• #Mare_Jonio ha salvato 49 persone da un naufragio: adesso l’Italia ci indichi un porto sicuro

      La Mare Jonio di #Mediterranea_Saving_Humans, nave battente bandiera italiana impegnata nella missione di monitoraggio del Mediterraneo centrale ha soccorso, a 42 miglia dalle coste libiche, 49 persone che si trovavano a bordo di un gommone in avaria che imbarcava acqua.
      La segnalazione era arrivata dall’aereo di ricognizione Moonbird della ONG Sea Watch che avvertiva di una imbarcazione alla deriva in acque internazionali.

      Mare Jonio si è diretta verso la posizione segnalata e, Informata la centrale operativa della Guardia Costiera Italiana, ha effettuato il soccorso ottemperando alle prescrizioni del diritto internazionale dei diritti umani e del mare, e del codice della navigazione italiano.
      Attenendosi alle procedure previste in questi casi e per scongiurare una tragedia, Mare Jonio ha tratto in salvo tutte le persone a bordo comunicando ad una motovedetta libica giunta sul posto a soccorso iniziato di avere terminato le operazioni. Tra le persone soccorse, 12 risultano minori.
      Le persone a bordo si trovavano in mare da quasi 2 giorni e, nonostante le condizioni di salute risultino abbastanza stabili, sono tutte molto provate con problemi di disidratazione. Il personale medico di Mediterranea sta prestando assistenza.
      La Mare Jonio si sta dirigendo in questo momento verso Lampedusa, ovvero verso il porto sicuro più vicino rispetto alla zona in cui è stato effettuato il soccorso. Nel frattempo, è in arrivo una forte perturbazione nel Mediterraneo centrale.
      Abbiamo chiesto formalmente all’Italia, nostro stato di bandiera e stato sotto il quale giuridicamente e geograficamente ricade la responsabilità, l’indicazione di un porto di sbarco per queste persone.
      Oggi abbiamo salvato la vita e la dignità di 49 esseri umani. Le abbiamo salvate due volte: dal naufragio e dal rischio di essere catturate e riportate indietro a subire di nuovo le torture e gli orrori da cui stavano fuggendo. Ogni giorno, nel silenzio a moltissime altre tocca questa sorte. Grazie ai nostri straordinari equipaggi di terra e di mare, alle decine di migliaia di persone che in tutta Italia ci hanno sostenuto, oggi quel mare non è stato più solo cimitero e deserto.

      https://mediterranearescue.org/news/mare-jonio-ha-salvato-49-persone-da-un-naufragio-adesso-litalia-
      #Méditerranée #ONG (même si c’est pas une ONG, mais une #initiative_citoyenne) #asile #migrations #frontières #mer_Méditerranée #sauvetage

    • La direttiva di Matteo Salvini sulle frontiere non ha valore

      “Il tempo e le condizioni del mare non sono buone e i naufraghi sono ancora sotto shock, dopo essere stati soccorsi al largo della Libia e aver passato la notte con il mare in tempesta”, racconta Lucia Gennari, avvocata dell’Asgi imbarcata a bordo della nave Mare Jonio, l’imbarcazione che batte bandiera italiana ed è in rada davanti all’isola di Lampedusa, a cinquecento metri dalla Cala dei francesi, con 49 persone a bordo, tra cui dodici minori. L’imbarcazione, gestita dall’organizzazione italiana Mediterranea Saving Humans, chiede di attraccare nel porto dell’isola, dopo aver soccorso i naufraghi il 18 marzo in un’operazione di salvataggio avvenuta a 42 miglia dalle coste libiche. La nave ha trovato un gommone in avaria, su indicazione dell’aereo Moonbird, e ha informato sia la guardia costiera libica sia la guardia costiera italiana che avrebbe provveduto al soccorso.

      “Siamo arrivati a soccorrere i naufraghi che erano in difficoltà, i libici non erano sul posto, sono arrivati successivamente”, afferma Gennari, 32 anni, originaria di Mestre. “Poi ci siamo diretti verso nord perché la situazione atmosferica era pessima. Al momento la situazione a bordo è tranquilla, abbiamo viveri per qualche giorno, ma gli spazi sono ristretti, la nave è lunga 32 metri e le persone nella notte sono state male a causa delle cattive condizioni atmosferiche”, racconta la ragazza, che fa parte del gruppo di legali che seguono Mediterranea Saving Humans a partire dalla sua fondazione nell’autunno del 2018.

      La nave batte bandiera italiana e quindi a differenza di altre imbarcazioni non gli può essere impedito di attraccare in porto. Tuttavia il ministro dell’interno Matteo Salvini ha già detto che la nave non potrà arrivare in un porto italiano e nella notte tra il 18 e il 19 marzo ha diffuso una circolare diretta alle autorità portuali, ai carabinieri, alla polizia, alla guardia di finanza e alla marina militare che invita a impedire l’ingresso nelle acque e nei porti italiani alle navi private che abbiano operato attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali.

      Secondo la circolare, i salvataggi che avvengono in acque internazionali che non sono coordinate dall’Italia, non possono concludersi nel paese. La circolare crea un’ambiguità sul significato di zona di ricerca e soccorso libica. Da una parte infatti le autorità internazionali hanno riconosciuto alla Libia la capacità di compiere soccorsi nelle acque internazionali, d’altro canto però la Libia non può essere considerato un posto sicuro in cui riportare le persone soccorse. Dopo la diffusione della circolare, a bordo della Mare Jonio sono saliti degli agenti della guardia di finanza. “Alle 8 di mattina a bordo è salita la guardia di finanza che sta raccogliendo informazioni sul salvataggio”, racconta Lucia Gennari. La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo di indagine sul caso.

      Linea dura

      Il ministro dell’interno ha accusato i soccorritori di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: “Possono essere curati, vestiti, gli si danno tutti i generi di conforto, ma in Italia per quello che mi riguarda e con il mio permesso non mettono piede. È chiaro ed evidente che c’è un’organizzazione che gestisce, aiuta, e supporta il traffico di essere umani. O c’è l’autorità giudiziaria, che ovviamente prescinde da me che riterrà che questo non sia stato un soccorso e decide di intervenire legalmente, oppure il ministero dell’interno, che deve indicare il porto di approdo, non indica nessun porto”.

      Secondo Salvini, la nave “ha raccolto questi immigrati in acque libiche, in cui stava intervenendo una motovedetta libica. Non hanno ubbidito a nessuna indicazione, hanno autonomamente deciso di dirigersi verso l’Italia per motivi evidentemente ed esclusivamente politici. Non hanno osservato le indicazioni delle autorità e se ne sono fregati dell’alt della guardia di finanza”. Il ministro su Twitter ha poi attaccato uno dei soccorritori della nave, Luca Casarini, ex leader dei movimenti del nordest attivi durante il G8 di Genova nel 2001. Per Lucia Gennari il governo deve dare l’autorizzazione all’attracco il prima possibile: “La direttiva Salvini è solo un’indicazione politica del ministero dell’interno, per applicarla le autorità portuali dovrebbero pubblicare un decreto di attuazione che sarebbe impugnabile perché viola diverse norme internazionali”.

      Alessandro Metz, armatore della Mare Jonio, ha risposto alle accuse dicendo: “La direttiva è subordinata alle leggi e alle convenzioni internazionali, quindi o il governo decide di ritirare la propria firma da quelle convenzioni, trovandosi in una condizione di isolamento e rinnegando quella cultura giuridica che l’Italia rappresenta, essendo un popolo di naviganti”. Per Metz il governo deve indicare subito “un porto sicuro” di sbarco.

      Molti esperti hanno commentato la circolare diffusa dal ministero dell’interno sulla chiusura dei porti alle navi private che soccorrono persone in mare. Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale e direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), si è detto estremamente preoccupato dalla direttiva Salvini: “È una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme. Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. È una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale”.

      Anche Luigi Manconi e Valentina Calderone, presidente e direttrice di A buon diritto, hanno commentato: “Non esiste alcun provvedimento del consiglio dei ministri che abbia approvato una simile misura, illegale sotto il profilo normativo e costituzionale. Dunque i porti italiani erano e restano aperti, tanto più se a chiedere l’approdo è una nave italiana, battente bandiera italiana con equipaggio interamente italiano. E con 49 profughi soccorsi in mare in una zona più vicina alle coste italiane che ad altre coste (quelle di Malta, per esempio). Ovviamente, consegnare quelle persone alla guardia costiera libica e, di conseguenza, ai centri di detenzione di quel paese, avrebbe costituito una grave violazione del diritto internazionale”.

      Per il giurista Fulvio Vassallo Paleologo della clinica dei diritti di Palermo, esperto di diritto del mare, “la direttiva tradisce puntualmente tutte le convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita e alla integrità fisica delle persone. Questa omissione si traduce in una ennesima violazione del diritto interno e internazionale. Gravi le conseguenze per quelle autorità militari che dovessero dare corso a un provvedimento ministeriale manifestamente in contrasto con le Convenzioni internazionali e con il diritto dei rifugiati. Secondo l’Unhcr il diritto dei rifugiati va richiamato con funzione prevalente rispetto alle norme di diritto internazionale del mare e alle norme contro l’immigrazione irregolare”.

      Infine per Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, “la legge del mare è molto chiara, la Libia non è un place of safety, un posto che può essere considerato sicuro. L’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo sono sicuri”.

      Intanto al largo di Sabratha, in Libia, c’è stato un nuovo naufragio: a darne notizia è l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, ci sono stati solo quindici sopravvissuti, ma i morti potrebbero essere decine. Secondo Di Giacomo dall’inizio del 2019 “oltre 1.280 persone sono partite dalle coste del Nordafrica verso l’Europa” e i morti sono stati almeno 154. “Un aumento esponenziale dei morti rispetto ai migranti sbarcati”, afferma Di Giacomo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/03/19/matteo-salvini-mare-ionio

    • Italian police escort migrant boat, open trafficking probe

      An Italian charity ship was escorted into the port of Lampedusa by police on Tuesday after rescuing 49 Africans in the Mediterranean, with Interior Minister Matteo Salvini calling for the crew to be arrested.

      A judicial source said a magistrate had ordered that the boat, the Mare Jonio, be seized as an investigation is launched into allegations of aiding and abetting human trafficking.

      The vessel picked up the migrants, including 12 minors, on Monday after their rubber boat started to sink in the central Mediterranean, some 42 miles (68 km) off the coast of Libya.

      The humanitarian ship immediately set sail for the nearby Italian island of Lampedusa, defying Salvini, the leader of the hard-right League party who has ordered the closure of all ports to boats carrying rescued migrants.

      After initially being prevented from docking, the Mare Jonio was unexpectedly accompanied into port by police at nightfall as a storm approached.

      The judicial source said the migrants would be allowed to disembark, while the boat would be impounded and the crew faced possible questioning.

      “Excellent,” Salvini wrote on Twitter. “We now have in Italy a government that defends the borders and enforces the law, especially against human traffickers. Those who make mistakes pay the price,” he said.

      The government has repeatedly accused charity rescue boats of being complicit with people smugglers, who charge large sums to help migrants get to Europe. The NGOs deny the accusation.

      There was no immediate comment from the collective that organized Monday’s sea operation, “Mediterranea”. It said in an earlier statement that the rescue had been carried out in accordance with international human rights and maritime law.
      ARRIVALS FALL

      New arrivals to Italy have plummeted since Salvini took office last June, with just 348 migrants coming so far this year, according to official data, down 94 percent on the same period in 2018 and down 98 percent on 2017.

      His closed-port policy has helped support for his League party double since March 2018 elections. However, humanitarian groups say his actions have driven up deaths at sea and left migrants languishing in overcrowded Libyan detention centers.

      Salvini said on Monday the Mare Jonio should have let the Libyan coastguard pick up the migrants. Failing that, it should have taken them either to Libya or Tunisia rather than disobey initial orders not to enter Italian waters.

      “If a citizen forces a police roadblock they are arrested. I trust the same thing will happen here,” Salvini said.

      Mediterranea said its rescue operation had saved the migrants either from drowning or from being picked up by the Libyans and “taken back to suffer again the torture and horror from which they were fleeing”.

      Last August, Salvini blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week before finally letting it dock. Magistrates subsequently put him under investigation for abuse of power and kidnapping and have asked parliament to strip him of his immunity from prosecution.

      The upper house Senate is due to vote on that on Wednesday, but the request looks certain to be rejected, with Salvini arguing that he acted in the national interest.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-italy/italys-salvini-in-new-migrant-boat-stand-off-idUSKCN1R021Q?il=0

    • Sequestro Mare Jonio. Indagato il comandante, che dice «Avrei dovuto lasciarli morire?»

      Al vaglio degli inquirenti i contenuti delle comunicazioni via radio, in particolare gli alt intimati dalla Guardia di finanza e la decisione invece della nave di proseguire.

      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra previsto all’articolo 1099 del codice della navigazione. Sono questi i reati contestati al comandante Pietro Marrone della nave Mare Jonio, della Ong Mediterranea dal procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella e dal pubblico ministero Cecilia Baravelli. La Procura ha anche convalidato il sequestro della nave «Mare Jonio» fatto nella tarda serata di ieri dalla Guardia di finanza.

      Pronta la replica dell’Ong: «Ovviamente nei prossimi giorni faremo ricorso contro il sequestro. Noi non godiamo di nessuna immunità, ma siamo certi di avere operato nel rispetto del diritto e felici di avere portato in salvo 49 persone», si legge in un tweet Mediterranea saving humans.

      In quanto al comandante l’avvocato Fabio Lanfranco che, insieme alla collega Serena Romano, lo difende, fa sapere: «Abbiamo appreso che il comandante è indagato e che questo é prodromico al sequestro della nave, quindi è un atto dovuto. Non conoscendo gli atti stiamo ricostruendo il fatto. Il comandante si è comportato in modo estremamente corretto, ha salvato vite umane, il favoreggiamento a mio giudizio non sta né in cielo né in terra».

      Ne è certo anche lo stesso comandante. «Sono tranquillo, ho fatto il mio dovere. Avrei dovuto lasciarli morire? Rifarei tutto per salvare le persone», ha detto Pietro Marrone ai cronisti prima di entrare nel comando Brigata Lampedusa della Guardia di finanza, accompagnato dai suoi legali, per essere interrogato dal pm di Agrigento.
      La giornata

      Giornata di interrogatori oggi a Lampedusa, sul caso della Mare Jonio, la nave della missione Mediterranea sequestrata e fatta attraccare ieri dopo circa tredici ore d’attesa al largo dell’Isola con 50 migranti a bordo, fatti infine sbarcare.

      La procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In serata era volato a Lampedusa il procuratore aggiunto Salvatore Vella. Sentiti dalla Guardia di finanza fino a notte il comandante Pietro Marrone il provvedimento di sequestro, e poi l’armatore Beppe Caccia. Si continuano a sentire persone informate, compreso il capo missione Luca Casarini.

      Entro domani sera la procura dovrà decidere se convalidare il sequestro. Al vaglio degli inquirenti, in particolare, i contenuti delle comunicazioni via radio fra la Guardia di finanza che aveva intimato l’alt, chiedendo di non avvicinarsi al porto di Lampedusa, e il comandante dell’imbarcazione che ha disobbedito, decidendo di proseguire, a suo dire per questioni di sicurezza, per mantenere in assetto la nave in un mare fortemente agitato con onde alte.

      Verificata anche la «catena di comando istituzionale», dal ministero dell’Interno alle forze dell’ordine intervenute intimando l’arresto dei motori alla nave di soccorso battente bandiera italiana.

