Caporalato, a un anno dalla legge « non è cambiato quasi nulla »

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    • Il pomodoro? Troppo spesso è sfruttamento

      “Spolpati”, il report dell’associazione onlus Terra!, accusa: ogni anno in Italia sono prodotte cinque milioni di tonnellate di pomodori su soli 70mila ettari. Ma gli effetti negativi sull’ambiente, sul sociale e sulla qualità dei prodotti porteranno grandi guai

      http://www.lastampa.it/2017/05/26/scienza/ambiente/il-caso/il-pomodoro-troppo-spesso-sfruttamento-xfVstgIbdDzpIXtAXfAC8M/pagina.html

      Lien pour télécharger le #rapport:
      http://www.filierasporca.org/wp-content/uploads/2016/11/Terzo-Rapporto-Filierasporca_WEB1.pdf

    • Caporalato, a un anno dalla legge «non è cambiato quasi nulla»

      La lotta allo sfruttamento del lavoro agricolo fatica a raccogliere risultati nonostante ci sia una legge, un protocollo nazionale e una rete del lavoro agricolo di qualità. Preoccupa la situazione in provincia di Foggia: nuovi ghetti e pochi controlli. La denuncia di Giovanni Mininni (Flai Cgil): “Buona legge ma inapplicata. Una sconfitta per lo stato”

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/545527/Caporalato-a-un-anno-dalla-legge-non-e-cambiato-quasi-nulla

    • Nei ghetti foggiani è calato il silenzio sui nuovi schiavi

      Il ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, è imponente. Oggi, la pista dell’ex aeroporto militare, a ridosso del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (#Cara), ospita circa 3 mila migranti. Secondo le forze dell’ordine, forse, molti di più. A riguardo, non esistono dati ufficiali. Non ci sono numeri, censimenti, registri. È una situazione al limite, che le istituzioni, a vari livelli, non riescono a gestire.


      http://www.terredifrontiera.info/ghetto-borgo-mezzanone

    • Lavoratrici romene sfruttate in Sicilia: nulla è cambiato

      Sono trascorsi mesi dalle denunce di Observer e Guardian sullo stato di semi-schiavitù di centinaia di lavoratrici romene in Sicilia. Da allora qualcosa si è mosso, nulla è però cambiato.

      Sono passati cinque mesi dalle rivelazioni dell’Observer e del Guardian in cui emergeva l’avvilente e cruda realtà di migliaia di donne romene sfruttate nei campi siciliani e spesso vittime di abusi da parte dei datori di lavoro. Cinque mesi in cui si sono succeduti clamore, sdegno, incontri, visite d’urgenza, operazioni di polizia e contatti Roma-Bucarest sia a livello politico che associativo. Cinque mesi in cui, però, la situazione sul campo sembra essere rimasta quasi invariata. Resta il timore di denunciare, resta il bisogno di lavorare e di mandare più soldi possibile a casa, resta la mancanza di una vera e propria task force o di un punto di riferimento per coloro che pur a fatica ne volessero uscire.
      Accordi

      Alcuni passi, però, sono stati fatti. Tra questi collaborazione diretta tra gli Ispettorati del lavoro di Romania e Italia, dialogo tra ministeri, uno sportello informativo per i romeni presso il centro polifunzionale del comune di Vittoria, una campagna informativa e di prevenzione già in campo e che è in procinto di essere ampliata. Lo ha spiegato l’ambasciatore romeno in Italia George Bologan, che è stato in visita a Catania e Ragusa a metà luglio. “La tutela della dignità umana come valore universale è interesse comune dei nostri stati – ha dichiarato dopo la visita - ho incontrato le autorità pubbliche e i rappresentanti della società civile e potrei affermare che qualcosa si è fatto e sono fiducioso in quello che di positivo si fa. Ho incontrato anche cittadini romeni e italiani che lavorano insieme senza problemi, con regolare contratto di lavoro e hanno tutti i benefici previsti dalla legge. Sono buoni esempi da seguire. Il lavoro nero, lo sfruttamento, sono come una cancrena che deve essere eliminata per salvaguardare l’intero corpo sociale”.

