Cronaca - Repubblica.it

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  • Migranti, il governo libico emette decreto per neutralizzare le Ong
    Articolo (1)

    Definizioni:

    Nell’applicazione delle disposizioni si specifica sotto il significato dei Termini usati.

    Dispositivo: Dispositivo di guardia costiera e la sicurezza dei porti

    Autorità marittima Libica: Autorità portuali e trasporto marittimo

    Organizzazioni: Organizzazioni governativi e non governativi impegnati nel salvataggio degli immigrati clandestini nel mare

    Immigrati: Immigrati clandestini

    Area dichiarata: Area marittima di ricerca e salvataggio sotto controllo dello stato Libico come previsto dal coordinamento dell’organizzazione internazionale marittima (#IMO)

    Il centro (#LMRCC): Il centro di coordinamento delle ricerche e salvataggio marittimo Libico dipendente del consiglio di guardia costiera e la sicurezza dei porti.

    Autorità esecutiva: Autorità di competenza del dispositivo di guardia delle coste e sicurezza dei porti o qualsiasi altra entità autorizzata da parte del governo Libico.

    Unità Marittime: Navi e barche usati da parte delle organizzazioni governativi e non governativi impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (2)

    Sono regolate a seconda delle disposizioni di questa tabella, le misure di cooperazione nella zona di ricerca e salvataggio marittimo sotto responsabilità dello stato Libico e secondo quanto dichiarato dall’organizzazione marittima internazionale (IMO) del 10 Giugno 2017

    Articolo (3)

    Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (4)

    Il Dispositivo della Guardia Costiera e Sicurezza dei porti si occupa di:

    Gestione dell’area di ricerca e salvataggio nelle acque Libiche
    Comando delle operazioni di ricerca e salvataggio nella Zona dichiarata.

    Il Centro di ricerca e salvataggio marittimo LMRCC coordina le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo nella regione.

    Articolo (5)

    Le organizzazioni interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo nell’area gestita dal Dispositivo, devono presentare una domanda di autorizzazione che alleghiamo al presente accordo, secondo il modello (T.T.A./019). Il Dispositivo si occupa della trasmissione della domanda alle autorità marittime Libiche per il rilascio dell’autorizzazione di collaborazione a seconda delle normative.

    Articolo (6)

    Le unità marittime affiliate all’organizzazione di ricerca e salvataggio in mare, durante il lavoro nell’area devono fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento – al centro di coordinamento libico per il salvataggio in mare (LMRCC).

    Articolo (7)

    In caso d’ingresso, per i casi emergenziali e speciali, nelle acque territoriali libiche, si può ricevere assistenza immediata previo autorizzazione e supervisione del centro(LMRCC).

    Articolo (8)

    Le unità marittime affiliate all’ organizzazione s’impegnano a lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto. A non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area dichiarata e a lasciargli la precedenza d’intervento.

    Articolo (9)

    Le unità marittime delle organizzazioni s’impegnano e si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro (LMRCC) e (si impegnano) a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa che intendano implementare autonomamente anche se è considerata necessaria e urgente nell’area.

    Articolo (10)

    I capitani delle navi affiliate alle organizzazioni che lavorano nell’area, devono notificare tutti gli interventi legati alla sicurezza marittima o altri atti sospetti.

    Articolo (11)

    Per quanto riguarda il diritto di visita, il personale del Dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera.

    Articolo (12)

    I naufraghi salvati nell’area, da parte delle organizzazioni, non vengono rimandati allo Stato Libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza.

    Articolo (13)

    Dopo il completamento delle operazioni di ricerca e salvataggio da parte delle organizzazioni, le barche e i motori usati nelle operazioni di contrabbando, saranno consegnati allo Stato libico e saranno sottoposti all’applicazione della legislazione in vigore.

    In tutte le circostanze va avvisato il Centro su tutti gli aspetti che riguardano la sicurezza di navigazione e il rischio d’inquinamento durante le attività di ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (14)

    Salvo le comunicazioni necessarie nel contesto delle operazioni di salvataggio e, per salvaguardare la sicurezza delle vite in mare, le unità marittime affiliate alle organizzazioni s’impegnano a non mandare nessuna comunicazione o segnale di luce o altri effetti per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso loro.

    Articolo (15)

    Secondo il capitolo V della convenzione internazionale per la sicurezza delle vite in mare(SOLVAS-74) e le sue Modifiche; non sospendere o ritardare i tempi regolari dei segnali d’identificazione sistematica (AIS) e i segnali d’identificazione e localizzazione a lungo raggio(LRIT) delle navi per garantire la sicurezza della navigazione e la sicurezza delle navi che non sono coinvolte nelle operazioni di ricerca e salvataggio.

    Articolo (16)

    In conformità alle sue competenze di controllo, il Dispositivo controlla tutte le navi e unità marittime affiliate alle organizzazioni che violano le disposizioni del presente regolamento e le conducono al porto marittimo libico più vicino.

    Articolo (17)

    L’autorità marittima, nell’area dichiarata, esegue la procedura d’infrazione con le navi e le unità sequestrate e sospettate in coordinamento con le altre autorità coinvolte. E ove applicabile saranno esposte davanti alla procura pubblica.

    Articolo (18)

    In caso di violazione del presente accordo sarà ritirata l’autorizzazione di cooperazione rilasciata all’organizzazione che opera nell’area, verrà cancellato il nome dell’organizzazione e non sarà concessa un’altra autorizzazione in caso di ripetizione delle violazioni degli obblighi contenuti nel presente accordo.

    Articolo (19)

    Il presente decreto entra in vigore dalla sua data di emissione, l’autorità vigilano alla sua esecuzione

    14/09/2019

    http://www.integrationarci.it/2019/10/29/migranti-il-governo-libico-emette-decreto-per-neutralizzare-le-ong
    #Libye #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #ONG #décret #gardes-côtes

    Commentaire de Sara Prestianni, via la mailing-list Migreurop:

    Après avoir crée une zone SAR et un MRCC (grâce au soutien logistique italien et aux fonds européen) le Gouv Serraj produit un code de conduite pour les ong qui entreraient dans la zone SAR Libyenne - qui rassemble beaucoup au code de conduit proposé par Minniti en l’été 2017 - et qui de fait met sous coordination des libyens leurs actions.

    #code_de_conduite #SAR #Libye #SAR_libyenne #Minniti

    Sur le code de conduite de 2017:
    https://seenthis.net/messages/514535#message614460
    Et plus largement ici:
    https://seenthis.net/messages/514535

    • Migranti, il governo libico emette decreto per neutralizzare le Ong

      Ecco il testo: “Autorizzazione preventiva al soccorso, polizia a bordo e sequestro per chi non obbedisce, i naufraghi mai in Libia”

      Il decreto, emesso dal Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico, porta la data del 14 settembre e ha come oggetto “il trattamento speciale delle organizzazioni internazionali e non governative nella zona libica di ricerca e salvataggio marittimo”. E’ stato inviato anche in Italia ed è un grottesco quanto pericoloso tentativo di ostacolare ancor di più l’operato delle navi umanitarie ma soprattutto di aggredirle con operazioni di polizia con la minaccia di condurle e sequestrarle nei porti libici. Un decreto che, alla vigilia della scadenza del patto tra Italia e Libia, desta ulteriori preoccupazioni anche perché alle Ong, che continuano ad operare in zona Sar libica, non è mai stato sottoposto. Ma è già, almeno sulla carta operativo. E, per assurdo che sembri, prevede che i naufraghi salvati non possano essere portati in Libia.Il decreto, che Repubblica ha consultato tradotto dall’ufficio immigrazione Arci, consta di 19 articoli ed esordisce così: “Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo”.

      Alle Ong “interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo” è imposto di presentare una preventiva domanda di autorizzazione alle autorità libiche a cui sono obbligate “ a fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento.Ed ecco le condizioni che vengono imposte alle navi umanitarie: “lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto, non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area e lasciare la precedenza d’intervento”. “Le Ong si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro e si impegnano a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa anche se è considerata necessaria e urgente”.E poi gli articoli che più preoccupano le Ong perché preludono ad un intervento di tipo poliziesco e autorizzano la Guardia costiera libica a salire a bordo delle navi. “Il personale del dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera”.

      L’articolo 12 è il più contraddittorio perché a fronte di una rivendicazione di coordinamento assoluto degli interventi di soccorso nella sua zona Sar, prescrive che “i naufraghi salvati dalle organizzazioni non vengono rimandati nello stato libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza”. La Libia invece vuole “le barche e i motori usati”.Alle Ong è richiesto di “non mandare alcuna comunicazione o segnale di luce per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso di loro.Infine le sanzioni: “ tutte le navi che violano le disposizioni del presente regolamento verranno condotte al porto libico più vicino e sequestrate. E non verrà più concessa alcuna autorizzazione”.

      “Il «codice Minniti libico» per le Ong è, come quello dell’ex Ministro italiano, un atto che punta ad ostacolare e criminalizzare i salvataggi in mare - commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci -Per di più è illegittimo, essendo stato emanato non da uno stato sovrano, ma da una delle parti in causa nella guerra civile in atto. Le ragioni che dovrebbero spingere verso la chiusura degli accordi con la Libia sono tali ed evidenti che chi si rifiuterà di farlo si renderà complice di questi criminali.Il «codice Minniti libico» conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, le ragioni che ci spingono a chiedere la cancellazione degli accordi con la Libia e l’azzeramento del Memorandun. Per cambiare pagina si ponga fine a questa follia e si metta subito in campo un piano straordinario di evacuazione delle persone detenute.”

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/10/29/news/migranti_il_governo_libico_emette_decreto_per_neutralizzare_le_ong-239783
      #gardes-côtes_libyens

  • Migranti, incendio e rivolta nel campo di Lesbo: muoiono una donna e un bambino, 15 feriti

    Scontri con la polizia nel campo dove sono ospitati 13mila migranti a fronte di una capienza di 3mila.

    Tragedia nel campo profughi di Lesbo dove la situazione era già insostenibile da mesi con oltre 13.000 persone in una struttura che ne può ospitare 3500. Una donna e un bambino sono morti nell’incendio (sembra accidentale) di un container dove abitano diverse famiglie ma le vittime potrebbero essere di più. Una quindicina i feriti che sono stati curati nella clinica pediatrica che Medici senza frontiere ha fuori dal campo e che è stata aperta eccezionalmente.

    «Nessuno può dire che questo è un incidente - è la dura accusa di Msf - E’ la diretta conseguenza di intrappolare 13.000 persone in uno spazio che ne può contenere 3.000».

    Dopo l’incendio nel campo è esplosa una vera e propria rivolta con i migranti, costretti a vivere in condizioni disumane, che hanno dato vita a duri scontri con la polizia e hanno appiccato altri incendi all’interno e all’esterno del campo di Moria, chiedendo a gran voce di essere trasferiti sulla terraferma. Ancora confuse le notizie che arrivano dall’isola greca dove negli ultimi mesi gli sbarchi di migranti provenienti dalla Turchia sono aumentati in maniera esponenziale.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/09/29/news/incendio_e_rivolta_nel_campo_di_moria_a_lesbo_muoiono_una_donna_e_un_bamb
    #Moria #révolte #incendie #feu #Lesbos #Grèce #réfugiés #asile #migrations #camps_de_réfugiés #hotspot #camp_de_réfugiés #îles #décès #morts

    • Μία γυναίκα νεκρή και ένα μωρό από τις αναθυμιάσεις στη Μόρια

      Φωτιά ξέσπασε το απόγευμα σε κοντέινερ στο ΚΥΤ Μόριας, με τις μέχρι τώρα πληροφορίες μια γυναίκα είναι νεκρή και ένα μωρό.

      Μετά τη φωτιά στο κοντέινερ, ξέσπασε εξέγερση. Η πυροσβεστική μπήκε να σβήσει τη φωτιά, ενώ αρχικά εμποδίστηκε από τα επεισόδια η αστυνομία αυτή τη στιγμή προσπαθεί να παρέμβει.

      Νεότερα εντός ολίγου.

      https://www.stonisi.gr/post/4319/mia-gynaika-nekrh-kai-ena-mwro-apo-tis-anathymiaseis-sth-moria-updated

    • Fire, clashes, one dead at crowded Greek migrant camp on Lesbos

      A fire broke out on Sunday at a container inside a crowded refugee camp on the eastern Greek island of Lesbos close to Turkey and one person was killed, emergency services said.

      Refugees clashed with police as thick smoke rose over the Moria camp, which currently houses about 12,000 people in overcrowded conditions and firefighters fought to extinguish the blaze.

      Police said one burned body was taken to hospital in the island’s capital Mytilini for identification by the coroner. Police sent reinforcements to the island along with the chief of police to help restore order.

      Police could not immediately reach an area of containers, where there were unconfirmed reports of another burned body.

      Greece has been dealing with a resurgence in refugee and migrant flows in recent weeks from neighboring Turkey. Nearly a million refugees fleeing war in Syria and migrants crossed from Turkey to Greece’s islands in 2015.

      More than 9,000 people arrived in August, the highest number in the three years since the European Union and Ankara implemented a deal to shut off the Aegean migrant route. More than 8,000 people have arrived so far in September.

      Turks have also attempted to cross to Greece in recent years following a failed coup attempt against Turkish President Tayyip Erdogan in 2016.

      On Friday seven Turkish nationals, two women and five children, drowned when a boat carrying them capsized near Greece’s Chios island.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-greece-lesbos-moria/fire-clashes-at-crowded-migrant-camp-on-greek-island-lesbos-idUSKBN1WE0NJ

    • Incendio nel campo rifugiati di Moria. Amnesty: “Abbietto fallimento delle politiche di protezione del governo greco e dell’Ue”

      Incendio nel campo rifugiati di Moria. Amnesty International denuncia: “Abbietto fallimento delle politiche di protezione del governo greco e dell’Ue”

      “L’incendio di Moria ha evidenziato l’abietto fallimento del governo greco e dell’Unione europea, incapaci di gestire la deplorevole situazione dei rifugiati in Grecia“.

      Così Massimo Moratti, direttore delle ricerche sull’Europa di Amnesty International, ha commentato la notizia dell’incendio di domenica 29 settembre nel campo rifugiati di Moria, sull’isola greca di Lesbo, nel quale è morta una donna.

      “Con 12.503 persone presenti in un campo che potrebbe ospitarne 3000 e dati gli incendi già scoppiati nel campo, le autorità greche non possono sostenere che questa tragedia fosse inevitabile. Solo un mese fa erano morte altre tre persone“, ha aggiunto Moratti.

      “L’accordo tra Unione europea e Turchia ha solo peggiorato le cose, negando dignità a migliaia di persone intrappolate sulle isole dell’Egeo e violando i loro diritti“, ha sottolineato Moratti.

      “Il campo di Moria è sovraffollato e insicuro. Le autorità greche devono immediatamente evacuarlo, assistere, anche fornendo le cure mediche necessarie, le persone che hanno subito le conseguenze dell’incendio e accelerare il trasferimento dei richiedenti asilo e dei rifugiati in strutture adeguate in terraferma. Gli altri stati membri dell’Unione europea devono collaborare accettando urgentemente i programmi di ricollocazione che potrebbero ridurre la pressione sulla Grecia“, ha concluso Moratti.

      Ulteriori informazioni

      Nelle ultime settimane, Amnesty International ha riscontrato un drammatico peggioramento delle condizioni dei rifugiati sulle isole dell’Egeo, nelle quali si trovano ormai oltre 30.000 persone.

      Il sovraffollamento ha raggiunto il livello peggiore dal 2016. Le isole di Lesbo e Samo ospitano un numero di persone superiore rispettivamente di quattro e otto volte i posti a disposizione.

      La situazione dei minori è, a sua volta, drasticamente peggiorata. La morte di un afgano di 15 anni nella cosiddetta “zona sicura” del campo di Moria testimonia la fondamentale mancanza di sicurezza per le migliaia di minori costretti a vivere in quel centro.

      All’inizio di settembre il governo greco ha annunciato l’inizio dei trasferimenti dei richiedenti asilo e dei rifugiati sulla terraferma. Questi trasferimenti, effettuati in cooperazione con l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, si sono rivelati finora una serie di iniziative frammentarie.

      All’indomani dell’incendio di Moria le autorità di Atene hanno espresso l’intenzione di arrivare a 3000 trasferimenti entro la fine di ottobre: un numero insufficiente a fare fronte all’aumento degli approdi da luglio, considerando che solo la settimana scorsa sono arrivate altre 3000 persone.

      La politica di trattenimento dei nuovi arrivati sulle isole dell’Egeo resta dunque immutata, poiché le misure adottate sono clamorosamente insufficienti a risolvere i problemi dell’insicurezza e delle condizioni indegne cui i richiedenti asilo e i rifugiati sono stati condannati a convivere a partire dall’attuazione dell’accordo tra Unione europea e Turchia.

      https://www.amnesty.it/incendio-campo-rifugiati-moria-grecia

    • This was not an accident!

      They died because of Europe’s cruel deterrence and detention regime!

      Yesterday, on Sunday 29 September 2019, a fire broke out in the so-called hotspot of Moria on Lesvos Island in Greece. A woman and probably also a child lost their lives in the fire and it remains unclear how many others were injured. Many people lost all their small belongings, including identity documents, in the fire. The people imprisoned on Lesvos have fled wars and conflicts and now experience violence within Europe. Many were re-traumatised by these tragic events and some escaped and spent the night in the forest, scared to death.

      Over the past weeks, we had to witness two more deaths in the hotspot of Moria: In August a 15-year-old Afghan minor was killed during a violent fight among minors inside the so-called “safe space” of the camp. On September 24, a 5-year-old boy lost his life when he was run-over by a truck in front of the gate.

      The fire yesterday was no surprise and no accident. It is not the first, and it will not be the last. The hotspot burned already several times, most tragically in November 2016 when large parts burned down. Europe’s cruel regime of deterrence and detention has now killed again.

      In the meantime, in the media, a story was immediately invented, saying that the refugees themselves set the camp on fire. It was also stated that they blocked the fire brigade from entering. We have spoken to many people who witnessed the events directly. They tell us a very different story: In fact, the fire broke out most probably due to an electricity short circuit. The fire brigade arrived very late, which is no surprise given the overcrowdedness of this monstrous hotspot. Despite its official capacity for 3,000 people, it now detains at least 12,500 people who suffer there in horrible living conditions. On mobile phone videos taken by the prisoners of the camp, one can see how in this chaos, inhabitants and the fire brigade tried their best together to at least prevent an even bigger catastrophe.

      There simply cannot be a functioning emergency plan in a camp that has exceeded its capacity four times. When several containers burned in a huge fire that generated a lot of smoke, the imprisoned who were locked in the closed sector of the camp started in panic to try to break the doors. The only response the authorities had, was to immediately bring police to shoot tear-gas at them, which created an even more toxic smoke.

      Anger and grief about all these senseless deaths and injuries added to the already explosive atmosphere in Moria where thousands have suffered while waiting too long for any change in their lives. Those who criminalise and condemn this outcry in form of a riot of the people of Moria cannot even imagine the sheer inhumanity they experience daily. The real violence is the camp itself, conditions that are the result of the EU border regime’s desire for deterrence.

      We raise our voices in solidarity with the people of Moria and demand once again: The only possibility to end this suffering and dying is to open the islands and to have freedom of movement for everybody. Those who arrive on the islands have to continue their journeys to hopefully find a place of safety and dignity elsewhere. We demand ferries to transfer the exhausted and re-traumatised people immediately to the Greek mainland. We need ferries not Frontex. We need open borders, so that everyone can continue to move on, even beyond Greece. Those who escape the islands should not be imprisoned once more in camps in mainland Greece, with conditions that are the same as the ones here on the islands.

      Close down Moria!

      Open the islands!

      Freedom of Movement for everyone!

      http://lesvos.w2eu.net/2019/09/30/this-was-not-an-accident

    • Grèce : quand s’embrase le plus grand camp de réfugiés d’Europe

      Sur l’île de Lesbos, le camp de Moria accueille 13 000 personnes dans des installations prévues pour 3000. Un incendie y a fait au moins deux morts et a déclenché un début d’"émeutes dimanche. En Autriche, les Verts créent la sensation aux législatives alors que l’extrême-droite perd 10 points.

      https://www.franceculture.fr/emissions/revue-de-presse-internationale/la-revue-de-presse-internationale-emission-du-lundi-30-septembre-2019

    • Riots at Greek refugee camp on Lesbos after fatal fire

      Government says it will step up transfers to the mainland after unrest at overcrowded camp.
      Greek authorities are scrambling to deal with unrest at a heavily overcrowded migrant camp on Lesbos after a fire there left at least one person dead.

      Officials said they had found the charred remains of an Afghan woman after the blaze erupted inside a container used to house refugees at the Moria reception centre on Sunday. The fire was eventually extinguished by plane.

      More than 13,000 people are now crammed into tents and shipping containers with facilities for just 3,000 at Moria, a disused military barracks outside Mytilene, the island’s capital, where tensions are rising.

      “A charred body was found, causing foreign [migrants] to rebel,” said Lefteris Economou, Greece’s deputy minister for citizen protection. “Stones and other objects were hurled, damaging three fire engines and slightly injuring four policemen and a fireman.”

      The health ministry said 19 people including four children were injured, most of them in the clashes. There were separate claims that a child died with the Afghan woman.

      Greece’s centre-right government said it would immediately step up transfers to the mainland. The camp is four times over capacity. “By the end of Monday 250 people will have been moved,” Economou said.

      Like other Aegean isles near the Turkish coast, Lesbos has witnessed a sharp rise in arrivals of asylum seekers desperate to reach Europe in recent months.

      “The situation was totally out of control,” said the local police chief, Vasillis Rodopoulos, describing the melee sparked by the fire. “Their behaviour was very aggressive, they wouldn’t let the fire engines pass to put out the blaze, and for the first time they were shouting: kill police.”

      https://i.guim.co.uk/img/media/ed39991b42492c24aba4f85e701b66e48521375c/0_178_3500_2101/master/3500.jpg?width=620&quality=85&auto=format&fit=max&s=356be51355ebcb04a111f2

      But NGO workers on Lesbos said the chaos reflected growing frustration among the camp’s occupants. There have been several fires at the facility since the EU struck a deal with Turkey in 2016 to stem the flow of migrants. A woman and child died in a similar blaze three years ago.

      “No one can call the fire and these deaths an accident,” said Marco Sandrone, a field officer with Médecins Sans Frontières. “This tragedy is the direct result of a brutal policy that is trapping 13,000 people in a camp made for 3,000.

      “European and Greek authorities who continue to contain these people in these conditions have a responsibility in the repetition of these dramatic episodes. It is high time to stop the EU-Turkey deal and this inhumane policy of containment. People must be urgently evacuated out of the hell that Moria has become.”

      Greece currently hosts around 85,000 refugees, mostly from Syria although recent arrivals have also been from Afghanistan and Africa. Close to 35,000 have arrived this year, outstripping the numbers in Italy and Spain.

      It is a critical issue for the prime minister, Kyriakos Mitsotakis, who won office two months ago promising to crack down on migration.
      Aid workers warn of catastrophe in Greek refugee camps
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      Mitsotakis raised the matter with Turkey’s president, Recep Tayyip Erdoğan, on the sidelines of the UN general assembly in New York last week, and Greece’s migration minister and the head of the coastguard will fly to Turkey for talks this week.

      Ministers admit the island camps can no longer deal with the rise in numbers.

      Government spokesman Stelios Petsas announced that a cabinet meeting called to debate emergency measures had on Monday decided to radically increase the number of deportations of asylum seekers whose requests are rejected.

      “There will be an increase in returns [to Turkey],” he said. “From 1,806 returned in 4.5 years under the previous Syriza government, 10,000 will be returned by the end of 2020.”

      Closed detention centres would also be established for those who had illegally entered the EU member state and did not qualify for asylum, he added.

      However, Spyros Galinos, until recently the mayor of Lesbos, who held the post when close to a million Syrian refugees landed on the island, told the Guardian: “This is a bomb that will explode. Decongestion efforts aren’t enough. You move more to the mainland and others come. It’s a cycle that will continue repeating itself with devastating effect until the big explosion comes.”

      https://www.theguardian.com/world/2019/sep/30/riots-at-greek-refugee-camp-on-lesbos-after-fatal-fire

    • Grèce : incendie meurtrier à Moria suivi d’émeutes

      Au moins une personne a péri dans un incendie survenu dimanche dans le camp surpeuplé de Moria, sur l’île grecque de Lesbos. Ce drame a été suivi d’émeutes provoquées par la colère des habitants du camp, excédés par leurs conditions de vie indignes.

      Un incendie survenu, dimanche 29 septembre, au sein du camp de Moria sur l’île de Lesbos en Grèce a fait au moins un mort parmi les habitants. "Nous n’avons qu’une personne morte confirmée pour l’instant", a déclaré le ministre adjoint à la protection civile Lefteris Oikonomou, lundi. La veille, plusieurs sources ont indiqué que la victime était décédée avec son enfant portant le nombre de décès à au moins deux.

      Selon les médias grecs, une couverture brûlée retrouvée à côté de la femme morte, contiendrait des résidus de peau qui pourraient appartenir à l’enfant de la défunte, un nouveau-né. Des examens médico-légaux sont en cours.

      Selon l’Agence de presse grecque ANA, citant des sources policières, la femme a été transportée à l’hôpital de Lesbos, tandis que l’enfant a été remis aux autorités par les migrants qui l’avait recouvert d’une couverture. Un correspondant de l’AFP a confirmé avoir vu deux corps, l’un transporté au bureau de l’ONG Médecins sans frontières (MSF), l’autre devant lequel “sanglotaient des proches”.

      Il a fallu, d’après un témoin cité par l’AFP, plus de 30 minutes pour éteindre l’incendie et les pompier ont tardé à arriver. C’est un avion bombardier d’eau qui a permis de stopper le brasier qui aurait démarré dans un petit commerce ambulant avant de s’étendre aux conteneurs d’habitation voisins.

      Dans un communiqué, la police fait état de deux incendies, le premier à l’extérieur du camp, puis un autre à l’intérieur, à 20 minutes d’intervalle. Les émeutes ont débuté juste après que le second feu s’est déclaré.
      "Six ou sept conteneurs [hébergeant des migrants] étaient en flammes. On a appelé les pompiers qui sont arrivés après 20 minutes. On s’est mis en colère", a déclaré Fedouz, 15 ans, interrogé par l’AFP. Le jeune Afghan affirme avoir trouvé deux enfants “complètement carbonisés et une femme morte” en voulant essayer, avec ses proches, d’aider les personnes qui se trouvaient dans les conteneurs.

      Afin de reprendre le contrôle sur la foule en colère à cause de la lenteur des secours, la police a tiré des gaz lacrymogènes. Peu après 23h locales (20h GMT), le camp avait retrouvé son calme, selon des sources policières.

      Plus de 20 blessés dans les émeutes soignés par MSF

      “Nous sommes outrés”, a réagi Marco Sandrone, le coordinateur de Médecins sans frontières (MSF) en Grèce. “L’équipe médicale de notre clinique située juste à l’extérieur du camp a porté secours à au moins 15 personnes blessées à la suite des émeutes entre les migrants et la police, juste après l’incendie.” L’ONG a ensuite revu le nombre de patients à la hausse indiquant que 21 personnes avaient été prises en charge dans leur clinique.

      Pour Marco Sandrone cet incendie et ces émeutes n’ont rien d’un banal incident. “Cette tragédie est le résultat d’une politique brutale qui piègent 13 000 migrants dans un camp qui ne peut en accueillir que 3 000. Les autorités européennes et grecques qui maintiennent ces personnes dans ces conditions de vie ont une part de responsabilité dans ce genre d’épisode”, a-t-il déclaré.

      Moria est le plus grand camp de migrants en Europe. La Grèce compte actuellement 70 000 migrants, principalement des réfugiés syriens, qui ont fui leur pays depuis 2015 et risqué la traversée depuis les côtes turques voisines.

      Le gouvernement grec doit se pencher, à compter de lundi, sur une modernisation de la procédure d’asile afin d’essayer de désengorger ses camps de migrants. En vertu d’un accord conclu au printemps 2016 entre la Turquie et l’Union européenne, la Turquie avait mis un frein aux flux des départs de migrants vers les cinq îles grecques les plus proches de son rivage, en échange d’une aide de six milliards de dollars. Mais le nombre des arrivées en grèce est reparti à la hausse ces derniers mois.

      Quelque 3 000 migrants arrivés dans les îles grecques cette semaine

      Ainsi, en seulement 24 heures, entre samedi matin et dimanche matin, près de 400 migrants au total sont arrivés en Grèce, selon les autorités. En outre, le Premier ministre grec Kyriakos Mitsotakis a déclaré plus tôt cette semaine qu’environ 3 000 personnes étaient arrivées depuis la Turquie ces dernier jours, ce qui ajoute à la pression sur des installations d’accueil déjà surpeuplées.

      Début septembre, le président turc Recep Tayyip Erdogan, dont le pays accueille près de quatre millions de réfugiés, a menacé "d’ouvrir les portes" aux migrants vers l’Union européenne s’il n’obtient pas davantage d’aide internationale.

      “Il est grand temps d’arrêter cet accord entre la Grèce et la Turquie ainsi que cette politique de rétention des migrants dans les camps. Il faut évacuer d’urgence les personnes de cet enfer qu’est devenu Moria”, a commenté Marco Sandrone de MSF.

      Le gouvernement grec, pour sa part, a réitéré la nécessité de continuer à transférer vers le continent les migrants hébergés dans les centres d’enregistrement et d’identification sur les îles du nord de la mer Égée.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/19850/grece-incendie-meurtrier-a-moria-suivi-d-emeutes

    • “Il y a au moins 500 manifestants en ce moment dans le camp de Moria, la police anti-émeute est sur place”

      InfoMigrants a recueilli le témoignage d’un habitant du camp de Moria sur l’île de Lesbos en Grèce au lendemain d’un incendie meurtrier et d’émeutes survenus dimanche 30 septembre. Les manifestations ont repris mardi et la situation semble se tendre d’heure en heure.

      Je m’appelle Lionel*, je viens d’Afrique de l’Ouest* et je vis dans le camp de Moria depuis le mois de mai. Depuis un mois, des vagues de nouvelles personnes se succèdent, la situation se dégrade de jour en jour. Ce sont surtout des gens qui arrivent depuis la Turquie. Il paraît que le gouvernement turc laisse de nouveau passer des gens à la frontière malgré l’accord [qui a été signé avec l’Union européenne au printemps 2016].

      Il y a eu un grave incendie suivi d’émeutes dimanche. J’habite juste en face de là où le feu a démarré. Les autorités disent qu’il y a eu un mort mais nous on en a vu plus.

      Hier soir [lundi], des personnes ont organisé une veillée musulmane sur les lieux de l’incendie en hommage aux victimes. Il y avait des bougies, c’était plutôt calme.

      Depuis ce matin, les Afghans, Irakiens et Syriens se sont mis à manifester en face de l’entrée principale du camp. Ils protestent contre les conditions de vie qui sont horribles ici. Ils veulent également transporter, eux-mêmes, le corps d’une autre victime de l’incendie jusqu’à Mytilène pour montrer à la population et aux dirigeants ce qu’il se passe ici.

      Il doit y avoir au moins 500 personnes rassemblées. La police anti-émeute est sur place et empêche les manifestants de sortir du camp pour porter le corps jusqu’à Mytilène. Un autre bus de policiers est arrivé ce matin mais en revanche, personne ne se soucie de comment on va.

      Moi j’ai trop peur que ça dégénère encore plus alors j’ai quitté le camp. Je fais les cent pas à l’écart pour rester en dehors des problèmes et pour me protéger. On ne sait pas ce qui va arriver, j’ai peur et cette situation est très frustrante.

      « Le matin, on part se cacher dans les oliviers pour rester à l’écart de la foule »

      Tous les matins, on doit se lever à 5h pour aller faire la queue et espérer avoir quelque chose à boire ou à manger. Après le petit-déjeuner, on part se cacher et s’abriter dans les oliviers pour rester à l’écart de la foule. Il y a tellement de gens que l’air est devenu irrespirable dans le camp.

      Je retourne dans ma tente en fin d’après-midi et j’essaie de dormir pour pouvoir me lever le plus tôt possible le matin, sinon je n’aurai pas à manger.

      On ne nous dit rien, la situation est désastreuse, je dirais même que je n’ai pas connu pire depuis mon arrivée à Moria il y a près de cinq mois. J’ai fait une demande d’asile mais je me sens totalement piégé ici et je ne vois pas comment je vais m’en sortir à moins d’un miracle.

      Au final, la situation est presque semblable à celle de mon pays d’origine. La seule différence, c’est qu’il n’y a pas les coups de feu. Ils sont remplacés par les tirs de gaz lacrymogènes de la police grecque. Cela me déclenche des flashback, c’est traumatisant.

      * Le prénom et le pays d’origine ont été changés à la demande du témoin, par souci de sécurité.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/19879/il-y-a-au-moins-500-manifestants-en-ce-moment-dans-le-camp-de-moria-la

    • Greece must act to end dangerous overcrowding in island reception centres, EU support crucial

      This is a summary of what was said by UNHCR spokesperson Liz Throssell – to whom quoted text may be attributed – at today’s press briefing at the Palais des Nations in Geneva.

      UNHCR, the UN Refugee Agency, is today calling on Greece to urgently move thousands of asylum-seekers out of dangerously overcrowded reception centres on the Greek Aegean islands. Sea arrivals in September, mostly of Afghan and Syrian families, increased to 10,258 - the highest monthly level since 2016 – worsening conditions on the islands which now host 30,000 asylum-seekers.

      The situation on Lesvos, Samos and Kos is critical. The Moria centre on Lesvos is already at five times its capacity with 12,600 people. At a nearby informal settlement, 100 people share a single toilet. Tensions remain high at Moria where a fire on Sunday in a container used to house people killed one woman. An ensuing riot by frustrated asylum-seekers led to clashes with police.

      On Samos, the Vathy reception centre houses 5,500 people – eight times its capacity. Most sleep in tents with little access to latrines, clean water, or medical care. Conditions have also deteriorated sharply on Kos, where 3,000 people are staying in a space for 700.

      Keeping people on the islands in these inadequate and insecure conditions is inhumane and must come to an end.

      The Greek Government has said that alleviating pressure on the islands and protecting unaccompanied children are priorities, which we welcome. We also take note of government measures to speed up and tighten asylum procedures and manage flows to Greece announced at an exceptional cabinet meeting on Monday. We look forward to receiving details in writing to which we can provide comments.

      But urgent steps are needed and we urge the Greek authorities to fast-track plans to transfer over 5,000 asylum-seekers already authorized to continue their asylum procedure on the mainland. In parallel, new accommodation places must be provided to prevent pressure from the islands spilling over into mainland Greece, where most sites are operating at capacity. UNHCR will continue to support transfers to the mainland in October at the request of the government.

      Longer-term solutions are also needed, including supporting refugees to become self-reliant and integrate in Greece.

      The plight of unaccompanied children, who overall number more than 4,400, is particularly worrying, with only one in four in a shelter appropriate for their age.

      Some 500 children are housed with unrelated adults in a large warehouse tent in Moria. On Samos, more than a dozen unaccompanied girls take turns to sleep in a small container, while other children are forced to sleep on container roofs. Given the extremely risky and potentially abusive conditions faced by unaccompanied children, UNHCR appeals to European States to open up places for their relocation as a matter of priority and speed up transfers for children eligible to join family members.

      UNHCR continues to work with the Greek authorities to build the capacity needed to meet the challenges. We manage over 25,000 apartment places for some of the most vulnerable asylum-seekers and refugees, under the EU-funded ESTIA scheme. Some 75,000 people receive monthly cash assistance under the same programme. UNHCR is prepared, with the continuous support of the EU and other donors, to expand its support through a cash for shelter scheme which would allow authorized asylum-seekers to move from the islands and establish themselves on the mainland.

      Greece has received the majority of arrivals across the Mediterranean region this year, some 45,600 of 77,400 – more than Spain, Italy, Malta, and Cyprus combined.

      https://www.unhcr.org/news/briefing/2019/10/5d930c194/greece-must-act-end-dangerous-overcrowding-island-reception-centres-eu.html

    • Migration : Lesbos, un #échec européen

      Plus de 45 000 personnes ont débarqué en Grèce, en 2019. Au centre de la crise migratoire européenne depuis 2015, l’île de Lesbos est au bord de la rupture.
      Le terrain, un ancien centre militaire, est accidenté de toutes parts. Entre ses terrassements qu’ont recouverts des rangées de tentes et de conteneurs, des dénivelés abrupts. Sur les quelques pentes goudronnées, des grappes d’enfants dévalent en glissant sur des bouteilles de plastique aplaties. Leurs visages sont salis par la poussière que soulèvent des bourrasques de vent dans les oliveraies alentours. Ils courent partout, se faufilent à travers des grilles métalliques éventrées ici et là, et disparaissent en un mouvement. On les croirait seuls.

      Vue du camp de Moria sur l’île grecque de Lesbos, le 19 septembre. Samuel Gratacap pour Le Monde
      Ici, l’un s’est accroupi pour uriner, à la vue de tous. Un autre joue à plonger ses mains dans la boue formée au sol par un mélange d’eau sale et de terre. D’autres se jettent des cailloux. Alors que le jour est tombé, une gamine erre au hasard des allées étroites, dessinées par l’implantation anarchique de cabanes de fortune. Les flammes des fours à pain, faits de pierres et de terre séchée, éclairent par endroits la nuit qui a enveloppé Moria, sur l’île grecque de Lesbos.

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      Un moment, à jauger le plus grand camp d’Europe, à détailler ses barbelés, sa crasse et le dénuement de ses 13 000 habitants – dont 40 % d’enfants –, on se croirait projetés quatre-vingts ans en arrière, dans les camps d’internement des réfugiés espagnols lors de la Retirada [l’exode de milliers de républicains espagnols durant la guerre civile, de 1936 à 1939]. Ici, les gens balayent les pierres devant leur tente pour sauvegarder ce qui leur reste d’hygiène, d’intimité. Depuis cet été, ils arrivent par centaines tous les jours, après avoir traversé en rafiot lesquelques kilomètres de mer Egée qui séparent Lesbos de la Turquie. Ce sont des familles afghanes, en majorité, qui demandent l’asile en Europe. Mais viennent aussi des Syriens, des Congolais, des Irakiens, des Palestiniens…

      « Ceci n’est pas une crise »

      Au fur et à mesure que les heures passent, les nouveaux venus apprennent qu’ils devront se contenter d’une toile de tente et d’un sol dur pour abri, qu’il n’y a pas assez de couvertures pour tous, qu’il faut faire la queue deux heures pour obtenir une ration alimentaire et que plusieurs centaines d’entre elles viennent à manquer tous les jours… Très vite, à parler avec les anciens, ils réalisent que beaucoup endurent cette situation depuis plus d’un an, en attendant de voir leur demande d’asile enfin examinée et d’être peut-être autorisés à rejoindre le continent grec.

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      Plus de 45 000 personnes ont afflué en Grèce, en 2019, dont plus de la moitié entre juillet et septembre. « Ceci n’est pas une crise », répète Frontex, l’agence européenne de gardes frontières et de gardes-côtes, présente dans cette porte d’entrée en Europe. Les chiffres ne sont en effet guère comparables avec 2015, quand plus de 860 000 personnes sont arrivées sur les rivages grecs, provoquant une crise majeure dans toute l’Europe.

      C’est fin 2015 que le « hot spot » de Moria, nom donné à ces centres d’accueil contrôlés pour demandeurs d’asile, a été créé. D’autres centres de transit sont apparus sur les îles grecques de Chios, Samos, Leros, Kos ainsi qu’en Italie. Face à la « crise », l’Europe cherchait à s’armer. Dans les « hot spots », les personnes migrantes sont identifiées, enregistrées, et leur situation examinée. Aux réfugiés, l’asile. Aux autres, le retour vers des territoires hors de l’Union européenne (UE).

      L’accord UE-Turquie

      Pour soulager les pays d’entrée, un programme temporaire de relocalisations a été mis en place pour permettre de transférer une partie des réfugiés vers d’autres Etats membres. Une façon de mettre en musique une solidarité européenne de circonstance, sans toucher au sacro-saint règlement de Dublin qui fait de l’Etat d’entrée en Europe le seul responsable de l’examen de la demande d’asile d’un réfugié.

      Dans la foulée, en mars 2016, l’accord UE-Turquie prévoyait qu’Ankara renforce le contrôle de ses frontières et accepte le renvoi rapide de demandeurs d’asile arrivés sur les îles grecques, en contrepartie, notamment, d’un versement de 6 milliards d’euros et d’une relance du processus d’adhésion à l’UE.

      Quatre années se sont écoulées depuis le pic de la crise migratoire et ses cortèges de migrants traversant l’Europe à pied, le long de la route des Balkans, jusqu’à l’eldorado allemand. Si les flux d’arrivées en Europe ont considérablement chuté, Lesbos incarne plus que jamais l’échec du continent face aux phénomènes migratoires.

      Le mécanisme de relocalisation, une lointaine chimère

      Sur les 100 000 relocalisations programmées depuis l’Italie et la Grèce, à peine 34 000 ont eu lieu. « Les Etats n’ont pas joué le jeu », analyse Yves Pascouau, fondateur du site European Migration Law. Plusieurs pays (Hongrie, Pologne, République tchèque, Slovaquie, Autriche, Bulgarie) n’ont pas du tout participé à l’effort. Seuls Malte, le Luxembourg et la Finlande ont atteint leur quota. « Il y a aussi eu des difficultés techniques et organisationnelles liées à un processus nouveau », reconnaît M. Pascouau.

      L’ONG Lighthouse Relief accueille un groupe de réfugiés qui vient d’être intercepté en mer par Frontex puis transféré à terre par l’ONG Refugee Rescue, entre Skala Sikamineas et Molivos, sur l’île de Lesbos, le 19 septembre. Samuel Gratacap pour Le Monde

      Le 19 septembre au petit matin, 37 personnes, des familles et des mineurs tous originaires d’Afghanistan viennent de débarquer entre Skala Sikamineas et Molivos, sur l’île de Lesbos. Ils sont pris en charge et dirigés vers le camp de transit Stage 2 géré par l’UNHCR et administré par les autorités grecques. À l’horizon, la côte turque. Samuel Gratacap pour Le Monde
      Le mécanisme de relocalisation n’est plus aujourd’hui qu’une lointaine chimère, comme l’ont été les « hot spots » italiens, Rome choisissant de laisser ses centres ouverts et ses occupants se disperser en Europe. « On a été dans une double impasse côté italien, analyse l’ancien directeur de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra), Pascal Brice. Les Italiens se sont satisfaits d’une situation où les migrants ne faisaient que passer, car ils ne voulaient pas s’installer dans le pays. Et les autres Etats, en particulier les Français et les Allemands, se sont accrochés à Dublin. C’est ce qui a provoqué cette dérive italienne jusqu’à Salvini et la fermeture des ports. »

      Le système est à l’agonie, les personnes qui arrivent aujourd’hui se voient donner des rendez-vous pour leur entretien d’asile… en 2021
      Seule la Grèce a continué de jouer le jeu des « hot spots » insulaires. Résultat : plus de 30 000 personnes s’entassent désormais dans des dispositifs prévus pour 5 400 personnes. « Nous n’avons pas vu autant de monde depuis la fermeture de la frontière nord de la Grèce et l’accord UE-Turquie, souligne Philippe Leclerc, représentant du Haut-Commissariat pour les réfugiés des Nations unies (HCR) en Grèce. Plus de 7 500 personnes devraient être transférées des îles vers le continent et ne le sont pas, faute de capacités d’accueil. On arrive à saturation. » Le système est à l’agonie, les personnes qui arrivent aujourd’hui se voient donner des rendez-vous pour leur entretien d’asile… en 2021.

      A Lesbos, 13 000 personnes s’agglutinent à l’intérieur et autour du camp de Moria, pour une capacité d’accueil officielle de 3 100 personnes. Les deux tiers de cette population sont sous tente. Et leur nombre enfle chaque jour. Cette promiscuité est mortifère. Dimanche 29 septembre, un incendie a ravagé plusieurs conteneurs hébergeant des demandeurs d’asile et tué au moins une femme. « Tous les dirigeants européens sont responsables de la situation inhumaine dans les îles grecques et ont la responsabilité d’empêcher toute nouvelle mort et souffrance », a réagi le jour même Médecins sans frontières (MSF). La même semaine, un enfant de 5 ans qui jouait dans un carton sur le bord d’une route a été accidentellement écrasé par un camion. Fin août, déjà, un adolescent afghan de 15 ans avait succombé à un coup de couteau dans une bagarre.

      Un bateau vient de débarquer entre Skala Sikamineas et Molivos, avec à son bord 37 personnes originaires d’Afghanistan. Samuel Gratacap pour Le Monde
      « Personne ne fait rien pour nous », lâche Mahdi Mohammadi, un Afghan de 27 ans arrivé il y a neuf mois. Il doit passer son entretien de demande d’asile en juin 2020. En attendant, il dort dans une étroite cabane, recouverte de bâches blanches estampillées Union européenne, avec trois autres compatriotes. A côté, une femme de plus de 60 ans dort sous une toile de tente avec son fils et sa nièce adolescente.

      « Nous n’avons aucun contrôle sur la situation »

      « Des années ont passé depuis la crise et on est incapables de gérer, se désespère une humanitaire de Lesbos. Les autorités sont dépassées. C’est de plus en plus tendu. » Un fonctionnaire européen est plus alarmiste encore : « Nous n’avons aucun contrôle sur la situation », confie-t-il.

      En Grèce, le sort des mineurs non accompagnés est particulièrement préoccupant. Ils sont 4 400 dans le pays (sur près de 90 000 réfugiés et demandeurs d’asile), dont près d’un millier rien qu’à Lesbos. La moitié dort en présence d’adultes dans une sorte de grand barnum. Sur l’île de Samos, des enfants sont obligés de dormir sur le toit des conteneurs.

      Le 19 septembre, dans la partie extérieure du camp de Moria appelée « Jungle », une famille Syrienne de 7 personnes originaire de la ville de Deir Ez Zor, en Syrie. Ils sont arrivés à Moria il y a deux jours. La jeune femme dans la tente attend un enfant. Samuel Gratacap pour Le Monde

      Dans la clinique pédiatrique de MSF, qui jouxte le camp de Moria, le personnel soignant mesure les effets d’un tel abandon. « Sur les deux derniers mois, un quart de nos patients enfants nous ont été envoyés pour des comportements d’automutilation, déclare Katrin Brubakk, pédopsychologue. Ça va d’adolescents qui se scarifient à des enfants de deux ans qui se tapent la tête contre les murs jusqu’à saigner, qui se mordent ou qui s’arrachent les cheveux. » « A long terme, cela va affecter leur vie sociale, leurs apprentissages et, in fine, leur santé mentale », prévient-elle. Présidente de l’ONG grecque d’aide aux mineursMETAdrasi, Lora Pappa s’emporte : « Ça fait des années qu’on dit que plus d’un tiers des mineurs non accompagnés ont un membre de leur famille en Allemagne ou ailleurs. Mais chaque enfant, c’est trente pages de procédure et, si tout se passe bien, ça prend dix mois pour obtenir une réunification familiale. Le service d’asile grec est saturé, et les Etats membres imposent des conditions de plus en plus insensées. »

      Dans le petit port de plaisance de Panayouda, à quelques kilomètres de Moria, des adolescents jouent à appâter des petits poissons argentés avec des boules de mie de pain. Samir, un Afghan de 21 ans, les regarde en riant. A Moria, il connaît des jeunes qui désespèrent de rejoindre leur famille en Suède. « Leur demande a déjà été rejetée trois fois », assure-t-il. Samir a passé deux ans sur l’île, avant d’être autorisé à gagner le continent. Il est finalement revenu à Lesbos il y a une semaine pour retrouver son frère de 14 ans. « Ça faisait cinq ans qu’on s’était perdus de vue, explique-t-il. Notre famille a été séparée en Turquie et, depuis, je les cherche. Je ne quitterai pas Athènes tant que je n’aurai pas retrouvé mes parents. »

      « Les “hot spots” sont la preuve de l’absurdité et de l’échec de Dublin »

      « Il faudrait repenser à des mécanismes de répartition, affirme Philippe Leclerc, du HCR. C’est l’une des urgences de solidarité, mais il n’y a pas de discussion formelle à ce sujet au niveau de l’UE. » « La relocalisation, ça n’a jamais marché parce que ça repose sur le volontariat des Etats, tranche Claire Rodier, directrice du Gisti (Groupe d’information et de soutien des immigrés). Les “hot spots” sont la preuve de l’absurdité et de l’échec de Dublin, qui fait peser tout le poids des arrivées sur les pays des berges de l’Europe. » Yves Pascouau appuie : « Les Etats ont eu le tort de penser qu’on pouvait jouir d’un espace de libre circulation sans avoir une politique d’asile et d’immigration commune. Ce qui se passe à Lesbos doit nous interroger sur toutes les idées qu’on peut avoir de créer des zones de débarquement et de traitement des demandes d’asile. » Marco Sandrone, coordinateur de MSF à Lesbos, va plus loin : « Il est grand temps d’arrêter cet accord UE-Turquie et sa politique inhumaine de confinement et d’évacuer de toute urgence des personnes en dehors de cet enfer qu’est devenu Moria. »

      Des policiers portugais de Frontex, l’agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes surveillent la mer au large de la côte Nord de l’île, dans la nuit du 18 au 19 septembre. Samuel Gratacap pour Le Monde

      A Skala Sikamineas, les équipes de FRONTEX procèdent à la destruction sommaire d’un bateau clandestin. Samuel Gratacap pour Le Monde
      Dans les faits, l’accord UE-Turquie est soumis à « forte pression », a reconnu récemment le nouveau premier ministre grec, Kyriakos Mitsotakis. Jusqu’ici, en vertu de cet accord, Athènes a renvoyé moins de 2 000 migrants vers la Turquie, en majorité des ressortissants pakistanais (38 %), syriens (18 %), algériens (11 %), afghans (6 %) et d’autres. Mais le nouveau gouvernement conservateur, arrivé au pouvoir en juillet, envisage d’augmenter les renvois. Lundi 30 septembre, il a annoncé un objectif de 10 000 migrants d’ici à la fin 2020, en plus de mesures visant à accélérer la procédure d’asile, à augmenter les transferts vers le continent ou encore à construire des centres fermés pour les migrants ne relevant pas de l’asile.

      Dans le même temps, le président turc Recep Tayyip Erdogan n’a eu de cesse, ces derniers mois, de menacer d’« ouvrir les portes » de son pays aux migrants afin de les laisser rejoindre l’Europe. « Si nous ne recevons pas le soutien nécessaire pour partager le fardeau des réfugiés, avec l’UE et le reste du monde, nous allons ouvrir nos frontières », a-t-il averti.

      « Entre Erdogan qui montre les dents et le nouveau gouvernement grec qui est beaucoup plus dur, ça ne m’étonnerait pas que l’accord se casse la figure », redoute le fonctionnaire européen. Le thème migratoire est devenu tellement brûlant qu’il a servi de prétexte à la première rencontre, en marge de l’Assemblée générale des Nations unies à New York, entre le président turc et le premier ministre grec, le 26 septembre. A l’issue, M. Mitsotakis a dit souhaiter la signature d’« un nouvel accord », assorti d’un soutien financier supplémentaire de l’UE à la Turquie.

      La Turquie héberge officiellement 3,6 millions de réfugiés syriens, soit quatre fois plus que l’ensemble des Etats de l’UE. L’absence de perspectives pour un règlement politique en Syrie, le caractère improbable de la reconstruction, l’hostilité manifestée par Damas envers les éventuels candidats au retour, menacés d’expropriation selon le décret-loi 63 du gouvernement de Bachar Al-Assad, ont réduit à néant l’espoir de voir les réfugiés syriens rentrer chez eux. Le pays ne pourra assumer seul un nouvel afflux de déplacés en provenance d’Idlib, le dernier bastion de la rébellion syrienne actuellement sous le feu d’une offensive militaire menée par le régime et son allié russe.

      Un « ferrailleur de la mer » sur la côte entre Skala Sikamineas et Molivos, le 19 septembre. Après l’évacuation d’une embarcation de 37 réfugiés d’origine Afghane, un homme vient récupérer des morceaux du bateau. A l’horizon la côte turque, toute proche. Samuel Gratacap pour Le Monde
      Le président turc presse les Etats-Unis de lui accorder une « zone de sécurité » au nord-est de la Syrie, où il envisage d’installer jusqu’à 3 millions de Syriens. « Nous voulons créer un corridor de paix pour y loger 2 millions de Syriens. (…) Si nous pouvions étendre cette zone jusqu’à Deir ez-Zor et Raqqa, nous installerions jusqu’à 3 millions d’entre eux, dont certains venus d’Europe », a-t-il déclaré depuis la tribune des Nations unies à New-York.

      Climat de peur

      La population turque s’est jusqu’ici montrée accueillante envers les « invités » syriens, ainsi qu’on désigne les réfugiés en Turquie, dont le statut se limite à une « protection temporaire ». Mais récemment, les réflexes de rejet se sont accrus. Touchée de plein fouet par l’inflation, la perte de leur pouvoir d’achat, la montée du chômage, la population s’est mise à désapprouver la politique d’accueil imposée à partir de 2012 par M. Erdogan. D’après une enquête publiée en juillet par le centre d’étude de l’opinion PIAR, 82,3 % des répondants se disent favorables au renvoi « de tous les réfugiés syriens ».

      A la mi-juillet, la préfecture d’Istanbul a lancé une campagne d’arrestations et d’expulsions à l’encontre de dizaines de milliers de réfugiés, syriens et aussi afghans. Le climat de peur suscité par ces coups de filet n’est peut être pas étranger à l’augmentation des arrivées de réfugiés en Grèce ces derniers mois.

      « La plupart des gens à qui on porte secours ces derniers temps disent qu’ils ont passé un mois seulement en Turquie, alors qu’avant ils avaient pu y vivre un an, observe Roman Kutzowitz, de l’ONG Refugee Rescue, qui dispose de la seule embarcation humanitaire en Méditerranée orientale, à quai dans le petit port de Skala Sikamineas, distant d’une dizaine de kilomètres de la rive turque. Ils savent que le pays n’est plus un lieu d’accueil. »

      La décharge de l’île de Lesbos, située à côté de la ville de Molivos. Ici s’amassent des gilets de sauvetages, des bouées et des restes d’embarcations qui ont servi aux réfugiés pour effectuer la traversée depuis la Turquie. Samuel Gratacap pour "Le Monde"
      Au large de Lesbos, dans le mouchoir de poche qui sépare la Grèce et la Turquie, les gardes-côtes des deux pays et les équipes de Frontex tentent d’intercepter les migrants. Cette nuit-là, un bateau de la police maritime portugaise – mobilisé par Frontex – patrouille le long de la ligne de démarcation des eaux. « Les Turcs sont présents aussi, c’est sûr, mais on ne les voit pas forcément », explique Joao Pacheco Antunes, à la tête de l’équipe portugaise.

      Dix jours « sans nourriture, par terre »

      Sur les hauteurs de l’île, des collègues balayent la mer à l’aide d’une caméra thermique de longue portée, à la recherche d’un point noir suspect qui pourrait indiquer une embarcation. « S’ils voient un bateau dans les eaux turques, le centre maritime de coordination des secours grec est prévenu et appelle Ankara », nous explique Joao Pacheco Antunes. Plusieurs canots seront interceptés avant d’avoir atteint les eaux grecques.

      Sur une plage de galets, à l’aube, un groupe de trente-sept personnes a accosté. Il y a treize enfants parmi eux, qui toussent, grelottent. Un Afghan de 28 ans, originaire de la province de Ghazi, explique avoir passé dix jours « sans nourriture, par terre », caché dans les champs d’oliviers turcs avant de pouvoir traverser. « J’ai perdu dix kilos », nous assure-t-il, en désignant ses jambes et son buste amaigris. Un peu plus tard, une autre embarcation est convoyée jusqu’au port de Skala Sikamineas par des gardes-côtes italiens, en mission pour Frontex. « Il y a trois femmes enceintes parmi nous », prévient un Afghan de 27 ans, qui a fui Daech [acronyme arabe de l’organisation Etat islamique] et les talibans. Arrive presque aussitôt un troisième canot, intercepté par les gardes-côtes portugais de Frontex. Tous iront rejoindre le camp de Moria.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/10/04/migration-lesbos-un-echec-europeen_6014219_3210.html

    • Grèce : une politique anti-réfugiés « aux relents d’extrême-droite »

      Suite à l’incendie mortel qui s’est déclenché dimanche dans le camp de Moria à Lesbos, le gouvernement grec a convoqué en urgence un conseil des ministres et annoncé des mesures pour faire face à la crise. Parmi elles, distinguer les réfugiés des migrants économiques. Revue de presse.
      Suite à l’incendie qui s’est déclenché dimanche dans le camp

      surpeuplé de Moria, sur l’île de Lesbos, et qui a fait une morte – une

      réfugiée afghane mère d’un nourrisson – le gouvernement s’est réuni en

      urgence lundi et a présenté un plan d’actions. Athènes veut notamment

      renvoyer 10 000 réfugiés et migrants d’ici à 2020 dans leur pays

      d’origine ou en Turquie, renforcer les patrouilles en mer, créer des

      camps fermés pour les immigrés illégaux et continuer à transférer les

      réfugiés des îles vers le continent grec pour désengorger les camps sur

      les îles de la mer Egée. D’après Efimerida Ton Syntakton, le

      Parlement doit voter dans les jours à venir un texte réformant les

      procédures de demande d’asile, en les rendant plus rapides.

      « L’immigration constitue une bombe pour le pays », estime le site

      iefimerida.gr. « Le gouvernement sait que c’est Erdoğan qui détient la

      solution au problème. Si le sultan n’impose pas plus de contrôles et ne

      veut pas diminuer les flux, alors les mesures prises n’auront pas plus

      d’effet qu’une aspirine. » Le quotidien de centre droit Kathimerini

      rappelle que la Grèce est « première en arrivées de migrants » en

      Europe. « La Grèce a accueilli cette année 45 600 migrants sur les

      77 400 arrivés en Méditerranée, devant l’Espagne et l’Italie », tandis

      qu’en septembre 10 258 arrivées ont été enregistrés par le

      Haut-commissariat des Nations unies pour les réfugiés.

      Comme à la loterie

      Dans l’édition du 1er octobre,

      une caricature d’Andreas Petroulakis montre un officiel tenant un

      papier près d’un boulier pour le tirage du loto. « Nous allons enfin

      différencier les réfugiés des immigrés ! Les réfugiés seront ceux qui

      ont les numéro 12, 31, 11... » Le dessin se moque des annonces du

      gouvernement qui a affirmé vouloir accepter les réfugiés en Grèce, mais

      renvoyer chez eux les migrants économiques, et selon qui la Grèce n’est

      plus confrontée à une crise des réfugiés mais des migrants. « De la

      désinformation de la part du gouvernement », estime Efimerida Ton Syntakton,

      car « les statistiques montrent bien que la majorité des personnes

      actuellement sur les îles sont originaires d’Afghanistan, de Syrie,

      d’Irak, du Congo, de pays en guerre ou en situation de guerre civile ».

      « Le nouveau dogme du gouvernement est que les réfugiés et les immigrés sont deux catégories différentes », souligne la chaîne de télévision Star.

      Le gouvernement veut « être plus sévère avec les immigrés, mais

      intégrer les réfugiés », précise le journal télévisé de mardi. Le

      journal de centre-gauche Ta Nea indique que « huit réfugiés sur

      dix seront transférés des îles vers des hôtels ou des appartements », le

      gouvernement souhaitant décongestionner au plus vite les îles de la mer

      Égée comme Lesbos.

      Pour le magazine LIFO, « la grande pression exercée sur le

      gouvernement Mitsotakis concernant l’immigration vient de ses

      électeurs ». « Les annonces selon lesquelles les demandes d’asile seront

      examinées immédiatement, tandis que ceux qui ne remplissent pas les

      critères seront renvoyés dans les trois jours, sont irréalistes car il y

      a des standards européens à respecter. Ces annonces sont faites

      uniquement pour soulager quelques électeurs. » Enfin, pour le site

      News247, « depuis longtemps à Moria un crime se déroule sous nos yeux,

      les responsables sont les décideurs à Bruxelles et les gouvernements en

      Grèce. Des mesures respectant les êtres humains doivent être prises ou

      bien l’avenir risque de nous réserver d’autres tragédies ».

      https://www.courrierdesbalkans.fr/Grece-le-gouvernement-grec-face-a-une-nouvelle-augmentation-des-f

  • Aerei da pattugliamento e #radar. Ecco il piano segreto anti-sbarchi

    Si delinea la strategia del governo per dare supporto alle Guardie costiere di Libia e Tunisia.
    La Marina militare da sola non riesce a tenere sotto controllo il Mediterraneo e perciò si ricorrerà anche all’Aeronautica. Oltre le navi che già presidiano il mare a sud della Sicilia, saranno schierati aerei-radar, droni e aerei da pattugliamento. L’obiettivo sono i soliti barconi e barchini che partono da Libia e Tunisia. Questo il piano segreto di Matteo Salvini, condiviso dall’intero governo, per frenare le partenze dei clandestini e aiutare in maniera sostanziale le due Guardie costiere, quella libica e quella tunisina, le sole che possono operare nelle rispettive acque territoriali, ma non hanno una tecnologia all’altezza, occorre un salto di qualità. E a questo ci penseranno gli italiani con una rete di osservazione dal mare e dal cielo.

    https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2019/07/09/news/aerei-da-pattugliamento-e-radar-nbsp-ecco-il-piano-segreto-anti-sbarchi-1.3
    #externalisation #asile #migrations #frontières #réfugiés #avions #miltiarisation_des_frontières #Méditerranée #Italie #Libye #gardes-côtes_libyens #gardes-côtes_tunisiens #Tunisie

    –----

    Ajouté à ces métalistes :
    1. Externalisation des contrôles frontaliers en #Libye :
    https://seenthis.net/messages/765324
    2. L’externalisation en #Tunisie (accords avec l’Italie notamment) :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765330

    • Commentaire de Sara Prestianni, reçu par email via la mailing-list Migreurop :

      A completer la proposition des 10 motovedette à offrir à la Libye, circulent aujourd’hui autre propositions qui ont été présenté par la presse comme “le secret contre les débarquements” : remplir le ciel de la Méditerranée avec des avion-radar, drones et avions de patrouilles pour aider les Gardes Cotes Libyens Tunisiens pour que ils puissent rejoindre les migrants en mer avant des ong afin que les migrants soient ramenés en Tunisie et Libye et pas en Italie. L’objectif déclaré est que tout bateau soit bloqué avant que il ne rentre en eaux internationales et encore moins nationales italiens.

      Puisque la Marine ne suffirait pas à “garder sous contrôle la mer Méditerranée” le Gouvernement fait appelle donc appelle aussi à l’aéronautique militaire. Seront mis à disposition les avions Atr42 pour le patrouilles maritimes, les drones Predator, les avions radar G550 CAEW. L’ensemble des moyens aériens devront communiquer aux MRCC de compétence (qui dans la tete du Gouvernement sont celui libyen et tunisien”) pour que ils puissent intervenir.
      Selon le Ministre de l’Interieur Italien, Tunisie et Libye ne sont pas suffisamment équipées, elles n’ont pas de technologie à l’hauteur. Technologie qui sera donc fourni par l’Italie.

      Cela explique la grande satisfaction exprimée par Salvini à l’annonce de l’opération de interception mené par les Gardes Cotes Tunisiennes au large de Kerkennah. Mais dans son discours ne manque pas de les accuser “En Tunisie il y a des institutions libres, je ne comprends pas pourquoi ils ne contrôlent par leur frontières” déclare Salvini, ou encore “Puisque en Tunisie il y a un parlement et un Gouvernement qui reçoivent des milliers de euro par l’Europe, il faut que chacun faisse sa part”

      La Ministre de la Defense, Trenta, a donné son feu vert à ce qui a été définis “augmentation de la capacité de surveillance, repérage et intelligence”

      https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2019/07/09/news/aerei-da-pattugliamento-e-radar-nbsp-ecco-il-piano-segreto-anti-sbarchi-1.3

      Face à un nombre très faible de arrivé (3000 en 6 mois), le constat du contexte libyen qui ne peut être considéré un port sure, la Tunisie non plus, la seule préoccupation du Gouvernement italien semble être celle de “sécher dans le temps” les ong, qui respectent le droit maritime ramèneraient les migrants dans un port sure (donc européen).

      Semblent bien loin le temps que l’Italie utilisait des forces militaires pour une mission de sauvetage, comme a été le cas pour Mare Nostrum en 2014 ….

    • Libia, festa della Marina: l’Italia consegna dieci nuove #motovedette

      Sabato scorso a Tripoli, nella base di #Sitta. Promesse dall’ex ministro Salvini a luglio scorso, i libici ne prendono possesso proprio nel giorno della scadenza del Memorandum

      La Marina libica ha festeggiato il 57esimo anniversario della sua fondazione prendendo possesso delle dieci nuove piccole motovedette fornite dall’Italia. La cerimonia e’ avvenuta nella base di Abu Sitta a Tripoli sabato scorso, il 2 novembre, proprio il giorno in cui scadeva il contestato Memorandum Italia-Libia che il governo italiano ha scelto di rinnovare per j prossimi tre anni chiedendo delle modifiche a garanzia del rispetto dei diritti umani delle migliaia di migranti intercettati dalla guardia costiera libica e riportati nei centri di detenzione in cui vengono tenuti in condizioni disumane e sottoposti ad ogni tipo di violenze.

      La consegna delle motovedette che va cosi’ ad arricchire la flotta della Guardia costiera fornita e addestrata dall’Italia era stata promessa e annunciata per la fine dell’estate dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini in uno degli ultimi comitati nazionale ordine e sicurezza da lui presieduto. Negli ultimi due anni sono stati quasi 40.000 i migranti intercettati e riportati indietro dai libici con interventi nella zona Sar sotto il controllo di Tripoli ma che, dalle indagini dei pm di Agrigento, risulta di fatto gestita dalla Marina italiana. Le foto delle dieci nuove motovedette consegnate durante la cerimonia sono state diffuse dalla Lybian navy e rilanciate dal sito di osservazione Migrant Rescue watch

      Ieri il ministro degli Esteri libico Mohamed Taher Siala ha ricevuto l’ambasciatore italiano Giuseppe Buccino Grimaldi, latore della nota verbale con cui l’Italia ha chiesto l’insediamento del Comitato italo-libico presieduto dai ministri di Interno ed Esteri di entrambi i Paesi, e ha confermato che la Libia esaminera’ gli emendamenti proposti dall’Italia e «decidera’ se approvarli o meno in linea con gli interessi supremi del governo e del popolo libico». Sulle modifiche al Memorandum il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese riferira’ alla Camera mercoledi pomeriggio.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/11/04/news/libia_festa_della_marina_l_italia_consegna_dieci_nuove_motovedette-240197

    • Migrants : le « Sea-Watch 3 » force le blocus italien vers Lampedusa

      Bloqué depuis 14 jours au large de l’île de Lampedusa avec 42 migrants à son bord, le navire humanitaire Sea-Watch 3 a décidé ce mercredi 26 juin de forcer le blocus des eaux territoriales italiennes.

      Le Sea-Watch 3 était bloqué depuis deux semaines devant l’île italienne après une nouvelle opération de secours au large de la Libye. Sur les sites de trafic maritime, les relevés du navire humanitaire battant pavillon néerlandais montrent clairement qu’après avoir navigué le long de la ligne des eaux italiennes pendant une dizaine de jours, il l’a franchie à la mi-journée en direction du port de Lampedusa.

      « J’ai décidé d’entrer dans le port de Lampedusa. Je sais ce que je risque, mais les 42 naufragés à bord sont épuisés. Je les emmène en lieu sûr », a annoncé ce mercredi sur Twitter la jeune capitaine allemande du Sea-Watch 3, Carola Rackete.

      « Nous ferons usage de tous les moyens démocratiquement permis pour bloquer cette insulte au droit et aux lois », a réagi Matteo Salvini, le ministre italien de l’Intérieur, dans une vidéo sur Facebook, dénonçant le « petit jeu politique sordide » de l’ONG, mais aussi l’indifférence affichée par les Pays-Bas, dont le Sea-Watch 3 bat le pavillon, et l’Allemagne, le pays de l’ONG. Les gouvernements de Berlin et La Haye « en répondront », a menacé M. Salvini.

      Conformément au récent « décret sécurité » adopté par le gouvernement italien, la capitaine du navire humanitaire et les responsables de Sea Watch risquent désormais des poursuites pour aide à l’immigration clandestine, la saisie du bateau et une amende de 50000 euros.

      Mardi, la Cour européenne des droits de l’homme, saisie par l’ONG allemande, avait refusé d’intervenir en urgence. Elle avait cependant demandé à l’Italie de « continuer de fournir toute assistance nécessaire » aux personnes vulnérables se trouvant à bord. Sur les 53 migrants que le Sea-Watch 3 avait secourus le 12 juin au large de la Libye, Rome a déjà accepté le débarquement de onze personnes vulnérables. Des dizaines de villes allemandes se sont dites prêtes à accueillir les migrants. L’évêque de Turin, Cesare Nosiglia, a annoncé lundi que son diocèse proposait de les prendre en charge.

      Le recours déposé à la CEDH était la seule solution qui nous restait avant de devoir entrer dans les eaux italiennes. Mais la CEDH a déclaré que la responsabilité italienne ne pouvait pas être engagée tant que notre bateau se trouvait dans les eaux internationales. Nous n’avions donc qu’une option : entrer dans le territoire italien.

      En janvier dernier déjà, 32 migrants secourus par le Sea-Watch étaient restés bloqués 18 jours à bord, avant de pouvoir débarquer à Malte grâce à accord de répartition entre plusieurs pays européens.

      L’odyssée du Sea Watch 3

      L’odyssée du Sea Watch 3 débute le 12 juin dernier, au large de la Libye. Alerté par une patrouille aérienne, le navire se porte au secours de 53 personnes en perdition sur un Zodiac dans les eaux internationales. Dans la journée, il reçoit l’ordre du gouvernement italien de faire route vers Tripoli, opportunément déclaré « port sûr » par les gardes-côtes libyens après l’opération de secours. Mais l’équipage refuse.

      Trois jours plus tard, une inspection sanitaire mène au débarquement de trois familles, 10 personnes en tout, dont une femme enceinte et des enfants. Mais entre-temps, le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini a signé un décret inédit, un décret interdisant au Sea Watch 3 de débarquer en Italie. L’ONG fait appel de cette décision, mais en vain.

      À partir de cette date, c’est le blocage. Avec 42 personnes à bord, le Sea Watch 3 longe sans issue les eaux territoriales italiennes au large de Lampedusa, dans une chaleur étouffante. Et finalement c’est donc mardi que la Cour de justice européenne, saisie par l’équipage et les passagers, se déclare incompétente pour contraindre le gouvernement italien à changer de position. La capitaine Carola Rackete a alors publié sa décision sur Twitter : « Les 42 naufragés à bord sont épuisés, dit-elle. Je les emmène en lieu sûr ».

      https://twitter.com/seawatch_intl/status/1143859524559941632?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11
      http://www.rfi.fr/europe/20190626-migrants-sea-watch-blocus-lampedusa

    • I portuali di Genova pronti ad accogliere la Sea Watch

      «Possiamo bloccare i porti ma anche aprirli»

      «Per quanto ci riguarda, la Sea Watch 3 può fare rotta verso il nostro porto, per noi saranno i benvenuti. Possiamo bloccare i porti, ma anche aprirli». Così il collettivo autonomo dei lavoratori portuali di Genova in un post pubblicato questa notte su facebook, poche ore prima che la nave battente bandiera olandese con a bordo 42 migranti forzasse il blocco al largo di Lampedusa. La nave, scrivono i portuali, «dovrà trovare una solidarietà concreta e attiva e tutta la forza di cui i lavoratori e gli antirazzisti saranno capaci. Noi non siamo degli eroi, nè dei politici. Qualcuno ci ha definito ’piantagrane’. Siamo semplici lavoratori del porto di Genova ma proprio perchè lavoratori, non possiamo che riconoscerci nei valori fondanti del movimento operaio: la fratellanza tra esseri umani, la solidarietà internazionale».
      I ’camalli’ ricordano che «nelle ultime settimane abbiamo bloccato, non da soli certamente, per due volte il carico di una compagnia specializzata in traffico di armamenti, così come siamo stati in piazza per spiegare ai fascisti e a chi li proteggeva che nella nostra città non hanno alcuna speranza.
      Mentre si avvicina il 30 giugno e Salvini pensa di fare un’altra visita a Genova, noi non possiamo che ricordare a tutti, e innanzi tutto a noi stessi, che un altro caposaldo della tradizione operaia è la lotta. Sappiamo come bloccare i porti, possiamo farlo ancora».
      Intanto, questa sera sotto la prefettura di Genova, vari gruppi pacifisti hanno organizzato un presidio dalle 19 a mezzanotte di solidarietà dal titolo evocativo «e noi dormiamo sotto la prefettura», per unirsi alla protesta del parroco di Lampedusa che da giorni dorme sul sagrato della sua chiesa per chiedere lo sbarco dei migranti. Anche la Cgil ha annunciato la propria adesione.

      https://genova.repubblica.it/cronaca/2019/06/26/news/i_portuali_di_genova_pronti_ad_accogliere_la_sea_watch-229702593

      #Genova #Gênes

    • Sea Watch, #Orlando annuncia la cittadinanza onoraria allo staff della ong

      Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha deciso di voler consegnare la cittadinanza onoraria alla ciurma della Sea Watch 3, bloccata davanti al porto di Lampedusa con una quarantina di migranti a bordo. Il Ministro Salvini non ha autorizzato lo sbarco dei migranti e, difficilmente, accoglierà la richiesta della comandante che ieri sera ha deciso di puntare verso il porto sicuro di Lampedusa.

      Ora Orlando, da sempre impegnato nella sua campagna pro-migranti e volta all’accoglienza, decide di fare dello staff della Sea Watch dei palermitani onorari “per l’impegno mostrato – dice il primo cittadino – di fronte al drammatico ed inarrestabile flusso migratorio, contribuendo in modo determinante al salvataggio di vite umane.

      “Per rendere omaggio a cittadini e cittadine che negli ultimi mesi sono protagonisti di una operazione di umanità e professionalità; un atto di amore e coraggio che giorno dopo giorno ha salvato e salva vite umane, ridato speranze e costruito un ponte di solidarietà nel mare Mediterraneo, anche contro logiche, politiche e leggi che poco hanno di umano e civile.” Con queste parole, il Sindaco Leoluca Orlando ha annunciato di voler concedere all’equipaggio e allo staff della nave Sea-Watch la cittadinanza onoraria della città di Palermo, dopo quella concessa, con analoga motivazione, alla Guardia Costiera (ottobre 2015) e a Medici senza Frontiere (settembre 2015).

      http://www.mondopalermo.it/news/sea-watch-orlando-annuncia-la-cittadinanza-onoraria-allo-staff-della-on
      #Palerme #Palermo

    • La capitaine du Sea-Watch arrêtée après avoir accosté de force à Lampedusa

      Le Sea-Watch a accosté de force dans la nuit dans le port de Lampedusa, et sa jeune capitaine Carola Rackete a été arrêtée, avant que ne débarquent 40 migrants bloqués à bord depuis 17 jours.

      « Nous attendons encore et toujours une solution qui ne se dessine malheureusement pas. C’est pourquoi j’ai maintenant moi-même décidé d’accoster dans le port », a-t-elle déclaré dans une vidéo relayée par Sea-Watch sur les réseaux sociaux.

      Mercredi, cette Allemande de 31 ans, aux commandes du navire battant pavillon néerlandais, avait forcé le blocus des eaux territoriales italiennes imposé par le ministre de l’Intérieur, Matteo Salvini (extrême droite). Mais le navire avait dû s’arrêter à un mille en face du petit port de Lampedusa et restait bloqué là depuis.

      Carola Rackete a finalement choisi de forcer le passage au beau milieu de la nuit, malgré la vedette de police chargée de l’en empêcher. « Nous nous sommes mis devant pour l’empêcher d’entrer dans le port mais rien (...). Si on était restés sur le chemin, (le Sea-Watch) aurait détruit la vedette », a commenté devant des caméras un policier qui se trouvait à bord.

      Un peu avant 3H00 (1H00 GMT), la police est montée à bord pour arrêter la jeune femme pour résistance ou violence envers un navire de guerre. La capitaine, qui risque jusqu’à 10 ans de prison selon les médias italiens, est descendue du navire encadré par des agents, sans menottes, avant d’être emmenée en voiture.

      Sur le quai, des habitants et militants sont venus acclamer l’arrivée du navire, tandis que d’autres ont applaudi l’arrestation aux cris de « Les menottes ! », « Honte ! », « Va-t’en ! »

      Si les pêcheurs et les habitants de Lampedusa ont été en première ligne de l’accueil des migrants depuis près de 30 ans, la Ligue de Matteo Salvini a obtenu 45% des voix aux élections européennes de mai sur l’île.

      « Nous sommes fiers de notre capitaine », a écrit sur les réseaux sociaux le président de l’ONG allemande, Johannes Bayer. « Elle a exactement fait ce qu’il fallait, elle a insisté sur le droit de la mer et a mis les gens en sécurité ».

      – Cinq pays d’accueil -

      Le parquet d’Agrigente (Sicile) avait ouvert une enquête jeudi contre Carola Rackete pour aide à l’immigration clandestine et non-respect de l’ordre d’un navire militaire italien de ne pas pénétrer dans les eaux territoriales italiennes.

      Les migrants ont pu débarquer peu après 5H30 (3H30 GMT), certains tout sourire, d’autres en larmes, alors que le jour se levait, pour être conduits dans le centre d’accueil de l’île.

      Malgré la fermeté affichée par M. Salvini, ce centre n’est jamais vide : Lampedusa a vu débarquer plus de 200 migrants pendant les deux semaines où le Sea-Watch est resté bloqué au large de l’île. Et plusieurs embarcations de fortune ont été signalées dans la nuit au large.

      Juste après, le Sea-Watch, conduit par les garde-côtes, est reparti pour s’ancrer au large.

      Les migrants du Sea-Watch avaient été secourus dans les eaux internationales au large de la Libye. Au fur et à mesure, 13 d’entre eux avaient été évacués vers Lampedusa, essentiellement pour des raisons médicales. Pour les 40 restants, c’était encore l’incertitude.

      Vendredi après-midi, le ministre italien des Affaires étrangères, Enzo Moavero, avait annoncé que cinq pays européens (France, Allemagne, Portugal, Luxembourg et Finlande) étaient disposés à les accueillir.

      La Commission européenne exigeait que les migrants soient à terre avant d’organiser la répartition, tandis que M. Salvini refusait de les laisser descendre avant d’avoir l’assurance qu’ils seront immédiatement transférés aux Pays-Bas, en Allemagne ou dans d’autres pays européens.

      Dans le même temps, le navire de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms patrouillait au large de la Libye, malgré la menace d’une amende de 200.000 à 900.000 euros brandie par les autorités espagnoles.

      « Si je dois payer par la prison ou par une amende le fait de sauver les vies de quelques personnes, je le ferai », a assuré Oscar Camps, fondateur de l’ONG.

      https://information.tv5monde.com/info/la-capitaine-du-sea-watch-arretee-apres-avoir-accoste-de-force

    • Sea Watch, migranti sbarcati a Lampedusa. Arrestata la comandante

      Sono sbarcati a Lampedusa i 40 migrati a bordo della Sea Watch, che era ferma da tre giorni al largo di Lampedusa. Prima di sbarcare dalla nave i migranti hanno salutato e abbracciato i volontari della ong che in queste due settimane li hanno assistiti. Gli uomini della Guardia di Finanza e della Polizia che stanno ponendo sotto sequestro l’imbarcazione.

      La capitana della nave Sea Watch, Carola Rackete, è ora in stato di arresto per violazione dell’Articolo 1100 del codice della navigazione: resistenza o violenza contro nave da guerra, un reato che prevede una pena dai tre ai 10 anni di reclusione.

      «Comportamento criminale della comandante della Sea Watch, che ha messo a rischio la vita degli agenti della Guardia di Finanza. Ha fatto tutto questo con dei parlamentari a bordo tra cui l’ex ministro dei trasporti: incredibile», ha commentato il ministro dell’Interno Matteo Salvini.

      Carola Rackete andrà agli arresti domiciliari. E’ stato deciso dalla Procura di Agrigento che la accusa di resistenza e violenza a nave da guerra e tentato naufragio. La comandante della Sea Watch, arrestata all’alba dopo aver violato l’alt della Guardia di Finanza, è entrata nel porto di Lampedusa speronando una motovedetta delle Fiamme Gialle nel tentativo di arrivare in banchina.

      Il comandante della tenenza di Lampedusa delle Fiamme Gialle, luogotenente Antonino Gianno, ha prelevato personalmente la comandante a bordo della Sea Watch con l’ausilio di altri 4 finanzieri, notificandole in caserma il verbale di arresto. La comandante della Sea Watch potrebbe adesso essere trasferita nel carcere di Agrigento in attesa delle decisioni della Procura di Agrigento che coordina l’inchiesta.

      https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/06/28/sea-watch-indagata-la-capitana.-nuovo-affondo-di-salvini-contro-lolanda-comport

    • Carola arrestata sulla banchina di Lampedusa sembra essere il contentino per un ministro che gridava « non scenderanno neanche a Natale » che ha dovuto consumare la sua becera vendetta nelle forme plateali dello spettacolo della violenza.

      4 paesi che accoglieranno 40 persone dopo settimane di trattative (e la chiamano solidarietà)

      In queste ore, in queste settimane, si é consumata l’ennesima pagina vergognosa della storia di questo paese, del diritto e della dignità umana.


      https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10219241344492453&set=a.1478670974789&type=3&theater

    • Sea Watch, la capitana Rackete andrà ai domiciliari: rischia fino a 10 anni di carcere – Il video dell’arresto

      La nave non aveva ricevuto l’autorizzazione ad attraccare. Durante le manovre, una motovedetta della gdf è rimasta schiacciata tra l’imbarcazione e la banchina. La capitana è accusata di resistenza e violenza a nave da guerra e tentato naufragio

      https://www.open.online/2019/06/29/la-sea-watch-e-entrata-nel-porto-di-lampedusa-il-video

    • Carola Rackete, « l’emmerdeuse » qui veut sauver les migrants

      Héroïne pour les défenseurs des migrants, « emmerdeuse » pour le ministre italien Matteo Salvini, Carola Rackete, jeune capitaine venue du froid, a bravé mercredi l’interdit et la prison pour faire débarquer les 42 migrants qu’elle avait secourus il y a deux semaines.


      https://www.levif.be/actualite/europe/carola-rackete-l-emmerdeuse-qui-veut-sauver-les-migrants/article-normal-1159337.html?cookie_check=1561628580

    • E vi segnalo che per poter arrestare #CarolaRackete hanno dovuto rispolverare un articolo del Codice della Navigazione promulgato nel 1942 (o nel XX come piaceva e ancora piace ad alcuni...) dal «Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia».

      https://twitter.com/kkvignarca/status/1144858140032339968?s=19

      Il s’agit de l’article 1100:
      Art. 1100 Codice Navigazione - Resistenza o violenza contro nave da guerra

      Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla metà.

      http://trovalegge.it/codice-navigazione/art-1100-codice-navigazione-resistenza-o-violenza-contro-nave-da-guerra

    • Carola Rackete, la capitaine du Sea-Watch arrêtée, reçoit des milliers de dons | Le Huffington Post
      https://www.huffingtonpost.fr/entry/carola-rackete-la-capitaine-du-sea-watch-recoit-des-milliers-de-dons-

      Cette semaine des milliers de dons ont afflué pour la soutenir au point de faire sauter le site de Sea-Watch mercredi et une cagnotte sur Facebook lancée il y a quatre jours pour payer les frais de justice de l’ONG et de “Capitaine Carola” a déjà récolté près de 370.000 euros. Un record pour l’ONG allemande qui vient au secours des migrants en mer.

    • Pas de la « violence », mais de la « désobéissance », dit la capitaine du Sea-Watch | Europe
      https://www.lapresse.ca/international/europe/201906/30/01-5232194-pas-de-la-violence-mais-de-la-desobeissance-dit-la-capitaine-du-

      « Je n’avais pas le droit d’obéir, on me demandait de les ramener (les migrants) en Libye. Mais du point de vue de la loi, ce sont des personnes qui fuient un pays en guerre, la loi interdit qu’on puisse les ramener là-bas ».

    • Lampedusa, la contestazione a Carola: «Resistenza contro una nave da guerra». Cosa rischia

      De Falco, l’ex comandante della Guardia Costiera, solleva il caso: «Contestazione sbagliata». Quindici anni fa, un caso simile, concluso poi con un’assoluzione.

      Alla comandante Carola Rackete, arrestata in flagranza e adesso agli arresti domiciliari, viene contestato di aver violato l’articolo 1100 del codice della navigazione: «Resistenza o violenza contro una nave da guerra». Così recita: «Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla metà».

      Una contestazione che ha già aperto un dibattito. Per Gregorio De Falco, ex comandante della Guardia Costiera e attualmente senatore del Gruppo Misto, è un’accusa che non regge: «L’arresto di Carola Rackete è stato fatto per non essersi fermata all’alt impartito da una nave da guerra, ma la nave da guerra è altra cosa, è una nave militare che mostra i segni della nave militare e che è comandata da un ufficiale di Marina, cosa che non è il personale della Guardia di finanza. Non ci sono gli estremi». Per De Falco, «la Sea Watch è un’ambulanza, non è tenuta a fermarsi, è un natante con a bordo un’emergenza. La nave militare avrebbe dovuto anzi scortarla a terra».

      La comandante era già indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per un altro reato previsto dal codice della navigazione: il 1099, «Rifiuto di obbedienza a nave da guerra». Questa la contestazione: «Il comandante della nave, che nei casi previsti nell’articolo 200 non obbedisce all’ordine di una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione fino a due anni». Un ulteriore riferimento a una «nave da guerra».

      C’è poi un’altra questione giuridica. «Si può applicare una norma del nostro codice della navigazione a una nave straniera in assenza di espressa indicazione?», si chiede l’avvocato Giorgio Bisagna. Il legale, impegnato sul fronte della tutela dei migranti, dice: «Quando una norma si può applicare a una nave straniera, viene espressamente detto. E in questo caso, non ci sono specificazioni in tal senso».

      Bisagna ricorda un caso di quindici anni fa. La nave Cap Anamur forzò il blocco navale imposto dal governo Berlusconi, per impedire lo sbarco a Porto Empedocle dei naufraghi salvati. Ci furono 15 giorni di stallo in acque internazionali. Poi, il comandante e il presidente della Ong Cap Anamur furono arrestati e la nave sequestrata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. «Dopo 5 anni - dice l’avvocato Bisagna - il tribunale di Agrigento ha assolto gli imputati per aver agito in presenza di una causa di giustificazione: avevano adempiuto un dovere, quello di salvare delle persone in mare».


      https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/06/29/news/lampedusa_a_carola_contestano_la_resistenza_contro_una_nave_da_gu

    • Captain defends her decision to force rescue boat into Italian port

      Carola Rackete says act of ‘disobedience’ in Lampedusa was necessary to avert tragedy.

