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  • UN Human Rights Office - OPT: Unlawful killings in Gaza City - occupied Palestinian territory | ReliefWeb
    https://reliefweb.int/report/occupied-palestinian-territory/un-human-rights-office-opt-unlawful-killings-gaza-city

    On 19 December 2023, between 2000 and 2300 hours, IDF reportedly surrounded and raided Al Awda building, also known as the “Annan building”, in Al Remal neighborhood, Gaza City, where three related families were sheltering in addition to Annan family. According to witness accounts circulated by media sources and Euro-Med Human Rights Monitor, while in control of the building and the civilians sheltering there, the IDF allegedly separated the men from the women and children, and then shot and killed at least 11 of the men, mostly aged in their late 20’s and early 30’s, in front of their family members. The IDF then allegedly ordered the women and children into a room, and either shot at them or threw a grenade into the room, reportedly seriously injuring some of them, including an infant and a child. OHCHR has confirmed the killings at Al Awdabuilding, although the details and circumstances of the killings are still under verification. IDF has not released any information on the incident.

    #vitrine_de_la_jungle #sionisme

  • Principio di non-refoulement è solo un articolo che non viene rispettato

    Quello che emerge dal quinto rapporto del network Protecting Rights at Borders (PRAB) “Picchiati, puniti e respinti” 1, è l’ennesima immagine drammatica di quanto accade alle porte esterne dell’Unione Europea, alla porte di quella comunità che ha tra i suoi principi fondativi (e fondamentali) la protezione e il rispetto dei diritti dell’uomo.

    Stando dunque alla pubblicazione di PRAB, nel 2022 sono state raccolte segnalazioni di pushback da oltre 5.756 persone. Le pratiche di respingimento, messe in atto dalle forze dell’ordine dei Paesi d’ingresso all’Europa, sono pratiche sistematiche ed estremamente violente che violano la normativa internazionale ed europea.


    Inoltre, per ribadire quanto le pratiche di respingimento vadano contro i diritti i diritti dell’uomo, la Convenzione di Ginevra del 1951, con l’articolo 33, stabilisce il principio di non-refoulement (non respingimento).

    «1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

    2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese»

    Si tratta di un principio fondamentale del diritto internazionale. È importate sottolineare che per effetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, tale principio si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata e/o dall’aver formalizzato o meno una diretta domanda di protezione.

    Le pratiche messe in atto dalle forze dell’ordine alle frontiere della cosiddetta fortezza europea e al proprio interno, sono in violazione del diritto della stessa Europa. Ricordiamo l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea:

    «Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione.
    1. Le espulsioni collettive sono vietate.
    2. Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti»

    È evidente come ancora una volta l’obbligo nel quadro giuridico contraddice la realtà.

    Dal lavoro di PRAB emerge che vi è un sistematico uso di respingimenti. Il report ne riporta quasi 6mila, ma i numeri complessivi sono sicuramente più alti dal momento che questi sono solamente dati raccolti da testimonianze dirette. Nelle due zone di confine dove è più alto il transito di persone migranti tra Italia e Francia (Oulx e Ventimiglia), i respingimenti sono una pratica sempre più comune.

    Ad esempio, se si guarda il numero di serie presente sulla documentazione ufficiale (Refus d’entree) consegnata alle persone respinte dalla polizia di frontiera francese nel 2022, emerge che i numeri sono estremamente più elevati: a Ventimiglia sono 17.749 le persone respinte e a Oulx oltre 3.600. Questi dati sono importanti in quanto sottolineano come le pratiche di respingimento e le barriere d’accesso siano molto più diffuse e si verificano su scala molto più ampia di quella registrata da PRAB.

    Anche in altri territori italiani l’uso sistematico dei respingimenti è in aumento. “Assistiamo a continue riammissioni lungo i porti adriatici dall’Italia alla Grecia e a respingimenti verso l’Albania. Si tratta di trattamenti inumani, come la confisca e la distruzione degli effetti personali, la svestizione forzata e l’esposizione a temperature estreme. Il governo italiano cerca di negare che ciò avvenga. Ma la situazione sembra peggiorare“, conferma Erminia Rizzi di ASGI.

    Nella maggior parte dei casi i respingimenti avvengono in maniera violenta. Sono tantissime le testimonianze che raccontano come la polizia di frontiera si sia comportata in modo brutale: manganellando le persone migranti, confiscando tutti i loro effetti personali per poi distruggerli, negando loro acqua e cibo, obbligandoli a restare svestiti a temperature estreme.

    Uno dei confini in cui le violenze sono all’ordine del giorno è ancora quello che separa la Croazia dalla Bosnia. Ma le numerose violazioni dei diritti umani che erano state denunciate e riportate dalle persone solidali che lottano quotidianamente contro tali pratiche, sono state messe da parte nel momento in cui la Croazia è entrata ufficialmente nella zona Schengen. Per l’ennesima volta le istituzioni Europee hanno chiuso gli occhi di fronte alle molteplici violazioni e violenze: ancora una volta i diritti umani sono stati sacrificati per raggiungere compromessi politici ed economici.

    Il 2022 è stata un anno di grandi contrasti per quanto riguarda la solidarietà e l’accoglienza: le persone che fuggivano dalla guerra in Ucraina sono state accolte mentre le persone migranti provenienti da paesi africani e/o mediorientali sono stati respinte: vi sono due pesi e due misure basate sul profilo etnico, cosa che viola la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Nel 2022 l’Unione Europea ha applicato per la prima volta una direttiva speciale per concedere un permesso temporaneo da chi scappa dalla guerra. Non si tratta di una nuova direttiva poiché risale al 2001 ma prima di quest’anno non era mai stata applicata. Il rapporto PRAB dichiara che l’attivazione di tale direttiva è una decisione storica ma basata su un doppio standard: benvenuti a un confine, respinti ad un altro. Questa è la realtà ai confini della fortezza Europa.

    Charlotte Slente, Segretaria generale della Danish Refugee Council, afferma che «la pratica di chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani alle frontiere dell’UE deve essere interrotta. È giunto il momento di sostenere, rispettare e far rispettare i diritti di coloro che si trovano alle porte dell’Europa, indipendentemente dal loro Paese di appartenenza. Per anni sono state raccolte prove sulle pratiche di respingimento. Le prove sono innegabili. Questo schema non deve essere visto in modo isolato. Fa parte di una più ampia crisi dello Stato di diritto. La crisi alle frontiere dell’UE non è una crisi di numeri. È invece una crisi di dignità umana e di volontà politica, dovuta alla mancata attuazione dei quadri giuridici esistenti e all’applicazione delle sentenze giudiziarie».

