoble. « J’ai décidé que, au cas où le groupe déciderait de maintenir ce nom absurde et insultant pour les victimes du racisme et de l’antisémitisme, je le quitterai immédiatement (c’est déjà presque fait, d’ailleurs) », annonce-t-il en guise de conclusion.

      Juste après ce mail, Vincent T., maître de conférences en sciences politiques – que Klaus Kinzler avait laissé en copie caché dans l’échange – intervient alors qu’il ne fait pas partie du groupe de travail. Il défend son collègue et cible directement Claire M. en disant découvrir « avec effarement à quel point des universitaires sont enfoncés dans le militantisme et l’idéologie ». « Associer l’IEP de Grenoble au combat mené par des islamistes, en France et dans le monde, et de surcroît au moment où le gouvernement vient de dissoudre le CCIF, mais vous devenez fous ou quoi ? », interroge Vincent T.

      Claire M. répond et poursuit son argumentation en produisant plusieurs publications scientifiques pour expliquer pourquoi l’usage du terme « islamophobie » n’est pas problématique selon elle. Les choses s’enveniment lorsque Vincent T. rétorque en mettant cette fois-ci la direction de l’IEP en copie. Il évoque Charlie Hebdo « accusé d’islamophobie », « Samuel Paty accusé d’être islamophobe » et dit ne pas pouvoir imaginer « un instant que l’IEP de Grenoble se retrouve dans ce camp » et invite la direction à réagir.

      En réponse, Klaus Kinzler poursuit sa dénonciation dans un mail fleuve, notamment d’une « partie grandissante des chercheurs en sciences sociales ». « Tous les jours, les départements en “gender studies”, “race studies” et autres “études postcoloniales” (liste loin d’être exhaustive !) des universités les plus prestigieuses du monde sortent leur production de nouveaux livres et articles “scientifiques” dont les conclusions sont strictement hallucinantes (pour des personnes normalement constituées) », poursuit le professeur d’allemand avant de déplorer « la cancel culture » qui serait à l’œuvre. Il continue de dénigrer les sciences sociales qui produiraient « un tas de choses invraisemblables » et qui seraient bien moins légitimes que « les sciences dures ». Il se fait ensuite plus intransigeant : « Je vais être clair : je refuse absolument d’accepter qu’on puisse continuer, comme Claire le propose au groupe, de conserver l’intitulé de la journée prévue. »

      Le prof d’allemand qui revendique auprès de Mediapart son côté « provoc’ » a en tout cas une réputation « sulfureuse » au sein de l’IEP. « Lui et Vincent sont les deux profs réputés à droite quoi et parfois très militants », contextualise un enseignant. L’argumentation de Klaus Kinzler déployée dans ses mails le prouve.

      « Les musulmans ont-ils été des esclaves et vendus comme tels pendant des siècles, comme l’ont été les Noirs (qui aujourd’hui encore sont nombreux à souffrir d’un racisme réel) ? Non, historiquement, les musulmans ont été longtemps de grands esclavagistes eux-mêmes ! Et il y a parmi eux, encore aujourd’hui, au moins autant de racisme contre les Noirs que parmi les Blancs », peut-on lire. Il poursuit sa mise en cause des musulmans en expliquant qu’ils n’ont pas jamais été « persécutés », « tués » ou « exterminés » comme l’ont été les juifs et qu’au contraire, on compterait parmi eux « un très grand nombre d’antisémites virulents ».

      Il en profite pour expliquer qu’il n’a « aucune sympathie » pour l’islam « en tant que religion » et préfère même « largement le Christ qui, lui, pardonne fameusement à la femme adultère ». Il précise toutefois n’avoir aucune « antipathie » à l’égard des musulmans, mais reprend à son compte la théorie qui veut que ces derniers soient a priori solidaires des terroristes : « Pourquoi n’y a-t-il pas des millions de musulmans dans la rue pour le crier haut et fort, immédiatement, après chaque attentat, pourquoi ? » Il termine enfin son mail en proposant un nouvel intitulé qui serait « Racisme, antisémitisme et discrimination contemporaine » pour englober « l’homophobie, l’islamophobie et la misogynie ».
      Le Défenseur des droits défend l’enseignante

      « Après ces échanges, Claire M. a considéré être victime d’une agression et même d’un harcèlement », explique l’un de ses collègues. Elle aurait reproché à Klaus Kinzler de se contenter de livrer ses opinions personnelles face à des arguments scientifiques. Mais aussi de la dénigrer, la qualifiant d’« extrémiste ». Il aurait ainsi clairement dépassé son devoir de réserve et bafoué le principe de laïcité en faisant l’éloge du Christ. L’enseignante sollicite l’intervention de la direction qui refuse de rappeler à l’ordre Klaus Kinzler mettant en avant la liberté d’expression. « Nous l’avons accompagnée dans ces démarches car nous avons considéré que la direction se devait de réagir. On a remarqué au passage qu’aucun registre de santé et de sécurité ni de CHST n’existait », explique un membre de la CGT de l’université de Grenoble. « On a même fait une alerte pour danger grave et imminent », ajoute-t-il.

      De son côté pourtant, Klaus Kinzler affirme qu’il a été lâché par sa direction. « J’ai même été exclu du groupe de travail », assure l’enseignant qui estime « ne pas avoir dépassé le cadre de la politesse » dans ses mails. « En réalité, Klaus n’a jamais été exclu. C’est lui-même qui a annoncé son départ », nuance une étudiante membre du groupe de travail et elle aussi destinataire des courriers. « On ne comprenait pas pourquoi il prenait à partie notre enseignante alors que l’intitulé du groupe avait été voté et validé en amont. Il y avait un tel manque de professionnalisme de sa part qu’on a choisi de ne pas répondre », explique-t-elle.

      Contrairement à ce que le prof répète dans les médias, les étudiants à ce moment-là de l’affaire ne réagissent pas. « On a demandé à sortir de cette boucle de mails, on a sollicité la direction qui n’a pas souhaité réagir. Du coup, on a fait remonter que dans ces conditions, on ne voulait plus travailler avec lui. Son agressivité et ses propos anti-islam nous ont mis mal à l’aise mais il n’y a pas eu de volonté de le faire taire ou de l’exclure », poursuit-elle : « Ses mails s’en prenant de cette manière à l’islam ou aux musulmans étaient difficiles à vivre pour certains étudiants. »

      En révélant cette affaire, Le Figaro affirme que les échanges en question ne contenaient aucune « trace d’invectives personnelles ». Dans des échanges consultés par Mediapart pourtant, Klaus Kinzler reconnaît lui-même sa violence. « Je viens de relire notre échange. De ton côté, un ton parfaitement modéré et poli ; de mon côté, je l’admets, je n’ai pas eu la même maîtrise du langage et, dans le feu de l’action, je me suis par moments laissé emporter. Je le regrette », écrit-il le 4 décembre tout en précisant que sur le fond, il « maintient tout à 100 % ». « Je me suis excusé pour calmer les choses, c’était diplomatique, mais je maintiens qu’il n’y avait pas de problème dans mes mails », corrige-t-il finalement à Mediapart.

      D’après son entourage, Claire M. vit mal « l’inertie de la direction » et est même mise en arrêt maladie du 7 au 11 décembre. Juste avant, elle alerte Pacte, le labo de recherches de l’université dont elle dépend. Ce labo rattaché au CNRS publie dans la foulée un communiqué interne pour affirmer « son plein soutien » à l’enseignante « attaquée personnellement ». Sans jamais nommer Klaus Kinzler, il lui reproche de nier ses résultats scientifiques (elle travaille depuis de longues années sur les questions autour de l’islam et des musulmans et est largement reconnue alors que lui n’est pas chercheur) et dénonce une forme de « harcèlement ». Il rappelle enfin que le débat scientifique nécessite « liberté, sérénité et respect ».

      « On ne voulait pas attaquer la direction », explique un membre de ce labo, « mais on ne pouvait pas laisser un prof dénigrer les SHS de cette manière, mettre en copie un prof qui n’a rien à voir avec ce groupe de travail, et les laisser s’en prendre à une collègue aussi violemment par mail devant ses étudiants. C’était un rappel à l’ordre sur la forme puisque la direction refusait d’intervenir ».

      D’après l’étudiante du groupe de travail, l’affaire aurait dû s’arrêter là. D’autant que Klaus Kinzler oublie de dire qu’il a obtenu gain de cause puisque la semaine de l’égalité a été rebaptisée. « Féminismes et antiracisme » a remplacé l’autre intitulé d’après les documents obtenus par Mediapart. « On a d’ailleurs pris le soin de ne pas évoquer ses mails publiquement. C’est Klaus en réalité qui en fait le premier la publicité », explique-t-elle. Un point aussi crucial que le prof d’allemand n’évoquera jamais lors de ses différentes sorties médiatiques.

      En effet, l’enseignant est furieux, voit dans la réaction de Pacte « une punition » et envoie de nombreux mails à la communauté éducative pour exposer ce litige et se plaindre de Claire M. Il va jusqu’à publier sur son site internet les échanges sans l’accord de l’enseignante. « Il a même utilisé les échanges de mails et la réponse du labo comme matériel pédagogique pour évoquer avec ses étudiants “la cancel culture” dont il se dit victime », témoigne l’une de ses collègues : « Claire M. n’avait rien demandé et c’est d’abord son nom qui a été jeté en pâture. Il se garde bien de dire qu’il est allé aussi loin. » Comme l’a constaté Mediapart, Klaus Kinzler a en effet utilisé cet incident lors de conférences de méthode de langue allemande de 3e année consacrés à la « cancel culture ».

      Interrogé, Klaus Kinzler confirme avoir été le premier à publier tous ces échanges sur son site internet mais assure que s’il l’a fait, c’est parce que le labo Pacte avait « rendu public son communiqué ». En réalité, le courrier de Pacte a seulement été envoyé par mail aux personnes concernées et à la direction. « Jamais il n’a été rendu public sur notre site », précise l’un de ses membres qui admet toutefois qu’il n’aurait pas dû intituler ce courrier « communiqué ».

      Reprenant les arguments de Klaus Kinzler, Marianne indique ainsi que le collectif Sciences Po Grenoble, relayé par l’Union syndicale, a donc publié le 7 janvier des extraits des courriels pour dénoncer son discours « ancré à l’extrême droite ». C’est exact. Mais les mails repris par les étudiants, qui ne nomment jamais le professeur, ont été piochés sur le site de l’enseignant qui les avait lui seul rendus publics.

      « Je ne regrette pas de les avoir fait circuler car c’était mon seul moyen pour me défendre », justifie aujourd’hui Klaus Kinzler. Rétrospectivement, il reconnaît une erreur, celle d’avoir rendu public le nom de Claire M. « J’aurais dû retirer son nom mais j’avais d’autres colères à gérer », rétorque l’enseignant qui explique l’avoir finalement fait il y a quelques jours, lorsque la polémique a éclaté médiatiquement. « Mais je ne comprends pas trop qu’on fasse tout un fromage du risque de sécurité pour ma collègue », nuance-t-il. Comme lui et Vincent T. pourtant, Claire M. bénéficie d’une protection policière depuis samedi 6 mars. « Elle a d’ailleurs reçu un mail haineux en début de semaine », ajoute la CGT.

      Face à l’inaction de la direction, Claire M. avait également saisi le Défenseur des droits en décembre. D’après nos informations, l’institution via sa cellule grenobloise a envoyé un courrier le 11 janvier à Sabine Saurugger, la directrice de l’IEP. Dans cette lettre, le Défenseur des droits précise qu’il n’a pas à se positionner sur le fond du débat mais rappelle que le respect entre collègues est un élément fondamental. Surtout, il estime que Vincent T. et Klaus Kinzler ont bafoué le droit au respect de Claire M. et que cette dernière n’a pas bénéficié du soutien de la direction.

      Sollicitée par Mediapart, la directrice, qui n’avait pas répondu au Défenseur des droits à l’époque, conteste toute inertie. « Ces événements avaient donné lieu à une action très ferme de la direction qui a d’ailleurs mené à la rédaction d’excuses de Klaus Kinzler », explique-t-elle. Le 16 décembre en effet, l’enseignant s’était une nouvelle fois excusé. Mais au même moment, il exposait sur son site les échanges mails avec l’enseignante et revendiquait sa démarche dans un courrier adressé au labo Pacte en réponse à leur communiqué.

      Malgré le constat du Défenseur des droits, la direction l’assure : « Il est incorrect de dire que nous n’avons pas réagi, mais on a tenté d’avoir un dialogue constructif », explique Sabine Saurugger.

      Étudiants et syndicats avaient aussi alerté la direction

      Contrairement à ce qui a pu être dit jusqu’à présent, la plupart des instances internes ont donc été sollicitées avant que les fameuses affiches soient collées sur les murs de l’IEP. L’Union syndicale, par exemple, avait aussi dénoncé l’inaction de la direction et demandé par courrier qu’elle condamne les propos tenus par le professeur. « L’islamophobie n’a pas sa place dans notre institut tout comme les autres discriminations que peuvent être le racisme et l’antisémitisme », peut-on lire dans un échange daté du 9 janvier. Le syndicat en profitait pour apporter son soutien à l’enseignante et demander la suppression du cours sur l’islam de Vincent T. qu’ils accusent d’islamophobie.

      En réponse, la directrice temporise. Sabine Saurugger rappelle l’importance de la liberté d’expression des enseignants mais aussi des principes de « tolérance et d’objectivité » exigés par les « traditions universitaires et le code de l’éducation ». Le 13 janvier, les étudiants insistent et demandent que l’IEP « ne se cache pas derrière la liberté pédagogique pour défendre l’islamophobie ». Ils veulent aussi que soit mise à l’ordre du jour du prochain conseil d’administration la suppression du cours de Vincent T. baptisé « Islam et musulmans dans la France contemporaine ». Le 22 février enfin, l’Union syndicale lance un appel à témoignage sur Facebook et demande aux étudiants de faire remonter d’éventuels propos islamophobes tenus par Vincent T. dans ses cours.

      « On avait eu plusieurs remontées problématiques », justifie un membre de ce syndicat. Les étudiants évoquent notamment les prises de position de ce maître de conférences, par ailleurs membre de l’Observatoire du décolonialisme (il a signé une tribune en janvier dans Le Point « contre le “décolonialisme” et les obsessions identitaires »). Il est aussi un contributeur régulier du site Atlantico. « Ses tribunes sont d’ailleurs toutes reprises par la revue de presse officielle de l’IEP », remarque l’un de ses collègues pour démontrer qu’on est loin d’une « université minée par l’islamo-gauchisme ».

      « Les idéologies islamo-gauchistes et décoloniales sont devenues tellement puissantes que les instances officielles cherchent à les protéger », écrivait Vincent T. par exemple en septembre. « Nos meilleurs étudiants sont aujourd’hui conditionnés pour réagir de manière stéréotypée aux grands problèmes de société. Ils sont par exemple persuadés que la société française est raciste, sexiste et discriminatoire, que les immigrés ont été amenés de force en France pour être exploités et parqués dans des ghettos, que Napoléon était une sorte de fasciste ou que la colonisation était synonyme de génocide », fustigeait-il en février.

      « Vincent est connu pour être à droite de la sociologie. Après, il n’y a aucun élément aujourd’hui permettant de prouver qu’il a tenu des propos islamophobes dans ses cours », nuance toutefois un professeur de l’IEP. « Ce qui est certain, c’est qu’il en fait une obsession. Mais il y a aussi une grande frayeur chez lui », ajoute son collègue.

      Après la mort de Samuel Paty par exemple, Vincent T. avait vivement réagi dans un mail envoyé à la présidence de l’université en octobre. « Les caricatures publiées par Charlie Hebdo sont devenues la ligne de démarcation entre la civilisation et la barbarie, entre nous et nos ennemis. Soit nous acceptons ces caricatures, soit nous les refusons : à chacun de choisir son camp », écrivait-il avant de demander à l’université de placarder les caricatures.

      « Dans le cadre de mes enseignements, il m’arrive, comme sûrement à d’autres collègues, de présenter ces dessins lorsque j’aborde l’affaire des caricatures. Pour cette raison, ma vie est donc potentiellement en danger. Elle cessera de l’être si toute l’université assume sa solidarité en placardant ces caricatures partout où elle le peut », ajoutait-il avant de conclure : « En l’absence d’une telle mesure élémentaire de solidarité et de courage, vous mettrez ma vie en danger. » La direction avait alors évoqué la possibilité de signaler des éléments à la police s’il en ressentait le besoin.

      Pour cette raison, certains professeurs et étudiants jugent le post Facebook de l’Union syndicale maladroit : « Cet appel à témoignage, même s’il ne mentionnait pas son nom, aurait dû rester sur des boucles internes et ne pas être affiché sur le réseau social. Vincent était trop identifiable. » Après avoir découvert ce post, l’enseignant envoie un mail aux étudiants : « Pour des raisons que je ne peux expliquer par mail, je demande à tous les étudiants qui appartiennent au syndicat dit “Union syndicale” de quitter immédiatement mes cours et de ne jamais y remettre les pieds. » « Je suis Charlie et je le resterai », conclut-il avant de revenir sur ses propos quelques jours plus tard.

      Le même jour, Klaus Kinzler envoie un autre mail présenté comme étant humoristique aux étudiants, mais aussi à la direction. « Bonjour surtout à nos petit.e.s Ayatollahs en germe (c’est quoi déjà l’écriture inclusive d’Ayatollah ?) ! », entame-t-il : « Je vois que ça commence à être une habitude chez vous, de lancer des fatwas contre vos profs. » En cause, une réunion assez houleuse entre ces profs, Kinzler et d’autres professeurs. L’enseignant d’allemand s’était permis de boire de l’alcool « pour supporter cette réunion » où il était de nouveau question de débattre de « l’islamophobie ».

      « Cela vous choque donc tellement, vous les “Gardien.n.e.s des bonnes mœurs” auto-proclamé.e.s, que, après quatre heures interminables passés avec vous, […] j’aie eu besoin de me verser quelques canons derrière la cravate pour ne pas péter un plomb ? », interroge Klaus Kinzler avant de réitérer son soutien à son collègue Vincent T. « Un enseignant “en lutte”, nazi de par ses gènes, islamophobe multirécidiviste », écrit-il en guise de signature.

      « C’est une succession de fautes, il est allé trop loin », estime l’un de ses collègues. Encore une fois, les étudiants avertissent immédiatement la direction qui ne réagit pas. L’Union syndicale se tourne aussi vers la justice et porte plainte (elle sera finalement classée), pour « diffamation et discrimination à raison des activités syndicales ». Quatre jours plus tard, les noms des deux enseignants étaient placardés sur les murs de l’IEP.

      Si, depuis, tout le personnel enseignant condamne sans réserve ce collage, certains reçoivent difficilement le discours que Klaus Kinzler va défendre à la télévision. Et ses accusations contre ses collègues, la direction, les étudiants et le labo de recherches Pacte. « Je condamne très fermement ces affichages mais conteste toute responsabilité du labo dans les accusations faites à l’encontre de ces deux professeurs dont l’un est aussi membre de Pacte », soutient Anne-Laure Amilhat-Szary, directrice du laboratoire.

      Tous les enseignants, Klaus Kinzler compris, tombent d’accord sur un point. La situation épidémique qui a donné lieu à ces innombrables échanges de courriels a clairement pu aggraver la situation. « Les réactions timides de la direction aussi », regrette un enseignant. Simon Persico, professeur à l’IEP, résume : « On a soutenu ces deux enseignants, condamné ces collages, mais l’affaire qui est relatée dans les médias prend une tournure présentant la communauté pédagogique comme des islamo-gauchistes inconséquents. C’est faux. Il faut apaiser ce débat qui a pris une ampleur inédite, aggravé par une situation de confinement très lourde pour les étudiants et qui empêche toute discussion sereine et respectueuse. »

      Pendant que deux inspecteurs généraux missionnés par Frédérique Vidal auditionnent les différents acteurs de cette affaire, Klaus Kinzler, lui, poursuivait son marathon médiatique. Il s’interroge aussi sur la suite. « Juste après l’émission que j’ai faite sur CNews, j’ai discuté vingt minutes avec Serge Nedjar, le patron de la chaîne, qui voulait que je vienne plus régulièrement. Ça m’a flatté », révèle-t-il avant de conclure : « Je vais y réfléchir. »

      https://www.mediapart.fr/journal/france/110321/accusations-d-islamophobie-la-direction-de-sciences-po-grenoble-laisse-le-

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      Traduction de l’article en anglais :
      How ‘Islamophobia’ row erupted at French political sciences school
      https://www.mediapart.fr/en/journal/france/220321/how-islamophobia-row-erupted-french-political-sciences-school?_locale=en&o

      L’article complet :
      https://seenthis.net/messages/907329#message907675

      #affaire_de_Grenoble

    • Islamophobie à Sciences Po Grenoble : les faits alternatifs de Frédérique Vidal

      En pleine polémique après que les noms de deux professeurs accusés d’islamophobie aient été placardés sur les murs de l’IEP, la ministre de l’Enseignement supérieur y a vu une aubaine pour poursuivre sa croisade contre l’« islamo-gauchiste ». Quitte à, une fois de plus, mutiler les faits.

      Frédérique Vidal a donc récidivé en affairisme islamo-gauchiste. C’est en effet, comme aurait pu le dire Emmanuel Macron lui même (https://www.lesinrocks.com/2020/06/11/actualite/societe/macron-juge-le-monde-universitaire-coupable-davoir-casse-la-republique-e), un « bon filon » politique.

      Le 4 mars 2021, deux collages nominatifs, dénonçant l’islamophobie de deux enseignants, sont placardés sur les murs de l’Institut d’Etudes Politique de Grenoble (plus familièrement, Sciences Po Grenoble). Dans un contexte tendu, qui fait suite à l’assassinat de Samuel Paty le 16 octobre 2020, la direction de Sciences Po Grenoble signale ces faits à la justice le 5 mars. Enfin le 6 mars, le parquet de Grenoble ouvre une enquête pour « injure » et « dégradation publique ».

      L’affaire aurait pu en rester là si, le 8 mars, la ministre de l’Enseignement supérieur et de la Recherche, Frédérique Vidal, ne s’était aussitôt saisie de cette affaire. Et n’avait diligenté une mission de l’#inspection_générale_de_l’éducation (https://www.enseignementsup-recherche.gouv.fr/cid157360/i.e.p.-grenoble-frederique-vidal-condamne-fermement-l), chargée d’évaluer dans quelle mesure il aurait, au sein de Science-Po Grenoble, été porté atteinte aux « libertés académiques » et au « pluralisme de la recherche ». Frédérique Vidal entendait sans doute ainsi poursuivre sa croisade contre la présence supposée d’un courant « islamo-gauchiste » dans l’enceinte de l’université française. Et ce, en dépit des réserves (https://www.uvsq.fr/communique-de-la-conference-des-presidents-duniversite) et protestations (https://www.cnrs.fr/fr/l-islamogauchisme-nest-pas-une-realite-scientifique) déjà pourtant exprimées, cet hiver, par la Conférence des présidents d’Université et le CNRS ; des inquiétudes (https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/03/04/islamo-gauchisme-nous-ne-pouvons-manquer-de-souligner-la-resonance-avec-les-) manifestées par de prestigieux chercheurs internationaux ; enfin, d’une pétition (https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/02/20/islamo-gauchisme-nous-universitaires-et-chercheurs-demandons-avec-force-la-d) d’universitaires français emmenée par Thomas Piketty, et appelant la ministre à démissionner.

