• À l’occasion de la mort de Toni Negri, le Monde Diplo met cet article en accès libre.
    Retour sur l’Italie des années 1970
    https://www.monde-diplomatique.fr/1998/08/NEGRI/3918

    Les années 70 sont présentes parce qu’elles ont posé à l’Italie le problème de la représentation démocratique dans la transformation des modes sociaux de production, ce nœud central des sociétés capitalistes avancées qui n’est pas encore dénoué. En Italie, la présentation de ce nœud de problèmes a pris à ce moment-là une tournure tragique.

    • Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.

  • Stopper la montée de l’insignifiance, par Cornelius Castoriadis (Le Monde diplomatique, août 1998)
    https://www.monde-diplomatique.fr/1998/08/CASTORIADIS/3964


    Je sais, c’est vieux et multicité, mais c’est ouvert en lecture intégrale et terriblement d’actualité.

    Les responsables politiques sont impuissants. La seule chose qu’ils peuvent faire, c’est suivre le courant, c’est-à-dire appliquer la #politique ultralibérale à la mode. Les socialistes n’ont pas fait autre chose, une fois revenus au pouvoir. Ce ne sont pas des politiques, mais des politiciens au sens de micropoliticiens. Des gens qui chassent les suffrages par n’importe quel moyen. Ils n’ont aucun programme. Leur but est de rester au pouvoir ou de revenir au pouvoir, et pour cela ils sont capables de tout.

    Il y a un lien intrinsèque entre cette espèce de #nullité de la politique, ce devenir nul de la politique et cette insignifiance dans les autres domaines, dans les arts, dans la #philosophie ou dans la littérature. C’est cela l’esprit du temps. Tout conspire à étendre l’insignifiance.

    La politique est un métier bizarre. Parce qu’elle présuppose deux capacités qui n’ont aucun rapport intrinsèque. La première, c’est d’accéder au #pouvoir. Si on n’accède pas au pouvoir, on peut avoir les meilleures idées du monde, cela ne sert à rien ; ce qui implique donc un art de l’accession au pouvoir. La seconde capacité, c’est, une fois qu’on est au pouvoir, de savoir gouverner.

    Rien ne garantit que quelqu’un qui sache gouverner sache pour autant accéder au pouvoir. Dans la monarchie absolue, pour accéder au pouvoir il fallait flatter le roi, être dans les bonnes grâces de Mme de Pompadour. Aujourd’hui dans notre « pseudo- démocratie », accéder au pouvoir signifie être télégénique, flairer l’opinion publique.

    Je dis « pseudo-démocratie » parce que j’ai toujours pensé que la #démocratie dite représentative n’est pas une vraie démocratie. Jean-Jacques Rousseau le disait déjà : les Anglais croient qu’ils sont libres parce qu’ils élisent des représentants tous les cinq ans, mais ils sont libres un jour pendant cinq ans, le jour de l’élection, c’est tout. Non pas que l’élection soit pipée, non pas qu’on triche dans les urnes. Elle est pipée parce que les options sont définies d’avance. Personne n’a demandé au peuple sur quoi il veut voter. On lui dit : « Votez pour ou contre Maastricht ». Mais qui a fait Maastricht ? Ce n’est pas le peuple qui a élaboré ce traité.

    Il y a la merveilleuse phrase d’Aristote : « Qui est citoyen ? Est #citoyen quelqu’un qui est capable de gouverner et d’être gouverné. » Il y a des millions de citoyens en France. Pourquoi ne seraient-ils pas capables de gouverner ? Parce que toute la vie politique vise précisément à le leur désapprendre, à les convaincre qu’il y a des experts à qui il faut confier les affaires. Il y a donc une contre-éducation politique. Alors que les gens devraient s’habituer à exercer toutes sortes de responsabilités et à prendre des initiatives, ils s’habituent à suivre ou à voter pour des options que d’autres leur présentent. Et comme les gens sont loin d’être idiots, le résultat, c’est qu’ils y croient de moins en moins et qu’ils deviennent cyniques.

  • Deux mots des morts - sur le Manifeste conspirationniste
    http://mathieupottebonneville.fr/2022/01/26/1717

    22 janvier. – Page 1 on peut lire : « La mise en scène d’une meurtrière pandémie mondiale, « pire que la grippe espagnole de 1918 », était bien une mise en scène. Les documents l’attestant ont fuité depuis lors ; on le verra plus loin. Toutes les terrifiantes modélisations étaient fausses.«  . Suit une allusion au refus gouvernemental de considérer d’autre traitement que biotechnologiques (on croit reconnaître, perdu dans une allusion suffisamment faux-cul pour être inattaquable, le profil de médaille de Didier Raoult). On se pince, on tâche de se rassurer, évidemment ça ne durera pas, c’est une préface clickbait, l’ordinaire protestation amphigourique et générale dans le style grand siècle prendra le relais, mêlant rappel des infamies d’époque à l’air d’en savoir long, mais tout de même : on en sera passé par là, par la double négation consistant à réduire la pandémie à une mise en scène et à s’en détourner sitôt qu’elle aura joué son rôle de captatio benevolentiae, parce que compte moins au fond la vie et la mort des figurants de cette mise en scène (on songe aux brésiliens, aux tunisiens, aux 120000 disparus d’ici) que leur aptitude à servir de marchepied pour pérorer à leur place.

    Qu’une part de la gauche soit incapable de penser ensemble la pleine réalité de la crise sanitaire et la critique circonstanciée des effets d’aubaine autoritaires qu’elle représente ne fait pas honneur à son intelligence du présent.

    Que le torchon histrionique dont même le Comité invisible s’est vite démarqué ne se perçoive pas comme ce qu’il est, objectivement eugéniste (s’énoncant au nom de « tout ce qui ose encore respirer, les jeunes les pauvres, les dansants, les insouciants, les irréguliers ») n’étonne guère.
    Qu’il ait trouvé à se loger chez un grand éditeur est tout simplement consternant.
    25 janvier. — « Mais tu ne peux pas critiquer le livre en ayant lu seulement ces vingt-cinq premières pages ! »

    Il me semblait, à moi, que vingt-cinq suffisaient, que s’infuser dans la foulée trois cent cinquante pages de l’habituelle tambouille n’était pas indispensable, mais bon : puisqu’il fallait j’ai lu, du coup.

