• En France, le bébé de Marina a été placé après un accouchement à domicile | Camille Wernaers
    https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_en-france-le-bebe-de-marina-a-ete-place-apres-un-accouchement-a-domicile

    Cette histoire, c’est celle de Marina, qui a accouché en France à son domicile le samedi 5 juin. L’accouchement se déroule sans encombre, après 7 heures de travail. Avec son compagnon, elle décide de faire ce qu’on appelle un “placenta lotus”, c’est-à-dire qu’elle ne coupe pas le cordon ombilical qui reste relié au placenta. Le cordon ombilical finit par sécher et par tomber tout seul, il n’est pas coupé d’un coup. Source : Les Grenades

  • Affaire Kaat Bollen : la pudibonderie et l’hypocrisie à son comble | par Isabelle Gosselin, Myriam Monheim et Roxanne Chinikar
    https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_affaire-kaat-bollen-la-pudibonderie-et-l-hypocrisie-a-son-comble?id=1067

    L’affaire Kaat Bollen en Flandre est venue secouer les divans et fauteuils des psys. En 2021, une décision d’un sexisme digne des années 50, est prise par le Conseil disciplinaire de la Commission belge des psychologues. La psychologue Kaat Bollen serait sortie du cadre strict de sa profession et mérite un avertissement. Son tort ? Des photos et vidéos jugées inappropriées, incongrues, trop “sexys” pour une psychologue. Source : via la RTBF

  • Il racconto dell’omicidio di #Agitu_Ideo_Gudeta evidenzia il razzismo democratico dei media italiani

    L’imprenditrice #Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa il 29 dicembre nella sua casa a #Frassilongo, in provincia di Trento. Da subito si è ipotizzato si trattasse dell’ennesimo femminicidio (72 donne dall’inizio del 2020), anche in ragione del fatto che in passato la donna era stata costretta a querelare un uomo per #stalking. In quell’occasione Gudeta aveva chiesto di considerare l’aggravante razziale, dato che l’uomo, un vicino di casa, la chiamava ripetutamente “negra”, ma il giudice aveva respinto la richiesta del suo avvocato. Il giorno successivo all’omicidio, il suo dipendente #Adams_Suleimani, – un uomo ghanese di 32 anni – ha confessato il crimine, aggravato dal fatto che l’ha violentata mentre era agonizzante. Il movente sarebbe un mancato pagamento.

    Gudeta era nata ad Addis Abeba, in Etiopia, 42 anni fa. Non era più una “ragazza”, come hanno scritto alcune testate. La sua prima permanenza in Italia risale a quando aveva 18 anni, per studiare nella facoltà di Sociologia di Trento. Era poi tornata in Etiopia, ma nel 2010 l’instabilità del Paese l’ha costretta a tornare in Italia. Nello Stato africano si è interrotto solo pochi giorni fa il conflitto tra il Fronte di Liberazione del Tigré e il governo centrale etiope – i tigrini sono una minoranza nel Paese, ma hanno governato per oltre trent’anni senza far cessare gli scontri tra etnie – cha ha causato violazioni dei diritti umani, massacri di centinaia di civili e una grave crisi umanitaria.

    Proprio le minacce dei miliziani del Fronte di Liberazione avevano spinto Agitu Ideo Gudeta a tornare in Italia. La donna aveva infatti denunciato le politiche di #land_grabbing, ossia l’accaparramento delle terre da parte di aziende o governi di altri Paesi senza il consenso delle comunità che le abitano o che le utilizzano per mantenersi. Per questo motivo il governo italiano le ha riconosciuto lo status di rifugiata. In Trentino, dove si era trasferita in pianta stabile, ha portato avanti il suo impegno per il rispetto della natura, avviando un allevamento di ovini di razza pezzata mochena, una specie autoctona a rischio estinzione, e recuperando alcuni ettari di terreni in stato di abbandono.

    Il caseificio che aveva aperto rivelava già dal nome – La capra felice – il suo credo ambientalista e il suo antispecismo, ricevendo riconoscimenti da Slow Food e da Legambiente per l’impegno promosso con la sua azienda e il suo negozio. Agitu Ideo Gudeta era un nome noto nel movimento antirazzista italiano, ma oggi viene usata – persino dai Verdi – per presentare il Trentino come terra di accoglienza, in un tentativo di nascondere la xenofobia di cui era oggetto. Le origini della donna e del suo assassino stupratore sono sottolineate da tutti e precedono la narrazione della violenza, mettendola in secondo piano, salvo evidenziarla in relazione alla provenienza dell’omicida, che per una volta non è un italiano, né un compagno o un parente.

    Alla “ragazza” è stata affibbiata in tutta fretta una narrazione comune a quella che caratterizza altre donne mediaticamente esposte, come le attiviste Greta Thunberg e Carola Rackete, la cooperante Aisha Romano o la giornalista Giovanna Botteri, basata su giudizi e attacchi basati perlopiù su fattori estetici. Razzismo, sessismo e classismo si mescolano in questa storia in cui la violenza – quella del vicino di casa, quella del suo assassino, quella del governo etiope – rischiano di rimanere sullo sfondo, in favore del Grande gioco dell’integrazione. A guidarlo è come sempre un trionfalismo tipico dei white saviour (secondo una definizione dello storico Teju Cole del 2012), come se esistesse un colonialismo rispettabile: insomma, in nome della tolleranza, noi italiani doc abbiamo concesso alla donna un riparo da un Paese povero, di una povertà che riteniamo irrimediabile. Usiamo ormai d’abitudine degli automatismi e un lessico che Giuseppe Faso ha definito razzismo democratico, in cui si oppongono acriticamente migranti meritevoli a migranti immeritevoli, un dualismo che sa vedere solo “risorse” o “minacce all’identità nazionale”.

    Così il protagonismo di Agitu Ideo Gudeta viene improvvisamente premiato, trasformando lei in una migrante-eroina e il suo aguzzino nel solito stupratore non bianco, funzionale solo al “Prima gli italiani”. Ma parlare di Agitu Ideo Gudeta in termini di “integrazione” è un insulto alla sua memoria. Considerarla un simbolo in questo senso conferma che per molti una rifugiata sarà rifugiata per sempre e che una “migrante” non è altro che una migrante. La nostra stampa l’ha fatto, suggerendo di dividere gli immigrati in buoni e cattivi, decorosi e indecorosi, e trattando i lettori come se fossero tutti incapaci di accogliere riflessioni più approfondite.

    Parallelamente però, un governo che come i precedenti accantona la proposta di legge sulla cittadinanza favorisce un racconto privo di sfumature, che rifiuta in nome di una supposta complessità non affrontabile nello sviscerare questo tema. Forse se avessimo una legge sulla cittadinanza al passo con i tempi, e non una serie di norme che escludono gli italiani di seconda generazione e i migranti, potremmo far finalmente progredire il ragionamento sulla cosiddetta convivenza e sulla coesione sociale ed esprimerci con termini più adeguati. Soprattutto chi è stato in piazza a gridare “Black Lives Matter”, “I can’t breathe” e “Say Their Names” oggi dovrebbe pretendere che la notizia di questo femminicidio venga data diversamente: in Trentino una donna di nome Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa e violentata. Era diventata un’imprenditrice di successo nel settore caseario dopo essersi opposta alle politiche di land grabbing in Etiopia. Era un’attivista e un’ambientalista molto conosciuta. Mancherà alla sua comunità.

    https://thevision.com/attualita/agitu-gudeta-razzismo

    #féminicide #racisme #Italie #meurtre #femmes #intersectionnalité #viol #réfugiés #accaparement_des_terres #Trentin #éleveuse #élevage #Pezzata_Mòchena #chèvrerie #chèvres #La_capra_felice #xénophobie
    #white_saviour #racisme_démocratique
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    Le site web de la #fromagerie de Agitu Ideo Gudet :


    http://www.lacaprafelice.com

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    NB :
    Grâce à une amie qui connaissait Agitu je viens de connaître une autre facette de cette histoire. Un drame dans le drame, dont je ne peux/veux pas parler ici.

    • Murdered Agitu Ideo Gudeta, an example of environmental preservation and female entrepreneurship in Italy.

      Agitu was found dead in her home in #Val_dei_Mocheni, Trentino, Italy. The entrepreneur and shepherdess from Ethiopia would turn 43 on January 1st.
      An employee of her company confessed the murder followed by rape.

      One of the main news in the Italian media, the murder of Agitu brought much indignation. Especially among women. In Italy, a woman is murdered every three days, according to a report from Eures.

      “When will this massacre of women end? When? Today, feminicide has extinguished the smile of a dear and sweet sister. Rest in peace Agitu. We will miss you a lot”, twitted the Italian writer with SomaIi origin Igiaba Sciego.

      Agitu, originally from Addis Ababa, was born into a tribe of nomadic shepherds. She went to Rome to study Sociology when she was 18 years old and returned to Ethiopia. However, she left her country again in 2010, fleeing threats for her commitment by denouncing “land grabbing” by multinationals.

      In Italy, in Valle dei Mocheni, Trentino, she began to preserve a goat species in extinction, the #Mochena goat.

      An example of female entrepreneurship, she set up the company “La capra felice” (The happy goat) producing cheeses and cosmetic products with goat’s milk.

      She has become an example of organic and sustainable production.

      Agitu’s work has been recognized throughout Italy, her story published in many medias, she attended different events and has been rewarded for her commitment to preserving goats and her production of organic products. One of the awards was the Slow Cheese Resistenza Casearia award, in 2015.

      It was not the first time that Agitu had her life under threat in the hands of men. She publicly denounced her neighbour for stalking, racially motivated threats and aggression. For months she was threatened by a man and one of the reasons was that she offered work and apprenticeship for refugees from African origins. “This neighbour does not like the colour of our skin and does what it can to create confusion,” she said at an interview.

      On December 29, her life was taken by a man who worked for her, shepherding her goats. According to him, for financial reasons. The man confessed to the crime and also revolted that he had committed rape after the attack. The man beat her in her head with a hammer. He was arrested.

      Agitu was found lifeless after friends called the police because they thought it was strange that she didn’t come to a meeting and didn’t answer the phone.

      The murder is a tragic end for a woman who brought so many good things into the world.

      Until when will we lose our sisters to violence?

      Rest in peace Agitu. We will never forget your legacy.

      https://migrantwomenpress.com/agitu-ideo-gudeta-murdered/amp/?__twitter_impression=true

      #montagne

    • Grâce à une amie qui connaissait Agitu je viens de connaître une autre facette de cette histoire. Un drame dans le drame, dont je ne peux/veux pas parler ici.

    • Le féminicide d’Agitu Ideo Gudeta choque l’Italie

      Ce 29 décembre, Agitu Ideo Gudeta, une réfugiée éthiopienne de 42 ans, a été retrouvée morte à son domicile, dans le nord de l’Italie, annonce La Repubblica. Elle était connue dans tout le pays grâce à son activité, couronnée de succès, d’éleveuse de chèvres et avait été à de nombreuses reprises médiatisée.

      Une célèbre bergère

      Selon le quotidien local Il Dolomiti, Agitu Gudeta était devenue « la bergère la plus célèbre des vallées du Trentin ». Et son histoire n’était pas banale. En 2010, elle avait dû fuir l’Éthiopie à cause de son activité de militante environnementaliste. Elle subissait des menaces de poursuites judiciaires et des menaces de mort car elle s’opposait à l’accaparement des terres par certaines multinationales.

      A 30 ans, toute seule dans un nouveau pays et dans la région réputée inhospitalière du Trentin, elle avait commencé une autre vie, avec ses 180 chèvres et sa propre entreprise prospère de fromages bio baptisée « La Capra Felice », la chèvre heureuse. Elle avait choisi de protéger une espèce rare, la chèvre Mochena, qui survit dans cette vallée isolée.
      Insultes et menaces racistes

      Avec sa réussite, c’est à d’autres menaces qu’elle avait dû faire face : des menaces et insultes racistes de la part de ses voisins. Elle avait été agressée physiquement également. Elle avait porté plainte contre l’un d’eux qui avait été condamné en janvier à 9 mois sous liberté conditionnelle.

      https://www.youtube.com/watch?v=CF0nQXrEJ30&feature=emb_logo

      https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_le-feminicide-d-agitu-ideo-gudeta-choque-l-italie?id=10664383

    • Trentino, uccisa in casa Agitu Gudeta, la rifugiata etiope simbolo dell’integrazione

      Scappata dal suo Paese, aveva fondato l’azienda agricola «La capra felice» nella Valle dei Mocheni dove allevava animali a rischio di estinzione.

      L’hanno trovata senza vita all’interno della sua casa di Frassilongo (Trentino), colpita con violenza alla testa. Un omicidio, hanno confermato i carabinieri che nel tardo pomeriggio sono giunti sul posto, chiamati dai vicini e stanno lavorando per ricostruire l’accaduto.

      È finito così - forse con un colpo di martello - il sogno di Agitu Ideo Gudeta, pastora etiope che avrebbe compiuto 43 anni il giorno di Capodanno e che si era data l’obiettivo di salvare dall’estinzione (e anche dagli attacchi dell’orso) la capra mochena, una specie che sopravvive in una valle isolata della Provincia di Trento dove la donna aveva trovato casa.

      Ma il suo problema - aveva denunciato un paio di anni fa - più che gli orsi erano i vicini: «Mi insultano, mi chiamano brutta negra, dicono che me ne devo andare e che questo non è il mio posto» aveva denunciato ai carabinieri, raccontando anche pubblicamente la sua storia. Le indagini perà si concentrerebbero su un giovane africano dipendente dell’azienda ’La Capra Felice’. A quanto pare, l’uomo - che non è quello che l’aveva minacciata ed aggredita - avrebbe avuto dissidi con Agitu per motivi economici. A dare l’allarme ai carabinieri sono stati alcuni vicini a loro volta chiamati da un uomo con il quale la vittima aveva un appuntamento al quale non si era presentata.

      Sul caso delle minacce arrivò la solidarietà del presidente della giunta provinciale, all’epoca Ugo Rossi: «Il fatto che Agitu, da rifugiata, abbia avviato la sua attività agricola sul nostro territorio dimostra che il Trentino crede nell’accoglienza e nella solidarietà». Una storia di minacce e danneggiamenti, finita in tribunale con la condanna a 9 mesi per lesioni di un uomo del posto che aveva sempre liquidato la faccenda come una lite fra vicini: «Il razzismo non c’entra». La donna quindi aveva ripreso a girare i mercati del Trentino per vendere i prodotti realizzati con il latte delle sue cinquanta capre, con il furgone che sulla fiancata riportava il nome dell’azienda agricola: «La capra felice».

