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  • L’immigrazione oltre le 20 bufale più comuni: un libro per capirle meglio

    Il volume di Lorenzo Bagnoli e Francesco Floris prova a smontare le più diffuse notizie false in circolazione in tema di immigrazione: dall’invasione agli alberghi a 5 stelle, passando per le ong taxi del mare. Un lavoro, distribuito dall’associazione Osservatorio Diritti, che parla alla ragione e non all’emozione


    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/638674/L-immigrazione-oltre-le-20-bufale-piu-comuni-un-libro-per-capirle-m
    #fact-checking #livre #guide #migrations #préjugés #idées_reçues #asile #réfugiés #ressources_pédagogiques

    v. aussi d’autres guides/livrets:
    https://seenthis.net/messages/585948

  • Roma. La buona accoglienza avrà solo 200 posti

    Con il nuovo bando, penalizzato (anche in termini economici) il sistema più virtuoso, quello degli appartamenti e dei piccoli spazi. Il 75% dei posti destinati ai grandi centri collettivi.
    Più grandi centri per immigrati e meno accoglienza diffusa, quella virtuosa. Quasi destinata a sparire. È quello che accadrà a Roma, dopo il nuovo bando della Prefettura della Capitale che applica le nuove indicazioni del Viminale. Eppure lo scorso 31 gennaio il ministro dell’Interno Salvini, in occasione dell’inizio dello sgombero del Cara di Mineo, aveva affermato con orgoglio: «Avevamo promesso la chiusura dei grossi centri e lo stiamo facendo». Ma a Roma i numeri dicono proprio il contrario. La prefettura ha, infatti, messo a bando 3.970 posti di accoglienza. Di questi solo 200, il 5%, saranno in accoglienza diffusa in appartamenti, altri 800, il 20%, sono in centri collettivi fino a 50 posti, mentre la parte del leone la fanno i centri collettivi da 51 a 300 posti che avranno 2.970 posti, pari al 75% del totale. Una scelta che applica alla lettera il decreto ministeriale del 20 novembre riguardante i famosi tagli dei 35 euro al giorno di finanziamento ai centri, riducendo beni e servizi per il loro funzionamento. Un’impostazione che favorisce i centri di grandi dimensioni, anche in termini economici. Così, sempre secondo il bando, i centri ad accoglienza diffusa riceveranno 21,35 euro al giorno a persona, quelli collettivi fino a 50 posti ne avranno 26,35, quelli fino a 300 posti 25,25. Un taglio rispettivamente di 13,65 euro, 8,65 e 9,75. Si penalizzano, dunque, i centri che operano meglio, quelli che fanno davvero integrazione, come dimostrato anche da un recente dossier della Caritas di Roma, e che coinvolgono anche parrocchie e ordini religiosi.

    L’idea, sbagliata, che c’è dietro alle scelte del Viminale, applicate dalla Prefettura romana, è che l’accoglienza diffusa costi di meno. Ad esempio perché le persone cucinano da sole. Ma non tiene in conto che il costo degli affitti e delle utenze è proporzionalmente più alto (più appartamenti invece di un unico grande centro) o che un operatore in una struttura collettiva fa il giro delle stanze in pochi minuti, invece nell’accoglienza diffusa deve fare il giro di dieci appartamenti. Nella logica ministeriale gli immigrati devono stare per conto loro nell’appartamento e ogni tanto andare in un ufficio per risolvere i problemi. Ma in realtà l’accoglienza diffusa è più difficile e più costosa. Invece i grandi centri riceveranno di più e spenderanno di meno, grazie ai tagli dei servizi. Secondo un’analisi degli esperti della cooperativa InMigrazione, nel precedente bando del 2018 le ore giornaliere del personale da garantire per utente accolto, era 0,74 per centri piccoli e medi e 0,67 per quelli grandi. Col nuovo bando si scende a 0,36 per piccoli e medi e a 0,17 per quelli grandi. Un evidente calo della qualità dell’accoglienza, anche se sempre Salvini aveva detto «sono orgoglioso del nostro lavoro per offrire servizi migliori ai veri profughi e per stroncare l’illegalità». Ma l’illegalità, come emerso da moltissime inchieste, da ’mafia capitale’ in poi, riguarda soprattutto le grandi strutture.

    Ma proprio queste perderanno meno delle altre. Infatti col taglio dei servizi, i centri piccoli e medi risparmieranno 4,94 euro al giorno pro capite, mentre quelli grandi 6,50. Alla fine la perdita, rispetto al bando del 2018 a 35 euro, sarà di 8,71 euro per i centri piccoli ad accoglienza diffusa, 3,71 per quelli medi e di 3,25 per quelli grandi. Quest’ultima cifra può essere tranquillamente tamponata dalle economie di scala garantite dai grandi numeri: è evidente che con 300 utenti è possibile ottenere un prezzo vantaggioso da un catering che fornisce pasti rispetto a 20 utenti. A questo punto molti piccoli gestori rinunceranno a partecipare alla gara, soprattutto chi non vuole risparmiare sulla pelle degli immigrati. E si faranno avanti gli affaristi che li metteranno negli appartamenti dicendo «fate quello che vi pare, basta che non date fastidio ai vicini», col rischio che si creino situazioni pericolose.

    Si spiega così, molto probabilmente, la scelta della prefettura di Roma di limitare appena al 5% l’accoglienza diffusa. Devono coprire 4mila posti ma, conoscendo bene la realtà cittadina, sanno che con questi tagli, si corre il rischio di avere poche risposta per l’accoglienza diffusa. Così riduce il numero ad appena 200 posti. E Roma potrebbe fare presto scuola. Con tanti saluti alla buona accoglienza.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/roma-la-buona-accoglienza-avr-solamente-200-posti
    #Rome #Italie #accueil #hébergement #logement #réfugiés #asile #migrations #décret_salvini #decreto_salvini #decreto_sicurezza #business
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    • Accoglienza: nei nuovi bandi 21 euro a migrante. Via psicologi, trasporti tagliati

      Gianfranco Schiavone, vicepresidente Asgi, commenta i nuovi bandi della Prefettura di Milano per l’accoglienza ai richiedenti asilo. “La filosofia? Non devono muoversi, non hanno bisogno di parlare”. Cosa cambia? “Impossibile l’accoglienza diffusa, è diventato il servizio più economico di tutto il settore socio-assistenziale”

      “Il messaggio politico che si vuole mandare è chiaro: con i migranti non c’è nemmeno bisogno di parlare”. Usa questa sintesi Gianfranco Schiavone, vice presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), per definire i contenuti e le voci economiche dei nuovi bandi di Milano e area metropolitana e di altre città che si sono mosse mettendo a gara i centri per l’accoglienza degli stranieri. La Prefettura milanese è stata fra le prime, tra le grandi città, a pubblicare le gare per gli enti che vogliono gestire centri per richiedenti asilo nel 2019 e 2020: 2.900 posti complessivi, di cui 750 in appartamenti, 500 posti in strutture collettive fino a 50 posti, altri 1.650 per centri collettivi da 51 a 300 posti, a cui si aggiunge il Centro di accoglienza straordinaria “Caserma Mancini” di via Corelli 176. C’è tempo fino a metà marzo per rispondere all’appello della Prefettura, che ha scritto le gare basandosi sul nuovo capitolato della Direzione centrale del ministero dell’Interno. Lo ha fatto tagliando e sforbiciando soldi per le varie voci dell’accoglienza fino a scendere a una media di 21,35 euro per persona – più pocket money da 2,5 euro – per i centri da 50 posti di capienza. La filosofia che ci sta dietro? “Rendere impraticabile l’accoglienza diffusa e impossibile un minimo di qualità”, risponde Schiavone.
      Per il giurista “vengono penalizzate le strutture che non siano di mero parcheggio. Per cui la questione ora diventa che non siamo di fronte a un contenimento, anche drastico ma legittimo dei costi, ma all’impossibilità di fornire un servizio”. E secondo lui per rendersene conto basta “fare confronto con il costo di un qualunque piano freddo comunale per i senza dimora, dove peraltro si tratta di fornire servizi molto più ristretti. L’accoglienza agli stranieri diventerà il servizio più economico di tutto il settore socio-assistenziale, solo perché rivolto agli stranieri”.

      Sciorina numeri Schiavone: “Le basi d’asta non sono congrue, il più clamoroso scarto è su affitti e utenze. Nello schema di capitolato nazionale il ministero fa riferimento alla spesa mediana delle famiglie per affitti e utenze e le stima in 3,93 euro giornalieri per persona. In realtà i dati dall’Istat parlano di 11,91 euro. O è un clamoroso errore oppure una somma buttata lì. Un appartamento che ospita 5 persone secondo queste previsioni dovrebbe costare meno di 580 euro mensili tra affitto ed utenze. È impossibile che sia così a meno che non si tratti di situazioni degradate e geograficamente isolate con costi modesti, e ci sono aree di Italia in cui questo avviene, ma di certo non a Milano. L’associazione che vorrà realizzare accoglienza diffusa con i parametri del vecchio sistema Sprar non lo potrà fare”.

      Capitolo operatori sociali? “Viene stabilito che ce ne sarà 1 ogni 50 persone mentre la media Sprar era di a 1 a 10. Quindi l’operatore che deve gestire 10 appartamenti per 5 persone ciascuno come fa? Potrà seguire ogni ospite per dieci minuti al giorno, comprensivi di raccolta firme, distribuzione di beni, derrate alimentari, pocket money, mediazione linguistica e culturale. Le ore di dialogo sono 10 a settimana ogni 50 persone: significa 1,7 minuti al giorno”. Trasporti? “La logica del capitolato è quella per cui le persone non hanno bisogno di muoversi: 12 viaggi annuali da un massimo di 30 chilometri ciascuno. Significa non poter più frequentare i corsi di italiano gestiti dai Cpia (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, ndr) che non esistono nei paesini e si aggiunge al fatto che il decreto Salvini impedisce agli enti gestori di fare i corsi di italiano in loco, all’interno i centri. Qualcuno li raggiungerà a piedi ma i meno fortunati delle aree periferiche o hinterland non ce la faranno. L’Italia sarà l’unico Paese dell’Unione europea a non insegnare ai richiedenti asilo la lingua del Paese ospitante, con quella che è una politica del disprezzo per quanto riguarda la partecipazione di queste persone alla vita pubblica”.

      Tra i tanti temi sollevati dal vice presidente di Asgi anche quello delle persone vulnerabili: “Si parla solo di richiedenti asilo, senza nessuna differenza di categoria – spiega Schiavone –: Anziani? Bambini? Donne violentate? Uomini torturati? Nessun servizio specifico”. “Non è prevista nemmeno la figura dello psicologo che curiosamente viene mantenuta solo nel Centro per il rimpatrio, dove ci sono persone che con alta probabilità verranno espulse dall’Italia. Non c’è nessuna previsione di spesa per l’infanzia e le famiglie quelle scolastiche o per l’animazione dei bambini, come se non esistessero. Era indifferenziato anche il capitolato precedente, ma nel momento in cui l’aggancio economico era il parametro Sprar con cifre un po’ al di sotto dei famosi 35 euro, almeno le cooperative e le associazioni mosse da buona fede sopperivano a questa carenze. Erano le stesse prefetture a richiamare gli enti gestori a questi compiti, anche se ovviamente chi voleva fare poco e male non veniva obbligato. Sarebbe positivo se la politica decidesse di dettagliare queste voci. Nei nuovi bandi, incluso quello di Milano, non lo si fa: solo spariscono. Oppure non costano più nulla”.

      Da ultimo quello che Schiavone ipotizza essere un “profilo di violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo”. “Si parla chiaramente di fornitura di pasti e derrate alimentari – chiude Schiavone – a carico dell’ente gestore. Il punto è: queste persone non sono interdette, non sono in stato d’arresto, hanno anche doveri come il mantenimento della casa e possono uscire come e quando vogliono. Però si scrive che qualcuno gli deve portare la spesa a casa, come se non fossero in grado di farlo da soli, non potessero andare nei supermercati degli italiani per conto proprio”.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/620425/Accoglienza-nei-nuovi-bandi-21-euro-a-migrante-Via-psicologi-traspo

  • Dai dati biometrici alle motovedette : ecco il #business della frontiera

    La gestione delle frontiere europee è sempre di più un affare per le aziende private. Dai Fondi per la difesa a quelli per la cooperazione e la ricerca: l’Ue implementa le risorse per fermare i flussi.

    Sono 33 i miliardi che l’Europa ha intenzione di destinare dal 2021 al 2027 alla gestione del fenomeno migratorio e, in particolare, al controllo dei confini. La cifra, inserita nel #Mff, il #Multiannual_Financial_Framework (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2018%3A321%3AFIN), (ed ora in discussione tra Commissione, Parlamento e Consiglio) rappresenta il budget complessivo Ue per la gestione delle frontiere esterne, dei flussi migratori e dei flussi di rifugiati. E viene notevolmente rafforzata rispetto al periodo precedente (2016-2020) quando i miliardi stanziati erano 12,4. Meno della metà.

    A questo capitolo di spesa contribuiscono strumenti finanziari diversi: dal fondo sulla sicurezza interna (che passa da 3,4 a 4,8 miliardi) a tutto il settore della cooperazione militare, che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, come accade già per le due missioni italiane in Libia e in Niger. Anche una parte dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e di quello per la Pace saranno devoluti allo sviluppo di nuove tecnologie militari per fermare i flussi in mare e nel deserto. Stessa logica per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi proveniente dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo Centrale.