      INTERVISTA «Direttiva illegittima. Un abuso di potere come negli Stati autoritari» di Nello Scavo
      Migranti trasferiti in hotspot, non ancora interrogati

      Non sono stati ancora ascoltati dagli investigatori i 40 migranti soccorsi dalla Mare Jonio, che hanno trascorso la notte nell’ hotspot di Lampedusa dopo lo sbarco di ieri sera. Gli operatori del Centro li hanno rifocillati, alcuni di loro hanno pregato. «Sono bravi
      ragazzi, educati e pacati» dicono dal centro dove la situazione è tranquilla. Non si sa quando lasceranno la struttura di contrada Imbriacola, anche perché le condizioni meteo-marine a Lampedusa non sono buone e sono previste in peggioramento.
      Il comunicato di Mediterranea

      «All’indomani dello sbarco dei naufraghi a Lampedusa il sentimento prevalente in Mediterranea è la gioia profonda di aver portato in salvo in un porto sicuro 49 persone sottratte ai pericoli della traversata e alle torture libiche. Sono entrate in Italia cantando ’libertà, liberta» perché per loro il nostro è ancora il paese dei diritti umani e della salvezza possibile" informa in una nota Mediterranea Saving Humans.

      «Ieri sera è stato notificato al Comandante della Mare Jonio il sequestro probatorio della nave, su iniziativa della Polizia Giudiziaria, nello specifico la Guardia di Finanza. La contestuale identificazione del comandante è un atto dovuto per procedere al sequestro - si legge - Lo si accusa di non avere spento i motori, come ordinato dalla Guardia Costiera a poche miglia dalle acque territoriali italiane, mentre la Mare Jonio fronteggiava onde alte più di due metri, come si vede nel video che abbiamo diffuso ieri. Era un ordine impossibile da eseguire senza mettere in serio pericolo la sicurezza della nave e di tutte le persone a bordo, la cui tutela è l’obbligo prioritario di ogni comandante. Al momento non sono in corso interrogatori e non sono arrivate ulteriori notifiche. L’armatore di Mare Jonio è stato semplicemente convocato in capitaneria per le procedure di routine», sottolinea la Ong. «La nostra azione di obbedienza civile si è sempre mossa nel quadro giuridico delle norme vigenti, rispettando anche la loro gerarchia, avendo come bussola il diritto e i diritti che tutelano la vita e la dignità delle persone. Ancora una volta si potrà dimostrare che le navi della società civile sono gli unici soggetti del Mediterraneo centrale che agiscono con queste priorità», conclude la nota.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/mare-jonio-interrogatori

    • L’ammiraglio. «Direttiva illegittima. Un abuso di potere, come negli Stati autoritari»

      «Il provvedimento di chiusura del mare territoriale firmato dal ministro Salvini sospinge definitivamente il soccorso in mare nella pura strumentalizzazione politica con il rischio di creare, nella realtà operativa, situazioni ingestibili di confusione e di pericolo». Il contrammiraglio Vittorio Alessandro non nasconde la preoccupazione, specie dopo aver letto la direttiva di Salvini per fermare le Ong. «Un testo anomalo, chiaramente illegittimo e viziato di abuso di potere», dice l’ufficiale, ora in congedo. Temi che Alessandro conosce anche per essere stato a guida del reparto am- bientale marino della Guardia Costiera e per 3 anni a capo dell’ufficio relazioni esterne del comando generale, dal 2010 al 2013, gli anni delle primavere arabe e delle migliaia di sbarchi a Lampedusa.

      Cosa non la convince?
      La premessa della direttiva sta nella paventata ipotesi di “strumentalizzazione” delle convenzioni per la salvaguardia della vita umana in mare al fine di eludere le norme in materia di immigrazione clandestina. Una premessa del genere non vale a sospendere o a ridurre l’obbligo del soccorso (che si conclude con l’assegnazione di un porto sicuro), in quanto ogni principio a tutela dei diritti fondamentali (quello della libertà, per esempio, o il diritto alla salute) può essere strumentalizzato a fini illeciti, ma non per questo può essere ristretto.

      Quindi si tratta di un’escamotage per scopi politici?
      Tanto più quando, come nel nostro caso, il paventato rischio di un pregiudizio alla «pace, buon ordine, e sicurezza dello Stato costiero» è solo una lontana ipotesi mai constatata, e comunque perfettamente affrontabile allorché i naufraghi siano giunti a terra.

      Perché ritiene che la direttiva non possa superare l’esame di un eventuale ricorso giudiziario?
      Perché il provvedimento, per i suoi aspetti formali, è illegittimo. L’articolo 83 del codice della navigazione prevede, infatti, l’ipotesi della chiusura del mare territoriale (assai remota in un ordinamento che considera tali spazi aperti alla sosta e al transito inoffensivi delle navi) assegnandola alla esclusiva attribuzione del ministro delle Infrastrutture.

      Invece cosa prevedono le nuove indicazioni degli Interni?
      Il Viminale si interpone fra il vertice istituzionale dell’organizzazione marittima e del soccorso e la competenza operativa delle Capitanerie di Porto. Non, come giusto, con una missiva al ministro competente, ma con un proprio provvedimento indirizzato alle Forze di polizia e a una Forza armata, come negli stati autoritari.

      Però si tratta di ipotesi che dovranno poi misurarsi con la realtà.
      Ma è già successo proprio nel caso della Mare Jonio. La Guardia di Finanza ha ordinato, infatti, alla nave italiana di «fermare le macchine» in mezzo al mare agitato. Un ordine inaudito, sotto il profilo nautico: le macchine non servono soltanto a navigare, ma anche a difendersi dal moto ondoso, a mantenere a galla il natante. Non a caso la Guardia Costiera ha subito provveduto ad assegnare alla nave un punto di ancoraggio a ridosso di Lampedusa.


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/direttiva-illegittima-un-abuso-di-potere-come-negli-stati-autoritari

    • Italy seizes migrant rescue boat Mare Jonio

      A rescue boat carrying nearly 50 migrants has docked at the Italian island of Lampedusa. Interior Minister Matteo Salvini had denied the ship access to Italian ports, but relented in order to bring aid workers to trial.

      Sicilian prosecutors on Tuesday ordered the seizure of the Italian-flagged ship “Mare Jonio.” The rescue boat was allowed to dock on the Italian island of Lampedusa while accompanied by coast guard ships following nearly two days at sea.

      The decision ended a standoff between the migrant rescue boat and the Italian government. Italian Interior Minister Matteo Salvini had earlier ordered authorities to deny the ship access to Italian ports.

      Before issuing the permit to dock, prosecutors launched an investigation into possible aiding and abetting of illegal immigration. A move Salvini praised.

      “Now in Italy there is a government that defends the borders and ensures respect for the law, most of all for human traffickers,” he said. “He who makes mistakes, pays.”

      The group of 49 migrants, including 12 minors, were rescued by humanitarian group Mediterranea Saving Humans. “Those on board had been at sea for almost two days,” the NGO said in a statement. “(They) are exhausted and dehydrated.”

      ’Repressive’

      Salvini has come under fire for attempting to block migrant rescue boats from docking at Italian ports.

      Human rights watchdog Amnesty International last year accused the Italian government of “repressive management of the migratory phenomenon.”

      Italy has taken the brunt of a wave of migration after EU member states cut-off the so-called Balkan route. Nearly half a million irregular migrants have made the dangerous journey across the central Mediterranean and made landfall in Italy, according to the International Organization for Migration(IOM).

      Rome has conceded that saving lives at sea is a priority, but maintains that national authorities must be obeyed and premeditated action to bring immigrants to Italy would amount to facilitating human trafficking.

      Italy, with the support of the EU, has trained the Libyan coast guard to intercept boats carrying migrants in a bid to prevent migrants from reaching European shores.

      https://www.infomigrants.net/en/post/15804/italy-seizes-migrant-rescue-boat-mare-jonio?ref=fb

    • Le navire humanitaire « Mare Jonio » mis sous #séquestre en Italie

      Le ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a lancé lundi 18 mars un avertissement aux organisations humanitaires qui recueillent des migrants au large de la Libye.

      Le lendemain, le « Mare Jonio », un navire ayant secouru 49 migrants était bloqué au large de Lampedusa, et mis sous séquestre dans la soirée. Les membres de l’équipage ont été arrêtés.

      « Les ports ont été et restent FERMES ». C’est par un message lapidaire posté sur Twitter que le dirigeant de La Ligue et ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a annoncé lundi 18 mars que l’Italie ne laisserait pas débarquer les migrants secourus par les ONG.


      Cet avertissement de Rome contre les ONG humanitaires intervient alors que le « Mare Jonio », affrété par le Collectif Mediterranea, aussi connu sous le nom de Mediterranea Saving Humans, venait de recueillir 49 migrants au large des côtes libyennes.
      Le Mare Jonio bloqué puis placé sous séquestre.

      Mardi 19 mars au matin, le navire humanitaire s’est positionné au large de Lampedusa, petite île italienne située entre l’île de Malte et la Tunisie, mais aussi dans la principale zone de passage des migrants en provenance des côtes libyennes. « En raison de conditions météo défavorables, il nous a été assigné un point d’ancrage à l’abri, à Lampedusa. Nous abriter était la priorité pour garantir la sécurité de toutes les personnes à bord », avait tweeté Mediterranea en fin d’après-midi.

      Le ministère italien de l’intérieur a annoncé, mardi 19 mars au soir, que « les douanes sont en train de procéder à la saisie du navire Mare Jonio », précisant que « les interrogatoires des membres d’équipage pourraient avoir lieu dans les prochaines heures ». Mercredi 20 mars, de fait, la justice italienne a confirmé le placement sous séquestre du Mare Jonio dans le cadre d’une enquête pour « aide à l’immigration clandestine ».

      Mediterranea, le soir même, a posté un message sur Twitter : « évidemment nous allons déposer un recours dans les prochains jours. Nous ne jouissons d’aucune immunité, mais nous sommes certains d’avoir agi dans le respect du droit et heureux d’avoir porté ces 49 personnes en lieu sûr ».
      Un accord Italie – Libye au détriment des droits de l’homme.

      Alors que Matteo Salvini menace de « sanctions » ceux qui « violent explicitement les règlementations (…) concernant les sauvetages », il ajoute au sujet du « Mare Jonio », « il ne s’agit pas d’une opération de sauvetage, c’est de l’aide à l’immigration clandestine ».

      Fidèle à sa ligne politique, le leader de La Ligue (extrême droite) a quasiment stoppé les arrivées de migrants, invoquant l’accord passé entre la Libye et l’Italie, signé le 2 février 2017, et soutenu par l’Europe, qui prévoit un soutien logistique et financier de l’Italie et de l’UE aux garde-côtes libyens, chargés d’assurer la surveillance en mer dans leurs eaux territoriales. En échange, ces derniers empêchent les personnes quittant la Libye de se rendre en Europe.

      Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat de l’ONU pour la Méditerranée centrale, a commenté sur Twitter que « le droit maritime est clair : la Libye n’est pas un lieu sûr (…). L’Italie et les autres pays méditerranéens, eux, le sont », légitimant ainsi le sauvetage des migrants par les ONG humanitaires.
      Le 16 novembre 2017, les pratiques d’esclavage en Libye sur des migrants originaires d’Afrique subsahariennes avaient été révélées au grand jour à la suite d’une vidéo publiée par la chaîne américaine CNN. « La Libye est un pays déchiré par la guerre et où les personnes réfugiées et migrantes sont régulièrement détenues dans des conditions terribles en violation de leurs droits humains les plus élémentaires », précise une lettre ouverte à l’attention du ministre de l’intérieur Français, Christophe Castaner, et signée par une trentaine d’ONG européennes.
      Quels navires humanitaires croisent encore en mer Méditerranée ?

      De janvier à juin 2018 l’espace humanitaire continue de se rétrécir en Méditerranée, explique pour sa part l’ONG SOS Méditerranée. « Les garde-côtes libyens sont de plus en plus présents et effectuent des interceptions dans les eaux internationales au large de la Libye, conséquence d’un transfert de responsabilités de plus en plus systématique du Centre de coordination des sauvetages italien vers les garde-côtes libyens ».

      La mise sous séquestre du « Mare Jonio » prive désormais un peu plus la Méditerranée d’aide humanitaire. D’autres embarcations européennes ont été empêchées de prendre la mer et de porter secours ces derniers mois : le « Juventa », le « Sea Watch », et l’« Aquarius ».

      Matteo Salvini dresse un bilan positif de son action. « Moins de départs, moins d’arrivées, moins de morts », martèle-t-il.

      L’Organisation Internationale pour les migrations (OIM) fait état de 152 morts et disparus en Méditerranée centrale depuis le début de l’année. Les chiffres sont par contre en augmentation au large de l’Espagne, devenue la principale porte d’entrée sur le continent.

      En 2018, toujours selon l’OIM, 144 166 personnes ont migré vers l’Europe : presque 4 000 de moins qu’en 2017. Le nombre de personnes mortes en tentant la traversée a également baissé, à 2 299. Il est toutefois proportionnellement plus élevé que les années précédentes.

      https://www.la-croix.com/Monde/Europe/Le-navire-humanitaire-Mare-Jonio-mis-sequestre-Italie-2019-03-21-120101032

      –-> commentaire de Emmanuel Blanchard, via la mailing-list Migreurop :

      Les rares journalistes français qui évoquent le Mare Jonio continuent de le présenter comme partie prenante d’un projet humanitaire. Le sauvetage en mer n’est pourtant qu’une des ambitions de cette coalition, soutenue par MIgreurop, qui a toujours défendu la dimension politique de son action. C’est également pour cela qu’elle est si durement attaquée par Salvini.

    • Hotspot di Lampedusa: si teme che i migranti della Mare Jonio siano detenuti arbitrariamente

      Le 50 persone soccorse dalla Mare Jonio e condotte all’Hotspot di Lampedusa il 19 sera sono da allora trattenute all’interno della struttura. ASGI chiede l’autorizzazione urgente all’ingresso nell’hotspot.

      Inviata il 20 mattina alla Prefettura e alla Questura di Agrigento una richiesta di informazioni circa la condizione dei cittadini stranieri presenti nell’hotspot. Ad oggi non è stata ricevuta nessuna risposta.

      In particolare nella richiesta inviata dall’ASGI, nell’ambito delle azioni promosse dal Progetto Inlimine, si richiedevano chiarimenti rispetto all’accesso alla protezione internazionale, alla tutela dei minori e all’eventuale privazione della libertà delle persone presenti.

      Di fatto i cittadini stranieri, nel corso di questi giorni, non hanno lasciato la struttura e l’ente gestore ha comunicato per via telefonica a In Limine che non sussistono meccanismi di regolamentazione in merito all’uscita e al rientro dalla struttura delle persone presenti. L’ente gestore ha infatti sostenuto che trattandosi di un Centro di primo soccorso e accoglienza i cittadini stranieri debbano essere trattenuti al suo interno.

      Questa situazione desta grandi preoccupazioni: l’hotspot è percepito dall’ente responsabile della sua gestione come un centro di detenzione e le autorità pubbliche responsabili sembrano assecondare tale visione. Il problema della detenzione illegittima all’interno dell’hotspot di Lampedusa era già stato sollevato dal Garante dei diritti dei detenuti in data 11 maggio 2017. In tale occasione il prefetto di Agrigento alla richiesta del perché non venisse permesso alle persone di uscire dal Centro aveva risposto “se vogliono possono uscire da un buco nella rete”. In seguito, nel febbraio del 2018 il Prefetto inviava una comunicazione all’allora ente gestore con l’indicazione di dotarsi di sistemi per consentire ai richiedenti asilo di circolare liberamente. A oltre un anno da tale comunicazione, tali sistemi non sono stati adottati.

      Di fronte a questa allarmante situazione ricordiamo che la libertà personale è un diritto inviolabile, in quanto tale tutelato dalla Costituzione (art. 13) nonché da norme di diritto internazionale, tra cui l’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. La privazione della libertà può avvenire solo sulla base di norme che ne disciplinino tassativamente casi e modi, deve essere disposta da provvedimenti scritti e motivati e deve essere convalidata dall’autorità giudiziaria competente. Nel caso dei cittadini stranieri presenti a Lampedusa ci troviamo potenzialmente di fronte a tre diverse situazioni:

      Il trattenimento nel corso delle procedure di identificazione. Tale forma di detenzione non è prevista da alcuna norma ed è quindi di per sé illegittima.