      Agitu Gudeta era fuggita in Italia nel 2010 e aveva ottenuto lo status di rifugiata e dopo qualche anno era riuscita ad avviare la sua azienda agricola a Frassilongo scommettendo sulle capre mochene. Nel 2017 aveva partecipato all’incontro «Donne anche noi», raccontando la sua storia di migrante arrivata in Italia. Originaria della capitale Addis Abeba, era stata costretta a lasciate l’Etiopia perché a causa del suo impegno contro l’accapparramento delle terre da parte di alcune multinazionali era stata oggetto di minacce di morte.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2020/12/29/news/trentino_trovata_morta_agitu_gudeta_donna_42enne_simbolo_di_integrazione_

    • Tributes paid to Ethiopian refugee farmer who championed integration in Italy

      Agitu Ideo Gudeta, who was killed on Wednesday, used abandoned land to start a goat farming project employing migrants and refugeesTributes have been paid to a 42-year-old Ethiopian refugee and farmer who became a symbol of integration in Italy, her adopted home.

      Agitu Ideo Gudeta was attacked and killed, allegedly by a former employee, on her farm in Trentino on Wednesday.

      Gudeta had left Addis Ababa in 2010 after angering the authorities by taking part in protests against “land grabbing”. Once in Italy, she tenaciously followed and realised her ambition to move to the mountains and start her own farm. Taking advantage of permits that give farmers access to abandoned public land in depopulated areas, she reclaimed 11 hectares (27 acres) around an old barn in the Mòcheni valley, where she founded her La Capra Felice (The Happy Goat) enterprise.

      Gudeta started with a herd of 15 goats, quickly rising to 180 in a few years, producing organic milk and cheese using environmentally friendly methods and hiring migrants and refugees.

      “I created my space and made myself known, there was no resistance to me,” she told Reuters news agency that year.

      “Agitu brought to Italy the dream she was unable to realise in Ethiopia, in part because of land grabbing,” Gabriella Ghermandi, singer, performer, novelist and friend of Gudeta, told the Guardian. “Her farm was successful because she applied what she had learned from her grandparents in the countryside.

      “In Italy, many people have described her enterprise as a model of integration. But Agitu’s dream was to create an environmentally sustainable farm that was more than just a business; for her it also symbolised struggle against class divisions and the conviction that living in harmony with nature was possible. And above all she carried out her work with love. She had given a name to each one of her goats.”

      In a climate where hostility toward migrants was increasing, led by far-right political leaders, her success story was reported by numerous media outlets as an example of how integration can benefit communities.

      “The most rewarding satisfaction is when people tell me how much they love my cheeses because they’re good and taste different,” she said in an interview with Internazionale in 2017. “It compensates for all the hard work and the prejudices I’ve had to overcome as a woman and an immigrant.”

      Two years ago she received death threats and was the target of racist attacks, which she reported to police, recounting them on her social media posts.

      But police said a man who has confessed to the rape and murder of the farmer was an ex-employee who, they said, allegedly acted for “economic reasons”.

      The UN refugee agency said it was “pained” by Gudeta’s death, and that her entrepreneurial spirit “demonstrated how refugees can contribute to the societies that host them”.

      “Despite her tragic end, the UNHCR hopes that Agitu Ideo Gudeta will be remembered and celebrated as a model of success and integration and inspire refugees that struggle to rebuild their lives,” the agency said.

      “We spoke on the phone last week’’, said Ghermandi. “We spent two hours speaking about Ethiopia. We had plans to get together in the spring. Agitu considered Italy her home. She used to say that she had suffered too much in Ethiopia. Now Agitu is gone, but her work mustn’t die. We will soon begin a fundraising campaign to follow her plan for expanding the business so that her dream will live on.”

      Gudeta would have turned 43 on New Year’s Day.

      https://www.theguardian.com/global-development/2021/jan/01/tributes-paid-to-ethiopian-refugee-farmer-who-championed-integration-in

    • Dalla ricerca di eroi alla costruzione di progetti comunitari. Perché è importante cambiare narrazione

      Del bisogno di eroi

      La storia del passato, così come la cronaca quotidiana, pullula di storie di eroi che troneggiano nell’immaginario collettivo. Quello di eroi ed eroine è un bisogno antico, che riflette la necessità di costruire cognitivamente il mondo reale per mezzo di narrative che ci permettano di affidare ruoli e connotati chiari a singoli individui e gruppi sociali, soddisfacendo il nostro bisogno di certezze che affonda le radici tanto nella mitologia classica quanto nel pensiero cristiano e che sostengono la costruzione della nostra moralità culturale e senso dell’etica.

      Si tratta però di un bisogno che è ancora largamente presente nelle società contemporanee, a dispetto dei progressi indotti dal processo di formazione del diritto moderno, che ha portato a distinguere in maniera netta tra ciò che è lecito e ciò che lecito non è. Questo processo non è infatti riuscito, se non in astratto attraverso artifici teorici, a superare la dimensione individualistica (Pisani, 2019). Di qui il perdurare del bisogno di eroi, che continua a essere percepito come rilevante perché offre un’efficace e facile via di fuga. Consente, talvolta inconsapevolmente, di banalizzare situazioni e fenomeni complessi, interpretarli in maniera funzionale alla nostra retorica e giustificare l’inazione.

      Se l’obiettivo è però innescare profondi cambiamenti sociali all’insegna di una maggiore giustizia sociale e lotta alle profonde disuguaglianze del nostro tempo, allora non è di singoli eroi che si dovrebbe andare alla ricerca, ma di una diversa narrazione che faccia assegnamento sull’impegno autentico delle comunità. Comunità locali che sono sempre più chiamate a svolgere un ruolo rilevante nella costruzione sia di sistemi di welfare di prossimità, sia di nuovi modelli di produzione a larga partecipazione, in risposta a una pluralità di bisogni e sfide incompiute che spaziano dall’inclusione di persone vulnerabili fino alla gestione di beni comuni come la salute, il territorio, l’energia.[1]

      Quest’articolo prende le mosse da una convinzione di fondo. Nonostante il ruolo importante che svolgono nel generare benessere sociale, le comunità locali stentano ad essere riconosciute come protagoniste di un processo di cambiamento.

      Responsabile della loro scarsa visibilità e incisività non è solo l’insufficiente riconoscimento politico, ma anche una narrazione incoerente di cui si fanno sovente portatrici anche le organizzazioni di terzo settore che gli interessi delle comunità promuovono. Una narrazione spesso incentrata sul culto di singole personalità che, mettendo in ombra l’ancoraggio comunitario, rischia di incrinare l’impatto generativo del terzo settore.

      Dopo una riflessione sul perché bisognerebbe diffidare delle narrazioni idealizzate e sugli effetti del pathos degli eroi, l’articolo si sofferma su un caso specifico, quello di Agitu Ideo Gudeta, assassinata sul finire del 2020 da un suo collaboratore. Quindi, prendendo le mosse da questa drammatica vicenda, gli autori si soffermano sulle ragioni che farebbero propendere per la sostituzione degli eroi con progetti collettivi, sollecitando le organizzazioni di terzo settore, in primis, a cambiare narrazione.
      Pathos degli eroi

      Gli esempi di persone, professionisti e politici che sono stati idealizzati in virtù di reali o presunti talenti o gesta sono molteplici e coinvolgono frange della società civile – sia conservatrici e reazionarie, sia progressiste – così come il mondo della politica. Eroi che, spesso in virtù di altrettante semplificazioni, da figure mitologiche sono stati di punto in bianco trasformati in demoni o in capri espiatori, lasciando volutamente in ombra la complessità dei contesti, le relazioni, le fragilità, le emozioni e i comportamenti, spesso controversi, che accompagnano ogni essere umano, sia nei momenti di gloria, sia in quelli più bui.

      Nell’ambiente conservatore spicca la parabola di Vincenzo Muccioli, santificato negli anni ’80 come salvatore di migliaia di giovani spezzati dall’eroina, e poi demonizzato dai mezzi di informazione, prescindendo da un’analisi approfondita della sua controversa iniziativa. Tra gli esempi di persone e professionisti che sono stati santificati e poi travolti da un’onda di retorica colpevolista vi sono gli infermieri e i medici, celebrati come supereroi allo scoppio della pandemia Covid-19, passati nel secondo lockdown ad essere additati come appestati e untori, quando non complici di una messa in scena.[2]
      Emblematico è anche il caso dei volontari, portati puntualmente alla ribalta della cronaca come angeli durante catastrofi e crisi naturali, per poi svanire nel nulla in tempi non emergenziali, a dispetto del loro prezioso contributo quotidiano per migliorare la qualità della vita delle persone più vulnerabili.[3]
      Con riferimento all’ambiente più militante e progressista si distingue Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, passato dall’essere innalzato a mito dell’accoglienza dalla stampa e dal sistema SPRAR, in virtù dell’esperienza pionieristica sperimentata dal suo Comune, a essere abbandonato e attaccato da una parte dei media. Il cambio di atteggiamento nei confronti di Lucano coincide con la controversa vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto per favoreggiamento dell’immigrazione e per la gestione di progetti di accoglienza, dopo che il suo Comune è stato per anni pressato dal Viminale e dalla Prefettura affinché ospitasse un gran numero di richiedenti asilo, rifiutati da altri progetti di accoglienza (Procacci, 2021). Nel mondo della politica istituzionale primeggia l’attuale santificazione di Mario Draghi, acclamato come unico possibile salvatore di un Paese al collasso dopo essere stato considerato un simbolo dei poteri finanziari forti negli anni della crisi economica globale (Dominjanni, 2021).
      Perché diffidare degli eroi?

      Le ragioni che portano a diffidare degli eroi sono molteplici. I riflettori accesi esclusivamente sulla dimensione dell’eccellenza[4]
      distolgono l’attenzione da tutto ciò che condiziona le azioni dell’eroe, come i contesti istituzionali e ambientali, incluso il bagaglio di risorse, non solo economiche ma anche sociali e culturali, su cui il singolo fa assegnamento. A influenzare i percorsi che portano alle presunte gesta eccezionali di chi viene incoronato come eroe, ci sono comunità e organizzazioni, più o meno coese, composte da una pluralità di individui che si relazionano tra di loro per contribuire, in base al ruolo ricoperto, al raggiungimento di obiettivi condivisi. Anche le scelte dell’imprenditore più autoritario e accentratore, sono condizionate dalle persone e dall’ambiente con cui è interconnesso. Il potenziale innovativo non è quindi un dono che gli dei fanno a pochi eletti (Barbera, 2021), ma un processo complesso che per essere compreso appieno presuppone un’analisi articolata, che ricomprende una pluralità di elementi economici, sociali e relazionali. Elementi che le analisi fondate sugli eroi nella maggior parte dei casi ignorano, riconducendo sovente il successo dell’iniziativa idealizzata esclusivamente a un’intuizione del singolo.

      A fomentare una narrazione personalistica ha contribuito lo storytelling che ha fatto dell’innovazione il mantra dominante (Barbera, 2021). Responsabile è principalmente la retorica di stampo neoliberista, incentrata sul mito dell’imprenditore individuale, che ha assoggettato la maggior parte dei campi del sapere, arrivando a giustificare le disuguaglianze poiché conseguenti a un processo liberamente accettato dove ognuno ha pari opportunità di accesso al mercato e alla proprietà (Piketty, 2020). Di qui la riconversione del cittadino in homo oeconomicus, orientato non più allo scambio come nel liberismo classico, bensì alla valorizzazione di sé stesso in quanto capitale umano (Dominjianni, 2017). Una parte della letteratura sul management del terzo settore ha introiettato questa logica, proiettandola nella figura eroica dell’imprenditore sociale (Waldron et al., 2016; Miller et al., 2012; Dacin et al., 2011; Short et al., 2009; Zahra et al., 2009; Bornstein, 2007; Martin, Osberg, 2007; Austin et al., 2006).[5]
      Sottolineando il connubio tra tratti etici e competenze creative e leadership, che permetterebbero all’imprenditore sociale di assumersi i rischi necessari a raggiungere obiettivi sociali straordinari, questa letteratura ha trascurato i processi organizzativi e decisionali che sono alla base del funzionamento delle diverse organizzazioni (Petrella, Battesti, 2014).

      Il culto degli eroi ha così contribuito ad allontanare l’attenzione da alcune caratteristiche precipue di associazioni e cooperative, tra cui in primis l’adozione di modelli di governo inclusivi ad ampia partecipazione, che dovrebbero favorire il coinvolgimento di una pluralità di portatori di interesse nei processi decisionali, in rappresentanza dei diversi gruppi sociali che abitano un territorio (Sacchetti, 2018; Borzaga e Galera, 2016; Borzaga e Sacchetti, 2015; Defourny e Borzaga, 2001).[6]
      Ciò si verifica, ad esempio, quando una organizzazione di terzo settore costituita su basi democratiche, è identificata con il nome di un singolo eroe: un fondatore, un religioso che – anche quando non ricopra effettivamente cariche formali apicali – si riconosce come ispirazione e figura carismatica. Sono casi in cui talvolta il percorso di sviluppo dell’ente passa in secondo piano rispetto a quello di un singolo individuo il cui nome è di per sé evocativo dell’intera organizzazione.
      Gli effetti delle narrazioni eroicizzate

      L’immediata spendibilità comunicativa delle narrazioni fondate su figure eroiche spiega perché esse siano largamente preferite da una parte rilevante della politica, da molti osservatori e dalla quasi totalità degli operatori dell’informazione rispetto a studi analitici volti a comprendere i fenomeni sociali e a rendere conto ai cittadini e agli attori esterni delle scelte di policy compiute. Di qui l’incapacità di comprendere le problematiche che affliggono la società contemporanea e la proiezione artificiale in una figura erta a simbolo, non senza implicazioni negative.
      Allontanano dall’individuazione di possibili soluzioni

      Oltre a offuscare il contesto di appartenenza, la retorica dell’azione straordinaria allontana l’attenzione da quello che dovrebbe essere il corretto funzionamento di qualsiasi sistema, a livello macro, così come a livello micro. Nelle narrazioni incentrate sugli eroi non c’è spazio né per analisi valutative comparate, né tantomeno per riflessioni su come dovrebbe funzionare, ad esempio, un’organizzazione.

