• Roma, la fermata della metro C #Amba_Aradam cambia nome: approvata l’intitolazione al partigiano #Marincola. Il vox tra i cittadini

    E’ stata approvata questo pomeriggio la mozione che impegna l’amministrazione capitolina ad intitolare la futura fermata della Metro C Amba Aradam al partigiano italo-somalo #Giorgio_Marincola. Mentre nell’Aula Giulio Cesare l’assemblea capitolina votava la mozione, appoggiata dalla sindaca Virginia Raggi, per cambiare quel nome simbolo del colonialismo italiano e di una delle peggiori stragi compiute dal regime fascista in Africa, i residenti che abitano nel quartiere vicino l’omonima via Amba Aradam, nell’area di San Giovanni, si dividono sull’iniziativa.


    C’è chi difende l’iniziativa del Campidoglio. Chi vuole conservare il vecchio nome scelto per la stazione metro C di Roma, ‘Amba Aradam‘, affinché “anche gli errori e le atrocità non vengano dimenticate”. Ma anche chi rivendica che “la storia non si debba cambiare”, quasi ‘nostalgico’ del periodo coloniale di matrice fascista.

    Lì, dove è in costruzione una nuova fermata della metropolitana (che dovrebbe essere ultimata entro il 2024, ndr) erano state le azioni dimostrative degli attivisti di #Black_Lives_Matter, seguite da appelli della società civile, a porre il problema di quella controversa toponomastica. Chiedendo di sostituire quel nome e di rendere invece omaggio al partigiano Marincola. Figlio di un soldato italiano e di una donna somala, da giovanissimo scelse di combattere per la Resistenza, contro l’occupazione nazifascista, ucciso dalle SS in Val di Fiemme il 4 maggio 1945.

    “Una scelta giusta, omaggiare un partigiano di colore può essere un atto di grande valore simbolico”, c’è chi spiega. Altri concordano: “Perché no?”. Una proposta che ha anche permesso di conoscere una storia spesso dimenticata: “Non lo conoscevo, ho letto sui giornali. Ma ora sono convinto che sia giusto dedicargli questo riconoscimento”, spiega una ragazza.

    Altri invece sono contrari: “Deve restare il nome ‘Amba Aradam’, si è sempre chiamata così anche la via”. Eppure, tra i sostenitori del vecchio nome (ma non solo), quasi nessuno conosce la storia della strage fascista che si consumò nel massiccio montuoso a nord di Addis Abeba, lungo il Tigre, quando, nel 1936, le truppe del maresciallo Badoglio e l’aviazione italiana massacrarono 20mila etiopi, compresi civili, donne e bambini, usando gas vietati già allora dalle convenzioni internazionali, come l’iprite. Altre centinaia persero la vita tre anni più tardi, all’interno di una profonda grotta dell’area, con le truppe fasciste che fecero uso di gas e lanciafiamme contro la resistenza etiope, per poi murare vivi gli ultimi sopravvissuti.

    Una storia che quasi nessuno conosce, anche chi difende il nome ‘Amba Aradam’. Certo, chi concorda con la nuova intitolazione è convinto che, al di là dei simboli, siano necessarie altre azioni concrete sul tema immigrazione, compreso il diritto alla cittadinanza per chi nasce, cresce e studia in Italia: “Ius soli e Ius culturae? Sono favorevole”, spiegano diversi residenti. Ma non solo: “Serve anche ripartire dalle scuole e dalla formazione per debellare il razzismo”.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/04/roma-la-fermata-della-metro-c-di-via-amba-aradam-sara-intitolata-al-partigiano-marincola-il-vox-tra-i-residenti-sulliniziativa-del-campidoglio/5889280
    #toponymie #toponymie_politique #Italie #colonialisme #Rome #partisans #métro #station_de_métro #colonialisme_italien #passé_colonial #mémoire #guerre_d'Ethiopie #Ethiopie #massacre #Badoglio

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    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien:
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    • Prossima fermata: Giorgio Marincola

      Sulla scia di Black Lives Matter, un piccolo movimento d’opinione ha proposto di rinominare una stazione della metro C in costruzione. Sarà intitolata al partigiano nero che morì combattendo i nazisti in val di Fiemme.

      La zona intorno a via dell’Amba Aradam a Roma, alle spalle della basilica di San Giovanni in Laterano, è da tempo sottosopra per la presenza di un grande cantiere. Sono i lavori della linea C della metropolitana: uno dei tanti miti romani che si spera possa un giorno, chissà, diventare realtà. Se tutto andrà bene, nel 2024 la città avrà una fermata della nuova metro chiamata per l’appunto «Amba Aradam».

      Anzi, non più. Martedì 4 agosto l’Assemblea capitolina ha approvato – con l’appoggio della sindaca Virginia Raggi – una mozione che vincola l’Amministrazione cittadina a cambiare quel nome. Niente Amba Aradam: la stazione si chiamerà «Giorgio Marincola». Alla grande maggioranza degli italiani nessuno di questi due nomi – di luogo il primo, di persona il secondo – dice alcunché. Il primo è da tempo dimenticato dai più; il secondo nemmeno l’hanno mai sentito. Eppure la decisione di sostituire l’uno con l’altro, maturata nelle settimane recenti sulla scia del movimento Black Lives Matter e delle sue ripercussioni in Italia, è una svolta importante, di rilevante significato politico. Certifica l’opposta curva che la reputazione, l’eco dei due nomi percorre nella coscienza dei contemporanei.

      L’Amba Aradam, gruppo montuoso della regione del Tigrè, fu teatro a metà febbraio 1936 di una battaglia nel corso dell’aggressione fascista all’Etiopia. All’epoca venne celebrata in Italia come una grande vittoria, tacendo che era stata ottenuta con l’uso massiccio e indiscriminato di gas asfissianti proibiti dalla Convenzione di Ginevra. Ventimila morti tra combattenti e civili inermi abissini: una strage, un crimine di guerra per il quale nessuno è mai stato processato. Il Negus, costretto all’esilio, denunciò l’accaduto dalla tribuna della Società delle Nazioni, attirando sull’Italia l’obbrobrio delle democrazie. Oggi gli italiani in massima parte non sanno o non vogliono sapere. Restano i nomi di strade e piazze in varie località del Paese e un’espressione, «ambaradàn», di cui s’è scordata l’origine e che sta a significare una gran confusione.

      All’epoca della battaglia Giorgio Marincola aveva 12 anni e mezzo e frequentava la scuola media a Roma. La sua esistenza, sia prima che dopo, non ebbe nulla dell’apparente banalità che sembrano indicare queste scarne notizie. E merita di essere raccontata, perché troppo pochi ancora la conoscono.

      Giorgio era nato in Somalia nel settembre del ’33. Suo padre Giuseppe era un maresciallo maggiore della Regia Fanteria; sua madre, Askhiro Hassan, era somala; la sua pelle era color caffellatte. Prendere una concubina del posto, per gli italiani che a vario titolo si trovavano nella colonia somala era, all’epoca, comportamento diffuso. Per niente diffusa, viceversa, la scelta di riconoscere i figli nati da quelle unioni: ma Giuseppe Marincola volle comportarsi così, e li portò con sé in Italia. Giorgio, negli anni dell’infanzia, fu affidato a una coppia di zii che vivevano in Calabria e non avevano figli. La sorellina Isabella, di due anni più giovane, crebbe invece presso il padre e la moglie italiana che Giuseppe aveva nel frattempo sposato. Questa precoce separazione segnò le vite dei bambini: il maschio fu avvolto dall’affetto degli zii come fosse figlio loro; Isabella fu respinta dalla cattiveria e dai maltrattamenti di una matrigna che non l’amava. (La sua storia è narrata nel bel libro di Wu Ming 2 e Antar Mohamed Timira, pubblicato da Einaudi nel 2012, dal quale sono tratte la maggior parte delle informazioni qui riferite).

      Adolescente, Giorgio Marincola fu riunito alla sua famiglia a Roma. Negli anni del liceo, iscritto all’Umberto I, ebbe come insegnante di Storia e Filosofia Pilo Albertelli, al quale quello stesso istituto scolastico è oggi dedicato. Il professor Albertelli, partigiano, eroe della Resistenza, medaglia d’oro al valor militare, fu arrestato il primo marzo del ’44 mentre faceva lezione, torturato, infine trucidato tra i martiri dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. A quel punto Giorgio, che nel frattempo aveva terminato le superiori e si era iscritto a Medicina, ne aveva già seguito l’esempio unendosi ai gruppi partigiani legati a Giustizia e Libertà attivi a Roma e nel Lazio.

      Nel giugno del ’44 i tedeschi lasciarono Roma e i compagni d’avventura di Giorgio, deposte le armi, si apprestarono a tornare all’università. Lui volle invece continuare a combattere: raggiunse la Puglia, dove ricevette una sommaria formazione da parte delle forze speciali alleate, e qualche settimana dopo fu paracadutato sul Biellese. Si unì alle formazioni partigiane di GL in Piemonte, finché non fu catturato. I fascisti repubblichini usavano costringere i prigionieri a lanciare appelli dalla loro emittente Radio Baita, affinché convincessero i compagni a deporre le armi. Messo davanti al microfono, Marincola pronunciò invece parole che andrebbero riportate su ogni manuale scolastico di storia: «Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica… La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli oppressori…».

      Così il giovane eroe fu consegnato ai tedeschi, che lo deportarono nel campo di transito di Gries, alle porte di Bolzano. Lì lo raggiunse la Liberazione, all’indomani del 25 aprile 1945. La guerra in Italia era finita ma ancora una volta Giorgio si mise a disposizione dei comandi militari di Giustizia e Libertà. Insieme ad altri cinque o sei ragazzi, fu incaricato di presidiare un bivio in località Stramentizzo in Val di Fiemme, poco a nord di Trento, sulla strada della ritirata delle colonne tedesche le quali, in base agli accordi di resa, avevano avuto concesso libero transito verso il loro Paese. Per evitare incidenti, la piccola unità partigiana aveva ricevuto ordine di non portare le armi: si trattava insomma soltanto di dirigere il traffico.

