https://www.repubblica.it

  • Migranti, sui centri in Albania il governo smentisce se stesso. Pronti non prima di novembre

    In base al bando per la gestione avrebbero dovuto aprire a maggio, il ministero della Difesa prevede la consegna dei lavori per le strutture in autunno. I costi rischiano di arrivare a un miliardo di euro

    Inizio lavori 23 marzo, consegna prevista dopo 233 giorni, cioè il 10 novembre. Così si legge nella determina del ministero della Difesa che ha affidato al Genio militare la realizzazione dei centri per migranti in Albania. Che, però, stando alle intenzioni della premier Giorgia Meloni e soprattutto al bando per la gestione degli stessi centri, avrebbero dovuto aprire i battenti il 20 maggio, giusto in tempo per incassare il risultato di quella che il governo ritiene una soluzione innovativa per alleggerire l’Italia dall’onere dell’accoglienza dei migranti.

    Cantieri appena aperti, ci vorranno mesi

    Al porto di Shengjin e nell’ex base militare di Gjader, i lavori stanno appena muovendo i primi passi, siamo ai sopralluoghi che per altro starebbero rilevando una serie di difficoltà nel territorio. Impossibile che i centri siano pronti per maggio, ci vorranno mesi, passerà tutta l’estate. E, al di là della propaganda di governo, i primi documenti svelano il bluff dell’operazione Albania, i cui costi continuano a lievitare e rischiano di arrivare a sfiorare la cifra monstre di un miliardo di euro in cinque anni. Perchè alle cifre ufficiali, già elevatissime che ammontano a circa 150 milioni di euro all’anno moltiplicati per cinque anni, devono aggiungersi i costi non quantificabili: quelli rimborsabili a piè di lista, per i trasporti e la sanità e, per quel che riguarda le strutture i subappalti «senza limiti di spesa», come si legge appunto nella determina della Difesa.

    Fondi extrabudget dirottati dal Pnrr

    Anche i costi per realizzare i due centri, l’hotspot nel porto di Shengjin e il centro di detenzione per richiedenti asilo da 880 posti, con un’ala destinata a Cpr ( altri 144 posti) e un’altra a vero e proprio carcere ( da 20 posti), a Gjader, sono da considerarsi un extrabudget. I lavori affidati al Genio costeranno circa 65 milioni di euro. Soldi che, in parte, vengono prelevati da un disegno di legge che riguarda l’utilizzo dei fondi del Pnrr, come sottolineano i rappresentanti dell’opposizione. «Ogni giorno che passa è sempre più chiaro il bluff dell’accordo Italia Albania - dice Matteo Mauri che per il Ps ha seguito i lavori in commissione sul protocollo Albania - I costi aumentano ogni mese. In un decreto di marzo hanno aggiunto altri 65 milioni di euro, sfondando il tetto dei 700 milioni totali. Una cifra spropositata per fare una cosa completamente inutile».

    In aggiudicazione il bando per la gestione dei centri

    Nei prossimi giorni il ministero dell’Interno aggiudicherà la gara da 36 milioni di euro a base d’asta per la gestione dei centri. All’esame ci sono le offerte delle tre imprese selezionate sulle trenta partecipanti. Ancora da bandire invece quella per la fornitura dei moduli prefabbricati che saranno piazzati sulle aree quando il Genio e le imprese subappaltatrici avranno terminato di sbancarle, bonificarle, realizzare fogne e impianti, Senza limiti di spesa.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/04/14/news/centri_migranti_albania_cpr_governo_meloni-422527456

    #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres

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    Ajouté à la Métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
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  • Migranti, nei centri italiani in Albania un rotolo di carta igienica a persona a settimana

    I paradossi del #bando da 34 milioni di euro pubblicato dal Viminale per la gestione delle strutture. Applicata la procedura di estrema urgenza, negoziazione tra tre soli operatori economici, una sola settimana di tempo per la manifestazione d’interesse.

    Un appalto da 34 milioni di euro e un rotolo di carta igienica a settimana per migrante. Basterebbe questo paradosso a bollare come frettoloso e sommario il bando per l’affidamento dei servizi per i centri di accoglienza e trattenimento dei richiedenti asilo che il governo Meloni prevede di aprire in Albania entro il 20 maggio. Una improbabile corsa contro il tempo per un’operazione che ancora manca del requisito di legittimità giuridico fondamentale ma che la premier intende giocarsi in vista della campagna elettorale per le Europee del 9 giugno.

    Misteriose ragioni di estrema urgenza

    E dunque ecco il ricorso a «#ragioni_di_estrema_urgenza» ( che non si sa quali siano visto che gli sbarchi sono nettamente diminuiti) per giustificare la procedura negoziale riservata a tre soli concorrenti che, nel giro di soli sette giorni, dovrà aggiudicare l’affidamento dei servizi di accoglienza e di gestione dei tre centri previsti dove i lavori non sono neanche cominciati: quello nel porto di Shengjin, adibito allo screening sanitario, all’identificazione e alla raccolta delle richieste di asilo, e i due di Gjader, la struttura di accoglienza da 880 posti dove i migranti resteranno (teoricamente) per un mese in attesa di conoscere l’esito della procedura accelerata di frontiera, e il Cpr da 144 posti dove verranno trasferiti quelli destinati al rimpatrio.

    Si risparmia sull’igiene dei migranti

    Il bando è stato pubblicato il 21 marzo, con avviso di manifestazione di interesse che si concluderà nel tempo record di una settimana. Un appalto da 34 milioni di euro a cui si aggiungono i rimborsi ( non quantificabili) di servizi di trasporto, utenze, raccolta dei rifiuti, manutenzione ordinaria e straordinaria, e dell’assistenza sanitaria. Non proprio quattro spiccioli, a fronte dei quali, però, spulciando il bando si trovano vere e proprie “perle”. Sull’igiene personale dei migranti, tanto per cominciare, chi si aggiudicherà l’appalto, potrà risparmiare: un solo rotolo di carta igienica a settimana a testa dove i richiedenti asilo attenderanno ( in detenzione amministrativa) l’esito della richiesta di asilo. Rotoli che, chissà poi perchè, diventeranno sei a settimana per gli sfortunati che, a fronte del diniego, verranno trasferiti nell’ala destinata a Cpr.

    Solo un cambio di abiti a stagione

    Nel kit di primo ingresso nei centri solo un paio di mutande e un paio di calze e, più in generale, un solo cambio di abiti a stagione.E dunque, a differenza dei centri di accoglienza italiani dove i migranti sono liberi e possono procurarsi altri abiti, i richiedenti asilo portati in Albania saranno detenuti e costretti ad indossare sempre gli stessi. Avranno il detersivo per lavarli due volte a settimana, nel frattempo evidentemente staranno in pigiama. Almeno si consoleranno con il cibo che prevede persino la pizza e il dolce due volte a settimana.

    Per raccontare la loro storia alla commissione d’asilo che deciderà il loro destino o per comparire davanti ai giudici di Roma, competenti sui ricorsi, dovranno accontentarsi di un collegamento da remoto, con tutte le limitazioni in tema di diritti che nascono dalle difficoltà di espressione e comprensione.

    Magi: “Un gigantesco spot elettorale”

    «Una bella photo-opportunity elettorale - commenta Riccardo Magi di Più Europa - Giorgia Meloni vuole allestire questi centri in fretta e furia e usarli come un gigantesco spot a pochi giorni dal voto a spese degli italiani».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/03/23/news/migranti_centri_albania_bando_viminale-422362144

    #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #coût #urgence #gestion #appel_d'offre #externalisation

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    • Protocollo Italia-Albania: il Viminale avvia la gara milionaria per la gestione dei centri

      Dal bando pubblicato il 21 marzo dalla prefettura di Roma emergono i primi dettagli dell’accordo contro i migranti: solo per le spese vive e il personale delle strutture, due hotspot e un Centro di permanenza per il rimpatrio, sono assicurati al gestore privato quasi 40 milioni di euro all’anno. I tempi sono strettissimi, le europee incombono

      Il ministero dell’Interno ha pubblicato i bandi di gara per la gestione delle nuove strutture per i migranti in Albania che diventeranno operative, documenti alla mano, entro il 20 maggio 2024. Un primo passo concreto verso la messa in pratica del protocollo annunciato dal Governo Meloni con Tirana lo scorso 6 novembre 2023 -poi ratificato dal Parlamento a fine febbraio 2024- e che prevede di dislocare i naufraghi soccorsi in operazioni di salvataggio in mare sul territorio albanese. Più precisamente in tre strutture con una capienza totale che supera i mille posti disponibili: due hotspot, ovvero i centri di identificazione, che in Italia troviamo nei cosiddetti “punti di crisi”, principali punti di sbarco (Lampedusa, Pozzallo e Taranto tra gli altri), più un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) dove trattenere coloro che sono in attesa di essere espulsi nel proprio Paese d’origine. La spesa annuale stimata è pari a quasi 40 milioni di euro, calcolando esclusivamente il costo a persona (pro-capite pro-die), che però esclude diverse spese vive (dal trasporto all’assistenza sanitaria fino alle utenze).

      La gara è stata pubblicata il 21 marzo e individua nella prefettura di Roma la stazione appaltante, la quale ha scelto di attivare una procedura negoziata con cui consulterà un “numero congruo di operatori economici” per aggiudicare i servizi all’ente gestore. Un bando di questo genere può essere giustificato solo in casi di estrema urgenza. E secondo il ministero l’affidamento in oggetto, essendo un presupposto fondamentale per “l’attuazione del Protocollo tra Italia e Albania in conformità ai tempi ed agli adempimenti che risultano necessari per rispettare, alle scadenze previste, gli impegni assunti dal Governo della Repubblica Italiana”, rientra tra quelle procedure basate proprio su “ragioni di estrema urgenza”.

      La prima struttura è sita nella città portuale di Shenjin e sarà a tutti gli effetti un hotspot. “Una struttura dimensionata per l’accoglienza, senza pernottamento, dei migranti condotti in porto e destinati alle procedure di screening sanitario, identificazione e raccolta delle eventuali domande di asilo, all’esito delle quali i migranti saranno trasferiti presso le strutture di Gjader”. Gjader è la seconda località coinvolta dove saranno costruite le altre due strutture: un centro destinato “all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale” con un’accoglienza massima a regime di 880 migranti, e un altro, sempre nella stessa città albanese che sarà invece un Centro di permanenza per il rimpatrio, che ricalca quelli presenti sul territorio italiano, con una capienza fino a 144 persone. A Gjader saranno disponibili poi 168 posti per alloggi di servizio, di cui 60 riservati al personale dell’ente gestore.

      Come detto, i corrispettivi riconosciuti pro-capite pro-die, secondo la tipologia di centro ed il relativo numero degli ospiti presenti, ammontano “presuntivamente a complessivi 33.950.139 euro annui”. La gara d’appalto ha una durata di due anni, prorogabili fino ad un massimo di altri due. Sono esclusi dai quasi 40 milioni di euro, invece, i costi di trasporto, le utenze idriche, elettriche, del servizio di raccolta rifiuti, la connessione wifi e la manutenzione ordinaria e straordinaria. Così come quelli per la “predisposizione e manutenzione dei presidi antincendio” e quelli “relativi all’assistenza sanitaria”.

      Proprio questo è uno degli aspetti paradossali affrontati dal bando. Per la struttura sita nel porto di Shenjin si prevede “un ambulatorio medico dedicato per assistenza sanitaria, inclusa la stabilizzazione di condizioni cliniche ai fini del trasferimento” con “una sala per visite ambulatoriali, una stanza per osservazioni brevi con tre posti letto e una stanza di isolamento con due posti”.

      Invece nel sito di Gjader verrà di fatto allestito un vero e proprio “mini ospedale”. Vengono previste “tre sale per visite ambulatoriali, due stanze per osservazioni brevi (ognuna dotata di tre posti letto), una medicheria, una sala operatoria e una recovery room, un laboratorio analisi, una stanza per diagnostica per immagini (rx ed ecografia), una per visite psicologiche/psichiatriche all’uopo utilizzabile anche per consulenze in telemedicina e due stanze di isolamento”. Una struttura in cui opererà un elevatissimo numero di personale sanitario. Oltre a medici e infermieri per l’attività standard, viene prevista una équipe operativa 24 ore al giorno formata rispettivamente da: “medico specialista in anestesia-rianimazione, medico specialista in chirurgia generale, medico specialista in ortopedia con competenze chirurgiche, personale medico specialista in psichiatria, un infermiere strumentista, un operatore socio-sanitario (in caso di attivazione della sala operatoria), un tecnico di laboratorio, un tecnico di radiologia, un personale medico specialista in radiologia”.

      L’ente gestore, oltre a fornire kit di primo ingresso, sia igienici sia vestiari e a garantire la fornitura dei pasti e l’informativa legale, dovrà garantire la predisposizione di “appositi locali e strumenti tecnici che assicurino la connessione alla rete e il collegamento audio-visivo nel rispetto della privacy e della libertà di autodeterminazione del beneficiario per l’eventuale audizione da remoto davanti alle Commissioni territoriali, nonché davanti al Tribunale ordinario e ad altri uffici amministrativi”. In altri termini: saranno implementate delle stanze per svolgere le audizioni di chi, una volta richiesto asilo, dovrà affrontare l’iter per vedersi o meno riconosciuto il permesso di soggiorno. Tutto inevitabilmente online. Dovrà esserci anche un locale “al fine di tutelare la riservatezza della persona nei colloqui con il proprio legale” o favorire l’incontro con “eventuali visitatori ammessi”. La prefettura di Roma, dovrà essere messa a conoscenza “di ogni notizia di rilievo inerente la regolare conduzione della convivenza e le condizioni del centro e tenuta di un registro con gli eventuali episodi che hanno causato lesioni a ospiti od operatori”, nonché la consegna della certificazione di idoneità al trattenimento.

      La gara è aperta fino al 28 marzo. La prefettura valuterà le offerte pervenute da imprese o cooperative già attive nel settore con un fatturato complessivo, negli ultimi tre esercizi disponibili, non inferiore a cinque milioni di euro. Non certo piccole realtà dell’accoglienza. L’avvio dell’operatività dei centri è prevista non oltre il 20 maggio 2024. Quindici giorni prima di quella data, il ministero dell’Interno potrà confermare o meno l’effettivo avvio a pieno regime oppure anche con “una ricettività progressiva rispetto a quella massima prevista nelle more del completamento degli eventuali lavori di allestimento”. L’importante è partire: le elezioni europee di inizio giugno incombono.

      https://altreconomia.it/protocollo-italia-albania-il-viminale-avvia-la-gara-milionaria-per-la-g

    • Albania-Italy migrant deal moves ahead as Rome publishes tender for processing centre

      As of 20 May 2024, camps in Albania that will process the asylum applications of individuals rescued by the Italian authorities will be up and running, as a recently published tender document reveals more details about the deal and how the site will function.

      In November 2023, Albanian Prime Minister Edi Rama and Italian Prime Minister Giorgia Meloni signed a deal that would see migrants rescued in Italian territorial waters or by Italian authorities sent to Albania for their asylum applications to be processed. The deal has divided opinion on both sides of the Adriatic from the outset, but both governments remain adamant about it going ahead.

      The tender notifications, published by the Rome prefect’s department, invite bidders to submit their offers before 28 March with the deadline of 20 May as the start of operations.

      According to the tender details, worth €34 million, the site will consist of three structures able to accommodate a total of around 3000 people.

      One structure will be built at the port of Shengjin, where landing and identification procedures will be carried out.

      The other two sites will be located in Gjader. One will be dedicated to ascertaining the prerequisites for the recognition of international protection, while the other will serve as a repatriation detention centre.

      According to the Italian government, the site will process individuals rescued by the Italian authorities involved in maritime rescue, such as the coast guard, financial police, or navy, and explicitly exclude those rescued by NGOs. It will also not include disabled people, women, children, or other vulnerable individuals.

      The tender states that the facility in Shengjin will have a medical clinic, including a room for outpatient visits, an isolation room, and a three-bed ward. In Gjader, there will be three outpatient rooms, two wards, an operating theatre, a laboratory, an x-ray and ultrasound room, and a space for psychological and psychiatric visits.

      Medical specialists on site will include a doctor specialising in anaesthesia and resuscitation, a doctor specialising in general surgery, a doctor specialising in orthopaedics with surgical skills, medical staff specialising in psychiatry, an instrumental nurse, a social doctor, a health worker, a laboratory technician, a radiology technician, and a health worker specialising in radiology.

      Upon arrival, welcome kits will also be presented to each individual, including an undershirt, T-shirt, pair of pyjamas, three pairs of shorts, and three pairs of socks. They will also be given one roll of toilet paper a week, one toothbrush and 100ml tube of toothpaste per week, and one bottle of shampoo and liquid soap per week.

      The Italian Interior Ministry will conduct spot checks on the site to ensure compliance with the tender.

      During their stay in Albania, estimated at around three months for each person, individuals will not be able to leave the centre, which is to be guarded by Italian and Albanian authorities. If they do, the Albanian police will return them. Once their application has been processed, whatever the outcome, they will be removed from Albania’s territory.

      While on-site, individuals can access legal assistance from representatives of international organisations, including the EU, which aims to provide legal aid to all asylum seekers as required by Italian, Albanian and EU law.

      The agreement caused controversy in Italy and Albania, with the Constitutional Court in Tirana narrowly ruling that it did not violate the laws of the land earlier this year. Meanwhile, despite claims from international law experts that it is not compliant with EU law, European Commissioner for Home Affairs Ylva Johansson said it did not break the law as it is “outside of it”.

      Work has not yet begun at the sites in Shengjin and Gjader, leading to questions about whether they can be operational by spring.

      Shengjin was also home to hundreds of Afghan refugees that Albania took in after the US withdrawal from Afghanistan led to the takeover of the Taliban. While the US promised to take responsibility for them, asking Albania to keep them while it processed their visas, a number still remain with no news or idea if they will ever leave.

      As for the migrant deal, several other EU countries have hinted they may look at similar deals to deal with their immigration issues, a move likely to score votes from the conservative parts of society, ahead of EU elections.

      https://www.euractiv.com/section/politics/news/albania-italy-migrant-deal-moves-ahead-as-rome-publishes-tender-for-proces

    • #Medihospes, #Consorzio_Hera, #Officine_sociali: chi gestirà i centri per migranti in Albania

      La prefettura di Roma ha reso noti i tre partecipanti selezionati tra le trenta proposte pervenute per gestire i due hotspot e il Cpr previsti dall’accordo tra Roma e Tirana. Entro il 20 maggio la gara verrà aggiudicata per un importo che supera i 150 milioni di euro. Ma i lavori di adeguamento alle strutture non sono ancora completati

      Medihospes, Consorzio Hera e Officine sociali. Sono le tre cooperative in corsa per la gestione dei centri italiani in Albania selezionate per le “esperienze contrattuali pregresse afferenti a questi servizi” tra le trenta che hanno manifestato alla prefettura di Roma la propria volontà di partecipare alla gara. Un appalto da oltre 151 milioni di euro (per quattro anni) che verrà aggiudicato, nelle prossime settimane, all’operatore economico che ha presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa.

      Alle tre cooperative in corsa una certa “esperienza” non manca. Officine sociali, con sede legale a Siracusa, gestisce attualmente il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Palazzo San Gervasio a Potenza e l’hotspot di Taranto in Puglia. Attualmente è in gara anche per l’aggiudicazione della gestione del Cpr di Gradisca d’Isonzo, dove sta correndo al fianco di Martinina Srl, finita sotto indagine della Procura di Milano per le condizioni disumane in cui versavano i trattenuti al Cpr di via Corelli di Milano. Il legame tra le due società, come già raccontato su Altreconomia, perdura da tempo: insieme hanno partecipato anche alla gara pubblica per la gestione del Cpr di Torino.


      Consorzio Hera, invece, con sede legale a Castelvetrano, in provincia di Trapani, gestisce attualmente il Cara e il Cpr di Brindisi e quello di Trapani, in cordata con la cooperativa Vivere Con. Inoltre la cooperativa ha “vinto” anche l’hotspot di Pozzallo e Ragusa di cui è l’attuale ente gestore.

      Poi c’è Medihospes, è un colosso da 126 milioni di euro di fatturato nel 2022 che si occupa di assistenza ad anziani, alle persone con disabilità, servizi alberghieri e accoglienza ai migranti. Gestisce attualmente l’ex caserma Cavarzerani di Udine -di cui abbiamo già raccontato in precedenza- ma è attiva in diverse province italiane nell’accoglienza dei richiedenti asilo. Basti pensare che nel 2022 ha incassato, in totale, oltre 34 milioni di euro in tutta Italia per la gestione dei centri.

      Briciole rispetto agli oltre 151 milioni di euro preventivati dalla prefettura di Roma per la “gara” relativa alla gestione delle strutture previste dal protocollo Italia-Albania: un centro nella città portuale albanese Shengjin (hotspot) e due strutture (un altro hotspot e un Cpr) a Gjader (ne abbiamo parlato in questo approfondimento).

      La fornitura di servizi è preventivata con una base d’asta di 130 milioni di euro, con l’aggiunta di quasi sei milioni per il pocket-money e la tessera telefonica. La durata è di 24 mesi, prorogabili per altri 24 a partire dal 20 maggio 2024. Data entro la quale la prefettura di Roma dovrebbe aggiudicare la gara alla cooperativa che avrà presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa. Nei nuovi documenti di gara si sottolinea che i lavori di adeguamento delle strutture non sono ancora stati conclusi. Una corsa contro il tempo. Obiettivo: non certo la tutela dei diritti delle persone ma le elezioni europee.

      https://altreconomia.it/medihospes-consorzio-hera-officine-sociali-chi-gestira-i-centri-per-mig
      #externalisation #Italie #accord #Albanie #migrations #réfugiés #coopérative #sous-traitance #Engel #Engel_Italia #business #Shengjin #Gjader

  • Migranti, la Corte costituzionale albanese sospende la ratifica dell’accordo con l’Italia

    L’intervento dopo due ricorsi presentati dal Partito democratico di Tirana e da deputati vicini all’ex premier Berisha. Fonti di Palazzo Chigi: “Nessuna preoccupazione”

    ROMA - Rinunciare alla sovranità nei due territori che il premier Edi Rama ha offerto all’Italia per la realizzazione di centri di accoglienza per migranti è un atto che avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzato dal presidente della Repubblica. Si basa su questa contestazione il ricorso presentato dalle opposizioni al governo di Tirana, col quale è stato bloccato in extremis l’accordo che oggi avrebbe dovuto essere ratificato dal parlamento.

    (#paywall)
    https://www.repubblica.it/politica/2023/12/13/news/accordo_italia_albania_sui_migranti_sospeso_dallalta_corte_albanese-42165

    #suspension #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres

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    • Albania: la Corte Costituzionale sospende l’accordo Rama-Meloni

      La Corte Costituzionale albanese ha sospeso la ratifica del controverso accordo tra Edi Rama e la premier italiana Giorgia Meloni sulla creazione di centri di accoglienza e rimpatrio per migranti sul suolo albanese, finanziati e gestiti dall’Italia. Le reazioni della politica albanese

      Con una decisione lampo, la Corte Costituzionale albanese ha sospeso la ratifica del protocollo sul trasferimento dei migranti stipulato tra il premier Edi Rama e l’omologa italiana Giorgia Meloni del 6 novembre scorso. La procedura di ratifica, prevista per giovedì 14 dicembre, era stata inserita nell’agenda del parlamento con procedura accelerata dalla maggioranza socialista al governo.

      Nell’esame preliminare, i tre giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto ammissibile il ricorso presentato dall’opposizione di centro destra, sottoponendo il caso alla decisione della seduta plenaria prevista per il 18 gennaio prossimo. La Corte dovrà pronunciare la decisione finale entro tre mesi dalla data di presentazione del ricorso, ossia entro il 6 marzo 2024.

      Immediate sono state le reazioni dei due schieramenti politici contrapposti. Mentre gli esponenti del Partito Socialista hanno ribadito il rispetto di tutte le procedure vigenti per la stipula dell’accordo, l’opposizione ha esultato per la parziale vittoria.

      Al suo rientro dal summit Ue-Balcani Occidentali, il premier Rama ha tagliato corto sulla questione durante la conferenza stampa . “È un diritto della Corte Costituzionale [...] quello di esaminare un accordo con uno stato estero. Non ho nulla da aggiungere riguardo ai miei compiti”.
      Fronte comune contro l’accordo

      28 deputati della frazione “Rifondazione” del Partito Democratico (PD), guidata dall’ex premier Sali Berisha, e due del Partito della Libertà dell’ex presidente Ilir Meta hanno presentato il 6 dicembre scorso un ricorso per incostituzionalità del protocollo bilaterale sul trasferimento dei migranti.

      Il gruppo di deputati sostiene che non sia stata rispettata la procedura per la negoziazione e la stipula dell’accordo, in quanto il suo oggetto rientra nelle categorie di accordi che necessitano dell’autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica.

      Oltre alla questione della cessazione temporanea della sovranità territoriale del Porto di Shëngjin e dell’area di Gjadër all’Italia (dove era previsto che arrivassero i migranti), i ricorrenti evidenziano una violazione di almeno due articoli della Costituzione, rispettivamente l’Art. 16 sul principio di uguaglianza tra i cittadini stranieri presenti in Albania e i cittadini albanesi, e l’Art. 27 sulla limitazione ingiusta delle libertà personali, considerato che i migranti verranno detenuti in un’area confinata per un periodo fino a 18 mesi senza un giusto motivo.

      “Abbiamo intentato la causa per proteggere gli interessi dei cittadini. Non si può decidere il destino del nostro Paese violando i diritti umani. Siamo grati al popolo italiano, ma questo non lo riguarda”, ha dichiarato per i media Lindita Metaliaj, deputata del PD.

      Nel suo comunicato stampa, la Corte Costituzionale ha ribadito che i ricorrenti hanno presentato tre richieste consecutive per la sospensione della procedura di ratifica parlamentare dell’accordo.

      Nella mattina del 6 dicembre scorso, oltre al ricorso di Rifondazione, è stato presentato anche un secondo ricorso da parte della frazione moderata che rappresenta ufficialmente il Partito Democratico, guidata da Lulzim Basha.

      In un comunicato stampa, il vicepresidente Kreshnik Çollaku ha dichiarato che “l’accordo [con l’Italia] è stato annunciato in modo strano, senza preavviso, suscitando una logica reazione di preoccupazione, e diventando oggetto di profondo dibattito pubblico sia in [Albania] che in Italia”, ed ha precisato: “In Albania c’è stata mancanza di trasparenza da parte del primo ministro. Rama è riuscito più volte a nascondersi sfruttando il caos parlamentare, evitando il dibattito pubblico”.

      I moderati del PD chiedono alla Corte Costituzionale la dichiarazione di incostituzionalità dell’accordo Rama-Meloni, la sospensione della procedura di ratifica in parlamento e la sua incompatibilità con gli Art. 3, 4 e 7 della Costituzione albanese.

      Uno dei primi “effetti” dell’accordo sui migranti è stato quello di placare lo scontro tra le due frazioni del PD, profondamente diviso e frammentato negli ultimi due anni.
      La maggioranza compatta

      L’opposizione ha tentato in diversi modi di bloccare i lavori delle commissioni parlamentari nelle quali era prevista l’approvazione in prima lettura dell’accordo con l’Italia. Per contrastare le resistenze, le commissioni parlamentari si sono riunite online approvando l’accordo con i soli voti della maggioranza.

      Nel suo intervento il ministro degli Interni Taulant Balla ha sottolineato che attraverso il protocollo si mette a disposizione del governo italiano una superficie di territorio per la realizzazione delle strutture ospitanti degli immigrati irregolari. “Non si tratta di alcuna forma di cessione dei territori, poiché restano territori della Repubblica d’Albania, ma concediamo il diritto all’uso temporaneo di una superficie precedentemente determinata nell’accordo”.

      Dal canto suo il presidente della commissione sicurezza Nasip Naço ha definito le reazioni dell’opposizione come tentativi di protagonismo personale da parte di coloro che hanno perso il senso della politica.

      In seguito alla sospensione dell’accordo, il presidente del gruppo parlamentare socialista, Bledar Çuçi, ha dichiarato che la maggioranza attuerà ogni decisione della Corte Costituzionale, ritenendo che l’accordo sia molto importante “per dimostrare che siamo un paese europeo”.

      Nel corso delle ultime settimane, il premier Rama ha affrontato la questione dell’intesa con l’Italia in diverse occasioni, ribadendo la tesi della solidarietà, seppur riconoscendo il contributo limitato che l’Albania può fornire alla sfida migratoria con cui si sta scontrando l’Ue.

      “L’Albania non può essere la soluzione per risolvere questo problema, ma possiamo dare un aiuto”, ha sottolineato Rama in una intervista per i media albanesi. “Accettando l’accordo agiamo semplicemente come un paese europeo che condivide questa preoccupazione. Sotto l’aspetto politico, aumenta la reputazione dell’Albania”.
      Le reazioni della società civile

      Diversi attivisti della società civile hanno condiviso pubblicamente il proprio scetticismo sull’attuazione pratica dell’accordo, ribadendo la tendenza diffusa tra i paesi Ue di voler esternalizzare le questioni migratorie a scapito del rispetto dei diritti umani. Si teme che la costruzione di due centri nella provincia di Lezha possa avere una ricaduta negativa sul turismo, oltre che un potenziale serio problema per la sicurezza nazionale.

      Un’alleanza di 29 organizzazioni non governative ha rivolto una lettera aperta al governo domandando il suo ritiro dall’accordo con l’Italia. Le organizzazioni esprimono la loro preoccupazione per la mancanza di trasparenza e di consultazioni con i gruppi di interesse.

      Nei primi giorni successivi all’annuncio dell’accordo, hanno avuto luogo alcune sporadiche proteste civiche a bassa partecipazione a Lezha e a Tirana. A favore dell’organizzazione di proteste nazionali si è inizialmente espresso anche il leader di Rifondazione Berisha, obbligato poi a fare dietrofront in seguito alla chiamata del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani.
      Voci fuori dal coro

      Con un effetto a sorpresa, dei 7 comuni guidati dal centro destra, due sindaci - uno del comune di Fushë Arrëz nel nord e l’altro di Memaliaj nel sud del paese - hanno chiesto pubblicamente al premier di ospitare un determinato numero di migranti negli spazi a messi a disposizione nei rispettivi comuni, come previsto dall’intesa con il governo italiano.

      “È il momento di mostrare la nostra ospitalità, basata sull’esperienza e sull’ospitalità che noi immigrati stessi abbiamo trovato da molti anni nei paesi europei”, ha ribadito Albert Malaj , sindaco di Memaliaj, nella sua lettera aperta.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-la-Corte-Costituzionale-sospende-l-accordo-Rama-Meloni-22902

    • En Albanie, la Cour constitutionnelle suspend l’accord avec l’Italie sur l’externalisation des demandes d’asile

      La Cour constitutionnelle de Tirana a annoncé mercredi la suspension des procédures parlementaires, censées valider l’accord avec Rome sur l’externalisation des demandeurs d’asile. La Haute Cour estime que le texte viole la Constitution albanaise et les conventions internationales, une circonstance qui nécessite l’arrêt de la ratification parlementaire jusqu’au prochain verdict de la Cour.

      Premier revers pour l’accord entre l’Albanie et l’Italie. La Cour constitutionnelle de Tirana a annoncé mercredi 13 décembre la suspension des procédures parlementaires, qui doivent valider le texte, initialement prévu ce jeudi.

      Le partenariat entre ces deux pays, signé le 6 novembre par la Première ministre italienne Giorgia Meloni et son homologue albanais Edi Rama, prévoit d’envoyer une partie des demandeurs d’asile secourus en Méditerranée centrale dans ce pays, non membre de l’Union européenne (UE). Au total, 30 000 personnes seront envoyées en Albanie sur une période d’un an.

      Le 6 décembre, le Conseil des ministres italiens avait approuvé cet accord, ouvrant la voie à la construction de deux centres en Albanie, pour accueillir les demandeurs d’asile et y examiner leurs dossiers.

      Mais la Haute Cour albanaise a mis un coup d’arrêt au projet. La justice a accepté deux appels, déposés séparément par le Parti démocratique albanais et 28 autres députés alignés aux côtés de l’ancien Premier ministre de centre-droit Sali Berisha, qui suspend automatiquement le texte.

      Les conclusions de la Cour affirment que l’accord viole la Constitution albanaise et les conventions internationales signées par Tirana, une circonstance qui nécessite l’arrêt de la ratification parlementaire jusqu’au prochain verdict de la Cour.

      Le tribunal doit se prononcer dans les trois mois suivant le dépôt du recours, soit le 6 mars 2024. Sa première séance plénière est attendue le 18 janvier.
      « Nous ne vendons pas un morceau de terre albanaise »

      Mercredi, le ministre albanais de l’Intérieur, Taulant Balla, avait défendu son partenariat, estimant qu’il avait « le droit de négocier de tels accords au nom de la République d’Albanie », ajoutant que celui-ci était « entièrement conforme à la constitution ». Le ministre a également répondu aux opposants du projet en affirmant que « nous ne vendons pas un morceau de terre albanaise » à l’Italie. « Nous offrons cette terre à l’Italie comme nous le faisons habituellement, par exemple lorsque nous installons une ambassade », a insisté Taulant Balla.

      La juridiction à l’intérieur du camp sera italienne, mais la terre restera albanaise, a-t-il assuré. L’Italie prendra en charge les coûts du projet, ainsi que les dépenses supplémentaires engagées par la police albanaise pour assurer la sécurité en dehors du périmètre du camp.

      En Italie aussi, cet accord est vivement critiqué. Lors de l’annonce du texte début novembre, le député et secrétaire du parti d’opposition Più Europa, Riccardo Magi, avait déclaré : « On crée une sorte de Guantanamo italien, en dehors de toute norme internationale, en dehors de l’UE, sans la possibilité de contrôler la détention des personnes enfermées dans ces centres ».

      L’ONG Amnesty international évoquait de son côté un partenariat « illégal et irréalisable ». « Il s’agit d’un accord de refoulement, une pratique interdite par les normes européennes et internationales et pour laquelle l’Italie a déjà été condamnée par la Cour européenne des droits de l’Homme », avait déploré Elisa de Pieri d’Amnesty international.

      Du côté de la Commission européenne, en revanche, on se félicite d’un tel accord, jugé conforme aux obligations de l’UE. Dans une lettre adressée aux États membres, la présidente Ursula von der Leyen estime qu’il « s’agit d’un exemple de réflexion originale, basée sur un partage équitable des responsabilités avec les pays tiers ».


      https://www.infomigrants.net/fr/post/53894/en-albanie-la-cour-constitutionnelle-suspend-laccord-avec-litalie-sur-

  • Meloni, accordo con Rama prevede 2 centri migranti in Albania

    “L’accordo prevede di allestire centri per migranti in Albania che possano contenere fino a 3mila persone”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni dopo l’incontro a Palazzo Chigi con il primo ministro dell’Albania Edi Rama. “L’accordo che sigliamo oggi – ha aggiunto - arricchisce di un ulteriore tassello la collaborazione” tra i due Paesi e “quando ne abbiamo iniziato a discutere siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo e la collaborazione tra Stati Ue e Stati per ora extra Ue – per ora - è fondamentale”. “In questi due centri” i migranti resteranno “il tempo necessario per le procedure e una volta a regime nei centri ci potrà essere un flusso annuale complessivo di 36 mila persone”. “L’accordo non riguarda i minori e donne in gravidanza ed i soggetti vulnerabili – precisa – la giurisdizione sarà italiana. L’Albania collabora sulla sorveglianza esterna delle strutture. All’accordo che disegna la cornice, seguiranno una serie di protocolli. Contiamo di rendere operativi i centri in primavera”. (ANSA).

    https://it.euronews.com/2023/11/06/meloni-accordo-con-rama-prevede-2-centri-migranti-in-albania

    #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres

    ajouté à la Métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    –-

    Et ajouté à la métaliste sur les différentes tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers, mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers
    https://seenthis.net/messages/900122

    • Migranti, accordo Italia-Albania. Meloni: “Centri italiani nel loro Paese”. Il Pd: “Un pericoloso pasticcio”. Ue: “L’Italia rispetti il diritto comunitario”

      Il premier Edi Rama ricevuto a Palazzo Chigi dove è stato siglato un protocollo d’intesa in materia di gestione dei flussi. Accoglieranno fino a 3mila persone, solo coloro che saranno salvati in mare. Protestano + Europa e Avs

      La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il primo ministro dell’Albania Edi Rama. «Sono contenta di annunciare con lui un protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migranti. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Albania. C’è una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità – dice Meloni durante le dichiarazioni congiunte con il collega albanese – L’accordo prevede di allestire due centri migranti in Albania che possano contenere fino 3mila persone. E arricchisce di un ulteriore tassello la collaborazione» tra i due Paesi e «quando ne abbiamo iniziato a discutere siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo e la collaborazione tra stati Ue e stati - per ora - è fondamentale».

      Un accordo contro cui si scagliano le opposizioni e che il Pd definisce “un pericoloso pasticcio”. Mentre da Bruxelles un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos dice: «Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve ancora essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale».

      L’incontro tra i due primi ministri è stata anche l’occasione per ribadire il sostegno dell’Italia all’ingresso di Tirana in Ue. "L’Albania si conferma una nazione amica e nonostante non sia ancora parte dell’Unione si comporta come se fosse un paese membro e questa è una delle ragioni per cui sono fiera che l’Italia sia da sempre uno dei paesi sostenitori dell’allargamento ai Balcani occidentali”. E ancora. «L’Ue non è un club. Quindi, io non parlo di ingressi ma di riunificazione dei Balcani occidentali che sono Paesi Ue a tutti gli effetti», osserva Meloni. Che ricorda anche come l’Italia sia «il primo partner commerciale dell’Albania. Il nostro interscambio vale circa il 20% del Pil albanese. Ci sono intensi rapporti culturali e sociali. È una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità. L’accordo di oggi arricchisce questa collaborazione con un ulteriore tassello», conclude la premier.
      Le reazioni

      Se la destra plaude all’intesa tra l’Italia e l’Albania, le opposizioni insorgono. «L’accordo che il governo Meloni ha raggiunto con il governo albanese sembra configurarsi come un pericoloso pasticcio, parecchio ambiguo. Se infatti si è, come sembra, di fronte a richiedenti asilo, appare assolutamente inimmaginabile compiere con personale italiano e senza esborso di risorse, come annunciato, le procedure di verifica delle domande d’asilo», attacca Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie della segreteria nazionale del Pd. “Praticamente si crea una sorta di Guantanamo italiana, al di fuori di ogni standard internazionale, al di fuori dell’Ue senza che possa esserci la possibilita’ di controllare lo stato di detenzione delle persone rinchiuse in questi centri"., protesta Riccardo Magi, segretario di Più Europa. E Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinisra aggiunge: Quello che il governo ha definito come un ’importantissimo protocollo di intesa’ non è altro che una politica di respingimento mascherata da cooperazione internazionale. Il governo italiano –prosegue - sta delegando la gestione dei migranti irregolari, di fatto esternalizzando le proprie responsabilità, con il rischio di creare campi di permanenza che potrebbero non assicurare standard adeguati di accoglienza e rispetto per la dignità umana".

      Ma il ministro degli Esteri Antonio Tajani replica: «L’accordo rafforza il nostro ruolo da protagonista in Europa ed apre nuove strade di collaborazione nell’Adriatico. Contrasto all’immigrazione irregolare e bloccare la tratta di esseri umani. Queste le priorita’ della nostra politica estera».
      Il protocollo d’intesa

      Il protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migratori siglato oggi, secondo quanto si apprende da fonti di palazzo Chigi, non si applica agli immigrati che giungono sulle coste e sul territorio italiani ma a quelli salvati in mare, fatta eccezione per minori, donne in gravidanza e soggetti vulnerabili. Le strutture realizzate, viene spiegato, potranno accogliere complessivamente fino a 3mila immigrati, per una previsione di 39mila persone accolte in un anno. L’accordo si pone un obiettivo di dissuasione rispetto alle partenze e di deterrenza rispetto al traffico di esseri umani.

      La giurisdizione dei due centri per migranti in Albania sarà italiana, spiega ancora Palazzo Chigi. I migranti, viene precisato, sbarcheranno a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un centro di prima accoglienza e screening; a Gjader realizzerà una struttura modello Cpr per le successive procedure. L’Albania collaborerà con le sue forze di polizia per la sicurezza e sorveglianza. L’Albania, sottolinea ancora Palazzo Chigi, già vede un’importante presenza di forze dell’Ordine e magistrati italiani.
      Rama: “Se l’Italia chiama l’Albania c’è”

      “Se l’Italia chiama l’Albania c’è – risponde Rama – Non sta a noi giudicare il merito politico di decisioni prese in questo luogo e altre istituzioni, a noi sta rispondere ’Presente’ quando si tratta di dare una mano. Questa volta significa aiutare a gestire con un pizzico di respiro in più una situazione e difficile per l’Italia". «La geografia è diventata una maledizione per l’Italia, quando si entra in Italia si entra in Ue – spiega il premier Albanese – Noi non abbiamo la forza e la capacità di essere la soluzione ma abbiamo un dovere verso l’Italia e la capacità di dare una mano. L’Albania non fa parte dell’Unione ma è uno Stato europeo, ci manca la U davanti ma ciò non ci impedisce di essere e vedere il mondo come europei».

      https://www.repubblica.it/politica/2023/11/06/news/migranti_meloni_accordo_albania_edi_rama-419723671

      #Gjader #Shengjin #débarquement #identification #screening #premier_accueil #CPR

    • Migrants, accord Italie-Albanie. Meloni : « Des centres italiens dans leur pays ». Adhésion de Tirana à l’UE : « Nous l’avons toujours soutenue »

      Le Premier ministre Giorgia Meloni a reçu le Premier ministre de l’Albanie au Palazzo Chigi Edi Rama. “Je suis heureux d’annoncer avec lui un mémorandum d’accord entre l’Italie et l’Albanie sur la gestion des flux migratoires. L’Italie est le premier partenaire commercial de l’Albanie. Il existe déjà une collaboration très étroite dans la lutte contre l’illégalité – a déclaré Meloni lors de la réunion conjointe déclarations avec son collègue albanais – L’accord prévoit la création de centres de migrants en Albanie pouvant accueillir jusqu’à 3 mille personnes. Et il enrichit la collaboration « entre les deux pays avec une étape supplémentaire » et « lorsque nous avons commencé à en discuter, nous sommes partis du l’idée que l’immigration clandestine de masse est un phénomène auquel aucun État de l’UE ne peut lutter seul et que la collaboration entre les États de l’UE est – pour l’instant – fondamentale”.

      La rencontre entre les deux premiers ministres a également été l’occasion de réitérer le soutien de l’Italie à l’entrée de Tirana dans l’UE. “L’Albanie se confirme comme une nation amie et même si elle ne fait pas encore partie de l’Union, elle se comporte comme si elle en était un pays membre et c’est une des raisons pour laquelle je suis fier que l’Italie ait toujours été l’un des pays qui soutiennent l’élargissement. aux Balkans occidentaux”. Et encore. “L’UE n’est pas un club. Je ne parle donc pas d’entrées, mais de la réunification des Balkans occidentaux, qui sont à tous égards des pays de l’UE”, observe encore Meloni. Il rappelle également que l’Italie est “le premier partenaire commercial de l’Albanie. Nos échanges commerciaux représentent environ 20 % du PIB albanais. Il existe des relations culturelles et sociales intenses. C’est une collaboration très étroite qui existe déjà dans la lutte contre l’illégalité. L’accord d’aujourd’hui enrichit cette collaboration d’une étape supplémentaire”, conclut le Premier ministre.

      Le protocole d’accord entre l’Italie et l’Albanie sur la gestion des flux migratoires signé aujourd’hui, selon ce que l’on apprend de sources au Palazzo Chigi, ne s’applique pas aux immigrants arrivant sur les côtes et le territoire italiens mais à ceux secourus en mer, à l’exception de les mineurs, les femmes enceintes et les sujets vulnérables. Les structures créées, explique-t-on, pourront accueillir au total jusqu’à 3 mille immigrants, pour une prévision de 39 mille personnes accueillies par an. L’accord vise à dissuader les départs et à décourager la traite des êtres humains.

      « Si l’Italie appelle l’Albanie, elle est là – répond Rama – Ce n’est pas à nous de juger du mérite politique des décisions prises dans ce lieu et dans d’autres institutions, c’est à nous de répondre ‘Présent’ lorsqu’il s’agit de prêter un main. Cette fois, il s’agit d’aider à gérer une situation difficile pour l’Italie avec un peu plus de répit.” “La géographie est devenue une malédiction pour l’Italie, quand vous entrez en Italie, vous entrez dans l’UE – explique le Premier ministre Albanese – Nous n’avons pas la force et Nous avons la capacité d’être la solution, mais nous avons un devoir envers l’Italie et la capacité de lui donner un coup de main. L’Albanie ne fait pas partie de l’Union mais c’est un Etat européen, il nous manque le U devant mais cela ne nous empêche pas d’être et de voir le monde en Européens”.

      https://fr.italy24.press/local/1061085.html

    • Migrants: two structures to manage illegal flows, this is what the Italy-Albania #memorandum_of_understanding provides

      Two structures in Albanian territory under Italian jurisdiction which will serve to manage illegal migratory flows. This is the fulcrum of the memorandum of understanding signed today by Italy and Albania and announced by the Prime Minister Giorgia Meloni and the counterpart Edi Rama. Rama’s “surprise” visit was not officially announced until this morning when a brief note from Palazzo Chigi announced that the two heads of government would meet in the afternoon and that they would subsequently make statements to the press. The discretion of the two governments prevailed and, consequently, also the surprise effect at the time of the announcement. “It is an agreement that enriches the friendship between the two nations,” said Meloni at the time of the announcement, subsequently explaining the details of the agreement which focuses on three primary objectives: combating human trafficking, preventing it and welcoming who has the right to protection. “Albania will grant some areas of the territory”, where Italy will be able to create “two structures” for the management of illegal migrants: “they will initially be able to accommodate up to three thousand people who will remain here for the time necessary to process asylum applications and , possibly, for the purposes of repatriation", said Meloni, specifying that the agreement does not concern minors, pregnant women and vulnerable subjects.

      The prime minister also provided details on the areas which will host the two structures which, hopefully, will be ready by spring 2024. “In the port of Shengjin (the seaport located north of Albania) disembarkation and identification procedures will be taken care of, while in another more internal area another structure based on the Repatriation Retention Centers model will be created (Cpr)”, explained Meloni, adding that the Albanian police forces will cooperate to guarantee “the security and external surveillance of the structures”. According to Meloni, the agreement signed today is a further step in the close bilateral cooperation. “Mass illegal immigration is a phenomenon that EU member states cannot face alone and cooperation between EU states and, for now, non-EU states can be decisive,” said the Prime Minister, according to whom Albania confirms itself as a friend not only of Italy but also of the European Union. “Despite not yet being formally part of the EU, Albania is a candidate country but behaves as if it were already a de facto member country of the Union and this is one of the reasons why I am proud of the fact that Italy is has always been one of the greatest supporters of the entry of Albania and the Western Balkans into the Union", added Meloni, who defined the memorandum of understanding “an innovative solution” in the hope that “it can become the model for other agreements of this type”.

      Speaking at the end of Meloni’s statements, Prime Minister Rama – underlining that the idea for the agreement was born during the Prime Minister’s summer holiday in Vlore – he immediately wanted to point out that “when Italy calls, Albania is there”. “Albania is not an EU state, but it is in Europe. It is a European state, and this does not prevent us from seeing the world as Europeans,” said Rama. “We would not have made this agreement with any other EU state. There is an important relationship of a historical, cultural, but also emotional nature, which links Albania with Italy", continued the prime minister. “We can lend a hand and help manage a situation which, as everyone sees, is difficult for Italy. When you enter Italy, you enter Europe, the EU, but when it comes to managing this entry as an EU we know well how things go,” said Rama. “We don’t have the strength to be a solution, but I believe we have a duty towards Italy and a certain ability to lend a hand”, added Rama who then recalled how his country can boast a tradition of hospitality, which began by the thousands of Italians protected after the Second World War. “We have a history of hospitality”, Rama underlined, recalling that Albania welcomed more than half a million war refugees and those fleeing to survive the ethnic cleansing from Kosovo. “We also gave refuge to thousands of Afghan women when NATO abandoned Afghanistan, and to a few thousand Iranians,” added the Albanian prime minister.

      https://www.agenzianova.com/en/news/migrants-two-structures-to-manage-illegal-flows%2C-this-is-what-the-Ita
      #MoU

    • Migranti: Un #Protocollo_d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali

      Con l’ennesimo annuncio propagandistico del govern si apprende che Giorgia Meloni avrebbe concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa , che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 persone definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza. Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “Dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.

      Secondo quanto annunciato dalle stesse fonti governative in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36.000 persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su quali autorità efettueranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?

