• Meloni, accordo con Rama prevede 2 centri migranti in Albania

    “L’accordo prevede di allestire centri per migranti in Albania che possano contenere fino a 3mila persone”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni dopo l’incontro a Palazzo Chigi con il primo ministro dell’Albania Edi Rama. “L’accordo che sigliamo oggi – ha aggiunto - arricchisce di un ulteriore tassello la collaborazione” tra i due Paesi e “quando ne abbiamo iniziato a discutere siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo e la collaborazione tra Stati Ue e Stati per ora extra Ue – per ora - è fondamentale”. “In questi due centri” i migranti resteranno “il tempo necessario per le procedure e una volta a regime nei centri ci potrà essere un flusso annuale complessivo di 36 mila persone”. “L’accordo non riguarda i minori e donne in gravidanza ed i soggetti vulnerabili – precisa – la giurisdizione sarà italiana. L’Albania collabora sulla sorveglianza esterna delle strutture. All’accordo che disegna la cornice, seguiranno una serie di protocolli. Contiamo di rendere operativi i centri in primavera”. (ANSA).

    https://it.euronews.com/2023/11/06/meloni-accordo-con-rama-prevede-2-centri-migranti-in-albania

    #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres

    ajouté à la Métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

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    Et ajouté à la métaliste sur les différentes tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers, mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers
    https://seenthis.net/messages/900122

    • Migranti, accordo Italia-Albania. Meloni: “Centri italiani nel loro Paese”. Il Pd: “Un pericoloso pasticcio”. Ue: “L’Italia rispetti il diritto comunitario”

      Il premier Edi Rama ricevuto a Palazzo Chigi dove è stato siglato un protocollo d’intesa in materia di gestione dei flussi. Accoglieranno fino a 3mila persone, solo coloro che saranno salvati in mare. Protestano + Europa e Avs

      La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il primo ministro dell’Albania Edi Rama. «Sono contenta di annunciare con lui un protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migranti. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Albania. C’è una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità – dice Meloni durante le dichiarazioni congiunte con il collega albanese – L’accordo prevede di allestire due centri migranti in Albania che possano contenere fino 3mila persone. E arricchisce di un ulteriore tassello la collaborazione» tra i due Paesi e «quando ne abbiamo iniziato a discutere siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo e la collaborazione tra stati Ue e stati - per ora - è fondamentale».

      Un accordo contro cui si scagliano le opposizioni e che il Pd definisce “un pericoloso pasticcio”. Mentre da Bruxelles un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos dice: «Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve ancora essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale».

      L’incontro tra i due primi ministri è stata anche l’occasione per ribadire il sostegno dell’Italia all’ingresso di Tirana in Ue. "L’Albania si conferma una nazione amica e nonostante non sia ancora parte dell’Unione si comporta come se fosse un paese membro e questa è una delle ragioni per cui sono fiera che l’Italia sia da sempre uno dei paesi sostenitori dell’allargamento ai Balcani occidentali”. E ancora. «L’Ue non è un club. Quindi, io non parlo di ingressi ma di riunificazione dei Balcani occidentali che sono Paesi Ue a tutti gli effetti», osserva Meloni. Che ricorda anche come l’Italia sia «il primo partner commerciale dell’Albania. Il nostro interscambio vale circa il 20% del Pil albanese. Ci sono intensi rapporti culturali e sociali. È una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità. L’accordo di oggi arricchisce questa collaborazione con un ulteriore tassello», conclude la premier.
      Le reazioni

      Se la destra plaude all’intesa tra l’Italia e l’Albania, le opposizioni insorgono. «L’accordo che il governo Meloni ha raggiunto con il governo albanese sembra configurarsi come un pericoloso pasticcio, parecchio ambiguo. Se infatti si è, come sembra, di fronte a richiedenti asilo, appare assolutamente inimmaginabile compiere con personale italiano e senza esborso di risorse, come annunciato, le procedure di verifica delle domande d’asilo», attacca Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie della segreteria nazionale del Pd. “Praticamente si crea una sorta di Guantanamo italiana, al di fuori di ogni standard internazionale, al di fuori dell’Ue senza che possa esserci la possibilita’ di controllare lo stato di detenzione delle persone rinchiuse in questi centri"., protesta Riccardo Magi, segretario di Più Europa. E Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinisra aggiunge: Quello che il governo ha definito come un ’importantissimo protocollo di intesa’ non è altro che una politica di respingimento mascherata da cooperazione internazionale. Il governo italiano –prosegue - sta delegando la gestione dei migranti irregolari, di fatto esternalizzando le proprie responsabilità, con il rischio di creare campi di permanenza che potrebbero non assicurare standard adeguati di accoglienza e rispetto per la dignità umana".

      Ma il ministro degli Esteri Antonio Tajani replica: «L’accordo rafforza il nostro ruolo da protagonista in Europa ed apre nuove strade di collaborazione nell’Adriatico. Contrasto all’immigrazione irregolare e bloccare la tratta di esseri umani. Queste le priorita’ della nostra politica estera».
      Il protocollo d’intesa

      Il protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migratori siglato oggi, secondo quanto si apprende da fonti di palazzo Chigi, non si applica agli immigrati che giungono sulle coste e sul territorio italiani ma a quelli salvati in mare, fatta eccezione per minori, donne in gravidanza e soggetti vulnerabili. Le strutture realizzate, viene spiegato, potranno accogliere complessivamente fino a 3mila immigrati, per una previsione di 39mila persone accolte in un anno. L’accordo si pone un obiettivo di dissuasione rispetto alle partenze e di deterrenza rispetto al traffico di esseri umani.

      La giurisdizione dei due centri per migranti in Albania sarà italiana, spiega ancora Palazzo Chigi. I migranti, viene precisato, sbarcheranno a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un centro di prima accoglienza e screening; a Gjader realizzerà una struttura modello Cpr per le successive procedure. L’Albania collaborerà con le sue forze di polizia per la sicurezza e sorveglianza. L’Albania, sottolinea ancora Palazzo Chigi, già vede un’importante presenza di forze dell’Ordine e magistrati italiani.
      Rama: “Se l’Italia chiama l’Albania c’è”

      “Se l’Italia chiama l’Albania c’è – risponde Rama – Non sta a noi giudicare il merito politico di decisioni prese in questo luogo e altre istituzioni, a noi sta rispondere ’Presente’ quando si tratta di dare una mano. Questa volta significa aiutare a gestire con un pizzico di respiro in più una situazione e difficile per l’Italia". «La geografia è diventata una maledizione per l’Italia, quando si entra in Italia si entra in Ue – spiega il premier Albanese – Noi non abbiamo la forza e la capacità di essere la soluzione ma abbiamo un dovere verso l’Italia e la capacità di dare una mano. L’Albania non fa parte dell’Unione ma è uno Stato europeo, ci manca la U davanti ma ciò non ci impedisce di essere e vedere il mondo come europei».

      https://www.repubblica.it/politica/2023/11/06/news/migranti_meloni_accordo_albania_edi_rama-419723671

      #Gjader #Shengjin #débarquement #identification #screening #premier_accueil #CPR

    • Migrants, accord Italie-Albanie. Meloni : « Des centres italiens dans leur pays ». Adhésion de Tirana à l’UE : « Nous l’avons toujours soutenue »

      Le Premier ministre Giorgia Meloni a reçu le Premier ministre de l’Albanie au Palazzo Chigi Edi Rama. “Je suis heureux d’annoncer avec lui un mémorandum d’accord entre l’Italie et l’Albanie sur la gestion des flux migratoires. L’Italie est le premier partenaire commercial de l’Albanie. Il existe déjà une collaboration très étroite dans la lutte contre l’illégalité – a déclaré Meloni lors de la réunion conjointe déclarations avec son collègue albanais – L’accord prévoit la création de centres de migrants en Albanie pouvant accueillir jusqu’à 3 mille personnes. Et il enrichit la collaboration « entre les deux pays avec une étape supplémentaire » et « lorsque nous avons commencé à en discuter, nous sommes partis du l’idée que l’immigration clandestine de masse est un phénomène auquel aucun État de l’UE ne peut lutter seul et que la collaboration entre les États de l’UE est – pour l’instant – fondamentale”.

      La rencontre entre les deux premiers ministres a également été l’occasion de réitérer le soutien de l’Italie à l’entrée de Tirana dans l’UE. “L’Albanie se confirme comme une nation amie et même si elle ne fait pas encore partie de l’Union, elle se comporte comme si elle en était un pays membre et c’est une des raisons pour laquelle je suis fier que l’Italie ait toujours été l’un des pays qui soutiennent l’élargissement. aux Balkans occidentaux”. Et encore. “L’UE n’est pas un club. Je ne parle donc pas d’entrées, mais de la réunification des Balkans occidentaux, qui sont à tous égards des pays de l’UE”, observe encore Meloni. Il rappelle également que l’Italie est “le premier partenaire commercial de l’Albanie. Nos échanges commerciaux représentent environ 20 % du PIB albanais. Il existe des relations culturelles et sociales intenses. C’est une collaboration très étroite qui existe déjà dans la lutte contre l’illégalité. L’accord d’aujourd’hui enrichit cette collaboration d’une étape supplémentaire”, conclut le Premier ministre.

      Le protocole d’accord entre l’Italie et l’Albanie sur la gestion des flux migratoires signé aujourd’hui, selon ce que l’on apprend de sources au Palazzo Chigi, ne s’applique pas aux immigrants arrivant sur les côtes et le territoire italiens mais à ceux secourus en mer, à l’exception de les mineurs, les femmes enceintes et les sujets vulnérables. Les structures créées, explique-t-on, pourront accueillir au total jusqu’à 3 mille immigrants, pour une prévision de 39 mille personnes accueillies par an. L’accord vise à dissuader les départs et à décourager la traite des êtres humains.

      « Si l’Italie appelle l’Albanie, elle est là – répond Rama – Ce n’est pas à nous de juger du mérite politique des décisions prises dans ce lieu et dans d’autres institutions, c’est à nous de répondre ‘Présent’ lorsqu’il s’agit de prêter un main. Cette fois, il s’agit d’aider à gérer une situation difficile pour l’Italie avec un peu plus de répit.” “La géographie est devenue une malédiction pour l’Italie, quand vous entrez en Italie, vous entrez dans l’UE – explique le Premier ministre Albanese – Nous n’avons pas la force et Nous avons la capacité d’être la solution, mais nous avons un devoir envers l’Italie et la capacité de lui donner un coup de main. L’Albanie ne fait pas partie de l’Union mais c’est un Etat européen, il nous manque le U devant mais cela ne nous empêche pas d’être et de voir le monde en Européens”.

      https://fr.italy24.press/local/1061085.html

    • Migrants: two structures to manage illegal flows, this is what the Italy-Albania #memorandum_of_understanding provides

      Two structures in Albanian territory under Italian jurisdiction which will serve to manage illegal migratory flows. This is the fulcrum of the memorandum of understanding signed today by Italy and Albania and announced by the Prime Minister Giorgia Meloni and the counterpart Edi Rama. Rama’s “surprise” visit was not officially announced until this morning when a brief note from Palazzo Chigi announced that the two heads of government would meet in the afternoon and that they would subsequently make statements to the press. The discretion of the two governments prevailed and, consequently, also the surprise effect at the time of the announcement. “It is an agreement that enriches the friendship between the two nations,” said Meloni at the time of the announcement, subsequently explaining the details of the agreement which focuses on three primary objectives: combating human trafficking, preventing it and welcoming who has the right to protection. “Albania will grant some areas of the territory”, where Italy will be able to create “two structures” for the management of illegal migrants: “they will initially be able to accommodate up to three thousand people who will remain here for the time necessary to process asylum applications and , possibly, for the purposes of repatriation", said Meloni, specifying that the agreement does not concern minors, pregnant women and vulnerable subjects.

      The prime minister also provided details on the areas which will host the two structures which, hopefully, will be ready by spring 2024. “In the port of Shengjin (the seaport located north of Albania) disembarkation and identification procedures will be taken care of, while in another more internal area another structure based on the Repatriation Retention Centers model will be created (Cpr)”, explained Meloni, adding that the Albanian police forces will cooperate to guarantee “the security and external surveillance of the structures”. According to Meloni, the agreement signed today is a further step in the close bilateral cooperation. “Mass illegal immigration is a phenomenon that EU member states cannot face alone and cooperation between EU states and, for now, non-EU states can be decisive,” said the Prime Minister, according to whom Albania confirms itself as a friend not only of Italy but also of the European Union. “Despite not yet being formally part of the EU, Albania is a candidate country but behaves as if it were already a de facto member country of the Union and this is one of the reasons why I am proud of the fact that Italy is has always been one of the greatest supporters of the entry of Albania and the Western Balkans into the Union", added Meloni, who defined the memorandum of understanding “an innovative solution” in the hope that “it can become the model for other agreements of this type”.

      Speaking at the end of Meloni’s statements, Prime Minister Rama – underlining that the idea for the agreement was born during the Prime Minister’s summer holiday in Vlore – he immediately wanted to point out that “when Italy calls, Albania is there”. “Albania is not an EU state, but it is in Europe. It is a European state, and this does not prevent us from seeing the world as Europeans,” said Rama. “We would not have made this agreement with any other EU state. There is an important relationship of a historical, cultural, but also emotional nature, which links Albania with Italy", continued the prime minister. “We can lend a hand and help manage a situation which, as everyone sees, is difficult for Italy. When you enter Italy, you enter Europe, the EU, but when it comes to managing this entry as an EU we know well how things go,” said Rama. “We don’t have the strength to be a solution, but I believe we have a duty towards Italy and a certain ability to lend a hand”, added Rama who then recalled how his country can boast a tradition of hospitality, which began by the thousands of Italians protected after the Second World War. “We have a history of hospitality”, Rama underlined, recalling that Albania welcomed more than half a million war refugees and those fleeing to survive the ethnic cleansing from Kosovo. “We also gave refuge to thousands of Afghan women when NATO abandoned Afghanistan, and to a few thousand Iranians,” added the Albanian prime minister.

      https://www.agenzianova.com/en/news/migrants-two-structures-to-manage-illegal-flows%2C-this-is-what-the-Ita
      #MoU

    • Migranti: Un #Protocollo_d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali

      Con l’ennesimo annuncio propagandistico del govern si apprende che Giorgia Meloni avrebbe concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa , che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 persone definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza. Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “Dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.

      Secondo quanto annunciato dalle stesse fonti governative in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36.000 persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su quali autorità efettueranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?

      La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi, al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, che si asserisce sarebbero “sotto giurisdizione italiana” potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegno alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi socorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici). In quell’occasione la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “Chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama.

      Un progetto impraticabile e privo di basi legali, quanto previsto dal Memorandum sottoscritto dalla Meloni con il premier albanese, alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione, e soprattutto a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione, ed una possibile deportazione. Senza potere fare valere i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale previsti dalla Costituzione italiana (a partire dal’art.13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana) e dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo, e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. E poi, se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel mare Ionio, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da paesi terzi veramente “sicuri” ? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-UE, a differenza di quelle sbarcate in Italia,soprattutto se si tratta di persone che non provengono da paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza.

      Non si comprende neppure quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di salvatagio. Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in axque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale dal nord-africa. Forse si vorranno imporre giorni e giorni di navigazione su imbarcazioni poco adatte al trasporto di naufraghi, o si risoverà tutto nel’ennesimo effetto annuncio ?

      Come è avvenuto anche in passato, il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi. Ma colpisce immediatamente la portata disumanizzante dell’accordo, se solo si mette in evidenza l’uso pregiudiziale del termine “irregolari”, quando non addirittura “illegali”, per indicare tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane e condotte in Albania, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori. In palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio, e comunque riconoscono a tutte le persone, senza differenze a seconda della natura e della nazionalità della nave soccorriitrice, il diritto di chiedere protezione internazionale secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo, Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ma per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, e la caduta di qualsiasi ipotesi di collaborazione con i paesi africani, il Piano Mattei per l’Africa, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee.

      Per il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, il Memorandum sarebbe “in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano della presidente della Commissione von der Leyen”. Da Bruxelles, un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos ha invece affermato: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale“. Non si vede come la Commissione europea possa dare sostegno a questo Memorandum d’intesa, anche se l’approssimarsi della scadenza delle elezioni europee potrebbe fare schierare opportunisticamente alcuni leader nazionali(sti) o pezzi della Commisione UE a fianco di Giorgia Meloni. Il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio. In ogni caso le attività degli assetti militari in mare, con riferimento al soccorso dei naufraghi ed al contrasto dell’immigrazione irregolare, non possono prescindere dagli obblighi imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. O, forse, le operazioni di ricerca e soccorso si trasformeranno in attività di intercettazione ed “manovre cinematiche di interposizione”, come quelle condotte poste in essere nel 1997 dal comandante di Nave Sibilla, dopo gli accordi di Prodi con il governo albanese di allora, quando la nave militare italiana, nel tentativo di attuare un maldestro blocco navale, speronava un barcone carico di migranti provenienti dall’Albania, mandandolo a fondo? Ci saranno altri casi simili sotto esame da parte dei Tribunali penali italiani?

      La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respjgimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana” ?

      Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea.

      https://www.osservatoriorepressione.info/migranti-un-protocollo-dintesa-lalbania-opaco-disumano-pri

    • Naufraghi e richiedenti protezione. In collisione con i diritti

      È sbagliato evocare Guantanamo e la detenzione extraterritoriale dei sospetti terroristi negli Usa, ma di certo l’accordo a sorpresa tra Italia e Albania per l’accoglienza di una parte delle persone tratte in salvo dal mare è destinato a far discutere. Il governo Meloni aveva bisogno di riprendere l’iniziativa su un dossier identitario come quello della politica dell’asilo, i cui risultati sono finora rimasti lontani dalle promesse elettorali, e ha servito all’opinione pubblica una soluzione che può presentare come “innovativa”. Ma l’innovazione può entrare in collisione con i diritti sanciti dalla Costituzione italiana e dai trattati europei e internazionali.

      Anzitutto, il patto Meloni-Rama ha un sottofondo post-coloniale, come l’accordo britannico con il Ruanda a cui sembra ispirarsi: un Paese del “Primo mondo”, forte delle sue risorse politiche ed economiche, dirotta su un Paese meno fortunato e più bisognoso di appoggi l’onere di accogliere sul suo territorio i migranti sgraditi. Si immagina paradossalmente che Paesi con meno risorse e istituzioni più fragili possano ricevere degnamente i profughi che da noi sono visti come un problema. Infatti, quasi tradendo il sottotesto punitivo dell’accordo, si prevede che vengano esentati dal trasferimento in Albania donne in gravidanza, minori, soggetti vulnerabili. E il governo non ha esitato a parlare di una misura finalizzata alla deterrenza nei confronti di quelli che si ostina a definire come immigrati illegali, al pari del modello britannico.

      In realtà nel 2022 il 48% dei richiedenti l’asilo ha ottenuto uno status legale in prima istanza, e ad essi si aggiunge il 72% di coloro che hanno presentato un ricorso giurisdizionale. Dunque, rischiamo di mandare in Albania delle persone che hanno diritto all’asilo. Proprio l’esempio britannico mostra che le corti di giustizia, nazionali ed europee, l’hanno finora bloccato, e la capacità di reggere al vaglio della magistratura sarà un arduo banco di prova dell’accordo.

      Qualcosa non quadra poi riguardo ai numeri: si prevede di realizzare due strutture sul territorio albanese, una per l’identificazione allo sbarco, l’altra per l’accoglienza temporanea, con una capacità di 3.000 posti complessivi, e si prevede di trattare complessivamente 36-39.000 profughi all’anno. Si lascia intendere che basteranno quattro settimane per decidere della loro domanda di asilo, mentre oggi il tempo medio è di circa 18 mesi, senza contare la possibilità di ricorso. È probabile che i profughi languiranno a lungo in Albania e che i numeri dei casi trattati rimarranno assai più bassi di quelli annunciati.

      Ma i problemi più spinosi riguardano l’integrazione dei “deportati”. Se otterranno la protezione internazionale, averli lasciati in un Paese terzo non avrà di certo preparato la strada per la loro futura integrazione in Italia, sotto il profilo della possibilità di apprendere e praticare la lingua italiana, di conoscere la società in cui dovranno inserirsi, di orientarsi nel mercato del lavoro e nel sistema dei servizi. Se invece riceveranno un diniego, occorre chiedersi che ne sarà di loro. La bassissima capacità di rimpatrio forzato da parte delle nostre istituzioni (4.304 persone nel 2022), peraltro simili in questo agli altri Paesi europei, è un dato ormai noto. Se ne occuperanno le autorità albanesi? Con quale protezione dei loro diritti umani inalienabili, per esempio il diritto alle cure mediche necessarie e urgenti, o a non morire di fame?

      La politica dell’immigrazione ci ha abituato da tempo a dichiarazioni enfatiche – basti ricordare i più volte annunciati accordi con la Tunisia – e presunte soluzioni che si rivelano inattuabili. Anche l’accordo Italia-Albania rischia ora di entrare nella serie. O meglio: se non sarà attuato, sarà l’ennesima pseudo-ricetta venduta all’opinione pubblica; se dovesse essere attuato, anche solo parzialmente, tratterà soltanto una minoranza dei casi e sferrerà comunque una picconata alla già traballante architettura giuridica dei diritti umani fondamentali.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/in-collisione-con-i-diritti

    • Accord migratoire Italie-Albanie : l’#ONU appelle au respect du #droit_international

      L’agence de l’ONU pour les réfugiés (HCR) a appelé mardi au « respect du droit international relatif aux réfugiés » après l’accord signé lundi entre l’Italie et l’Albanie visant à délocaliser dans ce pays l’accueil de migrants sauvés en mer et l’examen de leur demande d’asile.

      « Les modalités de transfert des demandeurs d’asile et des réfugiés doivent respecter le droit international relatif aux réfugiés », a exhorté le HCR dans un communiqué publié à Genève.

      L’accord signé lundi à Rome par la cheffe du gouvernement italien Giorgia Meloni et son homologue albanais Edi Rama prévoit que l’Italie va ouvrir dans ce pays, candidat à l’adhésion à l’UE, deux centres pour accueillir des migrants sauvés en mer afin de « mener rapidement les procédures de traitement des demandes d’asile ou les éventuels rapatriements ».

      Ces deux centres gérés par l’Italie, opérationnels au printemps 2024, pourront accueillir jusqu’à 3.000 migrants, soit environ 39.000 par an selon les prévisions. Les mineurs, les femmes enceintes et les personnes vulnérables ne seraient pas concernés.

      Le HCR, qui dit n’avoir « pas été informé ni consulté sur le contenu de l’accord », estime que « les retours ou les transferts vers des pays tiers sûrs ne peuvent être considérés comme appropriés que si certaines normes sont respectées - en particulier, que ces pays respectent pleinement les droits découlant de la Convention relative au statut des réfugiés et les obligations en matière de droits de l’Homme, et si l’accord contribue à répartir équitablement la responsabilité des réfugiés entre les nations, plutôt que de la déplacer ».

      Un membre du gouvernement italien a précisé mardi que les migrants seraient emmenés directement vers ces centres, sans passer par l’Italie, et que ces structures seraient placées sous l’autorité de Rome en vertu d’« un statut d’extraterritorialité ». Mais de nombreuses questions sur le fonctionnement d’un tel projet restent en suspens.

      L’Italie est confrontée à un afflux de migrants depuis janvier (145.000 contre 88.000 en 2022 sur la même période). Les règles européennes prévoient que d’une manière générale, le premier pays d’entrée d’un migrant dans l’UE est responsable du traitement de sa demande d’asile, et les pays méditerranéens se plaignent de devoir assumer une charge disproportionnée.

      https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/071123/accord-migratoire-italie-albanie-l-onu-appelle-au-respect-du-droit-interna

    • Accordo Italia-Albania: un altro patto illegale, un altro tassello della propaganda del governo

      #Fulvio_Vassallo_Paleologo: «Un protocollo opaco, disumano e privo di basi legali»

      “Un’intesa storica”, “È un accordo che arricchisce un’amicizia storica”, “I nostri immigrati in Albania”, “Svolta sugli sbarchi”. E’ un tripudio di frasi altisonanti e di affermazioni risolutive quelle che hanno accompagnato in questi giorni la diffusione del protocollo d’intesa firmato da Meloni e dal primo ministro albanese, Edi Rama, per l’apertura in Albania di due centri italiani per la gestione dei richiedenti asilo. Strutture in cui dovranno essere trattenute persone migranti, ad esclusione di donne e minori, soccorse nel Mediterraneo centrale da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza.

      Alcuni dettagli dell’operazione sono emersi da un testo (scarica qui) di nove pagine scarse e 14 articoli che indicano come funzioneranno e verranno gestiti i centri. L’accordo ha una durata di cinque anni e sarà rinnovato automaticamente a meno che una delle due parti non comunichi il proprio dissenso entro sei mesi dalla scadenza. In un anno dovrebbero essere accolte-trattenute circa 36.000 persone. I costi, dalle spese di detenzione alla sicurezza interna, saranno tutti in capo all’Italia, mentre l’Albania fornirà gratuitamente gli spazi in cui verranno costruiti i centri: uno al porto di Shengjin, circa 70 chilometri a nord di Tirana, e un altro a Gjader, nell’entroterra. I due centri dovrebbero servire per processare entro 30 giorni le richieste di asilo e per trattenere coloro a cui verrà negata la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine oppure del probabile invio in Italia. Come ha annunciato Giorgia Meloni “dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.
      L’Italia dovrà farsi carico anche di tutte le spese legate alla costruzione dei centri che dovranno essere aperti per la primavera del 2024. Il Post riporta che il sito albanese Gogo.al ha indicato sommariamente dei costi iniziali (vedi il documento diffuso): “l’Italia verserà all’Albania entro 3 mesi un primo fondo pari a 16,5 milioni. Si prevede che oltre 100 milioni di euro saranno congelati in un conto bancario di secondo livello come garanzia”.

      La presidente del Consiglio doveva battere un colpo, dare un messaggio al suo elettorato e alla maggioranza: il “problema immigrazione”, con gli sbarchi che non accennano a diminuire 1 e il flop dell’accordo con la Tunisia, è sempre una priorità della sua agenda politica, a tal punto che è lei stessa, senza coinvolgere nessun altro ministro, a intestarsi l’operazione e dichiarare il nuovo “punto di svolta”. E’ perciò evidente che questo protocollo si inserisce dentro il solco della narrazione mediatica e normativa, dal decreto Piantedosi sulle Ong, al cosiddetto decreto Cutro, fino alla proclamazione dello stato di emergenza dell’11 aprile e alle altre modifiche ai danni di minori e richiedenti asilo, dove vale tutto per raggiungere l’obiettivo dichiarato di ostacolare gli arrivi delle persone migranti.

      Tuttavia, tutti questi tentativi, dall’esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo fino a portare fisicamente le persone in Paesi extra Ue, non sono una prerogativa solo del governo Meloni, ma hanno avuto in questi anni diversi promotori e, pur con delle differenze tra loro, una stessa matrice ideologica anti-migranti: per esempio, i respingimenti a catena dall’Italia alla Bosnia-Erzegovina, non hanno poi uno scopo così diverso dagli accordi tra Inghilterra e Ruanda.

      Secondo l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo si tratta dell’ennesimo annuncio propagandistico del governo in quanto il protocollo d’intesa è «opaco, disumano e privo di basi legali».

      «Nulla infatti – fa notare l’esperto di diritto di asilo e immigrazione – è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, né su quali autorità effettuano i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?», si domanda.

      Nel protocollo – si legge nel testo – le autorità italiane avranno piena responsabilità all’interno dei centri, mentre le autorità albanesi dovranno garantire la sicurezza all’esterno dei centri e durante il trasferimento dei migranti: potranno entrare nei centri solo «in caso di incendio o di altro grave e imminente pericolo che richiede un immediato intervento».

      «La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi – spiega l’esperto – al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegnò alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici)».

      «In quell’occasione – prosegue Paleologo – la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama».

      Anche rispetto la procedura di cosiddetto “sbarco selettivo” tra donne, minori e uomini ci sono diversi problemi di legittimità giuridica in quanto si tratta di una palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio. Anche su questo punto Paleologo è chiaro: «Il diritto di chiedere protezione internazionale è regolato secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo. Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure se sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporrebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera».

      Da Bruxelles, la Commissione UE non esclude del tutto la validità dell’accordo, affermando che il caso è diverso dall’accordo Regno Unito-Ruanda, in quanto si applicherebbe alle persone che non hanno ancora raggiunto le coste italiane. Sempre secondo l’avvocato Paleologo «il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, pratiche illegali di privazione della libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio».

      «La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respingimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana”? Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati.
      Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea», conclude Paleologo.

      https://www.meltingpot.org/2023/11/accordo-italia-albania-un-altro-patto-illegale-un-altro-tassello-della-p

    • L’accordo Italia-Albania sui migranti? Solo propaganda!

      Il nuovo memorandum d’intesa tra Italia e Albania sulla gestione dei migranti? Probabilmente solo un « ennesimo annuncio propagandistico » secondo Fulvio Vassallo Paleologo che firma su ADIF [1] un dettagliato articolo che analizza l’annuncio di Giogia Meloni ( non il provvedimento perché questo non esiste ).

      In altre parole, « per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, il “Piano Mattei per l’Africa”, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee ».

      Possibile che il giurista abbia ragione, ma è anche possibile che il fine sia creare terrore in chi in Italia è già; I CPR, ancor di più se in Albani, sono strumentali a schiavizzare i migranti.

      L’avvocato e attivista pro migranti Fulvio Vassallo Paleologo, nell’articolo solleva pure una serie di perplessità giuridiche del progetto della presidente del consiglio italiano di realizzare un CPR in Albania.

      Una tra queste: « qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo [e quindi l’Italia, NdR] deve avere una espressa previsione di legge, e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa » [1].

      Come possa assicurarsi, in Albania, la difesa legale del migrante e un procedimento di convalida firmato da un magistrato italiano rappresenta un grande punto interrogativo. « Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese? », scrive infatti il giurista nell’articolo.

      Precisa poi Fulvio Vassallo Paleologo come « il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi ».

      Il giudizio finale dell’autore rispetto all’annuncio della Meloni non può, quindi, che essere negativo e drastico: « appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio ».

      Tagliente anche il giudizio rispetto alla firma del leader albanese, Edi Rama: « il Memorandum d’intesa rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità ».

      La differenza tra la verità di Fulvio Vassallo Paleologo e la propaganda della Meloni, tuttavia, la fanno le “visualizzazioni” del sito ADIF rispetto a quelli di Repubblica, La Stampa, Libero, Il Giornale, La Verità, Il Gazzettino, etc dove l’effetto “annuncio” è passato senza commenti critici.

      Fonti e Note:

      [1] ADIF, 7 novembre 2023, Fulvio Vassallo Paleologo, “Un Protocollo d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali”.

      https://www.pressenza.com/it/2023/11/laccordo-italia-albania-sui-migranti-solo-propaganda

    • Un Protocollo d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali

      Con l’ennesimo annuncio propagandistico del govern si apprende che Giorgia Meloni avrebbe concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa , che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 persone definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza. Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “Dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.

      Secondo quanto annunciato dalle stesse fonti governative in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36.000 persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su quali autorità efettueranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?

      La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi, al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, che si asserisce sarebbero “sotto giurisdizione italiana” potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegno alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi socorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici). In quell’occasione la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “Chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama.

      Un progetto impraticabile e privo di basi legali, quanto previsto dal Memorandum sottoscritto dalla Meloni con il premier albanese, alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione, e soprattutto a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione, ed una possibile deportazione. Senza potere fare valere i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale previsti dalla Costituzione italiana (a partire dal’art.13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana) e dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo, e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. E poi, se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel mare Ionio, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da paesi terzi veramente “sicuri” ? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-UE, a differenza di quelle sbarcate in Italia,soprattutto se si tratta di persone che non provengono da paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza.

      Non si comprende neppure quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di salvatagio. Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in axque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale dal nord-africa. Forse si vorranno imporre giorni e giorni di navigazione su imbarcazioni poco adatte al trasporto di naufraghi, o si risoverà tutto nel’ennesimo effetto annuncio ?

      Come è avvenuto anche in passato, il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi. Ma colpisce immediatamente la portata disumanizzante dell’accordo, se solo si mette in evidenza l’uso pregiudiziale del termine “irregolari”, quando non addirittura “illegali”, per indicare tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane e condotte in Albania, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori. In palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio, e comunque riconoscono a tutte le persone, senza differenze a seconda della natura e della nazionalità della nave soccorriitrice, il diritto di chiedere protezione internazionale secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo, Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ma per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, e la caduta di qualsiasi ipotesi di collaborazione con i paesi africani, il Piano Mattei per l’Africa, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee.

      Per il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, il Memorandum sarebbe “in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano della presidente della Commissione von der Leyen”. Da Bruxelles, un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos ha invece affermato: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale“. Non si vede come la Commissione europea possa dare sostegno a questo Memorandum d’intesa, anche se l’approssimarsi della scadenza delle elezioni europee potrebbe fare schierare opportunisticamente alcuni leader nazionali(sti) o pezzi della Commisione UE a fianco di Giorgia Meloni. Il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio. In ogni caso le attività degli assetti militari in mare, con riferimento al soccorso dei naufraghi ed al contrasto dell’immigrazione irregolare, non possono prescindere dagli obblighi imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. O, forse, le operazioni di ricerca e soccorso si trasformeranno in attività di intercettazione ed “manovre cinematiche di interposizione”, come quelle condotte poste in essere nel 1997 dal comandante di Nave Sibilla, dopo gli accordi di Prodi con il governo albanese di allora, quando la nave militare italiana, nel tentativo di attuare un maldestro blocco navale, speronava un barcone carico di migranti provenienti dall’Albania, mandandolo a fondo? Ci saranno altri casi simili sotto esame da parte dei Tribunali penali italiani?

      La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respjgimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana” ?

      Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea.

      https://www.a-dif.org/2023/11/07/un-protocollo-dintesa-con-lalbania-opaco-disumano-e-privo-di-basi-legali

    • Accordo Italia-Albania sui migranti, la UE chiede i dettagli

      L’Italia realizzerà in Albania due centri per la gestione dei migranti che potranno gestire un flusso annuale di 36mila persone. Lo ha dichiarato oggi la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa con il primo ministro albanese Edi Rama. Ne parliamo con Genthiola Madhi, ricercatrice di Osservatorio Balcani e Caucaso, e con Andrea Spagnolo, professore di Diritto internazionale e umanitario all’Università di Torino.

      https://www.radio24.ilsole24ore.com/programmi/luogo-lontano/puntata/trasmissione-7-novembre-2023-160500-2404283315532563

    • Ecco perché l’accordo tra Italia e Albania è illegale: tutte le procedure che violano il diritto europeo

      Rappresenta il punto più estremo dell’esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo. Le tutele per le persone bisognose di protezione, invece che garantite, vengono ridotte al minimo.

      Il Protocollo stipulato tra Italia ed Albania “per il rafforzamento della cooperazione in materia migratoria” è il punto finora più estremo (ma, come si vedrà, anche incoerente) a cui l’Italia è giunta nel processo di esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo.

      Trattandosi di un’intesa avente una chiara natura politica, che richiede oneri finanziari, e che altresì riguarda la condizione giuridica degli stranieri, quindi una materia coperta dalla riserva di legge di cui all’art. 10 co.2 della Costituzione, il Protocollo e i suoi atti attuativi devono essere ratificati dal Parlamento ai sensi dell’art. 80 della Costituzione. Prive di alcun pregio mi sembrano le argomentazioni di chi ritiene che non occorre alcuna ratifica trattandosi di una sorta rinforzo ad accordi pre-esistenti.

      Scopo del Protocollo è quello di trasportare coattivamente in Albania cittadini di paesi terzi per “i quali deve essere accertata la sussistenza o è stata accertata l’insussistenza dei requisiti per l’ingresso, il soggiorno o la residenza” (art.1) in Italia. In Albania, in “aree di proprietà demaniale” (art.1) albanesi, quindi in territorio albanese a tutti gli effetti, nel quale i migranti rimarrebbero confinati “al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse” (art.4.3).

      Il testo non esclude che l’ingresso in Albania avvenga anche in via diversa da quella marittima, quindi riguardi anche persone straniere bloccate sulle vie terrestri, magari nei Balcani, purché tale trasporto avvenga “esclusivamente con i mezzi delle competenti autorità italiane” (art. 4.4). Le autorità italiane assicurano “la permanenza dei migranti all’interno delle aree impedendo la loro uscita non autorizzata” (art. 6.5) e il periodo di permanenza in Albania “non può essere superiore al periodo massimo di trattenimento consentito dalla normativa italiana” (art. 9.1).

      Al termine delle procedure le autorità italiane “provvedono all’allontanamento dei migranti dal territorio albanese” (art. 9) ovvero al rientro in Italia. Molta enfasi è stata posta sul fatto che l’accordo sia finalizzato al trasferimento forzato in Albania dei soccorsi in mare al fine di esaminare le domande di asilo dei naufraghi; tuttavia nel protocollo non c’è alcun riferimento alla procedura di asilo né alla protezione internazionale e le uniche parole che richiamano l’asilo riguardano il rinvio a non meglio definite procedure di frontiera.

      Obiettivo non secondario del protocollo, risulterebbe dunque essere l’utilizzo del territorio albanese per farvi dei centri di detenzione amministrativa per stranieri espulsi dall’Italia, ma che verrebbero trattenuti in Albania al fine di eseguire coattivamente il rimpatrio nel paese di origine. Nonostante il ministro Piantedosi si affanni a dichiarare che non si tratterà di CPR (Centri per il Rimpatrio) il testo del Protocollo dice diversamente.

      Emerge dunque evidente il rischio che l’operazione intenda nascondere una strategia per realizzare CPR inaccessibili, lontani da sguardi indiscreti e da inchieste giornalistiche, liberandosi dell’incubo di dover trovare un luogo dove aprirli in Italia, dove nessun amministratore, di qualsiasi colore politico li vuole. Esaminiamo ora l’ipotesi che il Protocollo venga applicato principalmente a persone soccorse in mare che verrebbero portate in Albania al solo scopo di detenerle e di esaminare le loro domande di asilo.

      Nel testo del protocollo si fa riferimento esplicito all’espletamento delle procedure di frontiera previste dal diritto italiano ed europeo. Prima ancora di verificare se gli standard e le garanzie previste dal diritto dell’Unione possano essere rispettate, ciò che bisogna chiedersi è se sia possibile esaminare le domande di asilo presentate da coloro che vengono deportati dal territorio italiano in cui si trovano (le navi ed altri mezzi delle autorità italiane) nel territorio albanese.

      La risposta non può che essere negativa, dal momento che il diritto dell’Unione sull’asilo (o protezione internazionale) si applica nel territorio degli Stati membri, alle frontiere, nelle zone di transito e nelle acque territoriali. Non si applica al di fuori dell’Unione. Un’applicazione extra-territoriale del diritto dell’UE non pare possibile, come del tutto correttamente messo in luce anche dal documento “Preliminary Comments on the Italy-Albania Deal” pubblicato il 9.11.23 dall’autorevole E.C.R.E. (European Council on Refugees and Exiles).

      Analogo ragionamento vale anche per ciò che attiene l’ipotesi di usare i centri per l’esecuzione del trattenimento degli stranieri espulsi regolato dal diritto dell’Unione con la Direttiva 115/2008/CE. Anche in tal caso non ne risulta possibile alcuna applicazione extra territoriale al di fuori del territorio degli stati membri dell’Unione.

      Va sempre considerato che non ci troviamo di fronte alla questione di come consentire l’accesso alla procedura di asilo da parte di uno straniero che si trova all’estero, e di come si possa esaminare, almeno in fase preliminare, la sua domanda di asilo al fine di consentire un suo successivo ingresso nel territorio di uno stato membro: in altri termini, di come creare delle procedure di ingresso protette a persone con un chiaro bisogno di protezione.

      All’esatto opposto, il protocollo tra Italia e Albania configura una situazione nella quale persone che sono già sotto la giurisdizione italiana, per essere stati soccorsi e trasportati da navi dello Stato, vengono subito dopo tradotte in un paese terzo al solo scopo di impedirne l’ingresso nel territorio nazionale e predeterminare delle condizioni di esame delle domande di asilo con garanzie procedurali ridotte al minimo.

      Ammettiamo ora, come mero esercizio, che si possa sostenere che il diritto dell’Unione sia applicabile all’esame delle domande di asilo in Albania ed esaminiamo le principali questioni che si aprono: la consegna dei migranti dalle mani delle autorità italiane a quelle albanesi, allo sbarco e fino all’ingresso nei centri di detenzione, che, nonostante l’asserita giurisdizione italiana, si trovano in territorio albanese, potrebbe configurare un respingimento collettivo vietato dal diritto dell’Unione Europea. Per i respingimenti collettivi attuati con la Libia nel 2009 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani il 23.02.2013 nella causa Hirsi Jamaa.

      Nessuna valutazione sulla condizione delle persone salvate in mare può essere condotta a bordo delle navi italiane, e dunque ogni procedura giuridica dovrebbe iniziare in territorio albanese all’interno di centri sotto la giurisdizione italiana (ma anche albanese). La restrizione della libertà personale di coloro che vi verrebbero rinchiusi, per essere conforme all’art. 13 Costituzione, va convalidato dall’autorità giudiziaria con un esame caso per caso a seguito del quale il provvedimento di trattenimento viene convalidato o meno.

      Come garantire dentro il microcosmo del campo a gestione italiana il corretto funzionamento della procedura, tra cui ovviamente il diritto del richiedente che si intende trattenere di essere assistito da un legale italiano di fiducia? In ogni caso deve essere esclusa la possibilità di un trattenimento generalizzato di tutti i richiedenti asilo perché tassativamente vietato dal diritto dell’Unione che vieta agli Stati di applicare misure di limitazione della libertà personale nei confronti dei richiedenti asilo “per il solo fatto di essere un richiedente” (Direttiva 2013/33/UE articolo 7 paragrafo 1).

      Come noto, il diritto dell’Unione prevede che il trattenimento venga disposto solo in casi molto limitati e “salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive” (articolo 8, paragrafo 2), misure che comunque in Albania non sarebbero mai praticabili.

      La larga maggioranza dei richiedenti asilo, sicuramente tutte le situazioni vulnerabili e i minori, ma anche tutti coloro cui non sarebbe applicabile la procedura accelerata di frontiera, non potrebbero dunque in nessun caso essere trattenuti, ma poiché non possono neppure rimanere in Albania al di fuori dal centro, dovrebbero essere trasportati in Italia immediatamente per continuare l’accoglienza e l’esame ordinario della loro domanda di asilo sul territorio nazionale.

      Nei confronti di coloro che rimarrebbero rinchiusi nei centri in Albania va garantito senza eccezioni l’esercizio dei diritti fondamentali, tra cui il diritto di ricevere “le informazioni sulla procedura con riguardo alla situazione particolare del richiedente” nonché di comunicare con “organizzazioni che prestino assistenza legale o altra consulenza ai richiedenti” (Direttiva 2013/32/UE art. 19).

      In caso di diniego il richiedente deve poter pienamente esercitare il suo diritto alla difesa, costituzionalmente garantito (Cost. articolo 24) e ha diritto ad un “ricorso effettivo” (Direttiva 2013/32/UE art. 46 par.1) che per essere tale deve garantire alla persona la libertà di consultare un legale e di sceglierlo.

      Nell’ambito delle procedure accelerate di frontiera il giudice mantiene la possibilità di concedere la sospensiva nelle more della decisione di merito ovvero “autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro” (art.46 par.6 lettera d). Ma, in caso di autorizzazione il richiedente non si trova affatto sul territorio dello Stato membro (!) bensì in Albania, il che comporta l’immediato trasferimento in Italia del richiedente da parte delle autorità italiane e la prosecuzione dell’iter della domanda in Italia.

      Il Protocollo appare dunque un incredibile coacervo di procedure radicalmente illegittime rispetto al diritto dell’Unione vigente e che comunque non potrebbero essere applicate in modo razionale e rispettoso di garanzie procedurali e di tutela dei diritti fondamentali degli stranieri coinvolti, sia che si tratti di naufraghi prima e richiedenti asilo poi, che di stranieri espulsi e poi trattenuti in Albania.

      https://www.unita.it/2023/11/10/ecco-perche-laccordo-tra-italia-e-albania-e-illegale-tutte-le-procedure-che-vi

    • Ancora lui, ancora Edi

      Periodicamente il primo ministro albanese si occupa dei flussi migratori italiani. Ripassare quali siano le sue motivazioni è utile, anche perché questa volta, forse, ha esagerato. Un commento

      Edi Rama governa l’Albania da più di dieci anni. Le prime elezioni le vinse nel 2013, pochi mesi dopo il “siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto” di Pierluigi Bersani. Da noi la sinistra pareggiava con un Berlusconi terminale; sull’altra sponda dell’Adriatico, invece, Edi l’artista, Edi il socialista, l’ex sindaco di Tirana che aveva colorato i palazzi, archiviava per sempre la stagione di Sali Berisha. Voltava pagina. “Come sono avanti questi albanesi”, è il qualunquismo mezzo di sinistra e mezzo di disprezzo che da allora dedichiamo ai nostri vicini. E su questa carenza di conoscenza, da più di un decennio, periodicamente, Edi Rama lucra politica. Non lo vediamo perché per vederlo bisogna considerare l’Albania uno stato. E invece per noi l’Albania è un luogo dell’immaginario, e i sogni non sono portatori di interessi. Non lo vediamo, perché la fiction italo-albanese è utile a mascherare la povertà della nostra politica estera.

      L’ultimo gioco di prestigio Rama lo ha regalato lunedì scorso a Palazzo Chigi, questa volta il complice non è stato l’«amico Renzi» (2014), né l’«amico Di Maio» (2021), siccome siamo nel 2023 è stata «l’amica Giorgia Meloni». Non sono certo che commentare il memorandum (https://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2023/11/08/1699429572-Protocollo-Italia-Albania-.pdf?x19465) firmato dai due governi sia utile, non solo perché è evidentemente poco praticabile sul piano pratico e giuridico, ma perché seguo da diversi anni le relazioni tra Italia e Albania e non credo più alle parole che si dicono le due diplomazie. A chi non avesse seguito, basti sapere che nel corso della conferenza stampa (https://www.governo.it/it/articolo/il-presidente-meloni-incontra-il-primo-ministro-della-repubblica-d-albania/24178), la Presidente del Consiglio ha dichiarato che l’Albania “concederà all’Italia alcune zone del suo territorio” (sic!), sulle quali l’Italia potrà realizzare “a proprie spese e sotto la propria giurisdizione” due strutture “per la gestione dei migranti illegali”. Per l’esattezza il governo ipotizza di portare in Albania tremila persone al mese, che dovrebbero rimanere in questi centri durante la domanda di asilo, negata la quale il richiedente verrebbe allontanato dal territorio albanese (non si capisce per andare dove, se si rimpatria dall’Italia o dall’Albania). Flusso complessivo annuale stimato: 36.000 persone. Come alla fine delle pubblicità dei farmaci, Meloni in chiusura ha messo le avvertenze – “Il protocollo disegna la cornice politica, all’accordo dovranno seguire i provvedimenti normativi conseguenti” – e ha fornito una vaga data di inizio progetto: primavera 2024. Tradotto: questo accordo non esiste, è pura propaganda.

      Nulla di nuovo sotto il sole italo-albanese. Qualcosa di simile era già avvenuto nel 2018, quando la crisi della nave Diciotti bloccata da Salvini nel porto di Catania venne “risolta” dai media manager del governo albanese, che promise su twitter l’accoglienza di 20 migranti, venendo immediatamente ripreso dall’account della Farnesina, e quindi da tutte le agenzie stampa. Anche allora i ministri Salvini e Di Maio (il governo era gialloverde) enfatizzarono la condotta del piccolo paese balcanico “più europeo e più solidale degli stati membri”: a sinistra ci si cullò nel sogno di un paese povero ma ospitale, a destra ci si vantò dei frutti dell’intransigenza del ministro degli Interni, che con il suo “no” aveva imposto una redistribuzione, peraltro a un paese che con il suo gesto ripagava finalmente l’accoglienza degli italiani (come se la Lega Nord degli anni Novanta fosse stata accogliente verso gli albanesi). Giorni di dichiarazioni allucinanti e vuote, perché nessun asilante della Diciotti arrivò mai in Albania (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Nessun-asilante-della-Diciotti-e-mai-arrivato-in-Albania-192453), né alcuna autorità si pose mai il problema che ciò accadesse, essendo illegale il trasferimento di un migrante giunto in Ue in uno stato terzo, fuori dal sistema di asilo europeo.

      Ed è proprio qui che la sparata di Meloni supera quella di Salvini: perché per evitare l’obiezione dell’illegalità di un trasferimento forzato fuori dall’Ue, a questo giro si dice che il porto di Shëngjin e le sue strutture saranno “territorio italiano”, e che da quel territorio i migranti dislocati in Albania potranno chiedere asilo all’Italia. Ammesso e non concesso che sia possibile trasportare i migranti intercettati, poniamo, al largo della Sicilia in un porto a 700 km di mare delle rotte del Mediterraneo centrale (non certo l’approdo più vicino imposto dalle Convenzioni internazionali sul soccorso in mare), davvero non si capisce come sia possibile realizzare una Italia extraterritoriale, capace di organizzare un’accoglienza rispettosa del diritto internazionale fuori dai propri confini. Ma sto contravvenendo al buon proposito di non commentare un memorandum che non diventerà mai operativo. Torniamo alla politica, e in particolare alla politica albanese. Perché, ciclicamente, Edi Rama si occupa delle nostre questioni migratorie?

      Per lo stesso motivo per cui nel 2020 sceneggiò di inviare una squadra di infermieri in Lombardia per aiutare le nostre terapie intensive intasate dal Covid-19 (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Dare-un-senso-alla-solidarieta-del-governo-albanese-200768): il video sulla pista dell’aeroporto di Tirana (https://www.youtube.com/watch?v=XYtgeZjtIko

      ), con i poveri medici già inscafandrati è degno della Corea del Nord (per la cronaca, si trattava di ragazzi inesperti, come emerse negli ospedali del bresciano dove vennero dislocati, sostanzialmente per apprendere le tecniche di contrasto al virus, nel momento in cui la pandemia divampava anche in Albania). Nel 2018, come nel 2020 come nel 2023, per Edi Rama l’obiettivo è sempre uno solo: entrare nel flusso narrativo delle vicende europee, accreditarsi tra i partner come leader d’area e dipingere presso le opinioni pubbliche l’Albania come membro di fatto dell’Unione europea. Cose che aiutano a far dimenticare che su ogni singolo dossier dei negoziati di adesione il suo paese arranca.

      La conferenza stampa di Rama e Meloni non ha raccontato l’avvenimento di un fatto diplomatico. È essa stessa il fatto diplomatico. Dinanzi agli italiani, Rama ha offerto a Meloni la possibilità di fingere che l’Italia abbia una politica estera assertiva (una funzione che lo stato albanese ha svolto altre volte nella storia d’Italia), dinanzi agli europei, Meloni ha offerto a Rama ciò che tutti i governi italiani garantiscono a prescindere dal colore politico: il certificato di europeità. “Non solo l’Albania si conferma una nazione amica dell’Italia – ha dichiarato la Presidente – ma anche una nazione amica dell’Unione europea. Nonostante sia solo un paese candidato si comporta già come un paese membro dell’Unione”. Insomma, da dieci anni il copione è lo stesso, ma i nostri governi cambiano ed ereditano il discorso dal precedente, mentre Rama resta e continua ad affinare la sua interpretazione: “Preferisco far riposare il traduttore”, dice prima di sfoderare il suo italiano, con lo sguardo umile di chi vorrebbe fare di più. E poi va dritto al cuore, dritto sul senso di colpa della sinistra, dritto sul complesso di superiorità della destra: “Non avremmo fatto questo accordo con nessuno stato Ue. Il debito che abbiamo con l’Italia non si paga, ma se l’Italia chiama l’Albania c’è. Se ci sono domande bene, se non ci sono firmiamo e andiamo in vita dopo aver fatto il nostro dovere”.

      Da dieci anni, Edi Rama governa il suo paese con i media stranieri e il consenso che miete all’estero, da Bruxelles ad Ankara (perché esiste anche un copione “orientalista” consolidato, ma questa è un’altra storia: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-candidata-all-Europa-o-provincia-ottomana-195112). Oggi in Albania manca una opposizione credibile, sia a livello nazionale che municipale, principalmente perché opporsi non conviene. La criminalità organizzata è scesa a patti con questo nuovo, singolo, potere. La corruzione non dilaga, è endemica, l’unico metodo possibile. Le riforme richieste dall’Ue arrancano, gli albanesi emigrano in massa: senza barconi, ma chiedendo asilo in nord Europa, come gli eritrei della Diciotti.