    Un grande business in cui rientrano anche i Fondi alla ricerca. La connessione tra gestione della migrazione, #lobby della sicurezza e il business delle imprese private è al centro di un’indagine di Arci nell’ambito del progetto #Externalisation_Policies_Watch, curato da Sara Prestianni. “Lo sforzo politico nella chiusura delle frontiere si traduce in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza - sottolinea Prestianni -. La dimensione europea della migrazione si allontana sempre più dal concetto di protezione in favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza, che ha una logica repressiva. Chi ne fa le spese sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e propri o business”. Tra gli aspetti più interessanti c’è l’utilizzo del Fondo alla ricerca Orizon 20-20 per ideare strumenti di controllo. “Qui si entra nel campo della biometria: l’obiettivo è dotare i paesi africani di tutto un sistema di raccolta di dati biometrici per fermare i flussi ma anche per creare un’enorme banca dati che faciliti le politiche di espulsione - continua Prestianni -. Questo ha creato un mercato, ci sono diverse imprese che hanno iniziato ad occuparsi del tema. Tra le aziende europee leader in questi appalti c’è la francese #Civipol, che ha il monopolio in vari paesi di questo processo. Ma l’interconnessione tra politici e lobby della sicurezza è risultata ancor più evidente al #Sre, #Research_on_Security_event, un incontro che si è svolto a Bruxelles a dicembre, su proposta della presidenza austriaca: seduti negli stessi panel c’erano rappresentanti della commissione europea, dell’Agenzia #Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza. Tutti annuivano sulla necessità di aprire un mercato europeo della frontiera, dove lotta alla sicurezza e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente”.

    In questo contesto, non è marginale il ruolo dell’Italia. “L’idea di combattere i traffici e tutelare i diritti nasce con #Tony_Blair, ma già allora l’obiettivo era impedire alle persone di arrivare in Europa - sottolinea Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci -. Ed è quello a cui stiamo assistendo oggi in maniera sempre più sistematica. Un esempio è la vicenda delle #motovedette libiche, finanziate dall’Italia e su cui guadagnano aziende italianissime”. Il tema è anche al centro dell’inchiesta di Altreconomia di Gennaio (https://altreconomia.it/frontiera-buon-affare-inchiesta), curata da Duccio Facchini. “L’idea era dare un nome, un volto, una ragione sociale, al modo in cui il ministero degli Interni traduce le strategie di contrasto e di lotta ai flussi di persone” spiega il giornalista. E così si scopre che della rimessa in efficienza di sei pattugliatori, dati dall’Italia alla Tunisia, per il controllo della frontiera, si occupa in maniera esclusiva un’azienda di Rovigo, i #Cantieri_Navali_Vittoria: “Un soggetto senza concorrenti sul mercato, che riesce a vincere l’appalto anche per la rimessa in sicurezza delle motovedette fornite dal nostro paese alla Libia”, sottolinea Facchini.

    Motovedette fornite dall’Italia attraverso l’utilizzo del Fondo Africa: la questione è al centro di un ricorso al Tar presentato da Asgi (Associazione studi giuridici dell’immigrazione). “Il Fondo Africa di 200 milioni di euro viene istituito nel 2018 e il suo obiettivo è implementare le strategie di cooperazione con i maggiori paesi interessati dal fenomeno migratorio: dal #Niger alla LIbia, dalla Tunisia alla Costa d’Avorio - spiega l’avvocata Giulia Crescini -. Tra le attività finanziate con questo fondo c’è la dotazioni di strumentazioni per il controllo delle frontiere. Come Asgi abbiamo chiesto l’accesso agli atti del ministero degli Esteri per analizzare i provvedimenti e vedere come sono stati spesi questi soldi. In particolare, abbiamo notato l’utilizzo di due milioni di euro per la rimessa in efficienza delle motovedette fornite dall’Italia alla Libia - aggiunge -. Abbiamo quindi strutturato un ricorso, giuridicamente complicato, cercando di interloquire col giudice amministrativo, che deve verificare la legittimità dell’azione della Pubblica amministrazione. Qualche settimana fa abbiamo ricevuto la sentenza di rigetto in primo grado, e ora presenteremo l’appello. Ma studiando la sentenza ci siamo accorti che il giudice amministrativo è andato a verificare esattamente se fossero stati spesi bene o meno quei soldi - aggiunge Crescini -. Ed è andato così in profondità che ha scritto di fatto che non c’erano prove sufficienti che il soggetto destinatario stia facendo tortura e atti degradanti nei confronti dei migranti. Su questo punto lavoreremo per il ricorso. Per noi è chiaro che l’Italia oggi sta dando strumentazioni necessarie alla Libia per non sporcarsi le mani direttamente, ma c’è una responsabilità italiana anche se materialmente non è L’Italia a riportare indietro i migranti. Su questo punto stiamo agendo anche attraverso la Corte europea dei diritti dell’uomo”.

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/620038/Dai-dati-biometrici-alle-motovedette-ecco-il-business-della-frontie

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    • Gli affari lungo le frontiere. Inchiesta sugli appalti pubblici per il contrasto all’immigrazione “clandestina”

      In Tunisia, Libia, Niger, Egitto e non solo. Così lo Stato italiano tramite il ministero dell’Interno finanzia imbarcazioni, veicoli, idranti per “ordine pubblico”, formazione delle polizie e sistemi automatizzati di identificazione. Ecco per chi la frontiera rappresenta un buon affare.

      Uno dei luoghi chiave del “contrasto all’immigrazione clandestina” che l’Italia conduce lungo le rotte africane non si trova a Tunisi, Niamey o Tripoli, ma è in un piccolo comune del Veneto, in provincia di Rovigo, affacciato sul Canal Bianco. È ad Adria, poco distante dal Po, che ha sede “Cantiere Navale Vittoria”, un’azienda nata nel 1927 per iniziativa della famiglia Duò -ancora oggi proprietaria- specializzata in cantieristica navale militare e paramilitare. Si tratta di uno dei partner strategici della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno, per una serie di commesse in Libia e Tunisia.

      La Direzione è il braccio del Viminale in tema di “gestione” dei flussi provenienti da quei Paesi ritenuti di “eccezionale rilevanza nella gestione della rotta del Mediterraneo centrale” (parole della Farnesina). Quella “rotta” conduce alle coste italiane: Libia e Tunisia, appunto, ma anche Niger e non solo. E quel “pezzo” del Viminale si occupa di tradurre in pratica le strategie governative. Come? Appaltando a imprese italiane attività diversissime tra loro per valore, fonti di finanziamento, tipologia e territori coinvolti. Un principio è comune: quello di dar forma al “contrasto”, sul nostro territorio o di frontiera. E per questi affidamenti ricorre più volte una formula: “Il fine che si intende perseguire è quello di collaborare con i Paesi terzi ai fini di contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina”. Tra gli ultimi appalti aggiudicati a “Cantiere Navale Vittoria” (ottobre 2018) spicca la rimessa in efficienza di sei pattugliatori “P350” da 34 metri, di proprietà della Guardia nazionale della Tunisia. Tramite gli atti della procedura di affidamento si possono ricostruire filiera e calendario.

      Facciamo un salto indietro al giugno 2017, quando i ministeri degli Esteri e dell’Interno italiani sottoscrivono un’“intesa tecnica” per prevedere azioni di “supporto tecnico” del Viminale stesso alle “competenti autorità tunisine”. Obiettivo: “Migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, inclusi la “lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. La spesa prevista -12 milioni di euro- dovrebbe essere coperta tramite il cosiddetto “Fondo Africa”, istituito sei mesi prima con legge di Stabilità e provvisto di una “dotazione finanziaria” di 200 milioni di euro. L’obiettivo dichiarato del Fondo è quello di “rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie”. Le autorità di Tunisi hanno fretta, tanto che un mese dopo l’intesa tra i dicasteri chiedono all’Italia di provvedere subito alla “rimessa in efficienza” dei sei pattugliatori. Chi li ha costruiti, anni prima, è proprio l’azienda di Adria, e da Tunisi giunge la proposta di avvalersi proprio del suo “know how”. La richiesta è accolta. Trascorre poco più di un anno e nell’ottobre 2018 l’appalto viene aggiudicato al Cantiere per 6,3 milioni di euro. L’“attività di contrasto all’immigrazione clandestina”, scrive la Direzione immigrazione e frontiere, è di “primaria importanza per la sicurezza nazionale, anche alla luce dei recenti sbarchi sulle coste italiane di migranti provenienti dalle acque territoriali tunisine”. I pattugliatori da “consegnare” risistemati alla Tunisia servono quindi a impedire o limitare gli arrivi via mare nel nostro Paese, che da gennaio a metà dicembre di 2018 sono stati 23.122 (di cui 12.976 dalla Libia), in netto calo rispetto ai 118.019 (105.986 dalla Libia) dello stesso periodo del 2017.


      A quel Paese di frontiera l’Italia non fornisce (o rimette in sesto) solamente navi. Nel luglio 2018, infatti, la Direzione del Viminale ha stipulato un contratto con la #Totani Company Srl (sede a Roma) per la fornitura di 50 veicoli #Mitsubishi 4×4 Pajero da “consegnare presso il porto di Tunisi”. Il percorso è simile a quello dei sei pattugliatori: “Considerata” l’intesa del giugno 2017 tra i ministeri italiani, “visto” il Fondo Africa, “considerata” la richiesta dei 50 mezzi da parte delle autorità nordafricane formulata nel corso di una riunione del “Comitato Italo-Tunisino”, “vista” la necessità di “definire nel più breve tempo possibile le procedure di acquisizione” per “garantire un dispiegamento efficace dei servizi di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina”, eccetera. E così l’offerta economica di 1,6 milioni di euro della Totani è ritenuta congrua.

      Capita però che alcune gare vadano deserte. È successo per la fornitura di due “autoveicoli allestiti ‘idrante per ordine pubblico’” e per la relativa attività di formazione per 12 operatori della polizia tunisina (352mila euro la base d’asta). “Al fine di poter supportare il governo tunisino nell’ambito delle attività di contrasto all’immigrazione clandestina” è il passe-partout utilizzato anche per gli idranti, anche se sfugge l’impiego concreto. Seppur deserta, gli atti di questa gara sono interessanti per i passaggi elencati. Il tutto è partito da un incontro a Roma del febbraio 2018 tra l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti e l’omologo tunisino. “Sulla base” di questa riunione, la Direzione del Viminale “richiede” di provvedere alla commessa attraverso un “appunto” datato 27 aprile dello stesso anno che viene “decretato favorevolmente” dal “Sig. Capo della Polizia”, Franco Gabrielli. Alla gara (poi non aggiudicata) si presenta un solo concorrente, la “Brescia Antincendi International Srl”, che all’appuntamento con il ministero delega come “collaboratore” un ex militare in pensione, il tenente colonnello Virgilio D’Amata, cavaliere al merito della Repubblica Italiana. Ma è un nulla di fatto.

      A Tunisi vengono quindi consegnati navi, pick-up, (mancati) idranti ma anche motori fuoribordo per quasi 600mila euro. È del settembre 2018, infatti, un nuovo “avviso esplorativo” sottoscritto dal direttore centrale dell’Immigrazione -Massimo Bontempi- per la fornitura di “10 coppie di motori Yamaha 4 tempi da 300 CV di potenza” e altri 25 da 150 CV. Il tutto al dichiarato fine di “garantire un dispiegamento efficace dei servizi di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina”.

      Come per la Tunisia, anche in Libia il ritmo è scandito da “intese tecniche” tra ministeri “per l’uso dei finanziamenti” previsti nel Fondo Africa. Parlamento non pervenuto

      Poi c’è la Libia, l’altro fronte strategico del “contrasto”. Come per la Tunisia, anche in questo contesto il ritmo è scandito da “intese tecniche” tra ministeri di Esteri e Interno -Parlamento non pervenuto- “per l’uso dei finanziamenti” previsti nel citato Fondo Africa. Una di queste, datata 4 agosto 2017, riguarda il “supporto tecnico del ministero dell’Interno italiano alle competenti autorità libiche per migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, inclusi la lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. L’“eventuale spesa prevista” è di 2,5 milioni di euro. Nel novembre 2017 se n’è aggiunta un’altra, rivolta a “programmi di formazione” dei libici del valore di 615mila euro circa (sempre tratti dal Fondo Africa). Quindi si parte dalle intese e poi si passa ai contratti.

      Scorrendo quelli firmati dalla Direzione immigrazione e polizia delle frontiere del Viminale tra 2017 e 2018, e che riguardano specificamente commesse a beneficio di Tripoli, il “fornitore” è sempre lo stesso: Cantiere Navale Vittoria. È l’azienda di Adria -che non ha risposto alle nostre domande- a occuparsi della rimessa in efficienza di svariate imbarcazioni (tre da 14 metri, due da 35 e una da 22) custodite a Biserta (in Tunisia) e “da restituire allo Stato della Libia”. Ma anche della formazione di 21 “operatori della polizia libica” per la loro “conduzione” o del trasporto di un’altra nave di 18 metri da Tripoli a Biserta. La somma degli appalti sfiora complessivamente i 3 milioni di euro. In alcuni casi, il Viminale dichiara di non avere alternative al cantiere veneto. Lo ha riconosciuto la Direzione in un decreto di affidamento urgente per la formazione di 22 “operatori di polizia libica” e la riconsegna di tre motovedette a fine 2017. Poiché Cantiere Navale Vittoria avrebbe un “patrimonio informativo peculiare”, qualunque ricerca di “soluzioni alternative” sarebbe “irragionevole”. Ecco perché in diverse “riunioni bilaterali di esperti” per la cooperazione tra Italia e Libia “in materia migratoria”, oltre alla delegazione libica (i vertici dell’Amministrazione generale per la sicurezza costiera del ministero dell’Interno) e quella italiana (tra cui l’allora direttore del Servizio immigrazione del Viminale, Vittorio Pisani), c’erano anche i rappresentanti di Cantiere Navale Vittoria.
      Se i concorrenti sono pochi, la fretta è tanta. In più di un appalto verso la Libia, infatti, la Direzione ha argomentato le procedure di “estrema urgenza” segnalando come “ulteriori indugi”, ad esempio “nella riconsegna delle imbarcazioni”, non solo “verrebbero a gravare ingiustificatamente sugli oneri di custodia […] ma potrebbero determinare difficoltà anche di tipo diplomatico con l’interlocutore libico”. È successo nell’estate 2018 anche per l’ultimo “avviso esplorativo” da quasi 1 milione di euro collegato a quattro training (di quattro settimane) destinati a cinque equipaggi “a bordo di due unità navali da 35 metri, un’unità navale da 22 metri e un’unità navale da 28 metri di proprietà libica”, “al fine di aumentare l’efficienza di quel Paese per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Lo scopo è fornire una “preparazione adeguata su ogni aspetto delle unità navali”. Della materia “diritti umani” non c’è traccia.

