“Caricati a forza nei furgoni”. Così la polizia italiana riporta i migranti nei Balcani

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  • #Trieste, valico con la Slovenia. Le «riammissioni» dei migranti. Dopo settimane di marcia nei boschi rimandati indietro anche se arrivati su territorio italiano.

    La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

    «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di #Schengen che stabilisce la sua sorte.

    Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

    È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore.

    C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

    Il database nazionale
    In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

    Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa.

    E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).

    Le accuse contro Zagabria
    Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata.

    L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

    https://www.diritti-umani.org/2018/11/trieste-valico-con-la-slovenia-le.html
    #Italie #Slovénie #réadmissions #migrations #asile #réfugiés #frontières #push-back #renvois #expulsions #refoulement #frontière_sud-alpine #Croatie #accord_bilatéral #accords_bilatéraux

    • “Caricati a forza nei furgoni”. Così la polizia italiana riporta i migranti nei Balcani

      Il racconto di due pakistani: «A Trieste ci hanno illuso sulla richiesta d’asilo ma ci hanno rimandati in Slovenia». Poi una nuova odissea fino alla Bosnia. «Le autorità croate ci hanno picchiato e lasciato nei boschi al confine»

      https://www.lastampa.it/2018/11/02/italia/caricati-a-forza-nei-furgoni-cos-la-polizia-italiana-riporta-i-migranti-nei-balcani-K775KFcYpdofE4r0eNJTFI/premium.html

    • Il caso dei migranti riportati in Slovenia. La polizia: “Agiamo seguendo le regole”

      La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

      «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di Schengen che stabilisce la sua sorte.

      Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

      È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore. C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

      Il database nazionale

      In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

      Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa. E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).
      Le accuse contro Zagabria

      Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata. L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

      https://www.lastampa.it/2018/11/03/italia/il-caso-dei-migranti-riportati-in-slovenia-la-polizia-agiamo-seguendo-le-regole-KLb7LoSe5l5uv8XggFl7FN/pagina.html

    • Fingersi minore per sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” in Bosnia non è reato

      Il Tribunale di Trieste ha assolto un giovane del Pakistan che a fine 2020 aveva dichiarato il falso alla polizia per tentare di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo” e di salvarsi dal male ingiusto delle “riammissioni”. “È una sentenza di estrema importanza, un monito per il governo”, spiega l’avvocata Bove.

      Dichiarare falsamente di essere minorenne per tentare di sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” verso la Bosnia ed Erzegovina non è reato. Lo ha riconosciuto il Tribunale ordinario di Trieste a fine novembre 2022 -la sentenza (del giudice Massimo Tomassini) è stata depositata a metà febbraio di quest’anno-, assolvendo un giovane originario del Pakistan per “evidente” stato di necessità. Aveva solamente cercato di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo personale”, al male ingiusto delle riammissioni.

      Le motivazioni del giudice penale, che hanno confermato in pieno la linea difensiva dell’avvocata Caterina Bove (socia Asgi) e accolto la richiesta di assoluzione della Procura, rappresentano un altro duro colpo del diritto alla pratica illegittima delle cosiddette “riammissioni informali”, riattivate dal nostro Paese al confine italo-sloveno tra metà 2020 e inizio 2021 sulla pelle di 1.300 persone. Procedure che il Governo Meloni ha annunciato di voler ripristinare a fine novembre 2022, proprio nei giorni in cui il Tribunale di Trieste, come già aveva fatto quello di Roma nel gennaio 2021, ne demoliva un’altra volta l’impianto.