    Pas encore lu

    https://seenthis.net/messages/944728

    #conspirationnisme #covido-négationnistes

    • Le style conspirationniste
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2022/01/26/manifeste-style-conspirationniste

      Un tableau apocalyptique et halluciné du monde entier, mais aussi des âmes, dont l’objectif semble de provoquer une peur panique. On entend souvent que notre époque est livrée au complotisme. Si cela est le cas, voici le livre qu’elle mérite. Mais comment ce Manifeste conspirationniste fonctionne-t-il

    • Sur la soie des mers
      @Acrimonia1

      J’ai pu jeter un premier oeil sur le Manifeste Conspirationniste, en attendant plus exhaustif, déjà on y apprend que le Covid est une « divine surprise » (le choix de reprendre des mots de Maurras, le choc des photos : essentiellement des mêmes même pas drôles de conspi minables)Et puis, en accord avec la matrice complotiste telle que Vidal Naquet la décrit dans Les assassins de la mémoire : au fil des pages, la pandémie n’existe pas, le virus n’est rien et il a été fabriqué dans une optique contre insurrectionnelle dans les pires labo des technosciencesL’incohérence n’est pas un problème, ça doit être ça « rendre la vérité maniable comme une arme selon le conseil de Brecht » qui comme Kafka, Deleuze, Foucault et tous les poètes du XIXème siècle était conspis comme chacun peut le découvrir dans ce livre plein de scoops...et puis la planche de salut pourrie qui aurait pu éviter de couler complètement, le complot c’est l’Etat et la conspiration c’est la révolution, se retrouve plombée dès le début par un brouillage sciemment orchestré des deux termes, finalement interchangeables et équivalents

    • Les philosophes sont en guerre !

      – Philippe Corcuff attaque Pierre Tenne.

      Extrême droite : l’élégance méconnaissante de Pierre Tenne dans En attendant Nadeau !
      https://blogs.mediapart.fr/philippe-corcuff/blog/030621/extreme-droite-l-elegance-meconnaissante-de-pierre-tenne-dans-en-att

      – Pierre Tenne critique Lordon.

      Pour une nouvelle théorie de la valeur
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2018/11/06/nouvelle-theorie-valeur-lordon

      J’attends avec impatience Lordon critiquant le grand penseur Mathieu Potte-Bonneville ! :)))

      #Critique-de-la-critique #gauche-intellectuelle

      La pandémie de Covid-19, une extraordinaire matière à penser qui bouleverse la philosophie politique
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/06/05/la-pandemie-de-covid-19-une-extraordinaire-matiere-a-penser-qui-bouleverse-l

      Enquête - Si elle a accentué les clivages chez les intellectuels critiques, la crise sanitaire due au coronavirus a aussi révélé le tournant écopolitique de la pensée française et l’émergence d’une nouvelle génération de théoriciens.

      Ainsi un virus mondialisé aura-t-il mis à l’arrêt le monde entier. Le local aura affecté le global et précipité l’avènement de sociétés sans contact où prime la distanciation sociale. La sidération aura provoqué, au cœur même des démocraties, une myriade d’états d’urgence sanitaire et de lois d’exception. Le grand confinement aura succédé à l’ère du consentement. Et, tel un voile non plus islamique mais hygiénique, le port du masque se sera imposé en Occident.

      Malgré le retour du tragique et la débâcle économique, en dépit de l’atmosphère de libération liée au déconfinement des populations, cette crise sanitaire est aussi une extraordinaire matière à penser. Pourtant, tous les intellectuels ne sont pas parvenus à passer du réflexe à la réflexion. Car beaucoup ont trouvé dans cette pandémie une façon assez convenue de confirmer leurs idées, théories, opinions ou points de vue.

      Ainsi a-t-on vu se déployer une critique attendue du « bougisme », du « mondialisme » et de la « société liquide ». De même a-t-on assisté au grand concert des causalités uniques, comme la « nature » (malmenée, donc vengeresse), la « souveraineté » (oubliée, donc impérieuse) ou le « capitalisme » (débusqué jusque dans les marchés traditionnels chinois). Sans oublier les solutions attenantes, comme le nationalisme (étatique et sanitaire), les barrières (hygiéniques et douanières, mais également identitaires), les frontières (nationales, mais aussi psychosociales), la révolte (nationale-populiste), la révolution (sociale-populaire), ou bien encore l’insurrection (qui viendrait enfin).

      Dans ce processus d’autoconfirmation qui affecte le monde politique et intellectuel, « chacun déroule son programme spécifique en y voyant à la fois l’explication (je vous l’avais bien dit) et la solution (la mienne) : l’écologie pour les écolos, le féminisme pour les féministes, le libéralisme pour les libéraux, la nation pour les nationalistes », analyse le sociologue Didier Lapeyronnie. A tel point que certains observateurs, comme Laurent Joffrin, directeur de la rédaction de Libération, y ont vu les signes d’une « pensée confinée ».

      La pensée confinée, c’est la pensée confirmée par les événements. Elle est indissociable de l’idéologie qui soumet la réalité à la logique d’une idée. Il n’est pas jusqu’à la focalisation quasi immédiate de la presse et de l’intelligentsia sur « le monde d’après » qui ne soit pas le signe d’une difficulté, voire d’une incapacité à penser l’événement. Car penser l’événement, c’est être capable de saisir le surgissement de l’inédit par la réforme de son entendement.

    • Et pour les Fans un colloque :
      https://alter.univ-pau.fr/fr/activites-scientifiques/manifestations-scientifiques/colloques/colloque-creer-le-present-imaginer-l-avenir.html
      Le présent au prisme de la pandémie de covid-19 : contours d’une communauté d’époque.