      Per tutti questi motivi Edi (che è cresciuto a Rai e Mediaset e conosce il potere ipnotico che l’estero esercita sulla periferia albanese e che il ricordo della migrazione albanese esercita su di noi) ogni tanto un giretto in Italia se lo fa. E proprio per questi motivi, proprio perché l’Albania reale, nonostante la nostra cooperazione e le nostre politiche, oggi è un paese così, noi abbiamo bisogno di un’Albania che ci racconti quanto siamo stati bravi. Che ci confermi che stiamo raccogliendo i frutti dell’accoglienza seminata trenta anni fa. Che ci rassicuri sul fatto che sappiamo stare nel Mediterraneo, e che sul Mare Nostrum disponiamo di tavoli e relazioni che ci consentono di farci ascoltare in Europa. Questa volta, forse, l’hanno sparata troppo grossa. La ricorrente bugia italo-albanese è un’impostura morale che interessa a poche persone, ma sta oltrepassando le soglie della sostenibilità. Il risveglio rischia di essere molto brusco.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Ancora-lui-ancora-Edi-228139

    • Albania Agrees to Host Centres Processing Migrants to Italy

      Albanian Prime Minister Edi Rama has signed an agreement in Rome pledging to host centers that will process the claims of thousands of migrants rescued by Italy at sea.

      Italian Prime Minister Giorgia Meloni and her Albanian counterpart, Edi Rama, on Monday in Rome signed an important memorandum of understanding under which Albania has agreed to host centres managing thousands of would-be migrants to Italy rescued at sea.

      “Mass illegal immigration is a phenomenon that no EU state can deal with alone, and collaboration between EU states and non-EU states, for now, is fundamental,” Meloni said.

      “The memorandum has three main goals”, she explained; to combat people smuggling and illegal migration, and to welcome only those that have rights to international protection.

      Under the deal, Italy will set up two centres in Albania, which Meloni said in the end might handle “a total annual flow of 36,000 people”.

      Jurisdiction over the centres will be Italian.

      “Albania will grant some areas of territory”, where Italy will create “two structures” for the management of illegal migrants: “they will initially be able to accommodate up to 3,000 people who will remain there for the time needed to process asylum applications and, possibly, for the purposes of repatriation,” said Meloni, Italy’s ANSA news agency reported.

      One centre will be at the northwestern Albanian port of Shëngjin, which will handle disembarkation and identification procedures and where Italy will set up a first reception and screening centre.

      In Gjader, also in north-western Albania, it will set up a second, pre-removal centre, CPR, structure for subsequent procedures, ANSA added.

      The deal does not apply to immigrants arriving on Italian territory but to those rescued in the Mediterranean by Italian official ships – not those rescued by NGOs. It does not apply to minors, pregnant women and vulnerable persons.

      Albania will collaborate on the external surveillance of the centres. A series of protocols will follow that outline the framework. The plan is to make the centres operational in the spring of 2024, Meloni said.

      Since Meloni’s far-right government came into power, one of its priorities has been to reduce the number of people arriving illegally in Italy through the Central Mediterranean or Western Balkan migration routes.

      This goal explains Italy’s renewed political interest in the Balkans. Several top Italian political figures, including Meloni herself and Foreign Minister Antonio Tajani, have been regularly meeting counterparts in Slovenia, Croatia and Albania in the last months. A central point of these meetings has been migration.

      Data published by the Italian Department of Public Safety show that the number of irregular arrivals in Italy in 2023 until November 1, 2023, was 145,314, a 165-per-cent increase compared to 2021, and 64 per cent higher than 2022.

      Albania’s Rama said Albania could not reach a similar agreement with any other country in the EU, citing the unique connections between Albania and Italy and Italians and Albanians.

      Sa far, Albania has had limited capacities to host migrants, most of whom use it as transit country to reach EU countries.

      Rama added that Albania owes the Italian people a debt for “what they did to us from the first day that we arrived on the shores of [Italy] to find support and to imagine and have a better life”.

      After the fall of communism of Albania in 1991, many Albanians fled to Italy’s southern coasts by boat. According to data published in 2021 by the Italian National Institute of Statistic, 230,000 Albanian citizens have acquired Italian citizenship since 1991.

      https://balkaninsight.com/2023/11/06/albania-agrees-to-host-centres-processing-migrants-to-italy

    • Italy-Albania agreement adds to worrying European trend towards externalising asylum procedures

      “The Memorandum of Understanding (MoU) between Italy and Albania on disembarkation and the processing of asylum applications, concluded last week, raises several human rights concerns and adds to a worrying European trend towards the externalisation of asylum responsibilities,” said today the Council of Europe Commissioner for Human Rights, Dunja Mijatović.

      “The MoU raises a range of important questions on the impact that its implementation would have for the human rights of refugees, asylum seekers and migrants. These relate, among others, to timely disembarkation, impact on search and rescue operations, fairness of asylum procedures, identification of vulnerable persons, the possibility of automatic detention without an adequate judicial review, detention conditions, access to legal aid, and effective remedies. The MoU creates an ad hoc extra-territorial asylum regime characterised by many legal ambiguities. In practice, the lack of legal certainty will likely undermine crucial human rights safeguards and accountability for violations, resulting in differential treatment between those whose asylum applications will be examined in Albania and those for whom this will happen in Italy.

      The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalising asylum as a potential ‘quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees, asylum seekers and migrants. However, externalisation measures significantly increase the risk of exposing refugees, asylum seekers and migrants to human rights violations. The shifting of responsibility across borders by some states also incentivises others to do the same, which risks creating a domino effect that could undermine the European and global system of international protection.

      Ensuring that asylum can be claimed and assessed on member states’ own territories remains a cornerstone of a well-functioning, human rights compliant system that provides protection to those who need it. It is therefore important that member states continue to focus their energy on improving the efficiency and effectiveness of their domestic asylum and reception systems, and that they do not allow the ongoing discussion about externalisation to divert much-needed resources and attention away from this. Similarly, it is crucial that member states ensure that international co-operation efforts prioritise the creation of safe and legal pathways that allow individuals to seek protection in Europe without resorting to dangerous and irregular migration routes.”

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/261934338

    • German Chancellor Scholz to examine Italy-Albania asylum deal

      The German leader has signalled an openness to study Italy’s recent agreement to hold asylum seekers in centers in Albania. The deal has raised human rights concerns, including from the Council of Europe.

      German Chancellor Scholz has said he will look “closely” at Italy’s plans to establish centers in Albania to hold migrants. Speaking on the sidelines of the congress of European Socialists in the Spanish city of Malaga, he noted that Albania is a candidate for EU membership and that challenges like migration needed to be addressed on a European level, reported Reuters.

      “Bear in mind that Albania will quite soon, in our view, be a member of the EU, implying that we are talking about the question of how can we jointly solve challenges and problems within the European family,” Scholz told reporters on Saturday (November 11).

      The Memorandum of Understanding between the Italian and Albanian governments, announced last week, will see tens of thousands of migrants who were rescued in the Mediterranean housed in closed centers in Albania while authorities assess their asylum requests.

      “Such deals, that have been eyed there, are possible, and we will all look at that very closely,” Scholz stated during the briefing, according to Reuters.

      He emphasized that a clear European course in migration policy was needed “to correct things that have not been right in the past (and) to establish a solidarity mechanism so that not each country on its own has to try and master the challenges alone.”
      ’It becomes less attractive for them to pay big money to smugglers’

      If the Italy-Albania deal is implemented, it would be the first time that such an idea would actually be put in place, Ruud Koopmans, a professor for migration studies and advisor to the German Federal Office for Migration and Refugees, BAMF, told DW in an interview. He referred to unsuccessful attempts by Denmark and the UK to try something similar in Rwanda.

      From a legal perspective, the Italy-Albania deal could become problematic if people who are rescued on Italian territory instead of in international waters are sent to Albania, Koopmans noted. “When people from the Sahara come to Italy and are then sent to Albania, there is no prior connection to Albania. This could be legally problematic.”

      Koopmans said that it could also become difficult to send people back who are rejected. “…(T)his is not easy in practice, as home countries often do not cooperate and documents are missing. This is a problem that Albania will also face. But if people know that they will have to wait in Albania if they are rejected, it becomes less attractive for them to pay big money to smugglers,” he said.

      Discussions on finding solutions to increasing asylum numbers are gaining momentum, Koopmans said. “More and more countries are looking for solutions. Denmark, Austria, the Netherlands and Germany are having discussions along these lines.” Deals like the Italy-Albania agreement could present an opportunity for countries neighboring the EU, in that they could help their efforts to join the bloc, he added.

      Deal could undermine human rights safeguards, Mijatović

      Italy’s deal has raised concerns among Italy’s opposition as well as rights groups who see it as an attack on the right to asylum. The NGO Emergency said that the deal is “in reality, ...a way to block migrants from arriving on Italian soil – and therefore European soil – to ask for asylum, as required by European and international law. (This is) yet another attack on asylum rights and the provisions of Article 10 of our Constitution.”

      Concerns were also expressed by Council of Europe Commissioner for Human Rights, Dunja Mijatović. She warned that the deal’s legal ambiguities could undermine human rights safeguards and accountability. “The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalizing asylum as a potential ’quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees,” she said in a press release on November 13.

      Mijatović urged member states to focus on improving domestic asylum and reception systems and to prioritize safe and legal pathways for protection in Europe.

      Germany announces streamlined asylum process

      The chancellor’s remarks in Malaga came on the heels of an agreement with Germany’s 16 states on a tougher migration policy and increased funding for refugee hosting capacities.

      Faced with an increase in the number of asylum cases filed in Germany, estimated to reach 300,000 this year, the government has announced it will accelerate procedures.

      At all BAMF offices, the procedure for registering asylum seekers now includes photographing and fingerprinting, allowing for immediate data checks to rule out potential multiple identities. The system allows other agencies involved in the asylum process to access biometric data as well, according to BAMF. Arabic names will be transferred into the Latin alphabet to prevent differences in spelling and other mix-ups.

      Furthermore, mobile phone searches will only be conducted on a case-by-case basis, BAMF said, and queries to the Schengen Information System (SIS) will be reduced: if the last SIS search was within 14 days, an additional inquiry is waived.

      A spokesperson from BAMF said that these specific measures would make procedures more efficient, while maintaining high-security standards. The asylum procedure is meant to last 6.7 months on average. However, when considering negative decisions, administrative court proceedings take on average 21.8 months in the first instance, the spokesperson noted.

      https://www.infomigrants.net/en/post/53194/german-chancellor-scholz-to-examine-italyalbania-asylum-deal

    • Accordo Italia-Albania, ASGI: è incostituzionale non sottoporlo al Parlamento

      La Costituzione italiana prevede che la ratifica di trattati internazionali spetti al Presidente della Repubblica, previa, quando occorra, l’autorizzazione con legge del Parlamento (art. 87, Cost.).

      Tutti i tipi di trattati internazionali costituiscono una delle fonti del diritto internazionale, la cui efficacia nell’ambito nazionale deriva da un ordine di esecuzione dato per effetto della loro ratifica che fa sorgere l’obbligo internazionale della loro attuazione interna.

      Come ha ricordato il Ministero degli affari esteri nella sua circolare n. 2/2021 del 30 luglio 2021 “quale che sia la loro denominazione formale (trattati, accordi, convenzioni, memorandum, etc.), i trattati internazionali possono essere conclusi tramite documenti a firma congiunta, scambi di note, scambi di lettere o altre modalità, essendo riconosciuto dal diritto internazionale il principio della libertà delle forme.”

      Gli atti per i quali l’art. 80 Cost. prescrive la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica sono i «trattati che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi».

      La dottrina giuridica afferma che si tratti di una forma di controllo democratico della politica estera e di compartecipazione delle Camere al potere estero del Governo. Anche per tale rilevanza politica complessiva l’art. 72, comma 4 Cost. prescrive che i disegni di legge per la ratifica siano esaminati sempre con procedura legislativa ordinaria.

      Inoltre, è bene ricordare che, in generale, qualsiasi norma non costituzionale deve essere interpretata sempre in modo conforme alla Costituzione, sicché anche questo Protocollo deve essere interpretato in modo conforme all’art. 80 Cost.

      Secondo il Governo, tuttavia, il Protocollo italo-albanese in materia di gestione delle migrazioni non deve essere sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica, perché sarebbe l’attuazione del Trattato di amicizia e collaborazione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, con scambio di lettere esplicativo dell’articolo 19, fatto a Roma il 13 ottobre 1995, ratificato e reso esecutivo sulla base della legge 21 maggio 1998, n. 170.

      Tesi giuridicamente infondata, perché l’art. 19 del Trattato del 1995 prevede soltanto che Italia ed Albania “concordano nell’attribuire una importanza, prioritaria ad una stretta ed incisiva collaborazione tra i due Paesi per regolare, nel rispetto della legislazione vigente, i flussi migratori” e che “riconoscono la necessità di controllare i flussi migratori anche attraverso lo sviluppo della cooperazione fra i competenti organi della Repubblica Italiana e della Repubblica di Albania e di concludere a tal fine un accordo organico che regoli anche l’accesso dei cittadini dei due Paesi al mercato del lavoro stagionale, conformemente alla legislazione vigente”.

      Dunque, nel Trattato del 1995 Italia e Albania si sono accordate per concludere successivi protocolli in materia migratoria soltanto per l’ipotesi prevista nell’art. 19 comma 2 e cioè per regolare l’immigrazione albanese in Italia (che infatti è stata poi regolata con due successivi accordi firmati in forma semplificata nel 1997 e nel 2008), mentre le norme che si riferiscono genericamente alla regolazione e al controllo dei flussi migratori alludono a materie del tutto vaghe e suscettibili delle più diverse applicazioni, future e incerte.

      Pertanto, la mera indicazione che si tratti di un Protocollo sulla “cooperazione in materia migratoria” e il richiamo a due precedenti trattati e accordi non possono certo essere lo strumento per eludere l’obbligo derivante dall’art. 80 Cost. per il Governo di presentare alle Camere un apposito disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Protocollo e della futura intesa di attuazione.

      Il Protocollo appena firmato prevede disposizioni molto dettagliate che riguardano proprio i casi in cui l’art. 80 Cost. esige la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica, perché:

      – comportano oneri alle finanze, sia perché il Protocollo pone espressamente a carico dell’Italia specifici oneri finanziari, per l’allestimento delle strutture (art. 4, comma 5), per l’erogazione di servizi sanitari (art. 4, comma 9), per la realizzazione delle strutture necessarie al personale albanese addetto alla sicurezza esterna dei centri (art. 5., comma 2), per la riconduzione nei centri da parte delle autorità albanesi di eventuali migranti usciti illegalmente dai centri (art. 6, comma 6) e per l’impiego dei mezzi e delle unità albanesi (art. 8, comma 3) e per eventuali risarcimenti del danno (art. 12, comma 2), cioè per la realizzazione e gestione dei centri, per il relativo personale, per il trasporto da e per l’Albania degli stranieri trattenuti e per la loro assistenza anche sanitaria (a cui dovrà aggiungersi anche la copertura degli oneri connessi al gratuito patrocinio per le spese di difesa degli stranieri, per quelle di interpretariato e per quelle sullo svolgimento dell’attività delle commissioni per il riconoscimento della protezione internazionale e dei giudici che convalideranno il trattenimento e che giudicheranno sugli eventuali ricorsi), sia perché il Protocollo prevede specifici contributi, iniziali (16,5 milioni di euro) e una successiva garanzia di 100 milioni di euro, che devono essere erogati dall’Italia all’Albania i cui importi e scadenze sono specificati in un apposito allegato al Protocollo stesso;

      - comportano modificazioni di leggi, perché il Protocolloper essere effettivamente attuato non soltanto prevede espressamente un’intesa successiva (che, dunque, dovrà essere sottoposta alle Camere congiuntamente al Protocollo), ma prevede norme che comportano operazioni amministrative e giudiziarie concernenti stranieri giunti in Italia e che saranno svolte in Albania, cioè norme non previste dalle attuali leggi italiane. Questo significa che il protocollo, per essere attuato, esige implicitamente la modificazione di tante norme legislative vigenti in Italia, che regolano la condizione giuridica degli stranieri che giungono in Italia e che presentano in Italia una domanda per fruire del diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana (e la condizione giuridica dello straniero e le condizioni per il diritto di asilo sono materie coperte da riserva di legge ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3 Cost.). Infatti, in base alle disposizioni del protocollo costoro potranno essere soccorsi da navi italiane, e dunque in territorio italiano, e da qui trasportati poi in Albania per essere sottoposti in territorio albanese a misure restrittive alla libertà personale (e i casi e i modi dei provvedimenti restrittivi della libertà personale sono materie coperte da riserva assoluta di legge e da riserva di giurisdizione previste dall’art. 13 Cost. e dall’art. 5 CEDU); tali restrizioni avverranno mediante provvedimenti disposti e attuati in Albania da autorità italiane in modi che saranno, in tutto o in parte, diversi da quelli già previsti dalle vigenti norme legislative italiane (p. es. occorrerà indicare quale sarà l’autorità di pubblica sicurezza competente dal punto di vista geografico ad adottare i provvedimenti amministrativi di espulsione e i provvedimenti di trattenimento, occorrerà individuare la commissione territoriale competente ad esaminare eventuali domande di protezione internazionale, occorrerà dare una nuova applicazione al concetto di “accompagnamento immediato alla frontiera” di persone che in realtà sono già fuori del territorio italiano, occorrerà stabilire modi e garanzie per interpreti, difensori e stranieri durante lo svolgimento in Albania dei colloqui con le autorità di pubblica sicurezza e con i giudici, occorrerà disciplinare i procedimenti di trasporto degli stranieri da e per i centri albanesi);

      – comportano regolamenti giudiziari che riguardano la giurisdizione italiana, sia relativamente alla sua estensione territoriale e personale (inclusa la regolamentazione di eventuali contenziosi sulla responsabilità civile di ciò che accadrà in Albania che saranno espressamente di competenza dei giudici italiani), sia con riguardo alla effettuazione da parte dei giudici italiani nei centri albanesi dei giudizi di convalida dei trattenimenti e degli eventuali giudizi sui ricorsi contro le eventuali decisioni di diniego e di inammissibilità delle domande di protezione internazionale (occorrerà disciplinare la competenza territoriale del giudice che dovrà giudicare in Albania e le modalità delle notificazioni e dello svolgimento dei giudizi);

      - hanno natura politica, poiché le disposizioni del Protocollo impegnano durevolmente la politica estera italiana, avendo una durata di cinque anni ed essendo state negoziate e stipulate personalmente e pubblicamente dai capi dei Governi dei due Stati e non già da Ministri o da meri funzionari ministeriali, e poiché le premesse del Protocollo espressamente lo motivano con la “comunanza di interessi e di aspirazioni” tra i due Stati e dei due Stati alla prevenzione dei flussi migratori illeciti e della tratta degli esseri umani, e a promuovere la crescente collaborazione bilaterale tra Italia ed Albania “anche nella prospettiva dell’adesione della Repubblica di Albania all’UE”, che è l’evidente interesse principale di tutte le azioni di politica estera del governo albanese. La grande ed evidente politicità dell’accordo è confermata dalle dichiarazioni pubbliche fatte dalla Presidente del Consiglio dei ministri al momento della firma del protocollo davanti al Primo ministro albanese: il Protocollo è stato definito «importantissimo […] che arricchisce un’amicizia storica [e] una cooperazione profonda» tra i due Stati, la «cornice politica e giuridica» della collaborazione tra Italia e Albania e «un accordo di respiro europeo».

      Inoltre, il Protocollo ha per oggetto misure che attengono alle materie della sicurezza e della difesa nazionale. L’attuazione delle disposizioni previste dal Protocollo comporta il trasporto verso l’Albania di stranieri mediante mezzi delle competenti autorità italiane, il che avverrà in modi sostanzialmente forzati, mediante aerei o navi delle Forze armate italiane, le quali hanno già basi in Albania e alle quali il Governo con l’art. 21 del decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124 ha affidato la realizzazione dei centri di permanenza per il rimpatrio, dei punti di crisi e dei centri governativi di accoglienza per richiedenti asilo, trattandosi di materie che lo stesso articolo del citato decreto-legge attribuisce espressamente alla materia della difesa e della sicurezza la realizzazione.

      Proprio su queste materie la legge n. 25/1997 (e oggi l’art. 10, comma 1, lett. a) del codice dell’ordinamento militare, emanato con d. lgs. n. 66/2010) ha previsto che tutte le deliberazioni del Governo in materia di sicurezza e di difesa debbano essere sempre approvate dal Parlamento. Ciò comporta che dal 1997 sono sottoposti all’esame delle Camere mediante leggi di autorizzazione alla ratifica anche tutti i tipi di accordi internazionali in materia di sicurezza e di difesa.

      *

      È dunque indispensabile l’esame parlamentare del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica di questo protocollo e della sua futura intesa di attuazione e delle norme nazionali che daranno esecuzione nell’ordinamento italiano a questi accordi.

      Va ricordato, infine che:

      – la proposta di legge di autorizzazione alla ratifica non necessariamente deve essere di iniziativa del Governo (la Costituzione non lo prescrive), sicché, come è già accaduto in alcune altre occasioni, in mancanza di una presentazione di un disegno di legge del Governo essa può essere presentata nelle Camere anche da singoli parlamentari;

      – L’Assemblea di ogni Camera ha il potere di presentare alla Corte costituzionale ricorso per conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato.

      In ogni caso qualora questo Protocollo non sia sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica in conformità con l’art. 80 Cost. non potrà mai essere eseguito, né potrà essere considerato vincolante per l’ordinamento italiano, quale obbligo internazionale ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.

      https://www.asgi.it/notizie/accordo-italia-albania-asgi-illegittimo-parlamento

    • Nell’intesa Italia-Albania, la continuità deve preoccuparci quanto la novità

      L’accordo spinge la pratica di esternalizzare le frontiere verso direzioni preoccupanti. Dubbi sulla sua effettiva applicabilità

      A più di una settimana dall’annuncio dell’accordo tra Italia e Albania in materia di “gestione dei flussi migratori”, la mossa del governo italiano ha attirato diverse critiche in ambienti giuridici e militanti per le sue implicazioni in termini di diritti umani e di rispetto della legislazione italiana ed europea in materia di asilo.

      Nella consueta propaganda del governo, l’accordo (reso noto soltanto a operazione conclusa) è stato presentato come un successo diplomatico, un accordo “storico” e “innovativo”. Di fronte alle preoccupazioni sollevate da varie voci, la Presidente del Consiglio non è entrata nel merito, limitandosi a dichiararsi “fiera” di questa azione pionieristica, che “può diventare un modello per altre nazioni di collaborazione tra Paesi Ue e extra Ue” 1.

      Il protocollo prevede l’istituzione di due centri (paradossalmente definiti da alcuni media “di accoglienza”) in territorio albanese, ma sottoposti alla giurisdizione italiana: uno per le procedure di identificazione e gestione delle domande di asilo, l’altro per i rimpatri, sul “modello” dei CPR. È previsto un termine di 28 giorni per valutare le domande di ogni richiedente: una velocizzazione dei tempi che sicuramente andrebbe a discapito dell’accuratezza delle raccolte delle prove e delle valutazioni. Per quanto riguarda il “modello” del centro per i rimpatri, è ormai noto quanto gli abusi fisici e psicologici verso i detenuti siano frequenti, e quante morti evitabili sono state causate da questo sistema.

      I dubbi sulla legittimità e le possibili conseguenze dell’accordo sono tanti e fondati. E nonostante alcune affermazioni di approvazione da parte di politici europei per l’esperimento “interessante”, diversi giuristi esperti di migrazioni e diritto d’asilo hanno espresso le loro riserve sull’intesa. Una dichiarazione di ASGI sottolinea le ragioni per cui la mancata approvazione parlamentare di un accordo come questo non può ritenersi legittima. L’intesa prevede infatti disposizioni su alcune materie (finanziarie, scelte di politica estera, modifiche all’ordinamento giuridico) di cui dovrebbe necessariamente rispondere la rappresentanza democratica 2. Nel merito dei contenuti si è ampiamente espresso Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e attivista, descrivendo l’accordo come “privo di basi legali”.

      Un primo elemento di illegittimità è il trasferimento delle persone soccorse dalle navi italiane in territorio extra-europeo. Non si conoscono poi le attribuzioni delle competenze sulle procedure, le modalità dei rimpatri, i criteri per l’attribuzione delle caratteristiche di “vulnerabilità” che impedirebbero il trasferimento di alcune persone tratte in salvo da navi italiane verso l’Albania.

      Critiche sono arrivate anche da alcune organizzazioni non governative. Emergency ha descritto l’accordo come l’ennesimo attacco al diritto di asilo 3. La non appartenenza dell’Albania all’UE significa l’impossibilità di applicare la legge europea all’azione delle autorità albanesi. Inoltre, per i tempi sbrigativi con cui le persone richiedenti asilo sarebbero valutate, potrebbe non esserci spazio per il diritto al ricorso contro la decisione di rifiuto della domanda. In modo analogo, Amnesty International ha condannato l’accordo come “illegale e impraticabile” 4.

      Sia nelle presentazioni istituzionali sia nelle critiche, si è parlato di questo accordo soprattutto in termini di novità, di rottura con il quadro giuridico esistente. Ma è bene anche enfatizzare anche gli aspetti di continuità di questa scelta politica con il passato. Un’opinione autorevole arriva dal Consiglio d’Europa, che nelle parole della Commissaria per i diritti umani Dunja Mijatović esprime la sua preoccupazione per la tendenza crescente in Europa ad esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo.

      La dichiarazione mette a punto una serie di fattori ambigui e problematici dell’accordo: “le tempistiche degli sbarchi, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità automatica di detenzione senza un adeguato controllo giudiziario, le condizioni di detenzione, l’accesso all’assistenza legale e a rimedi effettivi […]. In pratica, la mancanza di certezza giuridica probabilmente comprometterà le garanzie fondamentali per i diritti umani e la responsabilità per le violazioni, determinando un trattamento differenziato tra coloro le cui domande di asilo saranno esaminate in Albania e coloro per i quali ciò avverrà in Italia” 5.

      E sebbene tutte le ambiguità e anomalie implicite nel trattato potrebbero comportarne il fallimento o addirittura l’inapplicabilità, il protocollo d’intesa non fa che aggravare la preoccupante tendenza a esternalizzare le frontiere, ormai consolidata.

      E non è chiaramente una prerogativa esclusiva del governo attuale e delle forze politiche che lo sostengono. Infatti, il memorandum si inserisce perfettamente nel solco di altri accordi, più o meno opachi, che i nostri governi – ma anche altri governi europei e la stessa Unione – sottoscrivono da anni con paesi extra UE. Allora, forse, vale la pena di riflettere su quanto siamo disposti ad accettare, di volta in volta, di sacrificare un pezzo in più dei diritti delle persone in movimento, in una posta al ribasso che ha normalizzato sistemi che producono morte, sfruttamento e torture come inevitabili conseguenze della sacralità dei confini.

      Questa tendenza a esternalizzare tramite accordi con paesi terzi è indice di scarsa democraticità.

      Innanzitutto perché uno strumento come un protocollo d’intesa, o Memorandum of Understanding, è per sua natura “flessibile”. La preferenza sempre più marcata per questo tipo di accordo da parte del governo italiano – si pensi al memorandum con la Libia nel 2017 e con la Tunisia nel 2020 – risponde alle logiche emergenziali con cui sono ormai quasi esclusivamente trattate le questioni legate alle migrazioni.

      Se questo è un vantaggio dal punto di vista del governo, è evidente che la mancanza di controllo sui suoi contenuti e sulla sua eventuale applicazione rappresenta un problema: un memorandum non è legalmente vincolante per le due parti, non è necessariamente sottoposto a ratifiche parlamentare e può essere mantenuto riservato.

      Se si vuole parlare la lingua degli “interessi strategici”, troppo spesso l’unica con cui le istituzioni governative si approcciano alle politiche migratorie, è però una mossa rischiosa e in alcuni casi poco lungimirante. Un paese terzo a cui vengono attribuite determinate prerogative nel controllo dei confini non è un semplice ricettore passivo di politiche neocoloniali. Benché sia evidente che i rapporti di potere sono sbilanciati in favore della controparte europea, è vero anche che accordi di questo tipo hanno dato la possibilità ad alcuni governi di esercitare forme di pressione e influenza. Pressioni che, ovviamente, sono sempre andate a scapito dei diritti delle persone in movimento, usate come merce di scambio per ottenere dei vantaggi. Controlli più serrati si alternano a periodi di “rilascio controllato” dei/delle migranti, a seconda di ciò che il governo appaltante ritiene in quel momento più funzionale ai propri bisogni. È quello che accade ad esempio con Libia, Turchia, Marocco, Tunisia.

      È in questi termini che emerge ancora la continuità con le politiche migratorie degli ultimi decenni. Esternalizzare le frontiere e le procedure permette di sorvolare più di quanto non sia possibile in Italia sulle incombenze giuridiche e burocratiche del sistema di asilo. Ma soprattutto, rende meno visibili le immancabili violazioni associate al sistema di controllo delle migrazioni. Con la creazione di spazi sotto la giurisdizione italiana in un territorio di uno stato terzo, resta da chiarire come sarebbero valutate le responsabilità in caso di carenze gravi nelle strutture, che sono già state riscontrate in moltissime altre strutture europee, e non: sovraffollamento, mancanza di servizi adeguati per i richiedenti, incuria, abusi fisici, somministrazione di psicofarmaci contro la volontà dei soggetti interessati. A chi sarebbe affidata poi la repressione di eventuali rivolte o fughe da parte delle persone detenute?

      Esternalizzare le frontiere ha quindi uno scopo pratico molto preciso: allontanare dal territorio europeo la conoscenza delle sofferenze e degli atti di ribellione delle persone sottoposte al regime delle frontiere, prevenire azioni di monitoraggio e pressioni sul rispetto dei loro diritti da parte della società civile, far svolgere ad altri il lavoro sporco che per cui le istituzioni governative e le forze di polizia europee potrebbero dover essere chiamate a rispondere.

      Sottolineare gli elementi che renderebbero questo accordo illegale e inapplicabile è necessario per prevenire situazioni difficilmente riparabili con gli strumenti a disposizione della legge. Ma potrebbe non bastare: l’esperienza ci ha mostrato come accordi e decreti contrari ad alcuni principi costituzionali e del diritto di asilo abbiano comunque trovato applicazione, soprattutto quando questa è affidata in parte ad autorità di paesi terzi. È fondamentale quindi contestare alle sue radici una gestione emergenziale delle migrazioni, che passa per il solo sistema di asilo senza prevedere canali di ingresso regolari, e che mira a prevenire l’arrivo nel territorio europeo del maggior numero di persone possibile.

      Tweet di Giorgia Meloni: https://twitter.com/GiorgiaMeloni/status/1723027124246708620
      https://www.asgi.it/notizie/accordo-italia-albania-asgi-illegittimo-parlamento
      https://www.emergency.it/comunicati-stampa/laccordo-italia-albania-e-lennesimo-attacco-al-diritto-di-asilo-e-sottende
      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/11/italy-plan-to-offshore-refugees-and-migrants-in-albania-illegal-and-unworka
      https://www.coe.int/hr/web/commissioner/-/italy-albania-agreement-adds-to-worrying-european-trend-towards-externalising-a

      https://www.meltingpot.org/2023/11/nellintesa-italia-albania-la-continuita-deve-preoccuparci-quanto-la-novi

    • Tavolo Asilo e Immigrazione: appello al Parlamento perché non ratifichi il Protocollo Italia-Albania

      L’accordo getta le basi per la violazione del principio di non respingimento e per l’attuazione di pratiche di detenzione illegittima: alle persone condotte nei centri sarebbe impedito di uscire, senza una chiara base legale e nessuna garanzia del diritto di difesa e a un ricorso effettivo

      Il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede che il Protocollo Italia-Albania venga revocato dal Governo e fa fin da ora un appello al Parlamento perché voti contro il disegno di legge di ratifica preannunciato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante le odierne comunicazioni alla Camera sull’intesa.

      L’accordo firmato con il governo albanese, violando gli obblighi costituzionali e internazionali del nostro Paese, si pone, come quello con la Tunisia, l’obiettivo di esternalizzare le frontiere e il diritto d’asilo.

      L’accordo Italia-Albania, così come delineato, comporta infatti il rischio di gravi violazioni dei diritti umani. Il testo dell’intesa non chiarisce se i centri da realizzarsi in Albania saranno destinati alle procedure di esame delle domande di protezione internazionale e in particolare alle procedure di frontiera o al rimpatrio, ma alle persone condotte nei centri sarebbe impedito di uscire, subendo di fatto un regime di detenzione automatica e prolungata, senza una chiara base legale. Anche la possibilità di controllo giurisdizionale sembra compromessa, così come il diritto di difesa e a un ricorso effettivo. L’Accordo non chiarisce infatti la competenza a convalidare il trattenimento delle persone, né che cosa accadrà alle persone che hanno chiesto protezione internazionale che non ottengano risposta entro i 28 giorni previsti dalla procedura accelerata.

      Infine, desta preoccupazione la mancanza nel Protocollo di qualsiasi riferimento alle persone maggiormente vulnerabili, minori, donne, famiglie, vittime di tortura, e di come queste sarebbero salvaguardate dall’applicazione dell’accordo, così come era stato invece annunciato nei giorni scorsi.

      Per questi motivi le Organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione ne hanno chiesto oggi la revoca da parte del Governo durante una conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche la Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e il Segretario di +Europa Riccardo Magi, il senatore Graziano Delrio, Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, oltre ai deputati Matteo Mauri, Giuseppe Provenzano e Alfonso Colucci.

      Le associazioni hanno inoltre lanciato un appello al Parlamento perché voti contro il disegno di legge di ratifica preannunciato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante le odierne comunicazioni alla Camera.

      Per il Tavolo Asilo e Immigrazione

      A Buon Diritto, ACAT, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, ASGI, Casa dei Diritti Sociali, Centro Astalli, CGIL, CIES, CNCA, Commissione Migranti e GPIC Missionari Comboniani Italia, DRC Italia, Emergency, Europasilo, Fondazione Migrantes, Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, Intersos, Medici del Mondo, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, Save the Children Italia, Senza Confine, Società Italiana Medicina delle Migrazioni, UIL, UNIRE

      Aderiscono inoltre

      AOI, Mediterranea Saving Humans, Open Arms, Rivolti ai Balcani, Sea Watch e Sos Mediterranée Italia

      https://www.asgi.it/primo-piano/tavolo-asilo-e-immigrazione-appello-al-parlamento-perche-non-ratifichi-il-proto

    • Italy: Parliament to ratify Albania deal to process asylum seekers

      Both of Italy’s houses of parliament will be given the chance to ratify the country’s new deal to process asylum seekers in Albania. The motion was approved after a debate in the lower house on Tuesday.

      Italy’s Foreign Minister Antonio Tajani spoke to Italy’s lower house on Tuesday (November 21), explaining the Italy-Albania deal to process asylum seekers in more detail, and promising that the deal would be presented as a DDL (proposal of a law) and that both houses would have the chance to ratify it before it proceeds.

      In his long speech to the lower house, Tajani reminded parliamentarians that other similar deals with countries like Libya had not been subject to the same ratification process. Originally the Italian government said that the Italy-Albania deal didn’t need to be either, since it was not a treaty and only treaties needed to be ratified by parliament.

      However, in what the opposition has dubbed a “complete U-turn,” two weeks after the Italy-Albania deal was signed, Tajani has announced that it would be presented as a subject for debate by parliamentarians. The government hopes that the debates and ratification process will be “as quick as possible,” since the deal is meant to begin in just a few months, by spring 2024.
      Deal ’is just one additional instrument’ to manage migration

      Fighting the traffickers is “an absolute priority” for the Italian government, said Tajani during his speech to parliament. Referring to the death of a two-year-old girl during a rescue operation on Monday (November 20), Tajani said “we won’t and shouldn’t get used to these kinds of tragedies that are unfolding along our coasts.”

      He proposes that the Italy-Albania deal is just “one additional instrument” to help Italy manage migration. Tajani said that Italy has worked hard to make migration a central tenet of EU debate, and says that Italy and other members of the bloc are all working hard to “stop irregular migration, fight traffickers and strengthen the external borders of the EU.”

      Although Tajani admitted that the deal was “no panacea”, he said that Italy had “deep and historic ties with Albania” and already had joint teams to stop the trade in drugs and migrants. For the benefit of the parliament, Tajani outlined once again that the deal would be entirely paid for by Italy and was expected to cost €16.5 million initially. This would cover the two centers, one at the port and one about 30 kilometers away.

      The initial center at the port will be where people are registered and fingerprinted. They will then be moved to the reception center, where they will have their asylum requests examined. Anyone whose request is refused would be repatriated from there.
      Not comparable to UK-Rwanda deal, says Tajani

      This is no offshoring deal, said Tajani, disputing the accusations that it was “Italy’s Guantanamo” or anything like the UK-Rwanda deal. The centers will be entirely staffed by Italian personnel, be managed under Italian law, and they will come under the jurisdiction of the Italian courts, said Tajani.

      Italy’s foreign minister underlined that “no vulnerable people, women or children” would be sent to these centers. It will be exclusively to process the asylum requests of non-vulnerable migrants from safe countries, explained Tajani, or those who have already had one claim refused, or people waiting for repatriation.

      There will never be more than 3,000 people in the centers at any one time, promised Tajani. Italy will pay Albania for police patrols outside the centers and for any hospital visits that are required. Tajani also assured parliamentarians that all rights to healthcare and safety would be respected and that the only asylum seekers brought to Albania would be by Italian official boats. NGO rescue ships would not be disembarking people in Albania.
      Keeping it within the ’European family’

      Tajani said that the European Commission had already confirmed that the agreement did not violate EU law, since, as Tajani explained quoting EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson, the processing will follow Italian law which is fully in line with European law.

      Several MPs in the debate, including Minister Tajani referenced the fact that the German chancellor had said they would be following the agreement closely and thinking about similar models for their country. According to Tajani, the German Chancellor Olaf Scholz said that since Albania will soon be part of the European family, referring to Albania’s European accession process, processing asylum seekers in Albania was about “solving challenges within Europe” and not offshoring.

      Scholz, speaking in Malaga recently, said that the whole bloc was looking to “reduce irregular migration” and said he thought there should be more deals struck like the EU-Turkey 2016 deal, to help Europe manage migration.

      Increasing the legal pathways to Italy

      Nearing the conclusion of his speech, Tajani underlined that any exceptions to adhering to the rule of international law would be straight out “impossible”. Using the Albania agreement as a model, Tajani said the Italian government was seeking to conclude or extend similar deals with other friendly countries, transit countries and countries of origin.

      Tajani promised that the Italian government would also increase the number of legal pathways into Italy. He said in parliament that the new work permits for migrant workers had already been increased to about 150,000 per year from this year to 2025, compared to 82,000 in 2022.

      At the end of the debate in parliament, a majority of 189 to 126 voted to allow the proposal to continue its passage and be put forward as an official proposal of law (DDL), to be examined and ratified by both houses.
      Critics call deal ’illegitimate’ and ask for it to be revoked

      However, the law was not without its critics. During the debate, Riccardo Magi from the Più Europa (More Europe) party said that the deal “did nothing but increase uncertainty and would take away the fundamental right to personal liberty” of people who may be detained under the deal. He added that he didn’t believe that even the ministers proposing the deal believed it would really be doable.”

      On November 20, Amnesty International and 35 other NGOs, which together form the TAI (Tavalo Asilo e Immigrazione – a forum for the discussion of asylum and immigration) have also criticized the deal, calling it “illegitimate” and saying it should be “revoked.”

      The TAI held a press conference on Tuesday (November 21) where they reiterated that in their opinions, the deal violated international obligations and laws. They said that just like the deal with Tunisia, it was an attempt to “externalize the borders and the right to asylum.”

      According to a press release from the TAI, the Italian migration system is “in chaos and continuously violates the law and the rights of welcome and asylum” that under international law they are forced to offer. TAI accuses the Italian government of “making sure it implements practices in the field which just produce emergencies and discomfort.”

      The TAI says that the Italy-Albania deal “risks seriously violating human rights.” They say that once those people are on an Italian boat, they come under Italian jurisdiction, so they can’t then be transferred to another state to have their asylum requests examined.

      The deal, says TAI, goes against the principle of non-refoulement, whereby a person cannot be sent back to a land where they could knowingly be put in danger. The deal also allows for people to be detained illegitimately, claims TAI.

      https://www.infomigrants.net/en/post/53392/italy-parliament-to-ratify-albania-deal-to-process-asylum-seekers

    • In Pictures: Sites Where Refugees Will be Hosted In Albania

      BIRN has taken a look at the sites in Albania where a reception centre and a refugee camp will be built in accordance with the controversial agreement reached between the Albanian and Italian governments.

      The agreement was opposed both in Italy and Albania and one of the biggest critics that it received is related to Albania’s capacities to receive 3000 migrants in a month.

      According to the protocol that has been published, a reception centre for migrants will be built inside the Port of Shengjin, in the Lezha area of northern Albania, which will process and register migrants rescued at sea by Italy.

      A second site, which will serve as a refugee camp, will be built in Gjader, a village where a former military air base was built in the 1970s during the communist era.

      Italy’s plan to build migrant centres in Albania has been criticised in both countries, where activists and human rights lawyers have questioned Albania’s capacities to handle the arrangements.

      While the deal has been criticised by human rights experts, lawyers and civil society groups in Italy, in Albania many see it as Prime Minister Edi Rama’s personal initiative, since it was not discussed previously in public.

      The deal allows Italy to set up facilities on Albanian territory for migrants it has rescued at sea, which will accommodate up to 3,000 people at any one time.

      The agreement, which BIRN has seen, although without its annexes, states: “In the event that, for any reason, the [migrant’s] right to stay in the facilities cease to exist”, Italy must immediately transfer these persons out of Albanian territory.

      “Italy will use the port of Shengjin and the Gjader area to establish, at its own expense, two entry and temporary reception facilities for immigrants rescued at sea, capable of accommodating up to 3,000 people, or 39,000 a year, to expedite the processing of asylum applications or potential repatriation”, the text of the protocol notes, adding that jurisdiction over the centres will be Italian.

      “In Shengjin, Italy will handle disembarkation and identification procedures and establish a first reception and screening centre; in Gjader, it will create a model Cpr facility for subsequent procedures. Albania will collaborate with its police forces, for security and surveillance,” it adds.

      https://balkaninsight.com/2023/11/22/in-pictures-sites-where-refugees-will-be-hosted-in-albania
      #photographie #localisation

    • L’intesa con Tirana costerà oltre mezzo miliardo. 142 milioni di euro solo nel 2024

      «Oltre 142 milioni di euro nel 2024, quasi 645 nei cinque anni di validità (prorogabili). È quanto costerà ai contribuenti italiani l’intesa tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e l’omologo Edi Rama per rinchiudere nei centri di trattenimento in Albania i migranti soccorsi in alto mare dalle navi italiane. Soldi che l’esecutivo è andato a cercare raschiando il fondo del barile degli accantonamenti di quattordici ministeri.»

      https://ilmanifesto.it/tagli-a-universita-e-agricoltura-per-fare-i-centri-in-albania
      #coût

    • The 2023 Italy-Albania protocol on extraterritorial migration management

      In November 2023, the Italian government concluded a Memorandum of Understanding (MoU), or Protocol, with the Albanian authorities envisaging extraterritorial migration and asylum management, including detention and asylum processing, in Albania. This Report examines the Protocol in light of EU, regional and international legal standards, and the main responses that it has attracted so far. It concludes that the MoU can be understood as a nationalistic and unilateral arrangement that, while not involving the EU, covers policy areas falling within the scope of European law. The MoU runs contrary to EU constitutive principles enshrined in the Treaties, including the EU Charter of Fundamental Rights, as well as international law. It should be regarded as a non-model in migration and asylum policies as it is affected by far-reaching illegality and unfeasibility grounds undermining both its rationale and implementation.

      https://www.ceps.eu/ceps-publications/the-2023-italy-albania-protocol-on-extraterritorial-migration-management
      #extra-territorialité #droit_international #droits_fondamentaux

    • Nouvel avatar de l’externalisation : l’accord Italie-Albanie

      Il y a 20 ans, Plein Droit s’inquiétait des projets européens d’installation, dans des pays non membres de l’Union européenne (UE), de « centres de transit » où seraient enfermées, le temps d’instruire leur demande d’asile, les personnes étrangères ayant franchi illégalement les frontières de l’Union. Évoquant un « cauchemar », l’édito dénonçait l’intention des États membres « de se dégager des responsabilités que la Convention de Genève sur les réfugiés fait peser sur eux », ajoutant : « On devine au prix de quelles pressions, économiques ou non, ces pays accepteront ou se feront imposer ces camps de transit, […] on imagine sans mal l’insécurité à laquelle les demandeurs d’asile seront confrontés, les chantages auxquels ils pourront être soumis de la part des pays condamnés par l’Europe à les accueillir à sa place [1] ».

      Si, depuis, l’externalisation de l’asile a été déclinée de multiples façons [2], le projet de #camps_de_détention situés hors de l’UE, mais juridiquement contrôlés par un État membre, ne s’est jamais concrétisé. Sans doute à cause des #obstacles_juridiques que poserait un tel montage, notamment au regard du respect des droits fondamentaux. Mais aussi parce qu’il suppose de trouver où les implanter : jusqu’ici, les tentatives pour convaincre des pays voisins de se prêter au jeu ont échoué. Lorsqu’en 2018 le Conseil européen a exploré la possibilité de créer, hors du territoire européen, des « #centres_régionaux_de_débarquement » pour y placer des boat people interceptés en Méditerranée, il s’est heurté au refus catégorique des États nord-africains et de l’Union africaine [3].

      Aujourd’hui, le #cauchemar est à nos portes. À la veille de l’adoption du Pacte européen qui entend accélérer la procédure frontalière d’examen des demandes d’asile et renforcer la « dimension externe » de la politique migratoire de l’UE, l’Italie a conclu le 6 novembre, avec l’Albanie, un accord visant à y délocaliser l’accueil de migrants secourus en mer et l’examen des demandes d’asile. Il paraît que c’est au cours de ses vacances en Albanie, l’été dernier, que la cheffe du gouvernement italien Giorgia Meloni a posé les bases de cette « pièce importante » de sa stratégie de lutte contre les flux migratoires. Elle y a trouvé l’oreille attentive de son homologue albanais, Edi Rama, prêt à mettre « gratuitement » à la disposition de l’Italie deux zones au nord du pays pour qu’elle y construise les centres sous administration italienne où seront détenus des migrants interceptés en mer par des navires italiens. Le premier, dans une ville côtière, pour y procéder aux premiers soins, aux opérations d’identification, et instruire les demandes d’asile ; le second, sur une base militaire, pour organiser le #rapatriement des personnes qui ne demandent pas l’asile ou ne seront pas reconnues éligibles à une protection. Aux demandeurs d’asile placés dans ces centres qualifiés d’« extraterritoriaux » serait appliquée la procédure accélérée que la loi italienne prévoit pour les requêtes formées à la frontière. Seuls ceux qui obtiendraient une protection seraient admis au séjour en Italie, les autres devant être expulsés.

      L’accord ne pourra cependant entrer en vigueur avant que la Haute Cour albanaise ne se soit prononcée sur sa #constitutionnalité : les membres de l’opposition qui l’ont saisie contestent cette forme de « vente d’un morceau du territoire albanais » qui conduirait, selon un député du parti Più Europa, à la création d’« une sorte de #Guantanamo italien, en dehors de toute norme internationale, en dehors de l’UE [4] ».

      Là n’est pas le seul problème que soulève l’accord, même si Georgia Meloni aimerait que celui-ci devienne « un modèle à suivre ». Un « modèle » qui suscite les réserves du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR), à aucun moment « informé ni consulté », et que dénonce la Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe. Relevant ses « #ambiguïtés_juridiques », celle-ci liste les multiples questions que l’accord soulève en matière d’équité des procédures d’asile, d’identification des personnes vulnérables et des mineurs, de risque de détention automatique sans contrôle juridictionnel, de conditions de détention, d’accès à l’assistance juridique et de recours effectif... Et met en garde contre le recours croissant à l’externalisation, qui pourrait « créer un effet domino susceptible de saper le système européen et mondial de protection internationale [5] ». De leur côté, plusieurs ONG ont déjà mis en évidence l’incompatibilité de l’accord avec la législation européenne – à laquelle l’Italie est tenue de se conformer – en matière d’asile et d’éloignement [6].

      Les institutions de l’UE semblent moins inquiètes. Pas de réaction du côté des gouvernements, sans doute soulagés de voir l’Italie traiter seule le problème des arrivées d’exilé·es sur ses côtes plutôt que d’être rappelés à une « solidarité européenne » à laquelle ils préfèrent se dérober. Quant à la Commission européenne, elle s’est empressée de préciser que « le droit européen n’est pas applicable en dehors du territoire de l’UE » mais que, « étant donné l’appartenance de l’Italie à l’Union et l’adoption obligatoire d’une législation commune, les règles qui s’appliqueront dans les centres albanais seront effectivement de nature européenne et imiteront le cadre qui s’applique sur le sol italien [7] ». Nous voilà rassurés.

      https://www.gisti.org/spip.php?article7170

    • Protocole d’accord Italie/Albanie sur les migrations : une coopération transfrontière contraire au droit international

      La chambre des députés italienne et la Cour suprême albanaise ont approuvé le protocole d’accord sur les migrations conclu en novembre 2023, respectivement les 24 et 29 janvier 2024. Le réseau Migreurop dénonce des manœuvres qui s’inscrivent dans la continuité des politiques de l’Union européenne (UE) et de ses États membres pour externaliser le traitement de la demande de protection internationale.

      Le 6 novembre 2023, l’Italie a conclu un « accord » avec l’Albanie en vue de délocaliser le traitement de la demande d’asile de certain·e·s ressortissant·e·s étranger·ère·s de l’autre côté de ses frontières [1]. Ce protocole, rendu public le 7 novembre, s’appliquerait aux personnes interceptées ou secourues en mer par les autorités italiennes, qui pourraient être débarquées dans les villes côtières albanaises de Shëngjin et de Gjader. Les personnes reconnues « vulnérables » ne seraient pas concernées par cet accord.

      Celui-ci prévoit, d’ici le printemps 2024, la construction de deux camps [2] financés par l’Italie : l’un destiné à l’évaluation de la demande d’asile, l’autre aux « éventuels rapatriements » [3] (autrement dit, aux expulsions). Alors que le Parlement italien n’a pas été sollicité au moment de la conclusion de l’accord [4], ces structures relèveraient pourtant exclusivement de la juridiction italienne. Contre une compensation financière et une avancée dans le processus d’adhésion à l’UE, l’Albanie aurait donné son accord pour « accueillir » 3 000 personnes par mois sur son territoire et assurer une part active dans les activités de sécurité et de surveillance via ses forces de police [5]. Fortement inspiré par le concept australien de « Pacific solution » [6], ce mécanisme placerait les deux camps sous autorité italienne, avec du personnel italien, en vertu d’un statut d’extraterritorialité.

      Certaines institutions européennes se sont dans un premier temps contentées d’appeler au respect du droit national et international. La Commissaire européenne en charge des affaires intérieures a déclaré, une semaine après que l’accord a été rendu public : « L’évaluation préliminaire de notre service juridique est qu’il ne s’agit pas d’une violation de la législation de l’UE, mais que cela est hors de la législation de l’UE » [7]. Une formulation particulièrement ambiguë, qui n’a pas été éclaircie quand elle a ajouté : « l’Italie se conforme à la législation européenne, ce qui signifie que les règles sont les mêmes. Mais d’un point de vue juridique, il ne s’agit pas de la législation européenne, mais de la législation italienne (qui) suit la législation européenne ».

      La Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe, a quant à elle rappelé que « la possibilité de déposer une demande d’asile et de la faire examiner sur le territoire des États membres reste une composante indispensable d’un système fiable et respectueux des droits humains », ajoutant que « Le protocole d’accord crée un régime d’asile extraterritorial ad hoc, caractérisé par de nombreuses ambiguïtés juridiques » [8].

