La Merce Siamo Noi \\ Trailer

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  • Io non ho sogni - L’accesso alla sanità per i rifugiati siriani in Turchia

    “Credo seriamente, che il problema della cattiva gestione dell’intervento sanitario sulla popolazione in fuga dalla Siria sia dovuto non solo a una mancanza di mezzi e risorse, quanto piuttosto alla totale assenza di un programma chiaro da parte del governo. C’è una forte pressione, in termini di numeri e di richiesta di assistenza sul personale medico, in quanto il flusso di feriti in entrata nel paese è sempre in aumento e nettamente al di sopra delle capacità di gestione della crisi da parte del governo. E’ per queste ragioni che è nata questa clinica, per aiutare i feriti che, entrando in Turchia, non ricevono le cure adeguate”. Aynan sottolinea più volte questo concetto mentre l’infermiere cambia la fasciatura a Riyadh, un ragazzo di poco più di venticinque anni a cui una raffica di proiettili hanno spezzato le ossa del braccio e maciullato il fascio di nervi e muscoli che l’avvolgevano .


    http://www.meltingpot.org/Io-non-ho-sogni-L-accesso-alla-sanita-per-i-rifugiati.html?var_mode=calc
    #accès_à_la_santé #santé #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_syriens #Turquie

    • Il lavoro sommerso e lo sfruttamento dei rifugiati in Turchia

      Qualche ragazzino trascina a fatica una carriola piena di detriti da costruzione, altri bambini fanno su e giù da un’altalena cigolante.
      Le canne e gli arbusti si piegano sferzati dalle raffiche che alternano i nostri silenzi, imposti da istintivi gesti con cui proteggiamo con le mani il viso dalla sabbia, al rumore sordo e violento dei colpi di martello che sulle travi vibrano in lontananza.
      Adesso che il sole nato in Siria fugge oltre la Turchia, i corpi dei lavoratori siriani sui tetti delle case in costruzione sono solo sagome nere nel pallore rossastro dell’orizzonte.

      “Non ho che questo lavoro e la speranza di mantenerlo per sopravvivere e far sopravvivere la mia famiglia.
      Ero ricco, sai. Avevo un’impresa, con diciannove dipendenti. Avevo una villa grande, due macchine e un’altra casa dove passavo le vacanze”. Mosa mi mostra l’immagine dei suoi cinque figli piccoli “nessuno di noi immaginava sarebbe mai successo. Che Allah ci protegga tutti e ci illumini la via”.
      Ha le mani sporche di grasso e cemento rappreso che continua a cercare di pulire strofinandole contro i pantaloni.
      Non supera i quarant’anni pur dimostrandone almeno dieci in più. Mi racconta di essersi sposato molto giovane.
      Scorre velocemente sul display le foto dei suoi figli ungendo lo smartphone, “certo che lo so che mi stanno sfruttando, so benissimo quanto prende un turco qui. Ma è casa loro, e io non ho scelta”.

      Senza nessuna ragione apparente mi assalgono i ricordi del liceo, delle ore di grammatica in cui la professoressa era solita sezionare i termini sino alla loro radice al fine di farci comprenderne in modo scientifico e puntuale l’esatto significato che hanno le parole.
      Si accaniscono e si scontrano pensieri ed emozioni.
      “Sfruttamento” dal latino privare del frutto. Gli architetti del linguaggio intesero collegare l’azione spregevole alla defraudazione di un oggetto il cui utilizzo non si ferma al mero presente. Il frutto non dà solo sostentamento nell’immediato, ma contiene al suo interno il tesoro dei semi necessari alla continuazione della specie stessa. Lo sfruttamento al contrario priva il contadino non solo di ciò di cui sarebbe stato in possesso oggi e che lo avrebbe dovuto nutrire, bensì anche dei frutti che avrebbe ottenuto piantando i semi che gli sono stati vigliaccamente sottratti. In Turchia il frutto dell’uomo, il suo lavoro, è ridotto a merce. L’uomo stesso ad una pianta da cui esigere più fioriture possibili prima di essere estirpata e sostituita.

