• Ventimiglia : sempre più caro e pericoloso il viaggio dei migranti al confine Italia-Francia

    Confine Francia-Italia: migranti fermati, bloccati, respinti

    I respingimenti sono stati monitorati uno ad uno dagli attivisti francesi del collettivo della Val Roja “#Kesha_Niya” (“No problem” in lingua curda) e dagli italiani dell’associazione Iris, auto organizzati e che si danno il cambio in staffette da quattro anni a Ventimiglia per denunciare gli abusi.

    Dalle 9 del mattino alle 20 di sera si piazzano lungo la frontiera alta di #Ponte_San_Luigi, con beni alimentari e vestiti destinati alle persone che hanno tentato di attraversare il confine in treno o a piedi. Migranti che sono stati bloccati, hanno passato la notte in un container di 15 metri quadrati e infine abbandonati al mattino lungo la strada di 10 km, i primi in salita, che porta all’ultima città della Liguria.

    Una pratica, quella dei container, che le ong e associazioni Medecins du Monde, Anafé, Oxfam, WeWorld e Iris hanno denunciato al procuratore della Repubblica di Nizza con un dossier il 16 luglio. Perché le persone sono trattenute fino a 15 ore senza alcuna contestazione di reato, in un Paese – la Francia – dove il Consiglio di Stato ha stabilito come “ragionevole” la durata di quattro ore per il fermo amministrativo e la privazione della libertà senza contestazioni. Dall’inizio dell’anno i casi sono 18 mila, scrive il Fatto Quotidiano che cita dati del Viminale rilasciati dopo la richiesta di accesso civico fatta dall’avvocata Alessandra Ballerini.

    Quando sia nato Sami – faccia da ragazzino sveglio – è poco importante. Più importante è che il suo primo permesso di soggiorno in Europa lo ha avuto a metà anni Duemila. All’età di 10 anni. Lo mostra. È un documento sloveno. A quasi 20 anni di distanza è ancora ostaggio di quei meccanismi.

    A un certo punto è stato riportato in Algeria – o ci è tornato autonomamente – e da lì ha ottenuto un visto per la Turchia e poi la rotta balcanica a piedi. Per provare a tornare nel cuore del Vecchio Continente. Sami prende un foglio e disegna le tappe che ha attraversato lungo la ex Jugoslavia. Lui è un inguaribile ottimista. Ci riproverà la sera stessa convinto di farcela.

    Altri sono in preda all’ansia di non riuscire. Come Sylvester, nigeriano dell’Edo State, vestito a puntino nel tentativo di farsi passare da turista sui treni delle Sncf – le ferrovie francesi. È regolare in Italia. Ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari, oggi abolito da Salvini e non più rinnovabile.

    «Devo arrivare in Germania perché mi aspetta un lavoro come operaio. Ma devo essere lì entro ottobre. Ho già provato dal Brennero. Come faccio a passare?», chiede insistentemente.

    Ventimiglia: le nuove rotte della migrazione

    Il flusso a Ventimiglia è cambiato. Rispetto ai tunisini del 2011, ai sudanesi del 2015, ma anche rispetto all’estate del 2018. Nessuno, o quasi, arriva dagli sbarchi salvo sporadici casi, mostrando plasticamente una volta di più come la cosiddetta crisi migratoria in Europa può cambiare attori ma non la trama. Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita.

    In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema #Eurodac. Perciò respinge tutti senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti.

    Irregolari di lungo periodo bloccati in Italia

    In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi. Nel calderone finisce anche Jamal: nigeriano con una splendida voce da cantante, da nove mesi in Francia con un permesso di soggiorno come richiedente asilo e in attesa di essere sentito dalla commissione. Lo hanno fermato gli agenti a Breil, paesotto di 2 mila anime di confine, nella valle della Roja sulle Alpi Marittime. Hanno detto che i documenti non bastavano e lo hanno espulso.

    Da settimane gli attivisti italiani fanno il diavolo a quattro con gli avvocati francesi per farlo rientrare. Ogni giorno spunta un cavillo diverso: dichiarazioni di ospitalità, pec da inviare contemporaneamente alle prefetture competenti delle due nazioni. Spesso non servono i muri, basta la burocrazia.