      S’il a l’allure d’un accord bilatéral, cet accord s’inscrit dans la continuité de l’externalisation des politiques d’asile menée par les États européens depuis le début des années 2000, se projetant plus ou moins loin des frontières européennes (du Maroc au Rwanda en passant par la Turquie, notamment). De nombreux pays sont en effet tenus de coopérer avec l’UE et ses États membres dans le domaine de l’immigration et de l’asile en échange d’avantages en matière commerciale, de politique étrangère ou d’aide au développement.

      Dans le cas présent, l’Italie, au nom d’un prétendu « partage des responsabilités », pioche dans la mallette à outils à disposition des États pour externaliser le traitement de la demande d’asile. L’Albanie ayant obtenu en 2014 le statut de pays candidat à l’adhésion à l’Union européenne, cette coopération transfrontière représenterait un gage de sa bonne volonté, se donnant ainsi l’image d’être le partenaire-clé des pays européens dans la mise en œuvre de leurs politiques de sélection et de filtrage des personnes étrangères aux frontières extérieures [9]. Cette stratégie utilitariste, mobilisant les personnes en migration comme levier de négociation politique, a déjà été mise en œuvre par le passé à de maintes reprises, et le réseau Migreurop a solidement étayé les effets délétères de tels accords sur les droits des personnes migrantes [10].

      Au-delà de l’opacité et du secret qui a entouré sa conclusion, ce protocole d’accord pose de nombreuses questions :

      Alors même que l’accord ne s’appliquerait pas aux personnes considérées vulnérables, ne peut-on estimer que les personnes rescapées sont de facto vulnérables ? Que le déplacement dans ces centres albanais de personnes rescapées en mer constitue de facto une action qui vulnérabilise ces personnes ?

      Quid du principe de non-refoulement ? En envoyant des personnes en dehors de son territoire, le temps du traitement de la demande d’asile, l’Italie risque de contrevenir au principe de non-refoulement, pourtant énoncé à l’article 33 de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés, qui interdit le retour des réfugiés et des demandeurs d’asile vers des pays où ils risquent d’être persécutés [11].

      En pratique, sa mise en œuvre impactera les droits des personnes selon les conditions du débarquement (qui ne sera donc pas le lieu sûr le plus proche comme le prévoit la réglementation internationale) : qu’en sera-t-il du respect de la procédure de demande d’asile, de l’identification de la vulnérabilité, de l’accès à une assistance juridique ? Elle impactera aussi, ensuite, les conditions dans lesquelles les personnes seront détenues, à l’image de ce qui s’est passé dans les hotspots en Grèce, dans lesquels les personnes étaient prisonnières de camps à ciel ouvert [12].

      Qui sera responsable en cas de violations des droits au sein de ces camps ? Quel droit s’appliquera, le droit italien ou le droit albanais ? Comment pourra être garantie l’effectivité des droits dans un territoire localisé à distance de la juridiction responsable, loin des regards ?

      Selon les termes de cet accord, ni les personnes débarquées par les bateaux d’ONG, ni les personnes arrivées de manière autonome ne devraient être concernées. Comment savoir si les autorités italiennes n’élargiront pas cette procédure à tou·te·s les demandeur·euse·s d’asile ? L’accord ne risque-t-il pas, en outre, de mettre en difficulté les conditions dans lesquelles s’effectueront les opérations de recherche et sauvetage des personnes en détresse en mer ? Le tri entre les personnes reconnues vulnérables et les autres se fera-t-il sur le bateau ou en Albanie ?

      Pour les personnes expulsées, le seront-elles depuis l’Italie ou depuis l’Albanie ? De sérieux doutes se posent au regard des déclarations du Premier ministre albanais affirmant qu’elles incomberaient aux autorités italiennes (alors qu’initialement cette tâche devait être effectuée par l’Albanie).

      La détention aurait lieu durant la procédure frontalière et en vue du retour, mais quid des personnes libérées en Albanie : seront-elles renvoyées vers l’Italie ou un autre État ?

      Cet accord tombe-t-il sous le coup du droit européen ou non ? La Commissaire aux affaires intérieures a laissé planer un doute sur la nature européenne des règles qui s’y appliqueraient. La Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe a quant à elle pointé du doigt le risque d’un effet domino « susceptible de saper le système européen » si d’autres États décident eux-aussi de transférer leur responsabilité au-delà des frontières européennes [13].

      Les règles édictées dans l’accord politique sur le pacte européen adoptées le 20 décembre 2023 devront-elles s’appliquer sur le territoire albanais car sous juridiction italienne et donc européenne ?

      Et pour finir, se pose la question du coût exorbitant de ces déplacements de populations, mais aussi celui de l’accord négocié avec l’Albanie pour disposer d’une partie de son territoire national, et du fonctionnement-même de ces camps.

      Pour toutes ces raisons, le réseau Migreurop dénonce un protocole d’accord qui n’aurait jamais dû voir le jour. Et à supposer que le gouvernement italien s’obstine dans cette direction, cela ne peut se faire sans que le droit européen et la protection des droits des personnes soient mis en œuvre et respectés. À commencer par celui de demander l’asile dans de bonnes conditions.

      Les mécanismes d’externalisation à l’œuvre – qui se généralisent – violent le droit international avec la complicité des autorités nationales et la complaisance de certaines institutions européennes. Il est urgent de refuser ce contournement incessant du droit qui, loin des regards, s’inscrit dans la stratégie mortifère de mise à distance des personnes étrangères.

      https://migreurop.org/article3230

  • Principio di non-refoulement è solo un articolo che non viene rispettato

    Quello che emerge dal quinto rapporto del network Protecting Rights at Borders (PRAB) “Picchiati, puniti e respinti” 1, è l’ennesima immagine drammatica di quanto accade alle porte esterne dell’Unione Europea, alla porte di quella comunità che ha tra i suoi principi fondativi (e fondamentali) la protezione e il rispetto dei diritti dell’uomo.

    Stando dunque alla pubblicazione di PRAB, nel 2022 sono state raccolte segnalazioni di pushback da oltre 5.756 persone. Le pratiche di respingimento, messe in atto dalle forze dell’ordine dei Paesi d’ingresso all’Europa, sono pratiche sistematiche ed estremamente violente che violano la normativa internazionale ed europea.


    Inoltre, per ribadire quanto le pratiche di respingimento vadano contro i diritti i diritti dell’uomo, la Convenzione di Ginevra del 1951, con l’articolo 33, stabilisce il principio di non-refoulement (non respingimento).

    «1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

    2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese»

    Si tratta di un principio fondamentale del diritto internazionale. È importate sottolineare che per effetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, tale principio si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata e/o dall’aver formalizzato o meno una diretta domanda di protezione.

    Le pratiche messe in atto dalle forze dell’ordine alle frontiere della cosiddetta fortezza europea e al proprio interno, sono in violazione del diritto della stessa Europa. Ricordiamo l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea:

    «Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione.
    1. Le espulsioni collettive sono vietate.
    2. Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti»

    È evidente come ancora una volta l’obbligo nel quadro giuridico contraddice la realtà.

    Dal lavoro di PRAB emerge che vi è un sistematico uso di respingimenti. Il report ne riporta quasi 6mila, ma i numeri complessivi sono sicuramente più alti dal momento che questi sono solamente dati raccolti da testimonianze dirette. Nelle due zone di confine dove è più alto il transito di persone migranti tra Italia e Francia (Oulx e Ventimiglia), i respingimenti sono una pratica sempre più comune.

    Ad esempio, se si guarda il numero di serie presente sulla documentazione ufficiale (Refus d’entree) consegnata alle persone respinte dalla polizia di frontiera francese nel 2022, emerge che i numeri sono estremamente più elevati: a Ventimiglia sono 17.749 le persone respinte e a Oulx oltre 3.600. Questi dati sono importanti in quanto sottolineano come le pratiche di respingimento e le barriere d’accesso siano molto più diffuse e si verificano su scala molto più ampia di quella registrata da PRAB.

    Anche in altri territori italiani l’uso sistematico dei respingimenti è in aumento. “Assistiamo a continue riammissioni lungo i porti adriatici dall’Italia alla Grecia e a respingimenti verso l’Albania. Si tratta di trattamenti inumani, come la confisca e la distruzione degli effetti personali, la svestizione forzata e l’esposizione a temperature estreme. Il governo italiano cerca di negare che ciò avvenga. Ma la situazione sembra peggiorare“, conferma Erminia Rizzi di ASGI.

    Nella maggior parte dei casi i respingimenti avvengono in maniera violenta. Sono tantissime le testimonianze che raccontano come la polizia di frontiera si sia comportata in modo brutale: manganellando le persone migranti, confiscando tutti i loro effetti personali per poi distruggerli, negando loro acqua e cibo, obbligandoli a restare svestiti a temperature estreme.

    Uno dei confini in cui le violenze sono all’ordine del giorno è ancora quello che separa la Croazia dalla Bosnia. Ma le numerose violazioni dei diritti umani che erano state denunciate e riportate dalle persone solidali che lottano quotidianamente contro tali pratiche, sono state messe da parte nel momento in cui la Croazia è entrata ufficialmente nella zona Schengen. Per l’ennesima volta le istituzioni Europee hanno chiuso gli occhi di fronte alle molteplici violazioni e violenze: ancora una volta i diritti umani sono stati sacrificati per raggiungere compromessi politici ed economici.

    Il 2022 è stata un anno di grandi contrasti per quanto riguarda la solidarietà e l’accoglienza: le persone che fuggivano dalla guerra in Ucraina sono state accolte mentre le persone migranti provenienti da paesi africani e/o mediorientali sono stati respinte: vi sono due pesi e due misure basate sul profilo etnico, cosa che viola la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Nel 2022 l’Unione Europea ha applicato per la prima volta una direttiva speciale per concedere un permesso temporaneo da chi scappa dalla guerra. Non si tratta di una nuova direttiva poiché risale al 2001 ma prima di quest’anno non era mai stata applicata. Il rapporto PRAB dichiara che l’attivazione di tale direttiva è una decisione storica ma basata su un doppio standard: benvenuti a un confine, respinti ad un altro. Questa è la realtà ai confini della fortezza Europa.

    Charlotte Slente, Segretaria generale della Danish Refugee Council, afferma che «la pratica di chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani alle frontiere dell’UE deve essere interrotta. È giunto il momento di sostenere, rispettare e far rispettare i diritti di coloro che si trovano alle porte dell’Europa, indipendentemente dal loro Paese di appartenenza. Per anni sono state raccolte prove sulle pratiche di respingimento. Le prove sono innegabili. Questo schema non deve essere visto in modo isolato. Fa parte di una più ampia crisi dello Stato di diritto. La crisi alle frontiere dell’UE non è una crisi di numeri. È invece una crisi di dignità umana e di volontà politica, dovuta alla mancata attuazione dei quadri giuridici esistenti e all’applicazione delle sentenze giudiziarie».

    Con il 2023 è giunto il momento di porre fine alla pratica illecita e discriminatoria di chiudere gli occhi sulle violazioni dei diritti umani alle frontiere dell’Unione Europea. Il rapporto si conclude con cinque richieste: rispetto diritti umani e dignità umana a tutte le frontiere; porre fine all’uso sistematico dei respingimenti; introduzione di meccanismi di monitoraggio indipendenti alle frontiere; prevalenza di una cultura dei diritti rafforzata dal coraggio politico per sostenere le persone bisognose di protezione; apertura di percorsi d’entrata sicuri e legali.

    Sono tutte richieste più che lecite che dovrebbero esser già applicate. Ma il 2023 è veramente l’anno in cui tali richieste verranno accettate?

    Nell’anno in cui, solo per rimanere in Italia, il governo Meloni rivendica come legittimi i respingimenti al confine con la Slovenia, gli accordi con la Libia e ha deciso di stanziare oltre 40 milioni di euro per costruire nuovi CPR, è veramente l’anno in cui i governi degli Stati UE smetteranno di sacrificare i diritti umani per scopi politici ed economici?

    https://www.meltingpot.org/2023/03/principio-di-non-refoulement-e-solo-un-articolo-che-non-viene-rispettato

    #refoulements #push-backs #migrations #asile #réfugiés #frontières #frontière_sud-alpine #2022 #rapport #Balkans #route_des_Balkans #chiffres #statistiques #violence #droits_humains

    • #Protecting_Rights_at_Borders: Beaten, punished and pushed back

      The fifth Protecting Rights at Borders report (#PRAB) reconfirms a pattern of a systematic use of pushbacks at EU Borders. The study recorded incidents involving 5.756 persons between 1 January and 31 December 2022.

      It appears evident that EU Member States continue making access to international protection as difficult as possible. These practises are systemic and integrated into countries’ border control mechanisms although they are in strict violation of EU law. The newly released PRAB report shows that many of those victims who were pushed back were not merely prevented from crossing a border. The data collected outlines that they were “welcomed” at the EU with a denial of access to asylum procedures, arbitrary arrest or detention, physical abuse or mistreatment, theft or destruction of property.

      Nationals from Afghanistan, Syria and Pakistan reported most frequently being the victim of pushbacks and in 12% of the recorded incidents children were involved. This data is unfortunately only the top of the iceberg.

      “The practice of turning a blind eye to human rights violations at EU borders must be stopped. It is high time to uphold, respect and enforce the rights of those at Europe’s doorstep, irrespective of their country of nationality. All people have the right to ask for international protection in the EU. For years, DRC jointly with its PRAB partners and many other actors, has been recording evidence on pushback practices. The evidence is undeniable,” says Secretary General of DRC, Charlotte Slente.

      Access to international protection, within the EU, is far from safeguarded - not merely due to a systematic use of pushbacks across EU borders or the unwillingness to let boats disembark, but also due to other policy developments.

      “This pattern should not be seen in isolation. It is part of a wider Rule of Law crisis. The crisis at the EU’s borders is not one of numbers. Instead, it is a crisis of human dignity and political will, created due to failure to implement existing legal frameworks and enforce judicial rulings”, says Charlotte Slente.

      Preventing access to territory with all means

      “In Greece, pushbacks at land and sea borders remain a de facto general policy, as widely reported including by UN bodies. However, instead of effectively investigating such allegations, Greek Authorities have put in place a new mechanism which does not ensure the guarantees of impartiality and effectiveness. At the same time, NGOs and human rights defenders supporting victims of alleged pushback remain under pressure and find themselves increasingly targeted", says Konstantinos Vlachopoulos of GCR.

      In Italy the systematic use of pushbacks is increasing.

      "We are witnessing continuous readmissions along the Adriatic ports from Italy to Greece and rejections to Albania. What we hear about is inhuman treatment, such as confiscation and destruction of personal belongings, forced undressing, and exposure to extreme temperatures. The Italian government tries to deny that this is happening. But the situation seems to be getting worse”, says Erminia Rizzi of ASGI.

      Welcome at one border, pushed back at another

      The situation is not equal at all EU borders. There are double standards based on ethnic profiling and they violate international human rights law. 2022 was the year that the EU provided protection – at least on paper – to 4.9 million people who entered the EU from Ukraine. The triggering of the Temporary Protection Directive was a historic decision.

      “In February 2022, Poland has opened its borders to admit large numbers of Ukrainian nationals fleeing war. Temporary protection was given to numerous persons seeking protection from the war in Ukraine. This welcoming approach of the Polish authorities did not affect the situation at the Polish-Belarusian border, where a humanitarian crisis continues since August 2021. There, third-country nationals are everyday violently pushed back, irrespective of their vulnerability or asylum claims”, says Maja Łysienia, SIP Strategic Litigation Expert.

      More information on the pushback data recorded by PRAB partners, the litigation cases brought to national and European courts related to border violence, as well as an analysis of current policy dimensions, can be found in PRAB V here: https://pro.drc.ngo/resources/news/prab-beaten-punished-and-pushed-back

      https://reliefweb.int/report/world/protecting-rights-borders-beaten-punished-and-pushed-back

    • Les chiffres à la #frontière_sud-alpine (#Italie / #France) :

      The number of pushbacks from France to Italy recorded through the PRAB project, for instance, also represents a fraction of the overall number of persons reporting pushbacks to Diaconia Valdese’s outreach teams. In Ventimiglia and Oulx in Italy, Diaconia Valdese has records of as many as 2,703 persons, and 2,583 persons, respectively, who reported experiencing pushbacks. If compared to other available statistics, even higher pushback numbers were recorded at the borders between Italy and France in 2022: In Ventimiglia, Italy, at least 17,7491 persons were pushed back by French Authorities, while in Oulx, Italy, it was at least 3,6902 persons.

      (p.4)

      #Ventimille #Oulx #Hautes-Alpes #Alpes_maritimes #Briançon

    • Le sistematiche violazioni dei diritti umani ai confini europei: VI report della rete #PRAB

      Recentemente, un video pubblicato dal New York Times (https://www.nytimes.com/2023/05/19/world/europe/greece-migrants-abandoned.html) ha rivelato respingimenti illegali di persone migranti dalla Grecia, sollevando un’ampia eco mediatica. La gravità delle accuse ha suscitato la reazione di Ylva Johansson (https://www.politico.eu/article/commission-ylva-johansson-greece-migrant-deportation), Commissaria europea agli Affari interni, che ha definito tali pratiche come “deportazioni”, e del primo ministro greco, Mitsotakis, che le ha giudicate “inaccettabili” (https://edition.cnn.com/videos/tv/2023/05/23/amanpour-greek-prime-minister-kyriakos-mitsotakis.cnn). Tuttavia, organizzazioni non governative e grassroots denunciano da anni la sistematicità delle violazioni dei diritti umani delle persone migranti ai confini europei.

      Nel Report What we do in the shadows, il VI report del network PRAB, sono state raccolte migliaia di testimonianze riguardanti le azioni compiute dalle forze di frontiera nei confronti dei potenziali richiedenti asilo, tra cui respingimenti, aggressioni e furti. In alcuni casi, tali azioni mettono a rischio la vita delle persone coinvolte, e ci sono anche situazioni in cui queste azioni si sono tradotte in tragiche perdite umane, come nei respingimenti dalla Polonia alla Bielorussia o nel caso di Fatima, una giovane ragazza di 23 anni uccisa dalla polizia macedone al confine tra la Macedonia del Nord e la Grecia a metà aprile, il giorno in cui l’Agenzia Europea Frontex ha iniziato la propria missione operativa nel paese balcanico.

      Migliaia di testimonianze raccolte nel VI report di PRAB

      Durante il periodo gennaio-aprile 2023, sono stati registrati un totale di 10.691 casi individuali di persone respinte alle frontiere europee. Di questi, 1.611 hanno partecipato a interviste approfondite da parte di uno dei partner PRAB per registrare i dati demografici, le rotte migratorie e le violazioni dei diritti a cui sono stati esposti.

      - Abusi fisici e aggressioni: Il 62% delle persone ha denunciato abusi fisici e/o aggressioni al confine tra Ungheria e Serbia, mentre il 54% ha segnalato lo stesso al confine tra Grecia e Turchia.

      - Coinvolgimento dei minori: Il 16% dei respingimenti riguardava minori, di cui il 9% viaggiava con la famiglia e il 7% era costituito da minori non accompagnati o separati dalla famiglia.

      - Mancato accesso alle procedure di asilo: Nel 44% dei casi registrati al confine tra Croazia e Bosnia-Erzegovina, nell’88% dei casi al confine tra Ungheria e Serbia e nell’85% dei casi al confine tra Italia e Francia, è stato segnalata la impossibilità di accesso alle procedure di asilo.

      Questo rapporto, insieme a molti altri, evidenzia ancora una volta le violazioni dei diritti che si verificano quotidianamente alle frontiere europee.

      I respingimenti e la brutalità della polizia sono di fatto uno strumento per la gestione delle frontiere, l’impunità è la norma e le vie della giustizia per le vittime sono scarse o inesistenti.

      Sulla base di un imperativo umanitario – che mira a salvare vite umane – negli ultimi anni, molte persone e organizzazioni umanitarie hanno sostenuto le persone in movimento. Mentre alcuni hanno contribuito a fornire l’accesso ai servizi di base, tra cui cibo, alloggio e assistenza medica, altri hanno intrapreso azioni legali per contestare le violazioni dei diritti alle frontiere dell’UE. Alcuni Stati membri europei hanno iniziato o continuano a criminalizzare coloro che forniscono assistenza, con l’obiettivo di porre fine alla solidarietà con le persone in movimento. In alcuni Paesi europei questa situazione si è ulteriormente aggravata, prendendo di fatto di mira i difensori dei diritti umani. Salvare vite umane non è solo un dovere morale, è un obbligo legale nel diritto internazionale dei diritti umani.

      https://www.asgi.it/primo-piano/le-sistematiche-violazioni-dei-diritti-umani-ai-confini-europei-vi-report-della

      #Protecting_Right_At_Border

  • Liste des personnes en situation migratoire mortes à la frontière dite « haute » (#Mongenèvre, #Val_Susa, #Col_de_l'Echelle, #Bardonecchia, #Oulx, #Briançon) entre la #France et l’Italie ces dernières années.

    Selon les informations collectées par Eva Ottavy et Lydie Arbogast, qui ont fait une mission de collecte d’info en octobre 2019 dans le cadre du projet de La Cimade « Personnes décédées et disparues aux frontières françaises » :

    5 cas de personnes décédées à la frontière franco-italienne haute ont été recensés dont 3 côté français (Matthew Blessing le 07/05/2018, #Mamadi_Condé le 18/05/2018 et Tamimou Derman le 07/02/2019) et 2 côté italien (Mohamed Fofana le 25/05/2018 et une personne non identifiée le 07/09/2019)

    Mise en garde des deux personnes qui ont fait un rapport intermédiaire de leur mission :

    Il est possible que ce chiffre soit en deçà de la réalité d’une part (difficultés pour mener de recherches dans la zone, possibilité que des personnes aient disparu sans laisser de trace…) et qu’un certain nombre de décès et/ou disparition ont pu être prévenus grâce aux maraudes

    Elles mentionnent notamment le cas d’une personne (nom mentionné dans le rapport, mais je ne le mets pas ici) :
    « Suite à l’appel de deux proches, inquiets d’être sans nouvelle de leur ami depuis le 15/11/2019 (date du dernier contact, lors duquel la personne disparue se trouvait à Oulx en Italie), la disparition de XXX a été signalée au procureur de la république à Gap (France) par l’’association Tous Migrants et au Comando del carabinieri à Oulx (Italie) par une militante italienne. Les recherches menées par les équipes de secours italiennes n’ont rien donné. A ce stade, aucune information n’a été transmise sur les suites données à ce signalement. »

    #frontières #mourir_aux_frontières_alpines #morts #décès #migrations #asile #réfugiés #Alpes #montagne #mourir_aux_frontières #violent_borders #frontière_sud-alpine

    Je vais ajouter à cette métaliste sur les morts à la frontière sud-alpine :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Sur les morts du printemps 2018...

      Tre morti in tre settimane, scoperto il cadavere di un altro migrante in Val di Susa

      Ancora un corpo che spunta tra le neve sporca e i detriti all’Orrido del Frejus.

      Le peggiori previsioni fatte nell’inverno si stanno rivelando fondate. Si scioglie la neve, si contano i cadaveri. È il terzo morto in poche settimane causato dalla militarizzazione della frontiera operata dalle forze dell’ordine in questi ultimi mesi, da quando la chiusura del passaggio di Ventimiglia ha spostato i flussi verso i valichi alpini. Archiviati i dissapori causati dall’invasione di campo della gendermerie a Bardonecchia, ormai dai due lati della frontiera è caccia al nero, con gendarmerie e polizia unite per respingere in Italia i migranti che vogliono arrivare in Francia. Anche a costo di ucciderli. Vittime collaterali dello spettacolo della frontiera, messo su per compiacere l’Unione europea e qualche cinico politico.

      Prima Blessing, una ragazza di 21 anni morta sulle sponde della Durance. Gli amici che erano con lei hanno raccontato che la gendarmeria francese l’ha inseguita di notte per i sentieri scoscesi fino a quando non è caduta nel torrente. Il suo corpo è stato ritrovato a valle qualche giorno dopo. Mamadou, un signore senegalese, invece è morto di sfinimento in montagna. Aveva provato a passare come i suoi coetanei con la pelle bianca in autobus ma la polizia l’ha rispedito indietro, con il nipote ha dovuto inerpicarsi sulla montagna per sfuggire alla battuta di caccia che i gendarmi lanciano ogni giorno e ogni notte, con visori notturni e motoslitte. Da aprile ad aiutare gli agenti sono arrivati i fascisti di Generation identitiare, che con droni ed elicotteri hanno messo in scena un blocco delle frontiere prima che un corteo di trecento valsusini li ridicolizzasse passando la frontiera con qualche decina di migranti. Sotto l’occhio benevole delle autorità francesi e col tifo dei fascisti nostrani, ora continuano di tanto in tanto le loro azioni spot, respingendo i migranti, obbligandoli a percorsi sempre più impervi e a rischiare la vita fino a perderla.

      Durante l’inverno tanti abitanti delle valli frontaliere hanno setacciato i sentieri ed accolto le persone in transito, dando informazioni, soccorrendo chi era in difficoltà anche a costo di denunce e processi. Tre di loro, Bastien, Théo ed Eleonora, sono ancora sottoposti a controllo giudiziario in Francia dopo un passaggio di diverse settimane nel carcere di Marsiglia, in attesa de loro processo che comincerà il 31 maggio. Chi quei sentieri li conosce aveva avvertito: la frontiera uccide. Voleva essere una denuncia, a fare qualcosa prima che fosse troppo tardi. Si è trasformata in una previsione che in questi giorni si è fatta dolorosa realtà.

      Dai due lati della frontiera è stato lanciato un appuntamento per una risposta collettiva, domenica 27 maggio alle 12:30 a Claviere, al rifugio autogestito chez jesus. Non vogliamo contare i corpi, non vogliamo che la Val di susa si trasformi in un cimitero a cielo aperto. Restiamo umani.

      https://www.infoaut.org/migranti/tre-morti-in-tre-settimane-scoperto-il-cadavere-di-un-altro-migrante-in-val

    • #Mohamed_Ali_Bouhamdi , citoyen tunisien, 37 ans.

      Septembre 2019, #Bardonecchia, corps d’un homme retrouvé dans la rivière #Dora :
      https://seenthis.net/messages/800830

      –-> Selon une personne avec qui j’ai discuté et qui habite dans la région et qui s’intéresse à la question, Mohamed ne serait pas décédé parce qu’il est tombé dans la rivière, mais il a probablement été tué ailleurs (crime raciste ? règlement de comptes ?) et son cadavre jeté dans la rivière.

    • Une 5ème victime de la frontière dans les Alpes (passage Bardonneccia/Briançon col de l’Echelle).

      Hier le corps d’un homme a été retrouvé dans le fleuve Dora, près de Bardonnecchia. C’est la cinquième personne tentant de traverser cette frontière, au niveau du col de l’échelle, qui est retrouvé décédée.

      « Ces dernières années tous les moyens ont été mis en place pour que ce genre de chose arrive : militaire en poste dans les forts autrefois abandonnés, gendarmes, police, douane, police en civils, laisser-passer pour les fascistes de génération identitaire venus épauler la flicaille. Les frontières se sont fermées pour les hommes et les femmes non-blanches.
      Les compagnon.n.e.s anarchistes subissent là-haut une répression féroce, les militant.e.s solidaires sont harcelé.e.s.

      All Cops Are Borders
      Burn the borders »

      https://www.facebook.com/collectifmigrants13/posts/2085425978430142?__xts__[0]=68.ARC3SUc6HicLfWSZMxbdmmf_CxCNvhE5BUP-usMmqYF

    • 15.02.2020

      Un groupe de migrants « disparus » récupérés grâce à un dispositif de secours...

      Montgenèvre : les Italiens déploient un important dispositif pour secourir des migrants

      Un groupe de migrants s’est perdu dans la montagne, samedi 15 février, en tentant de traverser la frontière franco-italienne, entre Claviere et Montgenèvre.

      Selon la presse transalpine, ces migrants portés disparus ont été retrouvés et récupérés à la mi-journée sur le sol français alors qu’un important dispositif de recherche avait été déclenché en Italie, dans la Val Susa : sapeurs-pompiers et bénévoles de la Croix-Rouge au sol appuyés dans les airs par l’hélicoptère Dragon pour inspecter les secteurs les plus hauts.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2020/02/16/montgenevre-les-italiens-deploient-un-important-dispositif-pour-secourir

    • Juin 2021, disparition d’un Soudanais :

      Une enquête pour « disparition inquiétante » a été ouverte vendredi après plus de 48 heures de recherches infructueuses près de Briançon (Hautes-Alpes) pour retrouver un migrant soudanais qui arrivait d’Italie, a annoncé le parquet de Gap.

      Il faisait partie d’un groupe de quatre « jeunes hommes » partis dimanche du village italien d’Oulx pour passer la frontière, a expliqué Didier Fassin, sociologue français présent à Briançon pour aider les migrants et mener des travaux de recherche. C’est lui qui a alerté les secours.

      https://seenthis.net/messages/922630

      Les personnes solidaires à Briançon espèrent qu’il soit en vie :

      Nous avons l’espoir qu’elle a poursuivie sa route car elle n’avait pas de téléphone et donc pas de moyen de se signaler.

    • 06.02.2022, commémor’action des mortEs aux frontières à #Briançon, #La_Vachette :

      La Vachette, Hautes-Alpes, 6 février 2022 : Commémoration des migrant.e.s mort.e.s à la frontière entre l’Italie et la France suite à l’appel collectif à mobilisations dans plusieurs pays à l’occasion de la journée mondiale de lutte contre le régime de mort aux frontières et pour exiger la vérité, la justice et la réparation pour les victimes de la migration et leurs familles.


      https://hanslucas.com/jbenard/photo/52306
      photos de #Julien_Benard

    • Confine italo-francese: una frontiera dove si continua a morire. Appello alle autorità (11.02.2022)

      Le recenti morti di Fathallah Balafhail, 31enne di origine marocchina, trovato senza vita nei primi giorni di gennaio non lontano da Modane, in Francia, Ullah Rezwan Sheyzad, quindicenne proveniente dall’Afghanistan, e della persona deceduta a Latte, la cui identità non può essere accertata a causa delle modalità del decesso, testimoniano con forza la necessità di un cambio di rotta nella gestione dei confini. Le associazioni si appellano alle autorità francesi, italiane e locali attraverso un documento che denuncia la realtà della situazione al confine italo-francese.

      Questi episodi dimostrano chiaramente che malgrado l’aumento dei controlli, la volontà di portare a termine il progetto migratorio spinge le persone a individuare nuove rotte migratorie, a discapito della propria sicurezza, trovando anche la morte.

      Quanto accade nelle aree di frontiera, incluse le recenti morti, è secondo le associazioni firmatarie effetto collaterale di precise scelte politiche adottate tanto a livello locale e nazionale quanto a livello europeo. È necessario ed urgente un cambio di approccio al sistema di gestione delle frontiere interne ed esterne europee che faccia della tutela dei diritti fondamentali e del diritto di asilo il principio giuridico intorno a cui ripensare le politiche migratorie.

      Alle frontiere vengono lesi il diritto di asilo, anche di minori e soggetti vulnerabili, e altri diritti fondamentali quali il diritto alla salute e quello a poter avere accesso ad una anche minima forma di accoglienza così da evitare gravi forme di emarginazione. Viene inoltre leso il diritto alla verità nel momento in cui le persone decedute rimangono senza identità.

      Le organizzazioni firmatarie esprimono il loro sincero ed incondizionato sostegno alle famiglie dei defunti ed invitano le organizzazioni della società civile a promuovere ogni azione utile a contrastare le modifiche del Codice frontiere Schengen e, in senso più ampio, gli ulteriori strumenti previsti dalla Strategia Schengen che siano potenzialmente lesivi dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri.

      Chiedono inoltre:

      – alle autorità italiane e francesi di modificare le politiche relative alla gestione delle frontiere interne, con particolare riferimento alle modalità con le quali i controlli di polizia e di frontiera vengono svolti, garantendo il pieno rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché degli obblighi in materia di protezione internazionale e di non respingimento;

      – alle autorità locali di predisporre servizi adeguati a rispondere alle esigenze e al bisogno di protezione dei migranti presenti nei luoghi di frontiera garantendo in primo luogo accoglienza anche alle persone in transito.

      https://www.asgi.it/primo-piano/confine-italo-francese-una-frontiera-dove-si-continua-a-morire-appello

      –-

      Si ritorna a morire alla frontiera Nord Ovest delle Alpi

      Fathallah Balafhail, 31 anni, è stato trovato morto il 2 gennaio 2022 al Barrage del Freney non lontano da Modane dopo aver cercato di varcare a piedi le Alpi. Veniva dal Marocco, anche lui aveva tentato il giro più lungo passando dalla Turchia e aveva attraversato i Balcani. Aveva vissuto per un certo tempo a Crescentino, paese vicino a Vercelli, poi la partenza, due tentativi falliti di arrivare in Francia, passando da Ventimiglia, e infine l’arrivo in Valle di Susa. L’ultimo suo messaggio alla famiglia risale alle 23.54 dalla stazione di Oulx. Forse aveva trovato un passeur per arrivare dall’altro lato del confine con una macchina. Il tentativo non è coronato da successo e forse matura lì la scelta del cammino in montagna, un percorso lungo e pericoloso, già sperimentato in anni passati e in seguito abbandonato per gli evidenti rischi. Rimane un buco di tre giorni prima del ritrovamento del cadavere. Molti particolari rimangono oscuri e inquietanti. I parenti non hanno avuto accesso ai risultati dell’autopsia. Anche il rimpatrio in Marocco è avvenuto frettolosamente senza attenzione alcuna alla sensibilità della famiglia e ai rituali funerari del paese d’origine. Si rimane invisibili anche dopo la morte. Poche righe su un giornale locale francese hanno liquidato il caso. Nonostante la presenza ricorrente di giornalisti in Alta Valle di Susa, il fatto è rimasto sotto silenzio.

      #Ullah_Rezwan_Sheyzad, 15 anni, afgano: come molti aveva lasciato la sua terra prima della frettolosa ritirata occidentale. Anche per lui, bambino, c’è un cammino lungo che lo porta ad attraversare l’Iran, la Turchia e da lì la scelta, perlopiù effettuata dai giovani che viaggiano soli, di attraversare la Bulgaria, la Serbia, la Croazia e la Slovenia fino ad arrivare in Italia. Come nel caso precedente il percorso scelto è quello più veloce, ma anche viabile solo per giovani o per piccoli gruppi. In meno di un anno arriva in Italia, viene fermato e accolto a Cercivento nella comunità Bosco di Museis, indi riprende il cammino e transita per la Valle di Susa: la meta è il ricongiungimento con la sorella a Parigi. Viene trovato il 26 gennaio 2022, travolto da un treno, lungo le rotaie che collegano Salbertrand a Oulx. Un ragazzo di 15 anni è dunque morto sotto un treno anche se poteva per legge valicare il confine e chiedere legittimamente protezione.

      Non sono la montagna e neppure i treni responsabili di queste morti, ma la frontiera con le sue ramificazioni che non si scollano dalla pelle di chi è catalogato migrante e da chi non può più tornare indietro e non ha terra che lo accolga. Nel 2021 possiamo indicare 15.000 presenze a Oulx; senza contare le persone che sono state registrate più volte dopo i respingimenti in frontiera, possiamo azzardare il passaggio di più di 10.000 persone. Da dicembre dello stesso anno al primo mese di gennaio del nuovo sicuramente i flussi sono diminuiti. I confini si sono moltiplicati anche in relazione a una congiuntura complessa. Le temperature artiche e le tensioni politiche nei Balcani, le difficoltà nell’utilizzo dei trasporti e le norme anticovid hanno sicuramente rallentato momentaneamente l’esodo. Soprattutto hanno reso più difficoltosi gli spostamenti per le famiglie numerose. Tuttavia, la tragedia attuale trova ragione nella militarizzazione alla frontiera e nella caccia all’uomo che si scatena ogni giorno sulle nostre montagne. Una farsa tragica che non ferma i passaggi, ma obbliga le persone in cammino a scegliere vie e strategie che mettono a rischio la vita. I più deboli vengono perlopiù respinti: famiglie numerose, donne gravide, nuclei parentali con bambini piccoli o con anziani. Non bisogna però dimenticare la criticità costantemente presente di un’urgenza vitale delle persone di passare nonostante problemi di salute e vulnerabilità. Nel 2021 abbiamo potuto documentare donne incinte al nono mese, persone con una sola gamba e con stampelle, anziani con problemi sanitari pregressi, donne con neonati che non hanno esitato a sfidare ogni rischio pur di continuare il cammino (si vedano i report precedenti di Medu sulla frontiera alpina del Nord Ovest). È inoltre opportuno ricordare le reiterate volte in cui persone, ancora in attesa di referti e di analisi mediche, sono scappate dagli ospedali pur di non prolungare le permanenze.

      In questo primo mese del 2022, coloro che sono morti di frontiera sono però giovani, che proprio in ragione della loro età e della loro prestanza fisica, credono di poter superare le prove più pericolose. Con il dispiegamento militare sul versante francese e la collaborazione tra polizie di frontiera (accordi europei e tra Italia-Francia), il risultato è stato quello di sponsorizzare l’attività degli smugglers (trafficanti), che in questi mesi sono pericolosamente ricomparsi o, addirittura, hanno occupato la scena. Mentre al rifugio “Fraternità Massi” di Oulx diminuivano le presenze, si consolidava la constatazione di nuove vie che si aprivano. Non si fermano i flussi che, come acque sorgive, quando incontrano sbarramento, deviano e trovano nuovi canali. Così la stazione di servizio di Salbertrand sull’autostrada, a sette chilometri da Oulx, è divenuta luogo per imbarcarsi sui Tir che lì sostano. Con ugual prospettiva, vie impervie sulle montagne a partire da Bardonecchia si sono riaperte. Anche la morte del giovane Ullah racconta come in un luogo geograficamente insensato per passare la frontiera si possa morire. Forse dopo un tentativo fallimentare di trovare un passaggio nel non lontano autogrill di Salbertrand, forse per evitare possibili controlli o forse addirittura nascosto sotto un treno merci, così come è uso fare nei Balcani, è maturato il tragico incidente. Di fatto ci tocca prendere atto che la militarizzazione e il moltiplicarsi degli sbarramenti hanno prodotto illegalità e morte.

      Il caso di Ullah apre un’altra questione, forse non nuova, ma di certo poco analizzata. Scappare dalla guerra gettata addosso e sopravvivere alla guerra che poi l’Europa continua ad effettuare contro chi fugge producono disastri a catena. Abbiamo documentato come con i flussi provenienti dai Balcani dal 2020 ad oggi si siano verificati cambiamenti significativi nella composizione di questi popoli in viaggio: famiglie allargate e presenza plurigenerazionale dei nuclei domestici. Il dato trascurato riguarda però la polverizzazione delle reti familiari e la loro disseminazione in tante nazioni. La disaggregazione di questi nuclei durante il cammino è un elemento significativo e aggiunge apprensione e urgenza nelle persone. Per essere più chiari vale la pena riportare un esempio tra i tanti: un padre con il figlio arriva a Oulx e poi dice a una volontaria “Ti affido il mio bambino di 14 anni affinché possa continuare il viaggio come minore, (consegnandosi alla gendarmerie, n.d.r.), e io ritorno in Grecia a prendere l’altra parte della mia famiglia”. Il viaggio può costare ai singoli e ancor di più alle famiglie cifre ingenti. Per esemplificare 8.000 euro per persona dalla Turchia all’Italia in barcone, 4.000 euro dalla Bosnia a Trieste, dai 20.000 ai 50.000 euro per famiglia dall’Afghanistan al nostro paese (la famiglia di Ullah aveva investito 6.000 euro, dato a reti di trafficanti, per permettere la partenza del figlio anche se ancora tanto giovane). Così alcuni passano prima, altri aspettano e confidano nell’aiuto che proviene da chi è arrivato. A volte sono le donne e i più vulnerabili ad aprire il cammino, altre volte può essere un minore che viene mandato fin dalla terra d’origine a cercare un altro orizzonte di vita. Sempre più spesso raccogliamo memoria di persone che arrivano e che hanno lasciato indietro parenti e non sempre il nucleo che approda alle Alpi è composto solo da consanguinei o affini, ma da aggregazioni solidali. Chi parte ha il peso e la responsabilità di una famiglia e non può fermarsi: è un’Odissea senza che si sappia se davvero esista in qualche luogo una Itaca. Così si muore, invisibili al mondo, sotto le ruote di un treno o scivolando in un lago montano.

      Molti sono i minori non accompagnati che scelgono di non presentarsi alla Paf (Polices aux frontieres) con la conseguente protezione umanitaria che a loro spetta per legge e decidono di affrontare la traversata in modo clandestino pur di non perdere l’ausilio dei compagni di viaggio. L’esperienza insegna che non si deve rimanere mai soli. Quando i minori vengono “catturati” in montagna dalla gendarmerie, il respingimento è prassi. Non v’è spazio né volontà per accertamenti. La situazione si complica ancora, quando, così come abbiamo potuto documentare, il minore, nel porto italiano di entrata, viene indotto dalla polizia con maniere minacciose, a sottoscrivere la sua maggiore età, nonostante i suoi documenti provino il contrario. Il caso è stato vagliato anche dallo sportello legale della diaconia valdese in Oulx.

      Non è da sottovalutare il problema dei green pass e delle vaccinazioni. Istituzioni ed anche ONG spesso non affrontano con abbastanza decisione la questione. La mancanza di attestati che dimostrino il vaccino rende complicati i trasferimenti e, soprattutto, induce le persone in cammino ad accelerare il passo, accettando qualsiasi costo o rischio, pur di non rischiare di rimanere intrappolati e bloccati in tempi di attesa, vuoti quanto indefiniti. Rispetto al problema sostanziale dell’essere senza vaccino, tristemente s’afferma la prassi delle vite diseguali, anche quando in gioco non c’è solo la salute del “migrante” ma quella della collettività. Non ci dimentichiamo quando l’Italia era in fascia rossa e ogni assembramento era vietato per legge mentre in un container presso la stazione di Oulx di circa 18 metri quadrati si accalcavano più di 30 persone. Nessuno ha mai pensato di intervenire o di trovare soluzioni. Poi le persone tornavano al rifugio con rischi di contagio per tutti. Oggi vaccini e documentazione relativa sono una necessità inderogabile. Già solo il fatto che si obblighi a livello nazionale alla vaccinazione e ce ne si dimentichi per coloro che sono in cammino è indicativo di quanto con la categoria migrante pensiamo a “non persone”.

      In questo specchio di frontiera –e la valle di Susa ripropone logiche che si moltiplicano dal Mediterraneo al deserto, dai Balcani alla Libia,-scopriamo quanto valgono gli enunciati sui diritti umani, qui a casa nostra. Il reiterarsi di casi tragici lascia senza parole: arriva notizia di altra persona morta carbonizzata a seguito di folgorazione sul tetto di un treno a Ventimiglia: un’altra vittima che si aggiunge a quelle che hanno insanguinato la frontiera del Nord Ovest (https://www.ansa.it/liguria/notizie/2022/02/01/migrante-muore-folgorato-su-un-treno-per-la-francia_a16cb44f-ba45-4e7f-bff0-811; https://www.avvenire.it/attualita/pagine/migrante-muore-folgorato-su-treno-per-la-francia ).

      Medici per i Diritti umani:

      Chiede alle istituzioni e a tutti gli attori presenti in frontiera di intervenire affinché vengano rispettati i diritti umani delle persone in transito e garantita la loro incolumità e sicurezza.

      Auspica una collaborazione allargata per il monitoraggio dei diritti umani in frontiera.

      Denuncia che la condizione dei minori non accompagnati è affrontata non in base alla legge e alle convenzioni internazionali europee ma spesso con prassi tollerate che le violano.

      Chiede che i vaccini e i green pass siano garantiti alle persone migranti. Le istituzioni e tutti gli attori presenti sul territorio devono occuparsi della vaccinazione. La mancanza di questa non deve essere un’altra frontiera.

      https://mediciperidirittiumani.org/si-ritorna-a-morire-alla-frontiera-nord-ovest-delle-alpi

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      Ritorno sulla rotta alpina, dove il confine continua a uccidere

      Al confine tra Italia e Francia parte l’ultima tappa, la più dura, di un viaggio iniziato migliaia di chilometri prima e che spesso si chiude in tragedia. Come a Oulx dove, nelle ultime settimane, sono morte due persone nel tentativo di attraversare la frontiera. Ci torniamo insieme a Christian Elia per capire come sono cambiate le cose dopo un anno dalla nostra ultima visita.

      Fathallah aveva 31 anni, veniva dal Marocco. Ullah era afghano, aveva 15 anni. Sono morti di frontiera, al confine tra Italia e Francia.

      Il corpo di Balafhail è stato ritrovato il 2 febbraio scorso, al Barrage del Freney, nei pressi di Modane, in Francia. Un volo dal Marocco alla Turchia, che non richiede visti, per affrontare la rotta balcanica. Per un periodo, in questo viaggio che ti lascia scegliere solo l’inizio, si era anche fermato in Italia, in provincia di Vercelli, per tirare il fiato. Un sms alla famiglia, il 30 gennaio alle 23.54 dalla stazione di Oulx, è il suo ultimo segnale di vita. Poi il silenzio, il tentativo di passare a piedi le montagne, la morte di freddo.

      Ullah era ancora un bambino, ma con un’età adulta e feroce, costruita in frontiera. Iran, Turchia, Bulgaria, Serbia, Croazia e Slovenia prima di giungere in Italia, un viaggio lungo più di un anno, per raggiungere Parigi, dove vive sua sorella. È stato trovato il 26 gennaio, sui binari della linea ferroviaria tra Salbertrand e Oulx.

      Un anno fa Open Migration ha raccontato quella frontiere, le vite che la abitano, migranti e volontari che tentano di rendere umano l’inevitabile, di fronte a un discorso istituzionale che continua a negare quella che non è un’emergenza, ma resta una ferita dei sistemi democratici.

      https://twitter.com/MEDUonlus/status/1489615389172674562

      “Non sono la montagna e neppure i treni responsabili di queste morti, ma la frontiera con le sue ramificazioni che non si scollano dalla pelle di chi è catalogato migrante e da chi non può più tornare indietro e non ha terra che lo accolga. Nel 2021 possiamo indicare 15.000 presenze a Oulx; senza contare le persone che sono state registrate più volte dopo i respingimenti in frontiera, possiamo azzardare il passaggio di più di 10.000 persone. Da dicembre dello stesso anno al primo mese di gennaio del nuovo sicuramente i flussi sono diminuiti. I confini si sono moltiplicati anche in relazione a una congiuntura complessa. Le temperature artiche e le tensioni politiche nei Balcani, le difficoltà nell’utilizzo dei trasporti e le norme anti-covid hanno sicuramente rallentato momentaneamente l’esodo. Soprattutto hanno reso più difficoltosi gli spostamenti per le famiglie numerose. Tuttavia, la tragedia attuale trova ragione nella militarizzazione alla frontiera e nella caccia all’uomo che si scatena ogni giorno sulle nostre montagne. Una farsa tragica che non ferma i passaggi, ma obbliga le persone in cammino a scegliere vie e strategie che mettono a rischio la vita. I più deboli vengono perlopiù respinti: famiglie numerose, donne gravide, nuclei parentali con bambini piccoli o con anziani”, racconta l’ultimo rapporto di MEDU (Medici per i Diritti Umani): https://mediciperidirittiumani.org/si-ritorna-a-morire-alla-frontiera-nord-ovest-delle-alpi.

      Un sistema che offende nella sua inutile ferocia. Mentre ovunque, dalla Libia alla Turchia, si sommergono di denaro istituzioni compromesse per motivi molto differenti, che non rispettano i diritti umani, mentre si definiscono ‘paesi sicuri’ Afghanistan e Siria, riprendendo a espellere le persone verso la guerra, non si fa nulla per rendere meno pericolose rotte sempre più costose, sempre più pericolose.

      A Oulx convive una piccola comunità di persone che non lo accettano, connessi con altre realtà solidali della regione, e dell’altro versante della frontiera. Persone con storie differenti, che vengono dall’area antagonista, come dal mondo del volontariato cattolico, ma di fronte al loro impegno quotidiano c’è un silenzio assordante delle istituzioni e un atteggiamento sempre più duro di criminalizzazione della solidarietà.

      Non dimentichiamo mai che si parla di persone, siano essi volontari o migranti, che non hanno mai commesso alcun reato. Sono uomini e donne, vecchi e bambini in viaggio e in fuga. E volontari che portano loro aiuto, ristoro, scarpe per la neve e mappe per non farli smarrire e, di inverno, morire di freddo.

      “Abbiamo documentato come con i flussi provenienti dai Balcani dal 2020 ad oggi si siano verificati cambiamenti significativi nella composizione di questi popoli in viaggio: famiglie allargate e presenza plurigenerazionale dei nuclei domestici. Il dato trascurato riguarda però la polverizzazione delle reti familiari e la loro disseminazione in tante nazioni. La disaggregazione di questi nuclei durante il cammino è un elemento significativo e aggiunge apprensione e urgenza nelle persone. Per essere più chiari vale la pena riportare un esempio tra i tanti: un padre con il figlio arriva a Oulx e poi dice a una volontaria “Ti affido il mio bambino di 14 anni affinché possa continuare il viaggio come minore, (consegnandosi alla gendarmerie, n.d.r.), e io ritorno in Grecia a prendere l’altra parte della mia famiglia” – denuncia MEDU – Il viaggio può costare ai singoli e ancor di più alle famiglie cifre ingenti. Per esemplificare 8.000 euro per persona dalla Turchia all’Italia in barcone, 4.000 euro dalla Bosnia a Trieste, dai 20.000 ai 50.000 euro per famiglia dall’Afghanistan al nostro paese (la famiglia di Ullah aveva investito 6.000 euro, dato a reti di trafficanti, per permettere la partenza del figlio anche se ancora tanto giovane). Così alcuni passano prima, altri aspettano e confidano nell’aiuto che proviene da chi è arrivato. A volte sono le donne e i più vulnerabili ad aprire il cammino, altre volte può essere un minore che viene mandato fin dalla terra d’origine a cercare un altro orizzonte di vita. Sempre più spesso raccogliamo memoria di persone che arrivano e che hanno lasciato indietro parenti e non sempre il nucleo che approda alle Alpi è composto solo da consanguinei o affini, ma da aggregazioni solidali. Chi parte ha il peso e la responsabilità di una famiglia e non può fermarsi: è un’Odissea senza che si sappia se davvero esista in qualche luogo una Itaca. Così si muore, invisibili al mondo, sotto le ruote di un treno o scivolando in un lago montano”.

      Una ferocia che sta segnando generazioni intere, a volte nate e cresciute sulle frontiere. “Figli che ormai conoscono più il cammino che la terra d’origine, una costruzione di umanità e di emozioni itinerante, che conoscono un’altra geografia, che non si limita agli stati nazionali”, raccontava a OM Piero Gorza, antropologo, in una breve pausa nel suo moto perpetuo tra la stazione di Oulx e il Rifugio Massi, o la Casa Cantoniera occupata, sgomberata con violenza, ma che ha dato un letto, un tetto e un pasto caldo a tanti Fatallah e Ullah. “E Oulx, di base, sta a guardare, senza eccessi di rifiuto o di accoglienza. Le persone passano, non si fermano. Portano con loro le relazioni del cammino, con quelle continuano per la loro meta, con la fretta di chi ha impegnato tutto, compresa la rete parentale, per quel cammino.”

      Un’indifferenza che non è solo di Oulx, che non riguarda solo imprenditori del turismo della zona che non vogliono avere lo stigma della ‘Lampedusa delle Alpi’, ma che riguarda tutti noi, come società civile, a Oulx e ovunque. Perché nel 2022 si muore di freddo e di frontiera, come i migranti di Pietro Germi nel film Il cammino della speranza, del 1950, solo che quei migranti erano italiani, ma avevano la stessa fame di futuro di Fathallah e Ullah.

      https://openmigration.org/analisi/ritorno-sulla-rotta-alpina-dove-il-confine-continua-a-uccidere

    • 31.05.2023 :
      NB : Attention : selon les dernières nouvelles reçues oralement par mes contacts à la frontière, personne ne serait décédé. Le corps n’a jamais été trouvé, malgré les recherches. Probablement le migrant qui a signalé le cadavre n’a vu que des habits.
      TRAGEDIA, MIGRANTE MUORE SULLE MONTAGNE TRA LA VALSUSA E LA FRANCIA, ALTRI 9 RECUPERATI DAI SOCCORRITORI
      https://seenthis.net/messages/1004806

  • JE VAIS COMMENCER ICI UN NOUVEAU FIL DE DISCUSSION, SUR LES SAUVETAGES ET LES NAUFRAGES EN MEDITERRANEE.

    CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/768421

    Ici la métaliste complète:
    https://seenthis.net/messages/706177

    ping @isskein

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    Ecco il decreto sicurezza-bis: multe per ogni migrante trasportato e per chi non rispetta le norme Sar

    Salvini si attribuisce la competenza a vietare il transito delle navi ritenute pericolose e prevede che a indagare possano essere solo le Dda. Pene più pesanti per chi aggredisce le forze dell’ordine. Il M5S: «Il ministro dell’Interno copre così il fallimento sui rimpatri».

    È un vero e proprio blitz quello con il quale il ministro dell’Interno Matteo Salvini vara un #decreto_sicurezza_bis che prevede sanzioni pecuniarie pesantissime contro chi soccorrse i migranti in violazione delle norme #Sar ma soprattutto con cui attribuisce al Viminale e alle Direzione distrettuali antimafia competenze che erano del ministero dei Trasporti e delle Procure ordinarie.

    Il provvedimento consta di dodici articoli, la maggior parte dei quali dedicato ancora al contrasto dell’immigrazione clandestina. Con norme clamorose destinate a spaccare il consiglio dei ministri.
    La prima prevede sanzioni a chi «nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previste dalle Convenzioni internazionali», dunque i comportamenti che Salvini attribuisce alle navi umanitarie. Le sanzioni previste sono di due tipi: da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero trasportato e, nei casi reiterati, se la nave è battente bandiera italiana la sospensione o la revoca della licenza da 1 a 12 mesi.

    L’articolo numero 2 va a modificare il #Codice_della_navigazione. Salvini attribuisce al Viminale quelle che sono al momento competenze del ministero dei Trasporti, in particolare la limitazione o il divieto di transito nelle acque territoriali di navi qualora sussistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico. E, come già scritto nelle direttive fin qui emanate, Salvini ritiene che tutte le navi che trasportino migranti siano una minaccia per la sicurezza nazionale.

    Il decreto modifica anche il codice di procedura penale estendendo anche alle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina la competenza delle Direzioni distrettuali antimafia e la disciplina delle intercettazioni preventive. Di fatto togliendo alle Procure ordinarie la possibilità ad indagare.

    Tre milioni di euro vengono stanziati per l’impiego di poliziotti stranieri in operazioni sotto copertura contro le organizzazioni di trafficanti di uomini.

    Un altro pacchetto di norme inasprisce le sanzioni per chi devasta o danneggia nel corso di riunioni in luoghi pubblici e al contempo trasforma da sanzioni in delitti, con il conseguente inasprimento delle pene, le azioni di chi si oppone a pubblici ufficiali con qualsiasi mezzo di resistenza attiva o passiva, dagli scudi alle mazze e ai bastoni. Modifiche al codice penale aggravano il reato e dunque le sanzioni per violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale soprattutto se commessi durante manifestazioni in luogo pubblico. Soppressa la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

    L’articolo 7 è la norma già annunciata come «#spazzaclan» e prevede l’istituzione di un commissario straordinario con il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato delle sentenze di condanna da eseguire nei confronti di imputati liberi. Previste le assunzioni a tempo determinato di durata annuale di 800 unità .

    L’ultimo articolo infine prevede l’impiego di altri 500 militari a Napoli in occasione delle #Universiadi.

    Fonti del M5s hanno commentato: «Salvini copre così il fallimento sui rimpatri». Secondo altre fonti «c’è fortissima preoccupazione che il ministro dell’Interno si spinga sempre più su temi estremisti».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/10/news/ecco_il_decreto_sicurezza-bis_pene_piu_pesanti_per_i_trafficanti_di_uomin
    #decreto_sicurezza #décret #Italie #Salvini #migrations #réfugiés #Méditerranée #amende #sauvetage #mourir_en_mer #ONG #eaux_territoriales #eaux_internationales #frontières #militarisation_des_frontières

    • Message d’@isskein via la mailing-list Migreurop.
      Chronique 9-10 mai 2019 en Méditerranée :

      9 mai Le Mare Jonio (Mediterranea Saving Humains, RescueMed) sauve 29 passagers (1 enfant de 1 an, 3 femmes dont une enceinte) d’un bateau pneumatique endommagé dans les eaux internationales, à 40 miles des côtes libyennes. Ils demandent un port sûr au centre de coordination italien, le ministère de l’Intérieur leur enjoint de contacter les gardes-côtes libyens...

      10 mai Le Mare Ionio accoste à Lampedusa, les 29 rescapés débarquent. 20h45, la « saisie préventive » du MareJonio, réclamée depuis le matin par l’Intérieur, a été notifiée. Le capitaine Pietro Marrone et Luca Casarini, chef de mission du #Mare_Jonio, font l’objet d’une enquête pour facilitation de l’immigration clandestine

      10 mai le navire militaire italien #Cigala_Fulgosi débarque dans le port d’Augusta (Sicile) 36 migrants secourus sur une embarcation à la dérive

      10 mai Au moins 70 personnes disparues dans un naufrage au large des côtes tunisiennes

      Il n’y a aujourd’hui plus aucun navire d’ONG en Méditerranée centrale.

      Sur le #naufrage au large de la #Tunisie, v. plus ici :
      https://seenthis.net/messages/780298

    • Dl sicurezza bis, cosa prevede il decreto che introduce multe da 5.500 euro a chi salva i migranti

      Il Ministero dell’Interno nella serata del 10 maggio 2019 ha messo a punto il “decreto sicurezza bis”, che prevede multe per chi soccorre i migranti, ma non solo.

      Il decreto si compone di 12 articoli.

      Il nucleo centrale prevede l’inasprimento delle misure contro i trafficanti di esseri umani e il potenziamento delle operazioni sotto copertura per contrastare l’immigrazione clandestina.

      Qui abbiamo spiegato cosa prevede il decreto sicurezza bis, punto per punto:
      Multe per chi soccorre i migranti

      L’articolo 1 del decreto sicurezza bis prevede che chi, nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali – con particolare riferimento alle istruzioni operative delle autorità SAR competenti o di quelle dello Stato di bandiera può incorrere in una “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 3.500 a 5.500 euro per ciascuno degli stranieri trasportati”.

      Nei casi “più gravi o reiterati è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciata dall’autorità amministrativa italiana inerente all’attività svolta e al mezzo di trasporto utilizzato”.
      Modifiche al codice della navigazione

      L’articolo 2 del decreto sicurezza bis prevede alcune modifiche al codice della navigazione, e nello specifico viene attribuito al ministro dell’Interno il potere di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità da diporto o di pesca nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica e comunque in caso di violazione” di alcune delle disposizioni della Convenzione di Montego Bay.
      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

      All’articolo 3 il decreto sicurezza bis vuole contrastare a monte l’organizzazione dei trasporti di migranti irregolari. I reati associstende ai
      Finanziamento da 3 milioni per le forze dell’ordine

      Il decreto sicurezza bis all’articolo 4 prevede lo stanziamento di 3 milioni di euro nel triennio 2019-2021 per il finanziamento degli “oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi” per lo svolgimento di operazioni sotto copertura “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
      Universiadi

      Tra le novità del decreto sicurezza bis c’è l’arrivo di 500 militari in più a Napoli in vista delle Universiadi 2019.
      Inasprimento delle sanzioni per i reati di devastazione

      L’articolo 5 del decreto sicurezza bis interviene sul Tulps, il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inasprendo le sanzioni conseguenti ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento, commessi nel corso di riunioni effettuate in luogo pubblico o aperto al pubblico.

      Inoltre, prevede espressamente l’obbligo di comunicazione immediata, non oltre le 24 ore, all’autorità di pubblica sicurezza delle generalità delle persone ospitate in alberghi o in altre strutture ricettive.

      Tutela degli operatori delle forze dell’0rdine

      L’articolo 6 del decreto sicurezza bis prevede maggiori tutele per gli operatori delle forze dell’ordine impiegati in servizio di ordine pubblico, attraverso l’introduzione di nuove fattispecie delittuose. Il decreto inoltre trasforma quelle che attualmente sono contravvenzioni in delitti e prevede inoltre l’inasprimento delle sanzioni.

      Ad esempio, “chiunque nel corso di manifestazioni.. per opporsi a pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.. utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti è punito con la reclusione da 1 a 3 anni”.

      Ovvero, “chiunque lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile… ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti è punito con la reclusione da 1 a 4 anni”.
      Commissario straordinario e assunzione di 800 persone

      L’articolo 8 del decreto sicurezza bis prevede l’istituzione di un commissario straordinario e l’assunzione di 800 persone con impegno di spesa per oltre 25 milioni di euro: permetterà di notificare sentenze ai condannati attualmente in libertà e garantire così l’effettività della pena. Inasprite anche le misure per chi aggredisce operatori delle forze dell’ordine.

      Il commissario straordinario, nominato dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, ha il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze di condanna divenute definitive da eseguire nei confronti di imputati liberi.

      https://www.tpi.it/2019/05/10/decreto-sicurezza-bis-cosa-prevede

    • Decreto sicurezza bis, ennesima proposta in contrasto con i principi fondamentali

      Nelle stesse ore in cui apprendevamo dell’ennesima strage avvenuta nel Mare Mediterraneo a causa delle politiche di chiusura ed esternalizzazione dell’Italia e dell’Unione europea, i mass media hanno anticipato i contenuti di un possibile nuovo decreto d’urgenza proposto dal Ministero dell’Interno che dovrebbe andare nuovamente a modificare alcune delle norme sulla disciplina dell’immigrazione in Italia.

      Il testo appare essere l’ennesimo stravolgimento dei fondamentali principi di diritto internazionale e un ulteriore contributo alla politica posta in essere da questo Governo, così come da quello precedente, finalizzata a colpire coloro, specialmente organizzazioni non governative di chiara fama, che non vollero ubbidire alla regolamentazione della salvaguardia del diritto alla vita.

      Tra esse la previsione di nuove sanzioni (ed addirittura la sospensione o la revoca della licenza alla navigazione) a carico di chi a certe condizioni ponga in essere “azioni di soccorso di mezzi adibiti alla navigazione ed utilizzati per il trasporto irregolare di migranti, anche mediante il recupero delle persone”. Ovvero sanzioni per chi, nell’adempimento di un dovere etico, giuridico e sociale, salva vite umane altrimenti destinate alla morte.

      Nonostante i gravi dissidi istituzionali determinati dall’ultimo Governo Conte e dalle politiche dell’attuale Ministro dell’Interno, con l’attuale ipotesi di decreto legge (a cui sono evidenti a tutti la mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza), si persegue pervicacemente nella strada intrapresa e, addirittura, si decide di portare la guerra agli esseri umani anche in acque internazionali sbeffeggiando le convenzioni internazionali in materia di ricerca e soccorso in mare.

      Riservandoci una compiuta analisi normativa se e quando (malauguratamente) quel testo dovesse prendere formalmente vita, riteniamo doveroso evidenziare che :

      sino ad oggi la magistratura italiana ha ritenuto che le operazioni di salvataggio in mare da parte di navi private sono state svolte per adempiere a precisi obblighi internazionali e per rispondere ad evidenti condizioni di necessità

      La situazione generatasi in Libia nel corso degli ultimi anni è degenerata ulteriormente nelle ultime settimane impone di intervenire per salvare la vita dei civili e dei migranti presenti nel Paese e di interrompere le politiche di sostegno alla Libia relative alle operazioni della Guardia costiera libica

      Salvare vite in mare è un dovere che risponde a precisi obblighi umanitari e non può e non dovrà mai essere considerato un crimine.

      Prendere posizione contro questo ennesimo attacco al rispetto della vita umana, ai diritti e alle libertà fondamentali è un dovere a cui non è più possibile sottrarsi.

      https://www.asgi.it/primo-piano/decreto-sicurezza-bis-ennesima-proposta-in-contrasto-con-i-principi-fondamental

    • Il teorema #Zuccaro sulle ong è fallito

      Il giudice per le indagini preliminari (gip) di Catania, #Nunzio_Sarpietro, ha accolto la richiesta di archiviazione della procura di Catania per l’inchiesta a carico del comandante della nave umanitaria Open Arms Marc Reig e della capomissione Anabel Montes Mier, accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in seguito al salvataggio di più di duecento persone, il 15 marzo 2018, al largo della Libia. Durante l’operazione la nave umanitaria si era trovata a dover affrontare momenti di tensione con una motovedetta libica, che rivendicava il coordinamento delle operazioni.

      In quell’occasione gli spagnoli si erano rifiutati di consegnare ai guardacoste libici i migranti appena soccorsi e per questo, dopo essere approdati nel porto di Pozzallo, erano stati accusati di diversi reati e la loro nave era stata sequestrata. Con l’archiviazione di questa inchiesta, cade uno degli ultimi pilastri del cosiddetto “teorema Zuccaro”, la tesi sostenuta dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro secondo cui ci sarebbero stati dei contatti tra le navi delle ong e i trafficanti di esseri umani. Resta aperta, invece, l’inchiesta della procura di Ragusa contro Reig e Montes Mier accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata per lo stesso caso. Rimane aperta anche l’inchiesta della procura di Trapani contro la nave Iuventa dell’ong Jugend Rettet, sequestrata nell’agosto del 2017. Il gip dovrebbe decidere l’eventuale rinvio a giudizio nelle prossime settimane.

      “Siamo felici di apprendere che un ulteriore passo verso la verità è stato fatto”, ha commentato l’organizzazione spagnola Proactiva Open Arms in un comunicato. “Ribadiamo di aver sempre operato nel rispetto delle convenzioni internazionali e del diritto del mare e che continueremo a farlo mossi da un unico obiettivo: difendere la vita e i diritti delle persone più vulnerabili”. L’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro chiarisce di non aver ancora preso visione delle motivazioni che hanno spinto la stessa procura di Catania a chiedere l’archiviazione. “Dal 3 maggio 2019 sapevamo però che il gip aveva archiviato questa indagine”, conferma Lo Faro.

      Già nel marzo del 2018 lo stesso gip Sarpietro aveva confermato il sequestro della nave, ma aveva escluso il reato di associazione a delinquere contro il capitano Marc Reig e la coordinatrice dei soccorsi Anabel Montes Mier, lasciando in piedi invece l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Questo elemento aveva fatto decadere la competenza territoriale del tribunale di Catania che ha una specifica autorità per i reati associativi e aveva fatto intervenire il tribunale di Ragusa, che deve ancora esprimersi in merito all’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata.

      In questo caso giudiziario è stata particolarmente importate la decisione del gip di Ragusa nell’aprile del 2018 di dissequestrare la nave, ferma nel porto di Pozzallo per un mese dopo il salvataggio. Nel decreto di dissequestro infatti il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo aveva riconosciuto lo stato di necessità nel quale era avvenuto il salvataggio e aveva inoltre stabilito che la Libia non è un posto sicuro in cui portare le persone soccorse in mare. Il giudice Giampiccolo ha riconosciuto che la Libia è “un luogo in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani (con persone trattenute in strutture di detenzione in condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e a un’adeguata alimentazione, e sottoposte a maltrattamenti e stupri e lavori forzati)”.

      “Quella decisione ha fatto scuola”, sottolinea l’avvocata Lo Faro. Da quel momento infatti non sono stati più disposti sequestri preventivi, ma solo sequestri probatori.

      Le indagini della procura di Catania
      Una figura centrale in questa vicenda è stato il procuratore generale di Catania Carmelo Zuccaro, alla guida della procura della città siciliana dal 2016. Dopo aver annunciato l’apertura di un fascicolo d’indagine conoscitivo sull’attività di queste organizzazioni, nella primavera del 2017 aveva rilasciato numerose interviste ai mezzi d’informazione italiani e stranieri. Il 22 marzo 2017 il pm era anche intervenuto in un’audizione al comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen dichiarando di aver aperto delle indagini sui profitti delle ong e affermando di ritenere sospetto il “proliferare così intenso di queste unità navali”.

      “Noi riteniamo ci si debba porre il problema di capire da dove provenga il denaro che alimenta, che finanzia questi costi elevati. Da questo punto di vista, la successiva fase della nostra indagine conoscitiva sarà quella di capire quali siano i canali di finanziamento”. In quell’occasione aggiungeva di trovare “anomalo” che le navi non approdassero nel porto più vicino, bensì nei porti italiani, e sosteneva che ci fosse un rapporto tra la presenza delle navi umanitarie e l’aumento del numero dei morti. L’altra questione che il procuratore sollevava era quella della necessità della presenza a bordo delle navi di poliziotti e autorità giudiziarie impegnate nel contrasto al traffico di esseri umani. Questo è stato un tema caro ai magistrati, perché il materiale raccolto dalla polizia giudiziaria nel periodo della missione umanitaria Mare nostrum aveva aiutato le procure a condurre diverse indagini contro i trafficanti.

      La stessa preoccupazione ha ispirato anche uno dei punti del codice di condotta voluto dal ministro dell’interno Marco Minniti. Dal 2013 la procura di Catania si era trasformata nell’epicentro delle indagini sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo, grazie proprio alla missione Mare nostrum. Prima i barconi con i migranti si spingevano sotto costa e arrivavano a Lampedusa, l’isola italiana più vicina alla Tunisia, oppure sulla parte occidentale della Sicilia, nella provincia di Trapani, che in linea d’aria è più raggiungibile dalle spiagge nordafricane. Ma in quello stesso periodo la marina militare e la guardia costiera italiana avevano cominciato a effettuare soccorsi in alto mare, nel canale di Sicilia, e poi nelle acque internazionali davanti alle coste libiche, quindi diversi porti siciliani, soprattutto quelli orientali come Catania, erano stati coinvolti negli sbarchi.

      Anche per questo Zuccaro si diceva preoccupato del grado di collaborazione tra le ong e la polizia giudiziaria: “Vogliamo cercare di capire se da parte di queste ong vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana”. In questa prima audizione per il procuratore di Catania risultano sospetti soprattutto i finanziamenti che le ong ricevono, mentre in diverse interviste successive si concentra sui presunti contatti tra i trafficanti e le navi.

      Circa un mese dopo, durante la trasmissione Agorà su Rai 3, il pm si spinge oltre, affermando che l’obiettivo delle navi umanitarie potrebbe essere quello di destabilizzare l’economia: “A mio avviso alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti, sono a conoscenza di contatti. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”.

      Accuse a cui il governo, tramite i ministri dell’interno Marco Minniti e quello della giustizia Andrea Orlando, reagiva con fermezza, chiedendo le prove. Zuccaro rispondeva di “avere denunciato un fenomeno e non singole persone”, perché se “si aspetta troppo tempo si rischia di produrre elementi deleteri non più controllabili”. Parlava di “deroga” al riserbo, ma anche di “un dovere per chi deve fare rispettare la legalità”. In un’intervista con la Repubblica del 28 aprile 2017, il procuratore afferma però una cosa nuova: finalmente ha “la certezza” dei contatti tra le ong e i trafficanti, ma si tratta di materiale non utilizzabile in sede giudiziaria. Si parla di tabulati telefonici e conversazioni nelle mani dell’intelligence. Zuccaro si dice certo di un rapporto di complicità tra le ong e gli scafisti.

      Per due mesi nella primavera del 2017 il procuratore è molto presente sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali con dichiarazioni di questo tenore, in tanti lo accusano di violare il segreto istruttorio e di produrre affermazioni che hanno un valore più politico che giudiziario. Mentre Zuccaro concede le sue interviste è aperta un’indagine conoscitiva sulle ong della Commissione difesa del senato, guidata dal senatore Nicola La Torre. Interpellato dalla commissione parlamentare, il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto operazioni del comando generale della guardia di finanza, smentisce le affermazioni del procuratore capo di Catania: “Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti tra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti”.

      Dopo due anni d’indagini, il 13 agosto 2018 l’inchiesta “madre” di Zuccaro (che intanto aveva ipotizzato anche il reato di associazione a delinquere) è avviata all’archiviazione, nel caso Open Arms viene archiviata l’accusa di “associazione a delinquere”, ma ormai la campagna di discredito ai danni delle ong ha fatto il suo corso e le dichiarazioni del pm hanno influenzato in maniera irreversibile l’opinione pubblica italiana, che considera “accertati” i contatti tra ong e scafisti, in barba a qualsiasi garantismo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/15/amp/open-arms-zuccaro-ong?__twitter_impression=true

    • Des migrants débarqués à Lampedusa, Salvini furieux

      Quarante-sept migrants ont été débarqués dimanche soir à Lampedusa, une île au sud de la Sicile, après la saisie sur ordre de justice de leur bateau de sauvetage, provoquant la colère du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Le navire affrété par l’ONG allemande Sea-Watch battant pavillon néerlandais, qui stationnait dans les eaux italiennes tout près de l’île de #Lampedusa, a été saisi dans la journée par la police financière italienne sur ordre d’un procureur de Sicile.

      Puis, les migrants à bord ont été transférés par moto-vedettes vers la terre ferme en fin de soirée. Une décision que M. Salvini —également vice-Premier ministre et chef de la Ligue (extrême-droite)— a semblé découvrir en temps réel à la télévision, l’amenant à demander qui au gouvernement avait pu prendre une telle décision contre son avis formel.

      Déjà à couteaux tirés avec lui, son partenaire gouvernemental du Mouvement 5 étoiles, Luigi Di Maio, a rétorqué qu’il n’acceptait pas ses insinuations, rappelant qu’il était obligatoire de faire débarquer les passagers d’un bateau saisi par la justice.

      Parallèlement à ce nouveau couac gouvernemental en pleine campagne pour les élections européennes, des échauffourées ont eu lieu dimanche soir à Florence (centre) entre forces de l’ordre et 2.000 personnes venues protester contre la présence de M. Salvini qui tenait un meeting politique dans la ville.

      Dimanche, le chef de Ligue avait jugé risibles les critiques du Haut-Commissariat aux droits de l’Homme (HCDH) de l’ONU contre un projet visant à durcir la législation anti-migratoire en Italie.

      L’ONU, « un organisme international qui coûte des milliards d’euros aux contribuables, qui a comme membres la Corée du Nord et la Turquie, et qui vient faire la morale sur les droits de l’Homme à l’Italie ? (...) Cela prête à rire », a commenté M. Salvini.

      Un projet de décret-loi, qui pourrait être soumis lundi au conseil des ministres, propose de donner au ministre de l’Intérieur le pouvoir d’interdire les eaux territoriales italiennes à un navire pour des raisons d’ordre public.

      Le texte prévoit aussi une amende de 3.500 à 5.500 euros par migrant arrivé en Italie pour tout navire de secours n’ayant pas respecté les consignes des garde-côtes compétents dans la zone où il serait intervenu.

      Dans sa lettre envoyée au ministère italien des Affaires étrangères, le HCDH demande à l’Italie de ne pas approuver ce nouveau décret-loi.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/des-migrants-debarques-lampedusa-salvini-furieux.afp.com.2019

    • Sea Watch, sbarcati i migranti. Salvini accusa i M5s: «Chi ha dato l’ordine?». Di Maio: «Non dia la colpa a noi»

      Sequestrata la nave Ong. Il ministero dell’Interno: i migranti non scenderanno. Ma il pm ordina che vengano portati sull’isola. E scoppia lo scontro tra i partner di governo. I primi a scendere una donna incinta e suo marito.
      La prima è una donna incinta, sorretta dal marito. A piedi nudi. Poi via via, tutti gli altri. Sorrisi, abbracci e saluti. Sono scesi tutti. Nonostante Salvini. “Fino a quando sono ministro io quella nave in un porto italiano non entra e non sbarca nessuno”, aveva garantito il ministro dell’Interno quando la Sea Watch 3 aveva ignorato la sua diffida e si era presentata davanti al porto di Lampedusa ottenendo l’autorizzazione all’ancoraggio alla fonda.

      Ventiquattro ore dopo, i 47 migranti rimasti a bordo della nave della Ong tedesca sono scesi a terra. Sequestro della nave d’iniziativa della Guardia di finanza, perquisizione e contestuale sbarco di tutti i migranti. Lo stesso “modello” già seguito per due volte per sbloccare i precedenti soccorsi della Mare Jonio, rimasta sequestrata per alcuni giorni e poi sempre liberata dai pm di Agrigento. Che questa volta si sono mossi di concerto con la Guardia di finanza forzando la mano ad un inferocito Salvini, incredulo di essere smentito proprio alla vigilia di quel consiglio dei ministri in cui intende portare all’approvazione il suo contestatissimo decreto sicurezza-bis.

      Un braccio di ferro senza precedenti quello tra la Procura di Agrigento e la Guardia di finanza da una parte e il Viminale dall’altro, conclusosi alle otto di sera quando due motovedette, dopo aver notificato al comandante della Sea Watch i decreti di sequestro e perquisizione firmati dal procuratore aggiunto Salvatore Vella che per tutto il weekend ha seguito personalmente sull’isola l’evolversi della vicenda, hanno scortato in porto la nave umanitaria.

      L’accelerazione nel primo pomeriggio quando il comandante Arturo Centore fa sapere alla Guardia costiera che la situazione a bordo è di assoluta emergenza. Alcuni migranti hanno indossato il giubbotto di salvataggio e minacciano di buttarsi a mare. “Se entro le nove di sera la situazione non si sblocca, levo l’ancora ed entro direttamente in porto”, annuncia il comandante della Sea Watch.

      A quel punto Guardia di finanza, guardia costiera e Procura decidono di notificare i sequestri e far sbarcare tutti. Anche contro il volere del Viminale.

      Salvini, che già poche ore prima, in un comizio a Sassuolo aveva attaccato a testa bassa “una procura e un giudice che invece di indagare gli scafisti indaga me”, incassa malissimo il colpo e ancor prima che la Sea Watch attracchi al molo di Lampedusa mette le mani avanti e sottolinea che lo sbarco avviene contro la sua volontà. “La magistratura faccia come crede ma il Viminale continua e continuerà a negare lo sbarco da quella nave fuorilegge. Il ministro dell’Interno si aspetta provvedimenti nei confronti del comandante della nave dal quale è lecito attendersi indicazioni precise sui presunti scafisti presenti a bordo”.

      Alle otto di sera, quando i 47 migranti toccano terra e vengono portati nell’hotspot di contrada Imbriacola, una nota firmata dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio (il pm del caso Diciotti che per primo ha contestato a Salvini il sequestro di persona) spiega la “ratio” della scelta degli inquirenti: “Il sequestro probatorio è stato eseguito per violazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione ponendo la nave a disposizione di questa procura che ne ha disposto, previo sbarco dei migranti, il trasferimento sotto scorta nel porto di Licata. Le indagini proseguiranno sia per l’individuazione degli eventuali trafficanti di esseri umani coinvolti sia per la valutazione della condotta della Ong”. Come sempre. A sbarco avvenuto, quando anche l’ultimo migrante era già sceso a terra, Salvini ricara: «Per me possono stare lì fino a ferragosto. Gli porto da mangiare e da bere ma stanno lì». E al procuratore di Agrigento: «E’ quello che mi ha indagato per sequestro di persona. Se li farà sbarcare, ne prenderò atto e valuteremo nei suoi confronti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
      Salvini attacca i 5s: «Chi ha dato l’ordine?»
      Matteo Salvini ha assistito in diretta tv allo sbarco dei migranti dalla nave Sea Watch 3, ospite in studio su La7. «Qualcuno l’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne dovrà rispondere», si irrita il ministro. Il M5s fa sapere a stretto giro che non sono stati i suoi ministri. Ma Salvini insiste: «Chi è che li ha autorizzati a
      sbarcare? Io no, non ho autorizzato niente, deve essere qualcun altro. Io sorrido ma è grave. Perché siamo un Paese sovrano con leggi, regole, una storia e nessuna associazione privata se ne può disinteressare. Qualcuno quell’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne deve rispondere».

      Il vicepremier Luigi Di Maio prende le distanze parlando A che tempo che fa: «Il sequestro lo esegue la magistratura quindi non credo sia un espediente» per far sbarcare i migranti a bordo «perché la magistratura è indipendente dal governo. Quando arrivano qui contattiamo i Paesi Ue e chiediamo la redistribuzione. Io credo che la politica delle redistribuzioni è l’unica strada che abbiamo per fronteggiare il fenomeno. Poi c’è il tema dei rimpatri che si devono fare. La Chiesa Valdese stamattina ha lanciato una disponibilità, lavoriamo nel senso della redistribuzione» e «non scontriamoci con la magistratura, tutte queste tensioni non fanno bene al Paese».

      E dopo le accusa di Salvini replica: «Non accetto che il ministro dell’Interno dice che se stanno sbarcando dalla Sea Watch è perché i ministri 5 Stelle hanno aperto i porti. La nave è stata sequestrata dalla magistratura e, quando c’è un sequestro, si fanno sbarcare obbligatoriamente le persone a bordo».

      Duro anche il ministro Danilo Toninelli: «Salvini, se ha qualcosa da dirmi, me la dica in faccia. Non parli a sproposito del sottoscritto in tv. È evidente che l’epilogo della vicenda è legato al sequestro della nave da parte della magistratura, non serve un esperto per capirlo. Magari il ministro dell’Interno si informi prima di parlare. E trovi soluzioni vere sui rimpatri, non ancora avviati da quando è il responsabile della sicurezza nazionale».
      Lo sbarco per Salvini è una sconfitta politica
      Comunque la si guardi, la conclusione del braccio di ferro per Salvini è una sonora sconfitta che il ministro dell’Interno cerca di capitalizzare puntando tutte le sue carte su quel decreto sicurezza-bis che l’Onu chiede di ritirare ritenendolo una “violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali”.

      Dopo aver irriso la lettera dell’alto Commissariato dell’Onu invitandolo ad occuparsi “dell’emergenza umanitaria in Venezuela anziché fare campagna elettorale in Italia”, Salvini ribadisce: "Resta un tema fondamentale: la difesa dei confini nazionali e l’ingresso in Italia di un gruppo di sconosciuti dev’essere una decisione della politica (espressione della volontà popolare) o di magistrati e Ong straniere? La vicenda Sea Watch 3 conferma una volta di più l’urgenza di approvare il decreto sicurezza bis già nel Consiglio dei ministri di domani per rafforzare gli strumenti del governo per combattere i trafficanti di uomini e chi fa affari con loro”.

      I 47 migranti sbarcati aspettano adesso di conoscere il loro destino. Le chiese evangeliche hanno dato la loro piena disponibilità ad accoglierli tutti nelle loro comunità in Italia ma anche all’estero.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/19/news/via_libera_per_la_sea_watch_puo_attraccare_a_lampedusa-226674239

    • Italy: UN experts condemn bill to fine migrant rescuers

      UN human rights experts* have condemned a proposed draft decree by Italy’s interior minister, Matteo Salvini, to fine those who rescue migrants and refugees at sea, and urged the Government to halt its approval.

      “The right to life and the principle of non-refoulement should always prevail over national legislation or other measures purportedly adopted in the name of national security,” said the independent experts, who conveyed their concerns about the decree in a formal letter to the Italian Government.

      “We urge authorities to stop endangering the lives of migrants, including asylum seekers and victims of trafficking in persons, by invoking the fight against traffickers. This approach is misleading and is not in line with both general international law and international human rights law. Instead, restrictive migration policies contribute to exacerbating migrants’ vulnerabilities and only serve to increase trafficking in persons.”

      Earlier this month, Mr. Salvini announced a proposal to issue a decree that would fine vessels for every person rescued at sea and taken to Italian territory. NGO and other boats that rescued migrants could also have their licences revoked or suspended.

      The UN experts said that, should the decree – yet to be approved by the government – enter into force, it would seriously undermine the human rights of migrants, including asylum seekers, as well as victims of torture, of trafficking in persons and of other serious human rights abuses.

      They also asked for the withdrawal of two previous Directives banning NGO vessels rescuing migrants off Libya’s coasts from accessing Italian ports. In particular, the second Directive singled out the Italian ship Mare Jonio for helping those at sea.

      Declaring that Libyan ports were “able to provide migrants with adequate logistical and medical assistance” was particularly alarming, the experts said, especially given reports that Libyan coastguards had committed multiple human rights violations, including collusion with traffickers’ networks and deliberately sinking boats.

      The experts said any measure against humanitarian actors should be halted. “We are deeply concerned about the accusations brought against the Mare Jonio vessel, which have not been confirmed by any competent judicial authority. We believe that this represents yet another political attempt to criminalise humanitarian actors delivering life-saving services that are indispensable to protect humans’ lives and dignity.”

      The UN experts said Italian authorities had failed to properly consider several international norms, such as article 98 of the UN Convention on the Law of the Sea, on the duty to help any person in danger at sea. “Article 98 is considered customary law. It applies to all maritime zones and to all persons in distress, without discrimination, as well as to all ships, including private and NGO vessels under a State flag,” they said.

      The Directives stigmatize migrants as “possible terrorists, traffickers and smugglers”, without providing evidence, the experts said. “We are concerned that this type of rhetoric will further increase the climate of hatred and xenophobia, as previously highlighted in another letter to which the Italian Government is also yet to reply.”

      The experts have contacted the Government about their concerns and await a reply. A copy of the letter has also been shared with Libya and the European Union.

      https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24628&LangID=E

    • Des ONG accusent la marine italienne de ne pas avoir porté assistance à des migrants en détresse

      L’ONG allemande Sea-Watch et le collectif Mediterranea accusent un navire de la marine italienne d’être resté à distance d’une embarcation de migrants en détresse au large des côtes libyennes, alors qu’il ne se trouvait qu’à plusieurs dizaines de kilomètres. Les 80 personnes en difficulté ont finalement été interceptées par les garde-côtes libyens et renvoyées en Libye.

      « Le navire P492 Bettica de la marine italienne est à proximité d’un canot pneumatique en détresse avec environ 80 personnes à son bord mais il n’intervient pas ». Ce message a été posté sur Twitter jeudi 23 mai en début d’après-midi par l’ONG Sea-Watch qui alerte sur la présence d’une embarcation dans les eaux internationales, au large de la Libye. C’est son avion de secours, le Moonbird, qui a repéré le canot en difficulté. « Notre avion a envoyé un message de détresse et a confirmé que des personnes sont accrochées à l’embarcation qui est en train de se dégonfler », continue l’ONG allemande.
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1131652854006067200?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Un peu plus tôt, Alarm Phone, la plateforme téléphonique qui vient en aide aux migrants en mer, avait donné l’alerte sur les réseaux sociaux. « Depuis 12h40, nous sommes en contact avec un bateau en détresse en Méditerranée centrale […]. L’eau entre dans le bateau. Nous avons transmis leur position au MRCC de Rome. Nous demandons une opération de sauvetage rapide ».

      Selon les ONG, la marine italienne n’est pas loin de l’embarcation. Elle ne serait pas intervenue.

      Un tweet de la marine italienne confirme, en effet, sa présence dans la zone, à 80 km du canot en difficulté. « Nous envoyons notre propre hélicoptère pour soutenir le Colibri [également sur zone, ndlr] », écrit la marine italienne sur le réseau social. « Avec un hélicoptère de la région, nous avons vérifié que les migrants ont été récupérés par un bateau de la patrouille libyenne ».

      « Le gouvernement sera responsable de ses actes »

      Seulement voilà, les ONG accusent ainsi les Italiens d’être « restés à distance » sciemment, pour laisser « le champ libre » aux garde-côtes libyens. « Encore un refoulement par procuration en Méditerranée centrale » a réagi Alarm Phone. « L’UE continue de violer le droit international, d’ignorer les bateaux en détresse et de repousser les gens en zone de guerre ».

      https://twitter.com/alarm_phone/status/1131612656341852161?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Des accusations qui inquiètent plusieurs personnalités politiques en Italie. « Si c’est vrai, ce serait très grave car il est absolument impensable que des hommes, des femmes et des enfants soient renvoyés dans cet enfer qu’est la Libye », a déclaré le sénateur du mouvement 5 étoiles (M5S) Gregorio De Falco, également officier de la marine.

      Même son de cloche chez Massimiliano Smeriglio, candidat du Parti démocrate aux élections européennes. « Nous ne pouvons pas croire qu’’un navire de notre marine, qui a accompli tant de missions de secours international, peut apporter son aide sans intervenir dans une tragédie. Intervenez sans délai sans quoi le gouvernement sera responsable de ses actes », a-t-il insisté.
      Début mai, un navire militaire italien avait subi les foudres du ministre de l’Intérieur après avoir secouru des migrants en mer sans avoir attendu les garde-côtes. Matteo Salvini refuse systématiquement le débarquement des migrants sur le sol italien.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17114/des-ong-accusent-la-marine-italienne-de-ne-pas-avoir-porte-assistance-

    • Dl sicurezza bis, I pescatori continueranno a salvare i migranti

      Michele e Salvatore Casciaro, padre e figlio, sono pescatori di Novaglie, Salento. Salvatore assiste alla tragedia dei migranti nel canale d’Otranto sin dal grande esodo degli albanesi negli anni Novanta. E da allora partecipa con la propria imbarcazione alle operazioni di soccorso e salvataggio dei naufraghi. Oggi i flussi principali provengono dal nord africa. Nell’ultimo salvataggio ha salvato con il figlio Michele una somala che altrimenti sarebbe annegata. Ma con il decreto sicurezza bis, continueranno a salvare i naufraghi o si volteranno dall’altra parte? (M. Tota)

      http://www.la7.it/tagada/video/dl-sicurezza-bis-i-pescatori-continueranno-a-salvare-i-migranti-21-05-2019-27242
      #pêcheurs

    • Il cambio di rotta di un Paese che perde l’onore
      Finora la Marina militare aveva sempre risposto alle chiamate di

      naufraghi in difficoltà.

      OGGI le cose in Italia non sono facili e quindi è proprio oggi che dobbiamo amare il nostro Paese, rispettarlo, dobbiamo dialogare, confrontarci, litigare sapendo che il suolo che calpestiamo ci restituirà solo ciò che avremo seminato e curato. Ogni parola è un seme, ogni ragionamento è un seme e noi italiani restiamo quello che siamo sempre stati: persone fatte di terra e mare. Conosciamo il mare, gabbia e occasione, limite e infinito, siamo uomini e donne di mare. Ecco perché, quando già l’Europa trattava l’immigrazione come un problema, l’Italia continuava a salvare vite in mare. E le salvava perché un uomo, una donna, un bambino che dall’Africa prendono il mare per venire in Italia, se in pericolo, non sono migranti, ma naufraghi. È la legge eterna del mare: ogni naufrago va tratto in salvo. Sempre.

      Qualcuno mi dira’, non possiamo salvarli tutti noi. Se nessun altro li salva, vi rispondo, allora li salveremo noi! Esistono le Zone Sar (Search and Rescue, ovvero “ricerca e salvataggio”) di competenza dei diversi paesi, perché dovremmo farci carico di recuperare i naufraghi anche laddove non sarebbe di nostra competenza? Perché per prima cosa dobbiamo rispettare la vita umana, è una regola universale alla quale se ci sottraiamo iniziamo a modificarci. Lasciare che una persona anneghi significa perdere qualsiasi cosa abbiamo raggiunto. Empatia, leggi, diritti, morale, convivenza. Perdiamo tutto. Non è sentimentalismo, è misura di ciò che sta accadendo. Non possiamo sottrarci dal salvare le persone in mare perché ogni vita perduta, quando poteva essere salvata, è sofferenza che si moltiplica, è odio. E l’odio diventa rancore, e il rancore vendetta.

      Ma non possiamo accoglierli tutti, mi direte. Manca il lavoro per noi, come possiamo farci carico di centinaia di migliaia di persone in cerca di un futuro migliore? Ma noi non dobbiamo accoglierli tutti: noi dobbiamo salvarli tutti, è nostro dovere farlo. Non facciamoci fregare dalla propaganda: salvare e accogliere sono due cose diverse, due momenti diversi che possono e devono essere gestiti in maniera diversa. Il salvataggio risponde a una necessità immediata, non c’è tempo per la strategia. L’accoglienza viene dopo e su quella si può discutere e cambiare passo, ma senza mettere in dubbio la necessità di salvare. Anzi, direi, senza mettere in discussione il diritto che noi italiani abbiamo, il privilegio che viviamo nel salvare vite umane. Salvare vite è come donare vita, come è accaduto che lo abbiamo dimenticato? Qualcuno oggi pensa di poter girare la faccia davanti a queste storie, pensa che tutto sommato la quotidianità sia già così difficile che non serve complicarsi la vita con questo strazio; non invidio queste persone perché per loro il risveglio sarà ancora più duro. E non le invidio perché non sanno quanto l’Italia abbia fatto la differenza, perché non sanno che l’Italia non ha mai girato le spalle a chi, in pericolo, chiedeva aiuto.

      Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano quando ho visto il lavoro titanico che la Marina militare italiana ha sempre fatto, prima da sola, poi con l’Europa ma da capofila, poi insieme alle Ong, poi di nuovo da sola. Sono orgoglioso dei pescatori italiani che, nonostante andassero incontro a sanzioni gravose e al sequestro delle loro imbarcazioni che sono per loro sopravvivenza stessa, hanno sempre obbedito alla legge del mare, quella legge che impone di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo tra le onde, a qualunque costo e senza pensare alle conseguenze. “Noi gente in mare non l’abbiamo lassata mai!”: questo era il principio dei pescatori lampedusani e a questo principio non si sono sottratti; se l’avessero fatto, avrebbero negato ogni singola parte della loro vita.

      Ma le cose sono cambiate ora, dirà qualcuno tra voi. Oggi la Marina sta agendo diversamente, direte. Sappiamo che il 23 maggio scorso, e lo sappiamo dagli unici testimoni rimasti nel Mediterraneo a darci queste informazioni, ovvero le Ong, un uomo è morto durante un’operazione di salvataggio, anzi, prima ancora che l’operazione iniziasse. Nel video girato da un velivolo della Sea-Watch si vede un gommone in avaria che sta imbarcando velocemente acqua. La Sea-Watch contatta prima la Guardia costiera libica che non risponde e poi la nave della Marina militare italiana Bettica, che si trova a meno di trenta miglia dal gommone.

      Improvvisamente e per quasi un’ora le comunicazioni tra la Marina militare italiana e la Sea-Watch si interrompono, quando riprendono la Bettica avverte che la Guardia costiera libica si sta recando sul posto. È prassi che la Guardia costiera libica non risponda alle richieste di soccorso. È prassi che i salvataggi siano fatti all’unico scopo di riportare i migranti nei campi di prigionia libici dove ricomincia il loro calvario, dove vengono torturati e dove viene estorto loro denaro: ogni migrante preso dalla Guardia costiera libica è guadagno doppio per i trafficanti (che, detto per inciso, non sono le Ong ma la guardia costiera libica finanziata dall’Italia e dall’Europa) che li lasceranno tornare nel loro paese solo in cambio di denaro.

      È ormai appurato che la Libia non è un porto sicuro. E allora perché la nave della Marina militare italiana Bettica non è intervenuta? Perché si infanga l’onore (che bella parola quando porta con sé il rispetto per la vita umana) dei militari della Marina che hanno sempre, secondo coscienza, risposto prima ancora che alle convenzioni internazionali, che pure stabiliscono il dovere di salvare vite, alla superiore e universale legge del mare? Oggi possiamo dividerci su tutto, ma non sulla necessità e sul dovere di salvare vite. Quando un uomo, una donna o un bambino sono in pericolo in mare, noi abbiamo il dovere di salvarli e se l’alternativa è la Libia, dobbiamo essere consapevoli che li stiamo condannando all’inferno. Per sfuggire a questo ragionamento, la propaganda inventa scorciatoie ridicole ma funzionanti: parole da buonista, parli bene dall’attico a Manhattan; si bersaglia chi racconta, non il racconto, perché quello è oggettivo e non può essere messo in discussione. Ma quell’uomo che annega è vita reale, non la finzione spacciata per realtà sui social.

      Facile dire la solita balla buonista parli tu dall’attico a Manhattan… no, parlo da meridionale, nato e cresciuto nelle terre più martoriate d’Italia, più saccheggiate, terre dimenticate da Dio e dagli uomini, ma non dai politici avvoltoi e sciacalli. Quelli, di noi meridionali, non si dimenticano mai. Promettono acqua agli assetati e intanto condannano le nostre anime per l’eternità. Parlo da uomo che non può accettare che il confine tra la vita e la morte sia una linea convenzionale e invisibile tracciata nel mare. Ciò che resta, alla fine di tutto, è l’onore. L’onore riscattato dal significato abusivo che ne danno le mafie per indicare nell’uomo d’onore l’affiliato. Onore inteso come rispetto dei nostri principi umani più profondi al di là delle conseguenze, nonostante le conseguenze.

      Onore è ciò che permette ancora di guardarci l’un l’altro e di sapere che io mi posso fidare di te perché tu ti puoi fidare di me, qualunque sia la tua condizione sociale, qualunque sia il luogo da cui provieni, il tuo quartiere, la tua religione e il colore della tua pelle, la tua condizione sociale, il tuo lavoro, il tuo conto in banca, la scuola che frequenta tuo figlio, il lavoro che fai. È facile: se mentre tu soffri e muori io giro lo sguardo dall’altra parte, se io soffrirò e rischierò di morire mi ripagherai con la stessa moneta. Salvare per essere salvati. Salvare per salvarsi: nel nostro mare, se smettiamo di salvare, finiremo annegati noi.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/01/news/il_cambio_di_rotta_di_un_paese_che_perde_l_onore-227596448

    • Appel au secours d’un capitaine, coincé en mer avec 75 migrants malades

      Le capitaine d’un bateau égyptien ayant recueilli vendredi 75 migrants dans les eaux internationales, a lancé un appel aux autorités tunisiennes pour qu’elles le laissent accoster, alors que les vivres commencent à manquer et que des migrants sont malades.

      Le remorqueur égyptien #Maridive_601, qui dessert des plateformes pétrolières entre la Tunisie et l’Italie, est arrivé vendredi soir au port de Zarzis, dans le sud de la Tunisie, après avoir récupéré dans la matinée les migrants à la dérive.

      « Je demande aux autorités tunisiennes de nous permettre d’urgence d’entrer dans le port de Zarzis », a déclaré à l’AFP le capitaine #Faouz_Samir, ajoutant que « l’état de santé des migrants est mauvais, beaucoup sont atteints de la gale ».

      Un médecin a pu monter à bord, a indiqué la branche locale du Croissant-Rouge. « Quatre personnes sont dans un état qui nécessite une intervention médicale », et la plupart d’entre eux sont atteints de la gale infectieuse", a déclaré à l’AFP Mongi Slim, responsable du Croissant-Rouge dans le sud de la Tunisie.

      Selon l’organisation internationale pour les migrations (OIM), les migrants, 64 Bangladais, 9 Egyptiens, un Marocain et un Soudanais, dont au moins 32 enfants et mineurs non accompagnés, « ont besoin d’urgence d’eau, de nourriture, de vêtements, de couvertures et surtout d’assistance médicale ».

      L’agence de l’ONU a indiqué être prête à aider la Tunisie pour accueillir ces candidats à l’exil, partis de Libye dans l’espoir d’atteindre l’Europe.

      « Nous comprenons les difficultés et l’ampleur des défis que les flux migratoires peuvent poser et nous travaillons à appuyer les capacités de secours et d’assistance », a souligné Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie.

      « Nous restons toutefois préoccupés par les politiques de plus en plus restrictives adoptées par plusieurs pays du nord de la Méditerranée », ajoute Mme Lando.

      Le gouvernement et les autorités locales tunisiennes, sollicitées par l’AFP, n’ont pas souhaité s’exprimer.

      En août dernier, un autre bateau commercial, le Sarost 5, était resté bloqué plus de deux semaines en mer avec les 40 immigrés clandestins qu’il avait secourus. Soucieuses de ne pas créer un précédent, les autorités tunisiennes avaient souligné qu’elles acceptaient ces migrants exceptionnellement et pour raisons « humanitaires ».

      Le 10 mai, 16 migrants originaires en majorité du Bangladesh avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation qui avait fait une soixantaine de morts.

      La majorité des bâtiments de la marine qui ont patrouillé au large de la Libye ces dernières années se sont retirés tandis que les navires humanitaires font face à des blocages judiciaires et administratifs.

      https://www.voaafrique.com/a/appel-au-secours-d-un-capitaine-coinc%C3%A9-en-mer-avec-75-migrants-malades/4943716.html

    • Tugboat carrying 75 migrants stranded off Tunisia for 10 days

      The #Maridive_601, an Egyptian tugboat that rescued 75 migrants in international waters over one week ago, is still stranded off the Tunisian coast as Tunisian authorities refuse to let it dock.

      The Egyptian tugboat Maridive 601 rescued the migrants off the southern Tunisian coast on May 31 after they embarked from Libya.

      Sixty-four of the 75 migrants are Bangladeshi and at least 32 of those on board are minors and unaccompanied children, according to the International Organization for Migration.

      The Maridive 601, which services oil platforms between Tunisia and Italy, picked up the migrants who were drifting in international waters near the Tunisian coast, and headed to the closest port of Zarzis in southern Tunisia.

      “I request that the Tunisian authorities allow us to make an emergency entry to Zarzis port,” appealed Faouz Samir, captain of the Maridive 601 shortly after the rescue.

      Since then, the crew has not received entry permission. An official from the Tunisian interior ministry was quoted as saying Monday that „the migrants want to be taken in by a European country." The official did not want to be quoted by name.

      Cases of infectious scabies

      Earlier last week, a Red Crescent team based in the southern Tunisian city of Zarzis delivered aid and medical care to the migrants, some of whom were ill, according to the Red Crescent.

      They “urgently need water, food, clothes, blankets and above all medical assistance,” the IOM added. According to AFP reports, the IOM added it was ready to help Tunisia provide for the migrants.

      Mongi Slim, a Red Crescent official in southern Tunisia, told InfoMigrant last Thursday that cases of scabies were on the rise and that there were around thirty people affected. The second captain of the Maridive 601 added that the Red Crescent was not allowed to board the ship to provide scabies medication. Instead, the crew had to contact its chartering company, Shell Tunisia, which in turn delivered medication in addition to food, water, mattresses and blankets. “We’re in telephone contact with the Red Crescent and they give us instructions on how to treat the migrants,” the captain informed InfoMigrants.

      Video footage

      Photos published online by the Tunisian Forum for Economic and Social Rights, an NGO, showed migrants lying on the deck of the boat, while sailors attempted to feed them. A video by the same NGO shows migrants shouting: “We don’t need food, we don’t want to stay here, we want to go to Europe.”

      https://www.facebook.com/ftdes/videos/189765251957864

      Tunisia’s central government and local authorities did not wish to comment to media requests.

      “We understand the difficulties and the scale of the challenges that migration flows pose and we are working to support relief and assistance capacities,” said Lorena Lando, the IOM’s head of mission in Tunisia. “But we are worried by the increasingly restrictive policies adopted by several countries,” Lando told AFP.

      Last month, around 60 migrants, most from Bangladesh, drowned off the coast of Tunisia after leaving Libya on a boat bound for Europe.

      https://www.infomigrants.net/en/post/17413/tugboat-carrying-75-migrants-stranded-off-tunisia-for-10-days?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Méditerranée : le navire #Sea_Watch_3 de retour dans la zone de détresse

      Après avoir été bloqué par la justice italienne pendant près d’un mois, le navire humanitaire Sea Watch 3 est de retour dans la zone de détresse (SAR zone) au large de la Libye. Il est actuellement le seul bateau de sauvetage en mer.

      Le navire humanitaire de l’ONG allemande Sea Watch, le Sea Watch 3, est de retour dans la zone de sauvetage au large de la Libye, la SAR zone.

      Le Sea Watch 3 était bloqué depuis le 20 mai par la justice italienne dans le cadre de poursuites pour aide à l’immigration illégale. Il a reçu samedi 8 juin l’autorisation de repartir en mer, a annoncé l’association.

      "Le Sea Watch 3 est libre ! Nous avons reçu une notification formelle sur la libération du navire saisi et son retour aux opérations" en mer, s’est félicitée l’organisation humanitaire sur Twitter.

      Malgré la politique de "fermeture des ports" du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini (extrême droite), le Sea Watch 3 avait pu débarquer les 65 migrants qu’il avait secourus à la mi-mai ; ils ont été autorisés à débarquer sur l’île de Lampedusa.

      Cette opération de secours avait provoqué la fureur de Matteo Salvini, qui a semblé la découvrir en temps réel à la télévision. “Je suis le ministère des règles et des ports fermés. Si un ministre du mouvement 5 étoiles a autorisé le débarquement, il devra répondre de ses actes devant les Italiens”, avait-il notamment lâché.