      Scoraggiando la correttezza analitica su temi di rilevanza pubblica e disincentivando qualsiasi tipo di studio volto a misurare l’efficacia di singole iniziative di welfare o il loro impatto sull’occupazione e il benessere della collettività, le narrazioni eroicizzate impediscono di indagare la realtà in maniera approfondita. Di conseguenza, non consentono di comprendere le implicazioni, non solo economiche ma anche in termini di efficacia, che sono connesse alle diverse soluzioni di policy.

      La tendenza ad analizzare la realtà in maniera superficiale, spesso in nome di un’imperante “politica del fare”, ci allontana quindi dall’individuazione di possibili soluzioni ai problemi che affliggono le società contemporanee. I riflettori accesi su una singola esperienza nel campo delle dipendenze hanno per molto tempo impedito un confronto serio sull’efficacia degli interventi di riabilitazione sperimentati dalle diverse realtà di accoglienza, non solo in termini di disintossicazione, ma anche di reinserimento nel tessuto sociale delle persone accolte. L’esaltazione della figura di Vincenzo Muccioli ha contribuito a trascurare negli anni ‘80 le oltre 300 iniziative di accoglienza di tossicodipendenti che in quegli stessi anni stavano sperimentando percorsi di riabilitazione alternativi basati sull’ascolto individuale, la responsabilità e la condivisione comunitaria. Realtà che, basandosi su uno scambio tra contributi volontari e competenze professionali (sociologici, psicologi, educatori, psichiatri, ecc.), prendevano le mosse a partire dall’esperienza di organizzazioni già radicate come il Gruppo Abele, San Benedetto al Porto e la Comunità di Capodarco, così come nuove esperienze, tra cui il Ceis, Exodus, Saman, Villa Maraini a Roma e la comunità Betania a Parma (De Facci, 2021). Tra le tante comunità di accoglienza e recupero nate tra gli anni ’70 e ’80, particolarmente interessante è quella trentina di Camparta, che è stata recentemente raccontata da alcuni dei suoi protagonisti. Promossa su iniziativa di uno psicoterapeuta d’impronta basagliana e animata da ideali libertari e comunitari, Camparta ha sperimentato un metodo di riabilitazione olistico, fondato su un percorso di ricerca interiore, confronto e rifondazione culturale a tutto campo (I ragazzi di Camparta, 2021).

      La narrazione fortemente polarizzata tra posizioni idealizzate pro e anti migranti continua a impedire un’analisi rigorosa e sistematica del fenomeno migratorio che possa fornire utili indicazioni di policy su come andrebbe gestita l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati entro una visione di sviluppo locale piuttosto che secondo una logica emergenziale. L’idealizzazione di Mimmo Lucano ha distolto l’attenzione dalle tante altre esperienze di accoglienza di cui l’Italia è ricca. Iniziative che, prendendo in alcuni casi ispirazione dall’iniziativa pionieristica di Riace, hanno saputo innescare processi di sviluppo a livello locale grazie ad una proficua collaborazione tra enti di terzo settore e enti locali (Galera, Borzaga, 2019; Lucano, 2020).

      Coprendo le nefandezze e le carenze di un sistema sanitario al collasso, la celebrazione di medici e infermieri come angeli durante il primo lockdown ha ritardato una riflessione quanto mai necessaria su come dovrebbe essere riformato il sistema sanitario per renderlo maggiormente in grado di gestire le attuali sfide socio-sanitarie, così come quelle all’orizzonte per effetto dell’allevamento industriale intensivo, del massiccio impiego di antibiotici in allevamento e dei cambiamenti climatici (Galera, 2020; Tamino, 2020).

      A livello organizzativo, le narrazioni incentrate sull’azione straordinaria degli eroi imprenditori incoraggiano sistematicamente sia l’adozione di strumenti di management, sia l’adesione a culture organizzative che, svilendo la componente della partecipazione, indeboliscono la capacità del terzo settore di incidere a livello locale; e influenza, in modo negativo, pure le politiche, laddove, ad esempio nelle scelte di finanziamento, venga privilegiata l’idea “innovativa”[7]
      rispetto alla capacità di costruire legami di comunità e di rafforzare soggetti collettivi e inclusivi.

      A livello di sistema, l’impatto generativo del terzo settore è nondimeno minato dall’incapacità – insita in ogni idealizzazione – di discernere tra elementi non trasferibili, perché legati a particolari condizioni congiunturali e di contesto favorevoli, ed elementi “esportabili”. Tra questi, ad esempio, modelli di servizio, strumenti di lavoro, strategie di collaborazione o forme dell’abitare che, essendo stati sperimentati con esiti positivi, potrebbero essere modellizzati e replicati su più ampia scala, qualora liberati dal giogo dell’eroe.
      Forniscono l’alibi per rifugiarsi nell’inazione

      Tra i gruppi idealizzati rientrano i volontari e gli operatori impegnati in prima linea nelle situazioni emergenziali generate da catastrofi naturali. Nel caso dei volontari, la tendenza predominante è mitizzarne il coinvolgimento durante le emergenze e ignorarne sistematicamente il contributo nella vita quotidiana a sostegno delle persone più vulnerabili o del territorio che abitiamo per contenerne la fragilità.

      Tra gli esempi di mobilitazioni di volontari idealizzate vi sono quelle avvenute in occasione di nubifragi e terremoti. Tra queste l’alluvione che nel 1966 cosparse Firenze di acqua e fango, causando gravissimi danni sia alle persone sia al patrimonio artistico (Silei, 2013). Ulteriori esempi di mobilitazioni comunitarie sono rappresentati dal terremoto del 2012 in Emilia e dall’alluvione di Genova nel 2014. Catastrofi naturali che hanno attivato una catena di solidarietà in grado di compensare, almeno in parte, l’assenza di un’organizzazione centralizzata capace di gestire opportunamente le emergenze.

      L’uso di espressioni improprie come “angeli” e “eroi” mette tuttavia in ombra la normalità dell’azione di milioni di cittadini che nelle associazioni o individualmente nei loro posti di lavoro, in strada o su internet, chiedono l’attenzione delle istituzioni, anche prima delle emergenze, denunciano gli abusi e si battono per i propri diritti (Campagna #nonsonoangeli, 2014).[8]
      La mitizzazione dei volontari nei momenti di crisi non solo svilisce il loro prezioso contributo nella quotidianità. Appigliandosi al pretesto che l’impegno sia appannaggio di pochi eletti, l’idealizzazione offre ai così detti “cittadini ordinari” l’alibi per rifugiarsi nell’inazione.
      Scoraggiano la costruzione di un sistema valoriale alternativo

      Il pathos suscitato dagli eroi offre nondimeno la scorciatoia per non impegnarsi nella costruzione di un sistema valoriale coerente con i principi e i valori dichiarati. Il sistema di riferimenti valoriali riprodotto dall’eroe permette, infatti, di aggregare consenso in maniera immediata, senza alcuna fatica. Diversamente, un percorso di produzione valoriale sociale in grado di innescare cambiamenti consapevoli richiederebbe sia un impegno rilevante in termini di ascolto, confronti e negoziazioni volti a tracciare un itinerario di azione condiviso, sia tempi considerevoli.

      Di qui l’effimera illusione che l’eroe, consentendo di conseguire approvazione e sostegno nel breve termine, possa aiutarci a sostenere il nostro sistema valoriale in maniera più efficace. Le storie di eroi ci mostrano, invece, come i sistemi basati sull’idealizzazione siano nel medio e lungo periodo destinati a produrre l’effetto contrario. Creando una frattura netta tra gli eroi e i non eroi, influenzano in senso antisociale i comportamenti collettivi e individuali (Bonetti, 2020). E così facendo, ci allontanano da quello che dovrebbe essere il modello di società più rispondente al sistema valoriale che vorremmo promuovere.
      Incoraggiano la polarizzazione tra “buoni” e “cattivi”

      Di conseguenza, oltre a non contribuire a risolvere spinosi problemi sociali, le narrazioni idealizzate favoriscono una polarizzazione tra “buoni” e “cattivi” in cui le posizioni contrapposte si alimentano a vicenda, compromettendo il dialogo e la gestione dei conflitti.

      La tendenza a polarizzare è una prassi diffusa nel settore dell’informazione, incline a esaltare o distruggere personaggi simbolo (Sgaggio, 2011), così come tra opinionisti, osservatori, ricercatori, esperti e tra le organizzazioni della società civile.

      Quella della polarizzazione e categorizzazione è tuttavia una tendenza a cui siamo tutti soggetti, spesso inconsapevolmente. Siamo attratti maggiormente da notizie e informazioni che siano in grado di confermare le nostre interpretazioni del mondo, mentre siamo respinti magneticamente da tutto ciò che mette in discussione le nostre certezze o alimenta dubbi. Elaborare messaggi che si allineano con le nostre ideologie richiede, non a caso, uno sforzo cognitivo considerevolmente minore rispetto alla messa in discussione delle nostre sicurezze (Michetti, 2021).

      L’inclinazione a semplificare e categorizzare è in una certa misura una reazione incontrollata, indotta dall’esigenza di difenderci dal bombardamento di informazioni a cui siamo sottoposti sistematicamente. Una reazione che rischia di essere esasperata dallo stato emotivo di vulnerabilità a livello individuale e collettivo in cui ci troviamo a causa della pandemia. L’essere più fragili ci rende, infatti, più facilmente preda di abbagli e simboli in cui proiettare paure, ambizioni e desideri di cambiamento in positivo.
      Esasperano le fragilità delle persone idealizzate

      In mancanza della consapevolezza di essere oggetto di idealizzazione, la mitizzazione può avere conseguenze deleterie anche sulla persona idealizzata. Come alcune storie di eroi ci mostrano, l’idealizzazione può portare a una progressiva esasperazione di fragilità latenti e, nei casi estremi, a una dissociazione cognitiva. Di qui lo sviluppo – nelle persone borderline – di disturbi narcisistici e megalomani, che possono accelerare la caduta del mito, sempre al varco quando vi è un processo di santificazione in atto.[9]

      A prescindere dall’evoluzione dell’idealizzazione, delle competenze, talenti o accuse di cui può essersi macchiato il presunto eroe, si tratta di un percorso a termine, nella maggior parte dei casi destinato a lasciare spazio alla solitudine non appena la stagione della gloria si esaurisce, talvolta accompagnata dalla dissacrazione della figura dell’eroe.
      Il caso della pastora Agitu Ideo Gudeta e della “Capra Felice”

      La recente idealizzazione della pastora etiope Agitu Ideo Gudeta, titolare dell’azienda agricola “La Capra Felice”, esaltata a seguito della sua uccisione, confermano il bisogno compulsivo di eroi che affligge una rilevante fetta di società, in questo caso quella più militante e attenta alla giustizia sociale, ai valori della solidarietà e dell’antirazzismo. La sua storia è molto conosciuta.

      Agitu Ideo Gudeta nasce nel 1978 in Etiopia. Emigra in Italia per motivi di studio ma, appena laureata, torna nella sua terra d’origine per combattere contro il land-grabbing. Dopo aver ricevuto pesanti minacce per il suo impegno contro le multinazionali, rientra come rifugiata in Italia e avvia in Trentino un allevamento di ovini di razza pezzata mòchena, una specie autoctona a rischio di estinzione, e un caseificio, La Capra Felice, i cui prodotti biologici e gli intenti ambientalisti la portano ad ottenere riconoscimenti anche da Slow Food e da Legambiente. Per la sua attività Agitu Ideo Gudeta recupera un pascolo di oltre 10 ettari in stato di abbandono e occupa nel corso degli anni numerosi giovani richiedenti asilo e rifugiati.

      Quello di Agitu Ideo Gudeta è un racconto ineccepibile di cui tanti attivisti si sono innamorati, estrapolando pezzi della sua storia che calzavano a pennello con la loro retorica. Il suo percorso ha trovato terreno fertile nelle narrazioni sull’inclusione, nelle analisi di buone pratiche di imprenditoria migrante e femminista, nelle storie di rivitalizzazione di aree interne, negli esempi di recupero di specie animali autoctone a rischio di estinzione, e nella lotta contro il land-grabbing.

      La maggior parte delle analisi, in particolare quelle realizzate dopo la sua uccisione, si è tuttavia limitata ad una descrizione superficiale che ha sottovalutato le caratteristiche di un contesto contraddistinto da una molteplicità di sfide e criticità legate in primo luogo al settore di attività, la pastorizia, notoriamente a rischio di sfruttamento per le caratteristiche intrinseche a tutte le attività agricole. Si tratta di attività esposte a una molteplicità di fattori di incertezza; a quelli produttivi e di mercato si aggiungono rischi climatici, ambientali e istituzionali legati al cambio di normative e regolamenti, che condizionano fortemente le entrate economiche, specie delle aziende agricole di piccole dimensioni.

      Tra le caratteristiche di contesto rientra anche il tipo di territorio: la Valle Dei Mòcheni, un’area alpina periferica dove esistono ancora regole antiche che governano i rapporti tra i membri della comunità. Infine, un ulteriore elemento di complessità è legato alla tipologia di lavoratori impiegati dalla Capra Felice: richiedenti asilo e rifugiati, ovvero persone fragili che mostrano, in generale, un’alta vulnerabilità spesso dovuta a disturbi post-traumatici da stress (Barbieri, 2020).[10]
      Queste sfide e criticità si sono intrecciate con le difficoltà legate a un processo di sviluppo imprenditoriale che la Capra Felice ha intrapreso in un momento di grave instabilità e recessione economica.

      A dispetto delle drammatiche circostanze in cui i fatti si sono svolti, la retorica che potremmo chiamare della beatificazione seguita all’uccisione di Agitu Ideo Gudeta non ha lasciato alcuno spazio alla riflessione critica. Non solo le istituzioni pubbliche e gli operatori dell’informazione, ma anche molti politici e organizzazioni di terzo settore si sono rifugiati nella facile consacrazione dell’eroina, piuttosto che interrogarsi sulle fragilità dell’ambiente in cui Agitu Ideo Gudeta operava, sulle difficoltà incontrate da lei e dai suoi collaboratori, e persino sulle concause che potrebbero aver portato alla sua uccisione.

