• Dimenticati ai confini d’Europa

    L’obiettivo della ricerca è dare voce alle esperienze dei migranti e dei rifugiati, per rendere chiaro il nesso tra quello che hanno vissuto e le politiche europee che i governi hanno adottato.
    Il report si basa su 117 interviste qualitative realizzate nell’enclave spagnola di Melilla, in Sicilia, a Malta, in Grecia, in Romania, in Croazia e in Serbia. Ciò che emerge chiaramente è che il momento dell’ingresso in Europa, sia che esso avvenga attraverso il mare o attraverso una foresta sul confine terrestre, non è che un frammento di un viaggio molto più lungo ed estremamente traumatico. Le rotte che dall’Africa occidentale e orientale portano fino alla Libia sono notoriamente pericolose, specialmente per le donne, spesso vittime di abusi sessuali o costrette a prostituirsi per pagare i trafficanti.

    Il report mostra che alle frontiere dell’Unione Europea, e talora anche a quelle interne, c’è una vera e propria emergenza dal punto di vista della tutela dei diritti umani. L’assenza di vie legali di accesso per le persone bisognose di protezione le costringe ad affidarsi ai trafficanti su rotte che si fanno sempre più lunghe e pericolose. I tentativi dell’UE e degli Stati Membri di chiudere le principali rotte non proteggono la vita delle persone, come a volte si sostiene, ma nella maggior parte dei casi riescono a far sì che la loro sofferenza abbia sempre meno testimoni.


    http://centroastalli.it/dimenticati-ai-confini-deuropa-2
    #Europe #frontières #asile #migrations #droits_humains #rapport #réfugiés #Sicile #Italie #Malte #Grèce #Roumanie #Croatie #Serbie #UE #EU #femmes #Libye #violence #violences_sexuelles #parcours_migratoires #abus_sexuels #viol #prostitution #voies_légales #invisibilisation #invisibilité #fermeture_des_frontières #refoulement #push-back #violent_borders #Dublin #règlement_dublin #accès_aux_droits #accueil #détention #mouvements_secondaires

    Pour télécharger le rapport :
    https://drive.google.com/file/d/1TT9vefCRv2SEqbfsaEyucSIle5U1dNxh/view

    ping @isskein

    • Migranti, il Centro Astalli: “È emergenza diritti umani alle frontiere d’Europa”

      Assenza di vie di accesso legale ai migranti forzati, respingimenti arbitrari, detenzioni, impossibilità di accedere al diritto d’asilo: è il quadro disegnato da una nuova ricerca della sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati.

      S’intitola “Dimenticati ai confini d’Europa” il report messo a punto dal Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, che descrive, attraverso le storie dei rifugiati, le sempre più numerose violazioni di diritti fondamentali che si susseguono lungo le frontiere di diversi Paesi europei. La ricerca, presentata oggi a Roma, si basa su 117 interviste qualitative realizzate nell’enclave spagnola di Melilla, in Sicilia, a Malta, in Grecia, in Romania, in Croazia e in Serbia.

      Il report, si spiega nella ricerca, «mostra che alle frontiere dell’Unione europea, e talora anche a quelle interne, c’è una vera e propria emergenza dal punto di vista della tutela dei diritti umani». Secondo padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, la ricerca mette bene in luce come l’incapacità di gestire il fenomeno migratorio solitamente attribuita all’Ue, nasca anche dalla «volontà di tanti singoli Stati che non vogliono assumersi le proprie responsabilità» di fronte all’arrivo di persone bisognose di protezione alle loro frontiere, al contrario è necessario che l’Europa torni ad essere «il continente dei diritti, non dobbiamo perdere il senso della nostra umanità». «Si tratta di una sfida importante - ha detto Ripamonti - anche in vista delle prossime elezioni europee».

      A sua volta, padre Jose Ignacio Garcia, direttore del Jesuit Refugee Service Europa, ha rilevato come «gli Stati membri dell’Ue continuano ad investire le loro energie e risorse nel cercare di impedire a migranti e rifugiati di raggiungere l’Europa o, nel migliore dei casi, vorrebbero confinarli in ‘centri controllati’ ai confini esterni». «La riforma della legislazione comune in materia d’asilo, molto probabilmente – ha aggiunto - non verrà realizzata prima delle prossime elezioni europee. I politici europei sembrano pensare che se impediamo ai rifugiati di raggiungere le nostre coste, non abbiamo bisogno di un sistema comune d’asilo in Europa».

      La fotografia delle frontiere europee che esce dalla ricerca è inquietante: violazioni di ogni sorta, violenze, detenzioni arbitrarie, respingimenti disumani, aggiramento delle leggi dei singoli Paesi e del diritto internazionale. Un quadro fosco che ha pesanti ricadute sulla vita dei rifugiati già provati da difficoltà a soprusi subiti nel lungo viaggio. «Il Greek Council for Refugees – spiega la ricerca - ha denunciato, nel febbraio del 2018, un numero rilevante di casi di respingimenti illegali dalla regione del fiume Evros, al confine terrestre con la Turchia. Secondo questa organizzazione, migranti vulnerabili come donne incinte, famiglie con bambini e vittime di tortura sono stati forzatamente rimandati in Turchia, stipati in sovraffollate barche attraverso il fiume Evros, dopo essere stati arbitrariamente detenuti in stazioni di polizia in condizioni igieniche precarie». Secondo le testimonianze raccolte in Croazia e Serbia, diversi sono stati gli episodi di violenze fisiche contro rifugiati e di respingimenti immediati da parte della polizia di frontiera.

      E in effetti nel nuovo rapporto del Centro Astalli, più dei soli dati numerici e dei carenti quadri normativi ben descritti, a colpire sono i racconti degli intervistati lungo le diverse frontiere d’Europa. Un ragazzo marocchino, in Sicilia, per esempio ha raccontato «di come i trafficanti gli abbiano rubato i soldi e il cellulare e lo abbiamo tenuto prigioniero in un edificio vuoto con altre centinaia di persone per mesi». «Durante il viaggio – è ancora la sua storia – i trafficanti corrompevano gli ufficiali di polizia e trattavano brutalmente i migranti». Nel corso di un tentativo di attraversamento del Mediterraneo ricorda poi di aver sentito un trafficante dire a un altro: «Qualsiasi cosa succeda non mi interessa, li puoi anche lasciar morire».

      Ancora, una ragazza somala di 19 anni, arrivata incinta in Libia, ha raccontato di come il trafficante la minacciasse di toglierle il bambino appena nato e venderlo perché non aveva la cifra richiesta per la traversata. Alla fine il trafficante ha costretto tutti i suoi compagni di viaggio a pagare per lei ma ci sono voluti comunque diversi mesi prima che riuscissero a mettere insieme la somma richiesta. Storie che sembrano provenire da un altro mondo e sono invece cronache quotidiane lungo i confini di diversi Paesi europei.

      Infine, padre Ripamonti, in merito allo sgombero del centro Baobab di Roma che ospitava diverse centinaia di migranti, ha osservato che «la politica degli sgomberi senza alternative è inaccettabile». Il Centro Astalli «esprime inoltre preoccupazione anche per le crescenti difficoltà di accesso alla protezione in Italia: in un momento in cui molti migranti restano intrappolati in Libia in condizioni disumane e il soccorso in mare è meno efficace rispetto al passato, il nostro Paese ha scelto di adottare nuove misure che rendono più difficile la presentazione della domanda di asilo in frontiera, introducono il trattenimento ai fini dell’identificazione, abbassano gli standard dei centri di prima accoglienza».

      https://www.lastampa.it/2018/11/13/vaticaninsider/immigrazione-il-centro-astalli-c-unemergenza-diritti-umani-alle-frontiere-deuropa-v3qbnNIYRSzCCQSfsPFBHM/pagina.html

  • En fait, les nouvelles d’#Italie, font vraiment vraiment vraiment #peur!
    C’est un #cauchmar.
    En Italie, le #fascisme n’est pas en marche... il va au galop!

    Quelques liens, que je mets ici en vrac, juste titre et lien...

    Novara, nel nuovo regolamento di polizia divieti su alcol in vetro, abiti succinti e bici legate ai pali

    https://www.lastampa.it/2018/11/02/novara/novara-nel-nuovo-regolamento-di-polizia-divieti-su-alcol-in-vetro-abiti-succinti-e-bici-legate-ai-pali-SZ2qRWWsy9coUXb6p80yNP/pagina.html

    ’’I bambini stranieri occupano le nostre altalene’’, le parole della nuova consigliera della Lega fanno il giro del web tra ironia e condanne
    https://www.ildolomiti.it/politica/2018/i-bambini-stranieri-occupano-le-nostre-altalene-le-parole-della-nuova-con

    Regione Veneto stanzia 50mila euro: premiate le scuole che fanno il presepe
    https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/veneto/regione-veneto-stanzia-50mila-euro-con-cui-premia-le-scuole-che-far

    Bomba carta e bottiglie molotov contro il centro di accoglienza per migranti
    http://www.riminitoday.it/cronaca/bomba-carta-e-bottiglie-molotov-contro-il-centro-di-accoglienza-per-migr

    Friuli, stretta su case a stranieri: il ’metodo-Lodi’ diventa modello e colpisce anche italiani

    https://video.repubblica.it/cronaca/friuli-stretta-su-case-a-stranieri-il-metodo-lodi-diventa-modello-e-colpisce-anche-italiani/318614/319243?ref=fbpr

    On parle de #méthode_Lodi, voici #Lodi:
    https://seenthis.net/messages/729303

    #fascismo_galoppante #fascisme_ordinaire

    cc @isskein @wizo

  • #Trieste, valico con la Slovenia. Le «riammissioni» dei migranti. Dopo settimane di marcia nei boschi rimandati indietro anche se arrivati su territorio italiano.

    La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

    «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di #Schengen che stabilisce la sua sorte.

    Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

    È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore.

    C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

    Il database nazionale
    In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

    Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa.

    E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).

    Le accuse contro Zagabria
    Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata.

    L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

    https://www.diritti-umani.org/2018/11/trieste-valico-con-la-slovenia-le.html
    #Italie #Slovénie #réadmissions #migrations #asile #réfugiés #frontières #push-back #renvois #expulsions #refoulement #frontière_sud-alpine #Croatie #accord_bilatéral #accords_bilatéraux

    • “Caricati a forza nei furgoni”. Così la polizia italiana riporta i migranti nei Balcani

      Il racconto di due pakistani: «A Trieste ci hanno illuso sulla richiesta d’asilo ma ci hanno rimandati in Slovenia». Poi una nuova odissea fino alla Bosnia. «Le autorità croate ci hanno picchiato e lasciato nei boschi al confine»

      https://www.lastampa.it/2018/11/02/italia/caricati-a-forza-nei-furgoni-cos-la-polizia-italiana-riporta-i-migranti-nei-balcani-K775KFcYpdofE4r0eNJTFI/premium.html

    • Il caso dei migranti riportati in Slovenia. La polizia: “Agiamo seguendo le regole”

      La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

      «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di Schengen che stabilisce la sua sorte.

      Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

      È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore. C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

      Il database nazionale

      In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

      Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa. E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).
      Le accuse contro Zagabria

      Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata. L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

      https://www.lastampa.it/2018/11/03/italia/il-caso-dei-migranti-riportati-in-slovenia-la-polizia-agiamo-seguendo-le-regole-KLb7LoSe5l5uv8XggFl7FN/pagina.html

    • Fingersi minore per sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” in Bosnia non è reato

      Il Tribunale di Trieste ha assolto un giovane del Pakistan che a fine 2020 aveva dichiarato il falso alla polizia per tentare di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo” e di salvarsi dal male ingiusto delle “riammissioni”. “È una sentenza di estrema importanza, un monito per il governo”, spiega l’avvocata Bove.