      Questa specifica iniziativa italiana deriva dal Memorandum d’Intesa con la Libia sottoscritto a Roma dal governo Gentiloni (Marco Minniti ministro dell’Interno), il 2 febbraio 2017. Il nostro Paese si era impegnato a “fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. È da lì che i governi di Italia e Libia decidono di includere tra le attività di cooperazione anche l’erogazione dei corsi di addestramento sulle motovedette ancorate a Biserta.

      Ai primi di maggio del 2018, il Viminale decide di accelerare. C’è l’“urgenza di potenziare, attraverso la rimessa in efficienza delle imbarcazioni e l’erogazione di corsi di conduzione operativa, il capacity building della Guardia Costiera libica, al fine di aumentare l’efficienza di quel Paese per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Anche perché, aggiunge il ministero, “alla luce degli ultimi eventi di partenze di migranti dalle coste libiche”, “appare strettamente necessario ed urgente favorire il pieno ripristino dell’efficienza delle competenti Autorità dello Stato della Libia nell’erogazione dei servizi istituzionali”. E così a fine giugno 2018 viene pubblicato il bando: i destinatari sono “operatori della polizia libica” e non invece le guardie costiere. Il ministero ha dovuto però “rimodulare” in corsa l’imposto a base d’asta della gara (da 763mila a 993mila euro). Perché? Il capitolato degli oneri e il verbale di stima relativi al valore complessivo dell’intera procedura sarebbero risultati “non remunerativi” per l’unico operatore interessato: Cantiere Navale Vittoria Spa, che avrebbe comunicato “di non poter sottoscrivere un’offerta adeguata”.

      Le risorse per quest’ultimo appalto non arrivano dal Fondo Africa ma da uno dei sei progetti finanziati in Libia dall’Unione europea tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. Quello che ci riguarda in particolare s’intitola “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, del valore di oltre 46 milioni di euro. Mentre l’Ue è il principale finanziatore, chi deve implementarlo in loco, dal luglio 2017, è proprio il nostro ministero dell’Interno. Che è attivo in due aree della Libia: a Nord-Ovest, a Tripoli, a beneficio delle guardie costiere libiche (tramite la costituzione di un centro di coordinamento per le operazioni di ricerca e soccorso in mare e per la dichiarazione di un’area di ricerca e soccorso in mare autonoma), e una a Sud-Ovest, nella regione del Fezzan, nel distretto di Ghat, per incrementare la capacità di sorveglianza, “in particolare nelle aree di frontiera terrestre con il Niger, maggiormente colpita dall’attraversamento illegale”. È previsto inoltre un “progetto pilota” per istituire una sede operativa per circa 300 persone, ripristinando ed equipaggiando le esistenti strutture nella città di Talwawet, non lontano da Ghat, con tre avamposti da 20 persone l’uno.

      A un passo da lì c’è il Niger, l’altra tessera del mosaico. Alla metà di dicembre 2018, non risultano appalti in capo alla Direzione frontiere del Viminale, ma ciò non significa che il nostro Paese non sia attivo per supportare (anche) la gestione dei suoi confini. A metà 2017, infatti, l’Italia ha destinato 50 milioni di euro all’EU Trust Fund per “far fronte alle cause profonde della migrazione in Africa/Finestra Sahel e Lago Ciad”, con un’attenzione particolare al Niger. Si punta alla “creazione di nuove unità specializzate necessarie al controllo delle frontiere, di nuovi posti di frontiera fissa, o all’ammodernamento di quelli esistenti, di un nuovo centro di accoglienza per i migranti a Dirkou, nonché per la riattivazione della locale pista di atterraggio”. In più, dal 2018 è scesa sul campo la “Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger” (MISIN) che fa capo al ministero della Difesa e ha tra i suoi obiettivi quello di “concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere”. Il primo corso “per istruttori di ordine pubblico a favore della gendarmeria nigerina” si è concluso a metà ottobre 2018. Pochi mesi prima, a luglio, era stata sottoscritta un’altra “intesa tecnica” tra Esteri e Difesa per rimettere in efficienza e cedere dieci ambulanze e tre autobotti. Finalità? “Il controllo del territorio volto alla prevenzione e al contrasto ai traffici di esseri umani e al traffico di migranti, e per l’assistenza ai migranti nell’ambito delle attività di ricerca e soccorso”: 880mila euro circa. Il Niger è centrale: stando all’ultima programmazione dei Paesi e dei settori in cui sono previsti finanziamenti tramite il “Fondo Africa” (agosto 2018, fonte ministero degli Esteri), il Paese è davanti alla Libia (6 milioni contro 5 di importo massimo preventivato).

      Inabissatosi in Niger, il ministero dell’Interno riemerge in Egitto. Anche lì vigono “accordi internazionali diretti al contrasto dell’immigrazione clandestina” sostenuti dall’Italia. La loro traduzione interessa da vicino la succursale italiana della Hewlett-Packard (HP). Risale infatti a fine 2006 un contratto stipulato tra la multinazionale e la Direzione del Viminale “per la realizzazione di un Sistema automatizzato di identificazione delle impronte (AFIS) per lo Stato dell’Egitto”, finalizzato alle “esigenze di identificazione personale correlate alla immigrazione illegale”: oltre 5,2 milioni di euro per il periodo 2007-2012, cui se ne sono aggiunti ulteriori 1,8 milioni per la manutenzione ininterrotta fino al 2017 e quasi 500mila per l’ultima tranche, 2018-2019. HP non ha avversari -come riporta il Viminale- in forza di un “accordo in esclusiva” tra la Hewlett Packard Enterprise e la multinazionale della sicurezza informatica Gemalto “in relazione ai prodotti AFIS per lo Stato dell’Egitto”. Affari che non si possono discutere: “L’interruzione del citato servizio -sostiene la Direzione- è suscettibile di creare gravi problemi nell’attività di identificazione dei migranti e nel contrasto all’immigrazione clandestina, in un momento in cui tale attività è di primaria importanza per la sicurezza nazionale”. Oltre alla partnership con HP, il ministero dell’Interno si spende direttamente in Egitto. Di fronte alle “esigenze scaturenti dalle gravissimi crisi internazionali in vaste aree dell’Africa e dell’Asia” che avrebbero provocato “massicci esodi di persone e crescenti pressioni migratorie verso l’Europa”, la Direzione centrale immigrazione (i virgolettati sono suoi) si è fatta promotrice di una “proposta progettuale” chiamata “International Training at Egyptian Police Academy” (ITEPA). Questa prevede l’istituzione di un “centro di formazione internazionale” sui temi migratori per 360 funzionari di polizia e ufficiali di frontiera di ben 22 Paesi africani presso l’Accademia della polizia egiziana de Il Cairo. Il “protocollo tecnico” è stato siglato nel settembre 2017 tra il direttore dell’Accademia di polizia egiziana ed il direttore centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere. Nel marzo 2018, il capo della Polizia Gabrielli è volato a Il Cairo per il lancio del progetto. “Il rispetto dei diritti umani -ha dichiarato in quella sede- è uno degli asset fondamentali”.

      “La legittimità, la finalità e la consistenza di una parte dei finanziamenti citati con le norme di diritto nazionale e internazionale sono stati studiati e in alcuni casi anche portati davanti alle autorità giudiziarie dai legali dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, asgi.it)”, spiega l’avvocato Giulia Crescini, parte del collegio dell’associazione che si è occupato della vicenda. “Quando abbiamo chiesto lo stato di implementazione dell’accordo internazionale Italia-Libia del febbraio 2017, il ministero dell’Interno ha opposto generiche motivazioni di pericolo alla sicurezza interna e alle relazioni internazionali, pertanto il ricorso dopo essere stato rigettato dal Tar Lazio è ora pendente davanti al Consiglio di Stato”. La trasparenza insegue la frontiera.

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      “LEONARDO” (FINMECCANICA) E GLI INTERESSI SULLE FRONTIERE

      In Tunisia, Libia, Egitto e Niger, l’azienda Leonardo (Finmeccanica) avrebbe in corso “attività promozionali per tecnologie di sicurezza e controllo del territorio”. Alla richiesta di dettagli, la società ha risposto di voler “rivitalizzare i progetti in sospeso e proporne altri, fornendo ai Governi sistemi e tecnologie all’avanguardia per la sicurezza dei Paesi”. Leonardo è già autorizzata a esportare materiale d’armamento in quei contesti, ma non a Tripoli. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, ha approvato la Risoluzione 2420 che estende l’embargo sulle armi nel Paese per un altro anno. “Nel prossimo futuro -fa sapere l’azienda di cui il ministero dell’Economia è principale azionista- il governo di accordo nazionale potrà richiedere delle esenzioni all’embargo ONU sulle armi, per combattere il terrorismo”. Alla domanda se Leonardo sia coinvolta o operativa nell’ambito di iniziative collegate al fondo fiduciario per l’Africa dell’Unione europea e in particolare al programma da 46 milioni di euro coordinato dal Viminale, in tema di frontiere libiche, l’azienda ha fatto sapere che “in passato” avrebbe “collaborato con le autorità libiche per lo sviluppo e implementazione di sistemi per il monitoraggio dei confini meridionali, nonché sistemi di sicurezza costiera per il controllo, la ricerca e il salvataggio in mare”. Attualmente la società starebbe “esplorando opportunità in ambito europeo volte allo sviluppo di un progetto per il controllo dei flussi migratori dall’Africa all’Europa, consistente in un sistema di sicurezza e sorveglianza costiero con centri di comando e controllo”.

      Export in Libia. Il “caso” Prodit

      Nei primi sei mesi del 2018, attraverso l’Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento), l’Italia ha autorizzato l’esportazione di “materiale d’armamento” verso la Libia per un valore di circa 4,8 milioni di euro. Nel 2017 questa cifra era zero. Si tratta, come impone la normativa in tema di embargo, di materiali “non letali”. L’ammontare è minimo se paragonato al totale delle licenze autorizzate a livello mondiale dall’Italia tra gennaio e giugno 2018 (3,2 miliardi di euro). Chi esporta è una singola azienda, l’unica iscritta al Registro Nazionale delle Imprese presso il Segretariato Generale del ministero della Difesa: Prodit Engineering Srl. In Libia non ha esportato armi ma un veicolo terrestre modificato come fuoristrada e materiali utilizzabili per sminamento.

      https://altreconomia.it/frontiera-buon-affare-inchiesta

      #Leonardo #Finmeccanica #Egypte #Tunisie #identification #P350 #Brescia_Antincendi_International #Virgilio_D’Amata #Massimo_Bontempi #Yamaha #Minniti #Marco_Minniti #EU_Trust_Fund #Trust_Fund #Missione_bilaterale_di_supporto_nella_Repubblica_del_Niger #MISIN #Hewlett-Packard #AFIS #International_Training_at_Egyptian_Police_Academy #ITEPA

    • "La frontiera è un buon affare": l’inchiesta sul contrasto del Viminale all’immigrazione «clandestina» a suon di appalti pubblici

      Dalla Tunisia alla Libia, dal Niger all’Egitto: così lo Stato italiano finanzia imbarcazioni, veicoli, formazione a suon di appalti pubblici. I documenti presentati a Roma dall’Arci.

      «Quando si parla di esternalizzazione della frontiera e di diritto di asilo bisogna innanzitutto individuare i Paesi maggiormente interessati da queste esternalizzazioni, capire quali sono i meccanismi che si vuole andare ad attaccare, creare un caso e prenderlo tempestivamente. Ma spesso per impugnare un atto ci vogliono 60 giorni, le tempistiche sono precise, e intraprendere azioni giudiziarie per tutelare i migranti diventa spesso molto difficile. Per questo ci appoggiamo all’Arci». A parlare è Giulia Crescini, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che insieme a Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di ARCI, Sara Prestianni, coordinatrice del progetto #externalisationpolicieswatch, e Duccio Facchini, giornalista di Altreconomia, ha fatto il punto sugli appalti della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno e più in generale dei fondi europei ed italiani stanzianti per implementare le politiche di esternalizzazione del controllo delle frontiere in Africa.

      L’inchiesta. Duccio Facchini, presentando i dati dell’inchiesta di Altreconomia «La frontiera è un buon affare», ha illustrato i meccanismi di una vera e propria strategia che ha uno dei suoi punti d’origine in un piccolo comune del Veneto, in provincia di Rovigo, affacciato sul Canal Bianco - dove ha sede una delle principale aziende specializzate in cantieristica navale militare e paramilitare - e arriva a toccare Tripoli, Niamey o Il Cairo. Il filo rosso che lega gli affidamenti milionari è uno solo: fermare il flusso di persone dirette in Italia e in Europa. Anche utilizzando fondi destinati alla cooperazione e senza alcun vaglio parlamentare.