      Ciò che il conflitto in Siria - e il successivo blocco dei rifugiati in Turchia imposto dai Paesi dell’Unione Europea - ha creato, è un enorme imbuto di disperazione che sta obbligando tre milioni di uomini e donne ad una permanenza forzata sul territorio del sultano.
      La conseguenza della politica di esternalizzazione delle frontiere intrapresa da Bruxelles è un sistema in cui il tormento della sopravvivenza sta spingendo moderni schiavi di ogni età e sesso a consentire di essere sfruttati nelle catene di montaggio, nelle fabbriche tessili, nei cantieri edili o nei campi pur di riuscire a sopravvivere.
      Ogni volta che ne parlo con Valentina la scopro stringere i pugni nascosti sotto le maniche troppo lunghe del giaccone. Poi la rabbia è solo l’input per riscoprirsi a perdersi ancora e di nuovo dietro nozioni di macroeconomia da manuale ed esempi pratici di fenomenologia della sopravvivenza.
      Mi racconta di Aaamir e di Baasima che non hanno neanche il latte per il loro ultimo nato. Io, le mostro la foto di Aida che a Rejanli è costretta a 65 anni a lavorare come badante in una casa turca per massimo tre dollari l’ora.
      Io metabolizzo il senso di tutti questi nostri discorsi e prendo coscienza di due cose.
      La prima è che ritornare in questa terra dopo così tanto tempo, dopo gli spari delle milizie macedoni al confine greco e i morsi dei cani aizzati dalla polizia bulgara contro i ragazzi siriani, non fa altro che amplificare ed esasperare ogni emozione.
      I ricordi fulgidi dei sorrisi e delle lacrime lasciati lungo la balkan route, miscelati a questi giorni di terra e sole non scoloriranno mai. Non finiranno come tessuti sintetici dopo un lavaggio a 90°.

      La seconda, è che l’effetto dell’accordo stipulato con Ankara sta producendo effetti normali e prevedibili più di una partita a scacchi giocata con un’intelligenza artificiale che utilizza sempre il medesimo algoritmo.
      Rientrando in stanza stasera, senza luce ed elettricità e fissando dalla finestra il fumo della sigaretta che allunga le luci del bazar ancora aperto, giungo alla stessa conclusione cui arrivai quel pomeriggio mentre aspettavo l’aereo a Kos: non avremo mai scusanti per tutti i compromessi stretti con i rappresentanti di quei paesi, in cui la vita umana la si può quasi vincere con una mano fortunata al gioco delle carte.


      http://www.meltingpot.org/Io-non-ho-sogni-Il-lavoro-sommerso-e-lo-sfruttamento-dei.html
      #travail #exploitation #industrie_textile #agriculture

    • L’infanzia negata. Inchiesta in merito agli effetti prodotti dall’accordo UE - Turchia: il lavoro minorile

      Ad oggi, si ritiene che dei circa tre milioni di migranti siriani presenti in Turchia [2], almeno la metà abbia un’età inferiore ai 18 anni. I dati ufficiali delle Nazioni Unite riferiscono, su poco più di due milioni e ottocentomila unità registrate ufficialmente, di circa un milione e duecentomila under 18 e quasi 400.000 under 5. [3]