    Con il 2023 è giunto il momento di porre fine alla pratica illecita e discriminatoria di chiudere gli occhi sulle violazioni dei diritti umani alle frontiere dell’Unione Europea. Il rapporto si conclude con cinque richieste: rispetto diritti umani e dignità umana a tutte le frontiere; porre fine all’uso sistematico dei respingimenti; introduzione di meccanismi di monitoraggio indipendenti alle frontiere; prevalenza di una cultura dei diritti rafforzata dal coraggio politico per sostenere le persone bisognose di protezione; apertura di percorsi d’entrata sicuri e legali.

    Sono tutte richieste più che lecite che dovrebbero esser già applicate. Ma il 2023 è veramente l’anno in cui tali richieste verranno accettate?

    Nell’anno in cui, solo per rimanere in Italia, il governo Meloni rivendica come legittimi i respingimenti al confine con la Slovenia, gli accordi con la Libia e ha deciso di stanziare oltre 40 milioni di euro per costruire nuovi CPR, è veramente l’anno in cui i governi degli Stati UE smetteranno di sacrificare i diritti umani per scopi politici ed economici?

    https://www.meltingpot.org/2023/03/principio-di-non-refoulement-e-solo-un-articolo-che-non-viene-rispettato

    #refoulements #push-backs #migrations #asile #réfugiés #frontières #frontière_sud-alpine #2022 #rapport #Balkans #route_des_Balkans #chiffres #statistiques #violence #droits_humains

    • #Protecting_Rights_at_Borders: Beaten, punished and pushed back

      The fifth Protecting Rights at Borders report (#PRAB) reconfirms a pattern of a systematic use of pushbacks at EU Borders. The study recorded incidents involving 5.756 persons between 1 January and 31 December 2022.

      It appears evident that EU Member States continue making access to international protection as difficult as possible. These practises are systemic and integrated into countries’ border control mechanisms although they are in strict violation of EU law. The newly released PRAB report shows that many of those victims who were pushed back were not merely prevented from crossing a border. The data collected outlines that they were “welcomed” at the EU with a denial of access to asylum procedures, arbitrary arrest or detention, physical abuse or mistreatment, theft or destruction of property.

      Nationals from Afghanistan, Syria and Pakistan reported most frequently being the victim of pushbacks and in 12% of the recorded incidents children were involved. This data is unfortunately only the top of the iceberg.

      “The practice of turning a blind eye to human rights violations at EU borders must be stopped. It is high time to uphold, respect and enforce the rights of those at Europe’s doorstep, irrespective of their country of nationality. All people have the right to ask for international protection in the EU. For years, DRC jointly with its PRAB partners and many other actors, has been recording evidence on pushback practices. The evidence is undeniable,” says Secretary General of DRC, Charlotte Slente.

      Access to international protection, within the EU, is far from safeguarded - not merely due to a systematic use of pushbacks across EU borders or the unwillingness to let boats disembark, but also due to other policy developments.

      “This pattern should not be seen in isolation. It is part of a wider Rule of Law crisis. The crisis at the EU’s borders is not one of numbers. Instead, it is a crisis of human dignity and political will, created due to failure to implement existing legal frameworks and enforce judicial rulings”, says Charlotte Slente.

      Preventing access to territory with all means

      “In Greece, pushbacks at land and sea borders remain a de facto general policy, as widely reported including by UN bodies. However, instead of effectively investigating such allegations, Greek Authorities have put in place a new mechanism which does not ensure the guarantees of impartiality and effectiveness. At the same time, NGOs and human rights defenders supporting victims of alleged pushback remain under pressure and find themselves increasingly targeted", says Konstantinos Vlachopoulos of GCR.

      In Italy the systematic use of pushbacks is increasing.

      "We are witnessing continuous readmissions along the Adriatic ports from Italy to Greece and rejections to Albania. What we hear about is inhuman treatment, such as confiscation and destruction of personal belongings, forced undressing, and exposure to extreme temperatures. The Italian government tries to deny that this is happening. But the situation seems to be getting worse”, says Erminia Rizzi of ASGI.

      Welcome at one border, pushed back at another

      The situation is not equal at all EU borders. There are double standards based on ethnic profiling and they violate international human rights law. 2022 was the year that the EU provided protection – at least on paper – to 4.9 million people who entered the EU from Ukraine. The triggering of the Temporary Protection Directive was a historic decision.

      “In February 2022, Poland has opened its borders to admit large numbers of Ukrainian nationals fleeing war. Temporary protection was given to numerous persons seeking protection from the war in Ukraine. This welcoming approach of the Polish authorities did not affect the situation at the Polish-Belarusian border, where a humanitarian crisis continues since August 2021. There, third-country nationals are everyday violently pushed back, irrespective of their vulnerability or asylum claims”, says Maja Łysienia, SIP Strategic Litigation Expert.

      More information on the pushback data recorded by PRAB partners, the litigation cases brought to national and European courts related to border violence, as well as an analysis of current policy dimensions, can be found in PRAB V here: https://pro.drc.ngo/resources/news/prab-beaten-punished-and-pushed-back

      https://reliefweb.int/report/world/protecting-rights-borders-beaten-punished-and-pushed-back

    • Les chiffres à la #frontière_sud-alpine (#Italie / #France) :

      The number of pushbacks from France to Italy recorded through the PRAB project, for instance, also represents a fraction of the overall number of persons reporting pushbacks to Diaconia Valdese’s outreach teams. In Ventimiglia and Oulx in Italy, Diaconia Valdese has records of as many as 2,703 persons, and 2,583 persons, respectively, who reported experiencing pushbacks. If compared to other available statistics, even higher pushback numbers were recorded at the borders between Italy and France in 2022: In Ventimiglia, Italy, at least 17,7491 persons were pushed back by French Authorities, while in Oulx, Italy, it was at least 3,6902 persons.