      Mentre si sono sprecate le parole per “eroicizzarla”, nessuno si è interrogato sulla qualità del lavoro, sul tipo di relazione lavorativa che la Capra Felice instaurava con i giovani richiedenti asilo e sull’esito dei loro percorsi di integrazione.

      Chi erano e che ruolo avevano i collaboratori della Capra Felice? Quanti richiedenti asilo hanno lavorato nel corso degli anni e in che misura e da chi erano seguiti nei loro percorsi di inclusione? Qual era il turn over dei lavoratori stranieri? Che rapporto avevano i collaboratori della Capra Felice con il territorio e la comunità locale? Dove vivono e lavorano ora gli ex lavoratori? Nel caso di lavoratori particolarmente fragili, qual era il ruolo dei servizi sociali e sanitari? Il percorso di sviluppo imprenditoriale della Capra Felice è stato seguito da qualche incubatore di impresa e, in caso negativo, perché no?

      Queste sono solo alcune delle domande su cui si sarebbe dovuto a nostro avviso interrogare qualsiasi osservatore non superficiale, interessato a comprendere e a sostenere i percorsi di accoglienza e inclusione sociale e lavorativa delle persone fragili.
      Progetti collettivi al posto di eroi e eroine

      La storia tragica di Agitu Ideo Gudeta sembra essere anche la storia di una società debole e fallimentare nel suo complesso, non solo di un’onda retorica che ha attraversato i mezzi di informazione e i social network per creare al suo centro l’eroina.

      Il fatto che la sua morte abbia generato un bisogno di santificazione e una gogna mediatica nei confronti dell’accusato, invece che sollecitare cordoglio e un esame di coscienza collettiva, smaschera un vuoto su cui forse varrebbe la pena riflettere.

      Un vuoto che può essere riempito solo con azioni concrete e durevoli, che siano il frutto di progetti collettivi a livello comunitario. A questo scopo, servono iniziative di autentica condivisione che aiutino a governare la complessità, a riconoscere le situazioni di fragilità e a prevenire e gestire i conflitti che inevitabilmente abitano i contesti sociali (Sclavi, 2003). A supporto di queste iniziative, c’è bisogno di una nuova narrazione, autentica e costruttiva, che sia innanzi tutto capace di apprendere dagli errori e dai fallimenti affinché le falle del nostro tessuto sociale non permettano più il perpetrarsi di simili tragedie. Quindi, una narrazione che non rifugge il fallimento e non lo percepisce come un pericolo da mascherare a qualsiasi costo, ma come un’opportunità di crescita e di cambiamento.

      Rispetto a quella che nutre gli eroi, è un tipo di narrazione di senso, incline ad alimentare una responsabilità collettiva e una nuova consapevolezza sociale, che può favorire un ribaltamento valoriale in senso solidale. È però una narrazione molto più faticosa da sviluppare. Presuppone, infatti, un’azione collettiva impegnativa in termini di relazioni, negoziazioni e confronti, che deve giocoforza poggiare sulla creazione di spazi di aggregazione e di collaborazione. Questa nuova narrazione non può che nascere da un rinnovato impegno civico di ciascuno di noi, in quanto cittadini responsabili che, praticando la solidarietà, prefigurano un cambiamento e un futuro possibile dove la cittadinanza attiva non è l’eccezione ma la costante.[11]

      Di qui la necessità di sostituire l’emulazione verbale e la ben sedimentata narrativa dell’eroe, normativamente accettata da un uso millenario, con un nuovo ordine normativo significante della realtà.
      Come sostenere la creazione di comunità accoglienti e inclusive

      La crisi della democrazia rappresentativa, la sfiducia nei partiti e l’allontanamento dalla politica hanno da tempo acceso i riflettori sulla società civile, organizzata e non, in quanto spazio di discussione e confronto, finalizzato non solo ad elaborare efficaci strategie in risposta a bisogni sempre più complessi, ma anche a prevenire e gestire le fragilità umane e i conflitti tra gruppi sociali contrapposti.

      Di fronte alla crisi epocale dei modelli politici e produttivi tradizionali, sono sempre più numerosi i dibattiti su come, in quale misura e attraverso quali strumenti, le comunità locali possano intervenire concretamente sulle profonde disuguaglianze economiche, sociali, territoriali che affliggono il nostro Paese, ribaltando i paradigmi dominanti e innescando cambiamenti profondi a vantaggio dei più deboli e della collettività.

      La storia, quella più lontana e quella più recente, ci mostra come spesso la forza della comunità risieda nel bagaglio di valori, tradizioni e relazioni fiduciarie, che sono radicati nel tessuto sociale e vissuto collettivo. Ed è questo bagaglio relazionale e valoriale che ha permesso in moltissimi casi alle comunità di sopravvivere e rigenerarsi nel corso della storia, spesso a seguito di eventi traumatici come calamità naturali, crisi economiche e sanitarie. Ma la storia ci riporta anche molti esempi di comunità in cui la valorizzazione delle identità locali ha originato fenomeni di chiusura particolaristica. Comunità esclusiviste che si sono e in molti casi continuano a identificare l’altro con il male (Bonomi, 2018; Langer, 1994).

      La comunità locali sono, quindi, lontane dall’essere sempre e comunque virtuose.

      Cosa fa pertanto la differenza tra una comunità e l’altra? Per diventare accoglienti e inclusive, le comunità devono potersi esprimere attraverso quelle organizzazioni della società civile che sono proiettate verso il bene comune e si avvalgono del coinvolgimento di una pluralità di portatori di interesse, in rappresentanza dei diversi pezzi di società che abitano un territorio. Sono quindi le organizzazioni di terzo settore maggiormente radicate sul territorio che andrebbero sostenute dalle politiche pubbliche all’interno di una cornice collaborativa in cui, anziché gestire prestazioni per conto dell’ente pubblico (Borzaga, 2019), il terzo settore dovrebbe configurarsi come un attivatore di risposte sociali innovative, che fanno leva sulla prossimità ai territori e alle persone, incluse quelle vulnerabili e disinformate, normalmente ai margini delle dinamiche di cambiamento (Manzini, 2018).

      Se è vero, come da più parti sottolineato, che la politica è in gran parte responsabile dello scarso riconoscimento della società civile organizzata, l’insufficiente apprezzamento del suo valore aggiunto è ascrivibile anche ad alcune prassi, culture e comportamenti organizzativi messi in atto dalle stesse organizzazioni di terzo settore. Tra questi, una retorica – quella degli eroi – incoerente con la loro natura, che ha generato atteggiamenti autoreferenziali e ha alimentato uno scollamento di molte organizzazioni di terzo settore dalle loro comunità di appartenenza. Una delle sfide che il terzo settore dovrebbe far propria è, quindi, a nostro avviso l’archiviazione, una volta per tutte, della retorica dell’eroe e dell’eroina e la sua sostituzione con una narrazione autentica e costruttiva che sia in grado di alimentare un’attiva partecipazione della cittadinanza alla gestione del bene comune.

      DOI: 10.7425/IS.2021.02.10

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      Note

      La nozione di bene comune fa riferimento all’insieme delle risorse necessarie allo sviluppo della persona ed all’esercizio dei suoi diritti fondamentali. Presuppone condizioni di eguaglianza nell’accesso o utilizzo degli stessi. Sul concetto di beni comuni si rimanda ai lavori di E. Olstrom [tra cui: Olstrom E. (1990), Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, Cambridge UK]. Nel sistema italiano una definizione di riferimento è quella formulata dalla Commissione Rodotà nel 2008: “Cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”.
      https://nti.apet118.it/home
      “Quanto vale il volontariato in Italia? Istat, CSVnet e FVP lanciano la prima sperimentazione del Manuale ILO sul lavoro volontario”: https://www.csvnet.it/csv/storia/144-notizie/1226-quanto-vale-il-volontariato-in-italia-istat-csvnet-e-fvp-lanciano-i-dati
      Di qui l’elogio di chi ce la fa e “merita” (Piketty, 2020). Per un’analisi critica del “merito” si rimanda a Sandel (2020).
      Con riferimento alle critiche si veda John McClusky (2018).
      Modelli di governance che sono supportati da vincoli normativi o statutari – come il vincolo alla non distribuibilità degli utili (non-profit distribution constraint) e l’asset lock – pensati per garantire la sopravvivenza nel tempo dell’inclusività e dell’interesse generale perseguito.
      Approccio che vede l’intervento sociale in analogia all’innovazione tecnologica, dove una mente geniale, chiusa nel suo garage, inventa qualcosa che rivoluziona la vita di tutti.
      La campagna #nonsonoangeli prese avvio all’indomani dell’ultima alluvione di Genova dall’esigenza di ridefinire il ruolo del volontariato e della percezione di questi per i media, promuovendo da un lato una comunicazione meno stereotipata dell’impegno dei cittadini, in caso di emergenza e non, per il bene comune, e dall’altro una conoscenza del volontariato e della solidarietà così come queste si manifestano. https://nonsonoangeli.wordpress.com/2016/06/08/roma-8-giugno-2016-on-sono-angeli-il-volontariato-tra-stere
      Si veda a questo proposito: https://socialimpactaward.net/breaking-the-myth-of-hero-entrepreneurship - http://tacklingheropreneurship.com
      Si veda anche: https://mediciperidirittiumani.org/studio-salute-mentale-rifugiati - https://archivio.medicisenzafrontiere
      https://www.cesvot.it/comunicazione/dossier/hanno-detto-di-nonsonoangeli

      https://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/articolo/dalla-ricerca-di-eroi-alla-costruzione-di-progetti-comunitari

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  • Le rôle des femmes n’est pas de rester belles durant le confinement | Safia Kessas et Sofia Cotsoglou
    https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_le-role-des-femmes-n-est-pas-de-rester-belles-durant-le-confinement?id=1

    Elles sont infirmières, doctoresses, aides-soignantes, aides-familiales ou à domicile, techniciennes de surface, caissières, éducatrices ou encore institutrices. Elles assurent des métiers essentiels et souvent dévalorisés qui nous permettent de continuer à vivre. Les femmes, en première ligne sur le front du coronavirus, n’échappent pas au sexisme qui se répand presqu’aussi vite que le virus. Sur les réseaux sociaux, les blagues sexistes pullulent. Quant aux magazines féminins, ils multiplient les diktats esthétiques. Une femme doit rester à son avantage en toutes circonstances. Source : RTBF

    • COVID-19 isolation could create ‘fertile ground for domestic violence’

      On the day that France’s President Emmanuel Macron announced sweeping plans to go into a 15-day period of enforced lockdown from Tuesday, concerns also arose as to the potential increase in cases of gender-based domestic violence, following a previous surge in China under similar conditions.

      “The crisis that we are going through and the quarantine could unfortunately create a fertile ground of domestic violence,” read a statement from France’s Secretary of State in charge of Gender Equality, Marlène Schiappa, adding that with the new quarantine measures in France, “the situation of emergency shelters for female victims of domestic violence is a major concern.”

      The statement also recognised that although courts in France are on lockdown, domestic violence cases are still open and being dealt with, and that the government website, Arretons Les Violences is still online, but that the ‘3919’ emergency hotline service for domestic violence victims will be operating under a reduced service.

      It is understood the state department will hold talks with the Fédération Nationale Solidarité Femmes on Wednesday to discuss the possibility of keeping the line open.

      The French Feminist collective NousToutes also recently highlighted the potential risk of domestic violence cases rising as a result of enforced isolation and called upon victims to make use of the 3919 emergency hotline.

      “Being confined at home with a violent man is dangerous. It is not recommended to go out. It is not forbidden to flee. Need help? Call 3919,” a statement from the group on Twitter read.

      Not forgetting the victims

      Due to the potential stress on public services as part of France’s ongoing battle against the coronavirus outbreak, some in Europe have been calling for the authorities to make sure that the authorities do not lose sight of the work they do in tackling domestic violence.

      Amandine Clavaud, policy adviser on Europe and gender equality at the Fondation Jean-Jaurès in Paris told EURACTIV that there is a need for an increase in vigilance on behalf of public bodies, with regards to these types of issues.

      “We have to be very attentive to the risks towards women and children amid this crisis, because the work of associations will possibly slow down with the quarantine,” she said.

      “In the case where public services reach saturation point, the treatments of domestic violence cases should definitely not be left-behind, but fully part of the whole strategy in dealing with the crisis.”

      Crisis abuse cases

      Concerns have arisen both in the United States and China with regards to the increase in domestic violence cases that could occur as a result of people in abusive relationships being forced to isolate together, and rights groups in Europe have now started to sound the horn over potential blindspots in this area.

      “In times of crisis and natural disasters, there is a documented rise in domestic abuse. As normal life shuts down, victims – who are usually women – can be exposed to abusers for long periods of time and cut off from social and institutional support,” the European Institute for Gender Equality’s Jurgita Pečiūrienė told EURACTIV.

      “The financial insecurity that often prohibits domestic violence victims from leaving abusers can also worsen in the aftermath of a crisis,” Pečiūrienė, who specialises in gender-based research, said.

      She added that there is a worrying deficit of data in the EU with regards to information sharing in the context of home-based violence amid national crises.

      “A lack of data in Europe prevents countries from learning from each other to ensure police and other support services can adapt to changing patterns of domestic violence in times of crisis,” she said.

      China & the US

      The measures imposed by the Chinese government in response to the COVID-19 outbreak for citizens to self-isolate for 14 days led to a surge in the recorded instances of domestic violence, according to reports from activists working in the country, as well as employees as women’s shelters.

      Meanwhile stateside, a statement released by the US National Domestic Abuse Hotline over the weekend noted that domestic violence abusers may seek to capitalise on the forced measures for domestic violence sufferers to isolate themselves.

      “Abuse is about power and control. When survivors are forced to stay in the home or in close proximity to their abuser more frequently, an abuser can use any tool to exert control over their victim, including a national health concern such as COVID-19,” the statement read.

      “In a time where companies may be encouraging that their employees work remotely, and the CDC is encouraging “social distancing,” an abuser may take advantage of an already stressful situation to gain more control.”

      https://www.euractiv.com/section/coronavirus/news/covid-19-isolation-could-create-fertile-ground-for-domestic-violence

      signalé par @isskein

    • Je partage ici les pensées d’une amie. Je ne sais pas si elle veut que son nom soit dévoilé, je laisse donc son témoignage (que j’ai reçu par email, le 18.03.2020) de manière anonyme, car elle pose des pensées qui sont très importantes à mes yeux et que ça vaut la peine qu’elles soient partagées...