      Dichiarare falsamente di essere minorenne per tentare di sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” verso la Bosnia ed Erzegovina non è reato. Lo ha riconosciuto il Tribunale ordinario di Trieste a fine novembre 2022 -la sentenza (del giudice Massimo Tomassini) è stata depositata a metà febbraio di quest’anno-, assolvendo un giovane originario del Pakistan per “evidente” stato di necessità. Aveva solamente cercato di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo personale”, al male ingiusto delle riammissioni.

      Le motivazioni del giudice penale, che hanno confermato in pieno la linea difensiva dell’avvocata Caterina Bove (socia Asgi) e accolto la richiesta di assoluzione della Procura, rappresentano un altro duro colpo del diritto alla pratica illegittima delle cosiddette “riammissioni informali”, riattivate dal nostro Paese al confine italo-sloveno tra metà 2020 e inizio 2021 sulla pelle di 1.300 persone. Procedure che il Governo Meloni ha annunciato di voler ripristinare a fine novembre 2022, proprio nei giorni in cui il Tribunale di Trieste, come già aveva fatto quello di Roma nel gennaio 2021, ne demoliva un’altra volta l’impianto.

      Veniamo ai fatti. Il 20 novembre 2020, a riammissioni ancora in vigore, il giovane K. viene fermato da una pattuglia della polizia italiana a Trieste. Identificano lui e le altre due persone con cui si trova. Non hanno i documenti e sono formalmente “irregolari”. È allora che K. dichiara di essere nato nell’agosto 2005 e di aver raggiunto l’Italia dalla Bosnia ed Erzegovina dopo aver attraversato Croazia e Slovenia. Ha già patito più volte la pratica dei respingimenti violenti lungo la rotta balcanica. Racconta il falso in merito all’età perché vuole evitare di essere “riammesso” e picchiato di nuovo, contando sulla “inespellibilità” del minore anche se “irregolare”. Addosso quel giorno gli viene trovato però un documento serbo nel quale è riportato che sarebbe nato nel 1995. Di anni ne avrebbe quindi 25 e non 15 (siamo nel 2020). La polizia italiana non ci pensa due volte e lo respinge in Slovenia: “Alle successive ore 16 -recita il verbale della pattuglia- i tre stranieri venivano quindi riammessi in territorio sloveno come previsto dagli accordi bilaterali esistenti (del 1996, ndr)”. Senza un pezzo di carta in mano, K. passa così dalla Slovenia alla Croazia nel giro di pochissime ore, viene nuovamente “picchiato” e poi finisce in Bosnia ed Erzegovina. Solo mesi dopo riuscirà a tornare in Italia e a presentare la domanda di asilo.

      K. aveva tutte le ragioni per “spacciarsi per minore”, scrive il Tribunale, e quindi sfuggire ai “trattamenti di dubbia umanità e di altrettanto dubbio rispetto di diritti umani minimi”. Non era mosso da “bieca intenzione di trarre in inganno le autorità” e nemmeno voleva porre le basi per “ulteriori condotte criminose”, voleva “solo ed esclusivamente evitare, di fatto, guai molto peggiori qualora ‘rimandato’ al di fuori dell’Italia, e dunque potenzialmente esposto a maltrattamenti al fine di essere nuovamente portato extra Unione europea”.

      Per dar conto della “gravissima” situazione ai confini, dove di fatto “la Croazia è divenuta lo scudo europeo contro la rotta balcanica”, il giudice cita la vasta documentazione portata dall’avvocata Bove e accumulata in questi anni: i report del Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa, del network Protecting rights at borders (Prab), di Human Rights Watch, Amnesty International e Oxfam, del Border violence monitoring network, e anche il lavoro di inchiesta di Altreconomia. Per non parlare del precedente giurisprudenziale che è l’ordinanza del Tribunale di Roma del gennaio 2021, che già aveva messo in fila i punti di contrasto tra i respingimenti informali e la normativa europea, interna e costituzionale (circostanza ben rievocata nel film “Trieste è bella di notte” di Andrea Segre, Stefano Collizzoli e Matteo Calore, realizzato anche con la preziosa collaborazione della rete RiVolti ai Balcani).

      Il giudice di Trieste passa quindi in rassegna le pratiche volte a “rintracciare” e “stanare” i migranti con “droni, termocamere, scanner”: strumenti “impiegati come armi contro persone in movimento”. Il tutto mentre viene “soppressa la tecnologia adoperata dalle persone migranti”, con il “sequestro e distruzione di telefoni cellulari e batterie”. È quindi “indiscutibile che il respingimento informale avrebbe portato K. a dover affrontare una situazione di questo tipo, e cioè una situazione di franco ed innegabile pericolo personale”.

      Le motivazioni si concludono su quello che il Tribunale chiama il “vero punto della questione”, e cioè la strumentalizzazione del Regolamento di Dublino. Anche a parere del giudice, infatti, se anche -ma non lo si può dire con certezza- fosse stata la Croazia il Paese europeo competente all’esame della domanda di asilo di K., di certo il “modo” delle riammissioni informali è incompatibile con le garanzie della cosiddetta “procedura Dublino” per il trasferimento. Inoltre la “vera ed unica destinazione dell’imputato era la Bosnia, non già la Croazia -conclude la sentenza-, ed è tale convinzione che […] dimostra come egli, al momento della dichiarazione attestante le proprie generalità, si trovasse nella necessità, penalmente rilevante quale scriminante, di evitare a sé stesso un grave pericolo, e cioè quello, appunto, di essere respinto in Slovenia, e da lì a catena in Bosnia, nelle maniere dinanzi descritte, pericolo che avrebbe potuto evitare solo ‘spacciandosi’ quale minorenne”.

      Per l’avvocata Caterina Bove questa sentenza è “di estrema importanza perché chiarisce come le pratiche di riammissione e successivo respingimento a catena con esposizione dell’interessato a gravi trattamenti inumani e degradanti, in questo caso a opera delle autorità croate, le cui modalità di azione costituiscono ormai fatto notorio, rappresentano un pericolo concreto di grave danno alla persona, tale da giustificare il comportamento di informare falsamente circa la propria età”. Nel caso di specie, ricorda Bove, K. “aveva chiesto asilo e poi avuto il riconoscimento dello status di rifugiato quando, dopo aver patito nuovamente la violenza della rotta balcanica, è riuscito con le proprie forze a tornare”.
      La portata della sentenza secondo l’avvocata è ampia “perché si estende a tutti coloro i quali, trovandosi in frontiera, rischiano un simile trattamento inumano, con negata consegna di provvedimenti scritti, negata convalida giudiziaria dell’agire delle forze di sicurezza ed esposizione a elevato pericolo per l’incolumità personale. Il giudice penale di Trieste ha evidenziato come la ricostruzione giuridica operata dal Tribunale di Roma circa l’illegittimità di tale pratiche sia del tutto valida, nulla potendo incidere il successivo annullamento di quella ordinanza del 18 gennaio 2021 sulla fondatezza delle argomentazioni giuridiche”.

      È un “chiaro monito” dunque per il ministero dell’Interno e in generale per il governo che ha annunciato, nonostante tutto, la ripresa delle procedure di riammissione al confine orientale. “E più in generale -conclude Bove- è un monito per l’esecuzione di queste procedure di riammissione e respingimento, dirette e indirette, anche alle altre frontiere italiane”.

      https://altreconomia.it/fingersi-minore-per-sfuggire-ai-respingimenti-italiani-a-catena-in-bosn

    • Accordo tra Italia e Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera

      Contesto

      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      Contenuto

      Casi e diritto derivato (applicazione)

      Questioni critiche
      Contesto

      La vicinanza geografica tra Italia e Slovenia ha sicuramente condizionato l’organizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Tuttavia, la storia delle relazioni tra i due paesi può essere rintracciata negli ultimi anni con la Dichiarazione congiunta sullo stabilimento delle relazioni diplomatiche, conclusa a Lubiana il 17/10/1992 ed entrata in vigore lo stesso anno. Da quel momento in poi, le relazioni tra i due stati si sono potute normalizzare con atti come l’accordo bilaterale del 1996 e l’accordo sulla cooperazione transfrontaliera e di polizia del 2011, che mirano a contrastare la criminalità organizzata e i flussi di immigrazione clandestina.

      Questi accordi e, in generale, la storia delle relazioni tra questi due paesi devono essere visti nell’ampio contesto della «rotta balcanica», da anni espressione di una vera e propria tragedia umanitaria con migliaia di migranti che vivono in condizioni precarie, persecuzioni e violenze. Questa rotta rappresenta il viaggio che i migranti devono affrontare, fuggendo dalla guerra o dal regime totalitario in Medio Oriente. Secondo i dati Eurostat, pubblicati dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, tra le richieste di asilo in Europa il biennio 2018/2019, il 32,72% proviene dall’Afghanistan, il 25,91% dal Pakistan, l’8,03% dalla Siria, il 6,56% dall’Iraq e infine il 4,61% dall’Iran.

      Dopo un estenuante viaggio, i richiedenti asilo vengono respinti dalle autorità pubbliche italiane presenti alla frontiera di Trieste verso la Slovenia, da dove vengono rimandati in Croazia e successivamente in Bosnia. In particolare, i principali luoghi strategici del traffico migratorio sono Tuzla e Sarajevo, che rappresentano due punti di transito per chi arriva da Serbia e Montenegro. Bihać e Velika Kladuša, invece, sono diventati due hotspot per le persone che aspettano di attraversare il territorio dell’Unione Europea. Infatti, molte testimonianze nel merito sono state raccolte soprattutto da ONG internazionali che descrivono la brutalità e le atrocità fisico-psicologiche a cui sono sottoposti i migranti al confine tra Croazia e Bosnia. In particolare, Amnesty International, in un Rapporto del 2019, denuncia la negazione del diritto d’asilo e il mancato rispetto delle garanzie procedurali relative alle espulsioni collettive, nonostante l’esistenza di riscontri pubblici di violenza questi territori. L’UNHCR ha anche pubblicato diversi rapporti che denunciano i comportamenti della polizia alle frontiere dei paesi interessati, spesso consistenti in trattamenti inumani e degradanti come la tortura, la distruzione di proprietà e le percosse. Queste condotte sono state tenute al fine di danneggiare i migranti e spesso persone vulnerabili come i minori, le donne incinte e le persone con disabilità.
      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      L’accordo venne concluso in forma semplificata fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovena. Venne firmato a Roma il 3 settembre 1996, senza fare riferimento ad alcun accordo precedente. L’accordo è ’auto-legittimato’.

      L’obiettivo è combattare l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani, controllare i confini italo-sloveni, regolamentare la riammissione di richiedenti asilo nei rispettivi territori, attraverso disposizioni volte al supporto della riammissione in tutto il territorio dei due Stati dei cittadini di una delle due Parti o provenienti da Stati terzi.
      Contenuto

      Articolo 1: L’Italia e la Slovenia prevedono la riammissione nel proprio territorio - su richiesta dell’altra Parte - di tutte le persone che non soddisfano, o non soddisfano più, gli obblighi relativi alle condizioni di ingresso o soggiorno nel territorio della Parte contraente richiedente sulla verifica del possesso della cittadinanza della Parte (obbligatoria). Il secondo paragrafo specifica che questa verifica può essere basata su più documenti (carta d’identità, passaporto), anche se sono irregolarmente rilasciati o scaduti (non più di 10 anni fa). Nel terzo paragrafo, la Parte contraente richiedente accetta di nuovo la persona se è provato che la mancanza di possesso della cittadinanza della Parte contraente richiesta una volta fuori dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 2: L’Italia e la Slovenia riammettono sul loro territorio, su richiesta dell’altra parte, i cittadini di un Paese terzo che non hanno, o non hanno più, i requisiti di ingresso o di soggiorno avviati sul territorio della Parte contraente richiedente, una volta accertato che questi cittadini hanno soggiornato o sono transitati sul territorio della Parte richiesta e sono successivamente entrati sul territorio della Parte (contraente) richiedente. Allo stesso modo, l’Italia e la Slovenia riammettono i cittadini del paragrafo precedente sul loro territorio, quando hanno un permesso di soggiorno valido rilasciato dalla parte contraente richiesta.