      La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi, al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, che si asserisce sarebbero “sotto giurisdizione italiana” potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegno alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi socorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici). In quell’occasione la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “Chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama.

      Un progetto impraticabile e privo di basi legali, quanto previsto dal Memorandum sottoscritto dalla Meloni con il premier albanese, alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione, e soprattutto a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione, ed una possibile deportazione. Senza potere fare valere i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale previsti dalla Costituzione italiana (a partire dal’art.13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana) e dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo, e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. E poi, se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel mare Ionio, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da paesi terzi veramente “sicuri” ? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-UE, a differenza di quelle sbarcate in Italia,soprattutto se si tratta di persone che non provengono da paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza.

      Non si comprende neppure quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di salvatagio. Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in axque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale dal nord-africa. Forse si vorranno imporre giorni e giorni di navigazione su imbarcazioni poco adatte al trasporto di naufraghi, o si risoverà tutto nel’ennesimo effetto annuncio ?

      Come è avvenuto anche in passato, il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi. Ma colpisce immediatamente la portata disumanizzante dell’accordo, se solo si mette in evidenza l’uso pregiudiziale del termine “irregolari”, quando non addirittura “illegali”, per indicare tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane e condotte in Albania, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori. In palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio, e comunque riconoscono a tutte le persone, senza differenze a seconda della natura e della nazionalità della nave soccorriitrice, il diritto di chiedere protezione internazionale secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo, Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ma per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, e la caduta di qualsiasi ipotesi di collaborazione con i paesi africani, il Piano Mattei per l’Africa, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee.

      Per il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, il Memorandum sarebbe “in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano della presidente della Commissione von der Leyen”. Da Bruxelles, un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos ha invece affermato: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale“. Non si vede come la Commissione europea possa dare sostegno a questo Memorandum d’intesa, anche se l’approssimarsi della scadenza delle elezioni europee potrebbe fare schierare opportunisticamente alcuni leader nazionali(sti) o pezzi della Commisione UE a fianco di Giorgia Meloni. Il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio. In ogni caso le attività degli assetti militari in mare, con riferimento al soccorso dei naufraghi ed al contrasto dell’immigrazione irregolare, non possono prescindere dagli obblighi imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. O, forse, le operazioni di ricerca e soccorso si trasformeranno in attività di intercettazione ed “manovre cinematiche di interposizione”, come quelle condotte poste in essere nel 1997 dal comandante di Nave Sibilla, dopo gli accordi di Prodi con il governo albanese di allora, quando la nave militare italiana, nel tentativo di attuare un maldestro blocco navale, speronava un barcone carico di migranti provenienti dall’Albania, mandandolo a fondo? Ci saranno altri casi simili sotto esame da parte dei Tribunali penali italiani?

      La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respjgimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana” ?

      Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea.

      https://www.osservatoriorepressione.info/migranti-un-protocollo-dintesa-lalbania-opaco-disumano-pri

    • Naufraghi e richiedenti protezione. In collisione con i diritti

      È sbagliato evocare Guantanamo e la detenzione extraterritoriale dei sospetti terroristi negli Usa, ma di certo l’accordo a sorpresa tra Italia e Albania per l’accoglienza di una parte delle persone tratte in salvo dal mare è destinato a far discutere. Il governo Meloni aveva bisogno di riprendere l’iniziativa su un dossier identitario come quello della politica dell’asilo, i cui risultati sono finora rimasti lontani dalle promesse elettorali, e ha servito all’opinione pubblica una soluzione che può presentare come “innovativa”. Ma l’innovazione può entrare in collisione con i diritti sanciti dalla Costituzione italiana e dai trattati europei e internazionali.

      Anzitutto, il patto Meloni-Rama ha un sottofondo post-coloniale, come l’accordo britannico con il Ruanda a cui sembra ispirarsi: un Paese del “Primo mondo”, forte delle sue risorse politiche ed economiche, dirotta su un Paese meno fortunato e più bisognoso di appoggi l’onere di accogliere sul suo territorio i migranti sgraditi. Si immagina paradossalmente che Paesi con meno risorse e istituzioni più fragili possano ricevere degnamente i profughi che da noi sono visti come un problema. Infatti, quasi tradendo il sottotesto punitivo dell’accordo, si prevede che vengano esentati dal trasferimento in Albania donne in gravidanza, minori, soggetti vulnerabili. E il governo non ha esitato a parlare di una misura finalizzata alla deterrenza nei confronti di quelli che si ostina a definire come immigrati illegali, al pari del modello britannico.

      In realtà nel 2022 il 48% dei richiedenti l’asilo ha ottenuto uno status legale in prima istanza, e ad essi si aggiunge il 72% di coloro che hanno presentato un ricorso giurisdizionale. Dunque, rischiamo di mandare in Albania delle persone che hanno diritto all’asilo. Proprio l’esempio britannico mostra che le corti di giustizia, nazionali ed europee, l’hanno finora bloccato, e la capacità di reggere al vaglio della magistratura sarà un arduo banco di prova dell’accordo.

      Qualcosa non quadra poi riguardo ai numeri: si prevede di realizzare due strutture sul territorio albanese, una per l’identificazione allo sbarco, l’altra per l’accoglienza temporanea, con una capacità di 3.000 posti complessivi, e si prevede di trattare complessivamente 36-39.000 profughi all’anno. Si lascia intendere che basteranno quattro settimane per decidere della loro domanda di asilo, mentre oggi il tempo medio è di circa 18 mesi, senza contare la possibilità di ricorso. È probabile che i profughi languiranno a lungo in Albania e che i numeri dei casi trattati rimarranno assai più bassi di quelli annunciati.

      Ma i problemi più spinosi riguardano l’integrazione dei “deportati”. Se otterranno la protezione internazionale, averli lasciati in un Paese terzo non avrà di certo preparato la strada per la loro futura integrazione in Italia, sotto il profilo della possibilità di apprendere e praticare la lingua italiana, di conoscere la società in cui dovranno inserirsi, di orientarsi nel mercato del lavoro e nel sistema dei servizi. Se invece riceveranno un diniego, occorre chiedersi che ne sarà di loro. La bassissima capacità di rimpatrio forzato da parte delle nostre istituzioni (4.304 persone nel 2022), peraltro simili in questo agli altri Paesi europei, è un dato ormai noto. Se ne occuperanno le autorità albanesi? Con quale protezione dei loro diritti umani inalienabili, per esempio il diritto alle cure mediche necessarie e urgenti, o a non morire di fame?

      La politica dell’immigrazione ci ha abituato da tempo a dichiarazioni enfatiche – basti ricordare i più volte annunciati accordi con la Tunisia – e presunte soluzioni che si rivelano inattuabili. Anche l’accordo Italia-Albania rischia ora di entrare nella serie. O meglio: se non sarà attuato, sarà l’ennesima pseudo-ricetta venduta all’opinione pubblica; se dovesse essere attuato, anche solo parzialmente, tratterà soltanto una minoranza dei casi e sferrerà comunque una picconata alla già traballante architettura giuridica dei diritti umani fondamentali.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/in-collisione-con-i-diritti

    • Accord migratoire Italie-Albanie : l’#ONU appelle au respect du #droit_international

      L’agence de l’ONU pour les réfugiés (HCR) a appelé mardi au « respect du droit international relatif aux réfugiés » après l’accord signé lundi entre l’Italie et l’Albanie visant à délocaliser dans ce pays l’accueil de migrants sauvés en mer et l’examen de leur demande d’asile.

      « Les modalités de transfert des demandeurs d’asile et des réfugiés doivent respecter le droit international relatif aux réfugiés », a exhorté le HCR dans un communiqué publié à Genève.

      L’accord signé lundi à Rome par la cheffe du gouvernement italien Giorgia Meloni et son homologue albanais Edi Rama prévoit que l’Italie va ouvrir dans ce pays, candidat à l’adhésion à l’UE, deux centres pour accueillir des migrants sauvés en mer afin de « mener rapidement les procédures de traitement des demandes d’asile ou les éventuels rapatriements ».

      Ces deux centres gérés par l’Italie, opérationnels au printemps 2024, pourront accueillir jusqu’à 3.000 migrants, soit environ 39.000 par an selon les prévisions. Les mineurs, les femmes enceintes et les personnes vulnérables ne seraient pas concernés.

      Le HCR, qui dit n’avoir « pas été informé ni consulté sur le contenu de l’accord », estime que « les retours ou les transferts vers des pays tiers sûrs ne peuvent être considérés comme appropriés que si certaines normes sont respectées - en particulier, que ces pays respectent pleinement les droits découlant de la Convention relative au statut des réfugiés et les obligations en matière de droits de l’Homme, et si l’accord contribue à répartir équitablement la responsabilité des réfugiés entre les nations, plutôt que de la déplacer ».

      Un membre du gouvernement italien a précisé mardi que les migrants seraient emmenés directement vers ces centres, sans passer par l’Italie, et que ces structures seraient placées sous l’autorité de Rome en vertu d’« un statut d’extraterritorialité ». Mais de nombreuses questions sur le fonctionnement d’un tel projet restent en suspens.

      L’Italie est confrontée à un afflux de migrants depuis janvier (145.000 contre 88.000 en 2022 sur la même période). Les règles européennes prévoient que d’une manière générale, le premier pays d’entrée d’un migrant dans l’UE est responsable du traitement de sa demande d’asile, et les pays méditerranéens se plaignent de devoir assumer une charge disproportionnée.

      https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/071123/accord-migratoire-italie-albanie-l-onu-appelle-au-respect-du-droit-interna

    • Accordo Italia-Albania: un altro patto illegale, un altro tassello della propaganda del governo

      #Fulvio_Vassallo_Paleologo: «Un protocollo opaco, disumano e privo di basi legali»

      “Un’intesa storica”, “È un accordo che arricchisce un’amicizia storica”, “I nostri immigrati in Albania”, “Svolta sugli sbarchi”. E’ un tripudio di frasi altisonanti e di affermazioni risolutive quelle che hanno accompagnato in questi giorni la diffusione del protocollo d’intesa firmato da Meloni e dal primo ministro albanese, Edi Rama, per l’apertura in Albania di due centri italiani per la gestione dei richiedenti asilo. Strutture in cui dovranno essere trattenute persone migranti, ad esclusione di donne e minori, soccorse nel Mediterraneo centrale da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza.

      Alcuni dettagli dell’operazione sono emersi da un testo (scarica qui) di nove pagine scarse e 14 articoli che indicano come funzioneranno e verranno gestiti i centri. L’accordo ha una durata di cinque anni e sarà rinnovato automaticamente a meno che una delle due parti non comunichi il proprio dissenso entro sei mesi dalla scadenza. In un anno dovrebbero essere accolte-trattenute circa 36.000 persone. I costi, dalle spese di detenzione alla sicurezza interna, saranno tutti in capo all’Italia, mentre l’Albania fornirà gratuitamente gli spazi in cui verranno costruiti i centri: uno al porto di Shengjin, circa 70 chilometri a nord di Tirana, e un altro a Gjader, nell’entroterra. I due centri dovrebbero servire per processare entro 30 giorni le richieste di asilo e per trattenere coloro a cui verrà negata la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine oppure del probabile invio in Italia. Come ha annunciato Giorgia Meloni “dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.
      L’Italia dovrà farsi carico anche di tutte le spese legate alla costruzione dei centri che dovranno essere aperti per la primavera del 2024. Il Post riporta che il sito albanese Gogo.al ha indicato sommariamente dei costi iniziali (vedi il documento diffuso): “l’Italia verserà all’Albania entro 3 mesi un primo fondo pari a 16,5 milioni. Si prevede che oltre 100 milioni di euro saranno congelati in un conto bancario di secondo livello come garanzia”.

      La presidente del Consiglio doveva battere un colpo, dare un messaggio al suo elettorato e alla maggioranza: il “problema immigrazione”, con gli sbarchi che non accennano a diminuire 1 e il flop dell’accordo con la Tunisia, è sempre una priorità della sua agenda politica, a tal punto che è lei stessa, senza coinvolgere nessun altro ministro, a intestarsi l’operazione e dichiarare il nuovo “punto di svolta”. E’ perciò evidente che questo protocollo si inserisce dentro il solco della narrazione mediatica e normativa, dal decreto Piantedosi sulle Ong, al cosiddetto decreto Cutro, fino alla proclamazione dello stato di emergenza dell’11 aprile e alle altre modifiche ai danni di minori e richiedenti asilo, dove vale tutto per raggiungere l’obiettivo dichiarato di ostacolare gli arrivi delle persone migranti.

      Tuttavia, tutti questi tentativi, dall’esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo fino a portare fisicamente le persone in Paesi extra Ue, non sono una prerogativa solo del governo Meloni, ma hanno avuto in questi anni diversi promotori e, pur con delle differenze tra loro, una stessa matrice ideologica anti-migranti: per esempio, i respingimenti a catena dall’Italia alla Bosnia-Erzegovina, non hanno poi uno scopo così diverso dagli accordi tra Inghilterra e Ruanda.

      Secondo l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo si tratta dell’ennesimo annuncio propagandistico del governo in quanto il protocollo d’intesa è «opaco, disumano e privo di basi legali».

      «Nulla infatti – fa notare l’esperto di diritto di asilo e immigrazione – è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, né su quali autorità effettuano i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?», si domanda.

      Nel protocollo – si legge nel testo – le autorità italiane avranno piena responsabilità all’interno dei centri, mentre le autorità albanesi dovranno garantire la sicurezza all’esterno dei centri e durante il trasferimento dei migranti: potranno entrare nei centri solo «in caso di incendio o di altro grave e imminente pericolo che richiede un immediato intervento».

      «La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi – spiega l’esperto – al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegnò alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici)».

      «In quell’occasione – prosegue Paleologo – la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama».

      Anche rispetto la procedura di cosiddetto “sbarco selettivo” tra donne, minori e uomini ci sono diversi problemi di legittimità giuridica in quanto si tratta di una palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio. Anche su questo punto Paleologo è chiaro: «Il diritto di chiedere protezione internazionale è regolato secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo. Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure se sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporrebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera».

      Da Bruxelles, la Commissione UE non esclude del tutto la validità dell’accordo, affermando che il caso è diverso dall’accordo Regno Unito-Ruanda, in quanto si applicherebbe alle persone che non hanno ancora raggiunto le coste italiane. Sempre secondo l’avvocato Paleologo «il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, pratiche illegali di privazione della libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio».

      «La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respingimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana”? Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati.
      Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea», conclude Paleologo.

      https://www.meltingpot.org/2023/11/accordo-italia-albania-un-altro-patto-illegale-un-altro-tassello-della-p

    • L’accordo Italia-Albania sui migranti? Solo propaganda!

      Il nuovo memorandum d’intesa tra Italia e Albania sulla gestione dei migranti? Probabilmente solo un « ennesimo annuncio propagandistico » secondo Fulvio Vassallo Paleologo che firma su ADIF [1] un dettagliato articolo che analizza l’annuncio di Giogia Meloni ( non il provvedimento perché questo non esiste ).

      In altre parole, « per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, il “Piano Mattei per l’Africa”, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee ».

      Possibile che il giurista abbia ragione, ma è anche possibile che il fine sia creare terrore in chi in Italia è già; I CPR, ancor di più se in Albani, sono strumentali a schiavizzare i migranti.

      L’avvocato e attivista pro migranti Fulvio Vassallo Paleologo, nell’articolo solleva pure una serie di perplessità giuridiche del progetto della presidente del consiglio italiano di realizzare un CPR in Albania.

      Una tra queste: « qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo [e quindi l’Italia, NdR] deve avere una espressa previsione di legge, e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa » [1].

      Come possa assicurarsi, in Albania, la difesa legale del migrante e un procedimento di convalida firmato da un magistrato italiano rappresenta un grande punto interrogativo. « Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese? », scrive infatti il giurista nell’articolo.

      Precisa poi Fulvio Vassallo Paleologo come « il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi ».

      Il giudizio finale dell’autore rispetto all’annuncio della Meloni non può, quindi, che essere negativo e drastico: « appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio ».

      Tagliente anche il giudizio rispetto alla firma del leader albanese, Edi Rama: « il Memorandum d’intesa rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità ».

      La differenza tra la verità di Fulvio Vassallo Paleologo e la propaganda della Meloni, tuttavia, la fanno le “visualizzazioni” del sito ADIF rispetto a quelli di Repubblica, La Stampa, Libero, Il Giornale, La Verità, Il Gazzettino, etc dove l’effetto “annuncio” è passato senza commenti critici.

      Fonti e Note:

      [1] ADIF, 7 novembre 2023, Fulvio Vassallo Paleologo, “Un Protocollo d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali”.

      https://www.pressenza.com/it/2023/11/laccordo-italia-albania-sui-migranti-solo-propaganda

    • Un Protocollo d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali

      Con l’ennesimo annuncio propagandistico del govern si apprende che Giorgia Meloni avrebbe concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa , che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 persone definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza. Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “Dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.

      Secondo quanto annunciato dalle stesse fonti governative in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36.000 persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su quali autorità efettueranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?

      La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi, al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, che si asserisce sarebbero “sotto giurisdizione italiana” potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegno alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi socorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici). In quell’occasione la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “Chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama.

      Un progetto impraticabile e privo di basi legali, quanto previsto dal Memorandum sottoscritto dalla Meloni con il premier albanese, alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione, e soprattutto a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione, ed una possibile deportazione. Senza potere fare valere i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale previsti dalla Costituzione italiana (a partire dal’art.13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana) e dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo, e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. E poi, se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel mare Ionio, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da paesi terzi veramente “sicuri” ? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-UE, a differenza di quelle sbarcate in Italia,soprattutto se si tratta di persone che non provengono da paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza.

      Non si comprende neppure quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di salvatagio. Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in axque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale dal nord-africa. Forse si vorranno imporre giorni e giorni di navigazione su imbarcazioni poco adatte al trasporto di naufraghi, o si risoverà tutto nel’ennesimo effetto annuncio ?

      Come è avvenuto anche in passato, il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi. Ma colpisce immediatamente la portata disumanizzante dell’accordo, se solo si mette in evidenza l’uso pregiudiziale del termine “irregolari”, quando non addirittura “illegali”, per indicare tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane e condotte in Albania, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori. In palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio, e comunque riconoscono a tutte le persone, senza differenze a seconda della natura e della nazionalità della nave soccorriitrice, il diritto di chiedere protezione internazionale secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo, Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ma per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, e la caduta di qualsiasi ipotesi di collaborazione con i paesi africani, il Piano Mattei per l’Africa, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee.

      Per il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, il Memorandum sarebbe “in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano della presidente della Commissione von der Leyen”. Da Bruxelles, un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos ha invece affermato: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale“. Non si vede come la Commissione europea possa dare sostegno a questo Memorandum d’intesa, anche se l’approssimarsi della scadenza delle elezioni europee potrebbe fare schierare opportunisticamente alcuni leader nazionali(sti) o pezzi della Commisione UE a fianco di Giorgia Meloni. Il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio. In ogni caso le attività degli assetti militari in mare, con riferimento al soccorso dei naufraghi ed al contrasto dell’immigrazione irregolare, non possono prescindere dagli obblighi imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. O, forse, le operazioni di ricerca e soccorso si trasformeranno in attività di intercettazione ed “manovre cinematiche di interposizione”, come quelle condotte poste in essere nel 1997 dal comandante di Nave Sibilla, dopo gli accordi di Prodi con il governo albanese di allora, quando la nave militare italiana, nel tentativo di attuare un maldestro blocco navale, speronava un barcone carico di migranti provenienti dall’Albania, mandandolo a fondo? Ci saranno altri casi simili sotto esame da parte dei Tribunali penali italiani?

      La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respjgimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana” ?

      Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea.

      https://www.a-dif.org/2023/11/07/un-protocollo-dintesa-con-lalbania-opaco-disumano-e-privo-di-basi-legali

    • Accordo Italia-Albania sui migranti, la UE chiede i dettagli

      L’Italia realizzerà in Albania due centri per la gestione dei migranti che potranno gestire un flusso annuale di 36mila persone. Lo ha dichiarato oggi la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa con il primo ministro albanese Edi Rama. Ne parliamo con Genthiola Madhi, ricercatrice di Osservatorio Balcani e Caucaso, e con Andrea Spagnolo, professore di Diritto internazionale e umanitario all’Università di Torino.

      https://www.radio24.ilsole24ore.com/programmi/luogo-lontano/puntata/trasmissione-7-novembre-2023-160500-2404283315532563

    • Ecco perché l’accordo tra Italia e Albania è illegale: tutte le procedure che violano il diritto europeo

      Rappresenta il punto più estremo dell’esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo. Le tutele per le persone bisognose di protezione, invece che garantite, vengono ridotte al minimo.

      Il Protocollo stipulato tra Italia ed Albania “per il rafforzamento della cooperazione in materia migratoria” è il punto finora più estremo (ma, come si vedrà, anche incoerente) a cui l’Italia è giunta nel processo di esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo.

      Trattandosi di un’intesa avente una chiara natura politica, che richiede oneri finanziari, e che altresì riguarda la condizione giuridica degli stranieri, quindi una materia coperta dalla riserva di legge di cui all’art. 10 co.2 della Costituzione, il Protocollo e i suoi atti attuativi devono essere ratificati dal Parlamento ai sensi dell’art. 80 della Costituzione. Prive di alcun pregio mi sembrano le argomentazioni di chi ritiene che non occorre alcuna ratifica trattandosi di una sorta rinforzo ad accordi pre-esistenti.

      Scopo del Protocollo è quello di trasportare coattivamente in Albania cittadini di paesi terzi per “i quali deve essere accertata la sussistenza o è stata accertata l’insussistenza dei requisiti per l’ingresso, il soggiorno o la residenza” (art.1) in Italia. In Albania, in “aree di proprietà demaniale” (art.1) albanesi, quindi in territorio albanese a tutti gli effetti, nel quale i migranti rimarrebbero confinati “al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse” (art.4.3).

      Il testo non esclude che l’ingresso in Albania avvenga anche in via diversa da quella marittima, quindi riguardi anche persone straniere bloccate sulle vie terrestri, magari nei Balcani, purché tale trasporto avvenga “esclusivamente con i mezzi delle competenti autorità italiane” (art. 4.4). Le autorità italiane assicurano “la permanenza dei migranti all’interno delle aree impedendo la loro uscita non autorizzata” (art. 6.5) e il periodo di permanenza in Albania “non può essere superiore al periodo massimo di trattenimento consentito dalla normativa italiana” (art. 9.1).

      Al termine delle procedure le autorità italiane “provvedono all’allontanamento dei migranti dal territorio albanese” (art. 9) ovvero al rientro in Italia. Molta enfasi è stata posta sul fatto che l’accordo sia finalizzato al trasferimento forzato in Albania dei soccorsi in mare al fine di esaminare le domande di asilo dei naufraghi; tuttavia nel protocollo non c’è alcun riferimento alla procedura di asilo né alla protezione internazionale e le uniche parole che richiamano l’asilo riguardano il rinvio a non meglio definite procedure di frontiera.

      Obiettivo non secondario del protocollo, risulterebbe dunque essere l’utilizzo del territorio albanese per farvi dei centri di detenzione amministrativa per stranieri espulsi dall’Italia, ma che verrebbero trattenuti in Albania al fine di eseguire coattivamente il rimpatrio nel paese di origine. Nonostante il ministro Piantedosi si affanni a dichiarare che non si tratterà di CPR (Centri per il Rimpatrio) il testo del Protocollo dice diversamente.

      Emerge dunque evidente il rischio che l’operazione intenda nascondere una strategia per realizzare CPR inaccessibili, lontani da sguardi indiscreti e da inchieste giornalistiche, liberandosi dell’incubo di dover trovare un luogo dove aprirli in Italia, dove nessun amministratore, di qualsiasi colore politico li vuole. Esaminiamo ora l’ipotesi che il Protocollo venga applicato principalmente a persone soccorse in mare che verrebbero portate in Albania al solo scopo di detenerle e di esaminare le loro domande di asilo.

      Nel testo del protocollo si fa riferimento esplicito all’espletamento delle procedure di frontiera previste dal diritto italiano ed europeo. Prima ancora di verificare se gli standard e le garanzie previste dal diritto dell’Unione possano essere rispettate, ciò che bisogna chiedersi è se sia possibile esaminare le domande di asilo presentate da coloro che vengono deportati dal territorio italiano in cui si trovano (le navi ed altri mezzi delle autorità italiane) nel territorio albanese.

      La risposta non può che essere negativa, dal momento che il diritto dell’Unione sull’asilo (o protezione internazionale) si applica nel territorio degli Stati membri, alle frontiere, nelle zone di transito e nelle acque territoriali. Non si applica al di fuori dell’Unione. Un’applicazione extra-territoriale del diritto dell’UE non pare possibile, come del tutto correttamente messo in luce anche dal documento “Preliminary Comments on the Italy-Albania Deal” pubblicato il 9.11.23 dall’autorevole E.C.R.E. (European Council on Refugees and Exiles).

      Analogo ragionamento vale anche per ciò che attiene l’ipotesi di usare i centri per l’esecuzione del trattenimento degli stranieri espulsi regolato dal diritto dell’Unione con la Direttiva 115/2008/CE. Anche in tal caso non ne risulta possibile alcuna applicazione extra territoriale al di fuori del territorio degli stati membri dell’Unione.

      Va sempre considerato che non ci troviamo di fronte alla questione di come consentire l’accesso alla procedura di asilo da parte di uno straniero che si trova all’estero, e di come si possa esaminare, almeno in fase preliminare, la sua domanda di asilo al fine di consentire un suo successivo ingresso nel territorio di uno stato membro: in altri termini, di come creare delle procedure di ingresso protette a persone con un chiaro bisogno di protezione.

      All’esatto opposto, il protocollo tra Italia e Albania configura una situazione nella quale persone che sono già sotto la giurisdizione italiana, per essere stati soccorsi e trasportati da navi dello Stato, vengono subito dopo tradotte in un paese terzo al solo scopo di impedirne l’ingresso nel territorio nazionale e predeterminare delle condizioni di esame delle domande di asilo con garanzie procedurali ridotte al minimo.

      Ammettiamo ora, come mero esercizio, che si possa sostenere che il diritto dell’Unione sia applicabile all’esame delle domande di asilo in Albania ed esaminiamo le principali questioni che si aprono: la consegna dei migranti dalle mani delle autorità italiane a quelle albanesi, allo sbarco e fino all’ingresso nei centri di detenzione, che, nonostante l’asserita giurisdizione italiana, si trovano in territorio albanese, potrebbe configurare un respingimento collettivo vietato dal diritto dell’Unione Europea. Per i respingimenti collettivi attuati con la Libia nel 2009 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani il 23.02.2013 nella causa Hirsi Jamaa.

      Nessuna valutazione sulla condizione delle persone salvate in mare può essere condotta a bordo delle navi italiane, e dunque ogni procedura giuridica dovrebbe iniziare in territorio albanese all’interno di centri sotto la giurisdizione italiana (ma anche albanese). La restrizione della libertà personale di coloro che vi verrebbero rinchiusi, per essere conforme all’art. 13 Costituzione, va convalidato dall’autorità giudiziaria con un esame caso per caso a seguito del quale il provvedimento di trattenimento viene convalidato o meno.

      Come garantire dentro il microcosmo del campo a gestione italiana il corretto funzionamento della procedura, tra cui ovviamente il diritto del richiedente che si intende trattenere di essere assistito da un legale italiano di fiducia? In ogni caso deve essere esclusa la possibilità di un trattenimento generalizzato di tutti i richiedenti asilo perché tassativamente vietato dal diritto dell’Unione che vieta agli Stati di applicare misure di limitazione della libertà personale nei confronti dei richiedenti asilo “per il solo fatto di essere un richiedente” (Direttiva 2013/33/UE articolo 7 paragrafo 1).

      Come noto, il diritto dell’Unione prevede che il trattenimento venga disposto solo in casi molto limitati e “salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive” (articolo 8, paragrafo 2), misure che comunque in Albania non sarebbero mai praticabili.

      La larga maggioranza dei richiedenti asilo, sicuramente tutte le situazioni vulnerabili e i minori, ma anche tutti coloro cui non sarebbe applicabile la procedura accelerata di frontiera, non potrebbero dunque in nessun caso essere trattenuti, ma poiché non possono neppure rimanere in Albania al di fuori dal centro, dovrebbero essere trasportati in Italia immediatamente per continuare l’accoglienza e l’esame ordinario della loro domanda di asilo sul territorio nazionale.

      Nei confronti di coloro che rimarrebbero rinchiusi nei centri in Albania va garantito senza eccezioni l’esercizio dei diritti fondamentali, tra cui il diritto di ricevere “le informazioni sulla procedura con riguardo alla situazione particolare del richiedente” nonché di comunicare con “organizzazioni che prestino assistenza legale o altra consulenza ai richiedenti” (Direttiva 2013/32/UE art. 19).

      In caso di diniego il richiedente deve poter pienamente esercitare il suo diritto alla difesa, costituzionalmente garantito (Cost. articolo 24) e ha diritto ad un “ricorso effettivo” (Direttiva 2013/32/UE art. 46 par.1) che per essere tale deve garantire alla persona la libertà di consultare un legale e di sceglierlo.

      Nell’ambito delle procedure accelerate di frontiera il giudice mantiene la possibilità di concedere la sospensiva nelle more della decisione di merito ovvero “autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro” (art.46 par.6 lettera d). Ma, in caso di autorizzazione il richiedente non si trova affatto sul territorio dello Stato membro (!) bensì in Albania, il che comporta l’immediato trasferimento in Italia del richiedente da parte delle autorità italiane e la prosecuzione dell’iter della domanda in Italia.

      Il Protocollo appare dunque un incredibile coacervo di procedure radicalmente illegittime rispetto al diritto dell’Unione vigente e che comunque non potrebbero essere applicate in modo razionale e rispettoso di garanzie procedurali e di tutela dei diritti fondamentali degli stranieri coinvolti, sia che si tratti di naufraghi prima e richiedenti asilo poi, che di stranieri espulsi e poi trattenuti in Albania.

      https://www.unita.it/2023/11/10/ecco-perche-laccordo-tra-italia-e-albania-e-illegale-tutte-le-procedure-che-vi

    • Ancora lui, ancora Edi

      Periodicamente il primo ministro albanese si occupa dei flussi migratori italiani. Ripassare quali siano le sue motivazioni è utile, anche perché questa volta, forse, ha esagerato. Un commento

      Edi Rama governa l’Albania da più di dieci anni. Le prime elezioni le vinse nel 2013, pochi mesi dopo il “siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto” di Pierluigi Bersani. Da noi la sinistra pareggiava con un Berlusconi terminale; sull’altra sponda dell’Adriatico, invece, Edi l’artista, Edi il socialista, l’ex sindaco di Tirana che aveva colorato i palazzi, archiviava per sempre la stagione di Sali Berisha. Voltava pagina. “Come sono avanti questi albanesi”, è il qualunquismo mezzo di sinistra e mezzo di disprezzo che da allora dedichiamo ai nostri vicini. E su questa carenza di conoscenza, da più di un decennio, periodicamente, Edi Rama lucra politica. Non lo vediamo perché per vederlo bisogna considerare l’Albania uno stato. E invece per noi l’Albania è un luogo dell’immaginario, e i sogni non sono portatori di interessi. Non lo vediamo, perché la fiction italo-albanese è utile a mascherare la povertà della nostra politica estera.

      L’ultimo gioco di prestigio Rama lo ha regalato lunedì scorso a Palazzo Chigi, questa volta il complice non è stato l’«amico Renzi» (2014), né l’«amico Di Maio» (2021), siccome siamo nel 2023 è stata «l’amica Giorgia Meloni». Non sono certo che commentare il memorandum (https://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2023/11/08/1699429572-Protocollo-Italia-Albania-.pdf?x19465) firmato dai due governi sia utile, non solo perché è evidentemente poco praticabile sul piano pratico e giuridico, ma perché seguo da diversi anni le relazioni tra Italia e Albania e non credo più alle parole che si dicono le due diplomazie. A chi non avesse seguito, basti sapere che nel corso della conferenza stampa (https://www.governo.it/it/articolo/il-presidente-meloni-incontra-il-primo-ministro-della-repubblica-d-albania/24178), la Presidente del Consiglio ha dichiarato che l’Albania “concederà all’Italia alcune zone del suo territorio” (sic!), sulle quali l’Italia potrà realizzare “a proprie spese e sotto la propria giurisdizione” due strutture “per la gestione dei migranti illegali”. Per l’esattezza il governo ipotizza di portare in Albania tremila persone al mese, che dovrebbero rimanere in questi centri durante la domanda di asilo, negata la quale il richiedente verrebbe allontanato dal territorio albanese (non si capisce per andare dove, se si rimpatria dall’Italia o dall’Albania). Flusso complessivo annuale stimato: 36.000 persone. Come alla fine delle pubblicità dei farmaci, Meloni in chiusura ha messo le avvertenze – “Il protocollo disegna la cornice politica, all’accordo dovranno seguire i provvedimenti normativi conseguenti” – e ha fornito una vaga data di inizio progetto: primavera 2024. Tradotto: questo accordo non esiste, è pura propaganda.

      Nulla di nuovo sotto il sole italo-albanese. Qualcosa di simile era già avvenuto nel 2018, quando la crisi della nave Diciotti bloccata da Salvini nel porto di Catania venne “risolta” dai media manager del governo albanese, che promise su twitter l’accoglienza di 20 migranti, venendo immediatamente ripreso dall’account della Farnesina, e quindi da tutte le agenzie stampa. Anche allora i ministri Salvini e Di Maio (il governo era gialloverde) enfatizzarono la condotta del piccolo paese balcanico “più europeo e più solidale degli stati membri”: a sinistra ci si cullò nel sogno di un paese povero ma ospitale, a destra ci si vantò dei frutti dell’intransigenza del ministro degli Interni, che con il suo “no” aveva imposto una redistribuzione, peraltro a un paese che con il suo gesto ripagava finalmente l’accoglienza degli italiani (come se la Lega Nord degli anni Novanta fosse stata accogliente verso gli albanesi). Giorni di dichiarazioni allucinanti e vuote, perché nessun asilante della Diciotti arrivò mai in Albania (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Nessun-asilante-della-Diciotti-e-mai-arrivato-in-Albania-192453), né alcuna autorità si pose mai il problema che ciò accadesse, essendo illegale il trasferimento di un migrante giunto in Ue in uno stato terzo, fuori dal sistema di asilo europeo.

      Ed è proprio qui che la sparata di Meloni supera quella di Salvini: perché per evitare l’obiezione dell’illegalità di un trasferimento forzato fuori dall’Ue, a questo giro si dice che il porto di Shëngjin e le sue strutture saranno “territorio italiano”, e che da quel territorio i migranti dislocati in Albania potranno chiedere asilo all’Italia. Ammesso e non concesso che sia possibile trasportare i migranti intercettati, poniamo, al largo della Sicilia in un porto a 700 km di mare delle rotte del Mediterraneo centrale (non certo l’approdo più vicino imposto dalle Convenzioni internazionali sul soccorso in mare), davvero non si capisce come sia possibile realizzare una Italia extraterritoriale, capace di organizzare un’accoglienza rispettosa del diritto internazionale fuori dai propri confini. Ma sto contravvenendo al buon proposito di non commentare un memorandum che non diventerà mai operativo. Torniamo alla politica, e in particolare alla politica albanese. Perché, ciclicamente, Edi Rama si occupa delle nostre questioni migratorie?

      Per lo stesso motivo per cui nel 2020 sceneggiò di inviare una squadra di infermieri in Lombardia per aiutare le nostre terapie intensive intasate dal Covid-19 (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Dare-un-senso-alla-solidarieta-del-governo-albanese-200768): il video sulla pista dell’aeroporto di Tirana (https://www.youtube.com/watch?v=XYtgeZjtIko

      ), con i poveri medici già inscafandrati è degno della Corea del Nord (per la cronaca, si trattava di ragazzi inesperti, come emerse negli ospedali del bresciano dove vennero dislocati, sostanzialmente per apprendere le tecniche di contrasto al virus, nel momento in cui la pandemia divampava anche in Albania). Nel 2018, come nel 2020 come nel 2023, per Edi Rama l’obiettivo è sempre uno solo: entrare nel flusso narrativo delle vicende europee, accreditarsi tra i partner come leader d’area e dipingere presso le opinioni pubbliche l’Albania come membro di fatto dell’Unione europea. Cose che aiutano a far dimenticare che su ogni singolo dossier dei negoziati di adesione il suo paese arranca.

      La conferenza stampa di Rama e Meloni non ha raccontato l’avvenimento di un fatto diplomatico. È essa stessa il fatto diplomatico. Dinanzi agli italiani, Rama ha offerto a Meloni la possibilità di fingere che l’Italia abbia una politica estera assertiva (una funzione che lo stato albanese ha svolto altre volte nella storia d’Italia), dinanzi agli europei, Meloni ha offerto a Rama ciò che tutti i governi italiani garantiscono a prescindere dal colore politico: il certificato di europeità. “Non solo l’Albania si conferma una nazione amica dell’Italia – ha dichiarato la Presidente – ma anche una nazione amica dell’Unione europea. Nonostante sia solo un paese candidato si comporta già come un paese membro dell’Unione”. Insomma, da dieci anni il copione è lo stesso, ma i nostri governi cambiano ed ereditano il discorso dal precedente, mentre Rama resta e continua ad affinare la sua interpretazione: “Preferisco far riposare il traduttore”, dice prima di sfoderare il suo italiano, con lo sguardo umile di chi vorrebbe fare di più. E poi va dritto al cuore, dritto sul senso di colpa della sinistra, dritto sul complesso di superiorità della destra: “Non avremmo fatto questo accordo con nessuno stato Ue. Il debito che abbiamo con l’Italia non si paga, ma se l’Italia chiama l’Albania c’è. Se ci sono domande bene, se non ci sono firmiamo e andiamo in vita dopo aver fatto il nostro dovere”.

      Da dieci anni, Edi Rama governa il suo paese con i media stranieri e il consenso che miete all’estero, da Bruxelles ad Ankara (perché esiste anche un copione “orientalista” consolidato, ma questa è un’altra storia: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-candidata-all-Europa-o-provincia-ottomana-195112). Oggi in Albania manca una opposizione credibile, sia a livello nazionale che municipale, principalmente perché opporsi non conviene. La criminalità organizzata è scesa a patti con questo nuovo, singolo, potere. La corruzione non dilaga, è endemica, l’unico metodo possibile. Le riforme richieste dall’Ue arrancano, gli albanesi emigrano in massa: senza barconi, ma chiedendo asilo in nord Europa, come gli eritrei della Diciotti.

      Per tutti questi motivi Edi (che è cresciuto a Rai e Mediaset e conosce il potere ipnotico che l’estero esercita sulla periferia albanese e che il ricordo della migrazione albanese esercita su di noi) ogni tanto un giretto in Italia se lo fa. E proprio per questi motivi, proprio perché l’Albania reale, nonostante la nostra cooperazione e le nostre politiche, oggi è un paese così, noi abbiamo bisogno di un’Albania che ci racconti quanto siamo stati bravi. Che ci confermi che stiamo raccogliendo i frutti dell’accoglienza seminata trenta anni fa. Che ci rassicuri sul fatto che sappiamo stare nel Mediterraneo, e che sul Mare Nostrum disponiamo di tavoli e relazioni che ci consentono di farci ascoltare in Europa. Questa volta, forse, l’hanno sparata troppo grossa. La ricorrente bugia italo-albanese è un’impostura morale che interessa a poche persone, ma sta oltrepassando le soglie della sostenibilità. Il risveglio rischia di essere molto brusco.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Ancora-lui-ancora-Edi-228139

    • Albania Agrees to Host Centres Processing Migrants to Italy

      Albanian Prime Minister Edi Rama has signed an agreement in Rome pledging to host centers that will process the claims of thousands of migrants rescued by Italy at sea.

      Italian Prime Minister Giorgia Meloni and her Albanian counterpart, Edi Rama, on Monday in Rome signed an important memorandum of understanding under which Albania has agreed to host centres managing thousands of would-be migrants to Italy rescued at sea.

      “Mass illegal immigration is a phenomenon that no EU state can deal with alone, and collaboration between EU states and non-EU states, for now, is fundamental,” Meloni said.

      “The memorandum has three main goals”, she explained; to combat people smuggling and illegal migration, and to welcome only those that have rights to international protection.

      Under the deal, Italy will set up two centres in Albania, which Meloni said in the end might handle “a total annual flow of 36,000 people”.

      Jurisdiction over the centres will be Italian.

      “Albania will grant some areas of territory”, where Italy will create “two structures” for the management of illegal migrants: “they will initially be able to accommodate up to 3,000 people who will remain there for the time needed to process asylum applications and, possibly, for the purposes of repatriation,” said Meloni, Italy’s ANSA news agency reported.

      One centre will be at the northwestern Albanian port of Shëngjin, which will handle disembarkation and identification procedures and where Italy will set up a first reception and screening centre.

      In Gjader, also in north-western Albania, it will set up a second, pre-removal centre, CPR, structure for subsequent procedures, ANSA added.

      The deal does not apply to immigrants arriving on Italian territory but to those rescued in the Mediterranean by Italian official ships – not those rescued by NGOs. It does not apply to minors, pregnant women and vulnerable persons.

      Albania will collaborate on the external surveillance of the centres. A series of protocols will follow that outline the framework. The plan is to make the centres operational in the spring of 2024, Meloni said.

      Since Meloni’s far-right government came into power, one of its priorities has been to reduce the number of people arriving illegally in Italy through the Central Mediterranean or Western Balkan migration routes.

      This goal explains Italy’s renewed political interest in the Balkans. Several top Italian political figures, including Meloni herself and Foreign Minister Antonio Tajani, have been regularly meeting counterparts in Slovenia, Croatia and Albania in the last months. A central point of these meetings has been migration.

      Data published by the Italian Department of Public Safety show that the number of irregular arrivals in Italy in 2023 until November 1, 2023, was 145,314, a 165-per-cent increase compared to 2021, and 64 per cent higher than 2022.

      Albania’s Rama said Albania could not reach a similar agreement with any other country in the EU, citing the unique connections between Albania and Italy and Italians and Albanians.

      Sa far, Albania has had limited capacities to host migrants, most of whom use it as transit country to reach EU countries.

      Rama added that Albania owes the Italian people a debt for “what they did to us from the first day that we arrived on the shores of [Italy] to find support and to imagine and have a better life”.

      After the fall of communism of Albania in 1991, many Albanians fled to Italy’s southern coasts by boat. According to data published in 2021 by the Italian National Institute of Statistic, 230,000 Albanian citizens have acquired Italian citizenship since 1991.

      https://balkaninsight.com/2023/11/06/albania-agrees-to-host-centres-processing-migrants-to-italy

    • Italy-Albania agreement adds to worrying European trend towards externalising asylum procedures

      “The Memorandum of Understanding (MoU) between Italy and Albania on disembarkation and the processing of asylum applications, concluded last week, raises several human rights concerns and adds to a worrying European trend towards the externalisation of asylum responsibilities,” said today the Council of Europe Commissioner for Human Rights, Dunja Mijatović.

      “The MoU raises a range of important questions on the impact that its implementation would have for the human rights of refugees, asylum seekers and migrants. These relate, among others, to timely disembarkation, impact on search and rescue operations, fairness of asylum procedures, identification of vulnerable persons, the possibility of automatic detention without an adequate judicial review, detention conditions, access to legal aid, and effective remedies. The MoU creates an ad hoc extra-territorial asylum regime characterised by many legal ambiguities. In practice, the lack of legal certainty will likely undermine crucial human rights safeguards and accountability for violations, resulting in differential treatment between those whose asylum applications will be examined in Albania and those for whom this will happen in Italy.

      The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalising asylum as a potential ‘quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees, asylum seekers and migrants. However, externalisation measures significantly increase the risk of exposing refugees, asylum seekers and migrants to human rights violations. The shifting of responsibility across borders by some states also incentivises others to do the same, which risks creating a domino effect that could undermine the European and global system of international protection.

      Ensuring that asylum can be claimed and assessed on member states’ own territories remains a cornerstone of a well-functioning, human rights compliant system that provides protection to those who need it. It is therefore important that member states continue to focus their energy on improving the efficiency and effectiveness of their domestic asylum and reception systems, and that they do not allow the ongoing discussion about externalisation to divert much-needed resources and attention away from this. Similarly, it is crucial that member states ensure that international co-operation efforts prioritise the creation of safe and legal pathways that allow individuals to seek protection in Europe without resorting to dangerous and irregular migration routes.”

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/261934338

    • German Chancellor Scholz to examine Italy-Albania asylum deal

      The German leader has signalled an openness to study Italy’s recent agreement to hold asylum seekers in centers in Albania. The deal has raised human rights concerns, including from the Council of Europe.

      German Chancellor Scholz has said he will look “closely” at Italy’s plans to establish centers in Albania to hold migrants. Speaking on the sidelines of the congress of European Socialists in the Spanish city of Malaga, he noted that Albania is a candidate for EU membership and that challenges like migration needed to be addressed on a European level, reported Reuters.

      “Bear in mind that Albania will quite soon, in our view, be a member of the EU, implying that we are talking about the question of how can we jointly solve challenges and problems within the European family,” Scholz told reporters on Saturday (November 11).

      The Memorandum of Understanding between the Italian and Albanian governments, announced last week, will see tens of thousands of migrants who were rescued in the Mediterranean housed in closed centers in Albania while authorities assess their asylum requests.

      “Such deals, that have been eyed there, are possible, and we will all look at that very closely,” Scholz stated during the briefing, according to Reuters.

      He emphasized that a clear European course in migration policy was needed “to correct things that have not been right in the past (and) to establish a solidarity mechanism so that not each country on its own has to try and master the challenges alone.”
      ’It becomes less attractive for them to pay big money to smugglers’

      If the Italy-Albania deal is implemented, it would be the first time that such an idea would actually be put in place, Ruud Koopmans, a professor for migration studies and advisor to the German Federal Office for Migration and Refugees, BAMF, told DW in an interview. He referred to unsuccessful attempts by Denmark and the UK to try something similar in Rwanda.

      From a legal perspective, the Italy-Albania deal could become problematic if people who are rescued on Italian territory instead of in international waters are sent to Albania, Koopmans noted. “When people from the Sahara come to Italy and are then sent to Albania, there is no prior connection to Albania. This could be legally problematic.”

      Koopmans said that it could also become difficult to send people back who are rejected. “…(T)his is not easy in practice, as home countries often do not cooperate and documents are missing. This is a problem that Albania will also face. But if people know that they will have to wait in Albania if they are rejected, it becomes less attractive for them to pay big money to smugglers,” he said.

      Discussions on finding solutions to increasing asylum numbers are gaining momentum, Koopmans said. “More and more countries are looking for solutions. Denmark, Austria, the Netherlands and Germany are having discussions along these lines.” Deals like the Italy-Albania agreement could present an opportunity for countries neighboring the EU, in that they could help their efforts to join the bloc, he added.

      Deal could undermine human rights safeguards, Mijatović

      Italy’s deal has raised concerns among Italy’s opposition as well as rights groups who see it as an attack on the right to asylum. The NGO Emergency said that the deal is “in reality, ...a way to block migrants from arriving on Italian soil – and therefore European soil – to ask for asylum, as required by European and international law. (This is) yet another attack on asylum rights and the provisions of Article 10 of our Constitution.”

      Concerns were also expressed by Council of Europe Commissioner for Human Rights, Dunja Mijatović. She warned that the deal’s legal ambiguities could undermine human rights safeguards and accountability. “The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalizing asylum as a potential ’quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees,” she said in a press release on November 13.

      Mijatović urged member states to focus on improving domestic asylum and reception systems and to prioritize safe and legal pathways for protection in Europe.

      Germany announces streamlined asylum process

      The chancellor’s remarks in Malaga came on the heels of an agreement with Germany’s 16 states on a tougher migration policy and increased funding for refugee hosting capacities.

      Faced with an increase in the number of asylum cases filed in Germany, estimated to reach 300,000 this year, the government has announced it will accelerate procedures.

      At all BAMF offices, the procedure for registering asylum seekers now includes photographing and fingerprinting, allowing for immediate data checks to rule out potential multiple identities. The system allows other agencies involved in the asylum process to access biometric data as well, according to BAMF. Arabic names will be transferred into the Latin alphabet to prevent differences in spelling and other mix-ups.

      Furthermore, mobile phone searches will only be conducted on a case-by-case basis, BAMF said, and queries to the Schengen Information System (SIS) will be reduced: if the last SIS search was within 14 days, an additional inquiry is waived.

      A spokesperson from BAMF said that these specific measures would make procedures more efficient, while maintaining high-security standards. The asylum procedure is meant to last 6.7 months on average. However, when considering negative decisions, administrative court proceedings take on average 21.8 months in the first instance, the spokesperson noted.

      https://www.infomigrants.net/en/post/53194/german-chancellor-scholz-to-examine-italyalbania-asylum-deal

    • Accordo Italia-Albania, ASGI: è incostituzionale non sottoporlo al Parlamento

      La Costituzione italiana prevede che la ratifica di trattati internazionali spetti al Presidente della Repubblica, previa, quando occorra, l’autorizzazione con legge del Parlamento (art. 87, Cost.).