      Veniamo ai fatti. Il 20 novembre 2020, a riammissioni ancora in vigore, il giovane K. viene fermato da una pattuglia della polizia italiana a Trieste. Identificano lui e le altre due persone con cui si trova. Non hanno i documenti e sono formalmente “irregolari”. È allora che K. dichiara di essere nato nell’agosto 2005 e di aver raggiunto l’Italia dalla Bosnia ed Erzegovina dopo aver attraversato Croazia e Slovenia. Ha già patito più volte la pratica dei respingimenti violenti lungo la rotta balcanica. Racconta il falso in merito all’età perché vuole evitare di essere “riammesso” e picchiato di nuovo, contando sulla “inespellibilità” del minore anche se “irregolare”. Addosso quel giorno gli viene trovato però un documento serbo nel quale è riportato che sarebbe nato nel 1995. Di anni ne avrebbe quindi 25 e non 15 (siamo nel 2020). La polizia italiana non ci pensa due volte e lo respinge in Slovenia: “Alle successive ore 16 -recita il verbale della pattuglia- i tre stranieri venivano quindi riammessi in territorio sloveno come previsto dagli accordi bilaterali esistenti (del 1996, ndr)”. Senza un pezzo di carta in mano, K. passa così dalla Slovenia alla Croazia nel giro di pochissime ore, viene nuovamente “picchiato” e poi finisce in Bosnia ed Erzegovina. Solo mesi dopo riuscirà a tornare in Italia e a presentare la domanda di asilo.

      K. aveva tutte le ragioni per “spacciarsi per minore”, scrive il Tribunale, e quindi sfuggire ai “trattamenti di dubbia umanità e di altrettanto dubbio rispetto di diritti umani minimi”. Non era mosso da “bieca intenzione di trarre in inganno le autorità” e nemmeno voleva porre le basi per “ulteriori condotte criminose”, voleva “solo ed esclusivamente evitare, di fatto, guai molto peggiori qualora ‘rimandato’ al di fuori dell’Italia, e dunque potenzialmente esposto a maltrattamenti al fine di essere nuovamente portato extra Unione europea”.

      Per dar conto della “gravissima” situazione ai confini, dove di fatto “la Croazia è divenuta lo scudo europeo contro la rotta balcanica”, il giudice cita la vasta documentazione portata dall’avvocata Bove e accumulata in questi anni: i report del Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa, del network Protecting rights at borders (Prab), di Human Rights Watch, Amnesty International e Oxfam, del Border violence monitoring network, e anche il lavoro di inchiesta di Altreconomia. Per non parlare del precedente giurisprudenziale che è l’ordinanza del Tribunale di Roma del gennaio 2021, che già aveva messo in fila i punti di contrasto tra i respingimenti informali e la normativa europea, interna e costituzionale (circostanza ben rievocata nel film “Trieste è bella di notte” di Andrea Segre, Stefano Collizzoli e Matteo Calore, realizzato anche con la preziosa collaborazione della rete RiVolti ai Balcani).

      Il giudice di Trieste passa quindi in rassegna le pratiche volte a “rintracciare” e “stanare” i migranti con “droni, termocamere, scanner”: strumenti “impiegati come armi contro persone in movimento”. Il tutto mentre viene “soppressa la tecnologia adoperata dalle persone migranti”, con il “sequestro e distruzione di telefoni cellulari e batterie”. È quindi “indiscutibile che il respingimento informale avrebbe portato K. a dover affrontare una situazione di questo tipo, e cioè una situazione di franco ed innegabile pericolo personale”.

      Le motivazioni si concludono su quello che il Tribunale chiama il “vero punto della questione”, e cioè la strumentalizzazione del Regolamento di Dublino. Anche a parere del giudice, infatti, se anche -ma non lo si può dire con certezza- fosse stata la Croazia il Paese europeo competente all’esame della domanda di asilo di K., di certo il “modo” delle riammissioni informali è incompatibile con le garanzie della cosiddetta “procedura Dublino” per il trasferimento. Inoltre la “vera ed unica destinazione dell’imputato era la Bosnia, non già la Croazia -conclude la sentenza-, ed è tale convinzione che […] dimostra come egli, al momento della dichiarazione attestante le proprie generalità, si trovasse nella necessità, penalmente rilevante quale scriminante, di evitare a sé stesso un grave pericolo, e cioè quello, appunto, di essere respinto in Slovenia, e da lì a catena in Bosnia, nelle maniere dinanzi descritte, pericolo che avrebbe potuto evitare solo ‘spacciandosi’ quale minorenne”.