      Le migliaia di lavoratrici impiegate nei campi e nelle serre, però, restano sostanzialmente nella stessa situazione. Anche se subito dopo le notizie apparse sui giornali il governo romeno aveva raggiunto un’intesa per collaborare con le autorità italiane per fermare abusi e sfruttamenti tra Ragusa e Vittoria, non è ancora chiaro quale sia in Romania il ministero incaricato di trovare soluzioni e spingere le autorità italiane ad avviare strategie per interrompere il circolo vizioso in atto. Complice una breve crisi di governo in Romania, in cui il premier Sorin Grindeanu è stato sconfessato dal suo stesso partito, resta in sospeso la decisione su chi abbia il budget per avviare i progetti, se il ministero per i Romeni all’estero, se la Giustizia o gli Interni. Grindeanu, infatti, aveva chiesto subito dopo le rivelazioni stampa, che venisse redatto un piano sulla situazione con dati e suggerimenti e che successivamente si sarebbe provveduto a decidere il ministero competente. Ma la scelta resta ancora in sospeso.
      Una comunità d’accoglienza

      Secondo i dati emersi dalle indagini della stampa britannica delle circa 5.000 donne che lavorano nel settore agricolo nel ragusano, un terzo è duramente sfruttato e spesso vittima di abusi sessuali da parte dei datori di lavoro, con il tacito assenso di mariti che vivono alle spalle della moglie. Don Beniamino Sacco, che da anni denuncia quanto avviene nelle campagne della zona, ha le idee ben precise su cosa non rompe questo circolo e su cosa potrebbe, invece, essere d’aiuto. “Quello che succede nelle campagne è un mondo sommerso. Come al solito quando esplode una notizia c’è stato clamore, ma poi tutto torna nel dimenticatoio. Negli incontri con le autorità il mio suggerimento è stato quello di costruire una comunità, un punto di appoggio, di riferimento che possa fare da parafulmine per coloro che vogliono uscire da questa situazione – ha dichiarato Don Sacco – la Chiesa ortodossa potrebbe avere questo ruolo.

      "Fino ad ora è stata la Chiesa cattolica ad accogliere i pochi disperati che hanno voluto denunciare - continua Don Sacco - ma i romeni non sono uniti e non c’è chi li tiene uniti per risolvere questo problema. Le romene, che hanno sostituito i tunisini nei campi, sono costrette a lavorare, a guadagnare, per poter mandare il denaro ai figli lasciati a casa. Spesso hanno accanto un marito violento e che non le difende dalle aggressioni del datore di lavoro. Un andazzo che mortifica la dignità della persona. E in questo caso c’è chi non si pone il problema e chi difficoltosamente denuncia”. Nel concreto “con padre Nicolae (il giovane prete ortodosso che gira per le campagne per sostenere la comunità) stiamo cercando di acquistare un terreno per creare un punto di raccolta per la comunità. Sarebbe un passo importante”.
      20 euro al giorno

      Secondo le stime della polizia italiana nel settore agricolo siciliano lavorano oltre 7.500 donne, la maggior parte romene, e moltissime sono in condizioni di sfruttamento.

      Le ragioni di questa presenza massiccia dipendono da un lato dalla necessità dei datori di lavoro di assumere forza lavoro comunitaria, dall’altro, da parte delle lavoratrici, dalla chimera di una paga 56 euro al giorno per otto ore, come previsto dalla legge. Ma la realtà è ben diversa e le lavoratrici percepiscono, nonostante quanto sia stato accordato sulla carta, al massimo 20 euro al giorno, sotto continue minacce e violenze.


      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Lavoratrici-romene-sfruttate-in-Sicilia-nulla-e-cambiato-181825
      #Roumanie #femmes

    • Le “schiave” romene dietro ai pomodori di Ragusa

      Nelle campagne della Sicilia vi sono centinaia di donne emigrate dalla Romania per lavoro e ridotte in una sorta di «schiavitù» contemporanea. La vicenda è approdata al Parlamento europeo, dove diversi deputati vogliono spingere l’Ue a intervenire.