      Matteo Salvini estime que les migrants qui partent en mer à partir de la Libye doivent être remis aux garde-côtes libyens, conformément à un accord conclu entre l’Union européenne et Tripoli, mais les organisations humanitaires qui portent au secours des migrants refusent de s’y conformer.

      Hormis le Sea Watch 3, à la date du 10 juin, aucun autre navire humanitaire n’est présent au large des côtes libyennes.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      –Le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer, est actuellement bloqué en Sicile par les autorités.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17410/mediterranee-le-navire-sea-watch-3-de-retour-dans-la-zone-de-detresse

    • Italy to fine NGOs who rescue migrants at sea

      The Italian government has decided to impose stiff fines on rescuers who bring migrants into port without authorization. It also gave the interior ministry, led by Matteo Salvini, power to demand the payment.

      A decree adopted by the Italian government on Tuesday would force non-governmental organizations to pay between €10,000 and €50,000 ($11,327 – $56,638) for transporting rescued migrants to Italian ports.

      Rescuers who repeatedly dock without authorization risk having their vessel permanently impounded. The fines would be payable by the captain, the operator and the owner of the rescue ship.

      The Italian government is composed of the anti-establishment 5-Star Movement and right-wing populist League Party. The League leader Matteo Salvini, who also serves as the interior minister, has been spearheading an effort to clamp down on illegal immigration.

      Delayed decree

      The adoption of the decree has been delayed due to criticism from the United Nations and the office of the Italian president. Following the cabinet session on Tuesday, however, Salvini praised it as a “step forward the security of this country.” The populist leader also said he was “absolutely sure about the fact that it is compliant” with all national and international laws.

      The decree allows police to investigate possible migrant trafficking operations by going undercover. It also makes it easier to eavesdrop electronically on suspected people smugglers. Other sections of the decree impose stricter punishments on rioters and violent football fans.

      Read more: Italian court rules Salvini can be charged with kidnapping

      Additionally, the decree gives Salvini’s ministry the power to order the NGOs to pay the fines, this was previously the area of the transport and infrastructure ministries.

      Salvini has pushed through several anti-migrant decrees since becoming interior minister a year ago, including one in December which ended humanitarian protection for migrants who do not qualify for refugee status. Earlier this week, Salvini blasted three judges who opposed his hardline policies.

      Risking life at sea

      Since 2014, more than 600,000 people have made the dangerous journey across the central Mediterranean to reach Italy, fleeing war and poverty in Africa, Asia, and the Middle East. More than 14,000 have been recorded killed or missing when attempting the trip.

      Without a legal way to reach Europe, they pay people smugglers for passage in unseaworthy boats. The UNHCR and IOM recently said that 1,940 people have reached Italy from north Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route — putting the death rate for those crossing at more than 15%. The number of new arrivals has dropped off in recent years, but Rome is still faced with hundreds of thousands of people who migrated illegally. Pending asylum claims as of May 31 this year were 135,337.

      With official search-and-rescue missions canceled, the burden of assisting the shipwrecked migrants falls on rescue NGOs. The Italian coastguard estimates NGOs have brought in some 30,000 people per year since 2014.

      https://www.dw.com/en/italy-to-fine-ngos-who-rescue-migrants-at-sea/a-49143481

    • L’UNHCR chiede all’Italia di riconsiderare un decreto che penalizzerebbe i salvataggi in mare nel Mediterraneo centrale

      L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprime preoccupazione per l’approvazione da parte del governo italiano di un nuovo decreto contenente anche diverse disposizioni che potrebbero penalizzare i salvataggi in mare di rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale, compresa l’introduzione di sanzioni finanziarie per le navi delle Ong ed altre navi private impegnate nel soccorso in mare.

      Salvare vite umane costituisce un imperativo umanitario consolidato ed è anche un obbligo derivante dal diritto internazionale. Nessuna nave o nessun comandante dovrebbe essere esposto a sanzioni per aver soccorso imbarcazioni in difficoltà e laddove esista il rischio imminente di perdita di vite umane.

      “In una fase in cui gli Stati europei si sono per lo più ritirati dalle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, le navi delle Ong sono più cruciali che mai,” ha dichiarato Roland Schilling, Rappresentante regionale a.i. per il Sud Europa. “Senza di loro, altre vite saranno inevitabilmente perse”.

      L’UNHCR è inoltre preoccupata per il fatto che il decreto possa avere l’effetto di penalizzare i comandanti che rifiutano di far sbarcare le persone soccorse in Libia.

      Alla luce della situazione di sicurezza estremamente volatile, delle numerose segnalazioni di violazioni di diritti umani e dell’uso generalizzato della detenzione nei confronti delle persone soccorse o intercettate in mare, nessuno dovrebbe essere riportato in Libia.

      L’UNHCR ha ribadito più volte che il rafforzamento delle capacità di ricerca e soccorso, in particolare nel Mediterraneo centrale, deve essere accompagnato da un meccanismo regionale volto ad assicurare procedure di sbarco rapide, coordinate, ordinate e sicure. La responsabilità per i rifugiati e i migranti soccorsi in mare deve essere condivisa tra tutti gli stati che li accolgono, invece di ricadere su uno o due.

      L’UNHCR chiede al governo italiano di rivedere il decreto e al parlamento di modificarlo, mettendo al centro la protezione dei rifugiati ed il salvataggio di vite umane.

      https://www.unhcr.it/news/lunhcr-chiede-allitalia-riconsiderare-un-decreto-penalizzerebbe-salvataggi-mar

    • Migrants bloqués au large de la Tunisie : les Bangladais refusent le rapatriement

      Quinze jours après avoir été secourus, 75 migrants - dont la moitié de mineurs - sont toujours coincés à bord d’un navire commercial égyptien près des côtes tunisiennes. La Tunisie refuse de les laisser débarquer et souhaite les faire « rentrer chez eux ». Seuls les migrants africains ont accepté d’être rapatriés. La majorité des rescapés, des Bangladais, s’opposent à toute expulsion.

      Les 75 naufragés secourus il y a quinze jours par le bateau commercial égyptien Maridive 601 sont toujours bloqués au large de Zarzis, sur la côte tunisienne. Quelque 32 mineurs se trouvent à bord du navire.

      Les autorités tunisiennes refusent de les laisser débarquer depuis le vendredi 31 mai, jour du sauvetage. « Le gouverneur de Médenine insiste pour qu’ils rentrent chez eux », explique Mongi Slim du Croissant rouge tunisien, joint par InfoMigrants vendredi 14 juin.

      Informés de cette décision par le Croissant rouge, seuls les Égyptiens, les Marocains et les Soudanais présents à bord ont accepté un rapatriement dans leurs pays.

      La Tunisie demande l’aide du Bangladesh

      Les 64 autres naufragés, des Bangladais dont de nombreux mineurs, ont refusé cette offre. « Ils demandent de rejoindre l’Italie ou de pouvoir rester en Tunisie avec une permission de travail », raconte Mongi Slim.

      « Les autorités ont sollicité l’aide de l’ambassade du Bangladesh. Elle va intervenir pour résoudre le problème », ajoute-t-il.

      « Rien pour se mettre à l’abri du soleil »

      En attendant, à bord, la situation psychologique des naufragés se dégrade. « Il fait très chaud en cette période de l’année dans le sud de la Tunisie, et sur le bateau les migrants n’ont rien pour se mettre à l’abri du soleil. Ils risquent la déshydratation. Ils sont emprisonnés en mer », déplore Ben Amor Romdhane, du Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) également contacté par InfoMigrants. Le militant s’inquiète aussi des cas de gale signalés à bord.

      Pour la première fois depuis 15 jours, jeudi, une équipe médicale du Croissant rouge tunisien a pu monter sur le Maridive 601 avec des médicaments et des vivres. Jusqu’ici, le navire était ravitaillé en eau, en nourriture et en médicament anti-gale par la compagnie Shell Tunisie qui affrète le bateau. Le Croissant rouge était néanmoins parvenu à faire acheminer un stock de médicaments. Les premiers soins avaient été prodigués par l’équipage, guidé au téléphone par le Croissant rouge.

      Le médecin du Croissant rouge, qui a pu examiner les 75 migrants jeudi, a déclaré qu’il n’y avait pas de maladie grave ou d’urgences, seulement des cas de diabète, selon Mongi Slim.

      D’après le représentant du navire égyptien, joint par InfoMigrant, la situation reste pourtant « très tendue ». « La seule solution est de laisser ces migrants entrer en Tunisie », estime-t-il.

      Cet incident rappelle celui qu’avait connu le Sarost 5 l’an dernier. Le navire commercial, qui avait secouru 40 migrants en mer Méditerranée, avait dû attendre 17 jours l’autorisation de débarquer à Zarzis. Les autorités avaient finalement cédé titre exceptionnel « pour des raisons humanitaires ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17533/migrants-bloques-au-large-de-la-tunisie-les-bangladais-refusent-le-rap

    • Migrants stranded at sea for three weeks now risk deportation, aid groups warn

      Group of 75 people survive prolonged ordeal but could now be made to leave Tunisia.

      https://i.guim.co.uk/img/media/235b366ca8ef3c06feec045df894e482906510c0/0_0_1280_768/master/1280.jpg?width=620&quality=85&auto=format&fit=max&s=35a960601e803a971255f0

      A group of migrants who spent nearly three weeks trapped onboard a merchant ship in torrid conditions face possible deportation to their home countries after they were finally allowed to disembark in Tunisia, aid groups have warned.

      The 75 migrants, about half of whom are minors or unaccompanied children, were rescued on 31 May by the Maridive 601 only to spend the next 20 days at sea as European authorities refused to let them land.

      “The migrant boat was ignored by Italian and Maltese authorities, though they were in distress in international waters”, said a spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members. “This is a violation of international law and maritime conventions”.

      Heat and humidity onboard the Maridive 501, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, were insufferable, said aid groups. Food and water were scarce, scabies broke out and spread, and several people suffered fractures and other injuries during the rescue operation.

      Witnesses said the psychological strain was immense for migrants and crew members alike.

      The brother of one Bangladeshi man said on 3 June: “Today is Eid [the festival marking the end of Ramadan]. But the day is not for me. My brother is on the ship. I can’t take it any more. How is he? How can I explain my feelings to you? When I get good news, this will be my Eid gift and that day will be my Eid day.”

      Six days later, he said: “How many days will they stay there? Who can take care of him? I am depressed, every day my mother is crying.”

      The ship’s captain, Faouz Samir, asked repeatedly to be allowed to land at the nearest port, in Zarzis, but was initially refused permission. Regional authorities said migrant centres in Medenine were too overcrowded.

      On 6 June, the migrants staged an onboard protest, asking to be sent to Europe. Video of the protest was published by the Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux.

      The closure of Italian and Maltese ports to rescue ships has seemingly had a ripple effect, with Tunisia closing its own harbours to rescued people in order to avoid an overwhelming influx of migrants.

      On Tuesday evening, however, the Tunisian authorities relented. The migrants, who are mainly from Bangladeshi but also include Egyptians, Moroccans and Sudanese, will now be transferred to a detention centre.

      Aid groups, however, who had been demanding an immediate disembarkation in view of the medical emergency onboard, are concerned people may be sent back to Libya or even deported to their home countries after landing in the port of Zarzis. The governor of Medenine had previously said the boat would be allowed to dock only if all the migrants were immediately deported.

      “We are happy for the survivors. They are exhausted, some are traumatised, but we will accompany them so that we can finally find respite and reflect on the different alternatives available to them,” said Wajdi Ben Mhamed, head of the International Organisation for Migration’s Zarzis office.

      The IOM said its protection team would assist the survivors with “their protection needs and provide, for those who have requested it, assistance for voluntary return to their country of origin’’.

      Relatives claim some of the Bangladeshi survivors were told that food, water and medical treatment would be withheld if they did not accept deportation.

      One man who spoke to his brother on 18 June said fears of imminent deportation had been exacerbated by the visit of a Bangladeshi envoy to the boat. The envoy’s visit followed a meeting five days earlier with the Tunisian minister of the interior.

      Another relative said of a Bangladeshi migrant aboard the tugboat: “In Bangladesh there are people who want to kill him. He paid all the money and went to Libya to get away from the problems in Bangladesh. Then he escaped from Libya because of the problems there. He wants to go to Europe.”

      Médecins Sans Frontières warned that Tunisia could not be defined a safe haven for migrants and refugees, given that it had no functioning asylum system in place. “The nearest places of safety for rescues in the central Mediterranean are Italy or Malta,” said a spokesperson.

      A dangerous precedent would be set if an agreement was found to deport those rescued to their countries of origin quickly after disembarkation in Tunisia. Aid groups warn that boats like the Maridive would turn into migrant holding facilities until deportations were arranged. Many more boats could thus turn from places of rescue to prison islands, floating along north African shores.
      More than 70 million people now fleeing conflict and oppression worldwide
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      Giorgia Linardi, of SeaWatch in Italy said: “After this episode we should reflect on whether Tunisia qualifies as a place of safety, as our sources suggested that the migrants could be immediately repatriated or expelled from the country. The situation aboard the Maridive is very much confronted with the situation faced right now by the SeaWatch vessel with 53 migrants on board which is still floating in front of Italian territorial waters. As of now, the attitude of the Italian authorities is no different from the attitude of the Tunisian authorities towards the Maridive despite the two states having a different framework in terms of protection of human rights and in terms of asylum system in place.”

      With sea conditions currently favourable, thousands are preparing to leave Libya, where war and political instability have been aggravated by floods caused by heavy rain.

      Without rescue boats, however, the number of shipwrecks is likely to rise further. Only two of the 10 NGO rescue boats that were active in the Mediterranean are still present.

      According to data from the UN and the IOM, about 3,200 people have reached Italy and Malta from North Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route – putting the death rate for those crossing at about 11% along the central Mediterranean route.

      https://www.theguardian.com/global-development/2019/jun/19/migrants-stranded-at-sea-for-three-weeks-now-face-deportation-aid-group

    • Italy’s redefinition of sea rescue as a crime draws on EU policy for inspiration

      https://www.statewatch.org/analyses/no-341-italy-salvini-boats-directive.pdf

      –-> analyse de #Yasha_Maccanico sur la première directive de Salvini contre la #Mare_Jonio et la façon dans laquelle il essaye (avec part de raison) justifier la criminalisation systématique des secours en mer en base aux instructions issues de la Commission dans le contexte de l’Agenda Européenne, plus des problèmes de base dans les représentations contenues dans la directive.

    • Maridive : les 75 migrants bloqués depuis 18 jours au large de Zarzis ont pu débarquer en Tunisie

      Après 18 jours d’hésitation, les autorités tunisiennes ont finalement laissé les 75 migrants du #Maridive débarquer au port de Zarzis, ce mercredi. Ils ont toutefois imposé leurs conditions : les migrants ont tous accepté préalablement de rentrer dans leur pays.

      « C’est enfin fini, c’est un soulagement ». Mongi Slim, membre du Croissant-rouge tunisien, s’est réjoui, mardi 18 juin, du débarquement des 75 migrants bloqués depuis le 31 mai au large de Zarzis. Les autorités tunisiennes refusaient en effet de laisser débarquer en Tunisie ces personnes secourues par un navire commercial égyptien, le Maridive 601, au large de la Libye.

      Après 18 jours de blocage, ils ont enfin pu toucher la terre ferme. « Nous sommes heureux pour les survivants. Ils sont épuisés, certains sont traumatisés mais nous les accompagnerons pour pouvoir enfin trouver du répit », a déclaré Wajdi Ben Mhamed, chef de bureau de l’agence de l’Organisation internationale des migrations (OIM), dans un communiqué.

      Un premier vol vers le Bangladesh jeudi

      Cependant, ce débarquement s’est fait sous conditions après de longues négociations entre les ONG, les organisations internationales et les autorités. Tunis a finalement autorisé leur débarquement à condition que les migrants acceptent tous d‘être renvoyés dans leur pays d’origine. Parmi les 75 migrants secourus, 64 sont de nationalité bangladaise, neuf égyptienne, un est originaire du Maroc et un autre du Soudan.


      https://www.facebook.com/iomtunis/posts/354908018559713

      Samedi 15 juin, des représentants de l’ambassade du Bangladesh sont montés à bord du Maridive et ont convaincu les Bangladais de retourner chez eux. Selon Mongi Slim, du Croissant rouge tunisien, un premier groupe de 20 Bangladais devrait être renvoyé dès jeudi 20 juin.

      Aucune demande d’asile déposée

      Une information que ne confirme par l’OIM, qui est chargée d’organiser les retours volontaires de ces naufragés. « Nous avons effectivement dit aux autorités qu’un vol commercial avec une vingtaine de places partaient de Tunisie demain vers le Bangladesh. Mais nous n’organisons pas de retours forcés », précise à InfoMigrants Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie. « Mais, nous attendons de faire un point avec les migrants et savoir qui veut profiter d’un retour volontaire », insiste-t-elle.

      Malgré l’accord, l’OIM rappelle que les migrants qui veulent demander l’asile seront redirigés vers le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR). Mais pour l’heure, selon l’agence onusienne, aucun des migrants du Maridive ne souhaite déposer une demande d’asile en Tunisie.
      Le 10 mai dernier, 16 migrants, majoritairement du Bangladesh, avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation ayant fait une soixantaine de morts. Deux d’entre eux avaient décidé de rentrer dans leur pays.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17614/maridive-les-75-migrants-bloques-depuis-18-jours-au-large-de-zarzis-on

    • Working Paper: Guidelines on temporary arrangements for #disembarkation

      Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry)."

      “Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant).”

      The Council of the European Union has produced a new “Working Paper” on: Guidelines on temporary arrangements for disembarkation (LIMITE doc no: WK 7219-19):

      “The Guidelines are based on best practices used in previous disembarkation cases, and rely on a coordinating role of the Commission and support by relevant agencies. The framework is of a temporary nature and the participation of the Member States is on a voluntary basis. This document has a non-binding nature.” [emphasis added]

      The circumstances for “triggering” Temporary Arrangements (TA) are:

      “type of arrivals covered

      – a search and rescue operation; and/or

      – other sea arrivals where there is a humanitarian ground at stake.”

      On the face of it the idea would appear to refer to just about every rescue. However the idea relies on the state of first disembarkation - for example, in the Med: Spain, France, Italy and Greece - allowing a safe port of arrival. These states then make a “relocation” request to other Member States. This is entirely based on voluntary participation.

      “Workflow in the Member State of disembarkation

      The following procedural steps should be undertaken in the Member State of disembarkation, where appropriate with the assistance from EU agencies, and where relevant with the involvement of the Member State of relocation, in agreement with the benefitting Member State:

      (...) Initial identification, registration, fingerprinting and swift security screening: Registration and fingerprinting of all arriving migrants as category 2 in Eurodac system; check against national and EU information systems (such as Eurodac, SIS, VIS, Europol and Interpol databases) to ensure that none of the persons arriving to the EU is a threat to public policy, internal security or public health.

      Assessment regarding possible use of alternatives to detention or detention, on a case by case basis, pending further processing (in the context of border procedure, where possible, or otherwise)”

      Member states will be allowed to set conditions on acceptable refugees to relocate:

      “Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry).”

      The European Border and Coast Guard Agency (EBCGA) will:

      “provide assistance in screening, debriefing, identification and fingerprinting;

      – deploy Return Teams (composed of escort, forced return monitor and/or return specialists);”

      Financial support

      "Under the AMIF Regulation, funds are to be made available for:

      – Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant, applying the amended Article 18 of the AMIF Regulation 516/2014);

      – support to return operations;

      – Member States under pressure, as appropriate, including the possibility of a lump sum per relocation to cover transfer costs.

      – When MS make full use of the lump sums available under the national programmes, additional financial support could be provided.

      http://www.statewatch.org/news/2019/jun/eu-council-disembark.htm

    • La #marine_italienne sur le banc des accusés

      En octobre 2013, un bateau de pêche chargé de réfugiés syriens fait naufrage près de Lampedusa, île italienne proche de la Sicile. Si 212 personnes ont pu être sauvées, 26 corps ont été repêchés et environ 240 sont restées portés disparus dont une soixantaine d’enfants. Ce drame ne restera pas impuni.
      Un procès se tiendra en 2018 avec, sur le banc des accusés pour homicide involontaire et non-assistance à personnes en danger, des officiers de la marine italienne. C’est la première fois qu’un procès de ce type est lancé. Ce jour-là, un médecin syrien qui se trouvait à bord avec ses deux enfants -tous deux morts noyés- a appelé plusieurs fois au secours les garde-côtes italiens. Ceux-ci retransmettaient le relais à leurs confrères maltais et peu après lançaient un message signalant la situation aux navires se trouvant dans la zone. C’était le cas du navire Libra de la marine italienne, à moins d’une heure de navigation mais qui, au lieu de se précipiter, s’est éloigné en laissant intervenir les Maltais, ce qui prenait beaucoup plus de temps. Le bateau des migrants a fini par chavirer à 17h07. Les secours dont, le Libra, sont arrivés vers 18h00. Trop tard.

      https://www.arte.tv/fr/videos/080337-000-A/la-marine-italienne-sur-le-banc-des-accuses

    • Bangladeshi migrants in Tunisia forced to return home, aid groups claim

      Relatives say more than 30 people stuck at sea told to go home or lose food and water.

      More than 30 migrants from Bangladesh who were trapped on a merchant ship off Tunisia for three weeks have been sent back to their home country against their will, according to relatives.

      They were among 75 migrants rescued on 31 May by the Maridive 601, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, only to spend the next 20 days at sea near the Tunisian coast.

      The International Organization for Migration, an intergovernmental organisation linked to the United Nations, said the Bangladeshis “wished to return home”.

      But relatives and aid groups claimed that when a Bangladeshi envoy visited the boat the migrants were forced to accept their repatriation under the threat of having food, water and medical treatment being taken away.

      One relative told the Guardian: “When all the people were on the boat, they were told by the Bangladeshi embassy that if they didn’t agree to sign, they would not get any food or water any more. The people were afraid to die on the boat. The Bangladeshi embassy forced them to sign.”

      On 18 June, the 75 migrants, who included Egyptian, Moroccan and Sudanese people, were taken off the Maridive 601 and transferred to a Tunisian detention centre.

      The IOM confirmed that a few days later the first 17 individuals were returned to Bangladesh, and on 24 June, another 15 migrants were sent back.

      It said “more migrants will be travelling in the coming days, according to their decision”.

      The Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES), an independent organisation that aims to defend economic and social rights, said: “We doubt that the decisions to return were made voluntarily by the migrants.

      “We have tried to visit the migrants in the reception centre in order to inquire about their wellbeing but despite making repeated inquiries and requests, the whereabouts of the detained migrants was not revealed.”

      Another relative said: “I spoke with my brother this morning in the centre. He is scared to be returned to Bangladesh, like all the people there. Nobody wants to return to Bangladesh; everyone who is returned is forced.”

      The IOM’s head of mission in Tunisia, Lorena Lando, rejected the accusations. “None of the migrants has been deported; [they] wished to return,” she said. “IOM does not do deportation, nor force anyone to return.”

      Lando said the IOM “did not have access” to the migrants until 19 June, after the Tunisian authorities allowed their disembarkation.

      She added: “Remaining at sea was not a solution either. It is up to the person to also apply for asylum if they fear persecution … or seek help to return home or take time to decide.”

      A spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members, said: “The IOM refers to such deportations as voluntary returns but what is voluntary about telling survivors that they can leave their prison merely if they agree to be returned?

      “Do we really believe that these Bangladeshi people risked their lives to move to Libya and then to try to cross the Mediterranean, only to then be ‘voluntarily’ returned to Bangladesh?”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/25/bangladeshi-migrants-in-tunisia-forced-to-return-home-aid-groups-claim

  • Migranti, vertice al Viminale dei ministri dell’Interno di Italia, Ciad, Libia e Niger

    Una cooperazione congiunta per il contrasto al terrorismo e alla tratta di esseri umani. Istituita una cabina di regia che opererà per monitorare sui temi oggetto dell’incontro


    http://www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-vertice-viminale-dei-ministri-dellinterno-italia-ciad-libia-e-n
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Tchad #Italie #Libye
    cc @i_s_

    • Parola d’ordine esternalizzare: soldi europei agli Stati africani per fermare il flusso dei migranti

      Il ministro degli Interni del Niger: «Chiediamo all’Ue infrastrutture militari». Ma il Mali non firma le riammissioni: «Le rimesse ci hanno portato 800 milioni di dollari nel 2016»

      http://www.lastampa.it/2017/05/24/esteri/speciali/divertedaid/parola-dordine-esternalizzare-soldi-europei-agli-stati-africani-per-fermare-il-flusso-dei-migranti-VKqfQ42Nr9TimSleQzT7XL/pagina.html?platform=hootsuite

    • Deploying Italian warships to police Libyan waters will expose refugees to horrific abuse

      Proposals to send warships to police Libyan territorial waters are a shameful attempt by the Italian authorities to circumvent their duty to rescue refugees and migrants at sea and to offer protection to those who need it, said Amnesty International, ahead of a vote in the Italian parliament tomorrow.

      https://www.amnestyusa.org/press-releases/deploying-italian-warships-to-police-libyan-waters-will-expose-refugees-

    • Missione navale: Italia pronta a destinare rifugiati e migranti verso orribili violenze

      Dopo il voto del parlamento italiano in favore dell’invio di navi da guerra nelle acque libiche per assistere la Guardia costiera della Libia a intercettare migranti e rifugiati e a riportarli a terra, la vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa Gauri Van Gulik ha rilasciato questa dichiarazione:

      https://www.amnesty.it/missione-navale-italia-pronta-destinare-rifugiati-migranti-verso-orribili-vi

    • "L’aiuto dell’Italia alla Guardia costiera libica rischia di tradursi in complicità negli abusi sui migranti"

      L’annuncio del supporto operativo delle navi della Marina Militare italiana al governo di Tripoli, nell’intercettazione di barconi di migranti in acque libiche, è stata criticata da Human Rights Watch: «Potrebbe coinvolgere l’Italia in violazioni dei diritti umani a danno dei migranti successivamente detenuti in Libia».

      http://www.huffingtonpost.it/2017/08/02/l-aiuto-dellitalia-alla-guardia-costiera-libica-rischia-di-tra_a_2306

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172

      #aide_au_développement

    • Italy Has a Controversial New Plan to Stop Migrants Crossing the Mediterranean Sea

      The Italian government initially hoped to send six ships to Libya’s territorial waters, but plans had to be scaled down following popular protests in Tripoli, Reuters reports. Libyans have reportedly been posting images of Omar al-Mukhtar, a national hero who battled Italian rule in the early 1900s, on social media in response to the Italian presence— reflecting the widespread unease over a former colonial power intervening on domestic affairs. Pinotti said that Italy had no intention of creating a blockade on Libya’s coast.

      http://time.com/4885415/italy-naval-mission-migrant-smuggling

    • LIBIA : IL SUCCESSO DEMOCRATICO

      C’è solo una cosa che avete perso: la dignità umana.
      Credo l’abbiate fatto consapevolmente, perché liberarvi della fatica di difendere la dignità umana era il peso più affrontabile per risolvere questo maledetto problema degli sbarchi.
      Creare in pubblico il reato umanitario, confermare e rafforzare le derive più xenofobe e pericolose della nostra società, abbandonare migliaia di persone al loro immobile destino di ingiustizia e povertà, non disturbare la chiusura dell’Europa ricca e respingente, consolidare poteri forti e corrotti in paesi di origine e di transito: questo avete fatto e con questo state vincendo.
      Complimenti.
      Abbiate almeno il coraggio di non chiamarvi più nemmeno democratici.

      http://andreasegre.blogspot.ch/2017/08/libia-il-successo-democratico.html
      #Andrea_Segre

      Avec un ps sur la Suisse :

      P.P.S. scrivo tutto ciò da Locarno (Svizzera), dove presenteremo domani il nuovo doc IBI. E non posso non guardarmi intorno. Questo è il cuore dell’Europa ricca che proteggendosi ha ottenuto ciò che le interessava: crescita interna altissima sulle spalle di un mondo esterno da sfruttare e tenere fuori (i corpi ovviamente, i soldi no, se vogliono quelli entrano subito e senza controlli). Il PIL procapite medio da queste parti è circa 80mila euro l’anno. Nei paesi da cui scappano gli invasori raggiunge al massimo 1000 euro. Ma qui non ci arrivano, perché anche qui, soprattutto qui, hanno vinto. Bravi!

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.

      https://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Libia, arrivano meno migranti che così finiscono nel lager di #Sabha

      Lo dicono i numeri delle ultime settimane: si assiste ad una drastica riduzione del flusso migratorio dalla Libia verso l’Italia. E’ l’effetto dell’accordo italo-libico, sostenuto dall’Unione Europea. Decine di migliaia di migranti subsahariani bloccati. Lo raccontano le duemila testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu)

      http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2017/08/08/news/libia-172648143/?ref=search

    • Libyan Coast Guard Faces Allegations of Corruption

      At the same time, conflict and corruption on the ground have called into question the EU’s plans to train the Libyan Coast Guard and return migrants to Libyan shores. In February, Libya’s UN-backed government in Tripoli agreed to direct its coast guard to return migrants to shore in exchange for training assistance and financial aid. On Monday, Libyan Prime Minister Fayez Serraj negotiated for an additional EU assistance package of $860 million in military equipment, including ships, vehicles, helicopters and communications gear.

      http://www.maritime-executive.com/article/libyan-coast-guard-faces-allegations-of-corruption
      #gardes-côtes #frontières #Libye #gardes-côtes_libyens #corruption #Libye

    • Supreme Court annuls verdict that suspended implementation of Italy-Libya MoU

      The Supreme Court in Libya annulled a previous verdict that suspended the implementation of the #memorandum_of_understanding (MoU) that was signed between Libya’s UN-proposed Presidential Council and Italy.


      https://www.libyaobserver.ly/news/supreme-court-annuls-verdict-suspended-implementation-italy-libya-mou

    • L’Italia esibisce in Europa gli accordi con Tripoli. Sotto attacco vittime e testimoni.

      Il governo italiano si presenta al vertice di Parigi esibendo, dietro il Codice di condotta per le ONG, autentico specchietto per le allodole, i risultati degli accordi con il premier libico Serraj e alcune tribù del Fezzan, come già prima con il Sudan di Bashir, con un abbattimento su base mensle, in agosto, del 70 per cento degli arrivi di migranti dalla Libia. Adesso si può davvero dire che le frontiere europee raggiungono il Fezzan, le attività di esternalizzazione dei controlli sono molto avanzate e numerosi contingenti militari sono già schierati sul territorio di confine tra Libia, Niger, Chad e Sudan. Poco importa a quale prezzo. Di fatto sono state proprio le milizie della zona di Sabratha, dalla quale si verificavano le partenze della maggior parte dei gommoni, ad intervenire per bloccare tutte le vie di fuga. Perchè di vie di fuga dalla Libia occorre parlare, oltre che di contrasto al traffico di esseri umani.

      http://www.a-dif.org/2017/08/28/litalia-esibisce-in-europa-gli-accordi-con-tripoli-sotto-attacco-vittime-e-te

    • DA TRAFFICANTE A COMANDANTE DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA

      In un’intervista a “La Stampa” Roberto Saviano racconta oggi che il capo dei trafficanti di #Zawija, base di tante partenze di migranti, a 40 km da Tripoli, è un ragazzo di nemmeno trent’anni, ricchissimo e spietato: #Abdurahman_Al_Milad_Aka_Bija, che tutti conoscono come #Al_Bija. Bene, anzi male: Al Bija è appena diventato il nuovo comandante della Guardia costiera libica della città. Insomma, il referente delle nostre navi militari.

      https://alganews.wordpress.com/2017/08/15/da-trafficante-a-comandante-della-guardia-costiera-libica

    • Tripoli. Accordo Italia-Libia, è giallo sui fondi per aiutare il Paese

      «Il governo non tratta con i trafficanti», asserisce la Farnesina. Non a torto, perché diverse fonti in Libia e tra la bene informata diaspora a Tunisi, dove risiedono molti membri del Consiglio presidenziale libico, confermano che gli stanziamenti italiani sono destinati alle istituzioni. «Però tutti sanno – aggiungono con sarcasmo – che autorità e contrabbandieri hanno madri diverse, ma lo stesso padre». Da Tripoli, ancora nessuna smentita ufficiale. Le conferme, al contrario, sono molteplici, non tutte anonime. Almeno cinque milioni di euro sono stati consegnati da Roma nelle settimane scorse sotto forma di denaro e medicamenti per le strutture sanitarie di Sabratha. Altri ’aiuti’, per importi analoghi, sono attesi dai sindaci-dignitari che hanno assicurato di voler cooperare con il premier Fayez al-Sarraj e l’Italia. Ci sono poi gli stanziamenti già destinati a Bengasi, nell’area controllata dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica (a est del Paese) ora in espansione anche nell’ovest del premier al-Sarraj.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/accordo-italia-libia-giallo-sui-fondi-per-aiutare-il-paese

    • I migranti come arma di ricatto tra lotte di potere, ritorsioni e nuovi equilibri in Libia. E i morti aumentano

      Nel week end tra il 15 e il 17 settembre sono arrivati in Italia dalla Libia più di 1.800 migranti su una quindicina di gommoni. Senza contare il flusso crescente di “barche fantasma”, pescherecci di varie dimensioni che, partendo dalla Tunisia, approdano in Sicilia, soprattutto sulle coste dell’Agrigentino. Dopo giorni di sbarchi in calo e di continue, “trionfanti” notizie di blocchi effettuati dalla Guardia Costiera libica lungo le coste africane, questo improvviso exploit di sbarchi ha destato non poca sorpresa, contraddicendo almeno in parte le dichiarazioni del Governo italiano sull’efficacia e sulla tenuta dei “muri” eretti nel Mediterraneo e nel Sahara con gli ultimi accordi stipulati da Roma con Tripoli. Non a caso, questo degli sbarchi, è stato uno dei temi guida del dibattito politico e del notiziario dei media nel fine settimana.

      http://www.a-dif.org/2017/09/22/i-migranti-come-arma-di-ricatto-tra-lotte-di-potere-ritorsioni-e-nuovi-equili

    • Italy claims it’s found a solution to Europe’s migrant problem. Here’s why Italy’s wrong.

      Motivating the Libyan militias’ newfound zeal for blocking migrant movement is a new policy spearheaded by the Italian government and embraced by the European Union. The approach relies on payment to militias willing to act as migrant deterrent forces. Italian government representatives use intermediaries such as mayors and other local leaders to negotiate terms of the agreements with the armed groups. They also build local support in the targeted areas by distributing humanitarian aid.

      https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2017/09/25/italy-claims-its-found-a-solution-to-europes-migrant-problem-heres-w

    • Libye: La manœuvre périlleuse de l’Italie

      Rome est accusée d’avoir financé des passeurs de Sabratha pour endiguer le flux de migrants. Avéré ou non, cet accord a déclenché une guerre entre milices, déstabilisant un peu plus le pays.

      Côté face, Marco Minniti, le ministre italien de l’Intérieur, se félicite d’être à l’origine de la chute du nombre de migrants partant de la Libye pour l’Europe : - 50 % en juillet et - 87 % en août par rapport à la même période en 2016. Côté pile, Minniti, ancien chef des services secrets, est aussi la principale causede la guerre actuelle qui se déroule à Sabratha, ville située à 80 kilomètres à l’ouest de Tripoli, depuis le 17 septembre. Les combats ont fait au moins 26 victimes et, près de 170 blessés, endommageant également le théâtre romain antique classé au Patrimoine mondial de l’Unesco. Là, des taches de sang et des centaines de douilles jonchent encore le sol. Le lieu, qui a survécu aux soubresauts de l’histoire libyenne, est aujourd’hui marqué jusque dans ses pierres par ce nouveau drame qui n’a rien de théâtral.

      Marco Minniti est accusé d’avoir passé un accord financier avec le chef de milice Ahmed Dabbashi, alias Al-Ammou (« l’Oncle »), pour qu’il mette fin à ses activités de baron du trafic des migrants et ainsi faire baisser le nombre d’arrivées sur les côtes italiennes. L’homme était un des passeurs les plus puissants de Sabratha, dont les plages sont les lieux de départ de la grande majorité des candidats à rejoindre l’Europe.

      Dans les cafés de Sabratha, les habitués sourient lorsqu’on évoque le « repentir » d’Ahmed Dabbashi : « Il veut se donner une respectabilité, mais soyez certains qu’à 3 heures du matin, ses bateaux continuent de partir », assure Salah, qui préfère rester anonyme par crainte de représailles du chef mafieux, membre d’une importante famille de la cité antique. En septembre, plus de 3 000 migrants ont été secourus en mer, et un grand nombre d’entre eux était parti des plages de Sabratha. Si les départs ont ralenti, ils n’ont pas totalement disparu.

      Une aide italienne a minima

      Le conflit qui déchire Sabratha oppose les hommes d’Al-Ammou (alliés à la Brigade 48, dirigée par un frère d’Ahmed Dabbashi), à la Chambre des opérations (CDO) du ministre de la Défense, au Bureau de lutte contre la migration clandestine (BLMC) du ministre de l’Intérieur et à la milice salafiste Al-Wadi, également accusée de trafic humain. Tous se revendiquent d’une affiliation au gouvernement d’union nationale (GUN) de Faïez el-Serraj, soutenu par la communauté internationale. Mais ce dernier ne reconnaît que la CDO et le BLMC. Preuve, s’il en était, que la Libye, en proie au chaos, n’est qu’un camaïeu de gris.

      Bachir Ibrahim, le porte-parole du groupe d’Ahmed Dabbashi, a évoqué l’existence d’un accord verbal avec le gouvernement italien et le GUN de Faïez el-Serraj. Mais ces deux derniers démentent toute entente financière avec la milice. La rumeur ne s’est pas éteinte pour autant. Et les habitants de la ville rappellent les forts liens entre la milice de Dabbashi et l’Italie : c’est le groupe armé qui protège le site gazier de Mellitah, situé à l’ouest de Sabratha et géré par le géant italien ENI. D’ailleurs, la milice possède deux bateaux pneumatiques ultra-rapides qui appartenaient à la marine libyenne et dont l’un a été récupéré sur le site de Mellitah… Bassem al-Garabli, le responsable du BLMC, s’étonne, lui, que l’ambassadeur italien, Giuseppe Perrone, n’ait pas visité son unité lors de sa venue à Sabratha, le 10 septembre pour se féliciter de la chute du nombre de départs de migrants. L’ambassadeur italien à Tripoli n’a, de son côté, pas souhaité répondre à nos questions.

      « L’Italie a payé, en juillet, 5 millions d’euros à Al-Ammou pour trois mois de tranquillité, affirme sous couvert d’anonymat un membre de la CDO. L’échange s’est fait en haute mer. »Cette source rappelle le double jeu du chef de la milice, qui posséderait quatre hangars où des navires capables d’embarquer plusieurs centaines de migrants seraient restaurés. Pourtant, le 28 juillet, l’Union européenne a débloqué 46 millions d’euros à l’Italie afin qu’elle aide les autorités libyennes à renforcer sa capacité à gérer les flux migratoires et protéger ses frontières. Une somme que reflètent peu les résultats sur le terrain.

      A ce jour, seuls 136 marins libyens ont été formés en Italie à rechercher, secourir et perturber le trafic d’êtres humains. Les garde-côtes ont reçu cette année quatre bateaux, reliquats d’un contrat passé en 2008 et, qui plus est, anciens. « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants qui sont de plus en plus souvent escortées par des hommes armés sur des vedettes rapides. » La marine se montre davantage satisfaite par le « Code Minniti », qui a durci les conditions d’intervention des bateaux d’ONG présents pour secourir les migrants en détresse, au grand dam des organisations humanitaires. « Ces navires sont comme des taxis pour les clandestins, affirme Ayoub Gacem. Les passeurs ont compris qu’il suffit que les migrants atteignent les eaux internationales pour arriver en Europe. »

      Encore faut-il les atteindre. « Alors que nous étions au large de Sabratha, un bateau est arrivé, raconte Shaada, un Bangladais de 17 ans. Les hommes nous ont pris notre argent, nos téléphones portables, le téléphone satellite et le moteur avant de repartir. » Aujourd’hui au centre de rétention de Tripoli, Shaada décrit l’amplification de la piraterie à l’encontre des migrants, en mer comme dans le désert. Un phénomène qui explique aussi, en partie, la baisse des départs depuis la Libye.

      Boko Haram et l’état islamique

      Pour Ayman Dabbashi, cousin d’Al-Ammou mais également membre de la CDO, l’existence d’un « contrat » avec l’Italie ne fait aucun doute. Mais il ne comprend pas la logique italienne. « C’est incompréhensible, parce que mon cousin n’est pas quelqu’un d’éduqué, il sait à peine dire une phrase, affirme-t-il. Il a dit qu’il arrêterait les bateaux mais ce n’est pas vrai. Il va arrêter les bateaux des autres, mais pas les siens. »

      « Marco Minniti pousse le gouvernement d’union nationale à "intégrer" les milices comme celle d’Al-Ammou au sein du ministère de la Défense. Le ministre italien l’a reconnu lui-même. Cela est beaucoup plus grave pour la sécurité de la Libye, que l’existence ou non d’échange de valises de billets », prévient Jalel Harchaoui, qui prépare une thèse sur la dimension internationale du conflit libyen à l’université Paris-VIII. Même inquiétude du côté du général Omar Abdoul Jalil, responsable de la Chambre des opérations : « L’Europe doit faire attention avec qui elle négocie. Les passeurs n’ont aucun problème à introduire des terroristes dans des bateaux de migrants. » Il cite ainsi le cas de deux Camerounais récemment trouvés sur une embarcation et aussitôt envoyés en prison à Tripoli pour de forts soupçons d’appartenance à Boko Haram.

      Jusqu’en février 2016, des camps d’entrainement de l’Etat islamique étaient installés dans Sabratha, avant que les Américains ne bombardent un site. Le groupe terroriste était dirigé par Abdoullah Dabbashi, un parent d’Al-Ammou. Une accointance familiale qui pourrait servir de prétexte à Khalifa Haftar pour entrer dans la danse. L’homme fort de l’est du pays, bien qu’opposant au gouvernement de Faïez el-Serraj, pourrait envoyer des avions de sa base militaire d’Al-Watiya (à 80 kilomètres au sud-ouest de Sabratha) pour bombarder la milice d’Al-Ammou. Officiellement au nom de sa lutte contre le terrorisme. Officieusement, pour entrer de plain-pied dans la Tripolitaine, région ouest du pays. « Si Haftar intervient, l’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit le chercheur Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. »

      « c’est une fausse victoire »

      Le maréchal Haftar a d’ailleurs été reçu par Marco Minniti mardi dernier à Rome. La question de Sabratha a été abordée. Spécialiste de la Libye au Conseil européen des relations internationales, Mattia Toaldo ne croit pas à l’escalade : « Marco Minniti veut protéger sa politique antimigratoire en persuadant Khalifa Haftar de rester à l’écart. Ce dernier n’a d’ailleurs pas intérêt à intervenir, ce serait une mission kamikaze. »

      Que le conflit s’embrase ou non, le trafic des migrants ne disparaîtra pas, les réseaux s’adapteront. « En ce moment pour les trafiquants, c’est plus rentable de faire de la contrebande d’essence ou de nourriture que de transporter des hommes. Mais c’est une fausse victoire. Cela va reprendre », assure Choukri Ftis, qui a participé à un récent rapport de Altai Consulting intitulé « Partir de Libye, rapide aperçu des municipalités de départs ». Il pointe déjà la plage de Sidi Bilal, située à une vingtaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli, comme prochain centre d’embarquement. Ici, l’Al-Ammou local se nomme Saborto et dirige une milice de la tribu des Warshefanas, réputée pour ses enlèvements de riches Tripolitains et d’étrangers.

      http://www.liberation.fr/planete/2017/10/01/libye-la-manoeuvre-perilleuse-de-l-italie_1600209

    • European priorities, Libyan realities

      August 14 began calmly for Riccardo Gatti. On the first morning of a new search and rescue mission in the central Mediterranean, the former yachtsman turned activist walked the grayed wooden deck of the Golfo Azzurro, a trawler that has been stripped of its bulky fishing equipment to make space for life jackets and water bottles.

      http://issues.newsdeeply.com/central-mediterranean-european-priorities-libyan-realities

      cc @isskein

    • Le Commissaire demande des éclaircissements concernant les opérations maritimes italiennes dans les eaux territoriales libyennes

      Adressée au ministre italien de l’Intérieur, M. Marco Minniti, et publiée le 11 octobre 2017, le Commissaire sollicite des informations concernant les opérations maritimes menées par l’Italie dans les eaux territoriales libyennes à des fins de gestion des flux migratoires.

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/commissioner-seeks-clarifications-over-italy-s-maritime-operations-in-libyan-te

      La réponse de Minniti :
      https://rm.coe.int/reply-of-the-minister-of-interior-to-the-commissioner-s-letter-regardi/168075dd2d

    • «Ministro Minniti mi incontri, le racconto l’orrore»

      Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ong Sea Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio di ieri 6 novembre 2017: «Ho visto con i miei occhi il folle comportamento dei militari libici, che picchiavano chi voleva raggiungerci e ci lanciavano patate. L’Italia blocchi l’accordo con la Libia». Ecco il suo racconto senza filtri

      http://www.vita.it/it/article/2017/11/07/ministro-minniti-mi-incontri-le-racconto-lorrore/145020

    • « En Libye, le trafic de migrants va reprendre comme avant »

      Ces derniers mois, les traversées depuis la Libye ont diminué de façon spectaculaire. Mais, en concluant un accord secret avec une milice de Sabratha, l’Italie pourrait avoir encore un peu plus déstabilisé le pays.

      Entre deux dossiers, dans son bureau de Rome, le ministre de l’Intérieur, Marco Minniti, doit sûrement se demander : « Ai-je eu raison ? » L’ancien chef des services secrets italiens est accusé d’avoir passé, au printemps, un accord financier avec Ahmed Dabbashi alias al-Ammou (l’Oncle), chef d’un des plus importants réseaux de trafic d’êtres humains en Libye, pour que ce dernier arrête son commerce et celui de ses concurrents régionaux.

      L’« Oncle » opère depuis Sabratha, à 70 km à l’ouest de Tripoli, d’où partait l’écrasante majorité des candidats à l’exil. Cette alliance a été revendiquée sur les réseaux sociaux par la brigade de l’Oncle, appelée « Anas-Dabbashi », du nom d’un cousin d’Ahmed tué pendant la révolution de 2011.

      « L’Italie a promis de verser 5 millions d’euros par trimestre. Le premier échange s’est fait durant l’été sur un bateau dans les eaux internationales », assure, sous couvert d’anonymat, un responsable de la Chambre des opérations de Sabratha, dépendant du gouvernement d’union nationale de Tripoli (reconnu par la communauté internationale) et principal ennemi de Dabbashi.

      Une realpolitik qui a eu des résultats spectaculaires : les enregistrements de migrants en Italie en provenance de la Libye ont chuté de 50% en juillet et 87% en août. Seulement, outre l’aspect moral douteux de cette politique, elle a été la principale cause d’une guerre de trois semaines (17 septembre-6 octobre) qui a fait une trentaine de morts et quelque 170 blessés. Les combats ont également profondément endommagé le Théâtre antique romain, classé au patrimoine de l’Unesco. Ils opposaient des forces du gouvernement d’union nationale à Dabbashi et son allié, la brigade 48. Ahmed Dabbashi a été battu et a dû quitter Sabratha. Son réseau n’est plus opérationnel, mais le jeu en valait-il la chandelle ?
      Milice payée avec des fonds européens ?

      L’Union européenne, qui avait donné quasi carte blanche à l’Italie pour régler la question des migrants, va-t-elle sévir ? Bruxelles avait octroyé 53,3 millions de francs suisses à la Botte pour aider la Libye à protéger ses frontières. L’argent a-t-il servi à payer Dabbashi ? Sur le terrain, les acteurs libyens n’ont pas vu d’amélioration notable. Les garde-côtes n’ont reçu cette année que quatre bateaux qui ont déjà servi, et encore s’agissait-il du reliquat d’un contrat passé en 2008.

      « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants, qui sont maintenant de plus en plus escortés par des hommes armés sur des vedettes rapides. » Car, si Dabbashi est hors-jeu, d’autres réseaux ont pris le relais.

      Après les affrontements de Sabratha, près de 15 000 migrants, principalement d’Afrique subsaharienne, ont été retrouvés et emmenés dans des centres de détention officiels dans la région de Tripoli. Dans le pays, ils seraient plusieurs centaines de milliers à attendre l’opportunité de traverser la Méditerranée.
      « Une fausse victoire »

      Le 31 octobre, deux bateaux pneumatiques avec 299 migrants à leur bord ont été arrêtés par les autorités libyennes. Ils étaient partis des plages de Zliten à 180 km à l’est de Tripoli. « La victoire de Sabratha est une fausse victoire, le trafic va reprendre comme avant dès l’an prochain quand ce sera la saison [été-automne] », prédit Choukri Ftis, un chercheur qui a participé récemment à un rapport sur la migration illégale en Libye.

      Cet été, le président français, Emmanuel Macron, avait lancé l’idée de centres d’enregistrement basés dans le sud libyen pour filtrer en amont les migrants. Une idée difficilement réalisable sur un territoire aussi vaste (2000 km de frontière avec l’Algérie, le Niger, le Tchad, le Soudan et l’Egypte) et soumis continuellement aux tensions ethniques entre Arabes, Toubous et Touaregs, qui se partagent le pouvoir dans une zone où l’Etat est quasi absent.

      La stratégie de Minniti a donné un coup de pied dans la fourmilière des réseaux de trafic d’êtres humains mais n’a pas fait disparaître le phénomène. Par contre, elle pourrait avoir durablement chamboulé l’équilibre politique du pays. Parmi la coalition armée qui a chassé Dabbashi se trouvait une force d’appui : la brigade al-Wadi. De tendance salafiste, le groupe est un affidé de l’Armée nationale arabe libyenne de Khalifa Haftar. L’homme fort de l’est a donc ainsi pu se draper de la victoire à Sabratha contre Ahmed Dabbashi.
      Intérêts gaziers

      Le 25 septembre, en plein milieu de la guerre de Sabratha, le maréchal a d’ailleurs été accueilli pour la première fois, bien qu’en catimini, par Marco Minniti et la ministre de la Défense, Roberta Pinotti. Au menu : le contrôle des plages de Sabratha si Dabbashi venait à être vaincu et la sécurisation du complexe gazier de Mellitah tout proche. Le site géré par le géant italien ENI était jusqu’alors protégé par les hommes de l’« Oncle ». Si rien n’a filtré de ce rendez-vous, les craintes sont vives que Haftar, fort d’un possible soutien italien qui aurait retourné sa veste devant la fuite de Dabbashi, n’ait des visées expansionnistes.

      « L’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. » Marco Minniti, dans son bureau, y pense-t-il parfois ?

      https://www.letemps.ch/monde/2017/11/05/libye-trafic-migrants-va-reprendre

    • Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal c.d. Fondo Africa

      Supporto tecnico alle autorità libiche per la gestione delle frontiere con fondi destinati a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani. ASGI al TAR : E’ sviamento di potere.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/libia-italia-ricorso-fondi-cooperazione
      #Fonds_afrique

      –-> An English synthesis:

      Supporting Libyan Coast Guard is a misuse of the so-called “Africa Fund”. Italian Association ASGI brings Italian Foreign Ministry to Court.

      The Italian Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI) has recently brought legal proceedings before the Regional Administrative Tribunal (TAR) with regard to Decree 4110/47 by which the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation allocates 2,5 million euros to the Ministry of Interior to repair four vessels for Libyan authorities and train them. Such a disbursement is part of the “Africa Fund” (200 million euros) set up by the Italian Parliament to promote cooperation and dialogue with African countries. Being Libya a notoriously unsafe country for migrants and refugees in transit, the compatibility of such a massive allocation of money with the stated goals of the “Africa Fund” – however vague they are – should be questioned. Given that these vessels might be used by the Libyan Coast Guard to pull-back migrants and refugees rescued/intercepted at sea and retain them in appalling detention centers, the main argument before TAR is that this military equipment is a diversion of the funding allocated by the Italian Parliament to contribute to the resolution of the humanitarian crisis in Libya.