      Las, la ministre avait, une fois de plus, mutilé les faits. Il est en effet apparu, après quelques jours de bruit médiatico-politique, que l’affaire était plus complexe qu’il n’y paraissait. Interrogée mercredi soir sur BFM (https://www.bfmtv.com/replay-emissions/120-pourcent-news/frederique-vidal-les-methodes-d-intimidation-n-ont-pas-leur-place-dans-les-un), Frédérique Vidal, semblait en effet découvrir, avec stupeur, le communiqué (https://www.europe1.fr/societe/sciences-po-grenoble-les-propos-dun-professeur-etaient-extremement-problemat) de la directrice de Science Po Grenoble, Sabine Saurugger. Celle-ci s’inquiétait, bien sûr, des répercussions des collages nominatifs, notamment pour la sécurité des deux enseignants mis en cause. Mais Sabine Saurugger rappelait, également, qu’un des deux enseignants en question avait auparavant fait l’objet d’un « rappel à l’ordre », dans le cadre d’une controverse interne à l’institut d’études politiques.

      Il semble donc qu’il faille, dans la compréhension de ce qui s’est passé à Sciences Po Grenoble — et avant de se précipiter pour intenter des procès en islamo-gauchisme, comme l’ont à nouveau fait la ministre, des éditorialistes et les réseaux sociaux — faire preuve de patience dans l’établissement des faits. Et surtout, d’un peu de probité dans la compréhension de ce qui s’est réellement joué. Aussi faut-il d’abord, selon les mots d’une enseignante de Grenoble, également mise en cause dans cette affaire, « rétablir l’ordre des choses ».
      L’ordre et la connexion des faits

      En décembre 2020, ces deux enseignants s’en étaient en effet vivement pris, par mails interposés, à une enseignante de Pacte, l’un des laboratoires de sciences sociales rattaché à l’IEP de Grenoble. Dans ces mails que nous avons pu consulter, l’un des enseignants écrit en effet, sans détour, qu’il « n’aime pas beaucoup cette religion [l’islam, ndlr] », qu’elle lui fait parfois « franchement peur », « comme elle fait peur à beaucoup de Français ». C’est dans ce contexte que cet enseignant et son collègue se sentent alors autorisés à contester l’existence d’un atelier d’un groupe de travail intitulé « Racisme, islamophobie, antisémitisme ». À contester de manière très véhémente, ensuite, les droits d’une enseignante à animer ce groupe de travail, en mélangeant à peu près tout : « Associer l’IEP de Grenoble au combat mené par des islamistes, en France et dans le monde, et de surcroît au moment où le gouvernement vient de dissoudre le CCIF, mais vous devenez fous ou quoi ? » Enfin, autorisés à remettre en question les titres et travaux de la directrice du laboratoire Pacte elle-même.

      Un communiqué du laboratoire Pacte, daté du 7 décembre 2020 et adressé à la direction et quatre étudiants, s’inquiète de ces mails et de leur véhémence et, sans nommer leurs auteurs, manifeste une inquiétude au regard du respect des libertés académiques : « Nier, au nom d’une opinion personnelle, la validité des résultats scientifiques d’une collègue et de tout le champ auquel elle appartient, constitue une forme de harcèlement et une atteinte morale violente ». Suite à quoi l’enseignante incriminée saisira le Défenseur des Droits, qui confirmera l’interprétation des faits, par un courrier officiel envoyé à l’IEP de Grenoble en janvier 2021.

      S’il s’est certes depuis excusé auprès de ses paires grenobloises, l’un des enseignants n’en est, à vrai dire, pas à son coup d’essai en matière de provocation intellectuelle et politique. Sur la foi d’autres mails, non moins embarrassants et diffusés dans le cadre d’une liste de diffusion de sciences politiques réputée, certains politistes et sociologues considèrent désormais que l’enseignant ne « respecte pas la déontologie minimale qu’on peut attendre d’un universitaire, en diffusant régulièrement des messages électroniques à connotation xénophobe et islamophobe sous des formes pseudo-humoristiques ».

      D’autres indiquent encore que certains de ses articles sur la socialisation politique des jeunes musulmans, sans doute publiés dans des revues de référence, se fondent sur des données et des échantillons trop étroits pour être tout à fait fiables. Ces sociologues et politistes reconnus, tout comme des enseignants grenoblois, nous ont dit préférer rester anonymes. En effet, depuis la médiatisation (https://www.lci.fr/societe/video-le-parti-pris-de-caroline-fourest-grenoble-aux-origines-de-l-intolerance-2) à grand bruit de cette affaire intra-universitaire par des éditorialistes coutumiers de ce genre de coup d’éclat, les deux enseignants qui courent à leur tour les plateaux de télévision pour crier au loup islamo-gauchiste et l’intervention de la ministre, le contexte s’est très fortement tendu. Non seulement, le nom et la photographie de la directrice du laboratoire Pacte sont jetés en pâture à la fachosphère sur Twitter. Mais celle-ci, tenue au silence par un droit de réserve suite à l’enquête judiciaire et l’enquête diligentée par la ministre, fait également, avec d’autres enseignants et étudiants, l’objet d’une protection judiciaire.

      Si la pratique des collages nominatifs est condamnable (et les communiqués (http://www.sciencespo-grenoble.fr/accusations-dislamophobie-aupres-de-deux-enseignants-de-sciences) de la direction de Sciences Po Grenoble, mais aussi du laboratoire (https://www.pacte-grenoble.fr/actualites/accusations-d-islamophobie-aupres-de-deux-enseignants-de-sciences-po- de sciences sociales, l’affirment nettement, sans équivoque aucune), il faut donc non moins rappeler, au nom du même principe — celui du respect inconditionnel de la liberté académique dont se réclame Frédérique Vidal —, l’ordre et la connexion des faits. Et qui a fait, en première instance, l’objet d’une forme d’intimidation intellectuelle et politique.

      L’affaire est grave. Elle n’est, en effet, pas réductible à un ou des conflits inter-personnels, ou même intérieurs au monde universitaire. Elle est politique, et met directement en cause le climat inflammable, et la stratégie de tension qu’ont, depuis des mois, et dans ce domaine comme dans d’autres, instauré le président de la République (https://www.lemonde.fr/politique/article/2021/02/22/emmanuel-macron-empetre-dans-le-debat-sur-l-islamo-gauchisme_6070756_823448.), ses ministres (https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/10/23/polemique-apres-les-propos-de-jean-michel-blanquer-sur-l-islamo-gauchisme-a-), sa majorité (https://www.mediapart.fr/journal/france/230221/le-rappeur-medine-porte-plainte-contre-la-deputee-lrem-aurore-berge?onglet) et leurs relais (https://twitter.com/WeillClaude/status/1369975398919004163) médiatiques. Il serait évidement inconsidéré de comparer Emmanuel Macron à Donald Trump (http://www.regards.fr/politique/article/2022-pourquoi-macron-ferait-mieux-de-ne-pas-la-jouer-comme-clinton). Mais il faut bien admettre que les méthodes de communication employées par la macronie, ainsi que celles de certains médias, s’apparentent de plus en plus à celles du trumpisme et de Fox News.

      http://www.regards.fr/politique/societe/article/islamophobie-a-sciences-po-grenoble-les-faits-alternatifs-de-frederique-vida

    • Sciences-Po Grenoble : une semaine de tempête médiatique sur fond d’« islamo-gauchisme »

      L’#institut_d’études_politiques peine à émerger des polémiques alimentées par deux de ses professeurs sur fond de débat national sur la prétendue incursion d’« islamo-gauchisme » dans l’enseignement supérieur et la recherche.

      Sciences-Po Grenoble pensait avoir touché le fond après l’affichage non revendiqué, le 4 mars sur ses murs, des noms de deux de ses enseignants accusés d’être des « fascistes » aux penchants islamophobes. Si les auteurs de l’affiche restent inconnus jusqu’ici, la situation a tourné cette semaine au lynchage médiatique pour cet institut d’études politiques (IEP). Sans que sa communauté étudiante et enseignante, tétanisée, ne soit en mesure de calmer la tempête.

      L’affiche accusatrice a suscité un tollé national, d’autant que des syndicats étudiants locaux ont relayé momentanément et très « maladroitement » comme l’a reconnu l’Unef, une photo du collage. En plein week-end, le 6 mars, la justice lance une enquête pour « #injure_publique » et « #dégradation » ; des élus de tous bords et des membres du gouvernement s’émeuvent ; les directions de l’IEP et de l’Université Grenoble-Alpes (UGA) condamnent l’affichage tandis que le ministre de l’Intérieur place sous #protection_policière les enseignants visés.

      L’un d’eux, #Klaus_Kinzler, agrégé d’allemand, s’indigne à visage découvert : la #liberté_d’expression, en particulier au sujet de l’islam, est selon lui menacée au sein de l’IEP, explique-t-il dans plusieurs interviews aux médias nationaux durant le week-end. Rares sont les professeurs à répondre, et ils le font anonymement : la direction les a exhortés à la plus grande retenue. Lundi, après une AG, ils publient tout de même un communiqué prudent : s’ils condamnent « fortement et fermement » le collage, ils rappellent que les débats « doivent se tenir dans le respect des principes de modération, de respect mutuel, de tolérance et de laïcité ».

      « Grandes gueules »

      Cette réponse voilée à Klaus Kinzler fait référence à son rejet virulent, en décembre, du concept d’islamophobie au sein d’un groupe de travail réunissant des étudiants et l’une de ses collègues, maîtresse de conférences spécialiste du Maghreb colonial et membre du prestigieux Institut Universitaire de France. Lors de cette querelle et de ses suites, le prof d’allemand a franchi plusieurs lignes blanches, sur le fond comme sur la forme, et a été notamment recadré par la direction de Pacte, le labo de recherche en sciences sociales CNRS /Sciences-Po Grenoble /UGA.

      Klaus Kinzler intensifie encore sa campagne, enchaînant les interviews « en guerrier », non sans gourmandise. Sur CNews mardi, il dénonce les enseignants-chercheurs incapables de le soutenir alors qu’il « risque sa peau », « des grandes gueules enfermées dans leur tour d’ivoire, qui ne comprennent rien ». Le même jour, un collectif de syndicats grenoblois, dont la CGT Université, Solidaires étudiant·e·s, SUD éducation ou l’Unef, prend position contre ce « recours irraisonné aux médias » et demande à Sciences-Po « de condamner les propos » de l’enseignant.

      Le conseil d’administration de l’IEP franchit le pas dans la journée, enjoignant Klaus Kinzler à respecter « son devoir de réserve ». Le CA estime qu’il a « transgressé […] les règles établies et légitimes de l’échange académique » et tacle aussi le second enseignant visé par le collage, au nom de la « #liberté_syndicale ». Ce maître de conférences en science politique, T., soutien de Klaus Kinzler, engagé dans l’#Observatoire_du_décolonialisme et chroniqueur à #Atlantico, a tenté d’exclure de ses enseignements les syndicalistes étudiants qui cherchaient à vérifier s’il ne développait pas d’idées islamophobes dans l’un de ses cours, afin d’en demander la suppression le cas échéant. La directrice de l’IEP, #Sabine_Saurugger, professeure de sciences politiques, précise ce « rappel à l’ordre » à l’issue du CA : elle mentionne, sans détailler, « le ton extrêmement problématique » de Klaus Kinzler et la décision « clairement discriminatoire » de T..

      Inquiétude des étudiants

      Tout cela reste trop sibyllin face au germaniste survolté. Sur France 5 mercredi, il fustige « une nouvelle génération de maîtres de conférences et de professeurs bourrés d’#idéologie » qui « mélangent #militantisme et #science ». « Il est en roue libre, lâche Simon Persico, professeur de sciences politiques à l’IEP, le premier à s’exprimer publiquement. Il ment sans vergogne car il a d’abord reçu notre soutien, massif, face à cet affichage odieux. Sa stratégie de communication hyperviolente offre une vision mensongère de notre institut où l’on respecte le pluralisme. C’est gravissime. » Et de tenter d’expliquer la paralysie de l’institution : « Il est difficile de contrer ce récit journalistique dominant et consensuel, dans lequel notre collègue est présenté comme une victime de “l’islamo-gauchisme”… »

      Gilles Bastin, professeur de sociologie de l’IEP, complète : « Beaucoup parmi nous sont soucieux de ne pas souffler sur les braises : il y a une peur évidente que tout cela finisse mal. » Il a pourtant lui aussi décidé de rompre le silence : « Klaus Kinzler n’a jamais été censuré : c’est au contraire lui qui a imposé le retrait du terme “islamophobie” de la conférence du 26 janvier [celle qui était préparée par le groupe de travail de décembre au centre du conflit, ndlr], pour des raisons idéologiques et au moyen de pressions inacceptables. » Pour l’enseignant-chercheur, son collègue « s’inscrit dans la stratégie du gouvernement qui martèle que les sciences sociales sont “gangrénées” par un prétendu “islamo-gauchisme” ». Il dénonce « la gravité de cette attaque » qui vise « à en finir avec la liberté de la recherche ».

      Certains étudiants se disent, eux, « effarés » : « On voudrait tous que ça se calme et que cela soit réglé en interne », résume Chloé, en troisième année. Dans un texte publié par Mediapart, sept étudiants, après avoir disqualifié Klaus Kinzler pour ses propos « indignes » et T. pour son action « intolérable », dénoncent « l’absence de discussion » au sein de l’Institut et « une récupération du débat par des politiques et des médias ». Ces étudiants, engagés dans le combat contre les violences sexistes et sexuelles à Sciences-Po, exigent « d’être entendus et pris au sérieux », insiste Chloé. « Les promos sont de plus en plus résolues, poursuit Alex, lui aussi en troisième année. Les propos misogynes ou discriminatoires ne sont plus tolérés. Face à cette exigence, Kinzler et T. tombent de haut, tandis que la direction et l’administration sont à la rue. »

      Deux inspecteurs généraux, dépêchés par la ministre de l’Enseignement supérieur, Frédérique Vidal, sont au travail à Grenoble depuis mercredi pour tenter d’établir les responsabilités des uns et des autres. Réunis en AG ce vendredi, les enseignants et personnels de l’IEP ont voté à l’unanimité une motion de soutien à leur directrice et son équipe.

      https://www.liberation.fr/societe/sciences-po-grenoble-une-semaine-de-tempete-mediatique-sur-fond-dislamo-g
      #IEP

    • A propos de l’affaire de Grenoble : la science soumise aux passions ?

      Depuis le meurtre de Samuel Paty victime d’une campagne de délation, les tensions se multiplient dans l’enseignement et la recherche. À Grenoble, ce sont des étudiants de Sciences Po qui ont récemment dénoncé publiquement deux de leurs professeurs comme « fascistes » et « islamophobes ».

      Après Stéphane Dorin à Limoges, après Kevin Bossuet à Saint-Denis, après Didier Lemaire à Trappes, voici donc Klaus Kintzler à Grenoble. Klaus Kintzler est ce professeur d’allemand de l’université de Grenoble qui, après un différent avec l’une de ses collègues sur la scientificité du terme islamophobie, a vu son nom outé, avec celui de l’un de ses collègues, par un tag anonyme sur un mur de l’université de Grenoble, les accusant l’un et l’autre de fascisme et d’islamophobie.

      Depuis, les deux professeurs sont placés sous surveillance policière, l’enseignante qui avait échangé avec Kintzler s’est dite victime de harcèlement de sa part et a du être mise en maladie, et le laboratoire de recherche qui la soutient croule sous les injures voire les menaces.

      Dans le contexte de l’après Paty, et en plein débat autour de l’islamogauchsime, cette nouvelle affaire se révèle particulièrement complexe, et peut-être justement pour cela particulièrement révélatrice. Les tensions y sont à leur comble, y compris d’ailleurs lors de la préparation de cette émission. En jeu pourtant au départ, un simple intitulé scientifique pour une journée autour de l’égalité. Mais la Raison a besoin de la raison pour penser, c’est là sa limite. Quand les passions l’emportent, la science est-elle seulement possible ?

      https://www.franceculture.fr/emissions/signes-des-temps/nous-sommes-embarques

    • #Blanquer dans Le Parisien : le #maccarthysme_inversé

      Des professeurs sont accusés d’islamophobie, par exemple à l’IEP de Grenoble... Quel regard portez-vous sur cette affaire ?

      J’ai condamné avec fermeté ces logiques de fatwa. Toutes les idéologies, qui définissent des personnes par rapport à leurs appartenances, qu’elles soient raciales ou religieuses, avant de considérer leur appartenance à la République, mènent à des logiques de fragmentation. Ce n’est pas la société dont on a envie.

      Vous faites notamment référence à l’islamo-gauchisme, que vous avez récemment dénoncé ?

      Oui, mais pas seulement. J’ai dénoncé cela l’an dernier.Il y a aussi d’autres courants dans les sciences sociales qui ont beaucoup de mal à laisser vivre tous les courants de pensée. J’appelle cela du « #maccarthysme_inversé », qui consiste à exclure celui qui ne pense pas comme vous.

      https://www.leparisien.fr/politique/jean-michel-blanquer-on-ne-peut-fermer-l-ecole-que-lorsque-l-on-a-tout-es

      #Jean-Michel_Blanquer

    • "L’accusation d’islamophobie tue"

      Tweet officiel du Secrétariat général du #Comité_interministériel_de_prévention_de_la_délinquance_et_de_la_radicalisation (#SG-CIPDR) :

      Dans cette affaire, le terroriste est passé à l’acte pour tuer un enseignant après que ce dernier a été traité d’« islamophobe » par des militants islamistes.C’est l’accusation d’#islamophobie qui a poussé ce terroriste à assassiner #Samuel_Paty : l’accusation d’islamophobie tue.

      https://twitter.com/SG_CIPDR/status/1371504152308760582

      signalé ici sur seenthis :
      https://seenthis.net/messages/906546

    • merci pour la recension. cette histoire est tellement révélatrice des mécanismes en place, mais aussi, et ça c’est beaucoup trop gommé, de la retenue et tolérance des gens de « gauche » vis-à-vis des types comme lui...
      20 ans qu’il a semé sa petite terreur sans que rien ne bouge avant, c’est incroyable. J’avais relayé ce témoignage de Nicolas Haeringer qui l’avait comme prof y’a 20 ans et déjà... https://twitter.com/nicohaeringer/status/1368518279015370754
      Deux jours plus tard le témoignage de La Nébuleuse https://twitter.com/i_nebuleuse/status/1369204681742950406 venait enfoncer le clou...

    • Merci @val_k, je vais reprendre leurs témoignages ici, pour ne pas les perdre au cas où ils seraient supprimés.

      Témoignage 1 de @nicohaeringer, 07.03.2021 :

      Il y a 20 ans, j’ai eu (pendant trois ans) l’un des profs au cœur de la polémique sur l’islamophobie à l’IEP de Grenoble.
      Polémique dans laquelle certains s’engouffrent pour demander la #dissolutionUnef.
      Cet enseignant était assez unique. J’adorais l’allemand, et ses cours étaient géniaux : rigueur bien sûr, mais grande liberté de parole et de discussion.

      Il m’a souvent dit que s’il notait mes idées, il me mettrait 0, mais qu’il n’était là que pour noter mon allemand.
      On discutait, on s’engueulait en classe. Ça passait avec certains élèves, qui parlaient bien l’allemand et pouvaient prendre part aux discussions.
      Ça passait mal avec d’autres, qui ne pouvaient pas répondre à ses outrances verbales et ne savaient du coup pas comment se situer.
      Eux se faisaient rembarrer tant pour leurs idées que pour leur allemand et le prof ne voyait pas le malaise que ça créait.
      Il était sans filtre, jamais avare d’une exagération ou d’une provocation, parfois franchement borderline.
      Mais en même temps très proche des étudiant.e.s : on dînait chez lui, chaque année pour clore les cours, et les échanges se poursuivaient jusqu’au petit matin. Mais c’était pareil : tout le monde n’était de fait pas à l’aise.
      Par ailleurs quand on cherche à abolir la distance entre enseignant et étudiant.e.s, on n’abolit en fait pas la relation de subordination. D’ailleurs, certain.e.s le craignaient vraiment.
      En outre, même dans un cadre censément informel, il y a des choses qu’on ne peut pas dire sans y mettre les... formes, justement, puisqu’on est enseignant face à des étudiant.e.s.
      Il s’en fichait, jouait même de son côté provoc, mais nous étions nombreuses et nombreux à penser que ses outrances finiraient par le dépasser.

      20 ans après, ça semble être le cas.
      Est-ce une raison pour le jeter en pâture ? Assurément pas.
      Mais on ne peut pas non plus faire de cette histoire un avatar de la ’cancel culture’, d’autant qu’il tenait souvent des propos démesurés, pas moins outranciers que ceux qui sont utilisés aujourd’hui contre lui.
      Le problème est là. Il aurait dû être rappelé à l’ordre avant par sa hiérarchie, pour lui signifier qu’un enseignant, aussi brillant soit-il ne peut pas tout dire & ne peut pas publiquement dénigrer sans argument les travaux de ses collègues.
      Qu’il n’est pas possible de provoquer autant ses propres étudiants, sans tenir compte de ce que ça... provoque chez elles et eux. Pour moi, le vrai problème est là.
      Et parmi ses provocations régulières, il s’en prenait effectivement vertement à l’islam, en particulier après le 11 septembre 2001 (je l’ai eu en 98, 99 et 2001).
      Ça n’a pas eu de conséquences à l’époque, ça ne passe plus aujourd’hui - tant mieux.
      Il ne s’en est pas rendu compte, et personne visiblement dans la hiérarchie de l’IEP ne lui a jamais rien dit.
      L’UNEF n’y est pour rien, strictement rien et appeler à sa dissolution (a fortiori dans le contexte actuel pour les étudiant.e.s) est totalement à côté de la plaque.
      Mais c’est ce à quoi le gouvernement a ouvert la porte, en mettant sur un même plan le CCIF et génération identitaire et en fantasmant sur l’islamogauchisme à l’université.
      Dans l’affaire de Grenoble, on a un prof qui provoque, franchit les lignes rouges.
      Cette affaire devrait se régler en interne, et la direction aurait dû réagir bien avant.
      Evidemment, ça ne signifie pas qu’il soit acceptable de s’en prendre à lui & de le jeter ainsi en pâture. Mais là encore : la responsabilité n’est pas celle pointée par Marianne et cie.
      Bon et moi ça me tiraille, évidemment : j’avais beaucoup d’affection pour ce prof, malgré tout.
      Sans doute car à l’époque, je n’avais pas conscience que derrière les outrances et la provoc il n’y a pas que des idées sans conséquences mais des formes d’oppression et de domination.
      Je doute que s’il était mon prof aujourd’hui, j’aurais pu ressentir la même affection pour lui. Et oui, les temps changent et certains choses qui pouvaient « passer » il y a 20 ans ne « passent » plus aujourd’hui.
      Ça n’est pas la « cancel culture ».
      C’est simplement que certains mécanismes par lesquels s’exercent cette domination et cette oppression sont remis en cause. Tant mieux.
      La question, c’est : que fait-on de celles et ceux qui ne savent pas, ne veulent pas, ne peuvent pas en tenir compte ?
      Et la réponse ne peut pas être et ne pourra plus jamais être « on se tait, on les laisse dire et faire » - même s’il faut, évidemment, que chacun.e puisse continuer à exprimer ses opinions.

      https://twitter.com/nicohaeringer/status/1368518279015370754

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      Témoignage 2 de @i_nebuleuse, 09.03.2021

      Des étudiant·es d’il y a 20 ans témoignent, moi j’aurais pu écrire plus ou moins la même chose pour des cours et propos tenus il y a un peu moins de 10 ans... et surtout j’ai même pas eu besoin de vérifier les noms des profs accusés, je savais très bien qui c’était.
      Difficile de croire que les directions successives l’ignorait, alors que les étudiant-es de toutes les promo en discutaient régulièrement. C’est la conscience et la volonté de se mobiliser qui a changé côté étudiant·es (pour ça comme pour les violences sexuelles)
      Et à un moment on ne peut pas demander de dénoncer mais pas trop fort, de se mobiliser mais surtout sans donner de noms, et d’agir « en interne » quand les directions savent très bien nous entourlouper (on est à sciences po hein) et n’agissent pas depuis 20 ans.
      Bref soutien à l ’@unefgrenoble et aux étudiant·es mobilisées dans les IEP et dans toutes les Universités. On a l’impression que ça bouge bien trop lentement et c’est vrai, mais un énorme pas a été franchi en 10 ans.
      Ah et évidemment des gens se demandent si on peut accuser à base de propos isolés ou je ne sais quoi. Non hein on parle de 20 ans de propos islamophobes tenus pas seulement en situation de débat mais dans une salle de cours devant des étudiant·es.
      Avec cette idée que la salle de classe est, justement, un espace de débat etc (comme si y’avait pas d’ascendant dans ce contexte...). Je comprends le thread que j’ai partagé, c’était aussi un prof apprécié, évidemment davantage par des personnes blanches pas visées par les propos.
      Mais bref le rapport de force s’est un peu inversé, ce qui prend de cours l’IEP c’est que dans le fond tout le monde devait être convaincu que ça resterait au chaud entre les murs de l’établissement. Hé non, c’est fini.

      https://twitter.com/i_nebuleuse/status/1369204681742950406

    • Impostures médiatiques ou postures politiques ? À propos de l’affaire Sciences Po Grenoble, d’un article de Mediapart et du Sénat

      Mediapart publie un article retraçant et analysant les événements qui ont eu lieu, à partir de novembre 2020, à Sciences Po Grenoble, quand un groupe de travail intitulé « Racisme, islamophobie, antisémitisme » a été mis au programme de la semaine de l’égalité et très durement critiqué par un enseignant du même institut. Le Défenseur des droits, interpellé, a estimé que le droit au respect de l’enseignante, membre du groupe de travail et attaquée par son collègue, a été bafoué. Le 6 mars 2021, des collages, nominatifs, sont affichés sur les murs de Sciences Po, et la nouvelle s’invite dans les médias nationaux. « Un traitement médiatique biaisé » dénoncent des enseignant·es et étudiant·es. Médiapart fait le point sur la suite des événements, à plusieurs voix.