      Alle prime ore di una bella mattina di maggio, il giorno 5, una colonna di SS si presentò all’incrocio, preceduta da bandiere bianche. I soldati scesero dai camion e fecero fuoco. Poi procedettero verso il paese di Stramentizzo, seminando morte tra le case: fu l’ultima strage nazista in territorio italiano. L’episodio è stato variamente raccontato: sta di fatto che così finì la giovane vita di Giorgio Marincola, a 22 anni non ancora compiuti. Quando i comandi di GL ricevettero le prime confuse notizie dell’accaduto, furono informati che tra i morti c’era un ufficiale di collegamento americano: nessuno immaginava che un uomo dalla pelle nera potesse essere italiano.

      Da molti decenni Stramentizzo non esiste più: alla metà degli anni Cinquanta finì sul fondo del lago artificiale creato dalla diga costruita sul corso del torrente Avisio. A Marincola fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria; nel ’46 l’Università di Roma gli attribuì la laurea in Medicina honoris causa. Poi il suo nome finì nel dimenticatoio: una via a Biella, nelle cui vicinanze aveva combattuto; un’aula della scuola italiana a Mogadiscio, in Somalia, in seguito demolita. Nient’altro. Finché, piano piano, con una lotta sorda e ostinata per salvarne la memoria, si è tornati a parlare di lui: un libro, Razza partigiana, di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio; l’aula di Scienze del liceo Albertelli di Roma, dove oggi ai ragazzi viene raccontata la sua storia. E, nel prossimo futuro, una stazione delle metropolitana, affinché i romani ricordino.

      https://www.azione.ch/attualita/dettaglio/articolo/prossima-fermata-giorgio-marincola.html

    • Metro C, nuova stazione Amba Aradam-Ipponio sarà intitolata a partigiano Giorgio Marincola

      Approvata in Campidoglio una mozione per intitolare la futura fermata della metro C Amba Aradam/Ipponio al partigiano antifascista Giorgio Marincola. Figlio di un sottufficiale italiano e di una donna somala, vissuto a Roma nel quartiere di Casalbertone, scelse di contribuire alla liberazione d’Italia nel periodo della Resistenza. Morì in Val di Fiemme nel maggio 1945.

      L’iniziativa per l’intitolazione era stata lanciata, nelle scorse settimane, con una petizione su change.org che ha raccolto numerose adesioni.

      https://www.comune.roma.it/web/it/notizia/metro-c-nuova-stazione-amba-aradam-ipponio-sara-intitolata-a-partigiano-

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      Le texte de la motion:
      Mozione n.68 del 4agosto 2020
      https://www.carteinregola.it/wp-content/uploads/2016/09/moz68-20-intitolazione-stazione-metro-marincola.pdf

    • La pétition sur change.org:
      Fanpage - "Perché intitolare al partigiano meticcio Marincola la stazione della metro C Amba Aradam

      «Giorgio Marincola, figlio di una madre somala e di un soldato italiano, è stato un partigiano che ha combattuto da Roma al Nord Italia fino agli ultimi giorni della Liberazione. Sarebbe meglio intitolare la nuova stazione della metro C a lui, piuttosto che con il nome Amba Aradam, che ricorda uno degli episodi più atroci dell’occupazione italiana in Etiopia. La proposta, rilanciata anche da Roberto Saviano, ora è diventata una petizione online rivolta alla sindaca Virginia Raggi.»

      https://www.change.org/p/virginia-raggi-intitoliamo-la-stazione-della-metro-c-di-via-dell-amba-aradam-a-giorgio-marincola/u/27093501

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      Perché intitolare al partigiano meticcio Giorgio Marincola la stazione della metro C di Amba Aradam

      Giorgio Marincola, figlio di una madre somala e di un soldato italiano, è stato un partigiano che ha combattuto da Roma al Nord Italia fino agli ultimi giorni della Liberazione. Sarebbe meglio intitolare la nuova stazione della metro C a lui, piuttosto che con il nome Amba Aradam, che ricorda uno degli episodi più atroci dell’occupazione italiana in Etiopia. La proposta, rilanciata anche da Roberto Saviano, ora è diventata una petizione online rivolta alla sindaca Virginia Raggi.

      Nella notte tra giovedì e venerdì un’azione da parte di un gruppo di attivisti antirazzisti ha portate anche nella capitale la mobilitazione che, partita dagli Stati Uniti e allargatasi all’Europa e non solo, mette in discussione i simboli del passato coloniale e schiavista, siano essi statue, targhe, intitolazioni di vie e piazze. A Milano a finire (di nuovo) nel mirino è stata la statua dedicata al giornalista Indro Montanelli. A Roma, con l’hashtag Black Lives Matter, a essere presa di mira è stata la statua del generale #Antonio_Baldissera, protagonista degli orrori dell’avventura coloniale fascista, il cui busto al Pincio è stato coperto di vernice. Contemporaneamente largo dell’Amba Aradam e via dell’Amba Aradam venivano reintitolati a #George_Floyd e a #Bilal_Ben_Messaud. «#Nessuna_stazione_abbia_il_nome_dell'oppressione», con questo cartello gli attivisti hanno posto il problema del nome della stazione della Metro C di prossima apertura, che richiama uno degli episodi più sanguinosi e brutali della repressione della resistenza etiope all’occupazione italiana.

      Una questione, quella del nome della nuova stazione, che ha visto un’apertura da parte dell’assessore ai Trasporti di Roma Capitale Pietro Calabrese. “Ci stavamo già pensando, anche perché, al di là di tutto, la stazione non è su viale dell’Amba Aradam”, ha dichiarato al Fatto Quotidiano. Intanto in rete ha cominciato a circolare una proposta: perché non intitolarla al partigiano Giorgio Marincola? Figlio di un soldato italiano e di una donna somala, il padre Giuseppe Marincola era stato caporale maggiore e, decise di riconoscere i due figli avuti dall’unione con Askhiro Hassan.

      Una proposta che è stata rilanciata da Roberto Saviano e che è diventata ora una petizione su Change.org indirizzata alla sindaca Virginia Raggi, lanciata dal giornalista Massimiliano Coccia: «La fermata della Metro C di Roma che sorge a ridosso di Porta Metronia in via dell’Amba Aradam sia intitolata a Giorgio Marincola, partigiano nero, nato in Somalia e ucciso dai nazisti in Val di Fiemme. Giorgio liberò Roma e scelse di liberare l’Italia. Una storia spesso dimenticata dalla storiografia attuale ma che racconta una pagina generosa della nostra Resistenza». Sarebbe questa una scelta simbolica certo, ma di grande impatto, per affrontare la questione del colonialismo italiano e cominciare a fare i conti con il mito degli «italiani brava gente» che, appunto altro non è che un mito. Giorgio Marincola non è stato solo una partigiano, ma la vicenda della sua famiglia già dagli anni ’20 del secolo pone la questione dell’esistenza di una black Italy misconosciuta e negata.
      La storia di Giorgio e Isabella Marincola è la storia di un’Italia meticcia

      Giorgio Marincola arriva in Italia poco dopo la sua nascita e si iscrisse nel 1941 alla facoltà di Medicina cominciando ad avvicinarsi al Partito d’Azione con cui poi decise di partecipare alla Resistenza, prima a Roma poi nel Nord Italia. Catturato dalle SS fu tradotto dopo percosse e torture in carcere a Torino e poi a Bolzano. Qui fu liberato dagli Alleati ma invece di portarsi in Svizzera con un convoglio della Croce Rossa, decise di proseguire la Resistenza in Val di Fiemme e qui sarà ucciso il 4 maggio 1945 a un posto di blocco dai soldati tedeschi ormai in rotta. Alla sua storia è stato dedicato un libro «Razza Partigiana», che è anche un sito internet, scritto da Carlo Costa e Lorenzo Teodonio ed edito da Iacobelli. Anche la storia della sorella di Giorgio, Isabella Marincola, è entrata in un libro scritto dal figlio Antar Mohamed e dallo scrittore Wu Ming 2, è intitolato «Timira. Romanzo Meticcio» (Einaudi) e indaga attraverso il caleidoscopio biografico di Isabella e di Antar la storia coloniale italiana e il suo presente di rimozione, una storia che attraversa tutto il Novecento e l’inizio del nuovo secolo attraverso la vicenda a tratti incredibile di una «italiana nera».

      https://roma.fanpage.it/perche-intitolare-al-partigiano-meticcio-giorgio-marincola-la-stazione-

    • Il blitz: via Amba Aradam intitolata a George Floyd e Bilal Ben Messaud

      Raid antirazzista nella notte in via dell’Amba Aradam in zona San Giovanni a Roma. Cartelli della toponomastica modificati con fogli con su scritto il nome di George Floyd e Bilal Ben Messaud ed esposto uno striscione con su scritto «Nessuna stazione abbia il nome dell’oppressione» firmato Black Lives Matter. Sul posto la polizia. Inoltre, sempre durante la notte, il busto di Antonio Baldissera, generale a capo delle truppe italiane in Eritrea, è stata imbrattata con vernice rossa. I raid antirazzisti sono stati messi a segno dal gruppo Restiamo umani. «Smantelleremo i simboli del colonialismo nella Capitale», annunciano su Facebook dando «il sostegno ai manifestanti che a partire da Minneapolis hanno riempito le piazze di decine di città del mondo» e rifiutando «ogni contestualizzazione storica». I componenti del gruppo Restiamo umani dunque prendono come bersaglio «le strade che richiamano stragi vergognose compiute dai soldati italiani in Etiopia, come via dell’Amba Aradam» o i «monumenti che conferiscono invece gloria eterna a uomini colpevoli delle peggiori atrocità verso il genere umano: tra gli “illustri” della storia italiana al Pincio c’è un busto di Antonio Baldissera, generale a capo delle truppe italiane in Eritrea e successivamente governatore della colonia italiana di Eritrea alla fine del XIX secolo, quasi che il passato coloniale italiano fosse un lustro invece che un crimine che come tale va ricordato».

      https://video.corriere.it/blitz-via-amba-aradam-intitolata-george-floyd-bilal-ben-messaud/bd76d308-b20b-11ea-b99d-35d9ea91923c

    • Fantasmi coloniali

      Nella notte di giovedì 18 giugno, la Rete Restiamo Umani di Roma ha compiuto un’azione di #guerriglia_odonomastica in alcuni luoghi della città che celebrano gli orrori del colonialismo italiano in Africa. In particolare sono stati colpiti la via e il largo «dell’Amba Aradam», insieme alla futura stazione «Amba Aradam/Ipponio» sulla linea C della metropolitana.