      Per quanto concerne la privazione della libertà dei richiedenti protezione internazionale all’interno dei centri hotspot questa è prevista dall’art. 6 del D.lgs. n. 142/2015, che stabilisce che il richiedente asilo può essere trattenuto solo in appositi locali, al fine di determinare o verificare l’identità o la cittadinanza e, in ogni caso, esclusivamente ove vi sia un provvedimento scritto emesso e notificato dall’autorità competente e convalidato dall’autorità giudiziaria.

      Per quanto riguarda i cittadini stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento l’unica eccezione al trattenimento presso i Centri per il rimpatrio è contenuta nell’art. 13, co. 5-bis, del Testo Unico sull’Immigrazione. Questo prevede che in caso di indisponibilità dei posti all’interno dei CPR tali cittadini possono essere trattenuti in strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza solo dietro autorizzazione del giudice di pace e comunque non oltre le quarantotto ore successive all’udienza di convalida.

      In base a quanto visto sopra si ritiene che la detenzione cui sono sottoposti i 36 adulti, nel centro di Lampedusa potrebbe essere illegittima, sia nella sua fase iniziale – ovvero durante l’identificazione –sia nei momenti successivi, a meno che non siano stati emessi i provvedimenti di trattenimento e non vi sia stata la relativa convalida.

      Per quanto riguarda i minori, la situazione è evidentemente ancora più grave. Infatti, in nessun caso i minori non accompagnati possono essere trattenuti e devono essere accolti in “strutture governative di prima accoglienza a loro destinate” e, in caso di indisponibilità di posti in tali strutture, l’assistenza e l’accoglienza devono essere garantite dal Comune. Il trattenimento ovvero la permanenza dei minori nel centro hotspot è estremamente preoccupante in quanto illegittima e contraria al principio del superiore interesse del minore.

      Si invitano pertanto le autorità competenti a fornire nel minor tempo possibile informazioni sulla condizione delle persone soccorse dalla Mare Jonio, sulla messa in campo delle garanzie previste per gli eventuali trattenimenti e sulle misure adottate per l’immediato trasferimento dei minori. In data odierna è stata inviata richiesta di ingresso all’hotspot di una delegazione del progetto al fine di verificare l’effettivo rispetto dei diritti delle persone presenti.

      In ultimo, riteniamo sia indispensabile, dal punto di vista della società civile, prestare l’opportuna attenzione nei confronti delle procedure applicate alle 50 persone attualmente presenti a Lampedusa. Riteniamo, da questa prospettiva, che il tema del rispetto dei diritti e le potenziali frizioni tra diritto e prassi non si esauriscano con l’approdo e lo sbarco. Viceversa, è indispensabile continuare a mantenere alta la soglia dell’attenzione: va puntualmente garantito il rispetto dei diritti all’interno degli hotspot e nelle delicate fasi successive.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/lampedusa-mare-jonio-detenzione-hotspot

    • Refugee Ships Are Trying To Call Them During Emergencies — But They Aren’t Answering

      Twenty-nine calls from BuzzFeed News to a variety of numbers meant to summon the Libyan coast guard to help for drowning refugees in the Mediterranean went completely unanswered.

      Four years after the refugee crisis first brought the horrors of the dangerous Mediterranean crossing to the world’s attention, hundreds of people continue to die each year hoping to reach Europe’s shores.

      Over the course of 2016, the European Union determined that the coast guard in Libya, from whose shores many refugee boats set off, would to be the first call for groups undertaking rescue missions in hopes of saving the lives of those adrift at sea. Since last June, the main international body that issues guidelines on rescues at sea has agreed — Libya has the lead in the Mediterranean.

      A BuzzFeed News investigation has found that five different phone numbers provided by Libyan officials as contact numbers for search and rescue missions are barely functioning, and when they do, the staffers manning the phones are unable to speak English, in violation of international law.

      A reporter from BuzzFeed News tried to reach these five numbers on three different days and at six different times in a total of 30 contact attempts. Of those, 29 failed because the call was not answered. Among the numbers where no one could be reached were the two numbers listed in the international database for emergencies at sea — the UN International Maritime Organization’s (IMO) Search and Rescue database. The IMO entry says that the Libyans should be available 24 hours a day.

      The failure to adequately man the phones can have dire consequences. In 2016, at the peak of the crisis, more than 3,800 people are estimated to have died when attempting to make the crossing into Europe. According to the UN, the route between Libya and Italy was the most deadly, with one death for every 47 arrivals. That number has fallen but still remains high: 2,262 people were estimated to have died on the voyage last year.

      In response to the surge in migrants and asylum-seekers, the European Union opted in 2016 to divert money and personnel from its own rescue missions to the Libyan coast guard, hoping to discourage migrants and asylum-seekers from making the trek in the first place. The program has been renewed several times since then, most recently in the form of a pledge of $52 million this January to pay for maritime surveillance equipment.

      The UN database also lists a Gmail address as an official contact for the Tripoli mission. There are three further email addresses available that BuzzFeed News was able to locate, which are supposed to represent official contacts to the Libyan coast guard. One is a second Gmail account; the other is an address that belongs to the Italian Navy. None of the addresses contacted responded to BuzzFeed News requests for comment.

      Other organizations have had little better luck contacting Tripoli. Sea-Watch, an NGO that provides search and rescue efforts in the Mediterranean, has also provided BuzzFeed News radio recordings of several attempts on different days to reach the Libyan coast guard.

      Sea-Watch also provided a list of recorded attempts to reach the Libyan coast guard from the bridge of the Sea-Watch 3, one of their rescue ships. The list of 15 calls show 10 failed contact attempts — in five other cases, the Libyan side simply hung up.

      Ruben Neugebauer, a crew member who also acts as spokesperson for Sea-Watch, told BuzzFeed News that the situation had become the new normal.

      “The accessibility of the JRCC Tripoli is more than poor, it happens again and again that the control center is not accessible at all,” he said, using the Libyan mission’s official name. “If it can be reached, often only the local Arabic dialect is spoken.”

      Under the terms of the 1979 International Convention on Maritime Search and Rescue, which Libya has signed, all rescue coordination centers must be staffed around the clock and include staffers who speak English.

      Neugebauer recalled one case where a person on the Libyan end of the call could not communicate in English, French, or Egyptian Arabic: “Even though it was an emergency, the JRCC Tripoli employee simply hung up before we were able to share the most necessary information.”

      The operator’s lack of English language skills can also jeopardize the rescuers. Last November, a Libyan patrol boat intervened aggressively in an ongoing rescue mission. Five people died as a result.

      The Aquarius, a ship jointly operated by NGOs Doctors Without Borders and SOS Mediterranee, has noted in its public logbook almost 30 unsuccessful attempts to reach the Libyans during missions since June 2018 alone. Nine unsuccessful attempts to reach Libyan units on the radio channel reserved for emergency calls are also listed in the logbook.

      “For us, the JRCC Tripoli has never been reachable by phone so far,” Axel Steier, founder and chair of the NGO Mission Lifeline, told BuzzFeed News in an email. “Emails are answered after days.” BuzzFeed News asked Steier to estimate how often the Libyan authorities were available in cases of distress at sea in which Mission Lifeline’s rescue vessel was involved. His answer: “Zero percent.”

      Ina Fisher, a spokesperson for Alarm Phone, another NGO focused on rescues, told BuzzFeed News that in only two cases did phone calls placed to numbers meant to belong to the Libyan coast guard actually get answered. One number turned out to belong not to the coast guard but a retired general, she said. In the other call, the voice on the other end of the line said they could not help but did ask if they’d managed to save the boat in question.

      “We regularly send complaints to MRCC Rome about the JRCC’s inaccessibility, but again and again get the answer that the JRCC is working well,” Fisher said.

      “According to our experience, in case of SAR events involving our assets, the communication with the relevant MRCC, including the Libyan one, has been satisfactory,” Antonello de Renzis Sonnino, a captain in the Italian Navy and spokesperson for Operation Sophia, the EU’s international rescue mission, said in response to a BuzzFeed News request for comment.

      Last year, Italian and Maltese ports began refusing ships with refugees on board permission to enter their harbors, leaving ships to wait for days with refugees on board on the Mediterranean Sea. As a result, civilian sea rescuers have given up on contacting the rescue coordination center based in Rome and switched over to contacting the German Maritime Search and Rescue Association during emergencies in the Mediterranean, hoping to enlist them to contact the Libyans. The Germans, based out of the city of Bremen, are responsible for maritime search and rescue operations in the North and Baltic seas.

      Even they don’t always manage to reach the Libyan coast guard. Christian Stipeldey, the German rescue association’s press officer, confirmed to BuzzFeed News: “In January 2019 we tried to reach Tripoli by telephone in one case. The connection was not established.” The mission in Rome “was already aware of this case,” Stipeldey said.

      A spokesperson for the International Maritime Organization told BuzzFeed News that they were not in a position to comment on the reporting gathered for this article, adding that the IMO has no mandate to investigate the accessibility and reliability of regional command centers. A member state of the IMO could make such a request, however.

      The German Federal Ministry of Transport is considering putting the work of the Libyan coast guard on the agenda at the next meeting of the IMO’s subcommittee responsible for sea rescues, the ministry confirmed to BuzzFeed News. The ministry also said that in talks with Libyan representatives, it has regularly demanded that the protection of refugees in sea rescue be guaranteed.

      “You must appreciate that not every State can execute this function properly, especially if it has been under turmoil, like Libya,” George Theocharidis, a professor of maritime law and policy at World Maritime University in Sweden, told BuzzFeed News. “On the other hand, as every State has sovereignty, it is not possible to enforce those duties and it is left to the goodwill of States to perform what is required from them,” he added, noting that even the IMO can’t force a country to comply with the standards.

      BuzzFeed News has also asked the European External Action Service, the responsible EU commissioner, for comment on the Libyans’ inaccessibility. It has not provided a response at this time.

      Despite widespread knowledge of the problem, the confusion has not improved in recent months. A screenshot of an internal Sea-Watch chat provided to BuzzFeed News shows one crew member attempting to get in touch with the Libyans as recently as March 15. They were subsequently provided with a new phone number and instructed to speak very slowly.

      When someone actually answered the phone, the chat reads, “it was a Russian-sounding man replying, saying in English that he didn’t speak English, only Russian.

      “To my question, if anyone there spoke English, he replied, ‘Afternoon, English!’”

      https://www.buzzfeednews.com/article/marcusengert/libya-coast-guard-not-answering-emergency-refugee-rescue-cal

    • Rescued migrants hijack merchant ship off Libya

      Migrants have hijacked a merchant ship which rescued them off the coast of Libya and it is now heading towards Malta, Italian Deputy Prime Minister Matteo Salvini and Maltese authorities said on Wednesday.

      The 108 migrants were picked up by the cargo ship #Elhiblu_1 and hijacked the vessel when it became clear that it planned to take them back to Libya, according to the website of Italian daily Corriere della Sera and Italian news agencies.

      “These are not migrants in distress, they are pirates, they will only see Italy through a telescope,” said Salvini, who has cracked down on illegal immigration, including closing Italy’s ports to charity ships, since he took office in June last year.

      A spokeswoman for Malta’s armed forces confirmed the ship had been hijacked and said Maltese authorities were monitoring its progress and it would not be allowed to dock in Malta.

      “This is clearly a case of organized crime,” Salvini said on Facebook. “Our ports remain closed.”

      Salvini, the leader of the right-wing League party, has been at the center of several international stand-offs over his refusal to let humanitarian ships dock in Italy.

      This month parliament rejected a request by prosecutors to investigate him for kidnapping over a case in August when he blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week off Sicily before finally letting it dock.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-hijacking/rescued-migrants-hijack-merchant-ship-off-libya-idUSKCN1R81YF?feedType=RSS&

    • Un pétrolier, détourné par les migrants secourus, arrive à Malte

      Le pétrolier ravitailleur #Elhiblu 1, détourné par des migrants qu’il avait secourus mais qui ne voulaient pas être reconduits en Libye, est arrivé jeudi à Malte. Un commando de la marine maltaise en a repris le contrôle dans la nuit.

      Ce navire de 52 mètres qui bat pavillon de Palau avait secouru mardi au large de la Libye 108 migrants, dont 31 femmes ou enfants, à bord de deux canots en détresse, signalés par un avion militaire européen. Mais alors qu’il s’approchait de Tripoli pour les débarquer mercredi, il a subitement fait demi-tour et mis le cap au nord.

      Le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a immédiatement prévenu que le navire ne serait pas autorisé à pénétrer dans les eaux italiennes.

      Or, l’Elhiblu 1 faisait route vers Malte, où la marine a pu entrer en contact avec le capitaine alors que le navire était à 30 milles des côtes.

      Le contrôle « rendu au capitaine »

      Le capitaine a répété plusieurs fois qu’il n’avait plus le contrôle du navire et que lui-même et son équipage étaient forcés et menacés par un certain nombre de migrants exigeant qu’il fasse route vers Malte", a ajouté la marine dans un communiqué.

      Un patrouilleur a empêché le pétrolier de pénétrer dans les eaux territoriales de Malte et un commando des forces spéciales, soutenu par plusieurs navires de la marine et un hélicoptère, a été dépêché à bord « pour rendre le contrôle du bateau au capitaine ».

      Escorté par la marine maltaise, le navire est arrivé tôt ce matin dans le port de La Valette, où l’équipage et les migrants doivent être confiés à la police pour déterminer ce qui s’est passé et les responsabilités.


      https://www.rts.ch/info/monde/10324359-un-petrolier-detourne-par-les-migrants-secourus-arrive-a-malte.html

    • #IOM: Libya isn’t a safe haven for immigrants

      The International Organization for Migration (IOM) said Libya cannot yet be considered a safe port, saying it is present at the disembarkation points to deliver primary assistance to migrants that have been rescued at sea.

      In a statement on Tuesday, IOM added that following the migrants’ disembarkation, they are transferred to detention centres under the responsibility of the Libyan Directorate for Combatting Illegal Migration (DCIM) over which the Organization has no authority or oversight.

      “The detention of men, women and children is arbitrary. The unacceptable and inhumane conditions in these detention centres are well documented, and IOM continues to call for alternative solutions to this systematic detention.” The statement remarks.

      It indicates that the number of migrants returned to Libyan shores has reached over 16,000 since January 2018, and concern remains for their safety and security in Libya, due to the conditions in the detention centres.

      “IOM only has access to centres to provide direct humanitarian assistance in the form of non-food items, health and protection assistance, as well as Voluntary Humanitarian Return support for migrants wishing to return to their countries of origin.” It explained.

      The IOM also clarified that its access to detention centres in Libya is part of the efforts to alleviate the suffering of migrants but cannot guarantee their safety and protection from serious reported violations.

      It said it advocates for alternatives to detention including open centres and safe spaces for women, children and other vulnerable migrants.

      “A change of policy is needed urgently as migrants returned to Libya should not be facing arbitrary detention.” The statement reads.

      IOM further explained that security and humanitarian situations in Libya remain dangerous, and reiterated that Libya cannot be considered a safe port or haven for migrants.

      https://www.libyaobserver.ly/news/iom-libya-isnt-safe-haven-immigrants
      #Libye #ports_sûrs #port_sûr #asile #migrations #réfugiés #IOM #OIM

    • Refugee rescue ship running out of food and water with 64 on board as European countries argue over who should let it dock

      A newborn baby, five children and 20 women are among those on board the stranded vessel.
      A ship carrying 64 refugees is stranded at sea and running out of food and drinking water while European countries refuse to let it dock.

      The Alan Kurdi is a private rescue ship owned by Sea-Eye, a German NGO.

      The group on the vessel includes 20 women, five children and one newborn baby, according to a spokesperson for Sea-Eye.