      Pour Academia, cette relation, importante, illustre de façon exemplaire la #cancelculture — mieux dénommée « harcèlement » — que subissent les personnes minoritaires dans l’institution universitaire : les femmes, en particulier les maîtresses de conférences, et les étudiant·es. Cette culture du harcèlement repose à la fois sur le dénigrement public des personnes, mais aussi sur l’absence de réactions des institutions responsables de la protection des étudiant·es et des agent·es. On a eu tout récemment l’exemple avec l’ENS de Lyon, en dépit d’une couverture médiatique accablante, établissant comme l’établissement participe pleinement de la culture du viol dénoncée par le mouvement #MeToo. Les universités doivent cesser d’ignorer leur participation à la maltraitance active, par défaut d’action et l’omerta qu’elles organisent, de leurs personnels et des étudiant·es.

      L’ « affaire » de Sciences po est particulièrement grave, car la version des harceleurs a immédiatement été instrumentalisée par les médias qui montent la sauce « islamo-gauchiste » depuis janvier. « Il est logique de voir CNews, liée aux opérations africaines de Bolloré, militer contre l’étude des séquelles du colonialisme », écrivait Philippe Bernard dans Le Monde du 6 mars 2021. La chaîne a renchéri hier, avec l’intervention de son présentateur-vedette, qui a donné le nom d’une directrice de laboratoire, engageant aussitôt une campagne d’injures et de diffamation par les activistes d’extrême droite sur les réseaux sociaux1. L’inaction — par paresse ou par déni — des institutions explique pour l’essentiel la persistance de pratiques qui mettent en danger la santé et la sécurité des personnes victimes. Mais l’absence de lutte contre les pratiques anti-démocratiques au sein des universités met en danger les institutions elles-mêmes désormais.

      La médiatisation à outrance de l’affaire Sciences Po Grenoble a lieu dans un moment politique particulier, sur lequel Academia est déjà longuement intervenu : l’examen de la loi « confortant le respect des principes de la République » par la Commission de la Culture du Sénat, qui doit donner son « avis » sur le texte pour les sujets qui la concernent : la culture, l’éducation, l’enseignement supérieur et la recherche2.

      Or, depuis mercredi 10 mars 2020, en raison du traitement médiatique organisé par les grands groupes de presse aux puissants intérêts industriels dans l’extraction néo-coloniale et dans la vente d’armes, les attaques parlementaires se multiplient à toute vitesse, et même les organisations syndicales sont désormais visées. Ainsi, à l’Assemblée, alors que les étudiant·es connaissent la plus grave crise sociale et sanitaire depuis des dizaines d’années, une députée — Virginie Duby-Muller, première vice-présidente du parti Les Républicains, formant avec les députés Damien Abad et Julien Aubert, ainsi qu’avec le Ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin, les « cadets Bourbons » de la précédente mandature — a ainsi été jusqu’à demander la dissolution de l’UNEF. Du côté du Sénat qu’Academia craint comme la peste brune, Nathalie Delattre, apparentée à gauche, co-secrétaire du Mouvement radical et sénatrice de la Gironde, vient de reprendre à son compte la demande des députés Damien Abbad et de Julien Aubert du 25 novembre dernier et exige « une commission d’enquête sur la laïcité à l’université ». Pire, sur la base des fausses informations et d’une méconnaissance ignominieuse de l’affaire de Grenoble, des amendements attaquant directement les franchises universitaires des étudiant·es – car les étudiants sont aussi protégés par les franchises, ce que certain·es semblent avoir oublié – viennent d’être déposés par le sénateur Piednoir, d’après nos informations (ces amendements ne sont pas encore publiés).

      Et pourtant, la grande orchestratrice de l’attaque contre les universitaires et les étudiant·es, Frédérique Vidal, est encore en poste.

      Cibler les universitaires dans leur ensemble : tel est l’objet de cette puissante attaque médiatique commencée il y a plus de deux mois. L’affaire Sciences Po Grenoble se trouve ainsi fallacieusement médiatisée à outrance, dans un contexte où tout est bon pour cibler individuellement ou collectivement les universitaires qui contestent la politique du gouvernement, ou mettent en cause, par leurs travaux, l’ordre patriarcal et capitaliste. C’est le cas de l’extrême droite qui recourt à ses méthodes habituelles pour stigmatiser des personnes, à l’instar de la récente « liste des 600 gauchistes complices de l’islam radicale [sic] qui pourrissent l’université et la France » par laquelle Philippe Boyer, un jardinier de Nancy aux opinions très droitières, a lié les noms de centaines de collègues ayant demandé la démission de Frédérique Vidal à leurs pages professionnelles.

      Mais qui est responsable de tout cela ? Après ce qui vient de se passer concernant les deux enseignants de Sciences Po Grenoble, le rôle des grands groupes médiatiques est évident, mais aussi celui de la ministre elle-même. Philippe Boyer lui-même ne s’y est d’ailleurs pas trompé — du moins quand les instances universitaires ont entrepris de défendre leurs agents. S’il doit être poursuivi pour diffamation ou injure, il faut également porter plainte contre la Ministre, a-t-il rétorqué.

      Toujours soutenue par Jean Castex et Emmanuel Macron, « la ministre Frédérique Vidal est entièrement responsable de la situation« . Pour la CGT FercSup, la ministre

      a créé les conditions pour que le travail, la recherche universitaires soient stigmatisés, pour que des personnels de son ministère soient montrés du doigt, dénoncés et leurs noms jetés en pâture sur la place publique. Par ses propos et déclarations, par ses attaques publiques, elle a mis en danger des personnels de son ministère, malgré les alertes et les courriers.

      « Elle a ainsi engagé sa responsabilité pénale. Elle pourra ensuite démissionner. »

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      Note 3 du billet :

      NDLR. Vincent T. est un actif contributeur à la liste Vigilance Universités qu’Academia a évoquée à plusieurs reprises. Voici les propositions qu’il fait pour l’avenir des SHS dans un courriel du 7 février 2021, à 21h43, dans un fil de discussions intitulé « Note sur la pénétration des idéologies identitaristes dans l’ESR – Re : questions en vue de l’audition » : « Le texte de présentation me paraît très bien, mais il manque un aspect essentiel : que propose Vigilance universités ? C’est très bien d’alerter, mais il faut aussi faire avancer le schmilblick.
      Pour aller droit au but, je suggère quatre pistes dont voici leurs grandes lignes :
      1/ interdire toutes les manifestations religieuses dans les locaux des universités, ce qui inclut évidemment les signes d’appartenance, mais aussi le prosélytisme direct ou indirect.
      2/ renforcer l’apprentissage de l’esprit rationnel dans les programmes des universités, ce qui inclut le développement d’une approche critique des religions, des fausses croyances et autres fadaises qui ont abouti à faire croire que le voile ou le mariage précoce sont des instruments de l’émancipation féminine
      3/ arrêter le financement des projets qui sont portés par les nouvelles idéologies décoloniales, indigénistes, néoféministes et tutti quanti
      4/ empêcher les recrutements correspondant aux sus-dites idéologies.
      Il s’agit certes d’un programme ambitieux, et sans doute un peu brutal, je le conçois, mais je pense qu’il faut désormais taper du poing sur la table. Et puis vous savez bien que dans une négociation, il faut demander beaucoup pour obtenir peu. L’interdiction de l’écriture inclusive et des signes religieux, ce serait déjà top. »

      https://academia.hypotheses.org/31564

      #Vincent_T

    • C’était en 2014, un collègue de Vicent T, Pierre Mercklé, lui répond :

      Les chiffres de l’islamophobie

      Vincent Tournier, un « collègue » grenoblois, a posté aujourd’hui un message assez déconcertant sur la liste de diffusion des sociologues de l’enseignement supérieur. En réaction à l’annonce de la conférence-débat que nous organisons le 11 avril prochain à l’occasion de la parution du prochain numéro de Sociologie, consacré à la « sociologie de l’islamophobie », voici ce que Vincent Tournier a écrit, et que je reproduis ici dans son intégralité :

      Voilà qui nous change un peu des journées d’études sur le genre. Cela dit, pour information, voici les statistiques sur les atteintes aux lieux de culte en France (source : CNCDH, rapport 2013), en prévision du numéro que vous ne manquerez pas de consacrer, j’imagine, à la sociologie de la christianophobie.

      Cordialement,

      Vincent Tournier

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      Evidemment, quand il y a des chiffres, à l’appui d’un argument, je suis peut-être un peu plus attentif… Ce qu’on remarque d’abord, c’est qu’il y a des chiffres, mais qu’il manque l’argument. C’est probablement que les chiffres sont censés parler d’eux-mêmes : « voici les chiffres »… Alors qu’est-ce que Vincent Tournier veut leur faire dire ? Vue l’allusion à la « christianophobie » juste avant le tableau, j’imagine que le tableau est censé montrer une augmentation des atteintes aux lieux de culte chrétiens, qui sont bien plus nombreuses que les atteintes aux liens de culte musulmans et israélistes, ce qu’occulterait la focalisation sur une prétendue montée de « l’islamophobie ». Et de fait, le nombre d’atteintes semble bien avoir doublé entre 2008 et 2012…

      Sauf que… mon « collègue » (j’insiste sur les guillemets) lit très mal ces chiffres. Il y a au moins deux choses à en dire, qu’auraient sans doute immédiatement remarquées n’importe lequel de mes étudiants de Master…

      Premièrement, si le nombre d’atteintes aux lieux de culte chrétiens a été multiplié par 2 entre 2008 et 2012, pour les lieux de culte musulmans il a dans le même temps été multiplié… par 7 (84 divisé par 14, au cas où mon « collègue » ne saurait plus comment calculer un rapport) !

      Et deuxièmement, même pour une seule année donnée, par exemple pour 2012, la comparaison du nombre d’atteintes aux différents lieux de culte n’a aucun sens si elle n’est pas rapportée au nombre total de lieux de culte de chaque obédience, pour mesurer ce qu’on appelle une « prévalence ». En 2011, selon Wikipedia, il y avait en France 280 lieux de prière israélites, 2400 lieux de prière musulmans et 48000 lieux de prière chrétiens (catholiques et protestants). Autrement dit, le taux d’atteintes est de 143 pour 1000 pour les lieux de prière israélites, de 35 pour 1000 pour les lieux de prière musulmans, et de 11 pour 1000 pour les lieux de prière chrétiens. On pourrait même être encore plus rigoureux, en rapportant au nombre de lieux de prière non pas la totalité des atteintes, mais seulement les atteintes aux lieux de prière. Cela revient à retirer du calcul les atteintes aux cimetières, ce qui se justifie par le fait d’une part que 99,6% des atteintes aux cimetières chrétiens ne sont pas identifiées comme des atteintes racistes (les 0,4% restants sont associés à des inscriptions satanistes ou néo-nazies, selon le rapport 2012 de la CNCDH, pp. 132-133 : www.cncdh.fr/sites/default/files/cncdh_racisme_2012_basse_def.pdf), et d’autre part que l’islamophobie n’y trouve pas non plus une voix d’expression, puisqu’il n’y a qu’un seul cimetière musulman en France (à Bobigny). Il reste alors, en 2012, 100 atteintes pour 1000 lieux de prière israélites, 35 atteintes pour 1000 lieux de prière musulmans, et 7 atteintes pour 1000 lieux de prière chrétiens. Autrement dit, un lieu de prière musulman a 5 fois plus de risques d’être atteint qu’un lieu de prière chrétien… On se fera une idée plus complète de la réalité statistique de l’islamophobie, cela dit, en se reportant justement aux chapitres « Chiffrer l’islamophobie » et « Des opinions négatives aux actes discriminatoire » du récent livre d’Abdellali Hajjat et Marwan Mohammed (Islamophobie, La Découverte, 2013, voir le compte rendu de Damien Simonin dans Lectures : https://journals.openedition.org/lectures/12827), justement invités de notre débat du 11 avril : https://journals.openedition.org/sociologie/2121.

      La question est du coup la suivante : mon « collègue » est-il nul en statistiques, ou bien est-il de mauvaise foi ? Dans cet article de la Revue française de sociologie paru 2011 (https://www.cairn.info/resume.php?ID_ARTICLE=RFS_522_0311), il utilisait également des données quantitatives pour démontrer que « les conditions actuelles de la socialisation des jeunes musulmans favorisent un ensemble de valeurs et de représentations spécifiques susceptibles de provoquer des tensions avec les institutions tout en donnant un certain sens à la violence ». La manipulation y était plus habile : je penche donc pour la seconde hypothèse. Mais dans un cas comme dans l’autre, il est permis de s’interroger sur la porosité persistante des critères de la science dans notre discipline.

      https://pierremerckle.fr/2014/03/les-chiffres-de-lislamophobie

    • Professeurs accusés d’islamophobie : « Cette affaire est une illustration des pressions politiques et économiques qui s’exercent sur l’université »

      Un collectif d’enseignants de l’Institut d’études politiques de Grenoble s’alarme, dans une tribune au « Monde », de l’#instrumentalisation après le collage sauvage d’affiches mettant en cause deux enseignants.

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      Depuis plusieurs jours, l’Institut d’études politiques de Grenoble et le laboratoire Pacte sont au centre de l’attention médiatique et de campagnes haineuses et calomnieuses sur les réseaux sociaux à la suite du collage sauvage d’affiches mettant en cause très violemment deux enseignants accusés d’islamophobie et de fascisme.

      Les enseignants, chercheurs, étudiants, personnels et responsables de ces deux institutions ont apporté aux deux enseignants attaqués un soutien très clair en condamnant fermement l’injure et l’intimidation dont ils ont été victimes dans un contexte particulièrement inquiétant. Ce collage, qui a fait l’objet d’une saisine du procureur de la République par la directrice de l’Institut d’études politiques, est odieux. Il met en danger non seulement les deux enseignants cités mais aussi l’ensemble des personnels et des étudiants qui forment notre communauté et sur lesquels pèse aujourd’hui un poids trop lourd à porter.

      Incendie médiatique hors de contrôle

      En dépit de ce soutien, nous assistons à la propagation d’un incendie médiatique apparemment hors de contrôle dans lequel se sont associées des forces qui dépassent largement le cadre auquel aurait dû se limiter ce collage, y compris pour assurer la sécurité des personnes citées. Cet incendie est attisé depuis plus d’une semaine par les commentaires de ceux qui, tout en ignorant généralement les circonstances de cette affaire, s’en emparent pour stigmatiser la prétendue faillite de l’université et la conversion supposée de ses enseignants, particulièrement dans les sciences sociales, à l’« islamo-gauchisme ».

      Les circonstances qui ont conduit aux collages commencent à être connues. Parmi elles, les pressions inacceptables exercées en novembre et décembre 2020 pour faire supprimer le mot « islamophobie » d’une conférence organisée par l’Institut ont joué un rôle déterminant. Il appartient désormais aux différentes instances qui sont saisies des faits de rétablir la vérité qui a été tordue et abîmée sur les plateaux de télévision et les réseaux sociaux.

      Il nous revient en revanche, comme enseignants et comme chercheurs, d’alerter sur la gravité de ce qui est en train de se passer depuis ces collages. Nous assistons en effet à la mise en branle dans les médias d’un programme de remise en cause inédite des libertés académiques – en matière de recherche comme d’enseignement – ainsi que des valeurs du débat intellectuel à l’université.

      Les principes du débat d’idées

      La première liberté qui a été bafouée dans cette affaire n’est pas, en effet, la #liberté_d'expression ou d’opinion, comme le prétendent de nombreux commentateurs mal informés brandissant à contresens l’argument de la #cancel_culture. Les deux enseignants visés par les collages ont en effet eu tout loisir de s’exprimer pendant cette affaire.

      Ce qui est en jeu, et qu’ils ont délibérément refusé de respecter, ce sont les principes du #débat_d'idées dans le cadre régi par l’université. Au premier rang de ces principes figure la nécessité de faire reposer son enseignement et ses recherches sur l’analyse des faits et de les séparer clairement de l’expression de valeurs, de la manifestation de préjugés et de l’invective.

      Cette affaire est une illustration des pressions politiques et économiques qui s’exercent aujourd’hui sur l’université dans son ensemble en France. Comment ne pas voir dans les tensions qu’a connues notre établissement ces derniers mois, un des effets de la misère psychique et matérielle imposée à toute la communauté académique – particulièrement aux étudiants – par la pandémie et la fermeture des campus.

      Dans ce contexte, où chacun frôle et certains dépassent l’épuisement, invoquer seulement la « radicalisation gauchiste » des syndicats étudiants, c’est alimenter une polémique dont l’agenda politique est assez évident au vu des acteurs qui ont porté cet argument.

      Parole violemment hostile aux sciences sociales

      Comment ne pas voir non plus derrière la libération généralisée d’une parole violemment hostile aux sciences sociales sur les plateaux de télévision l’effet d’une stratégie politique navrante du gouvernement depuis des mois.

      Celle-ci a culminé, il y a quelques semaines, avec le projet d’une enquête sur la prétendue « #gangrène » de l’« islamo-gauchisme » dans nos disciplines. Il est difficile de trouver des raisons autres que purement électorales aux chimères « islamo-gauchistes » du gouvernement, lesquelles ont soulevé de très vives protestations dans toutes les parties de l’espace académique. Il nous paraît aussi évident qu’en soufflant sur les braises depuis des mois le gouvernement a inspiré l’offensive contre les sciences sociales à laquelle nous assistons aujourd’hui.

      Le sentiment qui nous envahit est un mélange de #colère et de #tristesse. La tristesse de voir triompher ceux qui pratiquent la #censure et piétinent la tradition d’#ouverture et d’#argumentation_rationnelle du #débat_intellectuel, préférant manier l’#outrance, le #mépris et l’#ironie. La tristesse de les voir préférer le soutien des défenseurs les plus extrêmes de la pensée réactionnaire à la critique de leurs pairs. La colère de constater les ravages causés par leurs propos sur tous nos étudiants et sur notre communauté.

      La colère encore de voir le nom de Samuel Paty [professeur d’histoire-géographie assassiné, à Conflans-Sainte-Honorine (Yvelines), le 16 octobre 2020] entraîné dans une polémique idéologique à laquelle il est étranger et instrumentalisé pour organiser des campagnes haineuses à l’encontre d’enseignants, de chercheurs en sciences sociales, d’étudiants et de membres du personnel administratif des universités.

      Il nous reste heureusement la possibilité de retourner à notre travail. Celui que nous faisons toutes et tous depuis des années en délivrant des cours et en animant des débats argumentés sur des enjeux non moins sensibles que l’islam, comme la colonisation, les génocides et les crimes contre l’humanité, le terrorisme, la place de la science dans la société, les pratiques policières, les politiques migratoires, le populisme, le racisme, la domination masculine, le genre et la sexualité, les crises écologiques ou encore les inégalités. Pour combien de temps encore ?

      Liste complète des signataires (tous enseignent à Sciences Po Grenoble) :

      Stéphanie Abrial, ingénieure de recherche en science politique

      Marie-Charlotte Allam, enseignante-chercheure en science politique

      Chloë Alexandre, enseignante-chercheure en science politique

      Amélie Artis, m aîtresse de conférences en économie

      Gilles Bastin, professeur de sociologie

      Renaud Bécot, m aître de conférences en histoire

      Céline Belot, chargée de recherches en science politique

      Marine Bourgeois, m aîtresse de conférences en science politique

      Arnaud Buchs, maître de conférences en économie

      Hélène Caune, maîtresse de conférences en science politique

      Laura Chazel, enseignante-chercheure en science politique

      Camille Duthy, enseignante-chercheure en sociologie

      Frédéric Gonthier, professeur de science politique

      Florent Gougou, maître de conférences en science politique

      Martine Kaluszynski, directrice de recherche en science politique

      Séverine Louvel, maîtresse de conférences en sociologie

      Antoine Machut, enseignant-chercheur en sociologie

      Raul Magni-Berton, professeur de science politique

      Sophie Panel, maîtresse de conférences en économie

      Franck Petiteville, professeur de science politique

      Simon Persico, professeur de science politique

      Catherine Puig, professeure agrégée d’espagnol

      Sébastian Roché, directeur de recherches en science politique

      Guilaume Roux, chargé de recherches en science politique

      Simon Varaine, enseignant-chercheur en science politique

      Robin Waddle, professeur agrégé d’anglais

      Sonja Zmerli, professeure de science politique

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/03/17/professeurs-accuses-d-islamophobie-cette-affaire-est-une-illustration-des-pr

    • Zwei Professoren müssen um ihr Leben fürchten

      Wegen angeblicher Islamophobie haben Studenten in Grenoble zwei Hochschullehrer angeprangert. Die Politik verurteilt den „Versuch der Einschüchterung“. Der Fall weckt Erinnerungen an den enthaupteten Lehrer Samuel Paty.