      Silvia Dumitrache mi mette in guardia: “Spero che lei abbia un bel po’ di tempo per ascoltare” la storia di quello che è successo negli ultimi undici anni in Italia, paese membro dell’Unione europea.

      Alla fine chiedo il permesso di abbassare il telefono: avevo ascoltato non una storia da incubo, ma la quotidianità di molte donne romene emigrate. La schiavitù esiste ancora. Ed è tanto più terribile in quanto, molto spesso, è accettata.

      “Tutto comincia in Romania”, racconta Dumitrache, presidente dell’Associazione delle donne romene in Italia” (Adri), “a Botosani, in una delle zone più arretrate del paese, da dove le donne hanno cominciato a emigrare nel 2007. L’esodo non si è mai interrotto. Vanno a raccogliere i pomodori in Italia, a Ragusa. E spesso partono senza sapere a cosa vanno incontro. Quello che è più triste è che anche quando qualcuna di loro riesce a scappare da quell’inferno, finisce sempre per tornarci, obbligata in qualche modo dalla spirale dei debiti, dai vicini a cui ha chiesto un prestito, e che la spingono a partire di nuovo per riavere i loro soldi”.

      Il filo del racconto si dipana, sempre più terrificante, come se fosse tratto dai vecchi romanzi che parlano di schiavi. Lo scandalo non è nuovo, riemerge periodicamente e si gonfia come una bolla di sapone. Ci sono le retate della polizia, le visite delle autorità, e a volte si intravede qualche barlume di speranza.
      Un sordida vicenda alle porte dell’Europa

      Gli ingredienti di questa brutta storia proprio davanti alla nostra porta? In Sicilia? Il banale affare della produzione dei pomodori a Ragusa, che con il tempo è diventata la più grande esportatrice di pomodori italiani in Europa, è anche una delle più sordide vicende del nostro continente.

      All’inizio c’è stata l’adesione della Romania all’Unione europea, nel 2007. E un’ondata massiccia di forza lavoro è arrivata sui mercati d’Italia, Spagna, Francia e Gran Bretagna. Donne partite per lavorare, ma che una volta arrivate a Ragusa vengono obbligate a prestare servizi sessuali ai padroni per poter conservare il proprio posto di lavoro. “La forza lavoro che arrivava dalla Romania era più la accomodante, la più disposta ad accettare compromessi”, spiega Silvia Dumitrache.

      “Le donne romene sono già tenute in una sorta di stato di schiavitù dai loro uomini, vengono picchiate… Molte di loro se ne vanno dalla Romania proprio per sfuggire a queste violenze. Raccontano che, anche se sono sfruttate, almeno in Italia guadagnano qualche soldo. Poi c’è un altro aspetto: in questo tipo di lavoro, se accettano le richieste di favori sessuali da parte dei padroni, possono tenersi vicini i figli, mentre se dovessero fare le badanti non sarebbe possibile”. Ma il lavoro nei campi, sotto la soffocante sorveglianza dei padroni? E gli anni in cui un osservatore attento avrebbe potuto farsi delle domande sul numero abnorme di aborti compiuti all’ospedale di Vittoria?

      Poi sono arrivati gli articoli. Prima pubblicati sulla stampa italiana, poi dal Guardian. È uscito un libro, Voi li chiamate clandestini , e i fatti sono stati raccontati dall’ong italiana Proxima.

      Di questa storia sono al corrente sia la polizia sia la procura, ma senza grandi risultati, perché in Italia le risorse di queste istituzioni sono piuttosto ridotte. Come racconta Silvia Dumitrache, per sollevare il problema c’è stato bisogno – per ironia della sorte – delle proteste di alcuni padroni, preoccupati perché sul mercato internazionale i prodotti etichettati Ragusa venivano boicottati a causa dallo scandalo scoppiato. “Le loro pressioni, che si sono concretizzate in un opera di lobbismo a livello europeo, hanno smosso le cose. Da allora sono cominciati gli arresti, a danno della mafia, che di fatto controlla questa situazione. Ma non basta ancora”.