      Cela a beaucoup été dit, la pandémie que nous traversons est sans doute, à bien des égards, un extraordinaire révélateur des faiblesses et des misères de nos sociétés européennes et mondialisées. Osons qu’elle figure également de manière plus radicale (et avec une force certaine) toute l’angoisse de notre temps, celle d’un présent forclos (« tout est pareil en pire », « demain sera pire qu’hier »), où le désastre en cours est désormais (aussi) rendu sensible dans les images des rues désertes, des agoras vidées de leurs forces vives, et des morts qui s’amoncellent, et finissent par faire partie du décor (« l’ordre ordinaire de la mort ordinaire », écrit J. Andras). On pourrait dire qu’on ne glisse plus à la surface des choses, et que, comme par un approfondissement du regard, ce qui se donne à ressentir dans ce moment si oppressant (et oppressif) de réclusion, d’égarements et de souffrances accrues, donne peut-être la mesure de l’épuisement et de l’asphyxie contemporaines. Deux métaphores qui ont ces derniers temps retrouvé une force sensible inouïe, et suffiraient presque à tracer les contours d’une sorte d’exigence commune de la pensée, ou d’une communauté d’époque, dans l’urgence et l’élan retrouvé « d’ouvrir et de déployer des possibilités de vie nouvelles » : ce qui est aussi le cœur du sursaut éthique tel que le définit Paul Audi (dans l’immanence absolue de la subjectivité) et qu’on retrouve au fondement de sa puissante « esth/éthique » de la création qui replace l’activité créatrice au centre de la vie, où doit se jouer l’accroissement de nos puissances d’agir. Un formidable enjeu éthique pour la philosophie et la littérature contemporaines dont le rapport au monde (et à l’agir) se pose et s’éprouve aujourd’hui dans des termes nouveaux, où de « nouvelles urgences catégoriques » (F. Lordon) imposent aussi des formes, des poétiques, des pensées et des propositions nouvelles : de nouvelles dissidences dont le présent appel se donne pour tâche d’explorer la puissance de questionnement, d’intervention et de reconfiguration utopique (ou hétérotopique) du partage du sensible.

    • Quand l’extrême gauche comprend que le conspirationnisme est la nouvelle intelligence politique

      Ils ont fini par se rendre à l’évidence que ce que le Système interdit est la bonne voie, mais ils y ont mis le temps. Voici que l’extrême gauche française, incarnée non par le ridicule Besancenot, mais par Julien Coupat et ses amis, admet le conspirationnisme, au sens que lui donne le Système, c’est-à-dire la pensée politique interdite, la pensée politique profonde, celle qui s’enfonce au cœur du Système pour le comprendre et en dévoiler la stratégie. Une pensée 3D que L’Express, logiquement, en bon chien de garde, dénonce, en citant avec ironie la 4e de couverture du livre de la bande à Coupat :

      Une couverture noire, un titre choc, un éditeur prestigieux, une quatrième de couverture dont la grandiloquence prête à sourire ("Nous vaincrons parce que nous sommes plus profonds"), mais des auteurs masqués. Défendant une vision complotiste qui se veut de gauche, le Manifeste conspirationniste doit paraître le 21 janvier aux éditions du Seuil.

      Ça leur prête peut-être à sourire, mais en vérité, ça les inquiète, parce que la gauche, en 40 ans, avait été dévitalisée et transformée en gauchisme, cette manière d’être contre le Système, en apparence, tout en étant pour, au fond. C’est ce qui a piégé des millions d’électeurs des classes populaires, et aussi de la classe moyenne, qui se réveillent aujourd’hui, parce qu’ils sont en train de tout perdre : et leurs leaders, et leurs partis, et leurs syndicats, bref, leurs défenseurs. Et leur niveau de vie, accessoirement.

      Le peuple est orphelin, et c’est sa chance historique, celle de se créer de nouveaux leaders, de nouvelles organisations.

      Le constat que font Coupat et ses amis, nous l’avons fait dès le début de l’ épidémie de psychose , parce qu’il s’agissait de cela. Avec une arrière-pensée de re-domination politique.

      « Nous sommes conspirationnistes, comme tous les gens sensés désormais. Depuis deux ans que l’on nous balade et que nous nous renseignons, nous avons tout le recul nécessaire pour départager “le vrai du faux”. Les ridicules auto-attestations que l’on a prétendu nous faire remplir avaient bel et bien pour but de nous faire consentir à notre propre enfermement et de faire de nous nos propres geôliers. Leurs concepteurs s’en félicitent à présent. La mise en scène d’une meurtrière pandémie mondiale, “pire que la grippe espagnole de 1918”, était bien une mise en scène » peut-on lire en préambule. »_

      L’extrême gauche a mis deux ans à se réveiller, quand même, abusée qu’elle a été par les agents du Système, rompus à toutes les stratégies d’étouffement et de récupération, voir la fin gauchiste des Gilets jaunes .

      L’Express poursuit sa dénonciation en opposant au constat lucide les presque 6 millions de morts du covid... Et si on parlait des millions de morts du tabac ou de l’alcool dans le monde ? Ils sont 8 millions chaque année à crever de la cigarette, mais le narratif ne suit pas, évidemment. Les morts, les malades, l’oligarchie n’en a rien à foutre. La preuve, la bande néolibérale qui a mis la main sur l’État, en pleine pandémie supposée, supprime lits et effectifs !

      « L’acharnement furieux à balayer tout traitement qui n’impliquerait pas d’expérimenter des biotechnologies sur des populations entières, réduites à l’état de cobaye, avait quelque chose de suspect. Une campagne de vaccination organisée par le cabinet McKinsey et un “pass sanitaire” plus loin, la brutalisation du débat public prend tout son sens. C’est sans doute la première épidémie mortelle dont il faut convaincre les gens qu’elle existe. »
      Les 5,5 millions officiellement morts du Covid (selon l’Organisation mondiale de la santé, le bilan pourrait être deux ou trois fois plus élevé) ? Une manipulation statistique destinée à accélérer l’agenda néolibéral , si l’on croit cet ouvrage.

      Mais non, il n’y a pas d’agenda, voyons... L’extrême gauche, qui a été roulée dans la farine depuis la fin des années 70, et précisément par la rouerie d’un Mitterrand, qui s’en est attaché les services, pour mieux en faire la collaboratrice – voire la putain ou le flic – du virage néolibéral, c’est à la fois Besancenot, les antifas, et Julien Coupat. Il y a donc plusieurs pièces dans la maison du seigneur gauchiste, et elles ne se valent pas toutes. On met de côté Poutou, qui est un clown. Seule Nathalie Arthaud s’en sort, parce que la base conceptuelle léniniste tient la route, même si elle jure avec la France d’aujourd’hui. Une révolution bolchevique en 2022 est une option peu crédible. Mais si le capitalisme financier va trop loin...

      L’Express tente tant bien que mal de limiter la casse, mais la lucidité finit aussi par monter aux cerveaux des gauchistes, du moins de ceux qui sont encore en état de marche, parce que la réalité devient trop évidente ! Quant au contre-complotisme, il en est réduit à nier les évidences, nier le réel, ce qui est le plus sûr moyen de couler idéologiquement, voir l’autodestruction de la gauche dite de gouvernement. Il ne reste alors plus que la force et la répression pour imposer ses idées malfaisantes.