      Zwei Universitätsprofessoren in Grenoble müssen um ihr Leben fürchten, weil Studenten ihre Namen in großen Lettern an das Unigebäude plakatiert und sie der Islamophobie bezichtigt haben. „Faschisten in unseren Hörsälen! Professor K. Entlassung! Die Islamophobie tötet!“, stand an der Fassade. Auch in den sozialen Netzwerken hielten die von der Studentengewerkschaft Unef unterstützten Aktivisten den beiden Professoren islamfeindliche Haltungen vor. Knapp fünf Monate nach der Ermordung des Geschichtslehrers Samuel Paty durch einen Islamisten hat die neue Affäre Frankreich aufgeschreckt.

      (paywall)

      https://www.faz.net/aktuell/politik/ausland/islamophobie-in-grenoble-professoren-muessen-um-ihr-leben-fuerchten-17233557.ht

      –-> ce qui se dit en Allemagne : 2 profs ont peur pour leur vie...

    • Hochschullehrer in Gefahr wegen angeblicher „islamophober“ Einstellungen

      An der Universität von Grenoble lehnte ein Professor die Gleichsetzung von Antisemitismus mit „Islamophobie“ ab. Damit trat er eine gewaltige Welle der Entrüstung los. Aktivistische Studentengruppen brandmarkten ihn und seine Unterstützer als „Faschisten“ und warfen ihnen vor, selbst „islamophob“ zu sein. Die beigeordnete Innenministerin Marlène Schiappa kritisiert die Vorwürfe der Aktivisten scharf und sieht deutliche Parallelen zum Fall Samuel Paty.

      Professor Klaus Kinzler von der Universität in Grenoble steht neuerdings im Licht der Öffentlichkeit, seit er von einer Kampagne der Studentengewerkschaft UNEF (Union nationale des étudiants de France) medial als Rechtsextremer und Islamhasser diffamiert wird. Studenten hatten zusätzlich zu ihrer Rufmordkampagne in großen Lettern an das Universitätsgebäude „Faschisten in unseren Hörsälen! Professor Kinzler Entlassung! Die Islamophobie tötet!“ plakatiert, wie die FAZ berichtete.
      Was war geschehen?

      Kinzler, der als Professor für deutsche Sprache und Kultur am Institut des Sciences Po bereits seit 25 Jahren angestellt ist, äußerte in einem Mailverlauf mit einer Kollegin Ende 2020 Kritik an den Inhalten und dem Titel eines Universitätsseminars, welches Antisemitismus, Rassismus und Islamophobie gleichwertig nebeneinander behandeln sollte: „Ich habe mich beispielsweise dagegen gewehrt, dass Rassismus, Antisemitismus und Islamophobie in einem Atemzug genannt werden“, erklärte Kinzler. „Die Diskriminierung von Arabern fällt in meinen Augen unter die Kategorie Rassismus und hat nichts mit Islamophobie zu tun. Die ersten beiden sind im Übrigen Straftatbestände, die Islamophobie ist es nicht. Der Begriff ist einfach zu schwammig“, rechtfertigte der Professor sich für seine Kritik. Für ihn seien Rassismus, welcher der Sklaverei zugrunde liege, oder Antisemitismus für etliche Tote verantwortlich, während es keine bekannten Todesopfer von Islamophobie gebe. Er zweifle nicht daran, dass es auch Anfeindungen gegen Muslime gebe, jedoch sei es nicht rechtfertigbar, diese auf die gleiche Stufe wie Antisemitismus und Rassismus zu stellen.

      Er selbst zeigte sich offen für eine Diskussion über den Begriff der Islamophobie, welcher durchaus begründbar auch als „Propagandawaffe von Extremisten“ bezeichnet werden kann. Daraufhin wurde Klaus Kinzler jedoch aus der Arbeitsgruppe zum Seminarinhalt ausgeschlossen. Vincent T., ebenfalls Politikprofessor, sprang seinem Kollegen in Folge zur Seite und geriet auf Facebook ebenfalls ins Visier der Studentengewerkschaft UNEF. Eine Kollegin aus Kinzlers Institut zeigte sich über dessen Aussagen so empört, dass sie sich kurzerhand eine Woche krankschreiben ließ. Die Affäre zog laut Kinzler im Anschluss ohne sein weiteres Zutun immer weitere Kreise und erreichte nun sogar die politische Bühne.

      So verteidigte die beigeordnete Innenministerin Marlène Schiappa das Recht des Professors, seine Einschätzung zu dem Begriff der Islamophobie kundzutun und kritisierte die Kampagne der studentischen Aktivisten scharf: „Nach der Enthauptung Samuel Patys ist das eine besonders widerliche Tat, denn er war genauso den sozialen Netzwerken zum Fraß vorgeworfen worden“, erklärte Schiappa im Fernsehsender BFM-TV. „UNEF hat in Kauf genommen, die beiden Professoren in Lebensgefahr zu bringen“, zeigte sich die Politikerin empört und bezeichnete es als verstörend, dass die Studentengewerkschaft in den sozialen Netzwerken zu einer beleidigenden Hasskampagne gegen die Professoren mobil gemacht habe. Der lokale Verantwortliche der Gewerkschaft Thomas M. weigerte sich, ebenfalls auf BFM-TV, die Aktion zu verurteilen und sprach sich für das Recht der Studierenden aus, die „islamophobe Haltung“ ihrer Professoren zu kritisieren.

      Auch Marine Le Pen griff die Debatte dankend auf und sah sich darin bestätigt, dass es an Universitäten eine „abstoßende, sektiererische Islamo-Linke gibt, die keine Grenzen kennt“. Das Verhalten der Aktivisten spielt somit auch der rechtspopulistischen Partei Frankreichs Rassemblement National in die Hände, der Marine Le Pen vorsteht.
      „Intellektueller Terrorismus“

      Mittlerweile hat sich auch die Staatsanwaltschaft in Grenoble wegen öffentlicher Beleidigung und Sachbeschädigung eingeschaltet. Die Hochschulministerin Frédérique Vidal verurteilte den „Versuch der Einschüchterung“ von Universitätsprofessoren, der nicht toleriert werden könne. Sie ordnete eine interne Untersuchung am Institut d’études politiques von Grenoble zu dem Fall an. Eine ihrer Vorgängerinnen im Hochschulministerium, die Regionalratspräsidentin der Hauptstadtregion Valérie Pécresse, nannte die Vorkommnisse an der Universität sogar „intellektuellen Terrorismus“.

      Beinahe ironisch mutet die Diffamierungskampagne gegen Kinzler an, wenn man die Tatsache berücksichtigt, dass der gebürtige Schwabe mit einer Muslimin verheiratet ist. „Ich habe wirklich keinen Kreuzzug gegen den Islam geplant. Ich wollte nur das Konzept der Islamophobie kritisch hinterfragen“, rechtfertigte sich der Professor und kündigte an, sich nach der unfreiwilligen Öffentlichkeit, die ihm zuteil wurde, nun eine Auszeit zu gönnen.

      Als Märtyrer will Klaus Kinzler sich nicht bezeichnen, auch will er sich nicht mit dem ermordeten Samuel Paty gleichsetzen, jedoch sieht er eine Gefahr in der Dynamik der Debattenkultur: „Wenn es so weitergeht, dann können wir unsere Uni eigentlich zusperren, das Gebäude verkaufen und einen Supermarkt daraus machen. Wozu dann noch ein Institut d’études politiques, wenn man jeden schützen müsse vor Argumenten, die ihm nicht gefallen würden?“, warnt der Professor vor einer im eigenen „Safe Space“ dauerempörten Studentenschaft.

      Solche Fälle, in denen an Universitäten Dozenten für meist vernünftig begründbare Meinungen und Aussagen von aktivistischen Gruppen heftiger, diffamierender Kritik ausgesetzt sind, stellen leider mittlerweile keine Einzelfälle mehr dar. In Deutschland wurde etwa Susanne Schröter für ihre Kritik am Politischen Islam zur Zielscheibe von empörten Studenten und Aktivisten. Für die USA lässt sich der Biologieprofessor Bret Weinstein beispielhaft erwähnen, der für seine Kritik an der universitären Praxis des „Day of Absence“, bei dem keine weißen Personen an der Universität erscheinen sollten, schlussendlich als Rassist dargestellt wurde und seine universitäre Laufbahn beenden musste.

      Die Universitäten und ihre Vertreter knicken nur allzu oft vor lautstark empörten Aktivisten ein. Auch die Ausladung von Rednern oder das Niederbrüllen von Diskutanten reihen sich in derartige Fälle ein. Ein solches Klima an Hochschulen lässt sich an vielen Orten feststellen und könnte zur ernsthaften Gefahr für die Meinungsfreiheit und die Debattenkultur werden.

      https://hpd.de/artikel/hochschullehrer-gefahr-wegen-angeblicher-islamophober-einstellungen-19081

    • Wegen Kritik an Islamophobie-Begriff: Hochschullehrer in Frankreich als Faschist beschimpft

      Der deutsche Hochschullehrer in Frankreich Klaus Kinzler hat den Begriff „Islamophobie“ kritisiert und wird seitdem von Kollegen und Studenten als „Faschist“ angefeindet. In einem Interview mit der „Welt“ erklärte er, was es damit auf sich hat und wie es in Frankreich um die Debattenkultur bestellt ist.
      In den sozialen Medien sei er im Rahmen einer Kampagne der Studentengewerkschaft durch den Schmutz gezogen worden. Dort habe man ihn als Rechtsextremisten und Islamophoben dargestellt, erzählt der 61-Jährige. Später hätten Studenten seinen Namen mit dem Slogan „Islamophobie tötet“ an den Wänden plakatiert. Nach seiner Ansicht rührt diese Feindseligkeit von einer mangelnden Diskussionsbereitschaft.

      „Debattiert oder gestritten wird nicht mehr, weil sich Leute verletzt fühlen könnten. Das ist es, was sich in den letzten Jahren verändert hat: Es gibt einen politischen Aktivismus, der sich als Wissenschaft verkleidet. Es gibt eine Sensibilität und Verletzlichkeit, das, was Caroline Fourest die ‚Generation Beleidigt‘ nennt“, eklärt er gegenüber der Welt.

      Klaus Kinzler unterrichtet seit 25 Jahren deutsche Sprache und Kultur an dem Institut des Sciences Po, einer privaten Elitehochschule in Grenoble. Seitdem er in einem E-Mailaustausch mit einer Kollegin den Begriff „Islamophobie“ kritisiert hat, ist er mit Anfeindungen konfrontiert. Nach seinen Worten wurde er sogar zusammen mit einem anderen Kollegen als „Faschist“ gebrandmarkt. Das will er sich nicht gefallen lassen und setzt sich mit Argumenten zur Wehr.

      An Begriff „Islamophobie“ Streit entfacht
      Von Frankreich hätten viele das Bild, dass es ein laizistisches Land sei, in dem die Religion kritisiert werden dürfe. Aber es gebe Tabus, an die man nicht rühren dürfe, so der Hochschullehrer weiter.

      „Ich habe mich beispielsweise dagegen gewehrt, dass Rassismus, Antisemitismus und Islamophobie in einem Atemzug genannt werden“, erklärte Kinzler. „Die Diskriminierung von Arabern fällt in meinen Augen unter die Kategorie Rassismus und hat nichts mit Islamophobie zu tun. Die ersten beiden sind im Übrigen Straftatbestände, die Islamophobie ist es nicht. Der Begriff ist einfach zu schwammig.“

      Eine Gleichsetzung des Begriffs mit Antisemitismus lehnt der Hochschullehrer ebenfalls ab. Letzterer habe Millionen Tote zur Folge gehabt, Genozide ohne Ende. Dann gebe es Rassismus, Sklaverei. Auch das habe in der Geschichte zu zig Millionen Toten geführt. „Aber wo seien die Millionen Toten der Islamophobie?“

      „Ich bestreite nicht, dass Menschen muslimischen Glaubens diskriminiert werden. Ich weigere mich nur, das auf die gleiche Stufe zu stellen. Ich halte das für ein absurdes Täuschungsmanöver.“
      Angst vor Auseinandersetzungen an Unis
      Dass ihn die Studenten zur Zielscheibe von Anfeindungen gemacht hätten, findet Kinzler mit Blick auf die Debatte um die Islamophobie sogar nützlich, „sonst wäre das ja wieder unter den Teppich gekehrt worden“. Er stellt auch nicht in Abrede, dass sie mit Sicherheit nichts vortäuschten und sich wirklich verletzt fühlten. In Bezug auf Studenten wiederum, welche auf umstrittene Themen sensibel reagieren würden, meint der Hochschullehrer:

      „Wer böse ist, könnte sagen: Sein Platz ist nicht an der Uni, wenn er sich durch Argumente verletzt fühlt. Aber bei uns tut man alles, damit sie nicht verletzt werden. Man erspart ihnen jede Form von Auseinandersetzung. Das ist ja das Skandalöse.“
      Wenn es so weitergehe, dann können „wir unsere Uni eigentlich zusperren“, das Gebäude verkaufen und einen Supermarkt daraus machen, kritisiert er. Wozu dann noch ein „Institut d’études politiques“, wenn man jeden schützen müsse vor Argumenten, die ihm nicht gefallen würden?
      In dem Zusammenhang spricht er von „safes spaces“, Sicherheitsblasen. Diese würden dafür geschaffen, damit die jungen Menschen nicht behelligt würden mit Dingen, mit denen man sich früher selbstverständlich auseinandergesetzt habe.
      „Wir haben hier an unserem Institut viele Lehrkräfte, die den Studenten nach dem Mund reden und die Vorurteile, die sie schon haben, bekräftigen. Einer wie ich stört. Für viele bin ich hier: ‚Klaus, der Extremist‘. 25 Jahre lang war das schlimmste Schimpfwort Liberaler oder Neo-Liberaler. Jetzt bin ich Rechtsradikaler, ein Islamophober und ein Faschist“, beklagt Kinzler.
      „Ich bin kein Märtyrer“
      Laut Kinzler schlägt ihm eine offene Feindseligkeit entgegen. Von den 50 Kollegen seien 35 gegen ihn, „sie hassen mich inzwischen“. Nur 15 stünden auf der Seite der Freiheit. Auch seine Direktorin habe sich nicht hingestellt und gesagt: „Der Kinzler ist ein Demokrat und kein Faschist.“
      Vor dem Hintergrund der islamistisch motivierten Enthauptung des Schullehrers Samuel Paty geht Kinzler auch auf die Frage ein, ob er nun Angst habe. Seine Antwort: Nein. Die Aktion der Studenten gegen ihn zeige aber, dass sie keine erwachsenen, verantwortlichen Personen seien. Er will aber auch nicht mit dem ermordeten Lehrer verglichen werden.
      „Ich fühle mich aber auch nicht als Samuel Paty. Ich bin kein Märtyrer. Ich stehe nur zu meinen Überzeugungen. Ich bin auch nicht der Opfertyp, sondern war immer ein Kämpfer. Wenn mich jemand angreift, dann wehre ich mich. Den Vergleich mit Samuel Paty finde ich eher unpassend und vielleicht sogar gefährlich.“
      Der 47-jährige Geschichtslehrer Samuel Paty war Mitte Oktober 2020 von einem 18 Jahre alten Angreifer nahe Paris ermordet worden. Das von Ermittlern als islamistisch motivierter Terrorakt eingestufte Verbrechen löste im ganzen Land Entsetzen aus. Paty hatte das Thema Meinungsfreiheit gelehrt und dabei Karikaturen des Propheten Mohammed gezeigt. Der 18-Jährige, der von der Polizei getötet wurde, hatte dies zuvor in sozialen Netzwerken als sein Tatmotiv angegeben.
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      https://snanews.de/20210309/islamophobie-hochschullehrer-beschimpft-1208300.html

    • Die Sozialstruktur der Infektionen

      Im Interview mit der SZ beklagt Soziologe Oliver Nachtwey, dass es in Deutschland keine Statistiken zu sozialen Aspekten der Coronakrise gibt. Und er hat eine Vermutung, warum das so ist. In der NZZ kritisiert die Kunstsoziologin Nathalie Heinich die „Vermischung zwischen Aktivismus und Forschung“ in den Geisteswissenschaften, ebenso der Altphilologe Jonas Grethlein in der FAZ. In Grenoble solidarisieren sich Professoren mit zwei als „Islamophobe“ attackierten Kollegen... äh, nicht so wirklich.

      Wissenschaft
      In Grenoble sind zwei Professoren in sozialen Medien und über Graffiti an Uni-Gebäuden als „Islamophobe“ und Faschisten an den Pranger gestellt worden (unser Resümee). In Frankreich hat die Affäre nach dem Mord an Samuel Paty, der mit einer ähnlichen Kampagne anfing, Aufsehen erregt. Hadrien Brachet berichtet für die Zeitschrift Marianne über die Atmopshäre an der Uni Grenoble, wo sich Professoren in einem Papier äußerten: „Merklich hin- und hergerissen zwischen der Verurteilung der Graffiti und Sympathie für andere Kollegen beklagen sie in dem Kommuniqué ’gefährliche Handlungen’ und rufen zur ’Befriedung’ auf, ohne jedoch eine Unterstützung der Angegriffenen zu formulieren. Der Repräsentant des wichtigsten Studentenverbands prangert seinerseits eine ’instrumentalisierte Polemik’ an und fordert sogar Sanktionen gegen die beiden der ’Islamophobie’ bezichtigen Professoren an.“ In der Welt wird Klaus Kinzler, einer der beiden attackierten Professoren, interviewt, das Interview steht leider nicht online.

      Der „Islamogauchismus“, die Allianz zwischen linken Intellektuellen und reaktionären Islamisten, ist nicht das Hauptproblem an den französischen Universitäten, meint die Kunstsoziologin Nathalie Heinich im Interview mit der NZZ, sondern „die Vermischung zwischen Aktivismus und Forschung. ... Wenn wir so weitermachen, entwickelt sich die Uni zu dem Ort, an dem in Dauerschleife rein ideologische Arbeiten über Diskriminierung entstehen. Damit man mich richtig versteht: Gegen Diskriminierung zu kämpfen, ist absolut richtig und legitim - in der Arena der Politik. Es gibt Parteien und Assoziationen dafür. An der Uni dagegen sind wir angestellt, um Wissen zu schaffen und weiterzugeben, und nicht, um die Welt zu verändern.“

      Der klassische Philologe Jonas Grethlein erzählt auf der Geisteswissenschaften-Seite der FAZ aus Cambridge und Oxford, wo Altphilologen Sensibilisierungskurse über ihren „strukturellen Rassismus“ belegen sollen und kritisiert Bestrebungen, sein Fach nach den Kriterien der „Critical Race Theory“ um den amerikanischen Althistoriker Dan-el Peralta neu zu orientieren: „Dan-el Peralta, Professor für römische Geschichte in Princeton, hat wiederholt festgestellt, als Schwarzer und Immigrant könne er Unterdrückung und andere Phänomene in der Antike anders und besser erschließen als seine weißen Kollegen. Hier wird die Identität des Wissenschaftlers zum Grund für neue Erkenntnisse, die Identitätslogik ist mit der Erkenntnislogik verbunden. ... Altertumswissenschaftler betrachten vergangene Kulturen wie die Antike im Horizont ihrer eigenen Zeit. Aber wenn dieser Horizont so übermächtig wird, dass sie die antiken Werte und Praktiken primär als Bestätigung oder Widerspruch zu ihren eigenen Vorstellungen sehen, dann verspielen sie die Möglichkeit, neue Perspektiven auf die Gegenwart zu gewinnen.“

      https://www.perlentaucher.de/9punkt/2021-03-10.html

    • Faut écouter cette séquence avec les deux avocates de Vincent T. pour y croire :

      Prof accusé d’islamophobie : son avocate dénonce des « accusations déshonorantes qui mettent sa vie en danger »

      Début mars, des collages anonymes ont imputé à deux professeurs de Sciences Po Grenoble des propos islamophobes. L’un d’entre eux va porter plainte « contre tous ceux qui l’ont calomnié », ont affirmé ses avocates sur BFMTV.

      « On le diabolise, on le stigmatise, on le traite d’islamophobe et on le tétanise. » Depuis plusieurs jour, Vincent Tournier est au coeur d’une polémique à l’Institut d’études politiques de Grenoble. Lui et un autre professeur ont été nommément visés par des affichettes sur les murs de l’école les accusant d’islamophobie.

      « Il n’a pas compris la brutalité et l’étendue de l’agression intellectuelle dont il a fait l’objet (...) Le contenu de son enseignement est totalement détourné », le défend l’une de ses avocates, Me #Aude_Weill-Raynal, sur BFMTV ce vendredi.

      A l’origine de ces tensions, l’appel lancé par l’Union Syndicale de Sciences Po Grenoble sur Facebook demandant aux étudiants de témoigner sur d’éventuels « propos problématiques » qui auraient été tenus lors du cours de Vincent Tournier de « Méthodes des sciences sociales ». Ce dernier a alors exigé par mail que les étudiants appartenant au syndicat « quittent immédiatement (ses) cours et n’y remettent jamais les pieds ».

      Le professeur s’apprête à déposer plainte

      Dans cette escalade, le syndicat a déposé plainte pour « discrimination syndicale », finalement classée sans suite depuis. « Vincent Tournier a un cours sur l’islam. Il y a tenu des propos qui ne sont peut-être pas dans la ligne de ce que certains attendaient pour le disqualifier », commente son avocate.

      Et Me #Caroline_Valentin, son autre conseil, d’ajouter : « Cette accusation est déshonorante et met sa vie en danger, il a eu peur, il s’est senti outragé. »

      L’avocate affirme que son client - qui bénéficie désormais d’une protection mise en place par le ministère de l’Intérieur - va porter plainte « contre tous ceux qui l’ont calomnié ».

      –---

      Sur les syndicats étudiants, Me Caroline Valentin affirme que l’islamophobie est le « délit de #blasphème. L’islam c’est le blasphème musulman. » (minute 3’40)

      https://www.bfmtv.com/police-justice/prof-accuse-d-islamophobie-son-avocate-denonce-des-accusations-deshonorantes-

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      Sur l’islamophobie comme « délit de blasphème », voir aussi #Zineb_El_Rhazoui, à partir de la minute 1’12 :

      "Pour moi l’accusation d’islamophobie n’est que le terme occidental pour dire blasphème. (...) Dans le monde musulman, là où l’islam a le pouvoir coercitif, on n’a pas accusé les gens d’islamophobie, on les a tout bonnement accusées de blasphème. Cette accusation n’étant pas possible ici en occident, on invente cette accusation d’islamophobie qui est un mot-valise absurde, on psychiatrise l’autre, on l’accuse d’être phobique, donc c’est quelque chose qui relève de la psychiatrie. Et naturellement doit-on blâmer les gens d’avoir peur. Doit-on blâmer les gens d’avoir peur ? Quand un enfant à peur, la réaction naturelle, c’est de le consoler, de le rassurer et non pas de le blâmer à cause de ça.


      https://twitter.com/lci/status/1371161097747726340

    • Sur la page wikipedia du laboratoire pacte, le 21.03.2021 :

      En 2021, la presse évoque le cas de deux professeurs accusés d’« islamophobie » dont les noms ont été placardés sur les murs de l’IEP suscitant des craintes pour leur sécurité. Fin 2020, l’un des enseignants avait exprimé ses doutes quant à la pertinence du concept d’islamophobie utilisé pour désigner des discriminations dont feraient l’objet des musulmans en raison de leur religion. Il refuse notamment que ce terme soit accolé à celui d’antisémitisme. Une chercheuse en désaccord après un échange de courriels se plaint alors de « harcèlement ». En décembre, dans un communiqué officiel signé par Anne-Laure Amilhat Szary, directrice du laboratoire, le PACTE avait apporté son soutien à Claire M., l’enseignante, qui s’était plainte de harcèlement6. Pour Klaus Kinzler, le professeur incriminé, c’est d’abord le laboratoire Pacte qui a publié un communiqué officiel l’accusant sans « aucun fondement de harcèlement et de violence, d’atteinte morale violente » contre sa collègue7.


      https://fr.wikipedia.org/wiki/Laboratoire_Pacte

    • De quoi la campagne contre l’«islamo-gauchisme» est-elle le nom?