    Italia-Francia: passaggi più difficili e costosi per i migranti

    Come è scontato che sia, il “proibizionismo” in frontiera non ha bloccato i passaggi. Li ha solo resi più difficili e costosi, con una sorta di selezione darwiniana su base economica. In stazione a Ventimiglia bastano due ore di osservazione da un tavolino nel bar all’angolo della piazza per comprendere alcune superficiali dinamiche di tratta delle donne e passeurs. Che a pagamento portano chiunque in Francia in automobile. 300 euro a viaggio.

    Ci sono strutture organizzate e altri che sono “scafisti di terra” improvvisati, magari per arrotondare. Come è sempre stato in questa enclave calabrese nel nord Italia, cuore dei traffici illeciti già negli anni Settanta con gli “spalloni” di sigarette.

    Sono i numeri in città a dire che i migranti transitato, anche se pagando. Nel campo Roja gestito dalla Croce Rossa su mandato della Prefettura d’Imperia – l’unico rimasto dopo gli sgomberi di tutti gli accampamenti informali – da gennaio ci sono stabilmente tra le 180 e le 220 persone. Turn over quasi quotidiano in città di 20 che escono e 20 che entrano, di cui un minore.

    Le poche ong che hanno progetti aperti sul territorio frontaliero sono Save The Children, WeWorld e Diaconia Valdese (Oxfam ha lasciato due settimane fa), oltre allo sportello Caritas locale per orientamento legale e lavorativo. 78 minori non accompagnati da Pakistan, Bangladesh e Somalia sono stati trasferiti nel Siproimi, il nuovo sistema Sprar. Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.

    Questi viaggi sono organizzati da Riviera Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il ministero dell’Interno: 5 mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.
    A Ventimiglia vietato parlare d’immigrazione oggi

    A fine maggio ha vinto le elezioni comunali Gaetano Scullino per la coalizione di centrodestra, subentrando all’uscente Pd Enrico Ioculano, oggi consigliere di opposizione. Nel 2012, quando già Scullino era sindaco, il Comune era stato sciolto per mafia per l’inchiesta “La Svolta” in cui il primo cittadino era accusato di concorso esterno. Lui era stato assolto in via definitiva e a sorpresa riuscì a riconquistare il Comune.

    La nuova giunta non vuole parlare di immigrazione. A Ventimiglia vige un’ideologia. Quella del decoro e dei grandi lavori pubblici sulla costa. C’è da completare il 20% del porto di “Cala del Forte”, quasi pronto per accogliere i natanti.

    «Sono 178 i posti barca per yacht da 6,5 a oltre 70 metri di lunghezza – scrive la stampa del Ponente ligure – Un piccolo gioiello, firmato Monaco Ports, che trasformerà la baia di Ventimiglia in un’oasi di lusso e ricchezza. E se gli ormeggi sono già andati a ruba, in vendita nelle agenzie immobiliari c’è il complesso residenziale di lusso che si affaccerà sull’approdo turistico. Quarantaquattro appartamenti con vista sul mare che sorgeranno vicino a un centro commerciale con boutique, ristoranti, bar e un hotel». Sui migranti si dice pubblicamente soltanto che nessun info point per le persone in transito è necessario perché «sono pochi e non serve».

    Contemporaneamente abbondano le prese di posizione politiche della nuova amministrazione locale per istituire il Daspo urbano, modificando il regolamento di polizia locale per adeguarsi ai due decreti sicurezza voluti dal ministro Salvini. Un Daspo selettivo, solo per alcune aree della città. Facile immaginare quali. Tolleranza zero – si legge – contro accattonaggio, improperi, bivacchi e attività di commercio abusivo. Escluso – forse – quello stesso commercio abusivo in mano ai passeurs che libera la città dai migranti.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2019/07/24/ventimiglia-migranti-oggi-bloccati-respinti-francia-situazione/amp
    #coût #prix #frontières #asile #migrations #Vintimille #réfugiés #fermeture_des_frontières #France #Italie #danger #dangerosité #frontière_sud-alpine #push-back #refoulement #Roya #Vallée_de_la_Roya

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    Quelques commentaires :

    Les « flux » en sortie de l’Italie, qui entrent en France :

    Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita.

    #route_des_Balkans et le #Decrét_Salvini #Decreto_Salvini #decreto_sicurezza

    Pour les personnes qui arrivent à la frontière depuis la France (vers l’Italie) :

    In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema Eurodac. Perciò respinge tutti senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti.
    (...)
    In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi.

    #empreintes_digitales #Eurodac #renvois #expulsions #push-back #refoulement
    Et des personnes qui sont arrêtées via des #rafles à #Marseille ou #Lyon —> et qu’on fait passer dans les #statistiques comme des nouveaux arrivants...
    #chiffres

    Coût du passage en voiture maintenant via des #passeurs : 300 EUR.