      Tutti i tipi di trattati internazionali costituiscono una delle fonti del diritto internazionale, la cui efficacia nell’ambito nazionale deriva da un ordine di esecuzione dato per effetto della loro ratifica che fa sorgere l’obbligo internazionale della loro attuazione interna.

      Come ha ricordato il Ministero degli affari esteri nella sua circolare n. 2/2021 del 30 luglio 2021 “quale che sia la loro denominazione formale (trattati, accordi, convenzioni, memorandum, etc.), i trattati internazionali possono essere conclusi tramite documenti a firma congiunta, scambi di note, scambi di lettere o altre modalità, essendo riconosciuto dal diritto internazionale il principio della libertà delle forme.”

      Gli atti per i quali l’art. 80 Cost. prescrive la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica sono i «trattati che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi».

      La dottrina giuridica afferma che si tratti di una forma di controllo democratico della politica estera e di compartecipazione delle Camere al potere estero del Governo. Anche per tale rilevanza politica complessiva l’art. 72, comma 4 Cost. prescrive che i disegni di legge per la ratifica siano esaminati sempre con procedura legislativa ordinaria.

      Inoltre, è bene ricordare che, in generale, qualsiasi norma non costituzionale deve essere interpretata sempre in modo conforme alla Costituzione, sicché anche questo Protocollo deve essere interpretato in modo conforme all’art. 80 Cost.

      Secondo il Governo, tuttavia, il Protocollo italo-albanese in materia di gestione delle migrazioni non deve essere sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica, perché sarebbe l’attuazione del Trattato di amicizia e collaborazione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, con scambio di lettere esplicativo dell’articolo 19, fatto a Roma il 13 ottobre 1995, ratificato e reso esecutivo sulla base della legge 21 maggio 1998, n. 170.

      Tesi giuridicamente infondata, perché l’art. 19 del Trattato del 1995 prevede soltanto che Italia ed Albania “concordano nell’attribuire una importanza, prioritaria ad una stretta ed incisiva collaborazione tra i due Paesi per regolare, nel rispetto della legislazione vigente, i flussi migratori” e che “riconoscono la necessità di controllare i flussi migratori anche attraverso lo sviluppo della cooperazione fra i competenti organi della Repubblica Italiana e della Repubblica di Albania e di concludere a tal fine un accordo organico che regoli anche l’accesso dei cittadini dei due Paesi al mercato del lavoro stagionale, conformemente alla legislazione vigente”.

      Dunque, nel Trattato del 1995 Italia e Albania si sono accordate per concludere successivi protocolli in materia migratoria soltanto per l’ipotesi prevista nell’art. 19 comma 2 e cioè per regolare l’immigrazione albanese in Italia (che infatti è stata poi regolata con due successivi accordi firmati in forma semplificata nel 1997 e nel 2008), mentre le norme che si riferiscono genericamente alla regolazione e al controllo dei flussi migratori alludono a materie del tutto vaghe e suscettibili delle più diverse applicazioni, future e incerte.

      Pertanto, la mera indicazione che si tratti di un Protocollo sulla “cooperazione in materia migratoria” e il richiamo a due precedenti trattati e accordi non possono certo essere lo strumento per eludere l’obbligo derivante dall’art. 80 Cost. per il Governo di presentare alle Camere un apposito disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Protocollo e della futura intesa di attuazione.

      Il Protocollo appena firmato prevede disposizioni molto dettagliate che riguardano proprio i casi in cui l’art. 80 Cost. esige la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica, perché:

      – comportano oneri alle finanze, sia perché il Protocollo pone espressamente a carico dell’Italia specifici oneri finanziari, per l’allestimento delle strutture (art. 4, comma 5), per l’erogazione di servizi sanitari (art. 4, comma 9), per la realizzazione delle strutture necessarie al personale albanese addetto alla sicurezza esterna dei centri (art. 5., comma 2), per la riconduzione nei centri da parte delle autorità albanesi di eventuali migranti usciti illegalmente dai centri (art. 6, comma 6) e per l’impiego dei mezzi e delle unità albanesi (art. 8, comma 3) e per eventuali risarcimenti del danno (art. 12, comma 2), cioè per la realizzazione e gestione dei centri, per il relativo personale, per il trasporto da e per l’Albania degli stranieri trattenuti e per la loro assistenza anche sanitaria (a cui dovrà aggiungersi anche la copertura degli oneri connessi al gratuito patrocinio per le spese di difesa degli stranieri, per quelle di interpretariato e per quelle sullo svolgimento dell’attività delle commissioni per il riconoscimento della protezione internazionale e dei giudici che convalideranno il trattenimento e che giudicheranno sugli eventuali ricorsi), sia perché il Protocollo prevede specifici contributi, iniziali (16,5 milioni di euro) e una successiva garanzia di 100 milioni di euro, che devono essere erogati dall’Italia all’Albania i cui importi e scadenze sono specificati in un apposito allegato al Protocollo stesso;

      - comportano modificazioni di leggi, perché il Protocolloper essere effettivamente attuato non soltanto prevede espressamente un’intesa successiva (che, dunque, dovrà essere sottoposta alle Camere congiuntamente al Protocollo), ma prevede norme che comportano operazioni amministrative e giudiziarie concernenti stranieri giunti in Italia e che saranno svolte in Albania, cioè norme non previste dalle attuali leggi italiane. Questo significa che il protocollo, per essere attuato, esige implicitamente la modificazione di tante norme legislative vigenti in Italia, che regolano la condizione giuridica degli stranieri che giungono in Italia e che presentano in Italia una domanda per fruire del diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana (e la condizione giuridica dello straniero e le condizioni per il diritto di asilo sono materie coperte da riserva di legge ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3 Cost.). Infatti, in base alle disposizioni del protocollo costoro potranno essere soccorsi da navi italiane, e dunque in territorio italiano, e da qui trasportati poi in Albania per essere sottoposti in territorio albanese a misure restrittive alla libertà personale (e i casi e i modi dei provvedimenti restrittivi della libertà personale sono materie coperte da riserva assoluta di legge e da riserva di giurisdizione previste dall’art. 13 Cost. e dall’art. 5 CEDU); tali restrizioni avverranno mediante provvedimenti disposti e attuati in Albania da autorità italiane in modi che saranno, in tutto o in parte, diversi da quelli già previsti dalle vigenti norme legislative italiane (p. es. occorrerà indicare quale sarà l’autorità di pubblica sicurezza competente dal punto di vista geografico ad adottare i provvedimenti amministrativi di espulsione e i provvedimenti di trattenimento, occorrerà individuare la commissione territoriale competente ad esaminare eventuali domande di protezione internazionale, occorrerà dare una nuova applicazione al concetto di “accompagnamento immediato alla frontiera” di persone che in realtà sono già fuori del territorio italiano, occorrerà stabilire modi e garanzie per interpreti, difensori e stranieri durante lo svolgimento in Albania dei colloqui con le autorità di pubblica sicurezza e con i giudici, occorrerà disciplinare i procedimenti di trasporto degli stranieri da e per i centri albanesi);

      – comportano regolamenti giudiziari che riguardano la giurisdizione italiana, sia relativamente alla sua estensione territoriale e personale (inclusa la regolamentazione di eventuali contenziosi sulla responsabilità civile di ciò che accadrà in Albania che saranno espressamente di competenza dei giudici italiani), sia con riguardo alla effettuazione da parte dei giudici italiani nei centri albanesi dei giudizi di convalida dei trattenimenti e degli eventuali giudizi sui ricorsi contro le eventuali decisioni di diniego e di inammissibilità delle domande di protezione internazionale (occorrerà disciplinare la competenza territoriale del giudice che dovrà giudicare in Albania e le modalità delle notificazioni e dello svolgimento dei giudizi);

      - hanno natura politica, poiché le disposizioni del Protocollo impegnano durevolmente la politica estera italiana, avendo una durata di cinque anni ed essendo state negoziate e stipulate personalmente e pubblicamente dai capi dei Governi dei due Stati e non già da Ministri o da meri funzionari ministeriali, e poiché le premesse del Protocollo espressamente lo motivano con la “comunanza di interessi e di aspirazioni” tra i due Stati e dei due Stati alla prevenzione dei flussi migratori illeciti e della tratta degli esseri umani, e a promuovere la crescente collaborazione bilaterale tra Italia ed Albania “anche nella prospettiva dell’adesione della Repubblica di Albania all’UE”, che è l’evidente interesse principale di tutte le azioni di politica estera del governo albanese. La grande ed evidente politicità dell’accordo è confermata dalle dichiarazioni pubbliche fatte dalla Presidente del Consiglio dei ministri al momento della firma del protocollo davanti al Primo ministro albanese: il Protocollo è stato definito «importantissimo […] che arricchisce un’amicizia storica [e] una cooperazione profonda» tra i due Stati, la «cornice politica e giuridica» della collaborazione tra Italia e Albania e «un accordo di respiro europeo».

      Inoltre, il Protocollo ha per oggetto misure che attengono alle materie della sicurezza e della difesa nazionale. L’attuazione delle disposizioni previste dal Protocollo comporta il trasporto verso l’Albania di stranieri mediante mezzi delle competenti autorità italiane, il che avverrà in modi sostanzialmente forzati, mediante aerei o navi delle Forze armate italiane, le quali hanno già basi in Albania e alle quali il Governo con l’art. 21 del decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124 ha affidato la realizzazione dei centri di permanenza per il rimpatrio, dei punti di crisi e dei centri governativi di accoglienza per richiedenti asilo, trattandosi di materie che lo stesso articolo del citato decreto-legge attribuisce espressamente alla materia della difesa e della sicurezza la realizzazione.

      Proprio su queste materie la legge n. 25/1997 (e oggi l’art. 10, comma 1, lett. a) del codice dell’ordinamento militare, emanato con d. lgs. n. 66/2010) ha previsto che tutte le deliberazioni del Governo in materia di sicurezza e di difesa debbano essere sempre approvate dal Parlamento. Ciò comporta che dal 1997 sono sottoposti all’esame delle Camere mediante leggi di autorizzazione alla ratifica anche tutti i tipi di accordi internazionali in materia di sicurezza e di difesa.

      *

      È dunque indispensabile l’esame parlamentare del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica di questo protocollo e della sua futura intesa di attuazione e delle norme nazionali che daranno esecuzione nell’ordinamento italiano a questi accordi.

      Va ricordato, infine che:

      – la proposta di legge di autorizzazione alla ratifica non necessariamente deve essere di iniziativa del Governo (la Costituzione non lo prescrive), sicché, come è già accaduto in alcune altre occasioni, in mancanza di una presentazione di un disegno di legge del Governo essa può essere presentata nelle Camere anche da singoli parlamentari;

      – L’Assemblea di ogni Camera ha il potere di presentare alla Corte costituzionale ricorso per conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato.

      In ogni caso qualora questo Protocollo non sia sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica in conformità con l’art. 80 Cost. non potrà mai essere eseguito, né potrà essere considerato vincolante per l’ordinamento italiano, quale obbligo internazionale ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.

      https://www.asgi.it/notizie/accordo-italia-albania-asgi-illegittimo-parlamento

    • Nell’intesa Italia-Albania, la continuità deve preoccuparci quanto la novità

      L’accordo spinge la pratica di esternalizzare le frontiere verso direzioni preoccupanti. Dubbi sulla sua effettiva applicabilità

      A più di una settimana dall’annuncio dell’accordo tra Italia e Albania in materia di “gestione dei flussi migratori”, la mossa del governo italiano ha attirato diverse critiche in ambienti giuridici e militanti per le sue implicazioni in termini di diritti umani e di rispetto della legislazione italiana ed europea in materia di asilo.

      Nella consueta propaganda del governo, l’accordo (reso noto soltanto a operazione conclusa) è stato presentato come un successo diplomatico, un accordo “storico” e “innovativo”. Di fronte alle preoccupazioni sollevate da varie voci, la Presidente del Consiglio non è entrata nel merito, limitandosi a dichiararsi “fiera” di questa azione pionieristica, che “può diventare un modello per altre nazioni di collaborazione tra Paesi Ue e extra Ue” 1.

      Il protocollo prevede l’istituzione di due centri (paradossalmente definiti da alcuni media “di accoglienza”) in territorio albanese, ma sottoposti alla giurisdizione italiana: uno per le procedure di identificazione e gestione delle domande di asilo, l’altro per i rimpatri, sul “modello” dei CPR. È previsto un termine di 28 giorni per valutare le domande di ogni richiedente: una velocizzazione dei tempi che sicuramente andrebbe a discapito dell’accuratezza delle raccolte delle prove e delle valutazioni. Per quanto riguarda il “modello” del centro per i rimpatri, è ormai noto quanto gli abusi fisici e psicologici verso i detenuti siano frequenti, e quante morti evitabili sono state causate da questo sistema.

      I dubbi sulla legittimità e le possibili conseguenze dell’accordo sono tanti e fondati. E nonostante alcune affermazioni di approvazione da parte di politici europei per l’esperimento “interessante”, diversi giuristi esperti di migrazioni e diritto d’asilo hanno espresso le loro riserve sull’intesa. Una dichiarazione di ASGI sottolinea le ragioni per cui la mancata approvazione parlamentare di un accordo come questo non può ritenersi legittima. L’intesa prevede infatti disposizioni su alcune materie (finanziarie, scelte di politica estera, modifiche all’ordinamento giuridico) di cui dovrebbe necessariamente rispondere la rappresentanza democratica 2. Nel merito dei contenuti si è ampiamente espresso Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e attivista, descrivendo l’accordo come “privo di basi legali”.

      Un primo elemento di illegittimità è il trasferimento delle persone soccorse dalle navi italiane in territorio extra-europeo. Non si conoscono poi le attribuzioni delle competenze sulle procedure, le modalità dei rimpatri, i criteri per l’attribuzione delle caratteristiche di “vulnerabilità” che impedirebbero il trasferimento di alcune persone tratte in salvo da navi italiane verso l’Albania.

      Critiche sono arrivate anche da alcune organizzazioni non governative. Emergency ha descritto l’accordo come l’ennesimo attacco al diritto di asilo 3. La non appartenenza dell’Albania all’UE significa l’impossibilità di applicare la legge europea all’azione delle autorità albanesi. Inoltre, per i tempi sbrigativi con cui le persone richiedenti asilo sarebbero valutate, potrebbe non esserci spazio per il diritto al ricorso contro la decisione di rifiuto della domanda. In modo analogo, Amnesty International ha condannato l’accordo come “illegale e impraticabile” 4.

      Sia nelle presentazioni istituzionali sia nelle critiche, si è parlato di questo accordo soprattutto in termini di novità, di rottura con il quadro giuridico esistente. Ma è bene anche enfatizzare anche gli aspetti di continuità di questa scelta politica con il passato. Un’opinione autorevole arriva dal Consiglio d’Europa, che nelle parole della Commissaria per i diritti umani Dunja Mijatović esprime la sua preoccupazione per la tendenza crescente in Europa ad esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo.

      La dichiarazione mette a punto una serie di fattori ambigui e problematici dell’accordo: “le tempistiche degli sbarchi, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità automatica di detenzione senza un adeguato controllo giudiziario, le condizioni di detenzione, l’accesso all’assistenza legale e a rimedi effettivi […]. In pratica, la mancanza di certezza giuridica probabilmente comprometterà le garanzie fondamentali per i diritti umani e la responsabilità per le violazioni, determinando un trattamento differenziato tra coloro le cui domande di asilo saranno esaminate in Albania e coloro per i quali ciò avverrà in Italia” 5.

      E sebbene tutte le ambiguità e anomalie implicite nel trattato potrebbero comportarne il fallimento o addirittura l’inapplicabilità, il protocollo d’intesa non fa che aggravare la preoccupante tendenza a esternalizzare le frontiere, ormai consolidata.

      E non è chiaramente una prerogativa esclusiva del governo attuale e delle forze politiche che lo sostengono. Infatti, il memorandum si inserisce perfettamente nel solco di altri accordi, più o meno opachi, che i nostri governi – ma anche altri governi europei e la stessa Unione – sottoscrivono da anni con paesi extra UE. Allora, forse, vale la pena di riflettere su quanto siamo disposti ad accettare, di volta in volta, di sacrificare un pezzo in più dei diritti delle persone in movimento, in una posta al ribasso che ha normalizzato sistemi che producono morte, sfruttamento e torture come inevitabili conseguenze della sacralità dei confini.

      Questa tendenza a esternalizzare tramite accordi con paesi terzi è indice di scarsa democraticità.

      Innanzitutto perché uno strumento come un protocollo d’intesa, o Memorandum of Understanding, è per sua natura “flessibile”. La preferenza sempre più marcata per questo tipo di accordo da parte del governo italiano – si pensi al memorandum con la Libia nel 2017 e con la Tunisia nel 2020 – risponde alle logiche emergenziali con cui sono ormai quasi esclusivamente trattate le questioni legate alle migrazioni.

      Se questo è un vantaggio dal punto di vista del governo, è evidente che la mancanza di controllo sui suoi contenuti e sulla sua eventuale applicazione rappresenta un problema: un memorandum non è legalmente vincolante per le due parti, non è necessariamente sottoposto a ratifiche parlamentare e può essere mantenuto riservato.

      Se si vuole parlare la lingua degli “interessi strategici”, troppo spesso l’unica con cui le istituzioni governative si approcciano alle politiche migratorie, è però una mossa rischiosa e in alcuni casi poco lungimirante. Un paese terzo a cui vengono attribuite determinate prerogative nel controllo dei confini non è un semplice ricettore passivo di politiche neocoloniali. Benché sia evidente che i rapporti di potere sono sbilanciati in favore della controparte europea, è vero anche che accordi di questo tipo hanno dato la possibilità ad alcuni governi di esercitare forme di pressione e influenza. Pressioni che, ovviamente, sono sempre andate a scapito dei diritti delle persone in movimento, usate come merce di scambio per ottenere dei vantaggi. Controlli più serrati si alternano a periodi di “rilascio controllato” dei/delle migranti, a seconda di ciò che il governo appaltante ritiene in quel momento più funzionale ai propri bisogni. È quello che accade ad esempio con Libia, Turchia, Marocco, Tunisia.

      È in questi termini che emerge ancora la continuità con le politiche migratorie degli ultimi decenni. Esternalizzare le frontiere e le procedure permette di sorvolare più di quanto non sia possibile in Italia sulle incombenze giuridiche e burocratiche del sistema di asilo. Ma soprattutto, rende meno visibili le immancabili violazioni associate al sistema di controllo delle migrazioni. Con la creazione di spazi sotto la giurisdizione italiana in un territorio di uno stato terzo, resta da chiarire come sarebbero valutate le responsabilità in caso di carenze gravi nelle strutture, che sono già state riscontrate in moltissime altre strutture europee, e non: sovraffollamento, mancanza di servizi adeguati per i richiedenti, incuria, abusi fisici, somministrazione di psicofarmaci contro la volontà dei soggetti interessati. A chi sarebbe affidata poi la repressione di eventuali rivolte o fughe da parte delle persone detenute?

      Esternalizzare le frontiere ha quindi uno scopo pratico molto preciso: allontanare dal territorio europeo la conoscenza delle sofferenze e degli atti di ribellione delle persone sottoposte al regime delle frontiere, prevenire azioni di monitoraggio e pressioni sul rispetto dei loro diritti da parte della società civile, far svolgere ad altri il lavoro sporco che per cui le istituzioni governative e le forze di polizia europee potrebbero dover essere chiamate a rispondere.

      Sottolineare gli elementi che renderebbero questo accordo illegale e inapplicabile è necessario per prevenire situazioni difficilmente riparabili con gli strumenti a disposizione della legge. Ma potrebbe non bastare: l’esperienza ci ha mostrato come accordi e decreti contrari ad alcuni principi costituzionali e del diritto di asilo abbiano comunque trovato applicazione, soprattutto quando questa è affidata in parte ad autorità di paesi terzi. È fondamentale quindi contestare alle sue radici una gestione emergenziale delle migrazioni, che passa per il solo sistema di asilo senza prevedere canali di ingresso regolari, e che mira a prevenire l’arrivo nel territorio europeo del maggior numero di persone possibile.

      Tweet di Giorgia Meloni: https://twitter.com/GiorgiaMeloni/status/1723027124246708620
      https://www.asgi.it/notizie/accordo-italia-albania-asgi-illegittimo-parlamento
      https://www.emergency.it/comunicati-stampa/laccordo-italia-albania-e-lennesimo-attacco-al-diritto-di-asilo-e-sottende
      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/11/italy-plan-to-offshore-refugees-and-migrants-in-albania-illegal-and-unworka
      https://www.coe.int/hr/web/commissioner/-/italy-albania-agreement-adds-to-worrying-european-trend-towards-externalising-a

      https://www.meltingpot.org/2023/11/nellintesa-italia-albania-la-continuita-deve-preoccuparci-quanto-la-novi

    • Tavolo Asilo e Immigrazione: appello al Parlamento perché non ratifichi il Protocollo Italia-Albania

      L’accordo getta le basi per la violazione del principio di non respingimento e per l’attuazione di pratiche di detenzione illegittima: alle persone condotte nei centri sarebbe impedito di uscire, senza una chiara base legale e nessuna garanzia del diritto di difesa e a un ricorso effettivo

      Il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede che il Protocollo Italia-Albania venga revocato dal Governo e fa fin da ora un appello al Parlamento perché voti contro il disegno di legge di ratifica preannunciato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante le odierne comunicazioni alla Camera sull’intesa.

      L’accordo firmato con il governo albanese, violando gli obblighi costituzionali e internazionali del nostro Paese, si pone, come quello con la Tunisia, l’obiettivo di esternalizzare le frontiere e il diritto d’asilo.

      L’accordo Italia-Albania, così come delineato, comporta infatti il rischio di gravi violazioni dei diritti umani. Il testo dell’intesa non chiarisce se i centri da realizzarsi in Albania saranno destinati alle procedure di esame delle domande di protezione internazionale e in particolare alle procedure di frontiera o al rimpatrio, ma alle persone condotte nei centri sarebbe impedito di uscire, subendo di fatto un regime di detenzione automatica e prolungata, senza una chiara base legale. Anche la possibilità di controllo giurisdizionale sembra compromessa, così come il diritto di difesa e a un ricorso effettivo. L’Accordo non chiarisce infatti la competenza a convalidare il trattenimento delle persone, né che cosa accadrà alle persone che hanno chiesto protezione internazionale che non ottengano risposta entro i 28 giorni previsti dalla procedura accelerata.

      Infine, desta preoccupazione la mancanza nel Protocollo di qualsiasi riferimento alle persone maggiormente vulnerabili, minori, donne, famiglie, vittime di tortura, e di come queste sarebbero salvaguardate dall’applicazione dell’accordo, così come era stato invece annunciato nei giorni scorsi.

      Per questi motivi le Organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione ne hanno chiesto oggi la revoca da parte del Governo durante una conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche la Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e il Segretario di +Europa Riccardo Magi, il senatore Graziano Delrio, Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, oltre ai deputati Matteo Mauri, Giuseppe Provenzano e Alfonso Colucci.

      Le associazioni hanno inoltre lanciato un appello al Parlamento perché voti contro il disegno di legge di ratifica preannunciato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante le odierne comunicazioni alla Camera.

      Per il Tavolo Asilo e Immigrazione

      A Buon Diritto, ACAT, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, ASGI, Casa dei Diritti Sociali, Centro Astalli, CGIL, CIES, CNCA, Commissione Migranti e GPIC Missionari Comboniani Italia, DRC Italia, Emergency, Europasilo, Fondazione Migrantes, Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, Intersos, Medici del Mondo, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, Save the Children Italia, Senza Confine, Società Italiana Medicina delle Migrazioni, UIL, UNIRE

      Aderiscono inoltre

      AOI, Mediterranea Saving Humans, Open Arms, Rivolti ai Balcani, Sea Watch e Sos Mediterranée Italia

      https://www.asgi.it/primo-piano/tavolo-asilo-e-immigrazione-appello-al-parlamento-perche-non-ratifichi-il-proto

    • Italy: Parliament to ratify Albania deal to process asylum seekers

      Both of Italy’s houses of parliament will be given the chance to ratify the country’s new deal to process asylum seekers in Albania. The motion was approved after a debate in the lower house on Tuesday.

      Italy’s Foreign Minister Antonio Tajani spoke to Italy’s lower house on Tuesday (November 21), explaining the Italy-Albania deal to process asylum seekers in more detail, and promising that the deal would be presented as a DDL (proposal of a law) and that both houses would have the chance to ratify it before it proceeds.

      In his long speech to the lower house, Tajani reminded parliamentarians that other similar deals with countries like Libya had not been subject to the same ratification process. Originally the Italian government said that the Italy-Albania deal didn’t need to be either, since it was not a treaty and only treaties needed to be ratified by parliament.

      However, in what the opposition has dubbed a “complete U-turn,” two weeks after the Italy-Albania deal was signed, Tajani has announced that it would be presented as a subject for debate by parliamentarians. The government hopes that the debates and ratification process will be “as quick as possible,” since the deal is meant to begin in just a few months, by spring 2024.
      Deal ’is just one additional instrument’ to manage migration

      Fighting the traffickers is “an absolute priority” for the Italian government, said Tajani during his speech to parliament. Referring to the death of a two-year-old girl during a rescue operation on Monday (November 20), Tajani said “we won’t and shouldn’t get used to these kinds of tragedies that are unfolding along our coasts.”

      He proposes that the Italy-Albania deal is just “one additional instrument” to help Italy manage migration. Tajani said that Italy has worked hard to make migration a central tenet of EU debate, and says that Italy and other members of the bloc are all working hard to “stop irregular migration, fight traffickers and strengthen the external borders of the EU.”

      Although Tajani admitted that the deal was “no panacea”, he said that Italy had “deep and historic ties with Albania” and already had joint teams to stop the trade in drugs and migrants. For the benefit of the parliament, Tajani outlined once again that the deal would be entirely paid for by Italy and was expected to cost €16.5 million initially. This would cover the two centers, one at the port and one about 30 kilometers away.

      The initial center at the port will be where people are registered and fingerprinted. They will then be moved to the reception center, where they will have their asylum requests examined. Anyone whose request is refused would be repatriated from there.
      Not comparable to UK-Rwanda deal, says Tajani

      This is no offshoring deal, said Tajani, disputing the accusations that it was “Italy’s Guantanamo” or anything like the UK-Rwanda deal. The centers will be entirely staffed by Italian personnel, be managed under Italian law, and they will come under the jurisdiction of the Italian courts, said Tajani.

      Italy’s foreign minister underlined that “no vulnerable people, women or children” would be sent to these centers. It will be exclusively to process the asylum requests of non-vulnerable migrants from safe countries, explained Tajani, or those who have already had one claim refused, or people waiting for repatriation.

      There will never be more than 3,000 people in the centers at any one time, promised Tajani. Italy will pay Albania for police patrols outside the centers and for any hospital visits that are required. Tajani also assured parliamentarians that all rights to healthcare and safety would be respected and that the only asylum seekers brought to Albania would be by Italian official boats. NGO rescue ships would not be disembarking people in Albania.
      Keeping it within the ’European family’

      Tajani said that the European Commission had already confirmed that the agreement did not violate EU law, since, as Tajani explained quoting EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson, the processing will follow Italian law which is fully in line with European law.

      Several MPs in the debate, including Minister Tajani referenced the fact that the German chancellor had said they would be following the agreement closely and thinking about similar models for their country. According to Tajani, the German Chancellor Olaf Scholz said that since Albania will soon be part of the European family, referring to Albania’s European accession process, processing asylum seekers in Albania was about “solving challenges within Europe” and not offshoring.

      Scholz, speaking in Malaga recently, said that the whole bloc was looking to “reduce irregular migration” and said he thought there should be more deals struck like the EU-Turkey 2016 deal, to help Europe manage migration.

      Increasing the legal pathways to Italy

      Nearing the conclusion of his speech, Tajani underlined that any exceptions to adhering to the rule of international law would be straight out “impossible”. Using the Albania agreement as a model, Tajani said the Italian government was seeking to conclude or extend similar deals with other friendly countries, transit countries and countries of origin.

      Tajani promised that the Italian government would also increase the number of legal pathways into Italy. He said in parliament that the new work permits for migrant workers had already been increased to about 150,000 per year from this year to 2025, compared to 82,000 in 2022.

      At the end of the debate in parliament, a majority of 189 to 126 voted to allow the proposal to continue its passage and be put forward as an official proposal of law (DDL), to be examined and ratified by both houses.
      Critics call deal ’illegitimate’ and ask for it to be revoked

      However, the law was not without its critics. During the debate, Riccardo Magi from the Più Europa (More Europe) party said that the deal “did nothing but increase uncertainty and would take away the fundamental right to personal liberty” of people who may be detained under the deal. He added that he didn’t believe that even the ministers proposing the deal believed it would really be doable.”

      On November 20, Amnesty International and 35 other NGOs, which together form the TAI (Tavalo Asilo e Immigrazione – a forum for the discussion of asylum and immigration) have also criticized the deal, calling it “illegitimate” and saying it should be “revoked.”

      The TAI held a press conference on Tuesday (November 21) where they reiterated that in their opinions, the deal violated international obligations and laws. They said that just like the deal with Tunisia, it was an attempt to “externalize the borders and the right to asylum.”

      According to a press release from the TAI, the Italian migration system is “in chaos and continuously violates the law and the rights of welcome and asylum” that under international law they are forced to offer. TAI accuses the Italian government of “making sure it implements practices in the field which just produce emergencies and discomfort.”

      The TAI says that the Italy-Albania deal “risks seriously violating human rights.” They say that once those people are on an Italian boat, they come under Italian jurisdiction, so they can’t then be transferred to another state to have their asylum requests examined.

      The deal, says TAI, goes against the principle of non-refoulement, whereby a person cannot be sent back to a land where they could knowingly be put in danger. The deal also allows for people to be detained illegitimately, claims TAI.

      https://www.infomigrants.net/en/post/53392/italy-parliament-to-ratify-albania-deal-to-process-asylum-seekers

    • In Pictures: Sites Where Refugees Will be Hosted In Albania

      BIRN has taken a look at the sites in Albania where a reception centre and a refugee camp will be built in accordance with the controversial agreement reached between the Albanian and Italian governments.

      The agreement was opposed both in Italy and Albania and one of the biggest critics that it received is related to Albania’s capacities to receive 3000 migrants in a month.

      According to the protocol that has been published, a reception centre for migrants will be built inside the Port of Shengjin, in the Lezha area of northern Albania, which will process and register migrants rescued at sea by Italy.

      A second site, which will serve as a refugee camp, will be built in Gjader, a village where a former military air base was built in the 1970s during the communist era.

      Italy’s plan to build migrant centres in Albania has been criticised in both countries, where activists and human rights lawyers have questioned Albania’s capacities to handle the arrangements.

      While the deal has been criticised by human rights experts, lawyers and civil society groups in Italy, in Albania many see it as Prime Minister Edi Rama’s personal initiative, since it was not discussed previously in public.

      The deal allows Italy to set up facilities on Albanian territory for migrants it has rescued at sea, which will accommodate up to 3,000 people at any one time.

      The agreement, which BIRN has seen, although without its annexes, states: “In the event that, for any reason, the [migrant’s] right to stay in the facilities cease to exist”, Italy must immediately transfer these persons out of Albanian territory.

      “Italy will use the port of Shengjin and the Gjader area to establish, at its own expense, two entry and temporary reception facilities for immigrants rescued at sea, capable of accommodating up to 3,000 people, or 39,000 a year, to expedite the processing of asylum applications or potential repatriation”, the text of the protocol notes, adding that jurisdiction over the centres will be Italian.

      “In Shengjin, Italy will handle disembarkation and identification procedures and establish a first reception and screening centre; in Gjader, it will create a model Cpr facility for subsequent procedures. Albania will collaborate with its police forces, for security and surveillance,” it adds.

      https://balkaninsight.com/2023/11/22/in-pictures-sites-where-refugees-will-be-hosted-in-albania
      #photographie #localisation

    • L’intesa con Tirana costerà oltre mezzo miliardo. 142 milioni di euro solo nel 2024

      «Oltre 142 milioni di euro nel 2024, quasi 645 nei cinque anni di validità (prorogabili). È quanto costerà ai contribuenti italiani l’intesa tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e l’omologo Edi Rama per rinchiudere nei centri di trattenimento in Albania i migranti soccorsi in alto mare dalle navi italiane. Soldi che l’esecutivo è andato a cercare raschiando il fondo del barile degli accantonamenti di quattordici ministeri.»

      https://ilmanifesto.it/tagli-a-universita-e-agricoltura-per-fare-i-centri-in-albania
      #coût

    • The 2023 Italy-Albania protocol on extraterritorial migration management

      In November 2023, the Italian government concluded a Memorandum of Understanding (MoU), or Protocol, with the Albanian authorities envisaging extraterritorial migration and asylum management, including detention and asylum processing, in Albania. This Report examines the Protocol in light of EU, regional and international legal standards, and the main responses that it has attracted so far. It concludes that the MoU can be understood as a nationalistic and unilateral arrangement that, while not involving the EU, covers policy areas falling within the scope of European law. The MoU runs contrary to EU constitutive principles enshrined in the Treaties, including the EU Charter of Fundamental Rights, as well as international law. It should be regarded as a non-model in migration and asylum policies as it is affected by far-reaching illegality and unfeasibility grounds undermining both its rationale and implementation.

      https://www.ceps.eu/ceps-publications/the-2023-italy-albania-protocol-on-extraterritorial-migration-management
      #extra-territorialité #droit_international #droits_fondamentaux

    • Nouvel avatar de l’externalisation : l’accord Italie-Albanie

      Il y a 20 ans, Plein Droit s’inquiétait des projets européens d’installation, dans des pays non membres de l’Union européenne (UE), de « centres de transit » où seraient enfermées, le temps d’instruire leur demande d’asile, les personnes étrangères ayant franchi illégalement les frontières de l’Union. Évoquant un « cauchemar », l’édito dénonçait l’intention des États membres « de se dégager des responsabilités que la Convention de Genève sur les réfugiés fait peser sur eux », ajoutant : « On devine au prix de quelles pressions, économiques ou non, ces pays accepteront ou se feront imposer ces camps de transit, […] on imagine sans mal l’insécurité à laquelle les demandeurs d’asile seront confrontés, les chantages auxquels ils pourront être soumis de la part des pays condamnés par l’Europe à les accueillir à sa place [1] ».

      Si, depuis, l’externalisation de l’asile a été déclinée de multiples façons [2], le projet de #camps_de_détention situés hors de l’UE, mais juridiquement contrôlés par un État membre, ne s’est jamais concrétisé. Sans doute à cause des #obstacles_juridiques que poserait un tel montage, notamment au regard du respect des droits fondamentaux. Mais aussi parce qu’il suppose de trouver où les implanter : jusqu’ici, les tentatives pour convaincre des pays voisins de se prêter au jeu ont échoué. Lorsqu’en 2018 le Conseil européen a exploré la possibilité de créer, hors du territoire européen, des « #centres_régionaux_de_débarquement » pour y placer des boat people interceptés en Méditerranée, il s’est heurté au refus catégorique des États nord-africains et de l’Union africaine [3].

      Aujourd’hui, le #cauchemar est à nos portes. À la veille de l’adoption du Pacte européen qui entend accélérer la procédure frontalière d’examen des demandes d’asile et renforcer la « dimension externe » de la politique migratoire de l’UE, l’Italie a conclu le 6 novembre, avec l’Albanie, un accord visant à y délocaliser l’accueil de migrants secourus en mer et l’examen des demandes d’asile. Il paraît que c’est au cours de ses vacances en Albanie, l’été dernier, que la cheffe du gouvernement italien Giorgia Meloni a posé les bases de cette « pièce importante » de sa stratégie de lutte contre les flux migratoires. Elle y a trouvé l’oreille attentive de son homologue albanais, Edi Rama, prêt à mettre « gratuitement » à la disposition de l’Italie deux zones au nord du pays pour qu’elle y construise les centres sous administration italienne où seront détenus des migrants interceptés en mer par des navires italiens. Le premier, dans une ville côtière, pour y procéder aux premiers soins, aux opérations d’identification, et instruire les demandes d’asile ; le second, sur une base militaire, pour organiser le #rapatriement des personnes qui ne demandent pas l’asile ou ne seront pas reconnues éligibles à une protection. Aux demandeurs d’asile placés dans ces centres qualifiés d’« extraterritoriaux » serait appliquée la procédure accélérée que la loi italienne prévoit pour les requêtes formées à la frontière. Seuls ceux qui obtiendraient une protection seraient admis au séjour en Italie, les autres devant être expulsés.

      L’accord ne pourra cependant entrer en vigueur avant que la Haute Cour albanaise ne se soit prononcée sur sa #constitutionnalité : les membres de l’opposition qui l’ont saisie contestent cette forme de « vente d’un morceau du territoire albanais » qui conduirait, selon un député du parti Più Europa, à la création d’« une sorte de #Guantanamo italien, en dehors de toute norme internationale, en dehors de l’UE [4] ».

      Là n’est pas le seul problème que soulève l’accord, même si Georgia Meloni aimerait que celui-ci devienne « un modèle à suivre ». Un « modèle » qui suscite les réserves du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR), à aucun moment « informé ni consulté », et que dénonce la Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe. Relevant ses « #ambiguïtés_juridiques », celle-ci liste les multiples questions que l’accord soulève en matière d’équité des procédures d’asile, d’identification des personnes vulnérables et des mineurs, de risque de détention automatique sans contrôle juridictionnel, de conditions de détention, d’accès à l’assistance juridique et de recours effectif... Et met en garde contre le recours croissant à l’externalisation, qui pourrait « créer un effet domino susceptible de saper le système européen et mondial de protection internationale [5] ». De leur côté, plusieurs ONG ont déjà mis en évidence l’incompatibilité de l’accord avec la législation européenne – à laquelle l’Italie est tenue de se conformer – en matière d’asile et d’éloignement [6].

      Les institutions de l’UE semblent moins inquiètes. Pas de réaction du côté des gouvernements, sans doute soulagés de voir l’Italie traiter seule le problème des arrivées d’exilé·es sur ses côtes plutôt que d’être rappelés à une « solidarité européenne » à laquelle ils préfèrent se dérober. Quant à la Commission européenne, elle s’est empressée de préciser que « le droit européen n’est pas applicable en dehors du territoire de l’UE » mais que, « étant donné l’appartenance de l’Italie à l’Union et l’adoption obligatoire d’une législation commune, les règles qui s’appliqueront dans les centres albanais seront effectivement de nature européenne et imiteront le cadre qui s’applique sur le sol italien [7] ». Nous voilà rassurés.

      https://www.gisti.org/spip.php?article7170

    • Protocole d’accord Italie/Albanie sur les migrations : une coopération transfrontière contraire au droit international

      La chambre des députés italienne et la Cour suprême albanaise ont approuvé le protocole d’accord sur les migrations conclu en novembre 2023, respectivement les 24 et 29 janvier 2024. Le réseau Migreurop dénonce des manœuvres qui s’inscrivent dans la continuité des politiques de l’Union européenne (UE) et de ses États membres pour externaliser le traitement de la demande de protection internationale.

      Le 6 novembre 2023, l’Italie a conclu un « accord » avec l’Albanie en vue de délocaliser le traitement de la demande d’asile de certain·e·s ressortissant·e·s étranger·ère·s de l’autre côté de ses frontières [1]. Ce protocole, rendu public le 7 novembre, s’appliquerait aux personnes interceptées ou secourues en mer par les autorités italiennes, qui pourraient être débarquées dans les villes côtières albanaises de Shëngjin et de Gjader. Les personnes reconnues « vulnérables » ne seraient pas concernées par cet accord.

      Celui-ci prévoit, d’ici le printemps 2024, la construction de deux camps [2] financés par l’Italie : l’un destiné à l’évaluation de la demande d’asile, l’autre aux « éventuels rapatriements » [3] (autrement dit, aux expulsions). Alors que le Parlement italien n’a pas été sollicité au moment de la conclusion de l’accord [4], ces structures relèveraient pourtant exclusivement de la juridiction italienne. Contre une compensation financière et une avancée dans le processus d’adhésion à l’UE, l’Albanie aurait donné son accord pour « accueillir » 3 000 personnes par mois sur son territoire et assurer une part active dans les activités de sécurité et de surveillance via ses forces de police [5]. Fortement inspiré par le concept australien de « Pacific solution » [6], ce mécanisme placerait les deux camps sous autorité italienne, avec du personnel italien, en vertu d’un statut d’extraterritorialité.

      Certaines institutions européennes se sont dans un premier temps contentées d’appeler au respect du droit national et international. La Commissaire européenne en charge des affaires intérieures a déclaré, une semaine après que l’accord a été rendu public : « L’évaluation préliminaire de notre service juridique est qu’il ne s’agit pas d’une violation de la législation de l’UE, mais que cela est hors de la législation de l’UE » [7]. Une formulation particulièrement ambiguë, qui n’a pas été éclaircie quand elle a ajouté : « l’Italie se conforme à la législation européenne, ce qui signifie que les règles sont les mêmes. Mais d’un point de vue juridique, il ne s’agit pas de la législation européenne, mais de la législation italienne (qui) suit la législation européenne ».

      La Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe, a quant à elle rappelé que « la possibilité de déposer une demande d’asile et de la faire examiner sur le territoire des États membres reste une composante indispensable d’un système fiable et respectueux des droits humains », ajoutant que « Le protocole d’accord crée un régime d’asile extraterritorial ad hoc, caractérisé par de nombreuses ambiguïtés juridiques » [8].

      S’il a l’allure d’un accord bilatéral, cet accord s’inscrit dans la continuité de l’externalisation des politiques d’asile menée par les États européens depuis le début des années 2000, se projetant plus ou moins loin des frontières européennes (du Maroc au Rwanda en passant par la Turquie, notamment). De nombreux pays sont en effet tenus de coopérer avec l’UE et ses États membres dans le domaine de l’immigration et de l’asile en échange d’avantages en matière commerciale, de politique étrangère ou d’aide au développement.

      Dans le cas présent, l’Italie, au nom d’un prétendu « partage des responsabilités », pioche dans la mallette à outils à disposition des États pour externaliser le traitement de la demande d’asile. L’Albanie ayant obtenu en 2014 le statut de pays candidat à l’adhésion à l’Union européenne, cette coopération transfrontière représenterait un gage de sa bonne volonté, se donnant ainsi l’image d’être le partenaire-clé des pays européens dans la mise en œuvre de leurs politiques de sélection et de filtrage des personnes étrangères aux frontières extérieures [9]. Cette stratégie utilitariste, mobilisant les personnes en migration comme levier de négociation politique, a déjà été mise en œuvre par le passé à de maintes reprises, et le réseau Migreurop a solidement étayé les effets délétères de tels accords sur les droits des personnes migrantes [10].

      Au-delà de l’opacité et du secret qui a entouré sa conclusion, ce protocole d’accord pose de nombreuses questions :

      Alors même que l’accord ne s’appliquerait pas aux personnes considérées vulnérables, ne peut-on estimer que les personnes rescapées sont de facto vulnérables ? Que le déplacement dans ces centres albanais de personnes rescapées en mer constitue de facto une action qui vulnérabilise ces personnes ?

      Quid du principe de non-refoulement ? En envoyant des personnes en dehors de son territoire, le temps du traitement de la demande d’asile, l’Italie risque de contrevenir au principe de non-refoulement, pourtant énoncé à l’article 33 de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés, qui interdit le retour des réfugiés et des demandeurs d’asile vers des pays où ils risquent d’être persécutés [11].

      En pratique, sa mise en œuvre impactera les droits des personnes selon les conditions du débarquement (qui ne sera donc pas le lieu sûr le plus proche comme le prévoit la réglementation internationale) : qu’en sera-t-il du respect de la procédure de demande d’asile, de l’identification de la vulnérabilité, de l’accès à une assistance juridique ? Elle impactera aussi, ensuite, les conditions dans lesquelles les personnes seront détenues, à l’image de ce qui s’est passé dans les hotspots en Grèce, dans lesquels les personnes étaient prisonnières de camps à ciel ouvert [12].

      Qui sera responsable en cas de violations des droits au sein de ces camps ? Quel droit s’appliquera, le droit italien ou le droit albanais ? Comment pourra être garantie l’effectivité des droits dans un territoire localisé à distance de la juridiction responsable, loin des regards ?

      Selon les termes de cet accord, ni les personnes débarquées par les bateaux d’ONG, ni les personnes arrivées de manière autonome ne devraient être concernées. Comment savoir si les autorités italiennes n’élargiront pas cette procédure à tou·te·s les demandeur·euse·s d’asile ? L’accord ne risque-t-il pas, en outre, de mettre en difficulté les conditions dans lesquelles s’effectueront les opérations de recherche et sauvetage des personnes en détresse en mer ? Le tri entre les personnes reconnues vulnérables et les autres se fera-t-il sur le bateau ou en Albanie ?

      Pour les personnes expulsées, le seront-elles depuis l’Italie ou depuis l’Albanie ? De sérieux doutes se posent au regard des déclarations du Premier ministre albanais affirmant qu’elles incomberaient aux autorités italiennes (alors qu’initialement cette tâche devait être effectuée par l’Albanie).

      La détention aurait lieu durant la procédure frontalière et en vue du retour, mais quid des personnes libérées en Albanie : seront-elles renvoyées vers l’Italie ou un autre État ?

      Cet accord tombe-t-il sous le coup du droit européen ou non ? La Commissaire aux affaires intérieures a laissé planer un doute sur la nature européenne des règles qui s’y appliqueraient. La Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe a quant à elle pointé du doigt le risque d’un effet domino « susceptible de saper le système européen » si d’autres États décident eux-aussi de transférer leur responsabilité au-delà des frontières européennes [13].

      Les règles édictées dans l’accord politique sur le pacte européen adoptées le 20 décembre 2023 devront-elles s’appliquer sur le territoire albanais car sous juridiction italienne et donc européenne ?

      Et pour finir, se pose la question du coût exorbitant de ces déplacements de populations, mais aussi celui de l’accord négocié avec l’Albanie pour disposer d’une partie de son territoire national, et du fonctionnement-même de ces camps.

      Pour toutes ces raisons, le réseau Migreurop dénonce un protocole d’accord qui n’aurait jamais dû voir le jour. Et à supposer que le gouvernement italien s’obstine dans cette direction, cela ne peut se faire sans que le droit européen et la protection des droits des personnes soient mis en œuvre et respectés. À commencer par celui de demander l’asile dans de bonnes conditions.

      Les mécanismes d’externalisation à l’œuvre – qui se généralisent – violent le droit international avec la complicité des autorités nationales et la complaisance de certaines institutions européennes. Il est urgent de refuser ce contournement incessant du droit qui, loin des regards, s’inscrit dans la stratégie mortifère de mise à distance des personnes étrangères.

      https://migreurop.org/article3230

  • 18.10.2023 : Reintroduzione dei controlli delle frontiere interne terrestri con la Slovenia, nota di Palazzo Chigi

    Il Governo italiano ha comunicato la reintroduzione dei controlli delle frontiere interne terrestri con la Slovenia, in base all’articolo 28 del Codice delle frontiere Schengen (Regolamento Ue 2016/339).

    Il ripristino dei controlli alle frontiere interne, già adottato nell’area Schengen, è stato comunicato dal ministro Piantedosi al vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas, al commissario europeo agli Affari interni Ylva Johansson, alla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, al segretario generale del Consiglio dell’Unione europea Thérèse Blanchet e ai ministri dell’Interno degli Stati membri Ue e dei Paesi associati Schengen.

    L’intensificarsi dei focolai di crisi ai confini dell’Europa, in particolare dopo l’attacco condotto nei confronti di Israele, ha infatti aumentato il livello di minaccia di azioni violente anche all’interno dell’Unione. Un quadro ulteriormente aggravato dalla costante pressione migratoria cui l’Italia è soggetta, via mare e via terra (140 mila arrivi sulle coste italiane, +85% rispetto al 2022). Nella sola regione del Friuli Venezia Giulia, dall’inizio dell’anno, sono state individuate 16 mila persone entrate irregolarmente sul territorio nazionale.