    • The Case for Italy’s Complicity in Libya Push-Backs

      When a boatload of migrants sets off from Libya in the direction of Italy, smugglers often tell those on board to get to international waters before raising the alarm. The migrants hope to be picked up by rescue boats run by humanitarian NGOs and taken on to Italy where they can apply for asylum. The alternative is interception at the hands of the Libyan coast guard and a return to Libya.

      http://souciant.com/2017/11/the-case-for-italys-complicity-in-libya-push-backs

    • The rest of the world has woken up, but migrants are still sleepwalking into Libya slave markets

      While the West has reacted with outrage to video evidence of Libyan slave markets, potential victims themselves remain unaware of the dangers they face

      The trade in human beings has risen sharpy since the Italian government began paying Libyan militant groups and smugglers to stem the flow of migrants over the sea earlier this year.

      http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/african-migrants-libya-slave-markets-aim-europe-refugees-human-traffi

    • La strategia italiana nel Mediterraneo

      http://www.ispionline.it/sites/default/files/media/img/rapporto_med_maeci_2017_internet_1.pdf

      Avec ce commentaire sur FB de Francesco Floris (07.12.2017):

      La Farnesina s’è desta.
      Il ministero degli esteri ci fa la cortesia di dirci cosa pensa della Libia. Dopo che Alfano ha speso gli ultimi 12 mesi a fungere da cartonato di Minniti e a implorare diversi magistrati siciliani (e non) di indagare sulle ong invece che sui centri d’accoglienza usati da Ncd come un’american express.
      Solo che appena parlano finiscono col confessare.

      A pagina 24 del doc. «La strategia italiana nel Mediterraneo» - pamphlet dalla prosa brillante pieno zeppo de «L’Italia ha prontamente reagito», «Roma si è immediatamente attivata», «la task force ha fermamente ribadito» che gli piacciono enormemente gli avverbi - si legge che dopo il 2 febbraio 2017, e su richiesta di Serraj, abbiamo inviato a Tripoli una nave-officina per riparare le unità navali libiche. Ma non solo per amore della meccanica a quanto pare, anche per «fornire un coordinamento alle operazioni di pattugliamento e salvataggio in mare».
      Coordinare le operazioni dei libici per riportare i migranti in una nazione che non sottoscrive la Convenzione di Ginevra e dove vige un regime di tortura. Lo scrivono loro. E sarebbe anche illegale qualora a questi manettari con i polsi degli altri interessasse qualcosa.
      Quindi ogni volta che sentite le autorità italiane o la Mogherini indignarsi e sbraitare «la Ue e l’Italia non hanno mai respinto nessuno» e altre cazzate fate loro due domande: Cosa ci fa allora una nave italiana a Tripoli a coordinare le operazioni?
      E due: ci state prendendo per il culo o cosa?
      La seconda è quella giornalisticamente più interessante.

    • Exclusive: Italy plans big handover of sea rescues to Libya coastguard

      ROME/TRIPOLI (Reuters) - Italy wants Libya’s coastguard to take responsibility within three years for intercepting migrants across about a tenth of the Mediterranean even as Libyan crews struggle to patrol their own coast and are accused of making deadly mistakes at sea.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-exclusive/exclusive-italy-plans-big-handover-of-sea-rescues-to-libya-coastguard-idUSK

    • Italy Strikes Back Again: A Push-back’s Firsthand Account

      Evidence is mounting about the Italian Navy’s involvement in facilitating the return of migrants to Libya. There have been alleged cooperation agreements between Italy and Libya to stem the flows to Europe, at the same time, as there have been accusations of pushbacks to Libya. In these cases, Italy stands accused of actively supporting the Libyan Coast Guard in committing unlawful acts, returning intercepted migrants to places where their lives or freedom would be threatened, or where they would face the risk of torture.

      https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2017/12/italy-strikes?platform=hootsuite

    • Vu sur twitter, le 15.02.2018 :

      Another patch of Libyan Coast Guards #LCG finished training in #Italy , certificates given during a ceremony in #Libya #Migration


      https://twitter.com/zakariyatz/status/963801317738209282

      Et avec ce commentaire de Gerry Simpson :

      A reassuring photo of the latest Libyan coastguards receiving certificates after Italy trained them to intercept refugees & migrants heading for the EU & return them to Libya to face guaranteed inhumane detention conditions and a real risk of torture

      https://twitter.com/GerrySimpsonHRW/status/963976898291355648

    • Italy Has Reportedly Delivered Further Vessels To Tripoli’s Coast Guard In Libya

      “Three further Italian patrol vessels have been delivered to the Libyan Coast Guard right in these days”, the Italian analyst Gerardo Pelosi has revealed on Il Sole 24 Ore while debating the military missions to Libya and Niger Rome approved last January.

      The news apparently echoes a similar one shared by the Libyan outlet Libya Observer‘s journalist Safa Al Harathy, who has written today an only vessel, the “106”, was delivered on February 22nd after being fixed in Tunisia:

      “the vessel 106 will join the vessels 109 and 111 at Khums port to contribute in securing the Libyan coast from Tajoura all along to Zlitan city in the east”,

      the Libya Observer reports.

      https://betweenlibyaanditaly.wordpress.com/2018/02/25/italy-has-reportedly-delivered-further-vessels-to-tr

    • Mancata ratifica parlamentare del memorandum Italia-Libia : al via il ricorso alla Corte Costituzionale

      Presentato un ricorso alla Consulta da alcuni parlamentari italiani contro il Governo che, non chiedendo la ratifica dell’ accordo, ha impedito loro di esercitare il diritto di discuterne e di votare, come stabilito dalla Costituzione . La scheda tecnica dell’ASGI sull’azione.

      https://www.asgi.it/primo-piano/mancata-ratifica-parlamento-memorandum-italia-libia-ricorso-corte-costituzional
      #memorandum

    • Italian work on Libya and migrants OK

      Italy’s work on migrants and Libya has been positive, Frontex chief #Fabrice_Leggeri told ANSA in an interview Tuesday.
      “Italy is working to use the resources allotted by the EU to find sustainable solutions for Libya” and the migrants held there, he said.
      "And for now it is going in the right direction, even though the conditions of the centres in Libya are not in line with our standards, and with basic humanitarian standards.
      “But that is not Italy’s fault, all the international community and not only the EU can help”.


      http://www.ansa.it/english/news/politics/2018/02/20/italian-work-on-libya-and-migrants-ok_1cfcf7d8-b477-452c-aedf-86c0cfd48b48.html
      #Frontex #Leggeri

    • Migranti, l’accordo Italia-Libia finisce davanti alla Corte costituzionale

      Era il 2 febbraio 2017 quando – alla vigilia di un importante vertice europeo a Malta in cui si sarebbe discusso anche di emergenza immigrazione – il Primo ministro Paolo Gentiloni siglava a Roma l’accordo col presidente del Governo di unità nazionale libico Fayez al-Serraj: un memorandum in cui l’Italia si impegnava nei confronti della Libia a fornire strumentazioni e sostegno militare, strategico e tecnologico, oltre a fondi per lo sviluppo, per bloccare le partenze dei migranti in fuga. Un accordo con un Paese, è bene ricordarlo, che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e nelle cui carceri i migranti sono quotidianamente oggetto di violenze e soprusi.

      https://left.it/2018/02/28/migranti-laccordo-italia-libia-finisce-davanti-alla-corte-costituzionale

    • Le patrouilleur 648 qui a menacé Open Arms, un cadeau de l’Italie à la Lybie.

      L’UE a entrainé l’équipage du bateau qui a joué un rôle dans plusieurs incidents avec des ONG de sauvatage.

      CRISTINA MAS Barcelona 25/03/2018 00:21

      Le bateau de patrouille des gardes-côtes libyens qui a menacé dans les eaux internationales les volontaires d’Open Arms le 15 mars afin qu’ils leur livrent les femmes et les enfants qu’ils étaient en train de secourir, était un cadeau de l’Italie à la Libye. La même embarcation, qui porte le numéro d’identification 648 et le nom de Ras al Jadar, a joué un rôle dans plusieurs autres incidents avec d’autres bateaux des ONG SeaWatch et SOS méditerranée, qui travaillent au sauvetage de naufragés en Méditerranée.

      Entre 2009 et 2010, le Premier ministre italien Silvio Berlusconi a alors accordé six patrouilles aux garde-côtes libyens dans le cadre de l’accord amical signé avec le dictateur libyen Mouammar Kadhafi. Le texte prévoyait la construction d’un système de radar dans le but de surveiller les frontières du désert et des patrouilles maritimes conjointes dans les eaux libyennes et internationales pour empêcher que des bateaux quittant la Libye arrivent en Italie.

      Mais la vie des six bateaux de patrouille donnés à Kadhafi – toutes du modèle Bigliani, qui étaient auparavant au service du corps militaire Guardia di Finanza - était aussi courte que la période à laquelle le dictateur a survécu au pouvoir. Le 17 février 2011, le printemps arabe atteint la Libye avec une révolte qui a déclenché une intervention de l’OTAN et s’est terminée avec la mort de Kadhafi huit mois plus tard. Deux des embarcations ont été détruites dans les combats, et les quatre autres, dont le 648, ont été réparés à l’usine navale de Fiamme Gialle de Miseno (Naples). En avril dernier, l’Italie les a rendue au gouvernement de Tripoli.

      L’incident du 15 mars avec Open Arms n’est pas le premier d’une ONG avec ce bateau de patrouille. Le 6 novembre, l’ONG allemande Sea Watch, travaillant dans la même région, a rapporté qu’à 30 miles de la côte libyenne la même patrouille a interféré dans un sauvetage.

      Les migrants à bord ont pris panique, le bateau des gardes-côtes les a rattrapé, certains naufragés ont pu grimper sur le bateau de patrouille sans que les agents ne les aident et, une fois à bord, comme on peut le voir sur la vidéo enregistrée par l’ONG, les gardes-côtes les ont frappés avec les amarres du bateau.

      Un jeune a tenté de descendre pour atteindre le bateau de l’ONG et est resté suspendu à l’échelle, au moment où le bateau libyen a accéléré et mis sa vie en danger. Au moins cinq migrants sont morts dans l’opération, des décès qui selon Sea Watch auraient pu être évités.

      Le 4 mars, le navire Aquarius, de l’ONG SOS Mediterranée, a également subi l’hostilité de la patrouille 648, qui s’est approchée d’eux au cours d’une collision sans répondre à leurs avertissements radio et finalement ils leur ont ordonné de quitter le site, à 17 milles au large de la côte, alors même s’ils étaient à la recherche d’un bateau.

      Un autre vaisseau d’Open Arms a eu, en août, un incident avec un autre bateau de patrouille donné par l’Italie, le 654, qui les a menacé avec deux rafales de balles tirée en l’air et une semaine plus tard les a forcés à naviguer pendant environ deux heures en direction de Tripoli en disant qu’ils étaient sous sa protection.

      Rome et l’ensemble de l’UE ont choisi l’un des trois gouvernements qui se disputet le pouvoir dans la guerre civile en Libye, celui dirigé par le Premier ministre Faiez al-Sarraj, qui a le soutien de l’UE et de l’ONU, mais ne contrôle seulement qu’un tiers du pays. La Libye est plongée dans un conflit sans front avec des centaines de milices armées.

      Le Premier ministre italien Paolo Gentiloni et Al-Sarraj ont signé le 2 février 2017 un protocole d’accord - dans le cadre de l’accord signé par Berlusconi et Kadhafi - qui établit une coopération bilatérale dans les domaines du développement, l’immigration illegale, le trafic d’êtres humains, la contrebande et le renforcement de la surveillance des frontières entre l’Italie et la Libye. L’Italie livrera à Tripoli six patrouilles supplémentaires totalement neuves.

      L’Espagne s’est proposé de former 100 garde-côtes libyens dans la base navale de Carthagène. Dans le cadre de l’opération Sophia de l’OTAN, le programme de formation de la Garde côtière libyenne financé par l’UE avec 46 millions d’euros a déjà formé 93 agents dans un navire italien et dans un autre navire néerlandais. 43 officiers supplémentaires ont été formés en Crète, à Malte et à Rome.

      Human Rights Watch lance un cri d’alarme : « Aider les autorités libyennes à capturer des immigrés en haute mer, sachant qu’ils les rendront à un traitement cruel, inhumain ou dégradant dans une détention arbitraire, expose l’Italie et d’autres pays de l’UE à participer à une violation grave des droits de l’homme ». Les accusations ne viennent pas seulement des ONG. Le groupe d’experts de l’ONU sur la Libye a rappelé que « les abus contre les migrants ont été largement collectés, y compris les exécutions, la torture ou la privation de nourriture, d’eau et de médicaments », et prévient que « le département contre l’immigration (libyen) et la garde côtière (italienne) sont directement impliqués dans ces graves violations des droits de l’homme. » Avec les accords d’externalisation du contrôle des frontières de l’UE, le témoignage des ONG en Méditerranée centrale devient de plus en plus gênant."

      Traduction, reçu via la mailing list de Migreurop, de cet article paru en catalan:
      La patrullera #648 que va amenaçar Open Arms, un regal d’Itàlia a Líbia

      La UE va entrenar la tripulació del vaixell que ha protagonitzat diversos incidents amb ONGs de rescat


      https://www.ara.cat/internacional/patrullera-amenacar-Open-Arms-Libia_0_1984601662.html
      #Open_arms

    • Texte publié par SOS Méditerranée, sur twitter (17.04.2018) :

      UPDATE while searching for the boat in distress, the #Aquarius was informed the Libyan coastguard took coordination over 2 boats in distress today. This means more people were taken back to a place where their safety is not guaranteed.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986294580097224705

      v. aussi :

      UPDATE The #Aquarius was alerted to a boat in distress earlier today. This afternoon, the crew of the #Aquarius found this empty and slashed rubber boat in international waters off the coast of #Libya.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986267126087503872

      #refoulement #push-back

    • Cercate i guardacoste libici? Telefonate a Roma: 06/…

      È un numero di telefono a rivelare il rapporto, forse un po’ troppo stretto, tra Roma e Tripoli. Una utenza che corrisponde a un interno della Marina militare italiana, stampato, come recapito del mittente, su un modulo di messaggi utilizzato dalla Guardia costiera libica. Il documento, di cui pubblichiamo il dettaglio, ha consultato porta la […]

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/cercate-i-guardacoste-libici-telefonate-a-roma-06

    • Sur le site de la Défense italienne...
      Un article de août 2017:
      Nave #Tremiti nel porto libico di #Abu_Sittah

      Dopo il pattugliatore Comandante Borsini che ha sbarcato nel porto militare di Tripoli (Abu Sittah) il personale italiano che opererà a supporto della Guardia costiera libica, è giunta ieri nel porto della nostra ex colonia Nave Tremiti, una delle 6 unità da 750 tonnellate per il trasporto costiero della Classe Gorgona.

      La nave è destinata a garantire supporto tecnico ai mezzi navali libici nell’ambito della cooperazione italo-libica e in applicazione dell’accordo tra i due Paesi del 2008 “riesumato” dal governo di Fayez al-Sarraj.


      http://www.analisidifesa.it/2017/08/nave-tremiti-nel-porto-libico-di-abu-sittah

      –-> j’aime bien l’expression «accordo riesumato» = «accord ressuscité»

      Et puis cette nouvelle, de 30 mars 2018:
      Missioni Militari: Nave #Caprera sostituisce la #Capri nella missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia

      È previsto nella giornata di oggi il “passaggio di consegne” tra Nave Capri e Nave Caprera nell’ambito della Missione Bilaterale di Assistenza e Supporto in Libia.

      In particolare, a questo assetto navale compete, prioritariamente, l’attività di supporto logistico e tecnico-manutentivo dei battelli della Marina e della Guardia Costiera libiche. Nave Caprera giungerà domani al porto di Tripoli, da dove comincerà la sua missione della durata di circa quattro mesi.

      Nave Capri aveva iniziato la sua attività a dicembre dello scorso anno, subentrando a Nave Tremiti, e nei suoi circa quattro mesi di missione ha svolto consulenza e formazione del personale militare libico della Marina e della Guardia Costiera nelle attività di manutenzione, riparazione e ripristino dell’efficienza delle unità navali libiche.

      L’operazione, inizialmente inquadrata nell’operazione “Mare Sicuro”, era stata avviata ad agosto dello scorso anno, in seguito alla richiesta di supporto avanzata dal Governo di Accordo Nazionale libico al Governo italiano. Per assolvere con efficacia i compiti assegnati, a bordo delle unità navali italiane della “classe Gorgona” – selezionate per alternarsi in questo specifico incarico di natura tecnico-logistica – è prevista la presenza di un container attrezzato a officina meccanica, oltre che di due ulteriori team di personale tecnico-specialistico.

      https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Libia_Missione_bilaterale_di_supporto_e_assistenza/notizie_teatro/Pagine/Nave_Caprera_sostituisce_la_Capri_nella_missione_bilaterale_di_assistenza_e_s

      #operazione_Mare_Sicuro

    • "Playing with Molecules": The Italian Approach to Libya

      Cette étude met en lumière la manière dont la politique étrangère italienne a choisi en Libye de traiter avec les divers éléments, ou « molécules », d’un pays entré en décomposition.
      La politique impulsée par le gouvernement Gentiloni, et en particulier le ministre de l’Intérieur Marco Minniti, a composé avec les différents acteurs pour « repriser » et stabiliser le terrain, afin de mieux gérer les flux de migrants et les activités illégales en Méditerranée, mais aussi de sécuriser l’approvisionnement énergétique de l’Italie. Cette approche « moléculaire » est à double tranchant : alors que les flux migratoires se sont réduits, que les relations économiques s’intensifient et que les coopérations informelles créent de nouveaux espaces de dialogue, le manque de vision stratégique dans la mise en avant de nouveaux acteurs pourrait nuire aux perspectives de paix et in fine, aux relations entre l’Italie et la Libye.


      https://www.ifri.org/fr/publications/etudes-de-lifri/playing-molecules-italian-approach-libya

    • Most Libyan militias involved in illegal migration activities nominally affiliated to official state security institutions: UN Libya Experts Panel report

      Most Libyan militias involved in illegal migration activities are nominally affiliated to official state security institutions, the UN Libya Experts Panel report states in its section on human trafficking and financing of armed groups.

      ‘‘Armed groups, which were party to larger political-military coalitions, have specialized in illegal smuggling activities, notably human smuggling and trafficking. The drastic rise in the numbers of migrants starting in 2014 indicates that illegal migration in Libya is not the preserve of isolated armed groups but of much larger coalitions. Most armed groups involved in these illegal activities were nominally affiliated to official security institutions. In 2014, the number of migrants that took the central Mediterranean route (great majority through Libya) was 170,664, compared to 45,298 and 15,151, respectively in 2013 and 2012.

      Role of SDF and links with smugglers

      The Special Deterrence Force (SDF) is an armed group affiliated to the Government of National Accord’s Ministry of Interior, with policing and security functions, including investigation of human traffickers and the arrest of illegal migrants.

      Testimonies of migrants, originating from Eritrea, reveal that when they reached Tripoli from Bani Walid in July 2016, they were arrested by SDF. They confirmed that, once arrested by SDF, they were handed over, against payment, to various migrant smuggling rings for onward journeys to Zawiyah and Sabratha.

      Some were handed over to the Mitiga detention centre, while others were taken to the Tajura and Abu Slim detention centres. These three centres are theoretically subordinated to the Ministry of Interior’s Department Combatting Illegal Migration (DCIM). The group detained in Mitiga had to pay the SDF between 300 and 400 USD each, for their release and transfer from Tripoli to Sabratha.

      Four Bangladeshis told the Panel that they landed in Tripoli from Dhaka on 15 July 2015, holding valid Libyan work visas. On arrival, SDF seized their passports and detained them for three months in Mitiga. They were subsequently transferred to Sabratha, and sent on boats against their will to Europe after being extorted of 300 USD paid in cash to the SDF elements.

      The Panel is assessing whether the SDF’s leadership was aware of collusion and trafficking being conducted within its ranks.

      Role of Eritrean smugglers

      In Tripoli, a well-structured network of smugglers coming from East Africa has operated since 2008. Multiple testimonies collected and corroborated by judicial authorities indicate that the leadership is composed of two Eritreans living in Tripoli, Ermias Ghermay and Abd al-Razzak Fitwi.

      They play a key role in organizing the smuggling from the migrants’ homeland to Italy against substantial payments. Interviewees claimed that Fitwi acts as a broker and receives up to 1,500 US dollars per person, to release the migrants held in the official detention centres in Tripoli and to send them to Sabratha.

      An armed group member from Tripoli, told the Panel that Fitwi and Ghermay paid substantial fees to prominent armed groups to pursue their activities and to guarantee their safety. They also have private detention camps in Tajura, Abu Slim and Gargaresh guarded by Africans. From there they transport migrants to Sabratha or Zawiyah.

      Use of State detention facilities for trafficking

      The Directorate Combatting Illegal Migration (DCIM) is responsible for 24 detention centres and employs 5,000 staff. Under Libyan legislation, the migrants are detained because they are considered as illegal aliens, subject to investigation by judicial authorities.

      According to international agencies, the DCIM has no control over its detention centres. The administration is almost non-existent, and records on the migrants, who have been detained, are poor. A minister of the GNA admitted in a discussion that the armed groups are stronger than the authorities in handling the flows of migrants. Several migrants also confirmed that the local armed group controlled the centres they stayed in.

      Smugglers in Sabratha

      Sabratha is the main departing point of migrants to Italy. The city is divided between two competing armed groups involved in migrant smuggling. The eastern zone is under control of Mosab Abu Grein al Wadi armed group. The western zone is held by Ahmad al-Dabbashi’s Martyr Anas al-Dabbashi Brigade.

      Anas al-Dabbashi Martyr Brigade

      The commander of Anas al-Dabbashi Martyr’s Brigade, Ahmad al-Dabbashi (alias al- ‘Amu), was the main smuggler in Sabratha from 2014 until he was ousted in October 2017. West African migrants rescued in Lampedusa in April 2017 testified in Italy on al-Dabbashi’s modus operandi.

      The interviewees were forced to call their families to transfer money to specific bank accounts located in Europe, Africa or the Middle East. From October 2016 to April 2017, they had to pay up to 2,000 USD each for their travel. The money was extorted by armed guards composed of Libyans, Nigerians and Gambians. The African guards work for three months to pay their own migration to Europe. The interviewees sailed, on 13 April 2017, with two of their former guards from Sabratha to Lampedusa.

      The Panel is investigating the GNA’s creation and financing of the anti-illegal migration unit, “Brigade 48”. Although it was supposedly under the Ministry of Defence and the Chief of Staff, sources stated that al-Amu’s brother, Mohamed al-Dabbashi, headed it. In summer 2017, al-Dabbashi’s brigade had apparently shifted from trafficking to policing migrants for the GNA’s account.

      Furthermore, several open sources reported an alleged deal with al-Dabbashi to contain the migration flows from Sabratha. Although the information was denied, it triggered violent clashes between competing armed groups involved in smuggling. Ahmad al-Dabbashi was defeated and escaped Sabratha on 6 October 2017. The PC dissolved the Brigade 48 on 16 November 2017.

      Role of Mos’ab Abu Grein

      Mos’ab Abu Grein (alias “The Doctor”), a leader of al-Wadi Brigade, operates in the eastern part of Sabratha. He is connected to a network of smugglers composed of Salafi armed groups in Tripoli, Sebha and Kufra. The Panel interviewed three different Eritrean migrants who reported that they were taken from SDF’s Mitiga detention centre to the Abu Grein facility in Sabratha in July 2016. They were detained in a hangar with African guards from where Abu Grein organizes departures on inflatable rubber boats to Italy.

      The interviewees said they paid Abu Grein 1,500 USD cash via a Nigerian broker to cross the Mediterranean. According to official sources, Mos’ab Abu Grein enjoys impunity for his activities in migrant smuggling because he collaborates with the SDF to counter drug traffickers, consumption of alcohol and combats alleged links of Sabratha and Zawiyah traffickers to listed entities such as ISIL.

      Abu Grein and Dabbashi have been in close competition, both seeking to monopolize the trafficking in Sabratha. From 21 September, Abu Grein supported the anti-ISIL Operation Room (AIOR) to combat the Brigade 48 armed group. The Panel notes that the warring parties, the AIOR and the Brigade 48, were officially financed by the GNA until the conflict broke out in Sabratha.

      Zawiyah

      Al Nasr Brigade and the Coast Guards

      Between Tripoli and Sabratha, Zawiyah port plays a distribution role. According to interviews of migrants and judicial reports, ‘Al Nasr Brigade’ 56, headed by Mohamed Koshlaf, and Zawiyah Coast Guards, was connected to Ahmad al-Dabbashi’s organization. Several migrants paid 100,000 to 150,000 Francs CFA57 to a Burkinabe broker operating between Koshlaf and the migrants.

      Other interviewees, who travelled in April 2017, asserted that their group left Zawiyah by night, crammed on a 10-meter inflatable rubber boat. While at sea, men with an official boat and wearing Coast Guard uniforms stopped them. They shot in the air and extorted the passengers’ money and valuables. When the boat arrived at calling distance off the Italian shores, the same official boat returned to seize the rubber boat’s engine. Similar incidents have been reported previously.

      Southern Region

      Brigade Subul al-Salam

      Eritrean and Ethiopian interviewees described their transfer, in January 2015, from the Sudanese border to Al Kufra. An Eritrean fixer, called Afra Waiki, transported and handed them over to an armed group, Brigade Subul al-Salam, affiliated with the LNA and under the command of Abd al Rahman Hashem from the Zway tribe in al-Kufra.

      The interviewees said they were put in a prison where the guards were dressed in police uniforms and driving official police cars. For their release, each migrant had to transfer up to 300 USD to a foreign bank account. In July 2015, they could continue their travel to Bani Walid driven by another Eritrean fixer known as Wadi Isaaq.

      Role of Tebu armed groups and Sudanese armed groups

      Sources indicated active involvement of Tebu and Darfuri armed groups, supported by Darfuri mercenaries in the south, in migrant smuggling. They operate particularly in the Tamassa region, in the south west of Jebel Arrush, Murzuq and al Kufra. The Tebu manage their own warehouses for migrants while Darfuri armed groups provide protection and escort to the traffickers.

      Recent developments have shown attempts to counter the groups involved in migrant smuggling. In September 2017, an armed group called the ‘Suqur al Sahara’ headed by the Tebu commander, Barka Shedimi, claimed the closure of the borders with Niger, Sudan and Chad to halt human trafficking. Similarly, a coalition of armed groups linked to Murzuq Municipality also created their own border protection force. The Panel is investigating these decisions, particularly the political and the financial motivations behind them”.

      https://www.libyaherald.com/2018/03/11/most-libyan-militias-involved-in-illegal-migration-activities-nominally
      signalé par @isskein via Fulvio Vassallo sur FB

    • Sauvetage de migrants : tensions entre gardes-côtes et ONG au large de la Libye

      Plusieurs associations dénoncent le traitement infligé aux migrants par les garde-côtes libyens. Ces derniers travaillent en coordination avec l’Italie.

      Toujours pas d’apaisement en Méditerranée entre ONG et gardes-côtes libyens. Ce week-end, plusieurs navires humanitaires souhaitant s’approcher d’embarcations de migrants en détresse se sont vus refuser l’accès.

      « Les Libyens agissent comme des pirates dans les eaux internationales, exigeant que leur soit reconnue une autorité. Ils agissent hors du droit et ils le font avec des moyens fournis par le gouvernement italien », a accusé sur Twitter le député italien de gauche Riccadro Magi. Samedi, il était à bord de l’Astral, un voilier appartenant à l’ONG Proactiva Open Arms, lorsqu’une vedette libyenne a ordonné au navire de s’éloigner.

      Bis repetita dimanche avec l’Aquarius. Ce bateau, affrété par SOS-Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF) avait été prévenu par les gardes-côtes italiens de la présence d’un canot surchargé au large de Tripoli. Mais Rome a aussi prévenu ses homologues libyens, qui ont pris la coordination de l’opération et interdit au navire de s’approcher. Leur a également été demandé de s’éloigner quand des migrants ont sauté à l’eau pour tenter d’éviter d’être reconduits en Libye. En début de soirée, la marine libyenne a annoncé avoir secouru plus de 300 migrants dans trois opérations distinctes, faisant état d’un mort et d’un disparu.

      Flou autour de l’identité de ces gardes-côtes

      Le porte-parole de la marine libyenne a prévenu que les tensions avec les ONG risquent de s’aggraver dans les prochains jours, les navires humanitaires « s’approchant de plus en plus » des eaux libyennes, selon M. Kacem. La Libye, qui accuse les ONG d’être liées aux réseaux de passeurs, est soutenue par l’Italie et l’Union européenne qui finance la formation de ces officiers dans cette région en proie aux tensions inter-tribales.

      « Certains ont des uniformes mais on ne sait pas qui ils sont vraiment, décrivait pour le Parisien Francis Vallat, président de SOS Méditerranée. Certains dépendent du gouvernement libyen reconnu internationalement, tandis que d’autres relèvent de chefs féodaux plus ou moins provinciaux. On ne sait pas si ces gens respectent le droit. En tout cas, ils ont une attitude qui permet d’en douter. »

      LIRE AUSSI >Des migrants « secourus » sur fond d’accusations de traitements inhumains

      Trois responsables de l’ONG Proactiva Open Arms font actuellement l’objet d’une enquête judiciaire en Italie pour avoir refusé de remettre des migrants aux Libyens lors d’une opération mi-mars. Même si un juge a estimé qu’ils avaient agi « en état de nécessité » compte tenu de l’insécurité pour les migrants en Libye.
      La crainte de l’« enfer libyen »

      Le pays fait régulièrement l’objet de critiques pour les traitements infligés aux migrants, notamment africains, qui passent sur son territoire dans l’espoir de rejoindre l’Europe pour une vie meilleure. En novembre, CNN révélait au monde abasourdi l’existence de ventes aux enchères d’hommes réduits aux rangs d’esclaves, dans une vidéo glaçante tournée près de Tripoli, la capitale libyenne.

      Cette semaine, MSF a dénoncé la situation dans un centre de détention libyen à Zouara (ouest), où ses équipes ont vu plus de 800 personnes tellement entassées qu’elles ont à peine la place de s’allonger, « sans un accès adéquat à l’eau et à la nourriture ».

      LIRE AUSSI >Esclavage en Libye : Ousmane a vécu six mois d’enfer dans les geôles libyennes

      La coordination entre Rome et Tripoli a fait chuter drastiquement les départs vers les côtes européennes. Selon les autorités italiennes, près de 9 500 migrants ont débarqué cette année, soit une baisse de 75 % par rapport à la même période en 2017. Dans le même temps, les gardes-côtes libyens ont secouru et ramené en Libye plus de 5 000 migrants, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), qui fait aussi état d’un bilan d’au moins 379 morts ou disparus au large de la Libye.

      http://www.leparisien.fr/international/sauvetage-de-migrants-tensions-entre-gardes-cotes-et-ong-au-large-de-la-l

    • Riportati dalla Guardia costiera in Libia, torturati e venduti : le associazioni fanno ricorso alla CEDU

      Ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani contro l’Italia per aver coordinato la Guardia Costiera libica nei respingimenti che hanno portato ad abusi e al decesso di migranti

      Il 6 Novembre 2017 l’ONG Sea-Watch è stata ostacolata dalla Guardia Costiera Libica durante un’operazione di salvataggio di 130 cittadini migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. Almeno venti dei migranti sono morti, tra cui due minori. L’intervento è stato coordinato a distanza dal Centro di Coordinamento Marittimo (MRCC) della Guardia Costiera italiana e la motovedetta libica coinvolta era stata donata dal governo italiano alcuni mesi prima. La Guardia Costiera libica ha poi riportato in Libia quarantasette dei sopravvissuti, che sono stati rinchiusi in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri. Due di loro sono stati successivamente “venduti” e torturati con elettrochoc. Nella conferenza stampa verrà illustrato il ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani e verrà presentato un rapporto audio-visivo prodotto da Forensic Oceanography/Forensic Architecture che ricostruisce questo ed altri casi di respingimento.

      https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/migranti-libia-guardia-costiera-cedu
      #CEDH

    • Un article d’avril 2017

      L’accordo tra Italia e Libia potrebbe favorire il traffico di migranti

      A Gaeta è una giornata di sole, i battaglioni della guardia di finanza sono schierati davanti al mare sulla terrazza della caserma Bausan, stretta tra il golfo e la cittadina fortificata. In mare le due motovedette che l’Italia restituirà alla guardia costiera libica si esibiscono in caroselli a sirene spiegate. Un elicottero sorveglia la parata. Il ministro dell’interno Marco Minniti è arrivato da Roma per assistere alla riconsegna alla guardia costiera libica di due motovedette. Erano state donate dall’Italia alla Libia nel 2009, ma erano state danneggiate nel 2011 durante la guerra in Libia, e restituite agli italiani nel 2012.

      “Entro l’anno ne saranno consegnate in tutto dieci”, dice il ministro, che nel suo discorso definisce la guardia costiera libica “la più importante struttura nel Nordafrica” per il controllo dell’immigrazione irregolare. Poco dopo, Minniti consegna i diplomi ai venti cadetti libici che hanno seguito un corso di addestramento a Gaeta per tre settimane. Altri diciannove saranno formati nelle prossime settimane dalla scuola nautica della guardia di finanza, per un totale di quattro equipaggi.

      L’obiettivo del governo italiano, espresso nel memorandum d’intesa con la Libia firmato il 2 febbraio, è affidare ai libici il pattugliamento delle coste e il recupero dei migranti che salpano ogni giorno dalle coste del paese africano a bordo d’imbarcazioni di fortuna. Dall’inizio del 2017 ne sono stati soccorsi più di 30mila, mentre quelli che hanno perso la vita durante la traversata sono stati più di mille. Il presidente del governo di unità nazionale (Gna) di Tripoli, Fayez al Sarraj, ha chiesto all’Italia di investire 800 milioni di euro nella cooperazione per fermare l’arrivo dei migranti.

      Adel, Hamza e Omar sono alcuni degli ufficiali della guardia costiera libica che partecipano alla cerimonia di Gaeta: maglione blu a coste e cappellino da baseball. “In Libia la situazione non è per niente tranquilla”, dice Adel, gli occhi verdi e il volto scavato, in un italiano stentato, dopo la fine della cerimonia, mentre mangia pasticcini insieme ai compagni sotto coperta, all’interno della motovedetta appena riconsegnata a cui è stato dato il nome di Sabratha. “La guerra non è proprio finita”, continua Adel sorridente.

      Alleati affidabili?
      Il governo italiano conosce bene la situazione drammatica in Libia e molte inchieste hanno denunciato casi di corruzione della guardia costiera del paese, eppure Roma sembra determinata a perseguire il suo progetto di cooperazione con Tripoli per fermare la partenza dei migranti, anche se il memorandum d’intesa è stato sospeso dalle autorità libiche, nell’attesa che un tribunale ne stabilisca la legittimità.

      “Fermeremo le imbarcazioni che partono dalla Libia”, ha detto Ahmed Safar, l’ambasciatore libico in Italia. “Quelli che saranno soccorsi saranno portati nei centri di detenzione più vicini”, ha assicurato durante la cerimonia di Gaeta. La rete televisiva tedesca Ard ha rivelato che il governo di Tripoli ha chiesto all’Unione europea di armare la guardia costiera libica con altre 130 imbarcazioni di vario tipo, alcune delle quali dotate anche di mitragliatrici per fermare la partenza dei migranti dalle coste.

      Molti esperti, tuttavia, hanno espresso il timore che i fondi stanziati dall’Italia e dall’Unione europea per finanziare la guardia costiera libica finiscano indirettamente nelle mani dei trafficanti. Un’inchiesta di Nancy Porsia per Trt World, infatti, ha mostrato che il capo della guardia costiera a Zawiya, Abdurahman Milad, è una delle figure chiave del traffico di esseri umani nella regione.

      Milad è accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. “Le mafie si sono infiltrate, ricattano molte delle unità di polizia, delle guardie costiere delle città e dei villaggi libici”, aveva detto una fonte della sicurezza italiana all’inviato del quotidiano italiano Repubblica in Libia Vincenzo Nigro.

      “In Libia non si può parlare di un’unica guardia costiera, ma di un’istituzione che rimane espressione delle realtà locali”, spiega Gabriele Iacovino, esperto di Libia del Centro di studi internazionali (CeSI). “Una cosa è la guardia costiera di Misurata, un’altra quella di Zawiya. In particolare, in questa regione della Libia, i poteri locali sono nemici delle milizie che controllano Tripoli”.

      Iacovino spiega che non si può escludere che in alcune zone “esponenti della guardia costiera libica si facciano pagare delle tangenti dai trafficanti per consentire alle imbarcazioni di lasciare la costa e giungere nelle acque internazionali”.

      Questa ipotesi è stata confermata da un rapporto dell’operazione navale europea EunavforMed, citato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che denuncia la collusione tra la guardia costiera di Zawiya e i trafficanti di esseri umani. In un articolo, pubblicato sull’Espresso, i giornalisti Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi hanno descritto un fenomeno simile: la guardia costiera libica vende le persone recuperate in mare alle milizie, che gestiscono dei centri di detenzione illegali.

      Nell’agosto del 2016 una nave dell’ong Medici senza frontiere, che soccorreva i migranti in mare, è stata attaccata da un’imbarcazione della guardia costiera libica; il 21 ottobre del 2016 una nave dell’ong tedesca Sea-watch ha denunciato che la guardia costiera libica ha picchiato i profughi imbarcati su un gommone al largo della Libia. Un video pubblicato dal Times nel febbraio del 2017 mostra, infine, percosse e maltrattamenti dei guardacoste libici ai migranti.

      Il mercato degli schiavi
      “I migranti spesso ci dicono che preferirebbero morire piuttosto che tornare in Libia”, racconta Riccardo Gatti dell’organizzazione non governativa spagnola Proactiva open arms, che effettua soccorsi in mare. “Mi ricordo di un ragazzo bangladese che aveva minacciato di buttarsi in mare quando un’imbarcazione della guardia costiera libica si era avvicinata alla nostra nave”. Dall’inizio del 2017 i guardacoste e i pescatori libici hanno recuperato circa quattromila migranti al largo della Libia, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, conferma: “I trafficanti dicono ai migranti di mettersi in mare prima di giugno, cioè prima che la guardia costiera libica sia di nuovo attiva e impedisca la partenza delle imbarcazioni”.

      Di Giacomo aggiunge: “Sappiamo che ci sono persone che collaborano con la guardia costiera e che in realtà sono trafficanti”. L’Oim ha recentemente denunciato un “mercato degli schiavi” in cui una persona può essere venduta per duecento dollari. “Da anni i migranti ci raccontano che in Libia vengono sequestrati da miliziani che chiedono un riscatto alle famiglie per liberarli oppure li vendono ad altri trafficanti”, racconta Di Giacomo.

      “Non appena passano il confine tra il Niger e la Libia e arrivano a Sabha, i migranti cadono nelle mani delle milizie. Sono rapinati, rapiti, reclusi nei centri di detenzione. A Sabha corrono il rischio di essere venduti in un vero e proprio mercato degli schiavi, come lo definiscono loro stessi, che si svolge nei parcheggi e nelle piazze”, spiega Flavio Di Giacomo.

      L’ambasciatore libico in Italia ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri per migranti

      L’Oim è una delle poche organizzazioni umanitarie ad avere accesso a una decina di campi di detenzione intorno alla capitale libica, Tripoli, dove sono rinchiuse circa seimila persone. In totale, secondo le Nazioni Unite, ci sono una cinquantina di campi in tutto il paese, ma i centri dove sono reclusi i migranti potrebbero essere molti di più. “Più lavoriamo in Libia, più ci rendiamo conto che è una valle di lacrime per i migranti. I centri sono prigioni, posti disumani”, spiega Di Giacomo. La sua denuncia è confermata da Arjan Hehenkamp, direttore generale di Medici senza frontiere, che ha visitato sette campi intorno a Tripoli e assicura che in Libia “tutti i campi di detenzione sono in mano alle milizie, non ci sono campi controllati dal governo”.

      Hehenkamp si è detto sconvolto da ciò che ha visto nei centri: “Persone che non hanno più dignità né autonomia, a completa disposizione dei carcerieri. Alcuni mi hanno raccontato di nascosto, sussurrando, gli abusi subiti: non possono parlare e sono terrorizzati dalle ritorsioni”.

      L’ambasciatore libico in Italia, Ahmed Safar, ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri, ma ne ha minimizzato l’importanza. “Le violazioni ci sono state e ce ne saranno ancora nei campi, ma non possiamo generalizzare”, ha detto il 21 aprile a Gaeta. “In Libia non ci sono nemmeno le leggi per regolarizzare la presenza di cittadini stranieri, perché la Libia è un paese di transito. Ci sono campi di detenzione, campi per il rimpatrio, campi dove si aspetta di essere espulsi. Il governo libico ha bisogno del sostegno dei partner europei per garantire una situazione migliore”, ha concluso.

      Una frontiera che non esiste
      Per fermare l’arrivo di migranti in Europa, l’Italia sta investendo anche sul controllo della frontiera meridionale libica, un’area di confine in mezzo al deserto, da secoli attraversata dalle rotte migratorie e controllata dai trafficanti. Il 31 marzo a Roma il governo italiano si è fatto garante di un accordo di pace firmato da una sessantina di gruppi tribali che vivono nel sud del paese e che dall’inizio della guerra civile se ne contendono il controllo. Dopo la firma dell’accordo di pace, il ministro Minniti ha precisato che “una guardia di frontiera libica pattuglierà i cinquemila chilometri della frontiera meridionale del paese”.

      Minniti ha ribadito che mettere in sicurezza quel confine significa “mettere in sicurezza la frontiera meridionale dell’Europa”. Molti hanno però sollevato dubbi sul fatto che questo accordo possa funzionare, sia per la vastità della zona da controllare sia per gli interessi in gioco. “Si tratta di zone desertiche, molto insicure, zone che da sempre sono lo scenario di traffici di armi, di droga e di esseri umani”, spiega Giuseppe Loprete dell’Oim, che è appena tornato da una missione al confine tra il Niger e la Libia.

      “Le popolazioni dei tubu e dei tuareg presenti in Libia sono presenti anche in Niger, la frontiera per loro non esiste. Tra il nord del Niger e il sud della Libia c’è un rapporto di continuità: è importante che le comunità locali siano coinvolte in qualsiasi tipo di negoziato”, dice Loprete che sottolinea un aspetto importante, ma sottovalutato: “L’immigrazione irregolare è una fonte di guadagno per le comunità locali”.

      Dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali

      Lo conferma Virginie Colombier, esperta di Libia e ricercatrice dell’Istituto universitario europeo di Fiesole: “Soprattutto dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali del sud e dell’ovest della Libia”. Questa regione è il principale punto d’ingresso in Libia dei migranti che arrivano dall’area del Sahel e, più in generale, dall’Africa subsahariana.

      Si tratta di una zona isolata, dove non ci sono infrastrutture, reti di comunicazione, strutture sanitarie. In quella regione, inoltre, sono in gioco importanti interessi economici internazionali: passano i principali traffici illeciti diretti in Europa e in Nordafrica (commercio di droga e di armi) e ci sono pozzi petroliferi. “L’Italia ha tutto l’interesse a ristabilire la sicurezza nel sud e nell’ovest del paese, perché in quel territorio sono presenti alcune grandi aziende italiane attive nel settore del petrolio e del gas”, spiega Colombier.

      Secondo la studiosa francese, il governo di AlSarraj non riesce ad assicurare il controllo del territorio e per questo Roma ha deciso di intraprendere azioni dirette come l’accordo tra i gruppi tribali del sud del paese. “Una delle questioni centrali è la situazione nella città di Sabha; il centro urbano più popoloso dell’area, conteso tra i diversi gruppi”, continua Colombier.

      Prima del 2011, alcuni accordi di pace informali avevano garantito al governo di Tripoli di controllare – almeno in parte – il confine, ma questi accordi sono falliti dopo la caduta di Muammar Gheddafi e diverse tribù hanno cominciato a contendersi il controllo delle principali rotte dei traffici illegali. L’Italia sta cercando d’intervenire e di ritagliarsi un ruolo di mediatrice, “un passo preliminare che potrebbe assicurare agli italiani un’influenza nella regione anche in futuro”. Tuttavia, secondo Colombier, “l’accordo difficilmente avrà effetti concreti nel breve periodo, né servirà a fermare l’immigrazione irregolare”.

      Per Gabriele Iacovino al momento una delle questioni problematiche è l’interesse che il generale Khalifa Haftar, in conflitto con il governo di Tripoli, ha manifestatoperalcuni impianti petroliferi nella regione di Sabha. Queste azioni militari non fanno altro che minacciare i fragili equilibri nella regione meridionale del paese. “Interrompere il cessate il fuoco tra tebu e tuareg, le due principali tribù nel sud del paese, può compromettere ulteriormente il processo di stabilizzazione del paese”, conclude Iacovino.

      Nel frattempo, però, la situazione in Libia è talmente disperata che sta aumentando il numero di persone disposte a tornare in Niger. Lo conferma l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che ha osservato il fenomeno nei suoi cinque centri per migranti in Niger. “Quelli che sono abbandonati nel deserto, quelli che non ce la fanno ad arrivare sulla costa, quelli che hanno finito i soldi, tornano spesso in Niger, nel nostro centro a Dirkou”, racconta Loprete. Quando tornano hanno storie disperate. Hanno fatto il viaggio, con tutte le difficoltà che comporta, ma non hanno ottenuto quello che speravano.

      https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/29/italia-libia-migranti-guardia-costiera

    • Meeting of Libyan, Italian officials revolve around illegal migration, southern borders security

      Libyan officials from different authorities met with the Italian ambassador to Libya, Giuseppe Perrone, and a delegation from the Italian defense and interior ministries as well as representatives of the Italian Prime Minister at the coast security department’s headquarters in Tripoli on Thursday.

      https://www.libyaobserver.ly/news/meeting-libyan-italian-officials-revolve-around-illegal-migration-sout

    • Libia-Italia: ministro Interno #Minniti atteso oggi a Tripoli

      Tripoli, 15 mag 09:35 - (Agenzia Nova) - Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, è atteso oggi a Tripoli per una visita a sorpresa. Lo hanno riferito ad “Agenzia Nova” fonti libiche secondo le quali il titolare del Viminale incontrerà funzionari del governo di accordo nazionale. Minniti dovrebbe tenere una conferenza stampa nel corso della giornata nella base navale di Abu Seta, vicino Tripoli. La scorsa settimana il coordinamento tra la Guardia costiera libica e italiana ha portato al primo salvataggio in mare di 498 migranti al largo delle coste di Sabrata, nella Libia occidentale. L’11 maggio si è tenuta nella capitale libica una riunione del Comitato misto per la lotta contro l’immigrazione illegale tra Italia e Libia, nel quale è stato fatto il punto sul programma di rafforzamento delle capacità della Guardia costiera e della Guardia di frontiera del paese nordafricano. Durante la riunione è stata espressa soddisfazione per l’operazione di salvataggio dei 500 migranti. L’Italia ha recentemente consegnato alla Guardia costiera libica due motovedette riparate nel nostro paese. Le due motovedette erano state inviate in Italia nel 2013 per essere riparate e sarebbero dovute rientrare in servizio nell’agosto del 2014.

      Lo scorso 2 febbraio il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, e il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, hanno firmato a Roma un memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e l’Italia. L’accordo prevede che la parte italiana si impegni “a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. Non solo: l’intesa prevede anche il “completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia”, “adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza”, “la formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza”, “sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia nel campo delle migrazioni a proseguire gli sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei propri paesi d’origine”. (Lit) © Agenzia Nova - Riproduzione riservata

      https://www.agenzianova.com/a/59195c42c137d4.06358231/1565108/2017-05-15/libia-italia-ministro-interno-minniti-atteso-oggi-a-tripoli/linked

    • Italy tries to bolster Libyan coast guard, despite humanitarian concern

      Italy gave the Libyan coast guard four repaired patrol boats on Monday to beef up Libya’s efforts to stop people smuggling, but the support worries humanitarian groups operating rescue ships near the Libyan coast.


      http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-idUSKCN18B2E5?feedType=RSS&feedName=worldNews
      cc @i_s_

    • L’Italie a signé un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger pour contenir l’afflux de migrants

      Selon le bilan diffusé lundi par le ministère de l’Intérieur italien, 50 041 migrants sont arrivés sur les côtes italiennes depuis le début de l’année. Un chiffre qui correspond à une hausse de plus de 45% par rapport à la même période l’an passé. Face à cet afflux, l’Italie a signé dimanche un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger.

      http://www.jeuneafrique.com/441266/societe/litalie-a-signe-accord-libye-tchad-niger-contenir-lafflux-de-migrants

    • Migranti: da vertice al Viminale con ministri Libia, Niger, Ciad centri accoglienza in paesi transito

      Centri di accoglienza per migranti rispondenti agli standard umanitari internazionali verranno costruiti in Ciad e Niger,due dei Paesi di transito delle migliaia di persone che dall’Africa sub sahariana raggiungono la Libia per poi imbarcarsi verso l’Italia. E’ uno dei risultati del vertice voluto dal ministro dell’Interno Minniti con i ministri dell’Interno di Libia, Niger e Ciad che si è tenuto al Viminale. I quattro ministri hanno siglato una dichiarazione congiunta.

      Secondo il Viminale si tratta di un punto di partenza per tentare di gestire il flusso di migliaia di senza speranza e spesso senza documenti che dall’Africa tenta di raggiungere l’Europa. Circa cinquemila uomini, donne e bambini diretti in Italia sono stati soccorsi al largo della Libia tra giovedì e sabato mattina dalle guardie costiere italiana e libica. Bisognerà vedere adesso se gli accordi messi nero su bianco nella dichiarazione congiunta troveranno applicazione nel deserto a sud della Libia, ma l’obiettivo e’ quello di arginare il fenomeno dove questo si origina e non in mare. Dalla Libia viene d’altronde il 90% di coloro che sbarcano in Italia e la quasi totalità è entrata nel paese nordafricano seguendo le rotte che dall’Africa occidentale portano ad Agades, in Niger, primo vero centro di smistamento di migliaia di esseri umani, o quelle che attraversano il deserto del Ciad e partono dall’Eritrea e dall’Etiopia.

      La strategia del Viminale si fonda su due pilastri: rafforzare la guardia costiera libica, mettendola in condizioni di operare per fermare i barconi – e in quest’ottica va la consegna entro giugno di 10 motovedette – e ristabilire il controllo sui cinquemila chilometri di confine sud che da anni sono in mano alle organizzazioni di trafficanti di esseri umani.

      Su quest’ultimo fronte il primo passo è stato il patto siglato il 2 aprile scorso sempre al Viminale con le principali tribù del Fezzan. Oggi, con la firma sulla dichiarazione da parte di Minniti, del ministro libico Aref Khoja e dei colleghi di Niger e Ciad, Mohamed Bazoum e Ahmat Mahamat Bachir e’stato fatto un altro passo per rafforzare i confini formando gli agenti e creando una “rete di contatto” tra tutte le forze di
      polizia della zona.

      L’Italia gioca una ruolo cruciale su questo aspetto visto che il Memorandum of understandig siglato il 2 gennaio a palazzo Chigi con la Libia prevede il completamento del sistema di controllo radar per il controllo dei confini al sud del paese già previsto dal trattato di Amicizia del 2008. Un sistema che dovrebbe realizzare Selex, del gruppo Leonardo-Finmeccanica, con una spesa prevista a carico dell’Italia di 150 milioni.

      http://www.onuitalia.com/2017/05/21/migranti-da-vertice-al-viminale-con-ministri-libia-niger-ciad-centri-acco
      #Tchad

    • Sempre più a Sud: Minniti ora vuole i Cie in Niger e in Ciad

      La foto ricordo scattata domenica scorsa al Viminale mostra una «storica» stretta di mano a quattro tra il nostro ministro dell’Interno Marco Minniti e i suoi omologhi di Ciad, Libia e Niger, dopo la firma di una dichiarazione congiunta per istituire una «cabina di regia» comune allo scopo di sigillare i confini a sud e evitare la partenza di migranti verso l’Italia e l’Europa.

      La dichiarazione impegna l’Italia a «sostenere la costruzione e la gestione, conformemente a strandard umanitari internazionali, di centri di accoglienza per migranti irregolari in Niger e in Ciad». Chi controlli la rispondenza di questi centri «di accoglienza» a standard di umanità internazionalmente riconosciuti non è chiaro, né chi li debba gestire e con quali fondi. E neanche è dato sapere in quale modo si intenda «promuovere lo sviluppo di una economia legale alternativa a quella legata ai traffici illeciti in particolare al traffico di esseri umani». Ma i quattro ministri sono immortalati con ampi sorrisi, che dovrebbero migliorare la «sicurezza percepita» a cui tiene tanto il titolare del Viminale.

      Per chi non si accontenta di sorrisi e annunci, la situazione in Libia e tra una frontiera e l’altra nel Sahara, lungo la rotta dei migranti, è sempre più incandescente. A Zawiya, città costiera dove è florido il business dei barconi, è esplosa ieri un’autobomba.