    Et le #business des renvois de Vintimille au #hotspot de #Taranto :

    Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.

    Questi viaggi sono organizzati da #Riviera_Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il ministero dell’Interno: 5 mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.

    –-> l’entreprise de transport reçoit du ministère de l’intérieur 5000 EUR à voyage...

  • Eritrea in caduta libera sui diritti umani

    L’Eritrea di #Isaias_Afewerki è oggi uno dei peggiori regimi al mondo. Dove la guerra con l’Etiopia è usata per giustificare un servizio militare a tempo indeterminato. E dove avere un passaporto è quasi un miraggio. Gli ultimi attacchi sono stati rivolti agli ospedali cattolici.

    Il rispetto dei diritti umani in Eritrea è solo un ricordo che si perde nei tempi. La lista di violazioni è lunga e gli esempi recenti non mancano. L’ultima mossa del regime di Isaias Afewerki, al potere dal 1991, è stata quella di ordinare la chiusura dei centri sanitari gestiti dalla Chiesa cattolica nel paese, responsabile di una quarantina tra ospedali e scuole in zone rurali che garantiscono sanità e istruzione alle fette più povere della popolazione. Ebbene, qualche giorno fa in questi luoghi si sono presentati militari armati che hanno sfondato porte e cacciato fuori malati, vecchi e bambini. E preteso l’esproprio coatto degli immobili.

    Il 29 aprile, quattro vescovi avevano chiesto di aprire un dialogo con il governo per cercare una soluzione alla crescente povertà e mancanza di futuro per il popolo. Mentre il 13 giugno sono stati arrestati cinque preti ortodossi ultrasettantenni.

    Daniela Kravetz, responsabile dei rapporti tra Nazioni Unite e Africa, ha riportato che il 17 maggio «trenta cristiani sono stati arrestati durante un incontro di preghiera, mentre qualche giorno prima erano finiti in cella 141 fedeli, tra cui donne e bambini». L’Onu chiede ora che «con urgenza il Governo eritreo torni a permettere la libera scelta di espressione religiosa».

    Guerra Eritrea-Etiopia usata come scusa per il servizio militare a tempo indeterminato

    L’ex colonia italiana ha ottenuto di fatto l’indipendenza dall’Etiopia nel 1991, dopo un conflitto durato trent’anni. E nonostante la recente distensione tra Asmara e Addis Abeba, la guerra tra le due nazioni continua a singhiozzo lungo i confini.

    Sono ancora i rapporti con la vicina Etiopia, del resto, ad essere usati dal dittatore Afewerki per giustificare l’imposizione del servizio militare a tempo indeterminato. I ragazzi, infatti, sono arruolati verso i 17 anni e il servizio militare può durare anche trent’anni, con paghe miserabili e strazianti separazioni. Le famiglie si vedono portare via i figli maschi senza conoscerne la destinazione e i ragazzi spesso non tornano più.

    Le città sono prevalentemente abitate da donne, anziani e bambini. E per chi si oppone le alternative sono la prigione, se non la tortura. Uno dei sistemi più usati dai carcerieri è la cosiddetta Pratica del Gesù, che consiste nell’appendere chi si rifiuta di collaborare, con corde legate ai polsi, a due tronchi d’albero, in modo che il corpo assuma la forma di una croce. A volte restano appesi per giorni, con le guardie che di tanto in tanto inumidiscono le labbra con l’acqua.

    Eritrea: storia di un popolo a cui è vietato viaggiare

    l passaporto, che solo i più cari amici del regime ottengono una volta raggiunta la maggiore età, per la popolazione normale è un miraggio. Il prezioso documento viene consegnato alle donne quando compiono 40 anni e agli uomini all’alba dei 50. A quell’età si spera che ormai siano passate forza e voglia di lasciare il paese.

    Oggi l’Eritrea è un inferno dove tutti spiano tuttti. Un paese sospettoso e nemico d chiunque, diventato sotto la guida di Afewerki uno dei regimi più totalitari al mondo, dove anche parlare al telefono è rischioso.

    E pensare che negli anni ’90, quando l’Eritrea si separò dall’Etiopia, era vista come la speranza dell’Africa. Un paese attivo, pieno di potenziale, che si era liberato da solo senza chiedere aiuto a nessuno. Il mondo si aspettava che diventasse la Taiwan del Corno d’Africa, grazie anche a una cultura economica che gli altri stati se la sognavano.