      Gli eventi, finiti più volte sotto i riflettori dei mezzi d’informazione europei, hanno catturato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e, soprattutto, delle istituzioni europee. In qualche modo era prevedibile, dato che la legislazione in questo settore esiste ma non è sufficientemente applicata.

      Su richiesta di alcuni deputati europei, la commissione del parlamento europeo per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, Femm – di cui ha fatto parte anche l’attuale premier romena, Viorica Dancila, deputa europea fino al gennaio del 2018 – ha intrapreso una visita a Ragusa . Molti eurodeputati hanno presentato un’interpellanza alla Commissione europea e i governi romeno e italiano hanno avviato un tavolo di lavoro bilaterale sul tema.

      Sul piano politico europeo sono seguite risoluzioni, gruppi di lavoro, interpellanze; a livello locale, invece, ci sono stati arresti e retate. Le visite bilaterali italo-romene si sono intensificate e, nel mese di maggio, il governo romeno ha lanciato il programma “Parti informato!”, che punta a dare informazioni a chi desidera emigrare. “Inoltre”, osserva il deputato europeo Emilian Pavel , “il ministero del Lavoro e romeno e il ministero romeno per la Diaspora hanno adottato provvedimenti congiunti con il ministero del Lavoro italiano”. Emilian Pavel, membro del Gruppo dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici al Parlamento europeo è solo uno dei deputati che dall’autunno scorso continuano a battersi per mettere fine ai casi di schiavitù che sopravvivono in pieno XXI secolo.
      Boicottaggio paneuropeo contro i prodotti che provengono da Ragusa?

      “Certe rivelazioni producono necessariamente reazioni forti, e i deputati del Parlamento europeo sono estremamente sensibili e attenti a questioni del genere. Non è ancora troppo tardi per pensare di organizzare un boicottaggio paneuropeo contro i prodotti che arrivano da luoghi dove si pratica la schiavitù o che sono il frutto di tali pratiche. Tenere un essere umano, una donna, in schiavitù, è un’umiliazione per ogni essere umano”, dice Emilian Pavel.

      “Le istituzioni europee possono e devono agire conformemente alla loro missione e ai trattati. Sicuramente ci sono cose che possono essere fatte a livello europeo, come monitorare l’applicazione della legislazione europea attualmente in vigore, fare pressioni per accelerare l’implementazione di tutti gli accordi internazionali. Ma soprattutto bisogna dare appoggio concreto alle vittime! Questi fatti devono arrivare davanti ai giudici. Purtroppo è un traguardo difficile, e possiamo comprendere a livello umano che le vittime di schiavitù, dopo anni di umiliazioni, difficilmente avranno la forza per cercare di portare i colpevoli davanti alla giustizia. Io faccio parte della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del parlamento europeo; lottiamo contro le discriminazioni di genere e facciamo pressioni sugli stati affinché applichino la Convenzione di Istanbul, approvata nel 2011 dal Consiglio d’Europa, sulla prevenzione e la lotta alle violenze domestiche e contro le donne”.

      Secondo l’eurodeputato Pavel, tuttavia, una delle cause che più hanno contribuito a creare un simile problema è l’esistenza stessa del lavoro nero. Molte donne si sono ritrovate in questa situazione perché le autorità italiane non sono riuscite a combattere con successo il lavoro nero. “Il principio è semplice. È tanto semplice in via di principio quanto è terribile nella vita reale. Il lavoro in nero porta agli abusi, fa crescere le disuguaglianze, è causa di tragedie. Dobbiamo essere tutti molto più determinati nel combatterlo”, afferma.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Le-schiave-romene-dietro-ai-pomodori-di-Ragusa-187940