La frontiera invisibile che passa da Trieste - Annalisa Camilli

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  • 08.11.2019, décès d’un réfugié syrien à la frontière entre la Slovénie et l’Italie

    L’8 novembre un ragazzo siriano di vent’anni è stato ritrovato senza vita nei boschi della Slovenia. Come tanti prima di lui, come tanti dopo di lui, provava ad attraversare la frontiera, percorrendo una rotta che non è mai stata chiusa, nonostante l’accordo con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan costato all’Unione europea sei miliardi di euro nel 2016 e malgrado la costruzione del muro tra Ungheria e Serbia voluto dal premier ungherese Viktor Orbán nel 2015. Il ragazzo siriano aveva vent’anni e voleva raggiungere i suoi due fratelli, emigrati anni prima in Germania. Si è perso nei boschi, in autunno, per sfuggire ai controlli della polizia slovena e croata lungo i sentieri che attraversano il confine.

    Lo stesso giorno trentacinque persone sono state fermate nella stessa zona, tra Croazia e Bosnia, e rimandate indietro in quella che si è trasformata nella frontiera orientale dell’Europa, proprio nelle stesse ore in cui in tutti i paesi del vecchio mondo si celebrava il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. “Non si è trattato di una fatalità”, afferma Gianfranco Schiavone del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste, membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). “Ma è la manifestazione di una situazione drammatica che riguarda migliaia di profughi lungo la rotta dei Balcani. Quella morte si aggiunge ad altre avvenute negli ultimi anni lungo questa rotta”, continua Schiavone, secondo cui gli arrivi in Italia dalla rotta dei Balcani sono bassi, ma costanti.

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