      La campagne idéologique réactionnaire lancée par le gouvernement a le mérite de poser clairement les lignes de démarcation : un #fascisme rampant qui organise la chasse à courre contre les intellectuels idéologiques de l’égalité, de l’#internationalisme et de l’#émancipation. Annihiler les « islamogauchistes » c’est vouloir supprimer la #subversion de la #pensée_engagée.

      L’enquête

      Les derniers événements de l’IEP de Grenoble ont été l’objet d’une minutieuse et précise enquête de 15 pages, publiée dans Mediapart par le journaliste David Perrotin, enquête référentielle qui permet d’appréhender les différentes étapes de l’affaire. Cette enquête incarne une idée simple mais peu appliquée dans le métier journalistique et médiatique - qui n’a pas fait d’enquête n’a pas droit à la parole, une logique requise pour se forger un point de vue, au-delà des faits.

      SURTOUT se rappeler que le point de départ de cette affaire et son point central, ce sont les charges répétées, et réussies par ailleurs, d’un professeur de l’IEP pour supprimer le mot « islamophobie » lors d’une préparation à une conférence organisée par l’IEP dans la cadre de la semaine pour l’égalité intitulée « racisme, antisémitisme, islamophobie ».

      Pour l’enseignant, le mot islamophobie ne pouvait se trouver accolé au mot antisémitisme parce que cela représentait « une insulte aux victimes réelles (et non imaginaires) du racisme et de l’antisémitisme ».

      Le raisonnement

      Légitimer le statut de #victime comme seul référent catégoriel pour situer la place des musulmans des arabes et des juifs dans l’histoire réduit considérablement la visibilité du pourquoi ils sont, ou pas, désignées « #victimes ».

      Pour le professeur, en effet, les agressions et les propos anti-musulmans, les discriminations contre les populations arabes, tout cela regroupé sous le nom contemporain d’islamophobie n’existeraient pas, sinon de l’ordre de l’affabulation.

      Il s’agit selon ses mots d’effacer toute trace d’une réalité réelle en France, les faits connus, relatés par les tribunaux ou par les médias des agressions physiques et des propos antimusulmans.

      Dire que tout cela n’existe pas puisque c’est #imaginaire, c’est vouloir effacer un réel discriminatoire pour se dispenser d’en regarder les effets dévastateurs, sinon s’en dédouaner.

      À la lecture de ces propos, on peut se poser légitimement la question de savoir qui sont les affabulateurs. Ceux qui sont désignés, ou celui qui les désigne.

      Ou bien le professeur ne lit pas les journaux et ne regarde pas les médias qui relatent les incidents islamophobes, ou bien il s’agit de quelque chose de plus grave dont ses propos seraient le nom.

      Le professeur dit « ne pas avoir de sympathie pour l’islam ». C’est son droit.

      Mais si les musulmans inventent et imaginent être des victimes,

      Si, selon lui, ils n’ont pas le droit d’être positionnés à côté des victimes juives, si seuls les #juifs peuvent bénéficier du statut de victimes, ces propos installent une obscène #hiérarchie_victimaire,

      Si les victimes musulmanes sont imaginaires, il s’agit rien moins que d’invalider l’#histoire_coloniale française, celle de la #guerre_d'Algérie, entre autres, où, si on suit le raisonnement du professeur, il n’y aurait eu aucune victime. La guerre coloniale française étant sans doute, dans l’esprit des musulmans, une #affabulation.

      Enfin, il n’est pas interdit de penser, toujours selon le raisonnement du professeur, que si les musulmans sont affabulateurs de leur victimisation, ils le sont encore plus de leur propre histoire, de leur révolte anti-coloniale.

      La guerre de libération nationale algérienne contre l’empire colonial français doit être un pur fantasme musulman.

      Nous sommes bien au-delà de propos « hautement problématiques » comme le faisait remarquer la directrice de l’IEP.

      Ces propos hallucinants sont à recadrer dans un contexte plus large, celui de la campagne lancée par le gouvernement et relayée par la Ministre de l’Enseignement Supérieur, de la Recherche et l’innovation, Frédérique Vidal.

      La ministre a annoncé vouloir demander une enquête au CNRS sur « l’islamogauchisme » qui, selon elle, « gangrène la société dans son ensemble et l’université en particulier ». Retenons l’ordre, société d’abord, université ensuite.

      Sur ce terme valise et attrape-tout, la ministre, interviewée par Jean Pierre Elkabach sur CNEWS a repris à son compte l’expression proposée par le journaliste « il y a une sorte d’alliance entre Mao Tsé-toung et l’ayatollah Khomeini ».Alain Finkelkraut en 2010 dénonçait déjà l’islamogauchisme comme « l’union des gens de l’immigration et d’intellectuels progressistes ».

      Ne rions pas, la chose est dite.

      De quoi cela est-il le nom ?

      Qu’est ce qui est visé par l’expression « #gangrène_islamogauchiste » ?

      Est ciblée une idéologie progressiste, l’union possible de ceux qu’on appelle aujourd’hui les prolétaires nomades et des intellectuels, des prises de position sur l’égalité et l’internationalisme, un corpus de travaux, de publications sur l’héritage colonial dans les sociétés des anciennes puissances coloniales.

      Ces études examinent, mettent en perspective l’héritage colonial toujours actif qui se manifeste, entre autres, par un #racisme_culturel levant haut le drapeau de la « supériorité » de la chère civilisation occidentale, par une succession de lois discriminatoires et par des actes de racisme

      Travailler à démonter cet #héritage_colonial dans le contemporain est une réponse, parmi d’autres, pour contrer l’hydre identitaire qui revient en force dans le monde actuel.

      Résumons l’idéologie de la campagne.

      Islamo, signifierait altérité, autre, islamistes, ex colonisés, musulmans, bref une multitude de sens exprimant les variations contemporaines d’un racisme anti musulman et arabe ,

      gauchiste, ce qui reste- ou plutôt revient en première ligne, comme arme de pensée et de réflexion sous le substrat générique de marxisme, à savoir l’anti identitaire, l’internationalisme, l’égalité, l’émancipation.

      La #subjectivité

      C’est donc une bataille contre tous les intellectuels, penseurs et acteurs engagés de l’émancipation.

      Il y a aussi dans cet acharnement réactionnaire, une bataille contre la « subjectivité » de l’engagement, c’est-à-dire contre « le #parti_pris » d’un individu qui le transforme en sujet pensant. Les « islamo gauchistes » sont des gens qui pensent, qui ont des idées, des batailles, qui écrivent et qui s’engagent pour elles. Annihiler les « islamogauchistes » c’est vouloir supprimer la subversion de la #pensée_engagée.

      Penser, c’est violent, me disait déjà une élève.

      Penser c’est prendre parti, s’engager pour une idée et c’est bien cet #engagement_subjectif qui est visé frontalement.

      C’est donc une #bataille_idéologique et politique de grande envergure que le gouvernement a décidé de lancer. Et pour ce faire, parce qu’il la prend très au sérieux et nous aussi, il lance ses chiens, ses meutes intellectuelles, ses piqueurs de tout bord dont l’extrême droite, entre autres, pour, rien moins qu’éradiquer, supprimer cet espace subjectif et politique

      L’imposture

      L’#imposture est cependant complète. Pour expliquer sa campagne dans l’opinion, il désigne comme seuls idéologues, porteurs de « fatwah », censeurs de la liberté d’opinion et de la liberté académique, les professeurs, les enseignants chercheurs, les étudiants mobilisés, les agents administratifs,

      les désignant comme « gangrène, ceux qui se situent« entre Mao Tsé-toung et l’ayatollah Komeini » (si ce n’est pas idéologique ça), comme identitaires et communautaristes…

      S’intéresser à l’histoire coloniale de son pays équivaudrait donc à être identitaire.

      Il laisse se déchainer les réseaux sociaux qui organisent contre ces enseignants, un harcèlement mortifère.

      La directrice du Laboratoire Pacte reçoit tous les jours des menaces de mort et voit sa photo publiée sur les réseaux sociaux avec notamment pour légende « Être nostalgique des années 40 ».

      Pour ceux qui n’auraient pas encore compris ou qui feignent ne pas comprendre, ceux qui hurlent contre les islamo-gauchistes hurlent aussi contre ceux, appelés dans les années 40, « les judéo-bolchéviques ». Le même procédé est à l’œuvre : islamo versus judéo, bolchéviques versus gauchistes Mao, même gangrène. On connait la suite.

      Ceux qui organisent la campagne violente contre l’émancipation traitent leurs cibles de sectaires, de censeurs et d’idéologues. Vieux procédé de retournement que nous retournons contre eux.

      Cette #campagne_idéologique réactionnaire lancée par le gouvernement a le mérite de poser clairement les lignes de démarcation : un fascisme rampant qui organise la #chasse_à_courre contre les intellectuels idéologiques de l’égalité, de l’internationalisme et de l’émancipation.

      Propositions

      La riposte ne peut être qu’internationale.

      Renforçons les liens de solidarité avec ceux qui ont pris position dans les journaux contre cette campagne,

      échangeons par le biais d’une feuille de journal,

      une sorte de « lettre internationale » qui formerait réseau, récolterait les informations sur les différentes situations, les articles, les prises de position, les propositions à venir.

      Sol. V. Steiner

      https://blogs.mediapart.fr/sol-v-steiner/blog/190321/de-quoi-la-campagne-contre-l-islamo-gauchisme-est-elle-le-nom

    • Et cette Une de Valeurs actuelles...


      Censure, sectarisme… L’université française, le laboratoire des fous

      L’affaire de Sciences Po Grenoble révèle un enseignement supérieur soumis à la censure, au sectarisme et aux délires progressistes. Récit d’une dérive.

      Trente-cinq ans d’enseignement paisible, puis la bascule. Klaus Kinzler a eu le malheur de récuser la pertinence scientifique du terme d’"islamophobie", le voilà accusé d’islamophobie. Et, bien sûr, de fascisme. Avant lui, Sylviane Agacinski, Alain Finkielkraut, François Hollande (!) s’étaient vu refuser l’accès à l’université par des étudiants peu soucieux de se frotter à la contradiction. Pièces de théâtre annulées, conférences empêchées, professeurs placardisés... La censure n’est pas nouvelle. La décapitation de Samuel Paty aura quand même réveillé des consciences assoupies : cette fois-ci, le professeur peut compter sur quelques soutiens publics. D’autres persistent à nier.

      Jean Sévillia, lui, n’est pas franchement étonné, qui signait un livre intitulé le Terrorisme intellectuel il y a vingt et un ans... Aujourd’hui très éloigné du monde universitaire, il convoque pourtant le souvenir de ses propres années de fac : « Le variant est l’idéologie dominante, l’invariant réside dans les méthodes employées pour la défendre. » À l’époque, les affrontements physiques sont quasiment quotidiens dans le Quartier latin, et les tentatives d’ostracisme omniprésentes. « On retrouve les vieilles méthodes efficaces de l’antifascisme : mensonge, amalgame, diabolisation et stigmatisation », développe le journaliste. Stalinisme, tiers-mondisme, marxisme, antiracisme, européisme... Les sujets changent mais quiconque s’interpose est déclaré fasciste. Sévillia concède cependant une différence de taille : « À l’époque, le professeur pouvait demander à l’élève estampillé fasciste de dérouler ses arguments dans l’amphithéâtre. » Les élèves lisent alors, le débat est encore possible.

      Les nouveaux révolutionnaires ne font même plus semblant de débattre ; débattre, c’est déjà accorder le point à son adversaire.

      Un bond dans le temps et l’on se retrouve dans la très progressiste université d’Evergreen, aux États-Unis. Entre-temps, la French theory s’est exportée outre-Atlantique. C’est sur ce campus que le professeur Bret Weinstein a tenté de s’opposer à la tenue d’une journée interdite aux élèves blancs. Suffisant pour que les étudiants le poussent vers la sortie, sans autre forme de procès. L’enseignant a bien tenté de rappeler qu’il avait « toujours voulu parler du racisme, l’étudier... », les étudiants n’ont pas attendu la fin de sa phrase pour clore le débat : « On n’a pas besoin de l’étudier, on le vit. »

      Les nouveaux révolutionnaires ne font même plus semblant de débattre, ils se drapent dans une victimisation très largement fantasmée pour consacrer l’inutilité de la connaissance. Débattre, c’est déjà accorder le point à son adversaire. On pourrait se rassurer en accablant les États-Unis... puis on entend Geoffroy de Lagasnerie. Philosophe et sociologue, l’autoproclamé héritier — bien français —de Bourdieu, Deleuze et Derrida est au micro de France Inter le mercredi 30 septembre dernier, lorsqu’il expose très sereinement sa pensée : « Le but de la gauche, c’est de produire des fractures, des gens intolérables et des débats intolérables dans le monde social. [...] je suis contre le paradigme du débat », entame-t-il. Le jeune professeur insiste : « J’assume totalement le fait qu’il faille reproduire un certain nombre de censures dans l’espace public, pour rétablir un espace où les opinions justes prennent le pouvoir sur les opinions injustes. » Qui serait alors chargé de discriminer le juste et l’injuste ? Lagasnerie refuse que ce soit la loi, il préfère que ce soit « l’analyse sociologique ». De telles déclarations ne provoquent pas l’indignation des étudiants, encore moins des professeurs.

      Et pourtant, c’est bien cette "analyse sociologique" qui inquiète par son sectarisme inversement proportionnel à son exigence académique. Lorsque la ministre de l’Enseignement supérieur, Frédérique Vidal, ose évoquer la pénétration de « l’islamo-gauchisme » à l’Université, la réaction est immédiate : tribune des présidents d’université, appels à la démission, indignation du CNRS... Pourquoi ? Le manque d’assise scientifique du terme. Silence, en revanche, lorsque des chercheurs abusent des concepts d’islamophobie, de privilège blanc ou de violences de genre. Et pour cause : certains travaux universitaires s’appliquent désormais à légitimer les concepts générés par les cultural studies américaines, plus militantes qu’académiques.

      Les études scientifiques en question

      En 2017, une journaliste et deux universitaires anglo-saxons ont tenté de dénoncer le phénomène. « Soyons clairs, nous ne pensons pas que les sujets comme le genre, la race ou la sexualité ne méritent pas d’être étudiés », expliquait alors l’un des universitaires avant de poursuivre : « Le vrai problème, c’est la façon dont ces sujets sont actuellement étudiés. Une culture émerge dans laquelle seules certaines conclusions sont autorisées : comme celles qui désignent systématiquement la blancheur de peau ou la masculinité comme la cause du problème. » Ils ont donc rédigé une vingtaine d’études bidon qu’ils ont ensuite proposées à des revues universitaires dotées d’un comité de relecture par des pairs. Résultat ? Sept papiers ont été acceptés, quatre publiés.

      Il faut se pencher sur ces études pour saisir l’ampleur du malaise : l’une d’elles s’intitule "Réactions humaines face à la culture du viol et performativité queer dans les parcs à chiens urbains de Portland, Oregon", une autre affirme que les hommes peuvent combattre leur « homohystérie » par l’usage d’un sextoy, une autre encore — qui avait reçu des retours plutôt enthousiastes — préconisait de faire porter des chaînes fictives aux élèves blancs pour les confronter à la « fragilité de leurs privilèges ».

      L’expérience n’a pas été réalisée en France, mais les universitaires les plus militants abusent déjà du vocabulaire légitimé par de semblables "études". En face, des conférences sont annulées, des thèses refusées, des professeurs virés... Et la contestation s’affaiblit. C’est cet état des lieux qui poussait récemment la sociologue et philosophe Renée Fregosi à déclarer sur FigaroVox qu’« il serait plus important de garantir le pluralisme des approches théoriques et des méthodes d’analyse ». L’enjeu ? Non plus seulement protéger, mais rétablir la liberté académique. Faute de quoi seront dégainées à l’infini les accusations d’homophobie, de xénophobie, de transphobie, de racisme, de fascisme pour empêcher tout débat... et triompherait vraiment le totalitarisme de la bêtise.

      https://www.valeursactuelles.com/clubvaleurs/societe/censure-sectarisme-luniversite-francaise-le-laboratoire-des-fous-1

    • #Gilles_Bastin (sociologue du laboratoire pacte) sur twitter, 14.03.2021 :

      #IEPGrenoble Comme promis quelques remarques sur un point très important de ce qui est en train de se passer dans l’espace public autour de l’idée selon laquelle la « #liberté_d'expression » n’est plus garantie l’Université.
      C’est un thème que l’on retrouve répété à l’envi par la personne qui se présente depuis des jours sur les plateaux télé comme une victime de la censure de ses collègues. Beaucoup d’articles de presse ont commencé à parler de l’affaire sous cet angle.
      Et malheureusement j’ai entendu au cours de la semaine qui vient de s’écouler de nombreuses personnes sensées parler aussi de « liberté d’expression », de la nécessité de la garantir à toutes et tous, etc.
      Un des premiers problèmes qui se pose si l’on accepte cette lecture de l’affaire c’est qu’il se trouvera toujours un juriste pour dire que l’islamophobie n’est pas punie en tant que telle par la loi en France…
      … et que la seule limite à son expression est la #diffamation. Cela me semble problématique et complètement non pertinent ici pour trois raisons :
      1. Dans l’affaire qui a commencé avec les échanges d’e-mails mis sur la place publique, la ligne de défense de la personne qui se plaint aujourd’hui d’avoir été empêché de s’exprimer consiste à dire qu’il n’a jamais diffamé notre collègue organisatrice de la conférence.
      Mais ce n’est pas ce qui lui est reproché ! Le @Defenseurdroits qui est saisi de l’affaire le dit d’ailleurs très bien en pointant le non respect du devoir de réserve d’une part et du principe de laïcité d’autre part.
      Pour le dire autrement, la liberté d’expression est une chose, la préservation d’un espace public pacifié par le #devoir_de_réserve et la laïcité en est une autre.
      La stratégie des « guerriers » (sic) de la liberté d’expression (une version actualisée de la stratégie de la terre brulée) conduit à la disparition de tout espace possible pour que s’exerce cette liberté pour celles et ceux qui se refusent à user des mêmes armes qu’eux.
      Mais ça, le juge pénal ne peut pas s’en saisir, semble-t-il…
      2. Quelles sont les conséquences de l’incendie ? L’institution a essayé de l’éteindre sans abandonner le cadre d’analyse légal en termes de liberté d’expression. Ceci a conduit la collègue organisatrice à accepter de retirer le projet de conférence.
      La leçon : les guerriers (re-sic) de la liberté d’expression ont réussi à faire retirer un mot qui ne leur plaisait pas d’une manifestation organisée dans une Université. Cela s’appelle de la #censure ! Au nom de la liberté d’expression si l’on veut mais de la censure !
      Cela s’appelle aussi, pour utiliser un terme dont se sont délectés les plateaux télé sans comprendre qu’ironiquement il fallait l’appliquer à leur invité et pas à ses collègues « islamo-gauchistes », de la #cancel_culture (faire supprimer un mot dans une conférence…).
      3. j’ajoute un point vraiment important et qui n’a pas été soulevé jusque là : le cadre « liberté d’expression » autorise aussi dans cette affaire deux hommes blancs non musulmans à dire dans l’espace public, sans que rien ne les arrête, que l’islamophobie n’existe pas.
      Il n’est pas nécessaire d’avoir lu Goffman ou Fanon (mais ça aide) pour comprendre qu’il y a là une façon choquante de nier l’#expérience_vécue de celles et ceux qui, musulmans ou présumés tels, ont une autre perception des choses sans avoir les moyens ou l’envie de l’exprimer
      Bref, il me semble nécessaire d’abandonner la référence à la question de la liberté d’expression dans l’analyse des faits qui ont conduit à l’incendie #IEPGrenoble et de poser d’autres questions qui sont au moins aussi importantes pour l’avenir du #débat_public.

      https://twitter.com/gillesbastin/status/1371105738202959873

    • Tribune : « Oui, il y a une haine ou une peur irrationnelle des musulmans en France »

      Deux Insoumis de la région grenobloise ont réagi à la tribune de la députée de l’Isère #Emilie_Chalas consacrée aux termes “islamo-gauchisme” et “islamophobie” (https://www.placegrenet.fr/2021/03/13/tribune-emilie-chalas-islamo-gauchisme-islamophobie/457979). Julien Ailloud, co-animateur d’Eaux-Claires Mistral Insoumis Grenoble, et Amin Ben Ali, co-animateur de Tullins insoumise, tous deux signataires de l’appel du Printemps Isérois (https://www.placegrenet.fr/2021/01/07/elections-departementales-la-gauche-essaie-de-sunir-au-sein-du-printemps-iserois/425133), livrent une réplique au vitriol au point de vue de la parlementaire LREM. En novembre 2019, ils avaient déjà signé une tribune pour exprimer leur fierté concernant l’appel de la France insoumise de participer à la #marche_contre_l’islamophobie.

      Nombreux sont les intellectuels qui ont, depuis les élections présidentielles et législatives de 2017, analysé le discours des “marcheurs”. Au-delà des anglicismes, du vocabulaire type « start-up » et de la traditionnelle langue de bois, les macronistes ont une spécificité commune : celle de déstructurer la langue et le langage. La récente tribune d’Émilie Chalas ne déroge pas à cette mauvaise habitude, à la fois médiocre et cynique.

      Prenant pour prétexte l’actualité à l’IEP de Grenoble, Émilie Chalas n’analyse en rien ces évènements. Elle s’appuie sur ce fait divers pour faire le procès des tenants de l’« islamo-gauchisme », qu’elle dit minoritaires, alors que la ministre Frédérique Vidal nous parlait « d’une société gangrenée » par ce mal. La réalité, c’est que la distance entre l’extrême droite et la majorité parlementaire s’est encore réduite, cette analyse de la ministre intervenant quelques jours après que Gérald Darmanin ait trouvé Marine Le Pen insuffisamment préoccupée par l’islam, trop « molle » selon lui.

      Alors, dans le débat public, nous avons d’abord eu droit à l’utilisation du mot « #islamisme » dans son utilisation politique, mais sans savoir qui la ministre visait. En effet, à entendre les débats parlementaires sur la loi contre les séparatismes, une femme voilée est une islamiste en puissance mais, « en même temps », d’après le président de la République lui-même, manifester contre les violences policières comme en juin 2020 est une manifestation du séparatisme… De là à penser que, dans la tête de la majorité, tous les islamistes sont séparatistes et tous les séparatistes sont islamistes, il n’y a qu’un pas.

      « Un flagrant délit de contradiction » concernant le terme islamophobie

      Nous avons ici un flagrant délit de contradiction : alors que LREM et ses alliés passent leur temps à se dire « pragmatiques », ils ont en réalité les deux pieds dans l’idéologie, faute de prendre en compte le travail sérieux des chercheurs et enquêteurs, repoussant (ou ne s’intéressant pas) aux travaux universitaires et aux rapports ministériels. Ces derniers démontrent pourtant que le processus de radicalisation n’est que très peu influencé par « l’#islamisme_politique ». Il ne s’agit pas d’un déni que de le dire.