      An NGO rescue boat captain who has risked jail time after forcing her way into Lampedusa port in Italy with 40 migrants onboard has defended her act of “disobedience”, saying it was necessary to avert a tragedy.

      “It wasn’t an act of violence, but only one of disobedience,” the Sea-Watch 3 skipper, Carola Rackete, told the Italian daily Corriere della Sera in an interview published on Sunday, as donations poured in for her legal defence.

      Rackete, 31, from Germany, is accused of putting a military speedboat and the safety of its occupants at risk in the incident on Saturday.
      Rescue ship captain arrested for breaking Italian blockade
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      “The situation was desperate,” she said. “My goal was only to bring exhausted and desperate people to shore. My intention was not to put anyone in danger. I already apologised, and I reiterate my apology.”

      The Sea-Watch 3 had rescued the migrants off the coast of Libya 17 days earlier. They were finally allowed to disembark at Lampedusa and taken to a reception centre as they prepared to travel to either France, whose interior ministry said it would take in 10 of them, or to Germany, Finland, Luxembourg or Portugal.

      The Italian coastguard seized the rescue boat, anchoring it just off the coast.

      Rackete, who was placed under house arrest, is expected to appear before a judge early this week in the Sicilian town of Agrigento to answer charges of abetting illegal immigration and forcing her way past a military vessel that tried to block the Sea-Watch 3. The latter crime is punishable by three to 10 years in jail.

      Her arrest prompted a fundraising appeal launched by two prominent German TV stars, which had raised more than €350,000 (£314,000) by midday on Sunday.

      The comedian Jan Böhmermann, who launched the campaign with the TV presenter Klaas Heufer-Umlauf, said in a video posted on YouTube: “We are convinced that someone who saves lives is not a criminal. Anyone who thinks otherwise is simply wrong.”

      Rackete has become a leftwing hero in Italy for challenging the “closed-ports” policy of the far-right interior minister, Matteo Salvini.

      “I didn’t have the right to obey,” Rackete said. “They were asking me to take them back to Libya. From a legal standpoint, these were people fleeing a country at war [and] the law bars you from taking them back there.”

      The head of the NGO that operates the ship, Johannes Bayer, said Sea-Watch was “proud of our captain”.

      Böhmermann accused Salvini of “abusing rescuers at the Mediterranean Sea in order to turn the mood against refugees, against EU, and for an inhumane politics”.

      Salvini welcomed Rackete’s arrest. “Mission accomplished,” he tweeted. “Law-breaking captain arrested. Pirate ship seized, maximum fine for foreign NGO.”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/30/italy-refugee-rescue-boat-captain-carola-rackete-defends-decision

    • Sea Watch, #De_Falco ex comandante della Guardia Costiera e attualmente senatore: «Carola Rackete dovrà essere liberata, non era tenuta a fermarsi»

      Sull’arresto della comandante della Sea Watch interviene #Gregorio_De_Falco, ex comandante della Guardia Costiera e attualmente senatore del Gruppo Misto.

      «L’arresto di Carola Rackete è stato fatto per non essersi fermata all’alt impartito da una nave da guerra ma la nave da guerra è altra cosa, è una nave militare che mostra i segni della nave militare e che è comandata da un ufficiale di Marina, cosa che non è il personale della Guardia di Finanza. Non ci sono gli estremi. La Sea Watch è un’ambulanza, non è tenuta a fermarsi, è un natante con a bordo un’emergenza. La nave militare avrebbe dovuto anzi scortarla a terra».

      «Sea Watch non avrebbe potuto andare in altri porti, il più vicino è Lampedusa e non aveva alcun titolo a chiedere ad altri, sebbene lo abbia fatto. Ha atteso tutto quello che poteva attendere - continua De Falco - finché non sono arrivati allo stremo; a quel punto il comandante ha detto basta ed è entrata per senso di responsabilità. È perverso un ordinamento che metta un uomo, o una donna in questo caso, di fronte a un dramma di questo tipo. Quella nave aveva un’emergenza e aspettava da troppo».

      https://www.diritti-umani.org/2019/06/sea-watch-de-falco-ex-comandante-della.html

    • La vergogna sul molo di Lampedusa

      Da dove vengono (e quale scelta ci impongono) le minacce sessiste urlate alla capitana Carola dai contestatori che l’hanno insultata mentre scendeva a terra.

      GLI INSULTI urlati sulla banchina a Lampedusa a Carola Rackete sono rimbalzati contro il suo volto sereno, non hanno scalfito quella compostezza data dalla consapevolezza di aver messo il proprio corpo a disposizione della propria responsabilità, cosa non scontata. Non scontata, in un Paese in cui il ministro dell’Interno, spaventato da un’eventuale condanna, si è sottratto al processo per sequestro di persona nel caso Diciotti facendosi salvare dalla sua maggioranza.

      Ma torniamo agli insulti. Sono stati abbastanza prevedibili. Nella parte non censurata di video che è stata postata, leghisti e grillini lampedusani urlano contro Carola: «Spero che ti violentino ’sti negri, a quattro a quattro te lo devono infilare». E ancora: «Ti piace il cazzo negro». La dinamica è tipica: da un lato il sesso visto come aberrazione, insulto, porcheria, vizio, e dall’altro il senso di inferiorità che qualcuno ha in questo campo verso l’africano.

      Per quanto possa sbalordire, uno dei motivi principali del razzismo verso gli immigrati africani è proprio la minaccia sessuale: è stato così negli Stati Uniti ed è così in Europa. Tutta la retorica razzista di Salvini sugli immigrati furbi invasori perché arrivano con corpi atletici e non sono scheletri affamati, nasconde un evidente complesso di inferiorità. Il «ti devono violentare» viene dalla bocca degli stessi che blaterano di violenza carnale ogni volta che discutono di immigrazione ciarlando con crassa ignoranza di mafia nigeriana, della quale non sanno nulla.

      Nel video spunta a un certo punto una voce tenue che dice: «Piccio’, non parlate accussì». È una donna, e si sta vergognando. È interessante capire come il leader di questi balordi abbia intenzione di commentare l’accaduto e che provvedimenti intenda prendere nei loro confronti. Chissà se questi miserabili sono coscienti che i leghisti del Nord usavano gli stessi insulti contro le persone che cercavano di difendere i meridionali. La cantilena allora era: «Li difendi perché ti piace scopare con i terroni». Che rabbia deve generare in un leghista una donna giovane in grado di fare una scelta così forte, in grado di gestire una tale situazione con nervi saldi e con dichiarazioni piene di responsabilità, una donna in grado di vivere la propria vita con autonomia, che non viene definita in quanto fidanzata di, moglie di, amante di. Ecco, una donna così per i leghisti deve essere insopportabile anche solo da immaginare. Ed è naturale che insultare una donna attraverso il sesso sia la cosa più scontata e facile per vomitare la propria frustrazione.

      Ma c’è una seconda parte degli insulti che raccontano bene il Paese. A urlare «le manette» e «venduta» è l’Italia forcaiola che conosco benissimo; l’Italia che sputa su Enzo Tortora perché se non puoi essere Enzo Tortora è un bene che lui cada e ti faccia sentire meno mediocre; l’Italia che lancia le monetine su Craxi avendolo temuto e blandito fino a un minuto prima (poco importa in queste dinamiche l’innocenza o la colpevolezza, ma conta il grado di frustrazione e di meschinità); che parteggia a favore o contro Raffaele Sollecito e Amanda Knox; che esulta per ogni arresto, per ogni avviso di garanzia, come se facesse sentire meno tollerabile la propria sofferenza.

      Se la giustizia che pretende, tempo, pacatezza e responsabilità è impossibile, allora meglio tifare per le disgrazie altrui, cosa che non mitigherà le proprie ma almeno servirà a sfogarsi. Io sono cresciuto in un Sud Italia in cui, quando veniva arrestato un boss, la gente applaudiva il criminale e insultava i carabinieri. Guardate su YouTube il video di Antonino Monteleone che ha ripreso l’arresto del boss Giovanni Tegano a Reggio Calabria: c’era una fitta folla fuori dalla questura ad inneggiarlo. Non solo parenti ma anche semplici concittadini grati per la sua strategia contraria agli atti sanguinari. Quando venne arrestato Cosimo di Lauro a Secondigliano, centinaia di persone lo applaudirono e difesero. In fondo è così, è il prezzo del sopravvivere: piegarsi al potente, temere la sua vendetta, blandirlo, sperare in una sua parola per poter cambiare la propria vita. Al contrario, è facile colpire Carola, non ti succede niente se lo fai, stai sputando addosso a una donna che ha solo il suo corpo e la sua dignità come simbolo e difesa. Non ti toglierà il lavoro, non verrà a minacciarti, non c’è nessun favore che potrai chiederle.

      Carola non poteva che agire in questo modo: sbarcare a Malta, in Grecia o in Spagna significava compiere un atto fuorilegge, perché Lampedusa era molto più vicina e ciò rispondeva all’esigenza di mettere in sicurezza l’equipaggio. Se avesse deciso di andare verso altri porti, avrebbe messo in pericolo le persone salvate in mare violando la legge del mare. Urlano «venduta», ma Carola ha scelto di impegnarsi mettendo le sue competenze al servizio di un “ambulanza del mare” ed è una donna che prende onestamente il suo stipendio, più vicino a un rimborso spese che a un lauto guadagno.

      È incredibile che tutto questo venga detto da un partito come la Lega, che non ha mai spiegato perché è andata a trattare con un’impresa di Stato russa per farsi finanziare la campagna elettorale; in un Paese dove il ministro dell’Interno finanziava post razzisti su Facebook con 5000 euro (500 quelli in cui annuncia i suoi comizi). In un Paese così, si dà addosso a una persona che salva con il proprio impegno dei disperati dall’agonia e si difende, invece, chi non mostra la minima trasparenza e chi ha alleanze torbide e partner politici criminali.

      Il meccanismo è sempre lo stesso: se sei un bandito non puoi convincere gli altri che tu non lo sia, puoi però cercare di far credere che tutti gli altri siano peggio di te. Ecco il gioco sporco di Matteo Salvini e dei leghisti con Carola. Ascoltate quegli insulti perché lì c’è tutto il cuore marcio del nostro Paese. Bisogna capire da che parte stare. Con chi volete stare? Con chi chiede manette per chi ha salvato vite? Con chi augura a una donna una violenza carnale? Da che parte volete stare? Con questi insultatori o con chi considera la libertà e la solidarietà l’unica dimensione in cui vale la pena di vivere?

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/30/news/la_vergogna_sul_molo_di_lampedusa-229957468
      #insultes #sexisme

    • The White Man’s Burden, „wir schaffen das“ and Carola Rackete

      ‘The White Man’s Burden’ is a poem from 1899 by Rudyard Kipling about the Philippine-American War of the colonial occupation of these islands. In this poem, it is portrayed what the task of the white man is. It gives green light for colonialism and at the same time puts the other non-white only in the weak rank that needs protection and needs to be led to light.

      This happened many years ago, but what is happening now? We all remember what happened in 2015 and the famous saying ‘wir schaffen das.’

      What we can? We can save them, we can give them to eat and drink and so on …

      But who are we? We are the European German society in particular!

      Both, in the example story from 1899 and 2015 the white person is the one in the position to safe the ‘non -white one.’

      But at end, there will stay one hero only, ‘the white one.’ The non-white people have to be happy to have that nice victim position in the story of 1899 to be a slave or in 2015 be the victim that needs help. And even if s*he puts himself in danger to come to the EU, the hero is the one who helps him, and he needs to be integrated in the society then maybe he will get chance to be in the media as the perfect example of integration. That’s what the white one needs!

      How many migrants say in front of the sea when they get on the boat with others migrants ‘wir schaffen das’? I’m shure many of them, and some of them do it and they are here in Europe. But the only famous one is the ‘wir schaffen das’ by white Angela Merkel .

      With full respect of what Carola Rackete has done, I’m asking structures like media and political groups around the topic of migrants: Do we really need white hero again?

      And why are we reducing the right of the people to freedom of Movement to ‘Saving live is not a crime.’

      Why we are playing with the system of the colonial game? Why do we try to victimize the migrants and only give them the chance to have a new white hero that would save them and do not talk about all the migrants who die trying to reach the EU? Why are we not talking abut the people who die in the sea and were the reason why Carola Rackete went there?!

      Solidarity is important but not for the cost of victimization of migrants and creating new colonial image of the ‘white hero’!

      Let us not forget abut the thousands of people who die there and say loud: the problem is the system and the politicians!

      Instead of ‘Saving live is not crime’ we need to say loud: politicians who let people die in the sea are criminals!

      Instead of saying ‘free Carola’ let’s speak out the names and tell the story of the people who died in the sea. They are the topic here!

      Don’t make a new white hero again, but remember why Carola went to the sea.

      Adam Baher

      https://ffm-online.org/the-white-mans-burden-wir-schaffen-das-and-carola-rackete

    • Méditerranée : face à la guerre aux migrant·es, la solidarité ne cèdera pas !

      Après 17 jours d’attente en mer, des attaques outrageantes et répétées dans les médias de la part du ministre de l’Intérieur italien Matteo Salvini et le silence assourdissant des États européens, Carola Rackete, capitaine du Sea-Watch 3, a décidé, dans la nuit du 28 juin 2019, de braver l’interdiction d’accoster dans le port de l’île de Lampedusa afin de sauver la vie de 40 personnes. En entrant dans le port samedi, elle a dû manœuvrer pour éviter un navire de la marine italienne qui lui barrait la route. A leur arrivée, les personnes exilées ont été débarquées et placées dans le hotspot de l’île. La capitaine, arrêtée puis assignée à résidence, risque d’être inculpée pour « aide à l’entrée irrégulière » et « résistance ou violence contre navire de guerre ». Elle encourt jusqu’à 15 ans de réclusion et 50 000 euros d’amende.

      La théâtralisation et la dramatisation de cette opération de sauvetage, orchestrées par Matteo Salvini, lui permettent d’entériner en pratique son décret-loi « sécurité bis », entré en vigueur le 15 juin 2019 avant même son passage devant le parlement italien. Ce décret vise à renforcer la criminalisation de la migration et des solidarités qui a été croissante depuis 2016, en sanctionnant lourdement les capitaines de bateau et les armateurs qui contreviennent à l’interdiction d’entrée dans les eaux territoriales italiennes. Cette interdiction est contraire aux conventions internationales ratifiées par l’Italie, qui prévoient l’obligation de débarquement en lieu sûr des personnes secourues en mer.

      Face à cette situation honteuse, quelle réponse de l’Europe ? Un silence assourdissant pendant plusieurs jours, puis l’engagement de la France, l’Allemagne, le Portugal, le Luxembourg et la Finlande de se répartir les personnes débarquées. Alors que l’UE compte 500 millions d’habitant·es, il faut aujourd’hui « d’intenses échanges diplomatiques » pour accueillir 40 personnes !

      Parce que les États européens refusent de prendre leurs responsabilités, le taux de mortalité en Méditerranée augmente et les violences s’accroissent contre les personnes bloquées de l’autre côté de la Méditerranée, dans les pays auxquels l’UE sous-traite sa politique migratoire, dont la Libye en guerre. Si les ONG opérant le secours en mer sont aujourd’hui la cible de telles attaques, c’est aussi parce qu’elles sont un regard citoyen aux frontières de l’Europe qui contrarie cette politique d’externalisation.

      Aujourd’hui, ce sont des citoyennes et des citoyens qui se mobilisent pour dire non à ces politiques mortifères et venir en soutien aux personnes tout au long des parcours migratoires. La violence des politiques menées depuis plus de 30 ans en Europe nourrit les idées racistes et sexistes, comme en témoigne le déchainement d’insultes à caractère sexuel lancées contre la capitaine Rackete par des responsables politiques et une partie de la population.

      La riposte s’organise à Lampedusa, à Rome et au-delà : des député·es de l’opposition sont resté·es à bord du Sea-Watch 3 jusqu’à ce que tout le monde ait pu débarquer, des habitant·es de Lampedusa ont dormi plus d’une semaine sur le parvis de l’église aux côtés de son prêtre en demandant que les exilé·es soient débarqué·es, des appels à mobilisations ont été lancés dans plusieurs villes italiennes. Ces mobilisations ne s’arrêtent pas à l’Italie, c’est du monde entier que vient le soutien !

      De 17 pays du Moyen Orient, d’Afrique et d’Europe, le réseau Migreurop affirme sa solidarité avec les personnes exilées débarquées, avec l’ensemble de l’équipage du Sea-Watch 3, ainsi qu’avec toutes les autres personnes qui ont été criminalisées pour leurs gestes de solidarité ces dernières années, qu’elles soient des membres d’ONG ou des pêcheurs des rives sud de la Méditerranée. Nous savons que si la solidarité est violemment attaquée aujourd’hui, c’est parce qu’elle s’érige en dernier rempart face à la guerre aux migrant·es que mènent les États. Le courage de Carola Rackete et tant d’autres acteurs moins médiatisés montre que la solidarité n’est pas prête d’être étouffée.

      Liberté de circulation pour toutes et tous !

      http://www.migreurop.org/article2929.html

    • Accostage du « Sea Watch III » à Lampedusa : Carola Rackete, arrêtée mais célébrée

      La capitaine du « Sea Watch III », navire transportant une quarantaine de migrants, a été arrêtée samedi après avoir accosté de force à Lampedusa. Elle risque jusqu’à dix ans de prison.

      Quelques jours avant d’accoster à Lampedusa, elle avait dit au Spiegel : « Si nous ne sommes pas acquittés par un tribunal, nous le serons dans les livres d’histoire. » La capitaine allemande du Sea Watch III, navire affrété par l’ONG Sea Watch qui vient en aide aux migrants en Méditerranée, Carola Rackete, a été arrêtée dans la nuit de vendredi à samedi. Les autorités italiennes lui reprochent notamment d’avoir tenté une manœuvre dangereuse contre la vedette des douanes qui voulait l’empêcher d’accoster. Elle risque jusqu’à dix ans de prison pour « résistance ou violence envers un navire de guerre ». « Ce n’était pas un acte de violence, seulement de désobéissance, a expliqué Carola Rackete dimanche au Corriere della Sera. Mon objectif était seulement d’amener à terre des personnes épuisées et désespérées. J’avais peur. » « Après dix-sept jours en mer et soixante heures en face du port, tout le monde était épuisé, explique à Libération Chris Grodotzki de Sea Watch. L’équipage se relayait vingt-quatre heures sur vingt-quatre afin de surveiller les passagers pour les empêcher de se suicider. »

      Carola Rackete a débarqué sur l’île italienne sous un mélange d’applaudissements et d’éructations haineuses : « Les menottes ! », « Honte ! », « J’espère que tu vas te faire violer par ces nègres ». Le ministre de l’Intérieur italien, Matteo Salvini, s’est réjoui de l’arrestation. « Prison pour ceux qui ont risqué de tuer des militaires italiens, mise sous séquestre du navire pirate, maxi-amende aux ONG, éloignement de tous les immigrés à bord, désolé pour les "complices" de gauche. Justice est faite, on ne fera pas marche arrière ! »

      Si l’extrême droite italienne la qualifie de « criminelle », Carola Rackete suscite l’admiration en Allemagne. Celle que le Tagespiegel surnomme « l’Antigone de Kiel » est née tout près de ce port en bordure de la mer Baltique il y a 31 ans. « J’ai la peau blanche, j’ai grandi dans un pays riche, j’ai le bon passeport, j’ai pu faire trois universités différentes et j’ai fini mes études à 23 ans. Je vois comme une obligation morale d’aider les gens qui n’ont pas bénéficié des mêmes conditions que moi », avait-elle expliqué à La Repubblica. Avant de rejoindre Sea Watch il y a quatre ans, elle a participé à des expéditions pour l’Institut Alfred-Wegener pour la recherche polaire et marine, et pour Greenpeace. Elle effectue des sauvetages en mer depuis 2016.
      « Dans toute l’Europe elle est devenue un symbole »

      Ses proches la décrivent comme une femme calme et opiniâtre. « Carola […] sait toujours ce qu’elle fait et c’est une femme forte », a dit son père, Ekkehart Rackete, au Corriere della Sera. Chris Grodotzki de Sea Watch dépeint une personne « directe et pragmatique ». Dans une vidéo diffusée par l’ONG vendredi, à la question « Matteo Salvini a fait de vous sa principale ennemie, que répondez-vous ? » elle rétorque, impériale : « Pour être honnête, je n’ai pas eu le temps de lire les commentaires. Il y a 42 personnes à bord qui ont besoin qu’on s’occupe d’elles. » Car si les médias ont volontiers mis en scène le duel entre « la capitaine » et « Il Capitano » – surnom de Salvini en Italie –, elle ne souhaite pas incarner seule la résistance au ministre de l’Intérieur italien.

      De Rome à Berlin, elle reçoit un large soutien de l’opinion. « Dans toute l’Europe elle est devenue un symbole. Nous n’avons jamais reçu autant de dons », dit Chris Grodotzki, indiquant qu’en Italie une cagnotte avait recueilli dimanche près de 400 000 euros. En Allemagne, deux stars de la télévision, Jan Böhmermann et Klaas Heufer-Umlauf, ont également lancé une cagnotte samedi, avec ces mots : « Soutenons ensemble la capitaine emprisonnée Carola Rackete […] avec ce que nous avons par-dessus tout en Allemagne, l’argent. » 500 000 euros ont été récoltés en moins de vingt-quatre heures. Du président de l’Église évangélique, Heinrich Bedford-Strohm, au PDG de Siemens, Joe Kaeser, de nombreuses voix se sont élevées dans le week-end pour prendre sa défense.
      Des politiques allemands timorés

      Les politiques allemands ont donc fini par réagir. Samedi, le ministre SPD des Affaires étrangères, Heiko Maas, déclarait : « Sauver des vies est un devoir humanitaire. Le sauvetage en mer ne devrait pas être criminalisé. La justice italienne doit désormais clarifier rapidement ces accusations ». « Une phrase typique de diplomate allemand timoré, commente Chris Grodotzki de Sea Watch. Nous avons demandé un millier de fois à Heiko Maas de prendre position sur le sauvetage en mer, sans succès jusqu’ici. » Dimanche, le président allemand, Frank-Walter Steinmeier, affirmait dans une interview télévisée : « Celui qui sauve des vies ne peut pas être un criminel. »

      Les 40 migrants du Sea Watch III ont donc fini par débarquer à Lampedusa. Ils devraient être répartis entre cinq pays : la France, l’Allemagne, le Portugal, le Luxembourg et la Finlande. Ceux-là ne seront pas morts en Méditerranée, où 17 900 personnes ont péri entre 2014 et 2018 selon un récent rapport de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), et où demeurent toujours engloutis les restes de 12 000 personnes.

      https://www.liberation.fr/planete/2019/06/30/accostage-du-sea-watch-iii-a-lampedusa-carola-rackete-arretee-mais-celebr

    • L’ONORE DI DISOBBEDIRE – di Gad Lerner

      Di fronte a sé, stavolta, Salvini si ritrova un osso duro: Carola Rackete
      Vien da chiedersi: ma cosa penserà di Salvini la madre di Salvini? Quando, di fronte a quello che, comunque la si pensi, rimane un dramma umano, il suo Matteo scrive: «Non sbarca nessuno, mi sono rotto le palle. Lo sappia quella sbruffoncella». Esibendo l’ennesimo riferimento genitale viriloide in sfregio alla Capitana della Sea-Watch 3, Carola Rackete, lei sì disposta a rischiare per davvero, una giovane donna che lo ridimensiona a Capitano piccolo piccolo. Sbruffoncella? Non abbiamo piuttosto a che fare con un ministro sbruffone da osteria?
      Come nei videogiochi con cui egli si diletta nel cuore della notte, il responsabile dell’ordine pubblico scimmiotta la parodia della difesa dei confini nazionali bloccando un’imbarcazione di 50 metri con 42 naufraghi a bordo. E poi minaccia di erigere barriere fisiche (galleggianti?) a imitazione dei suoi modelli Orbán e Trump, o al contrario (sarebbe già meglio) di smettere l’identificazione e la registrazione degli sbarcati, di modo che possano proseguire il loro viaggio in direzione Nord Europa, da dove, così facendo, non potrebbero più essere rispediti a forza in Italia. Riposto nel taschino il rosario d’ordinanza, Salvini chiede «rispetto ai preti» e sfotte l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, colpevole di aver offerto l’ospitalità ai 42 naufraghi; mandandogli a dire che usi le sue risorse per 42 poveri italiani perché tanto quelli lì non sbarcheranno neanche a Natale. Sì, viene da chiedersi, senza volerle mancare di rispetto, cosa pensi in cuor suo la madre di Salvini di questo figlio che si compiace nell’esibizione pubblica dello scherno e della cattiveria addosso a persone che soffrono. Convinto, il ministro della propaganda, sbagliando, che chi plaude sghignazzando alle sue bravate sui social, rappresenti il comune sentire della nazione. Fa male i suoi conti.
      Anche ammettendo che i 9 milioni di voti leghisti — e sommateci pure quelli di Fratelli d’Italia e una quota dei berlusconiani — vivano come una liberazione l’indifferenza nei confronti di quei reduci dai campi di prigionia libici, ugualmente si tratta solo della minoranza arrabbiata di un Paese di 60 milioni di abitanti che resta assai migliore della raffigurazione che Salvini ne fornisce ogni sera dagli schermi televisivi. Dovrà fare i conti con un’Italia, certo, intimidita, ammutolita dall’accanimento con cui vengono liquidate le figure di riferimento che predicano l’umanitarismo e la solidarietà, un’Italia che vive con crescente disagio la spirale del turpiloquio e dell’ostentazione di cinismo.
      La fandonia secondo cui coloro che praticano il salvataggio in mare sarebbero «complici dei trafficanti di esseri umani», è un veleno sparso da anni senza una sola prova a carico delle Ong. Complici dei trafficanti di esseri umani sono i politici di ogni colore che — a partire dalla legge Bossi-Fini con cui fu interdetta ogni forma di immigrazione legale — hanno concesso alle organizzazioni criminali il monopolio sulle rotte.
      Complici dei trafficanti di esseri umani sono i governanti che hanno revocato il pattugliamento delle acque internazionali da parte della nostra Marina. Complici specialmente odiosi, quando fingono di averlo fatto per il bene dei migranti che muoiono sempre più numerosi di sete e di fame, anziché annegati, scaricati lungo le piste del Sahel e del Sahara, o schiavizzati nei campi di concentramento a custodia dei quali agiscono gli stessi trafficanti.
      Di fronte a sé, stavolta, Salvini si ritrova un osso duro: Carola Rackete. Durerà fatica a millantare che la comandante della Sea-Watch 3 sia l’ingranaggio della finanza mondialista nemica del popolo italiano, o magari un’avventuriera bolscevica. La disobbedienza civile con cui la Capitana ha deciso di sfidare il Capitano piccolo piccolo e il suo Decreto Sicurezza bis che criminalizza il soccorso in mare, è la più classica forma di omaggio alla legalità sostanziale, fondata sul rispetto delle norme internazionali sancite dal diritto del mare.
      Salvini finge di non saperlo, ma per settimane di fronte al porto tunisino di Zarzis è rimasto bloccato dalle autorità locali il rimorchiatore Maridive 61 con 75 migranti a bordo, prima che ne fosse autorizzato lo sbarco. Altro che Tunisia approdo sicuro. Davvero qualcuno crede che il problema dei migranti si risolverà rispedendoli in Africa?
      Certo, è vero che il governo gialloverde ha gioco facile a ricordare le colpevoli inadempienze degli altri paesi dell’Ue, ma da quando le inadempienze altrui possono giustificare le nostre?
      Carola Rackete è una cittadina europea che tenta coraggiosamente, a suo rischio e pericolo, di riscattare il disonore dei governanti dell’Unione. Di tutti noi. Lo ricordino i dirigenti del Pd che oggi si precipitano a Lampedusa, ma il cui ultimo governo inaugurò quell’opera di denigrazione delle Ong che ha prodotto i guasti da cui oggi muove la loro ripulsa morale. Ci sono valori inderogabili ai quali è dovuta venire a richiamarci, lì in mezzo al mare, una giovane donna capace di ascoltare la voce di chi soffre.

      http://www.bocchescucite.org/lonore-di-disobbedire-di-gad-lerner

    • Antonello Nicosia, Direttore dell’Osservatorio Internazionale dei Diritti Umani, scrive alla Gip #Alessandra_Vella e Carola Rakete

      “Due donne colte, coraggiose, determinate, sicure di sé – scrive il Dott. Nicosia – sedute l’una difronte all’altra hanno saputo dimostrare quanto la forza del buon senso abbia avuto un’ energia superiore a qualsiasi auspicato “perbenismo sociale” rivolto al rispetto di supposte leggi. Lo chiamerei, più che altro, mera e futile ipocrisia. “Una nave che soccorre migranti non può essere giudicata offensiva per la sicurezza nazionale”, queste sono le parole utilizzate dal Gip, Alessandra Vella. Già lo stesso verbo, “soccorrere”, è perspicuo, illumina sul grado di civiltà di una determinata società. L’ atto del soccorrere è intriso di buon senso, consapevolezza, buon vivere civile. Sanzionare un tal gesto a che pro? Quale messaggio viene veicolato alle nuove generazioni così facendo?

      Xenofobia, xenofobia “claustrofobica”, che soffoca l’uomo, che marcisce ed esplode nel chiuso di una mente, la cui veduta non apre orizzonti, ma li sbarra.

      Questa brutta vicenda – prosegue il Direttore dell’Osservatorio Internazionale dei Diritti Umani – mi riporta alla memoria l’azione del presidente statunitense Woodrow Wilson, il quale, alla fine della prima guerra mondiale, redige il suo programma di pace in 14 punti. Tra questi ultimi emerge e si staglia con fermezza la libertà di navigazione. Libertà intesa come agevolazione dei commerci, la cui base doveva essere la riduzione delle barriere doganali, precedentemente imposte.

      Il mare che unisce, il mare che crea libero scambio, il mare che apre un orizzonte pronto per essere solcato.

      Voglio continuare ad insegnare questa storia alle generazioni future, voglio parlare di menti grandi ed eccelse. Di uomini, donne con un coraggio così forte e grande da annullare qualsivoglia remore o paura.

      Voglio raccontare la storia di due donne, il cui valore comune di sicurezza dell’essere umano ebbe dato l’input per andare oltre una politica votata agli utilizzi di escamotage.

      Desidero una società la cui umanità emerga da ogni crepa – conclude Nicosia – avendo sempre ben fisso un unico scopo, un comune obiettivo: il rispetto dei diritti umani.”

      http://www.lavalledeitempli.net/2019/07/03/antonello-nicosia-direttore-dellosservatorio-internazionale-dei-di

  • IL «PULL FACTOR» NON ESISTE. Con #SeaWatch3 da 12 giorni al largo di #Lampedusa, terzo aggiornamento. Tra l’1 maggio e il 21 giugno dalla #Libia sono partite almeno 3.926 persone. Con Ong al largo, 62 partenze al giorno. Senza Ong, 76 partenze.

    Se ci limitiamo ai soli giorni di giugno, il dato è ancora più eclatante. Con #SeaWatch3 al largo, dalla #Libia sono partite 52 persone al giorno. Senza Ong, 94 partenze.

    Tra l’1 maggio e il 21 giugno dalla #Libia sono partite almeno 3.962 persone. 431 partite quando le Ong erano al largo delle coste libiche. 3.495 partite senza nessun assetto europeo (pubblicamente) in mare a fare ricerca e soccorso.


    NB: non è che senza Ong in mare si parta di più — sarebbe un pull factor all’incontrario. La differenza tra le partenze al giorno dalla Libia, con o senza Ong, non è significativa. Semplicemente, non c’è alcuna correlazione tra attività Ong in mare e partenze.

    https://twitter.com/emmevilla/status/1142685495526395906

    #Matteo_Villa #pull-factor #facteur_pull #appel_d'air #statistiques #chiffres #fact-checking #2019 #Méditerranée #ONG #asile #migrations #réfugiés #frontières #démonstration #déconstruction #Libye #départs

    ping @isskein

    • "Lampedusa ha superato da tempo la sua capacità d’accoglienza: sull’isola ci sono già i 42 passeggeri della Sea-Watch 3, sbarcati dopo 17 giorni di attraversata, e altri cento arrivati senza creare scalpore. Su di loro il ministro dell’interno Matteo Salvini non ha speso nemmeno una parola. Però quando la Sea-Watch 3 ha fatto rotta verso la costa italiana Salvini ha scatenato il putiferio.
      (...)
      In effetti in Italia continuano ad arrivare i migranti: mille a giugno, più di 2500 all’inizio dell’anno. Certo, sono molti meno rispetto a un paio di anni fa, ma comunque troppi rispetto alle promesse fatte da Salvini agli elettori. Come deve presentare questi numeri? C’è sempre un’invasione da combattere, o si tratta di una cifra relativamente piccola e tollerabile? Nel primo caso avrebbe fallito, nel secondo caso il tema diventerebbe secondario. E forse per Salvini la seconda opzione è perfino peggiore della prima.
      (...)
      Il leader della Lega, infatti, deve assolutamente mantenere il tema dei migranti al centro del dibattito politico italiano, è il suo terreno di battaglia preferito, soprattutto in vista di eventuali elezioni anticipate a settembre. Salvini spera che la Lega si affermi come primo partito d’Italia e aspira a diventare presidente del consiglio. Fino ad allora deve tenere in vita l’immagine dell’uomo che sa imporsi, altrimenti le sue speranze di vittoria sono perdute. Un nuovo nemico, deve aver pensato Salvini, lo farebbe uscire dal vicolo cieco. E quale miglior nemico degli ’aiutanti dei trafficanti’, come spesso ha definito le navi gestite da volontari che salvano i naufraghi in mare? Grazie a loro arriva in Italia un numero irrilevante di profughi, ma sono la controparte perfetta per la sua messinscena. Per questo ha alzato il livello dello scontro con la Sea-Watch 3.

      Source: Hans-Jürgen Schlamp, «Una nemica perfetta», in Internazionale, n°1314, juillet 2019 (original: Der Spiegel), pp.19-20.
      https://www.internazionale.it/sommario/1314
      #Salvini #Carola_Rackete #Rackete #Matteo_Salvini

    • Con #OpenArms ancora al largo e #OceanViking che ha fatto un salvataggio, RECAP.

      Tra l’1 gennaio e il 9 agosto dalla #Libia sono partite almeno 8.551 persone.

      Con Ong al largo, 31 partenze al giorno.
      Senza Ong, 41 partenze al giorno.


      1.624 partite quando le Ong erano al largo delle coste libiche.
      6.927 partite senza nessun assetto europeo a fare ricerca e soccorso.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1159814415950241792

    • Sea rescue NGOs : a pull factor of irregular migration?

      The argument that maritime Search and Rescue (SAR) operations act as a ‘pull factor’ of irregular seaborne migration has become commonplace during the Mediterranean ‘refugee crisis’. This claim has frequently been used to criticize humanitarian non-governmental organizations (NGOs) conducting SAR off the coast of Libya, which are considered to provide “an incentive for human smugglers to arrange departures” (Italian Senate 2017: 9). In this policy brief, we scrutinise this argument by examining monthly migratory flows from Libya to Italy between 2014 and October 2019. We find no relationship between the presence of NGOs at sea and the number of migrants leaving Libyan shores. Although more data and further research are needed, the results of our analysis call into question the claim that non-governmental SAR operations are a pull factor of irregular migration across the Mediterranean sea.

      https://cadmus.eui.eu/handle/1814/65024

    • Migrants from Libya not driven by hope of being rescued at sea – study

      No link found between number of Mediterranean crossings and level of NGO rescue ship activity.

      No valid statistical link exists between the likelihood that migrants will be rescued at sea and the number of attempted Mediterranean crossings, a study has found. The findings challenge the widespread claim in Europe that NGO search and rescue activity has been a pull factor for migrants.

      Fear that the NGOs’ missions attract immigrants has been the basis for measures restricting humanitarian ships including requiring them to sign up to codes of conduct or simply blocking them from leaving port.

      It is the first detailed study of NGOs’ proactive search and rescue activity between 2014 and October 2019, but the findings focus most closely on the first nine months of this year, a period when Europe had withdrawn from all search and rescue activity leaving only NGOs or the Libyan guard. The research was undertaken by two Italian researchers, Eugenio Cusumano and Matteo Villa, from the European University Institute (https://cadmus.eui.eu/handle/1814/65024).

      Drawing on official statistics and examining three-day averages, the study showed the numbers rescued depend on the numbers leaving. It found a stronger link this year between the number of migrant crossings and either political stability in Libya or the weather, rather than NGO ships at sea.

      The study found that in 2015, the total number of departures from Libya slightly decreased relative to 2014 even though migrants rescued by NGOs increased from 0.8 to 13% of the total number of people rescued at sea. After July 2017, the number of migrants departing from Libya plummeted even though NGOs had become far and away the largest provider of search and rescue by far.

      It also found that in the 85 days in which the NGOs were present in the search and rescue mission there were no more departures than the 225 days in which there were Libyan patrol boats.

      Instead, the study showed the big decline in crossings in 2017 was linked to the deal struck between the Italian government and various Libyan militia to keep migrants from attempting sea crossings.

      The study looks at figures from the International Organisation for Migration, the UN refugee agency UNHCR and the Italian coastguard.

      Over the five years the humanitarian ships have rescued a total of 115,000 migrants out of 650,000 with an average of 18%. In 2019 alone, at least 1,078 migrants have died or gone missing, according to the UN, while trying to reach safety in Europe.

      While the EU recognises the Libyan coastguard and is also funding and training its work, there is no overall agreement about how asylum seekers should be dealt with in an equitable and EU-wide manner.

      https://www.theguardian.com/world/2019/nov/18/migrants-from-libya-not-driven-by-hope-of-being-rescued-at-sea-study

    • ONG en Méditerranée : les secours en mer ne créent pas d’« appel d’air »

      Deux chercheurs italiens contestent, dans une étude parue lundi, la corrélation parfois suggérée par les politiques entre présence des ONG en mer Méditerranée et nombre de départs de bateaux clandestins des côtes libyennes.

      Marine Le Pen, députée française, le 12 juin 2018 : « Derrière le vernis humanitaire, les ONG ont un rôle objectif de complices des mafias de passeurs. […] Accepter que les bateaux de migrants accostent crée un appel d’air irresponsable ! » Christophe Castaner, ministre de l’Intérieur français, le 5 avril 2019 : « Les ONG ont pu se faire complices [des passeurs]. » Matteo Salvini, alors ministre de l’Intérieur italien, le 7 juillet 2019 : « Je n’autorise aucun débarquement à ceux qui se moquent totalement des lois italiennes et aident les passeurs. » Cette rengaine selon laquelle en menant des opérations de recherches et de sauvetages (SAR) en mer Méditerranée les organisations non gouvernementales provoqueraient des départs massifs d’immigrés clandestins vers l’Europe, a la vie dure.

      De SOS Méditerranée à Proactiva Open Arms en passant par SeaWatch, les ONG contestent ce lien – surtout fait par des politiques de droite et d’extrême droite – mais rien ne permettait jusqu’ici de trancher la question d’une éventuelle relation de cause à effet entre présence des ONG en mer et nombre de départs des côtes libyennes. Deux chercheurs ont rendu publique ce lundi une étude, réalisée pour l’European University Institute de Florence (Italie), qui étudie ce phénomène. La conclusion de Matteo Villa et Eugenio Cusumano, qui précisent que les données sont peu nombreuses, est claire : « Notre analyse suggère que les opérations de SAR non gouvernementales n’ont pas de corrélation avec le nombre de migrants quittant la Libye par la mer. »

      En 2015, le nombre de départs de Libye a même un peu baissé par rapport à 2014, alors que la part des ONG dans le nombre total de sauvetages a augmenté, passant de 0,8% des opérations à 13%. Entre janvier et octobre 2019, le nombre de départs par jour était, lui, légèrement supérieur lorsqu’il n’y avait sur la zone pas d’ONG – lesquelles sont soumises à des pressions gouvernementales et peinent à être autorisées à débarquer les rescapés en Europe. « Par contraste, une grosse corrélation existe entre les départs de migrants et les conditions météorologiques sur la côte libyenne, autant qu’avec la très forte instabilité politique en Libye depuis avril 2019 », indiquent les chercheurs.

      https://www.liberation.fr/amphtml/planete/2019/11/18/ong-en-mediterranee-les-secours-en-mer-ne-creent-pas-d-appel-d-air_176409

    • "Non è vero che la presenza delle Ong in mare fa aumentare le partenze dei migranti dalla Libia"

      Due ricercatori italiani firmano per lo European University Institute la prima analisi sui soccorsi in mare dal 2014 al 2019. Il crollo dei viaggi provocato dagli accordi con Tripoli.

      Il «pull factor delle Ong» sui flussi migratori dalla Libia non esiste. L’affermazione che, da tre anni a questa parte è alla base dei provvedimenti che hanno ormai messo all’angolo le navi umanitarie, buona parte delle quali sotto sequestro da mesi, è una favola. A provarlo è il primo studio sistemico, su dati ufficiali dalle agenzie delle Nazioni unite ma anche dalle guardie costiere italiana e libica, firmato da due ricercatori italiani, Eugenio Cusumano e Matteo Villa, per lo European University Institute. La ricerca, che prende in esame, mensilmente, cinque anni di sbarchi in Italia (da ottobre 2014 a ottobre 2019) dimostra che non vi è alcuna relazione tra la presenza nel Mediterraneo delle navi umanitarie e il numero delle partenze dalle coste libiche.

      In questi cinque anni, le navi umanitarie hanno soccorso complessivamente 115.000 migranti su 650.000, con una media del 18 per cento, la più parte nel 2016 e nel 2017 dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum. Poi il codice di condotta voluto da Marco Minniti nell’estate 2017 e il decreto sicurezza di Matteo Salvini hanno condizionato pesantemente l’attività delle Ong.

      Il lavoro dei due ricercatori italiani smonta l’assunto secondo il quale più alto è il numero delle persone salvate, più alto è il numero di quelle che partono. Cusumano e Villa rovesciano l’approccio e dimostrano che il numero dei salvati dipende dal numero di coloro che partono. E a sostegno dell’analisi portano due dati: nel 2015, l’anno in cui le Ong dispiegano la flotta in mare aumentando i loro soccorsi dallo 0,8 al 13 per cento, il numero complessivo delle partenze risulta in calo rispetto all’anno precedente. E ancora, nella seconda metà del 2017, nonostante le tante navi umanitarie presenti, il numero degli sbarchi crolla.

      Dunque, è la conclusione della ricerca, ad avere un forte impatto sulle partenze sono stati gli accordi tra Italia e Libia che hanno decisamente portato ad un abbattimento del numero delle imbarcazioni messe in mare. E ancora nel 2019, quando sparite le navi militari, il peso dei soccorsi è rimasto solo sulle navi umanitarie, i due ricercatori hanno rilevato giorno per giorno partenze e salvataggi senza trovare alcune evidenza che negli 85 giorni in cui erano presenti le Ong in zona Sar ci siano state più partenze rispetto ai 225 giorni in cui c’erano solo le motovedette libiche. E con tutta evidenza i giorni con più partenze sono stati quelli di bel tempo o ad aprile in coincidenza con gli attacchi del generale Haftar.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/11/18/news/migranti_i_dati_di_uno_studio_confermano_non_e_vero_che_la_presenza_delle

    • Das Märchen von den Rettern und vom «Pull-Faktor»

      Die Studie zweier italienischer Migrationsforscher widerlegt das beliebteste Argument rechter NGO-Kritiker.

      Kein anderer Vorwurf wird gegenüber privaten Seenotrettern auf der zentralen Mittelmeerroute häufiger erhoben als jener, sie seien ein «Pull-Faktor». Dass NGO-Schiffe wie die Sea-Watch oder die Open Arms vor der libyschen Küste Migranten aus Gummibooten retten und nach Italien bringen, so die Anschuldigung, verleite Flüchtlinge erst recht zum Aufbruch und trage deshalb dazu bei, die Zahl der Überfahrten zu steigern – und dadurch auch die Zahl der Ertrunkenen.

      Das Argument hat eine unbestreitbare intuitive Plausibilität: Je sicherer jemand sein kann, aus einer riskanten Situation befreit zu werden, desto grösser dürfte seine Bereitschaft sein, das Risiko einzugehen. 2017 schrieb die europäische Küstenwache Frontex, Rettungsaktionen von NGOs trügen dazu bei, dass Schlepperbanden «ihr Ziel mit minimalem Aufwand erreichen», was das «Business-Modell» der Kriminellen stärke.

      Zwei englische Studien aus dem Jahr 2017 kamen indessen zum Schluss, dass es keinen Zusammenhang zwischen der Präsenz von Rettungsschiffen vor der libyschen Küste und der Zahl der Überfahrten gebe. Beide Untersuchungen beruhten jedoch auf geringem Datenmaterial.

      Das Wetter spielt eine Rolle, Rettungsschiffe nicht

      Eine neue Studie gelangt nun zum selben Ergebnis: Der Pull-Faktor ist, um einen Modeausdruck zu verwenden, Fake News. Die italienischen Migrationsforscher Eugenio Cusumano und Matteo Villa haben für das in Fiesole beheimatete Europäische Hochschulinstitut sämtliche verfügbaren internationalen und italienischen Daten zwischen Oktober 2014 und Oktober 2019 auf einen Pull-Effekt untersucht, mit negativem Resultat.

      Laut der italienischen Zeitung «Repubblica» gab es bisher keine so umfassende und systematische Auswertung. Besonders genau untersuchten die Forscher den Zeitraum vom 1. Januar bis zum 27. Oktober 2019. Sie überprüften Tag für Tag, ob private Rettungsschiffe vor den libyschen Küsten unterwegs waren und wie viele Flüchtlingsboote jeweils die Überfahrt versuchten. Auch hier wieder: Keine Korrelation zwischen NGO-Schiffen und angestrebten Überfahrten. Kein Pull-Faktor. Stark sei hingegen die Korrelation mit dem Wetter.

      Obwohl die Autoren weitere Untersuchungen anmahnen, fordern sie, die Seenotretter nicht mehr zu behindern.

      Die Denkschablone vom «Gutmenschen»

      Das dürfte sich als Illusion erweisen, passt doch die Pull-Faktor-These in eine der beliebtesten rechten Denkschablonen: jene vom «Gutmenschentum». Gutmenschen sind demnach Moralisten, die in ihrer Naivität das Gute wollen, nämlich, im Falle der Seenotretter, Menschen vor dem Ertrinken zu bewahren. Die aber das Schlechte bewirken, weil ihretwegen die Zahl der Toten steige. Das Argument lässt sich scheinbar auf das Wertesystem der Kritisierten ein, um sie genau dadurch an ihrer empfindlichsten Stelle zu treffen. Es verkehrt das angeblich Gute in sein Gegenteil, und je intensiver die Gutmenschen nach dieser Logik ihre Ziele verfolgen, desto verheerender das Resultat.

      Um die Anschuldigung zu verschärfen, braucht man bloss den Anteil des angeblich «Gutgemeinten» zu verringern und jenen der kriminellen Energie zu erhöhen. Diese verleite Seenotretter im Namen einer höheren Moral dazu, das Gesetz zu brechen, indem sie etwa widerrechtlich in einen Hafen einlaufen. Oder – eine weitere Verschärfung des Vorwurfs – indem sie direkt mit den Schlepperbanden zusammenarbeiten, womöglich sogar aus finanziellen Interessen.

      Keine Komplizenschaft mit Schleppern

      Trotz intensiver Ermittlungen ist es der italienischen Staatsanwaltschaft bisher nicht gelungen, Beweise für die angebliche Komplizenschaft zwischen NGOs und libyschen Schlepperbanden zu finden. Und noch nie hat die italienische Justiz Seenotretter verurteilt. Stattdessen ist sie – etwa im Fall der Cap Anamur vor zehn Jahren oder diesen Sommer bei der deutschen Kapitänin Carola Rackete – zu Freisprüchen gelangt, aufgrund des internationalen Seerechts, der Genfer Flüchtlingskonventionen sowie verfassungsrechtlicher Bestimmungen. Oder sie hat die Verfahren eingestellt.

      Zwar gibt es noch laufende Prozesse. Schon jetzt aber lässt sich sagen, dass es verlogen ist, wenn NGO-Kritiker auf Recht und Gesetz pochen, um dann unter krasser Missachtung der Unschuldsvermutung und bisheriger Gerichtsurteile sowie aufgrund herbeifantasierter Pull-Effekte irgendwelche haltlosen Anschuldigungen in die Welt zu setzen.

      https://www.tagesanzeiger.ch/ausland/europa/das-maerchen-von-den-rettern-und-vom-pullfaktor/story/10027861

    • New Research Demonstrates that Search and Rescue is Not a Pull Factor

      New research published by the European University Institute suggests that Search and Rescue (SAR) activities in the Mediterranean, especially those carried out by NGOs, are not incentivizing departures of boats from Libyan shores.

      Combining data from UNHCR, IOM and the Italian Coast Guard, the report finds that there is no significant relationship between NGO’s SAR activity and the departures from the Libyan coast between 2014 and 2018. A closer analysis on presence of NGO ships in the first ten months of 2019, where NGOs remained the only actor conducting SAR, similarly concludes that there is no evidence to suggest that departures increased when NGO ships were at sea during the period considered. Instead, the research finds that the agreement between Italy and the Libyan militias from July 2017, weather conditions and violent conflict in Libya in April 2019 had an impact on departures from Libya.

      The research contributes to the critical analysis of the ‘pull factor’ argument used by European governments as a justification to curb SAR efforts. As defined by the authors, the pull factor hypothesis holds that, all else equal, the higher the likelihood that migrants will be rescued at sea and disembarked in Europe, the higher will be the number of attempted crossings.

      The authors call on the need for more data and further research on this issue. They recommend reconsidering government policies disincentivising SAR operations and restoring EU-led missions combining SAR and border enforcement, like Mare Nostrum. They call for effective, lawful and ethically defensible migration governance across the Central Mediterranean.

      https://www.ecre.org/new-research-demonstrates-that-search-and-rescue-is-not-a-pull-factor

    • Lunedì scorso abbiamo pubblicato un paper (https://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/65024/PB_2019_22_MPC.pdf?sequence=5&isAllowed=y) che dimostra che la presenza delle navi Ong non spinge i migranti a partire di più dalla Libia.

      Poi sono arrivate tre Ong, e sono partiti in centinaia.

      «Pull factor»? No.

      Un thread.

      Una cosa vera: negli ultimi giorni dalla Libia sono partiti in tanti, tantissimi.

      Era dal 2 novembre che non si registrava alcuna partenza dalle coste libiche.

      Poi, tra il 19 e il 23 novembre, sono partite quasi 1.200 persone.

      Come vi ho già raccontato, la ripresa delle partenze era nuovamente collegata a un miglioramento delle condizioni atmosferiche.

      Però la presenza delle Ong permette di mettere alla prova il nostro modello.

      Cosa che ho fatto.

      Cosa ho scoperto?

      Primo: le condizioni atmosferiche restano fondamentali.

      Come potete vedere dalle curve qui sotto, conta più il vento della temperatura.

      Messe insieme, le due variabili sono ancora più forti: con tanto vento e temperature in discesa, non parte nessuno.

      Secondo: le Ong continuano a non essere «pull factor».

      L’effetto della presenza in mare delle Ong resta non significativo.

      Inoltre, il risultato non si discosta per nulla dai risultati ottenuti con i dati del nostro paper, che si fermavano a fine ottobre.

      Terzo: ma quindi con il governo Conte II riprendono le partenze?

      Pare di no.

      A parità di altri fattori, meteo incluso, le partenze dalla Libia dopo il cambio di governo sono (a oggi) statisticamente indistinguibili dal periodo del Conte I.

      CONCLUSIONE.

      Quando qualcuno vi mostra una piccola fetta di realtà (alte partenze di migranti con Ong in mare), sta oscurando tutto ciò che succede quando non guardate.

      Per questo i dati e i modelli sono così importanti: rimettono in riga il nostro sguardo strabico.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1198935231857909760

    • Policy Brief (EUI) | Les secours en mer des ONG constituent-ils un facteur attractif pour les migrations irrégulières ?

      L’argument selon lequel les ONG qui pratiquent les sauvetages en mer Méditerranée constitueraient un facteur attractif pour les migrations irrégulières fait partie depuis 2015 d’une rhétorique communément admise. Elle a servi à délégitimer les missions de secours en mer au large de la Libye qui soi-disant encourageraient les passeurs à organiser des départs. Pour cet article, les auteurs ont étudié les flux migratoires entre la Libye et l’Italie entre 2014 et octobre 2019. Aucun lien de cause a effet n’a pu être identifié entre les départs de la côte libyenne et la présence de navires de sauvetage des ONG. Bien que d’autres recherches doivent être encore menées, cette étude remet en question le fait que la présence de bateau de sauvetage puisse constituer un facteur attractif.

      La recherche menée par Eugenio Cusumano (Migration Policy Center, EUI) et Matteo Villa (Instituto per gli Studi di Politica Internazionale, ISPI) intitulée ” Sea Rescue NGOs : a Pull Factor of Irregular Migration” a été publiée en anglais en novembre 2019. Elle est entièrement disponible sur le site de l’institut European University Institute (EUI) ou en cliquant sur l’image ci-dessus.

      Le journal Libération du 18 novembre 2019 lui a consacré un article ” ONG en Méditerannée : les secours en mer ne créent pas d’”appel d’air”” rédigé par Kim Hulot-Guiot.

      Nous proposons ci-dessous un bref résumé des principales conclusions des deux chercheurs :

      En 2013, en réponse aux nombreuses disparitions lors des traversées de la mer Méditerranée, l’Union européenne avait mis en place l’opération Mare Nostrum habilitant ainsi des garde-côtes à sauver des personnes migrantes dans la zone internationale au large des côtes libyennes. Une année plus tard cette opération fut suspendue par crainte que cela ait contribué à augmenter le nombre de tentatives de traversée de la Méditerranée centrale. Les missions suivante Triton, Themis ou Eunafovor n’ont presque plus effectué de sauvetage en mer. Ce manque a été comblé par des navires d’ONG qui ont assisté plus de 115’000 migrants entre 2014 et octobre 2019.

      Ce tableau issu de l’article montre l’évolution du nombre enregistré de personnes disparues en Méditerranée (centrale, est et ouest) entre 2014-2019 :

      En 2017, l’Italie a développé une nouvelle approche de cette question. Elle a conclu un accord avec les garde-côtes libyens pour qu’ils réduisent le nombre de départ depuis leurs côtes. De plus, l’Italie a progressivement fermé ses ports aux navires de sauvetage des ONG et entrepris la confiscation progressive de navires qui auraient enfreint ses interdictions. Ce procédé a eu comme conséquence de faire diminuer le nombre de navire de sauvetage d’ONG en mer Méditerranée. Le nouveau gouvernement italien n’a pas infléchi les règles et la rencontre européenne de Valletta en septembre 2019 suggérait encore entre les lignes que la présence des navires de sauvetage des ONG pourrait être responsable des départs continus de personnes migrantes depuis la Libye.

      En réalité, peu de recherches empiriques détaillent ce lien. Cette étude est une volonté d’y pallier. Elle utilise des indices statistiques qui permettent de mettre en corrélation les départs non-contrôlés des côtes libyennes et les activités de sauvetage au large de ces côtes par les ONG. Elle conclue à un manque de lien significatif entre ces deux facteurs :

      En 2015, le nombre total de départ depuis la Libye a légèrement baissé en comparaison à 2014 bien que les nombre de personnes sauvées par des ONG ait augmenté de 0.8 à 13% du nombre total de personnes sauvées dans cette zone ; après juillet 2017, le nombre de migrants quittant la Libye a diminué même si les ONG sont devenues les plus importantes actrices des sauvetages en mer. Cela suggère que l’accord passé entre les milices libyennes et l’Italie conclut en juillet 2017 a un impact beaucoup plus grand pour réduire les départs que les activités menées par les bateaux des ONG.

      Vu le manque de données disponibles, de telles recherches devraient continuer d’être entreprises. Néanmoins les premiers résultats significatifs servent à éclairer le débat politique. En ce sens, les auteurs suggèrent des recommandations :

      Le fait que la présence des ONG constitue un facteur attractif pour le départ des migrants à partir des côtes libyennes pour se rendre en Italie est ici infirmé. Par conséquent, les restrictions législatives portées aux opérations de sauvetage en mer par ces ONG a conduit à une augmentation des morts lors de ces traversées sans réduire significativement les départs. Ces décisions devraient donc être reconsidérées.
      Le retrait de cette zone des forces armées européennes en secours aux migrants a été décidé sur des présupposés hasardeux. S’il est clair que les ONG ne constituent par un attrait aux départs irréguliers des côtes libyennes, les navires militaires européens ne le constitueraient pas non plus, mais pourraient bien au contraire sauver des vies et détecter des arrivées non détectées. Il serait donc important de redéployer ces forces en Méditerranée.
      Les mesures visant à empêcher les migrations dans les pays de transit ou de départ ont un impact beaucoup plus grand sur les processus migratoires que la présence des navires de sauvetages en mer des ONG. Néanmoins, ce processus d’externalisation de la gestion des migrations est très problématique vu les conditions de vie et détention dont souffrent les personnes migrantes en Libye. Il faudrait donc réussir à combattre le trafique d’être humains sur la terre tout en réduisant les facteurs attractifs d’immigration et en améliorant les conditions de vie et les possibilités de protection en Libye.

      https://asile.ch/2019/11/25/policy-brief-eui-les-secours-en-mer-des-ong-constituent-ils-un-facteur-attract

    • Ammiraglio #Giuseppe_De_Giorgi:

      “Il dato più interessante, sottolinea De Giorgi, è che con la chiusura di Mare Nostrum gli sbarchi non sono affatto diminuiti, anzi sono aumentati. E di molto. Basta un dato a smontare le accuse mosse dai teorici dell’equazione ‘più soccorsi uguale più sbarchi’. Nel novembre del 2013, in piena Mare Nostrum, erano arrivati in Italia 1883 migranti. Nel novembre dell’anno successivo, cioè subito dopo la conclusione dell’operazione, sono stati registrati 9134 arrivi, con un aumento netto del 485 per cento.
      ‘Di questi,’ continua l’ammiraglio, ‘3810 migranti sono stati soccorsi dalla Marina e sottoposti a controllo sanitario prima dello sbarco. I restanti 5324 sono arrivati direttamente sul territorio nazionale senza controllo sanitario. Di questi ultimi, infatti, 1534 sono stati intercettati e soccorsi dalla Capitaneria di porto e 2273 da mercantili commerciali non attrezzati per quel tipo di attività, ma obbligati dal diritto del mare a intervenire.’
      Insomma, gli sbarchi continuano, ma in maniera più caotica e disordinata. La frontiera è di nuovo arretrata: da acquatica è tornata a essere terrestre e a coincidere con le coste italiane.”

      (Alessandro Leogrande, La frontiera, 2017 : pp. 186-187)

  • Regeni, rimosso striscione dal palazzo Regione #Friuli_Venezia_Giulia. #Fedriga: «Non sarà mai più esposto»

    Era stato appeso nel 2016, ora è stato tolto ufficialmente per far spazio agli addobbi per il campionato calcistico europeo Under 21. Ma la scelta del governatore leghista è definitiva. Uefa e Figc precisano: «Estranei a questa decisione»


    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/20/news/regeni_rimosso_lo_striscione_verita_per_giulio_dal_palazzo_della_regione_friuli-229256800/?ref=twhs&timestamp=1561056475000
    #Regeni #Giulio_Regeni #mémoire #effacement #it_has_begun

    ping @isskein

  • Quando eravamo noi i migranti: mille storie italiane in un archivio da rileggere e rivivere

    Nasce ’Italiani all’estero, i diari raccontano’ (http://www.idiariraccontano.org). Un sito per navigare, anche attraverso una mappa, storie piccole e dimenticate di discriminazioni, dolore, coraggio e forza di ripartire.

    Ci sono i transatlantici entrati nella storia della navigazione e le banchine di porti che oggi vedono solo container. C’è il coraggio di partire e c’è la voglia di raccontare come, alla fine, si è riusciti a farcela, a garantire un futuro a sé stessi e ai propri figli. C’è sofferenza e disperazione, ma anche speranza e spregiudicatezza. Ci sono generosità ed egoismo, amore e violenza.

    Sono mille storie di italiani che al di là dei confini della penisola hanno cercato un po’ di quel benessere che in patria non trovavano. O che hanno soddisfatto il loro desidero di aiutare il prossimo, di vivere un’avventura, di arricchire il proprio bagaglio di esperienze.

    Mille storie che da oggi, lunedì 10 giugno, sono a disposizione di tutti su un sito dal titolo semplice e diretto: “Italiani all’estero. I diari raccontano”. Si tratta di un sito nato dalla collaborazione tra un ministero e un luogo dove da decenni si conservano i diari, le memorie e le lettere che, a oggi, novemila italiani hanno deciso di non tenere per sé ma di mettere a disposizione di chi voglia conoscere, attraverso i percorsi individuali, pezzi di storia del nostro paese.

    Il ministero è quello degli Affari esteri, la Farnesina, in particolare la direzione generale che si occupa degli italiani all’estero e delle politiche migratorie. Il luogo dei diari è l’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano fondato nel 1984 dal giornalista Saverio Tutino, per dieci anni inviato di Repubblica.

    Aprendo il sito, ma verrebbe da chiamarlo scrigno per il senso di intimità e di preziosità trasmesso dai testi che contiene, ci si imbatte subito in quello che è senz’altro il principale strumento di navigazione. La carta geografica del mondo cosparsa di tanti pallini verdi che sono le chiavi per entrare nelle mille storie dello scrigno. Centinaia in Europa e Sud America. Poi il Canada e gli Stati Uniti, l’Australia, l’Estremo oriente, l’Africa, non solo i paesi occupati nel passato dall’Italia, ma anche Congo, Ruanda, Burundi. E ancora: Yemen, Arabia Saudita, Turchia, India, Pakistan…

    Per iniziare ci si può lasciar guidare, nel viaggio di scoperta che si inizia aprendo “I diari raccontano”, dalla densità delle storie. Si arriva subito nel cuore dell’Europa, nel quadrilatero più famoso e più dolente dell’emigrazione italiana: Francia, Belgio, Germania e Svizzera. I brani selezionati tra migliaia e migliaia di pagine conservate a Pieve raccontano le partenze in treni speciali dopo aver fatto tutta la trafila burocratica necessaria per ottenere un posto di lavoro.

    Una volta arrivati si annotano le discriminazioni subite, le piccole e grandi umiliazioni. Ma anche i successi che a molti hanno consentito di tornare a casa meno poveri. Si annotano sul quaderno o solo dentro di sé per ritirarle fuori anni dopo, quando si deciderà di scrivere la storia della propria vita.

    Poi le miniere, il sentiero di sudore e sangue che ha unito l’Italia alle viscere dei paesi ricchi di carbone. Prima di tutto il Belgio, il sentiero più recente, e di cui è emblema la tragedia di Marcinelle, la miniera in cui, nel 1956, morirono, tra gli altri, 136 immigrati italiani. Ludovico Molari era lì e racconta quando si trova davanti alla bara del fratello “dove in un biglietto sopra il coperchio c’è il nome di Molari Antonio riconosciuto per la mancanza della prima falange del dito anulare della mano sinistra e dall’abbigliamento”.

    Quasi 50 anni prima un’altra miniera e altri morti, al di là dell’Atlantico, a Cherry, Illinois, Stati Uniti d’America. Antenore Quartaroli ha seguito il sentiero del carbone ed è lì nel novembre del 1909 quando un incendio nelle gallerie uccide 259 minatori tra cui 73 italiani, per buona parte emiliani come Antenore che è arrivato nell’Illinois dalla provincia di Reggio Emilia. Antenore resta sepolto vivo per otto giorni e racconta così il suo ritorno alla vita: “Sempre all’oscuro si siamo incaminati di nuovo fatto una cinquantina di metri vi era una volta via e arrivati in quella posizione con gran gioia abbiamo scoperto che vicino al pozzo d’usita vi era Gente che lavorava... il primo che io conobi fu mio Cognato Giulio Castelli che quel giorno era a lavorare nel lavoro di Salvattaggio”.

    Lasciarsi trasportare dai pallini verdi della mappa dei “Diari raccontano” porta anche ai giorni e ai luoghi segnati nel calendario della storia. A piazza Tienanmen il giorno della rivolta contro il regime. In Kuwait nei giorni dell’invasione irachena. A Bruxelles quando i tedeschi la invadono nel 1914. In Francia il 10 giugno del 1940 quando gli italiani che lavoravano là da amici diventano, in un minuto, i “nemici”. In Vietnam con la divisa della Legione straniera. Ma anche più indietro nel tempo. Tutto da leggere il racconto di un garibaldino nato a Vicenza che si imbarca per gli Stati Uniti e combatte la guerra di secessione americana in un reggimento di cavalleria.

    La storia di emigrazione più antica conservata a Pieve è quella di Angelo Rebay, nato sulla riva del lago di Como nel 1788. Di lui non ci sono fotografie ma un ritratto fatto da una nuora. Per 11 anni, dal 1800 al 1811 cercò fortuna in Germania insieme a suo fratello per poi tornare a vivere nel suo paese, Pognana Lario.

    Prima di “Gli italiani all’estero. I diari raccontano”, ideato da Nicola Maranesi e di cui chi scrive è consulente editoriale, l’archivio di Pieve Santo Stefano aveva realizzato, con L’Espresso e i quotidiani locali del gruppo, un sito che ne è sicuramente il genitore, o il prototipo: “La Grande Guerra 1914-1918”.

    E così come quello dedicato alla guerra anche questo dà il via a un progetto aperto. Utilizzando un’apposita pagina del sito si potrà arricchirlo inviando le testimonianze di emigrazione personali o di propri antenati. Testimonianze che verranno pubblicate ed entreranno a far parte del patrimonio dell’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/10/news/quando_eravamo_noi_i_migranti_mille_storie_italiane_in_un_archivio_da_ril

    #quand_eux_c'était_nous #Italie #émigration #histoire #i_diari_raccontano #migrations
    ping @albertocampiphoto @wizo

  • JE VAIS COMMENCER ICI UN NOUVEAU FIL DE DISCUSSION, SUR LES SAUVETAGES ET LES NAUFRAGES EN MEDITERRANEE.

    CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/768421

    Ici la métaliste complète:
    https://seenthis.net/messages/706177

    ping @isskein

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    Ecco il decreto sicurezza-bis: multe per ogni migrante trasportato e per chi non rispetta le norme Sar

    Salvini si attribuisce la competenza a vietare il transito delle navi ritenute pericolose e prevede che a indagare possano essere solo le Dda. Pene più pesanti per chi aggredisce le forze dell’ordine. Il M5S: «Il ministro dell’Interno copre così il fallimento sui rimpatri».

    È un vero e proprio blitz quello con il quale il ministro dell’Interno Matteo Salvini vara un #decreto_sicurezza_bis che prevede sanzioni pecuniarie pesantissime contro chi soccorrse i migranti in violazione delle norme #Sar ma soprattutto con cui attribuisce al Viminale e alle Direzione distrettuali antimafia competenze che erano del ministero dei Trasporti e delle Procure ordinarie.

    Il provvedimento consta di dodici articoli, la maggior parte dei quali dedicato ancora al contrasto dell’immigrazione clandestina. Con norme clamorose destinate a spaccare il consiglio dei ministri.
    La prima prevede sanzioni a chi «nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previste dalle Convenzioni internazionali», dunque i comportamenti che Salvini attribuisce alle navi umanitarie. Le sanzioni previste sono di due tipi: da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero trasportato e, nei casi reiterati, se la nave è battente bandiera italiana la sospensione o la revoca della licenza da 1 a 12 mesi.

    L’articolo numero 2 va a modificare il #Codice_della_navigazione. Salvini attribuisce al Viminale quelle che sono al momento competenze del ministero dei Trasporti, in particolare la limitazione o il divieto di transito nelle acque territoriali di navi qualora sussistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico. E, come già scritto nelle direttive fin qui emanate, Salvini ritiene che tutte le navi che trasportino migranti siano una minaccia per la sicurezza nazionale.

    Il decreto modifica anche il codice di procedura penale estendendo anche alle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina la competenza delle Direzioni distrettuali antimafia e la disciplina delle intercettazioni preventive. Di fatto togliendo alle Procure ordinarie la possibilità ad indagare.

    Tre milioni di euro vengono stanziati per l’impiego di poliziotti stranieri in operazioni sotto copertura contro le organizzazioni di trafficanti di uomini.

    Un altro pacchetto di norme inasprisce le sanzioni per chi devasta o danneggia nel corso di riunioni in luoghi pubblici e al contempo trasforma da sanzioni in delitti, con il conseguente inasprimento delle pene, le azioni di chi si oppone a pubblici ufficiali con qualsiasi mezzo di resistenza attiva o passiva, dagli scudi alle mazze e ai bastoni. Modifiche al codice penale aggravano il reato e dunque le sanzioni per violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale soprattutto se commessi durante manifestazioni in luogo pubblico. Soppressa la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

    L’articolo 7 è la norma già annunciata come «#spazzaclan» e prevede l’istituzione di un commissario straordinario con il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato delle sentenze di condanna da eseguire nei confronti di imputati liberi. Previste le assunzioni a tempo determinato di durata annuale di 800 unità .

    L’ultimo articolo infine prevede l’impiego di altri 500 militari a Napoli in occasione delle #Universiadi.

    Fonti del M5s hanno commentato: «Salvini copre così il fallimento sui rimpatri». Secondo altre fonti «c’è fortissima preoccupazione che il ministro dell’Interno si spinga sempre più su temi estremisti».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/10/news/ecco_il_decreto_sicurezza-bis_pene_piu_pesanti_per_i_trafficanti_di_uomin
    #decreto_sicurezza #décret #Italie #Salvini #migrations #réfugiés #Méditerranée #amende #sauvetage #mourir_en_mer #ONG #eaux_territoriales #eaux_internationales #frontières #militarisation_des_frontières

    • Message d’@isskein via la mailing-list Migreurop.
      Chronique 9-10 mai 2019 en Méditerranée :

      9 mai Le Mare Jonio (Mediterranea Saving Humains, RescueMed) sauve 29 passagers (1 enfant de 1 an, 3 femmes dont une enceinte) d’un bateau pneumatique endommagé dans les eaux internationales, à 40 miles des côtes libyennes. Ils demandent un port sûr au centre de coordination italien, le ministère de l’Intérieur leur enjoint de contacter les gardes-côtes libyens...

      10 mai Le Mare Ionio accoste à Lampedusa, les 29 rescapés débarquent. 20h45, la « saisie préventive » du MareJonio, réclamée depuis le matin par l’Intérieur, a été notifiée. Le capitaine Pietro Marrone et Luca Casarini, chef de mission du #Mare_Jonio, font l’objet d’une enquête pour facilitation de l’immigration clandestine

      10 mai le navire militaire italien #Cigala_Fulgosi débarque dans le port d’Augusta (Sicile) 36 migrants secourus sur une embarcation à la dérive

      10 mai Au moins 70 personnes disparues dans un naufrage au large des côtes tunisiennes

      Il n’y a aujourd’hui plus aucun navire d’ONG en Méditerranée centrale.

      Sur le #naufrage au large de la #Tunisie, v. plus ici :
      https://seenthis.net/messages/780298

    • Dl sicurezza bis, cosa prevede il decreto che introduce multe da 5.500 euro a chi salva i migranti

      Il Ministero dell’Interno nella serata del 10 maggio 2019 ha messo a punto il “decreto sicurezza bis”, che prevede multe per chi soccorre i migranti, ma non solo.

      Il decreto si compone di 12 articoli.

      Il nucleo centrale prevede l’inasprimento delle misure contro i trafficanti di esseri umani e il potenziamento delle operazioni sotto copertura per contrastare l’immigrazione clandestina.

      Qui abbiamo spiegato cosa prevede il decreto sicurezza bis, punto per punto:
      Multe per chi soccorre i migranti

      L’articolo 1 del decreto sicurezza bis prevede che chi, nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali – con particolare riferimento alle istruzioni operative delle autorità SAR competenti o di quelle dello Stato di bandiera può incorrere in una “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 3.500 a 5.500 euro per ciascuno degli stranieri trasportati”.

      Nei casi “più gravi o reiterati è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciata dall’autorità amministrativa italiana inerente all’attività svolta e al mezzo di trasporto utilizzato”.
      Modifiche al codice della navigazione

      L’articolo 2 del decreto sicurezza bis prevede alcune modifiche al codice della navigazione, e nello specifico viene attribuito al ministro dell’Interno il potere di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità da diporto o di pesca nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica e comunque in caso di violazione” di alcune delle disposizioni della Convenzione di Montego Bay.
      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

      All’articolo 3 il decreto sicurezza bis vuole contrastare a monte l’organizzazione dei trasporti di migranti irregolari. I reati associstende ai
      Finanziamento da 3 milioni per le forze dell’ordine

      Il decreto sicurezza bis all’articolo 4 prevede lo stanziamento di 3 milioni di euro nel triennio 2019-2021 per il finanziamento degli “oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi” per lo svolgimento di operazioni sotto copertura “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
      Universiadi

      Tra le novità del decreto sicurezza bis c’è l’arrivo di 500 militari in più a Napoli in vista delle Universiadi 2019.
      Inasprimento delle sanzioni per i reati di devastazione

      L’articolo 5 del decreto sicurezza bis interviene sul Tulps, il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inasprendo le sanzioni conseguenti ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento, commessi nel corso di riunioni effettuate in luogo pubblico o aperto al pubblico.

      Inoltre, prevede espressamente l’obbligo di comunicazione immediata, non oltre le 24 ore, all’autorità di pubblica sicurezza delle generalità delle persone ospitate in alberghi o in altre strutture ricettive.

      Tutela degli operatori delle forze dell’0rdine

      L’articolo 6 del decreto sicurezza bis prevede maggiori tutele per gli operatori delle forze dell’ordine impiegati in servizio di ordine pubblico, attraverso l’introduzione di nuove fattispecie delittuose. Il decreto inoltre trasforma quelle che attualmente sono contravvenzioni in delitti e prevede inoltre l’inasprimento delle sanzioni.

      Ad esempio, “chiunque nel corso di manifestazioni.. per opporsi a pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.. utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti è punito con la reclusione da 1 a 3 anni”.

      Ovvero, “chiunque lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile… ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti è punito con la reclusione da 1 a 4 anni”.
      Commissario straordinario e assunzione di 800 persone

      L’articolo 8 del decreto sicurezza bis prevede l’istituzione di un commissario straordinario e l’assunzione di 800 persone con impegno di spesa per oltre 25 milioni di euro: permetterà di notificare sentenze ai condannati attualmente in libertà e garantire così l’effettività della pena. Inasprite anche le misure per chi aggredisce operatori delle forze dell’ordine.

      Il commissario straordinario, nominato dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, ha il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze di condanna divenute definitive da eseguire nei confronti di imputati liberi.

      https://www.tpi.it/2019/05/10/decreto-sicurezza-bis-cosa-prevede

    • Decreto sicurezza bis, ennesima proposta in contrasto con i principi fondamentali

      Nelle stesse ore in cui apprendevamo dell’ennesima strage avvenuta nel Mare Mediterraneo a causa delle politiche di chiusura ed esternalizzazione dell’Italia e dell’Unione europea, i mass media hanno anticipato i contenuti di un possibile nuovo decreto d’urgenza proposto dal Ministero dell’Interno che dovrebbe andare nuovamente a modificare alcune delle norme sulla disciplina dell’immigrazione in Italia.

      Il testo appare essere l’ennesimo stravolgimento dei fondamentali principi di diritto internazionale e un ulteriore contributo alla politica posta in essere da questo Governo, così come da quello precedente, finalizzata a colpire coloro, specialmente organizzazioni non governative di chiara fama, che non vollero ubbidire alla regolamentazione della salvaguardia del diritto alla vita.

      Tra esse la previsione di nuove sanzioni (ed addirittura la sospensione o la revoca della licenza alla navigazione) a carico di chi a certe condizioni ponga in essere “azioni di soccorso di mezzi adibiti alla navigazione ed utilizzati per il trasporto irregolare di migranti, anche mediante il recupero delle persone”. Ovvero sanzioni per chi, nell’adempimento di un dovere etico, giuridico e sociale, salva vite umane altrimenti destinate alla morte.

      Nonostante i gravi dissidi istituzionali determinati dall’ultimo Governo Conte e dalle politiche dell’attuale Ministro dell’Interno, con l’attuale ipotesi di decreto legge (a cui sono evidenti a tutti la mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza), si persegue pervicacemente nella strada intrapresa e, addirittura, si decide di portare la guerra agli esseri umani anche in acque internazionali sbeffeggiando le convenzioni internazionali in materia di ricerca e soccorso in mare.

      Riservandoci una compiuta analisi normativa se e quando (malauguratamente) quel testo dovesse prendere formalmente vita, riteniamo doveroso evidenziare che :

      sino ad oggi la magistratura italiana ha ritenuto che le operazioni di salvataggio in mare da parte di navi private sono state svolte per adempiere a precisi obblighi internazionali e per rispondere ad evidenti condizioni di necessità

      La situazione generatasi in Libia nel corso degli ultimi anni è degenerata ulteriormente nelle ultime settimane impone di intervenire per salvare la vita dei civili e dei migranti presenti nel Paese e di interrompere le politiche di sostegno alla Libia relative alle operazioni della Guardia costiera libica

      Salvare vite in mare è un dovere che risponde a precisi obblighi umanitari e non può e non dovrà mai essere considerato un crimine.

      Prendere posizione contro questo ennesimo attacco al rispetto della vita umana, ai diritti e alle libertà fondamentali è un dovere a cui non è più possibile sottrarsi.

      https://www.asgi.it/primo-piano/decreto-sicurezza-bis-ennesima-proposta-in-contrasto-con-i-principi-fondamental

    • Il teorema #Zuccaro sulle ong è fallito

      Il giudice per le indagini preliminari (gip) di Catania, #Nunzio_Sarpietro, ha accolto la richiesta di archiviazione della procura di Catania per l’inchiesta a carico del comandante della nave umanitaria Open Arms Marc Reig e della capomissione Anabel Montes Mier, accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in seguito al salvataggio di più di duecento persone, il 15 marzo 2018, al largo della Libia. Durante l’operazione la nave umanitaria si era trovata a dover affrontare momenti di tensione con una motovedetta libica, che rivendicava il coordinamento delle operazioni.

      In quell’occasione gli spagnoli si erano rifiutati di consegnare ai guardacoste libici i migranti appena soccorsi e per questo, dopo essere approdati nel porto di Pozzallo, erano stati accusati di diversi reati e la loro nave era stata sequestrata. Con l’archiviazione di questa inchiesta, cade uno degli ultimi pilastri del cosiddetto “teorema Zuccaro”, la tesi sostenuta dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro secondo cui ci sarebbero stati dei contatti tra le navi delle ong e i trafficanti di esseri umani. Resta aperta, invece, l’inchiesta della procura di Ragusa contro Reig e Montes Mier accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata per lo stesso caso. Rimane aperta anche l’inchiesta della procura di Trapani contro la nave Iuventa dell’ong Jugend Rettet, sequestrata nell’agosto del 2017. Il gip dovrebbe decidere l’eventuale rinvio a giudizio nelle prossime settimane.

      “Siamo felici di apprendere che un ulteriore passo verso la verità è stato fatto”, ha commentato l’organizzazione spagnola Proactiva Open Arms in un comunicato. “Ribadiamo di aver sempre operato nel rispetto delle convenzioni internazionali e del diritto del mare e che continueremo a farlo mossi da un unico obiettivo: difendere la vita e i diritti delle persone più vulnerabili”. L’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro chiarisce di non aver ancora preso visione delle motivazioni che hanno spinto la stessa procura di Catania a chiedere l’archiviazione. “Dal 3 maggio 2019 sapevamo però che il gip aveva archiviato questa indagine”, conferma Lo Faro.

      Già nel marzo del 2018 lo stesso gip Sarpietro aveva confermato il sequestro della nave, ma aveva escluso il reato di associazione a delinquere contro il capitano Marc Reig e la coordinatrice dei soccorsi Anabel Montes Mier, lasciando in piedi invece l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Questo elemento aveva fatto decadere la competenza territoriale del tribunale di Catania che ha una specifica autorità per i reati associativi e aveva fatto intervenire il tribunale di Ragusa, che deve ancora esprimersi in merito all’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata.

      In questo caso giudiziario è stata particolarmente importate la decisione del gip di Ragusa nell’aprile del 2018 di dissequestrare la nave, ferma nel porto di Pozzallo per un mese dopo il salvataggio. Nel decreto di dissequestro infatti il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo aveva riconosciuto lo stato di necessità nel quale era avvenuto il salvataggio e aveva inoltre stabilito che la Libia non è un posto sicuro in cui portare le persone soccorse in mare. Il giudice Giampiccolo ha riconosciuto che la Libia è “un luogo in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani (con persone trattenute in strutture di detenzione in condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e a un’adeguata alimentazione, e sottoposte a maltrattamenti e stupri e lavori forzati)”.

      “Quella decisione ha fatto scuola”, sottolinea l’avvocata Lo Faro. Da quel momento infatti non sono stati più disposti sequestri preventivi, ma solo sequestri probatori.

      Le indagini della procura di Catania
      Una figura centrale in questa vicenda è stato il procuratore generale di Catania Carmelo Zuccaro, alla guida della procura della città siciliana dal 2016. Dopo aver annunciato l’apertura di un fascicolo d’indagine conoscitivo sull’attività di queste organizzazioni, nella primavera del 2017 aveva rilasciato numerose interviste ai mezzi d’informazione italiani e stranieri. Il 22 marzo 2017 il pm era anche intervenuto in un’audizione al comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen dichiarando di aver aperto delle indagini sui profitti delle ong e affermando di ritenere sospetto il “proliferare così intenso di queste unità navali”.

      “Noi riteniamo ci si debba porre il problema di capire da dove provenga il denaro che alimenta, che finanzia questi costi elevati. Da questo punto di vista, la successiva fase della nostra indagine conoscitiva sarà quella di capire quali siano i canali di finanziamento”. In quell’occasione aggiungeva di trovare “anomalo” che le navi non approdassero nel porto più vicino, bensì nei porti italiani, e sosteneva che ci fosse un rapporto tra la presenza delle navi umanitarie e l’aumento del numero dei morti. L’altra questione che il procuratore sollevava era quella della necessità della presenza a bordo delle navi di poliziotti e autorità giudiziarie impegnate nel contrasto al traffico di esseri umani. Questo è stato un tema caro ai magistrati, perché il materiale raccolto dalla polizia giudiziaria nel periodo della missione umanitaria Mare nostrum aveva aiutato le procure a condurre diverse indagini contro i trafficanti.

      La stessa preoccupazione ha ispirato anche uno dei punti del codice di condotta voluto dal ministro dell’interno Marco Minniti. Dal 2013 la procura di Catania si era trasformata nell’epicentro delle indagini sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo, grazie proprio alla missione Mare nostrum. Prima i barconi con i migranti si spingevano sotto costa e arrivavano a Lampedusa, l’isola italiana più vicina alla Tunisia, oppure sulla parte occidentale della Sicilia, nella provincia di Trapani, che in linea d’aria è più raggiungibile dalle spiagge nordafricane. Ma in quello stesso periodo la marina militare e la guardia costiera italiana avevano cominciato a effettuare soccorsi in alto mare, nel canale di Sicilia, e poi nelle acque internazionali davanti alle coste libiche, quindi diversi porti siciliani, soprattutto quelli orientali come Catania, erano stati coinvolti negli sbarchi.

      Anche per questo Zuccaro si diceva preoccupato del grado di collaborazione tra le ong e la polizia giudiziaria: “Vogliamo cercare di capire se da parte di queste ong vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana”. In questa prima audizione per il procuratore di Catania risultano sospetti soprattutto i finanziamenti che le ong ricevono, mentre in diverse interviste successive si concentra sui presunti contatti tra i trafficanti e le navi.

      Circa un mese dopo, durante la trasmissione Agorà su Rai 3, il pm si spinge oltre, affermando che l’obiettivo delle navi umanitarie potrebbe essere quello di destabilizzare l’economia: “A mio avviso alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti, sono a conoscenza di contatti. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”.

      Accuse a cui il governo, tramite i ministri dell’interno Marco Minniti e quello della giustizia Andrea Orlando, reagiva con fermezza, chiedendo le prove. Zuccaro rispondeva di “avere denunciato un fenomeno e non singole persone”, perché se “si aspetta troppo tempo si rischia di produrre elementi deleteri non più controllabili”. Parlava di “deroga” al riserbo, ma anche di “un dovere per chi deve fare rispettare la legalità”. In un’intervista con la Repubblica del 28 aprile 2017, il procuratore afferma però una cosa nuova: finalmente ha “la certezza” dei contatti tra le ong e i trafficanti, ma si tratta di materiale non utilizzabile in sede giudiziaria. Si parla di tabulati telefonici e conversazioni nelle mani dell’intelligence. Zuccaro si dice certo di un rapporto di complicità tra le ong e gli scafisti.

      Per due mesi nella primavera del 2017 il procuratore è molto presente sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali con dichiarazioni di questo tenore, in tanti lo accusano di violare il segreto istruttorio e di produrre affermazioni che hanno un valore più politico che giudiziario. Mentre Zuccaro concede le sue interviste è aperta un’indagine conoscitiva sulle ong della Commissione difesa del senato, guidata dal senatore Nicola La Torre. Interpellato dalla commissione parlamentare, il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto operazioni del comando generale della guardia di finanza, smentisce le affermazioni del procuratore capo di Catania: “Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti tra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti”.

      Dopo due anni d’indagini, il 13 agosto 2018 l’inchiesta “madre” di Zuccaro (che intanto aveva ipotizzato anche il reato di associazione a delinquere) è avviata all’archiviazione, nel caso Open Arms viene archiviata l’accusa di “associazione a delinquere”, ma ormai la campagna di discredito ai danni delle ong ha fatto il suo corso e le dichiarazioni del pm hanno influenzato in maniera irreversibile l’opinione pubblica italiana, che considera “accertati” i contatti tra ong e scafisti, in barba a qualsiasi garantismo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/15/amp/open-arms-zuccaro-ong?__twitter_impression=true

    • Des migrants débarqués à Lampedusa, Salvini furieux

      Quarante-sept migrants ont été débarqués dimanche soir à Lampedusa, une île au sud de la Sicile, après la saisie sur ordre de justice de leur bateau de sauvetage, provoquant la colère du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Le navire affrété par l’ONG allemande Sea-Watch battant pavillon néerlandais, qui stationnait dans les eaux italiennes tout près de l’île de #Lampedusa, a été saisi dans la journée par la police financière italienne sur ordre d’un procureur de Sicile.

      Puis, les migrants à bord ont été transférés par moto-vedettes vers la terre ferme en fin de soirée. Une décision que M. Salvini —également vice-Premier ministre et chef de la Ligue (extrême-droite)— a semblé découvrir en temps réel à la télévision, l’amenant à demander qui au gouvernement avait pu prendre une telle décision contre son avis formel.

      Déjà à couteaux tirés avec lui, son partenaire gouvernemental du Mouvement 5 étoiles, Luigi Di Maio, a rétorqué qu’il n’acceptait pas ses insinuations, rappelant qu’il était obligatoire de faire débarquer les passagers d’un bateau saisi par la justice.