      Le targhe stradali sono state modificate per diventare «via George Floyd e Bilal Ben Messaud», mentre lungo le barriere che delimitano il cantiere della nuova fermata sotterranea sono comparsi grandi manifesti con scritto: «Nessuna stazione abbia il nome dell’oppressione».

      Il gesto degli attivisti romani intende denunciare la rimozione, il silenzio e la censura sui crimini del colonialismo, poiché questi contribuiscono a rafforzare e legittimare il razzismo di oggi. Amba Aradam è infatti il nome di un’altura dell’Etiopia dove l’esercito italiano, guidato da Pietro Badoglio, sconfisse i soldati di Hailé Selassié, sparando anche 1.367 proietti caricati ad arsine, un gas infiammabile e altamente tossico, in aperta violazione del Protocollo di Ginevra del 1925, contro l’impiego in guerra di armi chimiche.

      Nei giorni successivi, l’aviazione italiana bombardò le truppe nemiche in fuga. Nella sua relazione al Ministero delle Colonie, Badoglio scrisse che: «in complesso 196 aerei sono stati impiegati per il lancio di 60 tonnellate di yprite (sic) sui passaggi obbligati e sugli itinerari percorsi dalle colonne».

      La strada si chiama così dal 21 aprile 1936, quando venne inaugurata da Mussolini in persona. Il suo nome precedente era «Via della Ferratella», forse per via di una grata, nel punto in cui il canale della Marana passava sotto Porta Metronia. Per non cancellare quell’odonimo, venne ribattezzata «via della Ferratella in Laterano» una strada subito adiacente.

      Negli ultimi anni, molte azioni di guerriglia odonomastica si sono ripetute nelle città italiane, dimostrando che i simboli del passato parlano al presente anche quando li si vorrebbe anestetizzare e seppellire nell’indifferenza. L’intervento di giovedì scorso ha avuto grande risonanza non perché sia il primo di questo genere, ma in quanto si collega esplicitamente alle proteste per l’assassinio di George Floyd, al movimento Black Lives Matter e al proliferare di attacchi contro statue e targhe odiose in tutto il mondo.

      Tanta attenzione ha prodotto, come primo risultato, la proposta di intitolare la nuova stazione della metro Ipponio/Amba Aradam al partigiano italo-somalo Giorgio Marincola, con tanto di petizione on-line alla sindaca Raggi. Quest’idea ci rende ovviamente felici, perché da oltre dieci anni ci sforziamo di far conoscere la storia di Giorgio e di sua sorella Isabella, con libri, spettacoli, ricerche, interventi nelle scuole e progetti a più mani.

      Ci sembra anche molto significativo che un luogo sotterraneo porti il nome di Giorgio Marincola, dal momento che la sua resistenza fu ancor più clandestina di quella dei suoi compagni, visto il colore molto riconoscibile della sua pelle, specie quando agiva in città, nelle file del Partito d’Azione. E d’altra parte, la miglior memoria della Resistenza è quella che si esprime dal basso, underground, senza bisogno di grandi monumenti, riflettori e alzabandiera: una memoria tuttora scomoda, conflittuale, che fatica a vedere la luce del sole.

      Ben venga quindi la stazione “Giorgio Marincola” della Metro C, ma ci permettiamo di suggerire che quell’intitolazione sia vincolata a un’altra proposta. Non vorremmo infatti che il nome di Giorgio facesse dimenticare quell’altro nome, Amba Aradam. Non vorremmo che intitolare la stazione a un “bravo nero italiano” finisse per mettere tra parentesi la vera questione, quella da cui nasce la protesta della Rete Restiamo Umani, ovvero la presenza di fantasmi coloniali nelle nostre città: una presenza incontestata, edulcorata e in certi casi addirittura omaggiata. Non vorremmo che uscendo dalla stazione Giorgio Marincola si continuasse a percorrere, come se niente fosse, via dell’Amba Aradam. Sarebbe davvero un controsenso.

      Roberto Saviano, appoggiando l’idea della “stazione Giorgio Marincola” ha scritto: «la politica sia coraggiosa, almeno una volta». Ma che coraggio ci vuole per intitolare una fermata della metro a un italiano morto per combattere il nazifascismo? Davvero siamo arrivati a questo punto? Siamo d’accordo con Saviano, c’è bisogno di gesti coraggiosi, non di gesti spacciati per coraggiosi che ci esimano dall’avere coraggio.

      Sappiamo che cambiare ufficialmente il nome a via dell’Amba Aradam sarebbe molto difficile, anche se l’esempio di Berlino dimostra che quando davvero si vuole, certe difficoltà si superano: nella capitale tedesca, tre strade intitolate a protagonisti del colonialismo in Africa sono state dedicate a combattenti della resistenza anti-coloniale contro i tedeschi.

      Ci piacerebbe allora che la stazione “Giorgio Marincola” venisse inaugurata insieme a un intervento “esplicativo” su via dell’Amba Aradam, come si è fatto a Bolzano con il bassorilievo della Casa Littoria e con il Monumento alla Vittoria. Si potrebbero affiggere alle targhe stradali altri cartelli, che illustrino cosa successe in quel luogo e in quale contesto di aggressione; si potrebbe aggiungere una piccola chiosa, sul cartello stesso, sotto il nome della via: «luogo di crimini del colonialismo italiano», o qualunque altro contributo che risvegli i fantasmi, che li renda ben visibili, che non ci lasci tranquilli e pacificati, convinti che l’ambaradan sia solo un ammasso di idee confuse.

      https://comune-info.net/che-il-colonialismo-non-riposi-in-pace
      #guerilla_toponymique #Via_della_Ferratella #fascisme #via_della_Ferratella_in_Laterano #Indro_Montanelli #Partito_d’Azione #Francesco_Azzi #Azzi #Magliocco

    • Siamo molto content* che l’amministrazione capitolina abbia scelto di dedicare a Giorgio Marincola la stazione inizialmente nominata «Amba Aradam», e siamo content* che il processo che ha portato a questa scelta sia iniziato grazie alla nostra azione del 18 giugno scorso. Crediamo però che questo sia solo un primo passo. La via e il largo di fronte alla stazione, dedicati all’ignobile eccidio compiuto dal nostro esercito colonizzatore in Etiopia devono al più presto seguire la stessa strada e cambiare nome. Il percorso per decolonizzare la toponomastica razzista e colonialista ancora presente nella nostra città ha avuto solo un inizio e deve necessariamente continuare. Lo dobbiamo a chi è morto per le atrocità compiute dall’esercito tricolore, lo dobbiamo a chi è discriminato per razzismo oggi, lo dobbiamo a chi muore in mare per l’ignavia del nostro governo. Ricordiamo che il governo Conte e la sua maggioranza hanno vergognosamente confermato gli accordi con le milizie libiche responsabili di atroci violazioni a diritti umani della popolazione migrante africana. In forme diverse e più mediate, ma la violenza coloniale e razzista del nostro paese continua tutt’oggi e non smetteremo di lottare perché abbia fine.

      https://www.facebook.com/ReteRestiamoUmani

    • Why a Somali-born fighter is being honoured in Rome

      Rome’s city council voted earlier this month to name a future metro station in the Italian capital in honour of Giorgio Marincola, an Italian-Somali who was a member of the Italian resistance.

      He was killed at the age of 21 by withdrawing Nazi troops who opened fire at a checkpoint on 4 May 1945, two days after Germany had officially surrendered in Italy at the end of World War Two.

      The station, which is currently under construction, was going to be called Amba Aradam-Ipponio - a reference to an Italian campaign in Ethiopia in 1936 when fascist forces brutally unleashed chemical weapons and committed war crimes at the infamous Battle of Amba Aradam.

      The name change came after a campaign was launched in June, in the wake of Black Lives Matter protests around the world following the killing of African American George Floyd by US police.

      Started by journalist Massimiliano Coccia, he was supported by Black Lives Matter activists, other journalists and Italian-Somali writer Igiabo Scego and Marincola’s nephew, the author Antar Marincola.
      The ’black partisan’

      Activists first placed a banner at the metro site stating that no station should be named after “oppression” and pushed for Marincola’s short, but remarkable life to be remembered.

      He is known as the “partigiano neroor” or “black partisan” and was an active member of the resistance.

      In 1953 he was posthumously awarded Italy’s highest military honour, the Medaglia d’Oro al Valor Militare, in recognition of his efforts and the ultimate sacrifice he made.

      Marincola was born in 1923 in Mahaday, a town on the Shebelle River, north of Mogadishu, in what was then known as Italian Somaliland.

      His mother, Ashkiro Hassan, was Somali and his father an Italian military officer called Giuseppe Marincola.

      At the time few Italian colonists acknowledged children born of their unions with Somali women.

      But Giuseppe Marincola bucked the trend and later brought his son and daughter, Isabella, to Italy to be raised by his family.

      Isabella went on to become an actress, notably appearing in Riso Amaro (Bitter Rice), released in 1949.

      Giorgio Marincola too was gifted, excelling at school in Rome and went on to enrol as a medical student.

      During his studies he came to be inspired by anti-fascist ideology. He decided to enlist in the resistance in 1943 - at a time his country of birth was still under Italian rule.

      He proved a brave fighter, was parachuted into enemy territory and was wounded. At one time he was captured by the SS, who wanted him to speak against the partisans on their radio station. On air he reportedly defied them, saying: “Homeland means freedom and justice for the peoples of the world. This is why I fight the oppressors.”

      The broadcast was interrupted - and sounds of a beating could be heard.

      ’Collective amnesia’

      But anti-racism activists want far more than just the renaming of a metro stop after Marincola - they want to shine the spotlight on Italy’s colonial history.

      They want the authorities in Rome to go further and begin a process of decolonising the city.

      This happened unilaterally in Milan when, amid the Black Lives Matter protests, the statue of controversial journalist Indro Montanelli, who defended colonialism and admitted to marrying a 12-year-old Eritrean girl during his army service in the 1930s, was defaced.

      Yet to bring about true change there needs to be an awareness about the past.

      The trouble at the moment is what seems to be a collective amnesia in Italy over its colonial history.