      Articolo 3: L’obbligo di riammissione previsto dall’articolo precedente non si applica in 5 casi: (a) cittadini di paesi terzi che confinano con la Parte contraente richiedente; (b) cittadini di Stati terzi ai quali la Parte contraente richiedente ha rilasciato un permesso di soggiorno o un visto; (c) cittadini di paesi terzi che rimangono nel territorio della Parte richiedente per più di 6 mesi; (d) i cittadini di Stati terzi ai quali la Parte richiedente ha riconosciuto sia lo status di rifugiato (Convenzione di Ginevra 1951) che quello di apolide (Convenzione di New York 1954); (e) i cittadini di Stati terzi espulsi per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale dalla Parte contraente richiedente verso il loro paese di origine o verso un paese terzo.

      Articolo 4: La Parte richiedente accetta sul suo territorio i cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni - in base al controllo effettuato dall’altra Parte - richieste dagli articoli 2 e 3 in occasione dell’uscita dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 5: Il Ministero degli Affari Interni dei due Stati contraenti si occuperà delle domande di riammissione. La domanda di riammissione deve includere l’identità della persona e i dati personali del cittadino del terzo Stato, del suo soggiorno nel territorio della parte richiesta e delle circostanze del suo ingresso illegale nel territorio della parte richiedente. La parte richiesta deve comunicare la sua decisione per iscritto alla parte richiedente entro otto giorni. L’autorizzazione dopo la ratifica è valida per un mese dalla data della sua notifica.

      Articolo 6: Le autorità di frontiera dello Stato richiesto riammettono senza formalità, su richiesta dello Stato richiedente, i cittadini irregolari di Stati terzi consegnati entro 26 ore dal passaggio o se controllati e trovati irregolari entro dieci chilometri dalla frontiera comune.

      Articolo 7: La parte richiedente deve sostenere le spese di trasporto alla frontiera della parte richiesta delle persone di cui si chiede la riammissione. Se necessario, la parte richiedente si fa carico delle spese di ritorno.

      Articolo 8: Le parti contraenti, previa autorizzazione reciproca, possono permettere il movimento dei cittadini stranieri contro i quali è applicato un ordine di espulsione. I paragrafi seguenti stabiliscono inoltre che la parte richiedente è responsabile del viaggio della persona in questione, di riprenderla in caso di superamento dell’inapplicabilità dell’ordine di allontanamento e di garantire il possesso di un documento di viaggio adeguato da parte dello straniero.

      Articolo 9: La parte contraente che emette il provvedimento di espulsione deve notificare alla parte contraente richiesta la necessità, durante il transito, di fornire una scorta alla persona espulsa attraverso il personale dello Stato richiesto o in collaborazione tra i due paesi.

      Articolo 10: La richiesta di transito, che contiene le informazioni essenziali relative allo straniero e al suo movimento, nonché la garanzia di ammissione nel paese di destinazione, è inviata direttamente dai Ministeri dell’Interno delle parti contraenti.

      Articolo 11: Legittimo il rifiuto del transito per l’allontanamento, che può avvenire: (a) per i rischi di persecuzione presenti e attuali a cui lo straniero sarebbe sottoposto nel paese di destinazione; (b) per i rischi di accuse o condanne penali nel paese di destinazione; (c) per l’inammissibilità dello straniero o per essere sottoposto a procedimenti penali nello Stato richiesto.

      Article 12: Le spese di trasporto alle frontiere dello Stato di destinazione sono a carico del paese firmatario.

      Articolo 13: Persistenza degli obblighi delle parti contraenti che derivano dall’applicazione di altri accordi internazionali.

      Articolo 14: Responsabilità del Ministero degli Affari Interni delle Parti contraenti per la decisione sui luoghi di frontiera in cui sarà concessa la riammissione e il transito delle persone straniere. Responsabilità delle stesse istituzioni anche per quanto riguarda la lista degli aeroporti dove sarà concesso il transito di queste persone.

      Articolo 15: Risoluzione delle possibili controversie generate da questo accordo attraverso i canali diplomatici.

      Disposizioni finali – Article 16: 1. Il presente accordo entra in vigore il primo giorno del secondo mese successivo alla notifica reciproca del completamento di ogni procedura nazionale di approvazione. 2. Può essere denunciato mediante notifiche inviate per via diplomatica, che hanno effetto per novanta giorni dopo la sua entrata in vigore.
      Casi diritto derivato (applicazione)

      Primo precedente giuridico in materia di casi di illegittima espulsione collettiva è il caso Sharifi e altri c. Italia e Grecia (sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 ottobre 2014 - ricorso n. 16643/09), in seguito al quale l’Italia è stata condannata - in virtù dell’accordo bilaterale firmato nel 1999 - dalla CEDU per la riammissione non registrata e non discriminata di individui stranieri verso il territorio ellenico.

      Per quanto riguarda il divieto dei cosiddetti respingimenti a catena, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo consiste in diversi casi: Ilias e Ahmed c. Ungheria, 14 marzo 2017; Sharifi e altri c. Italia e Grecia, 21 ottobre 2014 e Tarakhel c. Svizzera, 4 novembre 2014, casi che hanno portato gli organi legislativi dell’Unione Europea alla decisione di modificare il preesistente Regolamento n. 604/2013 (attuale Regolamento Dublino 3).

      Infine, è da tenere in considerazione l’Ordinanza n. 56420/2020 firmata dal Tribunale di Roma.
      Questioni critiche

      Per quanto riguarda le criticità presenti nel testo dell’accordo bilaterale concluso tra Italia e Slovenia, di cui al testo dell’ordinanza 56420/2020 del Tribunale di Roma, sono rilevanti sia le fonti sovranazionali che quelle di diritto interno. Riguardo a queste ultime, vi è un’incongruenza con l’art. 10 comma 2 della Costituzione italiana, che stabilisce la conformità delle fonti sulla condizione giuridica dello straniero alle norme e ai trattati di diritto internazionale, che alcuni aspetti dell’accordo stentano a raggiungere.

      In secondo luogo, vi è un’ulteriore discrepanza con l’obbligo di preventiva convalida da parte dell’autorità giudiziaria in merito ai provvedimenti di libertà personale in sede di respingimento ed espulsione dello straniero, obbligo delineato dal secondo comma dell’articolo 13 della Costituzione italiana.

      Altra questione costituzionale rilevante è la dubbia legittimità di accordi, come quello in questione, che non siano stati ratificati dalle Camere - nei casi previsti dall’articolo 80 - e dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 87. Data la natura politica di questo accordo concluso in forma semplificata, in questo senso vi è anche una minore centralità del dibattito parlamentare da cui deriva l’assenza di informazione pubblica sull’argomento.

      È necessario ricordare come gli accordi conclusi tra l’Italia e un paese terzo siano espressione della sovranità statale, che tuttavia non deve pregiudicare la garanzia dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Da questo punto di vista, emerge una prima criticità relativa alla tutela dell’effettivo diritto di ricorso, in quanto il respingimento non viene notificato ai diretti interessati, privandoli della possibilità di difendersi in contrasto con la tutela prevista dall’articolo 13 della CEDU e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto di difesa.

      In secondo luogo, la prassi stabilita dall’art. 2 dell’accordo bilaterale è in contrasto con il diritto fondamentale del richiedente di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale (prevista dalla direttiva 2013/31 UE); articolo in base al quale «ciascuna parte contraente si impegna a riammettere nel proprio territorio il cittadino di un paese terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso e soggiorno». L’incongruenza deriva in particolare dal fatto che, come riportato nella citata ordinanza, «il richiedente asilo la cui domanda di protezione internazionale può essere espressa oralmente non può mai essere considerato irregolare sul territorio».

      Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla compatibilità dell’accordo con la tutela del diritto d’asilo. In particolare, secondo quanto dettato dal testo della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal disposto dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, gli Stati membri dovranno verificare individualmente la domanda compilata dal richiedente asilo e informare i soggetti coinvolti dell’esistenza di questa procedura. Sulla stessa nota, il Ministero dell’Interno ha dichiarato che in presenza di una richiesta di riammissione non è necessario inviare alla questura questa formalizzazione della richiesta di asilo. Questa particolare situazione determina la riammissione sul territorio dell’altra parte dei richiedenti asilo e giustifica anche la qualificazione di questi soggetti come immigrati irregolari.

      Conseguenza di questa procedura è una lesione del diritto all’asilo dell’individuo che, come ulteriore effetto, determina una violazione del principio di non refoulement (art. 33 della Convenzione di Ginevra). Quegli stessi doveri di protezione sussidiaria sono sanciti dall’art. 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: si può quindi sostenere l’inadempimento dell’Italia - in quanto Stato membro dell’Unione europea - ai doveri imposti dall’istituzione di una politica comune in materia di richiesta d’asilo. Dal mancato esame individuale delle domande d’asilo ha origine un respingimento a catena verso la cosiddetta «rotta balcanica», che conduce gli immigrati verso Paesi in cui sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, in violazione degli articoli 2 e 3 CEDU e dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Per quanto riguarda il diritto nazionale, il decreto legislativo n. 286/1988 vieta chiaramente, al suo articolo 19, il trasferimento di soggetti stranieri verso Paesi in cui persiste il rischio di essere sottoposti a torture, persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti

      Un’ultima considerazione riguarda la sussistenza di una situazione di responsabilità condivisa tra le parti dell’accordo, dovuta alla sistematica mancanza di tutela dei diritti e principi fondamentali considerati. Questa stessa mancanza di protezione avrebbe potuto essere evitata per mezzo di un più attento e impegnato rispetto della difesa internazionale.

      https://www.migrationtreaties.unito.it/slovenia/accordo-tra-italia-e-slovenia-sulla-riammissione-delle-perso

    • Brambilla (Asgi): “L’accordo con la Slovenia sulle riammissioni dei migranti ha profili di illegittimità”

      L’avvocata ha seguito i ricorsi dei richiedenti asilo rimandati indietro dal confine orientale: «Manca la ratifica del parlamento in violazione dell’articolo 80 della Costituzione e comunque le riammissioni non possono avvenire a livello informale»

      Anna Brambilla è avvocata dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e ha seguito i ricorsi di richiedenti asilo contro le riammissioni in Slovenia.

      Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi le riammissioni «sono uno strumento pienamente legittimo». In ogni caso?

      No, non possono essere riammessi richiedenti asilo o minori. Più in generale riteniamo che non possano essere effettuate riammissioni informali, cioè quelle che avvengono solo tramite scambio di informazioni tra le autorità di polizia di due Stati membri senza che alla persona riammessa sia notificato il provvedimento, impedendole di difendersi. Succede qualcosa di simile nei porti dell’Adriatico dove le persone sono riconsegnate senza alcuna notifica ai comandanti della nave su cui si erano nascoste per riammetterle in Grecia.

      Nell’accordo bilaterale italo-sloveno del 1996, però, le «riammissioni informali» sono esplicitamente previste.

      Sì, l’accordo permette le riammissioni informali di chi è entrato prima di 26 ore o è trovato entro 10 chilometri dalla frontiera. Ma l’accordo non può essere letto senza considerare le disposizioni di diritto interno e quelle Ue. Perciò le riammissioni informali, numericamente prevalenti, sono illegittime: violano il diritto di difesa che si concretizza attraverso i ricorsi.

      Quindi contestate l’accordo con la Slovenia.

      Ha dei profili di illegittimità perché non è stato sottoposto al controllo del parlamento, ma concluso in forma semplificata senza la ratifica ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione.

