• Biennale Venezia: muri protagonisti dell’esposizione di Architettura

    Mentre il governo italiano chiude i porti alle ong per lo sbarco di migranti alzando così una barriera immaginaria in mezzo al mediterraneo, quattro padiglioni della Biennale di Architettura di Venezia invitano i visitatori a riflettere su muri e confini. Un’esplicita critica all’attuale momento politico mondiale, segnalato da chiusure e separatismi.

    Freespace è il titolo scelto dalle architette irlandesi Yvonne Farrell e Shelley McNamara per parlare di libertà, generosità ed etica per arrivare alla valorizzazione degli spazi collettivi, senza tralasciare la rappresentazione politica che determinano le scelte nell’architettura. Secondo McNamara «dobbiamo essere consapevoli delle questioni politiche, l’architettura ha una profonda agenda sociale che ha una vasta portata politica».

    Partendo da questo principio, i padiglioni di Brasile, Stati Uniti, Germania e Israele hanno portato alla Biennale la loro ricerca basata sulla rappresentazione e percezione di muri, barriere e confini. Se in un momento della storia i muri erano indispensabile all’umanità per poter difendersi, oggi sono archetipi di conflitti e intolleranza.
    Biennale Venezia 2018: il muro nell’identità brasiliana

    Il viaggio tra interpretazioni ed esplorazioni, anche immaginarie, di muri e confini inizia dal padiglione brasiliano. A fare da cornice alla mostra Muros de Ar (Muri d’aria), si incontra una grande sala bianca dove sono state appese dieci gigantesche mappe suddivise per temi che attraverso la grafica mettono in relazione i problemi del paese con l’ambiente stesso.

    Attraverso la ricerca collettiva, i curatori Gabriel Kozlowski, Laura González Fierro, Marcelo Maia Rosa e Sol Camacho invitano a riflettere sulle condizioni archetipiche dei muri per il Brasile. Per i curatori «il muro è un elemento dell’architettura, della cultura e dell’identità brasiliane e la sua trasposizione si oppone all’omogeneizzazione, all’intolleranza e all’estremismo delle reclusioni».

    Le contraddizioni tra confine e divisione è vista alla luce del giorno nel paese verdeoro, dove la barriera sociale fra ricchi e poveri è sempre più evidente. Questa zona di confine costringe un’intera popolazione a vivere in uno stato di mancanza permanente di diritto.

    A dimostrazione di questo ci sono i dati l’istituto di ricerca Ipea. Soltanto nel 2016 più di 60 mila persone sono state assassinate nel paese e la maggior parte delle vittime sono giovani dai 15 ai 19 anni, neri e abitanti delle favelas.

    I dati rafforzano il pensiero di Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group e professore della New York University, che durante un incontro a San Paolo a ottobre del 2017 aveva dichiarato che i governi dei paesi ricchi non daranno una risposta efficace all’aumento della disuguaglianza e che tensioni sociali e la violenza rafforzeranno i processi di esclusione e costruzione di muri, reali o virtuali.

    Oltre il muro di Trump alla Biennale di Venezia

    Su filone del pensiero di Bremmer si trova la mostra Dimensions of citizenship presentata dal padiglione degli Stati Uniti. Curata da Niall Atkinson, Ann Lui, Mimi Zeiger, l’esposizione si interroga sul significato della cittadinanza al giorno d’oggi, quando alcuni governi, compreso quello statunitense, limitano questo diritto. Per il team di curatori «è urgente che l’architettura agisca come uno strumento per comprendere, modellare e immaginare ciò che significa essere un cittadino oggi».

    Fra le opere della mostra, l’istallazione Mexus di Estudio Teddy Cruz + Fonna Forman ha riempito le parete di una delle sale del padiglione con una serie di fotografie intitolate La Nazione contro la Natura. Le immagini evidenziano una zona di confine fra Messico e Stati Uniti dove scorrono otto bacini fluviali che fanno una divisione geologica fra i due paesi.

    Arte e Biennale: 29 anni dopo la caduta del Muro

    Se gli Stati Uniti si sono interrogati sul senso della cittadinanza ai nostri giorni, la Germania ha fatto i conto con la propria storia. Ha presentato un’esposizione in cui il muro è mostrato come un’ombra oscura del passato, che deve essere ricordato perché non succeda più. Unbuilding Walls, curata da Marianne Birthler e dallo studio Graft, impressiona subito.

    Nella sala centrale del padiglione, l´istallazione di Alexander Lubic e cfk architetti riprende un muro alto, tagliato a pezzi, percorribile fra gli spazi vuoti. La parte davanti è dipinta di nero, mentro sul retro ci sono informazioni sui progetti costruiti nel 1989 lungo la striscia della morte che separava le due Germanie. L’istallazione gioca anche con la luce, proiettando sul pavimento l’ombra nera del muro frammentato, un chiaro richiamo al periodo buio del nazismo.

    Nelle due sale adiacenti, sei schermi fissi alle parete, messi uno accanto all’altro riprendendo l’impostazione di un muro, proiettavano la video-installazione Wall of Opinions. Ad ogni schermo un frammento di video documentava le testimonianze di persone che vivono in luoghi dove i muri esistono e fanno da barriera sociale, politica e immigratoria. Ad esempio, il muro che separa la Palestina da Israele, il muro di Trump che divide gli Stati Uniti dal Messico, quello della Corea del Nord e Sud e quello che fa da frontiera fra Unione Europea e Ceuta.
    Biennale di Architettura: Terra Santa, coesistenza tra culture

    Anche Israele ha portato il suo muro alla Biennale di Architettura. Statu Quo: Structures of Negotiation, curata da Ifat Finkelman, Deborah Pinto Fdeda, Tania Coen-Uzzielli, Oren Sagiv indaga sul delicato equilibrio coabitativo nei luoghi santi che spesso diventano luoghi di conflitti.

    Attraverso un percorso tra luoghi sacri invita a riflettere sulla coesistenza e le fragili regole di convivenza tra culture diverse che convivono in Terra Santa. L’architettura in questo caso è vista come un agente attivo per il mantenimento dell’equilibrio della regione, diventato molto complicato dopo 1948, l´anno in cui scoppiò la guerra con la Palestina.

    Subito all’ingresso è possibile vedere un modello materico della Chiesa del Santo Sepolcro dipinta di azzurro, bianco, giallo e marrone, dove ogni colore rappresenta una religione diversa. Nel piano superiore una video-installazione attende il pubblico. Nel video si vede il ponte in legno – che ricorda un tunnel – per Mughrabi, unica entrata al tempio per i non musulmani. Impressiona lo sguardo di una donna in un frame del video.

    #murs #art #Venise #biennale #frontières #barrières_frontalières

    @isskein y est, si j’ai bien compris!