      Per l’avvocata Caterina Bove questa sentenza è “di estrema importanza perché chiarisce come le pratiche di riammissione e successivo respingimento a catena con esposizione dell’interessato a gravi trattamenti inumani e degradanti, in questo caso a opera delle autorità croate, le cui modalità di azione costituiscono ormai fatto notorio, rappresentano un pericolo concreto di grave danno alla persona, tale da giustificare il comportamento di informare falsamente circa la propria età”. Nel caso di specie, ricorda Bove, K. “aveva chiesto asilo e poi avuto il riconoscimento dello status di rifugiato quando, dopo aver patito nuovamente la violenza della rotta balcanica, è riuscito con le proprie forze a tornare”.
      La portata della sentenza secondo l’avvocata è ampia “perché si estende a tutti coloro i quali, trovandosi in frontiera, rischiano un simile trattamento inumano, con negata consegna di provvedimenti scritti, negata convalida giudiziaria dell’agire delle forze di sicurezza ed esposizione a elevato pericolo per l’incolumità personale. Il giudice penale di Trieste ha evidenziato come la ricostruzione giuridica operata dal Tribunale di Roma circa l’illegittimità di tale pratiche sia del tutto valida, nulla potendo incidere il successivo annullamento di quella ordinanza del 18 gennaio 2021 sulla fondatezza delle argomentazioni giuridiche”.

      È un “chiaro monito” dunque per il ministero dell’Interno e in generale per il governo che ha annunciato, nonostante tutto, la ripresa delle procedure di riammissione al confine orientale. “E più in generale -conclude Bove- è un monito per l’esecuzione di queste procedure di riammissione e respingimento, dirette e indirette, anche alle altre frontiere italiane”.

      https://altreconomia.it/fingersi-minore-per-sfuggire-ai-respingimenti-italiani-a-catena-in-bosn

    • Accordo tra Italia e Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera

      Contesto

      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      Contenuto

      Casi e diritto derivato (applicazione)

      Questioni critiche
      Contesto

      La vicinanza geografica tra Italia e Slovenia ha sicuramente condizionato l’organizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Tuttavia, la storia delle relazioni tra i due paesi può essere rintracciata negli ultimi anni con la Dichiarazione congiunta sullo stabilimento delle relazioni diplomatiche, conclusa a Lubiana il 17/10/1992 ed entrata in vigore lo stesso anno. Da quel momento in poi, le relazioni tra i due stati si sono potute normalizzare con atti come l’accordo bilaterale del 1996 e l’accordo sulla cooperazione transfrontaliera e di polizia del 2011, che mirano a contrastare la criminalità organizzata e i flussi di immigrazione clandestina.

      Questi accordi e, in generale, la storia delle relazioni tra questi due paesi devono essere visti nell’ampio contesto della «rotta balcanica», da anni espressione di una vera e propria tragedia umanitaria con migliaia di migranti che vivono in condizioni precarie, persecuzioni e violenze. Questa rotta rappresenta il viaggio che i migranti devono affrontare, fuggendo dalla guerra o dal regime totalitario in Medio Oriente. Secondo i dati Eurostat, pubblicati dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, tra le richieste di asilo in Europa il biennio 2018/2019, il 32,72% proviene dall’Afghanistan, il 25,91% dal Pakistan, l’8,03% dalla Siria, il 6,56% dall’Iraq e infine il 4,61% dall’Iran.

      Dopo un estenuante viaggio, i richiedenti asilo vengono respinti dalle autorità pubbliche italiane presenti alla frontiera di Trieste verso la Slovenia, da dove vengono rimandati in Croazia e successivamente in Bosnia. In particolare, i principali luoghi strategici del traffico migratorio sono Tuzla e Sarajevo, che rappresentano due punti di transito per chi arriva da Serbia e Montenegro. Bihać e Velika Kladuša, invece, sono diventati due hotspot per le persone che aspettano di attraversare il territorio dell’Unione Europea. Infatti, molte testimonianze nel merito sono state raccolte soprattutto da ONG internazionali che descrivono la brutalità e le atrocità fisico-psicologiche a cui sono sottoposti i migranti al confine tra Croazia e Bosnia. In particolare, Amnesty International, in un Rapporto del 2019, denuncia la negazione del diritto d’asilo e il mancato rispetto delle garanzie procedurali relative alle espulsioni collettive, nonostante l’esistenza di riscontri pubblici di violenza questi territori. L’UNHCR ha anche pubblicato diversi rapporti che denunciano i comportamenti della polizia alle frontiere dei paesi interessati, spesso consistenti in trattamenti inumani e degradanti come la tortura, la distruzione di proprietà e le percosse. Queste condotte sono state tenute al fine di danneggiare i migranti e spesso persone vulnerabili come i minori, le donne incinte e le persone con disabilità.
      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      L’accordo venne concluso in forma semplificata fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovena. Venne firmato a Roma il 3 settembre 1996, senza fare riferimento ad alcun accordo precedente. L’accordo è ’auto-legittimato’.