      Voici son message :

      J’avais aussi dans ma liste « conséquences dramatiques du confinement » : la hausse des IVG, IST, dépressions, pétages de plombs des plus isolé.es, des santés mentales fragiles, etc... mouarf.

      En fait, en gros, pour moi, la question principale est : si on pense que le confinement est la seule manière de combattre la pandémie, alors il faut le faire de façon responsable, c’est à dire en mettant en place des mesures CONCRETES pour éviter la création de conséquences graves en parallèle... parce que sinon, pour moi ça donne une situation paradoxale : on sauve effectivement des vies d’un côté, et d’un autre, on envoie d’autres à des situations de souffrance extrêmes et aussi à la mort... comment on tient les comptes alors ? Combien seront « sauvé.es », pendant que d’autres mourront d’autre chose que du coronavirus ?

      Annoncer un confinement :
      – sans garantir de revenu minimum pour un tas de professions / gens (notamment les gens comme moi qui ne sont pas salarié.e mais intermittent.es du spectacle, ou artisans, etc...)
      – sans garantir une protection des personnes (enfants y compris !) victimes de violences
      – sans garantir une prévention / un suivi des réductions des risques...
      – sans regarder en face qu’on va « sauver » des milliers de vies d’un côté oui, mais envoyer des milliers de gens vers des souffrances extrêmes , à aussi à la mort d’un autre côté ...

      ça me semble étrange et irresponsable.

      J’en parle très peu autour de moi, parce que c’est un sujet brûlant, je sens qu’il y a comme une sorte de consensus hyper général (comme après les attentats de Charlie)... et ça semble difficile d’émettre une opinion un peu critique...

      En vrai, j’applique les « gestes barrières » et les consignes de sécurité, parce que je suis pas débile, XXX et moi on fait au mieux pour nous et pour les autres, et on a je crois un sens aïgue de la solidarité...

      et c’est justement parce que je me sens solidaire que j’ai aussi conscience que c’est pas une bonne idée pour des tonnes de gens, pour une tonne de situations sociales, ce confinement.
      Donc, prenons en compte tous les aspects de cette situation de pandémie : les données sanitaires ne sont pas les seules à prendre en compte il me semble. Il faut les croiser avec les données sociologiques, sociales, psychologiques. Nan ?

      Et puis, aussi, je trouve ça un peu « gros » quand Macron, dans son allocution guerrière d’hier soir, culpabilise les « inconscient.es » qui se baladent dans les parcs un dimanche après-midi dans un contexte de pandémie, alors qu’ils maintiennent les élections municipales, ou que bon nombre d’entreprises/banques/institutions ne sont pas obligées de fermer. Pourquoi ma voisine continue à aller bosser dans son usine de production d’objets inutiles, voir nuisibles à la planète et à la société alors que je ne peux pas aller faire courir mes gosses dans le parc en bas de chez moi ???
      Il faudrait peut être tenir une ligne claire et cohérente non ?

    • For some people, social distancing means being trapped indoors with an abuser

      As more cities go under lockdown, activists are worried that attempts to curb coronavirus will inadvertently lead to an increase in domestic violence.

      Coronavirus is fuelling domestic violence

      Home is supposed to be the safest place any of us could be right now. However, for people experiencing domestic violence, social distancing means being trapped inside with an abuser. As more cities go under lockdown, activists are worried that attempts to curb the coronavirus will inadvertently lead to an increase in domestic violence.

      Domestic violence is already a deadly epidemic. One in three women around the world experience physical or sexual violence, mostly from an intimate partner, according to the World Health Organization (WHO). As the WHO notes: “This makes it the most widespread, but among the least reported human rights abuses.” Gender-based violence tends to increase during humanitarian emergencies and conflicts; “women’s bodies too often become battlefields”.
      Coronavirus: the week explained - sign up for our email newsletter
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      Reports from China suggest the coronavirus has already caused a significant spike in domestic violence. Local police stations saw a threefold increase in cases reported in February compared with the previous year, according to Wan Fei, the founder of an anti-domestic violence not-forprofit. “According to our statistics, 90% of the causes of violence are related to the Covid-19 epidemic,” Wan told Sixth Tone, an English-language magazine based in China.

      A similar story is playing out in America. A domestic violence hotline in Portland, Oregon, says calls doubled last week. And the national domestic violence hotline is hearing from a growing number of callers whose abusers are using Covid-19 to further control and isolate them. “Perpetrators are threatening to throw their victims out on the street so they get sick,” the hotline’s CEO told Time. “We’ve heard of some withholding financial resources or medical assistance.”

      With all attention focused on curbing a public health crisis, the problem of private violence risks being overlooked or deprioritized by authorities. In the UK, for example, schools are now closed to everyone except for the children of key workers performing essential services. Domestic violence professionals have been left off this list; apparently preventing abuse at home isn’t an essential service. Dawn Butler, Labour’s women and equalities spokeswoman, has asked the prime minister to “urgently reconsider” this classification and consider implementing emergency funding to help people in danger escape domestic abuse during the crisis. “[T]wo women are killed every week by a partner or former partner,” Butler tweeted. “If the Govt fails to prepare and plan more people will die.”

      Now more than ever we need to look out for the most vulnerable in our society; activists are calling on neighbors to be extra aware and vigilant of possible cases of domestic violence. Retreating into our homes doesn’t mean cutting ourselves off from our communities. We’re all in this together.
      Harvey Weinstein begins his 23-year sentence

      The convicted rapist was transferred to a maximum-security prison in New York on Wednesday. New York’s governor, Andrew Cuomo, recently announced that New York will produce its own hand sanitizer, manufactured by prison inmates making as little as $0.16 an hour – so it’s possible that Weinstein might end up making state sanitizer.
      Remembering the Latina who invented hand sanitizer

      Did you know hand sanitizer was invented by a woman? In 1966 a student nurse named Lupe Hernandez realized that alcohol in gel form could be used to wash hands when there was no access to soap and water. Hernandez, who was based in California, quickly called an inventions hotline to patent the idea.
      Four men executed over Delhi rape and murder

      In 2012 a 23-year-old medical student was brutally gang-raped and murdered in a Delhi bus; a crime which shook the world and sparked unprecedented protests in India. On Friday four of the men convicted of the crime were hanged, the first time in five years capital punishment has been used in the country. One family may have got closure but the situation for Indian women remains bleak. “[I]n India, where a rape of a woman is reported every 16 minutes, this is no time for celebration,” argues a CNN op-ed. Since the attack India has introduced tougher sexual assault laws but rapes have continued to go up; in 2018, the last year for which there are statistics, they were significantly higher than in 2012.
      New Zealand passes law to decriminalize abortion

      “For over 40 years, abortion has been the only medical procedure considered a crime in New Zealand,” the country’s justice minister said in a statement. “But from now abortions will be rightly treated as a health issue.”
      Catherine Hamlin, trailblazing doctor, dies at 96

      The Australian gynecologist devoted much of her life to treating Ethiopian women with obstetric fistula – an injury sustained in childbirth that leaves women incontinent and often ostracized by their community.
      Marvel unveils its first black non-binary superhero: Snowflake

      Snowflake has a twin brother called Safespace. The reaction to these names has been less that ecstatic.
      The average woman gets mansplained to 312 times a year

      That’s according to a study of 2,000 employed women commissioned by a financial app called Self. I’m sure a helpful man somewhere will be happy to tell you exactly what is wrong with this study.
      The week in penguinarchy

      The best thing by far on the internet this week was a video of a penguin called Wellington marching around Chicago’s deserted aquarium and marveling at the fish. Coronavirus has caused most of us to go under lockdown, but at least Wellington got a nice day out.

      https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/mar/21/coronavirus-domestic-violence-week-in-patriarchy?CMP=Share_iOSApp_Other

    • Le confinement cause une hausse des violences familiales, déplore la FCPE

      Marlène Schiappa avait alerté sur ce risque en période de confinement lié au coronavirus. La FCPE confirme ses craintes.

      C’était une des conséquences malheureusement prévues par le gouvernement en temps de confinement face au coronavirus. Le secrétaire d’État à l’égalité entre les hommes et les femmes Marlène Schiappa avait alerté dès le 16 mars et l’instauration de ces mesures exceptionnelles sur le fait qu’elles pouvaient “hélas générer un terreau propice aux violences conjugales”.

      La FCPE confirme ses craintes, ce dimanche 22 mars. Invité d’Europe1, Rodrigo Arenas, co-président de la principale fédération de parents d’élèves, a expliqué avoir une recrudescence d’appels liés à des situations de “violences familiales.”

      “Il y a deux choses qui rendent dingues les gens : la chaleur et la promiscuité. On n’a pas la chaleur, mais on a la promiscuité. On a énormément de remontées de violences conjugales et les enfants qui sont au bout de la chaîne s’en prennent plein la figure”, a-t-il indiqué à la radio comme vous pouvez l’entendre ci-dessous.

      Problème supplémentaire, contrairement à ce que promettait Marlène Schiappa au début du confinement, le numéro d’information dédié aux violences conjugales 3919 ne répond plus. Ou du moins plus beaucoup.

      Comme L’Obs, ou BFMTV vendredi, Le HuffPost a tenté de contacter le service ce samedi 22 mars sans succès. Un message pré-enregistré nous invite à renouveler notre appel plus tard.

      Joint par RTL samedi, le cabinet de Marlène Schiappa précise que le numéro “fonctionne toujours” mais que la migration -provoquée par le télétravail- de la plateforme prend du temps et entraîne des bugs. “Au plus tard lundi tout sera fonctionnel”, promet l’entourage de la ministre.

      https://www.huffingtonpost.fr/entry/confinement-la-fcpe-deplore-une-hausse-des-violences-familiales_fr_5e

    • Coronavirus Covid-19 : violences conjugales et femmes en danger, comment les aider en période de confinement ?

      Marlène Schiappa et son homologue italienne Elena Bonetti ont annoncé « agir ensemble » pour protéger les femmes contre les violences sexistes et sexuelles en cette période de confinement. Mais en application, comment ça se passe ?

      https://france3-regions.francetvinfo.fr/bourgogne-franche-comte/cote-d-or/dijon/coronavirus-covid-19-violences-conjugales-femmes-danger

    • Le confinement va augmenter les #violences_intra-familiales et en particulier les #violences_conjugales, c’est déjà ce qu’a révélé l’expérience du #Wuhan (https://www.bbc.com/news/world-asia-51705199). Là encore, ces violences seront encore moins prises en charge qu’avant puisque le 3919 ne fonctionne plus pendant cette crise contrairement à ce qu’avait annoncé Marlène Schiappa (https://www.nouvelobs.com/droits-des-femmes/20200319.OBS26314/le-39-19-ne-repond-plus.html). Au sixième jour du confinement, cette tendance est d’ailleurs aussi relatée par la FCPE ce dimanche (https://www.europe1.fr/societe/face-au-confinement-on-a-enormement-de-remontees-de-violences-conjugales-rap).

      https://npa2009.org/idees/societe/le-confinement-la-destruction-du-lien-social-et-ses-consequences

    • Concernant les violences conjugales et familiales, les procès en cours d’assises, que ce soient viols ou « féminicides », sont reportés. Ce qui constitue une non-réponse à la situation de fait. Mais certains tribunaux maintiennent des permanences au civil où des Juges aux Affaires familiales (JAF) peuvent décider d’éloigner par exemple un mari violent. Il appartient aux magistrats d’apprécier l’urgence des situations.

      https://www.franceculture.fr/droit-justice/denis-salas-la-justice-se-trouve-confrontee-a-un-phenomene-totalement-

    • For Abused Women, a Pandemic Lockdown Holds Dangers of Its Own

      As millions across the U.S. stay home to help flatten the curve, domestic violence organizations and support systems are scrambling to adapt to the rapidly shifting landscape.

      Early last week, as the novel coronavirus exploded from state to state, a woman called the National Domestic Violence Hotline in a crisis: Her partner had tried to strangle her and she needed medical help, but feared going to the hospital because of the virus.

      Another woman was being forced to choose between work and home. “He threatened to throw me out if I didn’t work from home,” she said. “He said if I started coughing, he was throwing me out in the street and that I could die alone in a hospital room.”

      In another call, a girl — aged between 13 and 15 (specific identifiers have been removed to protect the callers) — said that her mother’s partner had just abused her mother, then gone on to abuse the girl herself. But with schools shut, turning to a teacher or a counselor for help was not an option.

      These instances, gleaned from the hotline’s first responders, highlight two important facets of things to come during the coronavirus crisis. First, as lawmakers across the country order lockdowns to slow the spread of the virus, the lives of people stuck in physically or emotionally abusive relationships have — and will — become harder, which has already been seen in the pandemic hotspots of China and Italy.

      Second, the virus raises the stakes for domestic violence services across the country as they scramble to adapt to a patchwork of new government policies and restrictions that shift day by day and vary from state to state.

      “We know that any time an abusive partner may be feeling a loss of power and control — and everybody’s feeling a loss of power and control right now — it could greatly impact how victims and survivors are being treated in their homes,” said Katie Ray-Jones, chief executive of the hotline.

      She expects to see the intensity and frequency of abuse escalate, even if the number of individual cases doesn’t — a pattern that experts witnessed during the economic downturn of 2008 and immediately after 9/11, Hurricane Sandy and Hurricane Katrina.

      In the U.S., more than one in three women has experienced rape, physical violence, and/or stalking by an intimate partner (defined as current or former spouses or partners) in their lifetime, according to a 2010 survey by the Centers for Disease Control and Prevention. And in recent years, the number of domestic violence cases (which includes assault by intimate partners and family members) has spiked, making up more than half of all violent crimes in the U.S. in 2018, according to the Justice Bureau.

      Spending days, weeks or even months in the presence of an abusive partner takes an immense emotional toll too, said Teresa Burns, who manages the Casa de Esperanza shelter in St. Paul, Minn. And that’s exactly the conditions that the coronavirus lockdown has set up.

      Many of Burns’s clients are undocumented individuals whose immigration status can become a means of control by abusive partners. It’s not uncommon for abusers to claim that survivors will be deported if they seek help.