      Staff on board rescued the group of refugees from a rubber dinghy near the Libyan coast last week and asked Italy and Malta, the two nearest countries, to open a port so the ship could dock.

      But both countries refuse to accept humanitarian ships that patrol the Mediterranean to rescue refugees.

      The Alan Kurdi has now spent six days at sea as European countries argue over who should accept the vessel.

      Matteo Salvini, Italy’s anti-immigration deputy prime minister, said the rescue ship was not welcome in the country.

      “A ship with a German flag, German NGO, German ship owner, captain from Hamburg. It responded in Libyan waters and asks for a safe port,” he said.

      “Good, go to Hamburg.”

      As supplies on the vessel run low, the European Union (EU) has entered discussions with its member states.

      On Tuesday, Sea-Eye said it had informed Malta, which is nearest to the boat, about the scarcity of food on board.

      Dominik Reisinger, a spokesperson for the organisation, said the “political question about the distribution of those rescued ... overshadows the human rights” of the refugees.

      The vessel’s difficulties come after the aid organisation Médecins Sans Frontières (MSF) ended its refugee rescue missions in the area.

      In December 2018, the group’s rescue vessel, Aquarius, was withdrawn from operations after what MSF alleged was a “sustained smear campaign” led by the Italian government.

      Operation Sophia, the EU’s maritime rescue mission, has also been downgraded, in a move that was condemned by rights groups and charities when it was announced in March 2019.

      The EU mission was credited with saving thousands of lives but no longer carries out maritime patrols in the Mediterranean, after Italy refused to receive the people rescued at sea.

      A spokesperson for Amnesty International described the decision as an “outrageous abdication of EU governments’ responsibilities”.

      The Alan Kurdi is named after the three-year-old boy whose body was found on a beach in Turkey in September 2015 at the height of the refugee crisis.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/refugee-rescue-ship-sea-eye-boat-eu-countries-refusing-to-let-it-dock

    • Avril 2019

      #Alarmphone was called this morning at approx. 6am CEST by 20ppl, incl. women & children in distress off the coast of #Libya +++ They report that 8ppl have fallen into the sea and are missing. They lost their engine, water is coming into their boat. Authorities are informed.

      Avec un fil twitter sur l’évolution de la situation :
      https://twitter.com/alarm_phone/status/1115945935601831940

      Fin de l’histoire : les Libyens sont intervenus et ont ramené les migrants en Libye...

      Li hanno ripresi i Libici. Il caso è chiuso. 15 ore senza interventi di soccorso. Governi europei, civilissime nazioni di grandi tradizioni e valori, sono riusciti a riconsegnare ai lager in una zona di guerra da cui scappavano, donne uomini bambini. Crimine e vergogna infinita.

      https://twitter.com/RescueMed/status/1116054434742714368

      Tweet de #sea_watch :

      While today 8 people already drowned, 20 others are alive but abandoned in distress. Meanwhile the Dutch gov. keeps our ship blocked with random policy changes. #SeaWatch 3 could be there to save lives now, but that doesn’t fit the European migration policy of letting drown.

      https://twitter.com/seawatch_intl/status/1115955541099057152

    • #Castaner persiste sur des « interactions » entre ONG et passeurs en Méditerranée

      Après avoir affirmé que les ONG « ont pu se faire complices des passeurs » en Méditerranée, Christophe Castaner a tenté une mise au point mardi, dégainant deux « rapports de Frontex » censés démontrer des « interactions ». Emmanuel Macron lui-même juge que des humanitaires font « le jeu des passeurs ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/100419/castaner-persiste-sur-des-interactions-entre-ong-et-passeurs-en-mediterran

    • La Mare Jonio torna a navigare. Siamo tutti coinvolti

      In questo momento il rimorchiatore Mare Jonio e la barca a vela d’appoggio Alex stanno solcando il mare in direzione del Mediterraneo Centrale, la rotta migratoria più mortifera a livello globale. «Torniamo a navigare ancora una volta decisi a rispettare fino in fondo il diritto internazionale del mare, i diritti umani e i principi della nostra Costituzione – hanno scritto ieri gli attivisti sul profilo facebook della missione – Ringraziamo le migliaia e migliaia di persone diventate in questi mesi Mediterranea. È solo grazie al loro supporto che possiamo farlo».

      La Mare Jonio era ferma dal 19 marzo scorso, quando tornò in Italia con a bordo 49 naufraghi salvati dalla morte o dal ritorno nell’inferno libico. Dopo l’apertura di indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il rimorchiatore era stato sottoposto a qualche giorno di sequestro probatorio presto revocato dalla procura di Agrigento. La nuova missione parte con la benedizione dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice che lunedì scorso ha incontrato Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, affermando pubblicamente di essere dalla parte di chi salva esseri umani.

      Ieri sera, invece, è stato pubblicato un comunicato congiunto degli equipaggi di Sea-Watch, Open Arms, Mediterranea Saving Humans, Sea-Eye, Alarm Phone, Seebrücke sulla vicenda che ha riguardato la nave Alan Kurdi. L’imbarcazione della ong Sea-Eye aveva salvato 64 persone il 3 aprile scorso. Solo ieri i naufraghi sono stati prelevati e fatti sbarcare dalle motovedette militari maltesi. L’attracco della nave nel porto di La Valletta, invece, non è stato autorizzato. I profughi saranno ora «redistribuiti» tra Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo.

      «I negoziati intergovernativi portati avanti mentre le persone soccorse erano costrette a rimanere in condizioni non sicure in alto mare per oltre dieci giorni – recita il comunicato congiunto – sono pratiche illegittime e insostenibili che violano il diritto internazionale, i principi fondamentali dei diritti umani e non rispettano la dignità delle persone salvate». «Per noi, la società civile impegnata nel Mediterraneo centrale – continua il testo – la dignità e i diritti delle persone sono sempre una priorità assoluta e guidano tutte le nostre pratiche».

      La missione di Mediterranea iniziata questa mattina si inserisce in un nuovo contesto politico, segnato dalla rinnovata instabilità libica e dall’escalation militare che interessa Tripoli. Il conflitto tra le milizie di Haftar e quelle di Serraj, sostenuto dal governo italiano e dall’Unione Europea, hanno reso evidente a tutti, amesso che ancora ce ne fosse bisogno, che la Libia non è un «paese sicuro». Chi continua a ripeterlo diffonde fake news e menzogne che producono morte e legittimano l’inferno dei lager, delle violenze, degli stupri.

      A tutto questo bisogna reagire adesso. Mediterranea lo sta facendo. Lo stanno facendo gli equipaggi di mare, che hanno deciso di sfidare senza paura le aggressioni politiche e giudiziarie e i possibili comportamenti scomposti della cosiddetta «guardia costiera libica». Lo stanno facendo gli equipaggi di terra, che instancabilmente lavorano a livello economico, organizzativo e legale per rendere possibili le missioni. Dovrebbe farlo chiunque non accetta questa situazione, sostenendo come può la missione Mediterranea, che è completamente autofinanziata e ha urgente bisogno di nuovi fondi, ma anche preparandosi a mobilitarsi affinché nessuno resti solo, né in mare né in terra.

      https://www.dinamopress.it/news/la-mare-jonio-torna-navigare-tutti-coinvolti

    • Nella direttiva contro Mare Jonio solo propaganda. Il Viminale rispetti i diritti umani

      Apprendiamo che il Viminale ha dedicato, nella sua intensa attività di produzione di “direttive ad navem”, una nuova direttiva interamente dedicata alla nostra nave, Mare Jonio, salpata per la seconda missione del 2019 il 14 aprile scorso.

      La direttiva appare scritta come se il Governo vivesse in un mondo parallelo. Nessun accenno alla guerra che infiamma la Libia e ai corrispettivi obblighi internazionali né alle migliaia e migliaia di persone torturate negli ultimi anni in quel Paese né a quelle annegate nel Mediterraneo centrale (in proporzione in numero sempre crescente, 2.100 nel solo 2018). Forse dovrebbero parlarsi tra Ministeri: la Ministra della Difesa italiana ha appena affermato infatti che “con la guerra non avremmo migranti ma rifugiati e i rifugiati si accolgono”.

      Nelle considerazioni introduttive della direttiva in questione, si leggono una serie di slogan di propaganda, oltre che un elenco di bugie, peraltro relative a eventi al momento sotto l’attenzione della Procura di Agrigento nel corso dell’indagine che ci riguarda e che abbiamo accolto offrendo tutta la nostra collaborazione. Sappiamo infatti di avere sempre rispettato i diritti e il diritto, cosa che i governi europei, e il nostro in particolare, dovrebbero cominciare a fare in relazione a quanto avviene nel Mediterraneo Centrale.

      La direttiva dice che la nostra presenza in mare sarebbe un incentivo per chi lascia la Libia: bisognerebbe appunto ricordare al Viminale che in Libia c’è una guerra, e che in ogni caso, come l’ONU e l’UE non perdono occasione di ricordare, quel paese non è mai stato un porto sicuro, ma piuttosto il teatro di “indicibili orrori”, stupri quotidiani, torture, esecuzioni sommarie per tutti i migranti, inclusi i bambini.

      La direttiva dice che rischiamo di favorire l’ingresso di pericolosi terroristi. Auspichiamo che, una volta sbarcate nel porto più sicuro le persone eventualmente soccorse, questo governo sia in grado di effettuare tutte le indagini necessarie a garantire la sicurezza pubblica, ricordando però che i terroristi solitamente non viaggiano su barche che in un caso su tre affondano, ma che hanno ben altri mezzi per spostarsi.

      La direttiva dice che avremmo rifiutato il coordinamento SAR di autorità straniere legittimamente responsabili. Ricordiamo che nel nostro soccorso avvenuto il 18 marzo, nessuna autorità ci ha ordinato alcunché, se non di stare lontani 8 miglia da un punto dal quale siamo rimasti ben più distanti per tutto il tempo. In ogni caso, ci auguriamo che la direttiva non faccia riferimento all’autorità libica, poiché in questo caso, si tratterebbe di una istigazione a delinquere: se già in precedenza era un reato riportare in Libia le persone soccorse, oggi, con la guerra in corso, è un’affermazione semplicemente criminale.

      La cosiddetta guardia costiera libica, su delega e finanziamenti italiani, ha catturato per anni le persone in mare riportandole in quell’inferno e rimettendole in mano ai trafficanti, contrastati di fatto solo dalla presenza delle navi della società civile, le uniche a strappare le persone soccorse dalle mafie criminali. Sempre in relazione all’evento del 18 marzo, contrariamente alle menzogne riportate dalla direttiva, ricordiamo di avere fatto rotta verso l’Italia, obbedendo linearmente a quanto previsto dal diritto internazionale, in quanto Lampedusa era il porto sicuro più vicino per i naufraghi soccorsi.

      La direttiva ci accusa infine di volere condurre nuovamente le stesse attività: lo confermiamo. Siamo di nuovo nel Mediterraneo, grazie alle tantissime realtà e persone che ci sostengono, per continuare nella nostra missione di monitoraggio e denuncia della violazione dei diritti umani, senza sottrarci mai all’obbligo giuridico ed etico di salvare le vite in pericolo e portarle in salvo.

      Ci atterremo, nel farlo, esattamente come chiede la direttiva, alle vigenti norme nazionali e internazionali, cosa che implica l’impossibilità di fare alcun riferimento alla Libia, certi che anche l’illegittimità della sua zona SAR sarà presto definitivamente riconosciuta.

      Diffidiamo altresì chiunque, e nella fattispecie il Ministro dell’Interno italiano, dal mettere in atto comportamenti che violino le leggi nazionali ed internazionali in materia di rispetto dei diritti umani e di obbligo di salvataggio in mare.

      https://mediterranearescue.org/news/nella-direttiva-contro-mare-jonio-solo-propaganda-il-viminale-ri

    • Pourquoi l’extrême-droite européenne a quasiment réussi à faire interdire les sauvetages de réfugiés en Méditerranée

      Des navires comme l’Aquarius ou le Sea Watch, affrétés par des associations, ont sauvé des dizaines de milliers de vies en Méditerranée. Mais depuis deux ans, les autorités italiennes et européennes ont multiplié les entraves. L’Italie leur a fermé ses ports depuis l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini et de son parti d’extrême droite. Il n’est pas le seul à harceler les sauveteurs. Des bateaux sont saisis ou bloqués à Malte, en Espagne, leurs équipages sont menacés de poursuites. Et ce, dans l’indifférence des autres gouvernements européens. Les réfugiés, eux, continuent de mourir ou sont interceptés par les garde-côtes libyens. Bilan d’un naufrage européen.

      Quand une majorité d’électeurs français ont élu Emmanuel Macron contre Marine Le Pen en mai 2017, ils ne pensaient probablement pas que l’un de ses futurs ministres de l’Intérieur tiendrait le même discours que la candidate du FN et le reste de l’extrême droite européenne. C’est pourtant ce qui est arrivé le 5 avril. En marge du G7 des ministres de l’Intérieur, Christophe Castaner a déclaré que les ONG qui secourent des embarcations de migrants en péril en Méditerranée ont « pu se faire complices des passeurs ». C’est exactement l’argumentaire utilisé par Marine Le Pen un an plus tôt [1] en échos aux déclarations du ministre d’extrême-droite italien Matteo Salvini. Depuis que celui-ci est au pouvoir, les entraves mises aux organisations de sauvetage en mer ont redoublé.

      En juin 2018, dès la formation du gouvernement de coalition entre la Ligue du Nord (extrême-droite) et le Mouvement 5 Étoiles (M5S), Matteo Salvini décide de fermer les ports italiens aux bateaux des organisations non-gouvernementales de sauvetage. L’Italie refuse alors le droit d’accoster à l’Aquarius, affrété par l’ONG française SOS Méditerranée, et au Lifeline, d’une association allemande, alors qu’ils ont recueilli à bord des dizaines de réfugiés. « Normalement, selon le droit maritime, les gouvernements ne peuvent pas fermer leurs ports à des embarcations », déplore une activiste française de l’ONG allemande Sea Watch, qui souhaite garder l’anonymat. Mais les autorités italiennes cherchent tous les prétextes possibles pour le faire.
      Des accusations de collusion avec les passeurs, sans aucune preuve

      Sur le front juridique, les attaques contre les ONG ont commencé depuis deux ans. Au printemps 2017, le procureur de Catane, en Sicile, déclare soupçonner une collaboration entre des organisations de sauvetage et des trafiquants d’êtres humains. Sans aucun élément de preuves, l’affaire s’est finalement dégonflée. Les menaces de poursuites judiciaires et de mises sous séquestre des navires se sont cependant poursuivies. En août 2017, le parquet de Trapani, toujours en Sicile, saisit le navire Luventa de l’ONG allemande Jugend Rettet. Raison invoquée : soupçon de collaboration avec des passeurs lors de trois opérations de sauvetage en 2016 et 2017 (voir le travail d’enquête qu’a réalisé à ce sujet le collectif de recherche Forensic Architecture, basé à l’université Goldsmiths de Londres). L’ONG avait refusé, avec d’autres, de signer le « code de conduite » que les autorités italiennes voulaient leur imposer. Le texte leur demandait notamment de s’engager à ne pas entrer dans les eaux territoriales libyennes.