    Questo scenario, oggetto di approfondimento anche da parte del Comitato di analisi strategica anti-terrorismo istituito presso il ministero dell’Interno, conferma la necessità di un ulteriore rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo. Nelle valutazioni nazionali, infatti, le misure di polizia alla frontiera italo-slovena non risultano adeguate a garantire la sicurezza richiesta. La misura verrà attuata dal 21 ottobre prossimo per un periodo di 10 giorni, prorogabili ai sensi del Regolamento Ue 2016/339. Le modalità di controllo saranno attuate in modo da garantire la proporzionalità della misura, adattate alla minaccia e calibrate per causare il minor impatto possibile sulla circolazione transfrontaliera e sul traffico merci.
    Ulteriori sviluppi della situazione ed efficacia delle misure verranno analizzati costantemente, nell’auspicio di un rapido ritorno alla piena libera circolazione.

    https://www.governo.it/it/articolo/reintroduzione-dei-controlli-delle-frontiere-interne-terrestri-con-la-sloven

    #Slovénie #Italie #frontières #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_systématiques_aux_frontières #frontière_sud-alpine #Alpes
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    ajouté à cette métaliste sur l’annonce du rétablissement des contrôles frontaliers de la part de plusieurs pays européens :
    https://seenthis.net/messages/1021987

    • Terrorismo, l’Italia sospende Schengen: Blindato il confine sloveno. Gli 007: “Falle nei controlli, i lupi solitari passano da lì”

      Meloni sui social: “La sospensione del Trattato di Schengen sulla libera circolazione in Europa si è resa necessaria per l’aggravarsi della situazione in Medio Oriente, me ne assumo la piena responsabilità”. Vertice tra la premier e i servizi di intelligence sul rischio attentati

      Non hanno nome. E nemmeno un volto. Sono fantasmi, impossibili da intercettare per l’intelligence e la Prevenzione. “Per un terrorista, come dimostra la cronaca, il corridoio balcanico rappresenta un percorso privilegiato verso l’Italia e l’Europa: niente fotosegnalazione, nessuna identificazione”, spiegano da settimane la Polizia e i Servizi al governo. Un’indicazione ribadita martedì, durante il comitato di analisi strategica antiterrorismo.

      (#paywall)

      https://www.repubblica.it/politica/2023/10/18/news/terrorismo_italia_allerta_slovenia-418144267

      #terrorismo

    • L’Italia vuole ristabilire i controlli alla frontiera con la Slovenia

      Il governo ha motivato la decisione – inedita – citando il conflitto israelo-palestinese e l’aumento degli arrivi di migranti

      Mercoledì pomeriggio il governo italiano ha annunciato di voler ristabilire dei controlli alla frontiera tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia: la misura entrerà in vigore dal 21 ottobre prossimo, avrà una durata iniziale di 10 giorni e potrà eventualmente essere prorogata. La notizia è stata data dalla presidenza del Consiglio, dopo che era stata comunicata alle istituzioni europee da Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno e titolare delle procedure di controllo alle frontiere. «L’intensificarsi dei focolai di crisi ai confini dell’Europa, in particolare dopo l’attacco condotto nei confronti di Israele, ha infatti aumentato il livello di minaccia di azioni violente anche all’interno dell’Unione» ha detto in un comunicato il governo, che dunque giustifica questa decisione con le tensioni generate dal conflitto israelo-palestinese.

      Di fatto quindi l’Italia vuole sospendere l’accordo di Schengen, ovvero un’intesa che garantisce la libera circolazione di persone e merci sul territorio europeo a cui aderiscono 23 dei 27 paesi membri dell’Unione Europea (e tra questi anche la Slovenia). È una scelta senza precedenti: l’Italia aveva sospeso Schengen solo in concomitanza con lo svolgimento sul territorio nazionale di eventi internazionali di grande rilevanza. Per il G20 di Roma (tra il 27 ottobre e il primo novembre del 2021), per il G7 di Taormina (tra il 10 e il 30 maggio del 2017) e per il G8 dell’Aquila (tra il 28 giugno e il 15 luglio del 2009). A seguito degli attentati terroristici a Parigi del 2015 si parlò dell’eventualità di un ripristino dei controlli alle frontiere, ma l’ipotesi fu poi accantonata dal governo di Matteo Renzi.

      Sono stati numerosi, invece, i paesi europei che hanno fatto ricorso a questa procedura negli ultimi due anni, cioè da quando dopo la lunga fase della pandemia la libera circolazione nell’area Schengen era stata reintrodotta stabilmente: Francia, Germania, Austria, Polonia, Danimarca, Slovacchia, Norvegia, Repubblica Ceca, quasi sempre per ragioni legate a un aumento dei flussi migratori ritenuto eccessivo e, più di rado, per minacce legate al terrorismo o a seguito di un attentato subito sul territorio nazionale.

      Insieme all’Italia vari altri paesi dell’Unione Europea hanno notificato alle istituzioni europee la decisione di sospendere Schengen temporaneamente in questi giorni e nelle prossime settimane: tra questi Austria, Germania, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. L’Italia è però l’unica, finora, a citare tra le ragioni a giustificazione della sospensione il conflitto israelo-palestinese. La motivazione ufficiale del governo cita anche «la costante pressione migratoria via mare e via terra» collegandola a una presunta «possibile infiltrazione terroristica» che «conferma la necessità di un ulteriore rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo».

      Pochi minuti dopo l’annuncio, la Lega di Matteo Salvini ha diffuso a sua volta un comunicato in cui dice che la decisione adottata «è un’ottima notizia che conferma la serietà e la concretezza del governo. Avanti così, a difesa dell’Italia e dei suoi confini».

      https://www.ilpost.it/2023/10/18/controlli-frontiera-slovenia-schengen

    • Ripristinati i controlli al confine tra Italia e Slovenia

      ICS - Ufficio Rifugiati di Trieste: usato uno stratagemma che può riproporre gravissime condotte illegali

      7.000 sono le persone migranti intercettate e respinte in Slovenia nel corso del 2023. A fornire questi numeri è direttamente il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, all’indomani del ripristino dei controlli sul confine orientale per prevenire, secondo il Viminale, “infiltrazione terroristiche“.

      E’ difatti con questa motivazione che il Governo italiano giustifica la decisione di ripristinare i controlli: il Codice frontiere Schengen (Regolamento UE n. 2016/399) prevede che il ripristino dei controlli di frontiera interni può avvenire “solo come misura di extrema ratio (…) in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro” (Codice, art. 25) per il tempo più breve possibile. Il rischio di “attentati o minacce terroristiche” (Codice, art. 26) può motivare il temporaneo ripristino dei controlli di frontiera, ma tale rischio deve essere concreto e specifico.

      Secondo ICS – Ufficio Rifugiati onlus di Trieste le motivazioni del governo «appaiono del tutto vaghe e inadeguate; in particolare l’inserimento, nelle motivazioni, dell’esistenza di presunto problema dell’arrivo in tutto il Friuli Venezia-Giulia di un modestissimo numero di rifugiati (circa 1.500 persone al mese nel corso del 2023), in assoluta prevalenza provenienti dall’Afghanistan, risulta risibile e del tutto privo di alcuna connessione logico-giuridica con i criteri richiesti dal Codice Schengen per legittimare una scelta così estrema quale il ripristino dei confini interni».

      «E non può – ricorda l’associazione – comportare alcuna compressione o limitazione del diritto d’asilo in quanto “gli Stati membri agiscono nel pieno rispetto (…) del pertinente diritto internazionale, compresa la convenzione relativa allo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 «convenzione di Ginevra»), degli obblighi inerenti all’accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non-refoulement (non respingimento), e dei diritti fondamentali”. (Codice, art. 3)».
      Ciò significa «che anche durante il periodo di temporaneo ripristino dei controlli di frontiera rimane dunque inalterato, alla frontiera italo-slovena, l’obbligo da parte della polizia, di recepire le domande di asilo degli stranieri che intendono farlo e di ammettere gli stessi al territorio per l’espletamento delle procedure previste dalla legge».

      L’Italia non più tardi di cinque mesi fa è stata condannata per le riammissioni / respingimenti illegali attuate nel 2020 e perfino al risarcimento economico dei richiedenti asilo, mentre la Corte di giustizia UE ha ribadito, a fine settembre, che è vietato il respingimento sistematico alle frontiere interne.

      Tutto questo fa emergere che l’inadeguatezza delle motivazioni fornite da Roma rendono non infondato il sospetto che la decisione – secondo ICS – «ben poco abbia a che fare con la difficile situazione internazionale, bensì rappresenti una misura propagandistica e uno stratagemma, attraverso le quasi già annunciate proroghe della misura, per riproporre gravissime condotte illegali al confine italo-sloveno tramite respingimenti di richiedenti asilo che sono tassativamente vietati dal diritto internazionale ed europeo».

      «In un pericolosissimo effetto domino, la situazione potrebbe facilmente degenerare in uno scenario di respingimenti collettivi a catena, radicalmente vietati dal diritto internazionale, in ragione della decisione assunta dalla Slovenia a seguito della decisione italiana di ripristinare a sua volta i controlli di frontiera con la Croazia e l’Ungheria», conclude l’associazione.

      https://www.meltingpot.org/2023/10/ripristinati-i-controlli-al-confine-tra-italia-e-slovenia
      #terrorisme

    • 27 ottobre 2023: Controlli ai confini con la Slovenia: divieto di circolazione, libertà di respingimento

      Preoccupa la reintroduzione dei controlli ai confini interni con la Slovenia annunciata il 18 ottobre dal Governo Meloni dopo gli attacchi compiuti da Hamas in territorio israeliano. Si tratta infatti di un’iniziativa infondata e strumentale, per la distorsione della presunta “costante pressione migratoria” (appena 1.500 persone al mese in Friuli-Venezia Giulia dall’inizio dell’anno), grave, per l’equivalenza che suggerisce all’opinione pubblica tra migranti in transito e potenziali “lupi solitari”, e che rischia soprattutto di tradursi in un palese “via libera” a riammissioni e respingimenti a catena a danno dei migranti e richiedenti asilo, in violazione del diritto interno ed europeo.

      Il tutto in un punto di transito, quello tra Italia e Slovenia, che ha già vissuto nel 2020 l’esperienza delle riammissioni informali attive disposte dall’allora capo di gabinetto della ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e oggi titolare di quel dicastero, Matteo Piantedosi. Pratiche che hanno comportato il respingimento a catena delle persone, esponendole a violenze e trattamenti inumani e degradanti, e per questo dichiarate illegittime dai tribunali nel corso di questi anni. E che pure sembrano rappresentare ancora in principio l’unico strumento per l’esecutivo: uno strumento, è bene ribadirlo, illegale.

      Come hanno già fatto notare anche altri osservatori e organizzazioni sul campo, il ripristino dei controlli di frontiera interni e il sacrificio della libera circolazione può avvenire in base al Codice frontiere Schengen (Regolamento (UE) 2016/399) “solo come misura di extrema ratio […] in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro” (Codice, art. 25) per il tempo più breve possibile. Il rischio di “attentati o minacce terroristiche” (Codice, art. 26) può motivare il temporaneo ripristino dei controlli di frontiera, ma tale rischio deve essere concreto e specifico.

      Giocando all’equivoco intorno al concetto di minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, e liquidando in poche battute il flop delle preesistenti “misure di polizia alla frontiera italo-slovena” annunciate in pompa magna solo pochi mesi fa, il governo ha però già esplicitato di voler prorogare il ripristino dei controlli per i prossimi mesi (la misura doveva durare per 10 giorni dal 21 ottobre 2023). A significare che il reale scopo della reintroduzione dei controlli ai confini interni non è contrastare la minaccia terroristica -verso la quale, come noto, è totalmente inefficace- quanto tentare di dar parvenza di (non) legittimità a prassi operative sovrapponibili a riammissioni e respingimenti. Puntando magari a vietare l’accesso al territorio per coloro che intendano chiedere asilo, scavalcando gli obblighi di informativa che stanno in capo alle autorità di frontiera, respingendo le persone senza lasciar loro in mano alcun provvedimento.

      “Le modalità di controllo saranno attuate in modo da garantire la proporzionalità della misura, adattate alla minaccia e calibrate per causare il minor impatto possibile sulla circolazione transfrontaliera e sul traffico merci”, ha provato a chiarire Palazzo Chigi. Ci si augura che dietro queste parole non si prefiguri il ricorso a forme di profilazione razziale, tema sul quale il nostro Paese è già stato bacchettato dal Comitato Onu per l’eliminazione delle discriminazioni razziali.

      Ecco perché è fondamentale monitorare l’attività delle autorità italiane al confine sloveno. La rete RiVolti ai Balcani, tramite le realtà che vi aderiscono, lo sta già facendo.

      Ed è molto importante al riguardo informare correttamente la cittadinanza.
      Ecco perché giovedì 9 novembre alle ore 18.30 sui canali social della rete è stata organizzata l’iniziativa pubblica online “Divieto di circolazione. Libertà di respingimento” per fare il punto della situazione sia per quanto riguarda la frontiera Italia-Slovenia e sia per quanto attiene alla condizione delle persone in transito lungo le rotte balcaniche, dove le violenze sono tornate ancora una volta a governare la “gestione” dei passaggi. Una gestione oscura, come insegna anche la “novità” italiana della reintroduzione dei controlli ai confini interni con la Slovenia.

      https://www.rivoltiaibalcani.org/news-5

    • Rotta balcanica, Piantedosi lancia le brigate antimigranti

      Lo stesso Piantedosi ha altresì annunciato che, non appena i controlli alle frontiere cesseranno (al momento sono prorogati fino al 20 novembre), è intenzione del Governo prevedere l’istituzione di “brigate miste” (di polizia) da “rendere stabili nel tempo”. Il termine utilizzato – brigate – è già piuttosto militaresco, ma, soprattutto, tali brigate miste come sarebbero composte, con quale mandato e con quali garanzie opererebbero al di fuori del territorio italiano? Anche sul confine sloveno-croato e su quello croato-bosniaco?

      https://seenthis.net/messages/1025275

  • 11 octobre 2023, verdict en cour d’appel pour le #procès contre #Mimmo_Lucano, ancien maire de #Riace

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    Ce fil de discussion est la suite de celui-ci :
    Le 20.09.2023 la défense de #Mimmo_Lucano a prononcé le plaidoyer final dans le cadre de l’#appel à la condamnation de l’ancien maire de #Riace...
    https://seenthis.net/messages/1018103

    #accueil #migrations #solidarité #asile #réfugiés #Italie #criminalisation_de_la_solidarité #acquittement #justice #Xenia

    • La corte d’appello condanna Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi

      La sentenza di primo grado aveva fissato la condanna a 13 anni e due mesi, la procura aveva chiesto 10 anni e 5 mesi. I suoi avvocati volevano l’assoluzione. Lucano non ha mai smesso di lavorare nei progetti per l’accoglienza e in una lettera aveva invitato i giudici ad andare a vedere il Villaggio Globale di Riace

      La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi: un decimo di quanto chiesto dalla procura. Le accuse sono state fortemente ridimensionate, e l’esito drasticamente ridotto rispetto alla condanna in primo grado a oltre 13 anni.

      La procura generale aveva chiesto per questo secondo grado di giudizio la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace e principale imputato del processo “Xenia”, nato da un’inchiesta della guardia di Finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paese della Locride. Un processo che lo vede alla sbarra insieme ad altre 17 persone. Le accuse erano pesanti: associazione a delinquere e peculato, frode, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa.

      La prima condanna

      Il Tribunale di Locri a settembre del 2021 lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione, e 700mila euro di danni per la gestione dei progetti di accoglienza per i migranti (ma c’è anche la gestione dei rifiuti, il mancato pagamento della Siae e altri illeciti amministrativi), nonostante Riace sia stata lodata in tutto il mondo, e gli stessi giudici abbiano descritto i progetti come figli di un’utopia.

      Dal processo è stato dimostrato che Lucano non ha tratto benefici per il suo conto corrente. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici trovavano la colpa nel «comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico».

      E ancora: «Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca», perché, si leggeva, «ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».

      Per i difensori, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, si tratta di un processo politico, in cui sono stati fatti anche errori. Durante il processo d’appello sono state aggiunte nuove intercettazioni e contestate trascrizioni della guardia di finanza da quelle precedenti. Nelle motivazioni d’appello i due legali avevano parlato di «lettura forzata se non surreale dei fatti».

      Dopo la sentenza di primo grado era scaturito in ambito internazionale un appello firmato dal linguista Noam Chomsky, dall’ex capitana Sea Watch Carola Rackete, fino al leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon perché venissero ritirate le accuse a suo carico.
      La lettera

      Alle ultime elezioni regionali si era candidato in appoggio a Luigi de Magistris, ma non è stato eletto. Non ha smesso di lavorare. Il 20 settembre l’ex sindaco di Riace ha consegnato una lettera alla Corte: «Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori, ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture».

      Lucano ha poi ricordato: «Sono passati cinque anni da quando sono stato arrestato con l’accusa infamante di svolgere la mia attività di accoglienza e integrazione dei migranti per finalità di carriera politica e di lucro. Sono passati due anni da quando mi è stata inflitta la condanna in primo grado a una smisurata pena detentiva quale non tocca spesso ai peggiori criminali».

      Ma non ha desistito, e ha invitato i giudici ad andare a vedere i risultati del suo lavoro: «Ho continuato a dedicarmi a tempo pieno, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio globale di Riace che ha ospitato e continua ad ospitare bambini e persone con fragilità. Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere. Al termine di questo processo vi invito a visitare il Villaggio Globale di Riace, sarete i benvenuti».

      https://www.editorialedomani.it/politica/italia/mimmo-lucano-sentenza-corte-appello-oooeao9j

    • Non reggono in Appello le accuse monstre a Lucano. L’ex sindaco condannato a un anno e 6 mesi
      https://www.youtube.com/watch?v=qBE1GEzNnow&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

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      La decisione della Corte nel processo al “modello Riace”: assolti 15 imputati su 17. L’accusa aveva chiesto 10 anni 5 mesi per l’ex sindaco. In primo grado la pena comminata era stata di oltre 13 anni

      L’ex sindaco di Riace Domenico Lucano è stato condannato a un anno e sei mesi (con pena sospesa) dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, pena sensibilmente inferiore rispetto ai 13 anni e due mesi rimediati in primo grado e rispetto alla richiesta della Procura generale (10 anni e 5 mesi). Oggi assente a Reggio Calabria, l’ex primo cittadino ha atteso l’esito della camera di consiglio durata circa sei ore, nel piccolo borgo del “modello” per molti anni simbolo dell’accoglienza e alla sbarra dopo l’inchiesta “Xenia” della procura di Locri. Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione.

      L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari, aveva chiesto per l’ex primo cittadino una condanna di 10 anni e 5 mesi di reclusione. Imputati davanti ai giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, (presidente Elisabetta Palumbo, giudici relatori Davide Lauro e Massimo Minniti) Lucano e altre 17 persone.
      Si conclude così il secondo capitolo giudiziario scaturito dall’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza che si basa sull’accusa di aver utilizzato i fondi destinati all’accoglienza dei migranti per “trarre vantaggi personali”. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste, a vario titolo, le accuse della Procura di Locri che ha attaccato in toto il sistema di accoglienza messo in piedi nel borgo della Locride. In primo grado il Tribunale di Locri aveva condannato Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione, a fronte della richiesta della Procura a 7 anni e 11 mesi.

      Il dibattimento

      Nel corso del dibattimento i legali di Lucano, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, avevano sottolineato come quella di Lucano fosse una «innocenza documentalmente provata» poiché l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso».
      Nelle motivazioni d’appello i legali avevano sottolineato che in sentenza c’era stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati, sarebbero inutilizzabili. Nel corso delle arringhe finali i legali di Lucano avevano chiesto alla corte di ribaltare la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che aveva motivato la sentenza in 900 pagine definendo Lucano “dominus indiscusso” del sistema messo in piedi a Riace per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Tanti i sostenitori di Lucano che hanno atteso la decisione dei giudici dentro e fuori la Corte d’appello di Reggio Calabria, tra loro anche Giuseppe Lavorato.
      In tanti di sono recati anche a Riace e hanno aspettato insieme all’ex sindaco l’esito del processo.

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/10/11/non-reggono-in-appello-le-accuse-monstre-a-lucano-lex-sindaco-

    • Lucano: “Finalmente respiro e ora torno in politica. Sogno un’altra Italia”

      Dopo la sentenza che ha cancellato la condanna a 13 anni e due mesi, parla l’ex sindaco del paese dell’accoglienza. “Riace era avanguardia dei diritti e della speranza, torniamo a esserlo”

      Ora respiro, ora respiro di nuovo». Non è facile parlare con l’ex sindaco dell’accoglienza Mimmo Lucano dopo la sentenza che lo ha assolto dall’accusa di aver trasformato la “sua” Riace in un “sistema clientelare” costruito al solo scopo di “ricavarne benefici politici”, sostenevano i giudici del primo grado. “Che assurdità. Proprio io, che non mi sono mai voluto candidare. Ma adesso la verità è stata ristabilita”, dice l’ex sindaco dell’accoglienza mentre dietro di lui si sente il paese in festa e di tanto in tanto la comunicazione salta perché qualcuno l’abbraccia forte.

      Quando ha sentito il giudice leggere la sentenza che ribaltava quella durissima di primo grado che effetto le ha fatto?

      “In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere”.

      È stata dura?

      “È stata dura, è stata lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Ma adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più”.

      In questi anni c’è stato qualcosa che è stato più difficile di altre da sopportare?

      «Il sospetto. Quelle ombre che sono state evocate su di me, l’idea che è stata instillata che avessi fatto tutto per un tornaconto personale. Riace era ed è un’idea di umanità, di rinascita per gli ultimi, per tutti. Adesso la verità è venuta a galla».

      I giudici di primo grado dietro quel modello avevano letto un sistema criminale.

      “Assurdo. La contestazione di associazione a delinquere è quanto di più lontano da quello che il villaggio globale, la comunità che qui avevamo costruito, rappresenta.Noi abbiamo sempre lottato per la fratellanza, perché tutti avessero un’opportunità, questa è l’antitesi alle associazioni criminali, che qui significano mafia. E noi l’abbiamo sempre combattuta. I miei primi passi in politica sono stati proprio contro la mafia”.

      A proposito di politica, cade anche l’interdizione ai pubblici uffici. Pensa di candidarsi nuovamente?

      “È presto, la sentenza è appena arrivata, solo adesso inizio a realizzare, ma ci sto pensando. Sicuramente adesso si apre una fase nuova, di rinascita e di speranza”.

      In che misura?

      “Fin dall’inizio della sua storia Riace è stata un’avanguardia in termini di difesa dei diritti umani, anzi dell’umanità. Abbiamo mostrato concretamente che accoglienza non è un problema di ordine pubblico o motivo di allarme sociale, ma occasione per il territorio che la sperimenta, crescita, rinascita per tutti, per chi c’era e per chi viene accolto”.

      E adesso che l’Italia sembra andare in tutt’altra direzione?

      «In questo momento storico così buio, con i decreti Cutro e Piantedosi che criminalizzano i migranti e chi prova a essere solidale, che i giudici cancellino una sentenza che provava a smentirlo trasforma Riace nuovamente in un’avanguardia».

      Di cosa?

      «Della speranza di un’altra Riace possibile, di un’altra Italia possibile, di un altro mondo possibile. Noi abbiamo sempre lottato per questo».

      Nel frattempo però il “paese dell’accoglienza” è stato distrutto

      «In realtà non del tutto. Paradossalmente la sentenza di primo grado ha scatenato un’ondata incredibile di solidarietà. Associazioni come “A buon diritto” hanno promosso persino una raccolta fondi per aiutarmi a pagare la sanzione pecuniaria che mi era stata inflitta. Ma quando il presidente Luigi Manconi mi ha chiamato, gli ho chiesto di usare quei fondi per altro».

      A cosa sono stati destinati?

      «Qui a Riace vivono ancora tante famiglie di rifugiati, quei fondi sono stati utilizzati per dei progetti di lavoro che adesso impiegano tantissime persone anche in strutture come il frantoio, che inizialmente era stato letto come parte di un progetto criminale ed è speranza per chi è arrivato senza più avere nulla».

      Insomma, l’accoglienza a Riace non è morta.

      «Assolutamente no e questo si deve anche a tutte le persone che in questi anni non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno né a me, né a Riace. Il mio primo pensiero oggi è stato per loro, per i miei legali, l’avvocato Mazzone soprattutto, il primo a credere in me e che adesso non c’è più».

      Al ministro Salvini che in passato l’ha definita uno zero ha pensato?

      «No, ma so che è uno che guarda il calcio. E a lui che ha usato la mia condanna per criminalizzare l’accoglienza direi che i risultati si commentano a fine partita».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2023/10/12/news/lucano_finalmente_respiro_e_ora_torno_in_politica_sogno_unaltra_italia-41

    • Freispruch in Riace

      Dem für gute Flüchtlingsarbeit bekannten italienischen Bürgermeister drohten 13 Jahre Haft. Jetzt hat ihn ein Gericht in zweiter Instanz freigesprochen.

      Mimmo Lucano ist kein Schwerverbrecher. Zu diesem Schluss kam am Mittwochnachmittag das Gericht im süditalienischen Reggio Calabria, das in zweiter Instanz den früheren Bürgermeister der kleinen kalabrischen Gemeinde Riace in fast allen Anklagepunkten freisprach.

      Lucano war mit seiner Politik der ausgestreckten Hand gegenüber Mi­gran­t*in­nen weit über Italien hinaus berühmt geworden, und wurde für sein „Modell Riace“ in den Medien gefeiert und mit Preisen ausgezeichnet, unter anderem mit dem Friedenspreis der Stadt Dresden – bis er im Jahr 2021 in erster Instanz als angeblicher Chef einer kriminellen Vereinigung zu exorbitanten 13 Jahren und 2 Monaten Haft verurteilt wurde.

      Angeblich hatte er, der in den Jahren 2004 bis 2018 Bürgermeister des 1.800-Seelen-Ortes Riace war, sich der Förderung illegaler Einwanderung schuldig gemacht, zahlreiche Delikte wie Betrug, Urkundenfälschung, Unterschlagung begangen, mehr als 700.000 Euro an staatlichen Geldern beiseite geschafft.
      Alles nur Show in Riace?

      Und das Modell Riace? Alles nur Fassade, wenn man Staatsanwaltschaft und Gericht glauben darf, das 2021 in erster Ins­tanz urteilte. Diese „Fassade“ bestand darin, dass Lucano dem Verfall des Dorfkerns von Riace, dem Wegzug jüngerer Menschen etwas entgegensetzen wollte: die Ansiedlung von Migrant*innen, für die Häuser instand gesetzt wurden, und die Schaffung von Arbeit in neu eröffneten Läden und Werkstätten, in denen alteingesessene Bür­ge­r*in­nen gemeinsam mit Neuankömmlingen aus Syrien oder Äthiopien tätig waren. Ende 2017 lebten 470 Mi­gran­t*in­nen in Riace, mehr als ein Viertel der Ortsbevölkerung.

      Doch in den Augen des Innenministeriums in Rom und der Justiz war das alles nur Show. Im Jahr 2017 behauptete der damalige Präfekt von Reggio Calabria, in Riace würden systematisch die staatlichen Zuwendungen für Mi­gran­t*in­nen unterschlagen. 2018 dann erließ das Gericht von Locri Haftbefehl gegen Lucano, der in Hausarrest genommen und seines Amtes enthoben wurde.

      Der damalige Innenminister und Chef der fremdenfeindliche Lega, Matteo Salvini, nutzte diese Steilvorlage, um das Modell Riace von einem Tag auf den anderen zu liquidieren und die dort lebenden Geflüchteten wegzuschaffen.
      Weder persönliche Bereicherung noch politischer Ehrgeiz

      Lucano stand mit 23 Mitangeklagten vor Gericht, und wurde dann zu einer Haftstrafe verurteilt, die eines Mafiabosses würdig gewesen wäre. Dabei mussten auch die Staatsanwaltschaft und das damals urteilende Gericht zugeben, dass auf keinem seiner Konten auch nur ein roter Heller war und ihm keine private Bereicherung nachgewiesen werden konnte. Aber egal: Seine Gegner argumentierten, es sei ihm um „politischen Nutzen“ und den eigenen Ruhm gegangen. Lucano allerdings hatte mehrfach Angebote für Kandidaturen zum Europaparlament und zum nationalen Parlament ausgeschlagen. Viel politischer Ehrgeiz war da nicht zu sehen.

      Zu einer ganz anderen Würdigung kamen denn jetzt auch die Rich­te­r*in­nen in zweiter Instanz. Fast alle Mitangeklagten Lucanos wurden freigesprochen. Er selbst allerdings wurde wegen Urkundenfälschung in einem Verwaltungsakt von 2017 zu 18 Monaten Haft auf Bewährung verurteilt. Dennoch feierten er und seine An­hän­ge­r*in­nen das Verdikt wie einen Freispruch. Die zahlreichen Anwesenden im Gerichtssaal stimmten „Mimmo, Mimmo!“-Sprechchöre an und sangen „Bella Ciao“. Lucano selbst, der das Urteil in Riace abgewartet hatte, brach nach dem Richterspruch in Freudentränen aus. Er sieht seinen guten Ruf wiederhergestellt und erwägt eine Rückkehr in die Politik.

      https://taz.de/Ex-Buergermeister-Mimmo-Lucano/!5962687

    • Mimmo Lucano, ridotta drasticamente la condanna in appello: un urlo liberatorio!

      «La solidarietà non può essere reato»

      La sentenza di appello del processo a carico dell’ex sindaco di Riace, Domenico “Mimmo” Lucano, e dei membri della sua giunta, per un totale di 18 imputati, rovescia completamente il verdetto di primo grado.

      I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, lo hanno condannato a un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, stravolgendo la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio per le iniziative di accoglienza, cooperazione, convivenza pacifica e solidarietà costruite nei tre mandati (tra il 2004 e il 2018) da Sindaco di Riace.

      La Corte ha così assolto Lucano da tutti i reati più gravi e poi tutti gli altri 17 imputati e ha ristabilito una verità dei fatti totalmente diversa da quella, abnorme, disegnata dal primo grado.

      «Ci sarà ora qualcuno che chiederà scusa a Mimmo Lucano per la sistematica attività di diffamazione indirizzata nei suoi confronti» si chiede A Buon Diritto.

      Per il presidente, Luigi Manconi, e per tutta l’associaizone «la soddisfazione per la sentenza di appello è grande».

      «Abbiamo sostenuto fin dal primo momento l’idea di politica dell’accoglienza e dell’ospitalità promossa dalla giunta di Riace e abbiamo sostenuto gli imputati con una sottoscrizione nazionale che ha dato eccezionali risultati. Questa sentenza conferma che eravamo nel giusto quando affermavamo che la solidarietà non può essere criminalizzata», conclude l’associazione alla quale si sono aggiunti in queste ore diversi commenti di personalità e organizzazioni solidali che sono sempre state vicine all’ex Sindaco.

      Intervistato da Repubblica, Mimmo Lucano ha detto: «In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere».

      E poi: «È stata dura e lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più».

      https://twitter.com/RaffaellaRoma/status/1712154008217854430

      https://www.meltingpot.org/2023/10/mimmo-lucano-ridotta-drasticamente-la-condanna-in-appello-un-urlo-libera

    • C’è un giudice a Reggio Calabria

      Mimmo Lucano, a lungo agli arresti domiciliari e condannato a tredici anni e due mesi dal tribunale di Locri, con una sentenza nella cui motivazione si leggono anche pesanti giudizi etici (un “falso innocente» che avrebbe agito con una «logica predatoria delle risorse pubbliche» per soddisfare «appetiti di natura personale, spesso declinati in chiave politica»), ha visto oggi la Corte d’appello di Reggio Calabria assolvere i suoi coimputati (salvo uno) e ridurre drasticamente la condanna a un anno e sei mesi di reclusione.

      Da quel che si può capire dal dispositivo letto oggi in udienza, la condanna dovrebbe riguardare un episodio di abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta di rifiuti. Un reato che a detta del Ministro della giustizia andrebbe abolito perché inutile e fonte di ritardi e costi processuali (9 condanne su 5.000 processi penali).

      Ovviamente, come si suol dire in queste occasioni, aspettiamo di leggere la motivazione, che probabilmente ci riserverà ulteriori piacevoli sorprese. Ma già il dispositivo giustifica alcune valutazioni.

      L’indagine, nata da ispezioni al Comune di Riace disposte dal Prefetto di Reggio Calabria dell’epoca (successivamente nominato da Salvini capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale) e da indagini della Guardia di Finanza, non ha retto al vaglio del giudizio della Corte d’appello. La difesa di Lucano, sostenuta dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, aveva sostenuto, oltre ad alcuni plateali errori delle indagini (un’intercettazione erroneamente trascritta dalla polizia giudiziaria), l’inconsistenza del quadro probatorio dell’accusa e questa linea è stata evidentemente condivisa dalla Corte. Ma insieme all’accusa giuridica necessariamente dovrebbero essere caduti anche i giudizi morali negativi e le feroci critiche al modello di accoglienza realizzato da Lucano. Il “modello Riace” conosciuto e apprezzato nel mondo, sia nelle aule universitarie che nelle più diverse tribune mediatiche.

      E’ difficile però che quel modello, nell’attuale temperie culturale e politica, possa facilmente essere rimesso completamente in piedi. Non ostante la propria personale sofferenza per le accuse ricevute, Lucano, con l’aiuto concreto di alcune associazioni, ha continuato a praticare nel Villaggio Globale di Riace la sua idea di accoglienza. Non è certo il “modello Riace” che vedeva coinvolto l’intero paese, ma è importante che sia rimasto e rimanga in piedi il suo nucleo etico e culturale.

      https://www.articolo21.org/2023/10/ce-un-giudice-a-reggio-calabria

    • La condanna di Mimmo Lucano è stata ridotta in appello a 1 anno e 6 mesi

      In primo grado l’ex sindaco di Riace era stato condannato a oltre 13 anni per la gestione dei migranti, con una sentenza molto contestata

      Mercoledì la Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, a un anno e sei mesi di reclusione per reati commessi nella gestione dei progetti di accoglienza dei migranti di Riace, in Calabria. Lucano era stato condannato in primo grado a 13 anni e 6 mesi di carcere, quasi il doppio della pena chiesta dall’accusa, con una sentenza assai contestata dato che la sua gestione dei migranti a Riace era stata raccontata in tutta Europa e nel resto del mondo come un modello di integrazione e solidarietà: il cosiddetto “modello Riace”.

      La sentenza d’appello è arrivata dopo diverse ore di camera di consiglio e non si sanno ancora le motivazioni della decisione dei giudici. In primo grado, a settembre del 2021, Lucano era stato condannato per 21 reati che includevano associazione a delinquere e una serie di reati tra cui falso in atto pubblico, peculato, abuso d’ufficio e truffa. Nella sentenza di appello i giudici hanno assolto Lucano da quasi tutti i reati, dichiarato il non luogo a procedere per difetto di querela per altri e concesso la sospensione condizionale della pena.

      Lucano è stato invece condannato per falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, e comunque limitatamente a un solo atto, delle decine indicate nella sentenza di primo grado, relativo a un contributo ricevuto per l’accoglienza di alcuni migranti. La procura aveva chiesto una condanna a 10 anni e 5 mesi: insieme a Lucano erano imputate altre 17 persone, tutte assolte a parte una.

      La vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano era iniziata nel 2016, a seguito di alcune rilevazioni di varie irregolarità amministrative da parte di ispettori della prefettura locale. Due anni dopo era stata avviata un’inchiesta, l’operazione Xenia, che nel 2021 aveva portato alla condanna in primo grado da parte del tribunale di Locri. Lucano era stato invece assolto dalle accuse di concussione e immigrazione clandestina.

      In sostanza, secondo i giudici, il sistema organizzato da Lucano, descritto come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di una serie di reati. A dicembre del 2021 erano state pubblicate le motivazioni della sentenza. Secondo i giudici Lucano li aveva compiuti per arricchirsi e garantirsi una tranquillità economica una volta andato in pensione. Gli avvocati di Lucano avevano ritenuto queste accuse insensate, e avevano sostenuto che Lucano avesse gestito Riace col solo scopo di realizzare un sistema ispirato a valori di accoglienza e solidarietà.

      Le critiche alla sentenza avevano riguardato anche il calcolo della pena: i giudici avevano individuato due separati disegni criminosi, ripartendo quindi in due filoni i reati di cui Lucano era accusato e quindi duplicando la pena, con più di 10 anni di reclusione per il primo e più di 2 per il secondo, raddoppiando, come detto, la pena chiesta dall’accusa.

      Lucano e i suoi avvocati avevano fatto ricorso, e a luglio del 2022 c’era stato un ulteriore sviluppo nella vicenda: la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale: significa che la corte aveva ammesso un’integrazione alle prove raccolte durante il processo di primo grado. L’integrazione consisteva in 50 pagine di una perizia cosiddetta “pro veritate”, realizzata da un consulente della difesa di Lucano, Antonio Milicia, perito trascrittore. Il perito aveva trascritto cinque intercettazioni. In quattro di queste c’erano differenze, che la difesa aveva definito «fondamentali», tra il testo che presentava Milicia e quello che venne presentato dal perito del processo di primo grado.

      Prossimamente verranno depositate le motivazioni della sentenza d’appello.

      https://www.ilpost.it/2023/10/11/lucano-appello-ridotta-pena

    • Italie : peine allégée pour le maire qui aidait des migrants

      Condamné en première instance à treize ans de prison pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », il a vu l’essentiel des charges portées contre lui être abandonnées.

      Par un cri de victoire et des embrassades avec ses proches, #Domenico_Lucano, dit « #Mimmo », a célébré l’arrêt de la cour d’appel de Reggio de Calabre, mercredi 11 octobre. Les juges lui ont en effet notifié qu’il n’était plus « que » condamné à dix-huit mois de prison avec sursis, en dépit des réquisitions du procureur. Ancien maire de Riace de 2004 à 2018, petite ville d’à peine 2 000 âmes perchée sur les collines calabraises, Mimmo Lucano avait été condamné en première instance, en 2021, à une lourde peine : plus de treize ans de réclusion pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », « pratiques frauduleuses » et « détournements de biens publics ». « Justice a été rendue à un homme qui a toujours travaillé dans le seul et unique intérêt du bien commun et de la défense des plus faibles », ont réagi les deux avocats de l’ancien élu, à la sortie de la cour d’appel.

      « Il s’agissait d’un #procès_politique, les charges pesant sur lui étaient excessives, souligne Gianfranco Schiavone, président du Consortium italien de solidarité (ICS), une plate-forme qui dispense de l’aide juridique aux demandeurs d’asile. Cet épisode restera comme une page sombre de la justice italienne, celle où l’on a cherché à démolir un homme et un #modèle d’accueil. » Car derrière le maire de Riace, c’est bien l’intégration des migrants qui était mise en cause.

      En 1998, Mimmo Lucano accueille pour la première fois des Kurdes échoués sur une plage voisine, et ne s’arrêtera plus de porter secours aux migrants. En vingt ans, il va faire de Riace une commune connue dans le monde entier pour son #accueil_inconditionnel. Des dizaines d’exilés, venus de Somalie, de Tunisie, d’Afghanistan, trouvent refuge dans la bourgade. Une coopérative sociale est créée, tout comme des boutiques. L’école du village rouvre et fait cohabiter petits Calabrais et migrants.

      Cible de Matteo Salvini

      Le « modèle Riace », perçu comme un modèle d’intégration vertueux par le travail permettant, aussi, d’enrayer le déclin d’une Calabre qui se vide, est vanté dans de nombreux pays. En 2016, le magazine américain Fortune classe l’édile au 40e rang des personnes les plus influentes de la planète. La même année, le pape François lui envoie une lettre dans laquelle il exprime son soutien à ses initiatives en faveur des migrants.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/13/italie-la-cour-d-appel-allege-la-peine-du-maire-calabrais-condamne-pour-avoi

    • Le maire calabrais Mimmo Lucano voit sa peine pour « délit de solidarité » réduite

      En 2021, il avait été condamné, en première instance, à 13 ans de prison et 500 000 euros d’amende, pour délit de solidarité. Le crime de Domenico Lucano, dit Mimmo : avoir mis en place un ambitieux système d’accueil des réfugiés dans le village de Riace, en Calabre, dont il était maire.

      Sa peine a été réduite à un an de prison et 1 400 euros d’amende par la cour d’appel de Locri, en Calabre, qui a rendu son verdict ce mercredi en fin d’après midi. Les 17 autres solidaires assis à ses côtés sur le banc des accusés ont tous été acquittés, alors qu’ils avaient écopé, en première instance, de 1 à 10 ans de prison.

      « C’est une #victoire ! Je viens de l’avoir au téléphone. Il pleurait en remerciant tous ceux qui l’ont soutenu », explique Martine Mandrea, animatrice de son comité de soutien à Marseille.

      https://www.humanite.fr/monde/domenico-lucano/le-maire-calabrais-mimmo-lucano-voit-sa-peine-pour-delit-de-solidarite-redu

    • Cosa insegna la (quasi) assoluzione di Mimmo Lucano

      La quasi-assoluzione in appello di Mimmo Lucano e della sua giunta rappresenta una svolta nella battaglia culturale e politica relativa alla criminalizzazione della solidarietà. La pesante condanna ricevuta in primo grado, oltre tredici anni di carcere, superiore alle richieste della pubblica accusa, appare ora abnorme e immotivata, probabilmente viziata da teoremi pregiudiziali.

      All’ex sindaco di Riace era stata addebitata addirittura l’associazione per delinquere. Già il fatto che magistratura e forze dell’ordine in quel contesto avessero dedicato una quantità ingente di tempo e risorse a indagare sull’accoglienza dei rifugiati, distogliendole necessariamente dalla lotta alla ndrangheta, aveva qualcosa di surreale. Entrando nel merito, nel 2019 la Cassazione aveva criticato la conduzione delle indagini, affermando che poggiavano “sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale sfornito di significativi e precisi elementi”.

      La vicenda Lucano si aggiunge quindi a una serie di casi giudiziari in cui i protagonisti di iniziative di accoglienza verso profughi e migranti sono stati colpiti non solo da veementi campagne politiche e mediatiche, ma anche da accuse che li hanno costretti a difendersi e non di rado a sospendere la loro attività: basti ricordare Carola Rackete e le molte ong finite sotto processo, con le navi ispezionate e sequestrate, ma mai condannate; padre Mussie Zerai, processato perché impegnato ad aiutare i profughi eritrei suoi connazionali; gli attivisti di Baobab a Roma, che rifocillavano i profughi e li aiutavano a ripartire verso la Francia; i coniugi triestini Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, che con la loro associazione Linea d’Ombra assistevano i migranti della rotta balcanica.

      Il fenomeno non è solo italiano, giacché, per restare in Europa, in Francia aveva fatto rumore il processo a Cédric Herrou, contadino-attivista che accoglieva in val Roja i profughi provenienti dall’Italia.

      Non è il caso di parlare di un complotto, e tanto meno di rivolgere agli inquirenti accuse di politicizzazione speculari a quelle provenienti, anche in questi giorni, dal fronte della chiusura dei confini. Occorre però vedere in queste ripetute inchieste giudiziarie, quasi sempre destinate al fallimento o a magri risultati, uno dei frutti più tossici di un clima culturale avvelenato: un clima in cui l’accoglienza è esposta al rischio costante di essere scambiata per un atto sovversivo, di attacco alla sovranità statuale e al controllo (selettivo) dei confini. E in cui di fatto si finisce per intimidire e scoraggiare chi si mobilita per soccorrere e aiutare.

      Se vi è un auspicio da trarre da questa vicenda, è che magistratura e forze dell’ordine siano sollecitate a indirizzare le loro energie, non infinite e quindi necessariamente guidate da scelte di priorità, a indagare ben altri luoghi di malaffare, ben altre forme di lesione della legalità, ben altre violazioni della sovranità statuale. E per quanto riguarda noi cittadini, sia lecito sognare un mondo in cui l’accoglienza non sia né di destra, né di sinistra, ma la conseguenza di un’opzione per i diritti umani affrancata da logiche di schieramento.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/mimmo-lucano-assoluzione-criminalizzazione-solidarieta

    • Per Mimmo Lucano ribaltata la sentenza: crollano quasi tutte le accuse

      La Procura generale di Reggio Calabria aveva chiesto 10 anni e 5 mesi di reclusione, mentre per i giudici è rimasto in piedi solo un falso in atto pubblico per un’assegnazione di fondi a cooperative

      Crollano in appello quasi tutte le accuse contestate all’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, dopo una camera di consiglio di 7 ore, lo hanno condannato ad un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, ribaltando la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Assolti altri 16 imputati, collaboratori di Lucano, mentre l’unica altra condanna, a un anno, è per Maria Taverniti.

      Dalla lettura del dispositivo emerge che la Corte, presieduta da Elisabetta Palumbo, ha condannato Lucano solo per il reato di falso in atto pubblico in relazione ad una determina del 2017 relativa all’assegnazione di fondi pubblici alle cooperative, mentre sono state prescritte altre due accuse tra le quali l’abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel Comune di Riace a due cooperative sociali prive dei requisiti richiesti dalla legge.

      Tutti gli atti del processo sono stati trasmessi comunque alla Corte dei Conti. Il resto cade, soprattutto l’accusa di essere il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas. Lucano non era presenta alla lettura della sentenza e ha atteso l’esito nel suo paese.

      Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione che smonta le accuse contenute prima nei durissimi rapporti della Prefettura di Reggio Calabria e poi nell’inchiesta “Xenia” della procura di Locri che nel 2018 aveva portato Lucano agli arresti domiciliari. L’inchiesta della procura di Locri e poi la sentenza di primo grado avevano accusato un modello di accoglienza diventato famoso nel mondo e iniziato nel 1998 quando con un gruppo di amici accolse alcuni curdi sbarcati a Riace, da cui il soprannome “Mimmo u’ curdu”.

      Eletto tre volte sindaco, tra il 2004 e il 2018, quando venne sospeso dopo gli arresti domiciliari. «È la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto, umiliato, offeso - ha commentato Lucano -. E che mi ha reso agli occhi della gente come un delinquente. Avrò fatto anche degli errori, ma sono stato attaccato, denigrato, anche a livello politico, per distruggere il “modello Riace”, la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria». Ma cosa rimane del “modello Riace”? Nulla o poco più. Non esistono più né Cas, né Sprar.

      Il Comune, a guida leghista dopo la caduta di Lucano, non ha più confermato quel sistema. Il nome di Riace però continua ad attrarre. Arrivano ancora immigrati, lo stesso Lucano aiuta a trovare case, ma è accoglienza improvvisata e non ci sono né lavoro né fondi per attività. E proprio per questo hanno chiuso quasi tutte le botteghe e i laboratori di artigianato. Molti i debiti ancora da pagare e comunque nel paese non si vede più quel turismo solidale di allora. Invece purtroppo a Riace marina è comparsa la prostituzione di donne nigeriane. Non è però finito il modello calabrese di accoglienza.