      Parallèlement à ce nouveau couac gouvernemental en pleine campagne pour les élections européennes, des échauffourées ont eu lieu dimanche soir à Florence (centre) entre forces de l’ordre et 2.000 personnes venues protester contre la présence de M. Salvini qui tenait un meeting politique dans la ville.

      Dimanche, le chef de Ligue avait jugé risibles les critiques du Haut-Commissariat aux droits de l’Homme (HCDH) de l’ONU contre un projet visant à durcir la législation anti-migratoire en Italie.

      L’ONU, « un organisme international qui coûte des milliards d’euros aux contribuables, qui a comme membres la Corée du Nord et la Turquie, et qui vient faire la morale sur les droits de l’Homme à l’Italie ? (...) Cela prête à rire », a commenté M. Salvini.

      Un projet de décret-loi, qui pourrait être soumis lundi au conseil des ministres, propose de donner au ministre de l’Intérieur le pouvoir d’interdire les eaux territoriales italiennes à un navire pour des raisons d’ordre public.

      Le texte prévoit aussi une amende de 3.500 à 5.500 euros par migrant arrivé en Italie pour tout navire de secours n’ayant pas respecté les consignes des garde-côtes compétents dans la zone où il serait intervenu.

      Dans sa lettre envoyée au ministère italien des Affaires étrangères, le HCDH demande à l’Italie de ne pas approuver ce nouveau décret-loi.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/des-migrants-debarques-lampedusa-salvini-furieux.afp.com.2019

    • Sea Watch, sbarcati i migranti. Salvini accusa i M5s: «Chi ha dato l’ordine?». Di Maio: «Non dia la colpa a noi»

      Sequestrata la nave Ong. Il ministero dell’Interno: i migranti non scenderanno. Ma il pm ordina che vengano portati sull’isola. E scoppia lo scontro tra i partner di governo. I primi a scendere una donna incinta e suo marito.
      La prima è una donna incinta, sorretta dal marito. A piedi nudi. Poi via via, tutti gli altri. Sorrisi, abbracci e saluti. Sono scesi tutti. Nonostante Salvini. “Fino a quando sono ministro io quella nave in un porto italiano non entra e non sbarca nessuno”, aveva garantito il ministro dell’Interno quando la Sea Watch 3 aveva ignorato la sua diffida e si era presentata davanti al porto di Lampedusa ottenendo l’autorizzazione all’ancoraggio alla fonda.

      Ventiquattro ore dopo, i 47 migranti rimasti a bordo della nave della Ong tedesca sono scesi a terra. Sequestro della nave d’iniziativa della Guardia di finanza, perquisizione e contestuale sbarco di tutti i migranti. Lo stesso “modello” già seguito per due volte per sbloccare i precedenti soccorsi della Mare Jonio, rimasta sequestrata per alcuni giorni e poi sempre liberata dai pm di Agrigento. Che questa volta si sono mossi di concerto con la Guardia di finanza forzando la mano ad un inferocito Salvini, incredulo di essere smentito proprio alla vigilia di quel consiglio dei ministri in cui intende portare all’approvazione il suo contestatissimo decreto sicurezza-bis.

      Un braccio di ferro senza precedenti quello tra la Procura di Agrigento e la Guardia di finanza da una parte e il Viminale dall’altro, conclusosi alle otto di sera quando due motovedette, dopo aver notificato al comandante della Sea Watch i decreti di sequestro e perquisizione firmati dal procuratore aggiunto Salvatore Vella che per tutto il weekend ha seguito personalmente sull’isola l’evolversi della vicenda, hanno scortato in porto la nave umanitaria.

      L’accelerazione nel primo pomeriggio quando il comandante Arturo Centore fa sapere alla Guardia costiera che la situazione a bordo è di assoluta emergenza. Alcuni migranti hanno indossato il giubbotto di salvataggio e minacciano di buttarsi a mare. “Se entro le nove di sera la situazione non si sblocca, levo l’ancora ed entro direttamente in porto”, annuncia il comandante della Sea Watch.

      A quel punto Guardia di finanza, guardia costiera e Procura decidono di notificare i sequestri e far sbarcare tutti. Anche contro il volere del Viminale.

      Salvini, che già poche ore prima, in un comizio a Sassuolo aveva attaccato a testa bassa “una procura e un giudice che invece di indagare gli scafisti indaga me”, incassa malissimo il colpo e ancor prima che la Sea Watch attracchi al molo di Lampedusa mette le mani avanti e sottolinea che lo sbarco avviene contro la sua volontà. “La magistratura faccia come crede ma il Viminale continua e continuerà a negare lo sbarco da quella nave fuorilegge. Il ministro dell’Interno si aspetta provvedimenti nei confronti del comandante della nave dal quale è lecito attendersi indicazioni precise sui presunti scafisti presenti a bordo”.

      Alle otto di sera, quando i 47 migranti toccano terra e vengono portati nell’hotspot di contrada Imbriacola, una nota firmata dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio (il pm del caso Diciotti che per primo ha contestato a Salvini il sequestro di persona) spiega la “ratio” della scelta degli inquirenti: “Il sequestro probatorio è stato eseguito per violazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione ponendo la nave a disposizione di questa procura che ne ha disposto, previo sbarco dei migranti, il trasferimento sotto scorta nel porto di Licata. Le indagini proseguiranno sia per l’individuazione degli eventuali trafficanti di esseri umani coinvolti sia per la valutazione della condotta della Ong”. Come sempre. A sbarco avvenuto, quando anche l’ultimo migrante era già sceso a terra, Salvini ricara: «Per me possono stare lì fino a ferragosto. Gli porto da mangiare e da bere ma stanno lì». E al procuratore di Agrigento: «E’ quello che mi ha indagato per sequestro di persona. Se li farà sbarcare, ne prenderò atto e valuteremo nei suoi confronti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
      Salvini attacca i 5s: «Chi ha dato l’ordine?»
      Matteo Salvini ha assistito in diretta tv allo sbarco dei migranti dalla nave Sea Watch 3, ospite in studio su La7. «Qualcuno l’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne dovrà rispondere», si irrita il ministro. Il M5s fa sapere a stretto giro che non sono stati i suoi ministri. Ma Salvini insiste: «Chi è che li ha autorizzati a
      sbarcare? Io no, non ho autorizzato niente, deve essere qualcun altro. Io sorrido ma è grave. Perché siamo un Paese sovrano con leggi, regole, una storia e nessuna associazione privata se ne può disinteressare. Qualcuno quell’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne deve rispondere».

      Il vicepremier Luigi Di Maio prende le distanze parlando A che tempo che fa: «Il sequestro lo esegue la magistratura quindi non credo sia un espediente» per far sbarcare i migranti a bordo «perché la magistratura è indipendente dal governo. Quando arrivano qui contattiamo i Paesi Ue e chiediamo la redistribuzione. Io credo che la politica delle redistribuzioni è l’unica strada che abbiamo per fronteggiare il fenomeno. Poi c’è il tema dei rimpatri che si devono fare. La Chiesa Valdese stamattina ha lanciato una disponibilità, lavoriamo nel senso della redistribuzione» e «non scontriamoci con la magistratura, tutte queste tensioni non fanno bene al Paese».

      E dopo le accusa di Salvini replica: «Non accetto che il ministro dell’Interno dice che se stanno sbarcando dalla Sea Watch è perché i ministri 5 Stelle hanno aperto i porti. La nave è stata sequestrata dalla magistratura e, quando c’è un sequestro, si fanno sbarcare obbligatoriamente le persone a bordo».

      Duro anche il ministro Danilo Toninelli: «Salvini, se ha qualcosa da dirmi, me la dica in faccia. Non parli a sproposito del sottoscritto in tv. È evidente che l’epilogo della vicenda è legato al sequestro della nave da parte della magistratura, non serve un esperto per capirlo. Magari il ministro dell’Interno si informi prima di parlare. E trovi soluzioni vere sui rimpatri, non ancora avviati da quando è il responsabile della sicurezza nazionale».
      Lo sbarco per Salvini è una sconfitta politica
      Comunque la si guardi, la conclusione del braccio di ferro per Salvini è una sonora sconfitta che il ministro dell’Interno cerca di capitalizzare puntando tutte le sue carte su quel decreto sicurezza-bis che l’Onu chiede di ritirare ritenendolo una “violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali”.

      Dopo aver irriso la lettera dell’alto Commissariato dell’Onu invitandolo ad occuparsi “dell’emergenza umanitaria in Venezuela anziché fare campagna elettorale in Italia”, Salvini ribadisce: "Resta un tema fondamentale: la difesa dei confini nazionali e l’ingresso in Italia di un gruppo di sconosciuti dev’essere una decisione della politica (espressione della volontà popolare) o di magistrati e Ong straniere? La vicenda Sea Watch 3 conferma una volta di più l’urgenza di approvare il decreto sicurezza bis già nel Consiglio dei ministri di domani per rafforzare gli strumenti del governo per combattere i trafficanti di uomini e chi fa affari con loro”.

      I 47 migranti sbarcati aspettano adesso di conoscere il loro destino. Le chiese evangeliche hanno dato la loro piena disponibilità ad accoglierli tutti nelle loro comunità in Italia ma anche all’estero.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/19/news/via_libera_per_la_sea_watch_puo_attraccare_a_lampedusa-226674239

    • Italy: UN experts condemn bill to fine migrant rescuers

      UN human rights experts* have condemned a proposed draft decree by Italy’s interior minister, Matteo Salvini, to fine those who rescue migrants and refugees at sea, and urged the Government to halt its approval.

      “The right to life and the principle of non-refoulement should always prevail over national legislation or other measures purportedly adopted in the name of national security,” said the independent experts, who conveyed their concerns about the decree in a formal letter to the Italian Government.

      “We urge authorities to stop endangering the lives of migrants, including asylum seekers and victims of trafficking in persons, by invoking the fight against traffickers. This approach is misleading and is not in line with both general international law and international human rights law. Instead, restrictive migration policies contribute to exacerbating migrants’ vulnerabilities and only serve to increase trafficking in persons.”

      Earlier this month, Mr. Salvini announced a proposal to issue a decree that would fine vessels for every person rescued at sea and taken to Italian territory. NGO and other boats that rescued migrants could also have their licences revoked or suspended.

      The UN experts said that, should the decree – yet to be approved by the government – enter into force, it would seriously undermine the human rights of migrants, including asylum seekers, as well as victims of torture, of trafficking in persons and of other serious human rights abuses.

      They also asked for the withdrawal of two previous Directives banning NGO vessels rescuing migrants off Libya’s coasts from accessing Italian ports. In particular, the second Directive singled out the Italian ship Mare Jonio for helping those at sea.

      Declaring that Libyan ports were “able to provide migrants with adequate logistical and medical assistance” was particularly alarming, the experts said, especially given reports that Libyan coastguards had committed multiple human rights violations, including collusion with traffickers’ networks and deliberately sinking boats.

      The experts said any measure against humanitarian actors should be halted. “We are deeply concerned about the accusations brought against the Mare Jonio vessel, which have not been confirmed by any competent judicial authority. We believe that this represents yet another political attempt to criminalise humanitarian actors delivering life-saving services that are indispensable to protect humans’ lives and dignity.”

      The UN experts said Italian authorities had failed to properly consider several international norms, such as article 98 of the UN Convention on the Law of the Sea, on the duty to help any person in danger at sea. “Article 98 is considered customary law. It applies to all maritime zones and to all persons in distress, without discrimination, as well as to all ships, including private and NGO vessels under a State flag,” they said.

      The Directives stigmatize migrants as “possible terrorists, traffickers and smugglers”, without providing evidence, the experts said. “We are concerned that this type of rhetoric will further increase the climate of hatred and xenophobia, as previously highlighted in another letter to which the Italian Government is also yet to reply.”

      The experts have contacted the Government about their concerns and await a reply. A copy of the letter has also been shared with Libya and the European Union.

      https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24628&LangID=E

    • Des ONG accusent la marine italienne de ne pas avoir porté assistance à des migrants en détresse

      L’ONG allemande Sea-Watch et le collectif Mediterranea accusent un navire de la marine italienne d’être resté à distance d’une embarcation de migrants en détresse au large des côtes libyennes, alors qu’il ne se trouvait qu’à plusieurs dizaines de kilomètres. Les 80 personnes en difficulté ont finalement été interceptées par les garde-côtes libyens et renvoyées en Libye.

      « Le navire P492 Bettica de la marine italienne est à proximité d’un canot pneumatique en détresse avec environ 80 personnes à son bord mais il n’intervient pas ». Ce message a été posté sur Twitter jeudi 23 mai en début d’après-midi par l’ONG Sea-Watch qui alerte sur la présence d’une embarcation dans les eaux internationales, au large de la Libye. C’est son avion de secours, le Moonbird, qui a repéré le canot en difficulté. « Notre avion a envoyé un message de détresse et a confirmé que des personnes sont accrochées à l’embarcation qui est en train de se dégonfler », continue l’ONG allemande.
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1131652854006067200?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Un peu plus tôt, Alarm Phone, la plateforme téléphonique qui vient en aide aux migrants en mer, avait donné l’alerte sur les réseaux sociaux. « Depuis 12h40, nous sommes en contact avec un bateau en détresse en Méditerranée centrale […]. L’eau entre dans le bateau. Nous avons transmis leur position au MRCC de Rome. Nous demandons une opération de sauvetage rapide ».

      Selon les ONG, la marine italienne n’est pas loin de l’embarcation. Elle ne serait pas intervenue.

      Un tweet de la marine italienne confirme, en effet, sa présence dans la zone, à 80 km du canot en difficulté. « Nous envoyons notre propre hélicoptère pour soutenir le Colibri [également sur zone, ndlr] », écrit la marine italienne sur le réseau social. « Avec un hélicoptère de la région, nous avons vérifié que les migrants ont été récupérés par un bateau de la patrouille libyenne ».

      « Le gouvernement sera responsable de ses actes »

      Seulement voilà, les ONG accusent ainsi les Italiens d’être « restés à distance » sciemment, pour laisser « le champ libre » aux garde-côtes libyens. « Encore un refoulement par procuration en Méditerranée centrale » a réagi Alarm Phone. « L’UE continue de violer le droit international, d’ignorer les bateaux en détresse et de repousser les gens en zone de guerre ».

      https://twitter.com/alarm_phone/status/1131612656341852161?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Des accusations qui inquiètent plusieurs personnalités politiques en Italie. « Si c’est vrai, ce serait très grave car il est absolument impensable que des hommes, des femmes et des enfants soient renvoyés dans cet enfer qu’est la Libye », a déclaré le sénateur du mouvement 5 étoiles (M5S) Gregorio De Falco, également officier de la marine.

      Même son de cloche chez Massimiliano Smeriglio, candidat du Parti démocrate aux élections européennes. « Nous ne pouvons pas croire qu’’un navire de notre marine, qui a accompli tant de missions de secours international, peut apporter son aide sans intervenir dans une tragédie. Intervenez sans délai sans quoi le gouvernement sera responsable de ses actes », a-t-il insisté.
      Début mai, un navire militaire italien avait subi les foudres du ministre de l’Intérieur après avoir secouru des migrants en mer sans avoir attendu les garde-côtes. Matteo Salvini refuse systématiquement le débarquement des migrants sur le sol italien.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17114/des-ong-accusent-la-marine-italienne-de-ne-pas-avoir-porte-assistance-

    • Dl sicurezza bis, I pescatori continueranno a salvare i migranti

      Michele e Salvatore Casciaro, padre e figlio, sono pescatori di Novaglie, Salento. Salvatore assiste alla tragedia dei migranti nel canale d’Otranto sin dal grande esodo degli albanesi negli anni Novanta. E da allora partecipa con la propria imbarcazione alle operazioni di soccorso e salvataggio dei naufraghi. Oggi i flussi principali provengono dal nord africa. Nell’ultimo salvataggio ha salvato con il figlio Michele una somala che altrimenti sarebbe annegata. Ma con il decreto sicurezza bis, continueranno a salvare i naufraghi o si volteranno dall’altra parte? (M. Tota)

      http://www.la7.it/tagada/video/dl-sicurezza-bis-i-pescatori-continueranno-a-salvare-i-migranti-21-05-2019-27242
      #pêcheurs

    • Il cambio di rotta di un Paese che perde l’onore
      Finora la Marina militare aveva sempre risposto alle chiamate di

      naufraghi in difficoltà.

      OGGI le cose in Italia non sono facili e quindi è proprio oggi che dobbiamo amare il nostro Paese, rispettarlo, dobbiamo dialogare, confrontarci, litigare sapendo che il suolo che calpestiamo ci restituirà solo ciò che avremo seminato e curato. Ogni parola è un seme, ogni ragionamento è un seme e noi italiani restiamo quello che siamo sempre stati: persone fatte di terra e mare. Conosciamo il mare, gabbia e occasione, limite e infinito, siamo uomini e donne di mare. Ecco perché, quando già l’Europa trattava l’immigrazione come un problema, l’Italia continuava a salvare vite in mare. E le salvava perché un uomo, una donna, un bambino che dall’Africa prendono il mare per venire in Italia, se in pericolo, non sono migranti, ma naufraghi. È la legge eterna del mare: ogni naufrago va tratto in salvo. Sempre.

      Qualcuno mi dira’, non possiamo salvarli tutti noi. Se nessun altro li salva, vi rispondo, allora li salveremo noi! Esistono le Zone Sar (Search and Rescue, ovvero “ricerca e salvataggio”) di competenza dei diversi paesi, perché dovremmo farci carico di recuperare i naufraghi anche laddove non sarebbe di nostra competenza? Perché per prima cosa dobbiamo rispettare la vita umana, è una regola universale alla quale se ci sottraiamo iniziamo a modificarci. Lasciare che una persona anneghi significa perdere qualsiasi cosa abbiamo raggiunto. Empatia, leggi, diritti, morale, convivenza. Perdiamo tutto. Non è sentimentalismo, è misura di ciò che sta accadendo. Non possiamo sottrarci dal salvare le persone in mare perché ogni vita perduta, quando poteva essere salvata, è sofferenza che si moltiplica, è odio. E l’odio diventa rancore, e il rancore vendetta.

      Ma non possiamo accoglierli tutti, mi direte. Manca il lavoro per noi, come possiamo farci carico di centinaia di migliaia di persone in cerca di un futuro migliore? Ma noi non dobbiamo accoglierli tutti: noi dobbiamo salvarli tutti, è nostro dovere farlo. Non facciamoci fregare dalla propaganda: salvare e accogliere sono due cose diverse, due momenti diversi che possono e devono essere gestiti in maniera diversa. Il salvataggio risponde a una necessità immediata, non c’è tempo per la strategia. L’accoglienza viene dopo e su quella si può discutere e cambiare passo, ma senza mettere in dubbio la necessità di salvare. Anzi, direi, senza mettere in discussione il diritto che noi italiani abbiamo, il privilegio che viviamo nel salvare vite umane. Salvare vite è come donare vita, come è accaduto che lo abbiamo dimenticato? Qualcuno oggi pensa di poter girare la faccia davanti a queste storie, pensa che tutto sommato la quotidianità sia già così difficile che non serve complicarsi la vita con questo strazio; non invidio queste persone perché per loro il risveglio sarà ancora più duro. E non le invidio perché non sanno quanto l’Italia abbia fatto la differenza, perché non sanno che l’Italia non ha mai girato le spalle a chi, in pericolo, chiedeva aiuto.

      Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano quando ho visto il lavoro titanico che la Marina militare italiana ha sempre fatto, prima da sola, poi con l’Europa ma da capofila, poi insieme alle Ong, poi di nuovo da sola. Sono orgoglioso dei pescatori italiani che, nonostante andassero incontro a sanzioni gravose e al sequestro delle loro imbarcazioni che sono per loro sopravvivenza stessa, hanno sempre obbedito alla legge del mare, quella legge che impone di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo tra le onde, a qualunque costo e senza pensare alle conseguenze. “Noi gente in mare non l’abbiamo lassata mai!”: questo era il principio dei pescatori lampedusani e a questo principio non si sono sottratti; se l’avessero fatto, avrebbero negato ogni singola parte della loro vita.

      Ma le cose sono cambiate ora, dirà qualcuno tra voi. Oggi la Marina sta agendo diversamente, direte. Sappiamo che il 23 maggio scorso, e lo sappiamo dagli unici testimoni rimasti nel Mediterraneo a darci queste informazioni, ovvero le Ong, un uomo è morto durante un’operazione di salvataggio, anzi, prima ancora che l’operazione iniziasse. Nel video girato da un velivolo della Sea-Watch si vede un gommone in avaria che sta imbarcando velocemente acqua. La Sea-Watch contatta prima la Guardia costiera libica che non risponde e poi la nave della Marina militare italiana Bettica, che si trova a meno di trenta miglia dal gommone.

      Improvvisamente e per quasi un’ora le comunicazioni tra la Marina militare italiana e la Sea-Watch si interrompono, quando riprendono la Bettica avverte che la Guardia costiera libica si sta recando sul posto. È prassi che la Guardia costiera libica non risponda alle richieste di soccorso. È prassi che i salvataggi siano fatti all’unico scopo di riportare i migranti nei campi di prigionia libici dove ricomincia il loro calvario, dove vengono torturati e dove viene estorto loro denaro: ogni migrante preso dalla Guardia costiera libica è guadagno doppio per i trafficanti (che, detto per inciso, non sono le Ong ma la guardia costiera libica finanziata dall’Italia e dall’Europa) che li lasceranno tornare nel loro paese solo in cambio di denaro.

      È ormai appurato che la Libia non è un porto sicuro. E allora perché la nave della Marina militare italiana Bettica non è intervenuta? Perché si infanga l’onore (che bella parola quando porta con sé il rispetto per la vita umana) dei militari della Marina che hanno sempre, secondo coscienza, risposto prima ancora che alle convenzioni internazionali, che pure stabiliscono il dovere di salvare vite, alla superiore e universale legge del mare? Oggi possiamo dividerci su tutto, ma non sulla necessità e sul dovere di salvare vite. Quando un uomo, una donna o un bambino sono in pericolo in mare, noi abbiamo il dovere di salvarli e se l’alternativa è la Libia, dobbiamo essere consapevoli che li stiamo condannando all’inferno. Per sfuggire a questo ragionamento, la propaganda inventa scorciatoie ridicole ma funzionanti: parole da buonista, parli bene dall’attico a Manhattan; si bersaglia chi racconta, non il racconto, perché quello è oggettivo e non può essere messo in discussione. Ma quell’uomo che annega è vita reale, non la finzione spacciata per realtà sui social.

      Facile dire la solita balla buonista parli tu dall’attico a Manhattan… no, parlo da meridionale, nato e cresciuto nelle terre più martoriate d’Italia, più saccheggiate, terre dimenticate da Dio e dagli uomini, ma non dai politici avvoltoi e sciacalli. Quelli, di noi meridionali, non si dimenticano mai. Promettono acqua agli assetati e intanto condannano le nostre anime per l’eternità. Parlo da uomo che non può accettare che il confine tra la vita e la morte sia una linea convenzionale e invisibile tracciata nel mare. Ciò che resta, alla fine di tutto, è l’onore. L’onore riscattato dal significato abusivo che ne danno le mafie per indicare nell’uomo d’onore l’affiliato. Onore inteso come rispetto dei nostri principi umani più profondi al di là delle conseguenze, nonostante le conseguenze.

      Onore è ciò che permette ancora di guardarci l’un l’altro e di sapere che io mi posso fidare di te perché tu ti puoi fidare di me, qualunque sia la tua condizione sociale, qualunque sia il luogo da cui provieni, il tuo quartiere, la tua religione e il colore della tua pelle, la tua condizione sociale, il tuo lavoro, il tuo conto in banca, la scuola che frequenta tuo figlio, il lavoro che fai. È facile: se mentre tu soffri e muori io giro lo sguardo dall’altra parte, se io soffrirò e rischierò di morire mi ripagherai con la stessa moneta. Salvare per essere salvati. Salvare per salvarsi: nel nostro mare, se smettiamo di salvare, finiremo annegati noi.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/01/news/il_cambio_di_rotta_di_un_paese_che_perde_l_onore-227596448

    • Appel au secours d’un capitaine, coincé en mer avec 75 migrants malades

      Le capitaine d’un bateau égyptien ayant recueilli vendredi 75 migrants dans les eaux internationales, a lancé un appel aux autorités tunisiennes pour qu’elles le laissent accoster, alors que les vivres commencent à manquer et que des migrants sont malades.

      Le remorqueur égyptien #Maridive_601, qui dessert des plateformes pétrolières entre la Tunisie et l’Italie, est arrivé vendredi soir au port de Zarzis, dans le sud de la Tunisie, après avoir récupéré dans la matinée les migrants à la dérive.

      « Je demande aux autorités tunisiennes de nous permettre d’urgence d’entrer dans le port de Zarzis », a déclaré à l’AFP le capitaine #Faouz_Samir, ajoutant que « l’état de santé des migrants est mauvais, beaucoup sont atteints de la gale ».

      Un médecin a pu monter à bord, a indiqué la branche locale du Croissant-Rouge. « Quatre personnes sont dans un état qui nécessite une intervention médicale », et la plupart d’entre eux sont atteints de la gale infectieuse", a déclaré à l’AFP Mongi Slim, responsable du Croissant-Rouge dans le sud de la Tunisie.

      Selon l’organisation internationale pour les migrations (OIM), les migrants, 64 Bangladais, 9 Egyptiens, un Marocain et un Soudanais, dont au moins 32 enfants et mineurs non accompagnés, « ont besoin d’urgence d’eau, de nourriture, de vêtements, de couvertures et surtout d’assistance médicale ».

      L’agence de l’ONU a indiqué être prête à aider la Tunisie pour accueillir ces candidats à l’exil, partis de Libye dans l’espoir d’atteindre l’Europe.

      « Nous comprenons les difficultés et l’ampleur des défis que les flux migratoires peuvent poser et nous travaillons à appuyer les capacités de secours et d’assistance », a souligné Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie.

      « Nous restons toutefois préoccupés par les politiques de plus en plus restrictives adoptées par plusieurs pays du nord de la Méditerranée », ajoute Mme Lando.

      Le gouvernement et les autorités locales tunisiennes, sollicitées par l’AFP, n’ont pas souhaité s’exprimer.

      En août dernier, un autre bateau commercial, le Sarost 5, était resté bloqué plus de deux semaines en mer avec les 40 immigrés clandestins qu’il avait secourus. Soucieuses de ne pas créer un précédent, les autorités tunisiennes avaient souligné qu’elles acceptaient ces migrants exceptionnellement et pour raisons « humanitaires ».

      Le 10 mai, 16 migrants originaires en majorité du Bangladesh avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation qui avait fait une soixantaine de morts.

      La majorité des bâtiments de la marine qui ont patrouillé au large de la Libye ces dernières années se sont retirés tandis que les navires humanitaires font face à des blocages judiciaires et administratifs.

      https://www.voaafrique.com/a/appel-au-secours-d-un-capitaine-coinc%C3%A9-en-mer-avec-75-migrants-malades/4943716.html

    • Tugboat carrying 75 migrants stranded off Tunisia for 10 days

      The #Maridive_601, an Egyptian tugboat that rescued 75 migrants in international waters over one week ago, is still stranded off the Tunisian coast as Tunisian authorities refuse to let it dock.

      The Egyptian tugboat Maridive 601 rescued the migrants off the southern Tunisian coast on May 31 after they embarked from Libya.

      Sixty-four of the 75 migrants are Bangladeshi and at least 32 of those on board are minors and unaccompanied children, according to the International Organization for Migration.

      The Maridive 601, which services oil platforms between Tunisia and Italy, picked up the migrants who were drifting in international waters near the Tunisian coast, and headed to the closest port of Zarzis in southern Tunisia.

      “I request that the Tunisian authorities allow us to make an emergency entry to Zarzis port,” appealed Faouz Samir, captain of the Maridive 601 shortly after the rescue.

      Since then, the crew has not received entry permission. An official from the Tunisian interior ministry was quoted as saying Monday that „the migrants want to be taken in by a European country." The official did not want to be quoted by name.

      Cases of infectious scabies

      Earlier last week, a Red Crescent team based in the southern Tunisian city of Zarzis delivered aid and medical care to the migrants, some of whom were ill, according to the Red Crescent.

      They “urgently need water, food, clothes, blankets and above all medical assistance,” the IOM added. According to AFP reports, the IOM added it was ready to help Tunisia provide for the migrants.

      Mongi Slim, a Red Crescent official in southern Tunisia, told InfoMigrant last Thursday that cases of scabies were on the rise and that there were around thirty people affected. The second captain of the Maridive 601 added that the Red Crescent was not allowed to board the ship to provide scabies medication. Instead, the crew had to contact its chartering company, Shell Tunisia, which in turn delivered medication in addition to food, water, mattresses and blankets. “We’re in telephone contact with the Red Crescent and they give us instructions on how to treat the migrants,” the captain informed InfoMigrants.

      Video footage

      Photos published online by the Tunisian Forum for Economic and Social Rights, an NGO, showed migrants lying on the deck of the boat, while sailors attempted to feed them. A video by the same NGO shows migrants shouting: “We don’t need food, we don’t want to stay here, we want to go to Europe.”

      https://www.facebook.com/ftdes/videos/189765251957864

      Tunisia’s central government and local authorities did not wish to comment to media requests.

      “We understand the difficulties and the scale of the challenges that migration flows pose and we are working to support relief and assistance capacities,” said Lorena Lando, the IOM’s head of mission in Tunisia. “But we are worried by the increasingly restrictive policies adopted by several countries,” Lando told AFP.

      Last month, around 60 migrants, most from Bangladesh, drowned off the coast of Tunisia after leaving Libya on a boat bound for Europe.

      https://www.infomigrants.net/en/post/17413/tugboat-carrying-75-migrants-stranded-off-tunisia-for-10-days?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Méditerranée : le navire #Sea_Watch_3 de retour dans la zone de détresse

      Après avoir été bloqué par la justice italienne pendant près d’un mois, le navire humanitaire Sea Watch 3 est de retour dans la zone de détresse (SAR zone) au large de la Libye. Il est actuellement le seul bateau de sauvetage en mer.

      Le navire humanitaire de l’ONG allemande Sea Watch, le Sea Watch 3, est de retour dans la zone de sauvetage au large de la Libye, la SAR zone.

      Le Sea Watch 3 était bloqué depuis le 20 mai par la justice italienne dans le cadre de poursuites pour aide à l’immigration illégale. Il a reçu samedi 8 juin l’autorisation de repartir en mer, a annoncé l’association.

      "Le Sea Watch 3 est libre ! Nous avons reçu une notification formelle sur la libération du navire saisi et son retour aux opérations" en mer, s’est félicitée l’organisation humanitaire sur Twitter.

      Malgré la politique de "fermeture des ports" du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini (extrême droite), le Sea Watch 3 avait pu débarquer les 65 migrants qu’il avait secourus à la mi-mai ; ils ont été autorisés à débarquer sur l’île de Lampedusa.

      Cette opération de secours avait provoqué la fureur de Matteo Salvini, qui a semblé la découvrir en temps réel à la télévision. “Je suis le ministère des règles et des ports fermés. Si un ministre du mouvement 5 étoiles a autorisé le débarquement, il devra répondre de ses actes devant les Italiens”, avait-il notamment lâché.

      Matteo Salvini estime que les migrants qui partent en mer à partir de la Libye doivent être remis aux garde-côtes libyens, conformément à un accord conclu entre l’Union européenne et Tripoli, mais les organisations humanitaires qui portent au secours des migrants refusent de s’y conformer.

      Hormis le Sea Watch 3, à la date du 10 juin, aucun autre navire humanitaire n’est présent au large des côtes libyennes.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      –Le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer, est actuellement bloqué en Sicile par les autorités.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17410/mediterranee-le-navire-sea-watch-3-de-retour-dans-la-zone-de-detresse

    • Italy to fine NGOs who rescue migrants at sea

      The Italian government has decided to impose stiff fines on rescuers who bring migrants into port without authorization. It also gave the interior ministry, led by Matteo Salvini, power to demand the payment.

      A decree adopted by the Italian government on Tuesday would force non-governmental organizations to pay between €10,000 and €50,000 ($11,327 – $56,638) for transporting rescued migrants to Italian ports.

      Rescuers who repeatedly dock without authorization risk having their vessel permanently impounded. The fines would be payable by the captain, the operator and the owner of the rescue ship.

      The Italian government is composed of the anti-establishment 5-Star Movement and right-wing populist League Party. The League leader Matteo Salvini, who also serves as the interior minister, has been spearheading an effort to clamp down on illegal immigration.

      Delayed decree

      The adoption of the decree has been delayed due to criticism from the United Nations and the office of the Italian president. Following the cabinet session on Tuesday, however, Salvini praised it as a “step forward the security of this country.” The populist leader also said he was “absolutely sure about the fact that it is compliant” with all national and international laws.

      The decree allows police to investigate possible migrant trafficking operations by going undercover. It also makes it easier to eavesdrop electronically on suspected people smugglers. Other sections of the decree impose stricter punishments on rioters and violent football fans.

      Read more: Italian court rules Salvini can be charged with kidnapping

      Additionally, the decree gives Salvini’s ministry the power to order the NGOs to pay the fines, this was previously the area of the transport and infrastructure ministries.

      Salvini has pushed through several anti-migrant decrees since becoming interior minister a year ago, including one in December which ended humanitarian protection for migrants who do not qualify for refugee status. Earlier this week, Salvini blasted three judges who opposed his hardline policies.

      Risking life at sea

      Since 2014, more than 600,000 people have made the dangerous journey across the central Mediterranean to reach Italy, fleeing war and poverty in Africa, Asia, and the Middle East. More than 14,000 have been recorded killed or missing when attempting the trip.

      Without a legal way to reach Europe, they pay people smugglers for passage in unseaworthy boats. The UNHCR and IOM recently said that 1,940 people have reached Italy from north Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route — putting the death rate for those crossing at more than 15%. The number of new arrivals has dropped off in recent years, but Rome is still faced with hundreds of thousands of people who migrated illegally. Pending asylum claims as of May 31 this year were 135,337.

      With official search-and-rescue missions canceled, the burden of assisting the shipwrecked migrants falls on rescue NGOs. The Italian coastguard estimates NGOs have brought in some 30,000 people per year since 2014.

      https://www.dw.com/en/italy-to-fine-ngos-who-rescue-migrants-at-sea/a-49143481

    • L’UNHCR chiede all’Italia di riconsiderare un decreto che penalizzerebbe i salvataggi in mare nel Mediterraneo centrale

      L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprime preoccupazione per l’approvazione da parte del governo italiano di un nuovo decreto contenente anche diverse disposizioni che potrebbero penalizzare i salvataggi in mare di rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale, compresa l’introduzione di sanzioni finanziarie per le navi delle Ong ed altre navi private impegnate nel soccorso in mare.

      Salvare vite umane costituisce un imperativo umanitario consolidato ed è anche un obbligo derivante dal diritto internazionale. Nessuna nave o nessun comandante dovrebbe essere esposto a sanzioni per aver soccorso imbarcazioni in difficoltà e laddove esista il rischio imminente di perdita di vite umane.

      “In una fase in cui gli Stati europei si sono per lo più ritirati dalle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, le navi delle Ong sono più cruciali che mai,” ha dichiarato Roland Schilling, Rappresentante regionale a.i. per il Sud Europa. “Senza di loro, altre vite saranno inevitabilmente perse”.

      L’UNHCR è inoltre preoccupata per il fatto che il decreto possa avere l’effetto di penalizzare i comandanti che rifiutano di far sbarcare le persone soccorse in Libia.

      Alla luce della situazione di sicurezza estremamente volatile, delle numerose segnalazioni di violazioni di diritti umani e dell’uso generalizzato della detenzione nei confronti delle persone soccorse o intercettate in mare, nessuno dovrebbe essere riportato in Libia.

      L’UNHCR ha ribadito più volte che il rafforzamento delle capacità di ricerca e soccorso, in particolare nel Mediterraneo centrale, deve essere accompagnato da un meccanismo regionale volto ad assicurare procedure di sbarco rapide, coordinate, ordinate e sicure. La responsabilità per i rifugiati e i migranti soccorsi in mare deve essere condivisa tra tutti gli stati che li accolgono, invece di ricadere su uno o due.

      L’UNHCR chiede al governo italiano di rivedere il decreto e al parlamento di modificarlo, mettendo al centro la protezione dei rifugiati ed il salvataggio di vite umane.

      https://www.unhcr.it/news/lunhcr-chiede-allitalia-riconsiderare-un-decreto-penalizzerebbe-salvataggi-mar

    • Migrants bloqués au large de la Tunisie : les Bangladais refusent le rapatriement

      Quinze jours après avoir été secourus, 75 migrants - dont la moitié de mineurs - sont toujours coincés à bord d’un navire commercial égyptien près des côtes tunisiennes. La Tunisie refuse de les laisser débarquer et souhaite les faire « rentrer chez eux ». Seuls les migrants africains ont accepté d’être rapatriés. La majorité des rescapés, des Bangladais, s’opposent à toute expulsion.

      Les 75 naufragés secourus il y a quinze jours par le bateau commercial égyptien Maridive 601 sont toujours bloqués au large de Zarzis, sur la côte tunisienne. Quelque 32 mineurs se trouvent à bord du navire.

      Les autorités tunisiennes refusent de les laisser débarquer depuis le vendredi 31 mai, jour du sauvetage. « Le gouverneur de Médenine insiste pour qu’ils rentrent chez eux », explique Mongi Slim du Croissant rouge tunisien, joint par InfoMigrants vendredi 14 juin.

      Informés de cette décision par le Croissant rouge, seuls les Égyptiens, les Marocains et les Soudanais présents à bord ont accepté un rapatriement dans leurs pays.

      La Tunisie demande l’aide du Bangladesh

      Les 64 autres naufragés, des Bangladais dont de nombreux mineurs, ont refusé cette offre. « Ils demandent de rejoindre l’Italie ou de pouvoir rester en Tunisie avec une permission de travail », raconte Mongi Slim.

      « Les autorités ont sollicité l’aide de l’ambassade du Bangladesh. Elle va intervenir pour résoudre le problème », ajoute-t-il.

      « Rien pour se mettre à l’abri du soleil »

      En attendant, à bord, la situation psychologique des naufragés se dégrade. « Il fait très chaud en cette période de l’année dans le sud de la Tunisie, et sur le bateau les migrants n’ont rien pour se mettre à l’abri du soleil. Ils risquent la déshydratation. Ils sont emprisonnés en mer », déplore Ben Amor Romdhane, du Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) également contacté par InfoMigrants. Le militant s’inquiète aussi des cas de gale signalés à bord.

      Pour la première fois depuis 15 jours, jeudi, une équipe médicale du Croissant rouge tunisien a pu monter sur le Maridive 601 avec des médicaments et des vivres. Jusqu’ici, le navire était ravitaillé en eau, en nourriture et en médicament anti-gale par la compagnie Shell Tunisie qui affrète le bateau. Le Croissant rouge était néanmoins parvenu à faire acheminer un stock de médicaments. Les premiers soins avaient été prodigués par l’équipage, guidé au téléphone par le Croissant rouge.

      Le médecin du Croissant rouge, qui a pu examiner les 75 migrants jeudi, a déclaré qu’il n’y avait pas de maladie grave ou d’urgences, seulement des cas de diabète, selon Mongi Slim.

      D’après le représentant du navire égyptien, joint par InfoMigrant, la situation reste pourtant « très tendue ». « La seule solution est de laisser ces migrants entrer en Tunisie », estime-t-il.

      Cet incident rappelle celui qu’avait connu le Sarost 5 l’an dernier. Le navire commercial, qui avait secouru 40 migrants en mer Méditerranée, avait dû attendre 17 jours l’autorisation de débarquer à Zarzis. Les autorités avaient finalement cédé titre exceptionnel « pour des raisons humanitaires ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17533/migrants-bloques-au-large-de-la-tunisie-les-bangladais-refusent-le-rap

    • Migrants stranded at sea for three weeks now risk deportation, aid groups warn

      Group of 75 people survive prolonged ordeal but could now be made to leave Tunisia.

      https://i.guim.co.uk/img/media/235b366ca8ef3c06feec045df894e482906510c0/0_0_1280_768/master/1280.jpg?width=620&quality=85&auto=format&fit=max&s=35a960601e803a971255f0

      A group of migrants who spent nearly three weeks trapped onboard a merchant ship in torrid conditions face possible deportation to their home countries after they were finally allowed to disembark in Tunisia, aid groups have warned.

      The 75 migrants, about half of whom are minors or unaccompanied children, were rescued on 31 May by the Maridive 601 only to spend the next 20 days at sea as European authorities refused to let them land.

      “The migrant boat was ignored by Italian and Maltese authorities, though they were in distress in international waters”, said a spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members. “This is a violation of international law and maritime conventions”.

      Heat and humidity onboard the Maridive 501, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, were insufferable, said aid groups. Food and water were scarce, scabies broke out and spread, and several people suffered fractures and other injuries during the rescue operation.

      Witnesses said the psychological strain was immense for migrants and crew members alike.

      The brother of one Bangladeshi man said on 3 June: “Today is Eid [the festival marking the end of Ramadan]. But the day is not for me. My brother is on the ship. I can’t take it any more. How is he? How can I explain my feelings to you? When I get good news, this will be my Eid gift and that day will be my Eid day.”

      Six days later, he said: “How many days will they stay there? Who can take care of him? I am depressed, every day my mother is crying.”

      The ship’s captain, Faouz Samir, asked repeatedly to be allowed to land at the nearest port, in Zarzis, but was initially refused permission. Regional authorities said migrant centres in Medenine were too overcrowded.

      On 6 June, the migrants staged an onboard protest, asking to be sent to Europe. Video of the protest was published by the Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux.

      The closure of Italian and Maltese ports to rescue ships has seemingly had a ripple effect, with Tunisia closing its own harbours to rescued people in order to avoid an overwhelming influx of migrants.

      On Tuesday evening, however, the Tunisian authorities relented. The migrants, who are mainly from Bangladeshi but also include Egyptians, Moroccans and Sudanese, will now be transferred to a detention centre.

      Aid groups, however, who had been demanding an immediate disembarkation in view of the medical emergency onboard, are concerned people may be sent back to Libya or even deported to their home countries after landing in the port of Zarzis. The governor of Medenine had previously said the boat would be allowed to dock only if all the migrants were immediately deported.

      “We are happy for the survivors. They are exhausted, some are traumatised, but we will accompany them so that we can finally find respite and reflect on the different alternatives available to them,” said Wajdi Ben Mhamed, head of the International Organisation for Migration’s Zarzis office.

      The IOM said its protection team would assist the survivors with “their protection needs and provide, for those who have requested it, assistance for voluntary return to their country of origin’’.

      Relatives claim some of the Bangladeshi survivors were told that food, water and medical treatment would be withheld if they did not accept deportation.

      One man who spoke to his brother on 18 June said fears of imminent deportation had been exacerbated by the visit of a Bangladeshi envoy to the boat. The envoy’s visit followed a meeting five days earlier with the Tunisian minister of the interior.

      Another relative said of a Bangladeshi migrant aboard the tugboat: “In Bangladesh there are people who want to kill him. He paid all the money and went to Libya to get away from the problems in Bangladesh. Then he escaped from Libya because of the problems there. He wants to go to Europe.”

      Médecins Sans Frontières warned that Tunisia could not be defined a safe haven for migrants and refugees, given that it had no functioning asylum system in place. “The nearest places of safety for rescues in the central Mediterranean are Italy or Malta,” said a spokesperson.

      A dangerous precedent would be set if an agreement was found to deport those rescued to their countries of origin quickly after disembarkation in Tunisia. Aid groups warn that boats like the Maridive would turn into migrant holding facilities until deportations were arranged. Many more boats could thus turn from places of rescue to prison islands, floating along north African shores.
      More than 70 million people now fleeing conflict and oppression worldwide
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      Giorgia Linardi, of SeaWatch in Italy said: “After this episode we should reflect on whether Tunisia qualifies as a place of safety, as our sources suggested that the migrants could be immediately repatriated or expelled from the country. The situation aboard the Maridive is very much confronted with the situation faced right now by the SeaWatch vessel with 53 migrants on board which is still floating in front of Italian territorial waters. As of now, the attitude of the Italian authorities is no different from the attitude of the Tunisian authorities towards the Maridive despite the two states having a different framework in terms of protection of human rights and in terms of asylum system in place.”

      With sea conditions currently favourable, thousands are preparing to leave Libya, where war and political instability have been aggravated by floods caused by heavy rain.

      Without rescue boats, however, the number of shipwrecks is likely to rise further. Only two of the 10 NGO rescue boats that were active in the Mediterranean are still present.

      According to data from the UN and the IOM, about 3,200 people have reached Italy and Malta from North Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route – putting the death rate for those crossing at about 11% along the central Mediterranean route.

      https://www.theguardian.com/global-development/2019/jun/19/migrants-stranded-at-sea-for-three-weeks-now-face-deportation-aid-group

    • Italy’s redefinition of sea rescue as a crime draws on EU policy for inspiration

      https://www.statewatch.org/analyses/no-341-italy-salvini-boats-directive.pdf

      –-> analyse de #Yasha_Maccanico sur la première directive de Salvini contre la #Mare_Jonio et la façon dans laquelle il essaye (avec part de raison) justifier la criminalisation systématique des secours en mer en base aux instructions issues de la Commission dans le contexte de l’Agenda Européenne, plus des problèmes de base dans les représentations contenues dans la directive.

    • Maridive : les 75 migrants bloqués depuis 18 jours au large de Zarzis ont pu débarquer en Tunisie

      Après 18 jours d’hésitation, les autorités tunisiennes ont finalement laissé les 75 migrants du #Maridive débarquer au port de Zarzis, ce mercredi. Ils ont toutefois imposé leurs conditions : les migrants ont tous accepté préalablement de rentrer dans leur pays.

      « C’est enfin fini, c’est un soulagement ». Mongi Slim, membre du Croissant-rouge tunisien, s’est réjoui, mardi 18 juin, du débarquement des 75 migrants bloqués depuis le 31 mai au large de Zarzis. Les autorités tunisiennes refusaient en effet de laisser débarquer en Tunisie ces personnes secourues par un navire commercial égyptien, le Maridive 601, au large de la Libye.

      Après 18 jours de blocage, ils ont enfin pu toucher la terre ferme. « Nous sommes heureux pour les survivants. Ils sont épuisés, certains sont traumatisés mais nous les accompagnerons pour pouvoir enfin trouver du répit », a déclaré Wajdi Ben Mhamed, chef de bureau de l’agence de l’Organisation internationale des migrations (OIM), dans un communiqué.

      Un premier vol vers le Bangladesh jeudi

      Cependant, ce débarquement s’est fait sous conditions après de longues négociations entre les ONG, les organisations internationales et les autorités. Tunis a finalement autorisé leur débarquement à condition que les migrants acceptent tous d‘être renvoyés dans leur pays d’origine. Parmi les 75 migrants secourus, 64 sont de nationalité bangladaise, neuf égyptienne, un est originaire du Maroc et un autre du Soudan.


      https://www.facebook.com/iomtunis/posts/354908018559713

      Samedi 15 juin, des représentants de l’ambassade du Bangladesh sont montés à bord du Maridive et ont convaincu les Bangladais de retourner chez eux. Selon Mongi Slim, du Croissant rouge tunisien, un premier groupe de 20 Bangladais devrait être renvoyé dès jeudi 20 juin.

      Aucune demande d’asile déposée

      Une information que ne confirme par l’OIM, qui est chargée d’organiser les retours volontaires de ces naufragés. « Nous avons effectivement dit aux autorités qu’un vol commercial avec une vingtaine de places partaient de Tunisie demain vers le Bangladesh. Mais nous n’organisons pas de retours forcés », précise à InfoMigrants Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie. « Mais, nous attendons de faire un point avec les migrants et savoir qui veut profiter d’un retour volontaire », insiste-t-elle.

      Malgré l’accord, l’OIM rappelle que les migrants qui veulent demander l’asile seront redirigés vers le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR). Mais pour l’heure, selon l’agence onusienne, aucun des migrants du Maridive ne souhaite déposer une demande d’asile en Tunisie.
      Le 10 mai dernier, 16 migrants, majoritairement du Bangladesh, avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation ayant fait une soixantaine de morts. Deux d’entre eux avaient décidé de rentrer dans leur pays.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17614/maridive-les-75-migrants-bloques-depuis-18-jours-au-large-de-zarzis-on

    • Working Paper: Guidelines on temporary arrangements for #disembarkation

      Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry)."

      “Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant).”

      The Council of the European Union has produced a new “Working Paper” on: Guidelines on temporary arrangements for disembarkation (LIMITE doc no: WK 7219-19):

      “The Guidelines are based on best practices used in previous disembarkation cases, and rely on a coordinating role of the Commission and support by relevant agencies. The framework is of a temporary nature and the participation of the Member States is on a voluntary basis. This document has a non-binding nature.” [emphasis added]

      The circumstances for “triggering” Temporary Arrangements (TA) are:

      “type of arrivals covered

      – a search and rescue operation; and/or

      – other sea arrivals where there is a humanitarian ground at stake.”

      On the face of it the idea would appear to refer to just about every rescue. However the idea relies on the state of first disembarkation - for example, in the Med: Spain, France, Italy and Greece - allowing a safe port of arrival. These states then make a “relocation” request to other Member States. This is entirely based on voluntary participation.

      “Workflow in the Member State of disembarkation

      The following procedural steps should be undertaken in the Member State of disembarkation, where appropriate with the assistance from EU agencies, and where relevant with the involvement of the Member State of relocation, in agreement with the benefitting Member State:

      (...) Initial identification, registration, fingerprinting and swift security screening: Registration and fingerprinting of all arriving migrants as category 2 in Eurodac system; check against national and EU information systems (such as Eurodac, SIS, VIS, Europol and Interpol databases) to ensure that none of the persons arriving to the EU is a threat to public policy, internal security or public health.

      Assessment regarding possible use of alternatives to detention or detention, on a case by case basis, pending further processing (in the context of border procedure, where possible, or otherwise)”

      Member states will be allowed to set conditions on acceptable refugees to relocate:

      “Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry).”

      The European Border and Coast Guard Agency (EBCGA) will:

      “provide assistance in screening, debriefing, identification and fingerprinting;

      – deploy Return Teams (composed of escort, forced return monitor and/or return specialists);”

      Financial support

      "Under the AMIF Regulation, funds are to be made available for:

      – Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant, applying the amended Article 18 of the AMIF Regulation 516/2014);

      – support to return operations;

      – Member States under pressure, as appropriate, including the possibility of a lump sum per relocation to cover transfer costs.

      – When MS make full use of the lump sums available under the national programmes, additional financial support could be provided.

      http://www.statewatch.org/news/2019/jun/eu-council-disembark.htm

    • La #marine_italienne sur le banc des accusés

      En octobre 2013, un bateau de pêche chargé de réfugiés syriens fait naufrage près de Lampedusa, île italienne proche de la Sicile. Si 212 personnes ont pu être sauvées, 26 corps ont été repêchés et environ 240 sont restées portés disparus dont une soixantaine d’enfants. Ce drame ne restera pas impuni.
      Un procès se tiendra en 2018 avec, sur le banc des accusés pour homicide involontaire et non-assistance à personnes en danger, des officiers de la marine italienne. C’est la première fois qu’un procès de ce type est lancé. Ce jour-là, un médecin syrien qui se trouvait à bord avec ses deux enfants -tous deux morts noyés- a appelé plusieurs fois au secours les garde-côtes italiens. Ceux-ci retransmettaient le relais à leurs confrères maltais et peu après lançaient un message signalant la situation aux navires se trouvant dans la zone. C’était le cas du navire Libra de la marine italienne, à moins d’une heure de navigation mais qui, au lieu de se précipiter, s’est éloigné en laissant intervenir les Maltais, ce qui prenait beaucoup plus de temps. Le bateau des migrants a fini par chavirer à 17h07. Les secours dont, le Libra, sont arrivés vers 18h00. Trop tard.

      https://www.arte.tv/fr/videos/080337-000-A/la-marine-italienne-sur-le-banc-des-accuses

    • Bangladeshi migrants in Tunisia forced to return home, aid groups claim

      Relatives say more than 30 people stuck at sea told to go home or lose food and water.

      More than 30 migrants from Bangladesh who were trapped on a merchant ship off Tunisia for three weeks have been sent back to their home country against their will, according to relatives.

      They were among 75 migrants rescued on 31 May by the Maridive 601, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, only to spend the next 20 days at sea near the Tunisian coast.

      The International Organization for Migration, an intergovernmental organisation linked to the United Nations, said the Bangladeshis “wished to return home”.

      But relatives and aid groups claimed that when a Bangladeshi envoy visited the boat the migrants were forced to accept their repatriation under the threat of having food, water and medical treatment being taken away.

      One relative told the Guardian: “When all the people were on the boat, they were told by the Bangladeshi embassy that if they didn’t agree to sign, they would not get any food or water any more. The people were afraid to die on the boat. The Bangladeshi embassy forced them to sign.”

      On 18 June, the 75 migrants, who included Egyptian, Moroccan and Sudanese people, were taken off the Maridive 601 and transferred to a Tunisian detention centre.

      The IOM confirmed that a few days later the first 17 individuals were returned to Bangladesh, and on 24 June, another 15 migrants were sent back.

      It said “more migrants will be travelling in the coming days, according to their decision”.

      The Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES), an independent organisation that aims to defend economic and social rights, said: “We doubt that the decisions to return were made voluntarily by the migrants.

      “We have tried to visit the migrants in the reception centre in order to inquire about their wellbeing but despite making repeated inquiries and requests, the whereabouts of the detained migrants was not revealed.”

      Another relative said: “I spoke with my brother this morning in the centre. He is scared to be returned to Bangladesh, like all the people there. Nobody wants to return to Bangladesh; everyone who is returned is forced.”

      The IOM’s head of mission in Tunisia, Lorena Lando, rejected the accusations. “None of the migrants has been deported; [they] wished to return,” she said. “IOM does not do deportation, nor force anyone to return.”

      Lando said the IOM “did not have access” to the migrants until 19 June, after the Tunisian authorities allowed their disembarkation.

      She added: “Remaining at sea was not a solution either. It is up to the person to also apply for asylum if they fear persecution … or seek help to return home or take time to decide.”

      A spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members, said: “The IOM refers to such deportations as voluntary returns but what is voluntary about telling survivors that they can leave their prison merely if they agree to be returned?

      “Do we really believe that these Bangladeshi people risked their lives to move to Libya and then to try to cross the Mediterranean, only to then be ‘voluntarily’ returned to Bangladesh?”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/25/bangladeshi-migrants-in-tunisia-forced-to-return-home-aid-groups-claim

    • #Mare_Jonio ha salvato 49 persone da un naufragio: adesso l’Italia ci indichi un porto sicuro

      La Mare Jonio di #Mediterranea_Saving_Humans, nave battente bandiera italiana impegnata nella missione di monitoraggio del Mediterraneo centrale ha soccorso, a 42 miglia dalle coste libiche, 49 persone che si trovavano a bordo di un gommone in avaria che imbarcava acqua.
      La segnalazione era arrivata dall’aereo di ricognizione Moonbird della ONG Sea Watch che avvertiva di una imbarcazione alla deriva in acque internazionali.

      Mare Jonio si è diretta verso la posizione segnalata e, Informata la centrale operativa della Guardia Costiera Italiana, ha effettuato il soccorso ottemperando alle prescrizioni del diritto internazionale dei diritti umani e del mare, e del codice della navigazione italiano.
      Attenendosi alle procedure previste in questi casi e per scongiurare una tragedia, Mare Jonio ha tratto in salvo tutte le persone a bordo comunicando ad una motovedetta libica giunta sul posto a soccorso iniziato di avere terminato le operazioni. Tra le persone soccorse, 12 risultano minori.
      Le persone a bordo si trovavano in mare da quasi 2 giorni e, nonostante le condizioni di salute risultino abbastanza stabili, sono tutte molto provate con problemi di disidratazione. Il personale medico di Mediterranea sta prestando assistenza.
      La Mare Jonio si sta dirigendo in questo momento verso Lampedusa, ovvero verso il porto sicuro più vicino rispetto alla zona in cui è stato effettuato il soccorso. Nel frattempo, è in arrivo una forte perturbazione nel Mediterraneo centrale.
      Abbiamo chiesto formalmente all’Italia, nostro stato di bandiera e stato sotto il quale giuridicamente e geograficamente ricade la responsabilità, l’indicazione di un porto di sbarco per queste persone.
      Oggi abbiamo salvato la vita e la dignità di 49 esseri umani. Le abbiamo salvate due volte: dal naufragio e dal rischio di essere catturate e riportate indietro a subire di nuovo le torture e gli orrori da cui stavano fuggendo. Ogni giorno, nel silenzio a moltissime altre tocca questa sorte. Grazie ai nostri straordinari equipaggi di terra e di mare, alle decine di migliaia di persone che in tutta Italia ci hanno sostenuto, oggi quel mare non è stato più solo cimitero e deserto.

      https://mediterranearescue.org/news/mare-jonio-ha-salvato-49-persone-da-un-naufragio-adesso-litalia-
      #Méditerranée #ONG (même si c’est pas une ONG, mais une #initiative_citoyenne) #asile #migrations #frontières #mer_Méditerranée #sauvetage

    • La direttiva di Matteo Salvini sulle frontiere non ha valore

      “Il tempo e le condizioni del mare non sono buone e i naufraghi sono ancora sotto shock, dopo essere stati soccorsi al largo della Libia e aver passato la notte con il mare in tempesta”, racconta Lucia Gennari, avvocata dell’Asgi imbarcata a bordo della nave Mare Jonio, l’imbarcazione che batte bandiera italiana ed è in rada davanti all’isola di Lampedusa, a cinquecento metri dalla Cala dei francesi, con 49 persone a bordo, tra cui dodici minori. L’imbarcazione, gestita dall’organizzazione italiana Mediterranea Saving Humans, chiede di attraccare nel porto dell’isola, dopo aver soccorso i naufraghi il 18 marzo in un’operazione di salvataggio avvenuta a 42 miglia dalle coste libiche. La nave ha trovato un gommone in avaria, su indicazione dell’aereo Moonbird, e ha informato sia la guardia costiera libica sia la guardia costiera italiana che avrebbe provveduto al soccorso.

      “Siamo arrivati a soccorrere i naufraghi che erano in difficoltà, i libici non erano sul posto, sono arrivati successivamente”, afferma Gennari, 32 anni, originaria di Mestre. “Poi ci siamo diretti verso nord perché la situazione atmosferica era pessima. Al momento la situazione a bordo è tranquilla, abbiamo viveri per qualche giorno, ma gli spazi sono ristretti, la nave è lunga 32 metri e le persone nella notte sono state male a causa delle cattive condizioni atmosferiche”, racconta la ragazza, che fa parte del gruppo di legali che seguono Mediterranea Saving Humans a partire dalla sua fondazione nell’autunno del 2018.

      La nave batte bandiera italiana e quindi a differenza di altre imbarcazioni non gli può essere impedito di attraccare in porto. Tuttavia il ministro dell’interno Matteo Salvini ha già detto che la nave non potrà arrivare in un porto italiano e nella notte tra il 18 e il 19 marzo ha diffuso una circolare diretta alle autorità portuali, ai carabinieri, alla polizia, alla guardia di finanza e alla marina militare che invita a impedire l’ingresso nelle acque e nei porti italiani alle navi private che abbiano operato attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali.

      Secondo la circolare, i salvataggi che avvengono in acque internazionali che non sono coordinate dall’Italia, non possono concludersi nel paese. La circolare crea un’ambiguità sul significato di zona di ricerca e soccorso libica. Da una parte infatti le autorità internazionali hanno riconosciuto alla Libia la capacità di compiere soccorsi nelle acque internazionali, d’altro canto però la Libia non può essere considerato un posto sicuro in cui riportare le persone soccorse. Dopo la diffusione della circolare, a bordo della Mare Jonio sono saliti degli agenti della guardia di finanza. “Alle 8 di mattina a bordo è salita la guardia di finanza che sta raccogliendo informazioni sul salvataggio”, racconta Lucia Gennari. La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo di indagine sul caso.

      Linea dura

      Il ministro dell’interno ha accusato i soccorritori di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: “Possono essere curati, vestiti, gli si danno tutti i generi di conforto, ma in Italia per quello che mi riguarda e con il mio permesso non mettono piede. È chiaro ed evidente che c’è un’organizzazione che gestisce, aiuta, e supporta il traffico di essere umani. O c’è l’autorità giudiziaria, che ovviamente prescinde da me che riterrà che questo non sia stato un soccorso e decide di intervenire legalmente, oppure il ministero dell’interno, che deve indicare il porto di approdo, non indica nessun porto”.

      Secondo Salvini, la nave “ha raccolto questi immigrati in acque libiche, in cui stava intervenendo una motovedetta libica. Non hanno ubbidito a nessuna indicazione, hanno autonomamente deciso di dirigersi verso l’Italia per motivi evidentemente ed esclusivamente politici. Non hanno osservato le indicazioni delle autorità e se ne sono fregati dell’alt della guardia di finanza”. Il ministro su Twitter ha poi attaccato uno dei soccorritori della nave, Luca Casarini, ex leader dei movimenti del nordest attivi durante il G8 di Genova nel 2001. Per Lucia Gennari il governo deve dare l’autorizzazione all’attracco il prima possibile: “La direttiva Salvini è solo un’indicazione politica del ministero dell’interno, per applicarla le autorità portuali dovrebbero pubblicare un decreto di attuazione che sarebbe impugnabile perché viola diverse norme internazionali”.

      Alessandro Metz, armatore della Mare Jonio, ha risposto alle accuse dicendo: “La direttiva è subordinata alle leggi e alle convenzioni internazionali, quindi o il governo decide di ritirare la propria firma da quelle convenzioni, trovandosi in una condizione di isolamento e rinnegando quella cultura giuridica che l’Italia rappresenta, essendo un popolo di naviganti”. Per Metz il governo deve indicare subito “un porto sicuro” di sbarco.

      Molti esperti hanno commentato la circolare diffusa dal ministero dell’interno sulla chiusura dei porti alle navi private che soccorrono persone in mare. Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale e direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), si è detto estremamente preoccupato dalla direttiva Salvini: “È una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme. Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. È una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale”.

      Anche Luigi Manconi e Valentina Calderone, presidente e direttrice di A buon diritto, hanno commentato: “Non esiste alcun provvedimento del consiglio dei ministri che abbia approvato una simile misura, illegale sotto il profilo normativo e costituzionale. Dunque i porti italiani erano e restano aperti, tanto più se a chiedere l’approdo è una nave italiana, battente bandiera italiana con equipaggio interamente italiano. E con 49 profughi soccorsi in mare in una zona più vicina alle coste italiane che ad altre coste (quelle di Malta, per esempio). Ovviamente, consegnare quelle persone alla guardia costiera libica e, di conseguenza, ai centri di detenzione di quel paese, avrebbe costituito una grave violazione del diritto internazionale”.

      Per il giurista Fulvio Vassallo Paleologo della clinica dei diritti di Palermo, esperto di diritto del mare, “la direttiva tradisce puntualmente tutte le convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita e alla integrità fisica delle persone. Questa omissione si traduce in una ennesima violazione del diritto interno e internazionale. Gravi le conseguenze per quelle autorità militari che dovessero dare corso a un provvedimento ministeriale manifestamente in contrasto con le Convenzioni internazionali e con il diritto dei rifugiati. Secondo l’Unhcr il diritto dei rifugiati va richiamato con funzione prevalente rispetto alle norme di diritto internazionale del mare e alle norme contro l’immigrazione irregolare”.

      Infine per Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, “la legge del mare è molto chiara, la Libia non è un place of safety, un posto che può essere considerato sicuro. L’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo sono sicuri”.

      Intanto al largo di Sabratha, in Libia, c’è stato un nuovo naufragio: a darne notizia è l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, ci sono stati solo quindici sopravvissuti, ma i morti potrebbero essere decine. Secondo Di Giacomo dall’inizio del 2019 “oltre 1.280 persone sono partite dalle coste del Nordafrica verso l’Europa” e i morti sono stati almeno 154. “Un aumento esponenziale dei morti rispetto ai migranti sbarcati”, afferma Di Giacomo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/03/19/matteo-salvini-mare-ionio

    • Italian police escort migrant boat, open trafficking probe

      An Italian charity ship was escorted into the port of Lampedusa by police on Tuesday after rescuing 49 Africans in the Mediterranean, with Interior Minister Matteo Salvini calling for the crew to be arrested.

      A judicial source said a magistrate had ordered that the boat, the Mare Jonio, be seized as an investigation is launched into allegations of aiding and abetting human trafficking.

      The vessel picked up the migrants, including 12 minors, on Monday after their rubber boat started to sink in the central Mediterranean, some 42 miles (68 km) off the coast of Libya.

      The humanitarian ship immediately set sail for the nearby Italian island of Lampedusa, defying Salvini, the leader of the hard-right League party who has ordered the closure of all ports to boats carrying rescued migrants.

      After initially being prevented from docking, the Mare Jonio was unexpectedly accompanied into port by police at nightfall as a storm approached.

      The judicial source said the migrants would be allowed to disembark, while the boat would be impounded and the crew faced possible questioning.

      “Excellent,” Salvini wrote on Twitter. “We now have in Italy a government that defends the borders and enforces the law, especially against human traffickers. Those who make mistakes pay the price,” he said.

      The government has repeatedly accused charity rescue boats of being complicit with people smugglers, who charge large sums to help migrants get to Europe. The NGOs deny the accusation.

      There was no immediate comment from the collective that organized Monday’s sea operation, “Mediterranea”. It said in an earlier statement that the rescue had been carried out in accordance with international human rights and maritime law.
      ARRIVALS FALL

      New arrivals to Italy have plummeted since Salvini took office last June, with just 348 migrants coming so far this year, according to official data, down 94 percent on the same period in 2018 and down 98 percent on 2017.

      His closed-port policy has helped support for his League party double since March 2018 elections. However, humanitarian groups say his actions have driven up deaths at sea and left migrants languishing in overcrowded Libyan detention centers.

      Salvini said on Monday the Mare Jonio should have let the Libyan coastguard pick up the migrants. Failing that, it should have taken them either to Libya or Tunisia rather than disobey initial orders not to enter Italian waters.

      “If a citizen forces a police roadblock they are arrested. I trust the same thing will happen here,” Salvini said.

      Mediterranea said its rescue operation had saved the migrants either from drowning or from being picked up by the Libyans and “taken back to suffer again the torture and horror from which they were fleeing”.

      Last August, Salvini blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week before finally letting it dock. Magistrates subsequently put him under investigation for abuse of power and kidnapping and have asked parliament to strip him of his immunity from prosecution.

      The upper house Senate is due to vote on that on Wednesday, but the request looks certain to be rejected, with Salvini arguing that he acted in the national interest.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-italy/italys-salvini-in-new-migrant-boat-stand-off-idUSKCN1R021Q?il=0

    • Sequestro Mare Jonio. Indagato il comandante, che dice «Avrei dovuto lasciarli morire?»

      Al vaglio degli inquirenti i contenuti delle comunicazioni via radio, in particolare gli alt intimati dalla Guardia di finanza e la decisione invece della nave di proseguire.

      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra previsto all’articolo 1099 del codice della navigazione. Sono questi i reati contestati al comandante Pietro Marrone della nave Mare Jonio, della Ong Mediterranea dal procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella e dal pubblico ministero Cecilia Baravelli. La Procura ha anche convalidato il sequestro della nave «Mare Jonio» fatto nella tarda serata di ieri dalla Guardia di finanza.

      Pronta la replica dell’Ong: «Ovviamente nei prossimi giorni faremo ricorso contro il sequestro. Noi non godiamo di nessuna immunità, ma siamo certi di avere operato nel rispetto del diritto e felici di avere portato in salvo 49 persone», si legge in un tweet Mediterranea saving humans.

      In quanto al comandante l’avvocato Fabio Lanfranco che, insieme alla collega Serena Romano, lo difende, fa sapere: «Abbiamo appreso che il comandante è indagato e che questo é prodromico al sequestro della nave, quindi è un atto dovuto. Non conoscendo gli atti stiamo ricostruendo il fatto. Il comandante si è comportato in modo estremamente corretto, ha salvato vite umane, il favoreggiamento a mio giudizio non sta né in cielo né in terra».

      Ne è certo anche lo stesso comandante. «Sono tranquillo, ho fatto il mio dovere. Avrei dovuto lasciarli morire? Rifarei tutto per salvare le persone», ha detto Pietro Marrone ai cronisti prima di entrare nel comando Brigata Lampedusa della Guardia di finanza, accompagnato dai suoi legali, per essere interrogato dal pm di Agrigento.
      La giornata

      Giornata di interrogatori oggi a Lampedusa, sul caso della Mare Jonio, la nave della missione Mediterranea sequestrata e fatta attraccare ieri dopo circa tredici ore d’attesa al largo dell’Isola con 50 migranti a bordo, fatti infine sbarcare.

      La procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In serata era volato a Lampedusa il procuratore aggiunto Salvatore Vella. Sentiti dalla Guardia di finanza fino a notte il comandante Pietro Marrone il provvedimento di sequestro, e poi l’armatore Beppe Caccia. Si continuano a sentire persone informate, compreso il capo missione Luca Casarini.

      Entro domani sera la procura dovrà decidere se convalidare il sequestro. Al vaglio degli inquirenti, in particolare, i contenuti delle comunicazioni via radio fra la Guardia di finanza che aveva intimato l’alt, chiedendo di non avvicinarsi al porto di Lampedusa, e il comandante dell’imbarcazione che ha disobbedito, decidendo di proseguire, a suo dire per questioni di sicurezza, per mantenere in assetto la nave in un mare fortemente agitato con onde alte.

      Verificata anche la «catena di comando istituzionale», dal ministero dell’Interno alle forze dell’ordine intervenute intimando l’arresto dei motori alla nave di soccorso battente bandiera italiana.

      INTERVISTA «Direttiva illegittima. Un abuso di potere come negli Stati autoritari» di Nello Scavo
      Migranti trasferiti in hotspot, non ancora interrogati

      Non sono stati ancora ascoltati dagli investigatori i 40 migranti soccorsi dalla Mare Jonio, che hanno trascorso la notte nell’ hotspot di Lampedusa dopo lo sbarco di ieri sera. Gli operatori del Centro li hanno rifocillati, alcuni di loro hanno pregato. «Sono bravi
      ragazzi, educati e pacati» dicono dal centro dove la situazione è tranquilla. Non si sa quando lasceranno la struttura di contrada Imbriacola, anche perché le condizioni meteo-marine a Lampedusa non sono buone e sono previste in peggioramento.
      Il comunicato di Mediterranea

      «All’indomani dello sbarco dei naufraghi a Lampedusa il sentimento prevalente in Mediterranea è la gioia profonda di aver portato in salvo in un porto sicuro 49 persone sottratte ai pericoli della traversata e alle torture libiche. Sono entrate in Italia cantando ’libertà, liberta» perché per loro il nostro è ancora il paese dei diritti umani e della salvezza possibile" informa in una nota Mediterranea Saving Humans.

      «Ieri sera è stato notificato al Comandante della Mare Jonio il sequestro probatorio della nave, su iniziativa della Polizia Giudiziaria, nello specifico la Guardia di Finanza. La contestuale identificazione del comandante è un atto dovuto per procedere al sequestro - si legge - Lo si accusa di non avere spento i motori, come ordinato dalla Guardia Costiera a poche miglia dalle acque territoriali italiane, mentre la Mare Jonio fronteggiava onde alte più di due metri, come si vede nel video che abbiamo diffuso ieri. Era un ordine impossibile da eseguire senza mettere in serio pericolo la sicurezza della nave e di tutte le persone a bordo, la cui tutela è l’obbligo prioritario di ogni comandante. Al momento non sono in corso interrogatori e non sono arrivate ulteriori notifiche. L’armatore di Mare Jonio è stato semplicemente convocato in capitaneria per le procedure di routine», sottolinea la Ong. «La nostra azione di obbedienza civile si è sempre mossa nel quadro giuridico delle norme vigenti, rispettando anche la loro gerarchia, avendo come bussola il diritto e i diritti che tutelano la vita e la dignità delle persone. Ancora una volta si potrà dimostrare che le navi della società civile sono gli unici soggetti del Mediterraneo centrale che agiscono con queste priorità», conclude la nota.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/mare-jonio-interrogatori

    • L’ammiraglio. «Direttiva illegittima. Un abuso di potere, come negli Stati autoritari»

      «Il provvedimento di chiusura del mare territoriale firmato dal ministro Salvini sospinge definitivamente il soccorso in mare nella pura strumentalizzazione politica con il rischio di creare, nella realtà operativa, situazioni ingestibili di confusione e di pericolo». Il contrammiraglio Vittorio Alessandro non nasconde la preoccupazione, specie dopo aver letto la direttiva di Salvini per fermare le Ong. «Un testo anomalo, chiaramente illegittimo e viziato di abuso di potere», dice l’ufficiale, ora in congedo. Temi che Alessandro conosce anche per essere stato a guida del reparto am- bientale marino della Guardia Costiera e per 3 anni a capo dell’ufficio relazioni esterne del comando generale, dal 2010 al 2013, gli anni delle primavere arabe e delle migliaia di sbarchi a Lampedusa.

      Cosa non la convince?
      La premessa della direttiva sta nella paventata ipotesi di “strumentalizzazione” delle convenzioni per la salvaguardia della vita umana in mare al fine di eludere le norme in materia di immigrazione clandestina. Una premessa del genere non vale a sospendere o a ridurre l’obbligo del soccorso (che si conclude con l’assegnazione di un porto sicuro), in quanto ogni principio a tutela dei diritti fondamentali (quello della libertà, per esempio, o il diritto alla salute) può essere strumentalizzato a fini illeciti, ma non per questo può essere ristretto.

      Quindi si tratta di un’escamotage per scopi politici?
      Tanto più quando, come nel nostro caso, il paventato rischio di un pregiudizio alla «pace, buon ordine, e sicurezza dello Stato costiero» è solo una lontana ipotesi mai constatata, e comunque perfettamente affrontabile allorché i naufraghi siano giunti a terra.

      Perché ritiene che la direttiva non possa superare l’esame di un eventuale ricorso giudiziario?
      Perché il provvedimento, per i suoi aspetti formali, è illegittimo. L’articolo 83 del codice della navigazione prevede, infatti, l’ipotesi della chiusura del mare territoriale (assai remota in un ordinamento che considera tali spazi aperti alla sosta e al transito inoffensivi delle navi) assegnandola alla esclusiva attribuzione del ministro delle Infrastrutture.

      Invece cosa prevedono le nuove indicazioni degli Interni?
      Il Viminale si interpone fra il vertice istituzionale dell’organizzazione marittima e del soccorso e la competenza operativa delle Capitanerie di Porto. Non, come giusto, con una missiva al ministro competente, ma con un proprio provvedimento indirizzato alle Forze di polizia e a una Forza armata, come negli stati autoritari.

      Però si tratta di ipotesi che dovranno poi misurarsi con la realtà.
      Ma è già successo proprio nel caso della Mare Jonio. La Guardia di Finanza ha ordinato, infatti, alla nave italiana di «fermare le macchine» in mezzo al mare agitato. Un ordine inaudito, sotto il profilo nautico: le macchine non servono soltanto a navigare, ma anche a difendersi dal moto ondoso, a mantenere a galla il natante. Non a caso la Guardia Costiera ha subito provveduto ad assegnare alla nave un punto di ancoraggio a ridosso di Lampedusa.


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/direttiva-illegittima-un-abuso-di-potere-come-negli-stati-autoritari

    • Italy seizes migrant rescue boat Mare Jonio

      A rescue boat carrying nearly 50 migrants has docked at the Italian island of Lampedusa. Interior Minister Matteo Salvini had denied the ship access to Italian ports, but relented in order to bring aid workers to trial.

      Sicilian prosecutors on Tuesday ordered the seizure of the Italian-flagged ship “Mare Jonio.” The rescue boat was allowed to dock on the Italian island of Lampedusa while accompanied by coast guard ships following nearly two days at sea.

      The decision ended a standoff between the migrant rescue boat and the Italian government. Italian Interior Minister Matteo Salvini had earlier ordered authorities to deny the ship access to Italian ports.

      Before issuing the permit to dock, prosecutors launched an investigation into possible aiding and abetting of illegal immigration. A move Salvini praised.

      “Now in Italy there is a government that defends the borders and ensures respect for the law, most of all for human traffickers,” he said. “He who makes mistakes, pays.”

      The group of 49 migrants, including 12 minors, were rescued by humanitarian group Mediterranea Saving Humans. “Those on board had been at sea for almost two days,” the NGO said in a statement. “(They) are exhausted and dehydrated.”

      ’Repressive’

      Salvini has come under fire for attempting to block migrant rescue boats from docking at Italian ports.

      Human rights watchdog Amnesty International last year accused the Italian government of “repressive management of the migratory phenomenon.”

      Italy has taken the brunt of a wave of migration after EU member states cut-off the so-called Balkan route. Nearly half a million irregular migrants have made the dangerous journey across the central Mediterranean and made landfall in Italy, according to the International Organization for Migration(IOM).

      Rome has conceded that saving lives at sea is a priority, but maintains that national authorities must be obeyed and premeditated action to bring immigrants to Italy would amount to facilitating human trafficking.

      Italy, with the support of the EU, has trained the Libyan coast guard to intercept boats carrying migrants in a bid to prevent migrants from reaching European shores.

      https://www.infomigrants.net/en/post/15804/italy-seizes-migrant-rescue-boat-mare-jonio?ref=fb

    • Le navire humanitaire « Mare Jonio » mis sous #séquestre en Italie

      Le ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a lancé lundi 18 mars un avertissement aux organisations humanitaires qui recueillent des migrants au large de la Libye.

      Le lendemain, le « Mare Jonio », un navire ayant secouru 49 migrants était bloqué au large de Lampedusa, et mis sous séquestre dans la soirée. Les membres de l’équipage ont été arrêtés.

      « Les ports ont été et restent FERMES ». C’est par un message lapidaire posté sur Twitter que le dirigeant de La Ligue et ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a annoncé lundi 18 mars que l’Italie ne laisserait pas débarquer les migrants secourus par les ONG.


      Cet avertissement de Rome contre les ONG humanitaires intervient alors que le « Mare Jonio », affrété par le Collectif Mediterranea, aussi connu sous le nom de Mediterranea Saving Humans, venait de recueillir 49 migrants au large des côtes libyennes.
      Le Mare Jonio bloqué puis placé sous séquestre.

      Mardi 19 mars au matin, le navire humanitaire s’est positionné au large de Lampedusa, petite île italienne située entre l’île de Malte et la Tunisie, mais aussi dans la principale zone de passage des migrants en provenance des côtes libyennes. « En raison de conditions météo défavorables, il nous a été assigné un point d’ancrage à l’abri, à Lampedusa. Nous abriter était la priorité pour garantir la sécurité de toutes les personnes à bord », avait tweeté Mediterranea en fin d’après-midi.

      Le ministère italien de l’intérieur a annoncé, mardi 19 mars au soir, que « les douanes sont en train de procéder à la saisie du navire Mare Jonio », précisant que « les interrogatoires des membres d’équipage pourraient avoir lieu dans les prochaines heures ». Mercredi 20 mars, de fait, la justice italienne a confirmé le placement sous séquestre du Mare Jonio dans le cadre d’une enquête pour « aide à l’immigration clandestine ».

      Mediterranea, le soir même, a posté un message sur Twitter : « évidemment nous allons déposer un recours dans les prochains jours. Nous ne jouissons d’aucune immunité, mais nous sommes certains d’avoir agi dans le respect du droit et heureux d’avoir porté ces 49 personnes en lieu sûr ».
      Un accord Italie – Libye au détriment des droits de l’homme.

      Alors que Matteo Salvini menace de « sanctions » ceux qui « violent explicitement les règlementations (…) concernant les sauvetages », il ajoute au sujet du « Mare Jonio », « il ne s’agit pas d’une opération de sauvetage, c’est de l’aide à l’immigration clandestine ».

      Fidèle à sa ligne politique, le leader de La Ligue (extrême droite) a quasiment stoppé les arrivées de migrants, invoquant l’accord passé entre la Libye et l’Italie, signé le 2 février 2017, et soutenu par l’Europe, qui prévoit un soutien logistique et financier de l’Italie et de l’UE aux garde-côtes libyens, chargés d’assurer la surveillance en mer dans leurs eaux territoriales. En échange, ces derniers empêchent les personnes quittant la Libye de se rendre en Europe.

      Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat de l’ONU pour la Méditerranée centrale, a commenté sur Twitter que « le droit maritime est clair : la Libye n’est pas un lieu sûr (…). L’Italie et les autres pays méditerranéens, eux, le sont », légitimant ainsi le sauvetage des migrants par les ONG humanitaires.
      Le 16 novembre 2017, les pratiques d’esclavage en Libye sur des migrants originaires d’Afrique subsahariennes avaient été révélées au grand jour à la suite d’une vidéo publiée par la chaîne américaine CNN. « La Libye est un pays déchiré par la guerre et où les personnes réfugiées et migrantes sont régulièrement détenues dans des conditions terribles en violation de leurs droits humains les plus élémentaires », précise une lettre ouverte à l’attention du ministre de l’intérieur Français, Christophe Castaner, et signée par une trentaine d’ONG européennes.
      Quels navires humanitaires croisent encore en mer Méditerranée ?

      De janvier à juin 2018 l’espace humanitaire continue de se rétrécir en Méditerranée, explique pour sa part l’ONG SOS Méditerranée. « Les garde-côtes libyens sont de plus en plus présents et effectuent des interceptions dans les eaux internationales au large de la Libye, conséquence d’un transfert de responsabilités de plus en plus systématique du Centre de coordination des sauvetages italien vers les garde-côtes libyens ».

      La mise sous séquestre du « Mare Jonio » prive désormais un peu plus la Méditerranée d’aide humanitaire. D’autres embarcations européennes ont été empêchées de prendre la mer et de porter secours ces derniers mois : le « Juventa », le « Sea Watch », et l’« Aquarius ».

      Matteo Salvini dresse un bilan positif de son action. « Moins de départs, moins d’arrivées, moins de morts », martèle-t-il.

      L’Organisation Internationale pour les migrations (OIM) fait état de 152 morts et disparus en Méditerranée centrale depuis le début de l’année. Les chiffres sont par contre en augmentation au large de l’Espagne, devenue la principale porte d’entrée sur le continent.

      En 2018, toujours selon l’OIM, 144 166 personnes ont migré vers l’Europe : presque 4 000 de moins qu’en 2017. Le nombre de personnes mortes en tentant la traversée a également baissé, à 2 299. Il est toutefois proportionnellement plus élevé que les années précédentes.

      https://www.la-croix.com/Monde/Europe/Le-navire-humanitaire-Mare-Jonio-mis-sequestre-Italie-2019-03-21-120101032

      –-> commentaire de Emmanuel Blanchard, via la mailing-list Migreurop :

      Les rares journalistes français qui évoquent le Mare Jonio continuent de le présenter comme partie prenante d’un projet humanitaire. Le sauvetage en mer n’est pourtant qu’une des ambitions de cette coalition, soutenue par MIgreurop, qui a toujours défendu la dimension politique de son action. C’est également pour cela qu’elle est si durement attaquée par Salvini.

    • Hotspot di Lampedusa: si teme che i migranti della Mare Jonio siano detenuti arbitrariamente

      Le 50 persone soccorse dalla Mare Jonio e condotte all’Hotspot di Lampedusa il 19 sera sono da allora trattenute all’interno della struttura. ASGI chiede l’autorizzazione urgente all’ingresso nell’hotspot.

      Inviata il 20 mattina alla Prefettura e alla Questura di Agrigento una richiesta di informazioni circa la condizione dei cittadini stranieri presenti nell’hotspot. Ad oggi non è stata ricevuta nessuna risposta.

      In particolare nella richiesta inviata dall’ASGI, nell’ambito delle azioni promosse dal Progetto Inlimine, si richiedevano chiarimenti rispetto all’accesso alla protezione internazionale, alla tutela dei minori e all’eventuale privazione della libertà delle persone presenti.

      Di fatto i cittadini stranieri, nel corso di questi giorni, non hanno lasciato la struttura e l’ente gestore ha comunicato per via telefonica a In Limine che non sussistono meccanismi di regolamentazione in merito all’uscita e al rientro dalla struttura delle persone presenti. L’ente gestore ha infatti sostenuto che trattandosi di un Centro di primo soccorso e accoglienza i cittadini stranieri debbano essere trattenuti al suo interno.

      Questa situazione desta grandi preoccupazioni: l’hotspot è percepito dall’ente responsabile della sua gestione come un centro di detenzione e le autorità pubbliche responsabili sembrano assecondare tale visione. Il problema della detenzione illegittima all’interno dell’hotspot di Lampedusa era già stato sollevato dal Garante dei diritti dei detenuti in data 11 maggio 2017. In tale occasione il prefetto di Agrigento alla richiesta del perché non venisse permesso alle persone di uscire dal Centro aveva risposto “se vogliono possono uscire da un buco nella rete”. In seguito, nel febbraio del 2018 il Prefetto inviava una comunicazione all’allora ente gestore con l’indicazione di dotarsi di sistemi per consentire ai richiedenti asilo di circolare liberamente. A oltre un anno da tale comunicazione, tali sistemi non sono stati adottati.

      Di fronte a questa allarmante situazione ricordiamo che la libertà personale è un diritto inviolabile, in quanto tale tutelato dalla Costituzione (art. 13) nonché da norme di diritto internazionale, tra cui l’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. La privazione della libertà può avvenire solo sulla base di norme che ne disciplinino tassativamente casi e modi, deve essere disposta da provvedimenti scritti e motivati e deve essere convalidata dall’autorità giudiziaria competente. Nel caso dei cittadini stranieri presenti a Lampedusa ci troviamo potenzialmente di fronte a tre diverse situazioni:

      Il trattenimento nel corso delle procedure di identificazione. Tale forma di detenzione non è prevista da alcuna norma ed è quindi di per sé illegittima.

      Per quanto concerne la privazione della libertà dei richiedenti protezione internazionale all’interno dei centri hotspot questa è prevista dall’art. 6 del D.lgs. n. 142/2015, che stabilisce che il richiedente asilo può essere trattenuto solo in appositi locali, al fine di determinare o verificare l’identità o la cittadinanza e, in ogni caso, esclusivamente ove vi sia un provvedimento scritto emesso e notificato dall’autorità competente e convalidato dall’autorità giudiziaria.

      Per quanto riguarda i cittadini stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento l’unica eccezione al trattenimento presso i Centri per il rimpatrio è contenuta nell’art. 13, co. 5-bis, del Testo Unico sull’Immigrazione. Questo prevede che in caso di indisponibilità dei posti all’interno dei CPR tali cittadini possono essere trattenuti in strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza solo dietro autorizzazione del giudice di pace e comunque non oltre le quarantotto ore successive all’udienza di convalida.

      In base a quanto visto sopra si ritiene che la detenzione cui sono sottoposti i 36 adulti, nel centro di Lampedusa potrebbe essere illegittima, sia nella sua fase iniziale – ovvero durante l’identificazione –sia nei momenti successivi, a meno che non siano stati emessi i provvedimenti di trattenimento e non vi sia stata la relativa convalida.