      (p.4)

      #Ventimille #Oulx #Hautes-Alpes #Alpes_maritimes #Briançon

    • Le sistematiche violazioni dei diritti umani ai confini europei: VI report della rete #PRAB

      Recentemente, un video pubblicato dal New York Times (https://www.nytimes.com/2023/05/19/world/europe/greece-migrants-abandoned.html) ha rivelato respingimenti illegali di persone migranti dalla Grecia, sollevando un’ampia eco mediatica. La gravità delle accuse ha suscitato la reazione di Ylva Johansson (https://www.politico.eu/article/commission-ylva-johansson-greece-migrant-deportation), Commissaria europea agli Affari interni, che ha definito tali pratiche come “deportazioni”, e del primo ministro greco, Mitsotakis, che le ha giudicate “inaccettabili” (https://edition.cnn.com/videos/tv/2023/05/23/amanpour-greek-prime-minister-kyriakos-mitsotakis.cnn). Tuttavia, organizzazioni non governative e grassroots denunciano da anni la sistematicità delle violazioni dei diritti umani delle persone migranti ai confini europei.

      Nel Report What we do in the shadows, il VI report del network PRAB, sono state raccolte migliaia di testimonianze riguardanti le azioni compiute dalle forze di frontiera nei confronti dei potenziali richiedenti asilo, tra cui respingimenti, aggressioni e furti. In alcuni casi, tali azioni mettono a rischio la vita delle persone coinvolte, e ci sono anche situazioni in cui queste azioni si sono tradotte in tragiche perdite umane, come nei respingimenti dalla Polonia alla Bielorussia o nel caso di Fatima, una giovane ragazza di 23 anni uccisa dalla polizia macedone al confine tra la Macedonia del Nord e la Grecia a metà aprile, il giorno in cui l’Agenzia Europea Frontex ha iniziato la propria missione operativa nel paese balcanico.

      Migliaia di testimonianze raccolte nel VI report di PRAB

      Durante il periodo gennaio-aprile 2023, sono stati registrati un totale di 10.691 casi individuali di persone respinte alle frontiere europee. Di questi, 1.611 hanno partecipato a interviste approfondite da parte di uno dei partner PRAB per registrare i dati demografici, le rotte migratorie e le violazioni dei diritti a cui sono stati esposti.

      - Abusi fisici e aggressioni: Il 62% delle persone ha denunciato abusi fisici e/o aggressioni al confine tra Ungheria e Serbia, mentre il 54% ha segnalato lo stesso al confine tra Grecia e Turchia.

      - Coinvolgimento dei minori: Il 16% dei respingimenti riguardava minori, di cui il 9% viaggiava con la famiglia e il 7% era costituito da minori non accompagnati o separati dalla famiglia.

      - Mancato accesso alle procedure di asilo: Nel 44% dei casi registrati al confine tra Croazia e Bosnia-Erzegovina, nell’88% dei casi al confine tra Ungheria e Serbia e nell’85% dei casi al confine tra Italia e Francia, è stato segnalata la impossibilità di accesso alle procedure di asilo.

      Questo rapporto, insieme a molti altri, evidenzia ancora una volta le violazioni dei diritti che si verificano quotidianamente alle frontiere europee.

      I respingimenti e la brutalità della polizia sono di fatto uno strumento per la gestione delle frontiere, l’impunità è la norma e le vie della giustizia per le vittime sono scarse o inesistenti.

      Sulla base di un imperativo umanitario – che mira a salvare vite umane – negli ultimi anni, molte persone e organizzazioni umanitarie hanno sostenuto le persone in movimento. Mentre alcuni hanno contribuito a fornire l’accesso ai servizi di base, tra cui cibo, alloggio e assistenza medica, altri hanno intrapreso azioni legali per contestare le violazioni dei diritti alle frontiere dell’UE. Alcuni Stati membri europei hanno iniziato o continuano a criminalizzare coloro che forniscono assistenza, con l’obiettivo di porre fine alla solidarietà con le persone in movimento. In alcuni Paesi europei questa situazione si è ulteriormente aggravata, prendendo di fatto di mira i difensori dei diritti umani. Salvare vite umane non è solo un dovere morale, è un obbligo legale nel diritto internazionale dei diritti umani.

      https://www.asgi.it/primo-piano/le-sistematiche-violazioni-dei-diritti-umani-ai-confini-europei-vi-report-della

      #Protecting_Right_At_Border

  • IOM Supports the UN COVID-19 Vaccination Roll-Out in Yemen - Yemen | ReliefWeb
    https://reliefweb.int/report/yemen/iom-supports-un-covid-19-vaccination-roll-out-yemen

    IOM Supports the UN COVID-19 Vaccination Roll-Out in Yemen
    Yemen received 360,000 COVID-19 vaccine doses through the COVAX Facility on 31 March. The roll-out of the vaccination campaign began on 20 April.
    COVID-19 has had severe consequences for the health, well-being and income of people in Yemen. The full impact can never be truly known, however, due to limited testing and reporting across the country.
    The monthly rate of positive COVID-19 cases reached over 2,400 in March, which was the highest confirmed in one month since the start of the pandemic. In April, the case rate continued to be higher than in previous months with more than 1,500 cases. As of early May, the case fatality rate reached over 19 per cent — the highest in the region.“Achieving wide-reaching immunity is vital to stopping the COVID-19 pandemic in its tracks. IOM is happy to support the vaccination campaign in Yemen to help reach that very aim,” said Christa Rottensteiner, IOM Yemen Chief of Mission.
    “It is extremely important that all vulnerable communities in Yemen have access to the COVID-19 vaccine. IOM welcomes the Government of Yemen’s decision to take an inclusive approach to the vaccine roll-out by including migrants in need. Our communities will not be healthy until everyone is healthy.”So far, over 18,500 health workers and people with medical conditions have been vaccinated across Yemen. In the next rounds of the vaccination campaign, migrants are expected to be included as per the national plan. IOM estimates that more than 32,000 migrants are currently stranded across Yemen, with limited access to health care, hygiene or other COVID-19 prevention and treatment resources.The vaccines being administered by IOM in the five health centres are provided through the COVAX Facility, which is a partnership between the Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), Gavi, the Vaccine Alliance, the United Nations’ Children’s Fund (UNICEF) and the World Health Organization (WHO).Prior to the start of the vaccination campaign, IOM doctors were trained in administering the vaccine by WHO, UNICEF and the Ministry of Public Health and Population.The health centres where IOM is helping to carry out the vaccination campaign are already supported by the Organization through other means, including the provision of medicine, supplies, equipment, salary support and training. IOM is able to work with these health centres thanks to support from USAID’s Bureau for Humanitarian Assistance (BHA) and the Government of Japan.
    For greater effectiveness of vaccination campaigns across the world, IOM calls for the removal of any barriers that migrants and forcibly displaced persons may face in accessing the jab.The Organization has been supporting governments through health system strengthening, outreach to share information and combat vaccine hesitancy among communities, and operational support for transport and storage of doses, among other activities. IOM has also been implementing an extensive response to the COVID-19 pandemic since its start in 2020 through other health services such as the construction of quarantine centres, enhancing COVID-19 diagnostics through PCR testing, risks communication and community engagement and health worker training.