      Proprio nella Locride non sono pochi i comuni che continuano ad ospitare gli immigrati, ormai realtà consolidate, come a Camini, paese confinante con Riace. O come a Roccella Jonica, anche questo confinante, Comune record per sbarchi dalla rotta turca, e dove si accoglie senza tensione. O ancora a Gioiosa Jonica, Benestare, Caulonia, Ardore, Siderno. Tutte località che ancora ospitano Cas e Sai, pur tra non poche difficoltà. Ma senza problemi di irregolarità o bilanci in disordine. Buona accoglienza silenziosa e poco conosciuta. Senza riflettori politici, positivi o negativi. Solo accoglienza e integrazione. Tutta un’altra storia.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/per-lucano-ribaltata-la-sentenza

    • Mimmo Lucano: «Il modello Riace ha spaventato chi non guarda ai migranti con umanità»

      L’ex sindaco a Telesuonano: «Futuro? Tre possibilità, ma ne preferisco una». L’avvocato Daqua: «Grave errore giudiziario che nessuno ripagherà»

      https://www.youtube.com/watch?v=sw2suusH4H8

      «Il mio sogno? È nato un po’ per caso e ho cercato di realizzarlo in maniera inconsapevole. Mi sono interessato di accoglienza, di solidarietà dopo uno sbarco. Ma è vero, man mano che passavano gli anni, ho immaginato in maniera concreta di riscattare la mia terra, la Calabria. Nonostante i luoghi della precarietà, spesso anche dell’abbandono, del silenzio, dell’omertà, abbiamo trasmesso un messaggio al mondo: che almeno siamo grandi per essere vicini a chi subisce le decisioni di guerra, chi subisce scelte di politiche che hanno depredato i territori del cosiddetto terzo e quarto mondo, abbiamo fatto capire che è possibile costruire alternative umane utilizzando i nostri spazi, i nostri luoghi che sono dei luoghi abbandonati. E non c’è voluto nulla, il modello Riace non è altro che l’utilizzo di case in cui prima abitavano i nostri emigranti che per ragione di lavoro hanno cercato altrove possibilità di un sogno per la loro vita». Ha esordito così, con queste parole semplici ma potenti, Mimmo Lucano, ospite nell’ultima puntata di Telesuonano, il format condotto da Danilo Monteleone in onda su L’altro Corriere tv (canale 75). L’ex sindaco di Riace, da poco reduce dalla sentenza di appello “Xenia” che ha fatto cadere quasi tutte le accuse a suo carico (dai 13 e due mesi inflitti a Lucano in primo grado, si è passati a un anno e sei mesi – con pena sospesa – per una «residua ipotesi di falso su una determina»), ha ripercorso il suo viaggio giudiziario, partendo dall’inizio dell’operazione che lo ha coinvolto.
      Dopo la sentenza

      «Quella mattina è stato l’epilogo di qualcosa di strano. Negli ultimi anni della terza legislatura, che corrispondono al 2015-2016, avevo percepito un atteggiamento ostile soprattutto dalla prefettura di Reggio Calabria, e anche a livello centrale con tentativi così ingiustificati di contrastare quello che invece nel piccolo era stata una soluzione per un problema globale come quello della migrazione. Devo dire che il primo ad avere raccontato al mondo che in Calabria esiste un luogo in cui addirittura l’immigrazione, l’arrivo delle persone, non è solo un problema, ma risolve i problemi delle comunità locali, è stato il regista Wim Wenders. Ha detto “questo è un messaggio per il mondo, è un messaggio globale, è stato fatto a livello locale però va molto al di là di questa prospettiva”. E poi quella mattina, quell’epilogo è stata la fine di una favola, è stato di nuovo scendere nella realtà ed è cambiato tutto. Ricordo le persone che mi sono state vicine in maniera molto lucida. Ancora vivo quei momenti, quelle sensazioni, quel bussare alla porta nelle prime ore del mattino, e poi ho visto l’avvocato Antonio Mazzone, Andrea Daqua che per me non sono stati solo avvocati. Hanno lottato insieme a me per un ideale di giustizia, di rispetto, della dignità, della democrazia della nostra terra. Aspettavo questo riscatto, la mia realtà stava vivendo un paradosso. Monsignor Bregantini è venuto a fare il testimone, partendo con il treno da Campobasso e ha detto: “Attenzione, questa non è una storia criminale, è una storia profetica che indica al mondo un’altra soluzione”». Dopo la sentenza di primo grado c’è stato però qualcosa che è riuscito a dare speranza a Lucano. «È durata solo un giorno quella sensazione di sconforto, perché il giorno dopo, eravamo all’inizio di ottobre, perché la sentenza è arrivata il 30 settembre 2021, ho ricevuto una telefonata che mi ha cambiato completamente lo stato d’animo. Non lo so perché, ho avvertito che c’era quasi un raggio di luce in una storia con tante ombre. Luigi Manconi (sociologo ed ex senatore, ndr), mi chiama e mi dice che c’è un’indignazione generale per quella condanna che è una condanna che non è solo verso una persona, ma verso gli ideali che appartengono alla collettività e soprattutto appartengono anche alla dimensione dei nostri luoghi, della nostra terra. Io l’ho sempre vista sotto questo aspetto, io sono stato il tramite, però quello che volevamo contrastare è quel messaggio che dice attenzione, la soluzione umana prevale su quella disumana. La soluzione disumana non porta a nulla, porta solo a guerre, a odi, a razzismi, a commercio di armi. Manconi in quella circostanza si è fatto promotore di una raccolta fondi che era finalizzata al pagamento della mia multa, perché oltre agli anni di reclusione dovevo pagare anche una sanzione pecuniaria. Io mi sono rifiutato, perché non riconoscevo quella giustizia. Ho detto “questi fondi utilizziamoli per riavviare l’accoglienza” e così è stato. Il villaggio globale ha riaperto l’asilo, ha riaperto la mensa sociale, ha riaperto la scuola, il dopo scuola, la scuola per gli adulti, abbiamo riaperto la fattoria sociale che prima addirittura era stata considerata il luogo del reato penale per quanto riguarda il peculato».

      A chi ha dato fastidio Riace?

      «A chi ha dato fastidio Riace? Qualcuno – ha affermato Lucano – ha voluto sintetizzare dicendo così: “noi siamo Riace, loro sono Cutro”. Ecco, ancora oggi si scelgono i percorsi di deportazione per la soluzione dei migranti, di persone che, non dobbiamo mai dimenticarlo, sono vittime delle politiche dei Paesi occidentali e siamo noi che abbiamo imposto regimi, guerre, vendita di armi, abbiamo depredato quei territori, le persone che arrivano non è vero che arrivano per fare un viaggio perché sono migranti economici». Sul primo percorso ispettivo su Riace del governo, che in quella fase era di centrosinistra, Lucano evidenzia come in quel periodo si diceva che appoggiare Riace significava perdere consensi. «Perché, paradossalmente, i consensi li ha chi propone misure di ordine, di disciplina, di chiusura delle frontiere, di chiusura dei porti. Riace non è stato tutto questo, semplicemente ha proposto una soluzione partendo dai luoghi. Ancora oggi io dico, che rispetto alle deportazioni in Albania (Lucano si riferisce all’accordo Italia-Albania, ndr) la soluzione ideale sarebbe quella di riaccendere i paesi abbandonati della Calabria». «Ci sono tanti disoccupati nei nostri paesi – ha proseguito l’ex sindaco –. Addirittura quando io facevo il sindaco non c’era nemmeno il reddito di cittadinanza. C’è una realtà locale di autoctoni che vive condizioni di difficoltà e qual è la soluzione? Quella di andare via, andando via si desertificano i territori che rimangono dei luoghi dove c’è solo il silenzio. L’arrivo delle persone è stato vissuto con la consapevolezza che invece poteva esserci una rigenerazione dei luoghi, qualcuno l’ha definita un’accoglienza dolce che occupa gli spazi che non sono di nessuno. Se tutte le realtà disabitate, soprattutto le aree interne, le aree fragili calabresi, dessero la disponibilità di numeri piccoli, allora non si parlerebbe più di invasione, ma di una straordinaria opportunità. Una cosa che si sarebbe potuta fare in Calabria? Penso alla legge 18 del 2009 che prendeva spunto da questa economia sociale e solidale che in atto a Riace, poteva essere l’occasione per attuare delle politiche in cui l’Europa sarebbe dovuta stare attenta ad avviare dei processi legati al recupero delle aree abbandonate nelle campagne, per una nuova riforma agraria, per attività sulla zootecnica, su quelle che sono le risorse e le vocazioni dei territori».

      Cosa resta oggi del modello Riace?


      «Oggi a Riace non c’è la scuola – ha ricordato Lucano – non c’è l’asilo, c’è di nuovo quell’atmosfera di oblio sociale che prelude poi all’abbandono. Quando le comunità diventano questo, di fronte agli occhi ti appare solo un deserto, paesi fantasmi. Ecco, il mio impegno di questi anni è andato in questa direzione. Poi è arrivata la storia giudiziaria, il voler dire che non c’è altra soluzione se non quella di chiudere le frontiere, chiudere gli spazi, di considerare l’immigrazione solo come un problema, solo come un’invasione, solo come qualcosa che produce la paura, che giustifica misure di sicurezza. Riace è stato il paese pioniere di una nuova visione che ribalta totalmente il paradigma dell’invasione. E secondo me è qui che bisogna cercare il movente giudiziario che mi ha portato ad essere indagato. Credo che il neoliberismo a livello mondiale non gradisca il senso dell’umanità».
      Il futuro di Mimmo Lucano

      Ma c’è davanti a Mimmo Lucano un ritorno all’impegno politico diretto? «Quello che ho davanti – ha detto ancora l’ex sindaco di Riace – è qualcosa che non riguarda solo me, in tanti hanno sostenuto Riace come un’idea in cui si è ritrovata tutta l’Europa. Io sono stato tante volte in Germania, in Francia, in Spagna. Riace non è qualcosa che riguarda solo me, quello che dovrò fare, ma certamente è un messaggio politico. Io non so quello che farò, ma credo dipenderà dal contributo che potrò dare alla collettività ed è una decisione che prenderò insieme alle tante persone che hanno condiviso il mio percorso di sofferenza. Esistono tre possibilità per dedicarsi all’impegno politico e sociale: la prima è fare il sindaco, l’altra è impegnarsi per la Regione, per la nazione e per l’Europa, e poi c’è la militanza, che non prevede ruoli. È quella che mi affascina di più».

      Dopo Mimmo Lucano, nella seconda parte di Telesuonano, è toccato all’avvocato Andrea Daqua ripercorrere in maniera più approfondita la vicenda processionale dell’ex primo cittadino di Riace. «Cosa ho pensato quando ho sentito pronunciare la condanna a 13 anni e due mesi? Con il collega Giuliano Pisapia (ex sindaco di Milano che nel frattempo era diventato difensore di Lucano dopo la morte del professore Antonio Mazzone che aveva seguito dall’inizio la vicenda, ndr), abbiamo immediatamente qualificato quel dispositivo come aberrante, ma non in riferimento soltanto alla quantità smisurata, sproporzionata della pena, ma perché noi che avevamo seguito il processo, avevamo subito intuito che c’era un contrasto evidente tra quel dispositivo e il dato che era invece emerso dall’istruttoria. Poi questa nostra convinzione si è rafforzata quando abbiamo letto la motivazione che era più aberrante del dispositivo e, soprattutto, quando abbiamo ascoltato fonti autorevolissime del diritto italiano, giuristi di primo livello che erano completamente sganciati dal processo e non conoscevano nemmeno Lucano, che hanno spiegato perché quella sentenza era aberrante». Così Andrea Daqua che ha sottolineato come anche nel caso di Lucano, «le cause scatenanti o determinanti di un determinato processo possono essere molteplici, ma noi abbiamo il dovere di attenerci al dato documentale, al dato processuale e sulla base di questo abbiamo dimostrato che Lucano è stato vittima di un gravissimo errore giudiziario. Poi su come sia nato questo errore giudiziario o sulle motivazioni qua potremmo parlare interi giorni». Un errore giudiziario che, come spesso capita, travolge una persona, i suoi familiari e, nel caso di Lucano, una esperienza. Chi ripagherà questo danno? «Nessuno – ha dichiarato Daqua –, l’unico modo secondo il mio modesto parere per dare un senso a questo danno irreparabile che ha subito una persona perbene come Lucano, è quello di leggere le carte, di leggere il processo, di capire il perché di tante anomalie e studiare i rimedi possibili affinché ciò non accada più, perché quello che è successo a Lucano domani potrebbe succedere a chiunque. Allora qui è necessario che gli addetti ai lavori riflettano su questo procedimento e capiscano come anche alcuni strumenti processuali andrebbero rivisti».

      Il ricordo dell’avvocato Antonio Mazzone

      «La fortuna di Mimmo (Lucano, ndr) – ha detto ancora l’avvocato Daqua – è che è stato seguito all’inizio dal professore Mazzone, scomparso da tre anni. Io appena mi sono laureato sono entrato nello studio del professore Mazzone e non ne sono mai uscito, anche se poi ho aperto il mio studio. Però continuare a collaborare con lui, è stata veramente una fortuna perché dove arrivava lui nessuno di noi era in grado di arrivare. Appena Lucano mi ha fatto vedere la prima relazione prefettizia, che era uno dei supporti investigativi su cui si è appoggiato poi il costrutto accusatorio, io, convinto della bontà del suo modello, della sua onestà, gli ho detto: “sindaco io la aiuto, ma qui c’è qualcosa che va oltre. Noi dobbiamo parlare con il prof. Mazzone”. Cosa che da lì a qualche giorno abbiamo fatto e da quel momento in poi tutta la prima parte l’abbiamo seguita insieme. Mazzone è stato convinto dal primo minuto dell’onestà di Lucano e aveva ragione». Ma cosa avrebbe detto Mazzone dopo aver ascoltato le due sentenze? «Nel primo grado – ha risposto sorridendo Daqua – è meglio che io non lo dica. Nel secondo grado, avrebbe detto che giustizia è stata fatta. E’ chiaro che in questo processo il merito è del professore, perché quando lui è venuto a mancare noi eravamo già in una fase istruttoriale avanzata. Poi è intervenuto il collega Pisapia, che ringrazio per il modo con cui lui si è messo a disposizione».

      La precisazione sulla sentenza in Appello

      Sull’ultima sentenza in Appello, Daqua ci ha tenuto a fare una precisazione. «Sento spesso dire che è stata ridotta la condanna – ha affermato il legale – non è proprio così, Lucano è stato assolto per tutti i reati. Per un reato, che è una ipotesi di falso relativa a una determina, c’è stata la condanna. E anche su questa noi siamo assolutamente rispettosi della decisione della Corte, aspetteremo l’esito della motivazione, perché secondo noi anche quella determina è lecita, però chiaramente aspetteremo la valutazione della corte e poi valuteremo. Comunque, nel complesso, possiamo dire che il castello accusatorio si è sbriciolato, sono caduti tutti i reati che erano gravi come il peculato, l’associazione a delinquere e la truffa. Abbiamo dimostrato che diverse intercettazioni erano assolutamente non rispondenti al contenuto della effettiva dichiarazione». «Le intercettazioni – ha continuato Daqua – costituiscono sicuramente uno strumento processuale, ma va assolutamente rivisto in una prospettiva di rispetto verso il principio costituzionale di presunzione di innocenza».

      https://www.youtube.com/watch?v=NzLgnpZvtTk&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/11/16/mimmo-lucano-il-modello-riace-ha-spaventato-chi-non-guarda-ai-

  • Migranti, cinquemila euro per la libertà. È la cifra che verrà chiesta per non finire nei Cpr a chi arriva da Paesi sicuri

    Firmato il decreto delegato per la gestione delle procedure accelerate di frontiera. Chi può pagare non verrà trattenuto in attesa dell’esito della richiesta di asilo.

    Cinquemila euro per non finire in un Cpr. Adesso il governo Meloni si è inventata una sorta di cauzione da pagare per evitare il trattenimento previsto dal decreto Cutro per i migranti che arrivano da Paesi cosiddetti sicuri e dovrebbero essere rinchiusi in speciali centri per il rimpatrio nei luoghi d frontiera in attesa del rapido esame della richiesta di asilo.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2023/09/22/news/migranti_cinquemila_euro_liberta_cpr_paesi_sicuri-415419543

    #procédure_accélérée #frontières #Italie #détention_administrative #rétention #CPR #décret #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros

    • I richiedenti asilo paghino 5mila euro per evitare il Centro per il rimpatrio

      Decreto legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale, garanzia finanziaria per chi arriva

      Una garanzia finanziaria di quasi 5mila euro dovrà essere versata dal richiedente asilo che non vuole essere trattenuto in un Centro fino all’esito dell’esame del suo ricorso contro il rigetto della domanda.

      La prevede un decreto del ministero dell’Interno pubblicato oggi in Gazzetta Ufficiale che fissa a 4.938 euro l’importo che deve garantire al migrante, per il periodo massimo di trattenimento (4 settimane), «la disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale; della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi».

      La disposizione si applica a chi è nelle condizioni di essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura alla frontiera e proviene da un Paese sicuro. Allo straniero, si legge, «è dato immediato avviso della facoltà, alternativa al trattenimento, di prestazione della garanzia finanziaria».

      La normativa, già in vigore, prevede il trattenimento durante lo svolgimento della procedura in frontiera, «al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato», per i richiedenti asilo in una serie di casi. Il decreto - firmato, oltre che dal ministro Matteo Piantedosi, anche dai titolari di Giustizia (Carlo Nordio) ed Economia (Giancarlo Giorgetti) - richiama inoltre la direttiva del ministro dell’Interno dell’1 marzo 2000, in cui si dispone che «lo straniero, ai fini dell’ingresso sul territorio nazionale, indichi l’esistenza di idoneo alloggio nel territorio nazionale, la disponibilità della somma occorrente per il rimpatrio, nonchè comprovi la disponibilità dei mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona».

      La misura della garanzia finanziaria si applica al richiedente asilo direttamente, alla frontiera o nelle zone di transito, che è stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli e a chi proviene da un Paese sicuro «fino alla decisione dell’istanza di sospensione».

      La garanzia deve essere versata «in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata da terzi». Dovrà inoltre essere prestata «entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico». Nel caso in cui lo straniero «si allontani indebitamente - prosegue il testo - il prefetto del luogo ove è stata prestata la garanzia finanziaria procede all’escussione della stessa»

      https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2023/09/22/un-richiedente-asilo-paghi-5mila-euro-per-evitare-il-centro-per-il-rimpatrio_25
      #garantie_financière #garantie #pays_sûr

    • Cinquemila euro, il prezzo della libertà per i migranti

      Aprirà a #Pozzallo, in provincia di Ragusa, la prima struttura di detenzione dei richiedenti asilo. Come funzioneranno questi nuovi centri e la cauzione di cinquemila euro per uscirne

      “Nei mesi scorsi abbiamo chiesto di aumentare i posti per la prima accoglienza, così hanno costruito un nuovo hotspot a Pozzallo che può ospitare trecento migranti. Solo ora abbiamo capito che una parte di questo centro diventerà una struttura di reclusione per il rimpatrio accelerato di persone che arrivano da paesi considerati sicuri, in base a quanto previsto dal decreto Cutro”, spiega Roberto Ammatuna, sindaco di Pozzallo.

      Nella cittadina in provincia di Ragusa sarà aperto il primo centro di trattenimento per richiedenti asilo in Italia: ottantaquattro posti riservati a chi proviene da paesi definiti sicuri come la Tunisia. Realizzata in quaranta giorni, la struttura è formata da diversi container e si trova in un’area recintata con inferriate e filo spinato. Avrebbe dovuto aprire il 24 settembre, invece probabilmente sarà pronta il 27 settembre. “Al momento ci sono un centinaio di persone nell’hotspot, ma ancora nessuno nel centro di trattenimento per l’espulsione”, chiarisce Ammatuna.

      “All’inizio ho avuto dei dubbi su questo tipo di strutture”, spiega il sindaco, “specie perché l’hotspot a ridosso dell’area portuale ha 220 posti, ma oggi le persone ospitate sono più di quattrocento. Per me il governo dovrebbe investire sull’accoglienza. Ma ora non possiamo fare altro che collaborare e stare con gli occhi aperti per capire cosa succederà nel nuovo centro di Pozzallo”. Secondo Ammatuna, negli anni le strutture di detenzione hanno creato solo problemi, violando i diritti umani. “Io sono un sindaco di frontiera”, dice Ammatuna. “Vedremo che succede, ma staremo attenti al rispetto della dignità delle persone”.

      Trattenimento all’arrivo

      Il progetto pilota di Pozzallo è stato confermato dal ministro dell’interno Matteo Piantedosi, che il 24 settembre ha detto: “La prima struttura di trattenimento di richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri, come la Tunisia” servirà a “fare in modo che si possano realizzare velocemente, entro un mese, procedure di accertamento per l’esistenza dei presupposti dello status di rifugiato”.

      Ed è a questa struttura – non ai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) – che si applicherà il decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 21 settembre. Tra le altre cose, il testo prevede che un richiedente asilo possa evitare di essere recluso se è disposto a versare una fideiussione di circa cinquemila euro.

      “La garanzia non riguarda le persone nei Cpr, cioè i cittadini espulsi per irregolarità acclarata nella loro condizione di soggiorno o per pericolosità accertata”, ha chiarito Piantedosi.

      Quella di Pozzallo, ha proseguito il ministro, è “una scommessa” che prevede la possibilità di trattenere le persone, “l’alternativa è la garanzia anche di carattere economico per sottrarsi al trattenimento, se la cosa funzionerà e la porteremo avanti in maniera più estesa risolverà una situazione annosa”.

      Secondo Gianfranco Schiavone, esperto di accoglienza e presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste, “al momento c’è una grande confusione, gli annunci del governo sono lontani dalla realtà”.

      “La prima cosa da verificare è che questo trattenimento dei richiedenti asilo che provengono da paesi cosiddetti sicuri sia in linea con quanto previsto dalla legge e che sia autorizzato da un giudice”, spiega Schiavone. Il timore è invece che sia privo di base giuridica, “come ha dimostrato per anni la situazione nell’hotspot di Lampedusa”. Per questo l’Italia è già stata condannata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ricorda l’esperto.

      “Non basta il fatto di provenire da un paese considerato sicuro per essere trattenuti”, spiega Schiavone. A dirlo è anche la normativa europea, in particolare la direttiva 33 e la direttiva 32: la detenzione “non può essere automatica e generalizzata”. “Il semplice fatto di arrivare da paesi considerati sicuri non è un motivo sufficiente per giustificare la privazione della libertà”, sottolinea l’esperto.

      La cauzione

      Il decreto del 21 settembre introduce una cauzione di 4.938 euro per i richiedenti asilo che provengono da paesi terzi considerati sicuri, e che quindi hanno un’alta probabilità che le loro domande di asilo siano rigettate. Devono versarla se vogliono evitare di essere reclusi all’arrivo, come previsto dal decreto immigrazione del 19 settembre e dal decreto Cutro, approvato dal governo di Giorgia Meloni in seguito al naufragioavvenuto al largo delle coste di Steccato di Cutro, in Calabria, lo scorso febbraio, e convertito in legge a maggio.

      Uno dei punti principali del decreto Cutro era la creazione di centri di detenzione in cui fare un esame “accelerato” delle domande d’asilo, la cosiddetta “procedura di frontiera”. Secondo il testo, se un richiedente asilo arriva da un paese considerato sicuro dal governo sarà trasferito dall’hotspot in un centro di detenzione, in attesa che la sua domanda d’asilo sia esaminata. La procedura “accelerata” dovrebbe portare a una risposta entro 28 giorni. Al momento i paesi considerati sicuri sono quindici, tra cui la Tunisia, la Costa d’Avorio e la Nigeria.

      Fare una fideiussione bancaria di quasi cinquemila euro permetterebbe ai migranti di evitare la detenzione. La cifra è stata calcolata stimando le spese di alloggio per un mese, quelle quotidiane e quelle per il volo di rimpatrio, secondo quanto riportato nel decreto. Ma la misura è stata accusata di essere contraria alla costituzione e alle leggi nazionali e internazionali sul diritto d’asilo.

      Secondo il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, si tratta di “una norma manifesto, odiosa, ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che cancellano il diritto d’asilo e rendono le garanzie della difesa applicabili solo sulla carta, anche a causa dell’uso generalizzato delle videoconferenze, e delle difficoltà per i difensori di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo da assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda”.

      Con quest’ultimo atto il governo sembra voler fare concorrenza ai trafficanti

      Secondo Caterina Bove, avvocata ed esperta d’immigrazione dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), prevedere questa fideiussione è contrario ai principi della costituzione italiana sulla libertà personale: “La fideiussione richiesta è talmente alta che difficilmente un richiedente asilo potrà versarla. L’assenza di risorse finanziarie non può comportare il trattenimento, l’accoglienza dev’essere garantita a tutti, non solo a chi può permettersi di pagare. Questo è quello che dicono le direttive europee”.

      Bove dice che la Corte di giustizia dell’Unione europea si è espressa su questo: “In una sentenza del 14 maggio 2020 ha già escluso che un richiedente asilo possa essere trattenuto perché non ha le garanzie finanziarie richieste”.

      “Sfido a trovare una persona che arrivi dalla Libia, dalla Tunisia o dalla rotta balcanica, capace di attivare una fideiussione di quel valore in Italia o in qualsiasi altro paese nel tempo previsto dal decreto”, ha commentato Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci.

      “Con quest’ultimo atto”, conclude Miraglia, “il governo sembra voler fare concorrenza ai trafficanti, e non per proporre vie legali per venire in Italia, cosa che sarebbe auspicabile, ma chiedendo soldi per liberare i migranti dai centri di detenzione, proprio come fanno le milizie in Libia e non solo”.

      Cpr e rimpatri

      Il decreto approvato dal governo il 19 settembre prevede anche l’estensione della durata massima dei tempi di trattenimento degli stranieri nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).

      In Italia questi centri sono stati istituiti nel 1998 e nel corso degli anni sono stati gradualmente chiusi a causa di problemi strutturali e per le numerose denunce di violazione dei diritti umani e di trattamenti inumani. Ma dal 2o17 sono stati riaperti e c’è il progetto di espanderli. Il governo Meloni ha promesso di costruirne uno in ogni regione, suscitando polemiche e sconcerto negli amministratori locali, che conoscono i costi e i problemi sanitari e di ordine pubblico legati a queste strutture.

      Andrea Oleandri, direttore di Cild, che ha curato un rapporto sui Cpr definendoli Buchi neri, spiega che i centri sono stati gradualmente chiusi perché sono inefficienti e molto costosi: “L’ultimo bando di gara del ministero dell’interno ci dice che dieci centri per il rimpatrio costano allo stato più di cinquanta milioni di euro. Al momento ne sono attivi nove, perché nel frattempo il Cpr di Torino è stato chiuso. Noi l’abbiamo definito un affare, perché la gestione di questi centri è privata. E la detenzione amministrativa spesso è nelle mani di grandi multinazionali, che tagliano le spese a discapito dei servizi.L’anno scorso sono passate nei centri circa cinquemila persone e solo tremila sono state rimpatriate”.

      Nei Cpr finiscono le persone che sono trovate sul territorio italiano senza avere il permesso di soggiorno in regola. Nelle strutture si dovrebbe procedere alla loro identificazione ed eventuale espulsione. “Sono persone che non hanno commesso reati”, spiega Oleandri. La durata massima del trattenimento è stata più volte modificata, ma gli esperti sostengono che non abbia alcuna influenza sul tasso di rimpatri.

      Come spiega Oleandri: “La questione non è nei tempi, quanto nell’inutilità dei Cpr”. Secondo il rapporto di Cild, solo una persona su due fra quelle trattenute è rimpatriata, perché gli accordi di rimpatrio con i paesi di origine sono pochi, una situazione che prescinde dalla durata del trattenimento.

      “Nel 2014 il tempo massimo che si poteva stare in un Cpr era di diciotto mesi, ma il tasso di rimpatrio delle persone che ci finivano era del 50 per cento, come quando la durata era di novanta giorni. I migranti sono rimpatriati subito, se ci sono degli accordi. Altrimenti non si possono rimpatriare, quindi rimangono nel centro fino allo scadere dei tempi e poi sono rilasciati”, spiega Oleandri. “Trattenere persone che non sono rimpatriabili è inutile e anche illegittimo”, continua.

      “Sembra che il governo abbia ritirato fuori i Cpr in un momento di difficoltà per far vedere che sta facendo qualcosa sul tema dell’immigrazione, che tuttavia è molto più complesso e non c’entra molto con i centri d’espulsione”, conclude Oleandri.

      https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/annalisa-camilli/2023/09/26/centri-reclusione-migranti-cinquemila-euro

    • Turning the Exception into the Rule

      Citation:

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00. This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.
      (...)

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      https://seenthis.net/messages/1018938#message1023987

  • Migranti, l’idea di Biancofiore : “Costruire un’isola artificiale in acque internazionali”

    La senatrice centrista dice di ispirarsi all’#Isola_delle_Rose, e sulla fattispecie di quanto predisposto dall’Australia

    «Costruire, immediatamente, in acque internazionali un’isola artificiale nel Mediterraneo, una sorta di ’pit stop’ di approdo, sulla fattispecie dell’Isola delle Rose, dove realizzare un hub di accoglienza e salvezza, e di verifica se gli immigrati abbiano titolo a venire in Europa o siano clandestini». È questa l’idea, «sulla fattispecie - spiega - di quanto predisposto dall’Australia», lanciata dalla capogruppo al Senato Civici d’Italia-Noi Moderati-Coraggio Italia-Udc-Maie, #Michaela_Biancofiore, per gestire l’emergenza migranti.

    Sempre durante la trasmissione de La Verità ’Dimmi la verità’, Biancofiore osserva che si tratterebbe di agire «in accordo con l’Ue e l’Onu» e ricorda come la sua proposta sia «un pò quanto ha suggerito anche la Grecia: un luogo neutro di cooperazione internazionale nel quale, di concerto con la Croce Rossa internazionale e altre associazioni umanitarie, ci si possa prendere cura di questi disperati, farli approdare senza lasciarli annegare ma, allo stesso tempo, gli si prendano le impronte per le identificazioni e per valutare il loro diritto a chiedere ed ottenere asilo».

    «Chi non ha i requisiti - dice ancora - dovrà essere rimpatriato, come sottolineato dalla presidente Von der Leyen. Si impedirebbe così il dramma di Lampedusa o Porto Empedocle o altri luoghi rivieraschi del nostro Paese o della Spagna, della Grecia, di Malta e così via».

    «Benissimo quanto sta facendo la premier Meloni per fermare gli sbarchi di clandestini e per non far diventare l’Italia il campo profughi dell’Ue - aggiunge - Dobbiamo imprimere una vera svolta al fenomeno migratorio impedendo che i clandestini arrivino sulle nostre coste che sono, ricordiamolo, i confini dell’Europa».

    https://www.repubblica.it/politica/2023/09/20/news/emergenza_migranti_biancofiore_isola_artificiale-415161712

    Le projet auquel Biancofiore fait référence, l’#île_de_la_Rose :

    Pendant une courte période, la République espérantiste de l’île de la Rose (en espéranto : Esperantista respubliko de la Insulo de la Rozoj) a existé du 1er mai au 24 juillet 1968 en tant que micronation au large de la côte de la province italienne de Forlì dans la mer Adriatique.

    https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%8Ele_de_la_Rose_(micronation)
    #micro-Etat #micronation #Insulo_de_la_Rozoj

    #île #île_artificielle #Italie #migrations #asile #réfugiés #eaux_internationales #Méditerranée #externalisation #tri #catégorisation

    –-

    ajouté à la métaliste sur des #îles qui sont utilisées (ou dont il a été question d’imaginer de le faire) pour y envoyer des #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/881889

  • RIP Mario Tronti
    https://www.repubblica.it/politica/2023/08/07/news/mario_tronti_morto_politico_92_anni-410335343

    È morto a 92 anni Mario Tronti, politico e filosofo, una vita a sinistra. Già militante del Partito comunista italiano, Tronti è stato anche parlamentare. Eletto la prima volta al Senato nel 1992 con il Pds e, successivamente, nel 2013 con il Partito democratico. È scomparso questa mattina intorno alle 10 e 30 a Ferentillo, in provincia di Terni, conferma il dem umbro Pierluigi Spinelli.

    Si definiva un “rivoluzionario conservatore”, ma da alcuni anni si era allontanato dai riflettori della politica: «Sono in ritiro spirituale, nel monastero di Poppi, nel Casentino, retto dalle monache camaldolesi. Mercoledì compio 90 anni e questo passaggio bisogna farlo bene, sentirlo interiormente», disse a Repubblica in occasione del suo novantesimo compleanno. “La morte? L’attendo con serenità”, aggiunse. “Ho vissuto abbastanza. Spero tuttavia che sia un passaggio facile. Per dirla con Montaigne confido che la fine mi colga mentre sto coltivando le mie rape nell’orto".

    • Connaît vraiment celui qui hait vraiment. L’usine et la société, Mario Tronti, 1962.

      Mario Tronti, Michel Valensi
      https://www.cairn.info/revue-lignes-2013-2-page-143.htm

      La question du « populisme » hante la politique italienne (et européenne) depuis – et c’est l’analyse de Mario Tronti – « qu’il n’y a plus de peuple ». À quel moment ce concept-réalité s’est-il désagrégé et se peut-il qu’il se réagrège dans une société où la classe est devenue une catégorie sociologique ? « Je n’ai jamais plus oublié la leçon de vie apprise aux grilles des usines, quand nous débarquions avec nos tracts prétentieux qui invitaient à la lutte générale anticapitaliste, et la réponse, toujours la même, des mains de ceux qui prenaient ces bouts de papier et disaient en riant : “c’est quoi ? c’est du pognon ?” Telle était la “rude race païenne” », écrit Mario Tronti dans Nous opéraïstes. Le “roman de formation” des années soixante en Italie, Paris, Éditions de l’éclat, 2013, p. 24. « Peuple », parce qu’il y eut un « peuple communiste », dont l’Italie a témoigné, peut-être plus durablement qu’ailleurs en Europe, et dont la voix de Mario Tronti témoigne à son tour. Issu des milieux populaires romains, il sera l’une des figures les plus importantes de l’opéraïsme italien, au sein duquel s’est forgé ce style « scandé, ciselé, combatif, constant, agressif et lucide » (ibid., p. 19) dont il est l’héritier et qui donne à ses écrits une dimension quasi unique dans la prose politique du xx-xxi e siècle. Ce texte est une contribution à une discussion sur la question du « populisme » organisée par le Centro per la Riforma dello Stato. L’original italien a été publié dans la revue Democrazia e diritto, n° 3-4/2010.

      #Mario_Tronti #operaïsme

    • L’AUTONOMIE DU POLITIQUE CHEZ TRONTI, Toni Negri
      http://www.euronomade.info/?p=11938

      C’est à cette figure-là de l’histoire moderne, bien différente de la sienne, que j’étais, moi, profondément lié ; et je l’avais précisément appris d’Ouvriers et capital : il fallait suivre « l’histoire interne de la classe ouvrière », c’est-à-dire l’histoire de sa subjectivation progressive. Ce que je tentais de mettre en pratique, c’était le développement de l’intuition trontienne qui insistait sur la nécessité d’évaluer le degré de maturité auquel était arrivée la subjectivation de la force de travail, au point de – je cite Ouvriers et capital« compter vraiment deux fois dans le système de capital : une fois comme force qui produit le capital, et une autre fois comme force qui refuse de le produire ; une fois dans le capital, une fois contre le capital ».

      Ouvriers et capital, Mario Tronti (pdf)
      https://entremonde.net/IMG/pdf/entremonde-ouvriers_et_capital-tronti-livre-2-2.pdf

      #refus_du_travail #subjectivation #classe_ouvrière

    • "History has become small"
      Mario Tronti: I am defeated
      https://cominsitu.wordpress.com/2015/03/08/mario-tronti-i-am-defeated

      Under the soles of his shoes, you can still recognise the dirt of history. “This is all that remains. A mix of straw and shit by which we delude ourselves into erecting cathedrals to the worker’s dream.” Here’s a man, I say to myself, imbued with a consistency that bursts through in a total melancholy. It’s Mario Tronti, the most celebrated of the theorists of Operaismo. He has only recently finished writing a book on this subject: the origins of his thought, how it has changed and what it is today. I don’t know who will publish it (I would guess a decent publisher). I read a profound sense of despair. Like a chronicle of defeat articulated through the long agony of a past that has not yet passed at all, that refuses to die, but is no longer wanted.

      [...]

      How did your interest in Tai Chi start?

      Thanks to my daughter who loves and practices oriental culture. She would have wanted to become a nun, so she chose the same profound consistency in this world that I’ve only touched.

      Is there an element of unpredictability with children?
      Always: with individuals, just like with history.

      Did you expect that the story – I mean yours – would end this way?
      I always expect the best. Then come the knocks. Coming up against facts without an airbag can do you damage. I was a communist, marxist, operaista. Some things end. Some things last. I have learnt and applied the lesson of political realism: you can’t ignore the facts.

      And the facts today are indicative of a great crisis?

      Great and long. It concerns all of us a little, at many diverse levels. It’s lasted at least seven years and still nobody is able to tell us how to get out of it. We’re living in a time without epoch.

      What does it mean?
      It is our time, however it lacks an epoch: this period that has arisen and will continue into the future. History has become small, the daily report has prevalence: gossip, complaints, platitudes.

      #défaite #mélancolie_théorique (≠rien) #histoire #communisme

    • Partialité, initiative, organisation : les usages de Lénine par Tronti
      https://www.contretemps.eu/lenine-tronti

      Dans cette intervention, nous voudrons tenter un examen critique des usages de Lénine dans l’œuvre de Mario Tronti, en nous focalisant essentiellement sur les textes réunis dans Ouvriers et capital (1966), ouvrage central de l’expérience opéraïste classique telle qu’elle a été définie et délimitée par Tronti lui-même. Nous partons de l’idée que l’un des aspects les plus intéressants, sinon l’originalité principale de ce marxisme, a consisté dans l’affirmation de la centralité politique du travail. Affirmation théorique, mais qui est ancrée dans une situation sociale concrète : c’est au contact des jeunes générations ouvrières des années 60 et de leurs pratiques spécifiques d’insubordination que la pensée opéraïste découvre une subjectivité politique radicale à même le rapport social de production.

    • Un aventurier révolutionnaire dans l’interrègne. Mario Tronti (1931-2023)
      https://legrandcontinent.eu/fr/2023/08/08/un-aventurier-revolutionnaire-dans-linterregne-mario-tronti-1931-20

      Il est difficile de penser à une autre intelligence européenne qui soit passée de la culture du parti communiste et de l’horizon de la politique révolutionnaire — il était le cofondateur de l’influente revue Classe Operaia — à la participation parlementaire — en tant que sénateur du Partito Democratico — pour finir par un engagement profond dans la grammaire théologico-politique du christianisme occidental — allant jusqu’à professer une admiration univoque pour le pontificat de Benoît XVI, attitude théologique d’une gauche qu’on a pu qualifier de « marxiste ratzingerienne ». La pensée et l’activité politique de Tronti pourraient très bien être placées sous le signe de la figure de l’aventurier, c’est-à-dire de quelqu’un qui s’engage à prendre des risques, envers et contre toutes les mains tendues par le sens commun. Tronti gravitait en fait à cheval entre l’ethos de deux figures distinctes : l’aventurier preneur de risques et l’homme politique par vocation. Mais au fond de lui-même, il était convaincu que seule la première pouvait permettre à un homme politique passionné de s’acquitter véritablement de sa tâche.

      « Chez le Tronti tardif, la passion révolutionnaire devient une révocation de la politique moderne, sans pour autant renoncer au schisme contre la vie sociale comme condition préalable à la sérénité existentielle. » Gerardo Muñoz

    • « L’histoire, c’est eux, nous, c’est la politique ». Entretien avec Mario Tronti

      Mario Tronti (1931-2023), figure centrale de la culture marxiste de la seconde moitié du 20e siècle, est décédé le 7 août dernier. Dans cet entretien de 2016, inédit en français, il revient sur sa trajectoire militante et intellectuelle 👇

      https://www.contretemps.eu/mario-tronti-marxisme-operaisme

      Cet entretien a été conduit par Martin Cortes à Rome en février 2016 et fait partie de l’édition espagnole de La autonomía de lo político [L’autonomie du politique] (Buenos Aires, Prometeo, 2018). Il a été repris dans Jacobin America Latina le 8 août 2023. La traduction et les intertitres sont de Contretemps.

      https://twitter.com/SRContretemps/status/1690273066092244992

  • Tunisia, quei morti in mare lasciati a marcire nell’obitorio di #Sfax

    Scattate a fine aprile le foto mostrano mucchi di cadaveri a cui nessuno dà un nome né una sepoltura.

    A terra, sulle barelle, nelle body bag, nei sacchi. Corpi abbandonati su un pavimento di cui non si intuisce neanche più il colore, sporco com’è di sangue, fluidi, sabbia. Gettati via come cose, come immondizia, fino a riempire i corridoi, saturare le stanze, i depositi. Nell’obitorio di Sfax non c’è più spazio neanche per il rispetto della morte.

    https://i.imgur.com/V67bPeX.jpg

    (#paywall)

    https://www.repubblica.it/esteri/2023/06/10/news/tunisia_obitorio_corpi_naufraghi-403847398
    #Tunisie #décès #morts #mourir_aux_frontières #frontières #asile #migrations #réfugiés #morgue #cadavres #abandon #morts_aux_frontières

  • Migranti, #Piantedosi in Tunisia: rimpatri volontari assistiti per chi rinuncia ad attraversare il Mediterraneo
    https://i.imgur.com/5MHVfZz.png

    Nuova missione del ministro dell’Interno dopo quella annullata con la commissaria europea Johansson e i colleghi di Francia e Germania. Nessun sostegno economico in vista da parte di Fmi ed Europa, l’Italia può promettere solo nuovi mezzi per la Guardia costiera.

    Rispedire nei Paesi d’origine il maggior numero di migranti subsahariani arrivati in Tunisia per evitare che possano imbarcarsi per tentare la traversata verso l’Europa. È questo il nuovo obiettivo dell’accordo raggiunto oggi a Tunisi tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il suo omologo #Kamel_Fekih.

    (#paywall)
    https://www.repubblica.it/cronaca/2023/05/15/news/migranti_tunisia_piantedosi_visita-400168140
    #Tunisie #migrations #asile #réfugiés #externalisation #renvois #expulsions #accord #retours_volontaires #migrants_sub-sahariens #Matteo_Piantedosi

    ping @_kg_

    • Piantedosi in missione in Tunisia, obiettivo rafforzare la cooperazione sulla sicurezza e il contrasto ai trafficanti di esseri umani

      Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, si è recato in visita in Tunisia dove è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Kaïs Saïed, e ha incontrato il Ministro dell’Interno, Kamel Fekih.

      Al centro dei colloqui, il comune obiettivo di rafforzare la cooperazione sul piano della sicurezza e su quello del contrasto ai trafficanti di esseri umani.

      Durante gli incontri tenutisi oggi a Tunisi è stato più volte sottolineato come i rapporti tra i due governi siano solidi, fondati sulla leale collaborazione e sulla comunanza di vedute.

      L’Italia ha ben presente che la Tunisia sta facendo moltissimo per bloccare le partenze e contrastare i trafficanti, che mettono a serio rischio la vita dei migranti e la stessa incolumità dei soccorritori. In questo contesto si è discusso di implementare programmi congiunti di rimpatrio volontario assistito dalla Tunisia verso i Paesi di origine dei migranti.

      Gli sbarchi in Italia sarebbero molto più numerosi senza l’attività messa in campo dalle autorità tunisine che si trovano a contrastare un forte flusso dai Paesi sub-sahariani.

      Piantedosi ha espresso a Fekih “il pieno apprezzamento per il rilevante sforzo compiuto dalla Tunisia per sorvegliare le frontiere marittime e terrestri, per contrastare le reti di trafficanti e confiscare le loro imbarcazioni, per soccorrere in mare i migranti e riportarli sulla terraferma prestando loro assistenza”.

      Il sostegno dell’Italia al governo di Tunisi per il controllo delle frontiere terrestri e marittime è concreto e si sta realizzando per mezzo di piani di assistenza tecnica e forniture.
      Nel corso dell’incontro i due Ministri hanno condiviso un metodo di lavoro, e forme più intense di collaborazione sul fronte migratorio, anche sul piano investigativo.

      L’Italia è anche impegnata per il miglioramento delle condizioni e delle prospettive di vita della popolazione più giovane e per l’attivazione di canali legali di migrazione per istruzione/lavoro e per vulnerabili bisognosi di protezione internazionale. Ciò nel quadro di una cooperazione che affronti il fenomeno migratorio con un approccio globale.

      Lavorare tutti insieme, in collaborazione con l’Unione europea e le organizzazioni internazionali, per affrontare e governare i flussi migratori è fondamentale. L’Italia è grata alle autorità tunisine per l’impegno su questo delicato fronte, e sono già stati fissati ulteriori incontri a livello tecnico per proseguire con azioni congiunte in attuazione delle strategie elaborate.

      https://stranieriinitalia.it/attualita/piantedosi-in-missione-in-tunisia-obiettivo-rafforzare-la-cooperaz

  • Segregare e punire: il disegno politico brutale dentro il “decreto Cutro”

    Nonostante la pletora di emendamenti il quadro del provvedimento governativo appare definito: centri informali chiusi, procedure accelerate, smantellamento della protezione speciale, ostacoli alla conversione dei permessi di soggiorno in permessi per attività lavorativa. “Una strategia illegale e sconsiderata”, osserva Michele Rossi

    Per comprendere il testo del decreto legge 10 marzo 2023 (https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=19&id=1375360&part=doc_dc-allegatoa_aa), il cosiddetto “decreto Cutro”, occorre applicare con grande concentrazione le parole d’ordine gramsciane circa il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà (A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, 2014). Pessimismo dell’intelligenza perché siamo certamente di fronte al più violento e invasivo tentativo di sovvertimento di alcuni fondamentali istituti costituzionali, democratici e sociali della recente storia repubblicana.

    Non deve in tal senso ingannare il fatto il decreto legge riguardi “solo” migranti e “solo” norme che disciplinano l’immigrazione. È evidente che sottesa a tale disciplina risulta ben visibile un’idea di società e pur producendo un certo accanimento su uno specifico gruppo sociale -i migranti-, l’intento, nemmeno troppo malcelato, è di intervenire sui rapporti tra gruppi sociali: un’operazione di “ortopedia sociale” (M. Focault, Sorvegliare e Punire, Einaudi, 2014) volta a separare, segmentare, disgiungere le comunità, annichilirne la tensione, individuale e collettiva all’integrazione, alla coesione, allo stesso contatto interculturale. Il decreto opera -purtroppo con conseguenze drammatiche- innanzitutto sulle persone migranti, ma colpendo loro, frammenta il corpo sociale intero, con pesanti ripercussioni su tutti. Non si tratta nemmeno più di modelli di accoglienza, addirittura il paradigma securitario credo non basti a interpretarne la ratio e la filosofia di fondo, vedremo, ma di produrre condizioni di tale aleatorietà da rendere ordinario l’arbitrio, la deterrenza sistematica sino all’avveramento della profezia: non è possibile nessuna integrazione, solo marginalità e segregazione.

    Del resto, come proveremo ad argomentare, per immaginare un tale impianto andava raccolto e finalizzato un lungo periodo di semina culturale e nei fatti, la nuova costruzione normativa non poteva che ergersi su fondamenta feroci, una de-soggettivazione del migrante e la criminalizzazione della solidarietà sociale. Nonostante la pletora di emendamenti, frutto di una ben organizzata e accurata strategia, il quadro normativo e anche simbolico e culturale appare definito e spaventoso: centri informali chiusi, procedure accelerate, smantellamento della protezione speciale, ostacoli alla conversione dei permessi di soggiorno in permessi per attività lavorativa. In poche parole: segregare e punire. Una strategia illegale e sconsiderata, che ha chiaramente una pesantissima ricaduta sociale su persone, territori e comunità.

    Impotenza e aggressività
    Il “decreto Cutro” emendato, con le sue novazioni normative, non è infatti preciso ma piuttosto confuso e lo è forse, volutamente. Vuole, questo è chiaro, rendere non più esigibili che quei diritti che non può permettersi di negare apertamente, come (forse) vorrebbe. Per questo sembra più orientato a creare caos, paura e incertezza che a prescrivere e normare un qualsivoglia governo del fenomeno. La lettura consegna abbastanza nitido il tentativo di rendere organico un sistema di deterrenza: non puoi arrivare, se arrivi non puoi stare, se stai verrai recluso, non avrai il permesso di soggiorno e non potrai muoverti, se e quando potrai muoverti non troverai accoglienza, se la troverai avrai pochi servizi e sconterai il tempo che avrai passato ad attendere, non potrai lavorare regolarmente e renderti autonomo, se anche lavori non potrai convertire il permesso in lavoro: preparati ad essere sempre marginale e per te oltre allo sfruttamento, nessuna garanzia e nessun futuro.

    In estrema sintesi, e semplificando (ma nemmeno troppo) questo è il suo contenuto: si rivolge allo straniero e -con l’aggressività dell’impotenza (i promessi blocchi navali non sono stati in effetti realizzati)- promette sofferenza, spaventa, annichilisce il diritto ma anche la speranza. In questo senso la sua banalità non deve ingannare: è tanto più pericoloso quanto studiato frutto di una meticolosa applicazione.

    Dove possiamo colpire siccome non possiamo fermare? Dove possiamo ostacolare siccome non possiamo negare? Stupisce però che il governo abbia applicato la sua logica senza nessuna remora circa le conseguenze, in termini di sofferenza, illegalità, marginalità e quindi del prezzo di un tale impianto sulle vite individuali e sulla società tutta che questa operazione comporterà. Il messaggio sociale, culturale e simbolico è tanto più nascosto nelle pieghe di mille emendamenti quanto più è forte anche in questo senso, e suona come un monito: “Attenzione, siamo disposti a tutto”. Un monito che traduce un senso del potere sulla vita delle persone incondizionato e feroce.

    La “banalità” degli emendamenti
    In tal senso non deve nemmeno ingannare che una ipotesi così invasiva e violenta avvenga attraverso decine e decine di singoli emendamenti, che con il loro aspetto tecnico e procedurale parrebbero offrire una qualche forma di rassicurazione: “Non si può operare un tale sovvertimento attraverso emendamenti”; ossia cancellazioni e aggiunte di commi, frasi, parole. Lo strumento garantisce una operazione meno organica e meno frontale -come fu nel 2018 con i “decreti sicurezza”- e rischia di attenuare l’attenzione pubblica, di distrarla, specie i non addetti ai lavori. È piuttosto da ritenersi che anche questa sia una precisa strategia, già peraltro testata nei mesi scorsi nel processo di conversione del cosiddetto “decreto sbarchi”, in cui una serie di emendamenti che reintroducevano aspetti salienti dei “decreti sicurezza” del 2018 furono presentati in commissione Affari costituzionali dal parlamentare leghista Igor Iezzi, per poi essere dichiarati inammissibili per estraneità di materia e senza i requisiti di necessità e urgenza. Calare attraverso un’azione ordinaria contenuti che ordinari non sono, prevenire una reazione nella società civile, anticiparla sul tempo, farlo senza essere (troppo) visibili, lasciare conseguenze irreparabili.