      In the years I have spent reporting from the country I am always struck at how little most Italians seem to know about their colonial history, whether I’m in Rome, Palermo or Venice.

      The extent of Italy’s involvement in Eritrea, Somalia, Libya and Albania to Benito Mussolini’s fascist occupation of Ethiopia in the 1930s is not acknowledged.
      Somali bolognese

      Last month, Somalia celebrated its 60th anniversary of independence.

      Reshaped by 30 years of conflict, memories of colonial times have all been lost - except in the kitchen where a staple of Somali cuisine is “suugo suqaar”- a sauce eaten with “baasto” or pasta.

      But for this Somali bolognese, we use cubed beef, goat or lamb with our version of the classic Italian soffritto - sautéed carrots, onion and peppers - to which we add heady spices.

      I love to cook these dishes and last summer while I was in Palermo did so for Italian friends, serving it with shigni, a spicy hot sauce, and bananas.

      It was a strange pairing for Italians, though my friends tucked in with gusto - with only the odd raised eyebrow.

      And Somalis have also left their own imprint in Italy - not just through the Marincola siblings - but in the literature, film and sports.

      Cristina Ali Farah is a well-known novelist, Amin Nour is an actor and director, Zahra Bani represented Italy as a javelin thrower and Omar Degan is a respected architect.

      And today Somalis constitute both some of Italy’s oldest and newest migrants.

      In spring 2015 I spent a warm afternoon meandering throughout the backstreets near Rome’s Termini station meeting Somalis who had been in Italy for decades and Somalis who had arrived on dinghies from Libya.

      Those new to Italy called the older community “mezze-lira” - meaning “half lira” to denote their dual Somali-Italian identities.

      In turn they are called “Titanics” by established Somalis, a reference to the hard times most migrants have faced in making the perilous journey across the Mediterranean to reach Europe, and the lives they will face in Italy with the political rise of anti-migration parties.

      The naming of a station after Marincola is an important move for all of them - and a timely reminder for all Italians of the long ties between Italy and Somalia.

      https://www.bbc.com/news/world-africa-53837708

    • «La Casati era una delle varie imprese satelliti di una società, molto più grande, che da decenni dominava lo sviluppo urbanistico di Roma in serena continuità con il fascismo. Era già stata protagonista dello sviluppo della Città Eterna quando essa era diventata capitale dell’Italia unita, e aveva costruito interi quartieri in quella che un tempo era campagna. A molto delle nuove strade tracciate a inizio secolo e poi durante il Ventennio erano stati dati nomi coloniali - Viale Libia, via Eritrea, Via Dire Daua - che finita la guerra nessuno, nonostante la fine congiunta di fascismo e possedimenti d’oltremare, pensò di sostituire. Nemmeno quelli, come viale Amba Aradam, intitolati a carneficine».

      (pp.240-241)

      «In seguito certi soldati, quando furono tornati in Italia, presero a usare il nome di quel luogo come sinonimo dell’indescrivibile orrore. Come però succede da sampre i reduci di ogni guerra, non li capì nessuno. Chi non c’era stato non poteva immaginare il tappeto di carne che significavano quelle due parole: Amba Aradam. Anche perché il Duce le dichiarò il nome di una vittoria, qualcosa a cui intitolare piazze e strade. Gli italiani, come massaie che lavano imbarazzanti macchie dalle lenzuola prima di stenderle, ne eliminarono ogni retrogusto di orrore e le unirono in una sola dal suono buffo.
      ’Non fare questo ambaradam’ presero a dire le madri ai loro piccoli capricciosi’»

      (pp.354-355)

      in : #livre « #Sangue_giusto » de #Francesca_Melandri


      http://bur.rizzolilibri.it/libri/sangue-giusto-

    • Pour celles et ceux qui ne savent pas de quoi on parle : La Mimo, une militante de 36 ans qui participait à toutes les manifs à Santiago, au Chili (sous une forme particulièrement violente puisqu’elle était mime et déguisée en clown), a été arrêtée pendant l’État d’Urgence par la police chilienne, puis violée, torturée, assassinée, et finalement son cadavre pendu à une grille, dans la rue...

      Non, on n’est pas en 1973, mais bien en 2019, et c’est pour ça qu’ils ne lui ont pas coupé les doigts...

      Un article en espagnol :

      « La Mimo » : la artista que apareció colgada en medio de la represión en Chile
      El Patagonico, le 21 novembre 2019
      https://www.elpatagonico.com/la-mimo-la-artista-que-aparecio-colgada-medio-la-represion-chile-n5066721/amp

    • Je n’arrive pas à trouver d’informations précises. Les seules informations disant qu’elle a été torturée et violée venant du collectif « Ni una menos ». Quand quel jour son corps a-t-il été retrouvé ? (le dimanche 20 apparemment) De quand est la date de son décès d’après les médecins ? Par qui a-t-elle été auscultée (les médecins de l’état/police ? des médecins indépendants ?)

      À la fois on n’a pas envie d’y croire car c’est super horrible, à la fois on a envie d’y croire car ça prouve que le gouvernement et la police sont de nouveau comme la dictature, et que c’est des gros méchants et que nous on est du bon côté, mais dans tous ça, c’est bien d’avoir des précisions sur les infos quand même, autre que des circulations de réseaux sociaux (et comme j’ai plus beaucoup de vocabulaire espagnol, c’est compliqué de trouver pour l’instant).

    • La plupart des articles utilisent le conditionnel ; celui ci, daté du 21/11, ne l’utilise pas sur les faits : La Mimo a été retrouvée pendue, accrochée à une grille, le dimanche 20 octobre.

      Conmoción en Chile por artista violada, asesinada y colgada de una reja
      https://www.periodicoelprogreso.com/conmocion-en-chile-por-el-asesinato-de-daniela-carrasco/57019/2019

      Se trata de Daniela Carrasco. Culpan a las fuerzas policiales.

      La muerte de Daniela Carrasco, la artista callejera conocida como ‘La Mimo’, causa conmoción en Chile. El cuerpo de la mujer fue hallado colgando de una reja y acusan a las fuerzas policiales del país andino haberla secuestrado, violado y asesinado.

      El domingo 20 de octubre, ‘La Mimo’, de 36 años de edad, fue encontrada ahorcada, colgada de una reja en un paraje cercano al Parque André Jarlan. La zona queda en la comuna de Pedro Aguirre Cerda, en el sector sur de Santiago de Chile.

      En redes sociales circularon versiones que refieren que la última vez que Carrasco fue vista con vida había sido detenida por carabineros. Las dudas se acrecentaron con la difusión de un video, en el que un hombre encuentra colgado el cuerpo de una persona —presuntamente ‘La Mimo’— en la comuna de Pedro Aguirre Cerda.

      El Sindicato Nacional Interempresa de Actores y Actrices de Chile (Sidarte) exigió el esclarecimiento de las circunstancias de la muerte de la artista. “El Estado de Chile debe responder y transparentar la participación de fuerza policial en su muerte. Estamos consternados y exigimos justicia”, publicó el Sidarte en su cuenta de Twitter.

      Por su parte, el colectivo feminista #NiUnaMenos-Chile denunció en la misma red social que a Daniela Carrasco “la ultrajaron, torturaron y asesinaron”.

      El colectivo feminista reiteró la exigencia de investigar y esclarecer el “feminicidio” de ‘La Mimo’, que supuestamente ocurrió en medio del estado de emergencia y toque de queda decretados por el presidente Sebastián Piñera, tras las fuertes protestas en varias ciudades chilenas para exigir su renuncia.

    • Cet article, en date du 26/10/19, de La República péruvienne contient les mêmes informations factuelles sur la découverte du corps et du conditionnel pour les circonstances (viol par du «  personnel en uniforme  »…).

      Chile : hallan muerta a artista callejera y exigen investigar a policías
      https://larepublica.pe/mundo/2019/10/26/protestas-santiago-de-chile-crisis-en-chile-daniela-carrasco-la-mimo-que

      Algunas fuentes aseguran que Daniel Carrasco, conocida como ‘La Mimo’, fue abusada sexualmente por uniformados antes de ser ahorcada. Diversas agrupaciones exigen investigar su caso.
      […]
      A la fecha, 19 personas murieron por los enfrentamientos contra las autoridades. Dentro de esta lamentable cifra se encuentra Daniela Carrasco, una artista callejera de 36 años a quien conocían como ‘La Mimo’.

      El cadáver de la mujer fue encontrado colgado de una reja de la comunidad Pedro Aguirre Cerca, al sur de Santiago de Chile.

    • En italien

      "È stata rapita dalle forze militari nei giorni della protesta il 19 ottobre"denuncia il sindacato nazionale di attori e attrici del Cile, che in questi giorni ha chiesto il chiarimento delle circostanze della morte di Daniela Carrasco. "Lo Stato del Cile deve rispondere e rendere trasparente la partecipazione delle forze di polizia alla sua morte. Siamo sgomenti e chiediamo giustizia". Il corpo è stato scoperto lo scorso 20 ottobre appeso a una recinzione in un luogo vicino al parco André Jarlan, nel comune di Pedro Aguirre Cerda, nel settore meridionale di Santiago del Cile. Il corpo della ragazza appeso all’inferriata, filmato con un cellulare è ora finito in un video diventato virale. Dall’ufficio della Polizia hanno fatto sapere che si trattava di suicidio. Il rapporto ufficiale, infatti, ha negato tracce di violenza sessuale, di sevizie e ha attribuito la morte all’impiccagione, che sarebbe avvenuta per mano della stessa Daniela.

      continua su: https://www.fanpage.it/esteri/la-morte-di-daniela-carrasco-violata-torturata-ed-esposta-impiccata-come-un-
      http://www.fanpage.it

    • Émission du 27/10/19, la position officielle du procureur est que le décès est qualifié de suicide : elle serait morte asphyxiée, par elle-même, sans trace d’aucune autre agression (1:10-1:26)

      Investigan muerte de mujer encontrada ahorcada en sitio eriazo de Pedro Aguirre Cerda - La Red : La Red
      https://www.lared.cl/2019/programas/asi-somos/investigan-muerte-de-mujer-encontrada-ahorcada-en-sitio-eriazo-de-pedro-aguirr

      El domingo pasado Daniela Carrasco fue encontrada muerta.