      She fears these types of threats will escalate during the coronavirus crisis, and with information about the government’s response changing nearly by the hour, survivors may not know who or what to believe.

      Those who may have felt safe once their partner left for work or their children were at school now live without any window of relief as businesses and schools shutter. “When the mind is constantly in fight, flight, freeze [mode] because of perpetual fear, that can have a lasting impact on a person’s mental health,” Burns said.

      Shelters across the country are adapting as best they can while trying to keep pace with constantly changing virus regulations, including implementing social distancing practices on site, taking temperatures of newcomers and regularly cleaning and disinfecting common spaces.

      In New York, now considered the epicenter of the virus in the U.S., shelters are categorized as essential services and are encouraged to keep functioning as normally as possible, even though many are at or almost at capacity, said Kelli Owens, executive director of the state’s Prevention of Domestic Violence office.

      But several organizations have started to cut back on certain services and may have to turn away newcomers soon to avoid overcrowding at shelters. Drop-in counseling centers are shut down and in-person support groups are suspended.

      One survivor, Maggie, 25, who spoke to The Times via Twitter, and is working to heal from an abusive relationship she left five years ago, said that in recent weeks, her weekly therapy appointment moved online and her support group was canceled altogether, which has made it even more difficult for her to cope with her increased isolation. As a result, she’s fallen back into unhealthy coping mechanisms, like drinking and smoking, she said.

      “I imagine many survivors, even if they are safe in their home, are experiencing long hours of sitting alone with traumatic thoughts and nightmares due to increased anxiety,” Maggie said.

      Advocates, who are often the first responders in cases of domestic violence, are fielding questions remotely, preparing those who can’t flee for worst case situations, known as safety planning.

      “We’re having really difficult conversations, running through horrific scenarios,” Ray-Jones said.

      “What that could mean is, OK, if an argument breaks out, where is the safest place in your house? Keep arguments out of the kitchen, out of the bathroom, which can be really dangerous spaces. If you need to go sleep in your car, is that a possibility?”

      Organizations most often take these kinds of questions over the phone, but being in such proximity with an abuser can turn the simple act of a phone call into such a dangerous gamble that many are preparing for fewer calls on their hotline and more questions via their text and online chat services that are available around the clock.

      Meanwhile, with courts closing across the country and advocates, who would typically help survivors navigate the judicial system, working remotely, yet another avenue of support for people experiencing abuse is further complicated, said Susan Pearlstein, the co-supervisor of the Family Law Unit of Philadelphia Legal Assistance.

      Still, the public should know that obtaining a legal protection order is considered an essential service by most jurisdictions and “many courts are trying to have access open for domestic violence survivors and to allow order petitions of abuse or restraining orders to be filed,” either over the phone or electronically, Pearlstein said.

      “This is a really heartbreaking time,” said Ray-Jones, speaking to the overall heightened anxiety during this uncertain period.

      Resources for victims and survivors:

      Anti-Violence Project offers a 24-hour English/Spanish hotline for L.G.B.T.Q.+ experiencing abuse or hate-based violence: call 212-714-1141

      The National Domestic Violence Hotline is available around the clock and in more than 200 languages: call 1-800-799-SAFE or chat with their advocates here or text LOVEIS to 22522.

      New York State Domestic and Sexual Violence Hotline is available in multiple languages: call 1-800-942-6906 for English. For deaf or hard of hearing: 711

      For immediate dangers, call 911.

      https://www.nytimes.com/2020/03/24/us/coronavirus-lockdown-domestic-violence.html

    • Warning over rise in UK domestic abuse cases linked to coronavirus

      Manchester deputy mayor says police beginning to classify incidents connected to virus.

      There has been a rise in domestic abuse incidents directly related to the coronavirus outbreak, according to a police leader.

      Beverley Hughes, Greater Manchester’s deputy mayor for policing and crime, said there had been reports of abuse linked to the lockdown, and said authorities were preparing for serious incidents.

      After a meeting of the region’s Covid-19 emergency committee, Lady Hughes said: “I think we are beginning to see a rise in domestic abuse incidents. We anticipated this might happen in the very stressful circumstances for many families.”
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      Charities and police forces across the country have been warning of a potential rise in cases of domestic violence. In China there was a threefold increase in cases reported to police stations in February compared with the previous year.

      The justice secretary, Robert Buckland, told the Commons justice committee this week that there may be more cases of domestic abuse, online crime and fraud during the lockdown.

      Hughes later said the overall level of domestic abuse cases was as expected, but officers had begun to classify incidents believed to have a connection to the virus.

      She said families were being asked to stay at home and many had significantly less money as a result of the restrictions.

      Hughes said: “The potential for tension to arise in the home as a result of what we are asking people to cope with, in order to suppress the virus, is going to increase and therefore we would be right to think this might display itself in an increase in the number of domestic incidents we are called to.

      “We are preparing for that. Some of those most serious incidents will be challenging to deal with, particularly if the victim needs to be moved to a refuge, but the police specialise in these kind of cases and the local partners, local authorities, they’re working together really closely to prepare for that.”

      Avon and Somerset police reported a 20.9% increase in domestic abuse incidents in the last two weeks, from 718 to 868. Police in Cumbria have asked postal workers and delivery drivers to look out for signs of abuse.

      DCI Dan St Quintin, of Cumbria police, said: “In the coming weeks and months we ask for everyone to look out for each other as much as possible. We would also like to extend this plea to those such as postal workers, delivery drivers, food delivery companies and carers who will still be visiting houses, to keep an eye out for any signs of abuse and to report any concerns to us.”

      Quintin said the Bright Sky app, which can be disguised for people worried about partners checking their phones, provided support and information for victims.

      The National Centre for Domestic Violence said it fully supported the plea and warned of “huge dangers lurking for victims”..

      Its chief executive, Mark Groves, said: “While the whole country grapples with the consequences of Covid-19, there are huge dangers lurking for victims of domestic abuse and violence. We fully support Cumbria police’s plea to key workers to help the police investigate suspicions or concerns surrounding victims or perpetrators.”

      The Thames Valley chief constable, John Campbell, said his force expected to see a rise in the number of domestic abuse calls He said domestic violence and fraud would become a priority for his force as “criminals decide to change their behaviours’ to take advantage of coronavirus”.

      “We are seeing and monitoring very closely the issues around domestic abuse, we anticipate that it might increase and we will deal with that robustly in a way that you would expect us to,” Campbell said.

      Shanika Varga, a solicitor at Stowe Family Law, who specialises in domestic abuse cases, said: “Being stuck in a house together for two weeks or longer means the risk of a situation becoming violent is much higher. Lots of people – whether they realise it or not – are in abusive relationships, and abusers will typically manipulate any situation to take advantage of their perceived position of power.”

      Varga urged victims to start thinking of a contingency plan for escaping their abusers. “Knowing your options and making sure people are informed and fully prepared to take action if need be is vital. Don’t forget that help is out there,” she said.

      https://www.theguardian.com/society/2020/mar/26/warning-over-rise-in-uk-domestic-abuse-cases-linked-to-coronavirus?CMP=

    • Coronavirus en #Nouvelle-Aquitaine : Les violences intrafamiliales en forte hausse avec le confinement

      Si la délinquance est en baisse, dans la région, les forces de l’ordre multiplient les interventions dans les foyers depuis une semaine.

      Avec le confinement, les violences intrafamiliales explosent selon les policiers et gendarmes en Nouvelle-Aquitaine. Le phénomène est national.
      Les disputes sur fond d’alcool se multiplient alors que les victimes se retrouvent prises au piège dans les foyers.
      L’Etat maintient ses services face à cette recrudescence. Les forces de l’ordre elles n’hésitent pas à reprendre contact avec les victimes après leurs interventions.

      C’était un scénario prévisible et malheureusement, il se vérifie un peu plus chaque jour. Les violences conjugales et intrafamiliales augmentent voire explosent depuis le début du confinement en France. Les policiers et gendarmes de la Gironde sont à l’unisson sur le sujet : « Si la délinquance (vol, cambriolage, trafic…) est en forte baisse, expliquent leurs responsables départementaux, les interventions pour des violences familiales se multiplient même si elles ne déclenchent pas forcément à chaque fois des procédures. » Ce mercredi soir, leurs collègues du Périgord ont par exemple interpellé un trentenaire qui menaçait sa famille avec un fusil et tentait de mettre le feu à la maison.

      Dès le 18 mars, les recours à police secours dans le département étaient déjà en forte hausse avec 1.200 appels ce jour-là contre 600 habituellement. Une semaine plus tard, le nombre de demandes sur la plateforme arretonslesviolences.gouv.fr aurait augmenté de 40 % selon les policiers girondins. En effet comme le soulignait le gouvernement en début de semaine, « le contexte particulier du confinement constitue malheureusement un terreau favorable aux violences » en raison de « la promiscuité, des tensions et de l’anxiété » qu’il entraîne.

      Encore plus difficile de se signaler pour les victimes

      Les gendarmes soulignent des interventions toujours plus nombreuses pour « des disputes familiales sur fond d’alcool et souvent la nuit. » A ce sujet, la réponse de Fabienne Buccio, la préfète de Gironde et de Nouvelle-Aquitaine, est claire : il n’y aura pas d’interdiction de ventes d’alcool « à ce stade » comme a pu tenter de le faire son homologue dans l’Aisne. La représentante de l’Etat préfère soulever un problème beaucoup plus important :

      « Je ne veux pas stigmatiser qui que ce soit mais en ce moment les hommes sont bien plus présents au domicile familial que d’habitude avec le confinement et c’est donc encore plus difficile pour les victimes de se signaler auprès des autorités. »

      Une situation face à laquelle, la plupart des associations se disent « désemparées » à l’image de l’Union nationale des familles de féminicides. « Être confiné, c’est déjà compliqué pour des gens qui s’entendent bien. Alors, pour les victimes de violences conjugales, elles vont vivre un véritable calvaire », rappelait il y a quelques jours sa présidente Sandrine Bouchait. Sans oublier, les enfants, eux aussi en première ligne face à la violence.

      Les forces de l’ordre n’hésitent pas à rappeler après leurs interventions

      Alors comment faire pour limiter au maximum les violences intrafamiliales ? Il y a les moyens connus avec les services de police ou de gendarmerie (17 ou 112), les pompiers (18 ou 112) ou le Samu (15) qui restent mobilisés pour les situations d’urgence. Marlène Schiappa, secrétaire d’État chargée de l’Égalité entre les femmes et les hommes et de la lutte contre les discriminations, a annoncé que les numéros d’écoute, les plateformes gouvernementales, l’accompagnement dans des hébergements d’urgence et les procès au pénal contre les agresseurs seraient maintenus. Le 3919 est notamment de nouveau opérationnel depuis lundi.

      Les forces de l’ordre sont également mobilisées sur le terrain : « Après certaines interventions, nous n’hésitons pas à rappeler les personnes et à reprendre contact avec elles. Nous sommes vraiment très attentifs à ce phénomène », explique la gendarmerie de la Gironde.

      De son côté, le secrétaire d’Etat auprès du ministre des Solidarités et de la santé en charge de l’enfance Adrien Taquet « appelle à nouveau chacun à redoubler de vigilance pendant cette période, et à composer le 119 si l’on est témoin, même auditif, même dans le doute, de violence commise sur un enfant, quelle que soit sa nature. » Le gouvernement va également réactiver une campagne de sensibilisation à la question des violences faites aux enfants cette semaine.

      https://www.20minutes.fr/societe/2748663-20200326-video-coronavirus-nouvelle-aquitaine-violences-intrafamil

    • Coronavirus et confinement : femmes et #enfants en danger

      Plus d’une centaine de sénatrices et de sénateurs demande au gouvernement de protéger les familles victimes de violence que le confinement expose à des dangers encore plus graves.

      Sans nier la gravité de la crise sanitaire et la nécessité absolue du confinement, nous ne devons pas occulter les risques auxquels sont exposés les femmes et les enfants dans les foyers violents. Le confinement peut être un piège terrible quand il enferme une famille dans la terreur permanente des insultes, des cris et des coups. En cette période où nous déployons une immense énergie pour essayer de dominer nos frustrations et notre angoisse, il faut imaginer ce que peut être le quotidien des victimes de violences, a fortiori quand le drame se joue dans un logement exigu : l’#enfer.

      En annonçant la mise en place d’un plan de continuité pour protéger les victimes de violences conjugales, la secrétaire d’Etat chargée de l’Egalité entre les femmes et les hommes et de la lutte contre la discrimination Marlène Schiappa a anticipé ce danger. Le maintien du numéro d’appel 3919 est une excellente initiative et il faut remercier les écoutants qui continuent d’exercer cette mission dans des conditions beaucoup plus complexes.

      Face à l’isolement de la victime

      De nombreuses questions persistent cependant : comment fuir un conjoint violent – surtout avec des enfants – quand les parents et amis susceptibles d’offrir un refuge sont loin, quand les transports sont aléatoires et quand les hébergements d’urgence, structurellement débordés, peuvent difficilement garantir des conditions de sécurité correctes face au virus ? Quelles mesures prendre pour protéger les victimes établies habituellement hors de France ? Comment les victimes confinées chez elles peuvent-elles joindre le 3919 ou la plateforme en ligne dédiée aux victimes de violences, alors que l’on sait que le premier signe de violences conjugales est l’isolement de la victime, privée de tout moyen de communication autonome par son compagnon violent qui lui a souvent confisqué son téléphone et s’acharne à traquer ses mails ?
      Si l’accompagnement des victimes peut toujours être assuré par les services de police et si le dépôt de plainte demeure possible, comment envisager qu’une victime puisse, sans courir un danger accru, porter plainte contre un conjoint violent avec lequel elle est condamnée à cohabiter à cause du confinement ? Est-il encore possible, compte tenu de l’état de nos hôpitaux, d’y faire établir des constats médicaux de coups et violences sexuelles ?