    L’Ue investe in Etiopia ed Eritrea

    L’Unione europea sta per erogare 312 milioni di euro di aiuti al Corno d’Africa per la costruzione di infrastrutture che consentiranno di far transitare merci dall’Etiopia al mare, attraversando quindi l’Eritrea. Una decisione su cui ha preso posizione Reportes sans frontières, che chiede la sospensione di questo finanziamento ad un paese che, si legge in una nota, «continua a violare i diritti umani, la libertà di espressione e e di informazione e detiene arbitrariamente, spesso senza sottoporli ad alcun processo, decine di prigionieri politici, tra cui molti giornalisti».

    Cléa Kahn-Sriber, responsabile di Reporter sans frontières in Africa, ha dichiarato essere «sbalorditivo che l’Unione europea sostenga il regime di Afeweki con tutti questi aiuti senza chiedere nulla in cambio in materia di diritti umani e libertà d’espressione. Il regime ha più giornalisti in carcere di qualsiasi altro paese africano. Le condizioni dei diritti umani sono assolutamente vergognose».

    La Fondazione di difesa dei Diritti umani per l’Eritrea con sede in Olanda e composta da eritrei esiliati sta intraprendendo azioni legali contro l’Unione europea. Secondo la ricercatrice universitaria eritrea Makeda Saba, «l’Ue collaborerà e finanzierà la #Red_Sea_Trading_Corporation, interamente gestita e posseduta dal governo, società che il gruppo di monitoraggio dell’Onu su Somalia ed Eritrea definisce coinvolta in attività illegali e grigie nel Corno d’africa, compreso il traffico d’armi, attraverso una rete labirintica multinazionale di società, privati e conti bancari». Un bel pasticcio, insomma.

    Pericoloso lasciare l’Eritrea: il ruolo delle ambasciate

    Chi trova asilo in altre nazioni vive spiato e minacciato dai propri connazionali. Lo ha denunciato Amnesty International, secondo cui le nazioni dove i difensori dei diritti umani eritrei corrono i maggiori rischi sono Kenya, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Svezia e Svizzera. Nel mirino del potere eritreo ora c’è anche un prete candidato al Nobel per la pace nel 2015, Mussie Zerai.

    «I rappresentanti del governo eritreo nelle ambasciate impiegano tutte le tattiche per impaurire chi critica l’amministrazione del presidente Afewerki, spiano, minacciano di morte. Chi è scappato viene considerato traditore della patria, sovversivo e terrorista».

    In aprile il ministro dell’Informazione, #Yemane_Gebre_Meskel, e gli ambasciatori di Giappone e Kenia hanno scritto su Twitter post minacciosi contro gli organizzatori e i partecipanti ad una conferenza svoltasi a Londra dal titolo “Costruire la democrazia in Eritrea”. Nel tweet, #Meskel ha definito gli organizzatori «collaborazionisti».

    Non va meglio agli esiliati in Kenya. Nel 2013, a seguito del tentativo di registrare un’organizzazione della società civile chiamata #Diaspora_eritrea_per_l’Africa_orientale, l’ambasciata eritrea ha immediatamente revocato il passaporto del presidente e co-fondatore, #Hussein_Osman_Said, organizzandone l’arresto in Sud Sudan. L’accusa? Partecipare al terrorismo, intento a sabotare il governo in carica.

    Amnesty chiede quindi «che venga immediatamente sospeso l’uso delle ambasciate all’estero per intimidire e reprimere le voci critiche».

    Parlando delle ragioni che hanno scatenato l’ultimo atto di forza contro gli ospedali, padre Zerai ha detto che «il regime si è giustificato facendo riferimento a una legge del 1995, secondo cui le strutture sociali strategiche come ospedali e scuole devono essere gestite dallo stato».

    Tuttavia, questa legge non era mai stata applicata e non si conoscono i motivi per cui all’improvviso è cominciata la repressione. Padre Zerai la vede così: «La Chiesa cattolica eritrea è indipendente e molto attiva nella società, offre supporto alle donne, sostegno ai poveri e ai malati di Aids ed è molto ascoltata». A preoccupare il padre, e non solo lui, sono ora «il silenzio dell’Unione europea e della comunità internzionale. Siamo davati a crimini gravissimi e il mondo tace».

    https://www.osservatoriodiritti.it/2019/07/04/eritrea-news-etiopia-guerra
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