      Le texte recycle des éléments qui font fureur dans la complosphère. En 2019, le Centre Johns Hopkins, financé par la fondation Bill et Melinda Gates ou le forum économique de Davos, a organisé l’Event 201, un exercice de simulation d’une pandémie de coronavirus. Ce serait là une des « preuves » que l’élite avait bien planifié cette crise sanitaire. Selon les auteurs, le timing de la pandémie ne devrait d’ailleurs rien au hasard. Au vu des mouvements sociaux de 2019 à Hongkong, au Liban, en Catalogne, en Chili ou en Colombie, les « puissances organisées » ayant « intérêt au maintien de l’ordre mondial » auraient voulu « siffler la fin de la récréation ». Et pour littéralement confiner les populations, rien de mieux donc que de créer la frayeur à travers un coronavirus.

      On peut donc écrire que le complotisme intelligent de la droite nationale, ou même d’E&R, a contaminé la partie la plus sérieuse, celle qui réfléchit sans œillères, de l’extrême gauche, et elle est compatible, sur cette base d’accord, avec le populisme intellectuellement avancé, dont nous sommes. Naturellement, la bande à Coupat n’adhérera pas à E&R, mais des programmes communs se profilent, dans une France dystopique, certes morcelée, et à dessein, mais qui se reconstitue, qui se ressoude face à l’adversité. C’est la réconciliation du national et du social. Et l’on voit se dessiner des passerelles entre les deux extrêmes, mais c’est encore une terminologie-Système. En vérité, les pensées avancées sont toujours extrêmes.

      edit le sigle le répète, c’est la boutique du dangereux crétin enrichi Alain S0R@L

    • Tu ne dis pas d’où vient ta citation @colporteur (même sans lien pour pas faire de pub).

      Et puisqu’on me faisait reproche de dénoncer d’abord, dans cette affaire, l’absence de toute mention des morts et la déréalisation radicale de l’épidémie sous son interprétation politique, comme on en était restés là bah je les ai cherchés, les morts. […] J’ai même cherché, tenez, leurs occurrences dans le texte. Où t’as mis le corps, c’est toujours une question intéressante à poser. […]

      – Il est fait mention des morts du fait de la vaccination, aux 18e et 19e siècle, en bref des morts du vaccin (pages 202 et 204)

      – Il est fait mention de deux morts par administration d’anthrax, en bref des morts d’autre chose (page 53)

      – Il est fait mention de la surestimation du nombre de morts par les modèles projectifs, en bref des morts en moins (page 135, page 245)

      – Il est fait mention de l’usage de la psychologie sociale pour manipuler les consciences dans la représentation des morts, en bref des morts hallucinés (page 143)

      – Il est fait mention des vieux en EHPAD morts… de solitude (page 243)

      – Il est fait mention (c’est sans doute ma mention préférée) des « morts-vivants » page 211, en bref des morts pas morts, je vous donne le contexte : « l’Occident a fini par adopter une existence crépusculaire et à étendre indéfiniment les états de morts-vivants – malades à vie, immunodéprimés en sursis de cancer…« . (Les personnes immunodéprimées ou porteuses d’une maladie chronique apprécieront cette délicate énumération, où vibre un discret hommage à ce que le regretté Louis Pauwels appelait il y a longtemps le « sida mental » ; mais juger le livre eugéniste était, parait-il, excessif et la formule « la biopolitique, tyrannie de la faiblesse« , page 217, s’est sûrement glissée dans un chapitre par hasard)

      – Il est enfin, in extremis, fait mention des « morts que nous n’avons pas pu enterrer« . C’est, comme un remords, à la page 306 d’un ouvrage qui en compte 316. Mais on ne saura pas de quoi ils sont morts, les morts. Faut pas exagérer.

      J’arrête là la collecte de ce qu’il me semble difficile de ne pas lire comme un travail méthodique d’effacement

    • Pourquoi le Seuil publie-t-il un brûlot conspirationniste attribué à Julien Coupat ?

      Olivier Tesquet

      Le Seuil publie ce vendredi un pavé anonyme, vraisemblablement écrit par l’ancien meneur du groupe de Tarnac, qui légitime la paranoïa et alimente le risque confusionniste... Une “proposition politique originale”, défend la maison d’édition.

      C’est le mal du siècle autant que l’anathème de l’époque. Et voilà que certains en font une profession de foi. Ce vendredi, les éditions du Seuil publient un curieux « manifeste conspirationniste », épais et anonyme, couverture noire, lettrage blanc, postulat crépusculaire : « Dans un monde de paranoïaques, ce sont les paranoïaques qui ont raison. » En pleine crise de la vérité, qui peut ainsi sciemment choisir de se parer des atours du pyromane et convaincre une maison sérieuse de fournir la mèche ? Le Comité invisible, affirme L’Express. Nos sources précisent : après L’Insurrection qui vient (2007), À nos amis (2014) et Maintenant (2017), ce nouveau brûlot serait bien l’œuvre de « la même nébuleuse ingouvernable. » Et surtout de Julien Coupat, dont le nom reste lié à « l’affaire de Tarnac », sabotages de lignes de TGV en 2008 qui avaient donné lieu à un feuilleton judiciaire et politique très médiatisé. Désormais débarrassé de l’étiquette de « terroriste » à la suite d’une décision de la Cour de cassation, il reprend donc du service – sans le canal historique de son collectif autonome, qui s’est désolidarisé avant même la sortie du pamphlet – pour tenter d’imposer son magistère en complotisme à la gauche de la gauche.

      Ces trois cent soixante-dix-neuf pages verbeuses et contrariantes sont difficiles à restituer. Elles convoquent un cortège de prestigieux macchabées : Brecht (« La vérité doit être maniable comme une arme »), Machiavel (« Le mal doit se faire tout à la fois, afin que ceux à qui on le fait n’aient pas le temps de le savourer »), Kafka (« Nous vivons tous comme si nous étions des despotes »), Dick (« En toute franchise, nous estimons qu’il ne peut rien exister de plus dangereux qu’une société dans laquelle les psychopathes prédominent »). Mais aussi Foucault, Marx, Nietzsche, Freud, Adorno, Deleuze, Rimbaud, Baudelaire, Artaud, Pynchon ou Hegel, afin de démontrer que « les grands auteurs qui font chic dans les bibliothèques de livres jamais ouverts sont tous uniformément conspirationnistes. »
      La pandémie, vaste entreprise de manipulation ?