      Nel Fezzan il bilancio del truculento assalto della settimana scorsa alla base aerea di Brak al Shati, controllata dalle milizie del generale Haftar, è salito a 141 morti, tra i quali 15 civili. E si scopre – attraverso la Commissione nazionale diritti umani della Libia – che al seguito della Terza Forza, negli squadroni della città stato di Misurata che costituiscono l’ossatura delle milizie fedeli al governo Serraj di Tripoli, quello con cui l’Italia sta stringendo accordi per fermare i migranti, c’erano anche «foreign fighters provenienti dal Ciad e qaedisti delle Brigate di difesa di Bengasi».

      Serraj, per far vedere di non aver gradito l’assalto che ha violato la tregua con Haftar, ha sospeso il ministro della Difesa Al Barghouthi e il capo della Terza Forza, Jamal al Treiki, ma si tratta di un pro forma che neanche il suo ministro ha preso sul serio, infatti ha continuato a incontrare i capi misuratini per verificare «la presenza di cellule dell’ Isis» sopravvissute all’assedio di Sirte. Gli Usa intendono mantenere una presenza militare in Libia, ha detto il generale Waldhauser, proprio per combattere le cellule dell’Isis che stanno tentando di riorganizzarsi.

      Intanto l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, per la prima volta in visita ai centri di detenzione per migranti in Libia in queste ore, si è detto «scioccato» dalle condizioni in cui si trovano bambini, donne e uomini «che non dovrebbero sopportare tali difficoltà». Grandi fa presente che oltre ai profughi africani (1,1 milioni) in Libia ci sono 300 mila sfollati interni a causa del conflitto che dal 2011 non è mai finito.

      https://ilmanifesto.it/sempre-piu-a-sud-minniti-ora-vuole-i-cie-in-niger-e-in-ciad

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • Back to Old Tricks? Italian Responsibility for Returning People to Libya

      On 10/11 May 2017 various news outlets reported a maritime operation by the Libyan authorities, in coordination with the Italian Search and Rescue Authority, in which 500 individuals were intercepted in international waters and returned to Libya. This operation amounted to refoulment in breach of customary international law and several treaties (including the Geneva Refugee Convention and the European Convention on Human Rights), and an internationally wrongful act is one for which Italy bears international legal responsibility.

      https://www.ejiltalk.org/back-to-old-tricks-italian-responsibility-for-returning-people-to-libya

    • Tutto quello che c’è da sapere sull’accordo Italia – Libia

      Il memorandum d’intesa tra Italia e Libia è solo una tappa della articolata strategia di esternalizzazione delle frontiere perseguita tanto dal nostro governo quanto dall’Unione Europea. A tutti i costi, e mettendo in secondo piano il rispetto dei diritti fondamentali. Ecco cosa c’è che non va nell’accordo e quali sono le sue conseguenze.

      http://openmigration.org/analisi/tutto-quello-che-ce-da-sapere-sullaccordo-italia-libia/?platform=hootsuite

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172
      #aide_du_développement #coopération_au_développement #développement

    • commentaire reçu via la mailing-list migreurop (01.08.2017) :

      Elle a été déjà approuvée par le Conseil des Ministres Italiens. Demain le Président du Conseil en discutera aux commissions intéressées. Il s’agit d’une opération militaire italienne de soutien aux gardes cotes libyennes à l’intérieur des eaux territoriales libyennes suite à la demande de un des trois Gouvernement Libyen (celui de Al Serraj).
      L’Italie utiliserait donc – du 1 aout 2017 – deux bateaux militaires engagés aujourd’hui à l’extérieur des eaux libyennes dans l’opération Mare Sicuro (une opération qui a comme mission celle de la sécurité de la région, pas du tout celle de la migration). L’Italie ne prendra pas à bord des migrants, et si sera obligé à le faire les transbordera dans un bateau libyen avant de rejoindre le cotes libyennes.

      Il est évidente que de cette façon il y a un claire tentative de contourner le principe de non refoulement au quel l’Italie a l’obligation (et pour violation du quel a été déjà sanctionné). Il est intéressante aussi de voir que dans le Code de Conduit que le Gouvernement veut imposer aux Ong qui interviennent en mer, il y a interdiction de transborde. Mais si c’est l’Italie qui doit le faire pour contourner l’accusation de refoulement, alors cela semble accepté.

      L’opération devrait partir très rapidement, le 1 aout. Les bateaux sont prêtes, mais semble irréalisable la partie du “projet” italien qui prévoit des centres d’accueil à l’arrivés aux ports libyens gérés par l’UNHCR e OIM. Semblerait donc naturel que seront les camps d’enfermement la suite des opérations d’interception que l’Italie aurait aidé à mener dans les eaux libyennes.

      L’Italie – et les institutions européennes qui soutiennent l’opération – semble ne pas se préoccuper de l’effet boomerang sur un processus de stabilisation d’un pays déjà très fragile. Ce n’est pas au hasard que Serraj aurait d’abord nié d’avoir demandé à l’Italie d’intervenir pour ensuite le confirmer et que Haftar vient de faire circuler une note où dénonce cet accord et menace de considérer toute intervention militaire de l’Italie dans les eaux territoriale libyennes comme une violation de la souveraineté du pays.

      Une partie de la mission sera financé avec les fonds déjà alloués à l’opération Mare Sicuro et en partie seront surement financé par les 46 millions de Fonds Fiduciaires que la Commission Européenne a annoncé le même jour de l’annonce de la mission.

    • Libya’s eastern commander vows to destroy Italian warships if sailed to Libyan water

      The Libyan eastern commander of Dignity Operation forces, Khalifa Haftar, has ordered to bombard any warships sailing into the Libyan waters, in a U-turn that could see escalations between eastern Libya and the UN-proposed government’s bodies in western Libya get tense.

      http://www.libyaobserver.ly/news/libyas-eastern-commander-vows-destroy-italian-warships-if-sailed-libya

    • Des navires de guerre italiens pour repousser les réfugiés au lieu de les protéger

      En proposant de déployer des navires de guerre pour patrouiller dans les eaux territoriales libyennes, les autorités italiennes cherchent à se soustraire à leur obligation de secourir les réfugiés et les migrants en mer et d’offrir une protection à ceux qui en ont besoin.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/des-navires-de-guerre-italiens-pour-repousser-les-refugies-au-lieu-de-les-pr

    • Respingimenti collettivi ed omissione di soccorso nel contrasto dell’immigrazione irregolare

      L’esternalizzazione dei controlli di frontiera, che assume adesso una dimensione operativa dopo gli accordi ed i protocolli operativi stipulati dall’Italia con la Libia, la Tunisia e l’Algeria, la chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo con i respingimenti collettivi in mare ed alle frontiere marittime, e le retate operate con “pattuglie miste” delle polizie presenti nei paesi di transito, come la Libia e la Grecia, ai danni dei migranti irregolari, spesso donne e minori, o altri potenziali richiedenti asilo, stanno aggravando gli effetti devastanti delle politiche proibizioniste adottate da tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in fuga dalle guerre, dai conflitti interni e dalla devastazione economica ed ambientale dei loro paesi. Quanto sta avvenendo in questi mesi in Grecia ed in Libia aumenta le responsabilità già gravissime del governo italiano nelle pratiche informali di respingimento “informale” dai porti dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari) verso Patrasso e Igoumenitsa e scopre tutte le ipocrisie di chi afferma di riconoscere i diritti dei rifugiati e poi rimane inerte ad assistere allo scempio del diritto di asilo, di persone che avrebbero titolo ad ottenere protezione ma sono arrestate, respinte o espulse.

      http://www.meltingpot.org/Respingimenti-collettivi-ed-omissione-di-soccorso-nel.html

    • ASGI : C’è il rischio di riaprire la stagione buia dei respingimenti già condannati dalla CEDU

      Sulle nuove iniziative del Governo italiano per contrastare l’arrivo dei rifugiati dalla Libia l’ ASGI lancia l’allarme: “C’è il rischio di gravissime violazioni del diritto internazionale che riportino la stagione buia dei respingimenti per i quali l’Italia era stata già condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo”.

      https://seenthis.net/recherche?recherche=%23libye+%23externalisation+%23italie
      #refoulement #push-back

    • Cooperazione: kit di primo soccorso inviati in Libia grazie a collaborazione tra Esteri e Difesa

      L’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, e l’addetto per la Difesa, capitano di vascello Patrizio Rapalino, hanno consegnato al sindaco di #Zwara, 5.000 kit igienico-sanitari e di primo soccorso per migranti per le esigenze della municipalità.

      http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2017/08/cooperazione-kit-di-primo-soccorso.html

    • Accordo Italia e milizie in Libia, qualcosa c’è ma non si dice

      Cosa è realmente accaduto in Libia tra Italia (sia chi sia ad aver trattato) e le milizie di Sabratha che prima gestivano la mafia dei traffici di persone e ora la contrastano in nome del governo Sarray? Ora anche la stampa ‘tradizionale’ s’accorge del problema. Il Manifesto, «Accordo tra l’Italia e le milizie per fermare i migranti in Libia». Il Fatto quotidiano, Migranti, Ap: «Italia ha trattato direttamente con le milizie libiche per bloccare gli sbarchi”. Farnesina: ‘Falso’».

      https://www.remocontro.it/2017/08/31/accordo-italia-milizie-libia-qualcosa-ce-non-si-dice

    • L’Italie finance-t-elle des groupes armés libyens pour bloquer l’arrivée de migrants ?

      De moins en moins de migrants débarquent en Italie. Comment l’expliquer ? D’après l’agence Associated Press, derrière les explications officielles, la véritable raison de cette diminution s’expliquerait par le fait que l’Italie financerait des groupes armés libyens. Valérie Dupont, correspondante pour la RTBF à Rome, fait le point.

      https://www.rtbf.be/info/monde/detail_l-italie-finance-t-elle-des-groupes-armes-libyens-pour-bloquer-l-arrivee

    • Migrants en Libye : le #pacte pourri entre Rome, les garde-côtes et les trafiquants

      Alors que l’Union européenne finance, à hauteur de dizaines de millions d’euros, les garde-côtes libyens, il est établi que certains de ses membres sont compromis dans le trafic de migrants. Rome, de son côté, est accusé de négocier directement avec les milices de #Sabratha pour empêcher le départ des embarcations.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020917/migrants-en-libye-le-pacte-pourri-entre-rome-les-garde-cotes-et-les-trafiq

    • E l’Italia contribuisce alla costruzione della mafia in Libia. Conversazione con Nancy Porsia

      «Negli ultimi 3 mesi c’è stata l’implementazione del piano messo a punto già prima di allora. Lo scorso autunno fu lanciata la campagna di criminalizzazione da parte delle autorità italiane e libiche verso le Ong che operano Ricerca e Soccorso in mare, e mentre nell’inverno e nella primavere seguenti questa campagna di delegittimazione e criminalizzazione veniva portata avanti, gli italiani e gli europei addestravano le autorità Libiche e le loro forze militari per il pattugliamento dei confini e quindi anche del mare e delle coste libiche. Questa era una sorta di fase preparatoria che poi si è andata finalizzando negli ultimi tre mesi. Quindi gli italiani hanno di fatto consegnato i mezzi alla Guardia costiera libica, mezzi che risalgono agli accordi fra Berlusconi e Gheddafi del 2008 e che sono stati riconsegnati solo oggi dopo il lavoro diplomatico massiccio delle Nazioni Unite, Europa e in prima fila Italia, e che ha portato alla legittimazione dell’entourage di Serraj come Governo di unità nazionale. Quindi quello che resta delle autorità libiche è stato assunto come interlocutore legittimo, nonostante i grandi dubbi che ci sono circa la loro stessa legittimità. I libici hanno iniziato a pattugliare la costa reclamando tale compito come loro “dovere / diritto” e insinuando come “ingerenza” le operazioni svolte dalle Ong. Si è andati un pezzettino avanti rispetto alla criminalizzazione delle stesse Ong che poi come sappiamo sono state vessate dalla magistratura italiana, dalla campagna di discredito a mezzo stampa, in Italia e in Europa, ed esposte in maniera sempre più frequente al pericolo del fuoco libico tanto che hanno dovuto fare un passo indietro. Quindi di fatto il piano che era in cantiere da oramai un anno e mezzo fra l’Italia, l’Europa e la Libia è entrato nella sua fase finale. Il risultato è che le coste vengono pattugliate dai libici, oggi in grado di fermare la maggior parte dei barconi carichi di migranti. Dove è la critica di senso rispetto alla nuova situazione? Quelli che oggi bloccano i migranti sono gli stessi che ieri li trafficavano, e quindi il “piano Minniti” ha portato ad una istituzionalizzazione degli stessi trafficanti. Siamo di fronte ad una politica di cooperazione che interloquisce con trafficanti istituzionalizzatie e alcuni ufficiali della Guardia costiera corrotti. Su alcuni di questi c’è anche un procedimento della Corte penale dell’Aia piuttosto che un fascicolo lungo non so quante pagine all’interno del rapporto del panel di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, pubblicato lo scorso giugno. Quindi negli ultimi mesi il piano Minniti ha proceduto a gamba tesa nell’istituzionalizzazione delle milizie e dei maggiori trafficanti in Libia oltreché alla connivenza con le stesse guardie corrotte, anzi più che corrotte io le definirei in odore di mafia, in quanto parte integrante di un sistema mafioso che trafficava i migranti. Tutto questo per ridurre il numero dei migranti nel più breve tempo possibile».

      http://www.a-dif.org/2017/09/04/e-litalia-contribuisce-alla-costruzione-della-mafia-in-libia-conversazione-co

    • I campi dei migranti in Libia sotto il controllo delle Ong

      Coinvolgere le Ong nei campi libici per evitare di «condannare i migranti all’inferno». L’idea è venuta al ministero degli Esteri, e più precisamente al vice con delega alla cooperazione internazionale, Mario Giro: dopo aver lanciato l’allarme un mese fa sulle condizioni infernali dei campi, nel pieno della discussione sulla missione italiana autorizzata a Tripoli, nei giorni scorsi ha rivolto un invito alla galassia delle Organizzazioni non governative, proponendo un incontro a chi è interessato a lavorare in Libia. Hanno risposto in una ventina, di orientamento laico e cattolico, molte delle quali già impegnate in varie zone del grande Paese nordafricano con compiti di protezione dell’infanzia e nel settore della sanità, da Medici senza Frontiere all’Arci a Save the children, da Intersos a Terre des hommes fino a Elis, legata all’Opus Dei: ieri pomeriggio la riunione, alla Farnesina, per prendere i primi contatti. Con l’idea però di accelerare e intervenire al più presto: il bando è già pronto, sono stanziati sei milioni di euro.

      http://www.lastampa.it/2017/09/08/esteri/i-campi-dei-migranti-in-libia-sotto-il-controllo-delle-ong-y0jOMmVk6gVG49hdon0gZJ/pagina.html

    • Centri di detenzione in Libia: “(Forse) è ora di pensare alle ‘condizioni umanitarie’”…

      I nuovi propositi di attenzione del governo italiano alle «condizioni umanitarie» nei centri di detenzione per migranti e rifugiati in Libia arrivano dopo mesi di silenzi e di iniziative tutte mirate al loro “contenimento” in quel Paese.

      «Le condizioni di quelli che rimangono in Libia, posso garantirvi, sono il mio assillo ed è l’assillo del Governo italiano», ha detto venerdì a Torino il ministro dell’Interno Marco Minniti, dopo averlo già affermato ad agosto ma aggiungendo: «La prossima settimana insieme con la Farnesina incontreremo le ONG italiane. Ragioneremo con loro se è possibile, accanto alle operazioni di salvataggio in mare, che naturalmente continuano, costruire un’iniziativa delle ONG direttamente in Libia per affrontare quel tema dei diritti umani e delle condizioni di vita».

      http://viedifuga.org/centri-detenzione-libia-forse-ora-pensare-alle-condizioni-umanitarie
      #ONG

    • Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare.

      Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare. E Serraj non controlla neppure tutta Tripoli, cosa può garantire all’Italia ed all’Europa ?

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/08/il-governo-di-tripoli-vuole-cinque.html

    • Migrants: Italian FM wants more EU efforts on Libya route

      MILAN - The Italian government wants the EU to exert greater efforts concerning the central Mediterranean migrant route, which runs from Libya to Italy, Foreign Minister Paolo Gentiloni said Friday. The minister was replying to journalists’ questions after his speech at a conference on immigration, refugees and asylum policies at the Bocconi University in Milan, where he discussed the ’Migration Compact’. Gentiloni called for investment in African countries to be stepped up, ’’with new instruments like ’Africa bonds’’’, and said that the countries receiving the investment should be required to put forth serious efforts to limit migration flows. He added that repatriation of migrants to safe countries should be ’’ever more European’’, but that migrants should not be repatriated to Libya. ’’On these issues,’’ he concluded, ’’the Italian government is asking Europe for commitment similar to what it showed on the (migration, Ed.) route running from Turkey to Greece and the Balkans.’’

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2016/04/22/migrants-italian-fm-wants-more-eu-efforts-on-libya-route_f8c9e906-3729-44b

    • Migranti, il Gruppo di contatto per la rotta del Mediterraneo centrale diventa stabile

      «Oggi abbiamo fatto un passo importante, abbiamo messo in comune la volontà di governare l’immigrazione; l’esito della riunione è stato particolarmente fruttuoso». E’ questa la convinzione espressa dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, oggi al termine dell’incontro conclusivo con ministri e rappresentanti di Paesi della Ue e del Nord Africa che fanno parte del «Gruppo di contatto per la rotta migratoria del Mediterraneo centrale», presso la scuola Superiore di Polizia, in via Pier della Francesca a Roma.


      www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-gruppo-contatto-rotta-mediterraneo-centrale-diventa-stabile

    • signalé par Fulvio Vassallo sur FB avec ce commentaire (19.04.2017) :

      Ci volevano i giapponesi per dire quali sono le ragioni vere della partenze di massa della Libia. Altro che le navi umanitarie come fattore di attrazione. L’Italia sta consegnando altre motovedette alla Guardia Costiera libica per aggirare il divieto di respingimenti collettivi per cui nel 2012 veniva condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

      Facing threat of patrols, thousands of migrants fleeing Libya ; 28 found dead

      Warm weather and calm seas usually spur smugglers to send migrants across the Mediterranean come spring. But aid groups say another timetable might be behind a weekend spike: the looming start of beefed-up Libyan coast guard patrols designed to prevent migrants from reaching Europe.


      http://www.japantimes.co.jp/news/2017/04/19/world/social-issues-world/facing-threat-patrols-thousands-migrants-fleeing-libya-28-found-dead

      #fermeture_des_frontières #militarisation_des_frontières #mourir_en_mer #morts #mourir_en_méditerranée #décès #facteurs_push #attractivité #push_factors #push-factors

    • Migranti: l’Italia consegna 10 motovedette alla Libia

      La scena si è già vista il 14 maggio 2009 ed il 10 febbraio 2010, sempre nel porto di Gaeta (Latina): sei motovedette hanno ammainato la bandiera italiana ed alzato quella libica per andare a pattugliare le acque davanti al Paese nordafricano con il compito di bloccare le partenze dei migranti. L’attività è però durata poco, fino all’intervento della coalizione internazionale contro Muhammar Gheddafi, nel 2011.

      Ora Italia e Libia ci riprovano: domani a Gaeta,alla presenza del ministro dell’Interno, Marco Minniti – quattro di quelle motovedette (le altre due sono andate distrutte) saranno nuovamente riconsegnate alla Marina ed alla Guardia costiera libiche. Seguiranno altre sei nelle settimane successive, con la speranza che siano in grado di frenare il flusso gestito dai trafficanti di uomini, che nel 2017 ha già portato sulle coste italiane oltre 35mila persone, il 40% in più del 2016, anno record per gli sbarchi.

      http://www.imolaoggi.it/2017/04/20/migranti-litalia-consegna-10-motovedette-alla-libia

    • G.Costiera Libia soccorre migranti, riportati a Tripoli

      ROMA - Primi effetti degli accordi di collaborazione sottoscritti di recente tra Italia e Libia in materia di migranti: oggi la Guardia Costiera libica, alla quale l’Italia ha donato anche alcune unità navali, ha soccorso in acque internazionali e riportato nel porto di Tripoli un barcone in navigazione verso l’Italia, a bordo del quale vi erano circa 300 migranti. I migranti avevano inviato una richiesta di soccorso alla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera italiana. Il barcone, inoltre, era stato avvistato ancora in acque libiche da alcuni mezzi aerei impegnati sul Mediterraneo centrale.
      Ricevute le due segnalazioni, la centrale operativa di Roma della Guardia costiera ha allertato la Guardia costiera libica che - diversamente rispetto a quanto accaduto in passato - ha preso il comando delle operazioni di soccorso. Alcune motovedette di Tripoli sono salpate in direzione del barcone, che è stato raggiunto in acque internazionali. Alcuni uomini della Guardia costiera libica hanno preso il comando dell’unità, che, invertita la rotta, è stata riportata nel porto di Tripoli.

      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/10/g.costiera-libia-soccorre-migranti-riportati-a-tripoli_df5b95ff-4921-4f05-

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.


      http://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Migrants: Tripoli thanks Italy but wants help in maintenance

      Thanking Italian authorities for cooperating in the fight against human trafficking, the operations chief of Libyan coast guards, Colonel Massoud Abdelsamad, called on Italy to send spare parts and maintenance support soon for cutters given to Tripoli to fight traffickers through ’’joint operations’’ carried out by Italy and Libya.
      ’’I would like to thank very much Italian authorities and especially the Italian coast guard: we have a good cooperation between us’’, the colonel said, commenting recent gunfire between his personnel and traffickers. ’’We are in contact 24 hours a day and sometimes carry out joint operations’’, added Abdelsamad in a phone interview with ANSA.
      ’’Our boats however need spare parts and maintenance. We would like to have in Libya, as soon as possible, the finance police team that has been working closely with us since 2010’’, also said the colonel, referring to a unit that should take care of maintenance in case of problems.
      ’’We were promised that the group would come to Libya and we are now waiting for it so it can support us’’, stated Abdelsamad. ’’We can carry out joint operations with the Libyan coast guard, finance police and Italian coast guard’’ and ’’this would help us a lot’’, he concluded, recalling that traffickers are heavily armed and have fast motor boats.

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/generalnews/2017/05/31/migrants-tripoli-thanks-italy-but-wants-help-in-maintenance_3d2f7ffa-42d4-

    • Migranti: Tripoli, grazie Italia ma aiutateci per manutenzione
      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/31/migrantitripoligrazie-italia-ma-aiutateci-per-manutenzione_e874ccee-bba3-4

      Avec ce commentaire de Fulvio Vassallo:

      I libici ammettono che la guardia costiera italiana collabora nei respingimenti collettivi, illegali se si svolgono, come si svolgono, in acque internazionali. E chiedono pure pezzi di ricambio. Tra poco chiederanno anche gli equipaggi. Se Minniti non ha gia’ provveduto con i cd. Agenti di collegamento.Naturalmente chi viene riportato in Libia non ha molte chance di fare ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

    • Bloccati in Libia. I migranti e le (nostre) responsabilità politiche

      Le corrispondenze dal caos libico che ci invia Nancy Porsia sono pressoché uniche nel campo del giornalismo in occidente, sicuramente le uniche in Italia. Pubblichiamo questo suo articolo in cui si riprende il testo dell’ accordo italo – libico firmato ieri dal Primo Ministro Gentiloni e dal “Capo del Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia”, Fayez Mustafà Serraj. Un accordo, secondo l’autrice, siglato forse troppo in fretta e in base tanto alle esigenze economiche italiane quanto alla necessità di rendere più complesse le vie di fuga per coloro che, fuggendo da guerre, crisi ambientali o economiche, transitano in Libia per entrare in Europa. Alcune voci si sono levate contro l’accordo. Dal parlamento europeo, oltre 40 parlamentari, guidati da Barbara Spinelli (GUE/NGL) ma afferenti a diversi gruppi politici, anche il Partito Popolare Europeo, hanno preso una dura posizione con una interrogazione scritta in cui si parla espressamente di pericoli derivanti dall’accordo UE- Libia. Durissimo anche il comunicato di Amnesty International, in cui si denuncia che i “piani per “chiudere” la frontiera marittima rischiano di intrappolare rifugiati e migranti in condizioni orrende in Libia”, mentre l’ambasciata tedesca in Niger, ha paragonato i campi di detenzione libici, espressamente a dei lager.

      http://www.a-dif.org/2017/02/03/bloccati-in-libia-i-migranti-e-le-nostre-responsabilita-politiche

    • Migranti: accordo Italia-Libia, il testo del memorandum

      Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana Il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia e il Governo della Repubblica Italiana qui di seguito denominate ’Le Parti’


      http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/02/news/migranti_accordo_italia-libia_ecco_cosa_contiene_in_memorandum-157464439

      Le texte en anglais:
      http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/02/ITALY-LIBYA-MEMORANDUM-02.02.2017.pdf

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Tripoli Appeals Court to rule on Italy-Presidential Council MoU

      A number of Libyan citizens lodged an appeal at the Judiciary Division of the Tripoli Appeals Court against the signing of a #Memorandum_of_Understanding (MoU) between the UN-proposed government’s Presidential Council’s Head Fayez Al-Sirraj and the Italian Prime Minister, Paolo Gentiloni.


      https://www.libyaobserver.ly/news/tripoli-appeals-court-rule-italy-presidential-council-mou

    • Perché l’accordo tra l’Italia e la Libia sui migranti potrebbe essere illegale

      Il memorandum d’intesa sui migranti firmato il 2 febbraio dall’Italia e dalla Libia potrebbe essere illegale. A sostenerlo è un gruppo di giuristi, ex politici e intellettuali libici che il 14 febbraio ha presentato un ricorso di 23 pagine alla corte d’appello di Tripoli. I sei libici, tra cui diversi ex ministri, sostengono che il memorandum sia incostituzionale. Innanzitutto perché, prima di essere firmato dal primo ministro Fayez al Sarraj a Roma, non è stato approvato dal parlamento libico e dal governo all’unanimità. Al Sarraj non ha ottenuto la fiducia dei parlamentari libici che si sono ritirati a Tobruk nel 2014. Inoltre l’accordo implicherebbe impegni onerosi da parte di Tripoli, che non erano contenuti nel trattato di amicizia tra Italia e Libia stipulato nel 2008, a cui il memorandum s’ispira.

      http://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/02/20/italia-libia-migranti-accordo-illegale

    • Così Italia e Libia argineranno il flusso dei migranti

      Ambulanze, gommoni, mute, satellitari e bombole.

      L’accordo bilaterale prevede «l’addestramento, l’equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera libica». Per questo l’elenco delle forniture è lungo e costoso. L’obiettivo è di completare il piano di consegna in 24 mesi, anche se alcuni punti dovranno essere ritoccati. In particolare sono state chieste 10 navi per la ricerca e il soccorso (alcune da oltre trenta metri) e 10 motovedette che devono essere utilizzate per i controlli sotto costa in modo da impedire alle “carrette” dei trafficanti di salpare. Le prime tre imbarcazioni potrebbero essere consegnate già agli inizi di giugno, prevedendo una dilatazione dei tempi per quelle più grandi. E poi quattro elicotteri che dovranno “guidare” le operazioni contro le organizzazioni che gestiscono i viaggi della speranza, ma anche coadiuvare il recupero in mare. Nell’elenco sono stati poi inseriti

      24 gommoni
      10 ambulanze
      30 jeep
      15 automobili
      30 telefoni satellitari Turaya
      mute da sub
      bombole per l’ossigeno
      binocoli diurni e notturni

      Saranno le forze dell’ordine italiane a dover addestrare i poliziotti locali e gli uomini della Guardia costiera. Su questo c’è già l’intesa con l’Ue che finanzierà la missione della Capitaneria di Porto che partirà entro due mesi.

      http://www.agi.it/cronaca/2017/03/20/news/cos_italia_e_libia_argineranno_il_flusso_dei_migranti-1602473
      #accord_bilatéral #contrôles_frontaliers #militarisation_de_la_frontière #frontières

    • Migranti, 12 unità navali alla Libia: via libera del governo

      Roma cede «a titolo gratuito» a Tripoli dieci motovedette della Guardia costiera e due unità della Gdf. C’è poi un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale

      ARRIVERANNO presto i nuovi mezzi navali che il governo italiano ha promesso al governo libico di accordo nazionale di Tripoli. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera all’invio di 12 unità navali e a un programma di addestramento del personale per il loro utilizzo. Un impegno economico, ha precisato il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli, «che sfiora 1,5 milioni, a fronte di un costo complessivo del provvedimento pari a circa 2,5 milioni».

      «Siamo consapevoli che questo non può bastare e che bisogna lavorare per stabilizzare lo scenario, rafforzare lo stato di diritto e la tutela della dignità delle persone sul suolo del nascente Stato libico. Ecco perché stiamo via via intensificando la cooperazione con organizzazioni come l’Unhcr e l’Oim, che sono presenti a Tripoli. In attesa che l’Europa si faccia carico in modo solidale del fenomeno migrazioni - ha concluso Toninelli - il governo italiano e questo ministero lavorano in modo fattivo per debellare i naufragi di migranti in mezzo al Mediterraneo».

      Alla Libia saranno date «a titolo gratuito» 10 motovedette «Classe 500» della Guardia costiera e due unità costiere «Classe Corrubia» della Guardia di Finanza. Assieme alle navi, l’Italia fornirà un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale che possa rafforzare la Marina e la Guardia costiera libiche.

      Le «Classe 500» sono delle piccole vedette costiere che in Italia sono state usate da Carabinieri e Guardia Costiera, e saranno utili di sicuro soprattutto per il pattugliamento lungo le coste libiche. Hanno una autonomia di 200 miglia e una velocità massima di 35 nodi, vengono utilizzate in un raggio di azione di una ventina di miglia dalla costa e hanno un equipaggio composto da tre persone. Le «Corrubia» sono invece piccoli pattugliatori di 27 metri che possono raggiungere i 43 nodi e hanno un’autonomia di 800 miglia. Con un equipaggio di 14 persone, queste navi possono operare anche a parecchie miglia dalle coste.

      Assieme alle navi arriverà un programma di formazione dei marinai libici. Addestramento che si svolgerà sia in Italia sia in Libia e partirà entro una decina di giorni. Le vedette invece dovrebbero essere trasferite tutte nel porto militare di Augusta, da dove poi saranno trasportate con una nave della Marina militare fino a Tripoli.

      A Tripoli si è tenuta una riunione del Comitato tecnico italo-libico che riunisce Guardia costiera, marina, polizia marittima, polizia di frontiera libica con i corrispondenti enti italiani. In discussione oltre ai provvedimenti per la Guardia costiera anche la situazione nel Sud della Libia, dove la polizia di frontiera non ha la possibilità di controllare uno spazio così immenso come le migliaia di chilometri che segnarono i confini con Algeria, Niger e Ciad.

      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/02/news/la_promessa_del_governo_italiano_alla_libia_in_arrivo_dodici_motovedette-

    • Un decreto legge per la Guardia costiera della Libia che non esiste. La pianificazione della strage.

      Nell’ultima seduta del Consiglio dei ministri il Governo ha adottato un decreto legge che prevede “la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera del Ministero della Difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell’Interno libici”.

      Analizzando il contenuto del decreto si nota subito che le unità fornite sono molto piccole (in prevalenza CP classe 500) e sono più indicate per intercettare i barconi carichi di migranti, e magari bloccarli, sotto minaccia delle armi, piuttosto che procedere a operazioni di salvataggio che garantiscano la riconduzione dei naufraghi, perchè di questo si tratta, verso un porto di sbarco sicuro, porto che la Libia oggi non può offrire. Come hanno rilevato le Nazioni Unite nei loro più revcenti rapporti sulla Libia ed i giudici di Ragusa e Palermo, nelle loro sentenze, nelle quali si esclude che la Libia offrisse porti sicuri di sbarco e si ritiene legittimo e conforme alle Convenzioni internazionali il comportamento delle ONG.

      Il provvedimento del governo italiano, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, non fa alcuna menzione alla situazione provvisoria, e assai precaria anche dal punto della legittimità, del governo di Tripoli sostenuto dalle Nazioni Unite, ma privo di continuità politica con la Libia di Gehddafi, che pure si cita nel provvedimento. Nessun riferimento al rispetto delle Convenzioni internazionali. La Libia non ha mai sottosctitto, peraltro, la Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

      l richiamo ai precedenti accordi stipulati dall’Italia con la Libia nel 2008 non costituisce alcuna legittima base del decreto, considerando che il governo italiano, che nel maggio del 2009 aveva messo in esecuzione quegli accordi, con i respingimenti collettivi illegali esegiti dalla Guardia di Finanza verso Tripoli, è stato condannato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( Sentenza 23 febbraio 2012- Caso Hirsi),

      Dopo l’allontanamento dell’Aquarius e il calvario inflitto alla Lifeline, con il sequestro della nave di Sea Watch a Malta e le indagini penali avviate a carico del comandante della Lifeline, sembra avere successo la strategia di Salvini per la eliminazione totale delle ONG dal Mediteraneo centrale. Una campagna avviata lo scorso anno da Frontex e da Minniti, sorretta da blogger che hanno diffuso una valanga di notizie false ma tanto condivise da valere più della verità, poi sfociata in indagini della magistratura che, prima ancora delle sentenze, hanno prodotto la condanna mediatica del soccorso umanitario in acque internazionali.

      Sono invece Minniti prima e Salvini poi che hanno fatto accordi con le milizie che coprono i trafficanti, e poi insinuano che le Ong siano colluse con gli scafisti. Quando il rovesciamento della realtà raggiunge questa dimensione, e su questo si aggrega il consenso, si può dire che lo stato di diritto e’ sconfitto dallo strapotere dell’esecutivo. Dunque responsabilità sempre più gravi incombono sulla magistratura. Non solo in Italia.

      Diverse iniziative giudiziarie, da ultimo a Malta, hanno portato al sequestro o all’allontanamento delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative che costituivano l’ultima possibilità di salvezza sulla rotta del Mediteraneo centrale, dopo il ritiro, o la scomparsa dai radar, delle navi militari di Frontex e di Eunavfor Med (Operazione Sophia), che in passato avevano soccorso decine di migliaia di persone. I recenti piani dell’Unione Europea di creare in Libia e nei paesi del Sahel centri di contenimento (piattaforme di sbarco) dei migranti, per impedire loro di raggiungere le coste del Mediterraneo, appaiono impraticabili sul piano politico e militare, oltre che umanamente inaccettabili, anche se si dovesse ottenere l’avallo dellOIM e dell’UNHCR. Sono piani che non elimineranno mai l’esigenza assoluta di operazioni di soccorso umanitario nel mar libico.

      Le stragi di questi ultimi giorni dimostrano che la Guardia costiera libica non ha i mezzi e gli assetti organizzativi per salvaguardare effettivamente la vita umana in mare. I mezzi trasferiti a titolo gratuito dall’Italia al governo di Tripoli, per le loro ridotte dimensioni, non garantiscono alcun effettivo incremento delle capacità di soccorso della Guardia costiera che si definisce “libica”, ma che in realtà corrisponde solo alle milizie che controllano la Tripolitania. Milizie sulle quali pesano gravi sospetti di collusione con i trafficanti di esseri umani. Le unità più grosse, (nel massimo di due !) cedute ai libici, ed attualmente in uso alla Guardia di finanza, non sono lunghe più di 25 metri, e possono soccorerre al massimo 100 persone, in condizioni di mare calmo.

      Malgrado la pomposa titolazione del decreto legge, la capacità di ricerca e salvataggio della Guardia costiera di Tripoli resterà molto al di sotto degli standard internazionali imposti dalle Convenzioni e dal Regolamento IMO. Non basterà certo la istituzione di una Zona Sar “libica”, inserita persino nei dati dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare), in assenza di una effettiva capacità di coordinamento e di intervento della sedicente Guardia costiera “libica” che in realtà controlla soltanto alcuni porti della Tripolitania. Il riconoscimento di una zona SAR libica non comporta poi la qualifica automatica, come place of safety, e dunque legittimi porti di sbarco, dei porti di Tripoli, Zawia, Khoms, o di Sabratha o ancora di Zuwara.

      Chi ha coordinato davvero le ultime operazioni di soccorso, a partire dal 28 giugno, quando veniva resta nota la istituzione di una zona SAR libica ? Da quel giorno ad oggi sono morte o risultano disperse nel Mediterraneo centrale centinaia di persone, quasi un naufragio al giorno, per quanto tempo continuerà così?

      Malgrado la istituzione di una zona SAR di loro competenza, I libici continuano a confermare che le attività di ricerca e soccorso (SAR), in realtà vere e proprie intercettazioni in acque internazionali, avvengono da tempo sotto il coordinamento delle autorità italiane. “Rome provides Libya’s coastguard with logistical support via its “Joint Rescue Co-ordination Centre”, locating migrant boats to intercept or rescue, as well as providing basic maintenance. Come era stato chiaramente affermato anche dal Giudice delle indagini preliminari di Catania, nel caso del sequestro della nave Open Arms.

      Il decreto legge proposto dal governo italiano, al pari della chiusura informale dei porti e del blocco immotivato di tre battelli umanitarie a Malta, crea le condizioni oggettive perchè le stragi, al largo delle coste libiche, si ripetano con frequenza sempre maggiore. Non saranno certo i mezzi che l’Italia si appresta a trasferire alla Guardia costiera di Tripoli che potranno ridurre il numero delle vittime. Gli appelli dell’Alto Commissariato per i rifugiati, dopo le ultime stragi nel mar libico, non ricevono ancora risposta.

      Ancora oggi, dopo interventi della Guardia costiera libica, ormai padrona assoluta della vastissima zona SAR che si è voluta attribuire alle motovedette di Tripoli e Zawia, si contano morti e dispersi. E tante altre persone, bloccate in alto mare, vengono ricondotte in centri di detenzione nei quali si soffrono condizioni disumane e degradanti. Queste vite negate, quei corpi martoriati, che vediamo anche noi, quando riescono a fuggire ancora una volta dall’inferno libico, saranno davanti alla coscienza di quei parlamentari che nelle prossime settimane dovranno approvare il decreto legge proposto ieri dal governo Salvini-Di Maio. La mobilitazione nel paese, in difesa della vita e dei diritti umani, contro le politiche dell’odio e della rimozione, sarà sempre più forte. Siamo in tanti, colpevoli di solidarietà, che ci vengano a prendere.

      https://www.a-dif.org/2018/07/03/un-decreto-legge-per-la-guardia-costiera-della-libia-che-non-esiste-la-pianif

    • Guardie e ladri: i trafficanti colpiti dalle sanzioni Onu e l’effetto italiano sulle rivalità in Libia

      In Libia sono quattro, appartengono a schieramenti mutevoli e aspettano che passi la tempesta delle sanzioni Onu, mentre le iniezioni di denaro dell’accordo italiano per fermare i migranti continuano a modificare alleanze ed equilibri sul campo. Nancy Porsia, che per prima ha reso note queste figure, ci racconta com’è la situazione oggi, molto più complessa di come la vorrebbe descrivere il governo italiano.

      Uno risulta sospeso dal servizio e l’altro risulta latitante, e insieme aspettano che i riflettori si spengano su di loro in un compound al centro della città di Zawiya, sulla costa occidentale della Libia.

      Il primo è il capo della Guardia Costiera di Zawiya, Abdul Rahman Milad, noto con il nom de guerre “Al Bija”, mentre il suo compagno di sventura è il noto trafficante di esseri umani della città di Sabrata Ahmed Dabbashi, meglio conosciuto come “Al Ammu”.

      Lo scorso mese, i due uomini che per circa tre anni hanno giocato a “guardie e ladri” davanti alle coste libiche sono finiti nella lista nera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite insieme ad altri due cittadini libici: il capo della Brigata Martiri Al Nasser di Zawiya, Mohamed Khushlaf, e il trafficante Mus’ab Abu Qarin, di Sabrata, meglio noto come Dottor Musab per i tanti anni di esperienza nel traffico. Oltre ai quattro libici, sono stati colpiti dalle sanzioni Onu anche due cittadini eritrei, Ermias Ghermay e Fitiwi Abdelrazak, perché accusati di essere leader di una rete attiva nella tratta di migranti, in particolare di decine di migliaia di persone provenienti dal Corno d’Africa.

      Per i sei uomini sono scattati il congelamento degli assets bancari e il divieto di viaggio. È la prima volta che le Nazioni Unite emettono sanzioni individuali contro i trafficanti di essere umani in Libia, una decisione presa a fronte delle molteplici testimonianze contro i sei uomini, tant’è che già nel report annuale delle Nazioni Unite nel 2017 i quattro libici venivano citati come i principali attori del traffico di esseri umani in Libia.

      Gli uomini sotto sanzione: rivalità e alleanze

      Musab Abu Qarin è capo della Brigata Al Wadi; mentre Al Ammu è a capo della Brigata Anas Dabbashi. Sono entrambi miliziani che sulla pelle dei migranti hanno costruito il proprio impero.

      Concorrenti in affari, nel campo politico-militare i due sono nemici giurati. Musab è schierato con la frangia reazionaria della Libia rappresentata dal Generale Khalifa Haftar, da sempre sostenuto da Egitto e Emirati Arabi Uniti con l’avallo della Francia. Sebbene non sia ufficiale, il Dottor Musab è la longa manus della brigata Al Wadi, al servizio dei salafiti madkhali di cui fa parte anche Haftar e della coalizione formata sotto l’egida dell’operazione “Al Karama”, dignità in arabo, lanciata nel 2014 dal generale contro la lobby islamista dei Fratelli Musulmani. Dabbashi invece fa parte della fazione opposta, “Fajr Libya”, che in arabo significa Alba della Libia, sostenuta principalmente da Qatar e Turchia, e in maniera più discreta dall’Italia. Oltre ad Al Ammu, fanno parte della stessa lobby politico-militare anche il capo dei Guardiacoste di Zawiya Milad e Mohamed Khushlaf.

      Un dettaglio non da poco se si vuole comprendere il gioco politico che si sta consumando in Libia sulla pelle della popolazione locale e dei migranti che da lì transitano in rotta verso l’Europa. Infatti ai tempi del sodalizio tra Unione Europea e istituzioni libiche garantito dal Fondo Fiduciario europeo per l’Africa tra il 2016 e l’inizio del 2017, il governo di Serraj rappresentava ancora una sorta di corpo estraneo al paese senza identità né appartenenza. E attraverso la formula della delega a scatole cinesi, i soldi inviati da Bruxelles o da Roma verso Tripoli venivano poi equamente redistribuiti tra i vari potentati locali.
      Porticciolo di Sabrata - uno dei punti di partenza dei barconi di migranti verso l’Europa (foto: Nancy Porsia)

      A maggio del 2017, il capo dei guardiacoste di Zawiya, Milad, veniva ricevuto in Italia come membro della delegazione libica su invito dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Oim) in collaborazione con Operazione Eunavfor Med – Sophia. Come ci raccontarono loro stessi all’epoca dei fatti, alcuni uomini di Zawiya, richiedenti asilo in Italia che si trovavano nei centri di accoglienza visitati dal comandante Milad nel corso del tour siciliano, rimasero increduli davanti all’arrivo di colui che conoscevano come “Al Bija” in quello che pensavano fosse un luogo sicuro. Questo mentre sulla sponda sud del Mediterraneo Dabbashi e il Dottor Musab godevano entrambi di ampi spazi di manovra per i loro affari. Infatti nel braccio di costa di 70 chilometri tra Sabrata e Al Mutrud, un villaggio a ovest di Zawiya, si concentrava la quasi totalità delle partenze delle carrette del mare dalla Libia verso l’Europa.

      Ma nell’estate del 2017, l’allora Ministro degli Interni italiano Marco Minniti, con la firma del Memorandum of Understanding, giocoforza ha dato prevalentemente spazio ad alcuni gruppi della coalizione Fajr Libya, attraverso il sostegno indiretto alla Brigata 48 a guida Dabbashi, che proprio in quel periodo si era lanciata sul fronte del contrasto alla migrazione irregolare, e alla Guardia Costiera di Zawiya.
      La guerra di Sabrata

      Mentre Minniti si compiaceva dell’improvviso calo degli arrivi dalla Libia sulla sponda italiana, a ovest di Tripoli la controparte rimasta fuori dai giochi internazionali dichiarava guerra al nemico, e a settembre dello scorso anno si scatenava una guerra senza precedenti tra fazioni opposte. La sala operativa di Zawiya, testa d’ariete della brigata Al Wadi e dei salafiti madkhali nella regione ovest, ha sferrato un attacco massiccio contro Dabbashi. Durante quella che passerà alla storia come la “guerra di Sabrata”, migliaia di migranti venivano messi in mare dai Dabbashi così come dal Dottor Musab, mentre altrettante persone venivano scacciate dalla città via terra. In due giorni la città vicina di Zuwara ne ha accolti tremila.

      In quel frangente Dabbashi trovava riparo da Al Bija, suo fratello in armi dai tempi della Rivoluzione nel 2011. La conferma di questo sodalizio politico-militare ha portato, per un effetto domino, a un altro cambio della guardia importante: i salafiti madkhali a Tripoli, le Forze Speciali Rada, sconfinavano da quello che era il loro campo di competenza, la lotta al terrorismo, e si univano alle forze impegnate sul fronte anti-traffico.
      Le trasformazioni di Ben Khalifa

      A settembre dello scorso anno, le Forze Rada hanno annunciato in pompa magna l’arresto del trafficante Fahmi Ben Khalifa, dichiarando di aver preso il capo della rete del traffico dei migranti e incassando il plauso della comunità internazionale. Tuttavia, Fahmi Ben Khalifa era un noto passatore di migranti all’epoca del regime di Gheddafi. Grazie ai suoi ottimi rapporti con alcuni uomini d’affari a Malta, riusciva a far arrivare in Europa centinaia di migranti. Sempre in quel periodo, Ben Khalifa trafficava droga a livello internazionale sfruttando la posizione strategica della sua città, Zuwara, al confine con la Tunisia e a un tiro di schioppo da Malta e dall’Italia via mare.

      Ma all’indomani della caduta del regime, Ben Khalifa ha capitalizzato i suoi contatti a Malta e reinvestito sul traffico del diesel, dove la linea di demarcazione tra legalità e illegalità è meno definita. Già nel 2014 Ben Khalifa risultava essere il principale contrabbandiere di diesel in Libia. Tuttavia, secondo fonti di sicurezza della città di Zuwara, Ben Khalifa non aveva più nulla a che fare con il traffico di droga e di esseri umani. Eppure le Forze Rada lo hanno dato in pasto all’opinione pubblica europea come il principale attore del business sui migranti in Libia, proprio mentre l’Europa negoziava il consenso politico sul fronte anti-immigrazione, incurante degli introiti che la mafia incassa attraverso il traffico di diesel.

      Tra l’altro, anche nel campo del contrabbando degli idrocarburi, l’attore principale è Mohamed Khushlaf, il quale con la sua brigata Al Nasser controlla la raffineria di Zawiya, unica fonte di tutto il diesel trafficato dalla Libia. Non c’è litro di diesel che esca dalla principale raffineria in funzione nel paese senza il suo consenso. Ma all’epoca dell’arresto e delle foto segnaletiche di Ben Khalifa fatte circolare dalle Forze Rada sul web, i madkhali di Tripoli tentavano ancora di tenere in piedi la strategia doppio-giochista tra le forze Fajr Libya e Al Karama, e quindi Ben Khalifa era un ottimo alibi per coprire il più potente Mohamed Khushlaf.

      Con lo schieramento della comunità internazionale al fianco di Haftar a Parigi lo scorso maggio, la Russia che da sempre sostiene il Generale, il quale ha già il controllo dell’intero est del paese, ha ritirato il veto posto alla proposta di sanzioni dall’Olanda al Consiglio delle Nazioni Unite. Infatti le sanzioni Onu non hanno spostato di un millimetro l’attuale posizione delle forze madkhali sul campo, e il Dottor Musab diventa la sola vittima sacrificale.
      Cosa dice Milad delle sanzioni

      Sul fronte opposto, all’indomani dell’entrata in vigore delle sanzioni, il generale Milad è stato formalmente sospeso dal suo incarico per quattro mesi, in attesa di prove alle accuse mosse dal Consiglio di Sicurezza. Secondo quanto enunciato dall’Onu, “Milad e altri membri della guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni di migranti, attraverso l’utilizzo di armi da fuoco. Al-Milad collabora con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf (anch’esso oggetto delle stesse sanzioni) che, secondo alcune fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite relative al traffico di migranti. Diversi testimoni di alcune indagini hanno dichiarato di essere stati prelevati in mare da uomini armati e trasbordati sulla nave della Guardia costiera ‘Tallil’, utilizzata dal comandante Milad, e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a percosse”.

      Qualche ora dopo l’annuncio delle sanzioni Onu, sul suo profilo Facebook Milad scriveva: “Ho lavorato tanto contro il contrabbando di diesel permesso dai politici libici corrotti, e per il contrasto nelle nostre acque alle Ong, che altro non rappresentano se non i servizi segreti stranieri e operano con il beneplacito del governo Al Serraj a Tripoli così come quello di Al Thinni nell’est. Abbiamo rinunciato a tangenti cospicue da funzionari di alto rango che chiedevano di lasciare lavorare le Ong. E per quanto le sanzioni siano un duro colpo, noi passeremo alla storia come quelli leali al paese. E solo Dio sa quanto abbiamo sofferto per questo paese”.

      Prendendo le distanze dal Governo Serraj, anche il comando centrale dei Guardiacoste a Tripoli difende a spada tratta il proprio uomo, tanto che l’Ammiraglio Abdallah Toumia ha criticato fortemente la decisione del Consiglio di Sicurezza Onu, e ha commentato in tv: “Questo non è comprensibile dopo gli sforzi profusi dal nostro comandante sequestrando sei petroliere e salvando ben 17 mila migranti davanti alle coste libiche”.

      Tra quelli sanzionati dall’Onu, dunque, solo Dabbashi risulta fuori gioco. E secondo fonti della sicurezza a ovest di Tripoli, oggi l’ex re del traffico dei migranti di Sabrata è sotto l’ala protettiva del generale Milad.

      http://openmigration.org/analisi/guardie-e-ladri-i-trafficanti-colpiti-dalle-sanzioni-onu-e-leffetto-i

    • Immigration : Rome et Tripoli veulent réactiver leur #traité_d’amitié

      L’Italie et la Libye ont convenu samedi de réactiver leur traité d’amitié signé en 2008, qui permet le refoulement de migrants en territoire libyen, à l’occasion de la première visite à Tripoli du chef de la diplomatie italienne Enzo Moavero Milanesi.

      Le traité signé par les ex-dirigeants des deux pays, Mouammar Kadhafi, renversé par une révolte populaire et tué en 2011, et Silvio Berlusconi, avait marqué la fin de 40 ans de relations tumultueuses entre la Libye et son ancien colonisateur. Mais il avait été suspendu en février 2011 après le début de la révolte libyenne.

      Il prévoit des investissements italiens en Libye de cinq milliards de dollars en compensation de la période coloniale. En contrepartie, la Libye s’engage à limiter l’immigration clandestine depuis ses côtes. Le traité permettait notamment le refoulement en Libye des migrants partis de ce pays, une clause dénoncée par les défenseurs des droits de l’Homme.

      « Nous nous sommes mis d’accord sur la réactivation du traité d’amitié italo-libyen de 2008 », a déclaré le ministre libyen des Affaires étrangères Mohamad Siala lors d’une conférence de presse conjointe avec son homologue italien dans la capitale libyenne Tripoli.

      M. Milanesi a lui jugé ce traité « important et prometteur ».

      Les deux ministres n’ont pas précisé si le texte allait être amendé ou réactivé tel quel.

      Selon le ministre italien, avec ce pacte, « toutes les conditions sont réunies pour travailler main dans la main en vue d’appuyer le processus de stabilisation, la sécurité et l’unité de la Libye ».

      Il a ajouté que la Libye « partageait avec l’Union européenne la responsabilité et le devoir de faire face aux flux de migrants ». « La coopération entre la Libye, l’Italie et l’UE est essentielle pour résoudre la question de l’immigration et éviter des drames humains » en Méditerranée, qui se sont multipliés ces dernières semaines au large de la Libye.

      M. Milanesi a jugé « essentiel d’oeuvrer dans les pays d’origine » des migrants pour les dissuader de tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Italie, tout en soulignant l’importance d’aider la Libye à sécuriser ses frontières maritime et terrestre dans le Sud.