      L’obiettivo è combattare l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani, controllare i confini italo-sloveni, regolamentare la riammissione di richiedenti asilo nei rispettivi territori, attraverso disposizioni volte al supporto della riammissione in tutto il territorio dei due Stati dei cittadini di una delle due Parti o provenienti da Stati terzi.
      Contenuto

      Articolo 1: L’Italia e la Slovenia prevedono la riammissione nel proprio territorio - su richiesta dell’altra Parte - di tutte le persone che non soddisfano, o non soddisfano più, gli obblighi relativi alle condizioni di ingresso o soggiorno nel territorio della Parte contraente richiedente sulla verifica del possesso della cittadinanza della Parte (obbligatoria). Il secondo paragrafo specifica che questa verifica può essere basata su più documenti (carta d’identità, passaporto), anche se sono irregolarmente rilasciati o scaduti (non più di 10 anni fa). Nel terzo paragrafo, la Parte contraente richiedente accetta di nuovo la persona se è provato che la mancanza di possesso della cittadinanza della Parte contraente richiesta una volta fuori dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 2: L’Italia e la Slovenia riammettono sul loro territorio, su richiesta dell’altra parte, i cittadini di un Paese terzo che non hanno, o non hanno più, i requisiti di ingresso o di soggiorno avviati sul territorio della Parte contraente richiedente, una volta accertato che questi cittadini hanno soggiornato o sono transitati sul territorio della Parte richiesta e sono successivamente entrati sul territorio della Parte (contraente) richiedente. Allo stesso modo, l’Italia e la Slovenia riammettono i cittadini del paragrafo precedente sul loro territorio, quando hanno un permesso di soggiorno valido rilasciato dalla parte contraente richiesta.

      Articolo 3: L’obbligo di riammissione previsto dall’articolo precedente non si applica in 5 casi: (a) cittadini di paesi terzi che confinano con la Parte contraente richiedente; (b) cittadini di Stati terzi ai quali la Parte contraente richiedente ha rilasciato un permesso di soggiorno o un visto; (c) cittadini di paesi terzi che rimangono nel territorio della Parte richiedente per più di 6 mesi; (d) i cittadini di Stati terzi ai quali la Parte richiedente ha riconosciuto sia lo status di rifugiato (Convenzione di Ginevra 1951) che quello di apolide (Convenzione di New York 1954); (e) i cittadini di Stati terzi espulsi per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale dalla Parte contraente richiedente verso il loro paese di origine o verso un paese terzo.

      Articolo 4: La Parte richiedente accetta sul suo territorio i cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni - in base al controllo effettuato dall’altra Parte - richieste dagli articoli 2 e 3 in occasione dell’uscita dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 5: Il Ministero degli Affari Interni dei due Stati contraenti si occuperà delle domande di riammissione. La domanda di riammissione deve includere l’identità della persona e i dati personali del cittadino del terzo Stato, del suo soggiorno nel territorio della parte richiesta e delle circostanze del suo ingresso illegale nel territorio della parte richiedente. La parte richiesta deve comunicare la sua decisione per iscritto alla parte richiedente entro otto giorni. L’autorizzazione dopo la ratifica è valida per un mese dalla data della sua notifica.