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      Version reprise aujourd’hui même 22/11/19 par El Dínamo, journal chilien :
      Le procureur a qualifié le décès de suicide, le rapport de la médecine légale indiquant la cause de décès asphyxie par pendaison, l’intervention de tiers étant exclue

      Crisis social : las 23 muertes que son investigadas por la fiscalía
      https://www.eldinamo.cl/nacional/2019/11/22/muertes-fiscalia-crisis-social-fallecidos-investigaciones

      Daniela Carrasco
      Otra de las investigaciones abiertas de la Fiscalía Metropolitana Sur tiene relación con la muerte de la artista callejera de 36 años, Daniela Carrasco, quien fue hallada sin vida colgando de una reja en un sitio eriazo en la comuna de Pedro Aguirre Cerda, cerca del Parque André Jarlan.

      El caso fue descubierto luego de que un hombre que pasaba por el lugar grabó un video de la situación, quien sospechaba que la joven había sido víctima de violencia policial, incluso se especuló que la artista había sufrido abuso sexual.

      Sin embargo, desde la fiscalía señalaron que el deceso de Carrasco está siendo indagado como suicidio, ya que el informe del SML determinó que la causa de muerte fue asfixia por ahorcamiento, descartando la participación de terceros en la muerte.

      On notera que la quasi totalité des cas de «  décès du fait de la crise sociale  » abordés dans l’article d’ El Dínamo résultent de causes extérieures à l’action des forces de maintien de l’ordre, genre : suicide dans le commissariat

    • #JusticiaparaElMimo: il mondo intero chiede la verità sulla manifestante torturata e uccisa in Cile

      Daniela Carrasco uccisa in Cile: i social si mobilitano per Mimo

      “Daniela è stata violentata, torturata e impiccata perché simbolo delle proteste in Cile”, denuncia il coordinatore di “Ni Una menos” e i social network si mobilitano per chiedere chiarezza sulla morte di Daniela Carrasco, la 36enne artista di strada e simbolo delle proteste in Cile, ritrovata impiccata domenica 20 ottobre.

      Un evento tragico risalente ormai ad un mese fa, di cui i media non hanno dato notizia fino alle scorse ore perché il 20 novembre è arrivata la perizia sul corpo della giovane donna ma la sua morte resta ancora avvolta nel mistero.

      L’hashtag #JusticiaparaElMimo fa il giro del mondo e il naso rosso di Mimo inonda le bacheche di centinaia di migliaia di persone che vogliono la verità sull’omicidio che scuote il Cile.

      “Quando l’odio diventa codardo se ne va mascherato in società e si fa chiamare ‘giustizia’”, recita una vignetta condivisa su Twitter e dedicata alla giovane uccisa durante gli scontri antigovernativi che da quattro settimane stanno martoriando il Cile.

      L’artista di strada 36enne è stata ritrovata morta impiccata. In un primo momento era stato ipotizzato il suicidio, ma altri dettagli stanno emergendo anche grazie alla mobilitazione dei cittadini e del web. Una reazione che non conosce confini e valica le frontiere del Cile: a chiedere chiarezza c’è anche l’associazione italiana Non una di meno.

      “La vergogna delle barbarie umane si ripeterà sempre tra l’indifferenza e la connivenza”, scrive qualche altro utente. E c’è chi parla perfino di “femminicidio di Stato”.

      A lanciare sospetti sulla sorte di Daniela Carrasco e sulle altre vittime di violenza in Cile sarebbero anche le parole del presidente Sebastian Piñera il quale ha confermato gli abusi sui manifestanti da parte delle forze dell’ordine. “C’è stato un eccessivo uso della forza, ci sono stati abusi e i diritti di tutti non sono stati rispettati”, ha detto in conferenza stampa Piñera.

      https://www.tpi.it/esteri/daniela-carrasco-mimo-cile-campagna-social-20191122502504

    • *Cile, è ancora avvolta nel mistero la morte di Mimo:

      “Torturata per aver preso parte alle proteste”*

      Daniela Carrasco è stata trovata impiccata ad un albero: la prima ipotesi era di suicidio. La donna, conosciuta come «El mimo», aveva preso parte alle proteste che stanno infiammando il Cile. Non si esclude che la sua morte sia dovuta a torture e violenze sessuali.

      Cile, Mimo è morta in strane circostanze dopo le proteste

      In Cile va avanti da quattro settimane una violenta guerriglia urbana in seguito alle proteste iniziate il 14 ottobre contro i costi del servizio pubblico. I cortei, iniziati nella capitale Santiago, hanno poi assunto la dimensione nazionale contro le politiche del Governo e il bilancio è di 22 morti e oltre 2000 feriti.

      Tra le morti verificatesi, spicca quella di Daniela Carrasco, donna di 36 anni, artista di strada conosciuta come “La Mimo”. Nella giornata di mercoledì 20 novembre è stato consegnato ai suoi genitori la perizia effettuata. Dopo la prima ipotesi del suicidio, si fa strada anche l’opzione di una morte “simbolica”, a seguito di torture e violenze sessuali, che servisse da monito alle donne cilene.

      Daniela Carrasco è stata ritrovata domenica 20 ottobre senza vita impiccata ad un albero nelle vicinanze del arco “André Jarlan”, nel comune di Pedro Aguirre Cerda.

      Inizialmente, i medici avevano ipotizzato un suicidio, e dalla perizia, che ha accertato la morte per soffocamento. Non risulterebbero dal rapporto della polizia scientifica violenze né torture, almeno secondo le fonti ufficiali e le dichiarazioni del procuratore.

      Tra chi chiede giustizia per la donna che aveva preso parte alle manifestazioni cilene infatti sta prendendo piede un’altra ricostruzione.

      Daniela Carrasco sarebbe stata infatti vittima di terribili torture e ripetute violenze sessuali, per erigerla a esempio per tutte le donne che stanno scendendo in piazza nell’ultimo mese per protestare contro il governo cileno. Sarebbero infatti molte le donne scomparse a seguito delle proteste.

      A sostenere questa ipotesi è il coordinatore di “Ni Una menos“, il corrispettivo cileno dell’organizzazione Non una di meno, che sui social network ha denunciato come Daniela sia stata “è stata violentata, torturata, nuovamente violentata fino al punto di toglierle la vita”. Accuse sostenute anche dalla rete di attrici cilene, secondo cui la 36enne “è stata rapita dalle forze militari nei giorni della protesta il 19 ottobre”.
      Il presidente Pinera ammette gli abusi

      Intanto, il presidente cileno Sebastian Pinera ammette i recenti abusi della polizia sui manifestanti: “C’è stato un eccessivo uso della forza, ci sono stati abusi e i diritti di tutti non sono stati rispettati”, ha detto nel corso di una conferenza stampa al palazzo presidenziale de La Moneda ha riconosciuto un eccesso di violenza da parte delle forze dell’ordine nella repressione delle proteste e dei disordini.

      Il presidente ha aggiunto, nel corso del suo discorso di domenica, che “né gli atti di inusitata violenza né gli abusi resteranno impuniti”, garantendo adeguata assistenza affinché “le procure e i tribunali possano indagare e fare giustizia”.

      Quella giustizia che ancora non è stata fatta per la morte di Mimo.

      https://www.tpi.it/esteri/cile-proteste-morte-mimo-daniela-carrasco-20191121501561

    • Comme ce serait formidable d’avoir la traduction Deepl (500€/an) qui respecte beaucoup mieux le féminin, les textes originaux, les noms d’associations … et les sauts de lignes, utilise un français correct ou un procuratore ne devient pas avocat par un tour de passe passe de traduction !

      par exemple Deepl traduit

      Pour étayer cette hypothèse, le coordinateur de « Ni Una menos », l’homologue chilien de l’organisation Non una di meno, a dénoncé sur les réseaux sociaux comment Daniela a été "violée, torturée, violée à nouveau au point de prendre sa vie. Accusations également soutenues par le réseau d’actrices chiliennes, selon lesquelles la jeune femme de 36 ans « a été enlevée par les forces militaires pendant les jours de la manifestation du 19 octobre ».

      tandis que GooG accumule les erreurs

      Pour soutenir cette hypothèse, le coordinateur de « Ni Una menos », correspondant chilien de l’organisation Pas de moins, qui sur les réseaux sociaux a dénoncé comment Daniela était « a été violée, torturée, encore violée au point de la renvoyer la vie ». Accusations également soutenues par le réseau d’actrices chiliennes, selon lequel le jeune homme âgé de 36 ans « a été kidnappé par les forces militaires à l’époque de la manifestation du 19 octobre ».

    • C’est un peu ce que je demandais dès le départ : qui a fait faire l’autopsie, la police, la famille ? Et du coup en fait ça fait une semaine ou plus que sur tous les réseaux sociaux, les gens partagent en chaine le fait qu’elle a été torturée et tuée et que c’est une martyre, et en fait sa famille elle-même dit qu’elle s’est suicidée ? (mais elle a très bien pu se suicider après s’être fait torturer et violer, ça non plus c’est pas impossible et pas clair ! sauf que qui a dit qu’elle s’est faite violée, est-ce que c’est l’autopsie demandée par la famille aussi ou d’autres gens sans preuves ? j’ai pas réussi à comprendre d’où venait cette première info !)

      Bref, faut continuer de chercher et recouper vraiment les infos…

    • Ce que l’on entrevoit dans la vidéo de la découverte de son corps, suspendu à une grille, ne milite pas vraiment pour un suicide.

      Pour le reste, la confiance qu’on peut accorder à la police et à la médecine légale dans ce contexte est toute relative.

      Et dans un contexte de répression violente, avec certainement des éléments durs dans les forces de répression, chercher une source fiable semble difficile, voire dangereux.

    • Je sais bien pour le contexte, mais ya quand même pas que les infos de la police qui arrivent non ? D’où ma question de savoir d’où venaient les infos concrètement, évidemment que si les seules infos viennent des médecins de la police il ne faut pas faire confiance ! Mais ça n’empêche que pour affirmer des choses il faut forcément se baser sur des faits, il faut que Ni una menos ait pu voir le corps, voir des marques, etc, pour affirmer ensuite des choses. Dans toutes les déclarations je ne vois aucune mention indiquant d’où sortent les informations alors qu’il pourrait y avoir des phrases du genre « Nous avons pu voir son corps et nous avons vu… » ou même « Des conaissances ont pu voir son corps… » mais non, ya aucune indication du tout.