      Per quanto riguarda i minori, la situazione è evidentemente ancora più grave. Infatti, in nessun caso i minori non accompagnati possono essere trattenuti e devono essere accolti in “strutture governative di prima accoglienza a loro destinate” e, in caso di indisponibilità di posti in tali strutture, l’assistenza e l’accoglienza devono essere garantite dal Comune. Il trattenimento ovvero la permanenza dei minori nel centro hotspot è estremamente preoccupante in quanto illegittima e contraria al principio del superiore interesse del minore.

      Si invitano pertanto le autorità competenti a fornire nel minor tempo possibile informazioni sulla condizione delle persone soccorse dalla Mare Jonio, sulla messa in campo delle garanzie previste per gli eventuali trattenimenti e sulle misure adottate per l’immediato trasferimento dei minori. In data odierna è stata inviata richiesta di ingresso all’hotspot di una delegazione del progetto al fine di verificare l’effettivo rispetto dei diritti delle persone presenti.

      In ultimo, riteniamo sia indispensabile, dal punto di vista della società civile, prestare l’opportuna attenzione nei confronti delle procedure applicate alle 50 persone attualmente presenti a Lampedusa. Riteniamo, da questa prospettiva, che il tema del rispetto dei diritti e le potenziali frizioni tra diritto e prassi non si esauriscano con l’approdo e lo sbarco. Viceversa, è indispensabile continuare a mantenere alta la soglia dell’attenzione: va puntualmente garantito il rispetto dei diritti all’interno degli hotspot e nelle delicate fasi successive.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/lampedusa-mare-jonio-detenzione-hotspot

    • Refugee Ships Are Trying To Call Them During Emergencies — But They Aren’t Answering

      Twenty-nine calls from BuzzFeed News to a variety of numbers meant to summon the Libyan coast guard to help for drowning refugees in the Mediterranean went completely unanswered.

      Four years after the refugee crisis first brought the horrors of the dangerous Mediterranean crossing to the world’s attention, hundreds of people continue to die each year hoping to reach Europe’s shores.

      Over the course of 2016, the European Union determined that the coast guard in Libya, from whose shores many refugee boats set off, would to be the first call for groups undertaking rescue missions in hopes of saving the lives of those adrift at sea. Since last June, the main international body that issues guidelines on rescues at sea has agreed — Libya has the lead in the Mediterranean.

      A BuzzFeed News investigation has found that five different phone numbers provided by Libyan officials as contact numbers for search and rescue missions are barely functioning, and when they do, the staffers manning the phones are unable to speak English, in violation of international law.

      A reporter from BuzzFeed News tried to reach these five numbers on three different days and at six different times in a total of 30 contact attempts. Of those, 29 failed because the call was not answered. Among the numbers where no one could be reached were the two numbers listed in the international database for emergencies at sea — the UN International Maritime Organization’s (IMO) Search and Rescue database. The IMO entry says that the Libyans should be available 24 hours a day.

      The failure to adequately man the phones can have dire consequences. In 2016, at the peak of the crisis, more than 3,800 people are estimated to have died when attempting to make the crossing into Europe. According to the UN, the route between Libya and Italy was the most deadly, with one death for every 47 arrivals. That number has fallen but still remains high: 2,262 people were estimated to have died on the voyage last year.

      In response to the surge in migrants and asylum-seekers, the European Union opted in 2016 to divert money and personnel from its own rescue missions to the Libyan coast guard, hoping to discourage migrants and asylum-seekers from making the trek in the first place. The program has been renewed several times since then, most recently in the form of a pledge of $52 million this January to pay for maritime surveillance equipment.

      The UN database also lists a Gmail address as an official contact for the Tripoli mission. There are three further email addresses available that BuzzFeed News was able to locate, which are supposed to represent official contacts to the Libyan coast guard. One is a second Gmail account; the other is an address that belongs to the Italian Navy. None of the addresses contacted responded to BuzzFeed News requests for comment.

      Other organizations have had little better luck contacting Tripoli. Sea-Watch, an NGO that provides search and rescue efforts in the Mediterranean, has also provided BuzzFeed News radio recordings of several attempts on different days to reach the Libyan coast guard.

      Sea-Watch also provided a list of recorded attempts to reach the Libyan coast guard from the bridge of the Sea-Watch 3, one of their rescue ships. The list of 15 calls show 10 failed contact attempts — in five other cases, the Libyan side simply hung up.

      Ruben Neugebauer, a crew member who also acts as spokesperson for Sea-Watch, told BuzzFeed News that the situation had become the new normal.

      “The accessibility of the JRCC Tripoli is more than poor, it happens again and again that the control center is not accessible at all,” he said, using the Libyan mission’s official name. “If it can be reached, often only the local Arabic dialect is spoken.”

      Under the terms of the 1979 International Convention on Maritime Search and Rescue, which Libya has signed, all rescue coordination centers must be staffed around the clock and include staffers who speak English.

      Neugebauer recalled one case where a person on the Libyan end of the call could not communicate in English, French, or Egyptian Arabic: “Even though it was an emergency, the JRCC Tripoli employee simply hung up before we were able to share the most necessary information.”

      The operator’s lack of English language skills can also jeopardize the rescuers. Last November, a Libyan patrol boat intervened aggressively in an ongoing rescue mission. Five people died as a result.

      The Aquarius, a ship jointly operated by NGOs Doctors Without Borders and SOS Mediterranee, has noted in its public logbook almost 30 unsuccessful attempts to reach the Libyans during missions since June 2018 alone. Nine unsuccessful attempts to reach Libyan units on the radio channel reserved for emergency calls are also listed in the logbook.

      “For us, the JRCC Tripoli has never been reachable by phone so far,” Axel Steier, founder and chair of the NGO Mission Lifeline, told BuzzFeed News in an email. “Emails are answered after days.” BuzzFeed News asked Steier to estimate how often the Libyan authorities were available in cases of distress at sea in which Mission Lifeline’s rescue vessel was involved. His answer: “Zero percent.”

      Ina Fisher, a spokesperson for Alarm Phone, another NGO focused on rescues, told BuzzFeed News that in only two cases did phone calls placed to numbers meant to belong to the Libyan coast guard actually get answered. One number turned out to belong not to the coast guard but a retired general, she said. In the other call, the voice on the other end of the line said they could not help but did ask if they’d managed to save the boat in question.

      “We regularly send complaints to MRCC Rome about the JRCC’s inaccessibility, but again and again get the answer that the JRCC is working well,” Fisher said.

      “According to our experience, in case of SAR events involving our assets, the communication with the relevant MRCC, including the Libyan one, has been satisfactory,” Antonello de Renzis Sonnino, a captain in the Italian Navy and spokesperson for Operation Sophia, the EU’s international rescue mission, said in response to a BuzzFeed News request for comment.

      Last year, Italian and Maltese ports began refusing ships with refugees on board permission to enter their harbors, leaving ships to wait for days with refugees on board on the Mediterranean Sea. As a result, civilian sea rescuers have given up on contacting the rescue coordination center based in Rome and switched over to contacting the German Maritime Search and Rescue Association during emergencies in the Mediterranean, hoping to enlist them to contact the Libyans. The Germans, based out of the city of Bremen, are responsible for maritime search and rescue operations in the North and Baltic seas.

      Even they don’t always manage to reach the Libyan coast guard. Christian Stipeldey, the German rescue association’s press officer, confirmed to BuzzFeed News: “In January 2019 we tried to reach Tripoli by telephone in one case. The connection was not established.” The mission in Rome “was already aware of this case,” Stipeldey said.

      A spokesperson for the International Maritime Organization told BuzzFeed News that they were not in a position to comment on the reporting gathered for this article, adding that the IMO has no mandate to investigate the accessibility and reliability of regional command centers. A member state of the IMO could make such a request, however.

      The German Federal Ministry of Transport is considering putting the work of the Libyan coast guard on the agenda at the next meeting of the IMO’s subcommittee responsible for sea rescues, the ministry confirmed to BuzzFeed News. The ministry also said that in talks with Libyan representatives, it has regularly demanded that the protection of refugees in sea rescue be guaranteed.

      “You must appreciate that not every State can execute this function properly, especially if it has been under turmoil, like Libya,” George Theocharidis, a professor of maritime law and policy at World Maritime University in Sweden, told BuzzFeed News. “On the other hand, as every State has sovereignty, it is not possible to enforce those duties and it is left to the goodwill of States to perform what is required from them,” he added, noting that even the IMO can’t force a country to comply with the standards.

      BuzzFeed News has also asked the European External Action Service, the responsible EU commissioner, for comment on the Libyans’ inaccessibility. It has not provided a response at this time.

      Despite widespread knowledge of the problem, the confusion has not improved in recent months. A screenshot of an internal Sea-Watch chat provided to BuzzFeed News shows one crew member attempting to get in touch with the Libyans as recently as March 15. They were subsequently provided with a new phone number and instructed to speak very slowly.

      When someone actually answered the phone, the chat reads, “it was a Russian-sounding man replying, saying in English that he didn’t speak English, only Russian.

      “To my question, if anyone there spoke English, he replied, ‘Afternoon, English!’”

      https://www.buzzfeednews.com/article/marcusengert/libya-coast-guard-not-answering-emergency-refugee-rescue-cal

    • Rescued migrants hijack merchant ship off Libya

      Migrants have hijacked a merchant ship which rescued them off the coast of Libya and it is now heading towards Malta, Italian Deputy Prime Minister Matteo Salvini and Maltese authorities said on Wednesday.

      The 108 migrants were picked up by the cargo ship #Elhiblu_1 and hijacked the vessel when it became clear that it planned to take them back to Libya, according to the website of Italian daily Corriere della Sera and Italian news agencies.

      “These are not migrants in distress, they are pirates, they will only see Italy through a telescope,” said Salvini, who has cracked down on illegal immigration, including closing Italy’s ports to charity ships, since he took office in June last year.

      A spokeswoman for Malta’s armed forces confirmed the ship had been hijacked and said Maltese authorities were monitoring its progress and it would not be allowed to dock in Malta.

      “This is clearly a case of organized crime,” Salvini said on Facebook. “Our ports remain closed.”

      Salvini, the leader of the right-wing League party, has been at the center of several international stand-offs over his refusal to let humanitarian ships dock in Italy.

      This month parliament rejected a request by prosecutors to investigate him for kidnapping over a case in August when he blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week off Sicily before finally letting it dock.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-hijacking/rescued-migrants-hijack-merchant-ship-off-libya-idUSKCN1R81YF?feedType=RSS&

    • Un pétrolier, détourné par les migrants secourus, arrive à Malte

      Le pétrolier ravitailleur #Elhiblu 1, détourné par des migrants qu’il avait secourus mais qui ne voulaient pas être reconduits en Libye, est arrivé jeudi à Malte. Un commando de la marine maltaise en a repris le contrôle dans la nuit.

      Ce navire de 52 mètres qui bat pavillon de Palau avait secouru mardi au large de la Libye 108 migrants, dont 31 femmes ou enfants, à bord de deux canots en détresse, signalés par un avion militaire européen. Mais alors qu’il s’approchait de Tripoli pour les débarquer mercredi, il a subitement fait demi-tour et mis le cap au nord.

      Le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a immédiatement prévenu que le navire ne serait pas autorisé à pénétrer dans les eaux italiennes.

      Or, l’Elhiblu 1 faisait route vers Malte, où la marine a pu entrer en contact avec le capitaine alors que le navire était à 30 milles des côtes.

      Le contrôle « rendu au capitaine »

      Le capitaine a répété plusieurs fois qu’il n’avait plus le contrôle du navire et que lui-même et son équipage étaient forcés et menacés par un certain nombre de migrants exigeant qu’il fasse route vers Malte", a ajouté la marine dans un communiqué.

      Un patrouilleur a empêché le pétrolier de pénétrer dans les eaux territoriales de Malte et un commando des forces spéciales, soutenu par plusieurs navires de la marine et un hélicoptère, a été dépêché à bord « pour rendre le contrôle du bateau au capitaine ».

      Escorté par la marine maltaise, le navire est arrivé tôt ce matin dans le port de La Valette, où l’équipage et les migrants doivent être confiés à la police pour déterminer ce qui s’est passé et les responsabilités.


      https://www.rts.ch/info/monde/10324359-un-petrolier-detourne-par-les-migrants-secourus-arrive-a-malte.html

    • #IOM: Libya isn’t a safe haven for immigrants

      The International Organization for Migration (IOM) said Libya cannot yet be considered a safe port, saying it is present at the disembarkation points to deliver primary assistance to migrants that have been rescued at sea.

      In a statement on Tuesday, IOM added that following the migrants’ disembarkation, they are transferred to detention centres under the responsibility of the Libyan Directorate for Combatting Illegal Migration (DCIM) over which the Organization has no authority or oversight.

      “The detention of men, women and children is arbitrary. The unacceptable and inhumane conditions in these detention centres are well documented, and IOM continues to call for alternative solutions to this systematic detention.” The statement remarks.

      It indicates that the number of migrants returned to Libyan shores has reached over 16,000 since January 2018, and concern remains for their safety and security in Libya, due to the conditions in the detention centres.

      “IOM only has access to centres to provide direct humanitarian assistance in the form of non-food items, health and protection assistance, as well as Voluntary Humanitarian Return support for migrants wishing to return to their countries of origin.” It explained.

      The IOM also clarified that its access to detention centres in Libya is part of the efforts to alleviate the suffering of migrants but cannot guarantee their safety and protection from serious reported violations.

      It said it advocates for alternatives to detention including open centres and safe spaces for women, children and other vulnerable migrants.

      “A change of policy is needed urgently as migrants returned to Libya should not be facing arbitrary detention.” The statement reads.

      IOM further explained that security and humanitarian situations in Libya remain dangerous, and reiterated that Libya cannot be considered a safe port or haven for migrants.

      https://www.libyaobserver.ly/news/iom-libya-isnt-safe-haven-immigrants
      #Libye #ports_sûrs #port_sûr #asile #migrations #réfugiés #IOM #OIM

    • Refugee rescue ship running out of food and water with 64 on board as European countries argue over who should let it dock

      A newborn baby, five children and 20 women are among those on board the stranded vessel.
      A ship carrying 64 refugees is stranded at sea and running out of food and drinking water while European countries refuse to let it dock.

      The Alan Kurdi is a private rescue ship owned by Sea-Eye, a German NGO.

      The group on the vessel includes 20 women, five children and one newborn baby, according to a spokesperson for Sea-Eye.

      Staff on board rescued the group of refugees from a rubber dinghy near the Libyan coast last week and asked Italy and Malta, the two nearest countries, to open a port so the ship could dock.

      But both countries refuse to accept humanitarian ships that patrol the Mediterranean to rescue refugees.

      The Alan Kurdi has now spent six days at sea as European countries argue over who should accept the vessel.

      Matteo Salvini, Italy’s anti-immigration deputy prime minister, said the rescue ship was not welcome in the country.

      “A ship with a German flag, German NGO, German ship owner, captain from Hamburg. It responded in Libyan waters and asks for a safe port,” he said.

      “Good, go to Hamburg.”

      As supplies on the vessel run low, the European Union (EU) has entered discussions with its member states.

      On Tuesday, Sea-Eye said it had informed Malta, which is nearest to the boat, about the scarcity of food on board.

      Dominik Reisinger, a spokesperson for the organisation, said the “political question about the distribution of those rescued ... overshadows the human rights” of the refugees.

      The vessel’s difficulties come after the aid organisation Médecins Sans Frontières (MSF) ended its refugee rescue missions in the area.

      In December 2018, the group’s rescue vessel, Aquarius, was withdrawn from operations after what MSF alleged was a “sustained smear campaign” led by the Italian government.

      Operation Sophia, the EU’s maritime rescue mission, has also been downgraded, in a move that was condemned by rights groups and charities when it was announced in March 2019.

      The EU mission was credited with saving thousands of lives but no longer carries out maritime patrols in the Mediterranean, after Italy refused to receive the people rescued at sea.

      A spokesperson for Amnesty International described the decision as an “outrageous abdication of EU governments’ responsibilities”.

      The Alan Kurdi is named after the three-year-old boy whose body was found on a beach in Turkey in September 2015 at the height of the refugee crisis.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/refugee-rescue-ship-sea-eye-boat-eu-countries-refusing-to-let-it-dock

    • Avril 2019

      #Alarmphone was called this morning at approx. 6am CEST by 20ppl, incl. women & children in distress off the coast of #Libya +++ They report that 8ppl have fallen into the sea and are missing. They lost their engine, water is coming into their boat. Authorities are informed.

      Avec un fil twitter sur l’évolution de la situation :
      https://twitter.com/alarm_phone/status/1115945935601831940

      Fin de l’histoire : les Libyens sont intervenus et ont ramené les migrants en Libye...

      Li hanno ripresi i Libici. Il caso è chiuso. 15 ore senza interventi di soccorso. Governi europei, civilissime nazioni di grandi tradizioni e valori, sono riusciti a riconsegnare ai lager in una zona di guerra da cui scappavano, donne uomini bambini. Crimine e vergogna infinita.

      https://twitter.com/RescueMed/status/1116054434742714368

      Tweet de #sea_watch :

      While today 8 people already drowned, 20 others are alive but abandoned in distress. Meanwhile the Dutch gov. keeps our ship blocked with random policy changes. #SeaWatch 3 could be there to save lives now, but that doesn’t fit the European migration policy of letting drown.

      https://twitter.com/seawatch_intl/status/1115955541099057152

    • #Castaner persiste sur des « interactions » entre ONG et passeurs en Méditerranée

      Après avoir affirmé que les ONG « ont pu se faire complices des passeurs » en Méditerranée, Christophe Castaner a tenté une mise au point mardi, dégainant deux « rapports de Frontex » censés démontrer des « interactions ». Emmanuel Macron lui-même juge que des humanitaires font « le jeu des passeurs ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/100419/castaner-persiste-sur-des-interactions-entre-ong-et-passeurs-en-mediterran

    • La Mare Jonio torna a navigare. Siamo tutti coinvolti

      In questo momento il rimorchiatore Mare Jonio e la barca a vela d’appoggio Alex stanno solcando il mare in direzione del Mediterraneo Centrale, la rotta migratoria più mortifera a livello globale. «Torniamo a navigare ancora una volta decisi a rispettare fino in fondo il diritto internazionale del mare, i diritti umani e i principi della nostra Costituzione – hanno scritto ieri gli attivisti sul profilo facebook della missione – Ringraziamo le migliaia e migliaia di persone diventate in questi mesi Mediterranea. È solo grazie al loro supporto che possiamo farlo».

      La Mare Jonio era ferma dal 19 marzo scorso, quando tornò in Italia con a bordo 49 naufraghi salvati dalla morte o dal ritorno nell’inferno libico. Dopo l’apertura di indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il rimorchiatore era stato sottoposto a qualche giorno di sequestro probatorio presto revocato dalla procura di Agrigento. La nuova missione parte con la benedizione dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice che lunedì scorso ha incontrato Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, affermando pubblicamente di essere dalla parte di chi salva esseri umani.

      Ieri sera, invece, è stato pubblicato un comunicato congiunto degli equipaggi di Sea-Watch, Open Arms, Mediterranea Saving Humans, Sea-Eye, Alarm Phone, Seebrücke sulla vicenda che ha riguardato la nave Alan Kurdi. L’imbarcazione della ong Sea-Eye aveva salvato 64 persone il 3 aprile scorso. Solo ieri i naufraghi sono stati prelevati e fatti sbarcare dalle motovedette militari maltesi. L’attracco della nave nel porto di La Valletta, invece, non è stato autorizzato. I profughi saranno ora «redistribuiti» tra Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo.

      «I negoziati intergovernativi portati avanti mentre le persone soccorse erano costrette a rimanere in condizioni non sicure in alto mare per oltre dieci giorni – recita il comunicato congiunto – sono pratiche illegittime e insostenibili che violano il diritto internazionale, i principi fondamentali dei diritti umani e non rispettano la dignità delle persone salvate». «Per noi, la società civile impegnata nel Mediterraneo centrale – continua il testo – la dignità e i diritti delle persone sono sempre una priorità assoluta e guidano tutte le nostre pratiche».

      La missione di Mediterranea iniziata questa mattina si inserisce in un nuovo contesto politico, segnato dalla rinnovata instabilità libica e dall’escalation militare che interessa Tripoli. Il conflitto tra le milizie di Haftar e quelle di Serraj, sostenuto dal governo italiano e dall’Unione Europea, hanno reso evidente a tutti, amesso che ancora ce ne fosse bisogno, che la Libia non è un «paese sicuro». Chi continua a ripeterlo diffonde fake news e menzogne che producono morte e legittimano l’inferno dei lager, delle violenze, degli stupri.

      A tutto questo bisogna reagire adesso. Mediterranea lo sta facendo. Lo stanno facendo gli equipaggi di mare, che hanno deciso di sfidare senza paura le aggressioni politiche e giudiziarie e i possibili comportamenti scomposti della cosiddetta «guardia costiera libica». Lo stanno facendo gli equipaggi di terra, che instancabilmente lavorano a livello economico, organizzativo e legale per rendere possibili le missioni. Dovrebbe farlo chiunque non accetta questa situazione, sostenendo come può la missione Mediterranea, che è completamente autofinanziata e ha urgente bisogno di nuovi fondi, ma anche preparandosi a mobilitarsi affinché nessuno resti solo, né in mare né in terra.

      https://www.dinamopress.it/news/la-mare-jonio-torna-navigare-tutti-coinvolti

    • Nella direttiva contro Mare Jonio solo propaganda. Il Viminale rispetti i diritti umani

      Apprendiamo che il Viminale ha dedicato, nella sua intensa attività di produzione di “direttive ad navem”, una nuova direttiva interamente dedicata alla nostra nave, Mare Jonio, salpata per la seconda missione del 2019 il 14 aprile scorso.

      La direttiva appare scritta come se il Governo vivesse in un mondo parallelo. Nessun accenno alla guerra che infiamma la Libia e ai corrispettivi obblighi internazionali né alle migliaia e migliaia di persone torturate negli ultimi anni in quel Paese né a quelle annegate nel Mediterraneo centrale (in proporzione in numero sempre crescente, 2.100 nel solo 2018). Forse dovrebbero parlarsi tra Ministeri: la Ministra della Difesa italiana ha appena affermato infatti che “con la guerra non avremmo migranti ma rifugiati e i rifugiati si accolgono”.

      Nelle considerazioni introduttive della direttiva in questione, si leggono una serie di slogan di propaganda, oltre che un elenco di bugie, peraltro relative a eventi al momento sotto l’attenzione della Procura di Agrigento nel corso dell’indagine che ci riguarda e che abbiamo accolto offrendo tutta la nostra collaborazione. Sappiamo infatti di avere sempre rispettato i diritti e il diritto, cosa che i governi europei, e il nostro in particolare, dovrebbero cominciare a fare in relazione a quanto avviene nel Mediterraneo Centrale.

      La direttiva dice che la nostra presenza in mare sarebbe un incentivo per chi lascia la Libia: bisognerebbe appunto ricordare al Viminale che in Libia c’è una guerra, e che in ogni caso, come l’ONU e l’UE non perdono occasione di ricordare, quel paese non è mai stato un porto sicuro, ma piuttosto il teatro di “indicibili orrori”, stupri quotidiani, torture, esecuzioni sommarie per tutti i migranti, inclusi i bambini.

      La direttiva dice che rischiamo di favorire l’ingresso di pericolosi terroristi. Auspichiamo che, una volta sbarcate nel porto più sicuro le persone eventualmente soccorse, questo governo sia in grado di effettuare tutte le indagini necessarie a garantire la sicurezza pubblica, ricordando però che i terroristi solitamente non viaggiano su barche che in un caso su tre affondano, ma che hanno ben altri mezzi per spostarsi.

      La direttiva dice che avremmo rifiutato il coordinamento SAR di autorità straniere legittimamente responsabili. Ricordiamo che nel nostro soccorso avvenuto il 18 marzo, nessuna autorità ci ha ordinato alcunché, se non di stare lontani 8 miglia da un punto dal quale siamo rimasti ben più distanti per tutto il tempo. In ogni caso, ci auguriamo che la direttiva non faccia riferimento all’autorità libica, poiché in questo caso, si tratterebbe di una istigazione a delinquere: se già in precedenza era un reato riportare in Libia le persone soccorse, oggi, con la guerra in corso, è un’affermazione semplicemente criminale.

      La cosiddetta guardia costiera libica, su delega e finanziamenti italiani, ha catturato per anni le persone in mare riportandole in quell’inferno e rimettendole in mano ai trafficanti, contrastati di fatto solo dalla presenza delle navi della società civile, le uniche a strappare le persone soccorse dalle mafie criminali. Sempre in relazione all’evento del 18 marzo, contrariamente alle menzogne riportate dalla direttiva, ricordiamo di avere fatto rotta verso l’Italia, obbedendo linearmente a quanto previsto dal diritto internazionale, in quanto Lampedusa era il porto sicuro più vicino per i naufraghi soccorsi.

      La direttiva ci accusa infine di volere condurre nuovamente le stesse attività: lo confermiamo. Siamo di nuovo nel Mediterraneo, grazie alle tantissime realtà e persone che ci sostengono, per continuare nella nostra missione di monitoraggio e denuncia della violazione dei diritti umani, senza sottrarci mai all’obbligo giuridico ed etico di salvare le vite in pericolo e portarle in salvo.

      Ci atterremo, nel farlo, esattamente come chiede la direttiva, alle vigenti norme nazionali e internazionali, cosa che implica l’impossibilità di fare alcun riferimento alla Libia, certi che anche l’illegittimità della sua zona SAR sarà presto definitivamente riconosciuta.

      Diffidiamo altresì chiunque, e nella fattispecie il Ministro dell’Interno italiano, dal mettere in atto comportamenti che violino le leggi nazionali ed internazionali in materia di rispetto dei diritti umani e di obbligo di salvataggio in mare.

      https://mediterranearescue.org/news/nella-direttiva-contro-mare-jonio-solo-propaganda-il-viminale-ri

    • Pourquoi l’extrême-droite européenne a quasiment réussi à faire interdire les sauvetages de réfugiés en Méditerranée

      Des navires comme l’Aquarius ou le Sea Watch, affrétés par des associations, ont sauvé des dizaines de milliers de vies en Méditerranée. Mais depuis deux ans, les autorités italiennes et européennes ont multiplié les entraves. L’Italie leur a fermé ses ports depuis l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini et de son parti d’extrême droite. Il n’est pas le seul à harceler les sauveteurs. Des bateaux sont saisis ou bloqués à Malte, en Espagne, leurs équipages sont menacés de poursuites. Et ce, dans l’indifférence des autres gouvernements européens. Les réfugiés, eux, continuent de mourir ou sont interceptés par les garde-côtes libyens. Bilan d’un naufrage européen.

      Quand une majorité d’électeurs français ont élu Emmanuel Macron contre Marine Le Pen en mai 2017, ils ne pensaient probablement pas que l’un de ses futurs ministres de l’Intérieur tiendrait le même discours que la candidate du FN et le reste de l’extrême droite européenne. C’est pourtant ce qui est arrivé le 5 avril. En marge du G7 des ministres de l’Intérieur, Christophe Castaner a déclaré que les ONG qui secourent des embarcations de migrants en péril en Méditerranée ont « pu se faire complices des passeurs ». C’est exactement l’argumentaire utilisé par Marine Le Pen un an plus tôt [1] en échos aux déclarations du ministre d’extrême-droite italien Matteo Salvini. Depuis que celui-ci est au pouvoir, les entraves mises aux organisations de sauvetage en mer ont redoublé.

      En juin 2018, dès la formation du gouvernement de coalition entre la Ligue du Nord (extrême-droite) et le Mouvement 5 Étoiles (M5S), Matteo Salvini décide de fermer les ports italiens aux bateaux des organisations non-gouvernementales de sauvetage. L’Italie refuse alors le droit d’accoster à l’Aquarius, affrété par l’ONG française SOS Méditerranée, et au Lifeline, d’une association allemande, alors qu’ils ont recueilli à bord des dizaines de réfugiés. « Normalement, selon le droit maritime, les gouvernements ne peuvent pas fermer leurs ports à des embarcations », déplore une activiste française de l’ONG allemande Sea Watch, qui souhaite garder l’anonymat. Mais les autorités italiennes cherchent tous les prétextes possibles pour le faire.
      Des accusations de collusion avec les passeurs, sans aucune preuve

      Sur le front juridique, les attaques contre les ONG ont commencé depuis deux ans. Au printemps 2017, le procureur de Catane, en Sicile, déclare soupçonner une collaboration entre des organisations de sauvetage et des trafiquants d’êtres humains. Sans aucun élément de preuves, l’affaire s’est finalement dégonflée. Les menaces de poursuites judiciaires et de mises sous séquestre des navires se sont cependant poursuivies. En août 2017, le parquet de Trapani, toujours en Sicile, saisit le navire Luventa de l’ONG allemande Jugend Rettet. Raison invoquée : soupçon de collaboration avec des passeurs lors de trois opérations de sauvetage en 2016 et 2017 (voir le travail d’enquête qu’a réalisé à ce sujet le collectif de recherche Forensic Architecture, basé à l’université Goldsmiths de Londres). L’ONG avait refusé, avec d’autres, de signer le « code de conduite » que les autorités italiennes voulaient leur imposer. Le texte leur demandait notamment de s’engager à ne pas entrer dans les eaux territoriales libyennes.

      « Notre navire se trouve en saisie préventive, fait savoir à Basta ! le président de Jugend Rettet, Julian Pahlke. La saisie peut être effectuée sans qu’aucune procédure judiciaire ne soit lancée. Elle est couverte par un paragraphe de loi anti-mafia ». Les autorités italiennes ont mis sous séquestre le navire de l’ONG allemande depuis plus d’un an et demi sans même qu’une procédure judiciaire ne soit ouverte ni contre l’ONG, ni contre ses membres. « Nous sommes allés jusqu’à la plus haute instance juridique italienne pour contester cette saisie », poursuit le jeune homme. En vain. L’ONG dit aujourd’hui préparer une plainte devant la Cour européenne des droits humains pour pouvoir récupérer son bateau.
      Des navires saisis ou bloqués de manière arbitraire, sans procédure judiciaire

      En mars 2018, c’est le navire de l’organisation espagnole Open Arms qui est placé sous séquestre par les autorités italiennes. Le procureur de Catane leur reproche d’avoir refusé de remettre aux garde-côtes libyens plus de 200 réfugiés secourus en mer. Une enquête pour organisation criminelle d’aide à l’immigration illégale est alors ouverte contre le capitaine du navire, le coordinateur et le directeur de l’ONG. Quelques mois plus tard, en novembre, la justice italienne déclare soupçonner l’Aquarius de traitement illégal de déchets toxiques. La menace d’un placement sous séquestre plane, mais l’accusation ne tient pas. La même année, le bateau de SOS Méditerranée reste coincé pendant des semaines dans le port de Marseille parce qu’il vient de perdre son pavillon, le pays de rattachement du bateau. Le Panama lui retiré l’immatriculation suite à une plainte de l’Italie. Juste avant, Gibraltar avait fait de même. Résultat : entre fin septembre et fin novembre 2018, plus aucun bateau d’ONG de sauvetage n’était présent au large de la Libye.

      Tout récemment encore, début février 2019, le parquet de Catane a bloqué plusieurs jours l’un des navires humanitaires de Sea Watch. Il venait de débarquer avec 47 réfugiés secourus au large des côtes libyennes, après avoir été coincés des jours sur le bateau au large, parce que Salvini leur refusait l’accès au port. Le ministre menace aussi l’ONG de poursuites en justice. Le parquet a finalement considéré qu’aucun délit n’a été commis par l’ONG, mais ordonne des vérifications techniques, ce qui immobilise le navire. Sea Watch a dénoncé un blocage politique injustifié. Puis, c’est le Mare Jonio, affrété par le collectif d’activistes italiens Mediterranea, qui est saisi pendant huit jours, mi-mars, au port de Lampedusa. Il venait de secourir 49 personnes.
      « Une preuve accablante que certains États abusent de leurs pouvoirs »

      Le zèle des autorités italiennes pour bloquer les navires inspire aussi d’autres pays. Sea Watch rencontre des difficultés avec les Pays-Bas, le pavillon sous lequel ses bateaux naviguent. Après des travaux d’entretien, les autorités néerlandaises ont empêché leur bateau Sea Watch 3 de retourner en zone de sauvetage. « Jusqu’à ce que le gouvernement néerlandais soit sûr que nous nous conformions aux exigences techniques d’un nouveau règlement, Sea Watch est obligé de suspendre ses missions et sera probablement soumis à une nouvelle série d’inspections grotesques », a réagi l’ONG dans un communiqué. Les Pays-Bas invoquent des préoccupations pour la sécurité des personnes secourues si le navire doit rester longtemps en mer, faute de port prêt à les accueillir, comme cela arrive de plus en plus souvent.

      « Nous ne pouvons être tenus responsables de l’état actuel des blocages prolongés et inhumains en mer. Au contraire, cette situation est une preuve accablante que certains États européens abusent de leurs pouvoirs », répond Sea Watch. Pour elle, les Pays-Bas, derrière des prétextes techniques, cherchent à empêcher les opérations de sauvetage en inventant « de nouveaux moyens pour contrôler les navires d’ONG dans le contexte de la politique migratoire ».

      Une troisième ONG allemande, celle qui affrète le bateau Lifeline, a fait l’objet d’un long procès à Malte. En juillet 2018, les autorités maltaises ont laissé accoster le Lifeline avec plus de 200 personnes réfugiées, après une semaine d’errance en Méditerranée. Puis, Malte a mis le navire sous séquestre et engagé un procès contre le capitaine. L’accusation ? Ne pas avoir correctement enregistré le bateau. Le jugement doit finalement être rendu le 14 mai prochain. En Espagne aussi, les conditions se durcissent. En janvier, les autorités maritimes espagnoles ont refusé au navire d’Open Arms de repartir en mer. Il venait d’accoster dans un port du sud de l’Espagne avec plus de 300 réfugiés fin décembre.
      Renvoyer les embarcations vers la Libye

      « Des barrières se mettent en place à tous les niveaux pour qu’on ne puisse plus retourner dans la zone de sauvetage dans les eaux libyennes », analyse l’activiste française de Sea Watch. Depuis juin 2018, la Libye dispose de son propre Centre régional opérationnel de surveillance et de sauvetage en mer (Cross), un centre de coordination pour les sauvetages maritimes. La mise en place d’un tel centre sur le sol libyen fait partie du plan de la Commission européenne de 2017 pour réduire les flux migratoires en Méditerranée [2]. « La zone de sauvetage où nous naviguons est un carré au nord de Tripoli, vers lequel les courants et les vents emmènent les embarcations qui partent de la capitale libyenne. Avant, le Cross dont dépendait cette zone de navigation était Rome. Nous avions l’obligation de diriger les embarcations en difficulté vers les ports les plus proches du Cross de Rome, donc des ports italiens ou maltais. »

      Avec la création d’un Cross à Tripoli, les embarcations peuvent être renvoyées vers la Libye. Alors même que, depuis début avril, des combats se déroulent, aux abords de Tripoli, entre les forces de l’Armée nationale libyenne autoproclamée du général Haftar, et les milices alliées au gouvernement reconnu par la communauté internationale. « Certains affrontements ont lieu également à proximité des centres de rétention des services de l’immigration à Qasr Ben Gashir et Ain Zara, où quelque 1300 personnes réfugiées et migrantes sont actuellement détenues », rappelle Amnesty International le 8 avril.
      80 000 personnes sauvées en deux ans

      En 2017, l’Union européenne a alloué 46 millions d’euros d’aide aux gardes-frontières et gardes-côtes libyens. En février, la France leur a même offert des navires [3]. L’objectif de ces généreux dons est de maintenir les migrants de l’autre côté de la Méditerranée. Pourtant, un rapport de l’Onu avertissait encore fin 2018 des « horreurs inimaginables » auxquelles sont confrontés les personnes migrantes en Libye. En novembre 2017, un documentaire de CNN montrait comment des migrants y étaient vendus comme esclaves.

      La politique italienne et européenne semble avoir pour priorité d’empêcher les personnes d’arriver sur le sol européen, quel qu’en soit le prix en termes de violation des droits humains, de conséquences humanitaires, et de morts. En 2018, plus de 2200 personnes ont péri en tentant la traversée entre la Libye et l’Italie, mais aussi entre le Maroc et l’Espagne. Au moins 350 sont morts depuis janvier (selon les chiffre du Haut commissariat aux réfugiés de l’Onu, ici). Fin mars, l’Union européenne a décidé de retirer ses bateaux de l’opération Sophia des eaux méditerranéennes (des navires militaires français, italiens, allemands, espagnols ou belges placés sous commandement franco-italien). Même si ce n’était pas leur mission principale – qui était de lutter contre les passeurs –, ces navires avaient secouru environ 45 000 personnes depuis 2015. Sur la seule période allant de 2015 à avril 2017, les différentes ONG de sauvetage en Méditerranée ont de leur côté sauvé plus de 80 000 personnes (voir notre article et ce rapport d’Amnesty de juillet 2017).
      « Nous n’avons plus de bateaux en mer pour le moment »

      « Nous n’avons plus de bateau en mer pour le moment », signale l’activiste de Sea Watch. SOS Méditerranée, qui est à la recherche d’un nouveau navire, non plus. Le Lifeline est toujours bloqué à Malte, le navire de Jugend Rettet en Italie, et celui d’Open Arms en Espagne. Le Mare Jonio opère toujours. Et le navire Alan Kurdi de Sea Eye, une autre organisation allemande, a secouru le 4 avril 64 personnes au large de la Libye. Le gouvernement italien a déclaré qu’il ne le laisserait pas accoster. Il a fallu dix jours, et deux évacuations pour urgences médicales, pour que Malte laisse enfin le Alan Kurdi accoster. La France et l’Allemagne se sont engagés à accueillir une partie des 64 réfugiés.

      Toute l’Italie n’est pas sur la ligne de Salvini. Des maires de gauche s’opposent publiquement à cette politique de fermeture des ports et au décret adopté en novembre qui ampute les droits des exilés. En mars, une manifestation antiraciste a réuni 200 000 personnes dans les rues de Milan. La justice italienne a même ouvert une enquête contre Salvini pour séquestration, pour les 46 réfugiés du Sea Watch à qui il avait refusé le droit de débarquer fin janvier. C’est la deuxième enquête de ce type lancée contre le ministre. La première avait été bloquée par le Sénat italien. En Allemagne, des dizaines de villes se sont déclarées « ports sûrs » ces derniers mois à l’appel de l’association Seebrücke. Ces communes se sont engagées à accueillir des personnes secourues en Méditerranée ou à soutenir les ONG de sauvetage.

      https://www.bastamag.net/Pourquoi-l-extreme-droite-europeenne-a-quasiment-reussi-a-faire-interdire-

    • Migranti sono in pericolo di vita, ma soccorritori italiani e libici non si capiscono: le intercettazioni

      Alle 13.25 del 17 marzo scorso arriva a Tripoli una chiamata dal coordinamento di Roma che deve «girare» ai colleghi libici l’sos del gommone in avaria con a bordo 48 migranti in imminente pericolo di vita. Per la legge, al centralino di Tripoli dovrebbe rispondere 24 ore al giorno un ufficiale della guardia costiera locale in grado di parlare l’inglese. Gli italiani impiegheranno quasi due minuti a trovare l’ufficiale e quasi un quarto d’ora a comunicare – chiamando poi un interprete arabo - le coordinate del gommone.

      https://video.repubblica.it/dossier/migranti-2019/migranti-sono-in-pericolo-di-vita-ma-soccorritori-italiani-e-libici-non-si-capiscono-le-intercettazioni/332460/333055
      #gardes-côtes_libyens #vidéo

    • « Salvini répète que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’à #Lampedusa, les migrants arrivent toujours ? »

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont rarissimes mais la route traditionnelle entre la Tunisie et l’île italienne s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal »

      Les deux navires orange et blancs de la « guardia di finanza » n’ont pas bougé de la nuit. Immobiles, ils mouillent toujours à l’entrée du petit port de Lampedusa, qui s’éveille mollement en ce premier jour du mois de mai.

      La lumière printanière est déjà là, mais les cohortes de touristes apportées par les compagnies charter ne sont pas encore arrivées. Bientôt les hôtels seront pleins, et cette île microscopique perdue au milieu de la Méditerranée, à moins de 150 km à l’est des côtes tunisiennes, sera complètement congestionnée. Mais pour quelques jours, les 5 000 habitants sont encore entre eux.

      Il a plu une bonne partie de la nuit, si bien que peu de bateaux sont partis en mer. Du coup, l’activité dans l’anse est particulièrement réduite. A quai, les pêcheurs s’affairent en silence. A vrai dire, rien ne laisserait paraître qu’il s’est passé quelque chose de particulier dans la nuit. Et pourtant…

      A quelques centaines de mètres de là, au pied de la mairie – un bloc de béton sans charme particulier, qui fait figure de centre du bourg –, une petite centaine d’habitants préparent les cérémonies de la fête des travailleurs, tandis qu’une mauvaise sono crache en boucle, à plein volume, des standards de la pop italienne des années 1970-1980. Air un peu fermé, teint buriné et écharpe au vent, le maire de l’île, Salvatore (dit « Toto ») Martello, passe d’un petit groupe à l’autre, discutant avec chacun à voix basse.

      Il s’arrête près de nous et nous confie, comme s’il reprenait une conversation interrompue cinq minutes plus tôt : « On les cherchait partout et ils sont arrivés dans le port hier soir, un peu avant 23 heures, sous la pluie. Vingt personnes à bord, quinze hommes et cinq femmes. On les a immédiatement conduits au centre d’accueil, pour enregistrement ». « Ils », ce sont les migrants partis de Tunisie sur une barque de bois que, durant toute la journée précédente, les maigres moyens de secours subsistant dans la zone avaient recherché avec inquiétude.
      Une situation inconfortable

      On avait suivi leur équipée heure par heure, et, dans l’après-midi, on avait craint le pire pour les occupants de ce gros canot qui semblaient avoir été avalés par la mer. Les avions de reconnaissance avaient multiplié les manœuvres infructueuses, alors que le ciel menaçant compliquait de plus en plus les recherches. Et soudain, au milieu de la nuit, le canot est arrivé à bon port tout seul. Comme par miracle.

      « Vous avez l’air surpris, mais ce genre d’arrivée est très fréquent, assure le maire. Les côtes africaines sont juste à côté, le trajet depuis la Tunisie n’est pas si difficile et les Tunisiens connaissent bien la mer. Seulement, pour l’instant, le gouvernement fait tout pour qu’on n’en parle pas. Vu que [le ministre de l’intérieur] Matteo Salvini répète partout que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’ici, les migrants arrivent toujours ? »

      Natif de l’île et figure historique de la gauche locale, Toto Martello a été réélu à la mairie de Lampedusa – il avait déjà occupé le poste de 1993 à 2002 –, à l’été 2017, après la défaite retentissante de la sortante, Giusi Nicolini, dont l’aura de pasionaria des droits des migrants avait fini par irriter une partie de la population de l’île. Moins militant que ne l’était sa devancière, il reste partisan de l’ouverture des ports, et de l’assistance aux personnes perdues en mer – comment pourrait-il en être autrement quand on est fils de pêcheurs ?

      Aussi l’arrivée au ministère de l’intérieur du dirigeant de la Ligue, Matteo Salvini, en juin 2018 a-t-il placé l’île tout entière dans une situation inconfortable.

      « Mes rapports avec la région Sicile, à laquelle Lampedusa est rattachée, sont très bons. Quand je suis allé à Bruxelles, il y a quelques mois, j’ai été reçu par le président du Parlement Antonio Tajani, le commissaire européen aux migrations Dimitris Avramopoulos et aussi des membres du staff de Federica Mogherini [à la tête de la diplomatie européenne],énumère Toto Martello. Mais quand j’écris au ministère de l’intérieur, il ne répond pas, il n’accuse même pas réception. Comme Salvini ne peut pas changer la situation à Lampedusa, il cherche à nous faire disparaître. Il veut qu’on nous oublie. »
      « Bateaux mères »

      Certes, en comparaison des années précédentes, la pression migratoire à Lampedusa a considérablement décru.

      « Quand je suis arrivé sur l’île, en 2015, il y avait eu 23 000 arrivées enregistrées. En 2016 on était passé à 13 000, puis 9 500 et 2017 et finalement 3 500 en 2018. Le début de l’année a été marqué par une mer très difficile, si bien que le chiffre des arrivées doit être très bas, mais il n’est pas vraiment significatif », explique Alberto Mallardo, représentant de l’ONG Mediterranean Hope, émanation des églises protestantes italiennes, très active sur l’île.
      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR

      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR "LE MONDE"

      Le « hotspot » de Lampedusa, où les migrants doivent être enregistrés avant de partir dans d’autres centres d’accueil, en Sicile ou sur le continent, était naguère plein à craquer. Il tourne désormais au ralenti, et on ne croise plus, comme c’était encore le cas en 2017, de groupes de demandeurs d’asile africains dans les environs de l’église.

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont devenues rarissimes, et c’est plutôt la route traditionnelle entre les côtes tunisiennes et Lampedusa qui s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal ». Mais l’équilibre de cette situation est très fragile, et pourrait être remis en cause en cas d’effondrement de l’actuel gouvernement de Tripoli.

      Par ailleurs, les derniers mois ont vu un certain changement du mode d’arrivée des demandeurs d’asile. Après les grands bateaux contenant plusieurs centaines de migrants, qui ont cessé de venir après 2014, il y avait eu les canots gonflables, qui n’avaient plus pour objectif d’atteindre Lampedusa mais plutôt d’arriver dans les eaux internationales où ils étaient secourus par les navires de l’opération Sophia ou ceux des ONG.

      Ce type de départs s’est tari depuis la mi-2017 et les accords avec la Libye.« Ce qui se développe actuellement, c’est un système dans lequel les migrants sont convoyés par des sortes de “bateaux mères”, détaille Alberto Mallardo. Ces embarcations sont assez importantes, elles peuvent faire le voyage jusqu’à Lampedusa ou la Sicile. Et une fois arrivés à proximité des côtes italiennes, elles débarquent discrètement leurs passagers dans de plus petites embarcations, de dix à douze personnes ». Puis les passeurs s’éloignent.
      « Efficacité de la propagande mise en place par Salvini »

      Observateur des incessantes mutations des routes migratoires, le journaliste Mauro Seminara, qui vit sur l’île depuis le milieu des années 2000, relativise l’importance des changements des derniers mois.

      « Tout cela est très fragile, et peu évoluer à tout moment assure-t-il. Ce qui me frappe, en revanche, c’est l’efficacité de la machine de propagande mise en place par Matteo Salvini. Le 11 avril , un bateau avec 70 migrants est arrivé ici depuis la Tunisie. Le ministère de l’intérieur a affirmé qu’après 24 heures ils avaient tous été renvoyés chez eux, et ici, sur l’île, beaucoup l’ont cru. Alors même qu’on sait bien qu’une moitié est partie assez vite en Sicile, à Porto Empedocle, et que l’autre moitié est restée un temps à Lampedusa… »

      Au-delà de cela, les observateurs de l’activité migratoire en mer savent bien que les « navires fantôme » qui arrivent à Lampedusa ne sont que la partie émergée de l’iceberg.

      En effet, un navire qui arrive à Lampedusa, si petit soit-il, ne pourra pas passer inaperçu. En revanche, si le même débarque sur les côtes siciliennes, il est autrement plus facile de se fondre dans la nature. « Pour un navire qui arrive ici, assure Mauro Seminara, il y en a au moins trois ou quatre qui débarquent quelque part dans la région d’Agrigente, au sud de la Sicile, et dont on ne saura jamais rien. »


      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/a-lampedusa-en-depit-de-ce-que-dit-salvini-les-migrants-arrivent-toujours_54

  • Italy strengthens Libya accord, another four patrol boats

    Italy announced it is sending another four patrol boats to Libya in addition to others that were previously delivered to the North African country, in an effort to strengthen collaboration in fighting illegal immigration.

    Italy is strengthening its collaboration with Libya through a series of measures aimed at fighting illegal immigration. It will send four more patrol boats to Libya in addition to the ones that were previously delivered. It will also create a Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC), a naval shipyard to provide maintenance for the vessels, and systems for communication and controls along the coast. Italy is reinforcing its agreement with Libya in order to improve Tripoli’s ability to fight illegal immigration, provide migrant rescues, and control the borders.

    A total of 45 mn made available for interventions

    The measures were agreed upon during a meeting in Tripoli between the heads of the Libyan Navy and Coast Guard and representatives from the Italian Interior Ministry, Finance Police, Coast Guard, and Navy. There are 45 million euros available for interventions, 10 million from the EU and 35 million from the four Visegrad Group countries (Poland, Hungary, Czech Republic and Slovakia). The plans also provide for a series of reforms involving Libyan authorities responsible for the borders, including those managing search and rescue (SAR) operations, and personnel training for every sector in the Libyan public administration.

    Protests in France over vessels for Libya

    Meanwhile, protests erupted in France over the government’s decision to follow the Italian example and provide six vessels to the Libyan Navy. Michael Neuman, director of studies at Doctors Without Borders/ Crash (Centre de Réflexion sur l’Action et les Savoirs Humanitaires), called the decision “a supplementary step in European cooperation with Libya to strengthen control of the borders, at the cost of despicable conditions of detention for migrants.” Neuman was cited on Monday in the French daily Le Monde in an article on the French government’s new and unexpected decision.

    https://www.infomigrants.net/en/post/15395/italy-strengthens-libya-accord-another-four-patrol-boats

    #Libye #externalisation #France #gardes-côtes_libyens #asile #migrations #frontières #contrôles_frontaliers #Italie

    • Appalti sulle frontiere: 30 mezzi di terra alla Libia dall’Italia per fermare i migranti

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità di Tripoli nuovi veicoli fuoristrada per il “contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. Un appalto da 2,1 milioni di euro finanziato tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa”, nell’ambito del quale l’Italia accresce il proprio ruolo. Il tutto mentre l’immagine ostentata di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del Viminale

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità della Libia trenta nuovi veicoli fuoristrada per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. L’avviso esplorativo pubblicato dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il Viminale, risale al 5 marzo 2019 (scadenza per la presentazione della manifestazione d’interesse all’8 aprile di quest’anno).

      La fornitura riguarda 30 mezzi “Toyota Land Cruiser” (15 del modello GRJ76 Petrol e 15 del GRJ79 DC Petrol), in “versione tropicalizzata”, relativamente ai quali le autorità libiche, il 24 dicembre 2018, avrebbero esplicitato alla Direzione di Roma precise “specifiche tecniche”. Il Viminale la definisce una “richiesta di assistenza tecnica” proveniente da Tripoli per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. In forza di questa “strategia”, dunque, il governo italiano -in linea con i precedenti, come abbiamo raccontato a gennaio nell’inchiesta sugli “affari lungo le frontiere”– continua a equipaggiare le autorità del Paese Nord-africano per contrastare i flussi migratori. L’ammontare “massimo” degli ultimi due lotti (da 15 mezzi l’uno) è stimato in 2,1 milioni di euro.

      E così come è stato per la gara d’appalto da oltre 9,3 milioni di euro per la fornitura di 20 imbarcazioni destinate alla polizia libica, indetta dal Viminale a fine dicembre 2018, anche nel caso dei 30 mezzi Toyota le risorse arriveranno dal “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito dalla Commissione europea a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. In particolare, dal progetto implementato dal Viminale e intitolato “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, dal valore di oltre 46 milioni di euro e il cui “delegation agreement” risale a metà dicembre 2017 (governo Gentiloni, ministro competente Marco Minniti).

      Questo non è l’unico progetto finanziato tramite l’EU Trust Fund che vede il ministero dell’Interno italiano attivo nel continente africano. Alla citata “First Phase”, infatti, se ne sono affiancati nel tempo altri due. Uno è di stanza in Tunisia e Marocco (“Border Management Programme for the Maghreb region”), datato luglio 2018 e dal valore di 55 milioni di euro. L’altro progetto, di nuovo, ricade in Libia. Si tratta del “Support to Integrated border and migration management in Libya – Second Phase”, risalente al 13 dicembre 2018, per un ammontare di altri 45 milioni di euro. Le finalità dichiarate nell’”Action Document” della seconda fase in Libia sono -tra le altre- quelle di “intensificare gli sforzi fatti”, “sviluppare nuove aree d’intervento”, “rafforzare le capacità delle autorità competenti che sorvegliano i confini marittimi e terrestri”, “l’acquisto di altre navi”, “l’implementazione della rete di comunicazione del Maritime Rescue Coordination Centre” di Tripoli, “la progettazione specifica di programmi per la neocostituita polizia del deserto”.

      La strategia di contrasto paga, sostiene la Commissione europea. “Gli sforzi dell’Ue e dell’Italia nel sostenere la Guardia costiera libica per migliorare la sua capacità operativa hanno raggiunto risultati significativi e tangibili nel 2018”, afferma nel lancio della “seconda fase”. Di “significativo e tangibile” c’è il crollo degli sbarchi sulle coste italiane, in particolare dalla Libia. Dati del Viminale alla mano, infatti, nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 7 marzo 2017 giunsero 15.843 persone, scese a 5.457 lo scorso anno e arrivate a 335 quest’anno. La frontiera è praticamente sigillata. Un “successo” che nasconde la tragedia dei campi di detenzione e sequestro libici dove migliaia di persone sono costrette a rimanere.

      È in questa cornice che giunge il nuovo “avviso” del Viminale dei 30 veicoli, pubblicato come detto il 5 marzo. Quello stesso giorno il vice-presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha incontrato a Roma il vicepremier libico Ahmed Maiteeq. Un “cordiale colloquio”, come recita il comunicato ministeriale, che avrebbe visto sul tavolo “i rapporti tra i due Paesi, in particolare su sicurezza, lotta al terrorismo, immigrazione e stabilizzazione politica della Libia”.

      Ma l’immagine ostentata dal governo Conte di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del ministero dell’Interno. Tra i quesiti presentati al Viminale da parte dei potenziali concorrenti al bando dei 20 battelli da destinare alla polizia libica, infatti, si trovano richieste esplicite di “misure atte a garantire la sicurezza dei propri operatori”. “Laddove si rendesse strettamente necessario effettuare interventi di garanzia richiesti in loco (Libia)”, gli operatori di mercato hanno chiesto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere “che tali prestazioni potranno essere organizzate a patto che le imbarcazioni si trovino in città (Tripoli, ndr) per garantire la sicurezza degli operatori inviati per tali prestazioni”. Il ministero dell’Interno conferma il quadro di instabilità del Paese: “Le condizioni di sicurezza in Libia devono essere attentamente valutate in ragione della contingenza al momento dell’esecuzione del contratto”, è la replica al quesito. “Appare di tutto evidenza che la sicurezza degli operatori non dovrà essere compromessa in relazione ai rischi antropici presenti all’interno dello Stato beneficiario della commessa”. Per gli operatori, non per i migranti in fuga.

      https://altreconomia.it/appalti-libia-frontiere-terra
      #fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #Trust_Fund

    • Italian journalist: We’ve invented an authority that doesn’t exist in Libya, Al-Sarraj is a feint

      Founder and director of Italian magazine Limes, Lucio Caracciolo, said during a media statement on Thursday that Italy invented an authority that does not exist in Libya, in a reference to the Tripoli-based #Government_of_National_Accord (#GNA), which Caracciolo described its Prime Minister Fayez Al-Sarraj as a “feint”.

      http://www.addresslibya.com/en/archives/43168

    • Appalti del Viminale sulle frontiere: ecco chi è rimasto in gara per sei nuove navi alla Libia

      A fine 2018 il ministero dell’Interno ha indetto un bando di gara per la fornitura di 20 “battelli” da cedere alla polizia della Libia per contrastare il flusso dei migranti. In gara -per il lotto di sei navi- è rimasta oggi un’azienda di Cervia. I finanziamenti arrivano dall’Unione europea. Nel frattempo, il governo cerca un veicolo blindato per l’esperto immigrazione italiano a Tripoli. A proposito di “luogo sicuro”

      La gara d’appalto da oltre 9,3 milioni di euro indetta dal ministero dell’Interno italiano a fine 2018 per la fornitura di 20 nuove imbarcazioni da destinare alla polizia della Libia per contrastare il flusso dei migranti si sta definendo.
      Dopo l’ultima riunione della commissione giudicatrice del 27 settembre 2019, è rimasta infatti in gara una sola azienda -la “MED Spa” di Cervia (RA)- a seguito dell’esclusione della concorrente -la ditta individuale Marcelli- disposta a fine settembre dal Viminale per una “riscontrata difformità” rispetto alle “specifiche tecniche di gara” (un tubolare).
      La procedura di gara dei 20 “battelli pneumatici di tipo oceanico”, suddivisi in due lotti da 14 e 6 unità, è partita poco prima del Natale 2018, il 21 dicembre, tramite una “determina a contrarre” firmata della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata proprio presso il Viminale.

      Come descritto a gennaio, in questo caso i finanziamenti arrivano dal “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito dalla Commissione europea a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. Le risorse per i 20 “battelli” che l’Italia sta per cedere alla Libia arriveranno in particolare dal progetto “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, del valore di oltre 46 milioni di euro e il cui “delegation agreement” risale a metà dicembre 2017 (governo Gentiloni, ministro dell’Interno Marco Minniti). “Nel Progetto è prevista una specifica voce di budget per la fornitura di battelli pneumatici da destinare allo Stato della Libia”, in particolare alla “polizia libica”, scrive negli atti di gara il ministero.

      Se l’Unione europea è il principale finanziatore, chi deve implementarne la prima fase in loco, dal luglio 2017, è appunto il nostro ministero dell’Interno. È un “pezzo” di quella strategia di dichiarato “contrasto all’immigrazione clandestina” che l’Italia conduce da tempo lungo le rotte africane, al fine di respingere per delega le persone. Nel gennaio di quest’anno abbiamo dedicato l’inchiesta di copertina di Altreconomia proprio a questi affari lungo le frontiere e agli appalti pubblici del Viminale, ricostruendone filiera, fonti di finanziamento, soggetti coinvolti e valore.

      Stando agli ultimi atti di gara, dunque, la “MED Spa” è rimasta senza contendenti per quanto riguarda il “Lotto 2”, dal valore massimo stimato in 2,4 milioni di euro. Si tratta di sei imbarcazioni da 9 metri “complete di motori fuoribordo da 250 HP 4 tempi” (per il primo lotto non sarebbero pervenute offerte). “Per ogni battello acquisito -riporta la specifica tecnica del ministero- la ditta contraente provvederà ad un corso di 30 ore per l’indottrinamento alla condotta, uso delle apparecchiature di bordo e manutenzione del battello a favore di almeno quattro operatori”. Mezzi e formazione.

      La MED è stata fondata nel 2014 e al 30 giugno di quest’anno conta 92 addetti e un fatturato di circa 12,5 milioni di euro (2018). Come già anticipato in primavera, il 98,93% del capitale della società (pari a 1,48 milioni di euro) è sotto sequestro preventivo disposto nel febbraio 2018 dal Tribunale di Perugia. La motivazione è esplicitata nel bilancio della stessa società: si tratta delle quote del suo principale azionista, “Feendom International FZE”, domiciliato negli Emirati Arabi Uniti. “Il provvedimento (di sequestro, ndr) -si legge nel bilancio 2018 di MED- fa rifermento a pregresse attività di natura illecita svolta da diversi soggetti ai quali farebbe verosimilmente riferimento la proprietà della FEENDOM INTERNATIONAL FZE, svolte in settori differenti da quello nel quale opera la MED SpA. Si evidenzia che la MED SpA è stata interessata dal succitato provvedimento di sequestro esclusivamente quale soggetto terzo”.

      La vicenda societaria della MED è già stata esaminata dal ministero dell’Interno che, anche a seguito di separate comunicazioni dell’amministratore giudiziario, non avrebbe rilevato alcun “motivo ostativo” alla sua partecipazione. MED ha scommesso sulle “gare pubbliche”. “La società non ha subito pesanti contraccolpi sul proprio business -si legge infatti nella relazione sulla gestione del bilancio 2018 di MED-, se non la perdita di alcuni marchi […] che però è stata controbilanciata dal settore gare pubbliche. A tale proposito questa linea di business sta contribuendo in maniera sempre più importante alla crescita di MED, basti pensare che a seguito dell’acquisizione di alcune gare con l’Arma dei Carabinieri, abbiamo un portafoglio di opzioni, esercitabili nei prossimi due anni, di circa 4 milioni di euro”.

      Mentre la fornitura dei battelli va verso una definizione, se ne è aperta un’altra, tra fine settembre e inizio ottobre 2019, dal valore più ridotto (90mila euro) ma legata sempre al progetto “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”. Stiamo parlando del “servizio di noleggio di un’autovettura blindata per la durata di un anno, da utilizzare nella città di Tripoli” che il ministero dell’Interno vorrebbe affidare direttamente per le “esigenze dell’esperto immigrazione” italiano nella capitale della Libia. Dovrebbe trattarsi di una Toyota Land Cruiser o di un “modello equivalente”. Il termine per la presentazione delle istanze è scaduto il 14 ottobre. A proposito di “luogo sicuro”.

      https://altreconomia.it/appalti-libia-navi

    • Libia, festa della Marina: l’Italia consegna dieci nuove motovedette

      Sabato scorso a Tripoli, nella base di #Sitta. Promesse dall’ex ministro Salvini a luglio scorso, i libici ne prendono possesso proprio nel giorno della scadenza del Memorandum
      La Marina libica ha festeggiato il 57esimo anniversario della sua fondazione prendendo possesso delle dieci nuove piccole motovedette fornite dall’Italia. La cerimonia e’ avvenuta nella base di Abu Sitta a Tripoli sabato scorso, il 2 novembre, proprio il giorno in cui scadeva il contestato Memorandum Italia-Libia che il governo italiano ha scelto di rinnovare per j prossimi tre anni chiedendo delle modifiche a garanzia del rispetto dei diritti umani delle migliaia di migranti intercettati dalla guardia costiera libica e riportati nei centri di detenzione in cui vengono tenuti in condizioni disumane e sottoposti ad ogni tipo di violenze.

      La consegna delle motovedette che va cosi’ ad arricchire la flotta della Guardia costiera fornita e addestrata dall’Italia era stata promessa e annunciata per la fine dell’estate dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini in uno degli ultimi comitati nazionale ordine e sicurezza da lui presieduto. Negli ultimi due anni sono stati quasi 40.000 i migranti intercettati e riportati indietro dai libici con interventi nella zona Sar sotto il controllo di Tripoli ma che, dalle indagini dei pm di Agrigento, risulta di fatto gestita dalla Marina italiana. Le foto delle dieci nuove motovedette consegnate durante la cerimonia sono state diffuse dalla Lybian navy e rilanciate dal sito di osservazione Migrant Rescue watch

      Ieri il ministro degli Esteri libico Mohamed Taher Siala ha ricevuto l’ambasciatore italiano Giuseppe Buccino Grimaldi, latore della nota verbale con cui l’Italia ha chiesto l’insediamento del Comitato italo-libico presieduto dai ministri di Interno ed Esteri di entrambi i Paesi, e ha confermato che la Libia esaminera’ gli emendamenti proposti dall’Italia e «decidera’ se approvarli o meno in linea con gli interessi supremi del governo e del popolo libico». Sulle modifiche al Memorandum il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese riferira’ alla Camera mercoledi pomeriggio.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/11/04/news/libia_festa_della_marina_l_italia_consegna_dieci_nuove_motovedette-240197
      #bateau #bateaux

  • CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/724156

    v. aussi la métaliste sur les ONG et les sauvetages en Méditerranée :
    https://seenthis.net/messages/706177

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    Un bateau de pêche espagnol « coincé » en mer Méditerranée après avoir secouru 12 migrants

    Un navire de pêche espagnol est « coincé » en mer Méditerranée depuis plusieurs jours avec 12 migrants à son bord. Aucun pays n’a en effet accepté de les accueillir depuis leur sauvetage la semaine dernière, a indiqué mardi 27 novembre le capitaine du bateau.

    « Nous sommes coincés en mer, nous ne pouvons aller nulle part », a déclaré à l’AFP Pascual Durá, capitaine du « #Nuestra_Madre_Loreto ». Depuis jeudi dernier, les 13 membres de l’équipage du navire cohabitent avec 12 migrants originaires du Niger, de Somalie, du Soudan, du Sénégal et d’Egypte. Ils ont été secourus après le naufrage de leur bateau pneumatique en provenance de Libye.

    « Renvoyés vers l’endroit qu’ils fuient »

    L’Italie et Malte leur ont refusé l’entrée dans leurs ports. Quant aux services espagnols de sauvetage maritime, avec lesquels les marins sont en contact, ils ont seulement offert la possibilité de les renvoyer en Libye. ""Si nous allons vers la Libye, nous risquons une mutinerie", a indiqué le capitaine, précisant que « dès qu’ils entendent le mot ’Libye’, ils deviennent très nerveux et hystériques, il est difficile de les rassurer »."

    « Nous ne voulons pas renvoyer ces pauvres gens en Libye. Après ce qu’ils ont accompli pour venir jusqu’ici, nous ne voulons pas les renvoyer vers l’endroit qu’ils fuient », a-t-il ajouté. Le capitaine du navire assure qu’il ne dispose plus que de six ou sept jours de provisions et qu’une tempête approche.

    Depuis le début de l’année, plus de 106.000 migrants sont arrivés en Europe par la mer, selon l’Organisation internationale pour les migrations, qui a enregistré 2.119 décès pendant cette période.

    https://www.nouvelobs.com/monde/migrants/20181128.OBS6155/un-bateau-de-peche-espagnol-coince-en-mer-mediterranee-apres-avoir-secour
    #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #Méditerranée #frontières

    • #Nuestra_Madre_de_Loreto”: appello urgente dei parlamentari europei per l’apertura di porti sicuri.

      “NUESTRA MADRE DE LORETO”. APPELLO URGENTE DEI PARLAMENTARI EUROPEI PER L’APERTURA DI PORTI SICURI.

      RICHIESTA URGENTE ALL´UE ED AI GOVERNI EUROPEI PER CONSENTIRE AL PESCHERECCIO “NUESTRA MADRE LORETO” DI SBARCARE IN UN PORTO SICURO.

      Stiamo rischiando di essere testimoni di un’altra tragedia nel Mar Mediterraneo. Un peschereccio spagnolo, “Nuestra Madre de Loreto”, è bloccato da giorni in mare dopo aver salvato 12 persone che tentavano di raggiungere la costa Europea dalla Libia a bordo di un gommone.

      Nessun Paese Europeo ha consentito all’imbarcazione spagnola di attraccare e probabilmente sono in corso negoziati per riportare questi migranti, che potrebbero avere diritto di protezione internazionale, in Libia.

      Secondo l’UNHCR e la Commissione Europea la Libia non è un Paese sicuro. Per cui non può essere considerato un porto sicuro per lo sbarco. Non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, mentre media e organizzazioni internazionali riportano violazioni sistematiche dei diritti umani nei centri di detenzione per migranti.

      Mentre si attende l’autorizzazione allo sbarco, le condizioni metereologiche stanno peggiorando e l’imbarcazione scarseggia beni essenziali, cibo e carburante. Si sta esaurendo il tempo a disposizione: abbiamo urgentemente bisogno di una soluzione sensata, nel pieno rispetto delle leggi internazionali ed Europee, inclusa la Convenzione SAR. I governi Europei non possono chiedere all’imbarcazione spagnola di violare il principio di “non-respingimento”.

      Chiediamo ai governi Europei di rispettare pienamente la legge internazionale e la Convenzione SAR e di offrire un porto sicuro alla “Nuestra Madre de Loreto”, evitando così un’altra tragedia nel Mediterraneo. Chiediamo alla Commissione Europea di prendere una posizione chiara e di facilitare una soluzione rapida.

      Questo è un appello aperto, chiediamo a ciascuno di condividerlo e di chiedere ai nostri governi di rispettare i diritti umani e di dimostrare solidarietà alle persone in pericolo in mare.

      Marina Albiol, Sergio Cofferati, Eleonora Forenza, Ska Keller, Elly Schlein, Miguel Urban Crespo, Ernest Urtasun, Gabriele Zimmer (Parlamentari Europei)

      https://mediterranearescue.org/news/nuestra-madre-de-loreto-appello-urgente-dei-parlamentari-europei

    • Faute de port d’accueil, un bateau espagnol erre toujours en Méditerranée avec 12 migrants à bord

      Le Nuestra Madre Loreto, un navire espagnol, erre depuis une semaine en Méditerranée avec 12 migrants à son bord. Les rescapés refusent d’être renvoyés en Libye. Le navire demande à l’Europe l’autorisation de débarquer dans l’un de ses ports.

      Le gouvernement espagnol a indiqué mercredi 28 novembre être en contact avec l’Italie et Malte en vue de trouver un port d’accueil pour un bateau de pêche espagnol errant en mer Méditerranée avec 12 migrants à bord.

      Depuis jeudi dernier, les 13 membres de l’équipage du « Nuestra Madre Loreto » cohabitent avec 12 migrants originaires du Niger, de Somalie, du Soudan, du Sénégal et d’Egypte rescapés d’un bateau pneumatique en provenance de Libye.

      « Nous sommes coincés en mer, nous ne pouvons aller nulle part », a déclaré Pascual Durá, le capitaine du bateau.

      Le gouvernement espagnol a dans un premier temps demandé à la Libye de prendre les réfugiés en charge, comme le prévoit le droit international. Les embarcations de migrants secourues dans la SAR zone (zone de détresse en Méditerranée où ont lieu les opérations de recherche et de sauvetage) relèvent en effet de l’autorité de Tripoli depuis le mois de juin 2018.

      Les migrants refusent d’être ramenés en Libye. Face à leur refus, le navire espagnol « fait des démarches auprès des gouvernements de l’Italie et de Malte, dont les côtes sont proches du lieu où se trouve le bateau, dans le but de favoriser une solution alternative, rapide et satisfaisante » pour les accueillir, a indiqué la vice-présidente de l’exécutif Carmen Calvo dans un communiqué.

      « En aucune circonstance, [les migrants] ne devraient être renvoyées en Libye, où elles risquent d’être victimes de détention arbitraire, de torture et d’autres violences. Toute instruction donnée au capitaine du Nuestra Madre de Loreto de transférer les survivants en Libye serait contraire au droit international », s’est alarmé de son côté Matteo de Bellis, chercheur sur l’asile et les migrations à Amnesty International.

      « Si nous allons en Libye, nous risquons une mutinerie »

      Face à l’aggravation des conditions météorologiques, le bateau a pris mardi la direction de l’île italienne de Lampedusa, selon le gouvernement espagnol.

      Le capitaine du « Nuestra Madre Loreto », avait indiqué de son côté mardi que l’Italie, dont le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini (Ligue, extrême droite) s’oppose à l’arrivée de nouveaux migrants dans son pays, et Malte lui avaient refusé l’entrée dans leurs ports.

      Il avait également souligné que les services espagnols de sauvetage maritime lui avaient seulement offert la possibilité de les renvoyer en Libye.

      Selon le capitaine, les migrants à bord de son bateau « deviennent très nerveux et hystériques dès qu’ils entendent le mot ‘Libye’ ». « Si nous allons vers la Libye, nous risquons une mutinerie », avait-il averti.

      Depuis l’arrivée du socialiste Pedro Sanchez au pouvoir, l’Espagne a accueilli un navire humanitaire, l’Aquarius, refusé par l’Italie et Malte et à trois reprises un bateau de l’ONG Open Arms. Mais elle a refusé un retour de l’Aquarius, préférant négocier avec d’autres États européens la répartition des migrants qu’il avait à bord.


      http://www.infomigrants.net/fr/post/13639/faute-de-port-d-accueil-un-bateau-espagnol-erre-toujours-en-mediterran

    • #Sophia mission will cease unless rules changed - Salvini

      The EU’s anti-human trafficking Sophia naval mission in the Mediterranean will stop when its current mandate expires at the end of the year unless the rules of the operation are changed, Deputy Premier and Interior Minister Matteo Salvini said on Wednesday. The government says the operation currently puts too much of the burden of rescued migrants on Italy.

      “We are staying firm in our unwillingness to accept landing procedures that involve dockings only in Italian ports,” Salvini told a Schengen committee hearing.

      “Unless there is convergence on our positions, we do not consider it opportune to continue the mission”.

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2018/12/05/sophia-mission-will-cease-unless-rules-changed-salvini_05836d11-3f8c-474c-
      #Opération_Sophia #EUNAVFOR_MED

      #Salvini (encore lui)

    • MSF et SOS Méditerranée mettent un terme aux opérations de sauvetage de l’« Aquarius »

      Déplorant les « attaques » répétées, les ONG étudient des options pour un nouveau navire et un futur pavillon. Depuis février 2016, le bateau a secouru 30 000 personnes.

      L’Aquarius est devenu le symbole de la crise politique autour de l’accueil des migrants. Il ne sera bientôt plus. Médecins sans frontières (MSF) et SOS Méditerranée ont annoncé, jeudi 6 décembre, devoir « mettre un terme » aux opérations de sauvetage de leur navire humanitaire, privé de pavillon depuis deux mois.

      « Renoncer à l’Aquarius a été une décision extrêmement difficile à prendre », a déclaré dans un communiqué Frédéric Penard, directeur des opérations de SOS Méditerranée, en déplorant « les attaques incessantes dont le navire et ses équipes ont fait l’objet ». Mais l’ONG basée à Marseille « explore déjà activement les options pour un nouveau navire et un nouveau pavillon », et « étudie sérieusement toutes les propositions d’armateurs qui lui permettraient de poursuivre sa mission de sauvetage ». « Nous refusons de rester les bras croisés sur le rivage alors que des gens continuent de mourir en mer », a assuré M. Penard.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2018/12/07/msf-et-sos-mediterranee-mettent-un-terme-aux-operations-de-sauvetage-de-l-aq

    • MSF forced to terminate search and rescue operations as Europe condemns people to drown

      As men, women and children continue to die in the Mediterranean Sea, international medical humanitarian organisation Médecins Sans Frontières/Doctors Without Borders (MSF) and its partner SOS Méditerranée have been forced to terminate the lifesaving operations of their search and rescue vessel, Aquarius.

      Over the last two months as people have continued to flee by sea on the world’s deadliest migration route, the Aquarius has remained in port, unable to carry out its vital humanitarian work.

      This is due to a sustained smear campaign, spearheaded by the Italian government and backed by other European countries to delegitimise, slander and obstruct aid organisations trying to save the lives of vulnerable people in the Mediterranean.

      Coupled with ill-conceived policies aimed at trapping people outside Europe’s borders, this campaign has undermined international law and humanitarian principles.

      With no immediate solution to these attacks, MSF and SOS Méditerranée have no option but to end the operations of the Aquarius.

      https://www.msf.org.uk/article/msf-forced-terminate-search-and-rescue-operations-europe-condemns-people-dro

    • « Aquarius » : « La #non-assistance_à_personnes_en_danger est revenue en force en Méditerranée »

      Mego Terzian, président de MSF-France et Michaël Neuman, directeur d’études à MSF expliquent dans une tribune au « Monde » pourquoi leur ONG et SOS Méditerranée, l’Association européenne de sauvetage en mer, mettent un terme aux opérations de sauvetage de l’« Aquarius ».

      « Dont acte, la politique de harcèlement judiciaire, administratif, politique aura eu raison de l’“Aquarius”, déployé entre 2015 et le milieu de l’année 2018 en mer Méditerranée. » usage worldwide/DPA / Photononstop

      Tribune. Dont acte, la politique de harcèlement judiciaire, administratif, politique aura eu raison de l’« Aquarius », déployé entre 2015 et le milieu de l’année 2018 en mer Méditerranée.
      En 2014, l’opération « Mare Nostrum », mise en place par les autorités italiennes inaugurait pourtant une séquence pendant laquelle le sauvetage d’embarcations de migrants en détresse fut pourtant considéré comme légitime.

      Ce qui est d’abord, rappelons-le, une obligation légale était alors politiquement et publiquement acceptable. En 2018, les Italiens furent de nouveau à la manœuvre, signifiant cette fois-ci qu’ils ne sauraient accepter davantage que se poursuivent ces interventions : dès le début de l’été, Matteo Salvini, tout récent ministre de l’intérieur, œuvra pour fermer ses ports aux bateaux de secours, accélérant une politique de dissuasion largement entamée par Marco Minniti, son prédécesseur, qui aboutit, in fine, à la liquidation des moyens destinés à secourir les personnes fuyant la Libye.

      Bien sûr, des organisations de la société civile tentent vaille que vaille et, avec une
      remarquable ténacité, de maintenir leurs activités de secours en mer : Sea Watch, Mare Jonio, Proactiva Open Arms sont de celles-là. Les pilotes volontaires du Moonbird et du Colibri poursuivent leurs survols, tentant de déceler entre les vagues des embarcations à la dérive et d’éviter ainsi que la longue liste des décès – plus de 17 000 depuis 2014 – ne s’allonge davantage.

      Pressions italiennes

      Mais toutes le font avec d’extrêmes difficultés : ennuis administratifs récurrents, obstacles posés aux escales techniques, interdiction d’accoster en Europe, et poursuites judiciaires, comme c’est le cas de l’« Aquarius », navire de secours affrété en partenariat avec SOS Méditerranée. Celui-ci, déjà privé de pavillon sous pressions italiennes, est maintenant menacé d’une mise sous séquestre à la suite des accusations grotesques de crime organisé, de nouveau, en Italie.

      Une partie de l’équipage et des membres des équipes de MSF sont mis en cause : leur activité de secours est criminalisée. Force est de constater que ce dispositif de secours en mer, auquel nous avons participé depuis 2015 avec cinq navires différents, quelquefois en partenariat avec d’autres organisations, est mis hors-la-loi.

      Les victimes de ce combat à armes inégales sont évidemment ces personnes migrantes, demandeuses d’asiles ou réfugiées, dont plus grand monde ne semble désormais se soucier. D’ailleurs combien sont-elles, ces victimes ? Aujourd’hui, sans témoin en mer, personne ne le sait, tandis que le piège libyen se referme, un piège dont la maintenance est assurément l’œuvre d’autorités libyennes disparates mais dont la mécanique est bien due à l’ingéniosité européenne.

      Des milliers de personnes sont condamnées à tenter de survivre dans l’entrelacs de centres de détention dits « officiels » et de prisons clandestines en Libye. On ne saurait suffisamment conseiller à nos décideurs d’aller visiter ces geôles pour se faire une idée de l’avenir qu’ils promettent à leurs frères humains. Beaucoup d’autres personnes, enfin, prises dans les mailles serrées d’un dispositif militaro-technique de pointe, meurent plus en amont sur les routes dans la vaste région sahélienne.

      Absence de l’Europe

      S’il est beaucoup question d’Italie, il ne faudrait pas négliger l’unanimisme européen dans lequel cette dynamique mortifère s’est mise en place : ni la France, ni l’Espagne, ni aucun Etat ou institution européenne ne s’est réellement opposé à la mise en coupe réglée de la politique européenne de gestion des frontières par des dirigeants aux pratiques racistes et violentes. Rien de surprenant puisque la manœuvre était en cours depuis quelque temps déjà.

      Ainsi, on ne trouva personne ou presque, pour se résoudre à accueillir quelques centaines de personnes qui, par une chance inouïe, bénéficiaient ça et là du programme de relocalisation du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR). Depuis longtemps, le refoulement des indésirables aux frontières, notamment franco-italienne, était acté, tout comme l’abandon de 15 000 personnes sur les îles grecques dans des conditions épouvantables, laissés-pour-compte d’une mise en scène sordide de la frontière.

      L’errance durant plus d’une semaine du Nuestra Madre de Loreto, en est le dernier avatar : ayant secouru douze personnes, ce chalutier espagnol s’est vu refuser l’autorisation de débarquer dans les ports européens, y compris de l’Espagne, jusque-là bonne élève dans l’accueil des rescapés de la mer mais qui là prôna leur retour dans l’univers carcéral libyen. Ce n’est qu’après la décision du capitaine de faire, malgré tout, route vers l’Espagne, que le navire obtint le transfert des rescapés vers Malte.

      Non-assistance généralisée

      Aujourd’hui s’ouvre une séquence bien plus lourde de menaces. Aux côtés de la délégation du secours en mer aux gardes-côtes libyens, la généralisation de la non-assistance à personnes en danger est revenue en force en Méditerranée. On se souvient, en effet, qu’en 2011, en pleine intervention militaire occidentale en Libye, des dizaines de migrants étaient morts noyés, au terme d’une dérive de plusieurs jours, malgré les survols et observations d’un nombre important d’avions et de bateaux de l’OTAN.

      Ces pratiques de non-assistance ressurgissent : par crainte de ne pas savoir où débarquer leurs rescapés, les navires commerciaux se détournent de leurs routes habituelles, ou s’écartent lorsqu’ils aperçoivent l’embarcation redoutée. Telle est, en tout cas, la teneur des témoignages que nos équipes travaillant en Libye ont recueillis auprès des rescapés du Nivin, un porte-véhicules dont l’histoire raconte l’ensemble des lâchetés des responsables politiques européens et des agences internationales.

      Tous ceux-là avaient, pourtant, affirmé, à un moment ou à un autre, que les migrants interceptés ne sauraient être ramenés en Libye contre leur gré. Ce fut pourtant exactement ce qu’il s’est passé avec le Nivin, duquel les quatre-vingt-quinze rescapés qu’il transportait refusèrent de débarquer au port de Misrata, à l’est de Tripoli. L’occupation du navire se poursuivit une dizaine jours pendant lesquels nos équipes apportèrent de l’aide médicale à bord et constatèrent qu’aucune solution alternative à la remise en détention ne fut sérieusement examinée.

      Elle prit fin lorsque les forces libyennes lancèrent un assaut, au cours duquel une dizaine de personnes furent blessées, dont certaines grièvement. Certains sont aujourd’hui poursuivis par la justice libyenne pour crimes de piraterie. Telle est donc l’alternative pour les migrants de Libye : la folie, la torture, ou la mort. Et pour les marins, fuir leurs obligations ou subir les persécutions européennes.

      Alors que, de part et d’autre de la Méditerranée, les Etats s’arrogent le droit de vie et de mort sur des gens n’ayant pour motivation que celle de rendre leur vie meilleure, nous ne renonçons pas pour autant à porter secours là où nous le pouvons encore, à soutenir les initiatives de secours en mer et participer à en renouveler le modèle. Spectateurs et acteurs lucides, nous ne renonçons pas à contester ces logiques de sacrifice.

      Mego Terzian (Médecin, président de Médecins sans frontières (MSF)) et Michaël Neuman(Directeur d’études à MSF)

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2018/12/07/aquarius-la-non-assistance-a-personnes-en-danger-est-revenue-en-force-en-med

    • Le accuse a Open Arms, ovvero il mondo capovolto.

      Proactiva Open Arms è compagna di viaggio di Mediterranea fin dall’inizio. Insieme noi e a Sea Watch è parte dell’alleanza United4Med: una piattaforma aperta per un’Europa solidale in mare e in terra.
      Ma le ipotesi di reato contenute nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari depositate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa non ci lasciano sgomenti solo perché colpiscono ancora una volta delle persone di cui conosciamo direttamente l’integrità, e perché rilanciano la criminalizzazione del salvataggio della vita umana in mare e del rispetto della dignità delle persone salvate.

      L’accusa di violenza privata, unita a quella del favoreggiamento dell’immigrazione illegale, rappresenta un pericolosissimo uso del diritto che estende all’inverosimile il concetto di violenza, e, rispetto al soggetto offeso che in questo caso sarebbe il Ministero dell’Interno come Istituzione, rappresenta un precedente particolarmente inquietante che potrebbe estendersi praticamente ad ogni azione giuridicamente rilevante. Rimandando per i dettagli all’articolata e preziosa analisi elaborata in merito dal Giudice del Tribunale di Torino Andrea Natale, quello che emerge sempre più chiaramente è che davvero il mondo per come lo conoscevamo appare capovolto.
      Il comandante della nave Proactiva Open Arms, Marc Reig Creus, e la capo missione Ana Isabel Montes avrebbero esercitato violenza privata, disattendendo gli ordini dell’Italia e poi delle autorità libiche di non intervenire, per avere salvato centinaia di persone che stavano rischiando di annegare in mare. Successivamente, quando la cosiddetta guardia libica si è presentata sul posto, la violenza privata sarebbe consistita nel rifiuto di riconsegnare le persone salvate ai libici, ovvero nel fatto di non restituire 216 donne, bambini e giovani uomini alle sevizie e alle torture già subite nei campi della Libia.
      Anabel e Marc avrebbero poi esercitato violenza privata per non aver chiesto a Malta di fornire un porto sicuro, cosa che Malta negli anni precedenti aveva rifiutato sistematicamente di fare, ed essersi diretti verso l’Italia. Il culmine della violenza privata sarebbe stato quindi quello di avere obbligato l’Italia a fornire un porto sicuro di approdo, e quindi di avere costretto il nostro governo a non avere anche questi profughi sulla propria coscienza.
      Cosa ci sia di violento e di privato in tutti questi accadimenti, e come possa un Ministero dell’Interno in quanto Istituzione essere soggetto a violenza privata è qualcosa che davvero appare ad oggi circondata da un alone di mistero, a meno che non si guardi a queste accuse come a ipotesi di reato fortemente ideologiche e orientate da una precisa visione politica.
      Appare già distintamente, a prescindere da quello che accadrà in sede processuale, che il diritto rischia sempre di più di diventare uno strumento di potere che colpisce in maniera arbitraria, paradossalmente, il rispetto del diritto stesso, proprio mentre la violazione dei diritti diventa normale maniera di procedere dei decisori politici europei e italiani innanzitutto. E questa riflessione andrebbe estesa ad ogni ambito e non solo alle politiche migratorie che colpendo le persone rese più vulnerabili sono, come sempre, un campanello d’allarme che ci dice fino a che punto le garanzie di libertà e i diritti di ogni persona siano sempre più messi in discussione.
      Rispettare i diritti umani è un reato, violarli è un merito: c’è ancora qualcuno che crede che questo capovolgimento del mondo vada arrestato prima che travolga tutti? La storia di Mediterranea, la sua comunità di mare e quella sempre più grande di terra ci racconta di sì. E si stringe intorno a Open Arms, Marc e Anabel, ringraziandoli profondamente per ogni singola vita sottratta alla morte e portata in salvo, per tutto il coraggio, per avere difeso da anni la nostra possibilità di essere umani e di immaginare una società più giusta.

      https://mediterranearescue.org/news/accuse-open-arms

    • L’Italie ferme ses ports à un navire d’une ONG et 300 migrants à bord

      Les ports italiens seront fermés aux quelque 310 migrants sauvés en Méditerranée par l’ONG espagnole, Proactiva Open Arms, a déclaré samedi le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, après un premier refus des autorités de Malte.

      « Ma réponse est claire : les ports italiens sont fermés ! », a twitté le ministre d’extrême droite. « Pour les trafiquants d’êtres humains et pour ceux qui les aident, la fête est terminée ».

      M. Salvini a précisé que la demande de l’ONG de permettre l’accès au territoire italien des hommes, femmes, enfants et bébés sauvés vendredi, avait été déposée après une réponse négative de Malte.

      L’ONG a précisé que parmi les migrants, une femme et son bébé, né sur une plage libyenne, ont été emmenés à Malte par un hélicoptère des gardes-côtes.

      « Nous restons avec 311 personnes à bord, sans port où accoster, et avec des besoins », a twitté l’ONG de son côté.

      Proactiva Open Arms a annoncé vendredi avoir secouru près de 300 migrants au large de la Libye, dont des femmes enceintes, qui se trouvaient à bord de trois embarcations.

