Diffamazione e falsità contro le Ong in mare. La prima vittoria in tribunale per la #Louise_Michel
Il Tribunale di Bologna ha condannato un giornalista del Quotidiano Nazionale per un articolo pubblicato in seguito al sequestro della nave due anni fa. È la prima di quindici cause promosse dalla Ong contro diversi media italiani, accusati di colpire l’organizzazione e la comandante #Pia_Klemp. “Pubblicare e diffondere informazioni false è un reato grave perché alimenta l’agenda dello Stato italiano contro la migrazione e le persone solidali”
“Siamo andati in tribunale e abbiamo vinto”. Con queste parole pubblicate sui propri canali social l’organizzazione di ricerca e soccorso Louise Michel ha commentato la sentenza del Tribunale di Bologna, che a metà aprile ha condannato un giornalista del Quotidiano Nazionale per diffamazione.
In occasione dell’udienza l’imputato ha ritirato l’opposizione, rendendo così definitiva la condanna. Si tratta della prima azione legale andata a sentenza tra le cause avviate dalla Ong nei confronti di 15 mezzi di informazione del nostro Paese.
I processi si fondano su alcuni articoli pubblicati all’indomani del fermo della MV Louise Michel, avvenuto nel marzo del 2023. Due anni fa la nave di ricerca e soccorso, finanziata da Banksy, era stata sottoposta infatti a fermo amministrativo dalle autorità italiane nel porto di Lampedusa in seguito al salvataggio di 178 persone, portato a termine in quattro operazioni distinte. Il provvedimento è stato motivato dalla presunta violazione del cosiddetto “decreto Piantedosi”. Questo dispositivo regola le attività delle Ong impegnate nel soccorso nel Mediterraneo centrale e stabilisce che dopo un solo salvataggio deve essere effettuato lo sbarco immediato delle persone.
In una nota la Ong ha spiegato che “in seguito a questo sequestro, diverse fonti giornalistiche italiane hanno pubblicato informazioni false sul progetto e su una delle sue fondatrici, Pia Klemp”.
Al momento del fermo, infatti, la comandante tedesca non si trovava a bordo della nave, né in Italia e a suo carico non vi è alcuna denuncia, come erroneamente riportato dagli organi di stampa citati in giudizio dall’organizzazione. Tra il 2016 e il 2017, Pia Klemp, biologa e attivista per i diritti civili, è stata la comandante della nave Iuventa -supportata dalla Ong tedesca Jugend Rettet-, che contribuì a trarre in salvo circa 14.000 persone.
Dal 2017 al 2024 l’organizzazione è stata indagata dalla Procura di Trapani in relazione a tre eventi di soccorso avvenuti nel settembre del 2016 e nel giugno del 2017. Secondo l’accusa la Iuventa avrebbe favorito l’ingresso illegale di persone migranti in Italia, sottraendole alle autorità competenti e agevolando l’attività dei trafficanti, agendo in modo “non neutrale” e al di fuori dei protocolli ufficiali. Nel 2021 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani ha archiviato le accuse nei confronti di quattro membri dell’equipaggio -tra cui Pia Klemp- stabilendo che “il fatto non costituiva reato e che le attività di salvataggio si erano svolte in conformità con il diritto del mare”.
Inoltre il giudice ha rilevato che non vi era alcuna prova di collusione con i trafficanti. Il processo si è concluso definitivamente il 19 aprile 2024 con una sentenza di non luogo a procedere per tutti gli altri imputati, accogliendo la richiesta della stessa Procura, che smentendo il suo stesso impianto accusatorio aveva riconosciuto l’insussistenza delle prove a loro carico.
Alla luce di questi fatti secondo Amnesty International questa indagine va inserita “nel quadro della criminalizzazione della solidarietà, che molti Stati europei hanno deliberatamente perseguito per ostacolare, anche attraverso l’uso del diritto penale, chi in questi anni ha prestato assistenza e offerto solidarietà a rifugiati e migranti”.
Nel suo comunicato l’organizzazione Louise Michel ha quindi ribadito che “le indagini contro Klemp sono state archiviate nel 2021, due anni prima del fermo della nave e di tutti gli articoli che ne sono seguiti”, sottolineando anche come “i giornali coinvolti nell’azione legale hanno utilizzato il coinvolgimento di Klemp nel caso Iuventa per consolidare una narrazione razzista e misogina, creando un collegamento tra Ong e trafficanti”.
Nel processo di Bologna, oggetto specifico della denuncia, era un articolo pubblicato dal Quotidiano Nazionale, accusato di aver riportato affermazioni false e di aver banalizzato l’impegno di Klemp, concentrandosi sul suo aspetto fisico, sulla sua età e sfruttando la sua immagine e il suo nome al fine di attirare l’attenzione del pubblico.
Klemp ha accolto con soddisfazione la sentenza, definendo “la falsa informazione un metodo indegno con risultati catastrofici”. La comandante della Louise Michel, inoltre, ha richiamato i media al loro dovere di “informare il pubblico piuttosto che diffondere bugie e narrazioni razziste”, evidenziando come “la migrazione viene screditata come un accumulo infinito di crimini, con conseguenze mortali per migliaia di persone migranti”.
A questo proposito, l’organizzazione ha evidenziato che “l’obiettivo di queste false narrazioni è quello di criminalizzare individui e Ong come strumento per criminalizzare la migrazione” e che pertanto “questo tipo di diffamazione non si limita a screditare chi offre sostegno, ma prende di mira i rifugiati e le persone migranti, con conseguenze letali per loro”.
Le date delle prossime udienze contro le altre testate citate in giudizio non sono state ancora rese note ma la lotta della Ong prosegue con determinazione. Lo conferma Francesca Cancellaro, avvocata di Klemp e della Louise Michel. Commentando la sentenza del Tribunale di Bologna, le legale ha dichiarato che “pubblicare e diffondere informazioni false è un reato grave perché alimenta l’agenda dello Stato italiano contro la migrazione e le persone solidali. Siamo qui per opporci a questa prassi e per il diritto di tutti e di tutte a una corretta informazione su questa vicenda politica”.
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