      Il Fondo Africa, istituito con la legge di bilancio 2017, art. 1 comma 621 per l’anno 2018, è pari a 200 milioni di euro, cifra che serve per attivare forme di collaborazione e cooperazione con i Paesi maggiormente interessati dal fenomeno della migrazione, anche se l’espressione in sé significa tutto e niente. «Questo fondo - ha spiegato Facchini in conferenza nella sede Arci lo scorso 6 febbraio - viene dato al ministero degli Affari esteri internazionali che individua quali sono questi Paesi: nello specifico il ministero ha indicato una sfilza di Paesi africani, dal Niger alla Libia alla Tunisia, passando per l’Egitto la Costa d’Avorio, indicando anche una serie di attività che possono essere finanziate con questi soldi. Tra queste c’è la dotazione di strumentazioni utili per il controllo della frontiera». Gli autori dell’inchiesta hanno chiesto al ministero l’elenco dei provvedimenti che sono stati messi in campo e per attivare questa protezione alla frontiera. «Siamo alla fine del 2017 e notiamo che tra questi ce n’è uno che stanzia 2 milioni e mezzo per la messa in opera di quattro motovedette. Da lì cominciamo a domandarci se in base alla normativa italiana è legittimo dare una strumentazione così specifica a delle autorità così notoriamente coinvolte nella tortura e nella violenza dei migranti. Quindi abbiamo strutturato un ricorso giuridicamente molto complicato per cercare di interloquire con il giudice amministrativo». Notoriamente il giudice amministrativo non è mai coinvolto in questioni relative al diritto di asilo - per capire: è il giudice degli appalti - ed è insomma colui che va a verificare se la pubblica amministrazione ha adempiuto bene al suo compito.

      l punto di partenza. «Il giudice amministrativo e la pubblica amministrazione – ha spiegato Giulia Crescini dell’Asgi - stanno sempre in un rapporto molto delicato fra loro perché la pubblica amministrazione ha un ambito di discrezionalità all’interno del quale il giudice non può mai entrare, quindi la PA ha dei limiti che vengono messi dalla legge e all’interno di quei limiti il ministero può decidere come spendere quei soldi. Secondo noi quei limiti sono superati, perché la legge non autorizza a rafforzare delle autorità che poi commettono crimini contro i migranti, riportando queste persone sulla terra ferma in una condizione di tortura, soprattutto nei centri di detenzione». I legati hanno dunque avviato questo ricorso, ricevendo, qualche settimana fa, la sentenza di rigetto di primo grado. La sentenza è stata pubblicata il 7 gennaio e da quel giorno a oggi i quattro avvocati hanno studiato le parole del giudice, chiedendo alle altre organizzazioni che avevano presentato insieme a loro il ricorso se avessero intenzione o meno di fare appello. «Studiando la sentenza - continua Crescini - ci siamo accorti di come. pur essendo un rigetto, non avesse poi un contenuto così negativo: il giudice amministrativo in realtà è andato a verificare effettivamente se la pubblica amministrazione avesse speso bene o meno questo soldi, cioè se avesse esercitato in modo corretto o scorretto la discrezionalità di cui sopra. Un fatto che non è affatto scontato. Il giudice amministrativo è andato in profondità, segnalando il fatto che non ci sono sufficienti prove di tortura nei confronti dei migranti da parte delle autorità. Dal punto di vista giuridico questo rappresenta una vittoria. Perché il giudice ha ristretto un ambito molto specifico su cui potremo lavorare davanti al Consiglio di Stato».

      La frontiera è un buon affare. L’inchiesta «La frontiera è un buon affare» rivela che lo sforzo politico che vede impegnate Italia e istituzioni europee nella chiusura delle frontiere si traduce direttamente in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza.

      La dimensione europea della migrazione - si legge in un comunicato diffuso da Arci - si allontana sempre più dal concetto di protezione a favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza e alla repressione del fenomeno migratorio. La logica dell’esternalizzazione, diventata pilastro della strategia tanto europea quanto italiana di gestione delle frontiere, assume in questo modo, sempre più, una dimensione tecnologica e militare, assecondando le pressioni della lobby dell’industria della sicurezza per l’implementazione di questo mercato. L’uso dei fondi è guidato da una tendenza alla flessibilità con un conseguente e evidente rischio di opacità, conveniente per il rafforzamento di una politica securitaria della migrazione.

      Nel MFF - Multiannual Financial Framework - che definisce il budget europeo per un periodo di 7 anni e ora in discussione tripartita tra Commissione, Parlamento e Consiglio - si evidenzia l’intento strategico al netto dei proclami e dei comizi della politica: la migrazione è affrontata principalmente dal punto di vista della gestione del fenomeno e del controllo delle frontiere con un incremento di fondi fino a 34 miliardi di euro per questo settore.

      A questo capitolo di spesa - si legge ancora nel comunicato - contribuiscono strumenti finanziari diversi, dal fondo sulla sicurezza interna - che passa dai 3,4 del 2014/20120 ai 4,8 miliardi del 2021/2027 e che può essere speso anche per la gestione esterna delle frontiere - a tutto il settore della cooperazione militare che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, una tendenza che si palesa con evidenza nelle due missioni militari nostrane in Libia e Niger.

      Dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e quello per la Pace, una buona parte saranno devoluti allo sviluppo di nuova tecnologia militare, utilizzabili anche per la creazione di muri nel mare e nel deserto. Stessa logica anche per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi provenienti dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo centrale.

      Sulla pelle dei migranti. Chi ne fa le spese, spiegano gli autori dell’inchiesta, sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e proprio business. Questa connessione e interdipendenza tra politici e lobby della sicurezza, che sfiora a tutto gli effetti il conflitto di interessi, è risultata evidente nel corso del SRE «Research on security event» tenutosi a Bruxelles a fine dicembre su proposta della presidenza austriaca. Seduti negli stessi panel rappresentanti della commissione dell’Agenzia Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza, manifestavano interesse per un obbiettivo comune: la creazione di un mercato europeo della sicurezza dove lotta al terrorismo e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente

      «Il Governo Italiano si iscrive perfettamente nella logica europea, dalle missioni militari con una chiara missione di controllo delle frontiere in Niger e Libia al rinnovo del Fondo Africa, rifinanziato con 80 milioni per il 2018/2019, che condiziona le politiche di sviluppo a quelle d’immigrazione», dichiara ancora Arci. «Molti i dubbi che solleva questa deriva politica direttamente tradotta nell’uso dei fondi europei e nazionali: dalle tragiche conseguenze sulla sistematica violazione delle convenzione internazionali a una riflessione più ampia sull’opacità dell’uso dei fondi e del ruolo sempre più centrale dell’industria della sicurezza per cui la politica repressiva di chiusura sistematica delle frontiere non è altro che l’ennesimo mercato su cui investire, dimenticandosi del costo in termine di vite umane di questa logica».

      https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2019/02/07/news/la_frontiera_e_un_buon_affare-218538251
      #complexe_militaro-industriel

    • Appalti sulle frontiere: 30 mezzi di terra alla Libia dall’Italia per fermare i migranti

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità di Tripoli nuovi veicoli fuoristrada per il “contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. Un appalto da 2,1 milioni di euro finanziato tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa”, nell’ambito del quale l’Italia accresce il proprio ruolo. Il tutto mentre l’immagine ostentata di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del Viminale

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità della Libia trenta nuovi veicoli fuoristrada per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. L’avviso esplorativo pubblicato dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il Viminale, risale al 5 marzo 2019 (scadenza per la presentazione della manifestazione d’interesse all’8 aprile di quest’anno).

      La fornitura riguarda 30 mezzi “Toyota Land Cruiser” (15 del modello GRJ76 Petrol e 15 del GRJ79 DC Petrol), in “versione tropicalizzata”, relativamente ai quali le autorità libiche, il 24 dicembre 2018, avrebbero esplicitato alla Direzione di Roma precise “specifiche tecniche”. Il Viminale la definisce una “richiesta di assistenza tecnica” proveniente da Tripoli per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. In forza di questa “strategia”, dunque, il governo italiano -in linea con i precedenti, come abbiamo raccontato a gennaio nell’inchiesta sugli “affari lungo le frontiere”– continua a equipaggiare le autorità del Paese Nord-africano per contrastare i flussi migratori. L’ammontare “massimo” degli ultimi due lotti (da 15 mezzi l’uno) è stimato in 2,1 milioni di euro.

      E così come è stato per la gara d’appalto da oltre 9,3 milioni di euro per la fornitura di 20 imbarcazioni destinate alla polizia libica, indetta dal Viminale a fine dicembre 2018, anche nel caso dei 30 mezzi Toyota le risorse arriveranno dal “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito dalla Commissione europea a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. In particolare, dal progetto implementato dal Viminale e intitolato “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, dal valore di oltre 46 milioni di euro e il cui “delegation agreement” risale a metà dicembre 2017 (governo Gentiloni, ministro competente Marco Minniti).

      Questo non è l’unico progetto finanziato tramite l’EU Trust Fund che vede il ministero dell’Interno italiano attivo nel continente africano. Alla citata “First Phase”, infatti, se ne sono affiancati nel tempo altri due. Uno è di stanza in Tunisia e Marocco (“Border Management Programme for the Maghreb region”), datato luglio 2018 e dal valore di 55 milioni di euro. L’altro progetto, di nuovo, ricade in Libia. Si tratta del “Support to Integrated border and migration management in Libya – Second Phase”, risalente al 13 dicembre 2018, per un ammontare di altri 45 milioni di euro. Le finalità dichiarate nell’”Action Document” della seconda fase in Libia sono -tra le altre- quelle di “intensificare gli sforzi fatti”, “sviluppare nuove aree d’intervento”, “rafforzare le capacità delle autorità competenti che sorvegliano i confini marittimi e terrestri”, “l’acquisto di altre navi”, “l’implementazione della rete di comunicazione del Maritime Rescue Coordination Centre” di Tripoli, “la progettazione specifica di programmi per la neocostituita polizia del deserto”.

      La strategia di contrasto paga, sostiene la Commissione europea. “Gli sforzi dell’Ue e dell’Italia nel sostenere la Guardia costiera libica per migliorare la sua capacità operativa hanno raggiunto risultati significativi e tangibili nel 2018”, afferma nel lancio della “seconda fase”. Di “significativo e tangibile” c’è il crollo degli sbarchi sulle coste italiane, in particolare dalla Libia. Dati del Viminale alla mano, infatti, nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 7 marzo 2017 giunsero 15.843 persone, scese a 5.457 lo scorso anno e arrivate a 335 quest’anno. La frontiera è praticamente sigillata. Un “successo” che nasconde la tragedia dei campi di detenzione e sequestro libici dove migliaia di persone sono costrette a rimanere.

      È in questa cornice che giunge il nuovo “avviso” del Viminale dei 30 veicoli, pubblicato come detto il 5 marzo. Quello stesso giorno il vice-presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha incontrato a Roma il vicepremier libico Ahmed Maiteeq. Un “cordiale colloquio”, come recita il comunicato ministeriale, che avrebbe visto sul tavolo “i rapporti tra i due Paesi, in particolare su sicurezza, lotta al terrorismo, immigrazione e stabilizzazione politica della Libia”.

      Ma l’immagine ostentata dal governo Conte di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del ministero dell’Interno. Tra i quesiti presentati al Viminale da parte dei potenziali concorrenti al bando dei 20 battelli da destinare alla polizia libica, infatti, si trovano richieste esplicite di “misure atte a garantire la sicurezza dei propri operatori”. “Laddove si rendesse strettamente necessario effettuare interventi di garanzia richiesti in loco (Libia)”, gli operatori di mercato hanno chiesto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere “che tali prestazioni potranno essere organizzate a patto che le imbarcazioni si trovino in città (Tripoli, ndr) per garantire la sicurezza degli operatori inviati per tali prestazioni”. Il ministero dell’Interno conferma il quadro di instabilità del Paese: “Le condizioni di sicurezza in Libia devono essere attentamente valutate in ragione della contingenza al momento dell’esecuzione del contratto”, è la replica al quesito. “Appare di tutto evidenza che la sicurezza degli operatori non dovrà essere compromessa in relazione ai rischi antropici presenti all’interno dello Stato beneficiario della commessa”. Per gli operatori, non per i migranti in fuga.

      https://altreconomia.it/appalti-libia-frontiere-terra
      #Libye

  • #Zeinixx, la «graffeuse» che colora la banlieue di #Dakar

    «Sui miei muri ci sono le donne del Senegal, che hanno molto da dire ma non trovano un canale di espressione e spesso sono costrette al silenzio». A parlare è Zeinixx, alias #Dieynaba_Sidibè, 27 anni, la prima artista di graffiti di Dakar

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/616133/Zeinixx-la-graffeuse-che-colora-la-banlieue-di-Dakar
    #street_art #art_de_rue #graffiti #Sénégal #femmes

  • Migranti, la grande espulsione. Quarantamila fuori dai centri

    In vigore il decreto sicurezza. Senza lavoro 15mila operatori. Mattarella difende patto Onu

    I migranti sotto protezione umanitaria dovranno lasciare anche i centri di prima accoglienza. Tutti, anche famiglie con bambini. La comunicazione arriva dalle Prefetture. Prime espulsioni in tutta Italia.
    Rischiano 40mila persone, 15mila operatori perderanno il lavoro.

    Fuori dagli Sprar, come prevede la legge Salvini, ma anche fuori dai Cas e dai Cara, secondo una “conseguenziale” interpretazione data dai prefetti di tutta Italia che, da qualche giorno, hanno cominciato a riunire i gestori dei centri comunicando loro che i titolari di protezione umanitaria dovranno lasciare anche le strutture di prima accoglienza. Tutti, comprese donne e famiglie con bambini. Già ieri 26 persone sono state invitate a lasciare immediatamente il Cara di Isola Capo Rizzuto in Calabria: tra loro una donna incinta e un bambino di cinque mesi, subito presi in carico dalla Croce Rossa.

    Tutti migranti regolari, tutti con documenti di identità e permesso di protezione umanitaria, tutti destinati alla strada come altri 40mila, questa la stima fatta dalle associazioni di settore, interessati dai provvedimenti dei prefetti che, chi con data perentoria chi con maggiore elasticità a difesa delle situazioni più vulnerabili, hanno
    così allargato a dismisura la portata della legge Salvini, di fatto privando di qualsiasi tipo di accoglienza i titolari di protezione umanitaria.

    E proprio nel giorno in cui da Verona il presidente della Repubblica richiamava ad un senso di comune responsabilità nell’affrontare il problema dell’immigrazione «un fenomeno che non è più di carattere emergenziale ma strutturale e quindi costituisce una delle grandi sfide che si presentano all’Unione europea e a tutto il mondo ed è un’esigenza che richiama alla responsabilità comune».

    Mattarella, facendo appello all’Unione europea ad «assumere questo fenomeno che non va ignorato ma affrontato» ha implicitamente invitato il governo italiano (che non intende sottoscriverlo) a leggere il Global Compact delle Nazioni Unite «prima di formulare un giudizio perché non si esprimono opinioni e giudizi per sentito dire».

    https://www.meltingpot.org/Migranti-la-grande-espulsione-Quarantamila-fuori-dai-centri.html

    #chômage #Decreto_Salvini #Italie #SDF #sans-abri #asile #migrations #réfugiés

    • Dl Sicurezza, 24 migranti cacciati dal Cara di Isola Capo Rizzuto e portati in stazione: “Non hanno un posto dove andare”

      La prefettura di Crotone ha deciso di far uscire il gruppo per applicare il provvedimento appena approvato dal Parlamento. Gli stranieri sono in possesso del permesso di soggiorno umanitario e pur avendo diritto di stare in Italia, non possono beneficiare del diritto d’accoglienza nel sistema Sprar o restare nel sistema di prima accoglienza

      Ventiquattro migranti hanno dovuto lasciare il Cara di Isola Capo Rizzuto, a seguito di un provvedimento emesso dalla prefettura di Crotone in ottemperanza al decreto Sicurezza approvato nei giorni scorsi in Parlamento. Gli stranieri sono in possesso del permesso di soggiorno umanitario e pur avendo diritto di stare in Italia, non possono beneficiare del diritto d’accoglienza nel sistema Sprar o restare nel sistema di prima accoglienza. Il gruppo, nonostante la protesta organizzata nel pomeriggio per chiedere di non lasciare il centro, è stato fatto salire su un pullman e accompagnato alla stazione ferroviaria di Crotone.