      Les recherches d’#Olivier_Roy, spécialiste renommé de l’islam, et les rapports de #Dounia_Bouzar, responsable de la déradicalisation sous le mandat de François Hollande, expliquent très clairement qu’il n’existe pas de continuum entre « islamisme » et « terrorisme ». Le terrorisme se nourrit de paramètres variés et complexes : penser que combattre l’islamisme politique suffirait à combattre le terrorisme relève soit de la naïveté, soit de l’incompétence.

      Concernant plus précisément la tribune de Mme Chalas, il est terrible d’observer qu’une députée soit aussi légère dans l’utilisation des mots et dans le maniement des concepts. Nous expliquant sans sourciller que le terme islamophobie vient de l’islam radical, elle change de version dans le même texte en disant que ce terme « a été créé en 1910 par des administrateurs-ethnologues français pour désigner “un #préjugé contre l’islam” »… mais qu’il serait instrumentalisé pas les islamistes ; et notamment « les frères musulmans » qui sont, comme tout le monde sait, si influents en France.

      Il convient ici de noter que de toute sa tribune, Mme la députée ne mentionnera pas les nombreuses organisations nationales et internationales qui prennent au sérieux le terme et le concept d’islamophobie : Commission nationale consultative des droits de l’Homme en France, Conseil de l’Europe, Conseil des droits de Homme de l’Onu, etc.

      « Face aux dominants, soutien aux dominés »

      Dans le même temps, Mme Chalas nous explique que le terme d’« islamo-gauchiste » ne souffre d’aucune #récupération_politique de l’extrême droite, en justifiant qu’il fut créé par un chercheur du CNRS au début des années 2000 pour désigner le soutien des organisations de gauche à la lutte palestinienne. À cet instant, la rigueur de notre députée ne l’interroge pas sur le fait qu’un terme inventé pour une définition précise soit utilisée pour dénoncer tout autre chose, ou encore que cette expression ait été en sommeil pendant des années, absente du débat public jusqu’à ce que les politiciens et médias d’extrême droite ne la remettent en circulation. C’est au mieux un manque de précision et, au pire, une #manipulation_politique grossière…

      Bien entendu, il ne sera fait aucune mention du fait que la Conférence des présidents d’université (CPU) a refusé l’emploi de ce terme, tout comme le CNRS lui-même dans un communiqué intitulé « L”“islamo-gauchisme”n’est pas une réalité scientifique ».

      Il n’est pas nécessaire d’être députée pour saisir que la prise de position d’une institution pèse plus lourd qu’un seul de ses chercheurs dont le terme a été galvaudé depuis sa création.

      Cette tribune d’Émilie Chalas aura au moins permis quelques avancées. Nous savons maintenant qu’en plus de pervertir les mots, les macronistes souffrent d’un défaut conséquent de rigueur scientifique et méthodologique, dévoilant au grand jour leur absence de colonne vertébrale intellectuelle. Et alors que le monde entier commémore les deux ans de l’attentat de Christchurch contre deux mosquées, Mme Chalas choisit cette séquence pour nier l’islamophobie, malgré 51 victimes causées par Brenton Tarrant, par ailleurs donateur et « membre bienfaiteur » de l’association récemment dissoute Génération identitaire.

      En ce qui nous concerne, une chose est certaine : oui, il y a une #haine et/ou une #peur_irrationnelle des musulmans et des musulmanes en France, quel que soit le terme pour l’exprimer. Le fait que plusieurs médias et membres du personnel politique les pointent régulièrement pour cible n’y est pas étranger. Il ne s’agit pas d’« islamo-gauchisme » que de le dire, mais simplement de rendre compte des tensions qui traversent notre société, comme l’a récemment rappelé un sondage dont 43 % des répondants trouvent qu’il y a trop de musulmans en France. Et face à ce constat, nous nous tenons à la ligne que notre famille politique à toujours tenue : face aux dominants, soutien aux dominés !

      Julien Ailloud & Amin Ben Ali

      https://www.placegrenet.fr/2021/03/20/tribune-oui-il-y-a-une-haine-ou-une-peur-irrationnelle-des-musulmans-en-france/464663

      signalé par @cede ici :
      https://seenthis.net/messages/907660

      Tribune d’Emilie Chalas ci-dessous dans le fil de discussion.

    • Émilie Chalas : « Islamo-gauchisme, islamophobie, de quoi parle-t-on à travers ces mots ? »

      Suite à l’affaire des collages nominatifs contre deux professeurs de Sciences Po Grenoble accusés d’islamophobie, Émilie Chalas, députée LREM de l’Isère et conseillère municipale d’opposition de Grenoble a tenu à réagir. Elle appelle ainsi à « la nécessaire clarification des lignes des uns et des autres » sur les termes “laïcité”, “islam politique”, et “islamo-gauchisme”.

      Les récentes actualités obligent à ce que les lignes des uns et des autres soient clarifiées.

      A Trappes, nous avons eu affaire au témoignage d’un professeur qui en dit long sur la #radicalisation_islamiste d’une minorité en France qui exerce une pression agressive et grandissante. Cette pression, construite autour d’arguments qui esquivent les vraies questions, est un réel danger pour la laïcité, pour l’égalité entre les femmes et les hommes, pour la République.

      A Sciences Po Grenoble, on accuse et on jette en pâture des professeurs au nom d’une « islamophobie » présumée. Ces enseignants témoignent ouvertement d’un climat hostile, qui devient parfois insoutenable dans nos universités. Ce qui se passe tragiquement à Grenoble est l’exemple de faits qui s’enchaînent, et qui provoque la surenchère et l’exacerbation de ceux qui font de la propagande politique avec un outil à la mode : le mot « islamophobie ».

      Déni et surenchère

      Dès qu’il est question de radicalisation islamiste, quelle que soit la ville et quel que soit l’événement, surgissent deux postures anti-républicaines et déconnectées de la réalité. Le déni d’un côté, et la surenchère de l’autre.

      La France subit une montée en puissance de l’islamisme politique, portée par une minorité anti-républicaine qui n’a d’autre objectif que de détruire nos valeurs de liberté, d’égalité, et de fraternité. C’est un fait. Une autre minorité estime que ces faits sont faux et que tout cela n’est pas si grave, que ces sujets seraient « montés en épingle » par les médias et les politiques, ces derniers qu’elle qualifie bien sûr d’extrême-droite, quelle que soit leur sensibilité.

      On arrive même à entendre des discours de #victimisation qui renverse la responsabilité victime/bourreau. C’est le #déni.

      De l’autre côté, il y a la surenchère d’une troisième minorité, celle-ci d’extrême droite, qui porte des discours racistes et anti-musulmans et affirme que tous les musulmans sont radicalisés.
      Sortir de ce clivage des extrêmes et prendre de la hauteur permet de poser quelques réalités et quelques bases d’un débat un peu plus sain pour répondre aux questionnements qui sont aujourd’hui présents en France.

      Le problème de l’islamisme existe bel et bien en France

      Contre le déni et la surenchère, il faut l’affirmer et le réaffirmer haut et fort : oui, le problème de l’islamisme existe bel et bien en France. Et non, ce problème d’islamisme n’est pas insurmontable. Non, la bataille n’est pas perdue. Non, la situation n’est pas irréversible. C’est justement notre cause.

      Dans certaines villes, comme à Grenoble, certains élus surfent sans sourciller dans le déni en affirmant qu’il n’y a aucun véritable problème et que tous ceux qui en perçoivent sont des fascistes ou, à minima, des anti-musulmans. Ce qui est faux bien évidement.

      Certains jouent d’ambiguïté avec l’islamo-gauchisme.

      De quoi parle-t-on alors à travers ce mot ?

      La définition pourrait être la suivante : l’islamo-gauchisme est l’idéologie gauchiste de l’indulgence et de l’excuse à l’égard de l’islamisme radical pouvant aller jusqu’à la minimisation, voire la dénégation de sa dangerosité, car l’#idéologie_gauchiste voit dans l’islamisme radical un allié dans sa lutte contre le capitalisme et dans sa stratégie de convergence des luttes de tous les opprimés.

      « Islamo-gauchisme », un terme qui émane du CNRS…

      Selon l’islamo-gauchisme, c’est parce les musulmans sont aujourd’hui les nouvelles classes populaires et qu’elles sont par conséquent les nouvelles victimes du capitalisme, par l’exploitation, la domination, la discrimination et la ghettoïsation, que l’islamisme radical est né et s’est développé pour précisément défendre ces nouvelles classes populaires musulmanes et mener une lutte révolutionnaire contre le capitalisme.

      Et c’est là, selon l’islamo-gauchisme, la raison politiquement nécessaire et donc suffisante pour laquelle il faudrait faire preuve d’une certaine indulgence et d’une bonne dose d’excuses à l’égard de l’islamisme radical, et en faire un allié.

      Par ailleurs, soyons bien vigilants : le terme “islamo-gauchisme” n’est pas un terme d’extrême droite, ni un terme inventé par l’extrême droite. C’est un terme relatif à des travaux de recherche sur des faits politiques concrets, travaux de recherche qui émanent du CNRS. En effet, c’est #Pierre-André_Taguieff, politologue, sociologue, historien des idées et directeur de recherche au CNRS, qui a forgé le terme d’islamo-gauchisme en 2002 en observant l’alliance idéologique et politique entre la gauche révolutionnaire et l’islamisme radical qui défilait dans les rues lors des manifestations pro-palestiniennes au début des années 2000 suite à la deuxième Intifada.

      « Islamophobie », un terme issu de l’idéologie islamiste radicale

      Alors que le terme d’islamo-gauchisme émane de recherches menées au CNRS sur la base d’observations factuelles, le terme d’islamophobie émane, lui, de l’idéologie islamiste radicale. C’est en effet un terme vieux de plus d’un siècle (il a été créé en 1910 par des administrateurs-ethnologues français pour désigner « un préjugé contre l’islam » répandu dans les populations chrétiennes) qui a été récupéré par les Frères musulmans et certains salafistes. Et ce pour condamner, non pas les préjugés chrétiens contre l’islam, mais toute critique contre l’islamisme radical, en prétendant que critiquer l’islamisme radical, c’est critiquer l’islam, et critiquer l’islam c’est se rendre coupable de racisme anti-musulman.

      L’islamo-gauchisme est par ailleurs une réalité pour bon nombre de nos concitoyens. Selon un #sondage en date du 19 février 2021, effectué par Ifop-Fliducial, 58 % des Français considèrent que « l’islamo-gauchisme est une réalité ». Un autre sondage du 23 février 2021, réalisé par Odoxa-Blackbone consulting, obtient les chiffres de 69 % des Français qui affirment qu’il y a en France « un problème avec l’islamo-gauchisme ». Selon ce même sondage Odoxa-Blackbone consulting, 66 % des Français sont « d’accord avec les propos de Frédérique Vidal sur l’islamo-gauchisme à l’université ».

      Voilà des résultats de sondages qui, pour le moins, interpellent.

      Sans aucun doute, il y a matière à débattre sans honte, sans crainte, sans reproche, et à vérifier ce qu’il se passe dans nos associations et dans nos universités pour reprendre l’actualité. Ni raciste, ni anti-musulman, ce débat doit avoir lieu sans tomber dans la surenchère, qui ferait là le lit de l’extrême droite et de l’islamisme politique.

      Ne nous laissons pas piéger : les valeurs et les principes de la République française sont notre cause.

      Émilie Chalas

      https://www.placegrenet.fr/2021/03/13/tribune-emilie-chalas-islamo-gauchisme-islamophobie/457979

    • Le modèle #Sciences_Po dans la tourmente avec les #polémiques sur la « #culture_du_viol » et l’« #islamophobie »

      Ces épisodes font suite à deux autres événements à très haute tension : la vague #sciencesporcs, lancée le 7 février par une ancienne élève de l’IEP de Toulouse, la blogueuse féministe #Anna_Toumazoff, pour dénoncer « la culture du viol » dont se rendraient « complices » les directions des IEP en ne sanctionnant pas systématiquement les auteurs de #violences_sexistes et sexuelles. Enfin, le 4 mars, le placardage des noms de deux professeurs d’allemand et de science politique sur les murs de l’IEP de Grenoble, accusés de « fascisme » et d’ « islamophobie », après avoir signifié, avec véhémence parfois, leur opposition à une collègue sociologue sur la notion d’islamophobie. Le syndicat étudiant US a appelé à suspendre un cours d’un de ces enseignants dans le cas où son appel à témoignages lancé sur Facebook permettrait d’établir le caractère islamophobe de certains contenus.

      https://seenthis.net/messages/909152

    • Sciences Po Grenoble, un repaire d’« islamogauchistes » ?

      La découverte de collages accusant deux professeurs d’être des fascistes relance l’emballement médiatique contre l’"islamogauchisme" à l’université. La gravité de l’affaire tient bien sûr à l’injure dont ces enseignants sont victimes. Elle tient aussi à la polémique que les médias fabriquent, exposant deux chercheuses à la vindicte publique et appelant à la censure des savoirs critiques. (Mars 2021)

      L’#emballement_médiatique autour de l’affaire de l’IEP de Grenoble dévoile les méthodes d’une agressive campagne de #disqualification des #savoirs_critiques à l’université. L’affaire commence le 4 mars par la découverte d’un acte aussi choquant que dangereux : juste en dessous de l’inscription « Sciences Po Grenoble », gravée au-dessus du porche d’entrée, des collages s’étalent : « Des fascistes dans nos amphis. X et Y démission. L’islamophobie tue ». Deux enseignants de l’établissement, un professeur d’allemand et un maître de conférences en science politique, sont attaqués nommément et publiquement. Les affiches sont immédiatement retirées, mais l’UNEF de Grenoble en relaie les photographies sur les réseaux sociaux, avant, deux jours plus tard et alors que la polémique enfle déjà, de les supprimer (https://twitter.com/unefgrenoble/status/1368523235101380609), de s’excuser et de condamner l’affichage.

      Le ministère de l’Enseignement et de la recherche (MRSEI) diligente une mission de l’Inspection générale de l’Éducation, le ministère public ouvre une enquête pour #injure_publique et dégradation de biens et les enseignants sont mis sous protection policière. Un mois plus tard, le déroulement des faits n’est toujours pas établi officiellement et les coupables restent inidentifiés. La gravité de l’affaire tient bien sûr à l’injure dont ces enseignants sont victimes ainsi qu’à leur exposition à de potentielles vengeances terroristes : le traumatisme né de l’assassinat de Samuel Paty continue de nous bouleverser. Mais elle tient également à la manière dont l’un d’eux a utilisé sa mise en lumière médiatique pour sacrifier d’autres collègues à la #vindicte_publique, en exploitant la fable dangereuse d’un supposé « islamogauchisme » à l’université.

      Dans les médias vrombissants, ce dont l’ « islamogauchisme » est le nom

      Dans un contexte post-traumatique, on aurait pu s’attendre à ce que les médias protègent l’identité des deux victimes et, en l’absence de coupables identifiés, soient prudents avant d’accuser. Pourtant, des chaînes de télévision, de radio, des journaux surexposent immédiatement le professeur d’allemand. Celui-ci peut dénoncer en boucle, dans un tourbillon de paroles, les résultats d’une « campagne de haine » de la part de ses collègues qu’il qualifie à l’occasion de « grandes gueules » (https://www.cnews.fr/videos/france/2021-03-09/il-y-une-majorite-de-mes-collegues-qui-me-hait-maintenant-le-temoignage-de) ou de « têtes de béton » (https://www.cnews.fr/videos/france/2021-03-09/il-y-une-majorite-de-mes-collegues-qui-me-hait-maintenant-le-temoignage-de). Sans précaution, sans enquête, sans donner la parole à d’éventuel·les contradicteur·rices, des journalistes, des éditorialistes, des chroniqueur·euses, des essayistes extrapolent à partir d’un récit qu’ils et elles ne vérifient pas.

      Alors que résonnent encore les paroles de Frédérique Vidal à l’Assemblée nationale (https://www.soundofscience.fr/2671) qui déclarait vouloir lancer une enquête contre les sciences sociales, l’affaire de l’IEP de Grenoble autorise le #procès_médiatique du concept d’islamophobie dans le champ académique. L’enjeu n’est plus même d’établir si l’université serait « gangrénée » : ce qui est asséné, c’est l’urgence de la surveiller … pour sauver la liberté de pensée.

      Tout est allé très vite, puis il y eut ce moment vertigineux où, sur le plateau de Cnews (https://www.valeursactuelles.com/societe/video-il-y-a-une-pression-a-vouloir-interdire-lislamophobie-eric-z), un éditorialiste connu pour ses idées d’extrême droite et récemment condamné pour injure et provocation à la haine contre l’islam et l’immigration a recollé les morceaux d’un discours que tant de médias essaimaient. Selon lui, l’« islamogauchisme », c’est critiquer l’islamophobie à l’œuvre dans la société française : les universitaires qui documentent et analysent les discriminations spécifiques vécues par les personnes perçues comme musulmanes expriment en réalité des opinions complices avec l’islam politique. C’est bien les maillons de cette #rhétorique qui, dès le 4 mars, capturent l’espace médiatique. Entre autres innombrables exemples, sur BFM (https://www.bfmtv.com/societe/grenoble-une-enquete-ouverte-apres-des-accusations-d-islamophobie-contre-deux), un journaliste de Marianne affirme que, à l’université, « le mot islamophobie a été imposé par des activistes » ; par trois fois, un journaliste de France culture qualifie d’« opinion » (https://www.franceculture.fr/emissions/linvitee-des-matins/liberte-dexpression-liberte-denseigner-le-casse-tete-des-professeurs-a

      ) les travaux sur les discriminations liées à l’islamophobie cités par un professeur du Collège de France qui par trois fois dément ; ou encore, sur Public Sénat (https://www.publicsenat.fr/article/parlementaire/laicite-a-l-universite-bientot-une-commission-d-enquete-au-senat-188006), une sénatrice du Rassemblement démocratique et social européen (RDSE), déclare que « les idéologies ne doivent plus pouvoir s’imposer comme elles le font au cœur de notre université » et elle dénonce à la fois la « pression de l’islamisme » et le « militantisme d’extrême gauche ».

      Plus que toute autre, cette séquence médiatique a confondu les discours et les faits, a vidé les mots de leur substance dans une cacophonie bloquant toute possibilité d’analyse. La confusion intellectuelle profitant rarement à l’information, il semble important de reprendre le chemin des faits pour comprendre leur torsion. Finalement, qui a été victime de censure à l’IEP de Grenoble ? Qui a été jeté en pâture sur les réseaux sociaux ? Qui pourrait être censuré à l’université ? Et si intention de censure il y a, quels sont les savoirs particulièrement visés ?

      Islamophobie : le mot qui censure

      Chaque année, à l’IEP de Grenoble, les étudiant·es et les enseignant·es organisent une « Semaine pour l’égalité et contre les discriminations ». À l’automne, dans le cadre de leur préparation et après un sondage en ligne, le comité de pilotage a validé un atelier intitulé « Racisme, islamophobie, antisémitisme ». Le professeur d’allemand victime des collages a reconnu s’être inscrit à cet atelier pour en contester le titre : selon lui, le terme « islamophobie » ne devait pas y figurer, car il est « l’arme de propagande d’extrémistes plus intelligents que nous ». Pandémie oblige, la préparation se déroule à distance et, dans un échange de mails, une enseignante-chercheuse en histoire rattachée au laboratoire du CNRS Pacte défend la pertinence intellectuelle de l’atelier.

      Dans les médias, le professeur d’allemand réduit l’affaire des collages à l’« islamogauchisme » de ses collègues. L’affichage serait l’ultime étape d’une « campagne de diffamation et finalement de haine de plus en plus violente » (https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/03/07/enquete-pour-injure-publique-apres-des-accusations-d-islamophobie-a-sciences) qui aurait fait suite au conflit l’ayant opposé à sa collègue historienne autour du mot « islamophobie ». Sur BFM (https://www.bfmtv.com/societe/grenoble-une-enquete-ouverte-apres-des-accusations-d-islamophobie-contre-deux), il regrette d’ailleurs amèrement n’être soutenu par aucun·e collègue de son établissement, ce que ceux et celles-ci démentiront dans une tribune du Monde (https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/03/17/professeurs-accuses-d-islamophobie-cette-affaire-est-une-illustration-des-pr). Sur Europe 1 (https://www.europe1.fr/societe/grenoble-un-professeur-accuse-dislamophobie-regrette-le-manque-de-soutien-de), il affirme que les vrais responsables ne sont pas les étudiant·es, mais ses collègues « loin à gauche et (qui) ont plutôt des sympathies pour ceux qui défendent le terme islamophobie ». Dans Le Monde (https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/03/08/sciences-po-grenoble-enquete-ouverte-apres-les-accusations-d-islamophobie-co), il confirme que ces mêmes collègues auraient voulu le « punir (…) pour avoir exprimé un avis différent de la doxa d’extrême gauche ». Sur France 5 (https://www.youtube.com/watch?v=UU2oFWzDm3s

      ), il prétend avoir été « annulé » et « exclu du groupe de travail parce que les étudiants se disaient blessés par (ses) paroles ».

      Les médias font #caisse_de_résonance. France bleu (https://www.francebleu.fr/infos/education/le-nom-de-deux-professeurs-accuses-d-islamophobie-placardes-a-l-entree-de) précise que l’enseignante-chercheuse mise en cause était rattachée au laboratoire Pacte, justement « opposé à la volonté de la ministre de l’Enseignement supérieur d’enquêter sur l’islamogauchisme ». Pour la République des Pyrénées (https://www.larepubliquedespyrenees.fr/2021/03/08/islamo-gauchisme-l-illustration-grenobloise,2796550.php), l’enseignant a fait l’objet de « harcèlement interne ». Sur le plateau de LCI (https://www.lci.fr/societe/video-le-parti-pris-de-caroline-fourest-grenoble-aux-origines-de-l-intolerance-2), un journaliste influent se demande « comment une telle volonté de faire taire est possible » et une journaliste de L’Opinion, visant les collègues du professeur, se scandalise de « ce que ces gens foutent à Sciences Po ». Dans Marianne (https://www.marianne.net/agora/les-signatures-de-marianne/iep-de-grenoble-ou-sont-les-fascistes), une journaliste titre sur les « fascistes » de l’IEP de Grenoble.

      Pourtant … Selon les dires du professeur d’allemand lui-même, il avait participé sans retenue aux discussions de préparation de l’atelier. Entre les lignes mêmes de son discours émerge un récit différent dont le murmure reste couvert par le vacarme de la polémique : « chasse à l’homme » (https://www.francebleu.fr/infos/education/le-nom-de-deux-professeurs-accuses-d-islamophobie-placardes-a-l-entree-de) selon ses propres mots, « campagne de haine », « terrorisme intellectuel » (https://www.lefigaro.fr/flash-actu/sciences-po-grenoble-pecresse-denonce-un-terrorisme-intellectuel-20210307), « chasse aux sorcières », « police de la pensée », « cancel culture », « virus mortifère » … « Affaire sordide démontrant toute la réalité d’un islamo-gauchisme répugnant » tranche Marine Le Pen (https://www.publicsenat.fr/article/parlementaire/laicite-a-l-universite-bientot-une-commission-d-enquete-au-senat-188006). Tout de même, on apprend dans Le Monde (https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/03/08/sciences-po-grenoble-enquete-ouverte-apres-les-accusations-d-islamophobie-co) que le professeur d’allemand avait en réalité gagné la partie puisque l’institution avait fini par retirer le mot « islamophobie » du titre de l’atelier sans que sa collègue ne s’oppose d’aucune manière à cette décision. Et une semaine après le début de l’affaire, le 12 mars, une enquête détaillée de David Perrotin dans Mediapart (https://www.mediapart.fr/journal/france/110321/accusations-d-islamophobie-la-direction-de-sciences-po-grenoble-laisse-le-) en délivrait finalement une toute autre version.