      Enfin, ne peut-on craindre que, malgré le renforcement récent, dans le sillage du Grenelle de lutte contre les violences conjugales, des efforts de formation et de sensibilisation des personnels de police et de gendarmerie, ceux-ci aient le réflexe de minimiser ces violences et de les considérer comme un effet compréhensible, voire excusable, du stress lié au confinement ? Chaque jour, le décompte glaçant des victimes du coronavirus a remplacé celui des féminicides qui avait marqué l’année 2019. L’épidémie a fait disparaître les violences conjugales et intrafamiliales de l’actualité mais pas de la réalité.
      Tous concernés

      Nous, sénatrices et sénateurs, demandons solennellement au gouvernement de continuer à assurer la protection, en cette période de crise sanitaire majeure, des femmes et des enfants victimes de violences, que l’exigence de confinement expose à des dangers encore plus graves. Malgré l’épreuve exceptionnelle que traverse notre pays, les femmes et les enfants qui subissent des violences ne doivent en aucun cas être sacrifiés.

      Le gouvernement peut compter sur les collectivités territoriales – les départements comme les communes – déjà très impliquées en temps normal dans les missions d’aide aux personnes vulnérables, de protection de l’enfance et de lutte contre les violences, pour apporter les solutions adaptées à chaque territoire pendant cette période exceptionnelle. La question des moyens alloués à ces missions et à leurs acteurs reste d’actualité.

      Engageons-nous, ensemble, pour que le nombre de ces victimes n’alourdisse pas le bilan, d’ores et déjà effroyable, de la crise sanitaire. Violences intrafamiliales : citoyens, voisins, amis, parents, collègues, tous concernés, tous acteurs, tous mobilisés, tous vigilants. C’est notre responsabilité collective.

      https://www.liberation.fr/debats/2020/03/28/coronavirus-et-confinement-femmes-et-enfants-en-danger_1783279

    • Violences conjugales : Schiappa annonce des « points contacts éphémères » dans les centres commerciaux

      https://www.lefigaro.fr/flash-actu/violences-conjugales-schiappa-annonce-des-points-contacts-ephemeres-dans-le

      La secrétaire d’État à l’Égalité femmes-hommes, Marlène Schiappa, a annoncé samedi l’installation de « points d’accompagnement éphémères » dans des centres commerciaux pour accueillir des femmes victimes de violences en temps de confinement où les déplacements sont limités. « Comme il est plus difficile de se déplacer, nous faisons en sorte que les dispositifs d’accompagnement aillent aux femmes », explique Mme Schiappa dans un entretien au Parisien.

      Créés « en partenariat avec des associations locales, les services de l’État et Unibail-Rodamco-Westfield, gestionnaire de centres commerciaux », ces « points d’accompagnement éphémères » seront installés dans des locaux « permettant la confidentialité mais assez vastes pour accueillir les femmes en respectant les mesures barrières », détaille-t-elle.

      La secrétaire d’État cite « dans un premier temps » pour la région parisienne So Ouest à Levallois-Perret, les 4 Temps à la Défense, Carré Sénart à Lieusaint, le Forum des Halles à Paris, ou les Ulis, et, dans le Nord, V2 à Valenciennes. « Dans un deuxième temps, Dijon, Rennes, Lyon... là où il y a un hypermarché ouvert », ajoute-t-elle, affirmant viser « une vingtaine de points dans les prochaines semaines ». « En allant faire les courses, ces femmes trouveront une oreille attentive et un accès à leurs droits d’une manière innovante et efficace », estime-t-elle.
      Fonds spécial et dépôt de plainte

      Parallèlement, Mme Schiappa annonce un « fonds spécial financé par l’État d’un million d’euros pour aider les associations de terrain à s’adapter à la période ». Elle promet également de financer « jusqu’à 20.000 nuitées d’hôtel pour que les femmes puissent fuir l’homme violent ».

      Interrogée sur l’absence de « motif ’’dépôt de plainte’’ », dans l’attestation de sortie obligatoire en période de confinement, la secrétaire d’État a répondu que « les juridictions pour les violences conjugales » avaient été laissées ouvertes.
      À lire aussi : "Une petite augmentation mais rien de significatif" : les violences conjugales à l’heure du confinement

      Elle a avancé le chiffre de « deux » meurtres de femmes par leur conjoint ou ex-conjoint depuis le début du confinement, le 17 mars. « Le confinement est une épreuve collective qui vient percuter l’histoire familiale et personnelle de chaque personne, la situation peut dégénérer à tout moment quand on vit avec une personne violente », rappelle-t-elle, inquiète que « les femmes se disent qu’elles doivent subir pendant le confinement ». « Non ! Les dispositifs de l’Etat ne sont pas mis sur pause, ils sont même renforcés », assure-t-elle.

      À VOIR AUSSI - Violences conjugales et confinement : un dispositif d’alerte mis en place dans les pharmacies

      Espérons que les flics n’en profite pas pour verbaliser les femmes dans ces point éphémères.

    • Coronavirus. Les associations craignent une augmentation des violences conjugales
      À Nantes, avec les mesures de confinement, l’association Solidarités Femmes double ses écoutantes au téléphone. Elle craint une augmentation des violences conjugales.
      Depuis mardi 18 mars, l’association Solidarité Femmes a renforcé sa ligne d’écoute téléphonique, destinée aux femmes victimes de violences conjugales. La ligne est ouverte du lundi au vendredi, de 10 h à 17 h, au 02 40 12 12 40.

      https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/loire-atlantique/coronavirus-les-associations-craignent-une-augmentation-des-violences-c

    • « En Belgique, plusieurs associations féministes ont également lancé un message d’alerte à ce sujet, comme l’association Femmes de Droit. L’asbl Vie Féminine a adapté ses activités : elle a renforcé ses permanences juridiques et sociales et a reçu l’autorisation de la Région Wallonne de les effectuer par téléphone, ce qui n’est pas le cas en temps normal où il leur est demandé de les organiser physiquement. »
      https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_coronavirus-le-risque-de-violences-conjugales-augmente-a-cause-du-confin

    • Les violences conjugales à l’épreuve du confinement

      Depuis le début de la période de confinement, les collectifs féministes alertent sur les risques d’augmentation des violences conjugales. Les pouvoirs publics doivent prendre au sérieux une situation compliquée, comme celle où l’on se retrouve enfermée pour plusieurs semaines avec un conjoint violent.

      Le foyer, dans lequel il s’agit de se réfugier pour se protéger de la pandémie, n’est pas synonyme de réconfort et de sécurité pour de nombreuses femmes en France. La violence conjugale, souvent physique, mais également verbale, émotionnelle ou économique, pourrait se manifester plus fortement pendant la période de confinement. En Chine, les violences physiques au sein des couples ont augmenté pendant l’épidémie du coronavirus. La France n’est pas à l’abri de voir ses statistiques s’élever.
      Des femmes abandonnées

      Alors que le système d’aide aux victimes de violences conjugales ne fonctionne pas toujours correctement en période normale, le confinement et les bouleversements qui l’accompagnent n’arrangent pas les choses. Le numéro d’écoute national 3919 destiné aux femmes victimes de violences et à leur entourage ne fonctionne plus depuis l’annonce du confinement. Il rouvre avec des horaires réduits à partir de ce lundi 23 mars 2020. Pour Léonor Guénoun, du collectif féministe Nous toutes : « C’est très grave, et c’est vraiment un comble que ce numéro soit réduit, surtout en période de confinement, alors qu’il devrait être ouvert 24 heures sur 24. »

      Les centres d’hébergement ont du mal à accueillir de nouvelles personnes. Nous Toutes « demande des places dans des hôtels qui sont fermés ou peu occupés comme en Espagne » pour pallier ces foyers surchargés. L’absence de moyens spécifiques alloués empêche la prise en charge rapide et efficace des femmes victimes de violences conjugales. Pour Mohamed Jemal, président de l’association Un Toît pour elles, une association qui aide les femmes en grande précarité à se trouver un logement, « des promesses faites par le gouvernement n’ont pas été tenues pour la mise à disposition de chambres d’hôtel et la mise à l’abri des SDF ».

      Il regrette également qu’il n’y ait pas eu de « consignes claires pour mettre à l’abri des femmes en danger ». De plus, l’hébergement solidaire chez des particuliers ne fonctionne plus en raison du confinement. Les centres sociaux font face à des problèmes sanitaires supplémentaires à celui de l’épidémie. Les masques, les gants et le gel hydroalcoolique qui doivent parvenir aux associations sont répartis selon des schémas complexes, peu accessibles à des petites structures, comme celle gérée par Mohamed Jemal.
      Un climat propice à la violence

      Selon Léonor Guénoun, « trois risques principaux d’augmentation des violences » existent : dans des couples sans violence où un conjoint commence à être violent, dans un passage à un cran supérieur -de la violence verbale à la violence physique par exemple- et enfin « la tragédie d’un féminicide ».

      L’avocate Isabelle Steyer, référence dans la défense des victimes de violences conjugales, explique que le climat de surveillance constante se renforce étant donné que l’on peut vérifier les appels, les sorties, les occupations de chacun·e. Le confinement, selon elle, se vit comme une situation particulière car « on a jamais eu l’habitude de vivre tout le temps ensemble ». Être constamment ensemble peut déclencher des actes insoupçonnés parce que « la violence arrive à un moment où on ne s’y attend pas ».

      D’après l’avocate, le risque de ne plus avoir de vie intime et de tout partager pour la femme est de ne plus pouvoir « appeler qui l’on veut et penser à élaborer le départ ». Léonor Guénoun explique que la « fuite du domicile » doit pouvoir rester une option possible pour les femmes victimes.
      Des actions rapides et de l’aide collective

      Pour remédier à cette situation et prévenir tout acte violent, Nous toutes met en place des campagnes de sensibilisation et diffuse des visuels « pour que les femmes sachent qu’elles peuvent fuir et être aidées« . Le collectif féministe rappelle aussi les numéros à contacter, en cas d’urgence la police par le 17 ou le 114 pour les SMS, ou le 08.00.05.95.95. qui peut aider les femmes victimes. L’avocate Isabelle Steyer encourage également les femmes à prévenir et à « utiliser des espaces que l’on avait pas l’habitude d’utiliser pour téléphoner ».

      Pour les personnes qui ne seraient pas confrontées à de la violence conjugale, il faut rappeler à son entourage que le confinement n’autorise pas à être violent. Il convient également prendre régulièrement des nouvelles des personnes pouvant subir des situations violentes. Enfin, selon l’avocate, « le côte très positif est que tout les voisins sont là », ce qui facilite l’appel au secours et la demande d’aide rapide car « les relations sont beaucoup plus proches avec ce confinement ».

      https://radioparleur.net/2020/03/24/violences-conjugales-epreuve-du-confinement

    • Sur la mesure donnant la possibilité de signaler des violences en pharmacie, j’ai eu une discussion avec une personne (une femme, je crois) qui trouvait la mesure cheap et ridicule mais les pharmacies ne sont pas que des commerces, ce sont aussi des lieux de soin, plus accessibles et qui offrent un meilleur accueil que les poulaillers, et l’Espagne fait ça depuis vingt ans avec un certain succès.

    • Domestic abuse cases soar as lockdown takes its toll

      Some charities can no longer ‘effectively support’ women because of lockdown and staff sickness.

      More than 25 organisations helping domestic violence victims have reported an increase in their caseload since the start of the UK’s coronavirus epidemic.

      One group, Chayn, said that analysis of online traffic showed that visitors to its website had more than trebled last month compared with the same period last year. An audit of 119 organisations by the domestic abuse charity SafeLives found, however, that even as pressure on frontline services increased, most were being forced to reduce vital services.

      The groups were surveyed during the last week of March, with 26 of them able to confirm increased caseloads owing to Covid-19. Three-quarters said they had had to reduce service delivery to victims.

      Most domestic abuse organisations provide face-to-face or phone support, but a quarter say they can not “effectively support” adult abuse victims owing to technical issues, inability to meet victims, and staff sickness.

      A separate study highlights the plight of domestic-violence survivors. SafeLives interviewed 66 survivors, and the women were asked to score themselves from zero to 10, with 10 denoting “safe”. More than half offered a score of five or less, with three saying they felt “not safe at all”.

      One said: “I’m in a controlling, emotionally abusive relationship and fear it could escalate due to heightened stress surrounding the current virus situation.” Another added that she was having to sit in her car to get away from the perpetrator.

      There is growing pressure on the government to announce emergency funding to help victims. Suzanne Jacob, chief executive of SafeLives, said: “We know the government is thinking about what extra support might be needed for victims and their families during this difficult time, and this research shows that helping services to stay afloat and carry on doing their vital lifesaving work will be key.”

      Hera Hussain, founder of Chayn, said: “Survivors of domestic abuse are walking on eggshells, scared of having no support if tensions escalate.”

      Evidence suggests that domestic abuse is likely to increase as a result of the pandemic. In China’s Hubei province, where the virus was first detected, domestic violence reports to police more than tripled during the lockdown in February.

      https://www.theguardian.com/world/2020/apr/04/domestic-abuse-cases-soar-as-lockdown-takes-its-toll?CMP=Share_iOSApp_O

    • In Italy, support groups fear lockdown is silencing domestic abuse victims

      MILAN: Italy has seen a sharp fall in official reports of domestic violence as it approaches a month under coronavirus lockdown, raising concern among some support groups that forced confinement is leaving victims struggling to seek help.

      Citing official data, a parliamentary committee into violence against women said last week that reports to police of domestic abuse dropped to 652 in the first 22 days of March, when Italy went into lockdown, from 1,157 in the same period of 2019.

      Telefono Rosa, Italy’s largest domestic violence helpline, said calls fell 55per cent to 496 in the first two weeks of March from 1,104 in the same period last year. Other help groups said they had seen similar declines.

      The parliamentary committee’s report said the trend did not mean a decline in violence against women but was rather a signal that “victims of violence risk being even more exposed to control and aggression by a partner who mistreats them.”

      “There are a lot of problems in this situation, maybe not the least of them is the difficulty of asking for help when everyone is obliged to stay at home,” said Alessandra Simone, director of the police criminal division in Milan.

      Successive Italian governments have passed reforms aimed at improving protections, but 13.6per cent of women have suffered violence from a partner or ex-partner, according to national statistics bureau Istat.

      The country has seen more than 100,000 cases of COVID-19 and accounts for almost a third of worldwide deaths. It was the first European nation to go into lockdown.

      “We’re seeing a drastic fall in calls by women because they have less freedom in this situation of forced confinement,” said Chiara Sainaghi, who manages five anti-violence centres in and around Milan for the Fondazione Somaschi, a social assistance foundation. She said calls to her group had fallen by as much as 70per cent.