      Lì c’erano ad attenderli i volontari delle associazioni che si occupano di assistenza e che si stanno adoperando per trovare per loro una sistemazione temporanea per la prossima notte. I rifugiati allontanati dal Cara, infatti, non hanno un luogo dove andare e per evitare che passino la notte all’addiaccio, è intervenuta la rete delle associazioni solidali di Crotone. L’accoglienza, però, secondo quanto hanno spiegato queste ultime, potrà essere garantita solo per pochi giorni, dopodiché dovranno tornare in strada. Nella stazione ferroviaria di Crotone, ci sono i volontari di Legacoop Calabria, che stanno fornendo loro assistenza. Secondo Pino De Lucia, responsabile immigrazione di Legacoop Calabria, “i costi per eventuali casi speciali che riguardano migranti minori, malati e disabili, sono a carico dei Comuni ospitanti, con notevole aggravio per le casse degli enti locali”. Tra le persone destinatarie del provvedimento c’è anche una giovanissima coppia, lei nigeriana, lui ghanese, con una bambina di cinque mesi, che sarà ospitata, assieme ad un’altra donna, a Crotone a cura della Croce Rossa e della Caritas, con vitto e alloggio assicurato per una ventina di giorni.

      Il Cara di #Isola_di_Capo_Rizzuto era finito al centro delle polemiche a maggio 2017, dopo l’arresto per ‘ndrangheta di 68 persone. Secondo quanto rivelato nelle indagini, dei 100 milioni di euro stanziati negli ultimi 10 anni per i migranti, 32 andavano alla ‘ndrangheta. Secondo i pm la cosca Arena, era riuscita ad aggiudicarsi gli appalti indetti dalla prefettura di Crotone per le forniture dei servizi di ristorazione al centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto e di Lampedusa. Le indagini rivelarono anche che venivano dato cibo per maiali ai migranti.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/30/dl-sicurezza-24-migranti-cacciati-da-cara-di-isola-capo-rizzuto-e-portati-in-stazione-non-hanno-un-posto-dove-andare/4804833/amp/?__twitter_impression=true

    • I primi effetti del decreto (in)sicurezza

      I primi effetti del decreto (in)sicurezza confermano, purtroppo, quanto in molti stiamo denunciando da settembre, da quando la bozza del decreto ha iniziato a circolare.
      Sono già diverse decine le persone, alcuni bambini piccolissimi, costretti a stare per strada perché impossibilitate ad accedere alle strutture di seconda accoglienza (sono di ieri le prime circolari emanate da diverse Prefetture).
      Se il Presidente della Repubblica firmerà la legge licenziata dalla camera, la situazione, nel medio e lungo periodo, peggiorerà sempre più. Migliaia di persone saranno costrette all’esclusione e alla marginalità sociale in nome della demagogia e del populismo.

      A pagare il prezzo più alto saranno i più deboli, come al solito d’altronde, costretti a vivere sempre più ai margini, lontano dagli occhi dei più, nelle baraccopoli che affollano le periferie dalle nostre città e delle nostre campagne, come quella nella piana di Gioia Tauro dove ieri sera è morta un’altra persona, in quei «ghetti» utili a chi domanda lavoro da sfruttare per incrementare i propri profitti, quelli attarversati della violenza che, in quei luoghi, colpisce soprattutto le donne, le più invisibili tra gli invisibili.
      Chi guadagnerà in tutto ciò? Solo sciacalli e criminali:
      – i politicanti che proveranno a tradurre in consenso la frustrazione della gente che vede il proprio nemico in chi è affamato e non in chi affama;
      – gli enti gestori e il considerevole indotto economico creato da quei luoghi di detenzione amministrativa chiamati centri per il riconoscimento e il rimpatrio in cui le persone saranno recluse fino a 180 giorni senza aver commesso alcun reato per essere poi rilasciate in condizione di irregolarità sul territorio;
      – le aziende senza scrupoli che sfrutteranno il lavoro privato di diritti degli uomini e delle donne colpite dagli effetti del decreto (in)sicurezza;
      – le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta della prostituzione e il traffico di stupefacenti;
      – chi potrà acquistare, o meglio riacquistare, i beni sequestrati alle organizzazioni mafiose.

      Ognuno di noi deve decidere da che parte stare, sono sicuro che la maggioranza delle persone per bene, di chi crede nell’eguaglianza, nei diritti umani, non starà con le mani in mano.
      Noi continueremo a resistere, disubbidiremo e ci organizzeremo per contrastare la barbarie, come già stiamo facendo, e lo faremo sempre meglio.
      Touche pas à mon pote, non toccare il mio amico! Non toccate i nostri fratelli, non toccate le nostre sorelle!

      https://migr-azioni.blogspot.com/2018/12/i-primi-effetti-del-decreto-insicurezza.html?m=1

    • Dl sicurezza, in 24 allontanati da Cara

      Prima notte fuori dal Centro accoglienza richiedenti asilo di #Isola_Capo_Rizzuto, tra disagi e preoccupazione, per i 24 migranti in possesso di permesso umanitario allontanati in ottemperanza al Decreto Sicurezza. Solo una parte di loro è riuscita a trovare un tetto a Crotone dove sono stati accompagnati: una giovanissima coppia di origine africana con la loro bambina di cinque mesi, ospitati da Croce rossa e Caritas per una ventina di giorni e quattro donne, vittime di tratta, accolte provvisoriamente dalla cooperativa l’Agorà. Gli altri componenti del primo gruppo - altri ne usciranno lunedì per un totale stimato in 200 che dovranno lasciare la struttura entro la prossima settimana - si sono dovuti accontentare di soluzioni di fortuna probabilmente all’interno della baraccopoli sorta in corrispondenza del cavalcavia nord della città di Crotone. In base a quanto stabilisce il Dl Sicurezza, i migranti destinatari dei provvedimenti, pur avendo diritto a stare in Italia, non possono beneficiare del diritto all’accoglienza nel sistema Sprar. Né possono restare nel sistema di prima accoglienza. Da ieri sera, nella città calabrese meta di numerosi sbarchi di migranti, le associazioni che si occupano di accoglienza e assistenza si sono attivate per trovare soluzioni alla problematica.

      http://www.ansa.it/calabria/notizie/2018/11/30/dl-sicurezza-in-24-allontanati-da-cara_6f548eae-48de-46a0-bc22-d0bfb015180f.htm

    • Migranti, trattenute a #Malpensa senza assistenza

      Due donne, una cubana e una senegalese, sono bloccate all’area arrivi dell’aeroporto, rispettivamente da 96 e da 51 ore. Erano di rientro da un periodo di vacanze nel loro Paese d’origine e al controllo documenti hanno scoperto che i loro permessi di soggiorno sono stati revocati. Negato finora negato il permesso di incontrare un avvocato.

      Stavano tornando in Italia dove un periodo di vacanze nel loro Paese. Ma agli arrivi dell’aeroporto di Malpensa hanno scoperto che il loro permesso di soggiorno era stato revocato. E ora sono bloccate in aeroporto, nell’area dei controlli dei documenti, senza poter incontrare qualcuno che possa dare loro assistenza legale. E’ quanto sta avvenendo a due donne straniere, una cubana e una senegalese, accomunate ora dal fatto di vivere in un limbo. La donna cubana è trattenuta a Malpensa da 96 ore, mentre quella senegalese, che è anche in stato di gravidanza, da 51 ore. Da questa mattina in aeroporto è presente Giulia Vicini, avvocata dell’Associazione studi giuridici dell’immigrazione (Asgi): “Il problema è che non mi permettono di incontrare le due donne –spiega-. Non mi fanno accedere nell’area dove sono trattenute, con la motivazione che si tratterebbe di territorio internazionale, non sottoposto alla giurisdizione nazionale”. L’avvocata contesta questa motivazione. “E’ come se dicessero che in aeroporto c’è una zona che non è Italia. Il fatto stesso che siano trattenute lì significa che ci sono funzionari della polizia e quindi stanno esercitando la giurisdizione”. Per cercare di sbloccare al più presto la situazione (il volo di ritorno per la donna senegalese partirà in serata) ha mandato due mail pec al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. “Il problema di fondo è che se non incontrano un avvocato queste due donne non possono firmare il mandato per presentare il ricorso. Viene loro negato il diritto di fare ricorso”.

      Alla signora senegalese il permesso di soggiorno sarebbe stato revocato per insufficienza del reddito. La donna cubana ha ottenuto la cittadinanza italiana, ma deve ancora fare il giuramento e le è stato revocato il permesso di soggiorno perché non è più convivente con il marito, dal quale si sarebbe separata. “Si tratta di revoche contestabili perché si basano su interpretazioni secondo noi errate delle norme in materia”, sottolinea l’avvocata Giulia Vicini. Ma, comunque, al di là degli aspetti giuridici delle revoche dei permessi di soggiorno, il problema ora è che sono trattenute a Malpensa senza poter ricevere assistenza.

      Il caso delle due donne ricorda quello della famiglia marocchina di cui si è occupato Redattore sociale: padre, madre e quattro figli, in Italia da oltre un decennio. Al ritorno da un periodo di vacanza, la donna ha scoperto che il suo permesso di soggiorno era stato revocato. Lei, con tre dei figli, ha dovuto fare ritorno in Marocco, lui è rimasto in Italia con la più piccola. Hanno fatto ricorso e, dopo più di un anno, hanno ottenuto il permesso di rientrare in Italia e vivere di nuovo tutti insieme.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/609515/Migranti-trattenute-a-Malpensa-senza-assistenza
      #aéroport #limbe

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      Aggiornamento del collega Dario Paladini: la donna senegalese è stata rimpatriata nella serata di ieri, la donna cubana ancora in aeroporto #Milano #Malpensa

      https://twitter.com/EleonoraCamilli/status/1069164388765102080

      Aggiornamento/2 Anche la signora cubana è stata rimpatriata. Ieri sera sul tardi. E senza aver potuto parlare con un avvocato. (Dario Paladini)

      https://twitter.com/EleonoraCamilli/status/1069332199625973760

    • Decreto sicurezza. È caos accoglienza. Scoppia il caso #Mineo

      Famiglie e bambini verranno allontanati a giorni. Il vescovo eri: «Abbandonare i cani è reato. Lasciare persone per strada ’è legge’. Se serve apriremo le chiese per dare un tetto»

      Ieri sarebbe dovuto toccare a una mamma con la sua bambina colpita da broncopolmonite. Ma la cacciata dei migranti dal Cara di Mineo, il più grande d’Italia, è stata posticipata di qualche giorno. Le istituzioni non si occuperanno di dare un tetto alle famiglie con bambini escluse dal sistema di protezione, ma il vescovo di Caltagirone non ci sta, e ha già trovato 40 posti letto. Se non bastassero, «apriremo anche le chiese per alloggiare queste persone», annuncia monsignor Calogero Peri. Entro l’11 dicembre quasi 90 persone su 1.800 verranno accompagnate fuori dalla struttura. Poi ne seguiranno altri secondo una tabella di marcia non ancora precisata.

      A pochi giorni dal Natale, l’Italia mostra il suo volto peggiore. Verranno allontanati anche bambini da 1 a 12 anni, molti dei quali nati proprio in Sicilia durante la permanenza dei genitori nel Centro per richiedenti asilo. L’ultima volta il cappuccino Peri ne ha battezzati 11 e il rito dell’amministrazione dei Sacramenti non di rado si tiene nella cattedrale di Caltagirone, coinvolgendo così tutta la diocesi. Ma adesso questi bambini figli di migranti non solo dovranno trovarsi un tetto, ma saranno costretti ad abbandonare la scuola dell’obbligo, almeno fino a quando non raggiungeranno un’altra città italiana dove riorganizzare un futuro sempre più in salita. Nessuno dei cacciati potrà tornare nei Paesi d’origine e, dovendo vivere in “clandestinità”, non è neanche certo che i bambini continueranno gli studi da qualche altra parte.

      E pensare che il Cara «fu fortemente voluto da Forza Italia e dalla Lega Nord, rispettivamente nella persona di Silvio Berlusconi, presidente del consiglio, e di Roberto Maroni, ministro dell’Interno», ricorda Calogero Peri. Una decisione che fu imposta «contro le alternative proposte dai sindaci del territorio». Nei giorni scorsi il ministro Salvini ha provato a rassicurare: «Sembrava a leggere i giornali che io buttassi fuori la notte della vigilia di Natale donne incinte, bambine e anziani: chi è nello Sprar arriva alla fine del percorso Sprar, se uno ha ancora un anno sta lì un anno». Affermazione che elude la situazione di tutte le altre strutture di permanenza, come i Centri per richiedenti asilo. Proprio come a Mineo. Quello del presule siciliano è però un richiamo alle coscienze: «In Italia, specialmente prima delle vacanze estive, passa una bella pubblicità: non è civiltà abbandonare i cani per strada e chi lo fa è punito dalla legge. Invece, abbandonare per strada i migranti o, se sembra troppo forte, “accompagnarli” e lasciarli per strada, è “sicurezza”, è legge». I timori sono diffusi in tutta la Penisola. In Lombardia la cooperativa Aeris, con oltre 300 migranti ospitati in circa 150 appartamenti tra Milano, Monza e Lecco, prevede che già solo in questo mese di dicembre rimarranno senza tetto una trentina di migranti con la protezione umanitaria, visto che il decreto Salvini ha loro sbarrato l’accesso ai progetti di accoglienza dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. E nei prossimi mesi saranno almeno dai 20 ai 30 gli operatori (soprattutto mediatori culturali) che perderanno il lavoro.