      Tecnicamente cosa cambia tra riammissioni ed espulsioni.

      La riammissione può avvenire tra due Stati membri, in questo caso Italia e Slovenia, oppure ci possono essere accordi tra un paese membro o la Ue con uno Stato terzo. Tra due paesi membri la riammissione è da considerarsi funzionale all’espulsione. In pratica l’Italia trova un cittadino irregolarmente soggiornante e invece di adottare direttamente un provvedimento di espulsione lo riammette in Slovenia che poi dovrà espellerlo.

      Piantedosi si è confrontato con le riammissioni in Slovenia anche quando era capo di gabinetto di Salvini. Cosa è emerso, rispetto a quel periodo, dai procedimenti giudiziari che avete avviato?

      Nonostante il Viminale affermasse che le riammissioni potevano essere legittimamente effettuate anche per chi aveva manifestato intenzione di chiedere protezione internazionale il tribunale di Roma, nel caso presentato con un ricorso di urgenza, ha riconosciuto l’illegittimità della riammissione. Perché l’accordo non è stato sottoposto a legge di ratifica e, nel caso specifico, perché la persona aveva manifestato intenzione di fare domanda di asilo.

      A livello Ue qual è l’approccio?

      La Commissione ha sempre cercato di spingere gli Stati membri a rafforzare la cooperazione di polizia, necessaria per le riammissioni, invece di reintrodurre controlli ai confini interni. Come fa la Francia al confine con l’Italia o l’Austria alla frontiera con la Slovenia. Adesso nella proposta di riforma del codice frontiere Schengen si parla di trasferimento tra Stati membri, cioè una procedura simile a quella prevista dagli accordi bilaterali di riammissione. Per quanto noi siamo contrari a questa procedura, essa è comunque di tipo formale e prevede la possibilità di fare ricorso. Il problema è che se l’informativa sulla protezione internazionale non è realizzata correttamente le persone non sono in condizione di fare domanda e vengono considerate migranti irregolari. Le procedure sono formalmente corrette ma nella sostanza violano il diritto d’asilo.

      https://ilmanifesto.it/brambilla-asgi-laccordo-con-la-slovenia-sulle-riammissioni-dei-migranti-

  • L’Austria esce dal patto Onu per le migrazioni: “Limita la sovranità del nostro Paese”

    L’accordo internazionale che punta a difendere i diritti dei rifugiati entrerà in vigore a dicembre. Prima di Vienna, anche Usa e Ungheria si sono sfilati. Il governo Kurz: “Migrare non è un diritto fondamentale”.

    L’Austria esce dal patto Onu per le migrazioni: “Limita la sovranità del nostro Paese”

    L’accordo internazionale che punta a difendere i diritti dei rifugiati entrerà in vigore a dicembre. Prima di Vienna, anche Usa e Ungheria si sono sfilati. Il governo Kurz: “Migrare non è un diritto fondamentale”

    L’Austria annuncia il suo ritiro dal patto delle Nazioni Unite sulle migrazioni, e segue così l’esempio di Stati Uniti e Ungheria, che prima di lei sono uscite dall’accordo internazionale, in controcorrente con gli oltre 190 Paesi che l’hanno firmato. Lo ha comunicato il cancelliere Sebastian Kurz, motivando la scelta sovranista come una reazione necessaria per respingere un vincolo Onu che “limita la sovranità del nostro Paese”. Non ci sarà, dunque, nessun rappresentante di Vienna alla conferenza dell’Onu a Marrakech, in Marocco, il 10 e 11 dicembre. Mentre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dell’anno prossimo l’Austria si asterrà.

    COSA PREVEDE L’ACCORDO

    Il patto per le migrazioni era stato firmato da 193 Paesi a settembre 2017 ed entrerà in vigore a dicembre con la firma prevista al summit di Marrakech. Prevede la protezione dei diritti dei rifugiati e dei migranti, indipendentemente dallo status, e combatte il traffico di esseri umani e la xenofobia. E ancora, impegna i firmatari a lavorare per porre fine alla pratica della detenzione di bambini allo scopo di determinare il loro status migratorio; limita al massimo le detenzioni dei migranti per stabilire le loro condizioni, migliora l’erogazione dell’assistenza umanitaria e di sviluppo ai Paesi più colpiti. Facilita anche il cambiamento di status dei migranti irregolari in regolari, il ricongiungimento familiare, punta a migliorare l’inclusione nel mercato del lavoro, l’accesso al sistema sanitario e all’istruzione superiore e ad una serie di agevolazioni nei Paesi di approdo, oltre che ad accogliere i migranti climatici.

    LE RAGIONI DI VIENNA

    Un documento di 34 pagine, per politiche in favore di chi lascia il proprio Paese che promuovano una migrazione sicura. L’Austria in un comunicato respinge tutti i criteri stabiliti da quella che è stata ribattezzata la “Dichiarazione di New York”. Kurz, che da giovanissimo ministro degli Esteri fece il suo esordio mondiale proprio all’Assemblea generale dell’Onu, decide così di strappare e imporre il suo giro di vite sui migranti, spinto dal suo alleato al governo, l’ultradestra dell’Fpö di Heinz-Christian Strache, il quale a margine dell’annuncio del ritiro ha aggiunto: “La migrazione non è e non può essere un diritto fondamentale dell’uomo”. Il governo di Vienna, in particolare, spiega che “il patto limita la sovranità nazionale, perché non distingue tra migrazione economica e ricerca di protezione umanitaria”, tra migrazione illegale e legale. “Non può essere - continua il governo Kurz - che qualcuno riceva lo status di rifugiato per motivi di povertà o climatici”.

    “SEGUIAMO IL LORO ESEMPIO”

    Il patto, in realtà, non è vincolante ai sensi del diritto internazionale, una volta firmato. Si delinea come una dichiarazione di intenti, per mettere ordine nelle politiche sulle migrazioni a livello mondiale, all’insegna della solidarietà. Per questo, la mossa di Vienna assume un valore simbolico, sull’onda delle dichiarazioni di Kurz e i suoi che vorrebbero chiudere le porte dell’Europa all’immigrazione e controllare i confini. Trascina dietro di sé la lodi di altri partiti populisti europei, uno tra tutti l’AfD tedesca, con la leader Alice Weidel che non ha tardato a twittare: “Anche la Germania non aderisca, il Global Compact apre la strada a milioni di migranti africani e legalizza l’immigrazione irregolare”.

    https://www.lastampa.it/2018/10/31/esteri/laustria-esce-dal-patto-onu-per-le-migrazioni-limita-la-sovranit-del-nostro-paese-GbGo3HsbsGygjZ3aOjVfkJ/pagina.html
    #Global_compact #global_compact_on_refugees #migrations #réfugiés #asile #Autriche #Hongrie #USA #Etats-Unis

    • Austria to shun global migration pact, fearing creep in human rights

      Austria will follow the United States and Hungary in backing out of a United Nations migration pact over concerns it will blur the line between legal and illegal migration, the right-wing government said on Wednesday.

      The Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration was approved in July by all 193 member nations except the United States, which backed out last year.

      Hungary’s right-wing government has since said it will not sign the final document at a ceremony in Morocco in December. Poland, which has also clashed with Brussels by resisting national quotas for asylum seekers, has said it is considering the same step.

      “Austria will not join the U.N. migration pact,” said Chancellor Sebastian Kurz, a conservative and immigration hard-liner who governs in coalition with the far-right Freedom Party.

      “We view some points of the migration pact very critically, such as the mixing up of seeking protection with labor migration,” said Kurz, who argues that migrants rescued in the Mediterranean should not be brought straight to Europe.

      U.N. Special Representative for International Migration Louise Arbour called the move regrettable and mistaken and said the compact simply aimed to improve the management of cross-border movements of people.

      “It is no possible sense of the word an infringement on state sovereignty - it is not legally binding, it’s a framework for cooperation,” she told Reuters.

      Vienna currently holds the rotating presidency of the European Union, a role that usually involves playing a mediating role to bridge divisions within the bloc. Instead its move highlighted the disagreements on migration that have blighted relations among the 28 member states for years.

      The Austrian government is concerned that signing up to the pact, even though it is not binding, could eventually help lead to the recognition of a “human right to migration”. The text of a cabinet decision formally approving its move on Wednesday said it would argue against such a right.

      “We reject any movement in that direction,” Freedom Party leader and Vice Chancellor Heinz-Christian Strache told a news conference after the weekly cabinet meeting.

      Arbour said such concerns were unfounded.

      “The question of whether this is an invidious way to start promoting a ‘human right to migrate’ is not correct. It’s not in the text, there’s no sinister project to advance that.”

      Austria took in roughly 1 percent of its population in asylum seekers in 2015 during a migration crisis in which more than a million people traveled to Europe, many of them fleeing war and poverty in the Middle East, Africa and elsewhere.

      That experience dominated last year’s parliamentary election and helped propel Kurz’s conservatives to power. He has said he will prevent any repeat of that influx and has implemented policies that include restricting benefits for new immigrants.

      The U.N. pact addresses issues such as how to protect people who migrate, how to integrate them into new countries and how to return them to their home countries.

      The United Nations has hailed it as a historic and comprehensive pact that could serve as a basis for future policies.

      Austria will not send an envoy to the signing ceremony in Morocco and will abstain at a U.N. General Assembly vote on the pact next year, Kurz’s office said.

      In a paper this month, the Brookings Institution, a U.S. think tank, said the pact “reflects widespread recognition, among even the most skeptical member states, that managing migration effectively is in the common interest”.

      Amnesty International criticized Vienna’s stance.

      “Instead of facing global challenges on an international level, the government is increasingly isolating Austria. That is irresponsible,” the rights group said in a statement.

      https://www.reuters.com/article/us-un-migrants-austria/austria-to-withdraw-from-u-n-migration-agreement-apa-idUSKCN1N50JZ

    • Communication Breakdown in Austria – How Far-Right Fringe Groups Hijacked the Narrative on the Global Compact for Migration

      Yesterday Austria announced its withdrawal from the UN Global Compact for Migration (GCM), thus joining the United States and Hungary. The decision was met with little surprise. It followed an announcement in early October that Austria would reconsider its continued participation in the GCM process. And it followed weeks of efforts by the right-wing Freedom Party (FPÖ) and other far-right actors to discredit the GCM.

      As the Austrian decision gained media attention, many outside the world of migration policy wondered what the Global Compact for Migration is. This post is both for newcomers and long-time observers. For the newcomers, I explain how the GCM came about and why it is significant. Long-time observers may want to skip to the section discussing the context and implications of the Austrian decision to withdraw.
      What is the UN Global Compact for Migration?

      The short answer is that it is a non-binding agreement on migration at the UN level. The lengthy intergovernmental negotiations concluded in July, which means that the text of the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration is already available. The text lays out 23 objectives covering a wide array of policies, including objectives on addressing the drivers of migration, better data gathering, border management, enhanced regular pathways and more. In December, states will adopt the GCM in Marrakesh, right after the Global Forum on Migration and Development (GFMD).

      The long answer is that the Global Compact for Migration encompasses more than the final text. The process leading up to the agreement is just as noteworthy. The negotiations between states and with close participation of civil society actors stretched over eighteen months. At several thematic sessions, states, non-governmental organisations, researchers, grassroots organisations, and think tanks came together in New York, Vienna, and Geneva. In the sessions, actors mostly read out their condensed two- or three-minute statements. But intense discussions happened during panels, outside, at side-events, and during breaks. And parallel to the global proceedings, there were regional and, in some cases, also national consultations. It was thus also a process of learning and coalition-forming.
      Why did Austria decide to leave the Global Compact for Migration?