      Some help groups and the authorities say they have tried to launch other forms of contact, including messaging services like WhatsApp, whose use has surged during lockdowns in many countries. Users in Italy are placing 20per cent more calls and sending 20per cent more messages on WhatsApp compared to a year ago, the company said in mid-March.

      Italian police have in recent days adapted an app originally designed to allow young people to report bullying and drug dealing near their schools to report domestic violence by sending messages or pictures without alerting their partner.

      In Spain, where police said they had also seen a fall in calls for help, authorities launched a WhatsApp service for women trapped at home which the Equality Ministry said had seen a 270per cent increase in consultations since the lockdown began.

      Valeria Valente, the senator who chairs the Italian parliamentary committee, said cultural and social factors in Italy already made it hard for many to report domestic violence.

      But she said the shutdown appeared to be leading some women who might otherwise try to leave their partners to stick it out.

      “How is a woman who wants to report violence supposed to move? With the lockdown (she) can only contact the anti-violence centres when she goes to the pharmacy or buys food,” Valente said.

      https://www.channelnewsasia.com/news/world/in-italy--support-groups-fear-lockdown-is-silencing-domestic-abuse-

    • Domestic abuse killings ’more than double’ amid Covid-19 lockdown

      Pioneering project identifies at least 16 suspected incidences in UK over three-week period

      At least 16 suspected domestic abuse killings in the UK have been identified by campaigners since the Covid-19 lockdown restrictions were imposed, far higher than the average rate for the time of year, it has emerged.

      Karen Ingala Smith, the founder of Counting Dead Women, a pioneering project that records the killing of women by men in the UK, has identified at least 16 killings between 23 March and 12 April, including those of children.

      Looking at the same period over the last 10 years, Smith’s data records an average of five deaths.

      Her findings for 2020, which are collated from internet searches and people contacting over social media, were raised during evidence to the home affairs select ommittee on Wednesday.

      Dame Vera Baird QC, the victims’ commissioner for England and Wales, told MPs at the remote session: “Counting Dead Women has got to a total of 16 domestic abuse killings in the last three weeks. We usually say there are two a week, that looks to me like five a week, that’s the size of this crisis.”

      A number of domestic abuse charities and campaigners have reported a surge in calls to helplines and online services since the lockdown conditions were imposed, reflecting experiences in other countries.

      Smith, who is also chief executive of a domestic abuse charity, said: “I don’t believe coronavirus creates violent men. What we’re seeing is a window into the levels of abuse that women live with all the time. Coronavirus may exacerbate triggers, though I might prefer to call them excuses. Lockdown may restrict some women’s access to support or escape and it may even curtail measures some men take to keep their own violence under control.

      “We have to be cautious about how we talk about increases in men killing women. Over the last 10 years, in the UK, a woman has been killed by a man every three days, by a partner or ex-partner, every four days. So if this was averaged out, we might expect to see seven women killed in 21 days. In reality, there are always times when the numbers are higher or lower.

      “But we can say that the number of women killed by men over the first three weeks since lockdown is the highest it’s been for at least 11 years and is double that of an average 21 days over the last 10 years.”

      Smith’s research shows at least seven people have been allegedly killed by partners or former partners during the period, while three people have been allegedly killed by their father.

      The committee also heard evidence from Nicole Jacobs, the domestic abuse commissioner for England and Wales. She said time limits on investigating crimes would need to be relaxed to allow survivors of violence in the home to report perpetrators once the coronavirus restrictions were eased.

      “I have heard from police about the need to extend the time by which people can report crimes. There are people who are experiencing abuse right now who aren’t able to call the police because it wouldn’t be safe for them,” said Jacobs.

      “But they may well want to report a crime later so we need to allow for some extension to what the normal timescales would be for that kind of thing.”

      Crimes that are “summary only”, which means that they can only be tried at a magistrates court, including common assault and harassment, must be prosecuted within six months.

      Jacobs said services must prepare for the “inevitable surge” of domestic abuse victims seeking support when the lockdown lifts.

      She said there were concerns that some of the millions of pounds of government funding announced for the charity sector may struggle to reach small local charities that supported specific groups.

      “We need to allow those charities to quickly and very simply bid in and get the funds they need to sustain what they are doing, but also plan for the inevitable surge that we will have.“There will be people that are waiting and trying to survive every day and then will access support as quickly as they can when some of the lockdown is lifted,” she told MPs.

      https://www.theguardian.com/society/2020/apr/15/domestic-abuse-killings-more-than-double-amid-covid-19-lockdown?CMP=Sha

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      Sur Counting Dead Women:
      https://seenthis.net/messages/843847

    • Les violences conjugales et la crise du Covid-19

      Les politiques publiques menées en réponse à la crise sanitaire ont eu des conséquences lourdes sur les victimes de violences conjugales, en particulier en termes spatiaux puisque le confinement est venu renforcer le contrôle spatial exercé par les hommes violents. La recherche présentée dans ce blog scientifique vise à interroger la dimension spatiale des politiques publiques menées pendant la crise et leurs effets sur les pratiques spatiales des victimes de violences et de surveillance conjugale, en vue d’accompagner l’élaboration de politiques publiques à venir, d’éviter qu’une réponse à une crise sanitaire se traduise par une mise en danger des personnes les plus vulnérables.

      Le projet fait l’objet d’un financement ANR / Fondation de France. Il se déroulera pendant une période d’un an à compter de septembre 2020. Il a été lancé par une équipe de quatre membres : #Marion_Tillous (coordinatrice scientifique), Eva San Martin Zapatero, Julie Bulteau et Pauline Delage. Pour en savoir plus sur l’équipe, voir la page « A propos ».

      https://anrcovico.hypotheses.org/1

    • Violences conjugales, un « confinement sans fin »

      La période d’assignation à domicile au printemps a provoqué une hausse importante du nombre de signalements. Augmentation liée à une aggravation des faits de violence mais aussi à une plus grande mobilisation des proches, et en particulier du voisinage.

      Si l’on comprend les violences faites aux femmes comme une « guerre de basse intensité » (Falquet, 1997), alors le confinement instauré au printemps en réponse à l’épidémie de Covid-19 a marqué une nouvelle bataille, sur un terrain bien particulier. L’assignation à résidence et les restrictions de déplacement ont renforcé l’auteur de violences conjugales dans ses exigences de contrôle. En retour, le fait pour la femme victime de ne pas pouvoir sortir n’a pas seulement restreint la possibilité pour elle de trouver des relais et des témoins aux violences qui lui étaient faites, elle a aussi réduit les interactions dans lesquelles elle était considérée comme une personne à part entière. Le fait que les écoles et la plupart des services publics soient restés fermés après la fin du confinement a prolongé cette situation.

      La violence conjugale exercée par les hommes n’est pas soudaine ou ponctuelle. Elle s’inscrit dans une stratégie d’emprise : non seulement la victime est surveillée en permanence, mais également progressivement coupée des liens avec ses proches, et placée dans une dépendance matérielle et affective vis-à-vis de son agresseur. La question spatiale est cruciale dans ce processus de contrôle et d’isolement, ce que la chercheuse Evangelina San Martin Zapatero a mis en évidence à travers le terme de « déprise spatiale » (2019). S’inspirant du concept développé en sociologie du vieillissement, elle montre que les violences conjugales ont notamment pour conséquence une forte restriction des déplacements, une perte de compétence spatiale et une dépendance au conjoint pour la réalisation des déplacements.

      L’instauration du confinement en réponse à l’épidémie de Covid-19 a inévitablement été un atout pour les agresseurs dans leur stratégie d’emprise. C’est ce que montre l’augmentation considérable du nombre de signalements de faits de violence intraconjugaux pendant la période, que ce soit en France ou dans les autres pays concernés par des mesures de confinement. Dès le 5 avril, le secrétaire général de l’ONU, António Guterres, a appelé à un cessez-le-feu dans les violences faites aux femmes. L’organisation a estimé à la fin du mois d’avril que chaque nouveau trimestre de confinement se traduirait par 15 millions de cas supplémentaires de violence basée sur le genre (projections de l’Unfpra). Le rapport de la mission interministérielle pour la protection des femmes contre les violences et pour la lutte contre la traite des êtres humains paru au cours de l’été fait état également d’une forte hausse des signalements de violences sur les plateformes d’écoute des victimes, en particulier via les modes de communications « silencieux ». Ainsi, « les tchats de la plateforme de signalement des violences sexistes et sexuelles "Arrêtons les violences" ont été multipliés par 4,4 par rapport à 2019 pour tous les faits de violences et par 17 pour les faits de violences intrafamiliales ».

      Comme l’indique le rapport, cette hausse des signalements est liée à une aggravation des faits de violence plutôt qu’à un déclenchement de nouvelles violences dans des couples non concernés avant le confinement. Elle est aussi imputable à une plus grande mobilisation des proches, et en particulier du voisinage. Car si le confinement assigne à résidence les victimes et leurs agresseurs, il transforme aussi les voisin·e·s en témoins à temps complet. Et grâce au colossal travail de sensibilisation des organisations de lutte contre les violences conjugales et au mouvement #MeToo, ces témoins ne se contentent plus de vous glisser entre deux paliers que les murs sont fins comme du papier à cigarettes, mais assument de plus en plus la responsabilité d’alerter les associations ou les forces de l’ordre.

      Si le confinement a donné des oreilles aux murs, il a aussi ôté des yeux aux institutions et aux professionnels de la protection, comme le souligne Edouard Durand, juge des enfants au TGI de Bobigny, dans son audition par la délégation aux droits des femmes et à l’égalité des chances entre les hommes et les femmes du Sénat. Il a également considérablement compliqué le travail des associations qui accompagnent les femmes victimes de violence et assurent leur hébergement d’urgence (Delage, 2020). Et révélé à quel point les moyens manquent pour offrir des solutions concrètes : favoriser le recueil des témoignages tourne court si les écoutant·e·s ne peuvent pas diriger les victimes vers des lieux d’accueil d’urgence. Les 2 millions d’euros gouvernementaux issus du Grenelle contre les violences conjugales et du redéploiement des crédits du secrétariat d’Etat à l’égalité entre les femmes et les hommes pendant le confinement sont bien maigres pour imaginer des solutions de logement à la hauteur des besoins. Et le financement de nuitées d’hôtel destinées à l’éloignement des hommes agresseurs sur cette enveloppe et non sur celle de la justice grève encore le budget.

      Les politiques publiques menées (ou non menées) pendant la crise du Covid-19 au printemps 2020, en premier lieu le confinement, ont révélé l’ampleur des violences conjugales et la dimension proprement géographique de l’emprise des hommes violents. Elles ont montré que les violences conjugales ne sont pas autre chose, pour reprendre les termes d’Annick Billon (présidente de la délégation sénatoriale évoquée plus haut), qu’« un confinement sans fin ». En 2000, la philosophe Marilyn Frye définissait déjà l’oppression comme un ensemble de forces et de barrières qui produisent des « vies confinées et contraintes ». C’est ce qui rend si impérative une loi-cadre qui réponde de manière coordonnée aux différentes dimensions de l’oppression patriarcale.

      https://www.liberation.fr/debats/2020/10/01/violences-conjugales-un-confinement-sans-fin_1801102

  • « J’en veux plus à la police qu’à mon #violeur » (Camille Wernaers, RTBF, 05.02.20)
    https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_j-en-veux-plus-a-la-police-qu-a-mon-violeur?id=10425176

    En mars 2018, le Comité P la convoque pour une réunion bilan avec le chef de la #police. « C’est le rendez-vous le plus surréaliste de ma vie. J’y suis allée avec mon colocataire. On a été reçu.e.s dans une immense salle, il y avait même des gâteaux. Ils se sont congratulés, ils m’ont annoncé un bilan très positif et le fait que ma plainte avait été prise fort au sérieux », raconte Alice. Aucune sanction n’est prise contre Mme S., la policière qui a reçu Alice après son #agression. Des mesures sont prises pour que les jeunes policiers et policières apprennent l’existence du service d’aide aux victimes et des procédures sont rajoutées à la formation initiale pour s’assurer que les victimes reçoivent tous les documents dont elles ont besoin après avoir porté plainte, ce qui n’a pas été le cas d’Alice : « Je suis tombée de haut parce qu’ils n’ont tiré que des conclusions administratives de ce qu’il m’est arrivé. Quand j’ai demandé ce qu’ils avaient fait au sujet des mensonges de la policière, ils ne semblaient même pas au courant, et j’ai dû leur reparler de notre entretien où elle avait nié m’avoir déjà vue. Je comprends qu’elle se protège, mais je ne pourrai jamais la pardonner si elle ne reconnaît pas les faits. C’est le plus grave pour moi. Je ne crois plus en aucune affirmation de la police ».

    #viol #violence_policière

  • Un record du monde à la nage réalisé par une femme passé inaperçu
    https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_un-record-du-monde-a-la-nage-realise-par-une-femme-passe-inapercu-july-r

    Sarah Thomas, 37 ans, originaire du Colorado, USA, vient d’enchaîner la traversée de la Manche à la nage à quatre reprises. Un peu plus de 54h d’efforts continus pour redéfinir la notion d’athlète d’endurance. Avant elle, seuls quatre nageurs étaient parvenus à boucler trois fois d’affilée la distance entre la Grande-Bretagne et la France. Record battu donc, un peu plus de 210 kilomètres, 54h de nage dans des eaux froides et turbulentes, seule face à la performance et … Rien ! Pas un mot. Source : RTBF

  • Seras-tu capable de te confronter à tes privilèges?
    Hassina Semah, RTBF, le 22 mars 2019
    https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_seras-tu-capable-de-te-confronter-a-tes-privileges?id=10167825

    Étape n°1 : oser se confronter à ses privilèges et prendre conscience de la place qu’on occupe réellement dans divers systèmes sociaux d’oppression notamment par le biais d’outils de conscientisation.
    Étape n°2 : poser des actes concrets visant à atteindre plus de justice sociale quitte à perdre certains de ses privilèges. Par exemple, une piste concrète serait de systématiquement verbaliser ta désapprobation lorsqu’une personne fait devant toi une remarque ou blague sexistes, racistes, homophobes, etc.

    #Racisme #Sexisme #Privilèges #Privilège_masculin #Privilège_blanc #Privilège_hétéro