      Il “Progetto Arca”, che attualmente accoglie 500 migranti a Milano, stima che nei prossimi mesi almeno un terzo sarà costretto ad arrangiarsi. Contemporaneamente i mediatori ai quali non verrà rinnovato il contratto a progetto sono una settantina. E la Caritas Ambrosiana prevede che almeno mezzo migliaio di stranieri finiranno a ingrossare le fila dei senzatetto. «Non ci interessa fare i bed & breakfast dei migranti – spiega Alberto Sinigallia, presidente di Progetto Arca – . Oggi prendiamo dai 27 ai 29 euro al giorno per persona ospitata. Con i nuovi bandi delle prefetture non ci sarà più obbligo di garantire neanche corsi di lingua, l’assistenza medica e i percorsi di integrazione. Il prezzo più basso servirà solo per offrire vitto e alloggio. Ma non è la nostra mission». Il decreto sicurezza finirà per rendere più difficile anche i controlli sui malintenzionati. Trasformare i centri d’accoglienza in dormitori senza alcun progetto farà la fortuna di stranieri come i tre richiedenti asilo nigeriani arrestati ieri a Lucca per spaccio di droga e che fino a qualche tempo fa stavano in una struttura per migranti controllata a vista dalla Croce rossa. Le “mele marce” certo non mancano. Ieri la Guardia di finanza di Ferrara ha perquisito 16 strutture attive nell’accoglienza dei migranti.

      Secondo gli investigatori vi sarebbero stati abusi sulla rendicontazione dei servizi erogati, con conseguente danno alle casse pubbliche. L’unica alternativa sembrano essere proprio quegli Sprar che il governo non ha voluto incentivare. Al contrario la Regione Campania chiede all’esecutivo 10 milioni per sostenere le attività di integrazione dei migranti. «Il nostro obiettivo principale – spiega Franco Roberti, assessore regionale alla Sicurezza – è sostenere le attività degli Sprar in tutte le province della Campania».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/caos-accoglienza-scoppia-il-caso-mineo

    • New Italian law adds to unofficial clampdown on aid to asylum seekers. “Hundreds have already been expelled from reception centres”

      Tens of thousands of vulnerable asylum seekers have lost their right to two-year residency permits and integration services in Italy after new legislation championed by the populist government’s right-wing Interior Minister Matteo Salvini was signed into law this week.

      But over the past two years thousands have already had government services to which they were entitled cut or curtailed, according to interviews with asylum seekers and legal experts over several months, as well as government responses to dozens of freedom of information requests.

      One in every three asylum seekers who arrived in more than half of Italy’s local government prefectures over the past two years has either left or been evicted from their government-run accommodation, according to information IRIN obtained from local governments.

      A request for comment on these findings to the Italian interior ministry went unanswered at time of publication.

      Aid groups warn that the new law will compound an existing crisis in Italy, which is struggling to cope with providing basic services to some 180,000 refugees and asylum seekers awaiting decisions and an estimated 500,000 undocumented migrants – many of whom have already fallen out of the reception system.

      In addition to granting five-year residence permits to refugees and to asylum seekers who meet “subsidiary protection” criteria, Italy has for the past 20 years granted two-year residency permits to a wider group of migrants on comparatively flexible “humanitarian protection” grounds – broadly interpreted as those who aren’t refugees but who can’t be sent home either.

      The controversial new Decree-Law on Immigration and Security, signed by President Sergio Matterella on Monday, scraps “humanitarian protection” altogether and introduces new “special permits” for a much narrower group that comprises: victims of domestic violence, trafficking, and severe exploitation; those with serious health issues; those fleeing natural disasters; and those who commit acts of civic valour.

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      The Decree-Law on Immigration and Security in brief
      “Humanitarian protection” residency permits – granted to one in four asylum seekers last year – abolished
      Asylum seekers lose access to integration services until their application is granted
      Network of reception centres drastically downsized
      Withdrawal of refugee status made easier
      Maximum detention time in “repatriation centres” doubled to six months
      Fast-track expulsions for “socially dangerous” migrants

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      In 2017, 20,166 people – around 25 percent of the total who sought asylum – were granted “humanitarian protection”. Those who lose their permits also lose their right to work and their right to stay in the best facilities that have services to help them integrate into Italian society.

      Only 25,000 places are available in Italy’s longer-term, government-run reception system, known by its Italian acronym SPRAR, which typically provides high standards of care. This means that more than 150,000 people waiting for decisions on their asylum applications, or 80 percent of the total, are housed in more than 9,000 supposedly temporary accommodation facilities, known by the acronym CAS. These are for the most part managed by commercial entities with no track record in providing housing and services for asylum seekers, and have been associated with corruption and substandard living conditions.

      Some asylum seekers formerly granted “humanitarian protection” are already being forced out of the SPRAR facilities, meaning they also lose out on integration measures such as language classes and work skills courses.

      "Hundreds have already been expelled from reception centres throughout Italy, and left homeless at a moment’s notice,” Oliviero Forti, head of the migration division for Caritas in Italy, told IRIN. “In some places, like Crotone, our charity shelters have been overwhelmed over the weekend. Some very vulnerable individuals, such as pregnant women or persons with psychiatric conditions, are being put on the street without any support measure and, incredibly, government-managed facilities are calling upon Caritas for help.”
      An attempt to reduce arrivals

      Italy overtook Greece in 2016 as the main European entry point for migrants and asylum seekers, receiving 320,000 people in the past two years – the vast majority entering on small, overcrowded vessels operated by smugglers across the Mediterranean from North Africa, or after being rescued en route.

      Salvini, also deputy prime minister, leads the far-right League Party and campaigned on a strongly anti-immigration platform during the March general election. Shortly after taking office in June as part of a fractious ruling coalition with the populist and anti-EU Five Star Movement, Salvini closed the country’s ports to migrant rescue ships.

      Migrants who arrive in Italy by boat typically spend their first two days in initial arrival facilities known as “hotspots”, mostly concentrated in Sicily, where identification procedures take place. Those who are prima facie determined to have a legitimate basis to claim asylum are entitled to a place in the SPRAR system, even if the majority don’t get one.

      These are small facilities evenly distributed across the country, organised by the Interior Ministry and managed by humanitarian organisations with experience working with migrant populations. They are known for providing a high standard of basic services as well as vocational training and psychological counselling. The 25,000 available placements have typically been reserved for the most vulnerable cases, such as minors who are victims of trafficking.

      Under Salvini’s new law, only people who are granted a visa – a process that can take several years — may be placed in SPRAR facilities, not asylum seekers. Migrants and asylum seekers will be sent to a CAS.

      Médecins Sans Frontières warned in a statement that the new law will have a “dramatic impact on the life and health of thousands of people”. MSF said that “over the years it operated inside CAS”, its workers found that prolonged stays in the centres “deteriorates migrants’ mental health” and “hampers their chances of integrating successfully into society”.

      The coalition government promised that Salvini’s new law would result in half a million deportations. Past deportation rates suggest it will be difficult to keep that promise, analysts say. What does seem likely, they say, is that larger numbers of asylum seekers will be detained for longer periods. Salvini’s law doubles to six months the time new arrivals can be held in “repatriation” centres while their identities and nationalities are being confirmed.

      Added to the 30-day detention period many face in hotspot facilities, this means asylum seekers can now be detained for up to seven months without having committed any crime.

      Another measure within the new legislation suspends refugee protections for those considered “socially dangerous” or who are convicted of crimes, even in the first of Italy’s three-stage conviction process.
      Already in crisis

      Based on IRIN’s analysis of responses to freedom of information requests received from 53 of Italy’s 103 prefectures (the others did not reply), the Italian reception system is unable to retain its guests, partly due to a lack of integration opportunities and medical care. More than 28,000 residents have left the temporary facilities over the last 24 months, either because local governments withdrew their right to assistance for alleged violations of certain rules or because the migrants and asylum seekers decided to leave of their own accord.

      Interviews with legal experts, social workers, dozens of migrants, and analysis of the withdrawal orders shows a pattern of widespread violations of migrants’ legal rights in the reception centres, with local authorities sometimes complicit in the abuses.

      The CAS centres – for the most part private-sector hotels and apartments identified and approved by local government – are in theory just one link in a complex and poorly regulated chain of migrant accommodations. But because the SPRAR centres are full to capacity, they have taken on a spill-over function.

      A migrant can be entitled to remain in Italy as an asylum seeker or refugee, but can still lose, with a “withdrawal order”, all institutional support, such as accommodation, training, medical care etc. Under EU law that is legally binding in Italy, withdrawal orders should only be issued as a last resort, to punish violent conduct or severe abuse of the reception benefits.

      Dozens of interviews with former and current CAS residents – as well as withdrawal orders and communications between reception centre managers and government officials seen by IRIN – reveal that this regulation is frequently abused, sometimes to retaliate against residents who protest their treatment within the facilities. Minor infringements such as returning to centres late are routinely penalised, sometimes retroactively, with criteria that vary massively from one prefecture to another – including, sometimes, withdrawal notices.

      The abuse of withdrawal orders “infringes both EU and Italian law, depriving migrants of basic human rights,” said Dario Belluccio, a lawyer and the director of ASGI, a leading association of immigration law scholars.

      Those who receive a withdrawal notice – the number could spike under Salvini’s new law, with more asylum seekers being deemed “socially dangerous” or found guilty of minor infractions – instantly lose their place in a residence centre, a €75 monthly allowance, and virtually all institutional support.

      Those who leave the centres often move to migrant shanty towns, which tend to lack water and electricity and where severe labour exploitation and sex trafficking thrive.

      Helped by the unsatisfactory conditions in the reception system, the shanty towns have grown in size over the past few years. In these communities, migrants often find it difficult to obtain basic services such as healthcare as well as the legal assistance needed to follow up on asylum applications.
      No permit, no job, no home

      Even without a withdrawal order, more asylum seekers and migrants may soon find themselves without access to shelter or services provided by the government. That’s already the case for Becky*, a Nigerian woman in her 20s who was trafficked to Italy for sex work. A social worker familiar with her case, who spoke to IRIN on condition of anonymity for security concerns, said that shortly after arriving in Italy two years ago Becky was forced by her trafficker to leave the reception facility in which she was placed to move to a large shanty town in the province of Foggia.

      When local anti-trafficking authorities became aware of Becky’s case after questions were raised during her asylum interview earlier this year, they offered her a place in a protection facility. But such facilities demand that residents give up their mobile phones to ensure that traffickers can’t track them. Residents are limited to one weekly call to a family member while trafficking allegations are being investigated.

      “It is not an easy choice to make, and she didn’t take up that opportunity,” said the social worker.

      Days before the new immigration law was passed by parliament last month, Becky was issued a humanitarian residence permit by the local asylum commission. But under the new law, authorities are no longer able to distribute the permits, even after they have been granted. “It is not a matter of will, it is literally a matter of police no longer having a button on their computers to print a humanitarian permit,” the social worker noted.

      Without documents, Becky can’t look for a job or new accommodation. So she remains in the shanty town, exactly where her trafficker placed her two years ago.

      https://www.irinnews.org/news-feature/2018/12/07/new-italian-law-adds-unofficial-clampdown-aid-asylum-seekers

    • Vulnerable migrants made homeless after Italy passes ’Salvini decree’

      Decree named after leader of far-right party abolishes humanitarian protection for those not eligible for refugee status.

      Dozens of migrants, including victims of sex trafficking and a child with mental health problems, have been removed from so-called “welcome centres” in Italy as the populist government’s hardline immigration measures kick in.

      The “Salvini decree” – named after Matteo Salvini, interior minister and leader of the far-right League – won a vote in parliament last week and was formally endorsed by the president Sergio Mattarella on Monday.

      The main element of the bill, which abolishes humanitarian protection for those not eligible for refugee status but who cannot be sent home, was however retroactively applied by the interior ministry’s representative in Crotone, a province in the southern Calabria region, where last Friday 24 people were forced to leave a centre in the town of Isola Capo Rizzuto.

      The evictions are not only affecting those whose request for protection on humanitarian grounds is pending approval, but also those in possession of permits to stay, despite the law stipulating that their status should be maintained.

      The majority of migrants who have arrived in Italy in recent years have been granted humanitarian protection, with some 100,000 people estimated to hold the permit, which is valid for two years and enables them to work.

      Among those stranded in Isola Capo Rizzuto were a young couple with a five-month-old daughter, two victims of sex trafficking and a boy suffering from mental health problems.

      “When the police came to tell us that we couldn’t stay there anymore, I couldn’t believe my ears,” Blessing, a 31-year-old victim of sex trafficking from Nigeria, told the Guardian. “They took all of our belongings and escorted us out. There was a young girl in our group. This is outrageous. I have a legal permit to stay. And soon I may not have a roof over my head. I’m really frightened.”

      Blessing found temporary shelter in a Red Cross charity facility in Crotone while the rest have also been accommodated with the help of other charities and the town hall.

      “What happened here is crazy,” said Francesco Parisi, president of Crotone’s Red Cross. “You can’t just leave vulnerable people on the street. This is a violation of human rights. We are going to take care of these people now, but I hope things will change.”

      Alessia Romana, a social policies councillor in Crotone, said the local authority was trying to manage the situation.

      “The council has a moral obligation but also the juridical obligation to take care of these people,” she said. “Up until now, the system in #Crotone worked well. We managed to give reception and there wasn’t any trouble; migrants and locals co-existed.”

      A similar measure was applied in Potenza, a city in the southern region of Basilicata, with the interior ministry prefect there announcing last week that “humanitarian protection holders” must be “invited to leave” welcome centres.

      Once humanitarian protection permits are received, people are supposed to leave centres on the first rung of the migrant reception system and move to an accommodation in which they can benefit from integration programmes. But slow-moving bureaucracy and limited space means that those with permits end up staying in the first-rung centres for longer.

      A dozen or so others have been asked to leave a welcome centre in #Caserta, Campania, according to Italian press reports, while hundreds are expected to be evicted from Cara di Mineo, Europe’s second largest migrant reception centre, in the coming days.

      The number is likely to rise as the bill, which Salvini has described as a “gift to Italians”, takes effect. The loss of protection will also mean hundreds of people suddenly becoming “illegal” immigrants, with Italy’s national statistics office estimating that the decree will make 130,000 migrants illegal by 2020.