      The official Austrian critique of the Global Compact for Migration rests on two points. First, it argues that the GCM would eventually be a legally binding document. Second, the GCM is portrayed to diminish states’ national sovereignty. Neither of these statements holds true. Already in the preamble, it clearly says that it is “a non-legally binding, cooperative framework” and that it “upholds the sovereignty of States.” And during the lengthy negotiations, states overwhelmingly emphasized their sovereignty. The decision to leave therefore appears to be much more about short-term domestic politics than about the above-stated concerns.

      Already during the parliamentary election in 2017, the conservative People’s Party (ÖVP) and the far-right Freedom Party (FPÖ) outdid each other with anti-immigration rhetoric. Now that they form the current governing coalition, they have passed increasingly restrictive migration and integration policies. Their recent measures stretch from budget cuts for language courses parallel to restricting welfare based on language skills. In light of this, the Austrian decision is not surprising.

      But until recently, the Global Compact for Migration had not been a point of contention for the Freedom Party. In fact, the Austrian foreign ministry – currently headed by a minister affiliated with the FPÖ – took part in the negotiations. The timing of this withdrawal therefore merits attention. Some weeks ago, fringe groups on the far-right started to mobilize against the GCM. With online petitions, posters, and a protest in front of the UN headquarters in Vienna. The websites contain close to no information on the GCM. Instead, they make the baseless assertion that it would lead to “limitless migration” and repeat the alarmist imagery that Nigel Farage used for his “Breaking Point” banner ahead of the Brexit referendum. At the helm of this disinformation campaign is Martin Sellner, leader of the far-right Identarian movement.

      Shortly after, the Austrian Freedom Party also started to publicly criticize the Global Compact for Migration in widely read Austrian tabloids. During the evening news on the day of the official withdrawal, Armin Wolf confronted FPÖ Vice-Chancellor Strache with the question why the FPÖ had only begun its criticism after far-right fringe group activism had started. Strache denied any connection in the timing. Meanwhile, Martin Sellner celebrated the success of the imitative. Instead, Strache argued that it took time to reach a judgment on the final product. However, the text had been in its final shape for months.
      What can be learned from this?

      To be clear, one should not be tempted to overstate the significance of fringe actors. But one also should not leave the debate in the wider public about the Global Compact for Migration in their hands. The GCM negotiation process has been inclusive to those actors wishing to participate and all previous drafts of the agreement had been available online. The efforts were thus comparatively transparent. But, nonetheless, the communication with the wider public was not proactive.

      In the months that I had been involved with the GCM process, I was repeatedly surprised how many people within the world of migration and integration were unaware of the negotiations, even less so the wider public. And while it is not necessary to indulge in the technicalities of such a lengthy process, it meant that many people in Austria heard about the GCM only when far-right groups brought it to the fore. In the absence of wider public engagement, there was no counter-movement to challenge the misinformation that was spreading.

      What are the implications of this decision? And what is next?

      There is already talk of other countries following the path of Austria, Hungary, and the US. But instead of getting stuck in speculations about who else may withdraw, efforts should concentrate on the majority that upholds the Global Compact for Migration. This incident provides an opportunity to start a conversation beyond those tightly involved in migration policy.

      And it is important to remember that December will just be the beginning, not the end. Ahead lies a long road of implementation. Then, inclusiveness – especially of those directly affected by the GCM – and proactive communication will remain crucial.


      https://www.compas.ox.ac.uk/2018/communication-breakdown-in-austria-how-far-right-fringe-groups-hijacked

      –-> et sur cette image, le fameux slogan australien #No_Way (you won’t make Australia home)
      #modèle_australien #Australie

    • Le Pacte de l’ONU pour les migrations divise le parlement

      Le gouvernement souhaite signer, avec une réserve, un projet de traité international sur les réfugiés. Des commissions parlementaires délivrent des messages contradictoires.

      Le Conseil fédéral doit-il approuver le Pacte mondial des Nations unies pour les migrations les 10 et 11 décembre à Marrakech ? C’est son intention. Il l’a annoncée le 10 octobre. Mais cette perspective fait des vagues, à tel point qu’une commission parlementaire émet de sérieuses réserves à ce sujet alors que d’autres sont divisées. Comme il l’avait promis, le gouvernement les a consultées avant de prendre une décision définitive.

      La Commission des institutions politiques du Conseil national (CIP-N) s’est manifestée la première. Le 19 octobre, elle a adopté une motion qui demande que la décision d’approbation soit soumise aux Chambres fédérales. Une semaine plus tard, la Commission de politique extérieure du Conseil des Etats (CPE-E) a adressé au Conseil fédéral une lettre annonçant son intention de déposer une requête similaire. Vendredi dernier, la CIP-N a franchi un pas de plus : par 15 voix contre 9, elle a formellement décidé de recommander au Conseil fédéral de ne pas approuver ce traité migratoire. Cette revendication sera discutée en séance plénière du Conseil national le 6 décembre.

      Ambassadeur actif et décrié

      Lundi, la CPE-N a émis un avis différent. Par 14 voix contre 10, elle recommande au Conseil fédéral d’apposer sa signature au bas du pacte de l’ONU. Dans des proportions similaires, elle a refusé de soumettre celui-ci au vote obligatoire ou de recueillir formellement l’avis des Chambres fédérales. La commission sœur du Conseil des Etats n’a pas encore rendu son verdict. Elle se réunit une nouvelle fois lundi prochain.

      C’est l’UDC qui a ouvert les feux. Mi-septembre, alors que personne à Berne ne se préoccupait de la prochaine signature de cette convention migratoire, elle a condamné ce texte, contraignant politiquement mais pas juridiquement, avec la plus grande virulence. Celui-ci prône une « migration sûre, ordonnée et régulière ». Selon le Conseil fédéral, ses objectifs recoupent les siens : réduire la migration irrégulière, renforcer l’aide sur place, lutter contre la traite des êtres humains et le trafic des migrants, sécuriser les frontières, respecter les droits humains, faciliter le rapatriement, la réintégration ou l’intégration durable dans le pays d’accueil. La Suisse a même joué un rôle moteur dans l’élaboration de ce texte, puisque l’ambassadeur auprès de l’ONU, Jürg Lauber, en a été l’une des chevilles ouvrières avec son homologue mexicain, Juan José Gomez Camacho, et la représentante spéciale de l’ONU pour les migrations internationales, Louise Arbour.
      Plusieurs pays ont renoncé

      L’UDC fait de ce document une lecture très différente. Elle y voit un moyen de permettre « aux migrants d’accéder plus facilement aux pays de leur choix, indépendamment de leurs qualifications ». Elle brandit la menace d’une immigration massive vers la Suisse. A quelques semaines du vote sur l’initiative contre les juges étrangers, et en vertu de l’article constitutionnel qui dit que la Suisse doit gérer son immigration de manière indépendante, l’UDC exige le rejet de ce pacte. Elle n’est pas seule. Le projet est aussi controversé au sein du PLR.

      Pour le Conseil fédéral, la situation n’est pas simple. Les Etats-Unis, la Hongrie et l’Autriche ont déjà fait savoir qu’ils ne participeraient pas à la signature. Comme l’ambassadeur Lauber, sur qui l’UDC tire à boulets rouges et qui est aussi la cible d’une campagne sauvage de la droite identitaire, a contribué activement aux négociations, un refus de la Suisse serait considéré comme un affront au sein de l’ONU.

      Par ailleurs, on rappelle volontiers que les fondements de ce texte, dont l’élaboration a débuté en 2016, recoupent la politique migratoire défendue par Didier Burkhalter et Simonetta Sommaruga. Or, le premier nommé a quitté le Conseil fédéral et c’est son successeur Ignazio Cassis, à qui l’on reproche de ne pas défendre suffisamment son émissaire auprès des Nations unies, qui a repris le flambeau. Début octobre, le gouvernement a proposé d’approuver le pacte assorti d’une réserve portant sur le traitement des mineurs âgés d’au moins 15 ans.

      https://www.letemps.ch/suisse/pacte-lonu-migrations-divise-parlement

    • Ne pas signer le Pacte de l’ONU sur les migrations est « une erreur politique »

      La #Suisse ne signera pas le Pacte de l’ONU sur les migrations, du moins pas pour l’instant, a décidé le Conseil fédéral. « Une erreur politique », selon le président du Parti socialiste Christian Levrat.

      Le Conseil fédéral a reconnu mercredi que ce Pacte est dans l’intérêt de la Suisse, mais estime qu’il est trop tôt pour le signer.

      https://www.rts.ch/info/suisse/10013083-ne-pas-signer-le-pacte-de-l-onu-sur-les-migrations-est-une-erreur-polit

    • Pour Louise Arbour, la volte-face de la Suisse porte atteinte à sa crédibilité multilatérale

      La représentante spéciale de l’ONU pour les migrations démonte le mythe de la perte de souveraineté des Etats qui adopteront le pacte à Marrakech en décembre. Elle ne comprend pas non plus la peur des « soft laws » qui saisit le parlement fédéral

      Alors que le Conseil des Etats débat ce jeudi d’une motion de l’UDC exhortant le Conseil fédéral à ne pas adopter le Pacte mondial de l’ONU pour les migrations ainsi que d’une proposition de la Commission des institutions politiques de soumettre son adoption à l’Assemblée fédérale, les Nations unies mettent les choses au point.

      Interrogée par Le Temps au Palais des Nations à Genève, Louise Arbour, représentante spéciale du secrétaire général de l’ONU pour les migrations, s’étonne des discussions au sujet du pacte qui serait, selon certains parlementaires fédéraux, « de la soft law [droit souple, ndlr] susceptible de se transformer en droit coutumier (obligatoire) ».

      « Je suis avocate moi-même. Je ne comprends pas cette notion selon laquelle ce pacte deviendrait subrepticement obligatoire contre la volonté de la Suisse. Je vous rassure. Ce n’est pas le cas. Aucune disposition du pacte n’empiète sur la souveraineté des Etats qui l’adoptent. »

      Un débat particulièrement agressif

      La responsable onusienne relève que le pacte, qui sera formellement adopté à Marrakech les 10 et 11 décembre prochain (sans la Suisse qui a, sur proposition du conseiller fédéral Ignazio Cassis, finalement renoncé à s’y rendre), offre un menu d’options et de bonnes pratiques que les Etats peuvent choisir d’adopter ou non. « Je suis étonnée que la Suisse s’inquiète de ce pacte. Elle applique elle-même déjà pleinement ce que prévoit le document », précise la Canadienne.

      A Berne, la tonalité du débat demeure très agressive. Certains parlementaires UDC vont jusqu’à demander que l’ambassadeur de Suisse auprès des Nations unies à New York, Jürg Lauber – par ailleurs diffamé dans une campagne menée par des mouvements identitaires et d’extrême droite autrichiens, allemands et suisses – soit traduit en justice pour « trahison ».

      Ignorance ou mauvaise foi ?

      Là encore, Louise Arbour n’en revient pas : « Ce genre de discours montre comment les processus internationaux sont mal compris. J’espère que c’est de l’ignorance et non de la mauvaise foi. Il faut savoir comment un tel processus fonctionne. Quand l’Assemblée générale de l’ONU décide de mettre en place un processus, le président de l’assemblée nomme des cofacilitateurs pour leurs qualités personnelles et non pour leur appartenance nationale.

      L’élaboration du pacte a été cofacilitée de façon neutre par l’ambassadeur Jürg Lauber et son homologue mexicain, Juan José Gomez Camacho. Tant la Suisse que le Mexique avaient des délégations complètement distinctes de leurs ambassadeurs. Il ne faut pas tout mélanger quant à la réelle implication de la Suisse. »
      Un pacte basé sur les faits

      Pour la responsable onusienne, le revirement de la Suisse par rapport à ses positions de négociation est problématique. « Que les Etats qui ont négocié dans leur capacité nationale et même obtenu des concessions d’autres Etats se dissocient aujourd’hui des positions qu’ils ont prises est très décevant. Une telle volte-face porte atteinte à leur crédibilité comme partenaires dans un environnement multilatéral. »

      Louise Arbour tente d’identifier la raison des résistances : « La migration peut être une question traitée de manière très fractionnée, parfois par plusieurs ministères. Sans grande cohésion. Cela peut avoir contribué à la difficulté de faire passer le message. »

      Pas le fruit de bureaucrates

      Quant à l’idée que le pacte migratoire serait le produit de l’imagination de bureaucrates de New York, elle s’en défend : « Le processus ayant mené au pacte a été très respectueux, et surtout basé sur la réalité et des faits. » Les crispations (sensibles en Hongrie, aux Etats-Unis, en Israël, en Suisse, etc.) autour du pacte ne sont pas justifiées, estime-t-elle.