    Deterrenza e paura reali
    Infine va osservato come il decreto legge che si avvia a essere convertito in legge dello Stato e a sfidarne l’ordinamento, rechi il nome della località dove si è consumata l’ennesima tragedia del mare: Cutro. È sintomatico e paradossale al tempo. Sintomatico perché, riferendosi al luogo di una strage sulla quale il governo ha una responsabilità per l’assenza dei soccorsi, rende manifesta, plastica, l’assenza di ogni limite alla politica di deterrenza imbracciata. In questo senso il nome suona sinistro perché riporta alla mente il mancato soccorso, i morti, lo spostamento delle bare senza interloquire con i familiari, il mancato omaggio della presidente del Consiglio alle vittime, i superstiti lasciati e abbandonati nel Cara di Sant’Anna, piantonati dalle forze dell’ordine. La stessa località è stata però anche -ed in questo senso che il decreto si intitoli Cutro appare invece paradossale- di una grande, continua e spontanea manifestazione di accoglienza dei cutresi e di tante comunità, paesi, amministrazioni della Calabria: dalla veglia delle vittime alla solidarietà ai superstiti, al blocco stradale per impedire il trasferimento coatto delle bare, alla manifestazione nazionale dell’11 marzo e a uno striscione, che, rivolto ai migranti tutti, vittime e superstiti, recitava: “La vostra speranza è la nostra speranza”. Quella speranza che il decreto vuole colpire e che i cittadini di Cutro e della Calabria hanno invece scelto per riconoscere nei migranti ciò che ci unisce. Ed è questo che il decreto, in ultima istanza, vuole intaccare.

    Carichi residuali
    Molto diverse da queste parole, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, mentre ancora erano in corso le operazioni di recupero dei corpi delle vittime, quelle del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che non riconosce “speranza” nei migranti ma una mancanza, precisamente di responsabilità. Lui non si rivolge direttamente ai migranti come invece faranno i cutresi, parla in prima persona, ma traccia un distinguo, morale, un solco incolmabile tra chi come lui, il ministro dice,“educato alla responsabilità” non avrebbe messo in mare, nelle mani degli scafisti i figli e chi lo ha fatto. Questa affermazione ben rappresenta a mio parere, lo spirito che informa il decreto che sopra abbiamo provato a interpretare. La strage, si intende, è colpa di chi, irresponsabile e non educato alla responsabilità, ha messo i figli in mare. La frase ha provocato, per la violenza e brutalità che esprime, forti reazioni; ma non è evidentemente un’esternazione sconsiderata. Le parole del ministro “disumanizzano” i migranti, che lo faccia a fronte dei corpi delle vittime, le rende solo più odiose, ma a ben vedere che cosa vuole trasmettere il ministro? Che non c’è società comune possibile senza “educazione”, senza il rispetto dei figli, senza responsabilità, non c’è futuro possibile “con” i rifugiati, essi non sono persone ma una categoria indistinta, non “educata” alla responsabilità, una minaccia quindi che va contenuta con ogni mezzo. Pochi mesi prima si era infatti rivolto a loro definendoli “carico residuale”. Ci siamo “noi”, categoria morale, e “loro” categoria immorale, che non hanno i medesimi attributi di umanità, che hanno la colpa della strage. Altri esponenti del governo avrebbero infatti parlato in quei giorni di mancato “rispetto di sé e della vita”. E come si può costruire una comunità con chi non ha rispetto “per sé e per la vita”, “responsabilità verso i figli” che appaiono essere i presupposti necessari per una convivenza civile?

    Privare
    Forse più queste affermazioni che singoli emendamenti riescono a restituire, perché ne sono coerente espressione, il disegno complessivo del decreto. Ma appunto vi è coerenza e continuità, le esternazioni pubbliche rompono la patina burocratica e banale del lavoro tecnico di scrittura di commi, articoli e rimandi. Tuttavia quegli emendamenti non potrebbero essere stati scritti se non avendo in mente “carichi residuali”, “non-persone” cui attribuire vigliaccamente la colpa della loro stessa morte per mancanze strutturali che li rendono definitivamente e senza appello, “altro” da noi, corpi estranei, da espellere, impossibilitati a vivere in comunità. Sironi, in un importantissimo saggio sulla tortura (Sironi, Françoise, Psychopathologie des violences collectives, Odile Jacob, 2007), scrive “privare i migranti del riconoscimento dei fattori storici e politici in cui prende corpo la migrazione, significa negare ai migranti quelle dimensioni cruciali nelle negoziazioni identitarie e nelle più ampie trasformazioni sociali che li implicheranno in qualità di nuovi cittadini”. È esattamente questo il punto. Esternazioni e decreti concordano invece su questa linea: negare i fattori storici e politici in cui la migrazione prende corpo. Per prima cosa infatti dobbiamo affermare che il decreto del 10 marzo 2023 lascia invariate due premesse: non sono possibili arrivi legali e canali sicuri e il solo modo di regolarizzarsi resta, nei fatti, l’asilo politico. Però non ci sono “veri” rifugiati e le liste dei Paesi sicuri aumentano irragionevolmente. Una scelta che nega la realtà attuale: guerre, persecuzioni, regioni non più abitabili, più di 100 milioni di rifugiati globali, il trionfo delle organizzazioni del traffico che prosperano sulla chiusura dei confini europei, i sanguinosi patti con Libia e Turchia.

    Segregare: l’assalto alla libertà dei richiedenti asilo
    Costretti a una migrazione forzatamente illegale, quindi a manifestarsi come presenza indesiderata e minacciosa dell’equilibrio sociale, economico, finanche “etnico” del Paese di approdo, il migrante è anche costretto a chiedere asilo, costituendo questa l’unica via -per poi dover sottostare a una complessa procedura burocratica di legittimazione della propria presenza e a un esito assai incerto rispetto il riconoscimento di una forma di protezione-.

    Il quadro che si sta delineando appare infatti molto peggiore anche di quello tracciato nel 2018 dai famigerati “decreti sicurezza”, perché entra in gioco oggi -ancor più violentemente- il tema della limitazione della libertà personale dei richiedenti asilo. Se, ad esempio, nel 2018 la riforma sovvertiva il sistema di accoglienza affermando la centralità dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), ridotti a mero parcheggio, senza servizi di integrazione e senza nemmeno il rispetto degli standard minimi europei; essi oggi rischiano di essere “superflui”, perché comunque aperti, ovvero senza limitazione della libertà personale dei richiedenti. Oggi il Governo Meloni preconizza, con la nozione vaga di “punti caldi/punti di crisi” (hotspot), centri di detenzione informale in cui condurre sia le procedure di identificazione sia l’esame, accelerato, delle domande di asilo. Non più quindi luoghi di transito ma di detenzione informale. Come osserva Gianfranco Schiavone va infatti ricordato che “l’ordinamento italiano continua a non prevedere alcun intervento dell’autorità giudiziaria sul presupposto della detenzione negli hotspot e sulla condizione della stessa”. Il governo sceglie la direzione opposta, intendendo sfruttare al massimo questa mancanza di garanzia, gli hotspot divengono da luoghi di identificazione e transito, centri informali di detenzione, utili sia all’identificazione sia all’esame, accelerato, della domanda d’asilo.

    Segregare: l’estensione indebita della frontiera
    È attraverso questa risignificazione dei vaghi e opachi “punti di crisi/punti caldi” che il governo, ignorando il dettato costituzionale sul trasferimento delle funzioni amministrative ai Comuni, si appresta a estendere indebitamente la nozione di “frontiera” sin dentro città e paesi, anche molto lontano da porti e confini terrestri e, in questo spazio sospeso e indefinito, a tracciare il solco e innalzare i muri che separeranno italiani e stranieri, presenze legali e “illegali”, dentro e fuori. Gli emendamenti al “decreto Cutro” prevedono un ampiamento delle casistiche cui applicare la procedura accelerata di esame della domanda di asilo (o procedura “di frontiera”) tale da ricomprendere nei fatti ogni casistica possibile. Il decreto prevede anche la moltiplicazione degli hotspot sul territorio nazionale. Sino ad oggi le procedure di esame accelerato, in frontiere erano limitate a pochissime fattispecie. È un cambio di paradigma: negli hotspot non solo la procedura di identificazione ma anche l’esame della domanda d’asilo, con la possibilità di estenderne -evidentemente- i tempi di permanenza. È la genesi di un nuovo sistema concentrazionario. Infatti ritorna anche, dal testo dei “decreti sicurezza”, l’impossibilità per i richiedenti asilo di accedere al sistema pubblico di accoglienza integrata e diffusa (Sai, già Sprar). Tale sistema ritorna quindi in versione Siproimi, a essere esclusivo per i soli, pochi, cui verrà riconosciuta la protezione internazionale. Tramonta l’idea di costruire la protezione e l’integrazione sin da subito, attraverso la prossimità relazionale del contatto nelle comunità e attraverso la libertà di movimento dei richiedenti asilo.

    Punire: la spietata logica dei grandi centri chiusi
    Una recente e fondamentale inchiesta di Altreconomia, condotta da Luca Rondi e Lorenzo Figoni, ha squarciato il velo sulle condizioni di vita dentro i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). L’articolo s’intitola significativamente “Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani”. I Cpr, pur teatro di un crescente numero di gesti autolesivi, suicidi, violenze e danneggiamento delle strutture, sono stati recentemente oggetto di uno stanziamento economico imponente (quasi 46 milioni di euro) per potenziarne -sempre seguendo la logica della paura e della deterrenza percorsa dal governo- il funzionamento e anche in questo caso, la diffusione sul territorio nazionale. Si intravede un’ipotesi: segregare il migrante sin dal suo arrivo e in caso di diniego passare direttamente da hotspot a Cpr. L’inchiesta di Altreconomia, dati alla mano, mostra l’abuso di psicofarmaci dentro le strutture, utilizzati sistematicamente per disciplinare migranti costretti all’inattività forzata, senza personale cui rivolgersi e nessuna attività da svolgere.

    In un’intervista rilasciata al giornalista Franz Baraggino e pubblicata su ilfattoquotidiano.it, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, ha commentato: “Avere più Cpr non serve a niente, se non a dare il messaggio simbolico del ‘li teniamo chiusi qui’, nient’altro”. Lo stesso Garante ha aggiunto che “in quei posti le persone cambiano e quando ritornano nelle nostre comunità, come il più delle volte accade, sono peggiorate […] i comportamenti di insofferenza acuta sono il prodotto di uno spazio dove non sei nulla, non fai nulla e nulla avviene, salvo rimuginare sul proprio destino, che è un destino di fallimento, quello del rimpatrio”. Complessivamente nei Cpr transitano circa 10mila persone all’anno, il 2% del totale degli irregolari, e contribuiscono per il solo 50% (circa 3.000) ai complessivi 6.000 rimpatri che avvengono in media ogni anno. Senza accordi bilaterali, il rimpatrio è per molti più una minaccia che una realtà. A fronte dell’inefficacia dello strumento, a fronte dei suoi costi e della sofferenza che genera, il governo invece investe su questa forma di detenzione per le persone “espulse”, per un’irregolarità appositamente creata.

    Sin dagli anni 90 del secolo scorso la letteratura scientifica è concorde sull’individuare nei centri di detenzione amministrativa, siano strutture adibite al rimpatrio come i nostri Cpr o le strutture di confinamento e segregazione dei richiedenti asilo come gli hotspot, luoghi con alta incidenza di problemi psichiatrici psicologici, di perdita della salute organica e delle risorse psico-sociali per affrontare la vita lavorativa e sociale una volta usciti dal centro (Loutan, Louis, et al. “Impact of trauma and torture on asylum-seekers.” The European Journal of Public Health 9.2 (1999): 93-96.). Allora perché farne sistema? La domanda è chiaramente retorica.

    Punire: lo smantellamento della protezione speciale
    Largamente anticipati da un sinistro rumore di fondo che ha ricordato il precedente assalto alla protezione umanitaria (2018), un rumore di fondo sorretto dalla mistificazione che affermava essere la protezione speciale una anomalia solo italiana; gli emendamenti al “decreto Cutro” hanno infine smantellato anche tale protezione. Non potendo privarla dei riferimenti a convenzioni e norme internazionali (Cedu), il governo -altro esempio di logica deliberatamente punitiva- ha scelto di confondere le competenze per il rilascio, ostacolandone l’ottenimento, che rimane sulla carta possibile ma nei fatti arduo. Se sino a oggi il percorso di ottenimento appariva ragionevole e chiaro, ora non lo è più, precipitato nel conflitto di competenze tra questure e commissioni territoriali. Preme sottolineare che questa ennesima e antieconomica previsione colpirà in special modo coloro che per varie ragioni stanno compiendo passi decisivi per un percorso di integrazione sociale e lavorativa, cui ha dato principio nonostante gli ostacoli precedenti.

    Conclusione
    Abbiamo provato a ricostruire il messaggio culturale, simbolico e -almeno per alcune misure- le conseguenze concrete, di quanto previsto dal decreto legge del 10 marzo 2023 e dei suoi numerosissimi emendamenti che ne definiranno la conversione in legge, prevista entro i primi dieci giorni di maggio. Per quanto molti dei suoi contenuti siano di difficile applicazione ed è prevedibile un’imponente mole di controversie legali, abbiamo creduto importante analizzarne gli intenti, cercando di osservarne il disegno per comprendere quale intenzioni ed obiettivi hanno mosso il legislatore in una così radicale sfida all’ordinamento giuridico, ai diritti, a istituti sociali e conquiste culturali.

    Tra queste, certamente colpisce, a 45 anni dalla “Legge Basaglia”, il ritorno a strutture concentrazionarie per segregare un determinato gruppo sociale, oggi i migranti, privati della loro libertà per la colpa di sfidare con determinazione, disperazione o -come riconosciuto dai cutresi- speranza, il divieto imposto dall’Europa e dall’Italia a poter vivere in pace e sicurezza. Per articolare in legge questo che è un discorso politico e culturale “estremo” che nega sia ai migranti il riconoscimento delle cause in cui si è prodotta la migrazione, sia alla società italiana la propria storia e le sue conquiste democratiche e sociali (tra esse ricordiamo solo la chiusura dei manicomi, delle classi speciali), il governo investe su un decisivo salto di qualità in strumenti e pratiche di segregazione, confinamento e marginalizzazione dei migranti, sino al punto di limitare la libertà personale. Un salto di qualità atto a impedire il contatto, la solidarietà e orientato a impedire l’integrazione sociale e lavorativa, la convivenza interculturale basata sui diritti.

    Vincolato da Costituzione, trattati internazionali, norme superiori, il governo propone allora un disegno “banalmente” tecnico nella forma (gli emendamenti) quanto feroce nella sostanza. Tanto più feroce quanto più impotente a fronte dei cambiamenti epocali che stiamo collettivamente attraversando, cercando nella deterrenza e nella minaccia ai gruppi sociali più fragili, la misura della propria forza e assumendo una postura punitiva, inutile se non a produrre evitabili sofferenze individuali, tensioni sociali improduttive e costi economici e sociali per le generazioni future.

    L’iniziale citazione di Antonio Gramsci è stata trattata solo per metà, quella relativa al pessimismo dell’intelligenza. In conclusione è il tempo invece della seconda parte, l’ottimismo della volontà. C’è ragione di credere che un disegno -quello tracciato dal decreto- così povero di futuro e così meschinamente abbarbicato sulla deumanizzazione dei migranti, sia rigettato dalla società, sia reso inapplicabile nella quotidianità, nelle relazioni interpersonali e sociali, prima ancora che nelle aule dei tribunali, iniziando una grande stagione dove italiani e migranti insieme affermino uniti l’inviolabilità dei diritti di tutti e tutte e la libertà di costruire insieme il futuro che ci attende.

    https://altreconomia.it/segregare-e-punire-il-disegno-politico-brutale-dentro-il-decreto-cutro
    #décret #décret_Cutro #decreto_Cutro #Italie #migrations #asile #réfugiés #loi

    • Italy: New law curtails migrants’ rights

      For migrants in Italy getting special protection status can be life-changing. But lawmakers have now approved a law severely restricting access.

      Italy’s parliament recently greenlighted a controversial decree to crack down on irregular migration. Known as the Cutro decree — in reference to the southern town in Calabria where more than 90 people died in a shipwreck last February — the legislation severely limits a special protection status Italian authorities can grant to migrants who do not qualify for asylum.

      Italy has recorded more than 42,000 irregular arrivals since the beginning of 2023, almost four times as many as in the same period last year and the Italian government claims special protection incentivizes migrants to start dangerous trips to the country.

      “Special protection creates attractive conditions for immigration and we will eliminate it,” said Nicola Molteni of the right-wing League party, whose currently serving as the undersecretary at the Interior Ministry.

      Agriculture Minister Francesco Lollobrigida, from Prime Minister Giorgia Meloni’s far-right Brothers of Italy party, recently sparked controversy, warning against the “ethnic replacement” of Italians by migrants, a notion widely regarded as racist.

      Before the decree, people offered special protection status could live in Italy for two years, renew their residence permit and convert it into a working permit. It was granted to asylum seekers who risked being persecuted in their country of origin, those fleeing war and natural disasters, as well as those with family ties or high levels of economic integration in Italy.
      What changes with the new migration rules

      Now, all that has changed. While special protection remains available for those at risk of torture, inhumane treatment or systematic rights violations in their home nation, the new law narrows access by scrapping criteria based on family links or economic integration.

      “If a person is not at terrible risk in their home country, but in the meantime has started a family or had children in Italy, the commission [assessing residence status] will not take this into account,” explains Paolo De Stefani, a professor in international law at the University of Padova.

      People fleeing natural disasters or seeking treatment for severe medical conditions will also see their access to special protection restricted. Most importantly, however, it will not be possible for them to convert it into a work permit.

      Language courses and legal advice will also be scrapped in reception centers.

      Things will change, too, for unaccompanied minors. They are still entitled to special protection permits until they turn 18; they can extend it for one more year, but cannot convert it into a work permit.

      “This means killing the prospects of integration for people arriving in Italy at a very young age,” said De Stefani. “What type of educational path will be imagined for those with such prospects?”

      In contrast with the otherwise restrictive nature of the law, the law offers a new possibility for victims of forced marriage to apply for special protection.

      Migrants fear for their future

      While those who already benefit or who have already requested special protection will not be affected by the new legislation, many agree the climate towards migrants has become more harsh.

      Sarja Kubally, a Gambian national currently under special protection, says Italy has not been the same since a new government headed by the far right came to power.

      “I am thinking of leaving, I am happy here, but now I am afraid of staying with this situation,” he told DW.

      Although Kubally is confident he himself will get a work permit, he fears others will miss out on opportunities he benefited from.

      “Special protection really changes your life. It allows you to work, to study. You can do many things and give back,” Kubally said. “If someone needs help, you need to help them, not make it even harder for them. We should put humanity first.”

      The uncertainty for Ali, who asked not to use his real name for security reasons, is far greater. The Pakistani national, who spent four years in Greece where he maintains local authorities did not accept his asylum claim, has been living in Italy since 2021. He now has a three-year work contract and is learning Italian, but his asylum request was recently rejected. He is now appealing the decision. Should his bid be turned down again, Ali will not be able to apply for special protection under the new rules.

      “I lost four years of my life in Greece, but here in Italy I am well integrated, I have a job, I want to stay here,” Ali told DW. “Well-integrated people should be allowed to stay. I haven’t thought about [what I would do if I couldn’t access special protection]. Going back to Pakistan is unthinkable.”

      Less special protection, more precariousness

      Italy has always provided special protection, except from 2018-2020 when former Interior Minister Matteo Salvini scrapped it temporarily . Though Prime Minister Giorgia Meloni claims otherwise, Italy is not the only country which offers this type of protection. Though different terminology is used, 18 other states in Europe provide similar special protections.

      Critics warn restricting access to special protection will push more migrants into an undocumented life outside the law and rob vulnerable people of fundamental rights — especially as the move follows another decree which limits the work of nonprofit rescue ships operating in the Mediterranean, and Italy last month declaring a six-month state of emergency to curb migration flows.

      Valeria Carlini, a spokesperson for the Italian Council for Refugees, says the law will not only harm people seeking protection but also local societies, where migrants have begun building a life and contributing to the socioeconomic fabric.

      Law professor De Stefani believes the legislation ultimately undermines integration — especially for irregular migrants — and aims to put an emergency band-aid on migration flows. “People will have poorer conditions in Italy and eventually seek better protection and living standards in other European countries,” he said.

      Like many of her predecessor governments, Meloni has been demanding more solidarity and better coordination among EU countries to tackle migration flows.

      “This law might be seen as the latest maneuver to pressure Europe into seriously tackling migration issues, but it is betting with someone else’s life,” said De Stefani.

      https://www.infomigrants.net/en/post/48834/italy-new-law-curtails-migrants-rights

    • La doppia morte dei naufraghi di #Cutro

      1.

      In un documento redatto dall’associazione di magistrati Area sul “#decreto_Cutro” appena prima dell’esame della Camera dei Deputati, si legge questo interrogativo: «cosa spinge il legislatore a credere che blocchi navali o i finanziamenti di regimi autoritari possano fermare persone che hanno attraversato il deserto per fuggire a guerre, violenza insopportabile, distruzione, persecuzione, ripetute discriminazioni e che cercano protezione in quei Paesi che hanno fatto della protezione internazionale e del rispetto della dignità una regola fondamentale e immutabile della loro civiltà?» (https://www.areadg.it/comunicato/non-chiamiamolo-decreto-cutro). Nel frattempo il decreto legge è stato convertito, senza alcuna modifica da parte della Camera ove il Governo ha posto la fiducia, nella legge 5 maggio 2023 n. 50.

      Dopo la tragedia di Cutro (94 morti di cui 36 bambini, ma vi sono altri dispersi) chiunque si sarebbe aspettato che il Governo, seppure dalla sua posizione di chiusura, mettesse mano alla legislazione vigente focalizzandosi su due questioni generali irrisolte: la prima questione riguarda come riformare la normativa in materia di ingressi per lavoro in modo da aprire canali di ingresso regolare, come lo stesso Governo ha più volte annunciato di voler fare; la seconda riguarda la possibilità di introdurre procedure di ingresso protette/sicure, finora non esistenti, per consentire a una parte dei rifugiati che intendono arrivare in Italia di poterlo fare attraverso canali appunto protetti. In entrambi i casi le due diverse auspicate normative, oltre a salvare vite umane, avrebbero avuto il non secondario effetto di sottrarre alla criminalità organizzata delle quote di merce umana. Eppure la legge n. 50/2023 non è intervenuta su nessuna di queste due questioni fondamentali: né sugli ingressi per lavoro, né sugli ingressi per asilo.

      Sulla materia degli ingressi per lavoro il decreto legge n. 20/2023, poi convertito in legge, è intervenuto su due aspetti: la programmazione generale degli ingressi e la formazione all’estero. Sul primo punto la nuova disciplina prevede «la predisposizione ogni tre anni – salva la necessità di un termine più breve – del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione» e «la definizione con dPCM annuale delle quote di ingresso, con possibilità di adottare ulteriori decreti in corso d’anno, sulla base dei criteri generali adottati nel documento programmatico». Ciò, peraltro, era già contemplato, con minime differenze, dalla normativa e l’unica modesta innovazione riguarda la modifica all’art. 21 del TU Immigrazione secondo cui «può essere autorizzato l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, di stranieri cittadini di Paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto intese o accordi in materia di rimpatrio». Nulla viene modificato in relazione al problema di fondo che produce da oltre vent’anni l’irregolarità in Italia, ovvero l’impossibile incontro a distanza tra offerta e domanda di lavoro che costringe i lavoratori stranieri a entrare in Italia irregolarmente, o a entrarvi regolarmente – se provenienti da paesi per i quali non è richiesto il possesso di un visto – e poi rimanere a soggiornare irregolarmente e lavorare in nero in attesa che un provvedimento di emersione o un decreto flussi, come quello emanato dal Governo il 26 gennaio 2023 per 82.705 posti di lavoro (a fronte di 240.000 domande presentate) permetta loro di regolarizzare ex post la loro posizione di soggiorno. Paradossalmente la nuova norma non prevede neppure l’abrogazione della preventiva verifica dell’indisponibilità di lavoratori italiani o stranieri già presenti in Italia prevista quale condizione per il rilascio dei nulla-osta al lavoro richiesti da datori di lavoro per l’assunzione dei persone chiamate a svolgere le prestazioni indicate nel decreto sulle quote: si genera così ancora una volta una palese contraddizione in quanto la programmazione è (o meglio dovrebbe essere) fondata sull’analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali previo confronto con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. È quindi irragionevole che l’assunzione dall’estero per la medesima mansione sia condizionata da un’ulteriore verifica da parte del centro per l’impiego della indisponibilità di altri lavoratori che siano già in Italia. La mancanza di modifiche sostanziali, coperta da modificazioni solo linguistiche, è visibile in modo evidente nell’art. 23 TU immigrazione che prevede la possibilità di realizzare attività di istruzione e di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi di origine finalizzata all’inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani. Si tratta anche in questo caso, di una previsione che esisteva già, solo con diversa epigrafe. L’unica modifica significativa riguarda la possibilità che il Ministero del lavoro promuova «la stipula di accordi di collaborazione e intese tecniche con soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e dei servizi per il lavoro nei Paesi terzi di interesse per la promozione di percorsi di qualificazione professionale e la selezione dei lavoratori direttamente nei Paesi di origine» (art. 23 comma 4 bis); l’ingresso dei lavoratori che hanno effettuato i corsi avverrebbe in tal caso in deroga ai limiti quantitativi previsti dalla programmazione delle quote di ingresso. Si apre così la possibilità di una selezione delle braccia da parte di grandi agenzie che decideranno di organizzare corsi di formazione per reperire la propria mano d’opera all’estero, ma non la possibilità per i lavoratori stranieri che hanno effettuato con successo dei corsi di formazione all’estero (magari nell’ambito di programmi di cooperazione allo sviluppo, del tutto esclusi) di ottenere un visto di ingresso per ricerca di lavoro in presenza dei requisiti economici, posseduti dagli stessi lavoratori o forniti da terzi, necessari a mantenersi in Italia per un primo periodo. Se così fosse stato la legge avrebbe dato avvio a una pagina nuova che non si è voluto in alcun modo aprire. Il messaggio è chiaro: nessuna riforma del sistema degli ingressi doveva essere effettuata.

      Se sul versante degli ingressi per lavoro il Governo ha finto di aumentare i canali di ingresso regolari, per ciò che riguarda gli ingressi per asilo non ha neppure finto: nulla infatti è stato proposto se non dichiarazioni di elogio all’esperienza dei corridoi umanitari, realizzati però non dal Governo ma da enti umanitari. Le persone morte nella strage di Cutro, come in molte altre tragedie, erano in larga parte stranieri che fuggivano da situazioni di persecuzione e violenze in Afghanistan, Siria, Iraq e altri paesi e che cercavano asilo in Europa. La loro partenza dalla Turchia e la scelta della rotta marittima erano legate alla necessità di evitare, almeno per i soggetti più deboli (quali donne e minori), la via terrestre, ovvero la famigerata rotta balcanica segnata da continue violenze e respingimenti, dalla Grecia fino alla Slovenia. Sotto questo profilo la strage di Cutro rappresenta una tragica sintesi dell’ecatombe in atto lungo le rotte migratorie, sia via mare che via terra. Un decreto legge che nasce quale risposta a quella strage, come detto in premessa, avrebbe dovuto affrontare il nodo di come introdurre procedure e criteri in base ai quali i cittadini stranieri con bisogno di protezione internazionale possano entrare in Italia in modo regolare e protetto, autonomamente o usufruendo di programmi pubblici. Anche su questo versante erano state avanzate diverse interessanti proposte, ma sono state tutte rigettate.

      C’è una terza questione che la legge n. 50/2023 non affronta: la materia dei soccorsi in mare considerata la tardività e inefficacia dimostrata nel caso specifico e, in particolare, la non chiarita ragione per cui, pur informate dei fatti, le autorità competenti sono intervenute agendo attraverso modalità riconducibili a un’operazione di polizia e non a quelle di un operazione di ricerca e soccorso, come richiesto dalla normativa internazionale (https://www.asgi.it/notizie/naufragio-cutro-associazioni-depositano-esposto-collettivo-in-procura). A ben guardare però la materia del soccorso in mare è già regolata da precise norme di diritto internazionale recepite dall’Italia e non c’è bisogno di alcuna nuova disciplina per evitare le tragedie come quella di Cutro, che, semmai, avvengono a causa di prassi e forzature finalizzate e eludere o indebolire gli obblighi di soccorso. Di fronte a una tragedia avvenuta in un’area geografica non presidiata dall’intervento di ONG il Governo italiano non ha potuto coprire le proprie carenze gettando la colpa sulle odiate organizzazioni umanitarie. Alla caccia di qualcosa di roboante da dare in pasto all’opinione pubblica ha scelto, dunque, di introdurre nuove disposizioni penali eccezionalmente severe nel caso di morte o lesioni come conseguenza dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. La premier Meloni ha scenograficamente annunciato ai media «la volontà di colpire gli scafisti non solo quando li troviamo sulle barche, ma andandoli a cercare lungo tutto il globo terracqueo» (la Repubblica 10 marzo 2023) dimenticando che coloro che guidano le imbarcazioni spesso hanno poco a che fare con le organizzazioni criminali e che in ogni caso, anche quando vi sono connessi, sono gli ultimi anelli della catena (Dal mare al carcere: la criminalizzazione dei cosiddetti scafisti).

      2.

      Se non interviene né sui nodi scoperti degli ingressi regolari per lavoro, né sugli ingressi protetti, quali sono dunque le materie affrontate dal decreto legge n. 20/2023 e, poi, dalla legge di conversione n. 50/2023?

      Gli aspetti essenziali, la nuova norma interviene sono tre: a) il ridimensionamento della protezione speciale; b) la destrutturazione del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo con smembramento del SAI (sistema di accoglienza ed integrazione), a cui – analogamente a quanto era avvenuto per lo SPRAR con la legge n. 173/2020 – viene sottratta la possibilità di accogliere i richiedenti asilo; c) l’ampliamento delle ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo nei CPR e soprattutto negli hotspot e una parallela estensione delle procedure di frontiera o procedure accelerate, con una generale contrazione delle garanzie procedurali in sede di esame delle domande di asilo.

      Mi limito, per ragioni di spazio, a un breve approfondimento della problematica della protezione speciale. Il ridimensionamento della terza forma di protezione prevista dall’ordinamento, la cosiddetta protezione speciale, introdotta con la legge n. 132/2018 ma novellata in senso estensivo con la legge n. 173/2020, è stato il tema che maggiormente è emerso nel dibattito pubblico. Il testo del decreto legge n. 20/2023 sembrava mirare solo a restringere l’ambito di applicazione della previgente normativa cassando il paragrafo dell’art. 19 comma 1.1 secondo cui «non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine». In sede di conversione in legge al Senato è emersa una volontà della maggioranza ancor più aggressiva finalizzata a cancellare pressoché in toto questo istituto e ad eliminare la possibilità di esaminare la domanda di riconoscimento della protezione speciale attraverso il canale costituito dall’istanza alla questura e dal parere vincolante della commissione senza audizione, ovvero fuori dalla procedura di esame di una domanda di asilo. Alla fine dell’iter parlamentare alcune delle proposte più estreme sono state ritirate (pur se tutto è stato incanalato nella sola procedura di asilo) ed è rimasto l’obbligo per le Commissioni territoriali che esaminano le domande di asilo di riconoscere una protezione speciale qualora «esistano fondati motivi di ritenere che [la persona interessata] rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6 [del TU Immigrazione]». Il nuovo articolo prevede che «il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».

      In questa situazione pochi dubbi possano esserci in relazione all’obbligo per le Commissioni territoriali di valutare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione speciale per rispetto di uno degli obblighi costituzionali o connessi all’ordinamento internazionale cui l’Italia è vincolata. Tra tali obblighi v’è il rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU e da una rilevante giurisprudenza interna. Si è invece diffusa una fallace informazione secondo cui la protezione speciale è stata cancellata. In particolare si è sostenuto che è stato cancellato il riconoscimento di tale protezione per riconoscimento del diritto alla vita privata e famigliare. Persino nella relazione illustrativa del decreto legge alla Camera dei Deputati si possono leggere affermazioni quali la seguente: «l’articolo 7, modificato al Senato, elimina il divieto di respingimento ed espulsione di una persona previsto nel caso vi sia fondato motivo di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare». In tale frase si sostiene che è legittimo espellere colui che… ha il diritto a non essere espulso. Ha dell’incredibile leggere tali corbellerie in un atto parlamentare e ciò illumina il livello di tensione politica che ha avvolto l’intera vicenda e soprattutto svela l’intenzione dell’Esecutivo: il diritto in questione non può essere cancellato, ma non deve potere essere esercitato.

      È agevole prevedere, sulla base di chiare evidenze, che il Governo farà enormi pressioni affinché le Commissioni territoriali per il riconoscimento del diritto d’asilo (che non sono per nulla indipendenti e soggette solamente alla legge e su cui si esercita una pervasiva influenza politica) restringano al massimo l’ambito di applicazione della protezione speciale rigettando il maggior numero possibile di domande anche in presenza dei presupposti per il riconoscimento. Che lo straniero denegato faccia pure ricorso alla magistratura sapendo che essa deciderà sui ricorsi dopo anni a causa della lentezza dei procedimenti, che diverranno ancor più lenti a causa dell’aumento dei contenziosi. Intanto ciò che conta è portare subito a casa il risultato di una diminuzione del numero dei riconoscimenti di protezione, anche se ciò aumenterà l’irregolarità e la precarietà di vita di migliaia di persone la cui vita è ritenuta irrilevante.

      Con il decreto legge n. 20/2023 e la conseguente legge di conversione i morti del naufragio di Cutro sono morti una seconda volta.

      https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/05/16/la-doppia-morte-dei-naufraghi-di-cutro
      #naufrage #mourir_en_mer #décès #Gianfranco_Schiavone #migrations #asile #réfugiés #Méditerranée #Italie

    • Naufragio di Cutro, ritardi e omissioni della Guardia di finanza. Avvisi di garanzia per tre ufficiali

      Il giallo degli audio spariti e le bugie sulla vedetta di salvataggio. Perquisizioni e sequestri di tablet e cellulari. L’ipotesi di reato: omicidio colposo. Alti tre indagati coperti da omissis. Il legale delle vittime
      “Lo Stato ha responsabilità chiare”

      Alle 23.49 del 25 febbraio il capoturno della sala operativa della Guardia costiera di Reggio Calabria era relativamente tranquillo. Da Vibo Valentia, la Guardia di finanza assicurava che una loro motovedetta, la potente “5006” era già uscita alla ricerca di quel caicco, verosimilmente carico di migranti, segnalato un paio d’ore prima da un aereo di Frontex a tutti i comandi operativi europei ed italiani a cominciare da quello della Finanza a Pratica di mare.

      (#paywall)
      https://www.repubblica.it/cronaca/2023/06/01/news/naufragio_cutro_indagati_sequestro-402763465

      #justice

    • The Crotone Cover Up

      Italy lied about their role in a shipwreck that killed 94 people – including 35 children – and the EU border agency Frontex helped cover it up

      During the early hours of February 26, 2023 a wooden pleasure boat crashed close to the shore in Cutro, Italy. On board were nearly 200 people, mostly refugees from Afghanistan. At least 94 of them died, including 35 children. Yet the overloaded boat had been spotted by Europe’s border agency Frontex six hours before the wreck, struggling in bad weather. The deaths, which took place so close to the shore, shocked Italy and Europe. But Frontex and the Italian authorities deflected blame onto each other.

      Frontex said that the boat showed “no signs of distress” and that it was up to Italy to decide whether to launch a rescue operation. Italy’s prime minister claimed that they didn’t know the boat “risked sinking” and didn’t intervene because Frontex didn’t send them an ‘emergency communication’. “Do any of you think that the Italian government could have saved the lives of 60 people, including a child of about three years whose body was just found today, and it didn’t?” Prime Minister Giorgia Meloni said shortly after the tragedy.

      A joint investigation by Lighthouse Reports and its partners reveals that both the Italian authorities and the Frontex leadership were aware that the boat was showing signs of distress when the ship was first spotted six hours before the wreck, but nevertheless decided not to intervene – and later tried to conceal how much they knew.
      METHODS

      When images of boat debris on an Italian beach were broadcast around the world, it was hard to imagine that they came from a vessel carrying 200 people. The Summer Love, a wooden boat approximately 25 metres long, was crammed with women, children and men fleeing wars, hoping for a better life. With little video footage available, we decided to make a 3D model of the vessel to better understand and explain the risks people were prepared to take. Crowded below decks, they had little chance of survival when the boat sank as their only exit was one narrow staircase.

      Over time, our reporters won the trust of some of the survivors by spending time with them in the centres they’re now living in. They shared their stories from departing Turkey to the harrowing losses they suffered in the sea. Some shared videos which revealed additional details about the shipwreck, including a tablet with navigation software which confirmed the vessel’s location and direction of travel.

      Crucially, we obtained leaked confidential Frontex mission reports which revealed that a plane operated by the border agency had reported signs of distress to both the agency and Italian authorities. Hours before the flight, operators warned about “strong winds” in the Ionian Sea. Frontex then detected the vessel by tracking multiple satellite phone calls made throughout the day by people on board. A detailed account of the pilot’s calls show that Frontex knew it was a “possible migrant vessel,” with no visible safety jackets and a “significant thermal response” from below deck. According to Frontex’s press office, this is an indication of the presence of an “unusual” number of people on board.

      Bad weather, a lack of life vests and overcrowding constitute signs of distress under Frontex’s and Italy’s own maritime rules; still the maritime authorities did not launch a search and rescue operation. After the wreck, the European border agency concealed the fact that their pilot had signalled strong winds to their control room during the surveillance flight.
      STORIES

      Assad Almulqi was a child when war broke out in Syria. His family fled their city after it was attacked with poisonous gas in 2013. This year, the 22 year-old paid 8,000 euros for a place on the boat from Turkey. His six-year-old brother Sultan was allowed to travel for free.

      He recalls the moment everything went wrong. “It was dark. The ship leaned to one side and half of it went underwater. It sank in seconds.”

      “I got scared, held my brother in my arms and told my uncle that we needed to go upstairs because something not normal was happening. The waves started hitting the windows and water entered the ship.”

      He jumped out when the water reached his knees, holding his brother tightly.

      Assad tried desperately to keep Sultan above the waves as he attempted to signal to rescuers. “We were drowning ourselves to keep his head above the water, but it wasn’t enough to save him.”

      They clung to pieces of the ship, fighting to stay afloat as people around them drowned.

      Also onboard was 23-year old Nigeena who was travelling with her husband Seyar, following their wedding just four months earlier. She clutched his hand as they fought to stay above water. They were almost ashore when a huge wave swept Seyar away. Their boat broke apart 200 metres off the coast of Italy.

      “The wreck is Italy’s fault because they knew from the start that a boat had arrived,” said Nigeena. “Usually when they see an unfamiliar ship it’s their job to check it out. But they didn’t.”

      Lawyers for some of the families of the victims are planning to take a case to the European Court of Human Rights, arguing Italy should be held responsible for the “irremediable violation of migrants’ right to life.”

      https://www.lighthousereports.com/investigation/the-crotone-cover-up

      –---

      En italien (résumé):
      L’insabbiamento sulla strage di Steccato di Cutro

      Un’inchiesta internazionale di #Lighthouse_Reports dimostra il rimpallo delle responsabilità tra Frontex, guardia di finanza e guardia costiera italiana

      https://www.meltingpot.org/2023/06/linsabbiamento-sulla-strage-di-steccato-di-cutro

    • Omissione di soccorso: la vera storia del naufragio di Cutro

      Un’inchiesta internazionale – a cui Domani ha collaborato insieme a Lighthouse Reports, Süddeutsche Zeitung, Le Monde, El Pais e Sky News – mostra attraverso documenti inediti, fonti confidenziali, immagini satellitari, modelli 3d e decine di testimonianze cosa è accaduto quella sera e il rimpallo delle responsabilità tra le tre autorità coinvolte: Frontex, guardia di finanza e guardia costiera. Intanto l’indagine giudiziaria della procura di Crotone va avanti: il primo giugno le prime perquisizioni hanno riguardato tre ufficiali della guardia di finanza. L’obiettivo è individuare le falle nella catena di comando

      (#paywall)
      https://www.editorialedomani.it/fatti/naufragio-cutro-inchiesta-internazionale-wqa2rkss

  • Aide aux migrants aux portes de l’Europe : de plus en plus systématiquement, « citoyens et exilés sont condamnés »

    Les eurodéputés verts ont dévoilé à Riace, en Italie, un rapport pointant les maltraitances des Etats européens, et notamment de la Grèce, vis-à-vis des exilés et de ceux qui les aident, pour décourager les candidats à l’exil. Ils dénoncent une entorse aux valeurs de l’Europe.

    « Il est important pour moi d’être aux côtés de Mimmo alors que son procès en appel vient de s’ouvrir. » Le député européen EE-LV Damien Carême prend la parole devant quelques dizaines de personnes rassemblées vendredi à Riace, petite commune du sud de l’Italie. Lui et d’autres parlementaires européens, dont l’Allemande Cornelia Ernst (Die Linke, gauche) ou l’Italienne Rosa D’Amato (les Verts), sont venus soutenir Domenico Lucano, surnommé Mimmo. Maire de Riace de 2004 à 2018, il avait été condamné à plus de 13 ans de prison ferme en septembre 2021, accusé d’ « association de malfaiteurs visant à aider et encourager l’immigration clandestine, d’escroquerie, de détournement de fonds et d’abus de fonction ». Mimmo avait en fait fait renaître son petit village de Calabre en y accueillant des dizaines de migrants. Le verdict avait ravi l’extrême droite italienne et provoqué la consternation et l’indignation de toutes les personnes concernées par la question migratoire.
    « Riace, capitale de l’hospitalité »

    « En réalité, pendant ses mandats, Mimmo a fait de ce village un territoire accueillant. Il a refusé l’inaction de l’Etat, pallié les défaillances des politiques européennes et surtout prouvé qu’un autre modèle est possible », reprend Damien Carême. Sa collègue Cornelia Ernst rebondit : « Riace est devenu un lieu d’espoir, une petite ville devenue la capitale de l’hospitalité. » Les députés européens ont aussi profité de ce déplacement pour présenter un rapport sur la criminalisation de la solidarité à travers l’Europe.

    « Le choix de Riace et le moment pour y venir sont évidemment symboliques », explique Damien Carême lors d’un entretien avec Libération. Alors qu’il n’y avait pas eu d’enrichissement personnel de la part de Domenico Lucano, mais d’éventuels manquements au droit administratif, comme le fait de ne pas avoir réalisé d’appel d’offres public pour la gestion des déchets de la commune, il avait écopé de cette lourde peine, tandis que l’extrême-droite, avec Matteo Salvini, dirigeait la région. Si le cas du maire est emblématique, « de nombreux autres élus, citoyens, et exilés sont condamnés au sein de l’UE aujourd’hui », enchaîne Damien Carême, pour qui « nous assistons actuellement à une hausse de la criminalisation des migrations et des solidaires dans l’UE ».
    « Décourager toute solidarité envers les exilés »

    L’étude de 57 pages, réalisée par deux chercheuses, Marta Gionco et Jyothi Kanics, avait été commandée par les eurodéputés verts pour appuyer leurs travaux en commission sur les migrations. Les conclusions du rapport documentent les outils mis en place dans les Etats de l’UE pour criminaliser de plus en plus systématiquement les exilés et les actions de solidarité. « Les actions des bénévoles consistent essentiellement à donner à manger aux exilés, à leur apporter une aide sanitaire ou encore à les accompagner dans leurs démarches pour obtenir des papiers. Mais ils sont victimes de maltraitances des Etats, où ils subissent des procès en réalité pour l’aide qu’ils ont apportée », souligne le député européen, qui fut également maire de Grande-Synthe, commune du Nord où des exilés étaient hébergés dans un camp avant de tenter de gagner l’Angleterre.

    Pour lui, « ces procès politiques doivent être dénoncés et cesser. Ils visent à décourager toute forme de solidarité envers les exilés et nous ne pouvons tolérer ces dérives qui piétinent les valeurs de l’UE et les droits fondamentaux », reprend l’eurodéputé. Dans le fond, « les solidaires sont accusés d’être des passeurs. Ce qui n’est pas le cas. Ce sont des gens qui sauvent des vies humaines en mer, dans les montagnes… Ils ne s’enrichissent pas ! Le rapport recommande donc de mettre en place des corridors humanitaires. »

    En mars 2021, la Cour de cassation avait confirmé la relaxe de Cédric Herrou, devenu une figure de l’aide aux migrants en France, après une longue procédure jalonnée de trois procès et d’une saisine du Conseil constitutionnel. Il avait été initialement poursuivi pour avoir convoyé des migrants venus d’Italie et organisé un camp d’accueil en 2016 dans les Alpes-Maritimes.
    Acharnement judiciaire

    Pour Damien Carême, il existe une différence choquante dans le traitement des réfugiés en fonction de l’endroit d’où ils arrivent. Le député européen cite en exemple les initiatives européennes mises en place dès le début du conflit en Ukraine. « La directive de protection temporaire, qui date de 2001, a été activée. Mais pourquoi n’a-t-elle pas été mise en œuvre pour les réfugiés syriens ou afghans ? » interroge-t-il. « C’est révélateur de ce que l’Europe veut. Quand on est blanc et chrétien, on est bienvenu ; quand on est basané et musulman, non. C’est du racisme », estime-t-il. « Dans une Europe dont les valeurs sont la lutte contre les discriminations, la solidarité, la liberté, la démocratie, le respect de l’état de droit… les fondations sont secouées. »

    Selon le rapport, c’est un véritable système européen de rejet systématique des migrants qui est mis en place. L’idée est de décourager les candidats à l’exil en criminalisant et condamnant ceux qui les aident par solidarité et compassion. Cette stratégie est de plus en plus visible, notamment dans certains pays comme la Pologne, la Hongrie ou encore la Grèce, pointent les responsables d’ONG également présents à Riace. La journaliste néerlandaise Ingeborg Beugel le sait bien. Son procès en Grèce, qui devait s’ouvrir le 1er juin, a été finalement reporté, mais elle reste accusée d’avoir « facilité » le séjour illégal d’un Afghan de 23 ans qu’elle hébergeait sur l’île d’Hydra, où elle vit depuis 40 ans. Elle risque un an de prison et une amende de 5 000 euros. La journaliste se dit victime d’un acharnement judiciaire, car depuis des années, elle enquête en Grèce sur les sujets migratoires et dénonce les « pushback », ces refoulements illégaux des migrants en mer commis par les garde-côtes, ou encore les conditions déplorables d’accueil des migrants dans les camps. Ce harcèlement s’est accentué depuis qu’elle a osé poser directement au Premier ministre grec Mitsotakis une question sur ces refoulements lors d’une conférence de presse.
    Une peine de 187 ans de prison

    Les exilés comparaissent, eux aussi, régulièrement devant les tribunaux après leur arrivée sur les îles grecques. Une disposition de la loi grecque permet de qualifier de « passeur » toute personne reconnaissant avoir tenu la barre d’un rafiot de fortune entre la Turquie et la Grèce, point d’entrée dans l’UE, y compris pendant quelques instants. La plupart du temps, le vrai trafiquant et passeur, parfois armé, abandonne le bateau d’exilés pour sauter sur un jet-ski et rentrer à terre, en laissant les réfugiés tenter de se débrouiller pour piloter l’embarcation. Les peines de prison peuvent s’élever à plusieurs dizaines d’années.

    Le 5 mai dernier, trois demandeurs d’asile syriens ont ainsi été jugés après le naufrage d’un bateau près de l’île de Paros le 24 décembre 2021. Ils ont écopé de peines de prison pour « aide à l’entrée illégale » sur le territoire grec. L’un a été condamné à 187 ans de prison et les deux autres à 126 ans chacun. Environ 2 000 personnes seraient actuellement détenues dans les prisons grecques pour trafic illégal de migrants, ce qui représenterait la deuxième population de détenus la plus importante en Grèce.

    https://www.liberation.fr/international/europe/aide-aux-migrants-aux-portes-de-leurope-de-plus-en-plus-systematiquement-

    #procès #justice #Mimmo_Lucano #Riace #Domenico_Lucano #Italie #criminalisation_de_la_solidarité #acharnement_judiciaire #asile #migrations #réfugiés #villes-refuge #hospitalité #IoStoConMimmo

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    voir aussi ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/931476

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    • Mimmo Lucano, processo alla solidarietà: appunti sulla sentenza di Locri

      Un pomeriggio intensissimo di emozioni e di approfondimenti quello del 17 giugno appena trascorso al No Mafia Memorial di Palermo, così denso che non può ridursi a un resoconto: l’intento originario era valutare le motivazioni della sentenza (ne ha già scritto Fulvio Vassallo Paleologo, che ha svolto il ruolo di moderatore), ma a poco a poco ricordi, intenzioni, desideri e progetti hanno preso il sopravvento, specie nelle parole accorate dell’ex sindaco di Riace.