      Durante l’anno scolastico 2015-2016 il Ministro dell’istruzione aveva dichiarato che erano circa 650.000 i migranti bambini che non avevano avuto accesso all’istruzione. [4] I dati forniti dal governo riferivano infatti di non più di 320.000 siriani iscritti nelle scuole. [5]
      In merito al nuovo anno scolastico 2016-2017, l’UNICEF - riprendendo fedelmente nel suo rapporto di fine anno (dicembre 2016) [6] i dati pubblicati dal governo turco - parla invece di “sole” 380.000 unità a cui neanche quest’anno è stato ancora possibile garantire il diritto allo studio.
      La medesima organizzazione afferma quindi che, con 490.000 iscritti durante l’anno scolastico in corso, per la prima volta dall’inizio della crisi è maggiore il numero dei bambini dentro le scuole di quelli fuori.
      Anche a voler ritenere attendibili tali dati snocciolati dal ministero turco, che pur mostrando un miglioramento rispetto al trend del 2015 restano comunque aberranti, sono inevitabili tre considerazioni.
      In primis, salta agli occhi di chiunque l’incredibile lentezza con cui il governo si è mosso e continua ad agire per assicurare un’istruzione ai migranti minorenni nel contesto di una crisi che si protrae dal 2011.
      La prima delle cause della mancata scolarizzazione è da individuare infatti nelle misure inadeguate prese da Ankara sin dall’inizio del conflitto siriano che, ancora oggi, dopo sei anni, permettono a meno del 10% delle famiglie siriane l’accesso ai campi, abbandonando il restante 90% a enormi difficoltà economiche e di accesso ai servizi di base, tra cui la scuola.
      I dati al novembre 2015 elaborati da Human Rights Watch [7] stimavano che all’incirca il 90% dei bambini che vivevano nei campi frequentavano regolarmente una scuola; rappresentando tuttavia quest’ultimi solo il 13% dei rifugiati siriani in età scolastica. Considerando la bassa percentuale di residenti nei campi, nel 2014-2015 si stimava che in totale fossero non più del 25% i siriani che in Turchia avevano accesso all’istruzione. [8]
      Sempre nel 2015, AFAD [9] snocciolava percentuali di scolarizzazione che per i bambini di età compresa tra i 6 e gli 11, che vivevano fuori da campi, non superava il 15% [10] e sottolineava come tale differenza “undermines the United Nations’ “no lost generation” strategy”.

      In secondo luogo, ogni volta che vengono forniti dati ufficiali provenienti dalle Nazioni Unite (salvo eccezioni) è opportuno ricordare che si riferiscono a migranti registrati. Si stima siano almeno 300.000 coloro che al momento vivono sul suolo turco senza essere mai stati censiti. La maggior parte di questi sono bambini. In tal senso è inevitabile che le cifre relative alla dispersione scolastica siano destinate a salire in modo vertiginoso.

      In ultimo, la gravità dei dati di cui sopra, deve essere contestualizzata rispetto l’attenzione che il popolo siriano prestava alla cultura prima di essere lacerato dalla guerra: un tasso di iscrizione del 99% per l’istruzione primaria e dell’82% per la scuola secondaria inferiore. [11]

      La domanda immediatamente consequenziale da porsi a questo punto è: cosa succede ad un esercito, in parte fantasma, di generazioni a cui non è stata consentito di fatto l’accesso all’istruzione?
      Cosa accade se gli stessi sfortunati protagonisti sono costretti a vivere nella miseria più totale, abbandonati dalla comunità internazionale e dal paese che li dovrebbe proteggere?
      Lavoro minorile, accattonaggio, reclutamento da parte di forze armate di matrice terrorista, sfruttamento sessuale: sono queste le principali cause in Turchia, per i giovani migranti, della fine dell’infanzia e di un’entrata scomposta e traumatica nell’età adulta.


      http://www.meltingpot.org/Io-non-ho-sogni-L-infanzia-negata.html
      #enfants #enfance #travail_des_enfants #néo-esclavage #esclavage

    • La merce siamo noi

      Un documentario che corre lungo le linee disegnate dai campi profughi nel sud est della Turchia, un labirinto di muri e misure restrittive, manipolazioni politiche ed esodi senza precedenti


      https://www.youtube.com/watch?v=ktwIvfnE2mM

      http://www.meltingpot.org/La-merce-siamo-noi-22685.html
      #film #documentaire