    #COvid-19#migrant#migration#yemen#sante#vaccination#systemesante#test#quarantaine#IOM#USAID

  • Desperate living conditions on Venezuela/Colombia border plumb new depths, amid COVID-19 fears - Colombia | ReliefWeb
    https://reliefweb.int/report/colombia/desperate-living-conditions-venezuelacolombia-border-plumb-new-depths-ami

    he arid and over-crowded conditions of La Guajira on the Venezuela/ Colombia border are a potential death trap for the thousands of Venezuelan migrants living in temporary shelters in fear for their lives because of COVID-19 and the lockdown, says HelpAge International today.
    Most at risk are the almost 5,000 older migrants living in La Guajira. According to a survey of the region - carried out by HelpAge in January 2020 - 84% of them have no handwashing facilities and 78% have no access to safe drinking water. This has not improved since the outbreak of COVID and creates serious obstacles to protecting a population at risk from the virus.

    #Covid19#migrant#migration#venezuela#colombie#frontiere

  • Iraq : COVID-19 Camp Vulnerability Index - OCHA

    The aim of this vulnerability index is to understand the capacity of camps to deal with the impact of a COVID-19 outbreak, understanding the camp as a single system composed of sub-units. The components of the index are: exposure to risk, system vulnerabilities (population and infrastructure), capacity to cope with the event and its consequences, and finally, preparedness measures. For this purpose, databases collected between August 2019 and February 2020 have been analysed, as well as interviews with camp managers (see sources next to indicators), a total of 27 indicators were selected from those databases to compose the index.

    #Covid-19#Moyen-Orient#Iraq#KRG#Carte#Vulnérabilité#Camps#migrant#migration

    https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/77145.pdf
    https://reliefweb.int/report/iraq/iraq-covid-19-camp-vulnerability-index-15-june-2020

  • Iraq: COVID-19 Population Density in Internally Displaced Person Formal Camps - May 2020 - REACH

    Population density was calculated as the total number of individuals per hectare of the designated living area in each IDP camp.

    Data collection for IDP Camp Directory Round XIII could not be conducted in all of the IDP camps, due to the public health and access implications of the COVID-19 pandemic. For this reason, the Round XII data has been used for the camps that could not be accessed.

    #Covid-19#Moyen-Orient#Iraq#KRG#Carte#Déplacés#Camps#migrant#migration

    https://reliefweb.int/map/iraq/iraq-covid-19-population-density-internally-displaced-person-formal-camps
    https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/REACH_IRQ_Map_COVID19_PopulationDensity_InCampIDPs_May2020_A4.pdf

  • Into the unknown: Listening to Syria’s displaced in the search for durable solutions - Action contre la faim -RAPPORT

    Over 50 Syrian and international NGOs published a report calling for action by participants of the upcoming Brussels IV Conference on the Future of Syria and the Region to support people displaced in and from Syria in their search for an end to displacement. Research that was conducted to better understand the views and preferences of internally displaced people (IDPs) and refugees found that very few see themselves as holding a viable prospect for a durable solution – safe return and sustainable reintegration, local integration or resettlement –in the coming years.

    #Covid-19#Syrie#ONG#ONU#Camp#Déplacés#Guerre#migrant#migration#santé

    https://reliefweb.int/report/syrian-arab-republic/unknown-listening-syria-s-displaced-search-durable-solutions

    https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/Into%20the%20Unknown_NGO%20Durable%20Solutions%20Report_FINAL%20EN.pdf

  • Migrants : les échecs d’un #programme_de_retour_volontaire financé par l’#UE

    Alors qu’il embarque sur un vol de la Libye vers le Nigeria à la fin 2018, James a déjà survécu à un naufrage en Méditerranée, traversé une demi-douzaine d’États africains, été la cible de coups de feu et passé deux ans à être maltraité et torturé dans les centres de détention libyens connus pour la brutalité qui y règne.

    En 2020, de retour dans sa ville de Benin City (Etat d’Edo au Nigéria), James se retrouve expulsé de sa maison après n’avoir pas pu payer son loyer. Il dort désormais à même le sol de son salon de coiffure.

    Sa famille et ses amis l’ont tous rejeté parce qu’il n’a pas réussi à rejoindre l’Europe.

    « Le fait que tu sois de retour n’est source de bonheur pour personne ici. Personne ne semble se soucier de toi [...]. Tu es revenu les #mains_vides », raconte-t-il à Euronews.

    James est l’un des quelque 81 000 migrants africains qui sont rentrés dans leur pays d’origine avec l’aide de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) des Nations unies et le #soutien_financier de l’Union européenne, dans le cadre d’une initiative conjointe de 357 millions d’euros (https://migrationjointinitiative.org). Outre une place sur un vol au départ de la Libye ou de plusieurs autres pays de transit, les migrants se voient promettre de l’argent, un #soutien et des #conseils pour leur permettre de se réintégrer dans leur pays d’origine une fois rentrés chez eux.

    Mais une enquête d’Euronews menée dans sept pays africains a révélé des lacunes importantes dans ce programme, considéré comme la réponse phare de l’UE pour empêcher les migrants d’essayer de se rendre en Europe.

    Des dizaines de migrants ayant participé au programme ont déclaré à Euronews qu’une fois rentrés chez eux, ils ne recevaient aucune aide. Et ceux qui ont reçu une aide financière, comme James, ont déclaré qu’elle était insuffisante.

    Nombreux sont ceux qui envisagent de tenter à nouveau de se rendre en Europe dès que l’occasion se présente.

    « Je ne me sens pas à ma place ici », confie James. « Si l’occasion se présente, je quitte le pays ».

    Sur les 81 000 migrants qui ont été rapatriés depuis 2017, près de 33 000 ont été renvoyés de Libye par avion. Parmi eux, beaucoup ont été victimes de détention, d’abus et de violences de la part de passeurs, de milices et de bandes criminelles. Les conditions sont si mauvaises dans le pays d’Afrique du Nord que le programme est appelé « retour humanitaire volontaire » (VHR), plutôt que programme de « retour volontaire assisté » (AVR) comme ailleurs en Afrique.