      La déclaration officielle de l’association « Avocates féministes du Chili », qui bosse directement et bénévolement pour la famille de Daniela, c’est pas une information aussi fiable que le reste ? Elles indiquent que ça pourrait décrédibiliser le mouvement social de propager des infos sans sources. Mais après je ne connais pas les forces en présence, peut-être que c’est une association de bourgeoises hors du mouvement social et qu’il ne faut pas leur faire confiance. Je n’ai pas encore trouvé de réaction de Ni una menos à cette déclaration.

      https://twitter.com/Abofemcl/status/1197997836299833344

      DECLARACIÓN PÚBLICA SOBRE MUERTE DE DANIELA CARRASCO
      El 20 de octubre, en pleno estallido de la crisis que hasta hoy atraviesa nuestro país, el cuerpo sin vida de Daniela Carrasco (36 años), más conocida como “La Mimo” apareció en la comuna de Pedro Aguirre Cerda.

      En medio de la crispación de esos días, distintas declaraciones fueron emitidas por organizaciones y colectivos, indicando que había pruebas de ensañamiento, tortura y que el crimen había sido realizado por agentes del Estado.

      Apenas la noticia llegó a oídos de Abofem, nuestras socias se pusieron en contacto con la familia y hoy llevan el caso de manera pro bono.

      Es por eso que, a pesar de que nunca nos referimos a los casos que llevamos, nos vemos en la necesidad de exigirle a la ciudadanía y también a los medios de comunicación que no sigan compartiendo información sin fuentes verificadas.

      Desde Abofem instamos a respetar tanto la memoria de Daniela como a su familia, quienes en incontables ocasiones han pedido cautela y trato digno en su duelo.

      Lamentablemente, día tras día seguimos viendo noticias falsas en medios de comunicación nacionales e internacionales, lo que nos parece del todo condenable, sobre todo teniendo en cuenta nuestro actual contexto.

      Además, nos hemos visto en la necesidad de salir a apoyar a la familia, quienes han sufrido el constante asedio por parte de periodistas y curiosos, lo que se suma a nuestra labor de solicitar y verificar que por parte del Ministerio Público...

      se realicen todas las diligencias investigativas pertinentes y conducentes para descartar cualquier participación de un tercero en este lamentable hecho, con la mayor diligencia.

      Queremos recordarles que la investigación para esclarecer las circunstancias de la muerte de Daniela sigue en curso y que los antecedentes que hasta ahora se manejan indican que habría dejado una carta explicando las razones de un eventual suicidio y que no se hallaron signos evidentes o patentes de tortura o agresión sexual. Indicamos lo anterior, sin perjuicio de que los informes médicos forenses puedan indicar algo distinto más adelante.

      También queremos aclarar, a pedido de la familia de Daniela, que no han solicitado dinero por redes sociales ni están vendiendo objetos con su imagen. Cualquiera de esas situaciones, no va en beneficio de la familia y constituye un aprovechamiento que solo profundiza su dolor

      Instamos a la ciudadanía, a las organizaciones y a los medios de comunicación a elevar los estándares éticos y profesionales para no vulnerar la memoria de Daniela ni a su familia, ni tampoco deslegitimar el movimiento social con noticias falsas sin fuentes verificables.

      De todos y cada uno de nosotr@s depende darle un trato digno a cada caso que aparezca durante estos tiempos.
      Fin.

  • Migrants et réfugiés : la #Bosnie-Herzégovine, nouveau #pays_de_transit ?

    La « #route_des_Balkans » est fermée depuis mars 2016, mais de plus en plus de réfugiés et migrants traversent la Bosnie-Herzégovine pour se rendre en Croatie avant de rejoindre les pays de l’Europe occidentale.

    https://www.courrierdesbalkans.fr/Bosnie-Herzeovine-refugies
    #Bosnie #transit #parcours_migratoires #itinéraires_migratoires #routes_migratoires #asile #migrations #réfugiés #Balkans #nouvelle_route_des_balkans

    • Migrants take new Balkan route through Bosnia

      A new Balkan route through Bosnia has opened up for migrants, four years after a crisis in which more than one million people landed on Europe’s shores.

      Hundreds of thousands of people fleeing war and poverty in the Middle East, Asia and Africa, took the so-called Balkans route northwest of Greece in 2015 and 2016.

      The route was effectively closed in March 2016 and until recently the few still making the journey avoided Bosnia and its mountains.

      Instead they opted for a route through Serbia before dodging the Croatian and Hungarian authorities in order to make it into the European Union (EU).

      But now an alternative migrants’ itinerary from Greece through Albania, Montenegro and Bosnia has emerged.

      The route, according to a western diplomatic source, matches the one taken by arms and drugs traffickers, indicating that human smuggling networks have been established.

      – Thousands paid to people smugglers -

      One migrant Ahmed Wessam, who spoke to AFP in Sarajevo, left the northeastern Syrian town of Hassake a month ago having paid people smugglers to get him to Europe.

      “A thousand dollars (800 euros) to go from Turkey to Greece, a thousand euros to go from Greece to Albania and so on,” Wessam told AFP.

      According to Bosnian authorities, since the beginning of the year 700 migrants have entered the country illegally and almost 800 were intercepted at the border.

      Most of them are Syrians, Pakistanis, Libyans or Afghans.

      The authorities fear that the end of the cold weather could spell a big hike in numbers.

      “We have no capacity to accept thousands of refugees... although they do not want to stay in Bosnia,” Prime Minister Denis Zvizdic said recently.

      Head of the medical charity Doctors Without Borders (MSF) in the Balkans Stephane Moissaing dismissed concerns of a repeat of the 2015 migrant crisis.

      However, the Bosnian authorities should “handle (the situation) in a humane way, so it does not become a real humanitarian crisis”, he said.

      The country’s current reception capacities are limited to a centre for asylum-seekers near Sarajevo, with space for just 154 people.

      The situation “gets complicated,” Bosnian Security Minister Dragan Mektic admitted recently, stating that there were currently between 45,000 and 50,000 migrants between Greece and Bosnia, many of whom might try their luck through Bosnia.

      The border with Croatia, an EU member state, is 1,000 kilometres (600 miles) long and Sarajevo has only 2,000 border police officers.

      According to Nidzara Ahmetasevic, a volunteer working with migrants in Sarajevo, the number of migrants in the country “is at least double” what the official figures show.

      “We are in contact with more than 300 people. We have found a solution (in terms of accommodation) for some 50, but we could fill two more houses of that size,” she said.

      – Baby due -

      Initially intended to be a hostel in a Sarajevo suburb, the large building where Wessam and his relatives have been staying has individual rooms equipped with toilets.

      The house was made available by a Bosnian who lives abroad.

      Samira Samadi, 35, another migrant staying there, left the central Iranian town of Ispahan in early 2017 along with her husband.

      She takes advantage of an MSF doctor’s visit to check if her pregnancy is proceeding well.

      “I want to go to Germany but... because of my wife’s pregnancy we can’t continue,” her husband Anoush Orak said.

      “We will probably wait here for the birth of our child.”

      The couple have already tried to illegally enter Croatia but the snow and forests put them off.

      Wessam, however, will depart in a “week, maybe 10 days”.

      “I do not know how to cross the border but we will try and retry. We have already crossed many times,” he said.

      http://www.digitaljournal.com/news/world/migrants-take-new-balkan-route-through-bosnia/article/518216

    • Migrants en Bosnie-Herzégovine : l’appel à l’aide de #Bihać

      Confrontés à la fermeture des frontières des Balkans, les candidats à l’exil tentent de trouver des routes alternatives. Depuis plusieurs mois, la Bosnie-Herzégovine fait ainsi face à une très forte hausse des passages illégaux. Le maire de Bihać, à la frontière croate, lance un S.O.S : la situation est hors de contrôle dans sa ville.

      Depuis le début de l’année, Bihać fait face à une hausse exponentielle d’arrivées de migrants. Située au nord-ouest de la Bosnie-Herzégovine, cette ville de 50 000 habitants se trouve en effet tout près de la frontière avec la Croatie, porte d’entrée dans l’Union européenne.

      La municipalité tente d’apporter son aide, mais elle n’a pas les capacités pour accueillir ces centaines de migrants. Face à l’urgence, le maire a fini par lancer un appel à l’aide il y a quelques jours. « Nous cherchons une solution car nous ne pouvons plus gérer la situation », a expliqué Šuhret Fazlić. « Les gens s’installent dans les parcs, dans la rue et entrent dans les bâtiments désaffectés. Nous ne pouvons plus attendre, la situation menace de devenir une catastrophe humanitaire. »

      « À Bihać, nous avons connu la guerre, la faim et l’isolement. Nous ne pouvons pas détourner le regard, nous sommes face à un problème sécuritaire. Des cas de maltraitance ont été constatés », s’inquiète le maire. Les autorités au niveau national, compétentes pour les questions migratoires, continuent pourtant d’ignorer les appels à l’aide des autorités locales. Selon le Haut-Commissariat des Nations unies pour les Réfugiés (UNHCR), plus de 500 migrants ont été enregistrés à Bihać ces derniers jours.

      Lors d’un entretien avec l’ambassadrice slovène en Bosnie-Herzégovine, le Premier ministre du canton d’#Una-Sana, auquel est rattachée Bihać, a déclaré qu’il n’y aurait dans la région « ni construction, ni mise en place de camps ou de centres d’accueil pour les réfugiés ». Selon le ministère de l’Intérieur du canton d’Una-Sana, la police croate renverrait illégalement les migrants vers la Bosnie-Herzégovine.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/Migrants-Bihac

    • Le UNHCR appelle la Bosnie-Herzégovine à augmenter ses capacités d’accueil

      29 avril 2018 – 21h30 Le Haut Commissariat des Nations Unies aux réfugiés (UNHCR) appelé les autorités de Bosnie-Herzégovine à augmenter leurs capacités d’accueil en raison du nombre croissants de migrants et de réfugiés qui traversent le pays et qui, pour certains, veulent y demander l’asile. Pour l’instant, il existe un seul centre d’accueil pour les demandeurs d’asile, à Delijaš près de Trnovo, avec une capacité de 150 lits. Un autre centre pourrait ouvrir à Salakovac, près de Mostar, avec une capacité d’accueil de 100 à 120 lits. Le UNHCR a déjà investi 500 000 marks (environ 250 000 euros) pour sa réhabilitation.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/les-dernieres-infos-nuit-violences-lesbos

    • Che cosa sta succedendo in Bosnia?