      “In tre sindacature, ho fatto dell’accoglienza non solo un’affermazione del rispetto dei diritti umani, ma anche un’occasione per lo sviluppo del territorio e per la lotta contro le mafie. Dal 2009 ero responsabile dell’Ufficio Amministrativo e, quando una famiglia sudanese di nove persone fu chiamata a pagare 5 euro e 50 centesimi a testa per ottenere le carte d’identità, decisi che da quel momento quei soldi li avrei versati di tasca mia. Poi, eletto sindaco, eliminai questi diritti di segreteria, forse troppo sbrigativamente, senza seguire la procedura ufficiale…”

      Quando a Locri non esisteva un albo ufficiale delle cooperative e i locali del Tribunale non avevano l’agibilità, Lucano estromise alcune cooperative in odor di mafia dal progetto di accoglienza; staccò l’acquedotto di Riace dalla rete regionale; pretese il controllo pubblico dello smaltimento dei rifiuti; perfino le imprese funebri locali contestarono la sepoltura dei migranti nel cimitero di Riace divenuto multietnico. Alcuni di questi soggetti giuridici hanno testimoniato poi per l’accusa durante il processo.

      Quando il modello Riace, ora imitato in tutto il mondo, fu avviato, nei primi anni Duemila, vigeva la legge Turco-Napolitano; venivano stabiliti flussi d’ingresso (sia pure solo sulla carta); “la Prefettura mi osannava perché le risolvevo il problema degli sbarchi”, confessa Lucano. Poi vennero i decreti Minniti e Salvini e quello che era meritorio si mutò in delittuoso. “Al tempo dello sbarco del 1998, tutto avvenne spontaneamente, con la collaborazione del vescovo, Mons. Bregantini, vicino alla teologia della liberazione e al Movimento dei Lavoratori per il Socialismo, mentre io ero di Democrazia proletaria” (vescovo, che poi deporrà al processo a favore dell’imputato e della sua <<visione profetica>>, citando l’Enciclica Fratelli tutti n.d.r.). Fu rimesso in uso il borgo, ricostruite case, nacquero la scuola, il doposcuola, la mensa sociale, il banco alimentare; riacesi e richiedenti asilo lavorarono affiancati con contratti regolari. Fu perfino creata una moneta, per gli scambi interni, con le effigi di Peppino Impastato, di Martin Luther King e Che Guevara.

      Lucano viene coinvolto all’inizio del 2020 nel processo Xenia, nell’aura di criminalizzazione generalizzata dei soccorsi in mari, dell’operato delle ONG, dell’accoglienza, e condannato a 13 anni e 2 mesi (quasi il doppio di quanto richiesto dall’accusa), per associazione a delinquere, frode, falso in atto pubblico, peculato, abuso d’ufficio e truffa. Curioso che il primo reato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per il quale era stato anche arrestato, sia stato archiviato! Curioso, ma non troppo se si pensa che avrebbe impedito l’accusa di associazione a delinquere, passibile di ben più aspra condanna (art. 416 dei codici Zanardelli e Rocco)! Curioso anche che gli sia stato contestato il falso in atto pubblico per aver concesso una carta d’identità a un bimbo di 4 mesi privo di permesso di soggiorno, affinché potesse essere curato, ma che lo stesso reato non gli sia stato ascritto per la carta d’identità data a Becky Moses, poi morta nell’incendio del 2017 della baraccopoli di San Ferdinando. Curioso, ma non troppo se si pensa che la responsabilità di quel campo era del prefetto Di Bari, la cui moglie oltre tutto era indagata dal 2016 per la gestione non troppo limpida di alcuni centri di accoglienza…

      La sociologa Giovanna Procacci, che ha seguito tutte le udienze, paragona il processo Lucano al processo contro Danilo Dolci per lo “sciopero alla rovescia” del 1956, in cui l’attivista triestino fu difeso da Piero Calamandrei, il quale in quell’occasione parlò di “rovesciamento di senso”: c’è nei processi politici un marcatore comune, non ci sono fatti ma idee, sparisce il contesto, l’identità dell’inquisito viene capovolta. In questo caso, l’accoglienza diventa sistema clientelare per l’accaparramento dei voti, il volontariato peculato, la trasparenza amministrativa corruzione.

      Il sociologo Santoro parla di questo processo come di una “cerimonia di degradazione”, che è resa possibile dal fatto che l’accusatore può presentarsi come incarnazione di un sentire comune e pubblico. Ciò spiega l’enormità della pena: si mira a distruggere un’identità politica fortissima. Se non che, come osserva Umberto Santino, questa volta la cerimonia di degradazione si è risolta in un effetto boomerang: la condanna ha suscitato indignazione e solidarietà dappertutto; “il villaggio globale” di Riace, come a Lucano piace chiamarlo, sta risorgendo. Ci sono nuove ospiti: dodici bambine afghane e diverse donne nigeriane; Lucano resta in contatto con il movimento di liberazione curdo, cui aveva aderito fin dall’inizio.

      L’appello inizierà il 6 luglio, ma nel frattempo la scelta dell’ex sindaco è quella della disobbedienza civile: non intende pagare la multa, poiché sarebbe un’ammissione di colpevolezza, “il riconoscimento di una forma di legalità squallida”. I soldi raccolti dall’associazione “A buon diritto”, di cui sono garanti Manconi e Colombo, desidera siano impegnati per accogliere più profughi a Riace. “Nell’appello non voglio l’attenuazione della pena, non accetto neanche un giorno in meno, voglio la riabilitazione del nostro lavoro, voglio la luce della verità”.

      Chiudiamo con le parole di Francesco Saccomanno, anch’egli presente ad ogni seduta del processo, amico e compagno sincero di Lucano senza incertezze.
      “Essendo un uomo di legge”.

      (da una frase del Colonnello Sportelli nel processo di Locri,

      mentre parla di migranti e chiede quasi di essere ringraziato).

      Parafrasando il Calamandrei della famosa epigrafe “Lo avrai camerata Kesserling”,

      noi gli rispondiamo.

      “Lo avrete,

      giudici ed inquisitori, il monumento che pretendete da noi compagni

      e da quanti vogliono Restare Umani.

      Ma con che pietra si costruirà

      a deciderlo tocca a noi.

      Non con le membra straziate

      delle migliaia di esseri inermi

      distrutti dalla disumanità di leggi ingiuste

      non con la terra dei cimiteri

      dove i nostri fratelli migranti

      riposano in serenità

      non con la neve insanguinata delle montagne

      che per tanti inverni li sfidarono

      non con la primavera di queste valli

      che li videro fuggire.

      Ma soltanto col silenzio dei torturati

      più duro d’ogni macigno

      soltanto con la roccia di questo patto

      giurato fra uomini liberi

      che, come Mimmo, volontari si adunarono

      per dignità e non per odio

      decisi a riscattare

      la vergogna e la disumanità del mondo.

      Su queste strade se vorrete tornare

      ai nostri posti ci ritroverete

      morti e vivi con lo stesso impegno

      popolo serrato intorno al monumento

      che si chiama

      ora e sempre

      RESISTENZA

      https://www.pressenza.com/it/2022/06/mimmo-lucano-processo-alla-solidarieta-appunti-sulla-sentenza-di-locri

    • Processo a Mimmo Lucano, la corte riapre l’istruttoria per un’intercettazione del 2017. «Ora voglio la verità»

      Locri, la mossa decisiva degli avvocati difensori. La registrazione chiave: «L’amministrazione dello Stato non vuole il racconto della realtà di Riace». A ottobre la sentenza di Appello. L’ex sindaco: "Non mi interessa una riduzione di pena, voglio l’assoluzione piena”. L’aiuto di Luigi Manconi

      (#paywall)
      https://www.repubblica.it/cronaca/2022/07/07/news/reggio_calabria_processo_mimmo_lucano_riaperta_istruttoria-356927399

  • 26.08.2017 Migrante trovato morto folgorato sul treno Ventimiglia-Marsiglia

    Il giovane, 25 anni, è stato trovato arso vivo nella cabina elettrica. La Polizia francese ha trovato altri due profughi nascosti accanto al cadavere

    Ennesima tragedia della disperazione tra Italia e Francia. Un migrante di 25 anni è stato trovato folgorato e arso vivo in una cabina elettrica di un treno partito da Ventimiglia e diretto a Marsiglia. Il corpo carbonizzato dell’uomo è stato trovato alle 17,25 quando il convoglio regionale delle ferrovie francesi (Sncf) si è fermato alla stazione di #Cannes-#La_Bocca.

    Nell’angusto spazio della cabina elettrica sul treno la polizia ha trovato altri due migranti nascosti accanto al cadavere della vittima. A maggio altri due migranti morirono nelle medesime circostanze sempre sullo stesso convoglio.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2017/08/27/news/migrante_trovato_morto_folgorato_sul_treno_ventimiglia-sanremo-173962840

    –-> événement qui date de 2017, sauvegardé ici pour des raisons d’archivage

    #Vintimille #asile #migrations #réfugiés #morts #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #France #Italie

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Alpes-Maritimes : un migrant meurt en se cachant à bord d’un train en provenance d’Italie

      Il s’agit du troisième migrant retrouvé décédé dans une armoire électrique en gare de Cannes depuis le début de l’année.

      Un migrant, qui se cachait dans l’armoire électrique d’un train en provenance de la ville italienne de Vintimille, a été retrouvé samedi mort, électrocuté, vers 17h en gare de Cannes La Bocca (Alpes-Maritimes), a révélé Nice-Matin.

      La victime, dont la nationalité n’a pas été indiquée, a été électrocutée après s’être cachée dans ce local pour déjouer les contrôles aux frontières qui sont systématiques en gare de Menton, la première après la frontière. Les 300 passagers qui avaient pris place à bord de ce TER assurant la liaison Vintimille-Marseille ont été transbordés sur un TGV. Le trafic a été suspendu le temps de l’intervention de la police et des pompiers.

      Il s’agit du troisième migrant (https://www.leparisien.fr/faits-divers/cannes-un-migrant-trouve-mort-dans-un-train-en-provenance-d-italie-20-05-) retrouvé décédé dans une armoire électrique en gare de Cannes La Bocca depuis le début de 2017. Au total, depuis début 2016, sur la ligne de TER reliant Vintimille à la France, six migrants sont morts et deux autres ont été blessés par électrocution, soit dans les armoires électriques, soit sur les toits des trains.

      La SNCF indique avoir mis en oeuvre un dispositif d’information pour les migrants en gare de Vintimille pour les prévenir de ces dangers et tenter d’éviter de tels drames.

      https://www.leparisien.fr/faits-divers/alpes-maritimes-un-migrant-cache-dans-un-train-en-provenance-d-italie-ret

    • Un migrant meurt en se cachant à bord d’un train en provenance d’Italie

      Un migrant, qui se cachait dans l’armoire électrique d’un train en provenance de la ville italienne de Vintimille a été retrouvé ce samedi 26 août mort, électrocuté. Il s’agit du troisième migrant retrouvé décédé dans une armoire électrique en gare de Cannes La Bocca depuis le début de 2017.

      Le corps a été retrouvé aux alentours de 17H00 en gare de Cannes La Bocca dans,les Alpes-Maritimes, a précisé un porte-parole de l’entreprise publique, confirmant une information de Nice-Matin.

      La victime, dont la nationalité n’a pas été indiquée, a été électrocutée après s’être cachée dans ce local pour déjouer les contrôles aux frontières qui sont systématiques en gare de Menton, la première après la frontière.

      Les 300 passagers qui avaient pris place à bord de ce TER assurant la liaison Vintimille-Marseille ont été transbordés sur un TGV. Le trafic a été suspendu le temps de l’intervention de la police et des pompiers.

      6 migrants sont morts et 2 autres ont été blessés par électrocution

      Il s’agit du troisième migrant retrouvé décédé dans une armoire électrique en gare de Cannes La Bocca depuis le début de 2017.

      Au total, depuis début 2016, sur la ligne de TER reliant Vintimille à la France, six migrants sont morts et deux autres ont été blessés par électrocution, soit dans les armoires électriques, soit sur les toits des trains.

      La SNCF indique avoir mis en oeuvre un dispositif d’information pour les migrants en gare de Vintimille pour les prévenir de ces dangers et tenter d’éviter de tels
      drames.

      https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/cannes/migrant-meurt-se-cachant-bord-train-provenance-italie-1

  • Afghanistan, il dramma di chi resta: «Noi interpreti traditi dagli occidentali e lasciati ad aspettare la morte»

    La storia di #Hamdullah_Hamdard. Aveva lavorato come traduttore per tre anni con le forze Nato: è stato ucciso per questo. Ora suo fratello teme di fare la stessa fine

    (#paywall)

    https://www.repubblica.it/esteri/2021/08/16/news/afghanistan_talebani_usa_interpreti_collaborazionisti-314156428/?ref=RHTP-BL-I314089984-P2-S2-T1&__vfz=medium%3Dsharebar

    #Afghanistan #interprète #asile #réfugiés #OTAN #NATO #migration #droit_d'asile #interprètes #traducteurs

    –—

    ajouté à la métaliste sur les #interprètes_afghans:
    https://seenthis.net/messages/740387

  • Il fallimento della sanatoria #2020 confermato da dati inediti sul settore domestico

    Il 64% degli stranieri che ha fatto domanda di regolarizzazione nel settore domestico in forza del provvedimento varato lo scorso anno sono uomini. Una quota altissima se si considera che, nel 2019, l’89% degli impiegati domestici in Italia erano donne. È il mercato dei contratti falsi. “Una sanatoria nata male e gestita peggio”, spiega l’avvocato Marco Paggi (Asgi)

    Quasi due stranieri su tre che hanno richiesto di essere regolarizzati nel settore domestico tramite la #sanatoria promossa nel 2020 sono uomini. Una quota altissima se si considera che, nel 2019, l’89% degli impiegati domestici in Italia erano donne (stime Istat). I dati inediti del ministero dell’Interno ottenuti da Altreconomia confermano i limiti di un provvedimento nato zoppo, in aggiunta alla lentezza con cui sta avanzando l’esame delle 207mila richieste di regolarizzazione.
    “Questo dimostra il grande limite di una sanatoria settoriale che ha costretto migliaia di persone a cercare un impiego differente dal proprio, per potersi regolarizzare aumentando, tra l’altro, anche il ‘mercato’ di contratti falsi”, spiega Marco Paggi, avvocato e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

    Grazie ai documenti ottenuti tramite accesso civico è possibile conoscere con precisione il numero delle richieste disaggregate per genere del richiedente. “Un dato mai pubblicato fino ad ora -osserva Paggi- per evitare una buona dose di imbarazzo al ministero”. Infatti, dagli elementi ottenuti, si evidenzia che su circa 177mila domande nel settore domestico, oltre 113mila, il 64%, sono state presentate da uomini. Come detto, l’incidenza maschile, secondo l’Istat supera di poco l’11% su un totale stimato, tra regolari e non, di due milioni di lavoratori. Percentuali stravolte che, in parte, non stupiscono.

    Puntualmente, ad ogni sanatoria, la storia si ripete. L’incidenza degli uomini impiegati nel settore domestico, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2019, è diminuita del 50%. “Ciò è riconducibile -come si legge nel Rapporto annuale sul settore domestico 2020 realizzato dalla Fondazione Leone Moressa (https://www.osservatoriolavorodomestico.it/documenti/Rapporto-2020-lavoro-domestico-osservatorio-domina.pdf) - a un ampio ricorso alla regolarizzazione del 2012 da parte di lavoratori domestici che poi, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, hanno cambiato settore”. Motivo per cui, nell’aprile 2020, Asgi aveva richiesto al governo di promuovere una regolarizzazione non limitata a determinati settori produttivi ma che prevedesse la possibilità di regolarizzarsi attraverso un “permesso di soggiorno per ricerca occupazione -si legge nella proposta che aveva raccolto centinaia di adesioni- svincolando da possibili ricatti o dal mercato dei contratti che hanno contraddistinto tutte le pregresse regolarizzazioni”.

    “È evidente che il difetto sta nel manico -sottolinea Paggi, esperto di diritto del lavoro e dell’immigrazione- non si può scaricare la colpa sugli stranieri: la scelta sciagurata è stata fatta a monte, in un paradosso per cui con l’obiettivo di diminuire il lavoro nero lo aumenti. Chi è in attesa di essere regolarizzato come domestico, infatti, nel frattempo continua a portare avanti il suo ‘vero’ lavoro senza contratto”.

    Una problematica amplificata dalla lungaggine nella procedura di esame delle richieste. Secondo i dati ottenuti dal ilfattoquotidiano.it, alla data del 10 maggio 2021, gli sportelli unici delle prefetture hanno esaminato il 12,7% delle pratiche, delle quali circa l’11% sono state definite positivamente. Un’evidente lentezza già segnalata, a inizio marzo 2021, dai promotori della campagna Ero straniero che, pubblicando un report dettagliato sullo stato di avanzamento dell’esame delle domande, avevano descritto “un quadro preoccupante in tutti i territori con ritardi gravissimi e stime dei tempi di finalizzazione delle domande improbabili, di anni se non decenni”.

    Con riferimento alle diverse attività per cui si è chiesta la regolarizzazione, sempre nel settore domestico, più di 122mila domande sono state presentate per attività di “collaboratore familiare” (colf). Proprio sotto questa voce, il 69% del totale, registra la differenza più marcata tra richieste di uomini e donne, rispettivamente 89mila e 32mila. Peccato che, sempre l’Istat, segnali una minor incidenza dei colf uomini (7,8%) rispetto ai badanti (14,5%) sul totale degli impiegati. L’esatto opposto di quanto evidenziano i numeri della sanatoria.

    Infine, meno di un terzo sono le richieste per l’attività di “assistenza a persona non autosufficiente”, ovvero badanti in senso stretto. “Molte persone che in realtà ricoprono questo ruolo -continua Paggi- sono state assunte come collaboratori domestici perché un richiedono un diverso inquadramento in termini contrattuali, quindi una minor retribuzione annua. Non solo, dal mio osservatorio anche diversi lavoratori impiegati in agricoltura sono stati trasformati in collaboratori domestici”. Il motivo è squisitamente economico: nel caso di regolarizzazione di un rapporto di lavoro già esistente, il datore di lavoro avrebbe dovuto versare per ogni mese di impiego in nero un contributo di 300 euro al mese per gli agricoli, solamente 156 per i domestici. Un’ulteriore dimostrazione del fallimento della regolarizzazione nel settore agricolo: questo, nonostante l’ex ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, tra le principali promotrici della sanatoria, avesse promosso il provvedimento con un occhio di riguardo verso i braccianti “invisibili”. Peccato che le domande riguardanti l’agricoltura siano state solamente il 15% delle 207mila totali.

    Delle 180mila persone in attesa, coloro che hanno dovuto cambiare impiego per ottenere un permesso di soggiorno restano, così, nell’impossibilità di svolgere regolarmente il proprio lavoro. “Per quanto verranno bloccati i lavoratori? -si domanda Paggi-. Per quanto tempo resteranno nel ‘nero’? Quanto guadagneranno le nostre casse esattoriali per questo periodo di stallo? Una sanatoria nata male e gestita peggio”.

    https://altreconomia.it/il-fallimento-della-sanatoria-2020-confermato-da-dati-inediti-sul-setto
    #Italie #régularisation #sans-papiers #migrations #chiffres #statistiques #secteur_domestique #femmes #permis_de_séjour

    • La sanatoria-miraggio: solo il 5% dei lavoratori è stato regolarizzato. A Roma neanche uno

      Ad un anno dall’apertura della finestra di emersione su 220mila domande esaminate solo 11mila. Niente assistenza sanitaria né vaccino. La campagna «Ero straniero» denuncia il fenomeno delle badanti «segregate» in casa per paura del contagio

      https://www.repubblica.it/cronaca/2021/06/01/news/la_sanatoria-miraggio_un_anno_dopo_a_roma_su_16_000_domande_neanche_un_permesso_di_soggiorno-303661422/?ref=RHTP-BH-I0-P1-S1-T1&__vfz=medium%3Dsharebar

    • Regolarizzazioni: a Roma 2 pratiche esaminate su 16mila domande

      In Italia delle 220.000 persone che hanno fatto richiesta, solo 11.000 (il 5%) hanno in mano un permesso di soggiorno per lavoro. Molto critica, in particolare, la situazione nelle grandi città. A un anno dall’apertura della finestra, il dossier di Ero Straniero

      «Tre mesi fa - dichiarano i promotori della campagna Ero straniero - abbiamo denunciato il grave ritardo accumulato nell’esame delle domande di emersione e regolarizzazione avviata nel 2020 con il decreto “rilancio”. Torniamo oggi, 1 giugno 2021, a un anno dall’apertura della finestra per presentare le domande, con un nuovo dossier di aggiornamento della situazione nei diversi territori, sulla base dei dati raccolti dal ministero dell’interno e da prefetture e questure attraverso una serie di accessi civici. Il quadro, seppur in lieve miglioramento, appare ancora grave in tutta Italia: delle 220.000 persone che hanno fatto richiesta, solo 11.000 (il 5%) hanno in mano un permesso di soggiorno per lavoro, mentre circa 20.000 sono in via di rilascio. Molto critica, in particolare, la situazione nelle grandi città: a Roma, al 20 maggio, su un totale di circa 16.000 domande ricevute, solo 2 pratiche sono arrivate alla fase conclusiva e non è stato ancora rilasciato alcun permesso di soggiorno. A Milano, su oltre 26.000 istanze ricevute in totale, poco più di 400 sono i permessi di soggiorno rilasciati».

      Nel dossier, oltre all’analisi dei dati relativi allo stato delle pratiche - riportati in formato aperto sul sito della campagna - sono state raccolte alcune testimonianze di chi sta aspettando di sapere se avrà o meno i documenti e potrà uscire dall’invisibilità. Ma anche di tanti datori di lavoro sconcertati per i tempi lunghissimi, come ha dichiarato un datore di lavoro a Bologna: “Io sono furioso. Sono nove mesi che non sappiamo niente. Ma si possono lasciare le famiglie appese così?”.

      Sono pesanti le conseguenze di tale ritardo sulla vita di queste persone e riguardano nuovi insormontabili ostacoli burocratici, a partire dalla difficoltà di accesso al sistema sanitario nazionale e alle vaccinazioni, con un impatto inevitabile anche a livello di salute pubblica nel contesto di emergenza che stiamo vivendo. Questa la testimonianza di un’assistente familiare in emersione a Milano: “Ti rimandano indietro. Dicono che con permesso provvisorio l’iscrizione al Servizio Sanitario non si può fare. Ma non è vero! Io ho diritto al medico di base! Quando sarò vaccinata? Ho 55 anni, le persone della mia età a Milano possono già prenotare su internet. E se io mi ammalo, chi sta con la mia signora, che ha 89 anni? Mi mandano via!”.

      Infine, il dossier prova a spiegare come mai, nonostante fosse stato previsto già nel decreto che ha dato il via alla “sanatoria”, il personale aggiuntivo destinato alle prefetture proprio per l’esame delle pratiche di regolarizzazione sia entrato effettivamente in servizio - e neanche dappertutto - solo i primi di maggio scorso, contribuendo significativamente al prolungarsi dei tempi per le decine di migliaia di pratiche negli uffici competenti in tutt’Italia.

      «Alla luce di quanto emerso dal monitoraggio di questi mesi - concludono i promotori - la campagna Ero straniero ribadisce la richiesta al ministero dell’interno di intervenire immediatamente per superare gli ostacoli burocratici e velocizzare l’iter delle domande, in modo che le quasi 200.000 persone ancora in attesa di risposta possano al più presto perfezionare l’assunzione. Nello stesso tempo, sappiamo chè non sarà sufficiente questa misura a risolvere il problema della creazione costante di nuova irregolarità, come dimostra quanto accaduto con le sanatorie negli ultimi vent’anni. Anche perché una gran parte di persone senza documenti ne è stata esclusa, vista la limitazione a pochi settori lavorativi. Continuiamo per questo a chiedere a governo e Parlamento un intervento a lungo termine che permetta di ampliare le maglie della regolarizzazione e favorire legalità e integrazione, a partire da uno strumento di emersione sempre accessibile, senza bisogno di sanatorie, che dia la possibilità a chi è già in Italia e rimane senza documenti, di regolarizzare la propria posizione se ha la disponibilità di un lavoro o è radicato nel territorio. E, più a monte, nuovi meccanismi di ingresso per lavoro o ricerca lavoro. Soluzioni, queste, previste nella proposta di legge di iniziativa popolare della campagna Ero straniero, ferma in Commissione affari costituzionali della Camera, la cui approvazione non può più aspettare».

      http://www.vita.it/it/article/2021/06/01/regolarizzazioni-a-roma-2-pratiche-esaminate-su-16mila-domande/159542

    • Pesanti i ritardi sulle regolarizzazioni: pratiche ferme al 25%

      “Dati sconfortanti” secondo la campagna Ero straniero quelli forniti dalla ministra Lamorgese che ha riposto oggi pomeriggio a un’interrogazione in Senato. Su oltre 200mila domande di emersione presentate nel 2020 quelle lavorate dalle prefetture sono poco più di 51mila. Critiche le situazione nelle grandi città come Roma e Milano

      I dati che la ministra dell’interno Lamorgese ha fornito oggi in Senato rispondendo alle 15, nel corso del question time, a un’interrogazione delle senatrici Bonino e De Petris, nata a partire dal monitoraggio che la campagna Ero straniero sta svolgendo ormai da un anno in merito all’avanzamento delle pratiche relative alla regolarizzazione straordinaria del 2020, sono definite in una nota «ancora sconfortanti».

      Da quanto riferito dalla ministra dell’Interno, su 207.870 domande di emersione presentate, 45.173 sono in via di conclusione con esito favorevole e la gran parte, circa 40.000, riguardano il settore domestico e di cura. Considerando anche rigetti e rinunce, sono 51.394 le pratiche lavorate dalle Prefetture (il 24,7%) sul totale di quelle presentate a quasi un anno dalla chiusura della finestra utile per mettersi in regola (15 agosto 2020). A queste si aggiungono 9.918 permessi di soggiorno per attesa occupazione rilasciati dalle questure che riguardano la seconda procedura prevista dalla sanatoria lo scorso anno nel decreto «rilancio».

      Giusto per avere un’idea dei tempi lunghissimi - sottolinea una nota della campagna -, si ricorda che dai risultati della ricognizione svolta sulla base dai dati forniti dal ministero dell’interno, a maggio scorso, delle oltre 200mila domande presentate in tutt’Italia, erano stati rilasciati per il primo canale di accesso all’emersione, meno di 30mila permessi di soggiorno per lavoro, con situazioni molto critiche nelle grandi città: a Roma, al 20 maggio, su un totale di circa 16mila domande ricevute, solo 2 pratiche erano arrivate alla fase conclusiva e non era stato ancora rilasciato alcun permesso di soggiorno. A Milano, su oltre 26mila istanze ricevute, poco più di 400 erano i permessi di soggiorno rilasciati.

      La nota prosegue: “Nonostante i piccoli passi in avanti, come campagna Ero straniero non possiamo che esprimere nuovamente la nostra preoccupazione per il grave ritardo in cui versa l’esame delle domande. Tale ritardo, nella realtà, significa precarietà e incertezza per decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici presenti nel nostro Paese, da un punto di vista sociale e sanitario. Ancora una volta, dunque, ribadiamo la richiesta al governo di intervenire immediatamente per velocizzare l’esame delle domande e portarle a conclusione; al Parlamento continuiamo a chiedere, invece, un intervento a lungo termine che favorisca legalità e integrazione, senza bisogno di sanatorie, come previsto nella proposta di legge di iniziativa popolare della campagna Ero straniero, ferma in Commissione affari costituzionali della Camera da oltre un anno”.

      Ero straniero è promossa da: Radicali Italiani, A Buon Diritto, Oxfam Italia, ActionAid Italia, ASGI,CNCA, Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani”, ARCI, Centro Astalli, Fcei - Federazione Chiese Evangeliche in Italia, CILD, ACLI, Legambiente Onlus, ASCS - Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo, AOI, con il sostegno di numerosi sindaci e decine di organizzazioni.

      http://www.vita.it/it/article/2021/07/22/pesanti-i-ritardi-sulle-regolarizzazioni-pratiche-ferme-al-25/160103

  • Il racconto dell’omicidio di #Agitu_Ideo_Gudeta evidenzia il razzismo democratico dei media italiani

    L’imprenditrice #Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa il 29 dicembre nella sua casa a #Frassilongo, in provincia di Trento. Da subito si è ipotizzato si trattasse dell’ennesimo femminicidio (72 donne dall’inizio del 2020), anche in ragione del fatto che in passato la donna era stata costretta a querelare un uomo per #stalking. In quell’occasione Gudeta aveva chiesto di considerare l’aggravante razziale, dato che l’uomo, un vicino di casa, la chiamava ripetutamente “negra”, ma il giudice aveva respinto la richiesta del suo avvocato. Il giorno successivo all’omicidio, il suo dipendente #Adams_Suleimani, – un uomo ghanese di 32 anni – ha confessato il crimine, aggravato dal fatto che l’ha violentata mentre era agonizzante. Il movente sarebbe un mancato pagamento.

    Gudeta era nata ad Addis Abeba, in Etiopia, 42 anni fa. Non era più una “ragazza”, come hanno scritto alcune testate. La sua prima permanenza in Italia risale a quando aveva 18 anni, per studiare nella facoltà di Sociologia di Trento. Era poi tornata in Etiopia, ma nel 2010 l’instabilità del Paese l’ha costretta a tornare in Italia. Nello Stato africano si è interrotto solo pochi giorni fa il conflitto tra il Fronte di Liberazione del Tigré e il governo centrale etiope – i tigrini sono una minoranza nel Paese, ma hanno governato per oltre trent’anni senza far cessare gli scontri tra etnie – cha ha causato violazioni dei diritti umani, massacri di centinaia di civili e una grave crisi umanitaria.

    Proprio le minacce dei miliziani del Fronte di Liberazione avevano spinto Agitu Ideo Gudeta a tornare in Italia. La donna aveva infatti denunciato le politiche di #land_grabbing, ossia l’accaparramento delle terre da parte di aziende o governi di altri Paesi senza il consenso delle comunità che le abitano o che le utilizzano per mantenersi. Per questo motivo il governo italiano le ha riconosciuto lo status di rifugiata. In Trentino, dove si era trasferita in pianta stabile, ha portato avanti il suo impegno per il rispetto della natura, avviando un allevamento di ovini di razza pezzata mochena, una specie autoctona a rischio estinzione, e recuperando alcuni ettari di terreni in stato di abbandono.

    Il caseificio che aveva aperto rivelava già dal nome – La capra felice – il suo credo ambientalista e il suo antispecismo, ricevendo riconoscimenti da Slow Food e da Legambiente per l’impegno promosso con la sua azienda e il suo negozio. Agitu Ideo Gudeta era un nome noto nel movimento antirazzista italiano, ma oggi viene usata – persino dai Verdi – per presentare il Trentino come terra di accoglienza, in un tentativo di nascondere la xenofobia di cui era oggetto. Le origini della donna e del suo assassino stupratore sono sottolineate da tutti e precedono la narrazione della violenza, mettendola in secondo piano, salvo evidenziarla in relazione alla provenienza dell’omicida, che per una volta non è un italiano, né un compagno o un parente.

    Alla “ragazza” è stata affibbiata in tutta fretta una narrazione comune a quella che caratterizza altre donne mediaticamente esposte, come le attiviste Greta Thunberg e Carola Rackete, la cooperante Aisha Romano o la giornalista Giovanna Botteri, basata su giudizi e attacchi basati perlopiù su fattori estetici. Razzismo, sessismo e classismo si mescolano in questa storia in cui la violenza – quella del vicino di casa, quella del suo assassino, quella del governo etiope – rischiano di rimanere sullo sfondo, in favore del Grande gioco dell’integrazione. A guidarlo è come sempre un trionfalismo tipico dei white saviour (secondo una definizione dello storico Teju Cole del 2012), come se esistesse un colonialismo rispettabile: insomma, in nome della tolleranza, noi italiani doc abbiamo concesso alla donna un riparo da un Paese povero, di una povertà che riteniamo irrimediabile. Usiamo ormai d’abitudine degli automatismi e un lessico che Giuseppe Faso ha definito razzismo democratico, in cui si oppongono acriticamente migranti meritevoli a migranti immeritevoli, un dualismo che sa vedere solo “risorse” o “minacce all’identità nazionale”.

    Così il protagonismo di Agitu Ideo Gudeta viene improvvisamente premiato, trasformando lei in una migrante-eroina e il suo aguzzino nel solito stupratore non bianco, funzionale solo al “Prima gli italiani”. Ma parlare di Agitu Ideo Gudeta in termini di “integrazione” è un insulto alla sua memoria. Considerarla un simbolo in questo senso conferma che per molti una rifugiata sarà rifugiata per sempre e che una “migrante” non è altro che una migrante. La nostra stampa l’ha fatto, suggerendo di dividere gli immigrati in buoni e cattivi, decorosi e indecorosi, e trattando i lettori come se fossero tutti incapaci di accogliere riflessioni più approfondite.

    Parallelamente però, un governo che come i precedenti accantona la proposta di legge sulla cittadinanza favorisce un racconto privo di sfumature, che rifiuta in nome di una supposta complessità non affrontabile nello sviscerare questo tema. Forse se avessimo una legge sulla cittadinanza al passo con i tempi, e non una serie di norme che escludono gli italiani di seconda generazione e i migranti, potremmo far finalmente progredire il ragionamento sulla cosiddetta convivenza e sulla coesione sociale ed esprimerci con termini più adeguati. Soprattutto chi è stato in piazza a gridare “Black Lives Matter”, “I can’t breathe” e “Say Their Names” oggi dovrebbe pretendere che la notizia di questo femminicidio venga data diversamente: in Trentino una donna di nome Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa e violentata. Era diventata un’imprenditrice di successo nel settore caseario dopo essersi opposta alle politiche di land grabbing in Etiopia. Era un’attivista e un’ambientalista molto conosciuta. Mancherà alla sua comunità.

    https://thevision.com/attualita/agitu-gudeta-razzismo

    #féminicide #racisme #Italie #meurtre #femmes #intersectionnalité #viol #réfugiés #accaparement_des_terres #Trentin #éleveuse #élevage #Pezzata_Mòchena #chèvrerie #chèvres #La_capra_felice #xénophobie
    #white_saviour #racisme_démocratique
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    Le site web de la #fromagerie de Agitu Ideo Gudet :


    http://www.lacaprafelice.com

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    NB :
    Grâce à une amie qui connaissait Agitu je viens de connaître une autre facette de cette histoire. Un drame dans le drame, dont je ne peux/veux pas parler ici.

    • Murdered Agitu Ideo Gudeta, an example of environmental preservation and female entrepreneurship in Italy.

      Agitu was found dead in her home in #Val_dei_Mocheni, Trentino, Italy. The entrepreneur and shepherdess from Ethiopia would turn 43 on January 1st.
      An employee of her company confessed the murder followed by rape.

      One of the main news in the Italian media, the murder of Agitu brought much indignation. Especially among women. In Italy, a woman is murdered every three days, according to a report from Eures.

      “When will this massacre of women end? When? Today, feminicide has extinguished the smile of a dear and sweet sister. Rest in peace Agitu. We will miss you a lot”, twitted the Italian writer with SomaIi origin Igiaba Sciego.

      Agitu, originally from Addis Ababa, was born into a tribe of nomadic shepherds. She went to Rome to study Sociology when she was 18 years old and returned to Ethiopia. However, she left her country again in 2010, fleeing threats for her commitment by denouncing “land grabbing” by multinationals.

      In Italy, in Valle dei Mocheni, Trentino, she began to preserve a goat species in extinction, the #Mochena goat.

      An example of female entrepreneurship, she set up the company “La capra felice” (The happy goat) producing cheeses and cosmetic products with goat’s milk.

      She has become an example of organic and sustainable production.

      Agitu’s work has been recognized throughout Italy, her story published in many medias, she attended different events and has been rewarded for her commitment to preserving goats and her production of organic products. One of the awards was the Slow Cheese Resistenza Casearia award, in 2015.

      It was not the first time that Agitu had her life under threat in the hands of men. She publicly denounced her neighbour for stalking, racially motivated threats and aggression. For months she was threatened by a man and one of the reasons was that she offered work and apprenticeship for refugees from African origins. “This neighbour does not like the colour of our skin and does what it can to create confusion,” she said at an interview.

      On December 29, her life was taken by a man who worked for her, shepherding her goats. According to him, for financial reasons. The man confessed to the crime and also revolted that he had committed rape after the attack. The man beat her in her head with a hammer. He was arrested.

      Agitu was found lifeless after friends called the police because they thought it was strange that she didn’t come to a meeting and didn’t answer the phone.

      The murder is a tragic end for a woman who brought so many good things into the world.

      Until when will we lose our sisters to violence?

      Rest in peace Agitu. We will never forget your legacy.

      https://migrantwomenpress.com/agitu-ideo-gudeta-murdered/amp/?__twitter_impression=true

      #montagne

    • Grâce à une amie qui connaissait Agitu je viens de connaître une autre facette de cette histoire. Un drame dans le drame, dont je ne peux/veux pas parler ici.

    • Le féminicide d’Agitu Ideo Gudeta choque l’Italie

      Ce 29 décembre, Agitu Ideo Gudeta, une réfugiée éthiopienne de 42 ans, a été retrouvée morte à son domicile, dans le nord de l’Italie, annonce La Repubblica. Elle était connue dans tout le pays grâce à son activité, couronnée de succès, d’éleveuse de chèvres et avait été à de nombreuses reprises médiatisée.

      Une célèbre bergère

      Selon le quotidien local Il Dolomiti, Agitu Gudeta était devenue « la bergère la plus célèbre des vallées du Trentin ». Et son histoire n’était pas banale. En 2010, elle avait dû fuir l’Éthiopie à cause de son activité de militante environnementaliste. Elle subissait des menaces de poursuites judiciaires et des menaces de mort car elle s’opposait à l’accaparement des terres par certaines multinationales.

      A 30 ans, toute seule dans un nouveau pays et dans la région réputée inhospitalière du Trentin, elle avait commencé une autre vie, avec ses 180 chèvres et sa propre entreprise prospère de fromages bio baptisée « La Capra Felice », la chèvre heureuse. Elle avait choisi de protéger une espèce rare, la chèvre Mochena, qui survit dans cette vallée isolée.
      Insultes et menaces racistes

      Avec sa réussite, c’est à d’autres menaces qu’elle avait dû faire face : des menaces et insultes racistes de la part de ses voisins. Elle avait été agressée physiquement également. Elle avait porté plainte contre l’un d’eux qui avait été condamné en janvier à 9 mois sous liberté conditionnelle.

      https://www.youtube.com/watch?v=CF0nQXrEJ30&feature=emb_logo

      https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_le-feminicide-d-agitu-ideo-gudeta-choque-l-italie?id=10664383

    • Trentino, uccisa in casa Agitu Gudeta, la rifugiata etiope simbolo dell’integrazione

      Scappata dal suo Paese, aveva fondato l’azienda agricola «La capra felice» nella Valle dei Mocheni dove allevava animali a rischio di estinzione.

      L’hanno trovata senza vita all’interno della sua casa di Frassilongo (Trentino), colpita con violenza alla testa. Un omicidio, hanno confermato i carabinieri che nel tardo pomeriggio sono giunti sul posto, chiamati dai vicini e stanno lavorando per ricostruire l’accaduto.

      È finito così - forse con un colpo di martello - il sogno di Agitu Ideo Gudeta, pastora etiope che avrebbe compiuto 43 anni il giorno di Capodanno e che si era data l’obiettivo di salvare dall’estinzione (e anche dagli attacchi dell’orso) la capra mochena, una specie che sopravvive in una valle isolata della Provincia di Trento dove la donna aveva trovato casa.

      Ma il suo problema - aveva denunciato un paio di anni fa - più che gli orsi erano i vicini: «Mi insultano, mi chiamano brutta negra, dicono che me ne devo andare e che questo non è il mio posto» aveva denunciato ai carabinieri, raccontando anche pubblicamente la sua storia. Le indagini perà si concentrerebbero su un giovane africano dipendente dell’azienda ’La Capra Felice’. A quanto pare, l’uomo - che non è quello che l’aveva minacciata ed aggredita - avrebbe avuto dissidi con Agitu per motivi economici. A dare l’allarme ai carabinieri sono stati alcuni vicini a loro volta chiamati da un uomo con il quale la vittima aveva un appuntamento al quale non si era presentata.

      Sul caso delle minacce arrivò la solidarietà del presidente della giunta provinciale, all’epoca Ugo Rossi: «Il fatto che Agitu, da rifugiata, abbia avviato la sua attività agricola sul nostro territorio dimostra che il Trentino crede nell’accoglienza e nella solidarietà». Una storia di minacce e danneggiamenti, finita in tribunale con la condanna a 9 mesi per lesioni di un uomo del posto che aveva sempre liquidato la faccenda come una lite fra vicini: «Il razzismo non c’entra». La donna quindi aveva ripreso a girare i mercati del Trentino per vendere i prodotti realizzati con il latte delle sue cinquanta capre, con il furgone che sulla fiancata riportava il nome dell’azienda agricola: «La capra felice».

      Agitu Gudeta era fuggita in Italia nel 2010 e aveva ottenuto lo status di rifugiata e dopo qualche anno era riuscita ad avviare la sua azienda agricola a Frassilongo scommettendo sulle capre mochene. Nel 2017 aveva partecipato all’incontro «Donne anche noi», raccontando la sua storia di migrante arrivata in Italia. Originaria della capitale Addis Abeba, era stata costretta a lasciate l’Etiopia perché a causa del suo impegno contro l’accapparramento delle terre da parte di alcune multinazionali era stata oggetto di minacce di morte.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2020/12/29/news/trentino_trovata_morta_agitu_gudeta_donna_42enne_simbolo_di_integrazione_

    • Tributes paid to Ethiopian refugee farmer who championed integration in Italy

      Agitu Ideo Gudeta, who was killed on Wednesday, used abandoned land to start a goat farming project employing migrants and refugeesTributes have been paid to a 42-year-old Ethiopian refugee and farmer who became a symbol of integration in Italy, her adopted home.

      Agitu Ideo Gudeta was attacked and killed, allegedly by a former employee, on her farm in Trentino on Wednesday.

      Gudeta had left Addis Ababa in 2010 after angering the authorities by taking part in protests against “land grabbing”. Once in Italy, she tenaciously followed and realised her ambition to move to the mountains and start her own farm. Taking advantage of permits that give farmers access to abandoned public land in depopulated areas, she reclaimed 11 hectares (27 acres) around an old barn in the Mòcheni valley, where she founded her La Capra Felice (The Happy Goat) enterprise.

      Gudeta started with a herd of 15 goats, quickly rising to 180 in a few years, producing organic milk and cheese using environmentally friendly methods and hiring migrants and refugees.

      “I created my space and made myself known, there was no resistance to me,” she told Reuters news agency that year.

      “Agitu brought to Italy the dream she was unable to realise in Ethiopia, in part because of land grabbing,” Gabriella Ghermandi, singer, performer, novelist and friend of Gudeta, told the Guardian. “Her farm was successful because she applied what she had learned from her grandparents in the countryside.

      “In Italy, many people have described her enterprise as a model of integration. But Agitu’s dream was to create an environmentally sustainable farm that was more than just a business; for her it also symbolised struggle against class divisions and the conviction that living in harmony with nature was possible. And above all she carried out her work with love. She had given a name to each one of her goats.”

      In a climate where hostility toward migrants was increasing, led by far-right political leaders, her success story was reported by numerous media outlets as an example of how integration can benefit communities.

      “The most rewarding satisfaction is when people tell me how much they love my cheeses because they’re good and taste different,” she said in an interview with Internazionale in 2017. “It compensates for all the hard work and the prejudices I’ve had to overcome as a woman and an immigrant.”

      Two years ago she received death threats and was the target of racist attacks, which she reported to police, recounting them on her social media posts.

      But police said a man who has confessed to the rape and murder of the farmer was an ex-employee who, they said, allegedly acted for “economic reasons”.

      The UN refugee agency said it was “pained” by Gudeta’s death, and that her entrepreneurial spirit “demonstrated how refugees can contribute to the societies that host them”.

      “Despite her tragic end, the UNHCR hopes that Agitu Ideo Gudeta will be remembered and celebrated as a model of success and integration and inspire refugees that struggle to rebuild their lives,” the agency said.

      “We spoke on the phone last week’’, said Ghermandi. “We spent two hours speaking about Ethiopia. We had plans to get together in the spring. Agitu considered Italy her home. She used to say that she had suffered too much in Ethiopia. Now Agitu is gone, but her work mustn’t die. We will soon begin a fundraising campaign to follow her plan for expanding the business so that her dream will live on.”

      Gudeta would have turned 43 on New Year’s Day.

      https://www.theguardian.com/global-development/2021/jan/01/tributes-paid-to-ethiopian-refugee-farmer-who-championed-integration-in

    • Dalla ricerca di eroi alla costruzione di progetti comunitari. Perché è importante cambiare narrazione

      Del bisogno di eroi

      La storia del passato, così come la cronaca quotidiana, pullula di storie di eroi che troneggiano nell’immaginario collettivo. Quello di eroi ed eroine è un bisogno antico, che riflette la necessità di costruire cognitivamente il mondo reale per mezzo di narrative che ci permettano di affidare ruoli e connotati chiari a singoli individui e gruppi sociali, soddisfacendo il nostro bisogno di certezze che affonda le radici tanto nella mitologia classica quanto nel pensiero cristiano e che sostengono la costruzione della nostra moralità culturale e senso dell’etica.

      Si tratta però di un bisogno che è ancora largamente presente nelle società contemporanee, a dispetto dei progressi indotti dal processo di formazione del diritto moderno, che ha portato a distinguere in maniera netta tra ciò che è lecito e ciò che lecito non è. Questo processo non è infatti riuscito, se non in astratto attraverso artifici teorici, a superare la dimensione individualistica (Pisani, 2019). Di qui il perdurare del bisogno di eroi, che continua a essere percepito come rilevante perché offre un’efficace e facile via di fuga. Consente, talvolta inconsapevolmente, di banalizzare situazioni e fenomeni complessi, interpretarli in maniera funzionale alla nostra retorica e giustificare l’inazione.

      Se l’obiettivo è però innescare profondi cambiamenti sociali all’insegna di una maggiore giustizia sociale e lotta alle profonde disuguaglianze del nostro tempo, allora non è di singoli eroi che si dovrebbe andare alla ricerca, ma di una diversa narrazione che faccia assegnamento sull’impegno autentico delle comunità. Comunità locali che sono sempre più chiamate a svolgere un ruolo rilevante nella costruzione sia di sistemi di welfare di prossimità, sia di nuovi modelli di produzione a larga partecipazione, in risposta a una pluralità di bisogni e sfide incompiute che spaziano dall’inclusione di persone vulnerabili fino alla gestione di beni comuni come la salute, il territorio, l’energia.[1]

      Quest’articolo prende le mosse da una convinzione di fondo. Nonostante il ruolo importante che svolgono nel generare benessere sociale, le comunità locali stentano ad essere riconosciute come protagoniste di un processo di cambiamento.

      Responsabile della loro scarsa visibilità e incisività non è solo l’insufficiente riconoscimento politico, ma anche una narrazione incoerente di cui si fanno sovente portatrici anche le organizzazioni di terzo settore che gli interessi delle comunità promuovono. Una narrazione spesso incentrata sul culto di singole personalità che, mettendo in ombra l’ancoraggio comunitario, rischia di incrinare l’impatto generativo del terzo settore.

      Dopo una riflessione sul perché bisognerebbe diffidare delle narrazioni idealizzate e sugli effetti del pathos degli eroi, l’articolo si sofferma su un caso specifico, quello di Agitu Ideo Gudeta, assassinata sul finire del 2020 da un suo collaboratore. Quindi, prendendo le mosse da questa drammatica vicenda, gli autori si soffermano sulle ragioni che farebbero propendere per la sostituzione degli eroi con progetti collettivi, sollecitando le organizzazioni di terzo settore, in primis, a cambiare narrazione.
      Pathos degli eroi

      Gli esempi di persone, professionisti e politici che sono stati idealizzati in virtù di reali o presunti talenti o gesta sono molteplici e coinvolgono frange della società civile – sia conservatrici e reazionarie, sia progressiste – così come il mondo della politica. Eroi che, spesso in virtù di altrettante semplificazioni, da figure mitologiche sono stati di punto in bianco trasformati in demoni o in capri espiatori, lasciando volutamente in ombra la complessità dei contesti, le relazioni, le fragilità, le emozioni e i comportamenti, spesso controversi, che accompagnano ogni essere umano, sia nei momenti di gloria, sia in quelli più bui.