      Du temps de Kadhafi, des milliers de migrants traversaient les frontières sud longues de 5.000 km, notamment pour tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Europe.

      La situation a empiré après la chute du dictateur, les passeurs profitant du chaos en Libye pour envoyer chaque année des dizaines de milliers de migrants à destination de l’Italie.


      http://www.liberation.fr/planete/2018/07/07/immigration-rome-et-tripoli-veulent-reactiver-leur-traite-d-amitie_166490

      #traité_d'amitié_bis

    • Migrants : l’Italie et la Libye exhument un accord vieux d’il y a dix ans

      L’Italie cherche à fermer ses frontières. Dans ce sens, le nouveau gouvernement vient de réactiver un traité d’amitié signé avec la Libye en 2008. A l’époque, le texte avait permis à Silvio Berlusconi et Mouammar Kadhafi de mettre fin à 40 ans de relations tumultueuses, mais le début de la révolte libyenne, en février 2011, avait enterré l’accord. Le nouveau chef de la diplomatie italienne l’a ressorti lors de sa première visite à Tripoli le week-end dernier, car il permet le refoulement des migrants partis de Libye.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180709-migrants-italie-libye-exhument-accord-vieux-il-y-dix-ans

    • Migranti, prezzi aumentati e rotte modificate: così in Libia i trafficanti sono tornati a lavoro

      Il “tappo” sta saltando - Da Zwara a Garabulli, i capibanda libici stanno riattivando i punti di partenza bloccati un anno fa, sfidando i mandati di arresto

      È passato circa un anno da quando alcuni trafficanti di esseri umani, insieme a pezzi della Guardia Costiera corrotta a ovest di Tripoli, accettarono di sbarrare il passaggio ai migranti. I trafficanti di esseri umani si trasformarono in guardie, e le guardie tornarono a fare le guardie. Quel tratto di costa per due anni era stato il principale trampolino di lancio per le persone che cercavano un passaggio verso l’Europa.

      All’epoca, Roma “mandò a dire” alle controparti libiche che se non si fossero allineati sarebbero state scovate e arrestate dalle autorità internazionali. Molti degli interlocutori libici decisero di adeguarsi alle nuove regole del gioco. E il meccanismo oramai oliato si ruppe portando alla cosiddetta ‘guerra di Sabrata’ tra i principali trafficanti della città, Ahmed Dabbashi e Mus’ab Abu Qarin.

      Nel frattempo le istituzioni libiche sono state affiancate e sospinte dall’Europa a mettere in cima alle proprie priorità il flusso migratorio irregolare, ovviamente in cambio di legittimità e denari. E dunque anche le meno operative unità di Guardia Costiera o altri gruppi armati sono tornati in prima linea. Lo scorso giugno il Consiglio di sicurezza Onu ha inserito Dabbashi e Abu Qarin nella propria lista nera insieme al capo della Guardia Costiera Abdul Rahaman Milad e il responsabile della raffineria della città di Zawiya, 30 chilometri a est di Sabrata.

      “Con la stretta delle forze di sicurezza sul traffico degli esseri umani, i prezzi del mercato sono aumentati molto. E i grandi pesci sono tornati a lavorare con le vecchi modalità”, ha detto al Fatto una fonte di Zawiya. E giovedì, dalle coste libiche, è partito il barcone in legno con a bordo 450 migranti.

      Anche le rotte su territorio libico cambiano assetto. A Ovest di Tripoli, Sabrata e Zawiya hanno ceduto il passo a Zuwara, la città che per vent’anni è stata il principale snodo per la traversata del Mediterraneo e che negli ultimi tre anni ha visto le forze locali stringere in una morsa i trafficanti locali. “Le autorità locali da sole non possono reggere ancora a lungo. E i trafficanti stanno tornando alle loro postazioni”, spiega al Fatto una fonte di Zuwara. Secondo la Guardia Costiera di Tripoli, il barcone sarebbe partito proprio da Zuwara. A est della Capitale si estende la costa da cui partono l’80% delle imbarcazioni cariche di migranti, secondo una fonte vicina alla intelligence libica. Garabulli, 50 chilometri a oriente di Tripoli, è il principale punto di imbarco insieme alla città di Al Khoms, 50 chilometri più a est.

      Già ai tempi di Gheddafi, a Garabulli erano diverse le famiglie che lavoravano nel business del trasporto dei migranti: le bianche spiagge rendono quel tratto di costa idoneo per le partenze delle carrette del mare. Le dune scoscese lungo la costa sono un reticolo di sentieri che portano alla battigia. “Quei sentieri sono stati costruiti con escavatori dagli stessi trafficanti”, spiegava tempo fa un membro della Guardia Costiera durante uno dei giri di perlustrazione.

      Garabulli torna oggi a essere un importante punto di imbarco. Non solo per via dello sbarramento a ovest di Tripoli, ma anche perché, pochi chilometri a sud, a Bani Walid, si trova il principale punto di transito per i migranti tra il deserto e la costa.

      Dalla nascita dello Stato Islamico a Sirte nel 2015, il punto di smistamento tra sud e nord si è spostato dalla città natale di Gheddafi, Sirte, a Bani Walid. A Garabulli, inoltre, da più di due anni non esiste una struttura, seppure minima, di forze di sicurezza.

      Nel 2016 pesanti scontri a fuoco tra le milizie locali e quelle della vicina città di Misurata, portarono al fuggi fuggi generale dei gruppi armati incaricati della sicurezza.

      A sud, nel Fezzan, la situazione resta completamente fuori controllo.

      Bande di ladroni senza appartenenza politica si moltiplicano nel vuoto di controllo da parte del governo del premier Serraj, di base a Tripoli, e del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est del Paese.

      Dal Niger i migranti continuano ad arrivare in migliaia, anche se battendo sentieri più pericolosi in seguito alle attività di controllo al confine con la Libia. Nel deserto la città-oasi di Saba, la principale nella regione del Fezzan, resta il punto di passaggio principale. Proprio alla periferia di Saba, una prigione nuova di zecca e mai utilizzata dalle autorità locali, da un paio di anni funge da magazzino per i principali trafficanti della zona.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-ricatto-dei-ras-della-costa-nuovi-accordi-o-piu-migranti

    • L’Italia delega i respingimenti dei migranti in mare alla Libia. Violando i diritti umani

      Il protagonismo delle autorità libiche nelle operazioni di “soccorso” nel Mediterraneo consente al nostro Paese di non rispondere direttamente delle condotte sui migranti. Un escamotage per non finire di nuovo dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2012 aveva duramente condannato l’Italia per i fatti del 2009. Intervista ad Anton Giulio Lana, l’avvocato di quei migranti respinti che hanno vinto la causa a Strasburgo.

      La strategia dell’Italia di delegare i respingimenti dei migranti in mare alle autorità della Libia vìola i diritti umani. Ed è un sostanziale aggiramento della sentenza della Corte europea dei diritti umani che nel 2012 aveva condannato il nostro Paese per aver espulso collettivamente 200 naufraghi intercettati a 35 miglia a Sud di Lampedusa nel maggio 2009. L’avvocato Anton Giulio Lana ha rappresentato 24 di quei respinti a Tripoli dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 2012 ha pronunciato la storica sentenza sul caso “Hirsi Jamaa e altri c. Italia”. Il comportamento italiano fu ritenuto una grave violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti (Art. 3), nonché le espulsioni collettive (Protocollo n. 4) e la mancata possibilità di richiedere la protezione internazionale (Art. 13).
      A nove anni dalla stagione dei respingimenti e a sei dalla sentenza Cedu, il giudizio di Lana sull’approccio dell’Italia è amaro. Navi dei soccorritori bloccate al largo, annunci di porti chiusi, arresti minacciati. E ancora naufragi.

      Avvocato, anche oggi i diritti umani sono violati nel Mediterraneo?
      AGL Sulla scorta della giurisprudenza che è stata adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi, che come noto ha stigmatizzato la violazione da parte del nostro Paese del principio di non refoulement (principio di non respingimento), anche eventuali azioni che dovessero inibire l’accesso delle imbarcazioni che salvano persone in mare contrasterebbe con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E con una serie di disposizioni di carattere internazionale come la Convenzione Montego Bay del 1982 delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) del 1974 e alla Convenzione internazionale del 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimi (SAR) che prevedono che gli sbarchi di persone salvate in mare debbano essere operati nel luogo sicuro più vicino. C’è quindi un contesto di diritto del mare e di diritto internazionale dei diritti umani che prescrive da un lato il divieto di respingimenti e dall’altro l’obbligo di salvare le persone che si trovano in difficoltà su queste “carrette del mare”. Indiscusso il ruolo meritorio che hanno svolto negli anni la Marina italiana e la Capitaneria di porto di Roma per il salvataggio di vite nel mar Mediterraneo, quello che oggi preoccupa sono le nuove iniziative promosse dal governo: chiusura dei porti alle ONG e, anche -almeno nelle intenzioni- alle navi militari straniere che fanno capo all’operazione Sophia.

      Nelle ultime settimane sono stati operati dei respingimenti o comunque azioni che contrastano con le Convenzioni internazionali che ha menzionato?
      AGL Quello che è stato posto in essere, in particolare dal ministro dell’Interno, è una prassi innovativa di annunci via social media. Che è una modalità abbastanza anomala di esercitare il potere e il ruolo per un governo e in particolare per un ministro dell’Interno. Normalmente in un Paese democratico basato sullo Stato di diritto i ministri esercitano il loro ruolo attraverso provvedimenti di varia natura. I quali poi possono anche essere vagliati -in un sistema dove c’è una ripartizione dei poteri- da parte di un’autorità giudiziaria, nella specie da un giudice amministrativo, che potrà valutare validità, fondatezza e motivazioni che hanno indotto ad adottare il provvedimento.

      Annunci a parte, in queste settimane è stata formalmente dichiarata una zona SAR libica e forniti degli estremi di un presunto centro di coordinamento a Tripoli, con il decisivo sostegno italiano e finanziamenti comunitari. È sufficiente questa condizione puramente formale per delegare le operazioni di intercettazione delle imbarcazioni e di successivo trasporto verso le coste libiche per manlevare l’Italia rispetto a quelle situazioni critiche?
      AGL Come militante dei diritti umani, studioso della materia e avvocato posso porre delle domande. E solitamente le pongo a una giurisdizione interna o internazionale, come la Corte di Strasburgo. Quindi non ho risposte. Certo, mi domando se i finanziamenti che vengono dati attraverso modalità varie -anche mediante la fornitura di imbarcazioni alle autorità libiche, piuttosto che la formazione agli operatori libici o altre modalità di supporto- possano concretizzare una corresponsabilità italiana sul piano del diritto internazionale nelle azioni di intercettazione, limitazione e controllo che le forze dell’ordine libiche -se così possiamo definirle- pongono in essere. Io qualche perplessità sul punto ce l’ho.
      Bisognerebbe perciò sottoporre questa questione all’attenzione di un giudice internazionale. So di iniziative dinanzi alla Corte EDU che sono state adottate proprio per mettere in discussione già la politica adottata dal ministro Minniti, figuriamoci quella del ministro Salvini.

      Si può definire la strategia italiana -trasversale in termini di esecutivi- di stipulare di accordi con un Paese come la Libia per fermare i migranti, una sorta di aggiramento del pronunciamento della Cedu a cui lei ha in maniera decisiva contribuito? È cioè un modo per delegare i respingimenti ai libici quello adottato dall’Italia dopo la sentenza sul caso Hirsi?
      AGL Io credo di sì. Stiamo però parlando di una giurisdizione che ragiona sui fatti. Indubbiamente non ha molto senso con riferimento a questi problemi delicati, complicati e drammatici ragionare in linea teorica, bisognerebbe analizzare un singolo episodio, conoscerlo e valutarlo alla luce del diritto internazionale e del diritto del mare. In linea di principio, e quindi con tutti i limiti che ho detto, questa sorta di outsourcing che è stata ideata mi sembra che contrasti con il diritto internazionale dei diritti umani.

      Nel caso Hirsi ci fu un ricorso. Che tipo di iniziativa occorrerebbe per poter far prendere in esame il comportamento dell’Italia dalla Corte?
      AGL All’epoca del ricorso Hirsi, e siamo nel 2009, un rappresentante di un’organizzazione non governativa si recò in Libia, in questi centri, a raccogliere le procure di alcune delle persone respinte, 24, e sulla base di quelle procure fui in condizione di predisporre il ricorso alla Corte EDU. Quindi analogamente occorrerebbe che delle persone che hanno subito una violazione dei diritti fondamentali, ad esempio un’espulsione collettiva – come fu stigmatizzata nella sentenza del 2012 “Hirsi contro Italia”- presentino un ricorso alla Corte, del tutto analogo. Bisognerebbe insomma che si materializzi un’espulsione collettiva e che le vittime di questa espulsione conferiscano incarico per adire alla Corte.

      In queste settimane gli annunci e le chiusure hanno avuto conseguenze drammatiche sulle vite delle persone. Esistono strumenti immediati per ricorrere alla Corte e inibire questa o quella condotta di uno Stato?
      AGL Sì. L’articolo 39 del regolamento di procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo contempla proprio l’ipotesi di cui lei sta parlando, cioè la possibilità in via d’urgenza di richiedere una misura provvisoria, cautelare, per inibire una determinata condotta da parte di uno Stato. Si potrebbe perciò ottenere un ordine di non respingere in violazione della Cedu, ai sensi dell’articolo 3 laddove le persone una volta respinte fossero sottoposte al rischio concreto di subire torture o trattamenti inumani o degradanti.

      Poniamo che naufraghi alla deriva nelle acque SAR libiche chiamino il centro di coordinamento di Roma per i soccorsi e che questo deleghi “per competenza” a Tripoli le operazioni. L’iniziale contatto con l’MRCC italiano potrebbe essere già un elemento di corresponsabilità in grado di far scattare la giurisdizione della Corte europea?
      AGL Non lo so, dovrei rifletterci con più attenzione. La Corte europea si pronuncia nei confronti dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. Si potrebbe immediatamente ravvisare una responsabilità italiana nel momento in cui su un’imbarcazione delle forze dell’ordine libiche, o della guardia costiera libica, fornite magari dall’Italia alla Libia, vi fossero dei militari o comunque degli esponenti delle forze dell’ordine italiane. Presenti lì per coadiuvare o contribuire alla formazione, o per qualsiasi motivo.
      Il semplice avviso al nostro centro di coordinamento è un’ipotesi su cui dovrei riflettere attentamente, bisognerebbe vedere il caso concreto. Ripeto, è difficile parlare di questioni così delicate, anche umanamente complesse e drammatiche, senza ragionare sulla singola fattispecie ma in teoria.

      A proposito della Libia. Per quel che lei ha avuto modo di seguire rispetto all’evoluzione del Paese dai fatti dei respingimenti del 2009 in avanti, è un Paese che ha superato le gravi problematiche fotografate dalla Corte europea di Strasburgo in termini di sicurezza e diritti umani?
      AGL Purtroppo non credo affatto. Tanto è vero che laddove nel caso concreto fossero operati dei respingimenti verso la Libia, si potrebbe a mio avviso sostenere che quelle persone non solo rischiano di essere rimandate nel Paese di origine, e dunque eventualmente sottoposte a violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), ma prima ancora la violazione consisterebbe nel respingimento verso la Libia in quanto tale, dove queste persone -come ahimè tristemente noto- vengono seviziate, le donne sono stuprate, torturate. La situazione in Libia, come noto dai rapporti delle Ong più autorevoli, è molto articolata e molto complessa e il governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite non ha certamente il controllo del territorio di tutto il Paese.

      Come valuta il fatto che dalla sentenza Hirsi in avanti gli esecutivi -riprendendo la strategia degli accordi bilaterali del 2007, 2008 e 2009- abbiano sostanzialmente individuato nella Libia e nelle presunte autorità del Paese un mezzo per non effettuare dei respingimenti direttamente ma per delegarli?
      AGL In modo molto critico. Penso che siamo in presenza di un fenomeno strutturale, sottovalutato dall’Italia in particolare e dall’Europa in generale da vent’anni a questa parte. Non si tratta di un’emergenza, non è un fenomeno che può indurre una paura o una preoccupazione nei confronti di una popolazione di 500 milioni di abitanti per qualche centinaio di migliaia di persone che prova a migliorare le proprie condizioni di vita o a rifuggire da situazioni di guerra, di tortura o di violazioni di diritti umani. Per cui credo che questo problema doveva e ancora oggi deve essere affrontato in maniera radicalmente diversa. Con un impegno sistemico dell’Italia e dell’Europa intera.

      https://altreconomia.it/italia-libia-respingimenti-diritti-lana

    • Salvini: «Cambiare le norme e considerare quelli libici porti sicuri». Ma da Bruxelles arriva un secco No

      «Dobbiamo cambiare la normativa e rendere i porti libici porti sicuri. C’è questa ipocrisia di fondo in Europa in base alla quale si danno soldi ai libici, si forniscono le motovedette e si addestra la Guardia Costiera ma poi si ritiene la Libia un porto non sicuro». Lo dice il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini in una conferenza stampa a Mosca indicando quale sarà l’obiettivo dell’Italia nell’incontro di dopodomani per ridiscutere la missione Sophia. «E’ un bipolarismo europeo che va superato» aggiunge.

      Per arginare il traffico di esseri umani, secondo Salvini, l’unica soluzione «è il blocco delle partenze, aiutando Tunisia, Marocco, Libia ed Egitto a controllare mari, porti e confini». Dobbiamo «soccorrere tutti ma anche riaccompagnarli tutti da dove sono partiti - aggiunge il ministro dell’Interno - E vanno creati canali per l’asilo politico dall’altra parte del Mediterraneo: non far partire più alcuna persona e non far sbarcare più alcuna persona in Italia, e dunque, in Europa, è l’obiettivo. L’Ue deve convincersi che questa è l’unica soluzione per risolvere la questione».

      Il titolare del Viminale è poi tornato a chiedere a Bruxelles «soldi veri» per interventi in Africa e ha ribadito che per le navi delle Ong i porti italiani resteranno chiusi. E quanto ai respingimenti, vietati dalle norme internazionali, Salvini ha sottolineato che «qualcosa che è vietato oggi può diventare normalità domani. Perché qui non parliamo di naufraghi ma di tratta di esseri umani, di un business organizzato dalle mafie dei due continenti».

      Secco no alla richiesta di Salvini da Bruxelles. «Nessuna operazione europea e nessuna imbarcazione europea» riporta i migranti salvati in mare in Libia, perchè «non consideriamo che sia un paese sicuro». Lo dice la portavoce della Commissione, Natasha Bertaud, rispondendo ai giornalisti che chiedevano un commento della Commissione sulle parole del ministro degli Interni, Matteo Salvini, che ha detto che chiederà alla Ue di riconoscere i porti libici come sicuri.

      A stretto giro la controreplica di Salvini. «L’Unione Europea vuole continuare ad agevolare lo sporco lavoro degli scafisti? Non lo farà in mio nome, o si cambia o saremo costretti a muoverci da soli». Così il ministro dell’Interno su Twitter.

      https://www.huffingtonpost.it/2018/07/16/salvini-cambiare-le-norme-e-considerare-quelli-libici-porti-sicuri-ma

    • Lo “scatolone di sabbia”: un anno di inchieste sulla Libia

      Nell’ultimo anno, nella convinzione che conoscere la complessità della Libia aiutasse a leggere più correttamente gli accordi siglati dall’Italia e il loro impatto sui migranti che attraversano il Mediterraneo, abbiamo pian piano costruito una mappa di indagini e storie. In questa estate di nuove e spesso pericolose semplificazioni, ve le proponiamo qui tutte insieme in ordine cronologico.

      http://openmigration.org/analisi/lo-scatolone-di-sabbia-un-anno-di-inchieste-sulla-libia

    • The first Italian vessel promised to the Libyan Coast Guard has just been delivered. Even later than forecast. Unlikely to make a difference for a fragmented, undertrained, understaffed, underequipped Libyan Coast Guard.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1054032047818317824

      «#658_Fezzan», 14 membri di equipaggio. In foto, il primo dei due pattugliatori ’classe Corrubia’ - ex GDF, previsto dal c.d. decreto motovedette - appena arrivato a Tripoli e consegnato dal governo italiano alle milizie libiche.


      https://twitter.com/scandura/status/1054021643440455680
      –-> et ce lien vers un site en arabe : https://almarsad.co/2018/10/21/%D8%A8%D8%A7%D9%84%D8%B5%D9%88%D8%B1-%D9%82%D9%88%D8%A7%D8%AA-%D8%A7%D9%84%

    • Tripoli-based Coast Guard: Italy has provided old boats and is not intended for rescue

      Spokesman of the Tripoli-based Libyan Coast Guard, Ayoub Qassem, said in media statements on Friday that Italy has provided old boats and is not intended for rescue.

      He also accused the international non-governmental organizations of seeking to reap huge profits through illegal flights to and from Libya.

      Qassem revealed that the number of migrant victims reaches 120 thousand annually, because of smugglers’ use for old boats crowded with immigrants. He also said that there are many who drowned in the sea and no one knows about them.

      Qassem demanded Europe to “pay billions annually to us” without which he says “the Coast Guard would not play its role properly against the waves of migration coming from Africa”. He added that Libya is not defending Europe, but defending its sovereignty.

      http://www.addresslibya.com/en/archives/35784

    • L’Italia affida i migranti agli stessi che fa arrestare per contrabbando

      La Guardia costiera di #Zawiya è un’organizzazione criminale. Secondo le Nazioni Unite, fa parte di una milizia coinvolta in numerosi traffici di esseri umani. Secondo carte lette in questi giorni dall’AFP, l’Onu vuole proporre sanzioni contro sei trafficanti, fra i quali al Bija e Mohammed Koshlaf di cui leggerete in questo articolo. Intanto, secondo la Procura di Catania, la stessa Guardia costiera di Zawiya è coinvolta anche nel furto e contrabbando di petrolio, che costa alla Libia 750 milioni di dollari all’anno. Eppure per l’Italia è un’alleata nella lotta all’immigrazione irregolare.

      Zawiya, Libia, 28 giugno 2016. La petroliera Temeteron naviga a 11 miglia dalla costa. È una nave imponente: un tanker di 110 metri di lunghezza che può contenere fino a 4.600 tonnellate; uno di quei giganti, lunghi e piatti, che attraversano le autostrade del mare a basse velocità e per lunghissimi periodi.

      Nel 2016, la Temeteron viaggiava spesso da quelle parti: un andirivieni continuo dalle acque del Mediterraneo davanti alla Libia, fino al porto di Odessa, in Ucraina, o ai porti russi affacciati sul Mar Nero. Il 28 giugno 2016, però, appena prima che uscisse dal territorio nazionale libico, ossia le acque che si allungano fino a 12 miglia dalla costa, è stata intercettata dalla Guardia Costiera di Zawiya. Anzi, come la definiscono i due ricercatori Mark Micallef e Tuesday Reitano in questa ricerca, dalla “Guardia costiera della raffineria di Zawiya”. Il legame tra l’autorità costiera e il polo industriale della città è infatti indissolubile: quei guardacoste, dotati di due unità navali, sono gli stessi che tra gennaio e giugno 2017, secondo la ricerca di Reitano e Micallef, intercetteranno 5.707 migranti sui 10.989 fermati in tutto dalla Guardia costiera libica.

      Torniamo al 28 giugno 2016: la Guardia costiera di Zawiya scorta la Temeteron fino al porto di Tripoli, dove la lascia nelle mani della Marina militare libica. Temeteron si ormeggia: è in stato di fermo e con lei anche l’equipaggio. L’indomani, durante una conferenza stampa, il portavoce della Marina libica Ayoub Qasim sostiene che i suoi uomini abbiano trovato a bordo della petroliera 5.227 tonnellate di gasolio di contrabbando, rubato dalla raffineria di Zawiya. Il dato, riportato su diversi media, sembra scorretto, perché supera il tonnellaggio della nave. Non ci sono però altre versioni. Il fermo è stato certamente convalidato: l’equipaggio – cinque ucraini, tre russi e un greco – è rimasto nelle carceri libiche fino al 2 marzo 2017.

      Navi come la Temeteron, con gli stessi presunti carichi illeciti, passano spesso al largo di Zawiya. Eppure i controlli delle autorità locali sono sporadici. Il motivo è semplice: la Guardia costiera della città è parte di un’organizzazione criminale che contrabbanda gasolio. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, quella stessa Guardia costiera è coinvolta anche nel traffico di esseri umani. Migranti e gasolio, insieme al greggio, sono i pochi “beni di esportazione” della Libia: controllare questi mercati, di fatto, significa avere le mani sull’export del paese.
      La raffineria protetta dalla Guardia costiera

      La Azzawiya Oil Refinery Company è una raffineria di proprietà statale, aperta nel 1974. È la più grossa della Libia, con una capacità massima di 120 mila barili di greggio al giorno. La controlla la National Oil Company (Noc), l’azienda statale che gestisce gas e petrolio. È socia alla pari della nostra Eni nella Mellitah Oil & Gas, joint venture italo-libica che sorge sempre nella striscia di costa libica famosa come luogo di partenza degli sbarchi.

      La Noc è l’unica autorità del paese nordafricano che può approvare le esportazioni all’estero. Da maggio del 2014 a guidarla è Mustafa Sanalla, manager risoluto, consapevole di occupare il vertice dell’unica istituzione del paese capace, almeno in un immediato futuro, di dare un’economia alla Libia. Il 18 aprile, durante il convegno Oil & Fuel Theft a Ginevra, Sanalla ha affermato che la Libia ogni anno perde 750 milioni di dollari: il 30-40 per cento del gasolio e del greggio importati o prodotti dalla Libia “viene rubato”, ha detto. In altre parole, viene esportato senza un’autentica autorizzazione della Noc, e quindi senza che la compagnia statale libica possa incassare un centesimo di tasse da questa compravendita.

      Gli unici a guadagnare, così, sono i criminali che appartengono al cartello che ha portato il prodotto fuori dalla Libia. Gli acquirenti, che pagano il prodotto in media un terzo del prezzo di mercato, sono soprattutto italiani, spagnoli, tunisini, turchi e russi. A febbraio, la Procura generale di Tripoli ha spiccato 144 mandati d’arresto per traffico di gasolio nell’ovest della Libia. Non sono ancora noti né i nomi dei ricercati, né quanti di loro siano stati effettivamente portati in carcere.
      La mafia libica dei Koshlaf e di al-Bija

      La storia della Temeteron fa parte dell’inchiesta Dirty Oil, lavoro della procura di Catania che ha indagato sulla parte di prodotto che finisce nelle raffinerie italiane, portando in carcere sette persone. Il petrolio tracciato dall’operazione – 82 mila di tonnellate in un anno – rappresenta un trecentesimo del mercato italiano, secondo la stima dell’associazione dei petrolieri Assopetroli.

      Per camuffare i carichi di contrabbando, i gruppi di trafficanti – rivela l’inchiesta – falsificano i certificati d’origine del gasolio, oppure applicano finti timbri d’autorizzazione della Noc. In questo modo, i documenti sono validi per lo scarico in qualunque raffineria europea.

      Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese assassinata con un’autobomba il 16 ottobre, si era resa conto del fiorire di questo contrabbando sulla sua isola: Malta è il centro dove si svolge la maggior parte di queste contraffazioni. Il centro di giornalismo investigativo IRPI ha proseguito il suo lavoro, investigando sui protagonisti di questi traffici che partono da Malta. L’inchiesta di IRPI è stata pubblicata con il Daphne Project, progetto di giornalismo collettivo nato allo scopo di proseguire ciò che aveva scoperto o intuito la giornalista assassinata.

      Una pista investigativa porta da Malta alla Libia, dove sta una parte dell’organizzazione criminale arrestata a seguito dell’inchiesta Dirty Oil. In larga misura, i membri del gruppo libico sono ancora liberi. Almeno per tutto il 2016-17, la loro organizzazione è stata tra le più potenti della striscia costiera di 150 chilometri che dal confine con la Tunisia corre fino a Zuwara. Al suo vertice, Walid Koshlaf e Mohammed Koshlaf (detto al-Qasseb): secondo l’Onu, fratelli, e secondo un articolo determinante di Nancy Porsia su Trt, cugini. Uno dei loro luogotenenti è una vecchia conoscenza dell’Italia: la scorsa estate è stato accusato da Washington Post e Middle East Eye di essere a capo della Guardia costiera pagata e addestrata dal governo italiano per fermare i migranti. Il suo nome è Abdurahman al-Milad, detto al-Bija.

      Come si legge nel rapporto Onu del 1 giugno 2017, al-Bija con altri guardacoste “è direttamente coinvolto nell’affondamento delle navi dei migranti a colpi di armi da fuoco”. Dal rapporto Onu sappiamo anche che i Koshlaf dentro la raffineria di Zawiya “hanno aperto un rudimentale centro di detenzione dei migranti”(di cui in questo rapporto di Amnesty si vede una foto satellitare a pag.28). Una parte dei migranti “salvati” da al-Bija viene spesso condotta al centro di detenzione dei Koshlaf. Dal marzo 2016, la prigione risulta accreditata come centro sotto la direzione del Dipartimento per la lotta all’immigrazione irregolare (Dcim) del Governo di Tripoli. A dicembre 2016, la missione Onu in Libia (Unsmil), insieme all’Alto commissariato Onu per i diritti umani, ha pubblicato un rapporto in cui elencava le violazioni compiute in quelle strutture, compresa quella di Zawiya. L’Unicef riporta che per uscire da questi centri è necessario pagare una sorta di riscatto alle guardie carcerarie (cioè alle milizie).

      La tribù dei Koshlaf, gli Awlad Bu Hmeira, a cui appartiene anche al-Bija, controlla stabilmente la raffineria dal 2014. Quella che durante la guerra civile era una milizia tribale, oggi è una forza “regolare”, ufficializzata come corpo di guardia all’esterno del compound della raffineria di Zawiya: sono le Petroleum Facility Guard (Pfg), divisione di Zawiya, titolari di un contratto con la Noc. Prima del 2016 era la Brigata al-Nasr, una milizia pro-islamista che nel 2014 ha fatto parte della coalizione Libya Dawn, prima dell’avvento del governo sponsorizzato dalla Nazioni Unite guidato da Fayez Serraj. Secondo i rapporti Onu, la brigata è la prima responsabile dei furti di petrolio alle raffinerie, tanto che a gennaio 2017 Sanalla l’aveva formalmente deposta, arrivando a definire “terroristi” i suoi componenti. Nell’ultimo rapporto della Chatham House di Londra, però, si riporta che già il 16 ottobre 2017 i Koshlaf sono tornati a capo della milizia a difesa della raffineria di Zawiya.
      Perché la Temeteron è stata fermata?

      Tutte le operazioni che hanno portato a intercettare navi cariche di gasolio di contrabbando, secondo l’inchiesta Dirty Oil, sono avvenute nella zona tra Abu Kammash e Zuwara, vicino al confine libico-tunisino, zona di competenza della Guardia costiera di Zawiya.

      Eppure i suoi guardacoste non sono sempre efficienti e zelanti. La Temeteron, che ha un curriculum di contrabbando alle spalle (sigarette nel 2004 e poi gasolio nel 2015, per il quale venne fermata in Grecia), prima di quella data non era mai stata fermata dai libici. Secondo gli inquirenti, però, si era già dedicata al traffico di gasolio. Allora cos’è successo di diverso, il 28 giugno 2016?

      La risposta ce l’ha Fahmi Ben Khalifa, l’uomo che per conto dei Koshlaf gestiva le partite di gasolio di contrabbando dirette prima a Malta e poi in Italia. Un altro “affiliato” alla loro associazione a delinquere. Ben Khalifa aveva anche una società di trading e una nave, Tiuboda, battezzata con il nome di una città berbera ormai scomparsa sott’acqua.

      Ben Khalifa, alias il Malem, il capo, faceva affari insieme a due maltesi, Darren e Gordon Debono (che non sono parenti) e a un siciliano legato a Cosa Nostra, Nicola Orazio Romeo. Questi è in carcere dall’agosto del 2017, arrestato dalle Rada, le forze speciali del Ministero dell’Interno. I suoi partner sono in carcere in Italia da ottobre 2017, quando è scattata l’inchiesta Dirty Oil. Secondo un rapporto Onu ancora inedito che abbiamo consultato, gli interessi di Ben Khalifa ora sarebbero curati dai fratelli, proprietari di una stazione di benzina di contrabbando a Marsa Tiboda, vicino Abu Kammash.
      La scalata per la Temeteron

      Il cartello internazionale, a differenza della branca libica dell’organizzazione, non ha legami di clan. Non c’è nulla, se non il profitto, a tenere insieme contrabbandieri e fornitori. Tra i due Debono non correva nemmeno buon sangue: Darren era il più legato a Ben Khalifa – il fornitore libico – e a Romeo – l’uomo che gli mette a disposizione gli acquirenti in Italia. Ma Gordon Debono disponeva, grazie ai suoi contatti, di importanti compagnie di trasporto marittimo che vanno dalla Spagna all’Ucraina. La sua esperienza da broker era la più longeva.

      Nel momento in cui il rapporto fra Darren e Gordon si logora, Darren e Ben Khalifa provano a impossessarsi della Temeteron, che è una nave di dimensioni paragonabili a quelle a disposizione di Gordon. Vogliono trovare un modo per fare a meno di lui. La scalata per la Temeteron, però, fallisce, alla fine Gordon riesce a soffiare loro l’affare e comprarsi la nave. Intercettati dalla Guardia di Finanza di Catania durante una telefonata, due acquirenti italiani vicini a Darren hanno raccontato che è stato il libico ad aver segnalato alle autorità libiche il carico illecito a bordo della Temeteron e – a pochi giorni distanza – della San Gwann, altra petroliera riconducibile a Gordon Debono. Questa ipotesi, come si desume da vari dettagli delle carte dell’inchiesta Dirty Oil, è accreditata anche dagli investigatori.

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia. Se lo scopo della lotta ai trafficanti ha anche l’obiettivo di stabilizzare la Libia, come detto in più occasioni pubbliche dal Ministro dell’Interno Marco Minniti, allora la strategia è da rivedere. L’Italia ha legittimato l’esistenza di questa Guardia costiera, lasciandole, in sostanza, la possibilità di arricchirsi, oltre che con i migranti, anche con il traffico di gasolio. I nostri inquirenti si trovano così nella situazione di dover arrestare componenti di quel cartello con cui il Viminale ha in realtà siglato un accordo di collaborazione.

      https://openmigration.org/analisi/litalia-affida-i-migranti-agli-stessi-che-fa-arrestare-per-contrabban
      #milice #Temeteron #Azzawiya_Oil_Refinery_Company #raffinerie #National_Oil_Company (#Noc) #Eni #Mellitah_Oil_&_Gas #Mustafa_Sanalla #Dirty_Oil #contrebande #pétrole #Walid_Koshlaf #Mohammed_Koshlaf #al-Qasseb #Abdurahman_al-Milad #al-Bija #Awlad_Bu_Hmeira #Petroleum_Facility_Guard #Libya_Dawn #Fayez_Serraj #Abu_Kammash #Zuwara #Tiuboda #Malem #Darren_Debono #Gordon_Debono #Cosa_Nostra #mafia #Nicola_Orazio_Romeo #Marsa_Tiboda

      En bref:

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia.

      #trafic_de_pétrole #trafic_d'êtres_humains

    • Départ de migrants vers l’Europe : l’Italie aurait négocié avec un trafiquant d’êtres humains libyen

      #Abd_al-Rahman_Milad, surnommé #Bija, est un militaire libyen accusé par l’ONU d’être l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains. L’homme est également sous le coup d’une enquête de la Cour pénale internationale. Pourtant, selon le média catholique italien Avvenire, Bija a participé à une réunion en Sicile au mois de mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens à propos des traversées des migrants vers l’Europe.

      C’est une information qui embarrasse l’Italie. Dans une enquête publiée vendredi 4 octobre, le média catholique italien Avvenire assure que l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains en Libye, également commandant des garde-côte libyens, a participé à une réunion organisée en Sicile en mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens.

      Le but de cette réunion était de discuter du contrôle des flux de migrants depuis les côtes libyennes.

      Enquête de la CPI

      Abd al-Rahman Milad, surnommé Bija, est notamment accusé par l’ONU d’être responsable d’une fusillade en plein mer contre des navires humanitaires mais également contre les bateaux de pêcheurs qui pourraient transporter des migrants. Il serait aussi à la tête d’une mafia insérée dans la classe politique et économique installée dans la région de Zaouia, dans le nord-ouest de la Libye.

      Depuis l’été dernier, Bija fait l’objet de sanctions de la part du Conseil de sécurité des Nations unies et ne peut plus sortir de Libye. La #Cour_pénale_internationale (#CPI) enquête également sur ses activités.

      Selon Avvenire qui publie des photos de la réunion, Bija a obtenu un laissez-passer pour entrer en Italie et assister aux discussions. Le trafiquant s’est présenté comme « un commandant des garde-côtes libyens ». Il aurait alors demandé aux Italiens des fonds pour gérer l’accueil des migrants en Libye.

      Lors d’une visite au centre d’accueil de Mineo, en Sicile, à l’invitation des autorités italiennes, Bija a été reconnu par un migrant libyen. « Mafia Libya, mafia Libya » s’est exclamé l’homme en voyant le trafiquant.

      En février 2017, le Times a diffusé une vidéo dans laquelle on voit un homme en tenue de camouflage frapper violemment un groupe de migrants sur une embarcation de fortune. Le milicien apparaît avec un handicap à la main droite, tout comme Bija qui a perdu des doigts lors des combats anti-Kadhafi de 2011.

      « C’est un homme violent et armé »

      En septembre, une enquête en Sicile a permis l’arrestation de trois trafiquants présumés qui s’étaient cachés parmi les migrants dans un hotspot de l’île. Ils sont accusés de torture, d’enlèvement et de traite d’êtres humains dans le centre de détention de Zaouia, contrôlé par ce même Bija. Plusieurs migrants interrogés ont alors déclaré aux policiers que cet homme "était chargé du transfert des migrants vers la plage. « C’est un homme violent et armé, nous le craignions tous », a insisté l’un d’entre eux.

      En février 2017, le ministre italien de l’Intérieur, Marco Minniti, a signé un accord avec le chef du gouvernement libyen d’union nationale, Fayez al-Sarraj, afin de déléguer la responsabilité des secours en mer aux autorités libyennes. Un accord controversé, les ONG assurant que la Libye n’était pas un pays sûr.

      La polémique vise aussi l’Union européenne, critiquée pour avoir financé la formation des garde-côtes libyens et leur avoir fourni des navires. Un de ces bateaux a notamment été confié aux troupes de Bija pour intercepter les migrants en mer et les empêcher d’atteindre l’Europe, selon un document de la CPI.

      Bija aurait donc en fait une double casquette selon Avvenire : celui de garde-côte et de passeur. D’un côté, il intercepte des migrants en mer pour les ramener en Libye et de l’autre, il organise leur traversée vers l’Europe.

      Le journal italien précise qu’un mois après la visite de Bija en Sicile, les départs de migrants depuis les côtes libyennes ont diminué de 50%.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/20076/depart-de-migrants-vers-l-europe-l-italie-aurait-negocie-avec-un-trafi
      #gardes-côtes_libyens

      –--------

      Bija apparaît sur seenthis déjà en 2017, dans ce même fil de discussion : https://seenthis.net/messages/600874#message625178
      Et ici : https://seenthis.net/messages/576747

    • Human trafficker was at meeting in Italy to discuss Libya migration

      #Abd_al-Rahman_Milad attended 2017 talks between intelligence officials and Libyan coastguard.

      One of the world’s most notorious human traffickers attended a meeting in Sicily with Italian intelligence officials to discuss controls on migrant flows from Libya.

      Abd al-Rahman Milad, known as #Bija, took part in a meeting with Italian officials and a delegation from the Libyan coastguard at Cara di Mineo, in Catania, one of the biggest migrant reception centres in Europe, on 11 May 2017.

      Bija’s presence was documented by the Italian newspaper Avvenire, which on Friday published an extensive investigation into the meeting.

      A UN security report published in June 2017 described Bija as a bloodthirsty human trafficker responsible for shootings at sea and suspected of drowning dozens of people. He is considered to be the leader of a criminal organisation operating in the Zawyah area in north-west Libya, about 28 miles west of Tripoli.

      https://i.guim.co.uk/img/media/6820513c9e08340e261337ba4c483ed098cf1be0/0_0_1000_1250/master/1000.jpg?width=380&quality=85&auto=format&fit=max&s=87be32c7882ff9ce055395

      In February 2017, the then Italian interior minister, Marco Minniti, signed a memorandum with the leader of Libya’s UN-recognised government, Fayez al-Sarraj, introducing a new level of cooperation between the Libyan coastguard and the Italians, including the provision of four patrol vessels.

      The controversial deal has empowered the Libyan coastguard to intercept migrant dinghies at sea and bring them back to Libya, where aid agencies say the migrants and refugees suffer torture and abuse. The deal, which entailed Italy providing funds and equipment, was made by Minniti, a former communist with deep connections to Italian intelligence and the levers of the Italian state, in an attempt to stem the flow of migrants to its shores.

      The agreement was recently reinforced by Italy’s interior minister, Luciana Lamorgese, at a meeting in Malta with his counterparts from France, Germany and Malta.

      According to Avvenire, which obtained the photos from a source present at the meeting, Bija obtained a pass to enter Italy and take part in the meeting, which was also attended by north African delegates from a handful of international humanitarian agencies. Bija was presented at the meeting as “a commander of the Libyan coastguard”.

      Bija had already been recognised by a number of migrants in Cara di Mineo on the day of the meeting.

      According to the Italian newspaper’s source, Bija that day asked the Italian authorities for funds to manage the reception of migrants in Libya.

      “There had always been suspicions about the agreement between the Libyan coastguard and the Italian government,” Nello Scavo, who wrote the Avvenire story, told the Guardian. “In the past, there had already been talk of the suspected involvement of traffickers in the Libyan coastguard. But now we have the evidence. It seems really strange that Italian intelligence was not aware of Bija’s identity. It is difficult to believe they were distracted.”

      Last September, detectives in Sicily arrested three men who allegedly raped and tortured dozens of migrants in a detention centre in the north-west of Libya.

      Prosecutors in Agrigento have collected testimonies from numerous asylum seekers from north Africa, who allegedly recognised their former captors at a migrant registration centre in Messina, Sicily.

      The three alleged captors, a 27-year-old Guinean man and two Egyptians, 24 and 26, are accused of torture, kidnapping and human trafficking, operated in Zawiya detention centre, the same centre where Bija operated.

      In some of the migrants’ testimonies, contained in the survey documents seen by the Guardian, asylum seekers talk about a man who called himself “Abdou Rahman, who was in charge of transferring migrants to the beach. It was he who, in the end, decided who could embark or not. He was a violent man and armed. We all feared him.”

      Friday’s development came as the Italian foreign minister, Luigi Di Maio, presented a new decree regarding asylum seekers, which he said would cut the time it took for a decision on whether a migrant should be repatriated to four months.

      https://www.theguardian.com/world/2019/oct/04/human-trafficker-at-meeting-italy-libya-migration-abd-al-rahman-milad
      #Minniti

    • La trattativa nascosta. Dalla Libia a #Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss

      Le foto dell’incontro nel 2017 tra il numero uno dei trafficanti di esseri umani, Bija, e delegati inviati dal governo.

      https://www.avvenire.it/c/2019/PublishingImages/fec6e1eedc8c4a7082571c1cf20886b2/Abdurrahma_66311521.jpg?width=1024

      Quando il minibus coi vetri oscurati entra nel Cara di Mineo, solo in pochi conoscono la composizione della misteriosa delegazione da Tripoli. È l’11 maggio 2017. L’Italia sta negoziando con le autorità libiche il blocco delle partenze di profughi e migranti. Oggi sappiamo che quel giorno, senza lasciare traccia nei registri d’ingresso, alla riunione partecipò anche Abd al-Rahman al-Milad, il famigerato Bija. (IL PROFILO)

      Le numerose immagini ottenute da Avvenire attraverso una fonte ufficiale, documentano quella mattinata rimasta nel segreto. Accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawyah, aveva ottenuto un lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità italiane a studiare «il modello Mineo», da dove in questi anni sono passati oltre 30mila migranti. Accordi indicibili che proseguono anche adesso, nonostante le reiterate denunce delle Nazioni Unite.

      All’incontro, partecipavano anche delegati nordafricani di alcune agenzie umanitarie internazionali, probabilmente ignari di trovarsi seduti a fianco di un signore della guerra dedito alle peggiori violazioni dei diritti umani. Non deve essere un caso se, pochi giorni dopo, le Nazioni Unite in un durissimo rapporto del Consiglio di sicurezza denunciavano: «Abd al-Rahman Milad (alias Bija) e altri membri della Guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni migranti utilizzando armi da fuoco». Si chiede il congelamento dei beni e il divieto di viaggio di Bija al di fuori della Libia. Nel dossier quel nome viene citato per sei volte: «È il capo del ramo di Zawiyah della Guardia costiera. Ha ottenuto questa posizione grazie al supporto di Mohammad Koshlaf e Walid Koshlaf». Questi erano a capo della “Petroleum Facilities Guard”, controllavano la locale raffineria disponendo di una milizia di almeno duemila uomini.
      Sembra impossibile che le autorità italiane non sapessero chi era l’uomo seduto al tavolo dello strano convegno.

      Diversi mesi prima del suo arrivo in Italia, Bija era finito nel mirino di una raffica di inchieste giornalistiche e investigazioni internazionali. Il 14 febbraio 2017 The Times diffonde un video nel quale si vede un uomo in divisa mimetica picchiare selvaggiamente un gruppo di migranti su un gommone. Ripreso di spalle, il miliziano appare con una menomazione alla mano destra. Proprio come Bija, che durante i combattimenti anti Gheddafi del 2011 aveva perso alcune dita. Il 20 febbraio la giornalista italiana Nancy Porsia pubblica un approfondito reportage in inglese per Trt World, proseguendo un’inchiesta apparsa già il 6 gennaio in italiano su The Post Internazionale, nel quale spiega che «Bija lavora sotto la protezione di Al Qasseb, nom de guerre di Mohamed Khushlaf, che è a capo del dipartimento di sicurezza della raffineria di Zawiyah. Supportato da suo cugino e avvocato Walid Khushlaf, Al Qasseb esercita il controllo totale sulla raffineria e sul porto di Zawiyah. I cugini Khushlaf fanno parte della potente tribù Abu Hamyra, così come Al Bija». Poi arriveranno articoli pubblicati da Il Messaggero, Il Mattino, la Repubblica e l’Espresso. L’anno prima, siamo nel 2016, erano stati anche Panorama e Il Giornale a indicare Abdou Rahman quale uomo chiave del traffico di esseri umani. Numerose e ininterrotte da anni sono le inchieste di Francesca Mannocchi per l’Espresso e svariati altri media, di Sergio Scandura per Radio Radicale, oltre che di alcune tra le principali testate del mondo.


      Nonostante la grande mole di informazioni, Bija viene accompagnato in Italia e presentato come «uno dei comandanti della Guardia costiera della Libia», racconta una fonte ufficiale presente al meeting di Mineo. Quel giorno però accade un imprevisto. Un migrante libico ospitato nel Cara finisce per errore nei pressi del prefabbricato dove erano attesi Bija, alcuni delegati del premier Serraj e del Ministero dell’Interno tripolino. Quando dal minibus di una azienda di servizi turistici della provincia di Catania sbarcano i libici (almeno sei), l’immigrato si allontana spaventato: «Mafia Libia, Mafia Libia», dice in italiano.

      Le immagini che oggi pubblichiamo parzialmente per proteggere l’identità di diversi funzionari italiani presenti a vario titolo, mostrano Abdou Rahman seduto accanto a due suoi connazionali, un uomo e una donna. Ascolta senza mai proferire parola. Prende nota e ogni tanto fa cenno all’emissario del ministro dell’Interno del governo riconosciuto di intervenire. I libici fanno domande precise: «Quanto vi paga il governo italiano per ospitare ogni migrante qui? Quanto costa annualmente il Cara di Mineo». Poi, racconta la fonte di Avvenire, in modo neanche troppo diplomatico «fanno capire che in fondo il “modello Mineo” si può esportare in Libia e che l’Italia potrebbe finanziare la realizzazione di strutture per migranti in tutto il Paese, risparmiandosi denaro e problemi». Da lì a poco parte l’assedio alle Ong e vengono annunciati interventi dell’Italia e dell’Europa per aprire campi di raccolta nel Paese nordafricano.

      In realtà, ha spiegato l’inviato del Tg1 Amedeo Ricucci nel corso di uno speciale mandato in onda dopo essersi recato di persona a Zawyah per intervistare proprio Bija appena dopo il viaggio in Sicilia, «è come se giocassero a guardie e ladri, ma in salsa libica: con i ruoli degli uni e degli altri che si invertono di continuo a seconda delle convenienze».

      La trattativa deve essere andata a vantaggio dei trafficanti, se Bija è ancora in servizio. E anche i governi che si sono susseguiti hanno continuato a sostenere indirettamente ma consapevolmente le attività dei boss libici. Diversi testimoni in indagini penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia costiera chiamata Tallil (usata da Bija, ndr) e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture».

      Queste informazioni hanno avuto un inatteso riscontro proprio nei giorni scorsi. Mentre gli investigatori di Agrigento e Palermo indagavano per arrestate i tre presunti torturatori camuffati tra i migranti dell’hotspot di Messina, alcune delle vittime hanno raccontato che a decidere chi imbarcare sui gommoni era «un uomo libico, forse di nome “Bingi” (fonetico), al quale mancavano due falangi della mano destra». Secondo un altro migrante l’uomo era soprannominato “Bengi”, e «si occupava di trasferire i migranti sulla spiaggia; era lui, che alla fine, decideva chi doveva imbarcarsi; egli era uno violento ed era armato; tutti avevamo timore di lui». Quando gli chiedono se qualche volta avesse sentito il suo vero nome, il migrante risponde con sicurezza: «Lo chiamavano Abdou Rahman». (1-Continua)

      Una motovedetta del boss scafista mentre recupera un motore da un gommone in alto mare per riutilizzarlo nel traffico dei migranti

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/dalla-libia-al-mineo-negoziato-boss-libico

    • Il trafficante libico Bija in Italia: ecco la lettera ufficiale di invito

      Una missiva protocollata da un’agenzia Onu. Destinatario: il consolato italiano a Tunisi. E il “comandante Bija”, considerato un potente boss degli scafisti, è venuto nel nostro Paese per incontri istituzionali.

      Come mai il libico Abd Raman al Milan, detto “comandante Bija”, ex capo della Guardia costiera accusato dalle Nazioni Unite di essere uno dei più potenti trafficanti di esseri umani, nel 2017 è stato invitato a una serie di incontri ufficiali in Italia? Chi lo ha davvero invitato? E chi ha concesso e protocollato i documenti?

      La questione, esplosa dopo un’inchiesta del reporter Nello Scavo sul quotidiano Avvenire , è ora al centro di polemiche, indagini e interrogazioni parlamentari nel nostro Paese.

      L’Espresso è in grado di mostrare in esclusiva un documento fondamentale della vicenda: la lettera con cui il 3 aprile di due anni fa l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, chiedeva all’ufficio consolare italiano di base a Tunisi l’emissione dei visti per la delegazione libica di cui faceva parte anche Bija.

      Abd Raman al Milan è poi effettivamente venuto in Italia il maggio successivo: sia in Sicilia sia a Roma, dove ha avuto anche colloqui con «autorità italiane», così come anticipava la stessa lettera dell’Oim.

      L’Oim è un’agenzia delle Nazioni Unite con sede centrale a Ginevra e uffici anche in Italia. Il suo presidente è il portoghese Antonio Vitorino, ex commissario Ue. L’Onu stessa ritiene che il “comandante Bija” sia un signore della guerra tra i principali boss del traffico di esseri umani. Nel 2018 il Consiglio di sicurezza ha ordinato il congelamento dei suoi beni e gli ha imposto il divieto d’espatrio.

      Secondo la versione ufficiale delle autorità italiane, il nostro consolato sarebbe stato ingannato da “documenti probabilmente falsi” presentati da Bija. Lo stesso boss libico, ex capo della guardia costiera di Zawhia, ha smentito questa tesi sostenendo di essere arrivato in Italia con il suo vero nome e i suoi regolari documenti, facendo seguito a un invito ufficiale. Le domande sull’incontro a Mineo, dunque, restano ancora aperte. Le versioni troppe e troppo discordanti.

      http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/10/18/news/trafficante-libico-bija-in-italia-lettera-ufficiale-1.340124