      L’état d’urgence sanitaire, les mesures de police, l’irrationalité de certaines décisions politiques, la corrosion des libertés publiques, tout ceci doit être rigoureusement ausculté. Mais Coupat va beaucoup plus loin. Il adopte une position authentiquement antivax, tantôt feutrée – il s’agirait de « se soustraire au parc humain » –, tantôt frontale – « La campagne mondiale de vaccination générale ne correspond à aucune rationalité médicale. Les “vaccins” dominants sont plus néfastes que le virus pour la plupart des gens, et n’immunisent pas contre la maladie en tant que telle. »

      Dans ce qui ressemble parfois à l’addendum étouffe-chrétien du capitalisme de surveillance décrit par Shoshana Zuboff, Coupat prend pour argent comptant les élucubrations des sciences comportementales, disqualifie tous les « fact-checkeurs » de la Terre – « qui veillent au sommeil prescrit » – et préconise un « great reset véritable », en référence à une théorie du complot popularisée par le documentaire Hold-Up. Il assure encore que « le désastre fait partie du plan » et que la crise sanitaire est « une expérience de management par l’incertitude. » Passant sous silence la réalité statistique de l’épidémie, il la réduit à une vaste entreprise de manipulation imprégnée d’exercices militaires, de programmes clandestins et de guerre froide, matrice de tous les maux. À le lire, nous serions toujours en plein dedans, comme prisonniers d’une opération pensée par la CIA...
      “Un livre qui va faire date, parce qu’il propose d’autres perspectives pour penser ce qui nous arrive.” Hugues Jallon, patron du Seuil

      Au téléphone, Hugues Jallon, le patron du Seuil, en est persuadé : « C’est un livre qui va faire date, tout simplement parce qu’il propose d’autres perspectives pour penser ce qui nous arrive. » Séduit par « une proposition politique originale, passionnante, intellectuellement structurée, même [s’il est] en désaccord avec certaines analyses », il a été convaincu par le pedigree des auteurs (sans révéler leur identité) et quelques échanges liminaires sur une messagerie privée. Aurait-il accepté de le publier sans savoir qui l’écrivait ? « Probablement pas. » Son titre ? « Une provocation à l’intelligence. »
      Se venger, mais de qui ?

      Le risque de procès en confusionnisme ? « Il existe. » Car au-delà du fond, il y a la forme. Ce manifeste ambitionne une offensive, Molotov à la main, pour reprendre à l’extrême droite un territoire du langage qu’elle a annexé de longue date. Peut-on se battre avec les mots de l’ennemi ? « L’extrême droite s’est bien appropriée celui de révolution, objecte-t-on au Seuil. Pourquoi ça ne fonctionnerait pas dans l’autre sens ? » L’argumentaire distribué à la presse insiste : le conspirationnisme serait « un réveil politique qu’il serait suicidaire de laisser » aux identitaires, à Zemmour ou à Le Pen. À l’entrée du dernier chapitre, le ton se fait volontiers imprécateur. « Nous voulons nous venger », peut-on lire en toutes lettres. Mais de qui, quand les complotistes voient le mal partout ?

      https://www.telerama.fr/livre/pourquoi-le-seuil-publie-t-il-un-brulot-conspirationniste-attribue-a-julien

    • 26 janvier. On m’apprend que le site Egalité et réconciliation, fédérant comme on sait les amis d’Alain Soral, a publié une critique louangeuse de l’ouvrage, suggérant que ce dernier laisse entrevoir un programme commun, et saluant la réconciliation du social et du national.

      Comme disait l’autre : It escalated quickly.

      Mathieu Potte-Bonneville

      merci @sombre

    • Mais non, il n’y a pas d’agenda, voyons... L’extrême gauche, qui a été roulée dans la farine depuis la fin des années 70, et précisément par la rouerie d’un Mitterrand, qui s’en est attaché les services, pour mieux en faire la collaboratrice – voire la putain ou le flic – du virage néolibéral, c’est à la fois Besancenot, les antifas, et Julien Coupat. Il y a donc plusieurs pièces dans la maison du seigneur gauchiste, et elles ne se valent pas toutes. On met de côté Poutou, qui est un clown. Seule Nathalie Arthaud s’en sort, parce que la base conceptuelle léniniste tient la route...

      Je m’en doutais, ces paroles ne pouvaient venir que du site Egalité et Réconcilation d’extrême droite, fondé par Soral !

      C’est Très Malin, faire un copier-collé du texte intégral de ces salopards de soraliens sans citer sa source, à la suite de celui de Potte-Bonneville pour pouvoir mieux discriminer l’extrême gauche afin de l’associer carrément à l’extrême droite.
      Merci @colporteur et Mathieu Potte-Bonneville !

    • Tu le fais exprès ou quoi @marielle ? C’est justement le problème que ce livre soit récupéré aussi vite par E&R en même pas une semaine, d’où le « It escalated quickly », c’est justement pour ça qu’il faut se poser la question du contenu si en si peu de temps ça peut être récupéré (ce n’est absolument pas le cas de plein d’autres textes).

      Par ailleurs, @colporteur a fait exprès de pas mettre lien pour pas leur faire de la pub et du trafic internet, donc peux tu supprimer au plus vite ce lien d’ici ?

    • J’ai retiré le lien @rastapopoulos mais j’aurais préféré que @colporteur donne clairement, dès le départ à la suite de son post ( comme vous le demandez souvent !) la source du texte d’Egalité et Réconciliation.
      S’il l’avait fait je ne m’y serais pas moi même connectée après avoir effectué des recherches.
      Le fait de l’avoir retranscrit dans sa totalité c’est lui donner une visibilité qu’il ne mérite pas.

      Pour revenir au sujet du livre moi j’aime bien cette définition du conspirationnisme :

      Le conspirationnisme procède de l’anxiété de l’individu impuissant confronté à l’appareil gigantesque de la société technologique.
      Il ne sert donc à rien de balayer le conspirationnisme comme faux, grotesque ou blâmable ; il faut s’adresser à l’anxiété d’où il sourd en produisant de l’intelligibilité historique et indiquer la voie d’une sortie de l’impuissance.

      La vérité est qu’il y a dans le conspirationnisme une recherche éperdue de vérité, un refus de continuer à vivre en esclave travaillant et consommant aveuglément, un désir de trouver un plan commun en sécession avec l’ordre existant, un sentiment inné des machinations à l’oeuvre, une sensibilité au sort que cette société réserve à l’enfance, au caractère proprement diabolique du pouvoir et de l’accumulation de richesse, mais surtout un réveil politique qu’il serait suicidaire de laisser à l’extrême-droite.

      Si vous êtes incapables de comprendre ceci c’est que vous êtes aussi dans une forme de déni.