      Articolo 6: Le autorità di frontiera dello Stato richiesto riammettono senza formalità, su richiesta dello Stato richiedente, i cittadini irregolari di Stati terzi consegnati entro 26 ore dal passaggio o se controllati e trovati irregolari entro dieci chilometri dalla frontiera comune.

      Articolo 7: La parte richiedente deve sostenere le spese di trasporto alla frontiera della parte richiesta delle persone di cui si chiede la riammissione. Se necessario, la parte richiedente si fa carico delle spese di ritorno.

      Articolo 8: Le parti contraenti, previa autorizzazione reciproca, possono permettere il movimento dei cittadini stranieri contro i quali è applicato un ordine di espulsione. I paragrafi seguenti stabiliscono inoltre che la parte richiedente è responsabile del viaggio della persona in questione, di riprenderla in caso di superamento dell’inapplicabilità dell’ordine di allontanamento e di garantire il possesso di un documento di viaggio adeguato da parte dello straniero.

      Articolo 9: La parte contraente che emette il provvedimento di espulsione deve notificare alla parte contraente richiesta la necessità, durante il transito, di fornire una scorta alla persona espulsa attraverso il personale dello Stato richiesto o in collaborazione tra i due paesi.

      Articolo 10: La richiesta di transito, che contiene le informazioni essenziali relative allo straniero e al suo movimento, nonché la garanzia di ammissione nel paese di destinazione, è inviata direttamente dai Ministeri dell’Interno delle parti contraenti.

      Articolo 11: Legittimo il rifiuto del transito per l’allontanamento, che può avvenire: (a) per i rischi di persecuzione presenti e attuali a cui lo straniero sarebbe sottoposto nel paese di destinazione; (b) per i rischi di accuse o condanne penali nel paese di destinazione; (c) per l’inammissibilità dello straniero o per essere sottoposto a procedimenti penali nello Stato richiesto.

      Article 12: Le spese di trasporto alle frontiere dello Stato di destinazione sono a carico del paese firmatario.

      Articolo 13: Persistenza degli obblighi delle parti contraenti che derivano dall’applicazione di altri accordi internazionali.

      Articolo 14: Responsabilità del Ministero degli Affari Interni delle Parti contraenti per la decisione sui luoghi di frontiera in cui sarà concessa la riammissione e il transito delle persone straniere. Responsabilità delle stesse istituzioni anche per quanto riguarda la lista degli aeroporti dove sarà concesso il transito di queste persone.

      Articolo 15: Risoluzione delle possibili controversie generate da questo accordo attraverso i canali diplomatici.

      Disposizioni finali – Article 16: 1. Il presente accordo entra in vigore il primo giorno del secondo mese successivo alla notifica reciproca del completamento di ogni procedura nazionale di approvazione. 2. Può essere denunciato mediante notifiche inviate per via diplomatica, che hanno effetto per novanta giorni dopo la sua entrata in vigore.
      Casi diritto derivato (applicazione)

      Primo precedente giuridico in materia di casi di illegittima espulsione collettiva è il caso Sharifi e altri c. Italia e Grecia (sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 ottobre 2014 - ricorso n. 16643/09), in seguito al quale l’Italia è stata condannata - in virtù dell’accordo bilaterale firmato nel 1999 - dalla CEDU per la riammissione non registrata e non discriminata di individui stranieri verso il territorio ellenico.

      Per quanto riguarda il divieto dei cosiddetti respingimenti a catena, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo consiste in diversi casi: Ilias e Ahmed c. Ungheria, 14 marzo 2017; Sharifi e altri c. Italia e Grecia, 21 ottobre 2014 e Tarakhel c. Svizzera, 4 novembre 2014, casi che hanno portato gli organi legislativi dell’Unione Europea alla decisione di modificare il preesistente Regolamento n. 604/2013 (attuale Regolamento Dublino 3).

      Infine, è da tenere in considerazione l’Ordinanza n. 56420/2020 firmata dal Tribunale di Roma.
      Questioni critiche

      Per quanto riguarda le criticità presenti nel testo dell’accordo bilaterale concluso tra Italia e Slovenia, di cui al testo dell’ordinanza 56420/2020 del Tribunale di Roma, sono rilevanti sia le fonti sovranazionali che quelle di diritto interno. Riguardo a queste ultime, vi è un’incongruenza con l’art. 10 comma 2 della Costituzione italiana, che stabilisce la conformità delle fonti sulla condizione giuridica dello straniero alle norme e ai trattati di diritto internazionale, che alcuni aspetti dell’accordo stentano a raggiungere.