      La meilleure manière de mener une politique migratoire nationale efficace est de coopérer avec ses voisins. La migration implique forcément une interdépendance. C’est ce cadre coopératif que propose le pacte, « négocié non pas en secret, mais avec la société civile, le secteur privé, les syndicats », ajoute Louise Arbour.

      Hors de l’ONU, la pression sur le Conseil fédéral est venue mercredi du CICR dont le président, Peter Maurer, appelle à adopter le pacte « négocié de façon totalement transparente pendant près de trois ans ». La Commission fédérale des migrations abonde dans le même sens, jugeant nécessaire de s’associer à cet effort mondial de réguler la migration.

      https://www.letemps.ch/monde/louise-arbour-volteface-suisse-porte-atteinte-credibilite-multilaterale

    • Global Compact, il governo sospende il patto Onu sull’immigrazione

      L’annuncio del premier Conte su input del ministro Salvini: l’Italia non parteciperà neanche al summit di Marrakech di dicembre.
      L’Italia sospende l’adesione al Global Compact sull’immigrazione, il patto firmato da oltre 190 Paesi il 19 settembre 2016 e ribattezzato “Dichiarazione di New York“. Inoltre l’Italia non parteciperà nemmeno al summit Onu di Marrakech, in Marocco, che tra il 10 e l’11 dicembre adotterà il documento.

      https://www.tpi.it/2018/11/29/global-compact-immigrazione-italia
      #Italie

    • What’s to Fear in the U.N. Global Compact for Migration?

      The forthcoming adoption of the United Nations’ global migration compact has sparked turmoil, particularly among members of the European Union. But the compact itself refutes much of the criticism, says Solon Ardittis, director of Eurasylum.

      After two years of intense intergovernmental negotiations, the United Nations Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration will be formally adopted on December 10-11 in Marrakech. Though the compact went largely unnoticed by most political parties and the public throughout the negotiation period, its forthcoming adoption is now sparking turmoil in Europe and around the world.

      To date, at least a dozen U.N. member states have declared they do not intend to sign it or are considering doing so. Last fall, the United States became the first to withdraw. Hungary followed earlier this year, which set off a domino effect of withdrawals in the European Union over the past few weeks. Austria, Bulgaria, Hungary, the Czech Republic, Poland and Slovakia have said they won’t sign, and Italy has signaled its disapproval, too. In Belgium, profound disagreement among coalition partners over the compact is threatening to bring down the government.

      So what exactly does the compact proffer to make it the source of such growing discontent? The 30-page document is an international, nonbinding agreement that aims “to make an important contribution to enhanced cooperation on international migration in all its dimensions.” Emerging in the wake of Europe’s 2015 refugee crisis, it draws on a range of existing international instruments, such as the Universal Declaration of Human Rights, to which the vast majority of member states are signatories. And it aims to develop an international cooperative framework acknowledging that no nation can address the contemporary problems of migration alone. This is the first time in history that all U.N. member states have come together to negotiate an agreement on migration in such a comprehensive manner.

      The compact is comprised of 23 objectives. These include, inter alia: collecting adequate data; ensuring all migrants have legal proof of identity; saving lives and establishing coordinated international efforts on missing migrants; strengthening the transnational response to smuggling and trafficking; managing borders in an integrated manner; and giving migrants access to basic services. The compact also includes a follow-up and review mechanism.

      Crucially, while acknowledging states’ shared responsibilities, the compact reaffirms their sovereign right to determine their national migration policies and to govern migration within their jurisdictions. It also stresses that the compact’s implementation will account for different national realities, capacities and levels of development; and will respect national policies and priorities.

      Given such lenient and largely unthreatening policy objectives, what’s behind the growing resentment?

      First, after only recently appearing on the radar of political parties in Europe and internationally, the compact now seems to offer a golden opportunity for populist parties and opinion-makers to push their claims that nations are losing control over their sovereignty and borders. Ironically, the same parties that now criticize the compact have traditionally challenged national governments for not taking sufficiently coordinated action to manage irregular migration, migrant smuggling and human trafficking, or for addressing the growing number of migrant fatalities at sea. The compact represents a foundation for such coordinated action.

      Its most vocal opponents claim, among other things, that the compact does not sufficiently distinguish between legal and illegal migration, that it mixes up the rights of asylum seekers with those of economic migrants, or even stipulates the number of migrants that each member state will need to accept. All this is strictly contradicted in the compact itself.

      Nevertheless, such unfounded criticism has eventually led many governments to adopt a low profile, avoid media exposure and be represented at the Marrakech conference next week at a much less senior level than anticipated. One notable exception is German Chancellor Angela Merkel, who has intensified efforts to reassure “concerned citizens” and to reaffirm that the compact aims to strengthen the protection of national borders rather than weaken them.

      Also worthy of mention is E.U. migration commissioner Dimitris Avramopoulos’s Dec. 4 warning that withdrawal from the compact could hamper cooperation with third countries to control migration and send mixed messages about the E.U.’s resolve to cooperate on an equal basis with its African partners to address future migration challenges. While the E.U. of course has its own cooperation channels and modalities with key migration origin and transit countries, particularly on development and migration management policies, there is little doubt the Global Compact would open additional avenues for the E.U. (and indeed other U.N. member states) to engage in more informal, multistakeholder and non donor-dominated discussions on a range of migration-related policy initiatives.

      The second point that needs be stressed, particularly with respect to the E.U., is that the compact bears no comparison to some of the remarkably more constraining transnational legal and policy frameworks on migration adopted over the past decade. In particular, there have been a wide array of E.U. directives on immigration (legal and irregular), migrant integration policies, migrant smuggling, trafficking in human beings and a range of related policy areas that have been regulated at European Union, rather than member state, level after the E.U. executive gained increased competences to legislate in this field.

      Of course, the E.U. has a history of controversial policy interventions on migration. However, with the exception of the E.U. refugee relocation program, which has generated limited consensus among member states, and of the United Kingdom and Denmark’s decision to opt out of some of the E.U.’s most stringent migration policy instruments, to date none of the bloc’s migration-related policies, including those that were legally binding and requiring transposition into national law, has generated as much turmoil as the U.N. Global Compact for Migration.

      The compact may have some inherent weaknesses, such as not sufficiently demonstrating that it will be relevant and actionable in member states with such contrasting migration features and policy approaches. Doubts also persist on the levels of financial resources that will be allocated to implement such a nonbinding and largely aspirational policy framework.

      It remains that the agreement to be signed next week need not become a cause for concern for any member of society, and even less so be used as a scapegoat by potentially ill-intentioned or ill-informed commentators. Despite its nonbinding nature, the Global Compact looks set to establish some potentially innovative ways for all key stakeholders – in government, civil society and the private sector – to communicate and cooperate on a range of contemporary migration issues.

      At this stage, what should really matter is the degree of genuine commitment signatory parties will express in the next few years and the quality and political clout of the follow-up and review mechanisms to be established after the compact is adopted. All the rest is unnecessary and unhelpful noise.

      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/12/05/whats-to-fear-in-the-u-n-global-compact-for-migration

    • Dispute over UN migration pact fractures Belgian government

      Belgium’s center-right government is fighting for its survival this week after the largest coalition party broke away from its three partners and said it would not back a global U.N.-backed migration pact.

      The right-wing N-VA party started a social media campaign against the migration pact Tuesday, more than two months after Prime Minister Charles Michel pledged he would sign the pact for Belgium at a meeting next week in Marrakech, Morocco.

      Instead of a coalition breakup, Michel announced late Tuesday he would take the issue to parliament for vote in the days to come.

      “I want parliament to have its say,” Michel said, staving off an immediate collapse of the government that has been in power for three years. “I have the intention to go to Marrakech and let the position of the parliament be known.”

      Michel’s statement came at the end of a hectic day dominated by an anti-pact social media campaign by the N-VA, of the biggest coalition partner.

      The in-your-face campaign featured pictures of Muslim women with their faces covered and stated the U.N. pact focused on enabling migrants to retain the cultural practices of their homelands.

      The party quickly withdrew the materials after the campaign received widespread criticism.

      “We made an error,” N-VA leader Bart De Wever told VRT network.

      De Wever apologized for the pictures of women wearing face-covering niqab in western Europe, but immediately added “these pictures are not fake. You can take pictures like this every day in Brussels. It is the stark reality.”

      Belgian Prime Minister Charles Michel pledged at United Nations headquarters in September that he would go to a meeting in Marrakech, Morocco where the U.N.’s Global Compact Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration is to be signed next week.

      Amid the N-VA upheaval, a Cabinet meeting was canceled Tuesday afternoon and Michel resumed consultations with vice-premiers looking for a way out of the crisis.

      Remarking on the party’s withdrawn campaign, Christian Democrat Vice Premier Kris Peeters said: “I only have one word for this — indecent.”

      Even with the parliamentary vote, the options for ensuring the government’s survival were slimming down.

      The United Nations says the compact will promote safe and orderly migration and reduce human smuggling and trafficking.

      The N-VA said it would force Belgium into making immigration concessions. “In our democracy, we decide. The sovereignty is with the people,” the party said in a statement.

      Many experts said the accord is non-binding, but the N-VA said it still went too far and would give even migrants who were in Belgium illegally many additional rights.

      The U.N. compact was finalized in July with only the U.S. staying out. Several European nations have since pulled out of signing the accord during the Dec. 10-11 conference in Morocco.

      https://www.seattletimes.com/nation-world/belgian-government-fights-for-survival-over-un-migrants-pact

      #Belgique

    • Le pacte migratoire de l’ONU sème la discorde

      191 pays ont approuvé un accord sur la migration échafaudé par l’ONU. Ce jeudi à Berne, les Chambres devraient empoigner le pacte qui en découle, sous tension, et les pays favorables l’adopteront bientôt au Maroc. Histoire d’un texte controversé

      L’Europe s’est-elle remise de la crise migratoire de 2015 ? A voir les résistances qui ont émergé ces dernières semaines contre l’adoption du Pacte mondial de l’ONU sur les migrations, qui doit être formellement adopté à Marrakech le 11 décembre, il est permis d’en douter. Le pacte suscite un déferlement de propos haineux, voire complotistes. A l’ONU, on enregistre avec incompréhension, voire avec une once de panique, les critiques virulentes qui font florès, surtout en Europe. Le pacte est-il devenu un monstre qu’on ne contrôlerait plus ? Sur les 191 pays qui avaient accepté l’accord sur un tel pacte à New York en juillet dernier, seuls deux tiers disent désormais vouloir se rendre au Maroc. Les volte-face se multiplient.

      #Libre_circulation_mondiale

      Mercredi, en Belgique, le premier ministre, Charles Michel, a évité de peu une possible chute de son gouvernement. Au sein de la coalition gouvernementale, le parti flamand N-VA s’oppose avec véhémence au pacte. Le parlement belge a finalement apporté son soutien au premier ministre. Le mouvement des « gilets jaunes » en France, qui est aussi divers que peu structuré, est également happé par la vague anti-pacte. Sur Facebook, des « gilets jaunes » disent vouloir empêcher le président Emmanuel Macron de se rendre à Marrakech. Selon eux, le pacte va créer « un #chaos total » et permettra à quelque 900 000 migrants (voire 4 millions d’entre eux selon certains) d’entrer en France.