      L’ONG a posté en ligne une vidéo de certains des migrants secourus « d’une mort certaine en mer ». « Si vous pouviez aussi ressentir le froid, il serait plus facile de comprendre l’urgence. Aucun port pour débarquer, et refus de Malte de nous donner de la nourriture. Ceci n’est pas Noël ».

      Le navire avait repris fin novembre, avec deux autres bateaux d’ONG, ses missions de sauvetage en Méditerranée centrale, au large de la Libye.

      Cet itinéraire de l’immigration clandestine est le plus mortel, avec plus de 1.300 migrants morts en tentant de gagner l’Italie ou Malte depuis le début de l’année, selon l’Organisation internationale pour les Migrations (OIM).

      Les navires humanitaires opèrent dans cette zone malgré l’opposition farouche de M. Salvini, qui leur ferme les ports en les accusant de favoriser les affaires des passeurs, et les réticences de Malte.

      Une autre ONG, l’allemande Sea-Eye, a annoncé vendredi soir le départ, depuis Algésiras dans le sud de l’Espagne, d’un nouveau bateau vers le large des côtes libyennes, le « Professor Albrecht-Penck ».

      Une partie des 18 membres de son équipage sont d’anciens volontaires de l’Aquarius, ce bateau qui avait déclenché l’été dernier une crise diplomatique entre les États européens et mis définitivement à l’arrêt début décembre.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/litalie-ferme-ses-ports-un-navire-dune-ong-et-300-migrants-bo

    • Sea Watch 3 e Sea Eye: le due navi che nessuno vuole far attraccare

      Le navi delle due Ong vagano da giorni nel Mediterraneo con decine di migranti a bordo, senza un porto sicuro dove approdare e in condizioni sempre più complicate. I sogni delle persone salvate

      32 esseri umani, tra cui 3 minori non accompagnati, 2 bambini piccoli e un neonato, sono da 10 giorni in mare. Sono stati salvati dalla Ong tedesca Sea Watch. A questi si sono aggiunti altre 17 persone salvati da un’altra Ong tedesca, Sea Eye.
      Nessuno li vuole, nessun Paese europeo vuol farsi carico del destino di queste persone. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha chiesto agli Stati Ue di garantire lo sbarco delle due navi.

      «Non vogliamo che le persone che ci hanno salvato la vita, i nostri fratelli, passino dei guai per averci soccorso in mare», dice Youssef. «Siamo sfuggiti a torture e violenze. Quando abbiamo lasciato la nostra casa abbiamo perso i nostri affetti più cari, e proprio per questi motivi la nostra vita in futuro non potrà che essere migliore», aggiunge Lamin.

      Nonostante tutto, in queste parole c’è speranza. Se i loro nomi sono di fantasia, per proteggerne le identità, i loro sogni, ma anche le loro paure e le loro attese sono autentiche: così come lo sono le loro vite sottratte alla morte dal coraggio dei volontari della nave Sea Watch 3. Da dieci giorni è con queste 32 persone salvate dai marosi che l’equipaggio del comandante Anne Paul Lancet condivide umanità, cibo e riparo: «Durante la notte stiamo stretti sotto coperta, in questo modo tutti quanti possiamo stare all’asciutto ed evitare che qualcuno debba dormire sul ponte esposto alle intemperie», racconta Ayla, uno dei medici a bordo della nave della Ong tedesca.
      «Stamattina ho quasi pianto - aggiunge l’altro medico a bordo - perché tante persone mi pregavano solo di poter contattare le loro famiglie almeno per dire loro che erano al sicuro e stavano arrivando in Europa: volevano solo sentire le voci dei loro cari per qualche secondo. E noi non possiamo far nulla: e se io mi trovassi al loro posto, e se io avessi quegli stessi bisogni e desideri?», si chiede ancora il medico tedesco, guardando fuori l’orizzonte.
      L’inverno e il mare alto non perdonano, le temperature sono rigide e i rischi per l’incolumità delle 54 persone che si trovano sulla nave Sea Watch non dovrebbero venire sottovalutati. Al tavolo della politica europea, però, lontano dalle onde alte due metri, non si è ancora presa alcuna decisione sulla sicurezza di queste persone, tenute in “ostaggio” senza l’indicazione di un porto sicuro di approdo.
      Malta, Italia, Spagna, Germania e Olanda hanno rifiutato nei giorni scorsi di aiutarli e a bordo della Sea Watch 3 così come della Sea Eye si sta vivendo un’altra odissea umanitaria: molto simile nelle modalità alle crisi che avevano tenuto in scacco in estate le navi Aquarius, Open Arms e Lifeline delle ong internazionali, e i pescherecci Sarost5 e Nuestra Madre de Loreto che dovettero attendere giorni e giorni prima di potersi mettere al riparo in porto. E perfino della Diciotti, la nave della Guardia Costiera Italiana, costretta a navigare da Lampedusa a Catania e infine rimasta bloccata nel porto etneo in attesa che dal Viminale arrivasse l’ok allo sbarco dei migranti, in gran parte profughi di guerra dal Corno d’Africa.

      La situazione a bordo della Sea Watch inizia a farsi proibitiva, anche a causa del peggioramento delle condizioni meteo: «Non abbiamo problemi con il carburante - rassicura il capitano - ma lentamente stiamo esaurendo le provviste di cibo fresco e di sicuro nelle prossime settimane, pur cercando a bordo di sprecare meno acqua possibile, avremo problemi ad avere acqua a disposizione a causa del nostro sistema di filtraggio».
      «Ma perché non ci permettono di entrare in Europa?», chiede Amina che ha 31 anni e viene dal Sudan: lei è la portavoce dei sogni di tanti dei suoi compagni di sventura, ma riesce anche a dare voce all’interrogativo di tantissimi soccorritori che in mare hanno speso le loro vite per salvarne altre. «Oramai è diventato sempre più difficile spiegare alle persone che abbiamo tratto in salvo e con cui stiamo condividendo tantissime emozioni contrastanti e ore infinite di attesa, che dobbiamo restare in mare un giorno in più, perché dall’Europa non riceviamo indicazioni per un porto sicuro», spiega ancora Ayla, la dottoressa olandese, convinta che «i Paesi europei abbiano scelto finora di non assumersi la responsabilità delle vite delle persone in gioco sul confine mortale dell’Europa».
      Come abbiamo raccontato su Avvenire, Amina e le altre 31 persone sono state salvate dalla Sea Watch 3 lo scorso 22 dicembre grazie alla collaborazione con la ong Pilotes Volontaires che sorvola i cieli con l’obiettivo di avvistare gommoni e imbarcazioni in emergenza. Da allora e in attesa di ricevere indicazioni per approdare sulla terraferma l’equipaggio del capitano Lancet non si è arreso e - sostenuto anche dalle persone salvate «Sono qui per aiutare», ha detto subito Youssef mettendosi a disposizione del comandante - ha continuato a pattugliare la zona di search and rescue (Sar) libica, rispondendo alle chiamate di soccorso. Così era accaduto per le 75 persone che erano a bordo di un gommone pochi giorni fa, ma di cui non si sono più avuto notizie, probabilmente perché ingoiati dal mare o ripresi da una motovedetta libica che li ha riportati nei campi di detenzione.

      «Ho davvero paura di tornare in Libia, ho provato a scappare due volte senza riuscirci - ha raccontato ancora Amina lasciando uscire le parole con lentezza -. Quello che ho passato è stato terribile», così tanto da non riuscire quasi più a parlarne, come accade spesso con i traumi più violenti. «Avevamo molta paura quando eravamo sul gommone. Non abbiamo usato il telefono satellitare per il terrore di essere localizzati e ripresi dai libici - ha aggiunto Youssef -. Grazie a Dio siamo stati molto fortunati e i nostri fratelli ci hanno salvati. E ora possiamo prepararci a scoprire quello che sarà il nostro futuro in Europa».

      I bambini provano a raccontare i loro giorni più tristi e le paure attraverso i disegni. Uno di loro ha riportato su carta tre momenti: la vista del barcone su cui sarebbero saltati per lasciarsi alla spalle l’inferno libico, poi il gommone che si sgonfia, mentre i 32 temevano di perdere la vita, e infine la visione della Sea Watch 3, l’unico soggetto disegnato completamente a colori. Un passaggio, dal bianco e nero del gommone alla vivacità della nave di salvataggio, che da solo spiega i timori e le speranze di chi adesso, finalmente al sicuro, non si spiega il perché delle porte chiuse.
      Un sogno e un desiderio, quello dell’Europa, che emerge ancora dalle parole straziate dal dolore di Amina: «Noi donne dobbiamo essere forti – si lascia andare la donna, mentre i medici di bordo le prestano le cure –. Soprattutto possiamo essere libere in Europa. Lì possiamo vivere la nostra vita, ecco perché voglio raggiungerla». Quell’Europa che però sembra aver voltato loro le spalle.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-migranti-bloccati-in-mare

    • E LA NAVE VA… È piena di naufraghi nessun porto la vuole

      Da dieci giorni in mare decine di profughi e nessuno li vuole

      C’è un bambino appena nato che ha trascorso la notte di Capodanno in mezzo al mare. Al largo di Malta. Le autorità europee hanno deciso che è bene così. Che se l’è meritata. Insieme a quel bambino ci sono due ragazzini un po’ più grandi, tre quattr’anni, altri tre adolescenti senza genitori, e poi ancora 26 adulti, tutti africani, tutti in fuga dalla guerra, scappati dai campi di prigionia in Libia. Stavano su un gommone il 22 dicembre, volevano arrivare in Sicilia, ma il gommone ha iniziato a sgonfiarsi, le onde erano alte, il vento gelido, e loro pensavano di essere a pochi minuti dalla morte. Poi li ha avvistati un piccolo aereo da ricognizione di una Ong tedesca, Dio lo benedica, ed ha lanciato la esseoesse ad una imbarcazione sempre della stessa Ong tedesca, la Sea Watch. L’aereo ha fornito al comandante della Sea Watch le coordinate del gommone, e la Sea Watch ha raggiunto i naufraghi in tempo. Li hanno fatti salire a bordo, li hanno asciugati, riscaldati, hanno dato loro da mangiare. Il bimbo neonato ha smesso di piangere. I 31 naufraghi hanno ringraziato il personale tedesco e olandese a bordo, erano commossi, non si aspettavano più di poter sopravvivere.

      Hanno raccontato a Ilaria Solaini, che è una giornalista inviata dell’Avvenire, i loro sentimenti, il terrore di morire o di finire nel lager libici. Hanno detto che avrebbero voluto poter parlare un minuto solo, al telefono, con i loro cari lasciati a casa. Ma non hanno potuto. Hanno chiesto di poter sbarcare in un porto europeo. Malta, Spagna e poi Italia hanno risposto con un no secco. Hanno detto che loro devono difendere i confini. Anche Germania e Olanda – che non dispongono di porti ( né di confini) nel Mediterraneo – hanno detto di no. Le onde da qualche ora si sono fatte più alte. Il meteo dice che da stanotte si va sottozero. Di acqua non ce n’è tantissima. Di cibo poco. I medici a bordo della nave temono che possano apparire delle malattie. I marinai temono che il mare possa alzarsi molto. Gli ausiliari temono il freddo. Fin qui sono riusciti a far dormire tutti, di notte, sottocoperta. Anche sottocoperta però, se si va sottozero, diventa dura. Intanto un’altra imbarcazione di una Ong tedesca, la See Eye, ha raccolto altri 17 naufraghi. Anche loro sono stati rifiutati da tutti i porti europei. Qui non c’è posto, hanno detto. Tornate in Libia. Buona Fortuna.

      L’altro giorno la Sea Watch ha ricevuto una richiesta di soccorso di un altro gommone ancora. Lo ha avvistato sempre l’aereo di ricognizione. Dall’aereo hanno detto che a bordo c’erano circa 75 persone. E hanno fornito alla Sea Watch, di nuovo, le coordinate. La Sea Watch però non ha trovato il gommone. Neanche l’aereo lo ha più visto. Spariti. Nella migliore delle ipotesi sono stati catturati dai libici, e portati in un lager sulla costa. Nella peggiore se li è mangiati il mare.

      E’ vero, i confini ora sono ben difesi. E i caduti tra le fila dei nemici aumentano a vista d’occhio. La vittoria è vicina. Vabbè, diciamo che comunque 32, più 17, più una ventina di persone di equipaggio, tra marinai, medici e ausiliari, in tutto fa un po’ meno di settanta persone. Cosa volete che sia se 70 persone passano il Capodanno in mare per decisione delle autorità europee. Con tutto quello che succede nel mondo volete scandalizzarvi per così poco?

      Facevo un po’ di conti. Se non calcoliamo i soccorritori, che comunque poi se ne torneranno a casa loro, si tratta di 48 persone più un neonato di un paio di chili. L’Europa comunitaria, secondo le statistiche ufficiali, ha 503 milioni, 679 mila e 730 abitanti. Voi dite che se ospita anche questi 48, più un neonato, scoppia? O dite che i suoi 15 mila 326 miliardi di Pil annuo potrebbero andare dispersi nel soccorrere questi 49 disperati?

      Eppure è così. Talvolta la politica è esattamente così. Succede che sia la ragion di Stato a prevalere sul senso di umanità. Succede spesso. Stavolta la ragion di stato non c’entra niente. C’entrano solo i calcoli politici dei leader europei. Quanto potranno costare 49 naufraghi? Qualche migliaia di euro, che sono niente per gli Stati. E diverse migliaia, o centinaia di migliaia di voti: che sono molto, molto per i partiti.

      P. S. Inizia così la dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, redatta dall’Onu 70 anni fa: «Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità…» . Poi c’è l’articolo 13 che dice così: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese».

      E infine l’articolo 14, che si potrebbe anche imparare a memoria, perché è molto breve: «Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni». Chissà se i governanti di Germania, Olanda, Spagna, Malta e Italia hanno mai letto questi articoli. Si potrebbe proporre agli Stati europei di chiedere a chiunque entri in un governo della Ue di superare un esamino nel quale dimostra di conoscere la dichiarazione dei diritti dell’Uomo…

      http://ildubbio.news/ildubbio/2019/01/02/e-la-nave-va-e-piena-di-naufraghi-nessun-porto-la-vuole

    • Le Sea Watch 3, avec à bord 32 migrants depuis le 22 décembre, a été autorisé par les autorités maltaises à pénétrer dans ses eaux territoriales, pour s’abriter de la très menaçante météo. Mais ni accostage, ni soins ni accueil

      Un bateau de l’alliance #United4Med (Sea Watch et Mediterranea) a rejoint aujourd’hui (4/1/19) SeaWatch3. A bord le témoignage d’Alessandra Sciurba (Mediterranea) :
      https://www.instagram.com/p/BsNom3NCA1X

    • Un nouveau bateau de sauvetage affrété par la société civile basque et andalouse

      Le 14 ou le 15 janvier, partira de Pasaia, port basque, l’ex-chalutier l’#Aita_Mari, pour secourir en Méditerranée les personnes fuyant la Libye.
      Il fera escale le 16 janvier à Bilbao, passera par Barcelone puis par Majorque - avant de rejoindre les eaux au large de la Libye.
      Ce bateau a été acheté, dans cet objectif, par le gouvernement basque et remis en état par la société civile.
      Le projet est soutenu par deux associations, une basque et une andalouse.
      Les rescapés à bord, le bateau tentera d’accoster à Malte ou en Italie, mais aura toujours la possibilité, en cas de refus, de faire route vers un port espagnol, puisqu’il navigue sous pavillon espagnol.
      A son bord, sept bénévoles, 5 secouristes, 2 médecins.
      Il y aussi un mécanicien et un cuisinier.
      Et les deux capitaines, celui du bateau, et celui des secours.
      Une cabine est prévue pour un.e journaliste.
      L’équipe communiquera régulièrement et aura besoin de relai.

      Reçu via la mailing-list Migreurop

    • EU nations deadlocked on rescued migrants

      Nearly 50 migrants rescued in the Mediterranean by two ships run by rights groups are still looking for countries to take them in, one of the groups told AFP Saturday.

      “The situation is still the same,” a spokeswoman for one of the groups, Sea Watch, said.

      Their vessel, Sea Watch 3, was sheltering from stormy weather off the coast of Malta, which like Italy, has refused to allow the boat into port.

      It has had 32 migrants on board, three of them children, since rescuing them on December 22.

      A one-year-old baby and two children, aged six and seven, “are vomiting continuously and are at risk of hypothermia and dehydration,” Alessandro Metz of rights group Mediterranean wrote on Twitter Friday.

      The German NGO Sea-Eye also has a ship stranded in the Mediterranean with 17 migrants on board.


      https://www.thenational.ae/world/europe/eu-nations-deadlocked-on-rescued-migrants-1.809725

    • Ecco la diffida al governo per accogliere i 49 migranti bloccati in mare

      Azione di cittadinanza attiva in almeno 90 Province italiane: «Abbiamo consegnato in Prefettura un documento che obbliga le autorità ad adempiere alle leggi di soccorso di mare», spiega Antonio Nigro del movimento Move to resist, che ha mutuato il testo diffuso da Possibile

      http://www.vita.it/it/article/2019/01/07/ecco-la-diffida-al-governo-per-accogliere-i-49-migranti-bloccati-in-ma/150262

    • “La Chiesa accoglierà i migranti della Sea Watch”

      L’annuncio di Nosiglia durante la festa dei Popoli: un gesto simbolico ma concreto.
      «Voglio dichiarare la disponibilità della Chiesa torinese ad accogliere alcune delle famiglie che si trovano a bordo delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye». Lo ha annunciato l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, oggi alla chiesa del Santo Volto, durante l’omelia nella Festa dei Popoli. «La nostra Chiesa, come si ricorderà - ha aggiunto Nosiglia - aveva già offerto questa disponibilità per i profughi della nave Diciotti, nel settembre scorso».


      https://www.lastampa.it/2019/01/06/cronaca/la-chiesa-accoglier-i-migranti-della-sea-watch-8uxIAoytx33U6r7hjA65UN/pagina.html

    • #Diaconia_Valdese e #FCEI pronti all’accompagnamento dei profughi della Sea-Watch
      Chiese evangeliche. “Il nostro sostegno alle ONG perché il soccorso in mare e l’accoglienza a terra sono un dovere umanitario. Per noi è anche la testimonianza dell’amore di Cristo”. FCEI e Diaconia valdese pronti all’accompagnamento e all’accoglienza dei 49 profughi della Sea-Watch e della Sea eye.

      “Confermiamo il nostro sostegno alle ONG che svolgono azioni di soccorso in mare e ci rendiamo disponibili a sostenere il trasferimento e l’accoglienza dei migranti salvati dalla Sea-Watch e dalla Sea eye”. Lo affermano congiuntamente il Presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, past. Luca M. Negro, e il Presidente della Diaconia Valdese, Giovanni Comba. “Come FCEI siamo impegnati in un partenariato con Open Arms, la ONG che nei giorni scorsi ha salvato oltre trecento persone in mare – aggiunge Negro – e oggi sentiamo nostro dovere esprimere il sostegno attivo alla altre navi impegnate in azioni di soccorso che da giorni aspettano un porto sicuro in cui attraccare”. E infatti la vicepresidente della FCEI, Christiane Groeben, oggi 4 gennaio parteciperà alla delegazione di politici, esponenti della società civile e del volontariato che saliranno a bordo della Sea-Watch per chiedere con forza una rapida soluzione a quella che rischia di diventare una drammatica violazione del diritto alla protezione internazionale. “Stiamo lavorando con i nostri partner per costruire un corridoio europeo e la città di Heidelberg e le sue chiese hanno già manifestato la loro disponibilità all’accoglienza. Siamo pronti a farci carico del trasporto dei migranti nella loro destinazione finale e a collaborare per la loro accoglienza" aggiunge il presidente Comba.

      https://www.diaconiavaldese.org/csd/news/diaconia-valdese-e-fcei-pronti-all-accompagnamento-e-all-accoglienz

    • #Malte profite de l’urgence pour se délester de 220 migrants

      Le Premier ministre maltais a annoncé un accord pour le débarquement des 49 migrants bloqués sur deux navires d’ONG allemandes et leur répartition dans huit pays européens. Il se débarrasse en passant de 220 migrants déjà accueillis à Malte.

      Les 49 migrants coincés depuis parfois plus de deux semaines en mer avaient été secourus dans les eaux internationales au large de la Libye, le 22 décembre par l’ONG Sea-Watch pour 32 d’entre eux, et le 29 décembre par l’ONG Sea-Eye pour les 17 autres.

      Les pays européens se sont finalement mis d’accord pour les secourir. Ils doivent être transférés « dès que possible » sur des vedettes de la marine maltaise, qui les conduiront à La Valette. Ensuite, Malte a prié les navires des deux ONG de s’éloigner « immédiatement ».

      Les deux navires avaient été autorisés il y a une semaine à s’abriter du mauvais temps dans les eaux maltaises, mais l’accord en vue d’un débarquement des migrants a pris du temps parce que Malte exigeait d’y inclure 249 autres migrants que ce petit pays méditerranéen avait secourus et accueillis ces derniers jours.

      « Un accord ad hoc a été trouvé. Sur les 249 (migrants) présents à Malte et les 49 à bord (des navires de) Sea-Watch and Sea-Eye, 220 personnes seront redistribuées dans d’autres pays membres ou rentreront dans leur pays d’origine », a déclaré Joseph Muscat au cours d’une conférence de presse à Malte.

      Les migrants seront répartis entre l’Allemagne, la France, le Portugal, l’Irlande, la Roumanie, le Luxembourg, les Pays-Bas et l’Italie, a précisé Joseph Muscat.

      Parallèlement, 44 Bangladais du groupe des migrants déjà présents à Malte seront renvoyés dans leur pays, La Valette estimant qu’ils n’ont pas de raison d’y demander l’asile. Au final, 78 des migrants du premier groupe resteront à Malte, le plus petit pays de l’UE avec 450 000 habitants.

      « Malte n’a jamais fermé ses ports et reste un port sûr. Nous voulons simplement que tous respectent les règles internationales que nous n’avons pas créées, nous », a assuré le Premier ministre, malgré l’interdiction jusqu’ici exprimée.

      « Un signe de faiblesse »

      « Nous voulions faire passer un message politique fort, à savoir que le fardeau devait être partagé car il s’agit d’un problème européen. Il ne s’agit pas d’un discours contre les ONG, nous voulons simplement que tous suivent les règles », a insisté le Maltais.

      « Chaque heure passée sans règlement n’était pas une heure dont j’étais fier », a-t-il ajouté, en regrettant que la solution n’implique que quelques pays et non l’ensemble de l’UE.

      Redoutant de voir les arrivées dans ses eaux se multiplier à l’avenir maintenant que les navires de secours plus au sud se sont raréfiés, Malte avait plaidé pour une solution « complète et globale ».

      « Malte est un très petit pays et il est dans notre nature d’aider les personnes en détresse, mais en tant que Premier ministre, je ne peux pas me soustraire à la responsabilité de préserver notre sécurité et nos intérêts nationaux », a expliqué Joseph Muscat, répétant que le présent accord ne constituait pas « un précédent ».

      Le commissaire européen chargé des migrations, Dimitris Avramopoulos, s’est réjoui qu’une solution ait été trouvée pour permettre aux migrants de débarquer et a salué le geste de solidarité de Malte et des États membres.

      En Italie, la question faisait encore débat : le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini s’oppose farouchement à tout débarquement, mais le chef du gouvernement Giuseppe Conte s’est dit prêt à aller chercher les migrants « en avion ».

      « À Bruxelles, ils font semblant de ne rien comprendre et facilitent le travail des passeurs et des ONG. Je suis et je resterai absolument opposé à de nouvelles arrivées en Italie », a réagi Matteo Salvini, également patron de la Ligue (extrême droite), dans un communiqué.

      « Céder aux pressions et aux menaces de l’Europe et des ONG est un signe de faiblesse que les Italiens ne mérite pas », a ajouté le ministre, qui a lancé mardi soir sur Twitter le mot d’ordre #SalviniNonMollare (« Salvini tiens bon »), parmi les plus partagés depuis en Italie.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/malte-profite-de-lurgence-pour-se-delester-de-220-migrants

    • Migranti, anche in Spagna stretta sulle Ong: Open Arms bloccata a Barcellona

      Dopo aver fatto sbarcare ad #Algeciras 311 migranti il 28 dicembre scorso, la nave sarebbe dovuta ripartire l’8 gennaio per una nuova missione. Ma le autorità hanno negato l’autorizzazione: così nel Mediterraneo centrale non ci sono più imbarcazioni delle organizzazioni per il salvataggio

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/01/14/news/migranti_open_arms_bloccata_in_spagna-216523058

    • "Je ne pourrai bientôt plus parler, je gèle" : faute de secours, 100 migrants ont passé plus de 12 heures en mer

      Pendant plus de 12h, la plateforme téléphonique Alarm Phone a alerté dimanche les autorités italiennes, maltaises et libyennes sur une embarcation en détresse au large de la Libye. Rome et La Valette ont, toute la journée, renvoyé la responsabilité à Tripoli qui a finalement coordonné le secours de ce canot en envoyant un navire marchand, plus de 12h après la première alerte.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/14641/je-ne-pourrai-bientot-plus-parler-je-gele-faute-de-secours-100-migrant

    • Navire Sea-Watch bloqué en Méditerranée : « La mer est agitée et certains migrants sont malades »

      Après avoir été bloqué deux semaines début janvier en Méditerranée dans l’attente d’être accepté par un port européen, le navire humanitaire Sea-Watch erre une nouvelle fois en mer depuis son dernier sauvetage. Cinq jours se sont déjà écoulés, avec 47 migrants rescapés à bord dont huit enfants, et aucun signe encourageant de la part des pays européens.

      L’histoire se répète. L’ONG allemande Sea Watch, dont le navire humanitaire a secouru le 19 janvier dernier 47 personnes qui se trouvaient à bord d’un bateau pneumatique, attend depuis maintenant cinq jours l’autorisation d’accoster en Europe. Lors d’une précédente opération de sauvetage, le même navire avait erré deux semaines en mer avant d’être autorisé à débarquer ses rescapés à Malte le 9 janvier dernier. Un épisode qualifié de “record de la honte” par plusieurs ONG.

      L’équipage et les passagers actuellement à bord sont “assez stressés”, confie une porte-parole de Sea Watch contactée par InfoMigrants. “La nuit a été difficile. La mer est agitée et certains sont malades”, poursuit-elle, précisant que le groupe compte huit mineurs non-accompagnés et neuf nationalités différentes : Guinée, Sénégal, Guinée-Bissau, Mali, Sierra Leone, Centrafrique, Côte d’Ivoire, Gambie et Soudan.

      "Une fois de plus, nous sommes à la merci des autorités"

      “Aucun État n’a encore répondu à nos requêtes pour un port sûr”, déplore l’ONG sur Twitter, estimant que “l’Union européenne empêche le dernier navire humanitaire de travailler, alors que des centaines de personnes meurent en Méditerranée”.

      Les 47 migrants actuellement à bord du Sea-Watch ont été pris en charge après qu’Alarm Phone et l’avion de repérage Moonbird ont donné l’alerte. “Juste après le sauvetage, nous avons informé le MRCC de Rome puisque le port sûr le plus proche de notre position était celui de Lampedusa. Ils nous ont renvoyés vers les garde-côtes libyens. Nous avons essayé de les joindre, en vain. Nous ne savons même pas s’ils lisent nos emails”, explique la porte-parole de l’ONG jointe par InfoMigrants.

      Dans l’impasse, l’équipage du Sea-Watch s’est donc tourné vers le MRCC de Malte puis celui de Den Helder, au Pays-Bas puisque le navire humanitaire bat pavillon néerlandais. “Tous les deux ont décliné toute responsabilité. Nous avons demandé un port sûr à plusieurs reprises à tous ces interlocuteurs, mais nous sommes une fois de plus à la merci des autorités, dans l’attente d’un ordre de leur part”, affirme-t-elle.

      "La détresse des migrants comme outil de chantage politique"

      Dix jours avant ce nouveau sauvetage, le Sea-Watch et un autre navire humanitaire, le Sea-Eye, avaient finalement pu débarquer 49 migrants à Malte après plus de deux semaines d’errance en Méditerranée. Une période particulièrement difficile, les installations à bord des navires humanitaires ne permettant pas d’héberger durablement autant de personnes et les conditions météorologiques rendant la vie à bord très pénible.

      Malgré les demandes répétées des ONG, pendant 19 jours, le gouvernement maltais avait refusé de laisser débarquer dans son port ces 49 migrants : 32 secourus au large de la Libye le 22 décembre par le Sea-Watch et 17 autres sauvés le 29 décembre par le Sea-Eye.

      Redoutant de voir les arrivées dans ses eaux se multiplier et de devenir la principale porte d’entrée des migrants en Europe – l’Italie ayant fermé ses ports aux navires humanitaires – Malte a finalement négocié avec plusieurs pays européens un accord de répartition des 49 migrants ainsi que 249 autres recueillis quelques jours plus tôt par les autorités maltaises.

      "Nous voulions faire passer un message politique fort, à savoir que le fardeau devait être partagé car il s’agit d’un problème européen. Il ne s’agit pas d’un discours contre les ONG, nous voulons simplement que tous suivent les règles", avait déclaré le Premier ministre maltais Joseph Muscat au moment où l’accord a été trouvé.

      Mais Sea Watch ne l’entend pas de la sorte. “Nous ne pouvons pas nous retrouver encore dans cette impasse, c’était trop difficile la dernière fois pour notre équipage comme pour les rescapés. Il est inacceptable que les gouvernements européens utilisent des personnes en détresse comme outils de chantage dans leurs luttes de pouvoir”, conclut la porte-parole.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/14700/navire-sea-watch-bloque-en-mediterranee-la-mer-est-agitee-et-certains-

    • Dutch refuse Italian request to accept 47 migrants on rescue ship: government

      The Netherlands refused on Monday an Italian request to take in 47 migrants on a humanitarian ship that is being blocked from Italian ports, saying there was a need to distinguish between genuine refugees and economic migrants.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-italy-netherlands/dutch-refuse-italian-request-to-accept-47-migrants-on-rescue-ship-governmen
      #Pays-Bas #tri #catégorisation

      Dans l’article on parle de:
      #genuine_refugees and #economic_migrants
      #terminologie #mots #vocabulaire

      v. aussi le tweet de Sea Watch:
      Le comunicazioni intercorse tra #SeaWatch e l’Olanda per la richiesta di porto rifugio (POR).
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1089815346113069057

    • Caso Sea Watch. Il Garante, Mauro Palma: “E’ illecita detenzione”

      Inviata informativa alla Procura di Siracusa e richiesto al Ministro dei trasporti Toninelli di consentire urgentemente lo sbarco: «Le persone sono la nostra giurisdizione, anche se con bandiera straniera». Intanto 50 organizzazioni scrivono al premier Conte: «Sbarco Immediato». E il Cnca si dice disponibile ad accogliere i migranti nelle sue strutture

      http://www.agenzia.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/617603/Caso-Sea-Watch-Il-Garante-Mauro-Palma-E-illecita-detenzione

    • Les migrants du Sea-Watch 3 vont pouvoir débarquer grâce à un accord entre sept pays européens

      L’Italie a annoncé un accord avec six autres pays européens pour répartir les 47 migrants bloqués depuis 12 jours en mer sur le Sea-Watch. Le navire est attendu dans la nuit au port de Catane, dans l’est de la Sicile.

      Les 47 migrants bloqués depuis près de deux semaines à bord du Sea-Watch 3 au large de la Sicile vont pouvoir débarquer grâce à un accord conclu mercredi 30 janvier entre l’Italie et six autres pays européens pour répartir les migrants.

      Le Sea-Watch 3, qui se trouvait depuis vendredi au large du port sicilien de Syracuse pour s’abriter du mauvais temps, « a reçu l’instruction de se diriger vers le port de Catane », environ 70 km plus au nord, où il est attendu dans la nuit, a annoncé une source ministérielle italienne.

      A la mi-journée, le chef du gouvernement italien, Giuseppe Conte, avait annoncé que les opérations de débarquement allaient débuter « dans les prochaines heures ». Les six pays avec laquelle l’Italie a conclu un accord sont la France, le Portugal, l’Allemagne, Malte, le Luxembourg et la Roumanie. Il n’était pas clair si l’Italie elle-même garderait une partie des migrants. Giuseppe Conte l’a laissé entendre mais son ministre de l’Intérieur, Matteo Salvini, qui s’y est toujours opposé de manière catégorique, ne l’a pas confirmé.

      « Prise d’otages européenne »

      « Nous sommes heureux que cette prise d’otages européenne prenne fin », a déclaré le porte-parole de Sea-Watch, Ruben Neugebauer. « En même temps, c’est un mauvais jour pour l’Europe car les droits humains ont une fois de plus été subordonnés à des négociations au sein de l’UE. Encore un jour amer », a-t-il ajouté.

      Depuis des mois, diplomates européens et humanitaires réclament un mécanisme permanent de répartition des migrants secourus en mer pour leur épargner les interminables discussions au cas par cas.

      Mais les cas pourraient devenir de plus en plus rares avec le blocage progressif des navires humanitaires privés, comme l’Aquarius de SOS Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF) ou l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms.

      Le choix d’envoyer à Catane le Sea-Watch 3, affrété par l’ONG allemande Sea-Watch et battant pavillon néerlandais, semble répondre au souhait formulé par M. Salvini de voir la justice enquêter sur les activités de l’équipage.

      Le gouvernement italien lui reproche de ne pas avoir laissé les garde-côtes libyens se charger des migrants, puis de s’être précipité vers l’Italie plutôt que de chercher refuge sur la côte tunisienne, qui était beaucoup plus proche. Mais l’ONG assure n’avoir jamais reçu de réponse de Tripoli ni de Tunis.

      Le procureur de Syracuse, Fabio Scavone, a estimé lundi que le commandant du Sea-Watch n’avait « commis aucun délit » et avait seulement « sauvé les migrants et choisi la route qui semblait la plus sûre sur le moment ».

      Mais à Catane, le procureur Carmelo Zuccaro s’est montré particulièrement incisif contre les ONG depuis deux ans. En mars 2018, il avait obtenu le placement sous séquestre de l’Open Arms dans le cadre d’une enquête pour aide à l’immigration clandestine contre les responsables du bateau qui avaient refusé de remettre des migrants secourus aux garde-côtes libyens.

      La source au ministère de l’Intérieur a expliqué que Catane avait été choisie parce qu’elle compte des centres pour l’accueil des 13 adolescents du groupe. Les migrants majeurs seront conduits dans un centre d’identification et de premier accueil à Messine, également en Sicile.

      « Mission accomplie ! », s’est réjoui M. Salvini mercredi. « Encore une fois (...), l’Europe a été contrainte à intervenir et à prendre ses responsabilités ».

      https://www.france24.com/fr/20190130-migrants-sea-watch-italie-catane-salvini-accord-europeen

    • No more civilian rescue boats off Libyan coast

      The civilian rescue vessel Sea Watch 3, which was detained in Italy on Friday, is the latest of such boats to stop operations in the central Mediterranean. Now, only the Libyan Coast Guard is able to save migrants risking their lives at sea in an attempt to reach Europe from North Africa.

      The main non-government organizations rescuing migrants off the coast of Libya stopped their efforts in mid-2017, mainly because of increased threats from the Libyan Coast Guard. The news agency AFP compiled this update on migrant rescue organizations and their activities:

      The Maltese aid group MOAS, which was the first to carry out migrant rescue operations in 2014 and had deployed two vessels, transferred its activities to helping the Rohingya in Bangladesh in September 2017.

      At about the same time, Doctors Without Borders (MSF) ended its operations with the Vos Prudence, the biggest private boat deployed off Libya with a record 1,500 people rescued at the same time.

      Save the Children ended its search and rescue operations with the Vos Hestia in October 2017.

      In August 2017, Italian authorities impounded the Juventa, operated by small German aid group Jugend Rettet, after it was accused of helping Libyan human traffickers. Jugend Rettet has denied the charge.

      The Lifeline rescue vessel, operated by a German aid group of the same name, was impounded on arrival in Valletta, Malta, in June 2018, for alleged registration issues.

      The aid groups SOS Mediterranee and MSF stopped search and rescue operations with the Aquarius in December 2018 after it was stuck in a French port for two months following the revocation of its registration.

      In January 2019, Spanish authorities refused to allow the Open Arms ship to leave Barcelona harbor. In early 2018 the boat, operated by the Spanish NGO Proactiva Open Arms, was impounded for a month by Italy. It was then forced to take rescued migrants to Spain several times after Malta and Italy refused to allow them to disembark.

      The Sea Eye charity from Germany had several vessels impounded during 2018 but deployed another ship, the Professor Albrecht Penck, in December, rescuing 12 migrants. The boat is currently in Majorca and plans to set sail again in around two weeks, according to AFP.

      SOS Mediterranee has said it is looking for another boat and flag so it can continue search and rescue operations.

      In Italy a collective of associations launched the Mediterranea, flying an Italian flag, mainly to witness the situation for migrants off Libya.

      There are also two light aircraft which overfly the Mediterranean trying to identify and locate boats in trouble: the Colibri operated by French aid group Pilotes Volontaires, and the Moonbird operated by Sea Watch.


      http://www.infomigrants.net/en/post/14966/no-more-civilian-rescue-boats-off-libyan-coast
      #the_end

    • Sea Watch 3 still held in Catania, despite rescue vessel vacuum in the Mediterranean

      The crew of the migrant rescue vessel Sea Watch 3 are ready to continue life saving operations in the central Mediterranean but the vessel remains without permission to leave from Catania harbour, the NGO said yesterday.

      With NGO vessels being barred from leaving ports and coast guard and navy ships withdrawn from the area, it is not known how many attempted crossings there have been over the past week.

      The Sea-Watch 3 vessel remains unable to leave Catania under orders of the port authority and is barred from performing essential search and rescue activities in the Central Mediterranean Sea.

      The vessel was recently caught up in another migrant stand-off between Malta and Sicily and was eventually allowed to disembark the migrants it had rescued in Catania.

      However, the vessel has not been allowed to leave, in what is reminiscent of the time it spent impounded in Malta during the summer of 2018.

      Earlier this year, the vessel, along with another ship operated by the Sea-Eye NGO, was left stranded off the coast of Malta for over two weeks.

      The rescued migrants were eventually disembarked in Malta after an agreement was reached between several member states. The vessels were then ordered to leave Maltese waters, with permission for a crew change reportedly denied.

      Maltese national Danny Mainwaring is among the crew members currently stuck on the Sea Watch in the port of Catania.

      In comments to The Malta Independent, Sea Watch said: “The Public Prosecutor’s Office of Catania stated that Sea-Watch and the crew of its last mission have committed no criminal offence and that all their actions in the rescue of 19 January were justified, as the vessel and her crew saved the lives of 47 people whose boat was bound to sink.

      “That mission culminated in a stand-off that saw vulnerable people stranded at sea on the coast of Syracuse as European leaders failed to provide a port of safety in a timely manner. Despite the public acknowledgement that Sea-Watch conducted itself within the law, the vessel remains barred from departing on technical grounds and awaits a visit from the Dutch flag state requested by the Italian Coast Guard.

      “The Sea-Watch 3 passed a flag state inspection in the summer of 2018, which also confirmed its correct registration. We find ourselves in a scenario reminiscent to that which unfolded in Malta that same summer, when the vessel was kept from leaving port for over four months while a record number of people drowned at sea.

      “EU governments have unanimously adopted a policy of attempting to criminalize sea rescue NGOs and instead finance, train and provide logistical support to the so-called Libyan Coast Guard.

      “Despite the fact that Libya remains in a state of civil war and migrants and refugees face well documented human rights abuses in its detention facilities, the EU is outsourcing a policy of forced return to the so-called Libyan Coast Guard in violation of the principle of non-refoulement.

      “This principle, enshrined in international law, prohibits governments from returning asylum seekers to a country in which they face a well-founded fear of persecution, and inhumane and degrading treatment.

      “With many national coast guard and navy assets withdrawn from the Central Mediterranean and no NGO vessels currently at sea, it is not known how many attempted crossings there have been over the past week. With absolute numbers of crossings declining but the death rate rising, one can only conclude that Europe has strayed from the spirit of cooperation and respect for human rights that it was founded on; the same spirit that breathed life into Operation Sophia when mass drownings alarmed the continent and the world in May 2015.

      “The Sea-Watch 3 and her crew are ready to sail and perform the essential life saving duties for which the organisation has been lauded across the world.

      “European governments must meet their responsibilities towards those in distress both at sea and on land. Rather than criminalize rescue NGOs, who are upholding this responsibility in Europe’s stead, governments must seek sustainable solutions while cooperating with NGOs and opening their ports to people rescued at sea.”


      http://www.independent.com.mt/articles/2019-02-11/local-news/Sea-Watch-3-still-held-in-Catania-despite-rescue-vessel-vacuum-in-th

    • When commercial ships tell migrants rescued at sea they are going to bring them to Europe

      Some commercial ships that have rescued people in danger have lied about their destination, according to a telephone hotline that helps migrants lost at sea. Alarm Phone says the crews of several ships led migrants to believe they would be dropped off in Europe, but instead returned them to Libya.

      https://www.infomigrants.net/en/post/15194/when-commercial-ships-tell-migrants-rescued-at-sea-they-are-going-to-b

    • When rescue is capture: kidnapping and dividing migrants in the Mediterranean

      EU member states are holding migrants hostage while playing pass the parcel with their fates. It’s a strategy that is as cruel as it is deliberate.

      The Italian minister of the interior, Matteo Salvini, is currently under investigation for abuse of power and the kidnapping of 177 migrants. These migrants were, on Salvini’s orders, confined to the coast guard vessel Diciotti for more than one week in late August last year. While this case received international media attention, it was not an isolated event. Over the last several years Italian ministers and politicians have repeatedly violated international and domestic law as they have sought to prevent individuals from migrating over the Mediterranean Sea. The disembarkation of rescued migrants has been denied or delayed many times. On a few occasions, Italy has arbitrarily closed its ports entirely.

      While the closure of ports and the kidnapping of migrants triggered a strong reaction from some citizens and municipalities, many seemingly do not care. They do not care about the kidnapping of people by the state, nor about an interior minister who violates the law. They just do not want the migrants to land in Italy. Yet, far from being an exclusive Italian affair, the above mentioned legal and political controversies are part of a European battle, in which member states compete to not take care of a few dozen people on a boat seeking asylum. In fact, the recurrent strategy of taking migrants hostage is a sign of how deep Europe’s crisis has become.

      Kidnapping migrants is a strategy designed to deter and exhaust migrants while putting pressure on other member states.
      Migrants as hostages of European politics

      31 January 2019: after being held on a ship of the NGO Sea Watch for 13 days by the Italian authorities, the 47 migrants who were rescued in central Mediterranean were finally authorised to disembark in Sicily, or to put it better they had been liberated. During the period of their captivity the Italian government had argued that the Netherlands should receive them, due to the Dutch flag on the Sea Watch vessel. The Dutch authorities refused to do so. The standoff resulted in a meeting at the European Commission in Brussels to discuss how to deal with the 47 migrants nobody wanted to take. After days of negotiations, the Vatican offered to host the minors while eight member states (France, Germany, Romania, Malta, Portugal, Spain, Luxembourg and Italy) agreed to take a few migrants each. Meanwhile, the NGO Sea Watch was defending itself against a cynical smear campaign in which the Italian government accused it of “putting migrants’ lives at risk”.

      This case is only the latest in a series of episodes that took place in central Mediterranean. The kidnapping of migrants has been repeatedly enacted by the Italian government and by Malta over the last year. It’s a strategy designed to deter and exhaust migrants, on the one hand, and to put pressure on the EU and on other member states, on the other. It is worth highlighting the continuity of this tactic. Among other episodes, in July 2018 the coast guard vessel Diciotti was prevented from disembarking rescued migrants in the port of Catania until the Italian president at the time successfully intervened. One month later, the Diciotti was again blocked for more than one week, this time with 177 migrants on board. In both these cases the rescue vessel was Italian. In more recent episodes the vessels have belonged to NGOs registered to other member states. In the closing days of 2018, 49 migrants had to wait 19 days after being rescued by the Sea Eye and Sea Watch vessels. They were finally disembarked in Malta on 9 January, and then relocated to other EU countries.

      The strategy of migrant kidnapping on the northern shore of the Mediterranean is part of a broader politics of migration containment. Together with the protracted detention of migrants on rescue vessels, the Libyan Coast Guard intercepts and rescues migrants in distress and takes them back to detention centres in Libya as a result of the 2017 Italy-Libya Memorandum of Understanding. International organisations like UNHCR and the IOM are involved in their containment in Libya once they arrive. In both cases – the confinement of migrants on rescue ships and the return of migrants to Libya – rescue at sea turns out to be a mode of capture.

      We might have been pulled out of the sea, the argument goes, but we are no less human and we are not to be bartered and haggled over.
      The European battle over numbers

      The migrants at the centre of these intra-European diplomatic battles are actually very few in number. Meetings, internal political crises, and struggles between states and non-state actors have resulted from a few dozen migrants seeking entry into Europe despite already being within European territory; confined to their rescue ships either in or just off European harbours for no other reason than member states’ refusal to take them. It is noticeable that the dispute among European countries was also predicated on migrants’ vulnerability: some member states have declared that they would welcome women and minors only. In this way, the right to protection and to mobility appear as a sort of “privilege” of those deemed to be the most vulnerable.

      The “fear of the small numbers”, as the anthropologist Ariun Appadurai calls it, has rarely been so evident. With just a few dozen migrants at issue, Salvini is by no means staving off a ‘crisis’ of quantity. Yet that is what makes recent events so troubling. They show that public sentiment does not soften when the counterargument focuses on how small the numbers are, as it has done so far. Both citizens’ active consensus and passive acceptance of migration containment has proved immoveable. The European front against migrants ultimately remains solid.

      At the same time, the anti-migrant front does not monopolise the field. Thousands of citizens mobilised across Europe and in Italy to demand the liberation of the detained migrants. Their solidaric reaction was not primarily driven by the fact that there were only a ‘few’ migrants to host, but by a conviction that those kidnapped – like with any other kidnapping – must be unconditionally released. As such, during the protests that haven taken place we have seen many more banners with the words “let them disembark!” than with more Italy-centric slogans like “not in my name”. In short, it’s not about Italy, it’s about the people on the ship.

      That central point is further enshrined in the “We are not fish” campaign, launched in Rome on 28 January 2019. We might have been pulled out of the sea, the argument goes, but we are no less human and we are not to be bartered and haggled over. The “We are not fish” campaign demands that Italian harbours remain open and that migrants are allowed to disembark. It opposes the fundamental inequality of lives that sustain the politics of migration, which is premised on the suggestion that migrants are not truly humans.

      The widespread citizen reaction against migrants’ seizure at sea and against deaths in the Mediterranean constitutes not only a fundamental ethical response, but also potentially a catalyst for actively refusing the leave-to-die politics playing out in the Mediterranean. Indeed, the ongoing civic mobilisation should be seized as an opportunity for moving beyond the horizon of a politics of rescue and the current debate that pivots around the question, should we rescue or not rescue the migrants?

      Indeed, a left-wing discourse on migration would require fighting the politics of migration containment as a whole, including the most recent bilateral agreement between Italy and Libya that the previous government led by the Democratic Party signed. It would also require challenging the racialisation and inequalities of lives enforced by the global visa regime, which forces many people across the world to become shipwrecked lives to be rescued. Neither the trial of Salvini nor the acceptance of the terms of the current debate centred around leave-to-die politics will liberate migrants from being held hostage to European politics. “We are not fish”. This motto is circulating widely. It posits the existence of a ‘we’, a common ground, between migrants and European citizens that refuses the reproduction of the asymmetries between ‘rescuers’ and ‘rescued’.

      https://www.opendemocracy.net/beyondslavery/martina-tazzioli/when-rescue-is-capture-kidnapping-and-dividing-migrants-in-mediterran

    • Un seul navire humanitaire est actuellement présent au large de la Libye

      Près de 17 000 personnes sont mortes en mer Méditerranée ces quatre dernières années. Pour tenter d’enrayer la tragédie, des navires humanitaires se sont relayés dans la zone de détresse, au large des côtes libyennes pour les secourir. Mais actuellement, un seul patrouille dans cette zone.

      Actuellement, seul le bateau Aylan Kurdi (anciennement appelé Professor Albrecht Penck) est actuellement au large de la Libye. Il appartient à l’ONG allemande Sea Eye.

      Où sont les autres bateaux d’ONG ? InfoMigrants fait le point.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Le Sea-Watch 3 de l’ONG Sea Watch est en escale dans le port de Marseille pour un problème administratif relatif à son pavillon néerlandais (et effectuer sa maintenance). Il devrait repartir en mer mi-mars.

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      –En Italie, un collectif d’associations a lancé le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer. Il est actuellement à Palerme.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      – Médecins sans frontières (MSF) a mis fin au même moment aux activités du Vos Prudence, le plus gros navire humanitaire privé actif au large de la Libye avec un record de de 1 500 personnes secourues en même temps.

      – Save the Children a également mis fin aux activités de sauvetage du navire Vos Hestia.

      – L’ONG maltaise Moas, la première à s’engager dans les opérations de secours en 2014 et qui a compté jusqu’à deux navires dans la zone, a transféré ses activités auprès des Rohingyas au Bangladesh.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/15426/un-seul-navire-humanitaire-est-actuellement-present-au-large-de-la-lib

    • Sea Watch segreto di Stato. Viminale e Infrastrutture: no accesso agli atti

      Non è possibile sapere da chi e come fu bloccata la nave. Ed è giallo anche sull’omesso sbarco dei minori. Cortocircuito tra Prefettura, Comune e Tribunale di minori

      Nel Paese dei misteri irrisolti anche la sorte dei migranti rischia di diventare un “segreto di Stato”. Non sarà infatti possibile sapere chi, nello scorso gennaio, ha dato l’ordine di bloccare a Siracusa la nave umanitaria Sea Watch, né chi e perché ha impedito lo sbarco immediato dei 15 minorenni, dirottando poi il vascello verso il porto di Catania.

      La conferma dello stato di riservatezza degli atti arriva dal Viminale, che ha respinto la richiesta di divulgazione dei documenti depositati presso il ministero delle Infrastrutture. Intorno al caso, dopo che Avvenire aveva documentato la smentita del ministero che esclude sia mai stato dato l’ordine di «porti chiusi», è stato eretto un muro di gomma. Nei giorni scorsi il Viminale aveva assicurato che da Salvini, contrariamente alle reiterate dichiarazioni pubbliche, non era mai partito alcun ordine di stop alle navi umanitarie né alcun «divieto di sbarco».

      Non restava che interpellare il dicastero guidato da Danilo Toninelli, competente per la Guardia costiera e i porti. Ma la nuova richiesta di accesso ai documenti è stata respinta. Motivo? «La tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria». Così il capo di gabinetto del ministro Salvini ha risposto all’istanza «indirizzata – viene precisato nella risposta – anche al ministero delle Infrastrutture», a cui era stata originariamente rivolta. Nella missiva, che reca la data del 26 febbraio, viene escluso per il caso Sea Watch l’obbligo di divulgazione delle informazioni.

      Secondo la legge richiamata nello scambio di documenti tra l’avvocato Alessandra Ballerini, che aveva chiesto trasparenza per contro di Adif (Associazione Diritti e Frontiere), e il prefetto a capo del gabinetto del ministro, viene invocata la norma che giustifica il rifiuto alla conoscibilità per «la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive». In quale di queste categorie rientri il caso della Sea Watch e dei minorenni bloccati a bordo per 13 giorni non è dato da sapere.

      Indirettamente, però, una cosa il Viminale la conferma. Se nei giorni scorsi era stata negata l’esistenza di deliberazioni riconducibili al ministro Matteo Salvini, adesso viene implicitamente riconosciuto che le decisioni furono prese formalmente dal ministero delle Infrastrutture. Una circostanza che di fatto esenta Salvini, che aveva dato “indicazioni politiche”, da responsabilità che eventualmente ricadrebbero su Toninelli.

      La gestione dei 15 minori non accompagnati e l’omissione dello sbarco immediato (come previsto dalle norme per i minorenni non accompagnati) potrebbe avere seguiti giudiziari. Da uno scambio di comunicazioni tra la prefettura di Siracusa, il Tribunale dei minori di Catania e il Comune di Siracusa risulta, infatti, che la scelta di trasferire la nave al porto di Catania, dopo giorni alla fonda davanti al “Porto rifugio” siracusano, sarebbe stata assunta dal Comando generale delle Capitanerie di porto, che dipende dal ministero delle Infrastrutture. Disposizione necessaria «in ragione della presenza di minori a bordo».

      A scriverlo è proprio la prefettura aretusea in una nota trasmessa il 31 gennaio (giorno dello sbarco) al Tribunale per i minorenni di Catania. Eppure ventiquattr’ore prima lo stesso tribunale aveva inviato i decreti di affido dei 15 minori ai Servizi sociali del Comune di Siracusa, che immediatamente aveva individuato e messo a disposizione 4 strutture del circondario. Invece, nessuno viene fatto sbarcare e in serata la Sea Watch, dopo una settimana di attesa in Sicilia, riceve l’ordine di procedere verso Catania. Una decisione, come sostiene il prefetto Luigi Pizzi in uno dei documenti ottenuti da Avvenire, dovuta alla mancanza di strutture di prima accoglienza idonee. Una carenza che però non risulta, vista la disponibilità certificata dal Comune e che sorprende anche il Tribunale che proprio dall’ente locale aveva ricevuto l’elenco dei centri di accoglienza.

      «Non c’era nessun bisogno che intervenisse il tribunale per far sbarcare i minori. La legge è chiara: andavano fatti sbarcare subito», dice Sandra Zampa, ex parlamentare del Pd e autrice della legge sui minori non accompagnati votata nella precedente legislatura con il sostegno del M5s. L’intervento del tribunale dei minorenni ha confermato l’efficacia delle norme, «interrompendo – spiega Zampa – l’omissione che si stava compiendo».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-segreto-di-stato

    • Sea Watch, inchieste sugli atti «top secret». Si muovono le procure

      Dopo che il Viminale si è rifiutato di rendere pubblici gli ordini, i pm accendono un faro. Il sindaco di Siracusa: «Anomalie, abbiamo le prove. Fare chiarezza». E accusa: «Ci furono ordini politici»

      Il caso Sea Watch, con lo stallo davanti al porto di Siracusa e poi il trasferimento nello scalo di Catania, avrà seguiti giudiziari. Sono almeno due le procure che stanno esaminando i fatti riguardanti l’omesso sbarco immediato dei 15 minorenni e le modalità con cui le autorità politiche hanno eretto un muro intorno alla catena di comando. Una barriera contro cui è disposta a fare breccia la giunta di Siracusa, che si dichiara pronta ad andare davanti ai magistrati per riferire tutte le anomalie registrate a fine gennaio.
      Le inchieste, a quanto trapela, riguardano non solo Sea Watch, ma anche altri sbarchi con le navi umanitarie costrette al largo per giorni prima di poter mettere al sicuro, sulla terraferma, i naufraghi scampati ai lager libici e alle tempeste. Vari esposti erano da tempo sui tavoli della procura di Roma e di alcune procure siciliane, che hanno acquisito quanto rivelato da «Avvenire» giovedì scorso. A cominciare dalla massima riservatezza apposta dal ministero dell’Interno sugli atti relativi alla Sea Watch, mentre il dicastero guidato da Danilo Toninelli ha lasciato trascorrere i 30 giorni previsti dalle norme per rispondere alle richieste di accesso civico agli atti presentata dall’Associazione Diritti e frontiere. Uniche spiegazioni sono arrivate dal Viminale con due risposte in apparente contraddizione. La prima, firmata dal Dipartimento Immigrazione, escludeva che fosse mai stato dato l’ordine di porti chiusi e divieto di sbarco. La seconda, siglata dal capo di gabinetto del ministro, precisava che «la tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria». Da qualche parte, dunque, ci sono documenti che non si vuole rendere noti. Perché?
      Quanto all’ipotetico cavillo usato per trasferire la Sea Watch copn i suoi 47 naufraghi improvvisamente da Siracusa a Catania, emerge un dettaglio da un documento della prefettura di Siracusa, che come è noto risponde al Viminale. La lettera, visionata da “Avvenire”, è del 31 gennaio 2019, giorno in cui la nave ricevette l’ordine di lasciare le acque antistanti il “Porto Rifugio” di Siracusa per recarsi, scortata da Guardia costiera e Guardia di finanza, verso Catania. La missiva, indirizzata al presidente e al procuratore del Tribunale dei minorenni, rivela che la nave è stata dirottata «proprio in ragione della presenza di minori a bordo che in quella sede saranno immediatamente accolti in idonee strutture. Diversamente da quanto sarebbe avvenuto in questa provincia, ove non si dispone di centri destinati ai minori in argomento». Sarebbe questo, dunque, uno dei grimaldelli adottati per sottrarre la Sea Watch alla procura di Siracusa - che aveva escluso irregolarità commesse in mare dall’equipaggio - consegnando la nave umanitaria alla procura di Catania, mai stata tenera con le Ong. Il procuratore Zuccaro (Catania) ha però dato ragione alle indagini del collega Scavone (Siracusa) non ravvisando comportamenti illeciti dell’equipaggio.

      I fatti emersi in questi giorni hanno provocato la reazione del Comune di Siracusa, accusato di non avere a disposizione luoghi di accoglienza per minori non accompagnati. «Bisognerà far chiarezza su come si sono svolti i fatti», afferma Alessandra Furnari, assessore alle Pari opportunità sociali. Su richiesta del Tribunale dei minorenni erano invece state individuate strutture adeguate presenti nel comprensorio. «Sul trasferimento dei minori a Catania – prosegue l’assessore Furnari - non abbiamo mai avuto notizie ufficiali, ma solo colloqui telefonici con la prefettura». Scambi verbali senza che mai «la prefettura – insiste l’assessore - desse riscontro per iscritto». Una costante durante quei giorni ad alta tensione. «Ciò che ha caratterizzato tutta la vicenda - osserva il sindaco di Siracusa, Francesco Italia – è stata proprio l’assenza di risposte formali». Come se si avesse il timore di lasciare tracce. «In tutti gli sbarchi avvenuti a Siracusa precedentemente – ricorda Italia – i minori sono sempre stati accolti nelle strutture di II livello (le stesse predisposte per la Sea Watch, in linea con l’ordine del tribunale), senza che ciò creasse alcun problema». Per il primo cittadino c’è una sola spiegazione: «Si è trattato di decisioni di tipo politico».
      Ora a Siracusa attendono solo una convocazione da parte dei magistrati inquirenti. «Non abbiamo alcun problema a raccontare quello che è successo», ribadisce l’assessore Alessandra Furnari. E a differenza del muro di gomma eretto nei ministeri, le accuse della giunta possono essere «documentalmente provate, perché molti rapporti con il tribunale e con la prefettura, almeno da parte nostra, sono avvenuti per iscritto».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-inchiesta-su-atti-top-secret

    • Migrants on hunger strike in Malta after stuck for 2 months

      Many of the 49 people rescued in December by the #Sea_Watch and #Sea_Eye ships are engaged in a hunger strike, the platform Mediterranea Saving Humans reports. The migrants have been in a Malta center for two months and are protesting “against the de facto detention that they are illegally subjected to.”

      https://www.infomigrants.net/en/post/15616/migrants-on-hunger-strike-in-malta-after-stuck-for-2-months
      #Malte #grève_de_la_faim #attente #limbe #détention #Marsa

    • Migranti, la nave ong Alan Kurdi diretta a Malta. Esposto di Mediterranea contro il governo

      Dopo il rifiuto delle madri con figli di sbarcare a Lampedusa senza i loro mariti. La Procura di Agrigento dovrà aprire un fascicolo sulla mancata autorizzazione a entrare in acque italiane e la non assegnazione di un porto sicuro. E il capitano De Falco andrà sulla nave che partirà verso la Libia per soccorrere naufraghi

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/04/06/news/migranti-223409223

    • Italy’s prime minister and Matteo Salvini under investigation over detention of migrants

      Far-right politician Matteo Salvini and Italy’s prime minister Giuseppe Conte have been placed under investigation over the detention of 47 migrants.

      Mr Salvini said he was once again under investigation for alleged false imprisonment on Monday after a dispute earlier this year over whether the interior minister and Lega Nord party leader should be tried over the detention of 177 asylum seekers last August.

      The current case concerns the decision to prevent migrants from leaving a Sea-Watch ship, which rescued them off the coast of Libya on 19 January.

      Deputy prime minister Luigi Di Maio and infrastructure minister Danilo Toninelli, also face charges with Mr Salvini and Mr Conte.

      The 47 migrants were forced to wait off the coast of Sicily for more than a week after the ship was denied the right to dock in Palermo, inspiring an emergency appeal to the European Court of Human Rights and criticism from the United Nations.

      The Sea-Watch ship was only allowed to dock after other European countries agreed to accept the migrants.

      In March, senators stopped a criminal case against Mr Salvini for blocking a rescue ship in August 2018 after an Italian court ruled that he should be tried.

      Mr Salvini has repeatedly berated rescue ships and accused charitable organisations of aiding and abetting illegal immigration.

      “I am under investigation again, but as long as I am the interior minister, the government colleagues can say what they want, the Italian ports remain closed,” he said, maintaining his hardline stance on immigration.

      “Another 18 criminal proceedings can be opened, I don’t change my mind."

      Before the senate vote on Mr Salvini’s case in March, Mr Conte and Mr Di Maio, who leads the Five Star Movement (M5S), formally defended the minister.

      “If Salvini is responsible for the seizure [of the boat] then the whole government is responsible,” they said in a statement.

      Giorgia Linardi, a spokesperson for Sea-Watch in Italy, said the organisation had worked within the law and the boat was unjustly detained.

      “The detention on board for propaganda purposes cannot once again be unjustified, because it is protected be politics,” she said.

      “People fleeing Libya must be rescued and protected, not exploited.”

      The court will reportedly have three months to decide whether the four politicians should face trial.

      If the court decides to bring charges, the senate will vote on whether their parliamentary immunity should be removed.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/matteo-salvini-italy-prime-minister-conte-migrants-detention-a8872301

  • La sindaca di #Lodi non torna indietro: «Il regolamento resta in vigore». Nuovo caso in Veneto

    Per ottenere il contributo regionale sull’acquisto di testi scolastici in Veneto, i cittadini non comunitari devono presentare, oltre alla certificazione Isee, un certificato sul possesso di immobili o percezione di redditi all’estero rilasciato dalle autorità del Paese di provenienza.

    È quanto si legge nelle «istruzioni per il richiedente» rilasciate a settembre sul sito internet della Regione. Nei giorni scorsi, era scoppiata la polemica su un caso simile a Lodi, dove il Comune ha chiesto un documento aggiuntivo a chi non è italiano per ottenere le agevolazioni sulla mensa scolastica.

    La norma non è però presente né nella delibera di Giunta né nel bando per la concessione di contributi, ma soltanto nelle «istruzioni per il richiedente» rilasciate a settembre sul sito internet per la compilazione della richiesta. A renderlo noto, in un’interrogazione alla Giunta regionale, è il Gruppo del Partito democratico, che chiede una proroga per il termine di presentazione delle domande, che è stata fissata a mezzogiorno di oggi. «La Giunta - afferma l’interrogazione che ha come primi firmatari i consiglieri Francesca Zottis e Claudio Sinigaglia - faccia chiarezza sui contributi per il buono libri: la documentazione richiesta ai cittadini non comunitari sta provocando ritardi e disagi».

    La certificazione richiesta ai cittadini extra Ue è «un passaggio obbligatorio - spiegano Zottis e Sinigaglia - che compare solo nelle istruzioni delle procedure web per la validazione delle domande alla Regione. Tuttavia la documentazione non serve in presenza di un’apposita convenzione tra l’Italia e lo stato di provenienza: bastano delle semplici dichiarazioni sostitutive. Ma le amministrazioni locali neanche sanno quali sono i Paesi con cui sono stati firmati questi accordi, oltre ad aver scoperto in ritardo la necessità di un ulteriore passaggio in quanto non c’era alcuna traccia nel bando. Non si può scaricare ulteriori incombenze e responsabilità sui Comuni. Senza considerare che si rischia di tagliar fuori dai contributi una buona fetta di cittadini non comunitari che invece avrebbe bisogno di un sostegno».

    La replica della Regione Veneto rispetto alla vicenda, sottolinea che la necessità di un certificato ai cittadini non comunitari per usufruire dei buoni per l’acquisto di libri ricalca quanto stabilito dalla normativa statale. Si sarebbe trattato, quindi, dell’applicazione in ambito regionale del Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 tutt’ora vigente.

    La norma regola l’utilizzo degli istituti della autocertificazione di fatti, stati e qualità personali relativamente ai soli cittadini non comunitari, appartenenti a Paesi che non hanno sottoscritto con lo Stato Italiano convenzioni internazionali. In ambito regionale la materia è regolata dalla legge 7 febbraio 2018 n. 2 «Disposizioni in materia di documentazione amministrativa» ai sensi dell’articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa» e dell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 «Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero».

    Intanto, sul «caso Lodi», è intervenuto Matteo Salvini, attraverso una dichiarazione postata sul suo profilo Facebook: «Basta coi furbetti, se c’è gente che al suo Paese ha case, terreni e soldi, perché dovremmo dare loro dei servizi gratis, mentre gli Italiani pagano tutto?».

    E, dopo le polemiche, arriva la replica della sindaca di Lodi, che non arretra. «Certamente il Regolamento rimane in vigore, la Legge deve sempre valere per tutti - si legge in una nota - dispiace che non tutti condividano il principio di equità che sta alla base di questa delibera, che vuole mettere italiani e stranieri nella stessa condizione di partenza per dimostrare redditi e beni posseduti, né il successivo impegno preso dall’Amministrazione nei confronti dei cittadini che sono nell’oggettiva impossibilità di presentare la documentazione richiesta».

    https://www.huffingtonpost.it/2018/10/15/bimbi-stranieri-esclusi-da-buoni-libro-senza-certificato-ad-hoc-nuovo

    #enfants #enfance #école #discriminations #migrations #Italie #mensa #manuels_scolaires #xénophobie #racisme #cantine_scolaire

    • Lodi, l’affondo di Fico: «Chiedere scusa ai bimbi e riammetterli a #mensa»

      Dopo la rivolta contro l’esclusione dei bimbi stranieri l’inversione di rotta del governo. Salvini: «Se i genitori non possono portare i documenti, varrà la buona fede». E Di Maio: «I bambini non si toccano, Bussetti troverà soluzione». Ma la sindaca resiste: «Il regolamento resta in vigore»

      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/15/news/lodi_dietrofront_del_governo_ai_bimbi_stranieri_bastera_l_autocertificazi

    • Lodi: sospendere la delibera comunale sulle modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate

      Lodi: Amnesty International Lombardia chiede la sospensione della delibera comunale sulle modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate

      Amnesty International Lombardia ha espresso preoccupazione per la delibera approvata dal comune di Lodi, che prevede che ai fini dell’accoglimento della domanda per ottenere le agevolazioni vengano considerati – per i cittadini stranieri – anche i redditi e i beni posseduti all’estero e non dichiarati in Italia.

      Ai fini di tale certificazione, anche in assenza di beni o redditi, è necessario produrre una certificazione rilasciata dalla competente autorità dello stato estero (ambasciata o consolato), corredata da traduzione legalizzata dall’autorità consolare italiana che ne attesti la conformità.

      In una lettera inviata alla sindaca di Lodi, Sara Casanova, il responsabile di Amnesty International Lombardia, Simone Rizza, ha dichiarato che “in conseguenza di tale disposizione, in molti casi si ha l’impossibilità di attestare una situazione patrimoniale di difficoltà, a carico di una considerevole fascia di popolazione debole e sulla base di un criterio inequivocabilmente discriminatorio (…). Gli effetti sono di particolare rilevanza se visti in relazione al servizio di mensa e di trasporto pubblico per i bambini delle famiglie colpite dal provvedimento, il cui diritto allo studio e ad una positiva integrazione con i compagni pari-età rischiano di essere seriamente compromessi“.

      Amnesty International Lombardia ha dunque chiesto alla sindaca di sospendere questa misura al più presto, individuando in via alternativa criteri diversi e comunque non discriminatori.

      https://www.amnesty.it/lodi-amnesty-international-lombardia-chiede-la-sospensione-della-delibera-co

    • Veneto, bimbi stranieri non hanno sconti sui libri senza certificati dei Paesi d’origine

      Nuovo ‘caso Lodi’: i bimbi stranieri vengono discriminati in Veneto: senza certificazioni dei Paesi d’origine che attestino la condizione economica della famiglia non possono ottenere agevolazioni sui libri scolastici. Assessore del comune di Padova: “Lo faccia la Regione la verifica visto che si tratta di una disposizione regionale anche perché ad oggi non c’è un elenco dei Paesi che aderiscono alle convenzioni quindi tecnicamente è una norma inapplicabile e per questo discriminatoria”

      https://www.fanpage.it/veneto-bimbi-stranieri-non-hanno-sconti-sui-libri-senza-certificati-dei-paes

    • Mensa ai bimbi migranti, il dem Guerini: «Non cancellate l’umanità della mia Lodi»

      Sindaco per otto anni, ora a capo del Copasir. Il deputato dem parla del caso-mense scolastiche: «L’immagine che si sta dando non ha nulla a che fare con la nostra comunità che si è sempre caratterizzata per l’impegno verso gli altri»


      https://www.repubblica.it/politica/2018/10/17/news/lodi_l_ex_sindaco_guerini_ora_capo_del_copasir_nostra_citta_sempre_stata_accogliente_-209132976/?ref=twhs&timestamp=1539771237000&refresh_ce

    • Italy’s Salvini forced into U-turn over school lunches for immigrant children

      Far-right minister forced to drop support for edict that effectively excluded children from school canteens

      Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini, has been forced to drop his support for a controversial policy in a northern city that led to the children of immigrants paying more for school lunches than their Italian counterparts.

      The minister came under pressure after a crowdfunding appeal raised €60,000 (£46,000) within a few days to fund school lunches for the children of mainly African migrants in protest against a resolution passed by Sara Casanova, the mayor from Salvini’s League party in the Lombardy city of Lodi, that in effect forced them to eat separately.
      The edict had obliged parents to declare their assets, in Italy and their countries of origin – a difficult if not impossible request for those coming from African countries – in order to qualify for the standard cost of meals.

      Failing to provide the asset details meant they had to pay the highest rate of €5 per child, and with migrants constituting the poorest people in the city, many could not afford to do so. Families were also required to pay €210 per child each quarter for the school bus.

      The resolution, first reported by the Piazza Pulita television programme, meant that for two weeks, more than 300 children were in effect excluded from school canteens across the city and forced to dine at home.

      Activists and leftwing politicians attacked the resolution, with a senator from the centre-left Democratic party, Simona Malpezzi, describing it as “apartheid”.

      Italy’s children’s commissioner, Filomena Albano, urged the city’s council to rethink the policy, telling La Repubblica: “It’s unthinkable to force young children to eat alone, cut off from their classmates, because their parents cannot pay.”

      The aid group Coordination of Equal Duties launched a crowdfunding campaign across Italy that raised €60,000 to ensure school lunches and bus rides for children affected by the resolution.

      Amid the outcry, Salvini relinquished his support for the move, writing on Facebook that “a self-certification of assets” would be enough to guarantee school meals for the children of foreigners.

      He also came under pressure from his government coalition partner, Luigi Di Maio, the leader of the populist Five Star Movement, who praised Italians’ generosity and said “no child should be harmed”.

      In spite of the pressures from the government and the protesters, Casanova has insisted she will not go back on her decision. Although she is likely to accept the self-certification, the resolution will not be dismissed, she told reporters.

      The former prime minister Matteo Renzi described the resolution as a “national disgrace”.

      ‘‘Seeing children discriminated against in the school canteen for economic reasons hurts the heart,” he wrote on Twitter. “Politics based on hate and fear generates monsters.”


      https://amp.theguardian.com/world/2018/oct/15/italys-salvini-forced-into-u-turn-over-school-lunches-for-immigrant

    • Italy’s Tough Line on Immigrants Reaches a School Cafeteria

      At the beginning of the school year, as most of the elementary students chatted over warm plates of pasta in the cafeteria, about a dozen immigrant children unwrapped sandwiches around three tables in a spare classroom with slanted purple blinds, drab office furniture and a form reading, “Students who bring lunch from home.”

      “I wanted to go back to the cafeteria,” said Khadiga Gomaa, a 10-year-old Egyptian girl.

      Khadiga and the others did not belong to an Italian breakfast club of poorly behaved students. They were segregated from the rest of the pupils at Lodi’s Archinti school because they had lost their daily lunch subsidy.

      And that was because they failed to meet a new, and critics say punitive, requirement introduced by the town’s mayor, a member of the governing and anti-immigrant League party.

      In addition to the usual documentation needed for lunch and bus subsidies, the mayor now requires foreigners to prove that they do not possess property, bank accounts or other revenue streams in their countries of origin.

      Without that proof, children cannot get subsidized lunch and instead have to pay five euros a day, which many parents say they cannot afford. But in Lodi’s schools, as in much of Italy, children cannot bring outside food into the cafeteria.

      That meant students who hadn’t paid or received subsidies had to go home for lunch. To avoid burdening parents, the school’s principal allowed the children to bring sandwiches from home and eat them in a separate room.

      Reports of segregation in Lodi — and the violation of the sacred Italian ritual of lunching together — struck an Italian heartstring.

      After a national outcry, Italians raised 80,000 euros to pay for the lunches and school buses of about 200 immigrant children, many of them born and raised in Italy, through December. And many hailed the haul as a first sign of resistance to the League, and to Matteo Salvini, its national leader and Italy’s powerful vice premier, who has cracked down on immigration, hardened opposition to birthright citizenship and spoken harshly about migrants.

      But here in Lodi, a town in the fertile Po River Valley, with a handsome piazza paved with cobbled gray river stones and adorned with a medieval cathedral and neoclassical facades, many locals took another view.

      On Tuesday morning, as the committee that had raised money for the children held a rally in a small piazza directly under the mayor’s offices, Adriana Bonvicini, 60, bought gladioli in the piazza’s flower shop.

      “They are exploiting their children and people’s feelings to get what they want,” she said, gesturing at the square, filled with women in hijabs and flowing African dresses.

      “They are trying to cast us as heartless,” she continued. “They are the cruel ones. It’s a question of justice. They all have five kids each and want a free ride. Remember what Erdogan said.”

      This was a reference to President Recep Tayyip Erdogan of Turkey, who has urged Turkish people living in Europe to “have not just three but five children.” She quoted him, loosely: “We will take over Europe through our women’s bellies.”

      The women around Ms. Bonvicini agreed.

      They argued that it wasn’t so hard for foreigners to get proof from their embassies and that foreigners took advantage of the town’s largess and then complained about it.

      They sounded, in short, like the people who voted for the League in the town and all over the country.

      “Let them govern,” Ms. Bonvicini said, referring to the government.

      But Lodi mothers from Tunisia and Egypt said that they returned home to get the documents and that none existed. A mother from Nigeria said her husband went to the embassy in Rome and submitted the requisite documentation to the city, but had yet to hear back and was struggling to pay the full freight for her child.

      The mayor, Sara Casanova, had the backing of Mr. Salvini (“SHE’S RIGHT!!!” he wrote on Twitter). On Tuesday she was nowhere to be seen.

      She declined an interview request, but told La Verità, a newspaper preferred by the government, that she didn’t require the documentation from people from war-torn nations, and that “we’re not racist and there’s no apartheid here.”

      On Tuesday, the committee’s organizers hung signs showing children with their noses pressed up against a cafeteria window.

      Another sign showed a boy with his hands in the air saying: “Fascism is back. History didn’t teach you anything!!”

      That sign was directed to Lodi’s mayor, whose door they knocked on every two hours with chants of “Open up.” But it could have been a message to the national government.

      Tuesday was also the 75th anniversary of the deportation of Roman Jews to Nazi death camps, but the prime minister’s office wrote that it was the 80th anniversary, and the president of the country’s national broadcaster, who was chosen by Mr. Salvini, wrote of “the celebration of the 65th anniversary.”

      Northern regions controlled by the League have also required immigrants to prove their financial status through the same bureaucratic requirement used in Lodi when trying to get low-cost public housing and subsidies to buy school textbooks. For the demonstrators in Lodi, the town, a famous battlefield for Napoleon, was now a front against the government’s creeping racism and resurgent fascism.

      “I’m sorry for Italy if they think this is equality,” said Imen Mbarek, 30, who said she returned to Tunisia to get the right papers but that they simply didn’t exist. She is now paying full price for school lunch; last year, she said, she paid 1.65 euros a day.

      Hayat Laoulaoi, 35, a Moroccan housewife with a blue headdress and pink cellphone cover, had four children, all but one born in Italy. She said she was unable to secure the required documentation or afford the full freight.

      o she made her son Soufiane, 9, tuna sandwiches that he ate in the separate room.

      She said that after losing the bus subsidy, she walked with him six kilometers to school and that when they saw a bus drive by on the street he asked, “‘There’s a school bus, why can’t we go on it?’”

      As she spoke, her son played quietly with a Transformer toy and said he missed his friend Rayen, a Tunisian boy who still eats in the cafeteria.

      The majority of the students in his school, as high as 80 percent according to school officials, are considered foreigners, even though many of them were born and raised in Italy.

      Eugenio Merli, the principal of the Archinti school — which is named for Ettore Archinti, a former Lodi mayor sent by fascists to die in a Nazi concentration camp — defended his decision to put the children in a separate classroom to eat.

      “Eating in the classroom created a type of separation, but it was a way to help the parents,” he said, adding that he worried that if the children were forced home for lunch, they might not come back.

      This month, he strong-armed the cafeteria’s caterers into letting the students back into the cafeteria, where they ate their sandwiches at separate tables.

      “The kids have a right to be with their friends, not to be segregated,” he said. “They aren’t just going to school to learn. They are also learning how to live together.”

      Outside the school, he greeted Khadiga Gomaa, who was in high spirits. She said she had eaten her first hot lunch with her friends since school started.

      “I had penne pasta, cod and salad,” she said. “It was good.”


      https://www.nytimes.com/2018/10/22/world/europe/italy-schools-league.html

    • Il giudice blocca un sindaco della Lega: delibera discriminatoria contro gli immigrati

      Come a Lodi anche a #Vigevano il comune chiedeva agli stranieri documentazione introvabile per poter avere agevolazioni.

      La delibera del 2017 emessa dal sindaco #Andrea_Sala Comune di Vigevano (Pavia) in cui si disponeva che l’accesso agli stranieri a «prestazioni sociali agevolate» non era subordinato al solo modello Isee (come accade per i cittadini italiani), ma anche all’esibizione di «certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, legalizzati dalle autorità consolari italiane e corredati di traduzione in lingua italiana» è stata giudicata discriminatoria dal Tribunale di Milano, che ha accolto le richieste delle associazioni Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), Naga e Anolf-Cisl, assistite dagli avvocati Alberto Guariso, Giulia Vicini e Silvia Balestro. Le associazioni, dopo aver ricordato che la decisione del giudice Francesca Capelli è in linea con quella sul noto caso delle mense di Lodi, spiegano che il Tribunale col provvedimento «conferma che le amministrazioni comunali non possono richiedere agli stranieri documenti aggiuntivi rispetto all’Isee».
      Lo scorso dicembre, infatti, il Tribunale di Milano aveva accertato la «condotta discriminatoria del Comune di Lodi» sul caso del servizio mensa dal quale sono stati esclusi di fatto i bambini stranieri e aveva ordinato di «modificare il ’Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate’ in modo da consentire ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea di presentare la domanda di accesso» alle stesse condizioni degli italiani.
      Anche nel caso di Vigevano, ora, il giudice della Sezione lavoro del Tribunale milanese ha ordinato al Comune «di cessare il comportamento discriminatorio e pertanto di revocare o modificare la delibera di Giunta comunale» in modo «da consentire ai cittadini di paesi extra Ue di accedere a prestazioni sociali agevolate, mediante presentazione dell’Isee alle medesime condizioni previste per i cittadini italiani».
      Per il giudice, infatti, «non esistano principi ricavabili da norme di rango primario che consentano al Comune di introdurre, diverse modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate, con particolare riferimento alla previsione di specifiche e più gravose procedure poste a carico dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea».
      Purtroppo, spiegano i legali delle associazioni, «nei ben tre anni di vigenza della delibera di Vigevano, molti cittadini stranieri che non potevano procurarsi i documenti illegittimamente richiesti dal Comune, sono stati obbligati a pagare importi molto superiori a quello che avrebbero dovuto versare sulla base dell’Isee presentato per accedere a servizi comunali come mensa o trasporto scolastico».
      Molti di loro, chiariscono gli avvocati, «si sono visti negare addirittura le prestazioni statali che passano attraverso il vaglio del Comune. Tra le altre l’assegno di maternità di base»

      https://www.globalist.it/news/2019/04/01/il-giudice-blocca-un-sindaco-della-lega-delibera-discriminatoria-contro-gl
      #justice #assistance_sociale

  • Arrestato il sindaco di Riace #Domenico_Lucano per favoreggiamento dell’immigrazione

    Il primo cittadino Domenico Lucano è agli arresti domiciliari. L’accusa anche di fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti.

    #Mimmo_Lucano, sindaco di Riace, simbolo dell’accoglienza e dell’integrazione,è stato arrestato e posto ai domiciliari, su provvedimento della procura di Locri. L’accusa per l’uomo che la rivista Fortune, nel 2016, aveva inserito tra le 50 personalità più influenti al mondo, è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. I finanzieri del Gruppo di Locri hanno anche imposto il divieto di dimora a Riace per Tesfahun Lemlem compagna di Lucano. L’inchiesta denominata «Xenia» avrebbe accertato una serie di illeciti nella gestione dei finanziamenti erogati dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Reggio Calabria al Comune di Riace per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico.

    https://www.corriere.it/cronache/18_ottobre_02/favoreggiamento-dell-immigrazione-arrestato-sindaco-riace-76957bc8-c604-11e

    Je n’y crois pas!

    #Riace #Italie #solidarité #asile #migrations #réfugiés #délit_de_solidarité #assignation_à_résidence

    • Pro-refugee Italian mayor arrested for ’aiding illegal migration’

      Domenico Lucano, mayor of Riace, is praised by locals and migrant rights campaigners.

      The mayor of an Italian town that has won praise and TV publicity for integrating thousands of refugees has been placed under house arrest on suspicion of abetting illegal migration.

      Riace mayor Domenico Lucano – hailed in 2016 by Fortune magazine as one of the world’s 50 greatest leaders – is also accused of fraudulently awarding contracts for waste disposal as well as organising “marriages of convenience” between local men and foreign women.

      His partner, Tesfahun Lemlem, faces the same charges and has had her residency blocked.

      The investigation against Lucano began more than a year ago, although more serious allegations of embezzlement and fraud were dropped.

      His arrest comes a week after Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini, announced a series of anti-immigration measures that included slashing funds for migrant reception and integration.

      It also follows the suspension by the public broadcaster, Rai, of a TV show about Riace, which had been lauded as an exemplary model for integration.

      Salvini shared news of Lucano’s arrest on Twitter, alongside a comment that also made a dig at the anti-mafia author, Roberto Saviano, a staunch critic of his policies. “Damn, who knows what Saviano and all the other do-gooders who want to fill Italy with immigrants will say now,” the far-right League leader wrote.

      The Guardian was unable to reach Lucano for comment. His migrant integration project began more than a decade ago as a way to repopulate and revive the economy of the Calabrian town whose population by 2004 had dwindled to 500 from about 3,000 before the second world war.

      Thousands of migrants are estimated to have passed through since then, with about 500 making up today’s population of 1,500.

      Gioacchino Criaco, a writer from Calabria who knows Lucano well, said he foresaw the mayor’s arrest even before the investigation began. “He showed how it was possible to do concrete things with limited means,” Criaco said.

      “Efficiency and humanity are not welcomed in a cynical system. This is a system that only takes consensus from politics of fear. In this respect, examples of virtuousness must be eradicated.”

      Criaco said Lucano was an honest man but that the “rules on the reception and management of migrants are too tangled, and often administrators can find themselves caught in a dilemma between a humanitarian choice and a legal one”.

      Salvini has cracked down on immigration since becoming interior minister in June, closing off the sea ports and pledging to “end the gravy train” for those working in the migrant reception business.

      Lucano received a show of support on his Facebook page, with Riace locals calling on each other to rally together in solidarity.

      Sergio Bontempelli, a migrant rights campaigner with the Association of Rights and Borders, said that Riace had become too well known as an example of good integration and had been under attack for years. He said other integration projects undertaken by hundreds of people in other Italian towns were now at risk.

      https://www.theguardian.com/world/2018/oct/02/pro-refugee-italian-mayor-arrested-suspicion-aiding-illegal-migration-d

      #IoStoConRiace #RiaceNonSiArresta

    • Un maire trop généreux envers les migrants arrêté

      L’arrestation du maire de Riace, dont le modèle d’intégration des migrants est salué de par le monde, provoque un coup de tonnerre en l’Italie.
      Le maire de Riace, présenté comme un modèle d’intégration des migrants dans le sud de l’Italie, a été arrêté mardi, au moment où le gouvernement populiste remet en question le système d’accueil dans des petites structures qui profite à nombre de communes.

      Domenico (dit Mimmo) Lucano, 60 ans, est soupçonné d’aide à l’immigration clandestine pour avoir favorisé des mariages de convenance afin d’aider des femmes déboutées du droit d’asile à rester en Italie.

      Maire depuis 2004, proche de la gauche, il est aussi accusé de s’être passé d’appel d’offres pour attribuer la gestion des ordures de son village de Calabre de 1800 habitants à des coopératives liées aux migrants.

      Le communiqué du parquet cite des conversations téléphoniques de M. Lucano où il promet de faire une carte d’identité à une personne dont le permis de séjour n’est plus valable, expliquant que la loi qui l’interdit est « stupide », et dans un autre cas de marier les yeux fermés une Nigériane sans papiers.

      Son arrestation a provoqué un coup de tonnerre en Italie, tant le « modèle » de Riace a été salué à travers le monde : depuis les années 2000, grâce à des fonds italiens et européens, ce village qui se dépeuplait a repris vie grâce à l’accueil de centaines de demandeurs d’asile.

      Ils ont réinvesti les maisons abandonnées, rouvert les ateliers d’artisanat local, permettant d’attirer des touristes et de maintenir l’école ouverte... M. Lucano a été cité parmi les 100 personnalités les plus influentes par le magazine « Fortune » en 2016 et a inspiré un docu-fiction de Wim Wenders. Même si son projet battait de l’aile depuis quelques mois faute de fonds publics bloqués par les autorités. Toute la journée, le hashtag #Riace a été en tête des thèmes les plus commentés sur les réseaux sociaux. Et militants et syndicats ont appelé à une manifestation samedi dans le village sous le slogan « On n’arrête pas Riace ».

      L’écrivain antimafia Roberto Saviano, qui avait lancé cet été un appel pour défendre le « modèle Riace », a dénoncé « un premier acte vers la transformation définitive de l’Italie en Etat autoritaire ». « Vous paraît-il possible que le problème de la Calabre, terre de trafic de drogue et de corruption criminelle, soit l’immigration ? », a ajouté l’auteur de Gomorra, en soulignant que la justice n’avait relevé aucun enrichissement personnel du maire.