      In secondo luogo, vi è un’ulteriore discrepanza con l’obbligo di preventiva convalida da parte dell’autorità giudiziaria in merito ai provvedimenti di libertà personale in sede di respingimento ed espulsione dello straniero, obbligo delineato dal secondo comma dell’articolo 13 della Costituzione italiana.

      Altra questione costituzionale rilevante è la dubbia legittimità di accordi, come quello in questione, che non siano stati ratificati dalle Camere - nei casi previsti dall’articolo 80 - e dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 87. Data la natura politica di questo accordo concluso in forma semplificata, in questo senso vi è anche una minore centralità del dibattito parlamentare da cui deriva l’assenza di informazione pubblica sull’argomento.

      È necessario ricordare come gli accordi conclusi tra l’Italia e un paese terzo siano espressione della sovranità statale, che tuttavia non deve pregiudicare la garanzia dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Da questo punto di vista, emerge una prima criticità relativa alla tutela dell’effettivo diritto di ricorso, in quanto il respingimento non viene notificato ai diretti interessati, privandoli della possibilità di difendersi in contrasto con la tutela prevista dall’articolo 13 della CEDU e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto di difesa.

      In secondo luogo, la prassi stabilita dall’art. 2 dell’accordo bilaterale è in contrasto con il diritto fondamentale del richiedente di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale (prevista dalla direttiva 2013/31 UE); articolo in base al quale «ciascuna parte contraente si impegna a riammettere nel proprio territorio il cittadino di un paese terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso e soggiorno». L’incongruenza deriva in particolare dal fatto che, come riportato nella citata ordinanza, «il richiedente asilo la cui domanda di protezione internazionale può essere espressa oralmente non può mai essere considerato irregolare sul territorio».

      Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla compatibilità dell’accordo con la tutela del diritto d’asilo. In particolare, secondo quanto dettato dal testo della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal disposto dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, gli Stati membri dovranno verificare individualmente la domanda compilata dal richiedente asilo e informare i soggetti coinvolti dell’esistenza di questa procedura. Sulla stessa nota, il Ministero dell’Interno ha dichiarato che in presenza di una richiesta di riammissione non è necessario inviare alla questura questa formalizzazione della richiesta di asilo. Questa particolare situazione determina la riammissione sul territorio dell’altra parte dei richiedenti asilo e giustifica anche la qualificazione di questi soggetti come immigrati irregolari.

      Conseguenza di questa procedura è una lesione del diritto all’asilo dell’individuo che, come ulteriore effetto, determina una violazione del principio di non refoulement (art. 33 della Convenzione di Ginevra). Quegli stessi doveri di protezione sussidiaria sono sanciti dall’art. 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: si può quindi sostenere l’inadempimento dell’Italia - in quanto Stato membro dell’Unione europea - ai doveri imposti dall’istituzione di una politica comune in materia di richiesta d’asilo. Dal mancato esame individuale delle domande d’asilo ha origine un respingimento a catena verso la cosiddetta «rotta balcanica», che conduce gli immigrati verso Paesi in cui sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, in violazione degli articoli 2 e 3 CEDU e dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Per quanto riguarda il diritto nazionale, il decreto legislativo n. 286/1988 vieta chiaramente, al suo articolo 19, il trasferimento di soggetti stranieri verso Paesi in cui persiste il rischio di essere sottoposti a torture, persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti

      Un’ultima considerazione riguarda la sussistenza di una situazione di responsabilità condivisa tra le parti dell’accordo, dovuta alla sistematica mancanza di tutela dei diritti e principi fondamentali considerati. Questa stessa mancanza di protezione avrebbe potuto essere evitata per mezzo di un più attento e impegnato rispetto della difesa internazionale.

      https://www.migrationtreaties.unito.it/slovenia/accordo-tra-italia-e-slovenia-sulla-riammissione-delle-perso

    • Brambilla (Asgi): “L’accordo con la Slovenia sulle riammissioni dei migranti ha profili di illegittimità”

      L’avvocata ha seguito i ricorsi dei richiedenti asilo rimandati indietro dal confine orientale: «Manca la ratifica del parlamento in violazione dell’articolo 80 della Costituzione e comunque le riammissioni non possono avvenire a livello informale»

      Anna Brambilla è avvocata dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e ha seguito i ricorsi di richiedenti asilo contro le riammissioni in Slovenia.

      Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi le riammissioni «sono uno strumento pienamente legittimo». In ogni caso?

      No, non possono essere riammessi richiedenti asilo o minori. Più in generale riteniamo che non possano essere effettuate riammissioni informali, cioè quelle che avvengono solo tramite scambio di informazioni tra le autorità di polizia di due Stati membri senza che alla persona riammessa sia notificato il provvedimento, impedendole di difendersi. Succede qualcosa di simile nei porti dell’Adriatico dove le persone sono riconsegnate senza alcuna notifica ai comandanti della nave su cui si erano nascoste per riammetterle in Grecia.

      Nell’accordo bilaterale italo-sloveno del 1996, però, le «riammissioni informali» sono esplicitamente previste.

      Sì, l’accordo permette le riammissioni informali di chi è entrato prima di 26 ore o è trovato entro 10 chilometri dalla frontiera. Ma l’accordo non può essere letto senza considerare le disposizioni di diritto interno e quelle Ue. Perciò le riammissioni informali, numericamente prevalenti, sono illegittime: violano il diritto di difesa che si concretizza attraverso i ricorsi.

      Quindi contestate l’accordo con la Slovenia.

      Ha dei profili di illegittimità perché non è stato sottoposto al controllo del parlamento, ma concluso in forma semplificata senza la ratifica ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione.

      Tecnicamente cosa cambia tra riammissioni ed espulsioni.

      La riammissione può avvenire tra due Stati membri, in questo caso Italia e Slovenia, oppure ci possono essere accordi tra un paese membro o la Ue con uno Stato terzo. Tra due paesi membri la riammissione è da considerarsi funzionale all’espulsione. In pratica l’Italia trova un cittadino irregolarmente soggiornante e invece di adottare direttamente un provvedimento di espulsione lo riammette in Slovenia che poi dovrà espellerlo.

      Piantedosi si è confrontato con le riammissioni in Slovenia anche quando era capo di gabinetto di Salvini. Cosa è emerso, rispetto a quel periodo, dai procedimenti giudiziari che avete avviato?

      Nonostante il Viminale affermasse che le riammissioni potevano essere legittimamente effettuate anche per chi aveva manifestato intenzione di chiedere protezione internazionale il tribunale di Roma, nel caso presentato con un ricorso di urgenza, ha riconosciuto l’illegittimità della riammissione. Perché l’accordo non è stato sottoposto a legge di ratifica e, nel caso specifico, perché la persona aveva manifestato intenzione di fare domanda di asilo.

      A livello Ue qual è l’approccio?

      La Commissione ha sempre cercato di spingere gli Stati membri a rafforzare la cooperazione di polizia, necessaria per le riammissioni, invece di reintrodurre controlli ai confini interni. Come fa la Francia al confine con l’Italia o l’Austria alla frontiera con la Slovenia. Adesso nella proposta di riforma del codice frontiere Schengen si parla di trasferimento tra Stati membri, cioè una procedura simile a quella prevista dagli accordi bilaterali di riammissione. Per quanto noi siamo contrari a questa procedura, essa è comunque di tipo formale e prevede la possibilità di fare ricorso. Il problema è che se l’informativa sulla protezione internazionale non è realizzata correttamente le persone non sono in condizione di fare domanda e vengono considerate migranti irregolari. Le procedure sono formalmente corrette ma nella sostanza violano il diritto d’asilo.

      https://ilmanifesto.it/brambilla-asgi-laccordo-con-la-slovenia-sulle-riammissioni-dei-migranti-