      “What we have been witnessing recently leads us to believe that there will be negative effects not only on vulnerable people, but also on Italian society generally as people enter into a formally illegal status,” said Carlotta Sami, spokeswoman for the UN refugee agency in southern Europe.

      “We fail to understand why, at this precise moment, even those individuals with legal protection have been told to leave. The decree is not retroactive, so why are they telling them to leave? Sending families away, women and children, pregnant women. It seems cruel.”

      Cities including Bologna, Turin and Rome, the latter two of which are managed by the Five Star Movement, the League’s coalition partner, have refused to implement the measures, arguing they will increase homelessness and risk social unrest.

      “We are really worried about a bill that is meant to manage immigration and increase security for citizens, but will instead create social marginality and destroy integration, while also creating social risks and the potential for radicalisation,” said Valeria Carlini, a spokesperson for the Italian Council for Refugees.

      https://www.theguardian.com/world/2018/dec/07/vulnerable-migrants-made-homeless-after-italy-passes-salvini-decree

    • Migranti: le conseguenze del decreto Salvini e il nuovo “sistema parcheggio”

      Dall’entrata in vigore del provvedimento su immigrazione e asilo, decine di persone sono state espulse dai centri di accoglienza e mandate per strada, nonostante vi siano posti liberi e già finanziati. “È illegittimo. Ci troviamo di fronte a un danno per i cittadini stranieri che hanno un titolo di protezione e a una beffa per il contribuente”, denuncia Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi

      “Quello che sta avvenendo in queste settimane nel nome del decreto Salvini è gravissimo. Non solo le persone finiscono in mezzo alla strada nonostante vi siano nello SPRAR posti liberi (e quindi già finanziati), ma l’intero sistema di protezione e accoglienza è stato spezzato”. Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, www.asgi.it), osserva con preoccupazione gli effetti del provvedimento convertito nella legge 132/2018 (in vigore dal 4 dicembre 2018). Alcuni provvedimenti hanno preso la forma di circolari prefettizie che “invitano” i gestori dei centri di accoglienza straordinaria (CAS) a far uscire dalle strutture le persone in possesso di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria, abrogato di fatto dalla legge. È accaduto a Potenza, a metà novembre, dove il dirigente dell’area Immigrazione ha “ricordato” anche ai gestori che il (fu) Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) verrà riservato a titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati. E basta.

      Per comprendere natura e legittimità di iniziative come quelle della prefettura di Potenza, Schiavone suggerisce di partire dal nuovo quadro disegnato dalla norma.
      GS Il decreto Salvini convertito in legge ha operato un cambiamento molto profondo del sistema nazionale pubblico. Il precedente infatti era imperniato sulla logica del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) come sistema unico sia per i richiedenti e sia per i titolari di protezione internazionale o umanitaria. Solo in caso di temporanea indisponibilità di posti nel sistema di accoglienza territoriale SPRAR e solo per il tempo strettamente necessario al trasferimento, il richiedente ospitato in un centro governativo di prima accoglienza restava ospitato in tale centro (ovvero in quelli di cui all’art. 11 del d.lgs 142/2015). La norma era pertanto chiara nel disporre che lo SPRAR fosse l’unico sistema di seconda accoglienza per tutti i richiedenti asilo che vi dovevano essere trasferiti nel più breve tempo possibile, dovendosi considerare l’accoglienza straordinaria in strutture temporanee una misura eventuale e limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture del sistema di accoglienza territoriale.

      Questa la teoria. E la pratica?
      GS Il sistema delineato dalla norma come straordinario e provvisorio nella prassi era diventato ordinario, a causa di carenze della norma ma anche per l’aumento inaspettato degli arrivi avvenuto nel 2015, 2016 e 2017. È evidente che il sistema straordinario avesse assunto grandissime dimensioni ma si trattava pur sempre di un sistema secondario e “di passaggio”. Questa situazione è stata completamente ribaltata dal decreto ora convertito in legge.

      Perché?
      GS Si torna a un sistema unico ma in una forma che non è mai esistita in Italia. Sin da quando è stato istituito un programma pubblico di protezione, questo è stato per così dire bicefalo, cioè imperniato su strutture statali e centri SPRAR, articolati grazie al coinvolgimento degli enti locali. Fino al 2015 ha governato una generale confusione, mentre tra 2015 e 2018 il previsto superamento dei CAS è rimasto in larga parte solo sulla carta. Ma, con un pizzico di ironia, oggi diremo che per fortuna il sistema almeno era bicefalo nel senso che conteneva anche spinte positive. Nella logica del Sistema di protezione c’era l’idea della gestione dell’arrivo dei richiedenti, della loro accoglienza e integrazione dentro la rete di servizi del territorio e organizzato dagli enti locali che si occupano di servizi socio-sanitari, come prassi normale per un Paese democratico.

      Che fine ha fatto quell’impostazione, pur rimasta sulla carta?
      GS È stata cancellata. Il legislatore ha previsto che non potranno più accedere allo SPRAR i richiedenti asilo, i titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari e i titolari di permesso di soggiorno per casi speciali (regime transitorio) rilasciato in seguito alla decisione sulla protezione umanitaria adottata dalla Commissione territoriale prima del 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del decreto Salvini, e infine esclude anche i titolari di permesso di soggiorno per protezione speciale, il nuovo status giuridico che in modo limitatissimo ha sostituito la protezione umanitaria. È un arretramento netto sia perché crea un esercito di nuovi esclusi sia perché indica come unica soluzione quella dei centri a diretta gestione statale. Lì non vi è nessun tipo di radicamento e collegamento con il territorio, al quale invece vengono sottratte funzioni operative e gestionali che gli sono proprie ovvero la gestione. Il sistema dunque mira di nuovo a concepire la presenza dei richiedenti asilo come un fatto di ordine pubblico, comunque straordinario, temporaneo, che prima o poi finirà. Non è scritto esplicitamente ma nella logica del legislatore la situazione è percepita come temporanea. Il che è semplicemente antistorico.

      I sostenitori della gestione statale diretta delle misure di accoglienza per i richiedenti asilo sostengono che sia la regola anche altrove.
      GS Molti altri Paesi europei hanno un ruolo diretto nella gestione del fenomeno, è vero. Ma si tratta di sistemi molto diversi dal nostro. In quei Paesi la ripartizione di competenze e funzioni tra stato centrale e poteri locali è molto diversa dal caso italiano. Nel nostro ordinamento, le funzioni amministrative oggi svolte impropriamente dallo Stato competono alle autonomie locali. Alla luce degli artt. 118 e 199 della Costituzione non si comprende infatti perché solo nel caso dell’accoglienza ordinaria di richiedenti asilo il sistema non sia gestito con strumenti ordinari in capo agli enti locali, tramite finanziamento statale. Le Prefettura non hanno e non devono avere un’organizzazione funzionale tale da diventare nuovi uffici sociali che svolgono compiti che spettano invece agli enti del territorio. Questo meccanismo è totalmente anomalo e in controtendenza rispetto a quello che è stato fatto negli ultimi anni.

      Perché il sistema è stato “spezzato”?
      GS Perché per i richiedenti asilo, inseriti in centri straordinari, l’accoglienza è minima, di bassa soglia, con servizi essenziali come vitto, alloggio, un minimo affiancamento legale e linguistico. Ma non sono affatto previste misure di integrazione sociale, di efficace apprendimento della lingua, di riqualificazione professionale. Un’accoglienza cioè che non si occupa di che cosa le persone facciano tutto il giorno, azzerando l’interazione con il territorio. Lo possiamo definire perciò come un gigantesco “sistema parcheggio” che ha costi economici e sociali altissimi.

      La propaganda dice che sarà più economico.
      GS Da un punto di vista strettamente monetario è vero, perché i servizi sono abbattuti al minimo ma è uno sguardo miope. Le ricadute si misurano su una scala più ampia: un buon sistema di accoglienza alimenta l’economia locale con un numero congruo di operatori qualificati e insegnanti. Spezzandolo, invece, vengono meno campi professionali e di sviluppo a favore di una mera guardiania richiesta alle strutture.

      Il risparmio è un’illusione?
      GS I costi di gestione dell’accoglienza, pur inizialmente ridotti saranno destinati a esplodere una volta che le persone saranno uscite dalle strutture. Per il semplice fatto che assomiglieranno a quelle appena entrate, con la differenza che quelle in uscita con poche risorse e pochi percorsi avviati saranno costrette ad avviarli dopo. È un enorme allungamento dei tempi che produce costi e un impatto molto più duro sul territorio.

      Dove dovranno essere “avviati” quei percorsi?
      GS Nell’ormai ex SPRAR, costretto a fare programmi di inserimento da zero in tempi ristretti. È un cortocircuito micidiale che produrrà persone regolarmente soggiornanti ma prive di strumenti e con drammatico impatto sui servizi sociali e quindi sui costi. Ecco perché qualunque analisi economica seria ci dice che il guadagno annunciato è in realtà un gigantesco sperpero di risorse.

      Veniamo alla circolare di Potenza. Sostiene che i titolari di protezione umanitaria presenti nelle suddette strutture debbano essere “invitati” a lasciare i centri di accoglienza e che da inizio dicembre non verranno più corrisposte somme per la relativa accoglienza. Inoltre afferma che la nuova legge escluderebbe “la possibilità di trasferimenti negli SPRAR in assenza di permesso di soggiorno per status di rifugiato o per protezione sussidiaria”. È una lettura corretta?
      GS Poco fa elencavo chi per legge non potrà più accedere allo SPRAR. Al di là di ogni considerazione sulla legittimità di quella previsione, è evidente non può applicarsi a chi sia già titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari a seguito di domanda presentata prima del 5 ottobre 2018 (e relativo permesso rilasciato prima del 5 ottobre 2018) o a coloro che otterranno un permesso per “casi speciali” in quanto la loro domanda è stata esaminata con la normativa previgente ma il permesso di soggiorno è stato rilasciato dopo il 5 ottobre 2018.

      Perché?
      GS Secondo l’ASGI, coloro che avevano presentato domanda di protezione internazionale prima dell’entrata in vigore del decreto Salvini avrebbero avuto pieno diritto di accedere allo SPRAR. Ma c’era mancanza di posti disponibili. Dunque solo un fatto contingente (cioè le persistenti deficienze organizzative della pubblica amministrazione), non da loro dipendente, ha impedito che nei confronti di parte dei richiedenti asilo la norma trovasse piena e corretta applicazione. Ma ciò non significa che queste persone non abbiano diritto di accedere allo SPRAR oggi o, comunque, che alle stesse non debba essere garantito, pur dentro una struttura diversa, il godimento di diritti identici a quelli di chi era già accolto o trasferito in un centro afferente allo SPRAR.

      Tradotto: il diritto all’accesso nel sistema è sorto al momento della presentazione della domanda di protezione.
      GS Esatto. Quando cioè la norma prevedeva il passaggio allo SPRAR nel minor tempo possibile. Dunque il nuovo “regime” dovrebbe essere applicato solo alle domande presentate dopo il 5 ottobre, i cui esiti ancora non ci sono.

      Accade il contrario, però.
      GS Ciò che sta avvenendo non dovrebbe in alcun modo avvenire tanto più che abbiamo persino un sistema di protezione sottodimensionato, con posti liberi nel sistema SPRAR. Significa che abbiamo persone in strada nonostante posti liberi e finanziati. Quindi ci troviamo di fronte a un danno per i cittadini stranieri che hanno un titolo di protezione e a una beffa per il contribuente, forse anche simpatizzante della nuova norma, che immagina maggior rigore o controllo e invece misurerà un peggioramento della qualità, dei servizi nonché l’aumento della spesa.

      Il ministero dell’Interno sostiene però che anche in precedenza i migranti uscissero dai centri di accoglienza straordinaria.
      GS Manca un piccolo dettaglio: uscivano dai CAS e per legge entravano nello SPRAR.

      Quali scenari si profilano?
      GS È necessario che gli interessati, i richiedenti e i beneficiari, sostenuti da enti che non vogliano essere solamente enti gestori ma anche enti di tutela, avviino una serie di ricorsi mirati a rivendicare la corretta attuazione della legge, con la cessazione immediata di allontanamenti illegittimi dai centri. I quali avvengono sempre in modo informale e totalmente scorretto, con l’ente pubblico che si libera della responsabilità di comunicare un provvedimento che non esiste neppure e demanda lo sgradevole compito all’ente gestore. E così il migrante si ritrova per la strada senza nemmeno un provvedimento da impugnare ma solo un rifiuto dell’ingresso nello SPRAR fatto in forma orale da un operatore sociale o figure assimilabili.

      https://altreconomia.it/conseguenze-decreto-salvini

    • Italie : des migrants hébergés en centre d’accueil jetés à la rue après le « décret Salvini »

      Suite à l’adoption d’un décret-loi durcissant l’immigration en Italie, vingt-quatre migrants bénéficiant d’un « titre de séjour humanitaire » ont été expulsés d’un centre d’accueil en Calabre, dans le sud de l’Italie. Ce statut ne permet plus d’accéder à un centre d’hébergement. Les associations s’alarment et cherchent des solutions d’urgence.

      En Calabre, dans le sud de l’Italie, le décret anti-immigration de Matteo Salvini, adopté le 28 novembre, a été rapidement appliqué. Deux jours après, 24 migrants ont été expulsés de leur centre d’accueil (CARA d’Isola Capo Rizzuto) à la demande de la préfecture de Crotone, en Italie du sud. Ils ne bénéficiaient plus d’un droit au logement conformément au décret-loi. Pourquoi ? Parce que, selon la nouvelle loi, leur « titre de séjour humanitaire » n’existe plus et ne leur donne plus accès à un toit.

      Le décret du Premier ministre italien supprime en effet le « titre de séjour humanitaire », valable deux ans. Il est désormais remplacé par d’autres permis comme celui de « protection spéciale », d’une durée d’un an, ou « catastrophe naturelle dans le pays d’origine », d’une durée de six mois.

      >> À lire : « Que contient le décret anti-immigration adopté en Italie ? »

      La protection humanitaire était généralement accordée aux personnes qui n’étaient pas éligibles au statut de réfugié mais qui ne pouvaient pas être renvoyées chez elles pour des raisons de sécurité - cela concernait par exemple les homosexuels fuyant des pays aux lois répressives à l’encontre de leur communauté. Au total en 2017, 25 % des demandeurs d’asile en Italie ont reçu un permis de séjour humanitaire, soit plus de 20 000 personnes.