      Et je termine sur une note positive en reprenant les mots d’ Hervé Kempf (Reporterre), ce que veut dire en fait con-spirer, c’est respirer ensemble, c’est entrer en plein dans la politique.

    • ce que veut dire en fait con-spirer, c’est respirer ensemble, c’est entrer en plein dans la politique

      Ce jeu de mot de Kempf digne de Lacan...

      Toujours pas lu le bouquin mais je pense que ces recensions vont m’en dissuader, ça confirme en tout cas, pour l’instant, le moment fasciste que je pressentais.

    • "cospirare vuol dire respirare insieme" est ici repris à radio Alice
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Radio_Alice

      Bologna 1977 : comunicazione e movimento
      https://www.radioalice.org/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=13&Itemid=129

      12 marzo 1977 Lo Sgombero di Radio Alice
      https://www.youtube.com/watch?v=3aFdAxSiZxc

      le « moment fasciste » vient de loin et attrape sur son chemin tout ce qu’il peut de divers héritages critiques

    • Mais encore une fois ça part dans tous les sens sans clarifier le départ : être conspirateur et conspirationniste c’est pas la même chose. Ceux qui « respirent ensemble » ce sont les conspirateurs. Être conspirationniste peut vouloir dire deux choses : c’est pas un acte (conspirer), c’est une idéologie, et la majorité du temps, ça désigne ceux qui voient des conspirations partout chez les autres, ça n’a donc rien à voir avec conspirer soi-même. Mais ça peut aussi désigner une idéologie qui voudrait qu’on se mette tous à conspirer (contre les pouvoirs). Ce qui n’a rien à voir non plus, mais qui peut parfaitement s’additionner à la première idéologie (trouver trop de conspiration partout ailleurs, même où il n’y en a pas ET vouloir qu’on se mette tous à conspirer).

      C’est donc totalement confus si on ne clarifie pas de quoi on parle à propos de telles ou telles personnes.

    • un seen qui avait toute sa place ici s’est évaporé...

      Il y a un lien intrinsèque entre cette espèce de nullité de la politique, ce devenir nul de la politique et cette insignifiance dans les autres domaines, dans les arts, dans la philosophie ou dans la littérature. C’est cela l’esprit du temps. Tout conspire à étendre l’insignifiance.

      Contre le conformisme généralisé - Stopper la montée de l’#insignifiance, Castoriadis
      https://www.monde-diplomatique.fr/1998/08/CASTORIADIS/3964

      ce manifeste con., c’est le monde d’après.

      mise en place de 4000 copies, les ventes démarrent bien, parait-il (pour feuilleter, on trouve un pdf)

      #zeitgeist

    • le « moment fasciste » vient de loin et attrape sur son chemin tout ce qu’il peut de divers héritages critiques

      +

      être conspirateur et conspirationniste c’est pas la même chose

      =

      les conspirationnistes sont des aspirateurs ? :-)

  • Ce que furent les « années de plomb » en Italie, par Toni Negri (Le Monde diplomatique, août 1998)
    https://www.monde-diplomatique.fr/1998/08/NEGRI/3918

    Parler des années 70 dans l’histoire italienne, c’est parler du présent. Non seulement parce que les conséquences des politiques répressives d’alors perdurent — les lois spéciales n’ont pas été abrogées, deux cents personnes au moins sont encore incarcérées et autant en exil (1). Non seulement parce que la désagrégation du système politique d’après-guerre, réduit en miettes par la chute du mur de Berlin, avait atteint des limites insoutenables. Mais aussi, et surtout, parce que le traumatisme social (et psychologique) de cette décennie n’a encore été ni refoulé ni cicatrisé.

    Les années 70 sont présentes parce qu’elles ont posé à l’Italie le problème de la représentation démocratique dans la transformation des modes sociaux de production, ce nœud central des sociétés capitalistes avancées qui n’est pas encore dénoué. En Italie, la présentation de ce nœud de problèmes a pris à ce moment-là une tournure tragique.

    Toutes les forces politiques impliquées dans ce drame ont été vaincues. Deux auteurs, plus que d’autres, ont témoigné sur cette tragédie radicale : d’un côté Leonardo Sciascia (2), de l’autre Rossana Rossanda (3). Le premier assurait la chronique des événements en soulignant combien la crise tenait du labyrinthe, la seconde relatait chaque jour, sans jamais se désengager, l’impuissance désespérée des protagonistes à trouver une issue.

    « Les années de plomb » : un « passé qui ne passe pas » | Cairn.info
    https://www.cairn.info/journal-mouvements-2003-3-page-196.htm

    on ne peut comprendre « les années de plomb », sur lesquelles se focalisent la grande majorité de la littérature et des commentaires, sans référence aux mouvements de contestation qui débutent en 1967. Il y a en effet continuité entre les deux événements, non seulement humaine – environ un quart des militants de 1968 ont poursuivi leur engagement dans un groupe armé – mais aussi idéologique et pratique. L’enchevêtrement des luttes légales, semi-légales, totalement illégales, mais aussi des violences dites de masse, spontanées, d’avant-garde, clandestines est réel. Il faudra attendre plusieurs années avant qu’une distinction claire entre groupes d’extrême gauche acceptant le principe du recours à la violence et groupes armés clandestins apparaisse. La première « génération terroriste » (qui termine sa trajectoire autour de 1977) a fait ses armes politiques dans le mouvement étudiant et souvent dans les groupes extra-parlementaires. Les actions des uns et des autres ne divergent guère dans un premier temps ; la distinction s’établit progressivement par effet de seuil et ensuite par étiquetage dans le cadre de la vaste entreprise de contre-mobilisation engagée à partir de la fin des années soixante-dix [2].

  • Joffrin, ce fut Libé qui restera Libé sans lui parce que le patron est Drahi.
    https://www.legrandsoir.info/le-poignard-de-le-pen-engels-contre-joffrin.html
    . . . . . .
    Dans un article publié par Le Monde Diplomatique d’août 1998 https://www.monde-diplomatique.fr/1998/08/CHOMSKY/3956 , Noam Chomski, citant les travaux d’un chercheur des Pays-Bas sur la presse européenne, a pu écrire que « le pire de tous était le quotidien parisien Libération, super-reaganien à l’époque, allant au-delà des pires journaux des Etats-Unis dans son adhésion à la propagande du gouvernement américain ».

    En 2017, Libération a reçu 5 913 419 euros de subventions publiques. C’est la somme que les électeurs-contribuables ont payé pour que soient diffusées les opinions politiques de Joffrin sous la surveillance du patron, un milliardaire qui est un des trois Français les plus riches de Suisse où il bénéficie du statut privilégié de « résident fiscal ».