    Après trois ans passés en Libye, Mohi, 24 ans, a accepté l’offre d’un vol de retour en 2019. Mais, une fois de retour dans son pays, son programme de réintégration ne s’est jamais concrétisé. « Rien ne nous a été fourni ; ils continuent à nous dire ’demain’ », raconte-t-il à Euronews depuis le nord du Darfour, au Soudan.

    Mohi n’est pas seul. Les propres statistiques de l’OIM sur les rapatriés au Soudan révèlent que seuls 766 personnes sur plus de 2 600 ont reçu un soutien économique. L’OIM attribue cette situation à des taux d’inflation élevés et à une pénurie de biens et d’argent sur place.

    Mais M. Kwaku Arhin-Sam, spécialiste des projets de développement et directeur de l’Institut d’évaluation Friedensau, estime de manière plus générale que la moitié des programmes de réintégration de l’OIM échouent.

    « La plupart des gens sont perdus au bout de quelques jours », explique-t-il.
    Deux tiers des migrants ne terminent pas les programmes de réintégration

    L’OIM elle-même revoit cette estimation à la baisse : l’agence des Nations unies a déclaré à Euronews que jusqu’à présent, seul un tiers des migrants qui ont commencé à bénéficier d’une aide à la réintégration sont allés au bout du processus. Un porte-parole a déclaré que l’initiative conjointe OIM/EU étant un processus volontaire, « les migrants peuvent décider de se désister à tout moment, ou de ne pas s’engager du tout ».

    Un porte-parole de l’OIM ajoute que la réintégration des migrants une fois qu’ils sont rentrés chez eux va bien au-delà du mandat de l’organisation, et « nécessite un leadership fort de la part des autorités nationales », ainsi que « des contributions actives à tous les niveaux de la société ».

    Entre mai 2017 et février 2019, l’OIM a aidé plus de 12 000 personnes à rentrer au Nigeria. Parmi elles, 9 000 étaient « joignables » lorsqu’elles sont rentrées chez elles, 5 000 ont reçu une formation professionnelle et 4 300 ont bénéficié d’une « aide à la réintégration ». Si l’on inclut l’accès aux services de conseil ou de santé, selon l’OIM Nigéria, un total de 7 000 sur 12 000 rapatriés – soit 58 % – ont reçu une aide à la réintégration.

    Mais le nombre de personnes classées comme ayant terminé le programme d’aide à la réintégration n’était que de 1 289. De plus, les recherches de Jill Alpes, experte en migration et chercheuse associée au Centre de recherche sur les frontières de Nimègue, ont révélé que des enquêtes visant à vérifier l’efficacité de ces programmes n’ont été menées qu’auprès de 136 rapatriés.

    Parallèlement, une étude de Harvard sur les Nigérians de retour de Libye (https://cdn1.sph.harvard.edu/wp-content/uploads/sites/2464/2019/11/Harvard-FXB-Center-Returning-Home-FINAL.pdf) estime que 61,3 % des personnes interrogées ne travaillaient pas après leur retour, et que quelque 16,8 % supplémentaires ne travaillaient que pendant une courte période, pas assez longue pour générer une source de revenus stable. À leur retour, la grande majorité des rapatriés, 98,3 %, ne suivaient aucune forme d’enseignement régulier.

    La commissaire européenne aux affaires intérieures, Ylva Johansson, a admis à Euronews que « c’est un domaine dans lequel nous avons besoin d’améliorations ». Mme Johansson a déclaré qu’il était trop tôt pour dire quelles pourraient être ces améliorations, mais a maintenu que l’UE avait de bonnes relations avec l’OIM.

    Sandrine, Rachel et Berline, originaires du Cameroun, ont elles accepté de prendre un vol de l’OIM de Misrata, en Libye, à Yaoundé, la capitale camerounaise, en septembre 2018.

    En Libye, elles disent avoir subi des violences, des abus sexuels et avoir déjà risqué leur vie en tentant de traverser la Méditerranée. À cette occasion, elles ont été interceptées par les garde-côtes libyens et renvoyées en Libye.

    Une fois rentrées au Cameroun, Berline et Rachel disent n’avoir reçu ni argent ni soutien de l’OIM. Sandrine a reçu environ 900 000 fcfa (1 373,20 euros) pour payer l’éducation de ses enfants et lancer une petite entreprise – mais cela n’a pas duré longtemps.

    « Je vendais du poulet au bord de la route à Yaoundé, mais le projet ne s’est pas bien déroulé et je l’ai abandonné », confie-t-elle.

    Elle se souvient aussi d’avoir accouché dans un centre de détention de Tripoli avec des fusillades comme fond sonore.

    Toutes les trois ont affirmé qu’au moment de leur départ pour le Cameroun, elles n’avaient aucune idée de l’endroit où elles allaient dormir une fois arrivées et qu’elles n’avaient même pas d’argent pour appeler leur famille afin de les informer de leur retour.

    « Nous avons quitté le pays, et quand nous y sommes revenues, nous avons trouvé la même situation, parfois même pire. C’est pourquoi les gens décident de repartir », explique Berline.

    En novembre 2019, moins de la moitié des 3 514 migrants camerounais qui ont reçu une forme ou une autre de soutien de la part de l’OIM étaient considérés comme « véritablement intégrés » (https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/ENG_Press%20release%20COPIL_EUTF%20UE_IOM_Cameroon.pdf).

    Seydou, un rapatrié malien, a reçu de l’argent de l’OIM pour payer son loyer pendant trois mois et les factures médicales de sa femme malade. Il a également reçu une formation commerciale et un moto-taxi.

    Mais au Mali, il gagne environ 15 euros par jour, alors qu’en Algérie, où il travaillait illégalement, il avait été capable de renvoyer chez lui plus de 1 300 euros au total, ce qui a permis de financer la construction d’une maison pour son frère dans leur village.

    Il tente actuellement d’obtenir un visa qui lui permettrait de rejoindre un autre de ses frères en France.

    Seydou est cependant l’un des rares Maliens chanceux. Les recherches de Jill Alpes, publiées par Brot für die Welt et Medico (l’agence humanitaire des Églises protestantes en Allemagne), ont révélé que seuls 10 % des migrants retournés au Mali jusqu’en janvier 2019 avaient reçu un soutien quelconque de l’OIM.

    L’OIM, quant à elle, affirme que 14 879 Maliens ont entamé le processus de réintégration – mais ce chiffre ne révèle pas combien de personnes l’ont achevé.
    Les stigmates du retour

    Dans certains cas, l’argent que les migrants reçoivent est utilisé pour financer une nouvelle tentative pour rejoindre l’Europe.