      « Notre navire se trouve en saisie préventive, fait savoir à Basta ! le président de Jugend Rettet, Julian Pahlke. La saisie peut être effectuée sans qu’aucune procédure judiciaire ne soit lancée. Elle est couverte par un paragraphe de loi anti-mafia ». Les autorités italiennes ont mis sous séquestre le navire de l’ONG allemande depuis plus d’un an et demi sans même qu’une procédure judiciaire ne soit ouverte ni contre l’ONG, ni contre ses membres. « Nous sommes allés jusqu’à la plus haute instance juridique italienne pour contester cette saisie », poursuit le jeune homme. En vain. L’ONG dit aujourd’hui préparer une plainte devant la Cour européenne des droits humains pour pouvoir récupérer son bateau.
      Des navires saisis ou bloqués de manière arbitraire, sans procédure judiciaire

      En mars 2018, c’est le navire de l’organisation espagnole Open Arms qui est placé sous séquestre par les autorités italiennes. Le procureur de Catane leur reproche d’avoir refusé de remettre aux garde-côtes libyens plus de 200 réfugiés secourus en mer. Une enquête pour organisation criminelle d’aide à l’immigration illégale est alors ouverte contre le capitaine du navire, le coordinateur et le directeur de l’ONG. Quelques mois plus tard, en novembre, la justice italienne déclare soupçonner l’Aquarius de traitement illégal de déchets toxiques. La menace d’un placement sous séquestre plane, mais l’accusation ne tient pas. La même année, le bateau de SOS Méditerranée reste coincé pendant des semaines dans le port de Marseille parce qu’il vient de perdre son pavillon, le pays de rattachement du bateau. Le Panama lui retiré l’immatriculation suite à une plainte de l’Italie. Juste avant, Gibraltar avait fait de même. Résultat : entre fin septembre et fin novembre 2018, plus aucun bateau d’ONG de sauvetage n’était présent au large de la Libye.

      Tout récemment encore, début février 2019, le parquet de Catane a bloqué plusieurs jours l’un des navires humanitaires de Sea Watch. Il venait de débarquer avec 47 réfugiés secourus au large des côtes libyennes, après avoir été coincés des jours sur le bateau au large, parce que Salvini leur refusait l’accès au port. Le ministre menace aussi l’ONG de poursuites en justice. Le parquet a finalement considéré qu’aucun délit n’a été commis par l’ONG, mais ordonne des vérifications techniques, ce qui immobilise le navire. Sea Watch a dénoncé un blocage politique injustifié. Puis, c’est le Mare Jonio, affrété par le collectif d’activistes italiens Mediterranea, qui est saisi pendant huit jours, mi-mars, au port de Lampedusa. Il venait de secourir 49 personnes.
      « Une preuve accablante que certains États abusent de leurs pouvoirs »

      Le zèle des autorités italiennes pour bloquer les navires inspire aussi d’autres pays. Sea Watch rencontre des difficultés avec les Pays-Bas, le pavillon sous lequel ses bateaux naviguent. Après des travaux d’entretien, les autorités néerlandaises ont empêché leur bateau Sea Watch 3 de retourner en zone de sauvetage. « Jusqu’à ce que le gouvernement néerlandais soit sûr que nous nous conformions aux exigences techniques d’un nouveau règlement, Sea Watch est obligé de suspendre ses missions et sera probablement soumis à une nouvelle série d’inspections grotesques », a réagi l’ONG dans un communiqué. Les Pays-Bas invoquent des préoccupations pour la sécurité des personnes secourues si le navire doit rester longtemps en mer, faute de port prêt à les accueillir, comme cela arrive de plus en plus souvent.

      « Nous ne pouvons être tenus responsables de l’état actuel des blocages prolongés et inhumains en mer. Au contraire, cette situation est une preuve accablante que certains États européens abusent de leurs pouvoirs », répond Sea Watch. Pour elle, les Pays-Bas, derrière des prétextes techniques, cherchent à empêcher les opérations de sauvetage en inventant « de nouveaux moyens pour contrôler les navires d’ONG dans le contexte de la politique migratoire ».

      Une troisième ONG allemande, celle qui affrète le bateau Lifeline, a fait l’objet d’un long procès à Malte. En juillet 2018, les autorités maltaises ont laissé accoster le Lifeline avec plus de 200 personnes réfugiées, après une semaine d’errance en Méditerranée. Puis, Malte a mis le navire sous séquestre et engagé un procès contre le capitaine. L’accusation ? Ne pas avoir correctement enregistré le bateau. Le jugement doit finalement être rendu le 14 mai prochain. En Espagne aussi, les conditions se durcissent. En janvier, les autorités maritimes espagnoles ont refusé au navire d’Open Arms de repartir en mer. Il venait d’accoster dans un port du sud de l’Espagne avec plus de 300 réfugiés fin décembre.
      Renvoyer les embarcations vers la Libye

      « Des barrières se mettent en place à tous les niveaux pour qu’on ne puisse plus retourner dans la zone de sauvetage dans les eaux libyennes », analyse l’activiste française de Sea Watch. Depuis juin 2018, la Libye dispose de son propre Centre régional opérationnel de surveillance et de sauvetage en mer (Cross), un centre de coordination pour les sauvetages maritimes. La mise en place d’un tel centre sur le sol libyen fait partie du plan de la Commission européenne de 2017 pour réduire les flux migratoires en Méditerranée [2]. « La zone de sauvetage où nous naviguons est un carré au nord de Tripoli, vers lequel les courants et les vents emmènent les embarcations qui partent de la capitale libyenne. Avant, le Cross dont dépendait cette zone de navigation était Rome. Nous avions l’obligation de diriger les embarcations en difficulté vers les ports les plus proches du Cross de Rome, donc des ports italiens ou maltais. »

      Avec la création d’un Cross à Tripoli, les embarcations peuvent être renvoyées vers la Libye. Alors même que, depuis début avril, des combats se déroulent, aux abords de Tripoli, entre les forces de l’Armée nationale libyenne autoproclamée du général Haftar, et les milices alliées au gouvernement reconnu par la communauté internationale. « Certains affrontements ont lieu également à proximité des centres de rétention des services de l’immigration à Qasr Ben Gashir et Ain Zara, où quelque 1300 personnes réfugiées et migrantes sont actuellement détenues », rappelle Amnesty International le 8 avril.
      80 000 personnes sauvées en deux ans

      En 2017, l’Union européenne a alloué 46 millions d’euros d’aide aux gardes-frontières et gardes-côtes libyens. En février, la France leur a même offert des navires [3]. L’objectif de ces généreux dons est de maintenir les migrants de l’autre côté de la Méditerranée. Pourtant, un rapport de l’Onu avertissait encore fin 2018 des « horreurs inimaginables » auxquelles sont confrontés les personnes migrantes en Libye. En novembre 2017, un documentaire de CNN montrait comment des migrants y étaient vendus comme esclaves.

      La politique italienne et européenne semble avoir pour priorité d’empêcher les personnes d’arriver sur le sol européen, quel qu’en soit le prix en termes de violation des droits humains, de conséquences humanitaires, et de morts. En 2018, plus de 2200 personnes ont péri en tentant la traversée entre la Libye et l’Italie, mais aussi entre le Maroc et l’Espagne. Au moins 350 sont morts depuis janvier (selon les chiffre du Haut commissariat aux réfugiés de l’Onu, ici). Fin mars, l’Union européenne a décidé de retirer ses bateaux de l’opération Sophia des eaux méditerranéennes (des navires militaires français, italiens, allemands, espagnols ou belges placés sous commandement franco-italien). Même si ce n’était pas leur mission principale – qui était de lutter contre les passeurs –, ces navires avaient secouru environ 45 000 personnes depuis 2015. Sur la seule période allant de 2015 à avril 2017, les différentes ONG de sauvetage en Méditerranée ont de leur côté sauvé plus de 80 000 personnes (voir notre article et ce rapport d’Amnesty de juillet 2017).
      « Nous n’avons plus de bateaux en mer pour le moment »

      « Nous n’avons plus de bateau en mer pour le moment », signale l’activiste de Sea Watch. SOS Méditerranée, qui est à la recherche d’un nouveau navire, non plus. Le Lifeline est toujours bloqué à Malte, le navire de Jugend Rettet en Italie, et celui d’Open Arms en Espagne. Le Mare Jonio opère toujours. Et le navire Alan Kurdi de Sea Eye, une autre organisation allemande, a secouru le 4 avril 64 personnes au large de la Libye. Le gouvernement italien a déclaré qu’il ne le laisserait pas accoster. Il a fallu dix jours, et deux évacuations pour urgences médicales, pour que Malte laisse enfin le Alan Kurdi accoster. La France et l’Allemagne se sont engagés à accueillir une partie des 64 réfugiés.

      Toute l’Italie n’est pas sur la ligne de Salvini. Des maires de gauche s’opposent publiquement à cette politique de fermeture des ports et au décret adopté en novembre qui ampute les droits des exilés. En mars, une manifestation antiraciste a réuni 200 000 personnes dans les rues de Milan. La justice italienne a même ouvert une enquête contre Salvini pour séquestration, pour les 46 réfugiés du Sea Watch à qui il avait refusé le droit de débarquer fin janvier. C’est la deuxième enquête de ce type lancée contre le ministre. La première avait été bloquée par le Sénat italien. En Allemagne, des dizaines de villes se sont déclarées « ports sûrs » ces derniers mois à l’appel de l’association Seebrücke. Ces communes se sont engagées à accueillir des personnes secourues en Méditerranée ou à soutenir les ONG de sauvetage.

      https://www.bastamag.net/Pourquoi-l-extreme-droite-europeenne-a-quasiment-reussi-a-faire-interdire-

    • Migranti sono in pericolo di vita, ma soccorritori italiani e libici non si capiscono: le intercettazioni

      Alle 13.25 del 17 marzo scorso arriva a Tripoli una chiamata dal coordinamento di Roma che deve «girare» ai colleghi libici l’sos del gommone in avaria con a bordo 48 migranti in imminente pericolo di vita. Per la legge, al centralino di Tripoli dovrebbe rispondere 24 ore al giorno un ufficiale della guardia costiera locale in grado di parlare l’inglese. Gli italiani impiegheranno quasi due minuti a trovare l’ufficiale e quasi un quarto d’ora a comunicare – chiamando poi un interprete arabo - le coordinate del gommone.

      https://video.repubblica.it/dossier/migranti-2019/migranti-sono-in-pericolo-di-vita-ma-soccorritori-italiani-e-libici-non-si-capiscono-le-intercettazioni/332460/333055
      #gardes-côtes_libyens #vidéo

    • « Salvini répète que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’à #Lampedusa, les migrants arrivent toujours ? »

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont rarissimes mais la route traditionnelle entre la Tunisie et l’île italienne s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal »

      Les deux navires orange et blancs de la « guardia di finanza » n’ont pas bougé de la nuit. Immobiles, ils mouillent toujours à l’entrée du petit port de Lampedusa, qui s’éveille mollement en ce premier jour du mois de mai.

      La lumière printanière est déjà là, mais les cohortes de touristes apportées par les compagnies charter ne sont pas encore arrivées. Bientôt les hôtels seront pleins, et cette île microscopique perdue au milieu de la Méditerranée, à moins de 150 km à l’est des côtes tunisiennes, sera complètement congestionnée. Mais pour quelques jours, les 5 000 habitants sont encore entre eux.

      Il a plu une bonne partie de la nuit, si bien que peu de bateaux sont partis en mer. Du coup, l’activité dans l’anse est particulièrement réduite. A quai, les pêcheurs s’affairent en silence. A vrai dire, rien ne laisserait paraître qu’il s’est passé quelque chose de particulier dans la nuit. Et pourtant…

      A quelques centaines de mètres de là, au pied de la mairie – un bloc de béton sans charme particulier, qui fait figure de centre du bourg –, une petite centaine d’habitants préparent les cérémonies de la fête des travailleurs, tandis qu’une mauvaise sono crache en boucle, à plein volume, des standards de la pop italienne des années 1970-1980. Air un peu fermé, teint buriné et écharpe au vent, le maire de l’île, Salvatore (dit « Toto ») Martello, passe d’un petit groupe à l’autre, discutant avec chacun à voix basse.

      Il s’arrête près de nous et nous confie, comme s’il reprenait une conversation interrompue cinq minutes plus tôt : « On les cherchait partout et ils sont arrivés dans le port hier soir, un peu avant 23 heures, sous la pluie. Vingt personnes à bord, quinze hommes et cinq femmes. On les a immédiatement conduits au centre d’accueil, pour enregistrement ». « Ils », ce sont les migrants partis de Tunisie sur une barque de bois que, durant toute la journée précédente, les maigres moyens de secours subsistant dans la zone avaient recherché avec inquiétude.
      Une situation inconfortable

      On avait suivi leur équipée heure par heure, et, dans l’après-midi, on avait craint le pire pour les occupants de ce gros canot qui semblaient avoir été avalés par la mer. Les avions de reconnaissance avaient multiplié les manœuvres infructueuses, alors que le ciel menaçant compliquait de plus en plus les recherches. Et soudain, au milieu de la nuit, le canot est arrivé à bon port tout seul. Comme par miracle.

      « Vous avez l’air surpris, mais ce genre d’arrivée est très fréquent, assure le maire. Les côtes africaines sont juste à côté, le trajet depuis la Tunisie n’est pas si difficile et les Tunisiens connaissent bien la mer. Seulement, pour l’instant, le gouvernement fait tout pour qu’on n’en parle pas. Vu que [le ministre de l’intérieur] Matteo Salvini répète partout que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’ici, les migrants arrivent toujours ? »

      Natif de l’île et figure historique de la gauche locale, Toto Martello a été réélu à la mairie de Lampedusa – il avait déjà occupé le poste de 1993 à 2002 –, à l’été 2017, après la défaite retentissante de la sortante, Giusi Nicolini, dont l’aura de pasionaria des droits des migrants avait fini par irriter une partie de la population de l’île. Moins militant que ne l’était sa devancière, il reste partisan de l’ouverture des ports, et de l’assistance aux personnes perdues en mer – comment pourrait-il en être autrement quand on est fils de pêcheurs ?

      Aussi l’arrivée au ministère de l’intérieur du dirigeant de la Ligue, Matteo Salvini, en juin 2018 a-t-il placé l’île tout entière dans une situation inconfortable.

      « Mes rapports avec la région Sicile, à laquelle Lampedusa est rattachée, sont très bons. Quand je suis allé à Bruxelles, il y a quelques mois, j’ai été reçu par le président du Parlement Antonio Tajani, le commissaire européen aux migrations Dimitris Avramopoulos et aussi des membres du staff de Federica Mogherini [à la tête de la diplomatie européenne],énumère Toto Martello. Mais quand j’écris au ministère de l’intérieur, il ne répond pas, il n’accuse même pas réception. Comme Salvini ne peut pas changer la situation à Lampedusa, il cherche à nous faire disparaître. Il veut qu’on nous oublie. »
      « Bateaux mères »

      Certes, en comparaison des années précédentes, la pression migratoire à Lampedusa a considérablement décru.

      « Quand je suis arrivé sur l’île, en 2015, il y avait eu 23 000 arrivées enregistrées. En 2016 on était passé à 13 000, puis 9 500 et 2017 et finalement 3 500 en 2018. Le début de l’année a été marqué par une mer très difficile, si bien que le chiffre des arrivées doit être très bas, mais il n’est pas vraiment significatif », explique Alberto Mallardo, représentant de l’ONG Mediterranean Hope, émanation des églises protestantes italiennes, très active sur l’île.
      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR

      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR "LE MONDE"

      Le « hotspot » de Lampedusa, où les migrants doivent être enregistrés avant de partir dans d’autres centres d’accueil, en Sicile ou sur le continent, était naguère plein à craquer. Il tourne désormais au ralenti, et on ne croise plus, comme c’était encore le cas en 2017, de groupes de demandeurs d’asile africains dans les environs de l’église.

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont devenues rarissimes, et c’est plutôt la route traditionnelle entre les côtes tunisiennes et Lampedusa qui s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal ». Mais l’équilibre de cette situation est très fragile, et pourrait être remis en cause en cas d’effondrement de l’actuel gouvernement de Tripoli.

      Par ailleurs, les derniers mois ont vu un certain changement du mode d’arrivée des demandeurs d’asile. Après les grands bateaux contenant plusieurs centaines de migrants, qui ont cessé de venir après 2014, il y avait eu les canots gonflables, qui n’avaient plus pour objectif d’atteindre Lampedusa mais plutôt d’arriver dans les eaux internationales où ils étaient secourus par les navires de l’opération Sophia ou ceux des ONG.