    Et, donc, si vous voulez savoir qui va sauver la gauche en 2022, c’est Joffrin

    Il abandonne pour cela Libération du milliardaire Patrick Drahi. Ses confrères font « ouf ! ». Mais trop tard, il vient de nous dire implicitement ce qu’est Libération, lu encore chaque jour par 71 000 gogos à qui personne n’a appris que Sartre est mort.

    Donc, aujourd’hui, alors qu’approchent les élections présidentielles, Joffrin, qui était directeur de la rédaction et de la publication de Libération depuis 2014, Joffrin, cet homme neuf, clairvoyant, qui fut au PS avant de festoyer avec des fascistes et de diriger un journal de milliardaire, Joffrin sort du bois. L’homme est peu confiant dans les capacités de Benoît Hamon, ancien ministre de François Hollande, à refaire perdre la gauche unie (en 2017 Jean-Luc Mélenchon était le candidat de La France Insoumise et du PCF). Il se lance donc ouvertement dans la bataille politique http://www.engageons-nous.org pour saboter toute chance d’alternance possible. Il veut créer un parti politique (un de plus !) pour « reconfigurer la gauche ».

    Il s’agit de rassembler le PS, les radicaux de gauche, des écologistes et des progressistes. Mais pas La France insoumise ni EELV. Et le PCF ?


    . . . . . . . . .
    Des appels du pied ont été faits à François Hollande, Bernard Cazeneuve, Olivier Faure, Jean-Christophe Cambadélis (photo sur la palette), Anne Hidalgo, Martine Aubry, et Ségolène Royal. No comment !

    « Sauce, marmite », le mot « tambouille » n’était pas en usage, mais les gâte-sauces de la gôche indolente, acharnés à empêcher par tous les moyens le festin des peuples, étaient déjà repérés par l’ami de Marx.

    En 2022, si nous n’y prenons garde, nous aurons au menu une mélasse méphitique mijotée par Joffrin, qui aima le père Le Pen, qui n’aime pas qu’on le rappelle et qui ne s’offusquera pas que la fille s’assoie à la table de l’Elysée, pourvu que (et c’est l’essentiel) Jean-Luc Mélenchon (ou un des siens) reste à l’office avec un outil redoutable apte à séduire si le peuple le voyait.

    Outil d’autant plus redoutable que, même ceux qui le trouvent timoré, s’accordent à reconnaître qu’il n’y a rien d’autre.

    Vladimir MARCIAC

    Note (1) Les 150 premiers signataires, mensongèrement annoncés comme issus de la société civile, sont sortis du carnet d’adresses d’un vieux routier du journalisme. Les noms ne sont pas accompagnés, comme c’est pourtant l’usage, des âges et fonctions. On comprend pourquoi. Joffrin est loin d’y être le plus vieux. Aux côtés d’une belle brochette de sexa-septu-octogénaires, on repère un quasi-centenaire et une caste bling-bling (on entend le tintement des Rolex), des artistes, des journalistes, des universitaires, des industriels, des vieux socialos désétiquetés, ripolinés en blanche colombe, rien qui ressemble à un smicard dans ce cheval de Troie bancale et perclus dont seul les naïfs soutiendront qu’il n’est pas bâti pour le retour de François Hollande et l’élimination de Jean-Luc Mélenchon.

    La liste.
    Laurent Joffrin, Mara Goyet, Pap N’Diaye, Mazarine Pingeot, François Dubet, Géraldine Muhlmann, Pierre Lescure, Laure Adler, Michel Wievorka, Agnes Jaoui, Benjamin Biolay, Frédérique Bredin, Pascal Priou, Alain Touraine, Helene Cixous, Frédéric Worms, Ariane Mnouchkine, Benoît Thieulin, Noëlle Châtelet, Hervé Le Bras, Delphine Lalu, Denis Podalydes, Marie Masmonteil, Francois Morel, Dounia Bouzar, Jean-Michel Ribes, Juliette Gernez, Jean Baptiste de Foucauld, Geneviève Brisac, Serge Moati, Bethania Gaschet, Philippe Lemoine, Amandine Albizatti, Patrick Pelloux, Louison, Regis Wargnier, Julie Bertuccelli, Abraham Johnson, Sandrine Duchêne, William Bourdon, Nila Mitha, Jean Marie Delarue, Mireille Delmas Marty, Réginald Allouche, Marie-Laure Sauty de Chalon, Pierre Edouard Batard, Adrienne Brotons, Emmanuel Soulias, Florence Ginisty, Pierre Larrouy, Simon Ghraichy, Jean-Philippe Dérosier, Emmanuel Auger, Guy Claverie, Emmanuel Chansou, Vincent Bresson, Claude Breuillot, Claire Thuries, Mohamed Ghaouti, Jérome Gautié, François-Xavier Fauvelle, Patrice Bergougnoux, Rita Maalouf, Jean-Claude Guillebaud, Guillaume Hannezo, Didier Le Bret, Raphael Chenuil-Hazan, Geneviève Garrigos, Karim Ziabat, Alain Meunier, Alain Benrubi, Benedict Ferière, Bernadette Bung, Claude Sérillon, Jacques Mazeau, Edmond Mariette, Frédéric Scanvic, Laurent David Samama, Jean-Baptiste Soufron, Bernard Amsalem, Anna Medvecky, Jehane Bensedira, Jean-Louis Aupicon, Joel Deumier, Françoise Delcamp, Philippe Dorthe, Philippe Ledan, Claudine Ledoux, Bertil de Fos, Catherine Teitgen Colly, Jean Levain, Gerard Barras, Emmanuel Poilane, Wenceslas Baudrillart, François Dechy, Pascal Rambert, Pascal Tabanou, Christine Dementhon, Stéphan Bouges, David Latchimy, Karim Bouhassoun, Pascale Joannot, Bertrand Brassens, Jeanine Mossuz-Lavau, Christian Delage, Marie-Anne Cohendet, Céline Béraud, Judith Rainhorn, Michel Troper, Romain Huret, Jean Numa Ducange, Gabriel Galvez-Behar, Gilles Candar, Claude Roustan, Jean-Georges Thieblemont, Tanguy Tollet, Nicolas Flo, Said Lebdiri, Pierre-Samuel Guedj, Belinda Cannone, Yves Danbakli, Jean-Louis Fréchin, Jean-Pierre Havrin, François Auvigne, Gérard Welzer, Nicolas Sfez, Karine Riahli, Julien Brunet, Michel Reynaud, Jean-Philipe Daguerre, Gilles Boussion, Idir Serghine, Jean-Claude Bouchoux, Michel Picquemal, Pascal Brault, Louis Thomas, Tristan Klein, Veronique Champeil Desplat, Didier Rousseau, Jean-Michel Rollot, Rania Kissi, Sammy Hamideche, Hawa Fofana, Maria Carmela Mini, Michel Vinuesa, Rachid Bouhouch, Florian Lafarge, Maurice Ronai