      Dans l’échange initial de mails qui semble avoir tout déclenché, et dont un groupe d’étudiant·es étaient en copie, l’historienne reconnaissait le droit de questionner le terme « islamophobie », mais affirmait – références bibliographiques à l’appui – la validité scientifique du concept. En réponse, le professeur d’allemand se moquait des sciences sociales qu’il qualifiait de « molles », dénonçant la position de sa collègue comme une « imposture » et accusant un champ académique « devenu partisan et militant ». On apprend également deux choses importantes : contrairement à ses affirmations, d’une part le professeur n’a jamais été exclu d’un groupe de travail qu’il a en fait quitté après avoir obtenu gain de cause ; d’autre part il n’a jamais été dénoncé par un communiqué public.

      Les révélations de Mediapart sont troublantes. Les extraits des courriels font clairement apparaître que le professeur d’allemand n’a pas été censuré et que ses propos outrepassaient les limites : saisi, le Défenseur des droits a d’ailleurs estimé qu’il avait bafoué les droits de sa collègue au titre des textes de loi encadrant l’Éducation. Pourtant, plusieurs journalistes avaient affirmé avoir lu ces échanges : par exemple, sur LCI (https://www.lci.fr/societe/video-le-parti-pris-de-caroline-fourest-grenoble-aux-origines-de-l-intolerance-2), l’une avait loué le « répondant » du professeur d’allemand, raillant l’historienne qui, selon elle, « n’avait rien à dire ». Ainsi, alors même qu’ils et elles disposaient de nombreux éléments matériels, des journalistes ont considéré que celui qui avait agressé une collègue et obtenu la suppression du mot « islamophobie » avait été victime de censure. Plus inquiétant encore que cette inversion dans les ternes du jugement, l’article de David Perrotin n’a pas suffi à fixer les faits : deux jours après sa parution, Le Point (https://www.lepoint.fr/debats/klaus-kinzler-a-l-universite-le-gauchisme-culturel-est-une-realite-10-03-202), dans une nième interview du professeur d’allemand, republiait les contrevérités que Mediapart venait de démasquer. Tout se passe donc comme si, le simple usage du mot « islamophobie » autorisait toutes les violences et les accusations en retour : paradoxalement, ceux et celles qui l’interdisent s’estiment à bon droit censuré·es.

      Accusations, dénigrement, menaces sur les réseaux sociaux : les victimes qui ne comptent pas

      Dès leur découverte, les collages nominatifs sont dénoncés par l’ensemble de la classe politique et les deux principaux syndicats étudiants locaux nient être à l’origine du délit. Pourtant, alors que les coupables ne sont pas identifiés, des journalistes (https://www.cnews.fr/france/2021-03-07/grenoble-enquete-ouverte-apres-des-accusations-dislamophobie-sciences-po-10553) et des politiques les accusent. Valérie Pécresse n’hésite pas : dans Le Figaro (https://www.lefigaro.fr/flash-actu/sciences-po-grenoble-pecresse-denonce-un-terrorisme-intellectuel-20210307), elle leur reproche « d’avoir mis une cible dans le dos des enseignants » et estime qu’« il faut que l’université porte plainte contre ces étudiants ». L’ancienne ministre qui naguère, au sujet des affaires liées à Nicolas Sarkozy (https://www.radioclassique.fr/magazine/videos/sarkozy-jai-de-la-peine-a-croire-a-cette-affaire-je-respecte-la-preso), expliquait que la présomption d’innocence l’emportait sur tout autre principe va cette fois beaucoup plus vite en besogne.

      Si « les étudiant·es » sont collectivement dénoncé·es, la presse livre le nom de l’historienne et aussi de la directrice du Pacte. Car le professeur d’allemand cible d’emblée ce laboratoire lui reprochant de l’avoir « harcelé » suite à un « entretien tout à fait anodin entre deux professeurs » puis de l’avoir « jeté en pâture » aux étudiants.

      On sait pourtant, grâce à Mediapart, que non seulement l’entretien n’était pas « anodin », mais agressif, mais plus encore que le laboratoire Pacte n’a rien diffusé : sans citer le nom du professeur, il s’est contenté d’adresser aux personnes concernées un communiqué de soutien à l’enseignante-chercheuse. Et c’est en fait le professeur lui-même qui a publié sur son blog les échanges de mails et le communiqué de Pacte, non sans l’avoir falsifié en créant un biais cognitif pour s’ériger en victime.

      Pourtant, le 9 mars, sur Cnews, un chroniqueur n’hésite pas à qualifier la directrice du Pacte, de « militante ». Or, cette professeure des universités, membre honoraire de l’Institut universitaire de France, docteure, agrégée et ancienne élève de l’ENS Fontenay n’a pas seulement réussi des concours parmi les plus difficiles de la République, mais est aussi une géographe dont les travaux sont reconnus internationalement. Sur les réseaux sociaux, son nom et sa photographie circulent. Entre deux messages antisémites, des personnes se présentant comme « patriotes », proches de « Générations identitaires » ou de « Marine » l’accusent d’avoir lancé une « fatwa » contre deux professeurs, l’insultent, l’intimident et vont jusqu’à la menacer de mort. Aucun·e des journalistes, chroniqueur·euse, éditorialiste, animateur·rice ne regrettera d’avoir jeté son nom en pâture, comme si la violence de l’extrême droite ne comptait pas.

      L’indifférence des médias à l’intégrité morale et physique d’universitaires accusés d’ « islamogauchisme » s’était déjà manifestée lorsqu’en octobre, sur les réseaux sociaux, le sociologue Éric Fassin avait été menacé de « décapitation » par un néonazi. Au moment même de l’affaire de l’IEP de Grenoble, un homme proche de l’extrême droite diffusait, sur ces mêmes réseaux sociaux, un lien vers son blog où il publiait une liste d’universitaires ciblant les « 600 gauchistes complices de l’Islam radicale [sic] qui pourrissent l’université et la France ». Aucun journaliste ne s’en est ému et deux journaux, classés à gauche, ont refusé la tribune de ces universitaires qui s’alarmaient d’être ainsi lâchés à la haine publique.

      Tout aussi grave, le silence institutionnel assourdissant. L’IEP de Grenoble soutient certes les deux collègues de Pacte mises en cause, en leur assurant la protection fonctionnelle, mais n’a pas pris publiquement leur défense. Un mois après les faits, la mission pourtant « flash » de l’inspection générale du MRSEI a peut-être rendu ses conclusions, mais rien n’en a filtré. Le ministère a laissé attaquer un laboratoire que ses propres instances d’évaluation ont pourtant considéré comme « produisant une recherche de qualité exceptionnelle » (https://www.hceres.fr/sites/default/files/media/downloads/a2021-ev-0380134p-der-pur210020925-032594-rf.pdf) sans juger utile de se manifester dans les médias. Il a laissé prendre à partie, sans aucune forme de contre-communication, sa directrice dont le Haut conseil de l’évaluation de la recherche et de l’enseignement supérieur (HCERES) louait pourtant le « pilotage fondé sur la transparence et la confiance » (https://www.hceres.fr/sites/default/files/media/downloads/a2021-ev-0380134p-der-pur210020925-032594-rf.pdf).

      Quand l’opinion censure le travail scientifique

      L’affaire de l’IEP de Grenoble éclaire la #double_censure qui, selon de nombreux médias, menace aujourd’hui l’université. Pour ces journalistes, le simple fait qu’un atelier soit intitulé « Racisme, islamophobie, antisémitisme » censurerait les adversaires de l’islamophobie. De plus, lorsque l’historienne maintient que l’islamophobie est un concept reconnu dans le champ académique, elle censurerait le professeur d’allemand intuitu personae. Ainsi, lorsque sur France infos (https://www.francetvinfo.fr/faits-divers/je-pense-a-ce-qui-est-arrive-a-samuel-paty-le-nom-de-deux-professeurs-a) celui-ci affirme que « la liberté d’expression n’existe plus à Sciences Po » parce que « débattre de l’Islam (y) est devenu impossible », ses propos expriment la conviction déjà consolidée de bien des journalistes.

      Ceux et celles-là analysent l’échange de mails comme un débat d’opinion où toutes les opinions ne se vaudraient pas, et en même temps, comme une controverse scientifique tronquée puisque l’une des parties « se drape(rait) dans les atours de la science » pour porter des idées militantes. Confondant tout, ils et elles défendent la liberté de quiconque de contester des recherches dont la scientificité ne résisterait pas à la simple opinion du professeur d’allemand.

      Sur BFM (https://www.dailymotion.com/video/x7zt61o

      ), une essayiste affirme que « l’islamophobie est une idéologie pure ». Pour elle, c’est « l’opinion qui prévaut dans les sciences sociales. Ils sont en train de dire l’islamophobie ça existe parce que ce labo nous l’a dit ». Certes, le professeur d’allemand exprime également son opinion, mais elle aurait plus de valeur que celle du « laboratoire » parce qu’elle est « divergente ». La polémiste-essayiste conclut en remerciant « Frédérique Vidal qui bien fait de mettre les pieds dans le plat : les sciences sociales fabriquent de la censure ».

      Pour une journaliste de Marianne (https://www.marianne.net/agora/les-signatures-de-marianne/iep-de-grenoble-ou-sont-les-fascistes), il s’agit d’une controverse scientifique entre pair·es : en écho à l’argument du professeur d’allemand sur BFM, selon lequel « si critiquer les résultats d’une collègue est un harcèlement, c’est la fin de la science », elle interroge : « comment une enseignante peut-elle se plaindre officiellement de harcèlement parce qu’un de ses collègues, dans des courriels longs et argumentés (…) récuse une part de (ses) travaux ? ».

      Or, la discussion entre les deux collègues est très éloignée de la fameuse disputatio universitaire, car les deux collègues n’y sont pas exactement à égalité : l’historienne des sociétés colonisées du Maghreb parle depuis son champ de recherche, tandis que le professeur d’allemand polémique avec fureur. L’argumentation du professeur d’allemand entrelace ses goûts, ses dégoûts, ses opinions, l’invective ainsi qu’une série de banalités qui infusent aujourd’hui le débat et dont on oublie qu’elles sont nées à l’extrême droite : il a peu de sympathie pour l’Islam, préfère le Christ qui pardonne à la femme adultère, rappelle que les musulmans ont été de « grands esclavagistes », que beaucoup d’entre eux sont des « antisémites virulents », s’étonne de ne pas les voir par millions dans la rue se désolidariser des terroristes et tient à affirmer que le racisme vise aussi les blancs. Lorsqu’il argue que les trois concepts du titre ne devraient pas être alignés, sa collègue historienne répond qu’« utiliser un concept ne dispense pas d’en questionner la pertinence ». Le titre aurait pu être interrogé lors de l’atelier et la juxtaposition de termes peut valoir autant alignement que désalignement, engager à confronter les unes aux autres des notions qui apparemment se font écho : tout est affaire de problématisation. Certes, la « Semaine pour l’égalité et contre les discriminations » est une activité extracurriculaire proposée par Science Po Grenoble : ce n’est ni un cours ni un colloque scientifique. Cela ne veut pas dire que les professeurs volontaires pour y participer le fassent hors de leur cadre professionnel : ils interviennent là dans leur environnement de travail et doivent se conformer aux règles qui le régissent, notamment celles de « bienveillance », « objectivité » et « laïcité », trois piliers du Code de l’Éducation.

      La polémique telle que les médias la fabrique retourne donc tous les principes de la #déontologie professionnelle et de l’#éthique scientifique : l’agressivité, l’absence de collégialité, l’opinion partisane et le mépris des savoirs deviennent, par exemple sur LCI, « l’esprit critique et la raison » (https://www.lci.fr/societe/video-le-parti-pris-de-caroline-fourest-grenoble-aux-origines-de-l-intolerance-2).

      Limiter la liberté académique au nom de la liberté

      Écrits à l’automne, les mails du professeur d’allemand annoncent les propos de Frédérique Vidal cet hiver. Le premier dénonçait « les conclusions strictement hallucinantes » des « ”gender studies”, ”race studies” et autres ”études postcoloniales” (liste loin d’être exhaustive !) ». Sur Cnews et à l’Assemblée nationale, la seconde cible en février les mêmes champs d’études auxquels elle ajoute les études décoloniales et l’intersectionnalité. Et l’un comme l’autre fourrent ces différents champs d’études dans le grand sac de l’ « islamogauchisme ».

      En pleine polémique, dans un éditorial de La République des Pyrénées (https://www.larepubliquedespyrenees.fr/2021/03/08/islamo-gauchisme-l-illustration-grenobloise,2796550.php), un écrivain et journaliste note que « si ce qui s’est passé à Grenoble n’est pas la manifestation de l’islamogauchisme, cela y ressemble beaucoup ». En cohérence avec l’imaginaire de la pandémie, il fustige le « virus mortifère (…) qui se propage (…) à l’université où des minorités agissantes mènent des campagnes contre des enseignants qui ne s’inscrivent pas dans leur doxa racialiste, décoloniale, intersectionnelle et autres ».

      Sur BFM (https://atlantico.fr/article/video/le-debat-sur-l-islamo-gauchisme-est-il-possible-iep-grenoble-islamophobie-), un journaliste d’Atlantico, invité régulier de France Info, prétend que cela le « fait rire » quand il entend que « l’islamogauchisme n’existe pas (…) La complaisance d’une certaine gauche avec les arguments de l’Islam politique, ça a été étudié dans le monde entier ». Et de poursuivre, comme si le lien logique s’imposait : « c’est la même chose avec les études de genre (…) Ce qui est très grave dans une démocratie, c’est la prétention scientifique des études de genre. C’est complètement contraire à la liberté académique et c’est contraire à la liberté d’expression et cela ne correspond pas à ce que l’on peut attendre dans une démocratie ».

      Principe fondamental reconnu par les lois de la République et consacré par la décision du Conseil constitutionnel du 20 janvier 1984, la liberté académique est celle que le droit garantit aux universitaires de mener les recherches et les enseignements qu’ils et elles veulent, sans subir de pressions économiques ou politiques. Ce jour-là sur BFM, avec brutalité et sans limites, un journaliste a déclaré que des pans entiers des sciences sociales –auxquels lui-même ne connaît rien– mettent en péril la démocratie : en quelque sorte, l’usage de la liberté académique dans le champ des études de genre menace la liberté académique ; la seule solution semble alors bien de supprimer la liberté académique … pour les chercheur·es en études de genre.

      Pour certain·es journalistes, les sciences sociales usurpent donc le nom de science dès lors qu’elles troublent le sens commun : les savoirs critiques sont dangereux pour la société. Il reste un point, vérifiable, sur lequel on ne saurait leur donner raison : loin d’avoir été étudié dans « le monde entier », l’islamogauchisme semble être une obsession française. Pour objectiver sa fragilité empirique, on pourra, par exemple, consulter dans la revue Mouvements (https://mouvements.info/trois-mythes-sur-l-islamo-gauchisme-et-laltermondialisme) un récent article de Timothy Peace. La bibliothèque numérique Jstor qui archive douze millions d’articles de revues scientifiques de 160 pays dans 75 disciplines, signale trois références pour « islamo-gauchisme » et 17 pour « #islamo-leftism » ; seules quatre se réapproprient la notion tandis que les autres la déconstruisent. À titre de comparaison, le mot-clé « islamophobia » propose 5388 références : pas de doute, la « notion fourre-tout inventée de toute pièce » (https://www.europe1.fr/societe/grenoble-un-professeur-accuse-dislamophobie-regrette-le-manque-de-soutien-de) que le professeur d’allemand a dénoncée lors de sa semaine de célébrité médiatique nomme un champ de recherche. Comme tous les autres, il est traversé par la construction de controverses : celles-ci se déploient selon des méthodologies éprouvées et dont les chercheur.es doivent pouvoir rendre compte. L’opinion libre peut bien sûr questionner ces résultats à tout moment, mais ne peut les nier sans se soumettre à son tour à la rigueur qui fait la science. Le nier c’est sombrer dans un monde de post-vérité que d’aucuns appellent de leurs vœux du fait de son potentiel électoral. Le débat ouvert autour des sciences humaines et sociales doit en effet interpeler les mondes scientifiques dans toute leur diversité, c’est la seule échelle possible de riposte à la violence de l’offensive idéologique en cours.

      https://blogs.mediapart.fr/edition/fac-checking/article/140421/sciences-po-grenoble-un-repaire-d-islamogauchistes

    • Sciences Po Grenoble : « Un crash-test du débat public pour 2022 »

      En mars, la mise en cause de deux profs avait suscité un large emballement médiatique et politique. En première ligne dans cette affaire, ciblée et harcelée, la chercheuse Anne-Laure Amilhat-Szary contre-attaque. Elle s’exprime pour la première fois dans « À l’air libre ».

      https://www.youtube.com/watch?v=3S91o5G6wvk

    • #CNews, première chaîne d’#intox de France… avec le soutien de l’Élysée

      Une autre affaire montre que ce goût pour la #délation peut avoir de graves conséquences sur les personnes désignées à la furie de la fachosphère.. Jeudi soir, l’émission À l’air libre, réalisée par Mediapart, reçoit #Anne-Laure_Amilhat_Szary, directrice à Grenoble du laboratoire Pacte du CNRS. Je conseille vivement de regarder son témoignage (en accès libre) pour prendre la mesure de la gravité des agissements de M. Pascal Praud. Ce dernier a mis en cause l’universitaire lors de l’affichage des noms de deux professeurs de Sciences Po Grenoble accusés d’islamophobie. Affichage que l’intéressée a toujours vigoureusement condamné. Affichage consécutif à une controverse entre un prof militant et une chercheuse de son laboratoire qu’Anne-Laure Amilhat-Szary a défendue dans un communiqué ensuite falsifié par #Klaus_Kinzler, le prof en question.

      Pascal Praud s’est empressé d’inviter ce professeur, qui déclare alors : « Un grand chercheur directeur de laboratoire de recherche se met en dehors de la science. Il ne comprend même pas, c’est une femme d’ailleurs, elle ne comprend même pas ce que c’est, la science. — Ce laboratoire, Pacte, avec cette dame…, rebondit Pascal Praud. Je vais citer son nom, Anne-Laure Amilhat-Sza… Szaa… Szary. » La délation est un métier. « Cette dame-là, c’est la directrice du laboratoire mais cette dame, c’est une militante. — C’est une militante. C’est des gens qui ne réfléchissent même pas. — Oui mais qui se croient tout permis et qui avancent avec le sentiment d’impunité. C’est très révélateur, on voit le #terrorisme_intellectuel qui existe dans l’université à travers leur exemple. »

      https://www.telerama.fr/sites/tr_master/files/styles/simplecrop1000/public/assets/images/capture_decran_2021-05-07_a_14.02.17.png?itok=DB-qutXJ

      Sur le plateau de Mediapart, Anne-Laure Amilhat-Szary raconte la suite. « La ministre de l’Enseignement supérieur dit que c’est insensé de livrer des noms d’enseignants-chercheurs à la vindicte des réseaux sociaux, or ça a été mon cas. J’ai fait l’objet d’une campagne diffamatoire avec menaces de mort nombreuses et répétées. » Au point de devoir porter plainte pour « #cyber-harcèlement et menaces de mort ». « Comment vous avez vécu tout ça ?, demande Mathieu Magnaudeix. — Mal. Et comme la preuve que l’intersectionnalité est une bonne grille d’analyse puisque j’ai fait l’objet d’insultes islamophobes, antisémites, sexistes, avec une critique de mon physique avec mon portrait transformé… Je vous laisse imaginer le pire. » Le pire sciemment provoqué par Pascal Praud.

      https://www.telerama.fr/sites/tr_master/files/styles/simplecrop1000/public/assets/images/capture_decran_2021-05-07_a_13.42.37_0.png?itok=No7NkS6H

      « Je n’ai pas de protection judiciaire, regrette Anne-Laure Amilhat-Szary. Elle a été demandée et on n’en a plus jamais entendu parler. La ministre a défendu des personnes qui ont effectivement été mises en danger par des affichages criminels et moi, je me débrouille toute seule. » Comme se débrouillent toutes seules les journalistes #Morgan_Large et #Nadiya_Lazzouni, respectivement victimes d’#intimidations (dont un sabotage de voiture) et de menaces de mort, sans qu’elles obtiennent la #protection_policière demandée — et soutenues par de nombreuses organisations de journalistes.

      https://seenthis.net/messages/915846

    • Retour à Sciences Po Grenoble, où l’ambiance reste très dégradée trois mois après l’affaire des affiches dénonçant des professeurs

      Au cœur de vives polémiques à Grenoble et à Paris au mois de mars 2021, l’Unef a retrouvé une relative sérénité. L’affaire des réunions non mixtes a poussé le Sénat à adopter un amendement qui ne s’appliquera probablement pas au syndicat.

      « Des fascistes dans nos amphis », « L’islamophobie tue ». Le 4 mars 2021, la branche de l’Unef Grenoble relaie sur son compte Twitter des collages situés sur la façade de Sciences Po, avec le nom de deux professeurs, accusés d’islamophobie. Le syndicat retire son tweet mais la polémique prend une ampleur nationale. Quelques jours plus tard, le syndicat étudiant au niveau national est accusé de discriminations à la suite de la mise en place de réunions non-mixtes. La cellule investigation de Radio France a voulu savoir, deux mois après, ce qu’il reste de ces évènements.
      Des accusations d’islamophobie

      À Grenoble, la situation est encore tendue, et l’incompréhension demeure. Fin novembre 2020, dans le cadre de la préparation de l’édition 2021 de la Semaine de l’égalité, deux professeurs de Sciences Po Grenoble (IEPG, Institut d’études politiques de Grenoble) s’opposent à une enseignante-chercheuse membre du laboratoire de sciences sociales Pacte à propos des termes d’une table ronde intitulée « Racisme, antisémitisme et islamophobie ». Les deux professeurs, dont fait partie Klaus Kinzler, qui enseigne l’allemand au sein de l’IEPG, demandent à ce que soit retiré le mot islamophobie, considérant que ce terme ne vise pas des personnes en raison de leur race ou de leur origine, mais juste une religion.

      Le débat s’enflamme. La querelle est mise sur la place publique. Les deux professeurs deviennent des cibles sur les réseaux sociaux. « Le 22 février 2021, des étudiants de l’Union syndicale Sciences Po Grenoble [une scission de l’Unef], le syndicat majoritaire à l’IEPG, lancent sur Facebook un appel à témoignages sur d’éventuels propos problématiques qui auraient pu être tenus dans un cours qui s’appelle ’Islam et musulmans en France’, raconte Simon Persico, professeur à Sciences Po Grenoble. Cet appel à témoignages contient des accusations, même si le nom de l’enseignant n’apparaît pas. »

      Appel à témoignage lancé sur Facebook par l’Union syndicale Sciences Po Grenoble.