      Ce type de départs s’est tari depuis la mi-2017 et les accords avec la Libye.« Ce qui se développe actuellement, c’est un système dans lequel les migrants sont convoyés par des sortes de “bateaux mères”, détaille Alberto Mallardo. Ces embarcations sont assez importantes, elles peuvent faire le voyage jusqu’à Lampedusa ou la Sicile. Et une fois arrivés à proximité des côtes italiennes, elles débarquent discrètement leurs passagers dans de plus petites embarcations, de dix à douze personnes ». Puis les passeurs s’éloignent.
      « Efficacité de la propagande mise en place par Salvini »

      Observateur des incessantes mutations des routes migratoires, le journaliste Mauro Seminara, qui vit sur l’île depuis le milieu des années 2000, relativise l’importance des changements des derniers mois.

      « Tout cela est très fragile, et peu évoluer à tout moment assure-t-il. Ce qui me frappe, en revanche, c’est l’efficacité de la machine de propagande mise en place par Matteo Salvini. Le 11 avril , un bateau avec 70 migrants est arrivé ici depuis la Tunisie. Le ministère de l’intérieur a affirmé qu’après 24 heures ils avaient tous été renvoyés chez eux, et ici, sur l’île, beaucoup l’ont cru. Alors même qu’on sait bien qu’une moitié est partie assez vite en Sicile, à Porto Empedocle, et que l’autre moitié est restée un temps à Lampedusa… »

      Au-delà de cela, les observateurs de l’activité migratoire en mer savent bien que les « navires fantôme » qui arrivent à Lampedusa ne sont que la partie émergée de l’iceberg.

      En effet, un navire qui arrive à Lampedusa, si petit soit-il, ne pourra pas passer inaperçu. En revanche, si le même débarque sur les côtes siciliennes, il est autrement plus facile de se fondre dans la nature. « Pour un navire qui arrive ici, assure Mauro Seminara, il y en a au moins trois ou quatre qui débarquent quelque part dans la région d’Agrigente, au sud de la Sicile, et dont on ne saura jamais rien. »


      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/a-lampedusa-en-depit-de-ce-que-dit-salvini-les-migrants-arrivent-toujours_54

  • Libye : 95 migrants secourus par un navire commercial refusent de débarquer à #Misrata

    Près d’une centaine de migrants secourus le 8 novembre au large de la Libye par un navire commercial refusent de quitter le bateau battant pavillon panaméen. Les migrants ne veulent pas débarquer au port libyen de Misrata, d’où ils seront remis aux mains des autorités libyennes et renvoyés en centre de détention.

    Quatre-vingt-dix-huit migrants sont actuellement bloqués en pleine mer au large de Misrata, ville côtière libyenne située à l’ouest de Tripoli. Secourus jeudi 8 novembre par un navire de marchandises battant pavillon panaméen – le Nivin - alors que leur embarcation de fortune prenait l’eau, ils refusent de quitter le bateau commercial. Les migrants savent en effet qu’ils vont être remis aux mains des autorités libyennes et renvoyés en centre de détention.

    « Nous essayons de négocier avec eux depuis plusieurs jours », a déclaré lundi 12 novembre à l’agence de presse Reuters Rida Essa, commandant des garde-côtes basés à Misrata. « Nous sommes en discussion avec les autorités libyennes pour que les migrants débarquent au port de Misrata sans violence », précise à InfoMigrants Paula Esteban de l’agence des Nations-Unies pour les réfugiés (HCR) en Libye.

    L’agence onusienne a pris connaissance de cette affaire samedi 10 novembre. Dès lors, des membres de l’organisation montent quotidiennement à bord du Nivin. « Nous apportons de la nourriture, de l’eau, des vêtements, des chaussures, des kits d’hygiène, des couvertures… en partenariat avec l’Organisation internationale des migrations (OIM) et les autorités libyennes », explique encore Paula Esteban. « Nous nous coordonnons également avec une équipe médicale pour dispenser les premiers soins », continue-t-elle. Des cas de diabète et de gale ont été recensés, et nombre de migrants ont la peau brûlée à cause de l’essence qui s’est répandue dans leur embarcation.

    La majorité des migrants sont de nationalité soudanaise, érythréenne et bangladaise, selon le HCR. Pour l’heure, InfoMigrants n’a pas réussi à savoir si des femmes et des enfants se trouvaient à bord du navire commercial.

    Les conditions de vie des migrants en Libye sont régulièrement dénoncées par les ONG. Dans les centres de détention gérés par le gouvernement, les migrants subissent de mauvais traitements : détention arbitraire, promiscuité, besoins élémentaires non respectés, manque d’hygiène, violences…

    Fin octobre, un migrant érythréen a perdu la vie en s’immolant par le feu. Ce dernier croupissait dans le centre de détention de Tariq as-Sikka, à Tripoli, depuis au moins 9 mois et avait perdu tout espoir de quitter la Libye. Lundi 12 novembre, c’est un autre érythréen qui a essayé de se pendre dans les toilettes du même centre de détention. Tous deux avaient été interceptés en mer par les garde-côtes libyens et renvoyés en Libye.

    http://www.infomigrants.net/fr/post/13305/libye-95-migrants-secourus-par-un-navire-commercial-refusent-de-debarq
    #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #Libye #résistance #spatial_disobedience #désobéissance_spatiale

    • Libya: Refugees and migrants refuse to disembark ship in desperate plea to avoid detention and torture

      Libyan, European and Panamanian authorities must ensure that at least 79 refugees and migrants who are on board a merchant vessel at the port of Misratah are not forced to disembark to be taken to a Libyan detention centre where they could face torture and other abuse, said Amnesty International today.

      The refugees and migrants, including a number of children, were found as they attempted to reach Europe by boat across the Mediterranean. Amnesty International understands that Italian and Maltese maritime authorities were involved in the operation, carried out by the merchant ship Nivin. Flying a Panamanian flag, the Nivin picked the group up in the central Mediterranean on 8 November and returned them to Libya, in what appears to be a clear breach of international law, given that Libya cannot be considered a safe place to disembark.

      “The protest on board the ship now docked in Misratah, gives a clear indication of the horrifying conditions refugees and migrants face in Libya’s detention centres where they are routinely exposed to torture, rape, beatings, extortion and other abuse,” said Heba Morayef, Middle East and North Africa Director for Amnesty International.

      “It is high time the Libyan authorities put an end to the ruthless policy of unlawfully detaining refugees and migrants. No one should be sent back to Libya to be held in inhumane conditions and face torture and other ill-treatment.”

      Like most of the refugees and migrants passing through Libya, a number of those on the ship told Amnesty International that they had been subjected to horrific human rights abuses, including extortion, ill-treatment, and forced labour, much in line with what has previously been documented in Libya by the organization. One of those on board told Amnesty International he had already been held in eight different detention centres inside Libya and “would rather die than go back there”.

      Fourteen people who agreed to leave the ship yesterday have been taken to a detention centre – among them is a four-month-old baby.

      The news comes amid reports that some refugees and migrants held at Libyan detention centres are being driven to take their own lives. A young Eritrean man was reported to have attempted suicide earlier this week. Last month a Somali man at the same detention centre died after setting himself on fire.

      “Unable to return home out of fear of persecution, and with very limited chances for resettlement to a third country, for most refugees and asylum seekers in detention centres in Libya their only option is to remain in detention, where they are exposed to grave abuses. “

      “Europe can no longer ignore the catastrophic consequences of its policies to curb migration across the Mediterranean. The protest on board this ship should serve as a wake-up call to European governments and the wider international community that Libya is not a safe country for refugees and migrants,” said Heba Morayef.

      “Under international law, no one should be sent to a place where their life is at risk. European governments and Panama must work with Libyan authorities to find a solution for the people on board to ensure they do not end up indefinitely detained in Libyan detention centres where torture is rife.

      “The international community also has to do more to increase the number of refugees they are willing to resettle, increase access for people seeking asylum and offer alternative routes to safety for thousands of people stranded in Libya with no end in sight to their suffering.”

      Amnesty International is also calling on Libyan authorities to expedite the opening of a long-awaited processing centre that will house up to 1,000 refugees and asylum seekers allowing them to relocate out of detention centers.

      https://reliefweb.int/report/libya/libya-refugees-and-migrants-refuse-disembark-ship-desperate-plea-avoid-de

    • Migrants fleeing Libya refuse to leave ship and be sent back to camps

      A total of 81 people on the cargo ship, some from Sudan, say they are staying put.

      Eighty-one migrants have refused to disembark from a merchant ship off the coast of Misrata in Libya, according to reports.

      The migrants were rescued by the ship’s crew a week ago on 10 November, 115 miles east of Tripoli, after leaving Libya on a raft.

      Fourteen people decided to leave the cargo ship and were transferred to Libya, while the remaining 81 have refused to disembark in Misrata for fear of being sent back to Libyan detention camps.

      “I prefer to die on this ship,” one of the migrants told Médecins Sans Frontières (MSF) when offered to be transferred to a Libyan medical facility.

      MSF’s Twitter account stated that “others aboard the ship, including minors, had been imprisoned and tortured for over a year at the hands of human traffickers”.

      “It’s a shame that once again the only response given to people in search of safety is prolonged arbitrary detention in the country they desperately attempt to leave,” said Julien Raickman, the MSF head of mission in Libya.

      For over a year, the Libyan coastguard, supported by Italy, has been patrolling the waters and stopping boats from leaving Libyan shores for Europe. Under the terms of the deal, Italy agreed to train, equip and finance the Libyan coastguard.

      Amnesty International estimates that about 20,000 people were intercepted by Libyan coastguards in 2017 and taken back to Libya.

      Italy’s collaboration with Libya to stop migrants has been harshly criticised by human rights groups amid allegations that it has led to grave human rights violations against those crossing the Mediterranean, including torture and slavery.

      The International Organisation for Migration (IOM), the UN’s migration agency, said it had provided food and water to the 81 migrants but they were refusing to disembark.

      A Sudanese 17-year-old onboard the ship told MSF that his brother and friend had both died at the hands of smugglers near Tripoli.

      “How come you want me to leave the ship and stay in Libya? We agree to go to any place but not Libya,” he told volunteers.

      MSF medical teams were granted access by the Libyan coastguard so they could treat all those in need.

      Doctors have provided 60 medical consultations in three days. “We mainly treated burns from the engine petrol spills and witnessed the despair aboard,” MSF said.

      “There is clearly a lack of search and rescue capacity and coordination in the central Mediterranean now,” said Michaël Neuman, director of research at MSF.

      “People are effectively getting trapped. Europe’s policy of refusing to take in rescued people has led to a spike in deaths at sea and is fuelling a harmful system of arbitrary detention in Libya.”

      NGO rescue boats have almost all disappeared from the central Mediterranean since Italy’s minister of the interior, Matteo Salvini, announced soon after taking office this summer that he was closing Italian ports to non-Italian rescue vessels.

      People seeking asylum are still attempting the risky crossing but, without the rescue boats, the number of shipwrecks are likely to rise dramatically.

      The death toll in the Mediterranean has fallen in the past year, but the number of those drowning as a proportion of arrivals in Italy has risen sharply in the past few months, with the possibility of dying during the crossing now three times higher.

      According to the IOM, so far in 2018 more than 21,000 people have made the crossing and 2,054 have died.

      https://www.theguardian.com/world/2018/nov/17/migrants-fleeing-libya-refuse-to-leave-ship-and-be-sent-back-to-country

    • Salviamo i profughi della #Nivin. Testimonianza da bordo

      Pubblichiamo un video, per cui ringraziamo Francesca Mannocchi, inviato da bordo del cargo Nivin ancorato al porto di Misurata, in Libia, sul quale più di 70 persone provenienti principalmente dall’Eritrea e dal Sudan continuano a resistere rifiutando di essere riportate nei campi di concentramento libici.
      Torniamo a chiedere: cosa farebbe ciascuno di noi al posto loro?
      L’Italia, che è responsabile della vita di queste persone per avere scelto di delegare a un paese in cui la tortura è pratica quotidiana il recupero in mare delle persone in fuga, deve immediatamente agire per proteggerle.
      Mediterranea ha già documentato, in questo come in altri casi, il ruolo del coordinamento italiano nelle operazioni effettuate dalla cosiddetta guardia costiera libica nel catturare e riportare indietro migliaia di donne, uomini e bambini verso un paese che non è un porto sicuro e dove le persone vivono sofferenze e violenze inaudite. Il caso della Nivin dimostra ancora una volta la disumanità e l’illegittimità delle scelte politiche degli ultimi governi.
      Siamo anche noi su quel cargo, su ogni gommone che rischia di affondare, in ogni centro di detenzione dove si consumano stupri e abusi, tutti i giorni.
      Chiediamo all’Italia e all’Europa di aprire subito un canale umanitario per portare queste persone al sicuro. In Libia rischiano adesso di essere trattate come pirati o terroristi per avere cercato di difendere disperatamente la propria dignità e tenere aperta la speranza di salvarsi.
      Salviamo i profughi della Nivin, prima che sia troppo tardi. Salviamo noi stessi.

      https://mediterranearescue.org/news/salviamo-i-profughi-della-nivin-testimonianza-da-bordo
      #témoignage

    • Libya is ’hell’: Migrants barricaded in cargo ship refuse demands to leave

      Migrants on the Nivin ship tell MEE they are injured and having to urinate into bottles.
      They left Libya in a rubber raft 10 days ago. From Ethiopia, Pakistan and beyond, they sought to take the well-worn passage across the Mediterranean to Europe and, as one passenger said, escape hell.

      Now more than 70 migrants, including children, are in a stand off with Libyan authorities in the northwestern port of Misrata, refusing to disembark from the Nivin, the Italian cargo ship that rescued them.

      Many have already spent months travelling across dangerous terrain at the whims of smugglers or been detained in Libyan detention centres. Some, say aid workers, have been tortured by traffickers trying to extort money.

      Barricaded inside the ship, using plastic containers in place of toilet facilities, with the crew on the upper decks, and surrounded by Libyan armed forces awaiting orders from Tripoli, they now refuse to return.

      “We won’t get off this ship,” Dittur, a 19-year-old from South Sudan who remains onboard, told Middle East Eye by phone. “We won’t return to that hell.”

      In the Mediterranean, where there are no longer NGO rescue ships on patrol, the incident sheds light on the moral maze in which merchant ships now find themselves in the absence of aid workers. It may be easier for crews to pretend not to see rubber boats rather than lose time on their course. Six ships passed the migrants before the Nivin rescued them, migrants told MEE.

      However, human rights advocates said on Friday, the standoff is also a testimony to the continuing problems within Libya’s detention centres, which the UN described earlier this year as horrific. One of the migrants told MEE smugglers picked him up from one of the centres with full knowledge of authorities.

      The protest, said Middle East and North Africa director for Amnesty International, Heba Morayef, “gives a clear indication of the horrifying conditions refugees and migrants face in Libya’s detention centres, where they are routinely exposed to torture, rape, beatings, extortion and other abuse".

      As the standoff continues, there are concerns that the protest may end in violence.
      Like six ships in the night

      The migrants’ journey began on 6 November when 95 people, including 28 minors, set off in a raft from the coastal Libyan city of Khoms.

      Dittur, one of those on board, told MEE that the group had been at sea for several hours when they realised they were in danger and tried to get help from passing ships.

      “We called the emergency number saying we were on the rubber boat, which was already in very bad condition. Six ships passed by us that night and no one rescued us. They have seen us without saving our lives,” he said.

      Finally, he said, a merchant ship arrived. It was the Nivin, a cargo ship flying a Panamanian flag, which had left the Italian city of Imperia on 7 November with a load of cars destined for the North African market.

      The crew helped everyone on board. “‘We wil bring you to Italy. Do not worry,’" Dittur said they were told.