    #laurent_joffrin #libération #élection #nouveau #PS #patrick_drahi #fn #rn #marine_le_pen #front_national #le_pen #jean_marie_le_pen #rassemblement_national

    • Puisqu’on parle de fumistes :
      Amende pour une marque australienne et ses vêtements « anti-virus »
      https://fr.fashionnetwork.com/news/Amende-pour-une-marque-australienne-et-ses-vetements-anti-virus-,
      (AFP) - Une célèbre marque australienne de vêtements de sport a écopé d’une amende pour avoir laissé entendre que ses leggings et ses hauts « anti-virus » étaient efficaces face à l’épidémie de coronavirus, ont annoncé vendredi les autorités sanitaires australiennes.

      Lorna Jane, très populaire en Australie comme à l’étranger, va devoir s’acquitter d’une amende de près de 40.000 dollars australiens (24.000 euros), a précisé l’administration australienne des produits thérapeutiques dans un communiqué. « Ce type de publicité pourrait avoir des conséquences néfastes pour la communauté australienne, en créant un faux sentiment de sécurité et en incitant les gens à réduire leur vigilance en matière d’hygiène et de distanciation sociale », a de son côté dénoncé John Skerritt, secrétaire adjoint au ministère de la Santé.

Face aux critiques, l’entreprise, qui a depuis rebaptisé les vêtements en question « antibactériens » au lieu d’"anti-virus", a assuré n’avoir jamais eu l’intention de laisser entendre que ses produits avaient des vertus protectrices. Il s’agissait plutôt de dire qu’ils apportaient « une protection supplémentaire, à l’image d’un désinfectant pour les mains mais pour les vêtements que vous portez », a-t-elle expliqué dans un communiqué. « Nous n’essayons pas de tirer profit de quelque manière que ce soit de la peur suscitée par le coronavirus ».

      Fin avril, le célèbre chef cuisinier australien Pete Evans s’était vu infliger une sanction similaire pour avoir fait la promotion d’une machine qui pouvait, selon lui, permettre d’aider à traiter le coronavirus.

      #publicité #covid-19 #coronavirus #Australie

  • Stopper la montée de l’insignifiance, par Cornelius Castoriadis (Le Monde diplomatique, août 1998)
    https://www.monde-diplomatique.fr/1998/08/CASTORIADIS/3964

    Les responsables politiques sont impuissants. La seule chose qu’ils peuvent faire, c’est suivre le courant, c’est-à-dire appliquer la politique ultralibérale à la mode. Les socialistes n’ont pas fait autre chose, une fois revenus au pouvoir. Ce ne sont pas des politiques, mais des politiciens au sens de micropoliticiens. Des gens qui chassent les suffrages par n’importe quel moyen. Ils n’ont aucun programme. Leur but est de rester au pouvoir ou de revenir au pouvoir, et pour cela ils sont capables de tout.

    Il y a un lien intrinsèque entre cette espèce de nullité de la politique, ce devenir nul de la politique et cette insignifiance dans les autres domaines, dans les arts, dans la philosophie ou dans la littérature. C’est cela l’esprit du temps. Tout conspire à étendre l’insignifiance.

    • Il y a la merveilleuse phrase d’Aristote : « Qui est citoyen ? Est citoyen quelqu’un qui est capable de gouverner et d’être gouverné. » Il y a des millions de citoyens en France. Pourquoi ne seraient-ils pas capables de gouverner ? Parce que toute la vie politique vise précisément à le leur désapprendre, à les convaincre qu’il y a des experts à qui il faut confier les affaires. Il y a donc une contre-éducation politique. Alors que les gens devraient s’habituer à exercer toutes sortes de responsabilités et à prendre des initiatives, ils s’habituent à suivre ou à voter pour des options que d’autres leur présentent. Et comme les gens sont loin d’être idiots, le résultat, c’est qu’ils y croient de moins en moins et qu’ils deviennent cyniques.

  • Stopper la montée de l’insignifiance
    https://www.monde-diplomatique.fr/1998/08/CASTORIADIS/3964

    par Cornelius Castoriadis

    Il manque la voix de Cornelius Castoriadis, ce dissident essentiel, en ces temps de « non-pensée ». Il n’a pas sombré dans le renoncement esthète, ni dans le cynisme ni dans cette apathie repue qui dit : « Tout se vaut, tout est vu, tout est vain. » Il dénonce une élite politique réduite à appliquer l’intégrisme néolibéral, mais souligne aussi la responsabilité du « citoyen » que la précarité désengage de l’activité civique. Silencieusement, s’est mise en place cette formidable régression : une non-pensée produisant cette non-société, ce racisme social. Jusqu’au bout Castoriadis a recherché une radicalité : « Je suis un révolutionnaire favorable à des changements radicaux, disait-il quelques semaines avant sa mort. Je ne pense pas que l’on puisse faire marcher d’une manière libre, égalitaire et juste le système français capitaliste tel qu’il est. »

    #révolution #époque #Castoriadis

  • Stopper la montée de l’insignifiance, par Cornelius #Castoriadis (Le Monde diplomatique, août 1998)
    https://www.monde-diplomatique.fr/1998/08/CASTORIADIS/3964

    Il y a la merveilleuse phrase d’Aristote : « Qui est #citoyen ? Est citoyen quelqu’un qui est capable de gouverner et d’être gouverné. » Il y a des millions de citoyens en France. Pourquoi ne seraient-ils pas capables de gouverner ? Parce que toute la vie politique vise précisément à le leur désapprendre, à les convaincre qu’il y a des experts à qui il faut confier les affaires. Il y a donc une contre-éducation politique. Alors que les gens devraient s’habituer à exercer toutes sortes de responsabilités et à prendre des initiatives, ils s’habituent à suivre ou à voter pour des options que d’autres leur présentent. Et comme les gens sont loin d’être idiots, le résultat, c’est qu’ils y croient de moins en moins et qu’ils deviennent cyniques.

    L’idée des #communs en quelques mots !

    #EducationPopulaire #Politisation