      Ils réclament la destitution du chef de l’Elysée. A l’image de l’UDC en Suisse, qui estime à tort que l’adoption du pacte équivaudrait à instaurer une libre circulation mondiale des personnes, les républicains et le Rassemblement national de Marine Le Pen en France soufflent aussi sur les braises. Ce samedi, cette dernière participera à Bruxelles à un meeting du parti nationaliste flamand Vlaams Belang en compagnie de Steve Bannon, l’ex-chef stratège de Donald Trump et héraut du souverainisme.

      Un pacte épouvantail de la #globalisation

      Des « gilets jaunes » allemands réunis sous la bannière du mouvement #Pegida à Berlin ont véhiculé le même type de message, exigeant la démission de la chancelière Angela Merkel, laquelle s’était distinguée en autorisant l’arrivée sur sol allemand d’un million de migrants de Syrie en 2015. L’onde de choc ne s’arrête pas là. Si Budapest a tout de suite exprimé son opposition au pacte onusien, d’autres pays de l’Europe de l’Est et du centre ont suivi : la #Bulgarie, la #Pologne, la #République_tchèque et l’Autriche. En #Slovaquie, le ministre des Affaires étrangères, qui soutenait le pacte, a démissionné face au refus de son gouvernement.

      En Italie, le ministre de l’Intérieur et chef de file du parti d’extrême droite de la Lega, Matteo Salvini, a été catégorique : « Le gouvernement italien, comme les Suisses qui ont porté à bout de bras le pacte avant de faire marche arrière, ne signera rien et n’ira pas à Marrakech. C’est le parlement qui devra en débattre. » Le pacte est devenu une sorte d’épouvantail de la globalisation dont se sont saisis les mouvements populistes et extrémistes. La bataille symbolise celle qui oppose désormais violemment les élites globalisées et les populations qui estiment subir la #mondialisation.

      Aux Etats-Unis, l’opposition de l’administration de Donald Trump n’est pas surprenante tant sa politique migratoire ultra-restrictive est le moyen de cimenter une base électorale remontée contre ce que le président appelle le « #globalisme ». L’#Australie, #Israël mettent aussi les pieds au mur. Même la #République_dominicaine s’est ralliée au camp du refus, craignant que les centaines de Haïtiens tentant chaque jour de franchir la frontière puissent venir s’établir sans problème dans le pays.

      Souveraineté intacte

      Ce pacte, juridiquement non contraignant, ne touche pas à la #souveraineté des Etats. Il ne contraint aucun pays à modifier sa #politique_migratoire, aussi dure soit-elle. Sert-il dès lors à quelque chose ? Il remplit un vide. Aucun cadre n’existait pour améliorer la coordination internationale du phénomène global de la migration. Avec ses 23 objectifs, il vise à encourager les potentiels migrants à rester dans leur pays d’origine en traitant au mieux les problèmes structurels qui les poussent à partir. Il prévoit une feuille de route que les Etats peuvent utiliser ou non pour gérer les 260 millions de migrants qui se déplacent chaque année. Il veut améliorer les voies de migration régulières.

      Face à cette #rébellion inattendue, la haut-commissaire de l’ONU aux Droits de l’homme, Michelle Bachelet, a déclaré hier à Genève : « Certains responsables politiques n’agissent pas en leaders. Ils suivent les sondages. » Directeur de l’Organisation internationale pour les migrations, le Portugais Antonio Vitorino exprime lui aussi son courroux : « Nous assistons de la part de certains secteurs politiques à la #manipulation, à la distorsion des objectifs du pacte. On a la sensation que la migration est devenue le #bouc_émissaire des problèmes culturels et sociaux. »

      https://www.letemps.ch/monde/pacte-migratoire-lonu-seme-discorde
      #populisme

    • European governments in melt-down over an inoffensive migration compact

      IT WAS LIKE watching paint dry, or other people’s children play baseball. Last month Gert Raudsep, an Estonian actor, spent two hours on prime-time television reading out the text of a UN migration agreement. Estonia’s government was tottering over whether to pull out of the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration, to give it its full name. So Mr Raudsep was invited to present the source of the discord to worried viewers. Thoughts of weary migrants from Africa and Latin America kept him going, he said. “But my eyes got a bit tired.”

      Mr Raudsep’s recital made for dull viewing because the compact is a dull document. Its 23 “objectives” are peppered with vague declarations, platitudes and split differences. Partly in the spirit of other global agreements like the Paris climate deal, it encourages states to co-operate on tricky cross-border matters without forcing them to do anything. It urges governments to treat migrants properly, but also to work together on sending them home when necessary. At best it helps build the trust between “sending” and “receiving” countries that is the foundation of any meaningful international migration policy.

      None of this has prevented European governments from melting down over it. In the end Estonia resolved its row; it will join more than 180 other countries in Marrakesh on December 10th-11th to adopt the compact. But so far at least ten others, including seven from Europe, have followed the lead of Donald Trump and pulled out of a deal that they helped negotiate. The agreement is agitating parliaments, sparking protests and splintering coalitions; Belgium’s is on the verge of collapse. More withdrawals may follow.

      Why the fuss? The text explicitly states that governments retain the sovereign right to make immigration policy. But critics say that cannot be trusted. Although the compact is not legally binding, they argue it is “soft law” that might one day be used to press governments into hard commitments, such as acknowledging a “human right” to migration or expanding the grounds for asylum.

      This is, largely, codswallop. The compact is hardly perfect; the drafters should have refrained from urging governments to “educate” journalists on migration, for example, or to hold “culinary festivals” to celebrate multiculturalism. Yet until cynical politicians started paying attention, the main charge the compact faced was toothlessness. Most of the political arguments against it emerged after governments had already approved the draft in July.

      That suggests other forces are at work. In Slovakia, the compact stirred passions only after the speaker of parliament, embroiled in a plagiarism scandal, sought a way to change the subject. The government has since withdrawn from the compact, which led the foreign minister, a former president of the UN General Assembly, to offer his resignation. In Germany a row over the compact, triggered by the right-wing Alternative for Germany (AfD), has forced the candidates running to succeed Angela Merkel as leader of the Christian Democratic Union to declare themselves: for or against? (The party chooses her successor on December 7th.) Now the AfD boasts, correctly, that its ideas have infiltrated the mainstream.

      As has become depressingly routine in Europe, the row over the UNcompact has little to do with its ostensible target and everything to do with the smouldering embers of a culture war that the drastic reduction in illegal immigration since the surge of 2015 has failed to extinguish. (A pointless spat over border controls nearly destroyed Mrs Merkel’s coalition earlier this year.) Immigration remains a potent topic for the right; the trouble in Belgium started when the country’s largest party, the nationalist New Flemish Alliance, began a social-media campaign against the compact, replete with imagery of women in niqabs and the like (it later apologised). But in the absence of a genuine crisis to mobilise support, fake problems must be confected. The UN compact is a sitting duck. There is no downside to hammering a multilateral agreement on a controversial subject negotiated by obscure officials in air-conditioned rooms abroad. That it was agreed by governments in plain sight, with parliamentarians invited to participate, is by-the-by.
      Displacement activity

      In Berlin, where outrage over the compact took the establishment by surprise, some say the government should have forcefully made the case for it as soon as it was agreed. Instead, caught on the back foot, Mrs Merkel and other defenders of the deal are locked into an awkward argument: that fears about the compact are overblown because it is not legally binding, but that it is also an important tool for managing migration. Yet aside from Mrs Merkel’s perennial reluctance to lead rather than react to debates, arguing for the deal earlier would simply have given opponents a bigger target and more time to shoot at it. A more sobering conclusion is that, for now, it has become impossible to have a level-headed conversation about managing migration in Europe.

      UN insiders profess themselves frustrated but unbowed by the string of withdrawals. (Many blame Sebastian Kurz, the Austrian chancellor, whose decision in October to pull out inspired several others to follow.) Although the idea for the compact was drawn up just after Europe’s refugee crisis of 2015-16—indeed, partly at the request of panicked European leaders—its provisions are global. Europe’s navel-gazing arguments have little bearing on the lot of Bangladeshi workers in the Gulf or Zimbabweans in South Africa.

      True enough. But Europe’s rejectionist governments are shooting themselves in the foot nonetheless. Even a hard-headed policy of tough border controls, swift return of illegal immigrants and encouraging would-be migrants to stay home obliges governments to work with others, if only to strike grubby repatriation deals. Building trust by sticking to international commitments lays the foundations for that. That so many governments are choosing to do precisely the opposite does not inspire hope that Europe is groping towards a more sensible migration policy.


      https://www.economist.com/europe/2018/12/08/european-governments-in-melt-down-over-an-inoffensive-migration-compact

      #dessin_de_presse #caricature

    • Under far-right pressure, Europe retreats from UN migration pact

      A previously obscure 34-page, jargon-filled document is causing political convulsions across Europe — even though it’s not even legally binding.

      Italy this week became the latest in a string of European countries to say it would not sign the U.N.’s Global Compact on Migration at a ceremony in Marrakech in just under two weeks. From the Netherlands through Belgium and Germany to Slovakia, the pact has triggered infighting in ruling parties and governments, with at least one administration close to breaking point.

      The fight over the pact illuminates how migration remains a combustible issue across the Continent, three years after the 2015 refugee crisis and with next May’s European Parliament election on the horizon. Far-right parties keen to make migration the key campaign issue have seized on the pact while some mainstream parties have sought to steal their thunder by turning against the agreement. Liberals and centrists, meanwhile, have found themselves on the defensive — arguing that the agreement poses no harm and migration is best handled through international cooperation.

      Louise Arbour, the senior U.N. official overseeing the pact, said she is surprised by the controversy, as diplomats from 180 countries — including many that have now pulled out — signed off on the text last summer after two years of negotiations.

      The initiative was launched at the request of Europe after the migration surge of 2015, Arbour said. The countries now having “second thoughts or misgivings” were very active during the negotiations and “extracted compromises from the others,” she told POLITICO in an interview.

      Arbour, a former Canadian judge and U.N. human rights commissioner, said the recent backtracking illustrates a clear “disconnect” between some countries’ foreign policies “and domestic pressures or national concerns that were not included into the process.”

      She stressed the compact is not binding and, after its formal adoption next month, “there is not a single member state that is obligated to do anything that it doesn’t want to.”

      The Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration, to give it its full name, sets out a “cooperative framework” for dealing with international migration. Signatories agree, for example, to limit the pressure on countries with many migrants and to promote the self-reliance of newcomers. The document states that no country can address migration alone, while also upholding “the sovereignty of States and their obligations under international law.”

      That assurance has not been enough to placate many in Europe. Hungary, whose Prime Minister Viktor Orbán has made anti-migrant policies his signature issue, pulled out while the pact was being negotiated. But the recent wave of European withdrawals was triggered by conservative Austrian Chancellor Sebastian Kurz, who renounced the pact at the end of October.

      Heinz-Christian Strache, the leader of the far-right Freedom Party, Kurz’s coalition partner, declared that “Austria must remain sovereign on migration” and said the country is “playing a leading role in Europe.” At least in terms of the pact, that turned out to be true with Bulgaria, the Czech Republic, Poland, Estonia and Switzerland all following Vienna’s lead. (Croatia caused confusion after its president declared she would not sign the document but the government later said a minister would go to Marrakech and support the adoption of the pact.)
      Bratislava, Berlin and beyond

      Slovakia is among the most recent countries to withdraw its support for the pact. After an EU summit on Sunday, Prime Minister Peter Pellegrini said Bratislava would not support the pact “under any circumstances and will not agree with it.”

      Foreign Minister Miroslav Lajčák on Thursday said he would resign after parliament decided to reject the pact. Lajčák was president of the U.N. General Assembly when the migration pact was adopted.