      – « Un système qui fonctionne » -

      « Les villes européennes doivent réagir ! Barcelone avec Riace ! », a lancé Ada Colau, maire de la cité catalane, qui était cet été à Riace. Mais le ministre de l’Intérieur, Matteo Salvini (extrême droite), a dénoncé « les fausses bonnes consciences qui voudraient remplir l’Italie d’immigrés ». Et le blog du Mouvement 5 étoiles (M5S, antisystème) a enfoncé le clou : « Pas un centime pour Riace (...). Le gouvernement du changement a déclaré la guerre au business de l’immigration ».

      Cette arrestation arrive aussi une semaine après la présentation du « décret-loi Salvini », qui prévoit de regrouper les demandeurs d’asile dans des grands centres d’accueil et de limiter les petites structures inspirées de Riace et prônées par l’ancien gouvernement de centre gauche.

      Ces petites unités reçoivent actuellement 35 euros par personne accueillie et par jour, qui reviennent essentiellement à l’économie de la commune via les loyers, les emplois créés, l’argent de poche dépensé sur place... M. Salvini veut limiter la somme à 20 euros par jour et interdire les titres de séjour humanitaires, ce qui devrait faire chuter de 60% le nombre de personnes éligibles à ces programmes d’intégration, au grand dam des maires concernés.

      « Etrangers considérés comme une valeur »

      Ainsi à Montesilvano, station balnéaire de 55 000 habitants sur la côte Adriatique, le maire Francesco Maragno (centre droit) a obtenu l’an dernier la fermeture de deux grands centres d’accueil hébergeant 500 personnes — « deux ghettos où les gens étaient traités comme des numéros » — contre la création de ces petites structures directement gérées par la commune.

      Les demandeurs d’asile ont été engagés dans l’animation d’une plage pour personnes handicapées ou la rénovation des cimetières. « Les citoyens ont commencé à considérer les étrangers non comme un problème mais comme une valeur », salue-t-il. A Prato, près de Florence, le maire Matteo Biffoni (gauche) s’insurge : « On a un système qui fonctionne et on essaie de le faire s’écrouler. »


      https://www.tdg.ch/monde/maire-genereux-migrants-arrete/story/13713687

    • Roberto Saviano:

      Mimmo Lucano è agli arresti domiciliari.
      La motivazione è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La verità è che nelle azioni di Mimmo Lucano non c’è mai finalità di lucro, ma disobbedienza civile.
      Disobbedienza civile: questa è l’unica arma che abbiamo per difendere non solo i diritti degli immigrati, ma i diritti di tutti. Perché tutti abbiamo il diritto di vivere una condizione di pace sociale, tutti abbiamo il diritto di vivere senza cercare colpevoli, e se il Ministro della Mala Vita, Matteo Salvini, ha subito individuato in Mimmo Lucano un nemico da abbattere, il Pd non ha mai compreso che se davvero voleva ripartire da qualche parte per ritrovare un barlume di credibilità (ora è troppo tardi), avrebbe dovuto farlo da Riace, da Mimmo Lucano. E invece Mimmo è solo, e la Bossi-Fini è ancora lì a inchiodare, a bloccare chiunque decida di accogliere e di salvare vite. Legge-obbrobrio, frutto del peggiore berlusconismo, ma che nessun governo ha osato cambiare.
      Mimmo Lucano lotta contro una legge iniqua, e lotta da solo. Una legge che vede dalla stessa parte - e silenziosamente coesi - tutti: quelli che io oggi considero i nemici politici della democrazia, ma anche i governi che hanno preceduto questo: tutti a vario titolo responsabili diretti di questi infausti tempi.

      Vi sembra possibile che il problema della Calabria, terra di narcotraffico e corruzione criminale, sia l’immigrazione? Mimmo Lucano è stato arrestato anche per “fraudolento affidamento diretto della raccolta rifiuti” eppure mai si legge negli atti della Procura di Locri che abbia agito per guadagno personale, anzi, si sottolinea il contrario. Mi domando di quanti amministratori si possa dire lo stesso.
      E proprio oggi che il dramma principale dovrebbe essere l’analisi di un Def catastrofico, il problema del Paese deve necessariamente essere l’immigrazione, deve essere Mimmo Lucano, che invece ci stava mostrando la soluzione, ovvero come rendere virtuose accoglienza e integrazione. Il razzismo usato come arma di distrazione di massa.

      Questo governo, attraverso questa inchiesta giudiziaria, da cui Mimmo saprà difendersi in ogni sua parte, compie il primo atto verso la trasformazione definitiva dell’Italia da democrazia a stato autoritario. Con il placet di tutte le forze politiche.

      https://www.facebook.com/RobertoSavianoFanpage/posts/10155905861136864

      –-> «Il razzismo usato come arma di distrazione di massa.»
      #racisme #xénophobie

    • La guerra contro Riace

      C’è un comune noto in tutto il mondo per l’accoglienza diffusa dei migranti tra le case del borgo, un paese destinato a morire rinato con le sue botteghe di nuovo abitate, i consigli comunali in piazza, ma anche con i sentieri attrezzati e le fattorie didattiche al posto delle discariche. Nello stesso territorio, la provincia di Reggio Calabria, terra di passaggio e di mescolanze culturali da sempre e da sempre terra di migrazioni, c’è un altro comune conosciuto invece per la tendopoli allestita dal Ministero dell’Interno con recinzione e pass, una distesa sterminata di vecchie tende e baracche senza servizi igienici, acqua potabile ed elettricità ma con tanto di numero civico: un non-luogo destinato ad “accogliere” migliaia di migranti sfruttati nelle campagne della ‘Ndrangheta, dove lo scorso inverno duecento baracche hanno preso fuoco e una donna, Beckie Moses è morta arsa viva. Il primo comune è Riace, l’altro San Ferdinando. Nella piazzetta di Riace, in cui il sindaco Mimmo Lucano negli ultimi mesi ha incontrato migliaia di persone provenienti da tutta Italia per sostenere la straordinaria storia di accoglienza del borgo, ha spesso ripetuto che “non esiste legalità senza giustizia”. Abbiamo ricevuto questo reportage dalla Calabria qualche giorno fa, lo pubblichiamo nel giorno in cui Mimmo Lucano, definito dal ministro dell’Interno “uno zero”, è stato arrestato per un’inchiesta della procura di Locri.


      https://comune-info.net/2018/10/la-guerra-contro-riace

    • Hier matin à l’aube, ils ont arrêté Mimmo Lucano, maire de Riace

      Hier matin à l’aube, la police italienne a arrêté Mimmo Lucano, maire de Riace, sur ordre du procureur de #Locri (Calabre).

      Domenico Lucano dit Mimmo a été arrêté hier matin sur ordre du procureur de Locri. Il est accusé d’ « aide à l’immigration clandestine ». Depuis deux ans Riace est dans l’œil du cyclone xénophobe qui s’abat sur l’Europe. Son maire et ses habitants n’arrangent pas les affaires de ceux qui entendent accéder ou se maintenir au pouvoir en répandant la peur et le mensonge raciste. D’ailleurs, Matteo Salvini, ministre de l’intérieur d’extrême droite du gouvernement ligue/5 étoiles, multiplie les déclarations belliqueuses à leur encontre. Une obsession qui a vraisemblablement conduit à l’arrestation de Mimmo Lucano, maire de Riace, petit village de Calabre au bord de la mer Ionienne.

      L’histoire contemporaine de Riace commence en 1998 quand un navire de 300 migrants kurdes s’échoue sur ses côtes. Mimmo, qui n’est pas encore maire à l’époque, convainc son prédécesseur d’accueillir les réfugiés. Les habitants du village ont vu partir tant d’enfants sur les routes de l’exile. Ils savent ce qu’émigrer veut dire faute d’un avenir possible sur leur terre natale. Beaucoup regardent la mer avec défiance. Quand rendra-t-elle ce qu’elle a pris ? Le village se meurt même si l’été certains reviennent d’Allemagne, d’Angleterre, des Etats-Unis sur cette terre vaincue d’abord par les prétentions hégémoniques du Nord, ensuite par la mondialisation capitaliste. Alors ce jour de 1998, la mer rendait au village une partie des vies qu’elle lui avait volées.

      Je suis allée à Riace pour la première fois en novembre 2017. Alors que nous approchions du village, j’étais frappée par la lumière vive et chaude à cette époque de l’année qui rendait le bleu de la mer si intense. Le paysage alentours déroulait toutes les nuances de jaune possibles. Le village est divisé en deux. La partie basse, Riace marina, et la partie haute juchée sur un monticule de terre blondie par le soleil. Le centre est là. Nous arrivons à l’heure du déjeuner accompagnés par le secrétaire de Rifondazione comunista pour la Calabre et d’une chercheuse en sociologie qui a fait de Riace un de ses terrains d’études. Sur la route, nous croisons plusieurs panneaux qui annoncent "Riace, village de l’accueil". Nous débarquons sur la place principale devant une grande porte symbolique en fer forgé ; une grande porte, grande ouverte. La place est animée et nous ne pouvons pas ne pas remarquer la présence nombreuse d’hommes et de femmes visiblement d’ailleurs. Des enfants jouent en contre bas. Ils ont toutes les couleurs, toutes les formes de nez, d’yeux, toutes les textures de cheveux possibles. Ils jouent comme tous les enfants. Ils courent comme tous les enfants. Ils crient, en italien, comme tous les enfants qui grandissent ici, en Italie. Sur la place, nous rencontrons un journaliste allemand. Depuis que Wim Wenders a fait un film sur Riace qu’il a qualifié de seule utopie en acte en Europe, le village reçoit un certain intérêt. Le lendemain, j’y ferai la connaissance d’une française de Calais venue voir ce que le discours dominant dissimule en prétendant que c’est impossible : une communauté politique fondée sur le droit à la vie, le droit à l’avenir, pour tous. Mimmo nous attend. Nous le retrouvons dans sa mairie affairé à régler les affaires courantes, chemise bleu à manches courtes, jean et chaussures bateau. C’est son troisième mandat. La première fois les gens l’ont élu en connaissance de cause. C’est lui qui avait convaincu l’ancien maire d’accueillir les 300 naufragés Kurdes. Les deux autres fois aussi. Car l’histoire de son engagement est aussi celui de toute une communauté. Sauf, bien sûr, les collaborateurs de toujours. Une minorité qui se rétracte ou reflue en fonction des intérêts du pouvoir dominant.

      À notre arrivée un vendeur de légumes nous lance en découvrant ses dents cariées d’un large sourire : « notre maire est un homme bien, il veut le bien du village mais certains voudraient le voir cuir dans un chaudron ». Mimmo est inquiet. Le procureur de Calabre l’a mis en examen pour abus de biens sociaux. En Italie, n’importe quelle commune peut donner sa disponibilité à accueillir des migrants auprès du SPRAR, le système national d’accueil des réfugiés. La plupart ne le font qu’à travers des structures d’accueil déléguées à des associations ou gérées plus ou moins honnêtement par des privés. Ces structures reçoivent 35€ par jour et par migrant pendant six mois pour subvenir à leurs besoins élémentaires ; logement et nourriture, en attendant que leur sort soit réglé (quand il l’est) par l’administration. Riace reçoit cet argent. Mais les délais sont longs et ces structures ou collectivités doivent emprunter aux banques en attendant les versements de l’Etat. Une solution que Domenico Lucano a toujours refusée. Pourquoi les banques devraient gagner de l’argent sur l’accueil des réfugiés ? Alors Riace bat sa propre monnaie, garantie par l’argent que l’Etat s’est engagé à donner. Sur ces 35€, la mairie prélève ce que lui coûte l’hébergement des hommes, des femmes et des enfants accueillis. À Riace, les volets des maisons laissées vacantes par les émigrants ont été rouverts par les immigrants. Le reste de l’argent leur est donné directement. Pourquoi devrions-nous décider pour eux ce qu’ils veulent en faire ? Acheter des pâtes plutôt que du riz, leur fournir de quoi manger et empocher le reste en sur-facturant comme ces structures trop nombreuses qui sont devenues de véritables instruments de spéculation sur le dos des migrants et de l’Etat. Aussi Mimmo ne demande pas à ses hôtes de fournir les justificatifs de tout ce qu’ils achètent. Et le procureur lui demande des comptes. Pourtant, il sait que les billets qui circulent, à l’effigie de Gandhi, Nelson Mandela, Che Guevara, Antonio Gramsci, Martin Luther King ou Peppino Impastato, journaliste sicilien assassiné par la mafia, ne peuvent s’échanger qu’ici. Il sait que les rideaux décatis des échoppes aux couleurs brulées par le soleil à force de rester baissés ont été repeints, que les terrasses des cafés ont ajouté des tables, que les rues du villages résonnent d’une effervescence nouvelle et que même les corps des vieux, assis sur la place, se sont redressés, gagnés par elle. Et qu’importe d’où viennent ces enfants qui courent, rient, crient autour d’eux pourvu qu’ils soient là. Qu’importe, puisqu’ils sont là et que la vie a repris.

      Mais le procureur s’en moque comme il se moque qu’alentours les mafias prospèrent en louant les bras au plus bas coût possible de milliers de migrants humiliés. Le premier rapport, commandé par lui, soupçonnait Mimmo de s’être enrichi avec l’argent du SPRAR. Un deuxième, demandé par la défense l’a contredit et proposé Riace comme modèle de l’accueil mais aussi de ce qu’il faudrait faire pour sauver ces terres que la modernité éreinte. N’empêche, Mimmo est inquiet. Il sait que Riace est menacé.

      Riace Riace
      Nous sommes retournés à Riace cet été avec un ami sicilien, immigré en France il y a plus de 20 ans et une vingtaine de ses étudiants. Enthousiasmé par la politique d’accueil intelligente et humaine menée par Mimmo Lucano, il les a convaincus de l’accompagner. D’autant qu’ils participent tous d’une manière ou d’une autre d’une histoire de migration. Ce fut un moment d’une grande intensité. Les récits des migrants de Riace, arrivés d’Afghanistan, du Soudan, d’Irak, du Congo, d’Erythrée, du Kurdistan, de Syrie, du Cameroun, du Sénégal, … ont fait ressurgir les histoires de ces grands parents arrivés de Pologne avant la première guerre mondiale, ou d’Italie dans les années 20 dont ils fuyaient le régime fasciste à pied à travers les Alpes, du Maroc ou d’Algérie pour venir travailler dans les usines en France après la deuxième guerre. Il y eut des larmes et beaucoup de sourires, beaucoup de compassion et de chaleur humaine. De la colère aussi et de l’incompréhension devant les attaques répétées des autorités italiennes ces deux dernières années qui semblent s’être données pour objectif de faire disparaitre le modèle Riace et dont le dernier coup vient d’être porté. Car, depuis 20 ans, les habitants de Riace et son maire Domenico Lucano opposent au venin xénophobe un démenti cinglant en nous rappelant l’extraordinaire plasticité des sociétés humaines et en faisant la démonstration que l’accueil est un mouvement réciproque qui profitent aussi bien à ceux qui sont accueillis qu’à ceux qui accueillent.


      https://blogs.mediapart.fr/benedicte-monville/blog/031018/hier-matin-laube-ils-ont-arrete-mimmo-lucano-maire-de-riace

    • Manifestazione Riace, «Bella ciao» per il sindaco arrestato: Lucano saluta dalla finestra

      Migliaia di manifestanti si sono recati sotto la casa del sindaco di Riace Mimmo Lucano per manifestare la vicinanza dopo la decisione del suo arresto. Hanno cantato Bella ciao e lui, commosso, ha risposto salutando dalla finestra della sua abitazione, con un pugno chiuso

      https://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/manifestazione-riace-bella-ciao-per-il-sindaco-arrestato-lucano-saluta-dalla-finestra/316145/316774?ref=fbpr

    • In Italy’s ‘hospitality town’, migrants fight to save mayor who gave them a new home

      Domenico Lucano revitalised his community by welcoming foreigners. He has been detained by the state … and supporters fear a political motive

      In 2009, shortly after his re-election as mayor and several years after he embarked on a policy of welcoming migrants as a means of reversing depopulation in his town, Domenico Lucano was shot at through the window of a restaurant where he was eating with friends. As if to ram home their opposition to his plans, the local mafia also poisoned two of his dogs.

      Unperturbed, Lucano responded by installing a billboard at the entrance of the town, saying: “Riace – a town of hospitality.” The sign remains today, as does one on the main square that lists the 20 countries people have come from – Eritrea, Somalia, Nigeria, Pakistan, to name a few.

      Riace, a tiny hilltop town in Italy’s southern Calabria region, has become famous for its much-lauded model of integration, which began in the late 1990s and continues to this day. But last week, Lucano, the man credited with changing the lives of Italians and foreigners through an initiative that breathed new life into a dying economy, was put under house arrest for allegedly abetting illegal immigration. On Saturday, lending their support to a man dismissed by far-right politician Matteo Salvini as worth “zero”, hundreds of people turned out in support of the mayor and his leadership. Invariably described as altruistic and honest, they struggle to comprehend how Lucano, 60, can have his liberty stripped from him while people belonging to the mafia, a scourge of Italy’s south, roam free.

      “Mafiosi kill, yet a mayor who does good is arrested? It doesn’t make any sense,” said Elisabetta, who asked for her surname not to be used.

      The main accusation against Lucano, known locally as “Mimmo”, is that he organised “marriages of convenience” after it emerged that he helped arrange a wedding between a Nigerian woman and Italian man so that the woman, who had been forced into prostitution in Naples, could live and work in Italy legally.

      “They arrested him for humanitarian acts,” his brother, Giuseppe, told the Observer. “For hours he was interviewed by the prosecutor – he has absolutely nothing to hide. He’s feeling confident and combative, but is a little angry.

      “There was only one [marriage], not several,” added Giuseppe. “He did it to save the woman’s life.”

      Lucano is also alleged to have flouted the public tender process by awarding waste collection contracts to two cooperatives that were set up to assist migrants in their search for work. The investigation against him began over a year ago, although the more serious allegations of embezzlement and fraud were dropped.

      Lucano said in a statement last week: “I never earned anything, nor did I take money from anyone. Public money in Riace was only used for projects relating to migrants and to ease suffering, for job opportunities, integration and to give a better life to asylum seekers.”

      People who know him well attest to his generosity, saying that any money won through prizes was given away.

      “Mimmo helped refugees and Italians,” said Yasmine, who arrived from Pakistan with her family two years ago. “But maybe others took advantage of his goodness.”

      Lucano’s integration strategy helped to reignite the economy in an impoverished region long neglected by the government: Riace’s one bar reopened, as did a handful of shops, while the system helped generate jobs for locals – as teachers, translators or cultural mediators.

      “It brought me prospects,” says Angela Cristodolu, who teaches migrants needlework. “There was nothing before.”

      Houses in the town’s “Global Village” were turned into artisanal shops, with migrants working alongside locals to make and sell products including ceramics, hats and chocolate.

      The model is meant to be sustained by a government funding system, but little money has filtered down since 2016, prompting several protests by Lucano, the most recent being a hunger strike in August. “We are reaching the point of no return,” he said at the time. “If the funds do not come, 165 refugees will end up on the street, 80 workers will lose their jobs and everything will collapse under a pile of rubble.”

      However, his defiance, which included a call against “every form of racism, fascism and discrimination”, irked Matteo Salvini, the leader of the far-right League, who became interior minister in early June as part of a coalition government with the anti-establishment Five Star Movement. The minister has insulted Lucano and his integration method.

      Lucano’s arrest came a week after Salvini unveiled a series of anti-immigration measures that included slashing funds for migrant reception and integration, leading many to suspect a political motive. The arrest also followed the suspension by the public broadcaster, Rai, of a TV show about Riace’s exemplary integration model.

      Salvini welcomed news of Lucano’s arrest, writing on Twitter, “who knows what all the other do-gooders who want to fill Italy with immigrants will say now”.

      As humanitarian deeds jar with the minister, there are now fears that the government will clamp down on dozens of other towns that have adopted similar initiatives. Nearby Camini faced a similar fate to Riace before it started to integrate migrants – a plan that boosted its current population to around 800, including 150 foreigners, enabled derelict homes to be restored and for the school and post office to reopen. As in Riace, friendships have been forged between locals and foreigners.

      “Projects such as these for towns like ours have created opportunities for all,” said Camini’s mayor, Giuseppe Alfarano.

      “I suggest the politicians come and see this small reality to understand what can work. And if Salvini wants to close everything down, then fine, but he must come up with an alternative plan for these towns to move forward.”

      https://www.theguardian.com/world/2018/oct/07/migrants-fight-save-riace-mayor-who-gave-them-home?CMP=share_btn_tw

    • Migranti, il Viminale cancella il modello Riace: saranno tutti trasferiti

      Il ministero dell’Interno muove accuse e contestazioni sul sistema di accoglienza in un documento di 20 pagine e comunica al comune calabrese e al prefetto la decisione di allontanare dal paese tutti gli stranieri ospitati. Il sindaco sospeso Lucano: «Vogliono soltanto distruggerci».

      Riace deve chiudere. Il ministero dell’Interno lo ha messo nero su bianco con una deliberazione del 9 ottobre scorso del suo dipartimento Immigrazione che ordina la chiusura di tutti i progetti e il trasferimento di tutti i migranti. Una doccia fredda per Riace, arrivata pochi giorni prima dell’udienza di fronte al tribunale del Riesame che dovrà decidere l’eventuale liberazione di Mimmo Lucano, sindaco del borgo sospeso da martedì 2 ottobre, quando è finito ai domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e abuso d’ufficio, e a poco meno di una settimana dalla manifestazione in suo sostegno che ha portato nel paese calabrese alcune migliaia di persone. «Chi sbaglia, paga. Non si possono tollerare irregolarità nell’uso di fondi pubblici, nemmeno se c’è la scusa di spenderli per gli immigrati», ha commentato il vicepremier Salvini.

      Lucano, il primo cittadino di Riace ai domiciliari, ha reagito così alla circolare ministeriale: «Vogliono soltanto distruggerci. Nei nostri confronti è in atto ormai un vero e proprio tiro incrociato. I nostri legali, comunque, stanno già predisponendo un ricorso al Tar contro la decisione del Viminale». Prende posizione anche il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio: «È una decisione assurda ed ingiustificata. Mi auguro che dietro tale decisione non si celi l’obiettivo di cancellare una esperienza di accoglienza, estremamente positiva, il cui riconoscimento ed apprezzamento è largamente riconosciuto anche a livello internazionale. Chiedo al ministro dell’Interno di rivedere questa decisione».

      Al centro delle contestazioni del ministero ci sono da una parte, quegli strumenti che hanno fatto di Riace un modello di riferimento nel mondo, i bonus e le borse lavoro, dall’altra l’accoglienza dei lungopermanenti, cioè quei richiedenti asilo in condizioni di vulnerabilità che vengono ospitati anche oltre il termine previsto dal progetto Sprar. Sono troppi, secondo il ministero che per questo ha assegnato a Riace punti di penalità che da soli varrebbero la chiusura del progetto. Quella gente - donne con figli a carico, anziani, malati - per il Viminale avrebbe dovuto essere messa alla porta.

      Nelle 21 pagine di relazione, che poco o nulla entra nel merito delle controdeduzioni fornite dall’amministrazione del piccolo borgo calabrese, si fa un lungo elenco di «mancanze» che vanno dalle case in cui sono ospitati i migranti - che a Riace sono quelle che gli antichi residenti hanno abbandonato quando hanno lasciato il paese - al mancato aggiornamento della «banca dati». Ma di fatto quello che viene bocciato sembra essere il modello di accoglienza diffusa che a Riace è stato forgiato. Adesso la palla passa al Tar, di fronte al quale l’amministrazione sembra intenzionata a fare ricorso.

      «È quello che noi abbiamo consigliato perché questa relazione rende evidente la mancanza di volontà di interlocuzione da parte del ministero - dice Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione che sta supportando Lucano e la sua amministrazione - Quello che colpisce è la totale sproporzione fra il provvedimento e la realtà del progetto. Nel paese divenuto simbolo mondiale dell’accoglienza sembra quasi che i migranti siano stati abbandonati a se stessi, in un contesto come quello italiano dove in più di una realtà i servizi di accoglienza non vengono erogati. Non si è compreso né lo spirito, né la specificità territoriale del progetto. In questo provvedimento Riace sparisce».


      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/13/news/migranti_viminale_cancella_modello_riace-208879662

    • Salvini ordina la deportazione di massa: via tutti i migranti da Riace

      Il ministro della Paura ha ordinato la chiusura di tutti i progetti aperti nella cittadina calabrese. Entro 60 giorni saranno tutti trasferiti,

      Una vergogna. Una deportazione con metodi che ricordano altre epoche non per combattere l’illegalità ma per mettersi di traverso a qualsiasi politica di integrazione.
      Adesso con una delibera datata 9 ottobre, il ministero dell’Interno ha ordinato la chiusura di tutti i progetti legati all’immigrazione portati avanti a Riace. Tutti i migranti entro 60 giorni saranno trasferiti. Non si sa dove. Magari in mezzo alla strade.
      Quella che era considerata una città modello per l’integrazione viene quindi smantellata anche dopo l’arresto del sindaco (sospeso) Mimmo Lucano, in carcere con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
      Evidentissimo l’intento del ministro razzista di rendere tutti clandestini, creare un esercito di disperati per poter cavalcare l’odio che tanto gli sta fruttando in termini elettorali.
      Ma la società civile si ribellerà. Gli ordini ingiusti non vanno eseguiti.

      Quanto ai maggiordomi grillini, dicevano che la loro presenza doveva salvare il paese dal fascismo. Loro sono diventati complici della peggiore politica xenofoba di estrema destra. Con buona pace di San Francesco.

      Già nei mesi scorsi proprio il ministero aveva messo in dubbio, registrando anomalie, la gestione dei migranti posta in essere da Lucano. Nel nuovo provvedimento sono contestate altre 34 irregolarità che vanno dai bonus alle borse di lavoro fino all’eccessivo uso dei permessi dei lungopermanenti, quei migranti che richiedono asilo e sono in condizioni di vulnerabilità.

      In generale i progetti Sprar vengono rinnovati ogni tre anni: nel caso di Riace si parla del triennio 2017-2019, ma già dall’estate scorsa il Viminale aveva bloccato alcuni pagamenti per anomalie nella documentazione presentata dall’amministrazione locale. Nel 2018 il comune di Riace non ha ricevuto fondi e il 30 luglio scorso il sindaco era stato avvisato della revoca dei finanziamenti, diventata ufficiale all’inizio di questa settimana. Lo rendono noto fonti del Viminale.

      Il comune prepara il ricorso - A essere messa in discussione è tutto il «modello Riace», quell’accoglienza diffusa che aveva rianimato un paese morente. L’uso delle case vuote per ospitare gli stranieri e il mancato aggiornamento delle banche dati sono stati tra gli elementi più contestati dal Viminale. Ma il comune non ha intenzione di piegarsi e già prepara il ricorso al Tar che potrebbe sospendere la delibera.


      https://www.globalist.it/news/2018/10/13/salvini-ordina-la-deportazione-di-massa-via-tutti-i-migranti-da-riace-2032

    • Dopo Saviano arriva pure l’#Onu in soccorso del sindaco di Riace: “una guida per tanti”

      La notizia dell’arresto del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, scavalca i confini nazionali e preoccupa l’Onu. Proprio così. Dopo il sermone difensivo di Saviano che ha parlato di “peccato di umanità” e la provocazione di Beppe Fiorello («allora arrestateci tutti»), adesso per il primo cittadino calabrese finito ai domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina arriva l’interessamento dell‘Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.


      http://www.secoloditalia.it/2018/10/dopo-saviano-arriva-pure-lonu-in-soccorso-del-sindaco-di-riace-una-guida-per-tanti/.W7Uhm_wTqrw.facebook

    • Matteo Salvini orders removal of refugees from Riace

      Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini, has ordered hundreds of refugees to be moved out of Riace, a small town in Calabria celebrated around the world as a model of integration.

      The decision, which follows the house arrest earlier this month of the town’s mayor, Domenico Lucano, effectively shuts down a project that also provided work for Italians.

      Salvini wrote on Twitter: “Who makes mistakes, pays. We cannot tolerate irregularities in the use of public funds, even if there’s an excuse to spend them on immigrants.”

      A circular sent to the town on Saturday listed “funding irregularities”, including discrepancies between the amount of money provided by the government’s “Sprar” system for refugee reception and the amount spent on the services cited when applications for assistance were made, as reasons for the minister’s decision. The circular also said that migrants overstayed the time limit permitted by the Sprar system and that conditions were unhygienic. It is unclear where they will be transferred.

      Lucano, who won prizes for an integration project that began in the late 1990s, said in a statement that the ministry is “out to destroy us” and that he would appeal against the decision. Mario Oliverio, the president of Calabria, said the move was “absurd and unjustified”. “I hope the objective behind the decision isn’t to stop a reception project that has been extremely positive, appreciated and recognised internationally,” Oliverio added.

      Lucano was placed under house arrest for allegedly encouraging illegal immigration. The main accusation against him is that he organised “marriages of convenience” after it emerged that he helped arrange a wedding between a Nigerian woman and Italian man so that the woman, who had been forced into prostitution in Naples, could live and work in Italy legally. His partner, Tesfahun Lemlem, faces the same charges and has had her residency blocked.

      He is also alleged to have flouted the public tender process by awarding waste collection contracts to two co-operatives that were set up to assist migrants in their search for work. The investigation against him began over a year ago, although the more serious allegations of embezzlement and fraud were dropped.

      Salvini, who has pledged to slash funds for all migrant reception and integration services, welcomed the news of his arrest, writing on Twitter: “Let’s see what all the other do-gooders who want to fill Italy with immigrants will say now.”

      Lucano’s arrest also followed the suspension by the public broadcaster, Rai, of a TV show about Riace.

      Salvini immediately took aim at Lucano after becoming interior minister in early June, describing the mayor as a man worth “zero”.

      Lucano’s integration strategy helped to reignite the economy of the town: Riace’s one bar reopened, as did a handful of shops, while the system helped generate jobs for locals – as teachers, translators or cultural mediators.

      Houses in the town’s “Global Village” were turned into artisanal shops, with migrants working alongside locals to make and sell products including ceramics, hats and chocolate.

      Lucano had been protesting since 2016 after funds to sustain the project stopped coming from the government.

      Thousands of migrants have passed through Riace since the project began, with about 500 migrants in the current population of roughly 2,300.


      https://www.theguardian.com/world/2018/oct/14/matteo-salvini-orders-removal-of-refugees-from-riace

    • Migranti, il Viminale cancella Riace, l’esperto: «Irregolarità modeste, decisione spropositata»

      «Le irregolarità sono solo modeste e solo formali e non riguardano la qualità del progetto. Chiuderlo è una decisione spropositata». Gianfranco Schiavone, vicepresidente Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), commenta ai microfoni di Radio Capital la decisione del Viminale di chiudere il progetto Riace. «Si contesta al comune di aver tenuto le persone troppo a lungo, ma lo ha fatto perché erano soggetti vulnerabili. Aiutare le persone per il ministero è un’irregolarità»

      https://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/migranti-il-viminale-cancella-riace-l-esperto-irregolarita-modeste-decisione-spropositata/316807/317437?videorepmobile=1

    • Deportati da Riace. Il Viminale trasferisce i migranti e revoca i fondi. Salvini: «Chi sbaglia paga». Lucano: «Vogliono solo distruggerci»

      Una pietra tombale sul modello Riace. Diverse le violazioni contestate dal Ministero al progetto Sprar del Comune, «gravi anomalie» dai bonus agli alloggi


      https://www.huffingtonpost.it/2018/10/13/il-viminale-di-salvini-abbatte-il-modello-riace_a_23559927

    • Riace, Mimmo Lucano: «Il nostro modello sopravviverà»

      Il sindaco Mimmo Lucano, sospeso dall’incarico da quando è finito ai domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione, parla all’indomani della circolare con cui il Viminale ha cancellato i progetti che hanno fatto del borgo «il paese dell’accoglienza» e ordinato il trasferimento di tutti i rifugiati. «E’ necessario ritrovare l’entusiasmo ma il modello Riace sopravviverà, nessuno sarà obbligato ad andarsene. Metteremo a sistema tutte le strutture che abbiamo costruito – il frantoio, la fattoria didattica, l’albergo solidale - a prescindere dai finanziamenti Sprar». Traduzione, Riace potrebbe sopravvivere a prescindere dal ministero che vuole cancellarla.

      https://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/riace-mimmo-lucano-il-nostro-modello-sopravvivera/316857/317486

    • Italie : le gouvernement met fin à un exemple emblématique d’intégration des migrants

      Le ministère italien de l’Intérieur a ordonné samedi le transfert vers des centres d’hébergement de migrants accueilli à Riace, un village présenté comme un modèle d’intégration, après l’arrestation de son maire soupçonné d’aide aux clandestins via des mariages blancs.

      Proche de la gauche, Domenico Lucano, qui accueillait depuis les années 2000 des migrants dans son village de Calabre (sud) qui se dépeuplait, dans le but de relancer le développement et les emplois, a été arrêté début octobre.

      Assigné à résidence, il est soupçonné d’aide à l’immigration clandestine pour avoir favorisé des « mariages de convenance » afin d’aider des femmes déboutées du droit d’asile à rester en Italie.

      Il est aussi accusé de s’être passé d’appel d’offres pour attribuer la gestion des ordures de son village de 1.800 habitants à des coopératives liées aux migrants.

      Le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini (extrême droite) s’était réjoui de son arrestation, dénonçant « les fausses bonnes consciences qui voudraient remplir l’Italie d’immigrés ».

      Et le blog du Mouvement 5 étoiles (M5S), parti antisystème membre de la coalition au pouvoir, y voyait le signe que « le gouvernement du changement a déclaré la guerre au business de l’immigration ».

      Les partisans de Domenico Lucano voyaient dans l’exemple de Riace, financé depuis les années 2000 par des fonds européens et italiens, un moyen de faire revivre des villages dépeuplés tout en donnant un logement à des centaines de demandeurs d’asile.

      Matteo Salvini veut limiter les projets inspirés par l’exemple de Riace et regrouper les demandeurs d’asile dans des centres d’accueil plus grands.

      Le transfert des migrants de Riace vers d’autres centres va commencer la semaine prochaine, selon le ministère, qui enquête sur des « irrégularités évidentes » dans le système d’accueil des migrants depuis 2016.

      L’Etat italien octroie 35 euros par jour pour chaque migrant accueilli, pour couvrir ses frais de logement, nourriture, des cours de langue et de l’argent de poche.

      Le gouvernement italien a demandé le détail de la ventilation des dépenses au maire, qui affirme que ses avocats se préparent à faire appel contre le ministère.

      « Comment est-il possible de détruire le +modèle de Riace+ qui a été décrit par d’innombrables hommes politiques, intellectuels et artistes comme une expérience extraordinaire ? Il veulent nous détruire », a déclaré le maire.

      M. Lucano a été cité parmi les 100 personnalités les plus influentes par le magazine Fortune en 2016 et a inspiré un docu-fiction de Wim Wenders.

      Intransigeant sur l’immigration, M. Salvini a gagné en popularité ces derniers mois : donné par les sondages à moins de 10% avant les législatives de mars, il a remporté environ 17% des suffrages et se trouve maintenant en tête des intentions de votes avec plus de 30%.


      https://www.courrierinternational.com/depeche/italie-le-gouvernement-met-fin-un-exemple-emblematique-dinteg

    • Salvini veut vider la ville de Riace de ses migrants et mettre fin à son modèle d’accueil

      Le ministère de l’Intérieur dirigé par le chef de la ligue d’extrême droite, Matteo Salvini, a pris la décision samedi 13 octobre de vider la ville de Riace des quelque 200 migrants encore insérés dans le Programme national de protection des demandeurs d’asile et réfugiés. Le maire de cette commune calabraise, Domenico Lucano, a été arrêté et suspendu de ses fonctions depuis le 2 octobre pour soupçons d’aide à l’immigration illégale, notamment par le biais de mariages blancs.

      En décidant de vider Riace de tous les candidats à l’asile, le ministère de l’Intérieur met fin à ce que l’on appelle le « modèle Riace » : un exemple d’accueil et d’intégration des migrants qui a fait le tour du monde et inspiré d’autres maires de villages, lesquels ont aussi pu renaître grâce à leur repeuplement.

      Grâce à ce modèle, des écoles et ateliers artisanaux ont rouvert et de nouveaux emplois ont été créés, parmi d’autres politiques d’inclusion concrètes pour briser le mur de la peur de l’étranger, qu’il soit Afghan, Erythréen ou Nigérian.

      Matteo Salvini, vice-président du Conseil et ministre de l’Intérieur, n’a jamais supporté l’ancien communiste Domenico Lucano, élu maire de Riace pour la première fois en 2004. ll justifie la décision-choc en évoquant « de nombreuses irrégularités » dans la gestion des fonds publics destinés à la prise en charge des migrants à Riace. « Ceux qui commettent des erreurs doivent en payer les conséquences », a-t-il déclaré d’un ton lapidaire.

      Les avocats du maire de 60 ans ont déposé un recours pour sa remise en liberté devant le « tribunal du Réexamen », équivalent italien du juge des libertés, qui rendra sa décision le 16 octobre.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/12657/salvini-veut-vider-la-ville-de-riace-de-ses-migrants-et-mettre-fin-a-s

      #modèle_riace

    • 2 - Le maire de Riace (Calabre - Italie) arrêté pour délit de Solidarité

      Avec Shu Aiello
      Shu Aiello est la corélisatrice du film « Un paese di Clabria », dont on avait parlé en février 2017 (réécouter ici consacré à Riace, un village accueillant de Calabre.
      Aujourd’hui, Mimmo Lucano, maire de Riace village, qui résiste et innove, est accusé d’avoir « favorisé l’immigration clandestine » et est aux arrêts domiciliaires depuis le 2 octobre.

      http://radioresf.toile-libre.org/sons/2018-10-10%20RESF%20sur%20FPP%20487/2018-10-10%20RESF%20sur%20FPP%20487%20-%2002%20Mimmo%20Lucarn

    • Riace : le village des migrants démantélé. Le maire de Naples : « Une déportation »

      Moins de deux semaines après l’arrestation du maire Domenico Lucano, la décision du ministère de l’Intérieur pour « irrégularités manifestes » dans la gestion des fonds publics.

      Le gouvernement italien a décidé de transférer tous les migrants inclus dans le système d’accueil de la ville calabraise de Riace, la cité considéré comme un exemple positif d’intégration entre migrants et citoyens italiens, mais qui a récemment fait la une de l’actualité nationale pour l’arrestation du maire, Domenico Lucano.

      La disposition est contenue dans une circulaire du 9 Octobre diffusé par le Département des libertés civiles et de l’immigration du ministère de l’Intérieur (PDF). Cette disposition établit le transfert des demandeurs de protection internationale de Riace à d’autres installations dans les 60 jours et le retour de tous les fonds en raison de « irrégularités évidentes » dans la gestion des fonds publics affectés à la réception. La décision, qui n’a été rendue publique qu’hier soir, a déjà fait l’objet de nombreuses critiques, d’autant plus que le modèle d’accueil de Riace a souvent été décrit comme efficace et positif. Toutefois, les fonds réservés à Riace avaient déjà été suspendus il y a plusieurs mois, précisément en raison de certaines irrégularités constatées par les inspecteurs du ministère de l’intérieur.

      L’ordre de transfert des migrants est arrivé une semaine après l’arrestation du maire de Riace, Domenico Lucano, le « maire insoumis » qui avait inventé ce modèle d’accueil des migrants. Lucano a été accusé d’aide et de complicité à l’immigration clandestine et d’illicite dans l’attribution directe du service de collecte des déchets. Lucano a été également accusé d’organiser des « mariages de complaisance » entre citoyens italiens et femmes étrangères afin de permettre à celles-ci de rester sur le sol italien.

      Le maire de Naples, Luigi de Magistris, qui a toujours soutenu l’action du marie calabrais et a fait de Naples une « ville d’accueil pour les migrants » en invitant tous les maires du Sud de l’Italie à désobéir à la fermeture des ports décidée par le ministre de l’intérieur Salvini a dit à la presse : « La déportation des migrants de Riace est un acte violent et inhumain. Au lieu de chasser les mafieux ou de déporter les victimes des trafiquants de la mort. C’est une honte ! ». Oui, c’est une honte pour l’Italie et pour toute l’Europe.


      https://blogs.mediapart.fr/marco-cesario/blog/141018/riace-le-village-des-migrants-demantele-le-maire-de-naples-une-depor

    • Riace, Lucano a de Magistris: “Accetto il tuo invito e non faccio un passo indietro”. “Non mollare, vinceremo insieme”

      “Accetto con il cuore l’invito del sindaco de Magistris a venire a Napoli. Mi trovo in una condizione che non avrei mai immaginato. Ma non faccio un passo indietro“. Sono le parole del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, nel corso della trasmissione Barba e Capelli, su Radio Crc, dove è ospite anche il primo cittadino di Napoli, Luigi de Magistris. Lucano aggiunge: “Oltre a dimostrare la mia innocenza personale, credo che questa vicenda, in un momento storico particolare, possa dare un contributo ad un’idea di politica che va in direzione opposta rispetto a ciò che sta accadendo in questo Paese”.

      Totale il sostegno di de Magistris al sindaco di Riace: “Lo sto dicendo da mesi: innanzitutto, a Mimmo bisogna volere bene. E’ una persona con un grande cuore, oltre a essere un grande sindaco di un Comune che lui ha reso gioioso di fronte alla desertificazione dell’emigrazione. Il problema di Riace non è l’immigrazione, anzi l’immigrazione è stata la risorsa di Riace insieme ai calabresi perbene. Il problema era stato rappresentato dall’emigrazione, dallo spopolamento. Lui viene colpito, e mi riferisco in generale, per l’umanità che ha dimostrato in questi anni. Solo chi non conosce Riace non sa che cosa è accaduto nel paese in questi anni”.

      E sottolinea: “Mimmo Lucano ha messo in campo una rivoluzione in una terra in cui si contano a decine le persone delle istituzioni compromesse gravemente con la ‘ndrangheta. E socialmente pericoloso diventa questa persona perbene. Non possiamo fare altro che stare vicino a Mimmo Lucano, lottare, far diventare Riace una delle roccaforti della resistenza del nostro Paese per l’attuazione dei valori costituzionali. Lo dico con rispetto nei confronti della magistratura” – continua – “immagino quanto questo provvedimento di divieto di dimora a uno che ama la sua terra, di cui è sindaco, è un dolore davvero profondo, che è stato inflitto a una persona onesta. E l’onestà non sempre coincide coi vincoli normativi che questo Paese ha dato in questi anni per impedire alla giustizia di trionfare. Io starò sempre dalla parte di Mimmo. Io penso che questa lotta la vinceremo, ne sono assolutamente convinto”.
      Poi aggiunge: “Penso alle parole sprezzanti di Salvini, quando ha detto che Lucano non è un eroe. Salvini, come altri governanti del passato, si dovrebbero interrogare del fatto che in questo Paese le persone normali le fanno passare per sovversive e socialmente pericolose. E quindi normano, fanno legalità formale, reprimono, opprimono. Stanno creando un Paese in cui prevalgono i sentimenti del rancore, della paura, dell’indifferenza, della violenza, dell’odio. Ma un Paese così dove va? Va a sbattere“.

      De Magistris racconta di essere stato a Riace per un dibattito pubblico il 4 agosto scorso: “Ho visto un paese gioioso, con un frastuono tutto giovanile di bambini calabresi e di bambini africani che giocavano insieme a pallone. Questo è il Sud che noi vogliamo. Lasciamo a Salvini la comunità dell’odio e del rancore, che non ci porterà da nessuna parte. Noi possiamo dire che ci siamo schierati subito dalla parte di Mimmo e sottolineo “subito”, perché gli indifferenti sono i complici del male. Quindi, Mimmo, non mollare, perché questa lotta insieme la vinceremo“

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/18/riace-lucano-a-de-magistris-accetto-il-tuo-invito-e-non-faccio-un-passo-indietro-non-mollare-vinceremo-insieme/4702939
      #Naples

    • Francia, nasce #Radio_Riace_International

      È nata in Francia Radio Riace International, una piattaforma europea aperta, di podcast e streaming per diffondere nel mondo il modello di accoglienza, integrazione e reciprocità di Riace.

      L’iniziativa, tutta francese, è frutto di un gruppo di giornalisti e artisti riunitosi intorno a Marc Jacquin, direttore dell’Associazione, senza scopo di lucro, Phonurgia Nova, con sede ad Arles (Francia) dove il 20 ottobre 2018 alle h. 12.00 è stata lanciata la web radio RRI – Radio Riace International.

      Due ore di trasmissione in francese, inglese e italiano che attraverso la traduzione di testi italiani, rapporti, interviste descrivono il modello Riace, ovvero sia il progetto Città Futura di Domenico Lucano: dalla storia delle vecchie abitazioni abbandonate dagli italiani, costretti a lasciare il proprio Paese esattamente come i migranti che sono giunti in Italia negli ultimi decenni che a quelle case hanno ridato la vita, con l’aiuto di tutti. “Le persone si sono salvate a vicenda: gli abitanti di Riace hanno salvato i migranti e i migranti stanno salvando il paese calabrese” disse il premio Nobel per la pace, Dr. Günter Blobel, quando nel 2017 consegnò a Domenico Lucano il premio Dresden Peace Prize.

      In una nota diramata da TeleRama France, Marc Jacquin (nella foto in alto) ha informato che la web radio trasmetterà “fino a quando Riace non sarà confermata nei suoi diritti democratici”. Il Modello “va sostenuto collettivamente” sostiene Jacquin “perché lontano dalle teorie astratte sull’integrazione, ci offre una realtà esemplare di solidarietà che dura da trent’anni … perché non applicare questo modello nelle nostre campagne?”

      Radio Riace International ha ricevuto una sponsorizzazione dall’ex ministro della Cultura francese, Jack Lang ( nella foto sopra), che ha partecipato all’inaugurazione dell’emittente web rilasciandole un’intervista. Altre importanti istituzioni e personalità d’oltralpe si mostrano molto interessate all’iniziativa.

      http://www.abbanews.eu/mondi-e-orizzonti/radio-riace-international

      Archive :
      http://mixlr.com/radioriaceinternational/showreel

    • Milano, Mimmo Lucano si commuove: «Un’altra umanità è possibile». E il pubblico intona #Bella_Ciao

      «Perché c’è così tanto interesse a non parlare della vicenda? La risposta è semplice, questo messaggio non deve essere divulgato perché dimostra che un’altra umanità è possibile». Così Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, ha parlato nel corso dell’incontro «Da Riace a Lodi, solidarietà e diritti», tenutosi a Palazzo Marino, a Milano. Al termine del discorso l’ex primo cittadino calabrese si è commosso e il pubblico ha intonato spontaneamente il canto di «Bella Ciao»

      https://video.repubblica.it/edizione/milano/milano-mimmo-lucano-si-commuove-un-altra-umanita-e-possibile-e-il-pubblico-intona-bella-ciao/318395/319022?ref=fbpr

    • Lucano, le maire italien qui accueillait les réfugiés, condamné à l’exil

      Le maire Domenico Lucano n’est plus assigné à domicile, mais il lui est désormais interdit de résider à Riace. Le sort de Lucano – et de son village, connu comme un modèle de l’accueil des réfugiés – suscite de vives réactions en Italie, dans une société très divisée autour de la question de l’immigration.

      “Il est resté à Riace aussi longtemps qu’il a pu, puis il a refermé la porte de sa maison derrière lui et il est parti, raconte La Repubblica. Vers 6 heures du matin ce 17 octobre, Mimmo Lucano, le maire ‘exilé’ sur décision d’une cour d’appel, a quitté Riace.”


      https://www.courrierinternational.com/article/lucano-le-maire-italien-qui-accueillait-les-refugies-condamne
      #confino

    • En Italie, le maire de Riace s’est transformé en une figure de l’opposition à Salvini

      Alors que la gauche partisane italienne est à bout de souffle, Domenico Lucano, le maire de Riace, arrêté à l’automne pour aide à l’immigration clandestine, est en train de devenir une figure de ralliement pour les opposants à la politique de Matteo Salvini. Récit d’une ascension, de maire banni à homme politique courtisé.

      Palerme (Italie), correspondance – La salle Alessi du palais Marino bruisse d’impatience. Plusieurs centaines de personnes se serrent sous les plafonds du salon de la mairie de Milan pour assister à l’événement « De Riace à Lodi, solidarité et droits » organisé par le groupe « Milano in commune ». Dehors, près de deux cents personnes ont fait la queue pendant des heures sans réussir à rentrer.

      « Mimmo, Milan est avec toi », crie la foule. « Mimmo », ce surnom est désormais celui de l’homme que tous attendent ce soir de fin octobre : Domenico Lucano, ancien maire de Riace, suspendu de ses fonctions. Arrêté le 2 octobre pour aide à l’immigration clandestine et attribution frauduleuse du marché de ramassage des ordures, le maire calabrais est devenu en un mois un symbole qui dépasse largement les frontières de sa Calabre natale, dans le sud du pays.

      Costume bleu marine et chemise blanche, Domenico tient le micro d’une main, l’autre lui servant à ponctuer chacune de ses phrases de grands gestes : « Je n’aurais jamais imaginé qu’un jour une grande ville comme Milan m’accueillerait, je n’ai jamais eu comme objectif de devenir aussi célèbre, comme ça, à l’improviste, mais il y a une faim d’humanité. » Tonnerre d’applaudissements. « Riace nous montre qu’une autre humanité est possible », conclut Domenico Lucano. La salle se lève, applaudit, encore. Un homme brandit un journal sur lequel s’étale ce titre en grosses lettres : « Unis et solidaires contre le gouvernement ». Une voix entonne « Bella Ciao » avant que tout le monde ne reprenne en chœur.

      La scène a de quoi surprendre, mais elle est symbolique de l’aura qu’a soudainement acquise celui qui est devenu l’un des maires les plus célèbres du pays. En Italie, pas une semaine sans qu’une conférence, un sit-in ou un rassemblement ne soit organisé en soutien au maire. La société civile se mobilise, tous azimuts, quitte à brouiller parfois le message. L’association Recosol, le Réseau des communes solidaires, appelle les communes italiennes à faire du maire déchu leur citoyen d’honneur dans le cadre d’une campagne intitulée « 10, 100, 1000 Riace ».

      À Marsala en Sicile, à Santa Maria del Cedro en Calabre, à Milan en Lombardie, à Piombino en Toscane, des pétitions sont lancées pour répondre favorablement à l’initiative de Recosol. À Sutri, dans le Latium, le très controversé maire Vittorio Sgarbi – élu au Parlement italien sur la liste de Forza Nuova en mars 2018 et sans groupe politique depuis le 4 octobre – est l’un des premiers à proclamer Domenico Lucano citoyen d’honneur de sa ville. La cérémonie officielle aura lieu en décembre.

      La ville de Ferrara qui avait suspendu tous ses jumelages vient de faire une exception en en créant un avec Riace, après une proposition du « groupe anti-discrimination » de la ville pour « accueillir Mimmo et Riace chez nous ». Fin octobre, encore, les Giovani Democratici, le mouvement de jeunesse du Parti démocrate (PD, sociaux-démocrates) organisent un sit-in sur l’une des places centrales de Rome en l’honneur du maire calabrais. Des artistes de BD, des illustrateurs organisent un recueil de dessins.

      « N’en faisons pas un martyr », commente sobrement le ministre de l’intérieur Matteo Salvini face à l’engouement croissant suscité par le maire de Riace. Un ton bien moins tranché que celui avec lequel il n’hésitait pas à qualifier Domenico Lucano de « zéro » au début de son mandat. Car les hashtags lancés dans la foulée de son arrestation – « Riace ne s’arrête pas » ou « Je suis Riace » – ne s’évanouissent pas au bout de quelques jours, comme c’est souvent le cas. C’est même plutôt le contraire : le mouvement de solidarité avec Riace et son maire déchu semble avoir réveillé une partie des Italiens.

      « Cette histoire a eu le mérite de libérer toutes ces énergies qui étaient là, mais n’avaient pas forcément été déployées par le passé », reconnaît Giulia Galera. La jeune femme fait partie des organisateurs de « Solidarity Poetry Riace », un événement organisé dimanche 4 novembre en soutien au modèle Riace. Aux quatre coins de l’Italie, mais aussi à Paris et dans plusieurs villes d’Espagne, une poésie d’Erri de Luca est lue, le moment est filmé puis posté sur les réseaux sociaux.

      « C’est une toute petite contribution, symbolique pour montrer notre solidarité », commente Giulia Galera. Chercheuse au sein d’Euricse, un institut de recherche européen sur les coopératives et les entreprises sociales, la jeune femme décrit un « moment historique préoccupant sur les questions migratoires » qui l’a poussée à l’action.

      Si le phénomène s’ancre dans le temps et du nord au sud du pays, c’est aussi parce qu’il n’est pas qu’une réaction épidermique au nouveau gouvernement. Le modèle Riace représente tout une partie de l’opinion publique déçue par les politiques du PD sur une question aussi cruciale que l’immigration. « D’un côté, on a plusieurs gouvernements successifs qui nous ont martelé que ce n’était pas un phénomène structurel, qu’il fallait y répondre au coup par coup, qui pratiquaient une politique de l’autruche », rappelle Francesco Pallante, professeur de droit constitutionnel à l’université de Turin.

      À cette politique de l’urgence, le modèle Riace oppose un modèle durable destiné à la fois à accueillir les migrants, mais aussi à faire revivre un territoire en déclin. « C’est l’exemple qu’on peut transformer en mieux notre société », commente Giulia Galera. La figure même de Domenico Lucano n’est probablement pas étrangère à l’adhésion qu’il suscite. Simple, au verbe franc, il stupéfait les téléspectateurs lorsque, interrogé sur un plateau de télévision, il explique avoir dormi dans sa voiture, sous le panneau de sa commune, lorsqu’il a été contrait à quitter sa ville, le 17 octobre.

      « Et puis de l’autre côté, poursuit le professeur d’université, il faut admettre que le gouvernement de Paolo Gentiloni [PD, au pouvoir de 2016 à 2018 – ndlr] a mené une politique dure sur l’immigration, avec le ministre de l’intérieur Marco Minniti et que Matteo Salvini porte à l’extrême les conséquences de politiques déjà amorcées – moins brutalement – ou héritées du vide laissé par ceux qui n’ont jamais nettement pris position. »

      En février dernier – avant l’arrivée au pouvoir de la Ligue de Salvini –, l’Italie a par exemple signé un mémorandum d’entente avec le premier ministre du gouvernement d’unité nationale libyen Fayez al-Sarraj afin de contenir les départs de migrants. Huit mois plus tôt, en juin 2017, le Sénat se penchait sur la nouvelle loi de citoyenneté votée en 2015 au Parlement avec l’introduction du jus soli pour les enfants de parents immigrés, sous certaines conditions.

      Ce cheval de bataille pour le PD, qui a enflammé le débat politique, s’est soldé par un échec : le texte a été rejeté au Sénat en décembre 2017 sans même avoir été examiné, car le nombre de sénateurs présents n’était pas suffisant. Parmi les absents, 29 des 89 sénateurs du PD. « Domenico Lucano est aussi devenu un symbole parce qu’au sein des grands partis, personne n’a assumé un discours politique différent des autres », résume Francesco Pallante, également membre de l’association Justice et Liberté.

      Dans les rangs des partis de gauche, pas grand monde n’a échappé au phénomène Lucano. Parmi les premiers poids lourds de la politique italienne à manifester leur soutien au modèle Riace, Enrico Rossi, président de la région Toscane et membre du parti Article 1er Mouvement démocrate et progressiste, né d’une scission avec le PD l’année dernière. Dans la presse, les rumeurs les plus incongrues circulent : le PD aurait proposé à Domenico Lucano de devenir le porte-parole du parti dans le sud du pays pour la campagne des européennes du mois de mai.

      L’hypothèse semble peu probable si l’on se rappelle que le PD avait été le premier à attaquer violemment le modèle Riace et à bloquer les fonds dévolus au système d’accueil de la ville en août 2017. Une chose est sûre : plus personne ne semble douter de la carrure politique du maire calabrais en cette période préélectorale. Le maire de Palerme Leoluca Orlando, ouvertement pro-migrants, l’a invité dans sa ville dès qu’il s’est retrouvé contraint à l’exil à la mi-octobre.

      Mais l’ouverture pourrait bien venir de Naples. Le maire de la ville, Luigi de Magistris, a fait une invitation similaire sur Twitter à Domenico Lucano, lançant surtout sur son site personnel un appel à soutenir le modèle d’accueil promu par Riace. Après avoir été député européen de 2009 à 2011, Luigi de Magistris a créé l’année dernière son propre parti Démocratie et Autonomie (demA), grâce auquel il souhaite construire un « front populaire démocratique » face au gouvernement, allié avec l’ex-ministre des finances grec Yanis Varoufakis.

      Domenico Lucano, lui, reste stoïque face à cet emballement médiatique et politique. « Moi qui dis tout le temps des bêtises, ils ont réussi à me rendre important, s’amuse le maire dans un entretien au quotidien La Repubblica. Ils auraient aimé effacer l’histoire de Riace et la faire disparaître à l’intérieur de sa géographie, au fin fond des montagnes calabraises. Mais c’est l’inverse. Tout le monde comprend que Riace n’a jamais été aussi vivante. »


      https://www.mediapart.fr/journal/international/181118/en-italie-le-maire-de-riace-s-est-transforme-en-une-figure-de-l-opposition

    • Riace, chiusa inchiesta su sindaco Lucano. Contestata anche associazione per delinquere

      Mimmo ​Lucano era stato posto agli arresti domiciliari il 2 ottobre scorso, poi revocati e sostituiti dal divieto di dimora a Riace, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. ​Nell’avviso di conclusione indagini, tuttavia, gli vengono contestati reati più gravi.
      La Procura di Locri ha chiuso le indagini nei confronti del sindaco sospeso di Riace Mimmo Lucano ed altre 30 persone nell’inchiesta su presunte irregolarità nella gestione dell’accoglienza dei migranti nel comune di Locri. Lo scrive la Gazzetta del Sud. La Procura avrebbe contestato a Lucano anche associazione per delinquere, truffa, falso, concorso in corruzione, abuso d’ufficio e malversazione. Lucano era stato posto agli arresti domiciliari il 2 ottobre scorso, poi revocati e sostituiti dal divieto di dimora a Riace, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. Nell’avviso di conclusione indagini, tuttavia, gli vengono contestati reati più gravi per i quali il gip non aveva accolto la richiesta d’arresto: associazione per delinquere, truffa, falso, concorso in corruzione, abuso d’ufficio e malversazione.

      http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Riace-chiusa-inchiesta-su-sindaco-Lucano-Contestata-anche-associazione-per-d

    • Riace addio, il Natale triste del borgo simbolo dell’accoglienza: senza migranti e con il sindaco ’esiliato’

      Per vent’anni è stato il borgo simbolo dell’accoglienza, il luogo in cui culture e nazionalità diverse riuscivano a vivere fianco a fianco, l’esempio pratico di una via inclusiva all’immigrazione: il cosiddetto «modello Riace». Oggi, pochi mesi dopo l’arresto del sindaco Domenico Lucano, la chiusura del progetto Sprar e il trasferimento dei migranti in altre strutture sparse in tutta Italia, il panorama è completamente cambiato. Riace è tornato ad essere un semplice paesino spopolato del Sud, come tanti altri. Con case, botteghe e scuole chiuse, poca gente in giro e tanto silenzio a fare da cornice a un Natale triste

      https://video.repubblica.it/cronaca/riace-addio-il-natale-triste-del-borgo-simbolo-dell-accoglienza-senza-migranti-e-con-il-sindaco-esiliato/323222/323843?videorepmobile=1
      #ghost-town #géographie_du_vide #silence #vide

    • Riace rinasce senza fondi pubblici grazie a una fondazione

      Riace non muore. È solo momentaneamente sospesa. Chiusa a seguito di una bufera giudiziaria che ha travolto il sindaco Mimmo Lucano - accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di corruzione - e ha azzerato 20 anni di accoglienza nel centro della Locride. Ma non ha cancellato il senso di quell’esperienza: Riace lancia uno sprar oltre lo sprar, senza fondi di ministero e prefettura. “È stato il vento” è il nome della fondazione che farà ripartire i progetti di inclusione nel borgo dell’accoglienza, a cominciare da febbraio.

      “È stato il vento”
      Presentata oggi a Caulonia, per consentire la partecipazione di Lucano, che ha divieto di dimora a Riace, l’iniziativa rimette in moto un processo di integrazione e di buone pratiche che negli anni passati ha fatto scuola in Europa. E che ha attirato su di sé l’attenzione di mezzo mondo. Intorno a Lucano e al suo modello si è stretta una vasta comunità internazionale. Il sindaco, sospeso dall’incarico, ha ottenuto cittadinanze onorarie dal Nord al Sud d’Italia. Ora il modello Riace è oggetto di una ricerca condotta da un gruppo di studenti del Dams di Bologna che in questi giorni ha visitato il borgo e il villaggio globale, gli orti e il frantoio. L’idea dei docenti è di insediare a Riace un laboratorio di antropologia culturale.

      Riaprono le botteghe

      «Con la fondazione ripartiremo dalle botteghe, quella del cioccolato, del vetro, della ceramica, dei tessuti. I prodotti saranno distribuiti nel circuito di Atromercato, centrale di importazione del commercio equo e solidale», spiega Chiara Sasso, coordinatrice di Recosol, la rete dei comuni solidali. «E punteremo sul turismo responsabile, con la comunità internazionale Longo Mai, da sempre impegnata in forme alternative di ospitalità». Hannes Reiser, uno dei fondatori della comunità, è molto vicino a Lucano. Per essere operativi da subito, è stato già costituito un comitato al quale hanno aderito, a titolo personale, insieme a Chiara Sasso, Emilio Sirianni (Magistratura democratica), Livio Pepino (Gruppo Abele), Alex Zanotelli (missionario comboniano), Felicetta Parisi (pediatra impegnata in iniziative di solidarietà al rione Sanità di Napoli), Barbara Vecchio (Longo Mai), Peppino Lavorato (ex sindaco di Rosarno) e Gianfranco Schiavone (Associazione studi giuridici sull’immigrazione).

      Un milione di euro per l’accoglienza

      Proprio Schiavone, che è stato uno degli ideatori dello Sprar, guarda con ottimismo ai nuovi progetti per Riace. Anche grazie all’iniziativa della Regione Calabria che ha finanziato con 1 milione di euro la legge del 2009 sull’ “accoglienza dei richiedenti asilo, dei rifugiati e lo sviluppo sociale, economico e culturale delle comunità locali”. Ispirata proprio al modello Riace, voluta dall’allora governatore Agazio Loiero, è stata finanziata per la prima volta dal presidente della Regione Calabria Mario Oliverio. «È un passaggio importante – precisa Schiavone – perché consentirà a tutti i comuni con caratteristiche sociodemografiche adeguate di sostenere progetti di accoglienza».

      Il nuovo “volo” di Wenders a Riace
      In una regione, la Calabria, che già conta ben 136 comuni inseriti nella rete del sistema nazionale di protezione: 3.726 i beneficiari, che rappresentano il 10% di quelli nazionali. E che dell’accoglienza ne ha fatto una vocazione: a Crotone, due giorni fa, un gruppo di cittadini si è buttato in mare per soccorrere 51 curdi. L’Unhcr, agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha elogiato la comunità calabrese. È stato come 20 anni fa a Riace, quando un veliero carico di curdi riversò sulla riva 800 naufraghi. Subito accorse Wim Wenders, con le sue telecamere, per girare il cortometraggio “Il volo”. E ora torna, per un sequel con Lucano e Papa Francesco.

      https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-01-12/riace-rinasce-senza-fondi-pubblici-grazie-una-fondazione-155203.shtml?u

    • #Cassazione su Mimmo Lucano: “Nessuna frode negli appalti. Non favorì matrimoni”. Annullato divieto di dimora a Riace

      Riace: Cassazione, non risultano “frodi” negli appalti concessi da Mimmo Lucano. Non favorì matrimoni di comodo, cercò solo di aiutare. Annullato con rinvio al Tribunale il divieto di dimora a Riace. Saranno i giudici a decidere.

      Mancano gli indizi di comportamento fraudolento da parte del sindaco di Riace Mimmo Lucano per l’assegnazione di alcuni servizi, come la raccolta dei rifiuti, a due cooperative di Riace.

      Le delibere e gli atti di affidamento infatti, sono stati adottati con “collegialità e con i prescritti pareri di regolarità tecnica e contabile da parte dei rispettivi responsabili del servizio interessato”.

      È la Cassazione a metterlo nero su bianco nelle motivazioni depositate oggi 2 Aprile 2019 in relazione all’udienza che lo scorso 26 febbraio si è conclusa con l’annullamento con rinvio del divieto di dimora a Riace, la cittadina calabrese divenuta nel mondo simbolo di accoglienza dei migranti.

      La Cassazione sottolinea inoltre che non sono provate le “opacità” che avrebbero compromesso l’azione di Mimmo Lucano per l’affidamento di questi servizi. È infatti la legge che consente “l’affidamento diretto di appalti” in favore di cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate” a condizione però che gli importi del servizio siano “inferiori alla soglia comunitaria”.
      Secondo i giudici mancano indizi di comportamenti fraudolenti nell’affidamento degli appalti a Riace. E anche sui matrimoni di comodo non ci sono prove concrete. Caduto così l’impianto accusatorio.
      Lucano “ha solo cercato di aiutare la compagna”.

      La Cassazione evidenzia inoltre elementi di “gravità indiziaria” per il fatto che Lucano si sia adoperato per la permanenza in Italia della sua compagna Lemlem Tesfahun, ma invita altresì a tenere conto della “relazione affettiva” che lega Domenico Lucano e Lemlem Tesfahun. Oltre al fatto che lo stesso Lucano è incensurato.

      Per la Cassazione dunque Mimmo Lucano ha cercato di aiutare solo Lemlem Tesfahun “tenuto conto del fatto” che il richiamo a “presunti matrimoni di comodo” che sarebbero stati “favoriti” dal sindaco Lucano, tra immigrati e concittadini, “poggia sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale non solo sfornito di significativi e precisi elementi di riscontro ma, addirittura, escluso da qualsiasi contestazione formalmente elevata in sede cautelare”.

      https://www.politicaeattualita.it/2019/04/02/cassazione-su-mimmo-lucano-nessuna-frode-negli-appalti-non-favori
      #justice

  • Italian government pressures #Panama to stop #Aquarius rescues on world’s deadliest maritime route

    Central Mediterranean– SOS MEDITERRANEE and Médecins Sans Frontières (MSF) are reeling from the announcement by the Panama Maritime Authority (PMA) that it has been forced to revoke the registration of the search and rescue ship Aquarius, under blatant economic and political pressure from the Italian government. This announcement condemns hundreds of men, women and children who are desperate to reach safety to a watery grave, and deals a major blow to the life-saving humanitarian mission of the Aquarius, the only remaining non-governmental search and rescue vessel in the Central Mediterranean. Both organisations demand that European governments allow the Aquarius to continue its mission, by affirming to the Panamanian authorities that threats made by the Italian government are unfounded, or by immediately issuing a new flag under which the vessel can sail.

    On Saturday, 22 September, the Aquarius team was shocked to learn of an official communication from the Panamanian authorities stating that the Italian authorities had urged the PMA to take “immediate action” against the Aquarius. The PMA message explained that, “unfortunately, it is necessary that [the Aquarius] be excluded from our registry, because it implies a political problem against the Panamanian government and the Panamanian fleet that arrive to European port.” The message came despite the fact that Aquarius meets all maritime standards and is in full compliance with rigorous technical specifications as required under the Panama flag.

    SOS MEDITERRANEE and MSF strongly denounce the actions as further proof of the extent to which the Italian government is willing to go to, knowing that the only consequence is that people will continue to die at sea and that no witnesses will be present to count the dead.

    “European leaders appear to have no qualms implementing increasingly abusive and vicious tactics that serve their own political interests at the expense of human lives,” said Karline Kleijer, MSF’s Head of Emergencies. “For the past two years, European leaders have claimed that people should not die at sea, but at the same time they have pursued dangerous and ill-informed policies that have brought the humanitarian crisis in the Central Mediterranean and in Libya to new lows. This tragedy has to end, but that can only happen if EU governments allow the Aquarius and other search and rescue vessels to continue providing lifesaving assistance and bearing witness where it is so desperately needed.”

    Since the beginning of the year, more than 1,250 people have drowned while attempting to cross the Central Mediterranean. Those that attempt the crossing are three times more likely to drown than those who made the same journey in 2015. The real number of deaths is likely much higher, as not all drownings are witnessed or recorded by authorities or U.N. agencies. This underreporting is represented in shipwrecks like the one in early September in which it is estimated that at least 100 people drowned.

    Meanwhile, the European-sponsored Libyan coastguard continues to make an increasing number of interceptions in international waters between Italy, Malta and Libya, while denying survivors their right to disembark in a place of safety as required by International Maritime and Refugee Law. Instead, these vulnerable people are returned to appalling conditions in Libyan detention centres, several of which are now affected by heavy fighting in Tripoli’s conflict zones.

    “Five years after the Lampedusa tragedy, when European leaders said ‘never again’ and Italy launched its first large scale search and rescue operation, people are still risking their lives to escape from Libya while the death rate on the Central Mediterranean is skyrocketing” said Sophie Beau, vice president of SOS MEDITERRANEE international. “Europe cannot afford to renounce its fundamental values.”

    News from the PMA arrived at the Aquarius while the team was engaged in an active search and rescue operation in the Central Mediterranean. Over the past three days, Aquarius has assisted two boats in distress and now has 58 survivors on board, several of whom are psychologically distressed and fatigued from their journeys at sea and experiences in Libya, and who must be disembarked urgently in a place of safety in accordance with international maritime law. Throughout its current operation and during all previous rescue operations, the Aquarius has maintained full transparency while operating under the instructions of all maritime coordination centres and following international maritime conventions.

    SOS MEDITERRANEE and MSF demand that European governments allow the Aquarius to continue its rescue mission by reassuring the Panama authorities that the threats made by the Government of Italy are unfounded, or by immediately issuing a new flag under which the vessel can sail.

    https://www.msf.org/italian-government-pressures-panama-stop-aquarius-rescues-worlds-deadliest-mari
    #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #ONG #sauvetage #pavillon

    • Le gouvernement italien fait pression sur le Panama pour stopper les opérations de sauvetage de l’Aquarius

      Les autorités maritimes du Panama ont annoncé à SOS Méditerranée et Médecins Sans Frontières (MSF) avoir été forcées de révoquer l’enregistrement du navire de secours en mer Aquarius. Cette révocation résulte de la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien et condamne des centaines d’hommes, de femmes et d’enfants en fuite à rejoindre le cimetière marin qu’est devenu la Méditerranée. Elle porte un coup violent à la mission humanitaire vitale de l’Aquarius, le seul navire de recherche et de sauvetage non gouvernemental encore présent en Méditerranée centrale. Nos deux organisations demandent aux gouvernements européens d’autoriser l’Aquarius à poursuivre sa mission en intercédant auprès des autorités panaméennes et en réaffirmant que les menaces de rétorsion formulées à leur égard par les autorités italiennes sont infondées, ou en lui délivrant immédiatement un nouveau pavillon sous lequel naviguer.

      Le samedi 22 septembre, l’équipe de l’Aquarius a été choquée d’apprendre qu’une communication officielle émanant des autorités panaméennes, indiquait que le gouvernement italien les avait exhorté à prendre des « mesures immédiates » contre l’Aquarius. Le message des autorités maritimes du Panama expliquait alors que « malheureusement, il faut qu’il [l’Aquarius] soit exclu de notre registre, car maintenir ce pavillon impliquerait de sérieuses difficultés politiques pour le gouvernement panaméen et pour la flotte panaméenne qui travaille dans les ports européens ». Cela intervient en dépit du fait que l’Aquarius répond à toutes les normes maritimes en vigueur et qu’il respecte scrupuleusement les spécifications techniques exigées par les autorités du Panama.

      Les deux organisations humanitaires dénoncent ces actions comme une preuve supplémentaire du jusqu’au-boutisme du gouvernement italien qui choisit sciemment de laisser les gens se noyer en mer Méditerranée, et cherche à se débarrasser des derniers témoins de ces naufrages.

      "Les dirigeants européens semblent n’avoir aucun scrupule à mettre en œuvre des tactiques de plus en plus violentes et sordides qui servent leurs propres intérêts politiques au détriment des vies humaines", a déclaré Karline Kleijer, responsable des urgences chez MSF. « Au cours des deux dernières années, les dirigeants européens ont affirmé que plus personne ne devait mourir en mer, mais elles ont parallèlement mis en place des politiques dangereuses qui n’ont fait que renforcer la crise humanitaire en Méditerranée et en Libye. Cette tragédie doit cesser, et pour cela, il faut que les gouvernements de l’Union européenne autorisent l’Aquarius et d’autres navires de recherche et de sauvetage à continuer à fournir une assistance, là où elle est nécessaire, pour sauver des vies et témoigner de ce qu’il se passe. »

      Depuis le début de l’année, plus de 1 250 personnes se sont noyées alors qu’elles essayaient de traverser la Méditerranée centrale. Ceux qui tentent la traversée à présent ont trois fois plus de risque de se noyer que ceux qui ont fait le même trajet en 2015. Le nombre réel de décès est probablement beaucoup plus élevé, les autorités ou les agences des Nations unies n’étant pas témoins de toutes les noyades. Cela a été clairement mis en évidence lors du naufrage survenu au début du mois de septembre au large des côtes libyennes, où plus de 100 personnes se sont noyées.

      Pendant ce temps, les garde-côtes libyens, soutenus par l’Europe, continuent d’intercepter dans les eaux internationales entre l’Italie, Malte et la Libye un nombre croissant de personnes fuyant la Libye, les privant de leur droit à débarquer dans un lieu sûr, comme l’exige le droit international maritime et le droit international relatif aux réfugiés. Ces personnes vulnérables sont renvoyées dans un dangereux système de détention en Libye, où plusieurs centres de détention sont d’ailleurs actuellement touchés par les violents combats qui se déroulent à Tripoli, la capitale.

      "Cinq ans après la tragédie de Lampedusa, lorsque les dirigeants européens ont déclaré ‘plus jamais ça’ et que l’Italie a lancé sa première opération de recherche et de sauvetage à grande échelle, les gens risquent toujours leur vie pour fuir la Libye tandis que le taux de mortalité en mer Méditerranée grimpe en flèche », a tancé Francis Vallat, président de SOS MEDITERRANEE France.

      L’annonce des autorités maritimes du Panama est parvenue à l’Aquarius alors que ses équipes étaient engagées dans une opération active de recherche et de sauvetage en Méditerranée. Au cours des trois derniers jours, l’Aquarius a porté assistance aux passagers de deux bateaux en détresse et compte maintenant 58 rescapés à son bord. Plusieurs d’entre eux sont dans un état de détresse psychologique, épuisés par les expériences traumatisantes vécues en mer et en Libye Ces rescapés doivent être rapidement débarqués dans un port sûr conformément au droit international maritime.

      Tout au long de son opération de sauvetage actuelle et au cours de toutes les opérations précédentes, l’Aquarius a maintenu une transparence totale sur ses actions, intervenant sous les instructions des centres de coordination maritimes et respectant les conventions maritimes internationales en vigueur.

      SOS Méditerranée et MSF insistent de nouveau sur le fait que l’Aquarius doit être autorisé à poursuivre sa mission de secours humanitaire. Elles exigent que les gouvernements européens lui attribuent un nouveau pavillon ou qu’ils intercèdent auprès des autorités panaméennes, leur confirmant que les menaces de rétorsion formulées par le gouvernement italien sont infondées.

      http://www.sosmediterranee.fr/journal-de-bord/CP23-09-2018-Panama

    • Migranti, Panama blocca la nave #Aquarius_2. Msf e Sos Méditerranée: «Pressioni dal governo italiano»

      Le autorità panamensi hanno revocato l’iscrizione dai propri registri navali, informando il proprietario della richiesta italiana di «azioni immediate». Il Viminale nega ogni intervento. Salvini: «Nessun Paese vuole essere identificato con una nave che intralcia i soccorsi in mare e attacca governi democratici»

      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/09/23/news/aquarius2-207151404

    • Pressioni italiane su Panama che cancellerà Aquarius dai registri navali, l’accusa è per non aver restituito alla Libia i migranti salvati

      SOS Méditerranée e Medici Senza Frontiere sono «sconvolte dall’annuncio dell’Autorità marittima di Panama di essere stata costretta a revocare l’iscrizione dell’Aquarius dal proprio registro navale sotto l’evidente pressione economica e politica delle autorità italiane.

      Questo provvedimento condanna centinaia di uomini, donne e bambini, alla disperata ricerca di sicurezza, ad annegare in mare e infligge un duro colpo alla missione umanitaria di Aquarius». Così in una nota le due organizzazioni umanitarie.

      SOS Mediterrannee e MSF chiedono all’Europa di permettere all’Aquarius di poter continuare ad operare nel Mediterraneo centrale e di far sapere alle autorità panamensi che «le minacce del governo italiano sono infondate o di garantire immediatamente una nuova bandiera per poter continuare a navigare».

      E’ quanto chiedono le due Ong in una nota nella quale è riportata anche una dichiarazione di Karline Kleijer, responsabile delle emergenze per Msf. «I leader europei - afferma Kleijer - sembrano non avere scrupoli nell’attuare tattiche sempre più offensive e crudeli che servono i propri interessi politici a scapito delle vite umane. Negli ultimi due anni, i leader europei hanno affermato che le persone non dovrebbero morire in mare, ma allo stesso tempo hanno perseguito politiche pericolose e male informate che hanno portato a nuovi minimi la crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale e in Libia. Questa tragedia deve finire, ma ciò può accadere solo se i governi dell’Ue permetteranno all’Aquarius e alle altre navi di ricerca e soccorso di continuare a fornire assistenza».

      Salvini,denuncerò ong che aiutano scafisti - «Denuncerò per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina chi aiuta gli scafisti». Lo afferma il Ministro dell’Interno Matteo Salvini che aggiunge: «Nelle ultime ore i trafficanti hanno ripreso a lavorare, riempiendo barchini e approfittando della collaborazione di qualche Ong. Tra queste c’è Aquarius 2, che poco fa ha recuperato 50 persone al largo di Zuara. Altri due gommoni, con a bordo 100 immigrati ciascuno, sarebbero in navigazione».

      Aquarius 2 recupera 50 persone,altre 100 in arrivo - Aquarius 2 ha recuperato 50 persone al largo della Libia, più precisamente al largo della città di Zuara. A renderlo noto è il Ministro dell’Interno Matteo Salvini.
      Salvini riferisce anche che Aquarius 2 sta per essere cancellata dai registri navali di Panama. La notizia era stata pubblicata due giorni fa dal quotidiano panamense La Prensa.

      "Per aver disatteso le procedure internazionali in materia di immigranti e rifugiati assistiti al largo delle coste nel Mediterraneo - si legge nell’articolo - l’amministrazione marittima panamense ha avviato l’iter per annullare d’ufficio la registrazione della nave «Aquarius 2», ex «Acquarius», con numero IMO 7600574. Questa nave ha registrato la prima immatricolazione in Germania e circa un mese fa è arrivata a Panama".

      «L’autorità marittima di Panama - riporta ancora la Prensa - ha riferito che la denuncia principale proviene dalle autorità italiane, che hanno riferito che il capitano della nave si è rifiutato di restituire gli immigranti e i rifugiati assistiti al loro luogo di origine».

      Nell’articolo si ricorda inoltre che già «l’amministrazione marittima di Gibilterra aveva negato il permesso di ’Aquarius’ di agire come un battello di emergenza e anche nel mese di giugno e luglio di quest’anno, ha chiesto formalmente che ’sospenda le sue operazioni’ e ritorni al suo stato di registrazione originale come ’nave oceanografica’».

      Galantino, strano parlare di migranti in dl sicurezza - «A me sembra strano che si parli di immigrati all’interno del decreto sicurezza. Inserirlo lì dentro significa giudicare già l’immigrato per una sua condizione», «per il suo essere immigrato e non per i comportamenti che può avere. E’ un brutto segnale sul piano culturale, perché si tratta di un tema sociale che va affrontato nel rispetto della legalità ma non possiamo considerare la condizione degli immigrati come una condizione di delinquenza». Lo ha detto a «Stanze Vaticane» di Tgcom24, Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale Cei.

      https://dirittiumani1.blogspot.com/2018/09/pressioni-italiane-su-panama-che.html

    • The Aquarius : Migrant rescue ship has registration revoked

      A rescue vessel operating in the central Mediterranean Sea has had its registration revoked, leaving its future operations in jeopardy.

      When the Aquarius next docks, it will have to remove its Panama maritime flag and cannot set sail without a new one.

      It is the last private rescue ship operating in the area used for crossings from Libya to Europe.

      The charities who run the vessel accuse the Italian government of pressuring Panama into deflagging the Aquarius.

      The two groups who lease it, Médecins Sans Frontières (MSF) and SOS Mediterranée, say they were notified of the decision by the Panama Maritime Authority (PMA) on Saturday.

      The authority is said to have described the ship as a “political problem” for the country’s government, and said Italian authorities had urged them to take “immediate action” against them, according to SOS Mediterranée.

      Italy’s Interior Minister Matteo Salvini, who has previously described the aid boats as a “taxi service” for migrants, denies his country put pressure on Panama.

      On Sunday, he tweeted he “didn’t even know” what prefix Panama has for telephone calls.

      https://www.bbc.com/news/world-europe-45622431

    • Dopo le accuse alle ong da oggi Mediterraneo senza presidi umanitari

      Oggi, 20 settembre 2018, uno degli obiettivi politici di molti governi europei sembra pienamente raggiunto: il Mediterraneo centrale è privo di presidi umanitari, di imbarcazioni destinate a prestare soccorso, di mezzi attrezzati e personale formato al fine di salvare vite umane.

      Dunque, con la sola eccezione della nave Aquarius, dove opera Medici Senza Frontiere, il Mediterraneo è stato, per così dire, sgomberato dalla presenza di tutti i soccorritori e i volontari. E di tutti gli operatori umanitari (medici, psicologi, mediatori e interpreti) – a partire dal 2015 – hanno realizzato centinaia di missioni e centinaia di salvataggi, risparmiando migliaia e migliaia di vittime, offrendo riparo e protezione ai fuggiaschi di tante guerre e di tante miserie. E riducendo il numero delle stragi che, non da ieri ma dai primi anni novanta (attenzione: dai primi anni novanta), si ripetono in quel tratto di mare. Ora lì operano, quando operano, solo navi e organismi degli stati europei, in genere indirizzati verso la difesa delle frontiere piuttosto che verso il soccorso dei naufraghi.

      E alcune guardie costiere prive di indirizzi politici univoci e le motovedette della Libia (meglio sarebbe dire: delle diverse milizie libiche). È ciò che alcuni governi europei, compreso quello italiano, si sono proposti da tempo: cancellare, o comunque ridurre al minimo, il ruolo delle organizzazioni non governative finalizzate al soccorso per lasciare campo libero all’attività di respingimento di migranti e profughi attraverso il blocco del Mediterraneo con la chiusura di porti, vie d’accesso, canali di fuga e rotte alternative. L’obiettivo è chiarissimo: attraverso l’esclusione delle Ong si persegue la mortificazione, fino all’annullamento, del diritto/dovere al soccorso.

      E per ottenere quest’ultimo scopo, nel corso degli ultimi due anni si è attuata una sequenza micidiale: prima una campagna di delegittimazione delle Ong tramite lo sfregio della loro identità e della loro immagine e l’indecente assimilazione dei soccorritori ai criminali («Le ong complici degli scafisti»); poi una successione di iniziative giudiziarie tendenti ad assimilare l’attività di soccorso a una fattispecie penale: ovvero il salvataggio come reato. Infine, un attacco politico fondato sulla rappresentazione di migranti e richiedenti asilo come nemici della stabilità e della sicurezza dell’Europa – e in particolare dell’Italia – e delle ong come loro complici e sicari.

      Oggi, a distanza di qualche anno da quando questa manovra politica è iniziata, sul piano giudiziario non c’è stato nemmeno un rinvio a giudizio per un solo membro di una sola ong e, all’opposto, si sono avute ordinanze e sentenze che riconoscevano la loro attività come fondamentale e pienamente rispettosa delle leggi e del diritto internazionale. Tuttavia, come si è detto, oggi nel Mar Mediterraneo i presidi umanitari sono ridotti al lumicino e le conseguenze materiali e il relativo carico di sofferenze è stato onerosissimo. Le navi delle Ong hanno dovuto percorrere molte miglia in più durante ciascuna missione e sono rimaste in mare per giorni senza l’indicazione di un porto di approdo sicuro – costringendo donne, uomini e bambini, già provati fisicamente e psicologicamente, ad affrontare lunghissime traversate, spesso in condizioni meteorologiche avverse. Non solo, quindi, le recenti politiche nazionali e internazionali hanno messo in pericolo la loro incolumità e quella degli equipaggi delle Ong, ma perfino la Guardia Costiera italiana, come è noto, ha dovuto attendere dieci giorni prima di poter sbarcare a Catania le persone salvate.

      Eppure la partita è tutt’altro che conclusa. I flussi di migranti e profughi continuano e le morti non si arrestano. E la riduzione delle cifre relative agli sbarchi corrisponde, in una certa misura, all’incremento del numero di quanti vengono rinchiusi nei centri di detenzione in Libia, e lì torturati, stuprati, uccisi. L’assenza di presidi umanitari nel Mediterraneo fa sì che sempre meno si sappia di quanto lì accade: ma se è vero, come è vero, che appena qualche giorno fa ben 184 persone sono sbarcate a Lampedusa, ciò significa che le fughe continuano ma che si sono fatte meno visibili e meno controllabili.

      Per tutte queste ragioni, ieri si è tenuta una conferenza stampa alla Camera dei Deputati dove Sandro Veronesi, i rappresentanti di Proactiva Open Arms, Sea Watch e Medici Senza Frontiere, Eleonora Forenza, Riccardo Magi e chi scrive, hanno ragionato intorno al tema «Mediterraneo. Mare loro». Si è ricordato che Proactiva Open Arms ha deciso di trasferire le sue missioni nel Mediterraneo Occidentale, in attesa di tornare il prima possibile a fare il suo lavoro: salvare vite umane. Altrettanto intendono fare Sea Watch e Medici Senza Frontiere, come hanno affermato Giorgia Linardi e Marco Bertotto, convinti che il diritto/dovere al soccorso costituisca una prerogativa fondamentale della civiltà umana.

      https://ilmanifesto.it/dopo-le-accuse-alle-ong-da-oggi-mediterraneo-senza-presidi-umanitari

      #ONG #Méditerranée #asile #migrations #Méditerranée_centrale #sauvetage #réfugiés

    • Le Panama retire son pavillon à l’“Aquarius 2”, le dernier bateau d’ONG en Méditerranée

      Les autorités panaméennes ont annoncé leur intention de retirer son pavillon au bateau Aquarius 2. SOS Méditerranée et Médecins sans frontières, qui affrètent le bateau, dénoncent des pressions du gouvernement italien.


      https://www.courrierinternational.com/article/le-panama-retire-son-pavillon-laquarius-2-le-dernier-bateau-d

    • L’Aquarius demande à accoster en France, Paris préfère une « solution européenne »

      Bientôt privé de pavillon, le navire humanitaire Aquarius était lundi « en route vers Marseille » après avoir demandé « à titre exceptionnel » à la France de pouvoir y débarquer les 58 migrants secourus à son bord. Mais Paris y semblait peu favorable, évoquant plutôt une « solution européenne ».