    Dans un des cas, une douzaine de personnes qui avaient atteint l’Europe et avaient été renvoyées chez elles ont été découvertes parmi les survivants du naufrage d’un bateau en 2019 (https://www.infomigrants.net/en/post/21407/mauritanian-coast-guard-intercepts-boat-carrying-around-190-migrants-i se dirigeait vers les îles Canaries. « Ils étaient revenus et ils avaient décidé de reprendre la route », a déclaré Laura Lungarotti, chef de la mission de l’OIM en Mauritanie.

    Safa Msehli, porte-parole de l’OIM, a déclaré à Euronews que l’organisation ne pouvait pas empêcher des personnes de tenter de repartir vers l’Europe une fois revenues.

    « C’est aux gens de décider s’ils veulent ou non émigrer et dans aucun de ses différents programmes, l’OIM ne prévoit pas d’empêcher les gens de repartir », a-t-elle expliqué.

    Qu’est-ce que l’OIM ?

    A partir de 2016, l’OIM s’est redéfinie comme agence des Nations unies pour les migrations, et en parallèle son budget a augmenté rapidement (https://governingbodies.iom.int/system/files/en/council/110/C-110-10%20-%20Director%20General%27s%20report%20to%20the%20110). Il est passé de 242,2 millions de dollars US (213 millions d’euros) en 1998 à plus de 2 milliards de dollars US (1,7 milliard d’euros) à l’automne 2019, soit une multiplication par huit. Bien qu’elle ne fasse pas partie des Nations unies, l’OIM est désormais une « organisation apparentée », avec un statut similaire à celui d’un prestataire privé.

    L’UE et ses États membres sont collectivement les principaux contributeurs au budget de l’OIM (https://governingbodies.iom.int/system/files/en/council/110/Statements/EU%20coordinated%20statement%20-%20Point%2013%20-%20final%20IOM), leurs dons représentant près de la moitié de son financement opérationnel.

    De son côté, l’OIM tient à mettre en évidence sur son site web les cas où son programme de retour volontaire a été couronné de succès, notamment celui de Khadeejah Shaeban, une rapatriée soudanaise revenue de Libye qui a pu monter un atelier de couture.

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    Comment fonctionne le processus d’aide à la réintégration ?
    Les migrants embarquent dans un avion de l’OIM sur la base du volontariat et retournent dans leur pays ;
    Ils ont droit à des conseils avant et après le voyage ;
    Chaque « rapatrié » peut bénéficier de l’aide de bureaux locaux, en partenariat avec des ONG locales ;
    L’assistance à l’accueil après l’arrivée peut comprendre l’accueil à l’aéroport, l’hébergement pour la nuit, une allocation en espèces pour les besoins immédiats, une première assistance médicale, une aide pour le voyage suivant, une assistance matérielle ;
    Une fois arrivés, les migrants sont enregistrés et vont dans un centre d’hébergement temporaire où ils restent jusqu’à ce qu’ils puissent participer à des séances de conseil avec le personnel de l’OIM. Des entretiens individuels doivent aider les migrants à identifier leurs besoins. Les migrants en situation vulnérable reçoivent des conseils supplémentaires, adaptés à leur situation spécifique ;
    Cette assistance est généralement non monétaire et consiste en des cours de création d’entreprise, des formations professionnelles (de quelques jours à six mois/un an), des salons de l’emploi, des groupes de discussion ou des séances de conseil ; l’aide à la création de micro-entreprises. Toutefois, pour certains cas vulnérables, une assistance en espèces est fournie pour faire face aux dépenses quotidiennes et aux besoins médicaux ;
    Chaque module comprend des activités de suivi et d’évaluation afin de déterminer l’efficacité des programmes de réintégration.

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    Des migrants d’#Afghanistan et du #Yémen ont été renvoyés dans ces pays dans le cadre de ce programme, ainsi que vers la Somalie, l’Érythrée et le Sud-Soudan, malgré le fait que les pays de l’UE découragent tout voyage dans ces régions.

    En vertu du droit international relatif aux Droits de l’homme, le principe de « #non-refoulement » garantit que nul ne doit être renvoyé dans un pays où il risque d’être torturé, d’être soumis à des traitements cruels, inhumains ou dégradants ou de subir d’autres préjudices irréparables. Ce principe s’applique à tous les migrants, à tout moment et quel que soit leur statut migratoire.

    L’OIM fait valoir que des procédures sont en place pour informer les migrants pendant toutes les phases précédant leur départ, y compris pour ceux qui sont vulnérables, en leur expliquant le soutien que l’organisation peut leur apporter une fois arrivés au pays.

    Mais même lorsque les migrants atterrissent dans des pays qui ne sont pas en proie à des conflits de longue durée, comme le Nigeria, certains risquent d’être confrontés à des dangers et des menaces bien réelles.

    Les principes directeurs du Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) sur la protection internationale considèrent que les femmes ou les mineurs victimes de trafic ont le droit de demander le statut de réfugié. Ces populations vulnérables risquent d’être persécutées à leur retour, y compris au Nigeria, voire même d’être à nouveau victime de traite.
    Forcer la main ?

    Le caractère volontaire contestable des opérations de retour s’étend également au Niger voisin, pays qui compte le plus grand nombre de migrants assistés par l’OIM et qui est présenté comme la nouvelle frontière méridionale de l’Europe.

    En 2015, le Niger s’est montré disposé à lutter contre la migration en échange d’un dédommagement de l’UE, mais des centaines de milliers de migrants continuent de suivre les routes à travers le désert en direction du nord pendant que le business du trafic d’êtres humains est florissant.

    Selon le Conseil européen sur les réfugiés et les exilés, une moyenne de 500 personnes sont expulsées d’Algérie vers le Niger chaque semaine, au mépris du droit international.

    La police algérienne détient, identifie et achemine les migrants vers ce qu’ils appellent le « #point zéro », situé à 15 km de la frontière avec le Niger. De là, les hommes, femmes et enfants sont contraints de marcher dans le désert pendant environ 25 km pour atteindre le campement le plus proche.

    « Ils arrivent à un campement frontalier géré par l’OIM (Assamaka) dans des conditions épouvantables, notamment des femmes enceintes souffrant d’hémorragies et en état de choc complet », a constaté Felipe González Morales, le rapporteur spécial des Nations unies, après sa visite en octobre 2018 (https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=23698%26LangID).