      Populist parties in other countries have forced the pact to the top of the political agenda. The Dutch government under Prime Minister Mark Rutte has come under pressure from far-right leaders, including Geert Wilders and Thierry Baudet, who refers to the agreement as the “U.N. Immigration Pact.” The government ordered a legal analysis of the text last week to ensure that signing it will not entail any legal consequences. The Cabinet finally decided on Thursday that it would support the pact, but would add an extra declaration, a so-called explanation of position, to prevent unintended legal consequences.

      In Germany, the pact has become an issue in the battle to succeed Angela Merkel — the EU politician most associated with a more liberal approach to migration — as leader of the ruling Christian Democratic Union (CDU). Two of the leading contenders for the post, Jens Spahn and Friedrich Merz, have both criticized the agreement and called for it to be amended.

      The German chancellor mounted a spirited defense of the pact, telling the Bundestag last week that the agreement is in Germany’s national interest as it will encourage better conditions for refugees and migrants elsewhere in the world.

      Arbour argued that although the pact is not legally binding, it is still worthwhile. “The pact is a major cooperation project ... a political initiative to align initiatives for the common benefit,” she said.

      But such arguments cut little ice with the WerteUnion ("Union of Values"), a group of thousands of conservative members of the CDU and its Bavarian sister party. It takes issue with multiple sections of the pact, such as a declaration that migrants “regardless of their status, can exercise their human rights through safe access to basic services.” The group argues that as German social benefits are high, such a commitment would encourage migrants to come to Germany.

      In Belgium, the pact has put liberal Prime Minister Charles Michel’s coalition government at risk. The Flemish nationalist N-VA, the biggest party in government, has demanded Belgium withdraw from the agreement. Michel is caught between his commitment to the pact and his coalition partner’s rejection of it — while seeking to fend off a Francophone opposition that will take any opportunity to portray him as a puppet of the Flemish nationalists ahead of federal, regional and European elections next May.

      Searching for a way to keep his government afloat, Michel has been consulting with a handful of European countries including Denmark, Estonia, the U.K. and Norway, to produce a joint statement to be attached to the pact, according to Belgian media. Another idea is for several of those countries to join the Netherlands in signing a common “explanation of position,” Dutch newspaper De Volkskrant reported.

      Arbour said it’s too late to start making changes to the pact itself. Renegotiating the text or attaching an extra statement is “not what other [countries] have signed up to,” she said.

      https://www.politico.eu/article/migration-un-viktor-orban-sebastian-kurz-far-right-pressure-europe-retreats

    • Apparemment, la #Suisse a soutenu le pacte, mais je ne comprends pas pourquoi elle a soutenu à New York, mais pas à Marrakech... reste le mystère pour moi, si je trouve la réponse à ma question, je la posterai ici.

      La CFM salue le soutien de la Suisse au Pacte mondial sur les réfugiés

      La Commission fédérale des migrations CFM salue le vote par la Suisse du Pacte mondial sur les réfugiés à l’Assemblée générale de l’ONU.

      Ce document marque la volonté internationale de mieux répondre aux défis des exodes de réfugiés. Il a le grand mérite de présenter un projet cohérent afin de soulager la pression sur les pays qui accueillent les réfugiés, de renforcer l’autonomie des réfugiés, de développer l’accès aux possibilités de réinstallation dans des pays tiers et de promouvoir les conditions permettant aux réfugiés de rentrer dans leurs pays d’origine lorsque cela redevient possible.

      Ce document n’est pas contraignant pour les États et ne va pas au-delà des engagements internationaux existants liés à la Convention de 1951 et au protocole de 1967 qui règlent les modalités d’accueil des réfugiés. Il marque cependant une volonté forte de la Communauté internationale déjà exprimée dans la déclaration de New York de 2016. Le pacte met en avant la nécessité de trouver des solutions globales et collectives au plan international pour soulager les souffrances des réfugiés au moyen de différents instruments allant de l’aide sur place à la réinstallation des plus vulnérables. Il institue un #Forum_Global_sur_les_réfugiés qui réunira tous les quatre ans des délégations de haut niveau et favorisera le dialogue et la mise en œuvre de projets communs. Cette volonté de favoriser une réponse globale et solidaire à l’échelle mondiale correspond à la tradition humanitaire de la Suisse et doit être saluée.

      https://www.ekm.admin.ch/ekm/fr/home/aktuell/stellungnahmen/2018/2018-12-14.html

    • Pacte migratoire : une large coalition de sympathisants anti-islam, extrême droite et néo-nazis a influencé les partis traditionnels en Europe

      Sur le site d’information POLITICO Europe (https://www.politico.eu/article/united-nations-migration-pact-how-got-trolled) deux chercheurs universitaires – #Laurens_Cerulus et #Eline_Schaart – racontent la virulente campagne en ligne de nombreux activistes d’#extrême_droite contre le Pacte migratoire de l’ONU. Elle a réussi à influencer les principaux partis traditionnels en Europe.

      Depuis le mois de septembre dernier une coalition de sympathisants #anti-islam, extrême droite et #néo-nazis s’est mobilisée sur les #réseaux_sociaux contre le Pacte migratoire. Le texte non contraignant n’avait jusque là pas inquiété les gouvernements, régulièrement consultés durant le processus de rédaction à l’ONU.

      Analyse du #cyber_activisme de groupuscules d’extrême droite

      L’intensité des interventions coordonnées sur Twitter notamment, les nombreuses vidéos et les pétitions en ligne, ont incité les responsables politiques de plusieurs pays à revenir en arrière sur leurs positions initiales. En Suisse, le Conseil fédéral a fait marche arrière sur son engagement favorable initial et a demandé au parlement de se prononcer. En Belgique, la controverse a conduit à la chute du gouvernement.

      Selon Laurens Cerulus et Eline Schaart, l’engouement initial quasi planétaire autour du Pacte migratoire – seuls les Etats-Unis et la Hongrie s’étaient initialement opposés au Pacte migratoire – a été stoppé par les attaques d’un réseau mondial de militants nationalistes d’extrême droite.

      Elles ont été menées par des “youtuber” populaires et des influenceurs politiques d’extrême droite comme l’activiste autrichien Martin Sellner. Ces efforts ont été coordonnés via des groupes de discussion et des sites Web hyper-partisans. Sur YouTube, les vidéos de Sellner figurent en tête de liste des clips les plus regardés, selon Tagesschau, un journal télévisé de la chaîne publique allemande.

      Ico Maly chercheur et enseignant sur les nouveaux médias et la politique à l’Université de Tilburg aux Pays-Bas est du même avis, selon lui les partis nationalistes du monde entier agissent ensembles sur des réseaux spécifiques. Tous ces acteurs s’informent mutuellement et adoptent les mêmes positions politiques.

      L’Institute for Strategic Dialogue (ISD), un centre d’information et de recherche contre l’extrémisme basé à Londres surveille les activités de certains groupuscules sur internet et est arrivé à la même constatation, les comptes des médias sociaux gérés par le site Web Epoch Times, celui du chroniqueur populiste de droite Thomas Böhm, qui dirige le site d’information journalistenwatch.com et le blog anti-islam Philosophia Perennis figurent tous parmi les 10 comptes les plus cités dans plus d’un million de tweets analysés dans le monde après le 31 octobre, expliquent Laurens Cerulus et Eline Schaart.

      Que votera le parlement suisse ?

      Le 19 décembre dernier lors du vote à l’Assemblée générale de l’ONU, 152 pays ont approuvé l’accord. Les États-Unis, la Hongrie, Israël, la République tchèque et la Pologne ont voté contre le texte, 12 autres pays se sont abstenus (l’Algérie, l’Australie, l’Autriche, la Bulgarie, le Chili, l’Italie, la Lettonie, la Libye, le Liechtenstein, la Roumanie, Singapour et la Suisse) tandis que 24 autres pays membres n’ont pas pris part au vote.

      En Suisse trop de politiciens ont été lamentablement influencés par des groupuscules ignares, désinformés et xénophobes. Ils auront bientôt la possibilité de démontrer leur confiance dans les avis déjà exprimés des experts suisses en matière de migration (1).

      Le 14 décembre, le Conseil fédéral décidait de mandaté le Département fédéral des affaires étrangères (DFAE) pour préparer un arrêté fédéral simple permettant aux chambres de se prononcer sur la signature ou non par la Suisse de ce pacte onusien. Le DFAE a jusqu’à fin 2019 pour préparer l’arrêté.

      On espère qu’il parviendra à convaincre car le texte ne crée pas de droit à la migration mais réaffirme simplement et justement le respect des droit fondamentaux des personnes migrantes. Je vous recommande la lecture de l’article de Laurens Cerulus et Eline Schaart dans POLITICO, How the UN Migration Pact got trolled.
      https://blogs.letemps.ch/jasmine-caye/2019/01/08/pacte-migratoire-une-large-coalition-de-sympathisants-anti-islam-extre

  • Il est possible de promouvoir la baisse démographique de certaines zones abandonnées via une ouverture à une population migrante (c’est le cas notamment de #Riace, pour ne nommer qu’elle) ou alors via une #politique_nataliste (et donc nationaliste) :
    Patria, prole e terra. Fai un figlio in più (il terzo) e lo Stato ti concede gratis un terreno da coltivare per i prossimi vent’anni

    È una delle misure previste dalla bozza della manovra per favorire la crescita demografica. E se compri casa in zona il mutuo avrà tasso zero.

    Un figlio in più può «valere» un terreno, in concessione esclusiva per i prossimi 20 anni. È quanto prevede una nuova misura aggiunta nell’ultima bozza della legge di Bilancio disponibile, ancora non inviata alle Camere. I terreni abbandonati potranno essere affidati in concessione gratuita per 20 anni alle famiglie cui nasca il terzo figlio nel 2019, 2020 o 2021. La misura è volta a «favorire la crescita demografica». Non solo: si prevede anche la concessione di mutui fino a 200mila euro a tasso zero alle famiglie che acquistino nelle vicinanze dei terreni la prima casa. A questa finalità andrà destinato il 50% dei terreni agricoli e a vocazione agricola di proprietà dello Stato non utilizzabili per altra finalità e il 50% delle aree abbandonate o incolte del Mezzogiorno.

    Oltre ai terreni dello Stato, saranno assegnati gratuitamente la metà di quelli abbandonati di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia per i quali nel 2017 era partita una sperimentazione della valorizzazione, che comprendeva le aree agricole inattive da almeno 10 anni, i terreni di rimboschimento in cui non si erano registrati interventi negli ultimi 15 anni e anche le aree industriali, artigianali, e turistico-ricettive abbandonate da almeno 15 anni, come previsto dal Decreto Sud del Governo Gentiloni.

    I terreni potranno andare anche a società di giovani imprenditori agricoli che riservano una quota del 30% alle famiglie col terzo figlio che arriva tra il 2019 e il 2021.

    Previsto l’accesso prioritario ai benefici per favorire l’imprenditorialità in agricoltura e il ricambio generazionale (da mutui agevolati per gli investimenti fino a un milione e mezzo a contributi a fondo perduto).

    Per sostenere i mutui prima casa a tasso zero (di 20 anni di durata) viene creato un apposito fondo al ministero delle Politiche agricole con 5 milioni per il 2019 e 15 milioni per il 2020. I ministeri dell’Agricoltura e della Famiglia dovranno definire «criteri e modalità» di attuazione della misura.

    https://www.huffingtonpost.it/2018/10/29/un-figlio-in-piu-il-terzo-e-lo-stato-ti-concede-gratis-un-terreno-per-i-prossimi-ventanni_a_23575193/?ncid=other_twitter_cooo9wqtham
    #nationalisme #démographie #croissance_démographique #Italie #terres #famille #politique_nataliste #repeuplement #populationnisme
    ping @albertocampiphoto