      Intead, several hours later, the Libyan coastguard arrived. “It was our nightmare,” the migrant from South Sudan said. As the coastguard started to attempt to transfer people off the boat and the migrants realised they would be returning to Libya, they refused to disembark, a Nivin crew member and passengers told MEE.

      Communication between the Nivin and Italy’s Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC) reviewed by MEE shows the MRCC acting on behalf of the Libyan coastguard.

      In their first contact via a cable seen by MEE, the MRCC told the Nivin to rescue the migrants on board the rubber raft and urged the crew to contact the Libyan coastguard. The number the MRCC gave for the coastguard, however, was Italian.

      At 7.39pm on 7 November, MRCC writes to Nivin: “On behalf of the Libyan Coast Guard… please change course and drive at maximum speed at the indicated latitude.” The MRCC shared another Italian phone number as a point of contact.

      At 9.34pm in an email seen by MEE, the Libyan Navy, with the Maltese navy, Eunavfor Med and the Italian Navy copied in, tells Nivin: “As a Libyan authority, I order you to recover the boat and we will give instructions to disembark.”
      ’They are desperate’

      The cargo ship arrived in Misrata on 9 November. On Wednesday, after days-long mediation between Libyan authorities and the migrants, a Somali woman and her three-month-old baby, along with 12 others, disembarked.

      Doctors Without Borders (MSF) staff at the port of Misrata negotiated with Libyan authorities, who carried food and medicine on board to injured migrants who have burns and abrasions. Now 70 remain barricaded in the ship.

      “They are desperate,” Julien Raickman, MSF’s head of mission, told MEE. “In the group, there are several people, including children, tortured by traffickers to extort money. A patient in serious condition refused to be taken to a medical facility in Libya. He said he would rather die on the merchant ship.”

      There are no toilets, so the migrants are using plastic bottles to urinate. Journalists have not been allowed to access the ship, the port or even the city of Misrata. Outside at the port, armed forces wait for instructions from Tripoli, according to a source inside the port.

      From Tripoli, Libyan naval commander Anwar El Sharif told MEE: “They are pirates, criminals. We do not consider them migrants and this is no longer a rescue operation for people in danger. They set fire to the ship’s cargo and attempted to kill the crew,” he said.

      “We will treat them as they deserve, that is, as terrorists. It is a work of special forces, counterterrorism. They will be in charge of evacuating the ship.”

      But those still onboard deny that they set cars on fire or tried to kill anyone. Instead, they say that they were burned by fuel from the rubber raft they originally set sail on.

      They also sent photos to MEE showing scratches and scars which they say are wounds they sustained in detention centres in Tripoli and Tajoura, a nearby town that many of them, including Dittur, were trying to flee.
      Impossible escape

      Two years ago when he was 17, Dittur said he escaped from South Sudan, crossed a desert and was arrested the first time he tried to cross the Mediterranean. He was imprisoned for seven months in Bani Walid detention centre in Libya.

      That first attempt, he said, was followed by another. And then another, even as he continued to be extorted by smugglers.

      “Every time, more torture, and more money to ask my family to let me go, and every time, they [the smugglers] let me go. I worked, free, to try to leave again,” he said.

      “When [Libyan authorities] held me again in a prison, I asked to be able to give my documents to humanitarian organisations, they told us that they would help us out, to get away from there. But months went by, no one showed up," he said.

      Passengers with him on the raft, he said, were kept in a shed in the countryside before smugglers transported them to the coast.

      Dittur said he had been picked up by smugglers at the Tariq al-Sikka detention centre in Tripoli, which is managed by the Government of National Accord’s Ministry of the Interior.

      “Smugglers can enter whenever they want in prisons,” he said. “They come to make arrangements with those who want to leave and enter to take away who can pay his share, with me they did so, two weeks ago.”


      https://www.middleeasteye.net/news/we-do-not-return-hell-migrants-refuse-leave-ship-standoff-libyan-auth

    • Ancora in trappola i dannati della Nivin

      La nave cargo NIVIN con il suo carico di naufraghi, persone soccorse l’8 novembre scorso in acque internazionali, a circa 60 miglia dalle coste libiche, è ferma nella parte più interna del porto di Misurata, mentre i migranti (uomini, donne e minori, provenienti da paesi diversi non “sicuri”, Etiopia, Eritrea, South Sudan, Pakistan, Bangladesh e Somalia, esseri umani tutti assai vulnerabili per gli abusi subiti già prima della fuga dalla Libia) si rifiutano di sbarcare, temendo di subire ancora altre torture nei centri di detenzione dai quali erano riusciti ad allontanarsi. A Misurata la posizione dei migranti in transito rimane assai critica, tanto che i “dannati” della NIVIN non vogliono scendere a terra, senza garanzie sul loro futuro, sebbene la città non sia interessata da scontri violenti come Tripoli, e si riscontri la presenza in zona di oltre 400 militari italiani (missione MIASIT), sempre che nel frattempo anche questi, come le navi della missione Nauras di base a Tripoli, non siano stati ritirati.

      Il segnale transponder della NIVIN (per la identificazione della rotta) è di nuovo acceso da quando la nave è attraccata a Misurata, dopo essere rimasto spento dal giorno del soccorso, l’8 novembre, fino al momento dell’ormeggio in porto due giorni più tardi. Rimangono dunque oscure le circostanze reali dell’intervento di ricerca e soccorso nel quale sono rimaste coinvolte 95 persone in evidente pericolo di vita. A differenza degli anni passati, sono venuti meno i comunicati della Guardia costiera italiana (Imrcc). La NIVIN, che batte bandiera panamense, era in rotta dall’Italia verso Misurata ( ultima posizione riferita prima dello spegnimento del transponder 34,41 Nord, 13,58 Est, con rotta 146 °, a circa 70 miglia da Misurata), quando riceveva una richiesta di intervento dalle autorità di ricerca e salvataggio italiane e maltesi per una operazione SAR ( search and rescue) in favore di un barcone carico di un centinaio circa migranti, alla deriva in alto mare. Dalle rilevazioni che sono rimaste disponibili al pubblico sembra che il soccorso sia avvenuto al limite tra la zona SAR libica e quella maltese. Le stesse autorità italiane e maltesi indicavano successivamente al comandante della nave soccorritrice il trasferimento delle competenze di coordinamento al Comando congiunto della Guardia costiera di Tripoli (JRCC).

      Il primo allarme, raccolto nella sera del 7 novembre, era stato rilanciato da ALARMPHONE, e quindi girato dalla nave Jonio dell’operazione Mediterranea alle Centrali di coordinamento (MRCC) delle guardie costiere di Italia e Malta. In in secondo momento queste autorità di coordinamento avevano rilevato la posizione dell’imbarcazione da soccorrere e avevano asserito che la stessa si trovava all’interno della zona SAR libica, Una zona SAR autoproclamata dal governo di Tripoli il 28 giugno scorso e riconosciuta dall’IMO (Organizzazione marittima internazionale) senza alcun rilievo sulla impossibilità, per le autorità tripoline e per la cosiddetta Guardia costiera libica, di garantire una effettiva attività di ricerca e salvataggio in una area che non corrispondeva allo sviluppo costiero del territorio sotto controllo da parte del Governo di riconciliazione nazionale (GNA) con sede a Tripoli.

      Eppure ancora nel mese di dicembre del 2017 l’IMO rilevava che le autorità libiche non avevano ancora una effettiva capacità di ricerca e salvataggio in acque internazionali, e il governo di Tripoli ritirava la sua prima dichiarazione sull’esistenza di una zona SAR “libica”. In sei mesi nulla era cambiato nelle dotazioni delle autorità libiche, a parte i corsi di formazione condotti a bordo di navi militari europee, l’arrivo di qualche motovedetta donata dall’Italia e il coordinamento delle attività SAR garantito da unità della Marina militare italiana, presenti nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli, nell’ambito della missione NAURAS. Tutte circostanze accertate dai giudici penali che ad aprile scorso hanno dichiarato comunque la Libia come un “paese terzo non sicuro”, quando si è proceduto, prima al sequestro ( a Catania), e poi al dissequestro (a Ragusa) della nave OPEN ARMS della omonima Organizzazione non governativa. Ma nel frattempo infuriava la campagna di criminalizzazione del soccorso umanitario e neppure l’archiviazione delle indagini contro due ONG avviate dalla Procura di Palermo, che pure dichiarava la Libia come un “paese terzo non sicuro”, metteva a tacere gli imprenditori dell’odio che su questa campagna avevano imbastito la propria avanzata elettorale.

      In piena estate, una prima grave conseguenza della istituzione di una zona SAR attribuita alle competenze delle autorità tripoline e della corrispondente “Guardia costiera” si era verificata nel caso dei respingimenti eseguiti dal rimorchiatore battente bandiera italiana ASSO 28. Che alla fine di luglio riportava nel porto di Tripoli decine di naufraghi soccorsi a 70 miglia dalla costa, dunque in acque internazionali, nei pressi delle piattaforme offshore gestite dall’ENI e dall’ente per il petrolio libico (NOC) nel bacino di Bouri Field, di fronte alla città di Sabratha. Negli ultimi mesi, a partire dal 28 giugno si calcola che oltre 1.200 persone abbiano perso la vita sulla rotta del Mediterraneo centrale, è un dato che probabilmente è superato dalla realtà di tante altre stragi che sono rimaste nascoste, come stava succedendo anche nel caso del soccorso di Josepha. Un numero di vittime che, in termini percentuali, ormai quasi una persona su sette che tenta la traversata perde la vita, che non ha precedenti negli anni passati. La macchina del fango che lo scorso anno era stata attivata contro le ONG ha continuato a sommergere anche queste vite. Le ONG sono state costrette a ritirare le loro navi, quando non sono incappate, come a Malta, in provvedimenti di sequestro del tutto immotivati.

      Il caso della NIVIN appare ancora più grave per le possibili conseguenze sulle persone che si sono asserragliate sulla nave, e rende ancora più evidente le conseguenze della creazione “a tavolino” di una zona SAR libica che non soddisfa esigenze di ricerca e soccorso, privilegiando la salvaguardia della vita umana in mare, ma risponde soltanto alle politiche si chiusura dei porti degli stati europei. Che mirano ad esternalizzare i controlli di frontiera per delegare alle autorità libiche le attività SAR in modo da non dovere più garantire un porto sicuro di sbarco, come sarebbe imposto dalle Convenzioni internazionali. In realtà sia l’Unione Europea che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati hanno finora escluso che la Libia possa essere considerata un “porto sicuro di sbarco”. Per l’UNHCR la Libia, o meglio nessuno dei governi che si dividono il suo territorio, è attualmente in grado di garantire “porti sicuri di sbarco”. Eppure secondo dati dell’UNHCR la sostanziale cessione di sovranità sulle acque internazionali rientranti nella cd. zona SAR libica aveva come conseguenza che “as of 14 November, the Libyan Coast Guard (LCG) has rescued/intercepted 14,595 refugees and migrants (10,184 men, 2,147 women and 1,408 children) at sea.”

      Secondo il più recente rapporto delle Nazioni Unite, con specifico riferimento al caso dei migranti intrappolati a bordo della NIVIN nel porto di Misurata, “the humanitarian community reiterates that disembarkation following search and rescue should be to a place of safety, and calls for the peaceful resolution of the situation. Under all circumstances, obligations under International Human Rights Law must be respected to ensure the safety and protection of all rescued people. The humanitarian community continues to advocate for alternatives to detention and transfer from disembarkation points to appropriate reception facilities for assistance, screening and solutions.

      Sorprende che a fronte di posizioni tanto nette delle Nazioni Unite, condivise anche dall’Unione Europea, un organismo internazionale come l’IMO, con sede a Londra, direttamente collegato con le stesse Nazioni Unite, consenta il mantenimento di una finzione, la cosiddetta zona SAR libica, che corrisponde alle esigenze politiche di alcuni paesi che vogliono in questo modo limitare il numero delle persone che fanno ingresso nel loro territorio, anche se si tratta di persone che richiedono una qualsiasi forma di protezione, o sono particolarmente vulnerabili per gli abusi subiti nel loro viaggio. Anche Amnesty International richiama i rischi che correrebbero i migranti ancora a bordo della Nivin, qualora fossero costretti allo sbarco a Misurata.

      In realtà se rimane da dimostrare in questa ultima occasione che il soccorso sia avvenuto effettivamente nella SAR libica e non nella zona SAR maltese, peraltro controversa anche in rapporto alle autorità italiane, appare confermato da fonti diverse che le autorità italiane e maltesi hanno risposto alle chiamate di soccorso delegando alla centrale di coordinamento congiunto libica (JRCC) le successive attività di ricerca e salvataggio. Come ha osservato Human Rights Watch, ancora una volta l’esistenza di una zona SAR libica e le dispute sulla competenza nei soccorsi tra gli stati mettono a rischio vite umane.

      Secondo quanto riferisce Francesca Mannocchi, “il viaggio dei migranti è iniziato il 6 novembre, quando 95 persone, tra cui 28 minori, sono partite a bordo di un gommone dalla città costiera di Khoms”. Come denunciato dai naufraghi, sei navi li avevano già avvistati, prima dell’intervento della NIVIN, ed hanno proseguito sulla loro rotta. Quando le autorità libiche hanno fatto intervenire la nave cargo per i soccorsi, il gommone aveva quasi raggiunto la zona SAR maltese, se non si trovava già al suo interno.

      Ormai da mesi le autorità oscurano i sistemi di rilevazione satellitare durante le attività di ricerca e salvataggio sulle rotte libiche, come se volessero nascondere le loro responsabilità, ed impedire l’accertamento di violazioni sempre più gravi del diritto internazionale e dei Regolamenti Europei. Le attività di monitoraggio aereo sulla rotta del Mediterraneo centrale sono infatti affidate ad assetti appartenenti alle operazioni Sophia di Eunavfor MED e Themis di Frontex, che dovrebbero operare nell’ambito dei Regolamenti europei n.656 del 2014 e 1624 del 2016, che privilegiano la salvaguardia della vita umana in mare, rispetto all’esigenza di difendere i confini e di contrastare l’immigrazione irregolare via mare.

      Dopo essere stati soccorsi/intercettati in acque internazionali dalla NIVIN, che si era posta nel frattempo sotto coordinamento SAR delle autorità libiche, per quanto i migranti manifestassero al comandante della nave le conseguenze alle quali sarebbero stati esposti in caso di ritorno in Libia e la volontà di chiedere protezione in Europa, questa si dirigeva verso il porto di Misurata, dove faceva ingresso nella giornata del 10 novembre. Come riferisce un recentissimo statement dell’UNHCR, “on 10 November, a commercial vessel reached the port of Misrata (187 km east of Tripoli) carrying 95 refugees and migrants who refused to disembark the boat. The individuals on board comprise of Ethiopian, Eritrean, South Sudanese, Pakistani, Bangladeshi and Somali nationals. UNHCR is closely following-up on the situation of the 14 individuals who have already disembarked and ensuring the necessary assistance is provided and screening is conducted for solutions. Since the onset, UNHCR has advocated for a peaceful resolution of the situation and provided food, water and core relief items (CRIs) to alleviate the suffering of individuals onboard the vessel.

      Le autorità libiche considerano adesso come “illegali” i migranti a bordo della NIVIN, e si arriva alle minacce proferite dal comandante della guardia costiera di Tripoli Qacem che parla anche di “ammutinamento”. Come sono del resto ritenuti “illegali”, tanto da Serraj che da Haftar, e dalle autorità di Misurata, i migranti in transito in Libia. Quattordici dei più disperati a bordo della NIVIN, tra cui una donna ed un bambino, hanno accettato di sbarcare, sempre su richiesta della Guardia costiera libica, e sono stati portati in un centro di detenzione vicino al porto. Le stesse autorità, con l’aiuto della Mezzaluna rossa, dell’OIM e dell’UNHCR, hanno fornito agli altri naufraghi cibo, acqua, coperte e altri generi di prima necessità, ma la situazione rimane ancora bloccata dopo giorni di negoziati. I migranti chiedono di non essere sbarcati in un paese non sicuro, dove la loro integrità fisica, e la loro vita potrebbero essere a rischio.