      Da dicembre dell’anno scorso, la Bosnia è stata testimone di un flusso di persone sempre crescente in fuga dalla guerra. I volontari, quotidianamente presenti sul campo, sono molto preoccupati per il fatto che l’assenza e la mancanza di una risposta da parte delle istituzioni e delle organizzazioni non governative possa portare ad un tracollo della situazione.

      La Bosnia sta diventando la parte finale del collo della bottiglia lungo quella che potrebbe essere definita la nuova “rotta balcanica” di cui questo Paese non ha mai fatto parte. Si tratta di uno stato povero, uscito da pochi anni dalla guerra, circondato da montagne aspre e di difficile accesso, per terreni ancora pieni di mine anti-uomo. Nonostante tutto, è diventato un Paese di transito per i migranti che, nel tentativo di evitare la violenza della polizia ungherese e i respingimenti della polizia croata, più volte documentati da Are You Syrious, hanno intrapreso la via bosniaca.

      Secondo i dati dell’UNHCR, nelle prime due settimane di aprile sono stati registrati 13 casi di respingimenti dalla Bosnia verso la Serbia. I volontari che da un anno stanno documentando le violenze al confine serbo-ungherese sono pronti a spostarsi lungo il confine con la Bosnia per monitorare la situazione. Per il momento il confine tra la Bosnia e la Croazia, lungo 900 km, è a corto di personale e questo rende ancora facile l’attraversamento. Tuttavia, proprio questa settimana, l’UE ha deciso di stanziare nuovi fondi per aumentare il pattugliamento lungo le frontiere anche se non si sa bene dove verranno intensificati i controlli. Secondo quanto dichiarato da Dragan Mektić, il ministro della sicurezza in Bosnia Erzegovina, per proteggere i confini, servirebbero almeno 500 poliziotti di frontiera.

      Una pericolosa assenza da parte del governo e delle ong

      Il governo bosniaco ha dichiarato che non è in grado di farsi carico di un numero crescente di rifugiati. A febbraio Borislav Bojić, presidente della commissione parlamentare per i diritti umani, aveva avvertito che i fondi stanziati per la crisi migratoria sarebbero finiti a fine maggio. Tuttavia, recentemente, ha dichiarato di riuscire a gestire la situazione.

      Nell’unico centro per l’asilo a Delijaš vicino a Sarajevo, ci sono circa 160 posti, ovviamente costantemente occupati. Secondo quanto si legge nel rapporto pubblicato da Human Rights Watch, il governo, assieme ai partner internazionali, dovrebbe impegnarsi perché i diritti umani e la legge sui rifugiati vengano rispettati. Tuttavia nella realtà la situazione è molto preoccupante nonostante le dichiarazioni del rappresentante dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni in Bosnia Erzegovina. “Stiamo fornendo supporto al governo per quanto riguarda la crisi migratoria nel Paese, nel rafforzamento delle capacità istituzionali, nel supporto alla polizia di frontiera e nell’assistenza diretta ai rifugiati”.

      L’UNHCR ha iniziato a fornire un contributo per alloggiare le persone negli ostelli e l’OIM ha iniziato a collaborare con i volontari per l’assistenza medica, fino ad ora gestita interamente con fondi e donazioni private. Molti migranti hanno denunciato il fatto che negli alloggi dell’UNHCR ricevono solo un pasto al giorno e alcuni si sono trasferiti nei posti messi a disposizione dei volontari.

      La complessità del sistema di asilo

      Il sistema di asilo in Bosnia Erzegovina impedisce alle persone di ottenere un riconoscimento del proprio status perché ci sono regole impossibili da rispettare. Quando una persona arriva in Bosnia, deve esprimere l’intenzione di chiedere asilo alla polizia di frontiera o al Ministero degli affari esteri. Successivamente ha 14 giorni per registrare la propria domanda di asilo. Questa procedura, tuttavia, può essere effettuata solo da coloro che si trovano nell’unico centro per l’asilo a Delijaš. Tutti gli altri invece vengono automaticamente esclusi, perché per fare la richiesta di asilo completa, è necessario presentare i documenti relativi alla propria residenza, attestazioni impossibili da ottenere per chi è fuori dal sistema di accoglienza ufficiale. I volontari, che gestiscono diverse case a Sarajevo, stanno cercando di capire, con l’aiuto dell’OIM, come poter registrare i migranti in modo che non vengano accusati di risiedere illegalmente nel Paese. Il governo bosniaco ha iniziato a diffondere illazioni sul fatto che le persone che arrivano sono richiedenti asilo falsi in quanto non desiderano fermarsi nel Paese. Nello stesso tempo però in Bosnia non esiste una legge che permette a queste persone di risiedervi legalmente. Potrebbe trattarsi di una mossa da parte del governo per accusare i volontari di aiutare persone non regolarmente registrate.

      Il sostegno da parte della popolazione locale

      Nonostante questa propaganda di stato, la mancanza di una risposta istituzionale e di un sistema di asilo adeguato, la popolazione locale è amichevole e si spende quotidianamente per aiutare le persone in transito. Molti di loro sono testimoni diretti degli orrori della recente guerra in Bosnia.

      In un parco di Sarajevo, c’è una costante distribuzione di cibo gestita dai locali. Nella più grande delle case gestite dai volontari, a circa 30 minuti dal centro di Sarajevo, gli abitanti consegnano ogni giorno donazioni. Inoltre i volontari organizzano distribuzioni quotidiane di cibo, di giorno e di notte, per assicurarsi che chi dorme per strada abbia almeno un sacco a pelo, coperte e qualcosa da mangiare.

      Molte persone, in tarda serata, prendono l’autobus per Bihać e Velika Kladuša, due città vicino al confine con la Croazia, con l’obiettivo di provare a valicare la frontiera. In entrambe le città i locali danno cibo e sostegno alle persone. In questi luoghi non sono disponibili aiuti medici da parte delle grandi ong, e l’intero sistema è totalmente gestito dalla gente locale.

      A Velika Kladuša, i volontari di AYS hanno anche scoperto che un ristorante locale sta cucinando pasti gratuiti per le persone. Quando la settimana scorsa i responsabili della Croce Rossa sono arrivata in questo paese, i locali hanno detto loro che era da novembre che stavano gestendo da soli la situazione e che era meglio che andassero via.

      La più grande ong umanitaria della Bosnia, Pomozi.ba, invierà cinque tonnellate di cibo raccolto dai locali a Velika Kladuša. La relazione per ora pacifica tra i rifugiati e gli abitanti del luogo è un equilibrio fragile e la mancanza di risposta istituzionale, col perpetrarsi e il deteriorarsi della situazione, potrebbe diventare un problema.

      Qual è la prospettiva futura?

      Per ora nessuno sa come si svilupperà la situazione nel Paese e quante persone attraverseranno la Bosnia il mese prossimo. Le autorità si aspettano che il numero degli arrivi aumenterà e che, con l’avvicinarsi dell’estate, ci sarà la necessità di un maggiore accesso alle strutture igieniche come le docce. L’ong Medici Senza Frontiere sta discutendo con Pomozi.ba su alcune possibili soluzioni e sullo stanziamento di nuovi fondi, in particolari nei due paesi di confine, Velika Kladuša e Bihac, ma devono ancora essere definite le tempistiche.

      Con l’arrivo di un numero sempre maggiore di famiglie, sarà necessario aumentare il numero degli alloggi e di strutture e servizi adatti per i bambini. Inoltre sta crescendo il numero di minori stranieri non accompagnati, che, secondo la legge del Paese, dovrebbero essere messi in strutture protette. Proprio per non rimanere bloccati in Bosnia, molti giovani mentono sulla propria età dichiarando di essere più vecchi di quello che effettivamente sono.

      La maggior parte delle persone che arrivano in Bosnia sono in viaggio da anni, hanno vissuto in campi profughi e hanno fresche nella memoria storie traumatiche. Lo stress psicologico in questi contesti è molto alto e, data la recente storia bosniaca, le competenze in questo campo da parte della popolazione locale sono molto alte.

      In una Bosnia dove si incontrano rifugiati di guerra e abitanti di un Paese del dopoguerra, sono tante le storie che si intrecciano. L’assenza delle organizzazioni internazionali è tale per cui ora la popolazione locale non vuole più il loro aiuto. Tuttavia, come è già avvenuto in altri contesti, la disponibilità ad aiutare diminuisce con il perdurare e il deteriorarsi della situazione.

      https://lungolarottabalcanica.wordpress.com/2018/05/03/che-cosa-sta-succedendo-in-bosnia

    • Bosnie-Herzégovine : les autorités dépassées par l’afflux de migrants et de réfugiés

      Alors que 400 migrants campent toujours dans un parc du centre de Sarajevo et que la ville de Bihać est débordée par l’afflux de réfugiés, les autorités peinent à s’organiser et à trouver des capacités d’accueil. Les autorités de #Republika_Srpska refusent de loger des demandeurs d’asile.


      https://www.courrierdesbalkans.fr/Bosnie-Herzegovine-des-migrants-Sarajevo
      #Sarajevo

    • Commission européenne - Assistance humanitaire aux réfugiés et migrants - Bosnie-Herzégovine

      La Commission européenne a annoncé aujourd’hui 1,5 million d’euros d’aide humanitaire pour répondre aux besoins croissants des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants bloqués en Bosnie-Herzégovine. Cela porte le financement humanitaire de la Commission à 30,5 millions d’euros pour répondre aux besoins dans les Balkans occidentaux depuis le début de la crise des réfugiés.

      Commissioner for Humanitarian Aid and Crisis Management Christos Stylianides said: “The number of refugees and migrants arriving in Bosnia and Herzegovina has increased and we must act swiftly. We are committed to help Bosnia and Herzegovina deal with this situation and deliver assistance to the most vulnerable refugees and migrants. Our funding will support their basic needs and provide emergency shelter, food and health assistance, as well as protection.”