    Jill Alpes, au Centre de recherche sur les frontières de Nimègue, estime que ces expulsions sont la raison principale pour laquelle les migrants acceptent d’être renvoyés du Niger. Souvent repérés lors d’opérations de recherche et de sauvetage de l’OIM dans le désert, ces migrants n’ont guère d’autre choix que d’accepter l’aide de l’organisation et l’offre de rapatriement qui s’ensuit.

    Dans ses travaux de recherche, Mme Alpes écrit que « seuls les migrants qui acceptent de rentrer au pays peuvent devenir bénéficiaire du travail humanitaire de l’OIM. Bien que des exceptions existent, l’OIM offre en principe le transport d’Assamakka à Arlit uniquement aux personnes expulsées qui acceptent de retourner dans leur pays d’origine ».

    Les opérations de l’IOM au Niger

    M. Morales, le rapporteur spécial des Nations unies, semble être d’accord (https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=23698%26LangID). Il a constaté que « de nombreux migrants qui ont souscrit à l’aide au retour volontaire sont victimes de multiples violations des droits de l’Homme et ont besoin d’une protection fondée sur le droit international », et qu’ils ne devraient donc pas être renvoyés dans leur pays. « Cependant, très peu d’entre eux sont orientés vers une procédure de détermination du statut de réfugié ou d’asile, et les autres cas sont traités en vue de leur retour ».

    « Le fait que le Fonds fiduciaire de l’Union européenne apporte un soutien financier à l’OIM en grande partie pour sensibiliser les migrants et les renvoyer dans leur pays d’origine, même lorsque le caractère volontaire est souvent douteux, compromet son approche de la coopération au développement fondée sur les droits », indique le rapporteur spécial des Nations unies.
    Des contrôles insuffisants

    Loren Landau, professeur spécialiste des migrations et du développement au Département du développement international d’Oxford, affirme que le travail de l’OIM souffre en plus d’un manque de supervision indépendante.

    « Il y a très peu de recherches indépendantes et beaucoup de rapports. Mais ce sont tous des rapports écrits par l’OIM. Ils commandent eux-même leur propre évaluation , et ce, depuis des années », détaille le professeur.

    Dans le même temps, le Dr. Arhin-Sam, spécialiste lui de l’évaluation des programmes de développement, remet en question la responsabilité et la redevabilité de l’ensemble de la structure, arguant que les institutions et agences locales dépendent financièrement de l’OIM.

    « Cela a créé un haut niveau de dépendance pour les agences nationales qui doivent évaluer le travail des agences internationales comme l’OIM : elles ne peuvent pas être critiques envers l’OIM. Alors que font-elles ? Elles continuent à dire dans leurs rapports que l’OIM fonctionne bien. De cette façon, l’OIM peut ensuite se tourner vers l’UE et dire que tout va bien ».

    Selon M. Arhin-Sam, les ONG locales et les agences qui aident les rapatriés « sont dans une compétition très dangereuse entre elles » pour obtenir le plus de travail possible des agences des Nations unies et entrer dans leurs bonnes grâces.

    « Si l’OIM travaille avec une ONG locale, celle-ci ne peut plus travailler avec le HCR. Elle se considère alors chanceuse d’être financée par l’OIM et ne peuvent donc pas la critiquer », affirme-t-il.

    Par ailleurs, l’UE participe en tant qu’observateur aux organes de décision du HCR et de l’OIM, sans droit de vote, et tous les États membres de l’UE sont également membres de l’OIM.

    « Le principal bailleur de fonds de l’OIM est l’UE, et ils doivent se soumettre aux exigences de leur client. Cela rend le partenariat très suspect », souligne M. Arhin-Sam. « [Lorsque les fonctionnaires européens] viennent évaluer les projets, ils vérifient si tout ce qui est écrit dans le contrat a été fourni. Mais que cela corresponde à la volonté des gens et aux complexités de la réalité sur le terrain, c’est une autre histoire ».
    Une relation abusive

    « Les États africains ne sont pas nécessairement eux-mêmes favorables aux migrants », estime le professeur Landau. « L’UE a convaincu ces États avec des accords bilatéraux. S’ils s’opposent à l’UE, ils perdront l’aide internationale dont ils bénéficient aujourd’hui. Malgré le langage du partenariat, il est évident que la relation entre l’UE et les États africains ressemble à une relation abusive, dans laquelle un partenaire est dépendant de l’autre ».

    Les chercheurs soulignent que si les retours de Libye offrent une voie de sortie essentielle pour les migrants en situation d’extrême danger, la question de savoir pourquoi les gens sont allés en Libye en premier lieu n’est jamais abordée.

    Une étude réalisée par l’activiste humanitaire libyenne Amera Markous (https://www.cerahgeneve.ch/files/6115/7235/2489/Amera_Markous_-_MAS_Dissertation_2019.pdf) affirme que les migrants et les réfugiés sont dans l’impossibilité d’évaluer en connaissance de cause s’ils doivent retourner dans leur pays quand ils se trouvent dans une situation de détresse, comme par exemple dans un centre de détention libyen.

    « Comment faites-vous en sorte qu’ils partent parce qu’ils le veulent, ou simplement parce qu’ils sont désespérés et que l’OIM leur offre cette seule alternative ? » souligne la chercheuse.

    En plus des abus, le stress et le manque de soins médicaux peuvent influencer la décision des migrants de rentrer chez eux. Jean-Pierre Gauci, chercheur principal à l’Institut britannique de droit international et comparé, estime, lui, que ceux qui gèrent les centres de détention peuvent faire pression sur un migrant emprisonné pour qu’il s’inscrive au programme.

    « Il existe une situation de pouvoir, perçu ou réel, qui peut entraver le consentement effectif et véritablement libre », explique-t-il.

    En réponse, l’OIM affirme que le programme Retour Humanitaire Volontaire est bien volontaire, que les migrants peuvent changer d’avis avant d’embarquer et décider de rester sur place.

    « Il n’est pas rare que des migrants qui soient prêts à voyager, avec des billets d’avion et des documents de voyage, changent d’avis et restent en Libye », déclare un porte-parole de l’OIM.

    Mais M. Landau affirme que l’initiative UE-OIM n’a pas été conçue dans le but d’améliorer la vie des migrants.

    « L’objectif n’est pas de rendre les migrants heureux ou de les réintégrer réellement, mais de s’en débarrasser d’une manière qui soit acceptable pour les Européens », affirme le chercheur.