      « Aujourd’hui, nous faisons la demande solennelle et officielle aux autorités françaises » de donner, « de manière humanitaire, l’autorisation de débarquer » les rescapés, parmi lesquels 17 femmes et 18 mineurs, a indiqué le directeur des opérations de SOS Méditerranée, Frédéric Penard.

      Il est pour l’instant impossible de prévoir « quand le navire arrivera » sur les côtes françaises, a souligné M. Penard lors d’une conférence de presse à Paris, l’Aquarius étant « toujours susceptible d’être mobilisé » pour une opération de sauvetage.

      Mais il faudrait « environ quatre jours » au navire, qui se trouve actuellement au large de la Libye, pour gagner Marseille, a précisé Francis Vallat, le président de l’ONG en France.

      Depuis le début de la crise provoquée cet été par la fermeture des ports italiens aux migrants, la France n’a jamais accepté de laisser débarquer les navires humanitaires, arguant qu’en vertu du droit maritime les naufragés doivent être débarqués dans le « port sûr » le plus proche.

      « Nous avons alerté d’autres pays mais nous avons du mal à imaginer que la France puisse refuser, compte tenu de la situation humanitaire », a ajouté M. Vallat. Sans préjuger de la réponse, il a assuré qu’à aucun moment les autorités, qui ont été prévenues en amont, « ne nous ont dissuadés de monter vers Marseille ».

      Mais Paris semblait dans la soirée peu favorable à cette hypothèse. Contacté par l’AFP, Matignon a d’abord indiqué chercher « une solution européenne » selon le principe du « port sûr le plus proche ». « Et en l’occurrence ce n’est pas Marseille », a ensuite précisé le porte-parole du gouvernement, Benjamin Griveaux, sur Canal+.

      Pour SOS Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF), qui ont affrété le navire, la situation est également « extrêmement critique » parce que le navire risque de perdre le pavillon du Panama au moment de toucher terre, a fait valoir M. Penard. Regagner Marseille, port d’attache du navire et siège de SOS Méditerranée, est donc crucial pour « mener ce combat, qui va être difficile, pour repavilloner l’Aquarius ».

      – « Du jamais vu » -

      Les autorités maritimes panaméennes ont annoncé samedi qu’elles allaient retirer son pavillon à l’Aquarius, déjà privé en août de pavillon par Gibraltar, pour « non-respect » des « procédures juridiques internationales » concernant le sauvetage de migrants en mer Méditerranée.

      « Du jamais vu et en soi un scandale », selon M. Vallat, qui a demandé au Panama « de revenir sur sa décision » et sinon aux Etats européens de fournir un pavillon à l’Aquarius. « Nous ne voulons pas nous arrêter, nous ne cèderons qu’à la force ou à la contrainte », a-t-il lancé.

      Les deux ONG avaient précédemment dénoncé « la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien » sur les autorités panaméennes — allégation contestée par le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Aujourd’hui « l’Aquarius est le seul navire civil en Méditerranée centrale, qui est la route maritime la plus mortelle du monde », a fait valoir SOS Méditerranée, avec « plus de 1.250 noyés » depuis le début de l’année.

      Les autres navires humanitaires, qui étaient encore une dizaine il y a un peu plus d’un an au large de la Libye, ont quitté la zone pour des raisons diverses. Le Lifeline est bloqué à La Valette où les autorités ont ouvert une enquête administrative, tandis que le Iuventa, soupçonné de collusion avec des passeurs, a été saisi par les autorités italiennes en août 2017.

      « Non seulement les Européens ne mettent pas en place de mécanisme de sauvetage pérenne, mais ils essaient de détruire la capacité de la société civile à répondre à cette crise en Méditerranée », s’est indignée AssiBa Hadj-Sahraoui de MSF.

      Même si on est loin du pic des arrivées de 2015, la question migratoire divise encore profondément l’Europe, qui cherche à empêcher les départs clandestins.

      En juin, l’Aquarius avait déjà été au cœur d’une crise diplomatique, après avoir récupéré 630 migrants au large de la Libye, débarqués en Espagne après le refus de l’Italie et de Malte de les accepter. Le scénario s’était répété en août pour 141 migrants débarqués à Malte.

      https://www.liberation.fr/planete/2018/09/24/l-aquarius-demande-a-accoster-en-france-paris-prefere-une-solution-europe

    • La marine royale ouvre le feu sur un go-fast et fait 1 mort et 3 blessés

      Les personnes à bord étaient toutes marocaines, à l’exception du pilote, espagnol.

      Un bateau qui naviguait dans les eaux marocaines de la Méditerranée, a été, ce mardi 25 septembre, la cible de tirs d’une unité de la marine royale, annonce un communiqué de la préfecture de M’diq-Fnideq. L’embarcation avait refusé de se conformer aux avertissements qui lui avaient été adressés, poursuit le communiqué.

      Le bateau rapide de type “Go fast”, qui a été arrêté, était piloté par un citoyen espagnol et transportait des candidats à l’immigration clandestine, selon les données initiales rapportées par la préfecture. Les migrants à bord seraient quant à eux de nationalité marocaine, rapportent 2M.ma.

      La #fusillade a causé 4 blessés qui ont été transférés à l’hôpital régional de Fnideq pour recevoir les traitements nécessaires.

      Une première information rapportée par nos confrères de 2M, citant une source hospitalière dans un post sur Twitter, indiquait qu’une femme parmi les blessés avait succombé à ses blessures à l’hôpital. Ce post a été supprimé dans la soirée, avant de repartager l’info après 22h.

      https://www.huffpostmaghreb.com/entry/la-marine-royale-ouvre-le-feu-sur-un-go-fast-et-fait-un-mort-et-tro
      #Maroc

      Une des victimes:
      Una joven, víctima de los disparos de la Marina Real de Marruecos cuando huía a España


      https://elpais.com/politica/2018/09/26/actualidad/1537984724_391033.html?id_externo_rsoc=TW_CC

    • L’"Aquarius", un bateau pirate ? Quatre questions sur l’imbroglio juridique qui menace le navire humanitaire

      Le Panama a décidé de retirer le pavillon accordé cet été au bateau géré par l’ONG SOS Méditerranée, remettant en cause sa mission de sauvetage de migrants récupérés au large de la Libye.

      Les obstacles à la navigation de l’Aquarius s’accumulent. Le Panama a annoncé, samedi 22 septembre, qu’il allait retirer son pavillon au navire humanitaire, alors que celui-ci cherche un port pour débarquer 58 naufragés secourus au large de la Libye. L’Aquarius avait repris ses activités de sauvetage la semaine dernière après une escale forcée de 19 jours, faute de pavillon, et a annoncé qu’il faisait désormais route vers Marseille. Franceinfo fait le point sur cette décision et ses conséquences pour le navire humanitaire.

      Comment le Panama justifie-t-il cette décision ?

      Les autorités maritimes du Panama se sont fendues d’une explication de quelques lignes dans un communiqué diffusé sur leur site. « L’administration maritime panaméenne a entamé une procédure d’annulation officielle de l’immatriculation du navire Aquarius 2, ex-Aquarius (...) après la réception de rapports internationaux indiquant que le navire ne respecte pas les procédures juridiques internationales concernant les migrants et les réfugiés pris en charge sur les côtes de la mer Méditerranée », établit ce communiqué.

      Le Panama évoque également le fait que le navire s’est déjà vu retirer son pavillon par Gibraltar. En août, le gouvernement de Gibraltar avait révoqué le pavillon de l’Aquarius après lui avoir demandé de suspendre ses activités de sauvetage pour lesquelles il n’est pas enregistré dans le territoire britannique. Le bateau s’était alors tourné vers le Panama.

      L’"Aquarius" a-t-il enfreint le droit international ?

      A quelles « procédures juridiques internationales » le Panama fait-il référence ? L’Etat d’Amérique centrale indique que la principale plainte émane des autorités italiennes, selon lesquelles « le capitaine du navire a refusé de renvoyer des migrants et réfugiés pris en charge vers leur lieu d’origine ».

      Une référence, ici, au refus du navire de ramener en Libye des naufragés qui avaient pris la mer depuis les côtes libyennes, selon Alina Miron, professeure de droit international à l’université d’Angers et spécialisée dans le droit maritime, « puisque tous les naufragés secourus par l’Aquarius, depuis qu’il bat le pavillon panaméen, venaient de Libye », souligne-t-elle à franceinfo.

      Et « de ce point de vue-là, l’Aquarius ne contrevient nullement au droit international », explique Alina Miron. « L’Aquarius a surtout l’obligation de ne pas les ramener en Libye », fait-elle valoir. En effet, les conventions maritimes internationales prévoient que toute personne secourue en mer, quels que soient son statut et sa nationalité, soit débarquée dans un lieu sûr. Or, la Libye n’est pas considérée comme un lieu sûr de débarquement, comme l’a rappelé le Haut-Commissariat pour les réfugiés des Nations unies (HCR) en septembre.

      Quel est le rôle de l’Italie dans cette décision ?

      « Cette révocation résulte de la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien » sur le Panama, ont déclaré les ONG Médecins sans frontières et SOS Méditerrannée, qui gèrent l’Aquarius, dans un communiqué.

      « Le communiqué du Panama établit que les autorités ont pris cette décision suite à une communication avec l’Italie. Cela veut bien dire que le Panama n’a pas pris cette décision de son propre chef, d’autant plus qu’il avait pris le temps de vérifier la situation de l’Aquarius avant de lui accorder son pavillon cet été », souligne de son côté Alina Miron.

      Le communiqué du Panama précise par ailleurs que « l’exécution d’actes portant atteinte aux intérêts nationaux constitue une cause de radiation d’office de l’immatriculation des navires ».

      Cela illustre les pressions de l’Italie qui ont conduit le Panama à prendre cette décision.Alina Miron, spécialiste du droit maritimeà franceinfo

      Qu’est-ce que cela change pour l’"Aquarius" ?

      Le retrait du pavillon panaméen n’est pas effectif immédiatement. Les conventions internationales établissent qu’aucun changement de pavillon ne peut intervenir au cours d’un voyage ou d’une escale. L’Aquarius conserve donc son pavillon pendant toute la durée de son voyage, jusqu’à ce qu’il rejoigne son port d’attache au Panama ou qu’il fasse une longue escale technique.

      « Ça, c’est en théorie, détaille Alina Miron, mais le Panama a créé une situation de confusion et certaines marines nationales, notamment la marine libyenne, vont utiliser cette confusion pour considérer l’Aquarius comme un navire sans nationalité. » Or, les marines nationales peuvent exercer des pouvoirs de police sur des navires sans nationalité en haute mer, ce qui est impossible sur un navire qui bat pavillon, développe la juriste. « Le risque le plus immédiat, pour l’Aquarius, c’est que la marine libyenne monte à bord pour opérer des vérifications, même sans accord du capitaine », explique Alina Miron.

      Face à cette situation, SOS Mediterrannée et Médecins sans frontières « demandent aux gouvernements européens d’autoriser l’Aquarius à poursuivre sa mission, en intercédant auprès des autorités panaméennes et en réaffirmant que les menaces de rétorsion formulées à leur égard par les autorités italiennes sont infondées, ou en lui délivrant immédiatement un nouveau pavillon sous lequel naviguer ».

      https://mobile.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/aquarius/l-aquarius-un-bateau-pirate-quatre-questions-sur-l-imbroglio-juridique-qui-menace-le-navire-humanitaire_2954663.html#xtref=http://m.facebook.com

    • Aquarius, "Stati Ue concedano bandiera”. E spunta l’ipotesi Vaticano

      Dopo le pressioni Panama cancella Aquarius II dal suo registro. Penard (Sos Mediterranée): “Stati che dicono di aderire a solidarietà propongano soluzione”. Lodesani (Msf): “Stanchi di menzogne e attacchi, nostro obiettivo salvare vite, a bordo anche famiglie libiche che scappano da inferno”

      Un appello a tutti gli Stati europei, in particolare a quelli che “ripetono di aderire a valori di solidarietà” perché consentano l’iscrizione della bandiera della nave Aquarius II, in uno dei loro registri nazionali. “L’unico gesto concreto per rendere ancora possibile il salvataggio in mare di persone in difficoltà all’ultima nave di ong rimasta nel Mediterraneo”. Lo hanno ribadito in una conferenza stampa oggi a Roma Frederic Penard, direttore delle operazioni Sos Mediterranee e Claudia Lodesani, presidente di Medici senza frontiere.

      Il caso politico diplomatico è noto: dopo gli ultimi salvataggi in mare operati da Aquarius II, a largo della Libia, e il rifiuto di riconsegnare le persone alla cosiddetta guardia costiera libica, Panama ha comunicato di voler ritirare la sua bandiera alla nave, per evitare di avere “problemi politici” con l’Italia. Ma l’assenza di una bandiera vuol dire di fatto fermare la nave. “Per noi è stato uno shock - spiega Penard - In questo momento siamo l’ultima nave a fare ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Per l’iscrizione al registro di Panama abbiamo fornito oltre 70 certificazioni alle autorità, siamo perfettamente in regola e abbiamo sempre agito nella legalità - aggiunge il responsabile di Sos Mediterranèe -. Abbiamo chiesto spiegazioni, anche per capire il perché di questo passo indietro”. Le due ong spiegano che in una nota riservata dell’autorità marittima panamense inviata all’ armatore di Aquarius, si dice esplicitamente che la nave deve essere esclusa dal registro perché la sua permanenza provocherebbe un “problema politico” con l’Italia. L’armatore di Aquarius ha parlato esplicitamente di “pressioni politiche” sul governo panamense.

      “La nostra richiesta è che Panama torni indietro sulla sua decisione, riconsiderandola - aggiunge Penard -. Inoltre chiediamo agli Stati europei di proporre una soluzione per Aquarius, e alla società civile di fare pressione sui propri governi per sostenere il nostro lavoro, il soccorso in mare non può essere criminalizzato”. In queste ore alcuni parlamentari si sono mossi in Svizzera per chiedere che il governo elvetico conceda la propria bandiera.

      Un appello dal basso, che inizia a circolare anche sui social, chiama in causa anche il Vaticano: “Non so se sia possibile, ma se lo fosse, sarebbe bello che il Vaticano offrisse la propria bandiera alla nave Aquarius - sottolinea don Luca Favarin, parroco di Padova su Facebook-. Una chiesa in acqua non farà mai acqua. Così limpidamente e semplicemente schierata dalla parte degli ultimi, sbilanciata sui diritti dei poveri”. Penard ha spiegato di non aver contattato direttamente nessuno stato, e che l’appello vale per tutti quindi semmai fosse offerto il registro Vaticano sarebbe accettato con favore, anche se “probabilmente quel registro, che esiste, non viene usato da secoli”.

      Intanto, le due organizzazioni non nascondono il malumore per i continui attacchi politici, e mediatici, nei confronti del loro operato. "Siamo stanchi di menzogne, attacchi e intimidazioni, di essere additati come quelli che violano le norme internazionali. È il momento di accusare chi sono i veri responsabili del business degli scafisti: le scellerate politiche europee” sottolinea Claudia Lodesani. “Siamo stati chiamati noi vicescafisti - aggiunge - ma oggi gli Stati europei non prendono neanche in considerazione l’ipotesi di pensare a vie legali di ingresso. Sono queste politiche che aiutano gli scafisti, non certo noi. Il nostro obiettivo è la salvaguardia della vita umana e in nome di questo operiamo salvataggi in mare”. Lodesani ricorda che dall’inizio dell’anno, pur a fronte di una diminuzione di arrivi dell’80 per cento, ci sono già stati 1260 morti in mare. “Siamo passati da 1 morto ogni 32 a 1 morto ogni 18 - Ostacolare il soccorso e l’azione umanitaria vuol dire solo eliminare testimoni scomodi dal Mediterraneo. La vita delle persone non è più al centro delle politiche, ma ora le persone sono usate come ostaggio dalla politica - aggiunge - . Questa situazione è responsabilità è di tutti i paesi europei, anche perché parlando di poche persone. Inoltre, bisogna ricordare che il salvataggio in mare va distinto dall’accoglienza ed è governato da leggi internazionali. Va assicurato il porto più sicuro e più vicino di sbarco. Poi - continua - come sempre abbiamo fatto, chiediamo la solidarietà europea nell’accoglienza”.

      Tra le 58 persone tratte in salvo da Aquarius II nel Mediterraneo ci sono anche 37 libici: “ si tratta di famiglie che scappano dall’Inferno della Libia, un paese attualmente in guerra. E che quindi non può essere considerato un luogo sicuro, le persone non possono essere respinte in Libia. Ci chiediamo se riportarle in quell’inferno sia etico e se sia legale”. “Tra le altre persone a bordo - aggiunge Mathilde Auvillain, di Sos Mediterranée, ci sono 18 minori, 17 donne, di cui una incinta. Ci siamo rifiutati di fare il trasbordo di queste persone sulle motovedette libiche, perché riportarle indietro è illegale”. Lo sbarco, dopo il rifiuto dell’Italia dovrebbe avvenire nei prossimi giorni a Malta, ma non si sa ancora quando. I migranti saranno poi accolti in 4 paesi: Francia, Portogallo, Spagna e Germania.

      “Il soccorso in mare è regolato da principi fondamentali e regole precise - spiega Lorenzo Trucco, presidente di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) - In particolare, dalla Convenzione Soas sulla salvaguardia in mare, dalla Convenzione Sar e dalla Convenzione europea sul soccorso in mare. Tutte queste convenzioni sono state ratificate con leggi in Italia e tutte dicono che il principio primario è la salvaguardia della persona, che va salvata e portata in un luogo sicuro. Per questo la questione libica non è un’opinione, è certificato che non si tratti un luogo sicuro, quello che accade nei centri di detenzione è stato denunciato a settembre anche da Unhcr. Il respingimento di persone in Libia è grave - afferma - La questione del soccorso non è solo diritto ma un obbligo sanzionato da tutte le nazioni. E’ paradossale, quindi, quello che sta succedendo”.

      Duro il commento anche di Filippo Miraglia di Arci sulle pressioni dell’Italia verso il governo panamense: “Msf e Sos Medierranée in questo momento rappresentano tutti noi in mare, mi fa accapponare la pelle pensare che il governo italiano abbia intimidito in maniera mafiosa il governo panamense - afferma - E’ un gesta che fa venire i brividi, come fa venire i brividi il combinato disposto tra la chiusura dei porti e il decreto Salvini. C’è da vergognarsi”.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/598417/Aquarius-Stati-Ue-concedano-bandiera-E-spunta-l-ipotesi-Vaticano
      #Vatican

    • Appel à donner le pavillon suisse à l’Aquarius : interview de Guillaume Barazzone

      Le Conseil fédéral doit accorder un pavillon suisse à l’Aquarius, ont demandé mercredi trois parlementaires. Depuis trois jours, ce navire qui porte secours aux migrants en mer Méditerranée, n’a plus de drapeau. Interview de Guillaume Barazzone (PDC/GE), l’un des auteurs de cette interpellation.

      https://www.rts.ch/play/radio/forum/audio/appel-a-donner-le-pavillon-suisse-a-laquarius-interview-de-guillaume-barazzone?i

    • Vive émotion au Maroc après les tirs meurtriers de la marine sur un bateau de migrants

      La jeune femme tuée tentait d’atteindre l’Espagne. Un trajet de plus en plus emprunté, sur fond de tension migratoire accrue dans le royaume.

      L’émotion était vive au Maroc, mercredi 26 septembre, au lendemain de la mort d’une femme de 22 ans, originaire de la ville de Tétouan, tuée alors qu’elle tentait d’émigrer vers l’Espagne. Selon les autorités locales, la marine a été « contrainte » d’ouvrir le feu alors qu’un « go fast » (une puissante embarcation à moteur) piloté par un Espagnol « refusait d’obtempérer » dans les eaux marocaines au large de M’diq-Fnideq (nord). Outre la jeune Marocaine décédée, trois autres migrants ont été blessés, a confirmé une source officielle à l’AFP.

      Le drame s’est produit dans un contexte de tension migratoire au Maroc, confronté à une forte hausse des tentatives d’émigration depuis ses côtes et autour des enclaves espagnoles de Ceuta et Melilla. Rabat a ainsi indiqué avoir empêché 54 000 tentatives de passage vers l’Union européenne depuis janvier. De son côté, le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) chiffre le nombre d’arrivées en Espagne à quelque 40 000 personnes depuis le début de l’année (contre 28 000 en 2017 et 14 000 en 2016).

      Rafles et éloignements forcés

      La route migratoire Maroc-Espagne, qui était très utilisée il y a une dizaine d’années, a connu une nouvelle hausse d’activité depuis le renforcement des contrôles sur la Libye et les témoignages d’extrême violence contre les migrants par les réseaux de passeurs dans ce pays. Mais le Maroc voit également augmenter le nombre de ses nationaux candidats au départ, poussés par l’absence de perspectives dans un pays où 27,5 % des 15-24 ans sont hors du système scolaire et sans emploi. Selon le HCR, les Marocains représentaient 17,4 % des arrivées en Espagne en 2017, la première nationalité devant les Guinéens et les Algériens.

      Depuis 2015, le palais royal avait mis en avant une nouvelle politique migratoire avec deux campagnes de régularisation de 50 000 clandestins, principalement des Subsahariens. Mais ces derniers mois, le royaume a considérablement durci ses pratiques, multipliant les rafles et les éloignements forcés. Selon le Groupe antiraciste de défense et d’accompagnement des étrangers et migrants, une association marocaine, 6 500 personnes ont ainsi été arrêtées et déplacées du nord du pays vers des villes reculées du centre et du sud entre juillet et septembre.

      Le gouvernement a eu beau plaider que ces déplacements se font dans le « respect de la loi », les associations dénoncent des violences et l’absence de cadre légal concernant ces pratiques. Mi-août, deux migrants sont morts après avoir sauté du bus qui les éloignait de Tanger. Amnesty International a souligné une « répression choquante », « à la fois cruelle et illégale ». « Depuis fin juillet, la police marocaine ainsi que la gendarmerie royale et les forces auxiliaires procèdent à des raids majeurs dans les quartiers de plusieurs villes où vivent les réfugiés et les migrants, d’une intensité particulière dans les provinces du nord du pays de Tanger, Nador et Tétouan, qui bordent la frontière espagnole », écrit l’ONG. Les zones entourant les deux enclaves espagnoles en terre africaine, Ceuta et Melilla, sont traditionnellement le lieu de regroupement des migrants qui veulent tenter de rejoindre l’Europe.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/09/27/vive-emotion-au-maroc-apres-les-tirs-meurtriers-de-la-marine-sur-un-bateau-d

    • Migranti, la sfida delle associazioni italiane: una imbarcazione nel Mediterraneo per salvarli

      Ong e Onlus hanno organizzato un’imbarcazione battente la bandiera del nostro Paese per «un’azione di disobbedienza morale contro gli slogan delle destre nazionaliste e di obbedienza alle leggi del mare, del diritto internazionale e della Costituzione»

      A BORDO DELLA NAVE APPOGGIO BURLESQUE - Il rimorchiatore battente bandiera italiana “Mare Ionio” è partito nella notte di mercoledì dal porto di Augusta alla volta della costa Libica. Si tratta della prima missione in acque internazionali completamente organizzata in Italia ed è stata ribattezzata “Mediterranea”.
      Il progetto, promosso da varie associazioni (tra cui Arci nazionale, Ya Basta di Bologna, la Ong Sea-Watch, il magazine online I Diavoli e l’impresa sociale Moltivolti di Palermo) e sostenuto politicamente e finanziariamente da Nichi Vendola e tre parlamentari di Leu (Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto e Rossella Muroni). E’ stato avviato nello scorso luglio ed ha preso corpo nei mesi successivi. L’attività del “Mar Ionio” sarà ufficialmente circoscritta di “monitoraggio, testimonianza e denuncia”, spiegano gli organizzatori. Tuttavia tra le dotazioni a disposizione del “Mare Ionio” ci sono anche gli equipaggiamenti per il Sar, l’attività di search and rescue per la quale però non è abilitato.

      Nelle prossime ore l’imbarcazione, seguita dalla barca appoggio Burlesque (uno sloop Bavaria 50 battente bandiera spagnola con a bordo giornalisti nazionali e internazionali, attivisti e mediatori culturali), entrerà in azione nella stessa zona in cui da qualche giorno incrocia il veliero Astral dell’ong spagnola Open Arms, più volte definita dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, un “taxi del mare”.

      “Non potevamo più stare a guardare – dicono da bordo gli attivisti - bisognava agire e trovare il modo di contrastare il declino culturale e morale che abbiamo davanti. Quella di Mediterranea è un’azione di disobbedienza morale ed al contempo di obbedienza civile. Disobbediamo al prevalente del discorso pubblico delle destre nazionaliste obbedendo alle leggi del mare, del diritto internazionale e della nostra Costituzione che prevedono l’obbligatorietà del salvataggio di chi si trova in condizioni di pericolo”.


      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/04/news/migranti_una_nave_delle_ong_italiane_nel_mediterraneo_per_salvarli-208134

      –-> reçu par la mailing-list Migreurop, en commentaire de l’article italien:

      FR : Plusieurs ONG ont organisé un bateau battant le drapeau de l’Italie comme une « action de désobéissance morale contre les slogans des droites nationalistes et d’obéissance aux droits de la mer, au droit international et à la Constitution »
      Le remorqueur battant le drapeau italien « #Mare_Ionio » est parti dans la nuit de mercredi du port d’Auguste (Sicile) vers les côtes libyennes. C’est la première mission en eaux internationales entièrement organisée en Italie et a été nommée « #Mediterranea ».
      Le projet, à l’initiative de diverses associations (dont Arci, Ya Basta de Bologne, l’ONG Sea-Watch, la revue en ligne I Diavoli et Moltivolti de Palerme) est politiquement soutenue et financée par Nichi Velonda et trois autres parlementaires LeU (Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto e Rossella Muroni).
      Le projet a commencée en juillet dernier et a pris forme dans les mois suivants. L’activité de « Mare Ionio » sera officiellement circonscrite à celles de la « surveillance, le témoignage et la dénonciation », expliquent les organisateurs. Cependant, parmi les équipements et les dispositifs du « Mare Ionio », on retrouve des équipements Sar, l’activité de Search and Rescue pour laquelle il ne dispose pas d’habilitation.
      Dans les prochaines heures, l’embarcation, suivie par le bateau Burlesque (un voilier Bavaria 50 battant le drapeau espagnol, avec à bord des journalistes nationaux et internationaux, des activistes et des médiateurs culturels), entrera en action dans la même zone que le voilier Astral de l’ONG espagnole Open Arms, défini à plusieurs reprises comme un « taxi de la mer » par le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini.

    • New Italian-flagged migrant rescue ship heads into Mediterranean

      A new Italian-flagged migrant rescue ship was headed for the waters off Libya on Thursday, one of the aid groups running the boat said, after similar vessels were prevented from operating.

      “The #MareJonio is on its way!” Sea-Watch tweeted. “In cooperation with #Mediterranea we are back at sea, to keep a sharp lookout and to challenge the European policy of letting people drown.”

      The announcement came on the same day that the Aquarius rescue ship sailed into Marseille harbour and an uncertain fate after Panama pulled its flag, meaning it cannot leave port without a new flag.

      The Mare Jonio is a tug flying the Italian flag that left Augusta in Sicily on Wednesday evening, headed south, maritime tracking websites said. The 37-metre vessel – around half the length of the Aquarius – is not intended to rescue migrants and bring them to a safe port, but to spot and secure migrant-carrying boats that are in distress.

      It will also provide a civilian presence in an area where they say the Libyan coastguard and international military vessels are failing to rescue people, despite several shipwrecks in September. Spanish NGO Proactiva Open Arms sent the Astral sailboat to the area on a similar mission a few days ago.

      The Astral was off the coast of Lampedusa on Wednesday to commemorate the fifth anniversary of a shipwreck there in which 366 migrants died in 2013. The disaster pushed Italy to launch its Mare Nostrum military operation to rescue migrants making the perilous journey from North Africa to Europe.

      Since then European Union and NGO boats have joined in, although most of the aid group boats have now stopped work, some because of what they say are trumped-up administrative charges.

      The International Organisation for Migration says that around 15,000 migrants have drowned in the central Mediterranean since the Lampedusa disaster. During the same period Italy has received around 600,000 migrants on its coast, while other European nations have closed their borders.

      Italy’s former centre-left government tried to stem the flow of migrants by working with the Libyan authorities and limiting the NGO effort. Anti-immigrant Deputy Prime Minister Matteo Salvini, who came to power as part of a populist government in June, has since then closed Italian ports to civilian and military boats that have rescued migrants, saying Italy bears an unfair share of the migrant burden.


      https://www.thelocal.it/20181004/new-italian-flagged-migrant-rescue-ship-heads-into-mediterranean
      #Mare_Jonio

    • Tweet de Matteo Villa:

      Tutto sbagliato nella missione di #Mediterranea. Un disastro pronto per succedere, sotto tutti i punti di vista: tecnico, logistico, politico. Non è così che si fa salvataggio in mare. E non è così che si fa azione politica.
      Il problema è molteplice. Non si va in mare: (a) con gente impreparata; (b) con navi scassate e che contengono a malapena l’equipaggio; (c) con intenti solo politici, senza possibilità di salvare vite; (d) con lo scopo di forzare, portando violenza dove dovrebbe esserci soccorso.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1047886597071548416

    • Italian-flagged migrant rescue boat defies anti immigration minister

      Vessel Mare Jonio sets out towards Libya despite Matteo Salvini clampdown on rescued migrants entering Italian ports

      The first non-military, Italian-flagged, rescue boat to operate in the Mediterranean since the migration crisis began has left for waters off Libya, in a direct challenge to Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini.

      NGO rescue boats have all but disappeared from the main migration routes since Salvini announced soon after taking office this summer that he was closing Italian ports to non-Italian rescue vessels.

      The Italian flag on the 38-metre Mare Jonio will make it harder for Salvini to prevent it from docking, though he could still move to prevent people from disembarking. The boat has been bought and equipped by a coalition of leftwing politicians, anti-racist associations, intellectuals and figures in the arts, under the supervision of two NGOs. Its mission has been called Mediterranea.
      “We want to affirm a principle of humanity that rightwing policies seem to have forgotten,” Erasmo Palazzotto from the leftwing LeU (Free and Equal) party said.

      Anti-immigration policies by the Maltese and Italian governments, which have closed their ports to rescue vessels, have driven a sharp decrease in rescue missions. People seeking asylum are still attempting the risky crossing. But without the rescue boats, shipwrecks are likely to rise dramatically.
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      In August, Salvini refused a landing to 177 people saved in the central Mediterranean by an Italian coastguard ship. The vessel was authorised to dock at the port of Catania but the people on board were forced to remain on board for almost a week.

      ‘‘Should we expect Salvini to close the ports to us too? We are an Italian boat, flying the Italian flag. They will have to answer to this,” Palazzotto said. “If they then attempt to refuse to let the migrants disembark we will not remain silent and will give voice to them from the ship.”

      The ship has received support from the Spanish NGO Pro-Activa and the aid group Seawatch, as well as the writer Elena Stancanelli and the film director Paolo Virzì.

      “This is a moral disobedience mission but also a civil obedience one,” the Mediterranea mission’s press office said in a statement. “We will disobey nationalism and xenophobia. Instead we will obey our constitution, international law and the law of the sea, which includes saving lives.”

      The death toll in the central Mediterranean has fallen in the past year, but the number of those drowning as a proportion of arrivals in Italy has risen sharply in the past few months, with the possibility of dying during the crossing now three times higher. So far in 2018, 21,041 people have made the crossing and 1,260 have died.

      https://www.theguardian.com/world/2018/oct/04/italian-flagged-migrant-rescue-boat-mare-jonio-sets-sail-in-challenge-t

    • Giovedì 4 ottobre – ore 16.25 – Salvini: “Nave Mediterranea? In Italia non ci arrivate”. “Ho saputo che c’è una nave dei centri sociali che vaga per il Mediterraneo per una missione umanitaria e proverà a sbarcare migranti in Italia. Fate quello che volete, prendete il pedalò. Andate in Tunisia, Libia o Egitto, ma in Italia nisba”. Lo ha detto il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini in una diretta Facebook con riferimento alla nave italiana Mediterranea, salpata oggi per svolgere un’attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della situazione nel Mediterraneo.

      “Potete raccogliere chi volete però in Italia non ci arrivate”, ha aggiunto Salvini.

      https://www.tpi.it/2018/10/05/governo-ultime-news

    • *Perché la missione umanitaria «Mediterranea» rischia di diventare un boomerang*

      Mezzi inadeguati, personale non preparato, ricerca dello scontro diplomatico. «Politicizzare i salvataggi in mare rischia di non portare benefici», dice Matteo Villa dell’Ispi.

      Una piccola missione umanitaria nel Canale di Sicilia rischia di compromettere le operazioni di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, già rese complesse dalla politica dei respingimenti adottata dal governo italiano. Nella notte tra mercoledì e giovedì il piccolo rimorchiatore Mare Jonio è salpato dal porto di Augusta per dirigersi verso le acque sar (search and rescue) della Libia, nell’ambito dell’operazione denominata “Mediterranea”. La missione è stata preparata in gran segreto durante gli ultimi mesi e coinvolge ong (Sea Watch), associazioni (Ya Basta Bologna e Arci), e politici (Fratoianni, Palazzotto, Vendola e Muroni) che hanno raccolto i finanziamenti necessari. L’obiettivo – spiega il sito di “Mediterranea” – è quello di svolgere l’“essenziale funzione di testimonianza, documentazione e denuncia di ciò che accade in quelle acque, e che oggi nessuno è più messo nelle condizioni di svolgere”. Quasi un assist per il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che l’ha subito definita una «nave di scalcagnati dei centri sociali che va a prendere tre merluzzetti». «E’ una sentinella civica, benvenga», ha commentato invece l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, ribadendo la scarsa condivisione di vedute con la Lega in tema di immigrazione.

      Mare Jonio è un’imbarcazione datata – varata nel 1972 – e rimessa a nuovo per l’occasione, ma soprattutto piccola, con appena 35 metri di lunghezza e 9 di larghezza. E’ coadiuvata dal veliero Astral dell’ong Proactiva Open Arms, l’unica nave umanitaria ancora attiva nel Mediterraneo centrale (anch’essa con soli compiti di osservazione) e da una goletta con a bordo giornalisti e mediatori culturali. Degli 11 membri dell’equipaggio a bordo del Mare Jonio, fatta eccezione per due operatori dell’ong Sea Watch, nessuno ha esperienze di operazioni sar in mare. La nave è dotata di un solo Rhib (la sigla sta per Rigid Inflatable boats), uno dei piccoli motoscafi adatti a svolgere salvataggi, anche in condizioni difficili. Un container è stato invece adattato a ospedale di bordo, pronto a prestare soccorso in caso di emergenza.

      Nonostante la missione voglia essere una risposta delle ong alla campagna anti-migranti voluta dal governo gialloverde, le criticità sono diverse. “L’idea di fondo, quella di aumentare l’attenzione generale nel Mediterraneo, è giusta. Ma politicizzare i salvataggi in mare rischia di non portare benefici, soprattutto nel lungo periodo”, spiega al Foglio Matteo Villa dell’Ispi. Secondo il ricercatore, che da anni studia i flussi migratori attraverso il Mediterraneo, gli strumenti a disposizione di “Mediterranea” sono inadeguati rispetto all’obiettivo della missione: “Pensare di pattugliare una zona tanto vasta con una sola imbarcazione non ha senso, oltre a comportare un esborso eccessivo tra carburante e strumentazione. Se davvero l’attività principale è quella di monitorare, è molto più efficace usare gli aerei, come succede già con i ’Piloti volontari’, attivi con ottimi risultati da maggio”.

      Ma l’aspetto ancora più preoccupante riguarda i rischi cui saranno sottoposti sia i migranti sia l’equipaggio di “Mediterranea”. Dice Villa: “Le perplessità sono tante e sono condivise anche da molti altri operatori umanitari che con professionalità compiono attività sar. Sotto diversi punti di vista, sia logistici sia politici, la missione è pronta a trasformarsi in un disastro a causa della notevole approssimazione con cui è organizzata, dice il ricercatore dell’Ispi. Nella migliore delle ipotesi l’operazione potrebbe risolversi in una magra figura, come già successo un anno fa con ’Defend Europe’, la nave anti-ong partita per ostacolare le missioni umanitarie e poi finita in avaria”. Ma potrebbero crearsi anche circostanze più complesse. “In caso di identificazione di un barcone in emergenza non è chiaro come si comporterà Mare Jonio. Sulla base di quanto avviene già adesso, è probabile che contatterà il comando Mrcc di Roma che coordina le operazioni di salvataggio e che, a sua volta, contatterà le autorità libiche. Nel caso di intervento delle motovedette di Tripoli potrebbe succedere di tutto: il rimorchiatore come intende agire? Interverrà? Segnalerà l’emergenza e basta?”, si chiede Villa. Per non parlare delle difficoltà logistiche: “In quei momenti concitati i migranti, soprattutto alla vista delle motovedette libiche, sono presi dal panico, molti si gettano in acqua per paura di essere riportati indietro. A bordo del rimorchiatore pare possano essere raccolte poche persone, e certo non per lunghi periodi di tempo”. Andare a cercare lo scontro aperto o l’incidente diplomatico per riaccendere l’attenzione dei governi sui salvataggi in mare può trasformarsi in un boomerang per le ong. La mobilitazione è figlia senza dubbio della politica migratoria più stringente adottata dal governo italiano. “Ma affidare a gruppi antagonisti le operazioni di salvataggio, senza una preparazione e una visione di lungo periodo – conclude Villa – rischia di essere controproducente per chi ritiene i salvataggi in mare una questione molto seria”.

      https://www.ilfoglio.it/cronache/2018/10/05/news/perche-la-missione-umanitaria-mediterranea-rischia-di-diventare-un-boomeran

    • « On doit veiller à ce que ces gens ne se noient pas »

      L’Aquarius vient de perdre pour la deuxième fois son pavillon. Le navire de sauvetage fait route vers Malte avec 58 migrants à son bord. Sans pavillon, il devrait interrompre sa mission. Des parlementaires demandent qu’on lui donne le pavillon suisse.

      Avec les organisations d’entraide Médecins sans frontières (MSFLien externe) et SOS MéditerranéeLien externe, l’Aquarius sauve des migrants en détresse. Il est le dernier navire de sauvetage non gouvernemental en Méditerranée centrale. Depuis que l’Italie a fermé ses ports aux bateaux humanitaires, toutes les ONG se sont retirées du secteur.

      Le week-end dernier, le Panama a annoncé qu’il retirerait son pavillon à l’Aquarius, car celui-ci n’aurait pas respecté le droit international de la mer. En août, Gibraltar avait déjà biffé le navire de son registre maritime. Sans pavillon, l’Aquarius ne peut plus remplir ses missions de sauvetage.

      Cette semaine, trois parlementaires suisses ont demandé, par voie d’interpellation, un geste humanitaire de la Suisse, afin qu’elle accorde son pavillon à l’Aquarius. L’un d’eux est #Kurt_Fluri, conseiller national du Parti libéral-radical et maire de la ville de Soleure. Interview.

      swissinfo.ch : Vous avez la réputation d’être un politicien réaliste. Cette idée humanitaire a-t-elle des chances de passer ?

      Kurt Fluri : Ce qui nous émeut, ce sont les tragédies qui se jouent en Méditerranée. Et c’est peut-être une solution possible pour atténuer le problème. Je ne sais pas si c’est une illusion. C’est pourquoi nous posons la question au gouvernement.
      La Suisse n’a qu’une petite flotte marchande de 30 navires. Pourquoi devrait-elle précisément accorder son pavillon à un bateau de sauvetage ?

      Nous sommes tous d’accord qu’il s’agit d’une situation tout à fait exceptionnelle. Pour moi, cela ne change rien au fait que l’on devrait faire en sorte que ces gens n’essaient même pas de traverser la Méditerranée. Mais s’ils le font quand même, on doit veiller à ce qu’ils ne se noient pas et à ce qu’ils soient admis en Europe.
      Selon la loi, le pavillon suisse est réservé aux navires de commerce. S’il faut modifier la loi pour répondre à votre demande, cela va prendre beaucoup de temps pour que l’Aquarius puisse hisser le pavillon suisse. Or, il a besoin d’une solution rapide…

      Le sens de notre interpellation, c’est de clarifier à quelles conditions il serait possible d’arriver à quelque chose. Ce que nous allons faire concrètement dépendra de la réponse du gouvernement.
      Si l’Aquarius battait pavillon suisse, est-ce qu’il n’en résulterait pas automatiquement l’exigence que les migrants qu’il sauve soient conduits en Suisse ?

      Ici comme ailleurs, c’est le système de Dublin qui s’applique. Il définit quel pays est en charge de l’examen de la demande d’asile. Les requérants doivent demander l’asile dans le premier pays de l’UE ou pays signataire de l’accord, comme la Suisse, où ils arrivent. La répartition se fait ensuite.

      Toutefois, l’UE est invitée à décider d’une répartition plus équitable, afin de soulager le plus vite possible les pays méditerranéens, l’Italie, la Grèce et l’Espagne, des réfugiés qui arrivent chez eux.
      Avez-vous pleine confiance en les responsables de ce navire de sauvetage, auquel vous voulez accorder le pavillon suisse ?

      Oui, je fais confiance à ces responsables.
      Le Panama leur a pourtant retiré son pavillon au prétexte qu’ils auraient violé le droit maritime international…

      D’après moi, c’était pour se protéger. Le Panama veut se débarrasser de ce devoir, qui est apparemment devenu un fardeau pour lui.
      MSF et SOS Méditerranée disent que le Panama a retiré son pavillon sur pression de l’Italie. Ça vous paraît possible ?

      Il y a certainement eu des tentatives de pression.
      Cette pression ne pourrait-t-elle pas s’exercer sur la Suisse, si elle intervient ?

      C’est possible. Nous soutenons l’appel lancé à l’UE pour qu’elle décide d’une répartition plus équitable des réfugiés. L’Italie serait alors également satisfaite. Malheureusement, l’UE n’y arrive pas.

      https://www.swissinfo.ch/fre/pavillon-suisse-pour-l-aquarius-_-on-doit-veiller-%C3%A0-ce-que-ces-gens-ne-se-noient-pas-/44434264

    • Nous avons un navire !

      Dans un texte confié à Mediapart, le sociologue et activiste italien #Sandro_Mezzadra revient sur la mise à l’eau du « Mare-Ionio », ce navire battant pavillon italien, affrété jeudi par des activistes de la gauche italienne pour secourir des migrants en Méditerranée, en opposition aux politiques de l’extrême droite au pouvoir à Rome.

      Les noms des victimes résonnent les uns après les autres, des noms sans corps qui racontent une multitude de vies et d’histoires, brisées sur les frontières de l’Europe : le court-métrage de Dagmawi Yimer s’intitule Asmat-Nomi, une des œuvres les plus puissantes et évocatrices sur le naufrage du 3 octobre 2013 [visible ici : https://vimeo.com/114343040]

      . Au fond, l’anonymat est une des caractéristiques qui définissent les femmes, les hommes et les enfants en transit dans la mer Méditerranée — comme dans de nombreux autres espaces frontaliers. Réhabiliter la singularité irréductible d’une existence est le geste extrême de résistance que nous propose Asmat-Noms.

      Cinq ans après ce naufrage, alors que l’on continue de mourir en Méditerranée, nous avons mis un navire à la mer, le Mare-Ionio. Nous l’avons fait après un été marqué par un gouvernement italien qui a déclaré la guerre contre les migrations et contre les organisations non gouvernementales, en fermant les ports et en séquestrant sur un navire de la Garde côtière des dizaines de réfugié.e.s et de migrant.e.s. La criminalisation des opérations « humanitaires » a vidé la Méditerranée des présences gênantes, a repoussé les témoins et a réaffirmé l’anonymat de femmes et d’hommes en transit : à l’abri des regards indiscrets, la Garde côtière libyenne a pu renvoyer aux centres de détention, c’est-à-dire à la torture, à la violence et à l’esclavage, des centaines de personnes, tandis que d’autres ont fait naufrage. Et certains se réjouissent de cela, en criant victoire...

      Cela n’a pas été facile de réaliser la mise à l’eau du Mare-Ionio. La plateforme qui s’est appelée très simplement Operazione Mediterranea n’est pas une ONG : celles et ceux qui ont travaillé à la recherche et à la préparation de l’embarcation ces dernières semaines n’avaient aucune expérience de ce monde associatif. Mais sur les docks de nombreux ports, nous avons rencontré des gens qui nous ont aidé.e.s sur la base de rapports professionnels, mais aussi guidé.e.s par une solidarité instinctive et par l’élan de refus de plus en plus partagé par les gens de la mer, une réponse au mépris de la vie et du droit international — en particulier après l’affaire du navire Diciotti.

      L’expérience et la collaboration de diverses ONG actives ces dernières années dans la Méditerranée ont joué un rôle décisif dans la réalisation de notre projet. L’une d’entre elles (Sea-Watch) fait partie de la plateforme, tandis qu’Open Arms coordonnera ses activités avec les nôtres. D’autre part, l’opération que nous avons lancé affronte ouvertement la criminalisation actuelle des interventions « humanitaires ». Ils sont loin les jours où la « raison humanitaire » pouvait être analysée comme un élément appartenant à un système de gouvernance (des migrations, notamment) bien plus large. Le défi ne peut être que radicalement politique. Il s’agit d’investir en particulier cela : l’affirmation pratique du droit d’un ensemble de sujets non étatiques à intervenir politiquement dans une zone où les « autorités compétentes » violent de manière flagrante le devoir de préserver la vie des gens en transit.

      C’est autour de ce point que la plateforme Operazione Mediterranea : une plateforme ouverte à l’adhésion et à la participation de celles et ceux qui voudront nous soutenir dans les semaines à venir (notamment via un crowdfunding, ce qui est vraiment essentiel pour assurer la réalisation d’un projet ambitieux et prenant). Cet aspect est évidemment fondamental. Mais l’objectif est plus général : il s’agit d’ouvrir, à travers une pratique, un espace de débat, d’action et de conflit à propos des migrations en Italie et en Europe.

      Nous voudrions que notre navire fende la mer, comme la terre des mobilisations qui, sur la question migratoire, se sont déployées ces derniers mois, de Vintimille aux Pouilles, de Catane à Milan ; nous voudrions que le Mare-Ionio devienne une sorte de forum, que des milliers de femmes et d’hommes se l’approprient, qu’il soit présent sur les places et dans les rues, que de lui se propagent des récits d’une migration radicalement différente de celle incarnée par les menaces et les décrets de Salvini : nous voudrions que le navire soit un instrument pour proposer une Italie et une Europe autres.

      Nous ne sous-évaluons pas la difficulté de cette période. Nous savons que nous agissons en tant que minorité, que nous devons affronter une hégémonie qui nous est hostile concernant la migration ; nous savons que ces derniers mois l’équation entre le migrant et l’ennemi (à laquelle même des forces politiques qui ne se définissent pas de droite ont donné une contribution essentielle) a été exacerbée, autorisant et promouvant la diffusion en Italie d’un racisme de plus en plus agressif. Mais nous savons aussi que cette hégémonie peut et doit être renversée, en assumant les risques et le hasard qui sont inévitables. L’opération qui a commencé ce 3 octobre, date chargée d’une valeur symbolique, est une contribution qui va dans ce sens.

      Un navire, comme le disait C.L.R. James dans son grand livre sur Melville (écrit en 1952 dans une cellule d’Ellis Island, en attendant son expulsion des États-Unis pour « activité anti-américaine »), n’est au fond qu’un ensemble divers et varié des travaux et des activités à bord, qui littéralement le constituent. Voilà, notre navire ne serait rien sans la passion et l’engagement de centaines de femmes et d’hommes qui ont travaillé et qui travaillent pour le faire naviguer, mais aussi pour construire et démultiplier de nouvelles passerelles entre mer et terre. Un navire, comme le rajoutait James, « est une miniature du monde dans lequel nous vivons ». Dans notre cas, c’est une miniature du monde que nous nous engageons à construire. Et nous sommes certain.e.s que nous serons bientôt des milliers à partager cet engagement.

      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/061018/nous-avons-un-navire

    • L’Aquarius, sous pavillon suisse ? Carlo Sommaruga face à Hugues Hiltpod

      Trois parlementaires suisses - Ada Marra (PS/VD) Guillaume Barrazone (PDC/GE) et Kurt Fluri (PLR/SO) - ont déposé à Berne une interpellation pour que notre pays octroie le pavillon national à l’Aquarius. Le navire affrété par SOS Méditerranée, qui est en mer depuis 2016, a recueilli quelque 30 000 personnes en danger de mort. Sur change.org, près de 20 000 personnes ont signé une pétition dans ce sens. Carlo Sommaruga, conseiller national socialiste et Hugues Hiltpold, conseiller national PLR exposent leurs point de vue.

      Pour un pavillon suisse humanitaire

      Carlo Sommaruga, conseiller national socialiste

      La Suisse doit accorder le pavillon à l’Aquarius, le bateau humanitaire affrété par SOS Méditerranée, pour secourir les migrants en perdition en pleine mer. C’est une nécessité humanitaire destinée à sauver des milliers de vies. Un geste qui s’inscrit dans la tradition humanitaire de la Suisse. En cohérence tant avec la générosité de la population suisse pour les populations en difficulté qu’avec la position défendue jusqu’à aujourd’hui par notre pays sur la scène politique et diplomatique internationale. Le dernier rapport de l’Organisation internationale des migrations montre que les traversées de la Méditerranée par des hommes et des femmes de tout âge, accompagnés de leurs enfants, voire de nouveau-nés, ont commencé dès les années 70.

      La cause en est la fermeture progressive de la migration légale par les pays européens, qui ont rejeté les migrants sur les routes clandestines et dangereuses, notamment la Méditerranée. Or, ceux qui depuis des décennies empruntent ces routes ne le font pas par plaisir ou par goût de l’aventure. Comme les Suisses du XIXe siècle dont plus de 500 000 rejoignirent les USA ou les 29 millions d’Italiens qui quittèrent leur pays de 1860 à nos jours, les migrants d’aujourd’hui se mettent en marche pour les mêmes raisons. La croissance démographique et le manque d’opportunités de travail dans les campagnes et dans les villes.

      Aujourd’hui s’ajoutent les affres des dictatures, comme en Érythrée, des conflits civils, comme en Libye, et des guerres internationales, comme en Syrie. En 2013, suite au naufrage de 366 migrants au large des côtes italiennes, le premier ministre Enrico Letta lançait l’opération Mare Nostrum. La marine italienne sauvait plus de 150 000 êtres humains de la noyade en Méditerranée. L’opération fut close en raison de la lâcheté des pays européens qui refusaient de venir en appui à l’Italie. L’Union européenne remplaça le dispositif de sauvetage par un dispositif de défense des frontières géré par Frontex. Depuis lors, ce sont les organisations humanitaires et leurs bateaux qui assument l’immense et courageuse tâche de sauver les naufragés en Méditerranée.

      Les bateaux se nomment Sea-eye, Lifeline, Aquarius et, depuis peu, le Mare Jonio. Au cours des deux dernières années SOS Méditerranée, organisation créée et soutenue par des citoyens européens, par son navire l’Aquarius, a sauvé 29 600 personnes, soit l’équivalent de la population de Lancy. L’Aquarius comme les autres bateaux humanitaires doivent poursuivre leur mission aussi longtemps que les États se défaussent de leurs responsabilités.

      Il est inacceptable que l’Aquarius reste à quai sans pavillon alors que des personnes meurent en pleine Méditerranée. La Suisse neutre doit rester fidèle à ses engagements humanitaires, qu’elle a poursuivi en soutenant le CICR, le HCR et bien d’autres organisations. Elle doit accorder le pavillon. La loi le permet et cela ne coûte rien. Il faut saluer l’intervention de parlementaires du PLR, PDC, Verts et PS dans ce sens, tout comme la lettre adressée ce jour par des personnalités au Conseil fédéral. Refuser le pavillon à l’Aquarius, c’est un choix politique. Celui de mépris de la vie et du rejet de la solidarité humaine. Il faut tous espérer que Conseil fédéral ne s’inscrive pas dans cette logique.

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      Aquarius : le respect de la loi avant tout !

      Hugues Hiltpold, conseiller national PLR

      La crise des migrants en Méditerranée est terrible, personne ne peut le contester. Bon nombre de personnes sont attirées par l’Europe et se livrent à la merci de passeurs peu scrupuleux, avec à la clé de nombreux et épouvantables drames humains. Durant deux ans, le navire humanitaire Aquarius, ancien navire des gardes-côtes allemands battant pavillon panaméen, a secouru près de 30 000 personnes en détresse. Avec un certain succès il faut le reconnaître. Puis, sous pression internationale, il a cessé de battre pavillon panaméen, errant en mer quelque temps à la recherche d’un port d’accueil voulant bien l’accueillir.

      Ayant mouillé l’ancre aujourd’hui à Marseille, il attend de pouvoir naviguer à nouveau, mais a besoin pour ce faire qu’un pays accepte qu’il puisse battre son pavillon. Certains élus fédéraux estiment que ce navire humanitaire devrait battre pavillon suisse. Or, la loi suisse ne le permet tout simplement pas. L’article 3 de la loi fédérale sur la navigation maritime sous pavillon suisse stipule qu’un pavillon suisse ne peut être arboré que par des navires suisses. L’article 35 de cette même loi précise, s’agissant de la navigation non professionnelle, que des exceptions peuvent être autorisées par le Département fédéral des affaires étrangères pour inscrire, dans le registre des navires suisses, un bâtiment exploité par une société suisse ou ayant son siège en Suisse, à des fins notamment humanitaires.

      Cette dérogation doit faire l’objet d’une enquête minutieuse permettant de fixer les conditions de la dérogation, notamment eu égard aux intérêts pour la Suisse de justifier cette dérogation. Il convient de noter qu’une telle dérogation est exceptionnelle. On constate que la situation actuelle du navire humanitaire Aquarius n’est pas conforme à la loi.

      Il n’est pas contesté que l’association SOS Méditerranée, qui exploite l’Aquarius, n’est pas suisse, n’a pas son siège en Suisse et n’a aucune relation particulière avec notre pays.

      Dès lors, permettre à l’Aquarius de battre pavillon suisse reviendrait purement et simplement à bafouer la loi ! Ce faisant, nous violerions de surcroît les accords de Schengen et Dublin qui nous lient avec l’Union européenne, au respect desquels ceux qui voudraient accorder le pavillon Suisse à l’Aquarius sont notoirement attachés. Aussi terrible que soit cette catastrophe humanitaire, elle ne doit pas conduire notre pays à bafouer notre État de droit et le droit international. Il en va de notre crédibilité et du respect de nos institutions.

      https://www.tdg.ch/blog-wch/standard/aquarius-pavillon-suisse-carlo-sommaruga-face-hugues-hiltpod/story/31191020

    • Migrants : le hold-up de la Libye sur les sauvetages en mer

      Cet été, en Méditerranée, la Libye a créé en toute discrétion sa propre « zone de recherche et de secours », où ses garde-côtes sont devenus responsables de la coordination de tous les sauvetages, au grand dam de l’Aquarius et des ONG. Enquête sur une décision soutenue par l’Union européenne qui jette toujours plus de confusion en mer.

      Vu de loin, c’est un « détail ». Un simple ajout sur une carte maritime. Cet été, la Libye a tracé une ligne en travers de la Méditerranée, à 200 kilomètres environ au nord de Tripoli. En dessous, désormais, c’est sa zone SAR (dans le jargon), sa « zone de recherche et de secours ». Traduction ? À l’intérieur de ce gigantesque secteur, les garde-côtes libyens sont devenus responsables de l’organisation et de la coordination des secours – en lieu et place des Italiens.

      Pour les navires humanitaires, la création de cette « SAR » libyenne, opérée en toute discrétion, est tout sauf un « détail ». Il n’est pas un sauveteur de l’Aquarius, pas un soutier du Mare Jonio ni de l’Astral (partis relayer sur place le bateau de SOS Méditerranée) qui ne l’ait découvert avec stupeur. Car non seulement les garde-côtes libyens jettent leurs « rescapés » en détention dès qu’ils touchent la terre ferme, mais certaines de leurs unités sont soupçonnées de complicité avec des trafiquants et leurs violences sont régulièrement dénoncées.

      Pour les migrants qui s’élancent en rafiot de Sabratha ou Zaouïa, ce « détail » est surtout une trahison supplémentaire : l’Union européenne a budgété plus de 8 millions d’euros en 2017 pour aider Tripoli à créer cette zone « SAR » bien à elle. Alors que les vingt-huit ministres de l’intérieur doivent discuter vendredi 12 octobre du renforcement des frontières de l’UE, Mediapart a enquêté sur ces trois petites lettres qui mettent les humanitaires en colère et jettent la confusion en mer.

      Pour comprendre, il faut d’abord savoir que la Libye, comme n’importe quel État côtier, est souveraine dans ses « eaux territoriales ». Sur cette bande de 19 kilomètres, les garde-côtes de Tripoli ont toujours joué à domicile et jamais l’Aquarius n’y aventurerait sa quille. Mais au-delà, la Méditerranée se complique, elle se découpe en zones SAR : celle de l’Italie ici, celle de la Grèce là-bas, celles de Malte ou encore de l’Égypte, toutes déclarées auprès de l’Organisation maritime internationale (OMI), chacune associée à un « centre de coordination des secours » national (ou MRCC), qui reçoit l’ensemble des signaux de détresse émis dans sa zone, de même que les appels des navires humanitaires qui repèrent des migrants aux jumelles.

      Selon les conventions internationales, chaque MRCC, celui de Rome par exemple, a ensuite la responsabilité d’organiser les secours dans son secteur, de solliciter les navires les mieux placés (tankers et militaires compris), de dépêcher ses propres garde-côtes si nécessaire.

      Jusqu’ici, au large de ses eaux territoriales, la Libye n’avait pas déclaré de zone SAR, faute d’une flotte suffisante et surtout d’un « centre de coordination » en état de marche, capable de communiquer avec la haute mer par exemple. Pour éviter un « triangle des Bermudes » des secours, les Italiens s’y étaient donc collés ces dernières années, élargissant de fait – sinon en droit – leur champ d’activité. Puis le 28 juin dernier, sans prévenir, Tripoli a déclaré sa zone « SAR » et son « centre de coordination » auprès de l’OMI, officialisés du jour au lendemain. Les Italiens ont passé la main. Changement de régime.

      Depuis, dans l’esprit des Libyens, « aucun navire étranger n’a le droit d’accéder [à leur SAR] sauf demande expresse [de leur part] ». C’est ainsi, en tout cas, que le commandant de la base navale de Tripoli, Abdelhakim Bouhaliya, interprétait les choses en 2017 – quand les autorités avaient esquissé une première SAR avant de se rétracter. Dans leur viseur : « les ONG qui prétendent vouloir sauver les migrants clandestins et mener des actions humanitaires », selon les mots sans fard du général Ayoub Kacem, l’un des porte-parole de la marine à l’époque. Un an plus tard, la SAR est bel et bien là. Et il devient urgent que les garde-côtes ouvrent un manuel de droit.

      Car en principe, « la navigation dans leur SAR reste libre, décrypte Kiara Neri, spécialiste de droit maritime et maîtresse de conférences à l’université Jean-Moulin-Lyon-III. Ils n’ont absolument pas le pouvoir d’interdire leur SAR aux navires humanitaires, ce n’est pas devenu leur chasse gardée ». Dans les faits, pourtant, « ils font comme s’ils étaient souverains, s’indigne Nicola Stalla, coordinateur des sauvetages sur l’Aquarius. Ils étaient déjà agressifs avant, mais ils se comportent de plus en plus comme s’ils étaient dans leurs eaux territoriales. Ils ordonnent aux ONG de s’éloigner, ils menacent, par le passé ils ont déjà ouvert le feu plusieurs fois ».

      Concrètement, depuis cet été, « ce n’est plus Rome mais le MRCC de Tripoli qui reçoit les signaux d’alerte et désigne le navire le plus proche pour intervenir », insiste Kiara Neri. À supposer qu’ils répondent aux appels, déjà. « Le MRCC de Rome, lui, était efficace, regrette Nicola Stalla. Quand j’appelais, il y avait toujours un officier à qui parler. Là c’est tout le contraire : les garde-côtes libyens ne répondent pas, ou ne parlent pas bien anglais, ou ne répercutent pas les infos à tous les navires présents sur la zone… » Il y a quelques jours, l’association Pilotes volontaires, qui scrute la mer depuis le ciel à bord de son petit Colibri, s’est aussi arraché les cheveux. « On a repéré une embarcation avec une vingtaine de migrants, raconte un bénévole. On a vite appelé Rome, qui nous a renvoyés automatiquement sur Tripoli, qui n’a jamais répondu. » Ils ont fini par contacter, en direct, un tanker qui croisait à proximité. Du bricolage impensable jusqu’à cet été.

      À supposer qu’ils réagissent correctement, les Libyens peuvent aussi être tentés d’ignorer les humanitaires, de « privilégier » leurs garde-côtes pour les sauvetages, voire des navires marchands. Car ces derniers acceptent parfois de remettre aux Libyens les migrants qu’ils « repêchent », de les transborder en pleine mer pour s’en débarrasser sans trop se dérouter, sans égard pour le droit international qui impose de débarquer ses rescapés dans un « port sûr » où les droits de l’homme sont respectés – ce que la Libye n’est certainement pas, de l’avis même du HCR, l’agence des Nations unies pour les réfugiés. « Sans ONG pour témoigner, ces personnes sont perdues dans la narration », dénonce l’Italien Nicola Stalla, d’une formule presque poétique.

      Et si les humanitaires repèrent un pneumatique par eux-mêmes, peuvent-ils désormais être interdits de sauvetage ? « Il y a une subtilité, répond Kiara Neri. Dans leur SAR, les Libyens ont compétence pour coordonner les opérations. Donc s’ils approchent d’une embarcation en détresse [en même temps que l’Aquarius par exemple – ndlr], ils peuvent toujours dire : “On s’en occupe.” Mais ils n’ont certainement pas le droit de monter à bord, aucun pouvoir de police… » Dans les faits, la confusion est à son maximum.

      Ainsi, le 23 septembre, l’Aquarius et les garde-côtes libyens se sont disputés quarante-sept vies en pleine nuit, pendant des heures. Directement alerté par Alarm Phone (une sorte de « central téléphonique » associatif à disposition des migrants qui tentent la traversée), l’Aquarius a foncé vers le secteur indiqué tout en contactant le MRCC de Tripoli, conformément à ses obligations. Au début, pas de réponse. Puis un accord de principe. Puis un patrouilleur libyen arrivé sur le tard a voulu stopper le sauvetage entamé (des femmes et des enfants d’abord), pour reprendre l’affaire en mains. « Quittez la zone ! », ont hurlé les garde-côtes à la radio, selon une journaliste du Monde à bord. « Vous connaissez Tripoli ? Vous voulez venir faire une petite visite ? (…) Vous allez avoir de gros problèmes, on ne veut plus coopérer avec vous parce que vous nous désobéissez. » Le capitaine a tenu bon, mais l’Aquarius a quitté la zone à l’issue de l’opération – sa dernière à ce jour, puisque le Panama l’a privé de pavillon.

      « Le comble du cynisme »

      « Si nous trouvons une embarcation en détresse dans la SAR libyenne, nous ferons le sauvetage même si les garde-côtes demandent de ne pas intervenir », annonce aussi l’équipe de l’Aita Mari, un chalutier basque espagnol sur le point de prendre la route de la Méditerranée centrale, à l’initiative de deux ONG (Salvamento maritimo humanitario et Proem-Aid) soutenues par le gouvernement régional de centre-droit (qui a déboursé 400 000 euros), ainsi que de petites communes basques et andalouses. « La loi, c’est celle du port sûr. Peu importe que l’OMI ait dit “Oui” à la Libye », résume Daniel Rivas Pacheco, porte-parole du projet.

      D’ailleurs, comment une telle zone de « secours » a-t-elle pu être créée ? La Libye, membre de l’OMI (institution des Nations unies) et signataire des conventions internationales sur le secours en mer, a simplement déclaré les coordonnées géographiques de sa zone et de son MRCC. En fait, l’OMI ne « reconnaît » pas les SAR, elle les enregistre, sans audit préalable. N’a-t-elle pas le pouvoir de rejeter l’initiative d’un pays dénué de « port sûr » ? « L’OMI n’a pas le droit de décider si tel ou tel pays est un lieu sûr », nous répondent ses services. Elle peut toujours intervenir en cas de « coordonnée non valide » ou d’« erreur typographique ». Pour le reste…

      Ce processus de déclaration suppose tout de même une coordination préalable avec les pays voisins et des discussions préparatoires (Mediapart a retrouvé un point d’étape soumis à l’OMI en décembre 2017 par l’Italie, qui évoque le soutien de l’UE). Rome et l’Europe ont bien encouragé Tripoli à prendre ses « responsabilités ».

      Pour s’en convaincre, il faut se plonger dans les détails d’un vaste programme européen de soutien à la Libye datant de 2017, doté de 46 millions d’euros, qui vise tout à la fois le renforcement de ses frontières, la lutte contre son immigration illégale et l’amélioration de ses opérations de sauvetage en mer. On y découvre que l’UE a budgété plus de 6 millions d’euros, sur plusieurs années, rien que pour aider Tripoli à créer sa propre SAR et son MRCC « maison » – auxquels s’est ajouté 1,8 million via le Fonds pour la sécurité intérieure de l’Union.

      Les activités programmées ne peuvent être plus claires : « Assister les autorités libyennes pour qu’elles soient en capacité de déclarer une zone SAR », « Évaluations techniques pour la conception d’un véritable MRCC », « Formation pour le personnel opérationnel du MRCC », « Aider les garde-côtes à organiser leur unité SAR » ou encore « à développer des procédures SAR standard », etc.

      Jusqu’ici, on avait surtout entendu parler des fonds européens engagés pour former les garde-côtes (au droit international, au droit des réfugiés, etc.) ou de la fourniture d’équipements censés améliorer la qualité et l’efficacité de leurs opérations de « secours » (voir ici notre précédent article). Les ONG s’en étaient indignées, moult fois. Mais c’est encore autre chose que d’aider les Libyens à élargir leur périmètre d’action, à endosser la responsabilité des opérations au-delà même de leurs eaux territoriales.

      « L’idée n’est évidemment pas de les mettre en compétition avec les ONG et les autres acteurs, plaide-t-on à la Commission. C’est de lutter contre les trafiquants et de sauver des vies. » L’UE n’en démord pas.

      Les services de la Commission tiennent tout de même à préciser qu’à ce stade, sur les quelque 8 millions d’euros budgétés, seul 1,8 million a effectivement été déboursé pour une « étude de faisabilité » de la SAR libyenne. Rien d’autre n’aurait été mis en place avant que la Libye ne dégaine le 28 juin, plus vite que son ombre, aiguillonnée par l’Italie de Matteo Salvini.

      « Le secours n’est absolument pas la priorité de l’Union européenne, dénonce Charles Heller, chercheur associé à l’agence Forensic Architecture, collectif basé à l’université londonienne de Goldsmiths qui enquête sur les violations des droits humains, notamment en Méditerranée. Ce que font les garde-côtes libyens, ce sont des interceptions, de pures opérations de contrôle des frontières pour le compte de l’UE. »

      En 2012, rappelle-t-il, la Cour européenne des droits de l’homme avait condamné l’Italie pour ses pratiques de « refoulement direct » de migrants, après qu’un vaisseau de la marine nationale avait récupéré à son bord (soit sur le sol italien juridiquement) des Somaliens et des Érythréens, raccompagnés illico à Tripoli sans qu’ils aient pu exercer leur droit fondamental à demander l’asile. La nouvelle politique consiste donc « à opérer des “refoulements indirects”, à externaliser auprès des Libyens le contrôle de nos frontières », analyse Charles Heller. « Après une phase de criminalisation des ONG, après l’aide au rétablissement d’une institution de garde-côtes à peu près fonctionnelle, la déclaration d’une SAR libyenne était fondamentale pour donner à ces opérations un vernis humanitaire. Il fallait que les garde-côtes libyens aient tous les attributs : une SAR, un MRCC, etc. C’est la consécration d’un processus. Sachant que ces opérations de “secours” ont pour effet de ramener des gens sur un territoire où leurs droits sont systématiquement violés, c’est le comble du cynisme. »

      Sauvé le 21 juin dernier par le Lifeline, un exilé du Darfour a confié à Mediapart qu’il avait été intercepté trois fois en mer par les garde-côtes libyens, et ramené trois fois dans des centres de détention officiels où les gardiens « frappent tout le monde, tout le temps, avec des bâtons ». « On nettoyait, on lavait le linge, on faisait de la peinture sans être jamais payés », raconte Abazer, aujourd’hui réfugié en France, évoquant une forme d’« esclavage ». Ça, un port sûr ?

      « L’UE fait décidément preuve d’un grand courage, grince Patrick Chaumette, professeur de droit à l’université de Nantes. On laisse les Libyens menacer les ONG, tirer en l’air, confondre leur SAR avec leurs eaux territoriales, dire : “Vous devez nous obéir !”… On a des politiques qui trouvent des prétextes fallacieux pour poursuivre leur véritable objectif : aider la Libye à empêcher les départs en mer. Comme si le droit ne servait plus à rien. Pour nous, universitaires, c’est terrifiant. »

      D’après des chiffres provisoires compilés par Matteo Villa, chercheur pour un think tank italien (l’ISPI), 1 072 migrants se seraient lancés depuis la Libye en septembre, 713 auraient été interceptés, 125 auraient posé le pied en Europe, 234 auraient disparu. Soit un taux de mortalité de plus de 21 %, treize fois plus élevé qu’il y a un an, jamais atteint depuis des années.


      https://www.mediapart.fr/journal/international/111018/migrants-le-hold-de-la-libye-sur-les-sauvetages-en-mer
      #SAR #zone_SAR #cartographie #visualisation

    • Barcone in avaria con 70 persone al largo di Lampedusa: l’Italia prima dice no, poi interviene

      Dopo il braccio di ferro con la nave «Mare Jonio» che ha raccolto l’sos e si è diretta sul posto. E con Malta che non aveva mezzi per i soccorsi. Soddisfatti gli attivisti del progetto umanitario Mediterranea: «Siamo felici che tutti siano in salvo»

      Un barcone con 70 migranti partito dalla Libia venerdì mattina è stato scortato dalle motovedette della Guardia Costiera italiana fino al porto di Lampedusa dove ha attraccato in banchina intorno alle tre del mattino. Di lì a poco, è iniziato lo sbarco dei suoi passeggeri. E questa, già di per sé, è una notizia in epoca di porti chiusi, respingimenti e frontiere blindate. Ma lo è ancora di più se si considera che il gesto della Guardia Costiera è stato solo l’atto finale, la resa, di una lunga partita a scacchi giocata sin dalle sette del pomeriggio dal rimorchiatore Mare Jonio – la nave del progetto Mediterranea – contro le autorità, maltesi prima, e italiane poi.

      La Mare Jonio, giunta al suo ultimo giorno di missione nelle acque libiche, stava lentamente tornando verso l’Italia quando, poco dopo il tramonto, è stata raggiunta da un Navtext, un messaggio di allerta, inviato dalle autorità di La Valletta (l’Mrcc, maritime rescue coordination center): nel testo si segnalava “un gommone in avaria con 70 persone a bordo in acque maltesi”. L’imbarcazione, stando alle coordinate messe nero su bianco nel messaggio, si trovava sì in una zona di competenza maltese ma molto vicino all’isola di Lampedusa. Praticamente al confine. Il messaggio non dava altri elementi.

      La Mare Jonio si trovava, in quel momento, a 40 miglia di distanza dal gommone. Ci sarebbero volute almeno quattro ore buone. Dopo aver modificato la rotta, la plancia del rimorchiatore italiano ha così deciso di mettersi in contatto con Mrcc Malta per avere eventuali altre informazioni o, quanto meno, capire la fonte di quella notizia. I maltesi, però, non avevano altri elementi utili. E soprattutto non avevano mezzi a disposizione per arrivare “fino là” a vedere che cosa era capitato al gommone. Quanto alla fonte, era l’Alarmphone: un servizio dedicato che smista allarmi raccolti dalle varie imbarcazioni che incrociano nel Mediterraneo.

      La Mare Jonio ha così provato a tirare quel filo, ha chiamato Alarmphone e ha chiesto informazioni, scoprendo che di quell’allarme, loro, non sapevano nulla. Malta, dunque, aveva mentito.Mentre il rimorchiatore procedeva verso le coordinate impostate subito dopo l’arrivo del Navtext, gli italiani hanno quindi chiamato l’Mrcc di Roma. E’ vero che l’imbarcazione era in zona di competenza maltese, ma è vero anche che era in avaria e che, stando alle informazioni, la corrente la stava spingendo verso le acque italiane. E poi Malta aveva dichiaratamente rinunciato a intervenire. Il naufragio di quelle settanta anime, insomma, era un rischio più che concreto. La risposta delle autorità italiane è però stata piuttosto rigida. Burocratica. “In acque di competenza maltese coordina Malta. Non è un problema nostro, quando verranno in acque italiane, vedremo”.

      La situazione agli occhi degli attivisti cominciava a farsi preoccupante. Né La Valletta né Roma volevano intervenire e la Mar Jonio era a quattro ore di distanza. E’ cominciata così una lunga serie di telefonate tra il parlamentare di Sinistra Italiana, Erasmo Palazzotto – uno degli ideatori della Missione Mediterranea – la Guardia Costiera e il ministero delle Infrastrutture. Danilo Toninelli aveva il telefono staccato, e dunque il dossier era gestito dal capo di Gabinetto, Gino Scaccia. Il quale però non ha voluto andare oltre il concetto iniziale: “Acque maltesi-problema maltese”.

      Il comandante della Guardia Costiera di fronte alle insistenze di Palazzotto, “siamo una nave italiana e le segnaliamo un problema a due miglia dalle acque italiane”, ha spiegato che “nessuna nave italiana quando ha un problema in Brasile si sogna di chiamare la Guardia Costiera italiana”. Il resto della triangolazione è stato utile solamente per capire tre cose. Uno quello che inizialmente doveva essere un gommone era in realtà un barcone di legno. Due, l’avevano trovato due pescherecci tunisini (il Fauzi e l’Adamir) che però dopo aver dato l’allarme se ne erano andati. Tre, a distanza di quattro ore, il Mare Jonio continuava ad essere l’unica imbarcazione che si stava dirigendo verso il barcone per cercare di trarre in salvo le settanta persone che erano a bordo.

      Era l’una del mattino, ormai. E il rimorchiatore era quasi arrivato alla zona indicata dal primo allarme. Ma in mare non c’era nessuno. Dalla plancia hanno ricontattato sia Roma che La Valletta per avere coordinate più precise. Ma dai due Mrcc sono arrivate le indicazioni di due punti diversi. A distanza di dodici miglia l’uno dall’altro, più di un’ora di navigazione: mentre i maltesi davano l’imbarcazione in acque italiane, molto vicino a Lampedusa, secondo gli italiani il barcone si trovava ancora nel mare di Malta.

      A quel punto il rimorchiatore ha smesso di contare sugli aiuti via radio delle autorità che evidentemente stavano giocando a nascondere la barca più che a fargliela trovare e hanno cominciato a perlustrare la zona, partendo dalle coordinate fornite dall’Mrcc italiano. Dopo nemmeno mezz’ora, via radio, l’ultima comunicazione della nottata: “La Guardia Costiera italiana ha intercettato il barcone a 2,7 miglia da Lampedusa. E l’ha scortato in porto. I migranti stanno tutti bene”. Festeggiano quelli di Mediterranea: “Siamo felici di apprendere che dopo una notte di monitoraggi e segnalazioni queste persone siano in salvo, in Italia”.


      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/12/news/gommone_con_70_persone_in_avaria_davanti_a_lampedusa_mare_jonio_chiede_in

    • Un jeune migrant marocain de 16 ans blessé par balles par la #Marine_royale

      La Marine royale a encore tiré à balles réelles sur des migrants. Après la mort de #Hayat, c’est cette fois-ci un jeune de 16 ans qui est blessé par balles à l’épaule lors de l’interception d’une barque transportant 50 migrants, tous marocains, qui tentaient de rejoindre illégalement l’Europe, selon 2M.ma citant une source sécuritaire et précisant sur Twitter qu’il s’agissait « de tirs de sommations d’usage en direction de l’embarcation ». L’adolescent blessé a d’ores et déjà été transporté vers l’hôpital de Tanger, précise la même source. L’embarcation interceptée tôt ce matin se trouvait entre Assilah et Larache, sur la façade Atlantique des côtes marocaines. Contactée par Le Desk, une source militaire autorisée confirme l’information précisant qu’un communiqué officiel est en cours de préparation.

      https://ledesk.ma/encontinu/un-jeune-migrant-marocain-de-16-ans-blesse-par-balles-par-la-marine-royale

    • Au Maroc, deux ans de prison pour avoir dénoncé sur #Facebook la mort d’une migrante

      La jeune femme originaire de Tétouan a été tuée fin septembre par des tirs de la marine royale alors qu’elle tentait de rejoindre clandestinement les côtes espagnoles.

      Un Marocain a été condamné à deux ans de prison ferme pour avoir protesté sur les réseaux sociaux contre la mort d’une jeune migrante tuée fin septembre par des tirs de la marine marocaine, a-t-on appris jeudi 18 octobre auprès de son avocat.

      #Soufiane_Al-Nguad, 32 ans, a été condamné dans la nuit de mercredi à jeudi par le tribunal de Tétouan, ville du nord du Maroc, pour « #outrage_au_drapeau_national », « #propagation_de_la_haine » et « #appel_à_l’insurrection_civile », selon son avocat Jabir Baba. Il avait été interpellé début octobre, après des troubles lors d’un match de football le 30 septembre à Tétouan.

      Selon son avocat, avant ce match, M. Al-Nguad avait appelé, à travers des publications sur sa page Facebook, le groupe des ultras Los Matadores du club de football local à « manifester et à porter des habits noirs de deuil » pour protester contre le décès de #Hayat_Belkacem.

      La mort de cette étudiante de 22 ans, tuée le 25 septembre par la marine marocaine alors qu’elle tentait de gagner clandestinement les côtes espagnoles en bateau, avait suscité la colère dans le pays. Les autorités marocaines avaient dit avoir visé l’embarcation en raison de ses « manœuvres hostiles ».

      « Venger Hayat »

      Dix-neuf supporters âgés de 14 à 23 ans sont également jugés à Tétouan pour « outrage au drapeau national », « manifestation non autorisée » et « destruction de biens publics et privés », pour avoir manifesté le soir du même match.

      Ces supporters avaient été arrêtés peu après pour avoir brandi des drapeaux espagnols et crié des slogans comme « Viva España » (« Vive l’Espagne ») lors du match. Ils avaient aussi manifesté sur le chemin du stade en appelant à « #venger_Hayat ».

      Ces dernières semaines, des dizaines de vidéos montrant des jeunes Marocains en route vers l’Espagne à bord de bateaux pneumatiques sont devenues virales sur les réseaux sociaux, dans un pays marqué par de grandes inégalités sociales sur fond de chômage élevé chez les jeunes.

      Depuis le début de l’année, l’Espagne est devenue la première porte d’entrée vers l’Europe, avec près de 43 000 arrivées par voie maritime et terrestre, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/10/18/au-maroc-deux-ans-de-prison-pour-avoir-denonce-sur-facebook-la-mort-d-une-mi
      #réseaux_sociaux #délit_de_solidarité #condamnation #résistance #manifestation

    • Avec l’équipage du « Mare Ionio », les anti-Salvini retrouvent de la voix en Italie

      Le Mare Ionio, parti des côtes italiennes le 4 octobre, sillonne la Méditerranée pour une mission de surveillance et de contrôle. Dans un pays gouverné par l’extrême droite, une myriade d’acteurs de la société civile a imaginé cette aventure, humanitaire mais aussi très politique.

      Palerme (Italie), correspondance.- Sur le mur de la cour du centre Santa Chiara, en plein cœur de la Palerme populaire, cinq visages s’affichent, vidéo-projetés dans l’obscurité. Tee-shirts blancs siglés du logo bleu et rouge de la plateforme civile Mediterranea, traits fatigués, les membre de l’équipage du Mare Ionio s’apprêtent à dresser un bilan de leur première semaine en mer.

      « Regardez, on peut dire qu’il y a du monde ce soir, vous les voyez ? » interroge Alessandra Sciurba, face aux mines circonspectes de l’équipage. Au moins 200 personnes sont venues écouter les cinq hommes. « Ça fait plaisir, on se sent parfois très seuls en mer », sourit Luca Casarini, un activiste italien connu pour sa participation au mouvement de désobéissance civile Tute Bianche (« Les Blouses blanches »), particulièrement actif de 1994 à 2001.

      Malgré la connexion parfois hésitante de l’équipage, qui se trouve à 35 miles de Khoms et de la côte libyenne, Erasmo Palazzotto se lance, en direct sur Skype : « Le climat est surréaliste ici. On n’a croisé personne d’autre, la radio est silencieuse. C’est comme si la mer était déserte. » Copropriétaire du bateau Mare Ionio, député palermitain de la Sinistra italiana (« Gauche italienne », à la gauche des sociaux-démocrates), il se réjouit : « On ne sait pas si c’est parce que nous sommes présents en mer mais Malte a effectué un sauvetage de deux embarcations de migrants. Ça faisait près d’un an que ce n’était pas arrivé. »

      La remarque sur le sauvetage de 220 personnes les 6 et 7 octobre au large des eaux maltaises n’est pas anodine. Depuis la formation du nouveau gouvernement italien et la nomination de Matteo Salvini au ministère de l’intérieur en juin, la Méditerranée centrale est devenue le terrain d’une véritable bataille navale. Les ONG évincées, les cartes sont redistribuées entre gardes-côtes italiens, maltais et libyens.

      Battant pavillon italien, composé d’un équipage italien, le Mare Ionio s’est donné pour mission de surveiller, contrôler et témoigner de ce qui se passe en Méditerranée centrale, dans ce tronçon de mer emprunté par les migrants pour rejoindre les côtes italiennes et déserté par les bateaux des ONG depuis quelques semaines. Il ne s’agit donc pas d’un bateau de sauvetage, même si l’équipage est paré à cette éventualité.

      Matteo Salvini a bien compris la portée politique de cette aventure. Quelques heures après l’annonce du départ de l’embarcation, le 4 octobre, il avait offert à ses sympathisants un direct Facebook plus exalté qu’à son habitude. « Prenez un pédalo, faites ce que vous voulez », a-t-il ironisé, mais hors de question d’amener des migrants en Italie, a-t-il poursuivi, ricanant au sujet de ce « bateau des centres sociaux qui erre en Méditerranée ».

      Parmi les protagonistes de la plateforme civile Mediterranea, personne ne s’aventure sur le terrain de la politique partisane. Comme si, d’une certaine manière, le paysage politique italien n’était pas à la hauteur des enjeux. « Attention, on n’est pas là pour reconstruire la gauche italienne », met en garde Fausto Melluso de l’Arci Porco Rosso, un local associatif particulièrement impliqué dans l’aide aux migrants.

      Même le député de Gauche italienne évite les joutes politiques et élude : « Je représente des milliers de personnes indignées par ce qui se passe et qui n’ont peut-être pas voté pour moi mais avaient besoin de savoir qu’une partie des institutions italiennes se trouve ici, au milieu de cette bataille historique entre barbarie et civilisation. » Une indignation qu’ils ont voulu « transformer en action », ajoute-t-il.

      « On discute de politique à terre, pas en mer. En mer, on ne laisse personne mourir, on amène les gens dans un port sûr et ensuite on discute de ce que vous voulez », tranche Giorgia Linardi, porte-parole en Italie de l’ONG allemande Sea Watch, qui est associée au projet Mediterranea.

      « C’est une mission d’obéissance civile et de désobéissance morale. On ne pouvait pas se résoudre à se dire que c’était la seule société possible », résume Alessandra Sciurba, l’une des membres de la plateforme Mediterranea et chercheuse à l’université de Palerme. Tous répètent à l’envi cette formule, énoncée par Marta Pastor, jeune diplômée de 26 ans qui s’est embarquée sur le bateau comme bénévole : « L’important, pour nous, c’est aussi de nous sauver nous-mêmes, de nous sauver des saletés qui se passent tous les jours sous nos yeux. »

      Pour Alessandra Sciurba, ce défi va bien au-delà de l’Italie : « Dans le débat politique, tout un monde n’est plus représenté, entre l’Europe démocratico-progressiste qui a accepté les plans économiques de la Troïka [FMI, BCE et Commission européenne – ndlr] et joué avec les politiques migratoires, et l’Europe de Visegrad [Hongrie, Pologne, Slovaquie, République tchèque – ndlr], souverainiste et nationaliste. Nous sommes convaincus qu’il existe une troisième Europe, et c’est surréaliste qu’il faille aller en mer pour lui redonner de la voix. »

      Ce projet européen doit « partir de la société civile, des citoyens et surtout des villes », défend l’équipage. Ce n’est pas un hasard, expliquent les membres de Mediterranea, si les deux drapeaux hissés sur le mât sont celui de l’Union européenne et celui de la ville de Palerme. Dans son habituel costume noir, entouré par quelques journalistes et par les membres de Mediterranea, Leoluca Orlando, le maire de la ville, a profité de la première escale technique du Mare Ionio sur le quai trapézoïdal de Palerme pour marteler, une fois encore, ce discours si singulier dans le reste de l’Italie : « Le port de Palerme sera toujours ouvert ! »

      Sur le pont du bateau, Claudio Arrestivo a moins l’habitude de ces raouts que son voisin. Il représente le Moltivolti, un espace de restauration et de coworking au cœur de Palerme, qui a rejoint la plateforme Mediterranea dès ses débuts, en juin : « On prend plus de risques à ne pas s’embarquer qu’à faire partie du projet. » Les entrepreneurs rêvent désormais de faire des émules à travers le reste du pays.

      C’est le défi majeur de la plateforme civile : réussir, à terre, à susciter l’adhésion. « Dans tout le pays, nous allons organiser une “via terra”, un parcours sur terre de Mediterranea en organisant des événements culturels qui nous permettront de recueillir des fonds », explique Evelina Santangelo, écrivaine palermitaine à la tête d’un groupement national d’artistes, écrivains et acteurs du monde de la culture qui soutiennent l’initiative.

      La tâche est grande : près de 195 000 euros ont déjà été récoltés grâce à une cagnotte participative soutenue par 1 892 personnes, sur un budget total estimé à 700 000 euros pour deux mois de mission en mer.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/221018/avec-l-equipage-du-mare-ionio-les-anti-salvini-retrouvent-de-la-voix-en-it

    • Migrant campaign ship confronts Italy in the Mediterranean

      A Mediterranean coalition of campaigners against Italy’s hardline migration policies have bought a ship in a crowdfunding appeal to shame authorities into rescuing stranded migrants off the North African coast.

      The group, Mediterranea Saving Humans, raised more than 250,000 euros in three weeks, to buy and launch the Italian-flagged Mare Jonio to raise the alarm about migrant boats in distress in the Mediterranean Sea.