      EU humanitarian aid will be provided in locations such as Sarajevo, Bihać and Velika Kladusa in Bosnia and Herzegovina. The funding aims to strengthen the provision of assistance, the protective environment and enhancing the capacity of organisations already providing first-line emergency response.

      Background

      Since the beginning of the refugee crisis in Western Balkans the European Commission has allocated more than €25 million in humanitarian aid to assist refugees and migrants in Serbia, and over €4 million to the Former Yugoslav Republic of Macedonia. EU humanitarian aid helps the most vulnerable refugees and migrants to meet basic needs and preserve their dignity.

      In addition to humanitarian assistance, the European Commission provides Western Balkans partners with significant financial and technical support for activities related to migration and refugee crisis. This is done primarily through the Instrument for Pre-accession Assistance. Since 2007 the Commission has been providing assistance to Bosnia and Herzegovina in the area of migration and border management through the Instrument of pre-accession amounting to €24.6 million. From January 2016 Bosnia and Herzegovina also benefits from the regional programme ’Support to Protection-Sensitive Migration Management’ worth €8 million.

      Around 4.900 refugees and migrants entered Bosnia and Herzegovina since early January 2018, according to government estimates. Approximately 2.500 refugees and migrants in need of assistance are currently stranded in the country. The EU will provide its assistance through humanitarian partner organisations already present in the country.

      http://www.europeanmigrationlaw.eu/fr/articles/actualites/commission-europeenne-assistance-humanitaire-aux-refugies-et-mi

    • Bosnia: respingimenti, violenze e pessime condizioni umanitarie alla nuova frontiera della rotta balcanica

      In Bosnia-Erzegovina si profila una crisi se non verrà avviata una risposta umanitaria coordinata prima che le temperature inizino a diminuire. Attualmente più di 4000 migranti e rifugiati stanno trovando rifugio in campi informali e abitazioni occupate lungo il confine della Bosnia con la Croazia.

      È una situazione nuova per la Bosnia, che prima di quest’anno non aveva visto un numero significativo di persone transitare attraverso il paese come parte della cosiddetta rotta balcanica. Anche se il flusso di persone che arrivano nel paese è in aumento da mesi, le condizioni umanitarie di base nei due punti di maggiore affluenza lungo il confine rimangono pesantemente inadeguate.

      Ai margini della città di Bihac, circa 3000 persone vivono dentro e intorno a una struttura di cemento in stato di deterioramento. Con dei fori aperti come finestre e pozze di fango e acqua piovana sul pavimento, l’ex dormitorio a cinque piani ora è pieno di gente che dorme su coperte, con tende allestite nei corridoi e lenzuola appese ai soffitti nel tentativo di creare un po’ di privacy. Un pendio boscoso dietro l’edificio è cosparso di altre tende.
      Nel frattempo, appena fuori dalla vicina città di Velika Kladuša, circa 1000 persone vivono in tende e rifugi improvvisati fatti di teloni e altri materiali di fortuna. Intorno ai ripari vengono scavate fosse per evitare gli allagamenti durante i forti temporali estivi.

      Adulti, famiglie e bambini non accompagnati si affollano in entrambe le località. Vengono da paesi come Pakistan, Afghanistan, Siria, Iraq e altri ancora. Come per tutti coloro che percorrono la rotta balcanica, il loro obiettivo è fuggire da conflitti e povertà nei loro paesi di origine.
      Una risposta lenta

      “Le pessime condizioni umanitarie negli insediamenti transitori al confine della Bosnia-Erzegovina sono rese peggiori da una risposta lenta e inadeguata alla situazione”, afferma Juan Matias Gil, capo missione di MSF per Serbia e Bosnia- Erzegovina.

      Da giugno 2018, MSF sta lavorando costantemente sul campo in entrambi i siti. In collaborazione con le autorità mediche locali, MSF gestisce una piccola clinica mobile per rispondere alle principali urgenze sanitarie di base mentre riferisce i casi più complessi all’assistenza sanitaria secondaria nel circostante Cantone di Una-Sana.

      “L’inverno si sta avvicinando e finora ci sono voluti mesi per fornire a questa popolazione in aumento servizi minimi di base” afferma Gil di MSF. “Con l’arrivo dell’inverno non c’è tempo da perdere. La mancanza di preparativi tempestivi potrebbe costare vite umane.”
      Gli inverni scorsi lungo la rotta balcanica

      Rifugiati e persone in movimento lungo la rotta balcanica hanno vissuto in condizioni disperate e disumane gli inverni passati.

      In Serbia e lungo i suoi confini, la mancanza di un piano per l’inverno coordinato a livello istituzionale ha lasciato migliaia di persone al freddo per diversi inverni consecutivi. Man a mano che le frontiere dell’UE si sono chiuse, migliaia di persone si sono ritrovate bloccate in condizioni di tempo gelido, bloccate in un paese che non è in grado di offrire ripari sufficienti.

      Durante gli scorsi inverni, nella regione MSF ha curato persone per ipotermia e congelamento e la clinica di MSF a Belgrado ha visto un aumento delle malattie respiratorie perché per scaldarsi le persone devono bruciare plastica e altri materiali di fortuna.

      Indipendentemente dalla stagione, migranti e richiedenti asilo che cercano di attraversare i confini settentrionali della Serbia hanno ripetutamente denunciato le violenze da parte delle guardie di frontiera. Nei primi sei mesi del 2017, le cliniche mobili di MSF a Belgrado hanno trattato 24 casi di traumi intenzionali che secondo quanto riferito si sono verificati lungo il confine tra Serbia e Croazia.
      Nuove rotte, continue problematiche

      Le persone che arrivano e cercano di attraversare il confine tra Bosnia e Croazia provengono principalmente da campi e insediamenti informali in Serbia, ma alcuni hanno tentato nuove rotte dalla Grecia attraverso l’Albania e il Montenegro per arrivare qui.

      Quello che è chiaro è che le persone che sono fuggite da conflitti e instabilità nei paesi d’origine continuano a cercare sicurezza in Europa. “Queste persone sono bloccate in Bosnia-Erzegovina”, dice Gil di MSF. “In assenza di canali sicuri per richiedere asilo e protezione internazionale, le persone sono continuamente costrette ad affrontare viaggi pericolosi e ad attraversare le frontiere in modo irregolare.”

      “Siamo preoccupati delle denunce di respingimenti e violenze contro i rifugiati e i migranti sul lato croato del confine“, conclude Gil. “Di fronte al protrarsi della stessa situazione anche in Bosnia-Erzegovina, ci aspettiamo che i migranti si troveranno ad affrontare lo stesso tipo di problemi che hanno avuto in altri punti della rotta balcanica: malattie della pelle e delle vie respiratorie, peggioramento delle condizioni di salute mentale e aumento della violenza.”

      https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/bosnia-respingimenti-violenze-e-pessime-condizioni-umanitarie-a

    • Bihac, dove 4 mila migranti attendono di passare il confine tra la Bosnia e la Croazia

      “Le pessime condizioni umanitarie negli insediamenti transitori al confine della Bosnia- Erzegovina sono rese peggiori da una risposta lenta e inadeguata alla situazione”, afferma Juan Matias Gil, capo missione di Medici Senza Frontiere per Serbia e Bosnia-Erzegovina

      https://video.corriere.it/bihac-dove-4-mila-migranti-attendono-passare-confine-la-bosnia-croazia/b589f9d6-a54c-11e8-8d66-22179c67a670

    • AYS Daily Digest 16/4/19 : How do the EU Commission’s funds manage to bypass those in need ? — case : #Tuzla

      In Bosnia and Herzegovina, for a while now people have been arriving from the east part of the country, coming from Serbia to Tuzla. It has once again become a point of transit for many and, although it has been so for some months now, the problem is ignored by the only authorities who could make possible to assist the people who gather usually around the bus station or in front of the field office of the Service for Foreigners’ Affairs (SFA). It is responsible for the first step in the process of seeking asylum. In order to obtain the document from the office, people sleep rough on the pavement, sometime just in front of the lit and heated empty front space of the office that, of course, does not work on weekends and is open on workdays from 9am to 5pm.

      A very well organized small group of volunteers from Tuzla have been handling the situation for these people in transit who are constantly arriving. They have nowhere to go and there are no official systems of aid or accommodation. None of the big organisations are present to provide assistance, advice, nor even to research into the situation and the existing problematic in order to push for better solutions as important international stake holders on the issue in Bosnia and Herzegovina.

      Citizens who have been organizing small groups of helpers in the past months have run out of strenghts, options, finances and ways to point to the problem. They have already asked for an organised reception system, toilets to be made available 24/7, water supply, shower, food, clothes and health assistance, and if possible, an organized 24hour accommodation, as the people usually don’t stay there for logner.

      Unfortunately, along with the absence of responsibility by the county, the issue was not officially tackled by the City council, nor made part of the topics of their meetings, according to the local media, in spite of the citizens’ demands and volunteers’ desperation. To our knowledge, there wasn’t and there currently is no activity of IOM or UNHCR, as we wrote already. We intend to support their efforts to the best of our abilities, if you wish to come help (on your own expenses, staying in a hostel or so) or if you can provide financial support to them, let us know and the local team will estimate if and what sort of help is needed.

      Perhaps some explanations are due on the implementation and control of Asylum, Migration and Integration Fund and Internal Security Fund as these situations become more and more common.

      https://medium.com/are-you-syrious/ays-daily-digest-16-4-19-how-do-the-eu-commissions-funds-manage-to-bypass-th

      Reçu par email via Inicijativa Dobrodošli, avec ce commentaire :

      All the risks and threats, still are not stopping people in their determination to affirm their freedom of movement and their right to find their new homes. As reported by Are You Syrious, In Bosnia-Herzegovina people have been arriving at the eastern part of the country, coming from Serbia to Tuzla. It has once again become a point of transit for many and, although it has been so for some months now, the problem is ignored by the only authorities who could make possible to assist the people who gather usually around the bus station or in front of the field office of the Foreigners’ sector office of Bosnia and Herzegovina. In order to obtain a document from the office, continue the AYS report, people sleep rough on the pavement, sometimes just in front of the lit and heated empty front space of the office that, of course, does not work on weekends. Up until now, citizens from Tuzla are the only ones that are handling the situation, organizing small groups of helpers and volunteers in the past months.