    « Si par ’fonctionner’, nous entendons se débarrasser de ces personnes, alors le projet fonctionne pour l’UE. C’est une bonne affaire. Il ne vise pas à résoudre les causes profondes des migrations, mais crée une excuse pour ce genre d’expulsions ».

    https://fr.euronews.com/2020/06/22/migrants-les-echecs-d-un-programme-de-retour-volontaire-finance-par-l-u
    #retour_volontaire #échec #campagne #dissuasion #migrations #asile #réfugiés #IOM #renvois #expulsions #efficacité #réintégration #EU #Union_européenne #Niger #Libye #retour_humanitaire_volontaire (#VHR) #retour_volontaire_assisté (#AVR) #statistiques #chiffres #aide_à_la_réintégration #Nigeria #réfugiés_nigérians #travail #Cameroun #migrerrance #stigmates #stigmatisation #Assamaka #choix #rapatriement #Fonds_fiduciaire_de_l'Union européenne #fonds_fiduciaire #coopération_au_développement #aide_au_développement #HCR #partenariat #pouvoir

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    Ajouté à la métaliste migrations & développement (et plus précisément en lien avec la #conditionnalité_de_l'aide) :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768702

    ping @rhoumour @karine4 @isskein @_kg_

  • Somalia: Risk of undetected COVID-19 in camps for displaced - Somalia | ReliefWeb
    https://reliefweb.int/report/somalia/somalia-risk-undetected-covid-19-camps-displaced

    There have been an estimated 200,000 confirmed cases of Covid-19 across Africa. The World Health Organisation believes the virus is accelerating across the continent, spreading out from densely populated urban areas. Cases have been rising in Somalia’s capital Mogadishu, a city already disrupted by years of conflict, and struggling to support thousands of internally displaced people (IDP).

    #Covid-19#migrant#migration#somalie#deplaceinterne

  • UNHCR Appeals for US$ 186 million for Refugee and Displacement Crisis in Sahel - World | ReliefWeb
    https://reliefweb.int/report/world/unhcr-appeals-us-186-million-refugee-and-displacement-crisis-sahel

    UNHCR, the UN Refugee Agency, has today launched a US$186 million appeal to mainly provide lifesaving protection and assistance to refugees, internally displaced persons (IDPs), returnees and host communities in the central Sahel region.
    The appeal includes the $97 million in initial requirements for 2020, US$ 29 million to implement COVID-19 prevention and response measures in displacement areas, and an additional US$ 60 million to scale up UNHCR’s emergency response as part of its Sahel Strategy.

    #Covid-19#migrant#migration#sahel#hcr

  • Mixed Migration Centre: COVID-19 global update #4 - Impact of COVID-19 on refugees and migrants - World | ReliefWeb
    https://reliefweb.int/report/world/mixed-migration-centre-covid-19-global-update-4-impact-covid-19-refugees-

    This is the fourth update on the situation for refugees and migrants on mixed migration routes around the world in light of the COVID-19 pandemic, based on data collected by MMC in Asia, East Africa, Latin America, North Africa and West Africa. The objective of the global updates is to provide regular up-to-date findings on COVID-19 awareness, knowledge and risk perception, access to information, access to healthcare, assistance needs and the impact on refugees’ and migrants’ lives and migration journeys. Published once every two weeks, this series provides an aggregated overview

    #Covid-19#migrant#migration#information#perception#parcours

  • Colombia: Migration and Health Program - Activities for COVID-19 preparedness and response, March - April 2020 - Colombia | ReliefWeb
    https://reliefweb.int/report/colombia/colombia-migration-and-health-program-activities-covid-19-preparedness-an

    This initiated monitoring and preparation by Colombia’s Ministry of Health and Social Protection (MSPS in Spanish). Once the WHO declared the outbreak to be a pandemic, the national government also declared a state of health emergency due to the novel coronavirus. Based on this national declaration, a contingency plan was established along with preventive measures for isolation, quarantine and provisions for health services, (Resolution 385 of March 12, Decree 476 of March 25, Decree 538 April 12, among others).

    #Covid-19#migrant#migration#colombie#etatdurgence

  • Rohingya Cyclists Share Key COVID19 Information Door to Door in Cox’s Bazar Refugee Camps - Bangladesh | ReliefWeb
    #Covid-19#migrant#migration#rohingya#camp#bangladesh

    https://reliefweb.int/report/bangladesh/rohingya-cyclists-share-key-covid19-information-door-door-cox-s-bazar-ref

    Cox’s Bazar–Social distancing is a crucial aspect in fighting the COVID-19 pandemic. But that poses challenges to the flow of key information during a time when being well-informed also is critical to public health.

  • IOM, Partners Offer “Filter Hotel” to Migrants Needing Quarantine in Northern Mexico - Mexico | ReliefWeb
    #Covid-19#migrant#migration#OIM#Mexique#hotel#confinement

    https://reliefweb.int/report/mexico/iom-partners-offer-filter-hotel-migrants-needing-quarantine-northern-mexi

    Ciudad Juárez – In this Mexican city on the border with the United States, many migrant shelters have closed their doors in order to prevent the spread of COVID-19. For this reason, recently arrived migrants to the city, or those who can no longer afford to pay for lodging, wonder if they would have somewhere to go during the quarantine ordered by authorities.

  • Humanitarian Update Syrian Arab Republic - Issue 11 | 30 May 2020- OCHA report Syria Reliefweb

    Number of people confirmed by the Ministry of Health (MoH) to have COVID-19: 122 (four fatalities, 43 recovered).

    • Areas of concern: Densely populated areas, notably Damascus/Rural Damascus, Aleppo and Homs, and those living in camps and informal settlements in NES, collective shelters throughout the country, as well as other areas including Deir-Ez-Zor, and where hostilities may be ongoing making sample collection more challenging

    #Covid-19#Syrie#Rapport#OCHA#Santé#réfugiés#déplacés#migration#quarantaine

    https://reliefweb.int/report/syrian-arab-republic/humanitarian-update-syrian-arab-republic-issue-11-30-may-2020
    https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/Syria_COVID-19_Humanitarian%20Update%20No%2011_30May2020_FINAL.pdf

  • Chile : Return Migration to Bolivia (COVID-19 Context) Information Bulletin No. 1 - Chile | ReliefWeb
    #Covid-19#migrant#migration#Chili#retour

    https://reliefweb.int/report/chile/chile-return-migration-bolivia-covid-19-context-information-bulletin-no-1

    ARO is publishing this special report on population movement due to the impact, flows and preexisting dynamics in the region and the importance to reflect the coordination between NSs and IFRC to meet the needs of populations affected by COVID-19 and Migration.