      Nell’ambiente conservatore spicca la parabola di Vincenzo Muccioli, santificato negli anni ’80 come salvatore di migliaia di giovani spezzati dall’eroina, e poi demonizzato dai mezzi di informazione, prescindendo da un’analisi approfondita della sua controversa iniziativa. Tra gli esempi di persone e professionisti che sono stati santificati e poi travolti da un’onda di retorica colpevolista vi sono gli infermieri e i medici, celebrati come supereroi allo scoppio della pandemia Covid-19, passati nel secondo lockdown ad essere additati come appestati e untori, quando non complici di una messa in scena.[2]
      Emblematico è anche il caso dei volontari, portati puntualmente alla ribalta della cronaca come angeli durante catastrofi e crisi naturali, per poi svanire nel nulla in tempi non emergenziali, a dispetto del loro prezioso contributo quotidiano per migliorare la qualità della vita delle persone più vulnerabili.[3]
      Con riferimento all’ambiente più militante e progressista si distingue Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, passato dall’essere innalzato a mito dell’accoglienza dalla stampa e dal sistema SPRAR, in virtù dell’esperienza pionieristica sperimentata dal suo Comune, a essere abbandonato e attaccato da una parte dei media. Il cambio di atteggiamento nei confronti di Lucano coincide con la controversa vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto per favoreggiamento dell’immigrazione e per la gestione di progetti di accoglienza, dopo che il suo Comune è stato per anni pressato dal Viminale e dalla Prefettura affinché ospitasse un gran numero di richiedenti asilo, rifiutati da altri progetti di accoglienza (Procacci, 2021). Nel mondo della politica istituzionale primeggia l’attuale santificazione di Mario Draghi, acclamato come unico possibile salvatore di un Paese al collasso dopo essere stato considerato un simbolo dei poteri finanziari forti negli anni della crisi economica globale (Dominjanni, 2021).
      Perché diffidare degli eroi?

      Le ragioni che portano a diffidare degli eroi sono molteplici. I riflettori accesi esclusivamente sulla dimensione dell’eccellenza[4]
      distolgono l’attenzione da tutto ciò che condiziona le azioni dell’eroe, come i contesti istituzionali e ambientali, incluso il bagaglio di risorse, non solo economiche ma anche sociali e culturali, su cui il singolo fa assegnamento. A influenzare i percorsi che portano alle presunte gesta eccezionali di chi viene incoronato come eroe, ci sono comunità e organizzazioni, più o meno coese, composte da una pluralità di individui che si relazionano tra di loro per contribuire, in base al ruolo ricoperto, al raggiungimento di obiettivi condivisi. Anche le scelte dell’imprenditore più autoritario e accentratore, sono condizionate dalle persone e dall’ambiente con cui è interconnesso. Il potenziale innovativo non è quindi un dono che gli dei fanno a pochi eletti (Barbera, 2021), ma un processo complesso che per essere compreso appieno presuppone un’analisi articolata, che ricomprende una pluralità di elementi economici, sociali e relazionali. Elementi che le analisi fondate sugli eroi nella maggior parte dei casi ignorano, riconducendo sovente il successo dell’iniziativa idealizzata esclusivamente a un’intuizione del singolo.

      A fomentare una narrazione personalistica ha contribuito lo storytelling che ha fatto dell’innovazione il mantra dominante (Barbera, 2021). Responsabile è principalmente la retorica di stampo neoliberista, incentrata sul mito dell’imprenditore individuale, che ha assoggettato la maggior parte dei campi del sapere, arrivando a giustificare le disuguaglianze poiché conseguenti a un processo liberamente accettato dove ognuno ha pari opportunità di accesso al mercato e alla proprietà (Piketty, 2020). Di qui la riconversione del cittadino in homo oeconomicus, orientato non più allo scambio come nel liberismo classico, bensì alla valorizzazione di sé stesso in quanto capitale umano (Dominjianni, 2017). Una parte della letteratura sul management del terzo settore ha introiettato questa logica, proiettandola nella figura eroica dell’imprenditore sociale (Waldron et al., 2016; Miller et al., 2012; Dacin et al., 2011; Short et al., 2009; Zahra et al., 2009; Bornstein, 2007; Martin, Osberg, 2007; Austin et al., 2006).[5]
      Sottolineando il connubio tra tratti etici e competenze creative e leadership, che permetterebbero all’imprenditore sociale di assumersi i rischi necessari a raggiungere obiettivi sociali straordinari, questa letteratura ha trascurato i processi organizzativi e decisionali che sono alla base del funzionamento delle diverse organizzazioni (Petrella, Battesti, 2014).

      Il culto degli eroi ha così contribuito ad allontanare l’attenzione da alcune caratteristiche precipue di associazioni e cooperative, tra cui in primis l’adozione di modelli di governo inclusivi ad ampia partecipazione, che dovrebbero favorire il coinvolgimento di una pluralità di portatori di interesse nei processi decisionali, in rappresentanza dei diversi gruppi sociali che abitano un territorio (Sacchetti, 2018; Borzaga e Galera, 2016; Borzaga e Sacchetti, 2015; Defourny e Borzaga, 2001).[6]
      Ciò si verifica, ad esempio, quando una organizzazione di terzo settore costituita su basi democratiche, è identificata con il nome di un singolo eroe: un fondatore, un religioso che – anche quando non ricopra effettivamente cariche formali apicali – si riconosce come ispirazione e figura carismatica. Sono casi in cui talvolta il percorso di sviluppo dell’ente passa in secondo piano rispetto a quello di un singolo individuo il cui nome è di per sé evocativo dell’intera organizzazione.
      Gli effetti delle narrazioni eroicizzate

      L’immediata spendibilità comunicativa delle narrazioni fondate su figure eroiche spiega perché esse siano largamente preferite da una parte rilevante della politica, da molti osservatori e dalla quasi totalità degli operatori dell’informazione rispetto a studi analitici volti a comprendere i fenomeni sociali e a rendere conto ai cittadini e agli attori esterni delle scelte di policy compiute. Di qui l’incapacità di comprendere le problematiche che affliggono la società contemporanea e la proiezione artificiale in una figura erta a simbolo, non senza implicazioni negative.
      Allontanano dall’individuazione di possibili soluzioni

      Oltre a offuscare il contesto di appartenenza, la retorica dell’azione straordinaria allontana l’attenzione da quello che dovrebbe essere il corretto funzionamento di qualsiasi sistema, a livello macro, così come a livello micro. Nelle narrazioni incentrate sugli eroi non c’è spazio né per analisi valutative comparate, né tantomeno per riflessioni su come dovrebbe funzionare, ad esempio, un’organizzazione.

      Scoraggiando la correttezza analitica su temi di rilevanza pubblica e disincentivando qualsiasi tipo di studio volto a misurare l’efficacia di singole iniziative di welfare o il loro impatto sull’occupazione e il benessere della collettività, le narrazioni eroicizzate impediscono di indagare la realtà in maniera approfondita. Di conseguenza, non consentono di comprendere le implicazioni, non solo economiche ma anche in termini di efficacia, che sono connesse alle diverse soluzioni di policy.

      La tendenza ad analizzare la realtà in maniera superficiale, spesso in nome di un’imperante “politica del fare”, ci allontana quindi dall’individuazione di possibili soluzioni ai problemi che affliggono le società contemporanee. I riflettori accesi su una singola esperienza nel campo delle dipendenze hanno per molto tempo impedito un confronto serio sull’efficacia degli interventi di riabilitazione sperimentati dalle diverse realtà di accoglienza, non solo in termini di disintossicazione, ma anche di reinserimento nel tessuto sociale delle persone accolte. L’esaltazione della figura di Vincenzo Muccioli ha contribuito a trascurare negli anni ‘80 le oltre 300 iniziative di accoglienza di tossicodipendenti che in quegli stessi anni stavano sperimentando percorsi di riabilitazione alternativi basati sull’ascolto individuale, la responsabilità e la condivisione comunitaria. Realtà che, basandosi su uno scambio tra contributi volontari e competenze professionali (sociologici, psicologi, educatori, psichiatri, ecc.), prendevano le mosse a partire dall’esperienza di organizzazioni già radicate come il Gruppo Abele, San Benedetto al Porto e la Comunità di Capodarco, così come nuove esperienze, tra cui il Ceis, Exodus, Saman, Villa Maraini a Roma e la comunità Betania a Parma (De Facci, 2021). Tra le tante comunità di accoglienza e recupero nate tra gli anni ’70 e ’80, particolarmente interessante è quella trentina di Camparta, che è stata recentemente raccontata da alcuni dei suoi protagonisti. Promossa su iniziativa di uno psicoterapeuta d’impronta basagliana e animata da ideali libertari e comunitari, Camparta ha sperimentato un metodo di riabilitazione olistico, fondato su un percorso di ricerca interiore, confronto e rifondazione culturale a tutto campo (I ragazzi di Camparta, 2021).

      La narrazione fortemente polarizzata tra posizioni idealizzate pro e anti migranti continua a impedire un’analisi rigorosa e sistematica del fenomeno migratorio che possa fornire utili indicazioni di policy su come andrebbe gestita l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati entro una visione di sviluppo locale piuttosto che secondo una logica emergenziale. L’idealizzazione di Mimmo Lucano ha distolto l’attenzione dalle tante altre esperienze di accoglienza di cui l’Italia è ricca. Iniziative che, prendendo in alcuni casi ispirazione dall’iniziativa pionieristica di Riace, hanno saputo innescare processi di sviluppo a livello locale grazie ad una proficua collaborazione tra enti di terzo settore e enti locali (Galera, Borzaga, 2019; Lucano, 2020).

      Coprendo le nefandezze e le carenze di un sistema sanitario al collasso, la celebrazione di medici e infermieri come angeli durante il primo lockdown ha ritardato una riflessione quanto mai necessaria su come dovrebbe essere riformato il sistema sanitario per renderlo maggiormente in grado di gestire le attuali sfide socio-sanitarie, così come quelle all’orizzonte per effetto dell’allevamento industriale intensivo, del massiccio impiego di antibiotici in allevamento e dei cambiamenti climatici (Galera, 2020; Tamino, 2020).

      A livello organizzativo, le narrazioni incentrate sull’azione straordinaria degli eroi imprenditori incoraggiano sistematicamente sia l’adozione di strumenti di management, sia l’adesione a culture organizzative che, svilendo la componente della partecipazione, indeboliscono la capacità del terzo settore di incidere a livello locale; e influenza, in modo negativo, pure le politiche, laddove, ad esempio nelle scelte di finanziamento, venga privilegiata l’idea “innovativa”[7]
      rispetto alla capacità di costruire legami di comunità e di rafforzare soggetti collettivi e inclusivi.

      A livello di sistema, l’impatto generativo del terzo settore è nondimeno minato dall’incapacità – insita in ogni idealizzazione – di discernere tra elementi non trasferibili, perché legati a particolari condizioni congiunturali e di contesto favorevoli, ed elementi “esportabili”. Tra questi, ad esempio, modelli di servizio, strumenti di lavoro, strategie di collaborazione o forme dell’abitare che, essendo stati sperimentati con esiti positivi, potrebbero essere modellizzati e replicati su più ampia scala, qualora liberati dal giogo dell’eroe.
      Forniscono l’alibi per rifugiarsi nell’inazione

      Tra i gruppi idealizzati rientrano i volontari e gli operatori impegnati in prima linea nelle situazioni emergenziali generate da catastrofi naturali. Nel caso dei volontari, la tendenza predominante è mitizzarne il coinvolgimento durante le emergenze e ignorarne sistematicamente il contributo nella vita quotidiana a sostegno delle persone più vulnerabili o del territorio che abitiamo per contenerne la fragilità.

      Tra gli esempi di mobilitazioni di volontari idealizzate vi sono quelle avvenute in occasione di nubifragi e terremoti. Tra queste l’alluvione che nel 1966 cosparse Firenze di acqua e fango, causando gravissimi danni sia alle persone sia al patrimonio artistico (Silei, 2013). Ulteriori esempi di mobilitazioni comunitarie sono rappresentati dal terremoto del 2012 in Emilia e dall’alluvione di Genova nel 2014. Catastrofi naturali che hanno attivato una catena di solidarietà in grado di compensare, almeno in parte, l’assenza di un’organizzazione centralizzata capace di gestire opportunamente le emergenze.

      L’uso di espressioni improprie come “angeli” e “eroi” mette tuttavia in ombra la normalità dell’azione di milioni di cittadini che nelle associazioni o individualmente nei loro posti di lavoro, in strada o su internet, chiedono l’attenzione delle istituzioni, anche prima delle emergenze, denunciano gli abusi e si battono per i propri diritti (Campagna #nonsonoangeli, 2014).[8]
      La mitizzazione dei volontari nei momenti di crisi non solo svilisce il loro prezioso contributo nella quotidianità. Appigliandosi al pretesto che l’impegno sia appannaggio di pochi eletti, l’idealizzazione offre ai così detti “cittadini ordinari” l’alibi per rifugiarsi nell’inazione.
      Scoraggiano la costruzione di un sistema valoriale alternativo

      Il pathos suscitato dagli eroi offre nondimeno la scorciatoia per non impegnarsi nella costruzione di un sistema valoriale coerente con i principi e i valori dichiarati. Il sistema di riferimenti valoriali riprodotto dall’eroe permette, infatti, di aggregare consenso in maniera immediata, senza alcuna fatica. Diversamente, un percorso di produzione valoriale sociale in grado di innescare cambiamenti consapevoli richiederebbe sia un impegno rilevante in termini di ascolto, confronti e negoziazioni volti a tracciare un itinerario di azione condiviso, sia tempi considerevoli.

      Di qui l’effimera illusione che l’eroe, consentendo di conseguire approvazione e sostegno nel breve termine, possa aiutarci a sostenere il nostro sistema valoriale in maniera più efficace. Le storie di eroi ci mostrano, invece, come i sistemi basati sull’idealizzazione siano nel medio e lungo periodo destinati a produrre l’effetto contrario. Creando una frattura netta tra gli eroi e i non eroi, influenzano in senso antisociale i comportamenti collettivi e individuali (Bonetti, 2020). E così facendo, ci allontanano da quello che dovrebbe essere il modello di società più rispondente al sistema valoriale che vorremmo promuovere.
      Incoraggiano la polarizzazione tra “buoni” e “cattivi”

      Di conseguenza, oltre a non contribuire a risolvere spinosi problemi sociali, le narrazioni idealizzate favoriscono una polarizzazione tra “buoni” e “cattivi” in cui le posizioni contrapposte si alimentano a vicenda, compromettendo il dialogo e la gestione dei conflitti.

      La tendenza a polarizzare è una prassi diffusa nel settore dell’informazione, incline a esaltare o distruggere personaggi simbolo (Sgaggio, 2011), così come tra opinionisti, osservatori, ricercatori, esperti e tra le organizzazioni della società civile.

      Quella della polarizzazione e categorizzazione è tuttavia una tendenza a cui siamo tutti soggetti, spesso inconsapevolmente. Siamo attratti maggiormente da notizie e informazioni che siano in grado di confermare le nostre interpretazioni del mondo, mentre siamo respinti magneticamente da tutto ciò che mette in discussione le nostre certezze o alimenta dubbi. Elaborare messaggi che si allineano con le nostre ideologie richiede, non a caso, uno sforzo cognitivo considerevolmente minore rispetto alla messa in discussione delle nostre sicurezze (Michetti, 2021).

      L’inclinazione a semplificare e categorizzare è in una certa misura una reazione incontrollata, indotta dall’esigenza di difenderci dal bombardamento di informazioni a cui siamo sottoposti sistematicamente. Una reazione che rischia di essere esasperata dallo stato emotivo di vulnerabilità a livello individuale e collettivo in cui ci troviamo a causa della pandemia. L’essere più fragili ci rende, infatti, più facilmente preda di abbagli e simboli in cui proiettare paure, ambizioni e desideri di cambiamento in positivo.
      Esasperano le fragilità delle persone idealizzate

      In mancanza della consapevolezza di essere oggetto di idealizzazione, la mitizzazione può avere conseguenze deleterie anche sulla persona idealizzata. Come alcune storie di eroi ci mostrano, l’idealizzazione può portare a una progressiva esasperazione di fragilità latenti e, nei casi estremi, a una dissociazione cognitiva. Di qui lo sviluppo – nelle persone borderline – di disturbi narcisistici e megalomani, che possono accelerare la caduta del mito, sempre al varco quando vi è un processo di santificazione in atto.[9]

      A prescindere dall’evoluzione dell’idealizzazione, delle competenze, talenti o accuse di cui può essersi macchiato il presunto eroe, si tratta di un percorso a termine, nella maggior parte dei casi destinato a lasciare spazio alla solitudine non appena la stagione della gloria si esaurisce, talvolta accompagnata dalla dissacrazione della figura dell’eroe.
      Il caso della pastora Agitu Ideo Gudeta e della “Capra Felice”

      La recente idealizzazione della pastora etiope Agitu Ideo Gudeta, titolare dell’azienda agricola “La Capra Felice”, esaltata a seguito della sua uccisione, confermano il bisogno compulsivo di eroi che affligge una rilevante fetta di società, in questo caso quella più militante e attenta alla giustizia sociale, ai valori della solidarietà e dell’antirazzismo. La sua storia è molto conosciuta.

      Agitu Ideo Gudeta nasce nel 1978 in Etiopia. Emigra in Italia per motivi di studio ma, appena laureata, torna nella sua terra d’origine per combattere contro il land-grabbing. Dopo aver ricevuto pesanti minacce per il suo impegno contro le multinazionali, rientra come rifugiata in Italia e avvia in Trentino un allevamento di ovini di razza pezzata mòchena, una specie autoctona a rischio di estinzione, e un caseificio, La Capra Felice, i cui prodotti biologici e gli intenti ambientalisti la portano ad ottenere riconoscimenti anche da Slow Food e da Legambiente. Per la sua attività Agitu Ideo Gudeta recupera un pascolo di oltre 10 ettari in stato di abbandono e occupa nel corso degli anni numerosi giovani richiedenti asilo e rifugiati.

      Quello di Agitu Ideo Gudeta è un racconto ineccepibile di cui tanti attivisti si sono innamorati, estrapolando pezzi della sua storia che calzavano a pennello con la loro retorica. Il suo percorso ha trovato terreno fertile nelle narrazioni sull’inclusione, nelle analisi di buone pratiche di imprenditoria migrante e femminista, nelle storie di rivitalizzazione di aree interne, negli esempi di recupero di specie animali autoctone a rischio di estinzione, e nella lotta contro il land-grabbing.

      La maggior parte delle analisi, in particolare quelle realizzate dopo la sua uccisione, si è tuttavia limitata ad una descrizione superficiale che ha sottovalutato le caratteristiche di un contesto contraddistinto da una molteplicità di sfide e criticità legate in primo luogo al settore di attività, la pastorizia, notoriamente a rischio di sfruttamento per le caratteristiche intrinseche a tutte le attività agricole. Si tratta di attività esposte a una molteplicità di fattori di incertezza; a quelli produttivi e di mercato si aggiungono rischi climatici, ambientali e istituzionali legati al cambio di normative e regolamenti, che condizionano fortemente le entrate economiche, specie delle aziende agricole di piccole dimensioni.

      Tra le caratteristiche di contesto rientra anche il tipo di territorio: la Valle Dei Mòcheni, un’area alpina periferica dove esistono ancora regole antiche che governano i rapporti tra i membri della comunità. Infine, un ulteriore elemento di complessità è legato alla tipologia di lavoratori impiegati dalla Capra Felice: richiedenti asilo e rifugiati, ovvero persone fragili che mostrano, in generale, un’alta vulnerabilità spesso dovuta a disturbi post-traumatici da stress (Barbieri, 2020).[10]
      Queste sfide e criticità si sono intrecciate con le difficoltà legate a un processo di sviluppo imprenditoriale che la Capra Felice ha intrapreso in un momento di grave instabilità e recessione economica.

      A dispetto delle drammatiche circostanze in cui i fatti si sono svolti, la retorica che potremmo chiamare della beatificazione seguita all’uccisione di Agitu Ideo Gudeta non ha lasciato alcuno spazio alla riflessione critica. Non solo le istituzioni pubbliche e gli operatori dell’informazione, ma anche molti politici e organizzazioni di terzo settore si sono rifugiati nella facile consacrazione dell’eroina, piuttosto che interrogarsi sulle fragilità dell’ambiente in cui Agitu Ideo Gudeta operava, sulle difficoltà incontrate da lei e dai suoi collaboratori, e persino sulle concause che potrebbero aver portato alla sua uccisione.

      Mentre si sono sprecate le parole per “eroicizzarla”, nessuno si è interrogato sulla qualità del lavoro, sul tipo di relazione lavorativa che la Capra Felice instaurava con i giovani richiedenti asilo e sull’esito dei loro percorsi di integrazione.

      Chi erano e che ruolo avevano i collaboratori della Capra Felice? Quanti richiedenti asilo hanno lavorato nel corso degli anni e in che misura e da chi erano seguiti nei loro percorsi di inclusione? Qual era il turn over dei lavoratori stranieri? Che rapporto avevano i collaboratori della Capra Felice con il territorio e la comunità locale? Dove vivono e lavorano ora gli ex lavoratori? Nel caso di lavoratori particolarmente fragili, qual era il ruolo dei servizi sociali e sanitari? Il percorso di sviluppo imprenditoriale della Capra Felice è stato seguito da qualche incubatore di impresa e, in caso negativo, perché no?

      Queste sono solo alcune delle domande su cui si sarebbe dovuto a nostro avviso interrogare qualsiasi osservatore non superficiale, interessato a comprendere e a sostenere i percorsi di accoglienza e inclusione sociale e lavorativa delle persone fragili.
      Progetti collettivi al posto di eroi e eroine

      La storia tragica di Agitu Ideo Gudeta sembra essere anche la storia di una società debole e fallimentare nel suo complesso, non solo di un’onda retorica che ha attraversato i mezzi di informazione e i social network per creare al suo centro l’eroina.

      Il fatto che la sua morte abbia generato un bisogno di santificazione e una gogna mediatica nei confronti dell’accusato, invece che sollecitare cordoglio e un esame di coscienza collettiva, smaschera un vuoto su cui forse varrebbe la pena riflettere.

      Un vuoto che può essere riempito solo con azioni concrete e durevoli, che siano il frutto di progetti collettivi a livello comunitario. A questo scopo, servono iniziative di autentica condivisione che aiutino a governare la complessità, a riconoscere le situazioni di fragilità e a prevenire e gestire i conflitti che inevitabilmente abitano i contesti sociali (Sclavi, 2003). A supporto di queste iniziative, c’è bisogno di una nuova narrazione, autentica e costruttiva, che sia innanzi tutto capace di apprendere dagli errori e dai fallimenti affinché le falle del nostro tessuto sociale non permettano più il perpetrarsi di simili tragedie. Quindi, una narrazione che non rifugge il fallimento e non lo percepisce come un pericolo da mascherare a qualsiasi costo, ma come un’opportunità di crescita e di cambiamento.

      Rispetto a quella che nutre gli eroi, è un tipo di narrazione di senso, incline ad alimentare una responsabilità collettiva e una nuova consapevolezza sociale, che può favorire un ribaltamento valoriale in senso solidale. È però una narrazione molto più faticosa da sviluppare. Presuppone, infatti, un’azione collettiva impegnativa in termini di relazioni, negoziazioni e confronti, che deve giocoforza poggiare sulla creazione di spazi di aggregazione e di collaborazione. Questa nuova narrazione non può che nascere da un rinnovato impegno civico di ciascuno di noi, in quanto cittadini responsabili che, praticando la solidarietà, prefigurano un cambiamento e un futuro possibile dove la cittadinanza attiva non è l’eccezione ma la costante.[11]

      Di qui la necessità di sostituire l’emulazione verbale e la ben sedimentata narrativa dell’eroe, normativamente accettata da un uso millenario, con un nuovo ordine normativo significante della realtà.
      Come sostenere la creazione di comunità accoglienti e inclusive

      La crisi della democrazia rappresentativa, la sfiducia nei partiti e l’allontanamento dalla politica hanno da tempo acceso i riflettori sulla società civile, organizzata e non, in quanto spazio di discussione e confronto, finalizzato non solo ad elaborare efficaci strategie in risposta a bisogni sempre più complessi, ma anche a prevenire e gestire le fragilità umane e i conflitti tra gruppi sociali contrapposti.

      Di fronte alla crisi epocale dei modelli politici e produttivi tradizionali, sono sempre più numerosi i dibattiti su come, in quale misura e attraverso quali strumenti, le comunità locali possano intervenire concretamente sulle profonde disuguaglianze economiche, sociali, territoriali che affliggono il nostro Paese, ribaltando i paradigmi dominanti e innescando cambiamenti profondi a vantaggio dei più deboli e della collettività.

      La storia, quella più lontana e quella più recente, ci mostra come spesso la forza della comunità risieda nel bagaglio di valori, tradizioni e relazioni fiduciarie, che sono radicati nel tessuto sociale e vissuto collettivo. Ed è questo bagaglio relazionale e valoriale che ha permesso in moltissimi casi alle comunità di sopravvivere e rigenerarsi nel corso della storia, spesso a seguito di eventi traumatici come calamità naturali, crisi economiche e sanitarie. Ma la storia ci riporta anche molti esempi di comunità in cui la valorizzazione delle identità locali ha originato fenomeni di chiusura particolaristica. Comunità esclusiviste che si sono e in molti casi continuano a identificare l’altro con il male (Bonomi, 2018; Langer, 1994).

      La comunità locali sono, quindi, lontane dall’essere sempre e comunque virtuose.

      Cosa fa pertanto la differenza tra una comunità e l’altra? Per diventare accoglienti e inclusive, le comunità devono potersi esprimere attraverso quelle organizzazioni della società civile che sono proiettate verso il bene comune e si avvalgono del coinvolgimento di una pluralità di portatori di interesse, in rappresentanza dei diversi pezzi di società che abitano un territorio. Sono quindi le organizzazioni di terzo settore maggiormente radicate sul territorio che andrebbero sostenute dalle politiche pubbliche all’interno di una cornice collaborativa in cui, anziché gestire prestazioni per conto dell’ente pubblico (Borzaga, 2019), il terzo settore dovrebbe configurarsi come un attivatore di risposte sociali innovative, che fanno leva sulla prossimità ai territori e alle persone, incluse quelle vulnerabili e disinformate, normalmente ai margini delle dinamiche di cambiamento (Manzini, 2018).

      Se è vero, come da più parti sottolineato, che la politica è in gran parte responsabile dello scarso riconoscimento della società civile organizzata, l’insufficiente apprezzamento del suo valore aggiunto è ascrivibile anche ad alcune prassi, culture e comportamenti organizzativi messi in atto dalle stesse organizzazioni di terzo settore. Tra questi, una retorica – quella degli eroi – incoerente con la loro natura, che ha generato atteggiamenti autoreferenziali e ha alimentato uno scollamento di molte organizzazioni di terzo settore dalle loro comunità di appartenenza. Una delle sfide che il terzo settore dovrebbe far propria è, quindi, a nostro avviso l’archiviazione, una volta per tutte, della retorica dell’eroe e dell’eroina e la sua sostituzione con una narrazione autentica e costruttiva che sia in grado di alimentare un’attiva partecipazione della cittadinanza alla gestione del bene comune.

      DOI: 10.7425/IS.2021.02.10

      Bibliografia

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      Note

      La nozione di bene comune fa riferimento all’insieme delle risorse necessarie allo sviluppo della persona ed all’esercizio dei suoi diritti fondamentali. Presuppone condizioni di eguaglianza nell’accesso o utilizzo degli stessi. Sul concetto di beni comuni si rimanda ai lavori di E. Olstrom [tra cui: Olstrom E. (1990), Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, Cambridge UK]. Nel sistema italiano una definizione di riferimento è quella formulata dalla Commissione Rodotà nel 2008: “Cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”.
      https://nti.apet118.it/home
      “Quanto vale il volontariato in Italia? Istat, CSVnet e FVP lanciano la prima sperimentazione del Manuale ILO sul lavoro volontario”: https://www.csvnet.it/csv/storia/144-notizie/1226-quanto-vale-il-volontariato-in-italia-istat-csvnet-e-fvp-lanciano-i-dati
      Di qui l’elogio di chi ce la fa e “merita” (Piketty, 2020). Per un’analisi critica del “merito” si rimanda a Sandel (2020).
      Con riferimento alle critiche si veda John McClusky (2018).
      Modelli di governance che sono supportati da vincoli normativi o statutari – come il vincolo alla non distribuibilità degli utili (non-profit distribution constraint) e l’asset lock – pensati per garantire la sopravvivenza nel tempo dell’inclusività e dell’interesse generale perseguito.
      Approccio che vede l’intervento sociale in analogia all’innovazione tecnologica, dove una mente geniale, chiusa nel suo garage, inventa qualcosa che rivoluziona la vita di tutti.
      La campagna #nonsonoangeli prese avvio all’indomani dell’ultima alluvione di Genova dall’esigenza di ridefinire il ruolo del volontariato e della percezione di questi per i media, promuovendo da un lato una comunicazione meno stereotipata dell’impegno dei cittadini, in caso di emergenza e non, per il bene comune, e dall’altro una conoscenza del volontariato e della solidarietà così come queste si manifestano. https://nonsonoangeli.wordpress.com/2016/06/08/roma-8-giugno-2016-on-sono-angeli-il-volontariato-tra-stere
      Si veda a questo proposito: https://socialimpactaward.net/breaking-the-myth-of-hero-entrepreneurship - http://tacklingheropreneurship.com
      Si veda anche: https://mediciperidirittiumani.org/studio-salute-mentale-rifugiati - https://archivio.medicisenzafrontiere
      https://www.cesvot.it/comunicazione/dossier/hanno-detto-di-nonsonoangeli

      https://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/articolo/dalla-ricerca-di-eroi-alla-costruzione-di-progetti-comunitari

      #héros #narration #imaginaire_collectif #récit #moralité_culturelle #éthique #justice_sociale #contre-récit #communautés_locales #pathos #individualisation #Lucano #Mimmo_Lucano #Domenico_Lucano #excellence #storytelling #innovation #néo-libéralisation #libéralisme #management #leadership #figure_charismatique #charisme #Riace #idéalisation #polarisation #simplification #catégorisation #fragilisation #solitude #Capra_Felice #responsabilité_collective #société_civile

  • Pubblicato il dossier di RiVolti ai Balcani

    L’obiettivo: rompere il silenzio sulla rotta balcanica, denunciando quanto sta avvenendo in quei luoghi e lanciando chiaro il messaggio che i soggetti vulnerabili del #game” non sono più soli.

    Il report “Rotta Balcanica: i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” della neonata rete “RiVolti ai Balcani” è composta da oltre 36 realtà e singoli impegnati nella difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali.

    Il report è la prima selezione e analisi ragionata delle principali fonti internazionali sulle violenze nei Balcani che viene pubblicata in Italia. Un capitolo esamina la gravissima situazione dei respingimenti alla frontiera italo-slovena.

    http://www.icsufficiorifugiati.org/la-rotta-balcanica-i-migranti-senza-diritti-nel-cuore-delleurop

    #rapport #rivolti_ai_balcani #ICS #Trieste #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #push-backs #refoulement #refoulements #réfugiés #asile #migrations #Balkans #route_des_balkans #the_game

    –—

    Fil de discussion commencé en 2018 sur les réadmissions entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/733273

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    ajouté à la métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans :
    https://seenthis.net/messages/1009117

    • Riammissioni tra Italia e Slovenia : 32 migranti rimandati di nuovo sulla Rotta

      „Tante sono le persone che il Dipartimento di polizia di #Capodistria ha ricevuto da parte delle autorità italiane. Nel giro di qualche settimana tenteranno nuovamente di passare“

      Continua il fenomeno delle riammissioni di migranti che le autorità italiane riconsegnano alla polizia slovena in base agli accordi firmati tra Roma e Lubiana nel 1996. Nelle ultime 24 ore sono 32 le persone rimandate nel territorio della vicina repubblica. Nel dettaglio, sono 31 cittadini di origine pakistana e una persona proveniente invece dal Marocco. La Rotta balcanica alle spalle di Trieste ha ripreso vigore nelle ultime settimane, con la conferma che arriva dai dati diffusi dal Dipartimento di polizia di Capodistria negli ultimi 10 giorni e dal corposo rintraccio avvenuto due giorni fa nella zona della #val_Rosandra, in comune di #San_Dorligo_della_Valle/Dolina.

      I dati dell’ultimo periodo

      Ai circa 150 migranti rintriaccati dalle autorità slovene negli ultimi giorni, vanno agigunti altri 13 cittadini afghani e quattro nepalesi. Dai campi profughi della Bosnia è iniziata la fase che vede i migranti tentare di passare i confini prima dell’arrivo delle rigide temperature che caratterizzano l’inverno sulla frontiera con la Croazia. Riuscire a farcela prima che cominicino le forti nevicate signfiica non dover aspettare fino a primavera. Nel frattempo, gli addetti ai lavori sono convinti che non passeranno troppe settimane prima che gli stessi migranti riammessi in Slovenia vengano nuovamente rintracciati in territorio italiano.

      https://www.triesteprima.it/cronaca/rotta-balcanica-migranti-slovenia-italia-riammissioni.html

      #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission

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      ajouté à cette liste sur les accords de réadmission entre pays européens :
      https://seenthis.net/messages/736091

    • "Le riammissioni dei migranti in Slovenia sono illegali", il Tribunale di Roma condanna il Viminale

      Per la prima volta un giudice si pronuncia sulla prassi di riportare indietro i richiedenti asilo in base a un vecchio accordo bilaterale. «Stanno violando la Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali». L’ordinanza nasce dal ricorso di un 27 enne pakistano

      «La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia è illlegittima sotto molteplici profili». Non sono le parole di un’associazione che tutela i diritti dei migranti o di una delle tante ong che denuncia da mesi violenze e soprusi sulla rotta balcanica. Questa volta a dirlo, o meglio, a scriverlo in un’ordinanza a suo modo storica e che farà giurisprudenza, è una giudice della Repubblica. E’ il primo pronunciamento di questo tipo. Un durissimo atto d’accusa che porta l’intestazione del «Tribunale ordinario di Roma - Sezione diritti della persona e immigrazione» e la data del 18 gennaio 2021. Con le riammissioni informali sul confine italo-sloveno, che si tramutano - come documentato di recente anche da Repubblica - in un respingimento a catena fino alla Bosnia, il governo italiano sta violando contemporaneamente la legge italiana, la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e persino lo stesso accordo bilaterale.

      La storia di Mahmood

      L’ordinanza emessa dalla giudice Silvia Albano è l’esito di un procedimento cautelare d’urgenza. Il pakistano Mahmood contro il ministero dell’Interno. Nel ricorso presentato ad ottobre dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) si chiedeva al Tribunale «di accertare il diritto del signor Mahmood a presentare domanda di protezione internazionale in Italia». La storia di questo 27 enne non è diversa da quella di migliaia di migranti che partecipano al Game, come nei campi profughi della Bosnia è stata beffardamente ribattezzata la pericolosa traversata dei boschi croati e sloveni. A metà del luglio scorso Mahmood raggiunge la frontiera di Trieste dopo il viaggio lungo rotta balcanica durante il quale ha subito violenze e trattamenti inumani, provati da una serie di fotografie che ha messo a disposizione del magistrato. E’ fuggito dal Pakistan «per le persecuzioni a causa del mio orientamento sessuale». Giunto in Italia insieme a un gruppo di connazionali, è rintracciato dagli agenti di frontiera e portato in una stazione di polizia italiana.

      «Minacciato coi bastoni dalla polizia italiana»

      Nel suo ricorso Mahmood sostiene di aver chiesto esplicitamente ai poliziotti l’intenzione di presentare la domanda di protezione internazionale. Richiesta del tutto ignorata. La sua testimonianza, evidentemente ritenuta attendibile dalla giudice Albano, prosegue col racconto di quanto accaduto all’interno e nelle vicinanze della stazione di frontiera. Si legge nell’ordinanza: «Gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, gli erano stati sequestrati i telefoni ed erano stati ammanettati. Poi sono stati caricati su un furgone e portati in una zona collinare e intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a 5. Dopo circa un chilometro erano stati fermati dagli spari della polizia slovena che li aveva arrestati e caricati su un furgone». Da lì in poi il suo destino del pakistano è segnato: riportato nell’affollato campo bosniaco di Lipa, ha dormito alcune notti in campagna, infine ha trovato rifugio in un rudere a Sarajevo.

      Il Viminale non poteva non sapere

      Secondo il Tribunale di Roma ci sono tre solide ragioni per ritenere illegali le riammissioni in Slovenia. La prima. Avvengono senza che sia rilasciato alcun pezzo di carta legalmente valido. «Il riaccompagnamento forzato - scrive Albano - incide sulla sfera giuridica degli interessati quindi deve essere disposto con un provvedimento amministrativo motivato impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria». La seconda attiene al rispetto della Carta dei diritti fondamentali, che impone la necessità di esame individuale delle singole posizioni e vieta espulsioni collettive. E’ uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza. «Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali. Il ministero era in condizioni di sapere, alla luce dei report delle Ong, delle risoluzioni dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e delle inchieste dei più importanti organi di stampa internazioanale, che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta il respingimento in Bosnia nonché che i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani».

      Infine la terza ragione, che sbriciola la posizione ufficiale del Viminale, rappresentata al Parlamento dal sottosegretario Achille Variati durante un question time in cui è stato affermato che le riammissioni si applicano a tutti, anche a chi vuol presentare domanda di asilo. Scrive invece la giudice: «Non si può mai applicare nei confronti di un richiedente asilo senza nemmeno provvedere a raccogliere la sua domanda, con una prassi che viola la normativa interna e sovranazionale e lo stesso contenuto dell’Accordo bilaterale con la Slovenia».

      La condanna

      Per queste tre ragioni, il Viminale è condannato a prendere in esame la domanda di asilo di Mahmood, consentendogli l’immediato ingresso nel territorio italiano, e a pagare le spese legali. E’ la vittoria di Gianfranco Schiavone, componente del direttivo Asgi e presidente del Consorzio italiano di Solidarietà, che da mesi denuncia quanto sta accadendo sul confine italo-sloveno. Nel 2020 le riammissioni informali sono state circa 1.300. E’ la vittoria soprattutto delle due legali che hanno presentato il ricorso e sostenuto la causa, Anna Brambilla e Caterina Bove. «Siamo molto soddisfatte della pronuncia», commenta Brambilla. «Alla luce di questa ordinanza si devono interrompere subito le riammissioni informali in Slovenia perché sia garantito l’accesso al diritto di asilo».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2021/01/21/news/viminale_condannato_riammissioni_illegali_respingimenti_slovenia_migranti

      #condamnation #justice

    • I respingimenti italiani in Slovenia sono illegittimi. Condannato il ministero dell’Interno

      Per il Tribunale di Roma le “riammissioni” del Viminale a danno dei migranti hanno esposto consapevolmente le persone, tra cui richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. Il caso di un cittadino pachistano respinto a catena in Bosnia. L’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso, ricostruisce la vicenda e spiega perché l’ordinanza è importantissima

      I respingimenti voluti dal ministero dell’Interno italiano e praticati con sempre maggior intensità dalla primavera 2020 al confine con la Slovenia sono “illegittimi”, violano obblighi costituzionali e del diritto internazionale, e hanno esposto consapevolmente i migranti in transito lungo la “rotta balcanica”, inclusi i richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” oltreché a “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.

      A cristallizzarlo, demolendo la prassi governativa delle “riammissioni informali” alla frontiera orientale, è il Tribunale ordinario di Roma (Sezione diritti della persona e immigrazione) con un’ordinanza datata 18 gennaio 2021 e giunta a seguito di un ricorso presentato dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla (foro di Trieste e Milano, socie Asgi) nell’interesse di un richiedente asilo originario del Pakistan respinto dall’Italia nell’estate 2020 una volta giunto a Trieste e ritrovatosi a Sarajevo a vivere di stenti.

      Le 13 pagine firmate dalla giudice designata Silvia Albano tolgono ogni alibi al Viminale, che nemmeno si era costituito in giudizio, e riconoscono in capo alle “riammissioni informali” attuate in forza di un accordo bilaterale Italia-Slovenia del 1996 la palese violazione, tra le altre fonti, della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E non solo quando colpiscono i richiedenti asilo ma tutte le persone giunte al confine italiano.

      Abbiamo chiesto all’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso insieme a Brambilla, di spiegarci perché questa ordinanza segna un punto di svolta.

      Avvocata, facciamo un passo indietro e torniamo al luglio 2020. Che cosa è successo a Trieste?
      CB Dopo aver attraversato la “rotta balcanica” con grande sofferenza e aver tentato almeno dieci volte di oltrepassare il confine croato, il nostro assistito, originario del Pakistan, Paese dal quale era fuggito a seguito delle persecuzioni subite a causa del proprio orientamento sessuale e dell’essersi professato ateo, ha raggiunto Trieste nell’estate 2020. Lì, è stato intercettato dalla polizia italiana che lo ha accompagnato in un luogo gestito dalle autorità di frontiera.

      E poi?
      CB Presso quella che noi ipotizziamo si trattasse di una caserma (probabilmente la Fernetti, ndr) il ricorrente ha espresso più volte la volontà di accedere alla procedura di asilo. Invece di indirizzarlo presso le autorità competenti a ricevere la domanda di asilo, è stato fotosegnalato, trattenuto insieme ad altri in maniera informale e senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria. Gli hanno fatto solo firmare dei documenti scritti in italiano e sequestrato il telefono. Dopodiché lo hanno ammanettato, caricato bruscamente su una camionetta e poi rilasciato su una zona collinare al confine con la Slovenia.

      In Slovenia, scrivete nel ricorso, hanno trascorso una notte senza possibilità di avere accesso ai servizi igienici, cibo o acqua. Quando chiedevano di usare il bagno “gli agenti ridevano e li ignoravano”.
      CB Confermo. Veniamo ora al respingimento a catena in Croazia. Il ricorrente e i suoi compagni vengono scaricati dalla polizia al confine e “accolti” da agenti croati che indossavano magliette blu scuro con pantaloni e stivali neri. I profughi vengono fatti sdraiare a terra e ammanettati dietro la schiena con delle fascette. Vengono presi a calci sulla schiena, colpiti con manganelli avvolti con filo spinato, spruzzati con spray al peperoncino, fatti rincorrere dai cani dopo un conto alla rovescia cadenzato da spari in aria.

      Queste circostanze sono ritenute provate dal Tribunale. In meno di 48 ore dalla riammissione a Trieste il vostro assistito si ritrova in Bosnia.
      CB Il ricorrente ha raggiunto il campo di Lipa, a pochi chilometri da Bihać, che però era saturo. Così ha raggiunto Sarajevo, dove vive attualmente spostandosi tra edifici abbandonati della città. La polizia bosniaca lo sgombera di continuo.

      Come avete fatto a entrare in contatto con lui?
      CB La sua testimonianza è stata prima raccolta dal Border Violence Monitoring Network e poi dal giornalista danese Martin Gottzske per il periodico Informatiòn.

      “La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia e anche in danno dell’odierno ricorrente è illegittima sotto molteplici profili”, si legge nell’ordinanza. Possiamo esaminarne alcuni?
      CB Il punto di partenza del giudice è che l’accordo bilaterale firmato nel settembre 1996 non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano e ciò comporta che non può prevedere modifiche o derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell’Unione europea o derivanti da fonti di diritto internazionale.

      “Sono invece numerose le norme di legge che vengono violate dall’autorità italiana con la prassi dei cosiddetti ‘respingimenti informali in Slovenia’”, continua il Tribunale.
      CB Infatti. La riammissione avviene senza che venga emesso alcun provvedimento amministrativo. Le persone respinte non vengono informate di cosa sta avvenendo nei loro confronti, non ricevono alcun provvedimento amministrativo scritto e motivato e dunque non hanno possibilità di contestare le ragioni della procedura che subiscono, tantomeno di provarla direttamente. Questo viola il loro diritto di difesa e a un ricorso effettivo, diritti tutelati dall’articolo 24 della Costituzione, dall’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Dunque è una violazione che non dipende dalla condizione di richiedente asilo.
      CB Esatto, anche qui sta l’importanza del provvedimento e la sua ampia portata. Poi c’è la questione della libertà personale: la persona sottoposta a riammissione si vede ristretta la propria libertà personale senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, come invece previsto dall’art. 13 della nostra Costituzione.

      Arriviamo al cuore della decisione. La giudice scrive che “Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali in mancanza di garanzie sull’effettivo trattamento che gli stranieri avrebbero ricevuto [in Croazia, ndr] in ordine al rispetto dei loro diritti fondamentali, primi fra tutti il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti e quello di proporre domanda di protezione internazionale”. E aggiunge che il ministero “era in condizioni di sapere” delle “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.
      CB È accolta la nostra tesi, fondata su numerosi report, inchieste giornalistiche, denunce circostanziate di autorevoli organizzazioni per i diritti umani.
      La riammissione, anche a prescindere dalla richiesta di asilo, viola l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che reca il divieto di trattamenti inumani e degradanti e l’obbligo di non respingimento in caso lo straniero possa correre il rischio di subire tali trattamenti. Ogni Stato è cioè responsabile anche se non impedisce che questi trattamenti avvengano nel luogo dove la persona è stata allontanata.
      In questo senso è un passaggio molto importante perché allarga la portata della decisione a tutte le persone che arrivano in Italia e che vengono rimandate indietro secondo la procedura descritta.
      È noto il meccanismo di riammissione a catena ed è nota la situazione in Croazia.

      La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, il 13 gennaio 2021, ha ribadito però che Slovenia e Croazia sarebbero “Paesi sicuri”.
      CB Il Tribunale descrive una situazione diversa e ribadisce che la riammissione non può mai essere applicata nei confronti dei richiedenti asilo e di coloro che rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

      Che cosa succede ora?
      CB Considerato il comportamento illecito delle autorità italiane, il Tribunale fa diretta applicazione dell’art. 10 comma 3 della Costituzione consentendo l’ingresso sul territorio nazionale al ricorrente al fine di presentare la domanda di protezione internazionale, possibilità negatagli al suo arrivo. Non c’è un diritto di accedere al territorio italiano per chiedere asilo “da fuori” però, in base a questa norma come declinata dalla Corte di Cassazione, esiste tale diritto di ingresso se il diritto d’asilo sul territorio è stato negato per un comportamento illecito dell’autorità.
      Quindi il ricorrente dovrà poter fare ingresso il prima possibile per fare domanda di asilo. Spero che possa essergli rilasciato al più presto un visto d’ingresso.

      E per chi è stato respinto in questi mesi? Penso anche ai richiedenti asilo respinti, pratica confermata dal Viminale nell’estate 2020 e recentemente, a parole, “rivista”.
      CB Purtroppo per il passato non sarà facilissimo tutelare le persone respinte attraverso simili ricorsi perché le persone subiscono lungo la rotta la sistematica distruzione dei loro documenti di identità, dei telefonini e delle foto e, anche tenuto conto di come vivono poi in Bosnia, diventa per loro difficile provare quanto subito ma anche provare la propria identità. Per il futuro questa decisione chiarisce l’illegalità delle procedure di riammissione sia nei confronti dei richiedenti asilo sia dei non richiedenti protezione. Deve essere assicurato l’esame individuale delle singole posizioni.

      https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min

    • Tratto dal rapporto “#Doors_Wide_Shut – Quarterly report on push-backs on the Western Balkan Route” (Juin 2021):

      Pushbacks from Italy to Slovenia have been virtually suspended, following the visibility and advocacy pursued by national civil society actors on chain pushbacks and potentially reinforced by the January Court of Rome ruling. However, at least two reports on chain pushbacks from Italy through Slovenia and Croatia to BiH have been recorded in May 2021, by the Border Violence Monitoring Network (BVMN). As irregular movements continue, the question remains whether Italy will ensure access to individual formal procedures for those entering its territory from Slovenia and seeking asylum.

      https://helsinki.hu/en/doors-wide-shut-quarterly-report-on-push-backs-on-the-western-balkan-route
      https://seenthis.net/messages/927293

    • Italian Court Ruling on Chain Pushback

      A new ruling from the Court of Rome has been released, finding in favour of an applicant who was subject to an illegal chain pushback from Italy, via Slovenia and Croatia, to Bosnia-Herzegovina. This important development was brought to the court by Italian legal association ASGI, and supported by the Border Violence Monitoring Network (BVMN), who provided a first hand testimony from the applicant. The court found unequivocal evidence of violations of international law, and acknowledged the applicant’s right to enter Italy immediately, and to full and proper access to the asylum system.

      The pushback, which was recorded by BVMN member Fresh Response in Sarajevo, involved violations from all three EU member states who combined to eject the transit group into Bosnia-Herzegovina. In particular, the court found Italian authorities, who initiated the pushback, to have breached:

      - Access to asylum
      - Obligations on Non-refoulement
      - Application of detention
      - Right to effective remedies

      You can read more about the ruling in the press release below:
      https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/Decisione-del-Tribunale.pdf

      https://www.borderviolence.eu/italian-court-ruling-on-chain-pushback