      “Sono disperati – dice Julien Raickmann, capo missione di MSF – ci sono diverse persone, compresi i minori, torturati dai trafficanti per estorcere denaro. Un paziente in gravi condizioni ha rifiutato di essere portato in una struttura medica in Libia. Ha detto che preferirebbe morire sulla nave mercantile”. “Per i 70 migranti ancora a bordo non ci sono bagni, usano le bottiglie di plastica per urinare. Ai giornalisti è interdetto non solo l’accesso alla nave e al porto ma anche l’accesso alla città di Misurata. Chi prova a superare il check point verso Misurata rischia di essere espulso dal paese. I pochi giornalisti presenti in Libia, compresa Repubblica, sono costantemente monitorati dall’intelligence libica”, ha scritto Francesca Mannocchi.

      A raccontare al telefono questa storia alla giornalista è stato Dittur, diciannove anni, viene dal Sud Sudan. Il ragazzo ha anche raccontato di essere stato prelevato “dai trafficanti nel centro di detenzione ufficiale di Tariq al Sikka, a Tripoli, gestito dal ministero dell’Interno del governo Serraj. “I trafficanti possono entrare quando vogliono nelle prigioni, entrano a fare accordi con chi vuole partire e entrano per portare via chi può pagare la sua parte, con me hanno fatto così. Due settimane fa”. Come osserva Paolo Salvatore Orru’, “una storia di straordinario dolore e di ordinaria follia”.

      La situazione a bordo della NIVIN è ormai insopportabile e va scongiurato il rischio di un intervento violento, di polizia o di milizie, che potrebbe avere conseguenze imprevedibili, con un elevato numero di vittime. Non sembra possibile difendere i migranti che richiedono protezione in Europa seguendo il percorso dell’asilo extraterritoriale, per la evidente contrarietà dei paesi europei a riconoscere il diritto alla vita di chi viene soccorso in mare. Occorre tuttavia insistere, oltre questa vicenda ancora in corso, nella direzione della richiesta di visti umanitariin favore dei migranti intrappolati nei centri di detenzione in Libia. Una questione che va affrontata a livello di Nazioni Unite, se l’Unione Europea continuerà a dimostrare il suo disinteresse, se non la sua sostanziale avversione.

      Come hanno dimostrato precedenti anche recenti, tra i tanti il caso dell’intervento della Guardia costiera libica contro la nave umanitaria SEA WATCH del 6 novembre 2017, i ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo non hanno consentito alle vittime alcuna tutela effettiva, ed immediata. Chi subisce una violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, si ritrova costretto a subire in Libia una situazione di grave precarietà, se non di detenzione, che non consente il conferimento della procura ad un legale, e quella tracciabilità dei ricorrenti richiesta dalla Corte di Strasburgo per non cancellare un ricorso dal ruolo. I tempi del ricorso sul caso Hirsi appaiono purtroppo assai lontani. Nel caso della NIVIN, se non si riuscisse a provare una responsabilità diretta di agenti di paesi aderenti al Consiglio d’Europa, si potrebbero porre anche complesse questioni di giurisdizione che non permetterebbero un immediata risposta alla richiesta di aiuto che ancora in questi giorni viene da persone disperate che si ritrovano su una nave nel porto di Misurata nella condizione di essere rigettati da un momento all’altro nella condizione “infernale” dalla quale erano riusciti ad allontanarsi.

      Occorre allora porre due questioni urgentialle Nazioni Unite ed alle agenzie che più direttamente seguono il caso dove sono presenti, l‘UNHCR e l’OIM in primo piano, per quanto concerne la situazione nel preteso punto di sbarco a Misurata, e in una prospettiva più ampia, all‘IMO a Londra, che con il suo segretariato vigila sulla ripartizione delle zone SAR (ripetiamo di ricerca e salvataggio, non di respingimento) tra i diversi stati che si dichiarano responsabili. Stati che in base alle Convenzioni internazionali sarebbero obbligati ad un costante coordinamento per garantire soccorsi immediati e lo sbarco in un place of safety, in un porto sicuro, quale in questo momento non può essere definito il porto di Misurata o altro porto libico.

      1) Le persone intrappolate a bordo della NIVIN vanno evacuate al più presto attraverso un corridoio umanitario, trattandosi per la loro provenienza e per le condizioni attuali, di persone altamente vulnerabili, come quelle poche decine di persone che sono state evacuate nei giorni scorsi da Tripoli verso Roma, con una cornice di propaganda che le autorità politiche potevano certamente evitare. La loro scelta forzata di non scendere a terra in porto, a Misurata, è dettata dal timore di subire trattamenti disumani e degradanti, non certo dalla volontà di impadronirsi della nave. Se non sarà possibile il loro resettlement in Italia, si dovrà trovare un altro stato europeo disposto ad accoglierli.

      2) Le Nazioni Unite, al pari dell’Unione Europea, non possono dichiarare che la Libia non garantisce “porti sicuri di sbarco” e continuare però a legittimare le attività di intercettazione in acque internazionali delegate alle motovedette delle diverse milizie libiche. Non si possono le reali condizioni di abbandono nella zona SAR libica, istituita dall’IMO il 28 giugno di quest’anno, e le condizioni disumane che i migranti ritrovano quando vengono riportati a terra, anche se nei porti, nei quali rimane ancora possibile accedere, UNHCR ed OIM tentano di fornire i primi aiuti e di individuare i casi più vulnerabili. Ma tutti i migranti fuggiti dalla Libia, che vengono riportati a terra dopo essere stati intercettati in alto mare, sono soggetti vulnerabili, come dimostra anche questo ultimo caso della NIVIN. Tutti hanno diritto allo sbarco in un place of safety.

      Occorre sospendere immediatamente il riconoscimento di questa zona SAR che di fatto non è garanzia di soccorso e salvaguardia della vita umana in mare, ma solo pretesto per operazioni di respingimento delegate alla sedicente Guardia costiera “libica”, che neppure “libica” riesce ad essere, allo stato della divisione del paese tra diverse autorità politiche e militari. Occorre anche chiarire i limiti dei livelli di assistenza e di coordinamento della stessa Guardia costiera libica da parte di paesi come l’Italia che non solo inviano motovedette da impiegare nelle attività di intercettazione, ma continuano a svolgere un ruolo attivo di coordinamento delle attività operative, anche al di fuori delle operazioni di ricerca e salvataggio (SAR). Sono del resto noti i rilevanti interessi economici italianinei principali porti petroliferi libici e nelle piattaforme offshore situate in acque internazionali. Impianti che in mare sono difesi anche dalle navi della Marina Militare della operazione Mare Sicuro, che sono dispiegate in prossimità degli impianti di estrazione del greggio. E che negli ultimi mesi non si sono fatte certo notare in attività di ricerca e salvataggio di persone in situazione di pericolo, che si è preferito affidare agli interventi delle navi commerciali, dopo l’allontanamento forzato delle ONG.

      L’Unione Europea, al di là della campagna elettorale permanente tutta rivolta a negare il diritto alla vita dei migranti intrappolati in Libia, dovrà rivolgere all’IMO una richiesta forte di sospendere il riconoscimento di una zona SAR libica, fino a quando in Libia non si saranno stabilite autorità centrali, e la Libia non avrà aderito, e applicato effettivamente, la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Prima di allora, qualunque coinvolgimento di assetti navali o aerei europei in attività di intercettazione in acque internazionali, poi affidate alla sedicente Guardia costiera “libica”, potrebbe configurare oggettivamente una grave violazione dei divieti di respingimento sanciti dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU, che vietano le espulsioni ed i respingimenti collettivi.

      Le organizzazioni non governative, ma anche le associazioni di armatori, devono essere ascoltate dal Segretariato dell’IMO, finora chiuso a qualunque sollecitazione, che deve sospendere il riconoscimento di una zona SAR “libica”, fino a quando non esista davvero uno stato libico unitario capace di organizzare coordinamento e mezzi di salvataggio. Va risolta una situazione di incertezza sulle competenze di soccorso e nella individuazione di un porto sicuro di sbarco che mette a rischio vite umane. Questi problemi non si risolvono con accordi bilaterali e rientrano anche nell’area di competenza dell’IMOn e delle Nazioni Unite.

      “With the adoption of the International Convention on Maritime Search and Rescue (“SAR Convention”) in 1979, IMO has made great strides in the implementation of that Convention and the development of the global SAR plan, designating SAR regions of responsibility to individual IMO Member States aiming at covering the entire globe. In addition, since 2000, IMO has made continuous efforts to strengthen the global network of search and rescue services and regions established under the SAR Convention, including the establishment of a framework of regional Maritime Rescue Co-ordination Centres and Maritime Rescue Sub-Centres in Africa for carrying out search and rescue operations following accidents at sea”.

      Questione che non si può lasciare alle trattative tra stati, o tra questi e ONG o singoli armatori, ogni volta che si verifichi un un incidente, come è successo negli ultimi mesi. Basti pensare ai diversi casi di boicottaggio dei soccorsi operati dalla nave Aquarius, fino alle pressioni italiane su Gibilterrra e Panama per il ritiro della bandiera, ed al blocco dei porti per giorni rispetto ad interventi di soccorso operati da navi commerciali come la Alexander Maersk.

      Occorre ricostruire quella collaborazione virtuosa tra navi umanitarie delle Organizzazioni non governative ed unità della Guardia costiera italiana che ha permesso negli ultimi anni di salvare decine di migliaia di vite. Occorre fare finalmente chiarezza sui ricorrenti tentativi di criminalizzazione dell’intervento umanitario, che ancora non sono riusciti a produrre un solo risultato certo in sede processuale.

      Gli organismi europei, e soprattutto l’agenzia FRONTEX, oggi definita Guardia di frontiera ecostiera europea, dovranno rispettare rigidamente gli obblighi di salvataggio, sanciti soprattutto dal Regolamento n.656 del 2014, e tutti i suoi assetti, comresi quelli impegnati nell’operazione Sophia di Eunavfor Med, dovranno anteporre la salvaguardia della vita umana in mare, alla finalità del contrasto dell’immigrazione irregolare. Operando diversamente gli agenti responsabili potrebbero esser chiamati a rispondere del loro operato davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quale che sia l’esito delle prossime elezioni europee. Il rispetto dello stato di diritto, dei principi costituzionali, delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti, come delle Direttive europee, non si può condizionare in base all’andamento dei risultati elettorali. Come dovrebbe essere garantito, anche, a livello nazionale, per l’amministrazione della giustizia. Anche nell’accertamento delle responsabilità degli stati nell’omissione o nel ritardo riscontrabile nelle operazioni di ricerca e salvataggio.

      Infine, con la consapevolezza che si tratta di attendere, ma che alla fine si potranno accertare responsabilità internazionali che altrimenti godrebbero della più totale impunità, occorre attivare un circuito permanente di denuncia di quanto sta avvenendo nel Mediterraneo centrale, rivolto alla Corte Penale internazionale,che già si sta occupando della sedicente “Guardia costiera libica”, in casi nei quali i governi nazionali si dimostrano complici o indifferenti. Se qualcuno ha smarrito il valore della vita umana, o pensa di poterlo strumentalizzare a fini politici, è bene che si riesca, anche se in tempi più lunghi, ad accertare fatti e responsabilità.

      https://comune-info.net/2018/11/ancora-in-trappola-i-dannati-della-nivin

    • Migranti, Mediterranea: «Irruzione delle truppe libiche sulla nave Nivin»

      L’allarme della nave delle ong che da settimane svolge un servizio di soccorso e assistenza in mare

      Secondo quanto apprende Mediterranea, la nave delle ong che da settimane svolge un servizio di soccorso e assistenza in mare, forze armate libiche hanno fatto irruzione sulla nave Nivin, ancorata nel porto di Misurata in Libia.

      https://www.lapresse.it/cronaca/migranti_mediterranea_irruzione_delle_truppe_libiche_sulla_nave_nivin_-858090/news/2018-11-20

      Le tweet de Mediterranea:

      Apprendiamo che forze armate libiche hanno fatto irruzione sulla #Nivin, dalle 11.41 non si hanno notizie dei profughi a bordo. ITA ed EU non permettano violenza su persone che lottano per non essere ancora torturate. #Misurata @italyMFA @UNHCRlibya

      https://twitter.com/RescueMed/status/1064854071813775360?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E10

    • Les migrants du Nivin ont été débarqués à #Misrata et accusés de « #piraterie »

      Les autorités libyennes ont évacué mardi 20 novembre les 77 migrants qui refusaient depuis 10 jours de débarquer à Misrata. D’après les reporters de France 24 sur place, qui ont pu s’entretenir avec une source officielle ils ont été ramenés en centre de détention et sont accusés de « piraterie ».

      Mardi 20 novembre vers 10h30 heure de Paris, selon plusieurs sources concordantes, les autorités libyennes ont mené une opération musclée pour déloger les 77 migrants qui refusaient de sortir du navire commercial depuis 10 jours. Selon un média local, l’opération a été ordonnée par le procureur général de Misrata.

      « On a vu passer ce matin des ambulances qui fonçaient à toute allure et de nombreux fourgons avec des hommes en armes à l’intérieur », précise à InfoMigrants un humanitaire sur place. Les organisations internationales ont pour l’heure peu d’informations sur la situation, les autorités libyennes les ayant tenues à l’écart de l’évacuation. « On n’a pas été autorisés à suivre l’opération, on nous a bloqué l’accès », note encore l’humanitaire. L’opération s’est donc déroulée sans témoins.

      InfoMigrants a tenté de joindre, Victor*, son contact à bord mais c’est un homme se présentant comme un garde-côte libyen qui a répondu. « Tout ce que je peux vous dire c’est qu’il n’y a plus personne dans le bateau et que les migrants sont dans de bonnes conditions », a-t-il déclaré, laissant penser que le téléphone du migrant soudanais avait été saisi.

      Plusieurs sources évoquent au contraire une situation tendue. Selon le directeur de la sécurité et de la sûreté de la zone franche de Misrata interrogé par l’équipe de France 24 en Libye, les autorités libyennes ont fait usage de gaz lacrymogène et de balles en caoutchouc pour évacuer le bateau. Plusieurs personnes ont été blessées et sont désormais prises en charge à l’hôpital de Misrata.

      Des migrants accusés de « piraterie »

      D’après la même source, les migrants non blessés ont été envoyés au centre de détention de Kararim, à Misrata. Ils sont accusés de « piraterie », a expliqué le Directeur de la sécurité et de la sûreté de la zone franche de Misrata, à l’équipe de France 24.

      Un garde-côte libyen, joint par InfoMigrants plus tôt dans l’après-midi, a affirmé que certains des migrants avaient été présentés au procureur général.

      Secourus le 8 novembre au large de la Libye par un navire commercial battant pavillon panaméen, les migrants refusaient de débarquer au port de Misrata. « Plutôt mourir que de retourner en Libye », affirmaient-ils à InfoMigrants. Pendant des jours, les organisations internationales ont essayé de négocier avec les autorités libyennes une solution alternative aux centres de détention, sans succès.

      Elles redoutaient également l’usage de la force pour faire sortir les migrants calfeutrés à l’intérieur du bateau. Lundi 19 novembre, un membre d’une organisation internationale déclarait sous couvert d’anonymat à InfoMigrants : « Les Libyens font finir par perdre patience ».
      Les organisations internationales se disent aujourd’hui inquiètes du sort qui sera réservé aux leaders de la contestation. « On va être attentif à leur situation mais aussi à celles des autres migrants du Nivin », conclut un humanitaire.


      http://www.infomigrants.net/fr/post/13459/les-migrants-du-nivin-ont-ete-debarques-a-misrata-et-accuses-de-pirate