Ad oggi, si ritiene che dei circa tre milioni di migranti siriani presenti in Turchia [2], almeno la metà abbia un’età inferiore ai 18 anni. I dati ufficiali delle Nazioni Unite riferiscono, su poco più di due milioni e ottocentomila unità registrate ufficialmente, di circa un milione e duecentomila under 18 e quasi 400.000 under 5. [3]
Durante l’anno scolastico 2015-2016 il Ministro dell’istruzione aveva dichiarato che erano circa 650.000 i migranti bambini che non avevano avuto accesso all’istruzione. [4] I dati forniti dal governo riferivano infatti di non più di 320.000 siriani iscritti nelle scuole. [5]
In merito al nuovo anno scolastico 2016-2017, l’UNICEF - riprendendo fedelmente nel suo rapporto di fine anno (dicembre 2016) [6] i dati pubblicati dal governo turco - parla invece di “sole” 380.000 unità a cui neanche quest’anno è stato ancora possibile garantire il diritto allo studio.
La medesima organizzazione afferma quindi che, con 490.000 iscritti durante l’anno scolastico in corso, per la prima volta dall’inizio della crisi è maggiore il numero dei bambini dentro le scuole di quelli fuori.
Anche a voler ritenere attendibili tali dati snocciolati dal ministero turco, che pur mostrando un miglioramento rispetto al trend del 2015 restano comunque aberranti, sono inevitabili tre considerazioni.
In primis, salta agli occhi di chiunque l’incredibile lentezza con cui il governo si è mosso e continua ad agire per assicurare un’istruzione ai migranti minorenni nel contesto di una crisi che si protrae dal 2011.
La prima delle cause della mancata scolarizzazione è da individuare infatti nelle misure inadeguate prese da Ankara sin dall’inizio del conflitto siriano che, ancora oggi, dopo sei anni, permettono a meno del 10% delle famiglie siriane l’accesso ai campi, abbandonando il restante 90% a enormi difficoltà economiche e di accesso ai servizi di base, tra cui la scuola.
I dati al novembre 2015 elaborati da Human Rights Watch [7] stimavano che all’incirca il 90% dei bambini che vivevano nei campi frequentavano regolarmente una scuola; rappresentando tuttavia quest’ultimi solo il 13% dei rifugiati siriani in età scolastica. Considerando la bassa percentuale di residenti nei campi, nel 2014-2015 si stimava che in totale fossero non più del 25% i siriani che in Turchia avevano accesso all’istruzione. [8]
Sempre nel 2015, AFAD [9] snocciolava percentuali di scolarizzazione che per i bambini di età compresa tra i 6 e gli 11, che vivevano fuori da campi, non superava il 15% [10] e sottolineava come tale differenza “undermines the United Nations’ “no lost generation” strategy”.
In secondo luogo, ogni volta che vengono forniti dati ufficiali provenienti dalle Nazioni Unite (salvo eccezioni) è opportuno ricordare che si riferiscono a migranti registrati. Si stima siano almeno 300.000 coloro che al momento vivono sul suolo turco senza essere mai stati censiti. La maggior parte di questi sono bambini. In tal senso è inevitabile che le cifre relative alla dispersione scolastica siano destinate a salire in modo vertiginoso.
In ultimo, la gravità dei dati di cui sopra, deve essere contestualizzata rispetto l’attenzione che il popolo siriano prestava alla cultura prima di essere lacerato dalla guerra: un tasso di iscrizione del 99% per l’istruzione primaria e dell’82% per la scuola secondaria inferiore. [11]
La domanda immediatamente consequenziale da porsi a questo punto è: cosa succede ad un esercito, in parte fantasma, di generazioni a cui non è stata consentito di fatto l’accesso all’istruzione?
Cosa accade se gli stessi sfortunati protagonisti sono costretti a vivere nella miseria più totale, abbandonati dalla comunità internazionale e dal paese che li dovrebbe proteggere?
Lavoro minorile, accattonaggio, reclutamento da parte di forze armate di matrice terrorista, sfruttamento sessuale: sono queste le principali cause in Turchia, per i giovani migranti, della fine dell’infanzia e di un’entrata scomposta e traumatica nell’età adulta.