      Sous la pression, l’enseignante retire l’islamophobie de l’intitulé du débat. La rupture est consommée entre le laboratoire Pacte et les deux opposants. Le climat se dégrade. L’enseignante se voit prescrire un arrêt maladie, et les deux professeurs opposés au débat se disent harcelés. « Il y a eu deux étapes, explique Klaus Kinzler. L’une vient de collègues, des chercheurs qui m’accusent en public de harcèlement. Il y a ensuite une deuxième tentative par des étudiants extrémistes, qui disent que je suis un extrémiste de droite et islamophobe. »
      "Bonjour à nos ayatollahs en germe"

      Fin février, Klaus Kinzler, qui se voit reprocher d’avoir bu une bière devant son écran lors d’un conseil de vie étudiante, écrit un mail « humoristique » aux étudiants syndiqués qui commence par « Bonjour tout le monde ! Bonjour surtout à nos petit.e.s Ayatollahs en germe » (sic). Un mail qu’il conclut en signant par : « Un enseignant ’en lutte’, nazi de par ses gènes, islamophobe multirécidiviste (…) recherché intensément par la branche islamo-gauchiste d’Interpol Grenoble. » Des propos qui ne vont pas apaiser les choses.

      « J’étais extrêmement déprimé, se justifie aujourd’hui le professeur, les premiers étudiants commençaient à me dire en cours : ’Pourquoi vous n’aimez pas les musulmans ?’ Je sentais que je ne pouvais plus enseigner dans ces conditions, je me suis mis en congé maladie. »

      Cinq jours plus tard, le 4 mars, ces collages avec les noms de deux professeurs apparaissent sur la façade de Sciences Po Grenoble. Ils sont tweetés par une responsable de l’Unef Grenoble dans la foulée. « La condamnation de ces affiches a été extrêmement rapide et ferme par la direction et toutes les instances de Sciences Po, puis par tous les collègues, se souvient Simon Persico. L’Unef Grenoble va alors très vite faire marche arrière. »

      Les instances parisiennes de l’Unef interviennent en effet pour faire retirer le tweet. « Ça ne correspondait pas du tout à notre mode d’action, confirme Mélanie Luce, la présidente de l’Unef. Pour nous, quels que soient les propos tenus, ce n’est pas avec ce qu’on appelle le ’name and shame’ [nommer pour faire honte] qu’on va régler nos problèmes. Les dénonciations publiques ne sont en aucun cas une solution. »
      "Ils resteront des cibles"

      Malgré la suppression du tweet, les noms des deux professeurs se répandent, une enquête est ouverte par le parquet de Grenoble, car l’incident se produit après l’assassinat de Samuel Paty. Beaucoup redoutent les conséquences de cette exposition publique. « Ce collage ne partira jamais d’Internet, redoute Amaury Pelloux-Gervais, étudiant en droit et président de l’Uni Grenoble. Des gens penseront toujours que ces professeurs sont islamophobes. Ils resteront des cibles. »

      Le ministère de l’Intérieur envoie alors des policiers pour surveiller le domicile de cinq personnes, dont celui des professeurs concernés et du leader de l’Union syndicale de Sciences Po. « Très vite, le nom de ce dernier circule, mis en pâture sur les réseaux sociaux, critiqué comme s’il était complice de ces actes-là, se souvient encore l’universitaire Simon Persico. La collègue qui organisait la conférence sur l’islamophobie est, elle aussi, mise sous protection, ainsi que la directrice du laboratoire Pacte. »

      Tous sont devenus des cibles d’anonymes qui se déchaînent sur les réseaux sociaux. Les deux enseignants opposés au débat sur l’islamophobie, classés plutôt à droite, sont visés par une sphère de gauche, tandis qu’Anne-Laure Amilhat-Szary, directrice du labo Pacte auquel appartient l’enseignante qui voulait organiser le débat sur l’islamophobie, se sent, elle, menacée par l’extrême droite : « Je suis mise en cause par des propos diffamatoires qui ont un caractère sexiste. On me dit que je n’ai pas les capacités pour diriger un laboratoire, on s’attaque à mon apparence, on se demande si je suis ’baisable’ ou pas... On s’attache à détruire mon être intime de femme. »

      Une ambiance détestable qui ne date pas d’hier

      Plus de deux mois après ces évènements, les tensions entre certains étudiants et certains professeurs, mais aussi entre les enseignants eux-mêmes, n’est toujours pas retombée. Klaus Kinzler n’a toujours pas réintégré sa classe à Sciences Po. « On m’a déconseillé dans la situation actuelle d’être en contact avec les étudiants, déplore-t-il. L’atmosphère est encore très pourrie à l’IEPG. Des mails circulent où on nous reproche tous les maux. On est persona non grata, comme des pestiférés. »

      Un rapport du ministère de l’Enseignement supérieur indique que « le collage du 4 mars est l’aboutissement d’une crise qui naît d’une controverse entre deux enseignants, et tourne au règlement de comptes orchestré par une organisation étudiante ». Mais cette crise ne date pas d’hier. Selon Amaury Pelloux-Gervais, de l’Uni, « une capture d’écran de 2017 montrait déjà que sur un groupe Facebook d’étudiants de Sciences Po, un message de l’Unef Grenoble, aujourd’hui l’Union syndicale, demandait des témoignages d’islamophobie, de sexisme, de racisme de la part des mêmes professeurs ».
      « Ils ont fait de la surenchère »

      Outre leurs divergences politiques et idéologiques sur l’islam, il y aurait aussi une fracture générationnelle entre enseignants, selon Klaus Kinzler, qui estime que les jeunes professeurs seraient plus radicaux qu’avant : « On a assisté à un changement générationnel. Des professeurs de la vieille école, non politisés, érudits, d’une très grande culture et très respectés, ont cédé leur place à une nouvelle génération de jeunes maîtres de conférences et professeurs dans les 35 ans, qui sont extrêmement militants et politisés. »

      Les professeurs de sciences sociales, notamment ceux du laboratoire Pacte, réfutent cette analyse. Eux ont le sentiment que leurs deux collègues ont fait de la surenchère. « La campagne médiatique dans laquelle ils se sont engagés nous a blessés, regrette Simon Persico, également membre de Pacte. Cela a contribué à rendre public des noms de collègues, qui se sont fait menacer, insulter. Et cela a dressé un tableau de Sciences Po Grenoble très caricatural, comme si on était un lieu dans lequel on ne pouvait pas avoir de discussion sereine, dans lequel la liberté d’expression était bafouée alors que ce n’est pas du tout le cas. On est habitués au débat pluraliste, respectueux des opinions diverses. » Simon Persico leur reproche aussi de remettre en cause l’intérêt des sciences sociales. « En disant qu’elles ne servaient à rien, voire qu’elles n’étaient pas des sciences, cela nous a beaucoup blessés puisque c’est le cœur de notre métier, notre conviction profonde. »

      Le 4 mai 2021, le procureur de Grenoble a ouvert une enquête pour « injure, diffamation, harcèlement et cyberharcèlement ». Elle cible surtout les étudiants qui ont placardé les affiches. Le rapport de l’inspection générale de l’éducation, quant à lui, met en cause le comportement de l’Union syndicale Sciences Po Grenoble. Mais il pointe aussi des erreurs et des manquements de tous les acteurs de cette affaire, qui ont créé un climat de tension.
      Autre polémique : les réunions non-mixtes

      L’Unef a par ailleurs été dans le viseur de nombreuses personnalités politiques, pour avoir organisé des réunions non-mixtes. Le 19 mars 2021, le ministre de l’Éducation Jean-Michel Blanquer réagit sur RMC : « C’est profondément scandaleux, des gens qui se prétendent progressistes et qui distinguent les gens en fonction de la couleur de leur peau, nous mènent vers des choses qui ressemblent au fascisme. »

      L’idée de mettre en place des réunions non-mixtes n’est pas récente. En 2013, l’Unef constate que la culture dominante en son sein est très machiste. Le syndicat décide de lancer des groupes de parole réservés aux femmes. « Elles voulaient se réunir pour parler des violences qu’elles ont pu subir, et ne pas se retrouver face à quelqu’un qui aurait pu commettre ces violences, explique Mélanie Luce, l’actuelle présidente de l’Unef. Le sexisme intériorisé fait qu’une femme a beaucoup plus de difficulté à prendre la parole dans un cadre collectif qu’un homme. »

      « C’est le principe de fonctionnement des Alcooliques Anonymes, abonde Anne-Laure Amilhat-Szary, directrice du laboratoire Pacte à Grenoble. Des gens osent parler de leurs défauts, de leurs problèmes, parce qu’ils sont entre eux et qu’ils sentent que la règle est la bienveillance. Des réunions non-mixtes, il y en a à tous les étages. Les francs-maçons en sont un exemple privilégié, à l’autre extrémité du champ social. »
      Abolir la culture du sexisme

      Au sein de l’Unef, ces réunions appelée non-mixtes, mais dont la participation est libre, ont lieu une à deux fois par an. Elles réunissent des membres du bureau national et des militants des sections locales. « On ne cite pas de nom, tout est anonyme. L’objectif n’est pas la délation, assure Mélanie Luce. Il est d’identifier les problématiques globales qui émergent. Ensuite, un compte rendu est fait, dans un cadre mixte. »

      À la suite de ces réunions, le bureau national de l’Unef a lancé des procédures d’exclusion contre des cadres du syndicat. Depuis 2018, il a ainsi exclu quatre personnes, et quatre autres ont démissionné d’eux-mêmes. Le syndicat fait aussi remonter des signalements aux autorités universitaires. C’est notamment le cas à Paris-Dauphine, où un premier dossier est instruit par l’administration.
      Prise en compte de toutes les discriminations

      Le modèle de ces réunions non-mixtes contre le sexisme, a ensuite été reproduit pour les personnes LGBT+, puis aux personnes racisées, c’est-à-dire qui subissent des discriminations liées à leur apparence, leur accent, leur nom ou encore leur origine. « Les femmes ont ouvert le champ », affirme Tidian Bah, étudiante d’origine guinéenne, en première année à Sciences Po.

      Farah, qui a participé en avril 2021 à une réunion de ce type, raconte : « C’est la première fois que j’ai parlé concrètement du racisme et du sexisme que je pouvais subir dans la société. On vide son sac, et on vide aussi les émotions que l’on peut vivre au quotidien. »

      Cette récente prise en compte des discriminations raciales dans les préoccupations de l’Unef s’explique notamment par l’augmentation de la diversité au sein des universités et des instances dirigeantes. « Il y a encore dix ou vingt ans, les congrès universitaires étaient extrêmement blancs, alors que l’université été déjà investie par les enfants et les petits enfants issus de l’immigration », analyse Robi Morder, spécialiste des mouvements étudiants. La disparition progressive des associations communautaires liées au pays d’origine a aussi « forcé » les syndicats étudiant à s’approprier ces préoccupations.
      « L’Unef a perdu sa grille d’analyse des rapports sociaux traditionnels »

      Au printemps 2021, la polémique autour des réunions non-mixtes s’est focalisée sur le fait d’exclure les participants en fonction de critères raciaux. L’Unef soutient que personne n’est officiellement exclu. « Tout le monde est au courant de ces réunions. C’est à chacun de savoir où est sa place, se défend Mélanie Luce. Il n’y a pas de vigile à l’entrée pour dire à telle personne de couleur : ’Tu ne vas pas rentrer.’ Par contre, lors du compte rendu, chacun va pouvoir attentivement écouter ce qui va être dit par ces personnes sur ce qu’elles peuvent vivre au quotidien et dans l’organisation. »

      « Personne n’est en capacité d’exclure une quelconque personne à partir du moment où la militante ou le militant vient et décide de venir en réunion », confirme Maha Rejouani, ancienne vice-présidente étudiante pour l’Unef à Paris-Dauphine. Cette approche risque de rendre inopérant l’amendement « Unef » voté récemment par le Sénat, qui interdit d’exclure quiconque en fonction de sa race ou de son origine.

      Pour Theo Florens, un ancien membre du bureau national de l’Unef, ces réunions sont symptomatiques d’une évolution du positionnement politique du syndicat. La lutte contre le sexisme et les discriminations sur les campus a supplanté, selon lui, la grille historique de la « lutte des classes ». « Aujourd’hui, l’Unef trouve bien souvent plus pertinent d’analyser les conflits interpersonnels via le prisme des discriminations, des dominés/dominants, explique-t-il, ce qui n’est pas le prisme des gens qui sont moyennement ou pauvrement dotés en capital et des autres qui le sont. Quand on est pauvre, qu’on soit blanc ou racisé, on a toujours moins de chances de réussir sa vie que quand on est passé par Henri IV ou Sciences Po. » Ce faisant, le syndicat accompagne une tendance qui traverse aujourd’hui d’autres sphères de la société. Y compris des sphères officielles.

      https://www.francetvinfo.fr/societe/religion/religion-laicite/retour-a-sciences-po-grenoble-ou-lambiance-reste-tres-degradee-trois-mo

    • A Sciences Po Grenoble, « Mme D. » contre-attaque après le rapport de l’inspection générale

      Accusée par l’inspection générale d’avoir « dramatisé la polémique » entre deux professeurs, Anne-Laure Amilhat Szary s’étonne de ne bénéficier d’aucun soutien après avoir reçu des menaces de mort.

      L’apaisement est encore loin, à Sciences Po Grenoble, deux mois après la publication du rapport de l’inspection générale de l’éducation, du sport et de la recherche (Igésr), commandé par la ministre de l’enseignement supérieur, Frédérique Vidal. Après la découverte, le 4 mars, sur les murs de l’Institut d’études politiques (IEP) d’affiches accusant de « fascisme » et d’« islamophobie » deux enseignants – diffusées sur les réseaux sociaux par des étudiants –, les inspecteurs généraux ont conduit une enquête, dont les conclusions, rendues le 8 mai, ont étonné Anne-Laure Amilhat Szary, l’une des protagonistes de l’affaire, appelée « Mme D. » dans le rapport.

      Il faut revenir quelques mois en arrière pour comprendre comment on en est arrivé là. Le 7 décembre 2020, cette professeure de géographie, directrice de Pacte, un laboratoire du CNRS en sciences sociales rattaché à l’IEP et à l’université Grenoble-Alpes, publie un communiqué, tamponné du logo de l’université, pour prendre la défense d’une collègue historienne, membre de Pacte, qui est impliquée dans un violent échange de courriels avec un professeur d’allemand – dont le nom, Klaus Kinzler, sera placardé le 4 mars sur les murs de Sciences Po. En cause : le recours à la notion d’« islamophobie ». Alors que la chercheuse de Pacte justifie l’usage d’un « concept heuristique utilisé dans les sciences sociales », M. Kinzler récuse avec véhémence l’apposition du terme auprès des mots « racisme » et « antisémitisme » dans l’intitulé d’un débat prévu à l’IEP à l’occasion de la Semaine de l’égalité et de la lutte contre les discriminations.

      Dans ce communiqué, la direction du laboratoire de recherche incrimine le professeur d’allemand et estime que « nier, au nom d’une opinion personnelle, la validité des résultats scientifiques d’une collègue et de tout le champ auquel elle appartient, constitue une forme de harcèlement et une atteinte morale violente ».

      « Terrorisme intellectuel »

      L’inspection générale reproche à « Mme D. » d’avoir « dramatisé la polémique en se plaçant sur le terrain d’une mise en cause de la recherche en sciences sociales » et d’avoir mis « l’ensemble des enseignants de l’IEP en situation de devoir choisir leur camp ». Elle préconise à son encontre une convocation disciplinaire à un entretien avec ses supérieurs (le président de l’université et le président du CNRS), en présence de la directrice de l’IEP, « pour lui rappeler solennellement le rôle qui est le sien en qualité de directrice de laboratoire, lequel ne l’autorise ni à signer un communiqué par délégation du président de l’université ni à s’immiscer dans la gestion des ressources humaines de l’IEP ». En guise de sanction, une « notification écrite à l’intéressée des fautes qu’elle a commises dans cette lamentable affaire sera versée à son dossier administratif », tacle le rapport.

      Les inspecteurs ajoutent que ce « communiqué » de Pacte « a donné une dimension inespérée » à l’organisation étudiante de l’IEP, l’Union syndicale, en lui permettant « d’utiliser la renommée de ce laboratoire réputé pour développer, à partir du 9 janvier 2021, une campagne d’accusations d’islamophobie sur les réseaux sociaux » à l’encontre de Klaus Kinzler et d’un autre enseignant, Vincent Tournier, chargé d’un cours sur l’islam.

      Sur les réseaux sociaux, Anne-Laure Amilhat Szary fait face à un déferlement de haine lorsque certains médias relatent « l’affaire », voyant dans Sciences Po Grenoble une incarnation de « l’islamo-gauchisme » sur lequel Frédérique Vidal veut lancer une « enquête ». Le paroxysme est atteint sur CNews, le 9 mars, lorsque l’animateur Pascal Praud déclare voir en la chercheuse « le terrorisme intellectuel qui existe dans l’université ».

      A ses côtés en plateau, Klaus Kinzler est venu témoigner de sa vision des faits. A l’évocation d’Anne-Laure Amilhat Szary, il décrit « un grand chercheur directeur de laboratoire de recherche [qui] se met en dehors de la science ». « Il ne comprend même pas, c’est une femme d’ailleurs, elle ne comprend même pas ce que c’est, la science », lâche le professeur d’allemand. Le lendemain de l’émission, la directrice de Pacte demande à bénéficier d’une protection fonctionnelle qui lui sera aussitôt accordée par sa tutelle, le président de l’université Grenoble-Alpes.

      Le 15 avril, elle porte plainte pour « diffamation », « diffamation à caractère sexiste » contre Pascal Praud et Klaus Kinzler, « cyberharcèlement » et « menace de mort », devant le parquet de Paris. « D’aucuns n’ont pas craint de la dénoncer comme ayant été à l’origine de cette affaire. Cela est évidemment faux », affirme dans un communiqué son avocat, Me Raphaël Kempf.

      La mission d’inspection recommande aussi un rappel à leurs obligations de fonctionnaires à la professeure d’histoire et à Klaus Kinzler, tout nouveau manquement de la part de ce dernier engageant des poursuites disciplinaires. « On se retrouve avec des agressés et des agresseurs renvoyés aux mêmes types de sanctions, c’est très problématique », commente aujourd’hui Anne-Laure Amilhat Szary, qui se demande pourquoi « le rapport ne couvre aucun des faits postérieurs au 4 mars, malgré leur gravité ». Elle regrette l’absence de prise de position publique des trois tutelles responsables du laboratoire – l’université, le CNRS et l’IEP. « La ministre a publiquement manifesté son indignation et son soutien quand le nom de mes collègues a été affiché, mais n’a pas réagi quand j’ai été à mon tour dangereusement menacée », constate la chercheuse.
      « Grand silence » du CNRS

      A l’issue d’un « entretien solennel » qui a eu lieu vendredi 18 juin, le président de l’université Grenoble-Alpes, Yassine Lakhnech, n’aurait pas prévu – comme souhaité par l’Igésr – d’inscrire au dossier administratif de Mme Amilhat Szary la notification écrite qui lui a été remise. « Le président de l’université s’est engagé à ne pas verser cette lettre à son dossier administratif », précise un des délégués de la CGT de l’université ayant accompagné la directrice de Pacte. Pour le syndicaliste, le rapport d’inspection est lacunaire en ne faisant pas mention des menaces de mort et insultes qu’a subies Mme Amilhat Szary. « Je suis moi-même témoin de cette parole décomplexée, raciste, y compris dans le milieu de la recherche. Ces propos n’auraient jamais été tenus il y a deux ou trois ans », complète Pierre Giroux, secrétaire régional du syndicat CGT du CNRS. Il regrette que Mme Vidal ait pu « encourager ce mouvement en affichant une volonté autre que celle de l’apaisement ».

      Afin de clore l’affaire, plusieurs dizaines de directeurs de laboratoire ont appelé le président du CNRS à prendre publiquement position, au-delà du soutien individuel qu’il a témoigné au cours des derniers mois à Mme Amilhat Szary. « Nous sommes profondément choqués de l’absence de soutien institutionnel public, quand une directrice est menacée de mort et cible d’attaques racistes et antisémites dans l’exercice de ses fonctions », ont-ils écrit dans un communiqué lu à la tribune, le 22 juin, interpellant Antoine Petit, le président du CNRS, lors d’une réunion de l’Institut des sciences humaines et sociales du CNRS.

      « Ce grand silence est problématique, car l’institution a l’air de renvoyer dos à dos les protagonistes, s’alarme une participante. Résumer la situation à une opposition entre deux points de vue serait très grave. Il s’agit de rappeler qu’une simple opinion ne vaut pas les résultats d’une recherche. Et ça, il faut que le président du CNRS aille le dire sur les plateaux TV ! »

      Signe du caractère extrêmement sensible du sujet, ni Yassine Lakhnech, ni la directrice de l’IEP, Sabine Saurugger, ni Antoine Petit n’ont donné suite à nos sollicitations d’entretien.

      https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/07/02/a-sciences-po-grenoble-mme-d-contre-attaque-apres-le-rapport-de-l-inspection

    • Jeudi 21 janvier 2021, le Président Macron est venu célébrer le lancement du « plan quantique » sur le tout nouveau campus d’excellence Paris-Saclay. À l’occasion de cette visite, avait été prévue une rencontre avec quelques étudiants dans la maison des étudiants, à Bures sur Yvette.

      Cet événement, et surtout l’échange avec les étudiants, a bénéficié d’une vaste couverture pour relayer les nouvelles annonces du Président au sujet des conditions de retour des étudiants à l’Université.

      La SMF souhaite alerter sur les événements survenus lors de cette visite sur le campus, et restée entièrement ignorés par les médias :

      Une visite tenue secrète jusqu’à son annonce par les médias, la veille après-midi, à l’ensemble du personnel de l’université et de ses usagers.

      Un cortège présidentiel d’une ampleur inégalée comportant de nombreuses rues et axes fermés à la circulation sur tout le campus, et un dispositif policier semblable aux encadrements des manifestations parisiennes : plus d’une centaine de cars garés autour des bâtiments d’enseignement, des policiers en casques et tenues de combat, un cordon sécuritaire à plusieurs centaines de mètres du lieu de présence du Président.

      Des contrôles d’identités, photos et films des quelques collègues venus protester avec des banderoles, se déplaçant à pieds sur le campus et retenus par la police à plusieurs centaines de mètres du lieu sécurisé, sans motif.

      Des menaces de garde à vue de collègues en cas de refus de confiscation des banderoles repliés qu’ils avaient avec eux.

      Des ordres d’expulsion du campus envers des collègues assortis de menaces de garde à vue.

      Des contrôles et fouilles d’étudiants et destruction de pancartes et banderoles.

      Encerclement et retenue, pendant plus de 2h d’un groupe d’une trentaine de collègues du campus venus manifester leur désaccord sur les politiques concernant l’ERSI.

      Accompagnement sous escorte policière des manifestants à travers le campus et jusqu’à sa sortie après le départ du Président.

      Il nous faut réfléchir aux conséquences des actes de la police sur un campus universitaire face à des collègues et étudiants venus pacifiquement avec des banderoles ainsi qu’au traitement de l’information choisie par les médias.

      Alors que l’amendement ajouté au Sénat sur l’intention de nuire vient d’être censuré par le Conseil Constitutionnel, les agissements de la police envers les collègues sur le campus universitaires sont graves, et doivent être connus.

    • Sur cette visite, voir aussi :
      https://academia.hypotheses.org/30291
      https://academia.hypotheses.org/30277

      Et plus précisément sur la ministre #Vidal :
      https://seenthis.net/messages/894951#message897615
      https://seenthis.net/messages/894951#message898096

      ... #Frédérique_Vidal, celle qui justifie les mesures d’isolement par le « #brassage » qu’impliquerait la vie étudiante avec ses pauses cafés et les « #bonbons partagés avec les copains » :
      https://academia.hypotheses.org/30215

      #Paris-Saclay #ESR #enseignement_supérieur #université #facs