      Its first mission launched on October 4 from the southern Italian island of Sicily and succeeded in pressuring the Italian Coast guard into rescuing 70 people aboard a dinghy eight days later, according to the group.

      “The presence of Mediterranea was fundamental in raising attention to what is really happening in the waters south of Sicily and to prevent our governments from turning their backs to tragedies that call upon human compassion,” the group wrote on its website.

      https://www.thenational.ae/world/europe/migrant-campaign-ship-confronts-italy-in-the-mediterranean-1.787355

    • E infine restò solo la Mediterranea a salvare le vite in mare

      Ormai, quelli della Mediterranea sono rimasti i soli a cercare di rendere meno amaro il bilancio delle morti di migranti in mare in questo terrificante 2018. Soltanto nel mese di settembre, il 20 per cento di chi è partito dalla Libia risulta morto o disperso. Si tratta di uno degli anni peggiori di sempre, da questo punto di vista. E poco importa che in Italia siano diminuiti gli sbarchi se ciò coincide con un tasso di mortalità maggiore nelle acque internazionali.

      Dopo le 13 di oggi, la nave è salpata dal porto di Palermo per la seconda missione di monitoraggio e denuncia nelle acque internazionali tra le coste italiane e la Libia. C’era stata, nei mesi scorsi, l’avvio della missione, iniziata lo scorso 4 ottobre e durata 12 giorni, aiutata anche dal parlamentare di Liberi e Uguali Erasmo Palazzotto.
      Mediterranea, il suo ruolo in mare per sorvegliare una frontiera letale

      In questi ultimi giorni, la nave italiana della piattaforma Mediterranea era all’ancora nel porto siciliano per una sosta tecnica e di rifornimento: si tratta dell’unica nave in navigazione nel Mediterraneo centrale con l’essenziale funzione di testimonianza e pronta a intervenire, qualora fosse necessario, in soccorso di imbarcazioni in difficoltà. Un vero e proprio baluardo ultimo per evitare quella che può a buon diritto essere considerata una tragedia del nostro secolo.

      Il fatto che non ci siano più imbarcazioni a monitorare le rotte dei migranti è una diretta conseguenza della campagna di criminalizzazione delle ONG e delle politiche di chiusura dei confini, portata avanti in maniera risoluta dalla Lega e dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Non dobbiamo dimenticarci, che il Mediterraneo è considerato la frontiera più letale al mondo e che nello scorso mese di settembre ha registrato il numero drammatico di una persona morta o dispersa su cinque, tra coloro che hanno tentato la traversata.
      L’importanza di Mediterranea nei giorni scorsi

      Il 12 ottobre scorso, la nave Mediterranea ha avuto un ruolo determinante nel sollecitare il salvataggio tempestivo di settanta persone in pericolo al largo di Lampedusa, dopo il rimpallo di responsabilità tra Malta e Italia. Non solo: ha tenuto accesa l’attenzione dell’opinione pubblica su quanto realmente accade nelle acque a sud della Sicilia.

      Alla missione iniziata oggi parteciperà anche Riccardo Gatti di Proactiva Open Arms e un team di soccorso in mare della Ong tedesca Sea-Watch partner del progetto.


      https://www.giornalettismo.com/archives/2682517/mediterranea-unica-nave-mare-migranti

    • Trois ONG lancent une opération de sauvetage au large de la Libye

      Plus aucun bateau d’ONG ne menait d’opération de sauvetage dans la zone depuis celle menée fin septembre par l’« Aquarius ».
      Trois ONG ont lancé une mission de sauvetage de migrants au large de la Libye, où il n’y avait plus de bateaux humanitaires depuis fin septembre. Les trois navires engagés dans cette mission, l’#Open-Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms, le #Sea-Watch3 de l’ONG allemande Sea-Watch et le Mare-Jonio de l’ONG italienne Mediterranea, naviguent depuis vendredi dans les eaux internationales entre l’Italie et la Libye.

      Le Mare-Jonio était déjà parti début octobre patrouiller dans la zone pour témoigner du drame des migrants. Plus aucun bateau d’ONG ne menait d’opération de sauvetage dans la zone depuis celle menée fin septembre par l’Aquarius. Ce navire, affrété par Médecins sans frontières et SOS Méditerranée, est à quai à Marseille dans l’attente d’un pavillon lui permettant de naviguer, après le retrait de ceux de Gibraltar puis du Panama. La justice italienne a par ailleurs demandé mardi son placement sous séquestre pour une affaire de traitement illégal de déchets.

      La mission n’avait pas été annoncée en amont pour « ne pas se retrouver bloquée par une quelconque ruse, comme cela a été le cas pour l’Aquarius », a dit le fondateur de Proactiva Open Arms, Oscar Camps. Plongée dans le chaos depuis la chute du dictateur Mouammar Kadhafi dans une insurrection soutenue par l’OTAN en 2011, la Libye est l’un des principaux pays de transit pour les migrants subsahariens tentant de rejoindre l’Europe à partir de ses côtes. L’Espagne est devenue cette année la première porte d’entrée des migrants en Europe devant l’Italie mais la route de la Méditerranée centrale reste la plus dangereuse avec 1 277 des 2 075 morts recensés cette année par l’Organisation internationale pour les migrations.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/11/23/trois-ong-lancent-une-operation-de-sauvetage-au-large-de-la-libye_5387774_32

    • What It Means for Migrants When Europe Blocks Sea Rescues

      With no NGO vessels to rescue migrants crossing the central Mediterranean, people are drowning. Dr. David Beversluis, physician onboard one of the last rescue ships in the Mediterranean, looks at what it means when Europe turns its back.

      There is no more tragic place to witness the consequences of populist politics and anti-immigrant fears than the central Mediterranean Sea, where people are dying trying to reach safety in Europe.

      Many flee violence and poverty in forgotten places across Africa and beyond, before being kidnapped by traffickers and horribly abused in Libya. In a final bid for freedom, they board crowded, flimsy rafts that launch from the Libyan shore into Mediterranean waters.

      This year alone, more than 1,200 men, women and children have died trying to make this journey to Europe, according to the International Organization for Migration’s Missing Migrants project. These are just the deaths we know about.

      This summer I served as the physician onboard the Aquarius, a search and rescue ship operated by the aid organizations Doctors Without Borders and SOS Mediterranee that has assisted nearly 30,000 people since it launched in 2016. It was one of the ship’s last missions before the Italian government pressured Panama to revoke its registration after months of blocking rescue ships from Italian ports. In its current predicament, the Aquarius is unable to conduct search and rescue operations. Currently, there are no NGO aid vessels to rescue people crossing the central Mediterranean, and because of this people are drowning.

      On missions, we rescue people from boats in distress, we pull drowning people from the water, and we give food, water and lifesaving medical care. After we stabilize our patients, we sit and talk to people and hear their stories.

      I spoke with a young man who told me his brothers were targeted and killed last year during a violent conflict in Cameroon. He decided to leave his wife and young son behind because he was being threatened himself, and he was hopeful that if he made it to Europe he could eventually build a better life for his child. I could feel the pain in his words; he had no choice but to leave his loved ones behind.

      Several Somali boys told me of the months they spent traveling from country to country, first across the sea to Yemen, then to Sudan and eventually through the Sahara to Libya. Each step was a gamble for a better life. Along the way they faced extortion, imprisonment and death.

      An Eritrean boy told me he was kidnapped in Sudan and spent more than a year in captivity in Libya, where countless men and women are imprisoned by human traffickers and subjected to torture, rape and death. Another soberly described how his brother was shot in the head next to him, his body left behind in the desert.

      Each person has horrific stories of their time in Libya. They pause and shake their heads as they remember, deciding how to replay their experiences for somebody who can’t even imagine. One Nigerian man told me, “My mouth can’t form the words to describe what happened to me in Libya.”

      But he slowly opened up about his months spent in captivity. He described extreme sexual violence – rapes and genital mutilation – stories we hear repeatedly from both men and women who are trafficked in Libya.

      A Somali teenager said he was held in Libya for seven months inside a small room with more than 300 people where they had one latrine, were never able to shower or change clothes and were given meager food and water.

      And they were lined up every day, beaten with sticks and shouted at for money they didn’t have. He showed me scars on his back and arms as he mimicked the daily beating motion. The violence he lived through is written permanently in these scars on his body.

      Libya is simply not a safe place for refugees and migrants. But instead of responding humanely through a dedicated search and rescue system in the Mediterranean, or by creating safe and legal ways to apply for asylum, the European Union has poured money into building up the Libyan coast guard, which intercepts thousands of migrants and refugees as they attempt to flee. They are returned to Libya and held in official detention centers in atrocious, inhumane conditions. And as conflict erupts again between warring militias in the capital, Tripoli, many of them are directly in the line of fire.

      The stories we hear on the Aquarius highlight how people are repeatedly stripped of their humanity and dignity. And while they also have flashes of hope for a brighter future, each person understands that their difficult journey is far from over.

      In today’s political climate, Doctors Without Borders and other organizations have had to fight to disembark each rescued person in a safe place where their human rights will be respected. We’ve had to take people as far away as Spain after closer countries such as Italy have repeatedly closed their ports and European governments have refused to find sustainable and humane solutions.

      These difficulties grow as narratives of fear and hate toward migrants and refugees are repeated over and over, from Europe to America and elsewhere around the world. People are being treated as pawns by politicians unwilling to take responsibility for human lives. Borders close, walls are built and people are left to suffer and die.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/11/19/what-it-means-for-migrants-when-europe-blocks-sea-rescues

    • Italy orders seizure of migrant rescue ship over ’HIV-contaminated’ clothes

      Prosecutors allege garments on Aquarius should have been labelled as ‘toxic waste’.

      Italian authorities have ordered the seizure of the migrant rescue ship Aquarius after claiming that discarded clothes worn by the migrants on their voyage from Libya to Italy could have been contaminated by HIV, meningitis and tuberculosis.

      Prosecutors from Catania, eastern Sicily, alleged that the waste was illegally labelled by the ship’s crew as “special waste” rather than “toxic waste”.

      The Aquarius is currently docked in Marseilles, France, where so far it is beyond the reach of the Italian authorities.

      The ship is operated by the charity Médecins Sans Frontières (MSF) and SOS Méditerranée. Prosecutors in Catania said: “If Aquarius would disembark to Italy, it will be immediately put under seizure.”

      Nevertheless, the Italian authorities have placed 24 people under investigation for ‘‘trafficking and the illegal management of waste,” including the captain of the Aquarius, Evgenii Talanin, and Michele Trainiti, deputy head of the Italy mission of MSF Belgium. The Sicilian prosecutors also fined MSF a total of €460,000 (£409,000) and froze some of its bank accounts based in Italy.

      A total of 24 tonnes of discarded material – including leftover food and medical materials as well as clothes – was being investigated.

      Aids campaigners criticised the prosecutors’ claims that clothing could have been contaminated with HIV. “Clothing categorically is not, and has never been, an HIV transmission risk,” said Deborah Gold, chief executive of the National AIDS Trust.

      “This would have stood out as ridiculous even amongst the misinformation of the 1980s, never mind in 2018. Migrants and people seeking asylum have historically been attacked using myths about HIV and infectious conditions, and we condemn this both for its stigmatising of people living with HIV and of migrants fleeing hardship.”

      The Aquarius has been stuck in Marseilles since the Panamanian authorities revoked its flag, after “complaints by the Italian authorities”. But the ship seemed to have reached an agreement with a country that would offer the NGO its flag and was ready to leave the French port in few days to reach the waters of Libya.

      Matteo Salvini, Italy’s far-right deputy prime minister, hailed the seizure order for the Aquarius, tweeting: “It seems I did well to close the Italian ports to the NGOs.”

      NGO rescue boats have almost all disappeared from the central Mediterranean since Salvini announced soon after taking office that he was closing Italian ports to non-Italian rescue vessels.

      The chief prosecutor of Catania, Carmelo Zuccaro, who is leading the investigation against the Aquarius and who is known for having launched several investigations against the rescue boats operated by aid groups, has recently dropped the charges for illegal detention and kidnapping against Salvini, after the minister of the interior was placed under investigation for preventing the disembarkation of migrants from the coastguard ship Ubaldo Diciotti, last August.

      In a statement released on Tuesday, MSF described the allegations against the Aquarius crew as “disproportionate and unfounded, purely aimed at further criminalising lifesaving medical-humanitarian action at sea’’.

      “After two years of defamatory and unfounded allegations of collusion with human traffickers against our humanitarian work, we are now accused of organised crime aimed at illicit waste trafficking. This latest attempt by the Italian authorities to stop humanitarian lifesaving search and rescue capacity at any cost is sinister” says Karline Kleijer, MSF’s head of emergencies.

      “This is another strike in the series of attacks criminalising humanitarian aid at sea. The tragic current situation is leading to an absence of humanitarian search and rescue vessels operating in the central Mediterranean, while the mortality rate is on the rise,” said Frédéric Penard, SOS Méditerranée’s head of operations.

      People seeking asylum are still attempting the risky crossing but, without the rescue boats, the number of shipwrecks is likely to rise dramatically.

      The death toll in the Mediterranean has fallen in the past year, but the number of those drowning as a proportion of arrivals in Italy has risen sharply in the past few months, with the possibility of dying during the crossing now three times higher.

      According to the International Organization for Migration, so far in 2018 more than 21,000 people have made the crossing and 2,054 have died.

      https://www.theguardian.com/world/2018/nov/20/italy-orders-seizure-aquarius-migrant-rescue-ship-hiv-clothes
      #maladies #contamination

      La réponse de MSF:
      Sequestro nave Aquarius. Inquietante e strumentale attacco per bloccare azione salvavita in mare
      https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/sequestro-nave-aquarius-inquietante-e-strumentale-attacco-per-b

      v. aussi:
      https://seenthis.net/messages/740369

    • L’Italie demande la mise sous séquestre de l’« Aquarius » à Marseille

      La justice italienne a demandé le placement sous séquestre de l’Aquarius, actuellement bloqué à Marseille, a annoncé, mardi 20 novembre, l’ONG Médecins sans frontières (MSF). Des comptes bancaires en Italie de MSF ont également été placés sous séquestre.

      Le navire humanitaire affrété par les ONG SOS Méditerranée et MSF pour secourir les migrants au large de la Libye est soupçonné d’avoir fait passer vingt-quatre tonnes de déchets potentiellement toxiques pour des déchets classiques.

      L’enquête, coordonnée par le parquet de Catane (Sicile), porte sur le traitement des déchets à bord – restes alimentaires, vêtements des personnes secourues, déchets issus des activités médicales – dans les ports italiens où l’Aquarius débarque des milliers de migrants secourus en mer.

      « Empêcher les actions médicales et humanitaires »

      « Les opérations portuaires de nos navires de secours en mer ont toujours suivi les normes en vigueur, s’est défendu MSF dans un communiqué. Les autorités compétentes n’ont jamais questionné nos procédures ni identifié un quelconque risque pour la santé publique depuis que MSF a commencé ses opérations de secours. »

      La mise sous séquestre de l’Aquarius est « mise en œuvre dans l’unique but d’empêcher les actions médicales et humanitaires pour sauver des vies en mer en les criminalisant encore davantage », dénonce l’ONG.

      Depuis que le Panama a annoncé sa décision de retirer au bateau humanitaire son pavillon à la fin de septembre pour « non-respect » des « procédures juridiques internationales » concernant le sauvetage des migrants en mer, l’Aquarius est bloqué dans le port de Marseille.

      L’Aquarius est le dernier navire humanitaire à parcourir la Méditerranée pour secourir des migrants qui tentent la traversée clandestine vers l’Europe, fait valoir l’association. Depuis quatre ans, plus de 15 000 personnes sont mortes noyées en Méditerranée en tentant la traversée sur des embarcations de fortune, selon l’ONG. En deux ans et demi, SOS Méditerranée dit avoir secouru 29 523 personnes dont 23 % sont des mineurs.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/11/20/l-italie-demande-la-mise-sous-sequestre-de-l-aquarius-a-marseille_5385916_32

    • Migrants : la justice italienne demande la mise sous séquestre à Marseille de l’Aquarius

      La justice italienne a demandé le placement sous séquestre du navire humanitaire Aquarius à Marseille pour une affaire de traitement illégal de déchets, un nouveau coup dur pour les ONG qui se portent au secours des migrants en mer.

      L’ONG Médecins sans frontières (MSF), qui affrète l’Aquarius avec SOS Méditerranée depuis 2016, a réfuté toute malversation et dénoncé « une mesure disproportionnée et instrumentale, visant à criminaliser pour la énième fois l’action médico-humanitaire en mer ».

      A la demande du parquet de Catane (Sicile), la justice italienne « a ordonné le placement sous séquestre » du navire et de comptes bancaires de MSF, selon un communiqué du parquet. Mais MSF a annoncé son intention de faire appel.

      Interrogé par l’AFP, le procureur de la République de Marseille, Xavier Tarabeux, a déclaré n’avoir reçu « à ce jour » aucune demande des autorités italiennes concernant l’Aquarius.

      La mesure ne change de toute façon pas la donne au large de la Libye, où les ONG ont secouru plus de 120.000 migrants depuis 2014 mais sont désormais quasi-absentes après 18 mois d’incessantes attaques politiques — de gauche comme de droite —, judiciaires et administratives.

      Plusieurs ONG ont suspendu ou déplacé leurs activités, tandis que d’autres voient leur navire bloqué en Italie, à Malte ou en France, comme c’est le cas de l’Aquarius.

      L’Aquarius est amarré à Marseille depuis début octobre dans l’attente d’un pavillon lui permettant de naviguer après le retrait de ceux de Gibraltar puis du Panama.

      « J’ai bien fait de bloquer les navires des ONG », a réagi Matteo Salvini (extrême droite), ministre italien de l’Intérieur depuis juin. « J’ai arrêté non seulement le trafic des immigrés clandestins mais aussi celui des déchets toxiques ».

      Selon le parquet, l’Aquarius et le Vos Prudence, un autre navire affrété par MSF en 2017, sont soupçonnés d’avoir fait passer pour des déchets classiques un total de 24 tonnes de déchets présentant un risque sanitaire, économisant au total 460.000 euros.

      – « Aucune mise en garde » -

      L’enquête porte sur le traitement des vêtements trempés et souillés abandonnés par les migrants à bord, ainsi que des restes alimentaires et déchets sanitaires, que les deux navires ont confiés aux services des ordures des ports où ils débarquaient les migrants secourus en mer.

      Or, les équipes médicales de MSF à bord ont signalé parmi les migrants de nombreux cas de gale, HIV, méningites ou infections respiratoires comme la tuberculose et ne pouvaient ignorer le risque de transmission de virus ou d’agents pathogènes via leurs vieux vêtements, selon le parquet.

      « Nous avons suivi les procédures qui nous étaient indiquées. La preuve en est qu’en trois ans d’activité, dans un contexte très surveillé, nous n’avons reçu aucune mise en garde, aucune amende, aucune forme d’alerte préventive de la part des autorités », a déclaré Marco Bertotto, un responsable de MSF, lors d’une conférence de presse.

      « En ce moment, nos équipes travaillent avec le virus Ebola au Congo, le choléra au Congo également et dans d’autres pays d’Afrique Centrale. Donc le fait d’être accusés de comportement irresponsable (...) est ridicule », a dénoncé Gianfranco de Maio, médecin de MSF.

      En Italie, des voix se sont également élevées pour demander comment avaient été traités les déchets similaires sur les navires de la marine ou des garde-côtes italiens, qui ont secouru plus de 300.000 migrants depuis 2014.

      Pour l’instant, plusieurs comptes bancaires de MSF ont été placés sous séquestre dans le cadre de cette enquête, qui concerne aussi deux agents maritimes qui faisaient l’interface avec les autorités portuaires, les capitaines des navires et plusieurs responsables de MSF à bord.

      Mais pour Gabriele Eminente, directeur général de MSF en Italie, le « seul crime que nous voyons aujourd’hui en Méditerranée est le démantèlement total du système de recherches et de secours ».

      Grâce à des accords controversés conclus en Libye par le précédent gouvernement de centre gauche pour empêcher les migrants de prendre la mer, puis à la politique des ports fermés de M. Salvini, l’Italie a vu le nombre d’arrivées sur ses côtes chuter drastiquement à partir de l’été 2017.

      Cette année, l’Italie a enregistré 22.500 arrivées sur ses côtes, soit une baisse de plus de 80% par rapport aux années précédentes. Mais selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), faute de navires de secours, la traversée depuis la Libye a coûté la vie à au moins 1.267 migrants cette année.


      https://www.la-croix.com/Monde/Migrants-justice-italienne-demande-mise-sequestre-Marseille-Aquarius-2018-

    • How the Debate Over Flags Sidelined Europe’s Migrant-Rescue Ships

      Europe’s aggressive migration policy has seen Italy dive into the obscure world of national shipping flags to sabotage rescue missions. Researcher Hannah Markay argues that such moves undermine the international legal requirement to save human lives at sea.

      To deter migrants crossing the Mediterranean Sea, European authorities have seized upon a seemingly innocuous bit of international maritime law to block NGO-run rescue ships from their lifesaving work: the requirement that every vessel with seaward ambitions – from search-and-rescue vessel to pleasure boat – carry a national flag.

      The debate over whether NGO boats that rescue migrants are lifelines or “taxis of the sea” is old news. Lately, Italy and other European states have pursued a similar tactic to the one used by the United States in 1931 when it caught gangster Al Capone on charges of tax fraud: Unable to find legal issues with actual rescue missions, authorities are trying to sideline NGO vessels by diving into the minutiae of ships’ national registrations. Italian prosecutors got even more creative this week when they ordered the seizure of the rescue ship Aquarius, operated by Doctors Without Borders, over “illegal waste disposal.”

      Thus, debates over bureaucratic details have eclipsed another requirement of international law: the duty to save human lives at sea.

      Another way in which Italy has used bureaucracy to sabotage NGOs’ rescue missions is by asking them to sign a “code of conduct.” The 11-point code – aimed at stopping what Italy viewed as the groups’ facilitation of people-smuggling across the sea – barred them from entering Libyan territorial waters to undertake rescues; banned them from making calls or sending up flares to signal their location to migrant boats in distress; and threatened to bar access to Italian ports if groups did not sign or comply. Several NGO vessels refused to sign. In retaliation, Italy ordered some of them to be seized.

      These disputes have prevented ships with hundreds of just-rescued, vulnerable people aboard from disembarking in Europe. This happened recently with the Aquarius, the Lifeline and even the Diciotti, an Italian coast-guard ship barred from disembarking 177 refugees and migrants in Italy’s port of Catania for several days.

      Humanitarian groups have found ways around Europe’s bureaucratic obstacles. When Italian deputy prime minister Matteo Salvini threatened to close Italian ports to rescue vessels not bearing the country’s flag, a coalition of activists launched the first-ever Italian-flagged rescue ship, Mare Jonio, to conduct missions off Libya earlier this fall.

      But more often bureaucracy wins. Desperate migrants do not have the luxury of waiting for courts to rule on the legality of states’ actions. The bureaucratic games are directly responsible for the rising rate of deaths in the Mediterranean.
      A Game of Migrant ‘Hot Potato’

      Under international maritime law, every state must require any ship flying its flag – whether it’s a civilian, military or humanitarian vessel – to assist persons in distress at sea, without endangering the ship or crew. Coastal states must also render assistance in areas identified as their search-and-rescue (SAR) zones.

      In theory, the duty to assist applies to any ship able to hear a distress signal. Maritime rescue coordination centers around the world coordinate rescue missions in their respective zones and determine the national authority responsible for responding.

      But in reality this resembles a game of hot potato in the central Mediterranean, in which states quickly delegate or refuse responsibility.

      This was evident when Malta recently gave life-vests, petrol and a compass to a migrant boat in its SAR zone, then directed it to the shores of Lampedusa. European ships within reach of the distress signal are starting to preemptively avoid the waters near Libya altogether or are (illegally) turning around before acknowledging a migrant boat’s mayday signals.

      In this political climate, the few still-operational NGO rescue vessels are more important than ever. In their absence, rescues coordinated by European authorities end with migrants being returned to Libya, which may breach international laws around non-refoulement. With its ongoing civil war and record of detaining migrants, Libya is hardly a safe haven.

      This was the fate of 92 rescued refugees and migrants aboard a cargo ship docked in Libya’s port of Misrata who defiantly claimed they would rather die than return to Libya. The 10-day standoff ended when Libyan authorities used rubber bullets and tear gas to force disembarkation.

      Meanwhile, Libya is also playing the bureaucratic game. Under international law, territorial waters consist of the 12 nautical miles (13.8 miles/22.2km) off the coast of any state, but last year Libya declared its own SAR zone of 74 nautical miles. There is no legal basis for this expansion. Libyan authorities warned NGOs to stay out. Three European NGOs stopped sea rescue missions after Libya’s threats of violence.

      Martin Taminiau, a volunteer with the NGO vessel Sea-Watch, which Malta detained for months over its national registration, said NGO ships must weigh bureaucratic roadblocks against the need to help migrants in distress.

      “We have the right to enter these waters to save lives, but we also want to be able to operate long term,” he said.
      Responsibility to Save Lives ‘Lost at Sea’

      The legal and moral responsibility to save lives has been lost at sea, overshadowed by the technical debates over national flags, zones of responsibility, territorial waters and waste-disposal procedures.

      Watchdog and humanitarian groups must maintain pressure on the European Union to respond promptly to distress calls in their SAR zones and to communicate transparently with any boats prepared to make the rescue, in accordance with international law.

      The 1979 Search and Rescue Convention clearly designates areas of responsibility for responding to distress calls. This must translate into true responsibility and life-saving.

      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/11/22/how-the-debate-over-flags-sidelined-europes-migrant-rescue-ships

    • Che cosa può una nave?

      Si può fare!

      Era la metà di giugno quando ha cominciato a prendere forma quella che sarebbe poi divenuta la piattaforma “Mediterranea”. Salvini aveva da poco chiuso i porti italiani alla nave Aquarius, di “Medici Senza Frontiere” e “Sos Méditerranée”, definendo una “crociera” la lunga traversata che avrebbe portato in Spagna gli oltre novecento profughi e migranti che si trovavano a bordo. Era il coronamento di una vera e propria guerra alle ONG, avviata nell’aprile del 2017 dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e poi proseguita dal ministro Minniti – il coronamento e al tempo stesso un’intensificazione senza precedenti: se negli anni scorsi molti di noi avevano analizzato criticamente la svolta governamentale della “ragione umanitaria”, cioè l’incorporazione delle ONG nei dispositivi di governo dei confini e delle migrazioni, era evidente che ci trovavamo davanti a una brutale soluzione di continuità. L’intervento umanitario era ora direttamente criminalizzato, azzerando quelle reti di soccorso volontario che negli anni precedenti, spesso integrate con le operazioni SAR delle diverse guardie costiere e delle forze armate, erano state comunque dispiegate nel Mediterraneo.

      Che fare di fronte a questa svolta, evidentemente sintomatica di un atteggiamento destinato a improntare l’azione del governo per mare e per terra nei mesi successivi? La domanda non poteva essere aggirata, e ha cominciato a risuonare con insistenza nelle conversazioni tra compagni e compagne. La resistenza, certo: la denuncia di quanto stava accadendo, i presìdi di protesta, le iniziative di pressione per la riapertura dei porti. E il tentativo di comprendere il significato più profondo di quanto stava accadendo, di anticipare le mosse successive del governo definendo un quadro interpretativo generale della “fase”. Ma ci sembrava che tutto questo non fosse sufficiente, che si dovesse e si potesse fare di più: che fosse necessario mettere in campo una pratica, capace di determinare spiazzamento e quantomeno di alludere a una mossa “offensiva”, al di là del carattere necessariamente difensivo della resistenza – e per riqualificare il terreno su cui quest’ultima si determina. E allora, perché non agire direttamente nel vivo delle contraddizioni del dispositivo retorico e politico della campagna governativa? Perché non comprare e mettere in mare una nave? Una nave battente bandiera italiana, in modo che nessun governo potesse chiuderle i porti del nostro Paese…

      Nei mesi successivi abbiamo misurato a pieno il carattere quasi donchisciottesco dell’impresa in cui avevamo deciso – letteralmente – di imbarcarci: una scommessa, un azzardo in qualche modo al buio. Qualche compagno, con conoscenza professionale dei mondi che ruotano attorno alle navi, ci ha aiutato a orientarci. Per un po’ abbiamo accantonato la filosofia e la teoria politica, cercando di farci almeno un’idea del diritto della navigazione, dell’ingegneria navale e della scienza logistica applicata. Mentre la ricerca della nave proseguiva, abbiamo trovato molti complici e sodali, a volte inaspettati e spesso proprio in quei mondi dello shipping dove il principio per cui “ogni singola vita a rischio in mare deve essere messa al sicuro” appare profondamente radicato e viene ritenuto intangibile. E abbiamo incontrato la disponibilità di Banca Etica a sostenere il progetto dal punto di vista finanziario, aprendo una linea di credito dedicata.

      Dentro e contro i mondi della logistica e della finanza ha dunque cominciato a prendere corpo “Mediterranea”, mentre un insieme di soggetti collettivi di diversa provenienza e natura si aggregava a prefigurare un’originale piattaforma sociale e politica. Quando infine abbiamo trovato e siamo riusciti ad acquistare la nave (la “Mare Jonio”), abbiamo subito capito che il lavoro più importante – costruire la nostra nave – cominciava allora: si trattava intanto, letteralmente, di adeguarla alle operazioni di “ricerca e salvataggio” (un compito a cui si sono dedicati con entusiasmo decine di compagne e compagni, con l’essenziale collaborazione della ONG tedesca Sea Watch); e poi di preparare gli equipaggi e di tessere le reti di terra che avrebbero sostenuto e reso possibile l’azione in mare della “Mare Jonio”. Questo lavoro di costruzione collettiva è ben lungi dall’essere terminato. E tuttavia, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre, la nostra nave è salpata per la sua prima missione. Senza alcuna supponenza abbiamo pensato che un primo obiettivo era stato raggiunto. Avevamo dimostrato che si può fare.

      Per mare …

      Tra il 4 ottobre e il 4 dicembre scorsi la “Mare Jonio” ha percorso in tre distinte missioni più di 4.800 miglia marine, più o meno la distanza che separava i migranti italiani tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dall’agognato approdo a Ellis Island. Ci siamo mossi all’interno di quello che viene chiamato il Mediterraneo Centrale, entro un mare solcato e striato da tensioni geopolitiche che si traducono in confini elusivi, ma non per questo meno cogenti. Il caleidoscopio composto da acque territoriali, zone contigue, zone economiche esclusive, aree SAR (Search And Rescue) è come tagliato trasversalmente dalle linee di attrito tra Grecia e Turchia (che solcano il Mediterraneo Orientale), tra Marocco e Spagna (il Mediterraneo Occidentale) e tra Italia e Libia (appunto il Mediterraneo Centrale), con altri Paesi costieri a fare ciascuno il proprio gioco (dalla Tunisia a Malta, dall’Algeria all’Egitto).

      Non è affatto casuale che le aree marittime appena menzionate corrispondano anche alle tre principali “rotte” seguite dai flussi migratori verso l’Europa e che la maggiore o minore pressione lungo ciascuno di questi corridoi di transito rinvii, di volta in volta, a cangianti condizioni economiche, sociali e politiche nei Paesi di partenza e di arrivo; alle spinte soggettive che caratterizzano la propensione a migrare di questa o quella composizione; alle differenti e articolate strategie di gestione dei flussi, prima fra tutte la progressiva esternalizzazione dei confini dell’Unione Europea stessa, in un gioco di continui ridislocamenti che sembra ben lungi dall’aver trovato un suo punto di equilibrio. Basti pensare al ruolo che il Marocco si sta oggi preparando (nuovamente) a giocare sul terreno – mercantile! – degli accordi per il contenimento e il respingimento, entro un quadro in cui l’accordo tra UE e Turchia e i patti stretti da diversi governi italiani con tribù e milizie libiche hanno fatto, negli ultimi tre anni, da apripista. O, in quest’ultimo quadrante, ai tentativi di spostare più a sud, alla frontiera tra Niger e Libia, il “lavoro sporco” svolto in questi anni da apparati “formali e informali” in Tripolitania e Cirenaica.

      In questa cornice, di cui abbiamo potuto registrare le continue modificazioni perfino nel corso delle otto settimane delle nostre prime tre missioni, la presenza e l’attività della “Mare Jonio” hanno messo in tensione il regime SAR, costringendo più volte imbarcazioni della Guardia Costiera maltese e italiana a muoversi in soccorso dei migranti, e hanno svolto una rilevante funzione di inchiesta, facendo luce là dove si pretendeva (obiettivo essenziale dell’attacco alle ONG) che non ci fossero più testimoni attenti e consapevoli. L’Operazione Mediterranea ha conteso con successo alle “autorità competenti” il diritto a intervenire in aree di crisi e ha così aperto un campo in cui sono divenute visibili le trasformazioni già intervenute e in atto nel regime SAR, le cui aree di competenza funzionale sono state via via interpretate come veri e propri spazi di esercizio di sovranità nazionali, sostituendo nei fatti la logica del primato della concreta efficacia nel salvataggio in mare con quella mortifera della sclerotizzazione burocratica dei protocolli operativi nella gestione di rigide “frontiere” acquee. Abbiamo così disvelato e misurato nei fatti la ormai costitutiva inadeguatezza dell’attuale regime SAR a esercitare funzioni di soccorso in mare, ma anche una serie di elementi di cruciale importanza: il fatto che dalla Libia, al contrario di quanto affermato dalla propaganda del governo italiano, si continui a partire, seppure con modalità diverse rispetto al passato; le mutate geografie, i nuovi assetti logistici, la composizione variabile degli attraversamenti del Mediterraneo; la dipendenza dell’intervento sui flussi a monte, cioè sul territorio libico, dalla contingenza di complessi e tutt’altro che trasparenti giochi di potere, economico e politico (come si è visto in coincidenza con lo svolgimento a Palermo, nel novembre scorso, della Conferenza Internazionale sulla Libia); la continuità dell’intervento della “Guardia Costiera” libica (le virgolette sono d’obbligo, visto che al suo interno operano, sotto diretta supervisione del Viminale, soggetti che fino a pochi mesi fa sarebbero stati considerati “trafficanti di esseri umani”) nell’agire dentro e fuori le acque territoriali del Paese africano per operare veri e propri respingimenti collettivi; la resistenza, la formidabile determinazione delle donne e degli uomini in fuga dai campi di detenzione libici a non farsi ricondurre in quei luoghi di violenza e di sfruttamento (le due vicende della nave “Nivin” e del peschereccio “Nuestra Madre de Loreto” sono da questo punto di vista esemplari).

      A metà novembre il ministro dell’Interno italiano ha annunciato trionfalmente che il Mediterraneo era stato infine liberato dalla presenza delle navi delle ONG. “Mediterranea”, con la sua azione, ha al contrario determinato le condizioni di possibilità di un’alleanza transnazionale senza precedenti tra diverse ONG: nel corso di quella che è stata per noi la terza missione ci siamo coalizzati con Open Arms e Sea Watch, dando vita a United4Med e mettendo in mare un piccola flotta, sostenuta dal cielo da due velivoli da ricognizione. Indipendentemente dagli esiti di questa missione (caratterizzata dall’intervento a sostegno del peschereccio “Nuestra Madre de Loreto”), sono state poste le condizioni per un coordinamento operativo destinato a durare nel tempo e per ulteriori nuove alleanze nei prossimi mesi. Ma un momento di significativa importanza è stata anche la sosta di diversi giorni nel porto di Zarzis, in Tunisia, dove l’incontro con le associazioni dei pescatori – da sempre impegnati nelle operazioni di soccorso in mare, e per questo criminalizzati in Italia – e con gli attivisti del “Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali”, ci ha consentito di cominciare a gettare ponti con la terra non solo verso Nord, ma anche verso Sud.

      … e per terra.

      La costruzione di una forte e strutturale connessione tra “terra e mare” è stata per noi fin dall’inizio, del resto, uno degli obiettivi essenziali di “Mediterranea”. Abbiamo spesso affermato che non siamo una ONG, senza per questo mancare di riconoscere l’importanza fondamentale, per il nostro progetto, della collaborazione con Sea Watch e Open Arms, la straordinaria passione che anima molte volontarie e molti volontari delle ONG, e i risultati concreti ottenuti negli anni da queste ultime, in termini di vite umane strappate a morte certa. Quest’affermazione significa piuttosto che non consideriamo il nostro intervento semplicemente limitato ai luoghi in cui si produce l’emergenza “umanitaria”; che ne enfatizziamo il carattere politico e non semplicemente “tecnico” o “neutrale”; che rivendichiamo la possibilità di agire, laddove se ne determinino le condizioni, al di fuori dei quadri giuridici stabiliti, per alludere semmai alla fondazione conflittuale di nuovi diritti.

      È su queste basi che valutiamo l’indubbio successo che “Mediterranea” ha raccolto in terra (tra l’altro per i risultati, inediti per il contesto italiano, del crowdfunding, con quasi quattrocentomila euro raccolti in poco più di due mesi). Tanto nel corso delle iniziative organizzate da un gruppo di donne e uomini di cultura e spettacolo (la “Via di Terra”), quanto nelle decine e decine di assemblee che si sono tenute in tutta Italia (e in qualche città europea) abbiamo fatto esperienza di un entusiasmo e di una passione, di una partecipazione anche emotiva, di una curiosità e di un’adesione che da tempo non ricordavamo. Si badi: queste “tonalità emotive” non corrispondono in alcun modo a un’omogeneità politica. La nostra nave è stata appropriata e in qualche modo reinventata dalle posizioni più diverse, all’interno di centri sociali così come di parrocchie, di università e di scuole, di piccoli circoli di Paese e di assemblee metropolitane; mentre il 24 novembre, ci piace ricordarlo, sulla “Mare Jonio” la bandiera di “Mediterranea” ha sventolato accanto a quella del movimento più forte e radicale dei nostri giorni, “Non Una di Meno”. Ma è proprio questa eccedenza di significati attribuiti a “Mediterranea”, anche al di là delle intenzioni iniziali di questo progetto, a rappresentare per noi il dato più significativo. E a costituire la potenzialità più rilevante per l’immediato futuro.

      La situazione “in terra” è del resto anch’essa cambiata nei due mesi in cui la “Mare Jonio” ha effettuato le sue missioni nel Mediterraneo. Il consolidamento dell’egemonia di Salvini all’interno del governo “giallo-verde” e l’indubbio consenso che circonda la sua azione si sono coniugati con la conversione in legge del cosiddetto “Decreto sicurezza” (mentre un discorso a parte meriterebbe la vicenda della legge di Bilancio e lo “scontro” con la Commissione Europea). Non è questo il luogo per un’analisi nel dettaglio delle disposizioni di legge in esso contenute. Basti dire che il drastico ridimensionamento del sistema SPRAR punta a radicare ulteriormente nel tessuto sociale una logica emergenziale, producendo “illegalità” e rendendo sempre più fragile e insicura la condizione di migliaia di profughi e migranti. Mentre il sostanziale smantellamento della “protezione umanitaria” colpisce tra l’altro duramente, e in modo selettivo, le donne migranti, in particolare quelle in fuga da condizioni di violenza. Al tempo stesso, l’inasprimento delle sanzioni penali per blocchi stradali e occupazioni abitative colpisce in primo luogo ancora i e le migranti, protagonisti in questi anni di straordinarie lotte sul lavoro (si pensi ai blocchi dei magazzini della logistica) e per la casa.

      Siamo di fronte a un tendenziale azzeramento delle mediazioni, che si manifesta prima di tutto sul terreno della migrazione, ma che si indirizza selettivamente contro un insieme più ampio di soggetti. Come agire di fronte a questa rottura? “Mediterranea” non ha certo lezioni da impartire a chi quotidianamente pratica la resistenza. Ha forse però, a partire dalla sua parziale esperienza, almeno due indicazioni da proporre.

      In primo luogo, mostra l’importanza di accompagnare all’azione di resistenza la messa in campo di pratiche capaci di intervenire direttamente sui problemi che si presentano. Si può pensare che oggi queste pratiche possano e debbano dispiegarsi anche sul terreno della costruzione di infrastrutture, materiali e immateriali, una costruzione aperta e in divenire, come aperta e in divenire è stata ed è la costruzione della nostra nave. Proviamo a immaginare un’azione che combini, in modo aperto ed espansivo, la resistenza allo smantellamento del sistema SPRAR e della protezione umanitaria con la costruzione di infrastrutture alternative per l’ “accoglienza”, coinvolgendo il mondo degli operatori e delle operatrici e facendo tesoro dell’esperienza dei centri anti-violenza e delle case rifugio all’interno del movimento femminista. Non ne risulterebbe straordinariamente più forte la stessa resistenza?

      In secondo luogo, “Mediterranea” può offrire l’esperienza di quella che vorremmo chiamare una politica del diritto, ovvero di un tentativo di affermare (ancora una volta: con una pratica) la legittimità e la legalità di qualcosa di tanto elementare quanto il dovere di salvare i naufraghi in mare. In questo tentativo, ha “testato” l’intreccio tra molteplici sistemi giuridici (quelli nazionali, quello europeo, il “diritto internazionale del mare”), tentando di allargare le tensioni all’interno e tra di essi, aprendo varchi e scontrandosi con limiti. È un tentativo che bisogna continuare a fare (per mare così come per terra) con maggiore determinazione. E con la necessaria spregiudicatezza e radicalità, perché siamo convinti che di fronte ai limiti occorra forzare, sia cioè indispensabile praticare, dal nostro punto di vista, la rottura.

      To be continued.

      Che cosa può dunque una nave? Va da sé che c’è un tratto ironico in questa variazione sul tema di una celebre domanda deleuziana. Pur non disdegnando imprese donchisciottesche, cerchiamo di mantenere una qualche sobrietà. Indubbiamente, la nostra nave ha dimostrato di poter intervenire operativamente nel Mediterraneo, svolgendo tra le altre cose un’efficace funzione di inchiesta e denuncia sulle trasformazioni del regime SAR e delle dinamiche di attraversamento e rafforzamento del confine marittimo. Ha messo in collegamento le due sponde del Mediterraneo e ha prodotto straordinari effetti di risonanza in terra, aprendo spazi nuovi attraverso una molteplicità di incontri imprevisti. Ma una nave può essere soltanto uno dei molti dispositivi di cui dobbiamo dotarci nella lotta per costruire un mondo in cui sia possibile, tanto per cominciare, respirare più liberamente.

      In ogni caso, la nostra nave – lo abbiamo detto più volte – è in costruzione, ed è in fondo questo ininterrotto processo di costruzione collettiva che ci sembra prezioso. Che cosa diventerà “Mediterranea” nei prossimi mesi? È una domanda che deve rimanere aperta nelle sue linee generali. Certamente, proseguiremo le operazioni marittime. Questo richiederà un’ulteriore “professionalizzazione” del lavoro, un salto di qualità nella strutturazione dell’ “impresa per fare l’impresa”, una rinnovata cura per gli aspetti logistici e finanziari, la formazione di attivisti e attiviste auspicabilmente nel quadro di una cooperazione rafforzata con diverse ONG. È questo un aspetto fondamentale di “Mediterranea”, nata da un patto tra soggetti diversi che si sono riconosciuti uguali nella condivisione dell’urgenza dell’intervento di soccorso in mare.

      Al tempo stesso, sarà necessario riaffermare e riqualificare il significato della nostra affermazione secondo cui “non siamo una ONG”. Si tratterà cioè di riprendere gli elementi essenziali che abbiamo indicato in precedenza: il carattere politico del progetto, la moltiplicazione di ponti tra il mare e la terra, una “politica del diritto” certo consapevole dei quadri ordinamentali dati (e delle forzate interpretazioni consuetudinarie che i più recenti rapporti di forza politici hanno orientato), ma anche determinata nella capacità di praticare rotture. E occorrerà farlo allargando le relazioni e approfondendo il lavoro tanto sul piano sociale quanto nello spazio europeo, puntando in primo luogo al coinvolgimento delle tante città che si sono costituite, esplicitamente o implicitamente, come “città rifugio” negli ultimi anni.

      Sono questioni attorno a cui è aperto il confronto tra tutti coloro che partecipano al progetto. La nostra proposta è quella di lavorare – da qui alla primavera – alla costruzione di una sorta di “stati generali” di “Mediterranea”: non un evento, ma l’esito di un percorso di inchiesta e di discussione, che riprenda i fili delle molte risposte che “Mediterranea” ha raccolto e che ci permetta di avanzare sul terreno della costruzione collettiva. Ripartire dai territori in cui si sono svolte (e continuano a svolgersi) le iniziative di sostegno al progetto, valorizzare gli “incontri imprevisti” per quel che riguarda tanto eterogenee aree politiche e culturali quanto i diversi “mondi” che abbiamo attraversato in questi mesi (da quelli dello shipping ai medici e agli operatori del diritto con cui abbiamo collaborato, per fare solo qualche esempio particolarmente importante): questo ci sembra possa essere il metodo da seguire, per continuare a essere là dove è necessario essere e agire – per mare e per terra.


      http://www.euronomade.info/?p=11437

  • Ventimiglia, minacce e insulti alla barista che serve i migranti: «Ma io non mollo»

    Titolare di un locale nella cittadina ligure, aiuta gli stranieri di passaggio verso la Francia: «Entravano adulti e bambini con le infradito d’inverno e la pancia vuota da giorni. Come potevo voltare la faccia?». Da allora ha ricevuto anche sputi ma non desiste anche se gli affari vanno sempre peggio.

    A Ventimiglia, in via Hanbury, l’ultimo presidio di umanità in questa zona di confine ha l’insegna bianca e ordinaria di un locale che si presenta come tanti altri. Ma al bar Hobbit, dedicato al romanzo dello scrittore che sentenziò «Non tutti quelli che vagano si sono persi», i migranti che provano a lasciare l’Italia, almeno per qualche giorno, non si perdono davvero. A prendersi cura di loro c’è Delia Buonuomo, quasi sessanta anni, proprietaria del bar da oltre quindici, che provvede a loro come può. E che, visto il boicottaggio degli abitanti del posto, lotta contro la chiusura.

    Da anni Delia prepara un piatto caldo per chi non mangia da giorni, mette a disposizione la corrente del negozio per ricaricare i telefoni e permettere ai migranti di parlare con le proprie famiglie, offre caramelle e patatine ai migranti più piccoli. E poco importa se la popolazione di Ventimiglia ha disertato il bar, se per strada la minacciano o le sputano addosso, se di notte hanno provato a bloccare le porte del locale per boicottare l’attività. Questa instancabile signora con il grembiule addosso non ha girato le spalle «a chi chiede un piatto di pasta o a chi crepa di freddo. Umanamente non è possibile, come mamma, come nonna - ricorda - e perché, prima di tutto, il bar è un pubblico esercizio, dove ha diritto ad entrare chiunque».

    Qui i panini con il tonno al pomodoro hanno sostituito da tempo quelli con il prosciutto, non si servono più cocktail e alcolici ma pacchi di biscotti a un euro, perché «costano quanto un espresso ma riempiono meglio la pancia», e si distribuiscono giochi e pannolini.

    La sua battaglia di civiltà inizia tre anni fa, quando la piccola comunità di Ventimiglia rimane coinvolta nei flussi di transitanti che dall’Italia cercano di raggiungere il resto dell’Europa: «Certo che mille persone al giorno creavano scompiglio, sono persone con esigenze fisiche, quello che i cittadini non capivano è che la colpa non è loro, ma di come l’emergenza viene gestita. Se chiudono le fontane per non permettergli di lavarsi, se i bagni pubblici sono a pagamento, se i bidoni della spazzatura sono pochi, e non bastano già per noi abitanti, il disagio è dietro l’angolo».

    Aperto quindici anni fa, il bar Hobbit offriva caffè e brioche agli abitanti della zona che lavoravano e ruotavano attorno alla stazione. Poi, più di tre anni fa, il piccolo centro cittadino diventa zona di passaggio per oltre mille persone al giorno: Delia non chiude le porte e diventa presto un punto di riferimento per tutti i transitanti.
    «Entravano adulti e bambini con le infradito d’inverno e la pancia vuota da giorni» ricorda la proprietaria.

    Da quel momento alla parlata ventimigliese si accavalla quella tigrina, araba, inglese. Le mattine non si passano più davanti a un cappuccino a leggere il giornale locale, ma a compilare documenti, bonifici alla posta per rinnovare il permesso di soggiorno, a ricaricare i telefoni per avvisare le famiglie e a imparare le prime parole in italiano.

    «L’assistenza che viene data dalla Caritas noi qui la diamo privatamente. Ventimiglia si è spaccata tra chi vuole aiutare i migranti e chi come Salvini vorrebbe affogarli», racconta Delia. «Da quando abbiamo aperto le porte ai migranti gli abitanti di Ventimiglia nel mio bar non ci hanno messo più piede. Ho ricevuto minacce, mi hanno sputato addosso, di notte hanno bloccato le porte del bar. Ho dovuto installare le telecamere di sorveglianza per non essere più disturbata. Ma una delle due porte ancora non funziona, i pezzi di ricambio costavano troppo».

    E con la fine dell’estate la situazione del bar si fa ancora più precaria: molti dei giovani attivisti di associazioni come Penelope e 20k, che sostengono le attività del locale consumando quello che i cittadini di Ventimiglia si rifiutano ormai di ordinare, sono universitari e con l’arrivo dell’autunno sono costretti ad allontanarsi dalla città. Per Delia il bar non può chiudere, ma andare avanti economicamente è sempre più difficile e il prezzo emotivo è alto.

    «Ho visto uomini e donne piangere perché hanno perso la moglie o il marito in mare. Ieri una donna nigeriana è entrata con una bambina piccola, non mangiavano da due giorni. Tutto questo dolore lo subisci indirettamente, all’epoca non ero preparata, ora mi sento provata e stanca» confessa. «Ma quando i ricordi brutti sono tanti, e quelli belli pochi, basta ricevere una chiamata da chi ce l’ha fatta ad arrivare a destinazione e a ricongiungersi con la propria famiglia, e vuole ringraziarti per l’ospitalità, che tutta la stanchezza sparisce».
    E quando la commozione diventa tanta e il tempo poco, la signora Delia non ha dubbi: «Ora basta parlare, devo andare a preparare i panini».


    https://www.repubblica.it/cronaca/2018/09/12/news/barista_serve_gli_stranieri_minacce_e_insulti-206235872

    #résistance #menaces #asile #migrations #réfugiés #Vintimille #frontière_sud-alpine #Italie #France #frontières #solidarité

    • Solidarietà per Delia

      A Ventimiglia, 9 km dalla frontiera francese, passano decine di migliaia di rifugiati ogni anno. Fuggono da guerre, da torture, da violenze. Tentano di varcare il confine per raggiungere familiari o conoscenti in Francia, Inghilterra e altri paesi europei, rischiando la vita durante il tragitto. Una volta superata la frontiera spesso incontrano abusi, detenzioni e respingimenti dalla polizia francese. Questi tentativi durano mesi, mesi in cui uomini, donne e bambini rimangono bloccati a Ventimiglia, senza accesso ai servizi primari: acqua potabile, bagni pubblici, cibo, un luogo dove dormire, a parte il campo della croce rossa, militarizzato, desolato e distante. I rifugiati sono oltretutto soggetti al razzismo e all’ostracismo di buona parte della popolazione locale, ostile a chiunque non abbia la pelle bianca. In questa situazione drammatica, tuttavia, una piccola parte della popolazione resiste: tra questi Delia, il cui bar è diventato l’anima della solidarietà a Ventimiglia. La storia di Delia inizia 3 anni fa, quando invita a entrare e offre un pasto ad alcune donne e bambini seduti sul marciapiede di fronte al bar. Da allora, grazie al passaparola, il bar è diventato un punto di riferimento per tutti i rifugiati che transitano da Ventimiglia, oltre che per i volontari e le organizzazioni solidali. Delia, soprannominata “Mamma Africa”, ha aiutato migliaia di persone in transito, offrendo vestiti, un pasto caldo, un abbraccio e un luogo accogliente a chiunque ne avesse bisogno. Ha distribuito scarpe, aiutato a decifrare documenti, assistito nella ricerca di alloggio, offerto pasti gratuiti a donne, bambini e a chiunque non può permettersi di pagare. Al bar Hobbit si possono caricare i cellulari e si può utilizzare il bagno (attrezzato di spazzolini, dentifricio, sapone, assorbenti e fasciatoio) senza obbligo di consumazione. I bambini hanno un angolo tutto loro, che Delia ha creato raccogliendo giocattoli usati. Il bar è spesso l’unico rifugio per i più vulnerabili, donne incinte, minori, vittime di tratta.


      https://www.gofundme.com/solidarieta-per-delia

      #collecte_de_fonds

  • Fuir une dictature et mourir de faim en Italie, après avoir traversé la Méditerranée et passé des mois dans des centres en Libye.
    10 personnes à ses funérailles.
    Et l’Europe n’a pas honte.

    Ragusa, il funerale dell’eritreo morto di fame dopo la traversata verso l’Italia

    Il parroco di Modica: «Di lui sappiamo solo che è un nostro fratello»


    http://palermo.repubblica.it/cronaca/2018/03/20/news/ragusa_il_funerale_dell_eritreo_morto_di_fame_dopo_la_traversata_
    #mourir_de_faim #faim #Libye #torture #asile #migrations #fermeture_des_frontières #Méditerranée

    • Nawal Sos a décidé de faire un travail de récolte de témoignage de personnes qui ont vécu l’#enfer libyen, suite à la saisie du bateau de l’ONG Open Arms en Méditerranée.

      Pour celles et ceux qui ne connaissent pas Nawal :
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Nawal_Soufi

      Voici le premier témoignage qu’elle a publié sur FB, que je copie-colle de la page web de Nawal :

      Questa e’ la testimonianza del primo rifugiato che ha dato la disponibilita’ a comparire davanti a qualsiasi corte italiana per raccontare i suoi giorni passati tra gli scafisti in Libia.

      Il 9 aprile del 2015 sono arrivato a casa dello scafista. Da casa sua sono partito via mare il 4 maggio del 2015. Erano le due di notte. In questo periodo le mie condizioni di salute erano particolari ed ero con uno/due ragazzi. Gli altri stavano peggio di me, dentro delle stanze dove la capienza era di dieci persone e in cui venivano rinchiuse settanta/ottanta/cento persone. Ci veniva dato solamente un pasto a giornata ed esso era composto da pane e acqua. L’acqua non bastava per tutti. Non c’erano servizi igienici per fare i propri bisogni. Prima dell’arrivo alla casa dello scafista viene raccontato che la situazione sarà perfetta e la casa grande in modo da garantire le migliori condizioni e che esiste un accordo con la guardia costiera. Appena si arriva a casa dello scafista si trovano altre condizioni. Una delle promesse che erano state fatte era quella di partire in poche ore, al massimo ventiquattro via mare. La verità è però che è necessario aspettare in base agli accordi con la guardia costiera: se vengono raggiunti dopo una settimana si parte dopo una settimana altrimenti è necessario aspettare fino a un mese, come è stato per me. Se una persona paga molto gli verrà fornito un salvagente altrimenti bisognerà affrontare il viaggio senza. Qualcuno portava con sé il salvagente mentre altri credevano alle parole dello scafista e non lo portavano. Anche sul salvagente cominciavano le false promesse: «Domani vi porteremo i salvagenti..». A seguito di queste promesse iniziavano a farsi strada delle tensioni con lo scafista. Le barche di legno su cui avremmo dovuto viaggiare erano a due piani: nel piano di sotto vi era la sala motore dov’è lo spazio per ogni essere umano non supera 30 x 30 cm massimo 40. Mettevano le persone una sopra l’altra. Le persone che venivano messe sotto erano le persone che pagavano di meno. Ovviamente lo scafista aveva tutto l’interesse di mettere in questo spazio il maggior numero di persone possibili per guadagnare sempre più con la scusante di usare questo guadagno per pagare la guardia costiera libica, la manutenzione della barca e altre persone necessarie per partire. Proprio nella sala motore ci sono stati vari casi di morti. La maggior parte della barche veniva comprata da Ras Agedir e Ben Gerdan, in Tunisia. Le barche arrivavano dalla Tunisia in pieno giorno, passando dalla dogana senza essere tassate né controllate. Le barche venivano portate al porto e ristrutturate davanti agli occhi di tutti. Una volta riempite le barche venivano fatte partire in pieno giorno (dalle prime ore del mattino fino alle due del pomeriggio) senza essere fermate dalla guardia costiera libica. Le uniche a essere fermate erano quelle degli scafisti che non pagavano mazzette ed esse venivano riportate indietro e i migranti arrestati. La guardia costiera chiedeva poi un riscatto allo scafista per liberare le persone. Così facendo lo obbligavano la volta dopo a pagare una mazzetta prima di far partire le sue imbarcazioni.
      In un caso molti siriani erano saliti su quella che chiamavamo «l’imbarcazione dei medici». Questi medici avevano comprato la barca per partire senza pagare gli scafisti ed erano partiti. A bordo c’erano 80/100 persone. Sono stati seguiti da individui non identificati che gli hanno sparato contro causando la morte di tutte le persone a bordo. Non si sa se siano stati degli scafisti o la guardia costiera.
      I contatti tra la guardia costiera libica e gli scafisti risultano evidenti nel momento in cui le persone fermate in mare e riportate a terra vengono liberate tramite pagamento di un riscatto da parte degli scafisti. Queste stesse persone riescono poi a partire con lo stesso scafista via mare senza essere fermate.
      In Libia, dove ho vissuto due anni, le condizioni di vita sono molto difficili. Gli stessi libici hanno iniziato a lottare per ottenere qualcosa da mangiare e per me, in quanto siriano senza possibilità di andare da qualsiasi altra parte, l’unica cosa importante era poter lavorare e vivere. Conosco molti ingegneri e molti professionisti che hanno lasciato la loro vita per venire in Libia a fare qualsiasi tipo di lavoro pur di sopravvivere. Non avevo quindi altra soluzione se non quella di partire via mare verso l’Europa. Sono partito e sono arrivato a Lampedusa e da lì ho raggiunto Catania.

      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=580561452301350&id=100010425011901
      J’espère voir les autres témoignages aussi... mais elle les publie sur FB, du coup, je pense que je vais certainement ne pas tout voir.

    • Deuxième témoignage :

      Questa e’ la seconda persona che ha dato la sua disponibilita’ a comparire di fronte a qualsiasi Corte italiana per raccontare il suo viaggio e forse altri compagni di viaggio che erane nella stessa barca si uniranno a lui.
      Testimonianza di: Ragazzo Palestinese di Gaza
      (Per ovvi motivi non posso citare in nome qui)

      Traduzione in italiano:

      Per quanto riguarda il traffico degli esseri umani avviene tra Zebrata e Zuara in Libia. Tra i trafficanti e la guardia costiera libica c’è un accordo di pagamento per far partire le imbarcazioni. Al trafficante che non paga la guardia costiera gli viene affondata l’imbarcazione. La squadra della guardia costiera che fa questi accordi e’ quella di Al Anqaa’ العنقاء appartenente alla zona di Ezzawi. Otto mesi fa siamo partiti da Zebrata e siamo stati rapiti dalla guardia costiera libica. Dopo il rapimento abbiamo detto loro che siamo partiti tramite lo scafista che si chiama Ahmed Dabbashi. E la risposta della guardia costiera è stata: se solo ci aveste detto che eravate partiti tramite lo scafista Ahmed Debbash tutto ciò non sarebbe successo.

      Je n’arrive pas à copier-coller le link FB (arrghhh)

    • Time to Investigate European Agents for Crimes against Migrants in Libya

      In March 2011, the ICC Office of the Prosecutor of the international criminal court opened its investigation into the situation in Libya, following a referral by the UN Security Council. The investigation concerns crimes against humanity in Libya starting 15 February 2011, including the crimes against humanity of murder and persecution, allegedly committed by Libyan agents. As the ICC Prosecutor explained to the UN Security Council in her statement of 8 May 2017, the investigation also concerns “serious and widespread crimes against migrants attempting to transit through Libya.” Fatou Bensouda labels Libya as a “marketplace for the trafficking of human beings.” As she says, “thousands of vulnerable migrants, including women and children, are being held in detention centres across Libya in often inhumane condition.” The findings are corroborated by the UN Support Mission in Libya (UNMSIL) and the Panel of Experts established pursuant to Resolution 1973 (2011). Both report on the atrocities to which migrants are subjected, not only by armed militias, smugglers and traffickers, but also by the new Libyan Coast Guard and the Department for Combatting Illegal Migration of the UN-backed Al Sarraj’s Government of National Accord – established with EU and Italian support.

      https://www.ejiltalk.org/time-to-investigate-european-agents-for-crimes-against-migrants-in-libya

    • UN report details scale and horror of detention in Libya

      Armed groups in Libya, including those affiliated with the State, hold thousands of people in prolonged arbitrary and unlawful detention, and submit them to torture and other human rights violations and abuses, according to a UN report published on Tuesday.

      “Men, women and children across Libya are arbitrarily detained or unlawfully deprived of their liberty based on their tribal or family links and perceived political affiliations,” the report by the UN Human Rights Office says. “Victims have little or no recourse to judicial remedy or reparations, while members of armed groups enjoy total impunity.”

      “This report lays bare not only the appalling abuses and violations experienced by Libyans deprived of their liberty, but the sheer horror and arbitrariness of such detentions, both for the victims and their families,” said UN High Commissioner for Human Rights Zeid Ra’ad Al Hussein. “These violations and abuses need to stop – and those responsible for such crimes should be held fully to account.”

      Since renewed hostilities broke out in 2014, armed groups on all sides have rounded up suspected opponents, critics, activists, medical professionals, journalists and politicians, the report says. Hostage-taking for prisoner exchanges or ransom is also common. Those detained arbitrarily or unlawfully also include people held in relation to the 2011 armed conflict - many without charge, trial or sentence for over six years.

      The report, published in cooperation with the UN Support Mission in Libya (UNSMIL), summarizes the main human rights concerns regarding detention in Libya since the signing of the Libyan Political Agreement (LPA) on 17 December 2015 until 1 January 2018. The implementation of provisions in the LPA to address the situation of people detained arbitrarily for prolonged periods of time has stalled, it notes.

      “Rather than reining in armed groups and integrating their members under State command and control structures, successive Libyan governments have increasingly relied on them for law enforcement, including arrests and detention; paid them salaries; and provided them with equipment and uniforms,” the report says. As a result, their power has grown unchecked and they have remained free of effective government oversight.

      Some 6,500 people were estimated to be held in official prisons overseen by the Judicial Police of the Ministry of Justice, as of October 2017. There are no available statistics for facilities nominally under the Ministries of Interior and Defence, nor for those run directly by armed groups.

      “These facilities are notorious for endemic torture and other human rights violations or abuses,” the report says. For example, the detention facility at Mitiga airbase in Tripoli holds an estimated 2,600 men, women and children, most without access to judicial authorities. In Kuweifiya prison, the largest detention facility in eastern Libya, some 1,800 people are believed to be held.

      Armed groups routinely deny people any contact with the outside world when they are first detained. “Distraught families search for their detained family members, travel to known detention facilities, plead for the help of acquaintances with connections to armed groups, security or intelligence bodies, and exchange information with other families of detainees or missing persons,” the report highlights.

      There have also been consistent allegations of deaths in custody. The bodies of hundreds of individuals taken and held by armed groups have been uncovered in streets, hospitals, and rubbish dumps, many with bound limbs and marks of torture and gunshot wounds.

      “The widespread prolonged arbitrary and unlawful detention and endemic human rights abuses in custody in Libya require urgent action by the Libyan authorities, with support from the international community,” the report says. Such action needs to provide redress to victims and their families, and to prevent the repetition of such crimes.

      “As a first step, the State and non-State actors that effectively control territory and exercise government-like functions must release those detained arbitrarily or otherwise unlawfully deprived of their liberty. All those lawfully detained must be transferred to official prisons under effective and exclusive State control,” it says.

      The report calls on the authorities to publicly and unequivocally condemn torture, ill-treatment and summary executions of those detained, and ensure accountability for such crimes.

      “Failure to act will not only inflict additional suffering on thousands of detainees and their families and lead to further loss of life. It will also be detrimental to any stabilization, peacebuilding and reconciliation efforts,” it concludes.

      http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=22931&LangID=E

      Lien vers le #rapport du #OHCHR :


      http://www.ohchr.org/Documents/Countries/LY/AbuseBehindBarsArbitraryUnlawful_EN.pdf
      #détention_arbitraire #torture #décès #morts #détention

    • L’inferno libico nelle poesie di #Segen

      #Tesfalidet_Tesfom è il vero nome del migrante eritreo morto il giorno dopo il suo sbarco a Pozzallo del 12 marzo dalla nave Proactiva della ong spagnola Open Arms. Dopo aver lottato tra la vita e la morte all’ospedale maggiore di Modica nel suo portafogli sono state ritrovate delle bellissime e strazianti poesie. In esclusiva su Vita.it la sua storia e le sue poesie


      http://www.vita.it/it/story/2018/04/10/linferno-libico-nelle-poesie-di-segen/210
      #poésie

      Les poésies de Segen :

      Non ti allarmare fratello mio
      Non ti allarmare fratello mio,
dimmi, non sono forse tuo fratello?

      Perché non chiedi notizie di me?
      
È davvero così bello vivere da soli,

      se dimentichi tuo fratello al momento del bisogno?
      Cerco vostre notizie e mi sento soffocare
      
non riesco a fare neanche chiamate perse,

      chiedo aiuto,
      
la vita con i suoi problemi provvisori
      
mi pesa troppo.
      Ti prego fratello, prova a comprendermi,
      
chiedo a te perché sei mio fratello,
      
ti prego aiutami,
      
perché non chiedi notizie di me, non sono forse tuo fratello?
      Nessuno mi aiuta,
      
e neanche mi consola,

      si può essere provati dalla difficoltà,
      
ma dimenticarsi del proprio fratello non fa onore,
      
il tempo vola con i suoi rimpianti,

      io non ti odio,

      ma è sempre meglio avere un fratello.
      No, non dirmi che hai scelto la solitudine,

      se esisti e perché ci sei
 con le tue false promesse,

      mentre io ti cerco sempre,
      saresti stato così crudele se fossimo stati figli dello stesso sangue?
      

Ora non ho nulla,
      
perché in questa vita nulla ho trovato,

      se porto pazienza non significa che sono sazio
      
perché chiunque avrà la sua ricompensa,
      
io e te fratello ne usciremo vittoriosi 
affidandoci a Dio.

      Tempo sei maestro
      Tempo sei maestro
      per chi ti ama e per chi ti è nemico,
      sai distiunguere il bene dal male,
      chi ti rispetta
      e chi non ti dà valore.
      Senza stancarti mi rendi forte,
      mi insegni il coraggio,
      quante salite e discese abbiamo affrontato,
      hai conquistato la vittoria
      ne hai fatto un capolavoro.
      Sei come un libro, l’archivio infinito del passato
      solo tu dirai chi aveva ragione e chi torto,
      perché conosci i caratteri di ognuno,
      chi sono i furbi, chi trama alle tue spalle,
      chi cerca una scusa,
      pensando che tu non li conosci.
      Vorrei dirti ciò che non rende l’uomo
      un uomo
      finché si sta insieme tutto va bene,
      ti dice di essere il tuo compagno d’infanzia
      ma nel momento del bisogno ti tradisce.
      Ogni giorno che passa, gli errori dell’uomo sono sempre di più,
      lontani dalla Pace,
      presi da Satana,
      esseri umani che non provano pietà
      o un po’ di pena,
      perché rinnegano la Pace
      e hanno scelto il male.
      Si considerano superiori, fanno finta di non sentire,
      gli piace soltanto apparire agli occhi del mondo.
      Quando ti avvicini per chiedere aiuto
      non ottieni nulla da loro,
      non provano neanche un minimo dispiacere,
      però gente mia, miei fratelli,
      una sola cosa posso dirvi:
      nulla è irragiungibile,
      sia che si ha tanto o niente,
      tutto si può risolvere
      con la fede in Dio.
      Ciao, ciao
      Vittoria agli oppressi

    • Vidéo : des migrants échappent à l’enfer libyen en lançant un appel sur #WhatsApp

      Un groupe de migrants nigérians enfermés dans un centre de détention à #Zaouïa, en Libye, est parvenu à filmer une vidéo montrant leurs conditions de vie et appelant à l’aide leur gouvernement en juillet 2018. Envoyée à un ami sur WhatsApp, elle est devenue virale et a été transmise aux Observateurs de France 24. L’organisation internationale pour les migrations a ensuite pu organiser un vol pour les rapatrier au Nigéria. Aujourd’hui sains et saufs, ils racontent ce qu’ils ont vécu.


      http://observers.france24.com/fr/20180928-libye-nigeria-migrants-appel-whatsapp-secours-oim-video
      #réseaux_sociaux #téléphone_portable #smartphone

      Commentaire de Emmanuel Blanchard via la mailing-list Migreurop :

      Au-delà du caractère exceptionnel et « spectaculaire » de cette vidéo, l’article montre bien en creux que les Etats européens et l’#OIM cautionnent et financent de véritables #geôles, sinon des centre de tortures. Le #centre_de_détention #Al_Nasr n’est en effet pas une de ces prisons clandestines tenues par des trafiquant d’êtres humains. Si les institutions et le droit ont un sens en Libye, ce centre est en effet « chapeauté par le gouvernement d’entente nationale libyen – soutenu par l’Occident – via son service de combat contre l’immigration illégale (#DCIM) ». L’OIM y effectue d’ailleurs régulièrement des actions humanitaires et semble y organiser des opérations de retour, telles qu’elles sont préconisées par les Etats européens voulant rendre hermétiques leurs frontières sud.
      Quant au DCIM, je ne sais pas si son budget est précisément connu mais il ne serait pas étonnant qu’il soit abondé par des fonds (d’Etats) européens.

      #IOM

    • ’He died two times’: African migrants face death in Libyan detention centres

      Most of those held in indefinite detention were intercepted in the Mediterranean by EU-funded Libyan coastguard.

      Four young refugees have died in Libya’s Zintan migrant detention centre since mid-September, according to other detainees, who say extremely poor conditions, including a lack of food and medical treatment, led to the deaths.

      The fatalities included a 22-year-old Eritrean man, who died last weekend, according to two people who knew him.

      Most of the refugees detained in centres run by Libya’s #Department_for-Combatting_Illegal_Immigration (#DCIM) were returned to Libya by the EU-backed coastguard, after trying to reach Europe this year.

      The centre in #Zintan, 180 km southwest of Tripoli, was one of the locations the UN Refugee Agency (UNHCR) moved refugees and migrants to after clashes broke out in the capital in August. Nearly 1,400 refugees and migrants were being held there in mid-September, according to UNHCR.

      “At this detention centre, we are almost forgotten,” detainee there said on Wednesday.

      Other aid organisations, including Medecins Sans Frontieres (MSF), criticised the decision to move detainees out of Tripoli at the time.

      “Transferring detainees from one detention centre to another within the same conflict zone cannot be described as an evacuation and it is certainly not a solution,” MSF Libya head of mission Ibrahim Younis said. “The resources and mechanisms exist to bring these people to third countries where their claims for asylum or repatriation can be duly processed. That’s what needs to happen right now, without delay. This is about saving lives.”

      UNHCR couldn’t confirm the reports, but Special Envoy for the Central Mediterranean, Vincent Cochetel, said: “I am saddened by the news of the alleged death of migrants and refugees in detention. Renewed efforts must be made by the Libyan authorities to provide alternatives to detention, to ensure that people are not detained arbitrarily and benefit from the legal safeguards and standards of treatment contained in the Libyan legislation and relevant international instruments Libya is party to.”

      The International Organisation for Migration (IOM), which also works in Libya, did not respond to a request for confirmation or comment. DCIM was not reachable.

      Tens of thousands of refugees and migrants have been locked in indefinite detention by Libyan authorities since Italy and Libya entered into a deal in February 2017, aimed at stopping Africans from reaching Europe across the Mediterranean.

      People in the centres are consistently deprived of food and water, according to more than a dozen detainees in touch with The National from centres across Tripoli. One centre holding more than 200 people has gone the last eight days without food, according to a man being held there.

      Sanitation facilities are poor and severe overcrowding is common. Though the majority of detainees are teenagers or in their twenties, many suffer from ongoing health problems caused or exacerbated by the conditions.

      Aid agencies and researchers in Libya say the lack of a centralised registration system for detainees makes it impossible to track the number of deaths that are happening across “official” Libyan detention centres.

      Earlier this month, a man in his twenties died in Triq al Sikka detention centre in Tripoli, Libya, from an illness that was either caused or exacerbated by the harsh conditions in the centre, as well as a lack of medical attention, according to two fellow detainees.

      One detainee in Triq al Sikka told The National that six others have died there this year, two after being taken to hospital and the rest inside the centre. Four were Eritrean, and three, including a woman, were from Somalia.

      Another former detainee from the same centre told The National he believes the death toll is much higher than that. Earlier this year, the Eritrean man said he tried to tell a UNHCR staff member about the deaths through the bars of the cell he was being held in, but he wasn’t sure if she was listening. The National received no response after contacting the staff member he named.


      https://www.thenational.ae/world/mena/he-died-two-times-african-migrants-face-death-in-libyan-detention-centre

    • Migranti torturati, violentati e lasciati morire in un centro di detenzione della polizia in Libia, tre fermi a Messina

      A riconoscere e denunciare i carcerieri sono state alcune delle vittime, arrivate in Italia con la nave Alex di Mediterranea. Per la prima volta viene contestato il reato di tortura. Patronaggio: «Crimini contro l’umanità, agire a livello internazionale». Gli orrori a #Zawiya, in una struttura ufficiale gestita dalle forze dell’ordine di Tripoli

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/09/16/news/migranti_torture_sui_profughi_in_libia_tre_fermi_a_messina-236123857
      #crimes_contre_l'humanité #viols #justice

    • Torture, rape and murder: inside Tripoli’s refugee detention camps

      Europe poured in aid to help migrants in Libya – but for thousands, life is still hellish and many prefer to risk staying on the streets

      Men press anxious faces against the chicken-wire fence of Triq-al-Sikka migrant detention camp in downtown Tripoli as I enter. “Welcome to hell,” says a Moroccan man, without a smile.

      Triq-al-Sikka is home to 300 men penned into nightmare conditions. Several who are sick lie motionless on dirty mattresses in the yard, left to die or recover in their own time. Three of the six toilets are blocked with sewage, and for many detainees, escape is out of the question as they have no shoes.

      It wasn’t supposed to be this way. After reports of torture and abuse in detention centres, and wanting to stop the flow of people across the Mediterranean, the European Union has since 2016 poured more than £110m into improving conditions for migrants in Libya. But things are now worse than before.

      Among the inmates is Mohammed, from Ghana. In July, he survived an air strike on another centre, in Tajoura on the capital’s south-western outskirts, that killed 53 of his fellow migrants. After surviving on the streets, last month he got a place on a rickety smuggler boat heading for Europe. But it was intercepted by the coastguard. Mohammed fell into the sea and was brought back to this camp. His blue jumper is still stained by sea salt. He is desperate to get word to his wife. “The last time we spoke was the night I tried to cross the sea,” he says. “The soldiers took my money and phone. My wife does not know where I am, whether I am alive or dead.”

      Triq-al-Sikka’s conditions are harsh, but other centres are worse. Inmates tell of camps where militias storm in at night, dragging migrants away to be ransomed back to their families. Tens of thousands of migrants are spread across this city, many sleeping in the streets. Dozens bed down each night under the arches of the city centre’s freeway. Since April, in a sharp escalation of the civil war, eastern warlord Khalifa Haftar has been trying to batter his way into the city in fighting that has left more than 1,000 dead and left tens of thousands of citizens homeless.

      Libya has known nothing but chaos since the 2011 revolution that overthrew Muammar Gaddafi. In 2014, a multi-sided civil war broke out. Taking advantage of this chaos, smugglers transformed Libya into a hub for migrants from three continents trying to reach Europe. But after more than half a million arrivals, European governments have tightened the rules.

      This clampdown is obvious at the gates of a nondescript fenced compound holding white shipping containers in the city centre. It is the UN’s refugee Gathering and Departure Facility, nicknamed Hotel GDF by the migrants. From here, a select few who qualify for asylum get flights via Niger and Rwanda to Europe. But there are 45,000 registered migrants, and in the past year only 2,300 seats on flights for migrants – which have now stopped altogether, with Europe offering no more places. Yet dozens line up outside each day hoping for that magical plane ticket.

      Among those clustered at the fence is Nafisa Saed Musa, 44, who has been a refugee for more than half her life: In 2003, her village in Sudan’s Darfur region was burned down. Her husband and two of her three sons were killed and she fled. After years spent in a series of African refugee camps with her son Abdullah, 27, she joined last year with 14 other Sudanese families, pooling their money, and headed for Libya.

      In southern Libya, Abdullah was arrested by a militia who demanded 5,000 dinars (£2,700) to release him. It took two months to raise the cash, and Abdullah shows marks of torture inflicted on him, some with a branding iron, some with cigarettes. They all left a charity shelter after local residents complained about the presence of migrants, and now Nafisa and her son sleep on the street on dirty mattresses, scrounging cardboard to protect from the autumnal rains, across the street from Hotel GDF. “I have only one dream: a dignified life. I dream of Europe for my son.”

      Nearby is Namia, from Sudan, cradling her six-month-old baby daughter, clad in a pink and white babygrow. Her husband was kidnapped by a militia in February and never seen again and she makes frequent trips here asking the UN to look for him. “I hope he is in a detention centre, I hope he is alive.”

      Last week, 200 migrants, kicked out of a detention camp in the south of Tripoli, marched on Hotel GDF and forced their way inside, joining 800 already camped there, in a base designed to hold a maximum of 600.

      The UN High Commissioner for Refugees, which administers the centre, says it has no more flights, unless outside states offer asylum places: “We cannot reinforce the asylum systems there because it is a country at war,” says UNHCR official Filippo Grandi.

      Meanwhile, escape by sea is being closed off, thanks to a controversial deal Italy made with Libya two years ago, in which Rome has paid €90m to train the coastguard. The deal has drastically cut arrivals in Italy from 181,000 in 2016 to 9,300 so far this year, with the coastguard intercepting most smuggling craft and sending migrants on board to detention camps.

      “We have collected testimonies of torture, rape and murder in detention camps,” says Oxfam’s Paolo Pezzati. “The agreement the Italian government signed with Libya in February 2017 has allowed these untold violations.”

      Rome has faced criticism because among the coastguard leaders whose units it funds is Abd al-Rahman Milad, despite his being accused by the UN of being involved in sinking migrant boats and collaborating with people-smugglers. Tripoli says it issued an arrest warrant against him in April, but this is news to Milad. Bearded, well-built and uniformed, he tells me he is back at work and is innocent: “I have nothing to do with trafficking, I am one of the best coastguards in Libya.”

      For migrants and Libyans alike, the outside world’s attitude is a puzzle: it sends aid and scolds Libya for mistreatment, yet offers no way out for migrants. “You see [UN officials] on television, shouting that they no longer want to see people die at sea. I wonder what is the difference between seeing them dying in the sea and letting them die in the middle of a street?” says Libyan Red Crescent worker Assad al-Jafeer, who tours the streets offering aid to migrants. “The men risk being kidnapped and forced to fight by militias, the women risk being taken away and sexually abused.”

      Recent weeks have seen nightly bombing in an air war waged with drones. Women, fearing rape, often sleep on the streets close to police stations for safety, but this brings new danger. “They think 50 metres from a police base is close enough to protect themselves,” says al-Jafeer. “But they are the first targets to be bombed.”

      Interior ministry official Mabrouk Abdelahfid was appointed six months ago and tasked with closing or improving detention centres, but admits reform is slow. He says many camps are outside government control and that the UN has provided no alternative housing for migrants when camps close: “We have already closed three [detention] centres. We believe that in the nine centres under our formal control there are more or less 6,000 people.”

      A common theme among migrants here is a crushing sense of being unwanted and of no value, seen even by aid agencies as an inconvenience. For now, migrants can only endure, with no end in sight for the war. Haftar and Tripoli’s defenders continue slugging it out along a front line snaking through the southern suburbs and few diplomats expect a breakthrough at peace talks being hosted in Berlin later this month.

      Outside Hotel GDF, dusk signals the end of another day with no news of flights and the migrants trudge away to sleep on the streets. To the south, the flashes from the night’s bombardment light up the sky.

      https://www.theguardian.com/world/2019/nov/03/libya-migrants-tripoli-refugees-detention-camps?CMP=share_btn_tw

    • Torture nei campi di detenzione: le nuove immagini choc

      Donna appesa a testa in giù e presa a bastonate: le cronache dell’orrore dal lager di #Bani_Walid, in Libia. Sei morti in due mesi. Spuntano i nomi degli schiavisti: «Ci stuprano e ci uccidono»

      Una giovane eritrea appesa a testa in giù urla mentre viene bastonata ripetutamente nella «#black_room», la sala delle torture presente in molti centri libici per migranti. Il video choc - di cui riportiamo solo alcuni fermo immagine - è stato spedito via smartphone ai familiari della sventurata che devono trovare i soldi per riscattarla e salvarle la vita.
      È quello che accade a Bani Walid, centro di detenzione informale, in mano alle milizie libiche. Ma anche nei centri ufficiali di detenzione, dove i detenuti sono sotto la «protezione» delle autorità di Tripoli pagata dall’Ue e dall’Italia: la situazione sta precipitando con cibo scarso, nessuna assistenza medica, corruzione. In Libia l’Unhcr ha registrato 40mila rifugiati e richiedenti asilo, 6mila dei quali sono rinchiusi nel sistema formato dai 12 centri di detenzione ufficiali, il resto in centri come Bani Walid o in strada. In tutto, stima il «Global detention project», vi sarebbero 33 galere. Vi sono anche detenuti soprattutto africani non registrati la cui stima è impossibile.

      La vita della ragazza del Corno d’Africa appesa, lo abbiamo scritto sette giorni fa, vale 12.500 dollari. Ma nessuno interviene e continuano le cronache dell’orrore da Bani Walid, unanimente considerato il più crudele luogo di tortura della Libia. Un altro detenuto eritreo è morto qui negli ultimi giorni per le torture inferte con bastone, coltello e scariche elettriche perché non poteva pagare. In tutto fanno sei morti in due mesi. Stavolta non siamo riusciti a conoscere le sue generalità e a dargli almeno dignità nella morte. Quando si apre la connessione con l’inferno vicino a noi, arrivano sullo smartphone con il ronzio di un messaggio foto disumane e disperate richieste di aiuto, parole di angoscia e terrore che in Italia e nella Ue abbiamo ignorato girando la testa o incolpando addirittura le vittime.

      «Mangiamo un pane al giorno e uno alla sera, beviamo un bicchiere d’acqua sporca a testa. Non ci sono bagni», scrive uno di loro in un inglese stentato. «Fate in fretta, aiutateci, siamo allo stremo», prosegue. Il gruppo dei 66 prigionieri eritrei che da oltre due mesi è nelle mani dei trafficanti libici si è ridotto a 60 persone stipate nel gruppo di capannoni che formano il mega centro di detenzione in campagna nel quartiere di Tasni al Harbi, alla periferia della città della tribù dei Warfalla, situata nel distretto di Misurata, circa 150 chilometri a sud-est di Tripoli. Lager di proprietà dei trafficanti, inaccessibile all’Unhcr in un crocevia delle rotte migratorie da sud (Sebha) ed est (Kufra) per raggiungere la costa, dove quasi tutti i migranti in Libia si sono fermati e hanno pagato un riscatto per imbarcarsi. Lo conferma lo studio sulla politica economica dei centri di detenzione in Libia commissionato dall’Ue e condotto da «Global Initiative against transnational organized crime» con l’unico mezzo per ora disponibile, le testimonianze dei migranti arrivati in Europa.

      I sequestratori, ci hanno più volte confermato i rifugiati di Eritrea democratica contattati per primi dai connazionali prigionieri, li hanno comperati dal trafficante eritreo Abuselam «Ferensawi», il francese, uno dei maggiori mercanti di carne umana in Libia oggi sparito probabilmente in Qatar per godersi i proventi dei suoi crimini. Bani Walid, in base alle testimonianze raccolte anche dall’avvocato italiano stanziato a Londra Giulia Tranchina, è un grande serbatoio di carne umana proveniente da ogni parte dell’Africa, dove i prigionieri vengono separati per nazionalità. Il prezzo del riscatto varia per provenienza e sta salendo in vista del conflitto. Gli africani del Corno valgono di più per i trafficanti perché somali ed eritrei hanno spesso parenti in occidente che sentono molto i vincoli familiari e pagano. Tre mesi fa, i prigionieri eritrei valevano 10mila dollari, oggi 2.500 dollari in più perché alla borsa della morte la quotazione di chi fugge e viene catturato o di chi prolunga la permanenza per insolvenza e viene più volte rivenduto, sale. Il pagamento va effettuato via money transfer in Sudan o in Egitto.

      Dunque quello che accade in questo bazar di esseri umani è noto alle autorità libiche, ai governi europei e all’Unhcr. Ma nessuno può o vuole fare niente. Secondo le testimonianze di alcuni prigionieri addirittura i poliziotti libici in divisa entrano in alcune costruzioni a comprare detenuti africani per farli lavorare nei campi o nei cantieri come schiavi.
      «Le otto ragazze che sono con noi – prosegue il messaggio inviato dall’inferno da uno dei 60 prigionieri eritrei – vengono picchiate e violentate. Noi non usciamo per lavorare. I carcerieri sono tre e sono libici. Il capo si chiama Hamza, l’altro si chiama Ashetaol e del terzo conosciamo solo il soprannome: Satana». Da altre testimonianze risulta che il boia sia in realtà egiziano e abbia anche un altro nome, Abdellah. Avrebbe assassinato molti detenuti.

      Ma anche nei centri di detenzione pubblici in Libia, la situazione resta perlomeno difficile. Persino nel centro Gdf di Tripoli dell’Acnur per i migranti in fase di ricollocamento gestito dal Ministero dell’Interno libico e dal partner LibAid dove i migranti lasciati liberi da altri centri per le strade della capitale libica a dicembre hanno provato invano a chiedere cibo e rifugio. Il 31 dicembre l’Associated Press ha denunciato con un’inchiesta che almeno sette milioni di euro stanziati dall’Ue per la sicurezza, sono stati intascati dal capo di una milizia e vice direttore del dipartimento libico per il contrasto all’immigrazione. Si tratta di Mohammed Kachlaf, boss del famigerato Abd Al-Rahman Al-Milad detto Bija, che avrebbe accompagnato in Italia nel viaggio documentato da Nello Scavo su Avvenire. È finito sulla lista nera dei trafficanti del consiglio di sicurezza Onu che in effetti gli ha congelato i conti.

      Ma non è servito a nulla. L’agenzia ha scoperto che metà dei dipendenti di LibAid sono prestanome a libro paga delle milizie e dei 50 dinari (35 dollari) al giorno stanziati dall’Unhcr per forniture di cibo a ciascun migrante, ne venivano spesi solamente 2 dinari mentre i pasti cucinati venìvano redistribuiti tra le guardie o immessi nel mercato nero. Secondo l’inchiesta i danari inoltre venivano erogati a società di subappalto libiche gestite dai miliziani con conti correnti in Tunisia, dove venivano cambiati in valuta locale e riciclati. Una email interna dell’agenzia delle Nazioni Unite rivela come tutti ne fossero al corrente, ma non potessero intervenire. L’Acnur ha detto di aver eliminato dal primo gennaio il sistema dei subappalti.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/torture-libia