      « Ils se retrouvent sans solution »

      Avec la nouvelle loi, les centres d’accueil sont désormais réservés aux seuls personnes ayant le statut de réfugié et aux mineurs non accompagnés. Autrement dit, les migrants anciennement sous protection humanitaire ne pourront plus y avoir accès, même avec leur nouveau statut.

      « Ces 24 personnes ont reçu un titre de séjour régulier en Italie, mais leur prise en charge dans la première phase d’accueil (CARA) a expiré. Ils se retrouvent donc sans solution », précise à InfoMigrants le père Rino Le Pera, directeur du réseau Caritas dans la province de Crotone.

      Parmi les expulsés, il déplore la présence « d’une famille avec une petite fille de 6 mois (voir photo ci-dessous), d’une jeune femme victime d’exploitation sexuelle, d’une autre ayant subi des violences physiques et d’un homme souffrant de problèmes de santé mentale ».

      « Ce qui se passe ici est fou », dénonce de son côté Franceso Parisi, président de la Croix-Rouge à Crotone, interrogé par le quotidien britannique The Guardian. « Vous ne pouvez pas laisser des personnes vulnérables à la rue. C’est une violation des droits de l’Homme ».

      Prévenus à l’avance de l’expulsion, Caritas et la Croix-Rouge italienne ont réussi à se rendre au CARA d’Isola Capo Rizzuto pour proposer une solution d’hébergement à la famille concernée ainsi qu’aux deux femmes victimes de violences. Quatre migrants ont également été accueillis par une coopérative locale. « Pour ce qui est des autres, nous pensons qu’ils ont pu reprendre la route, ou rejoindre le camp de fortune situé au nord de Crotone, où près d’une centaine de personnes vivent dans des conditions extrêmement précaires sous des tentes », assure le père Rino Le Pera qui s’étonne de la « vitesse » à laquelle les autorités ont mis en oeuvre les nouvelles mesures.

      Les prêtres disposés à « ouvrir les portes des églises »

      « Nous essayons de nous préparer car d’autres expulsions devraient arriver, mais nous ne savons pas quand ce sera, ni combien de personnes exactement vont être concernées », poursuit-il. À Crotone, Caritas a déjà préparé un dortoir pouvant accueillir 20 personnes, une solution « qui ne sera sûrement pas suffisante » concède son directeur.

      Selon l’agence de presse italienne ANSA, environ 200 personnes devraient à leur tour être expulsées du centre d’Isola Capo Rizzuto. À Potenza, dans la région de la Basilicate, le préfet a annoncé au début du mois que les « détenteurs d’une protection humanitaire » devaient être « invités à quitter » les centres d’accueil, rapporte le Guardian. La presse italienne indique encore qu’une dizaine de migrants a reçu l’ordre de quitter leur centre d’accueil à Caserta, en Campagnie. Dans les prochains jours, des centaines de personnes devraient également quitter le CARA de Mineo, en Sicile, le deuxième plus grand centre d’accueil pour migrants en Europe.

      Face à cette situation alarmante, les prêtres italiens ont déclaré la semaine dernière être disposés à « ouvrir les portes des églises de chaque paroisse » aux personnes expulsées des centres d’accueil.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13814/italie-des-migrants-heberges-en-centre-d-accueil-jetes-a-la-rue-apres-

    • Migranti, riforma accoglienza: «In 120 mila destinati a diventare irregolari»

      Fotografa le conseguenze della riforma dell’accoglienza il nuovo report di Oxfam. «Oltre 12 mila migranti con permesso di soggiorno rischiano di restare in strada nelle prossime settimane». L’impatto sui bilanci comunali sarà di 280 milioni euro annui (stima Anci). Le testimonianze.

      Oltre 12 mila migranti vulnerabili, in regola con il permesso di soggiorno, rischiano di restare in strada nelle prossime settimane, mentre nei prossimi 2 anni circa 120 mila persone sono destinate a scivolare nell’irregolarità, tra permessi per motivi umanitari non rinnovati (circa 32.750), non rilasciati (27.300), e pratiche arretrate che saranno esaminate dalle Commissioni Territoriali secondo le nuove disposizioni di legge (70 mila). Fotografia le conseguenze della riforma del sistema di accoglienza il report I sommersi e i salvati della protezione umanitaria, diffuso oggi da Oxfam, in occasione della Giornata internazionale dei diritti dei migranti, attraverso le testimonianze di chi da un giorno all’altro si sta vedendo negare il diritto all’accoglienza e all’integrazione.

      A subire le conseguenze più gravi sono neo-maggiorenni, madri con bimbi piccoli, persone in fuga dall’orrore di guerre, persecuzioni e torture che saranno semplicemente tagliate fuori dal sistema di accoglienza, sottolineano gli osservatoi. «Con un futuro di fronte che, nella migliore delle ipotesi, si presenta pieno di incognite e un percorso di integrazione lasciato a metà. Vittime quasi sempre due volte della disumanità delle politiche migratorie adottate dall’Italia e dall’Europa: prima con l’accordo Italia – Libia e adesso con le politiche introdotte dal Governo». “Su 18mila permessi per protezione umanitaria concessi da gennaio a settembre nel nostro paese, solo una minoranza potrà continuare a seguire un percorso di integrazione virtuoso all’interno dei centri Sprar – ha detto Giulia Capitani, policy advisor per la crisi migratoria di Oxfam Italia - Le Prefetture di tutta Italia nei giorni scorsi hanno inviato agli enti gestori dei Centri di Accoglienza Straordinaria disposizioni per la cessazione immediata dell’accoglienza dei titolari di protezione umanitaria. Migranti vulnerabili sono stati semplicemente gettati in strada, in pieno inverno, senza nessun riguardo per la loro condizione e in totale assenza di soluzioni alternative. Una situazione incredibile da tutti i punti di vista. Ne è riprova la notizia, di queste ore, di una parziale e frettolosa retromarcia del Governo che ha dato “indicazioni verbali” ai Prefetti di sospendere momentaneamente le revoche dell’accoglienza e di attendere una circolare ministeriale in proposito”.

      Oxfam ricorda inoltre che non si stanno interrompendo gli arrivi nel nostro paese, anche in inverno: «Oltre 2 mila da inizio ottobre ad oggi. Persone che, in un sistema di accoglienza che privilegia la gestione puramente emergenziale, andranno ad aggravare la situazione». “Il paradosso è che la nuova legge non aumenterà la sicurezza, né produrrà un risparmio per le casse dello Stato. - sottolinea Alessandro Bechini, direttore dei programmi in Italia di Oxfam - Buttando in strada migliaia di persone si pongono le basi per un drammatico incremento del conflitto sociale, della marginalità, del risentimento, della povertà. Si darà nuova linfa al lavoro nero e alla criminalità organizzata, che avrà gioco facile nel reclutare i più disperati. Allo stesso tempo l’aumento del disagio avrà un enorme impatto sui bilanci comunali, stimato da Anci in ben 280 milioni euro annui. Ebbene di fronte a tutto questo chiediamo con forza di riconsiderare l’approccio definito nella riforma, che di fatto nega i diritti delle persone più deboli, tradendo lo spirito della nostra Costituzione, della Dichiarazione universale dei diritti umani, per la quale si sono accese migliaia di fiaccole in tutta Italia solo qualche giorno fa”.

      Il rapporto raccoglie diverse videotestimonianze. Come quella di Ibrahim Salifu, richiedente asilo accolto da Oxfam in un Centro di accoglienza straordinaria (Cas). Ricorda gli abusi subiti per 7 anni nell’inferno libico: “Quando sono arrivato in Libia sono stato rapito e portato in prigione. Lì le persone ogni giorno vengono picchiate e molti sono stati uccisi davanti ai miei occhi solo perché chiedevano di essere pagati per il lavoro che avevano svolto”. Per i traumi e gli abusi fisici e psicologici di cui è stato vittima, a Ibrahim è stata da poco riconosciuta la protezione umanitaria, ma dopo il 5 ottobre ossia dopo l’entrata in vigore del Decreto immigrazione e sicurezza, da poco convertito in legge: «Rischia nel prossimo futuro di ritrovarsi per strada, perché non potrà più entrare in un Centro di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), dove avrebbe dovuto concludere il suo percorso di integrazione».
      https://www.youtube.com/watch?v=sbFu4tltStg

      E’ inmvece la storia di un’accoglienza forse ancora possibile quella di Beauty Isimhenmhen. “Non mi aspettavo di sopravvivere, né che la mia bambina si salvasse. Per questo l’ho chiamata Miracle…che vuole dire miracolo”. La mamma di 25 anni costretta a fuggire dalle persecuzioni in Nigeria mentre era incinta, ricorda la paura di non farcela, durante il suo viaggio verso l’Italia e l’Europa. La tragedia del suo passaggio obbligato in Libia, durante cui ha perso il marito ed è rimasta sola. Arrivata in Italia al nono mese di gravidanza è riuscita a salvare sua figlia appena in tempo. Oggi sta imparando un lavoro, la lingua, ma famiglie come la sua hanno ancora la possibilità di essere accolte nei centri Sprar, solo perché hanno ottenuto il trasferimento dal Cas in cui si trovavano prima del 5 ottobre, data in cui è entrato in vigore il Decreto immigrazione e sicurezza.

      https://www.youtube.com/watch?v=IUvakCk1w24

      “È un’assurda lotteria dell’accoglienza, che la nuova legge ha aggravato a dismisura. Non si tiene più conto della condizione dei richiedenti asilo, del loro percorso di integrazione. – sottolinea Bechini – Ci sono capitati casi di persone in grande difficoltà – famiglie con bambini piccoli, vittime di torture, ragazzi e ragazze appena maggiorenni - a cui dopo il riconoscimento dello stato di protezione umanitaria è stata revocata la possibilità di entrare nei centri SPRAR, il giorno stesso dell’entrata in vigore del Decreto. Cosa facciamo con queste persone? Le buttiamo per strada? Per noi operatori del settore è una decisione impossibile da prendere”.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/612325/Migranti-riforma-accoglienza-In-120-mila-destinati-a-diventare-irre

    • En supprimant les « titres de séjour humanitaires », Salvini contraint des réfugiés à retourner dans l’illégalité

      Depuis l’adoption du décret-loi durcissant la politique migratoire en Italie, des milliers de migrants devraient perdre leur statut de "protection humanitaire", qui leur permettait de rester légalement en Italie. Des milliers de personnes légales risquent de se retrouver à nouveau sans-papiers, sans travail.

      Le ministre de l’Intérieur et vice-Premier ministre Matteo Salvini, également à la tête de la Ligue (extrême droite) a fait adopter fin novembre, un décret-loi dont la principale mesure est d’abolir les permis de séjour humanitaires. Ce statut était jusque-là accordé aux personnes vulnérables, familles ou femmes seules avec enfants, victimes de traumatismes pendant leur périple vers l’Italie.

      Les conséquences sont graves, s’alarment les ONG d’aide aux migrants. Depuis 2008, plus de 120 000 personnes en ont bénéficié. "Et 40 000 personnes depuis deux ans", rappelle Marine de Haas de la Cimade. Ce statut était valable deux ans et renouvelable.

      Comment la suppression de ces titres de séjour va-t-elle fonctionner ? "C’est au moment de renouveler leur permis humanitaire que les migrants vont perdre leur ‘régularité’ », rappelle Marine de Haas. Les primo-arrivants, eux, n’en bénéficieront plus. "En perdant ce statut légal, beaucoup vont perdre leur logement" et leur accès au marché du travail.

      Ces dernières années et jusqu’en août, les commissions d’asile ont accordé en moyenne le permis humanitaire à 25% des demandeurs. Suite à des consignes de fermeté de Matteo Salvini, elles ont anticipé la fin des permis humanitaires, qui sont passés à 17% en septembre, 13% en octobre et 5% seulement en novembre.

      Expulsion des personnes en situation irrégulière

      Conséquence direct de la perte de ce statut : l’expulsion des centres d’accueil. Le 30 novembre, 24 migrants ont en effet été expulsés de leur structure d’hébergement d’urgence (CARA d’Isola Capo Rizzuto) à la demande de la préfecture de Crotone. "Les personnes qui avaient ce statut humanitaire perdent le droit d’aller dans les centres d’accueil. Elles repassent en situation irrégulière", explique Marine de Haas.

      >> À relire : "En Italie, des migrants hébergés en centre d’accueil jetés à la rue après le ’décret Salvini’"

      Matteo Salvini considère que ces personnes ne sont pas des ‘réfugiés’, "qu’elles doivent être expulsées", précise de son côté Eleonora Camilli, journaliste italienne, spécialiste de l’immigration, contactée par InfoMigrants.

      Pour rester légalement en Italie, les migrants devraient convertir leur "statut humanitaire" en d’autres titres de séjour (séjour pour motif de travail par exemple), une procédure particulièrement complexe. "Ils peuvent aussi demander l’asile, mais vu le contexte politique, peu de dossiers ont de chances d’aboutir", précise Eleonora Camilli, la journaliste italienne.

      La Cimade dénonce "l’hypocrisie" de Matteo Salvini

      La Cimade et la journaliste italienne sont sceptiques face aux résultats de cette politique migratoire. "Les personnes en situation irrégulière ne vont pas être toutes renvoyées" précise encore Eleonora Camilli. "L’Italie n’a pas toujours d’accords de rapatriement avec des pays tiers". En effet, l’Italie dispose d’accords bilatéraux avec 24 pays non-européens pour rapatrier les migrants, mais beaucoup refusent de les reconnaître comme leur concitoyens et refusent de les ré-accepter sur leur territoire. Conséquence : l’Italie n’a procédé qu’à 6 514 reconduites à la frontière en 2017 et il n’est pas garanti que ce chiffre soit atteint cette année.

      Les associations craignent donc une hausse de la clandestinité sur le sol italien. Beaucoup de migrants installés depuis plusieurs mois voire plusieurs années resteront sans doute en Italie, sans papiers. "Nous dénonçons l’hypocrisie de cette politique qui ‘invisibilise’ les migrants, qui les pousse à retourner dans la clandestinité, qui les pousse à se précariser durement", ajoute Marine de Haas.

      >> À relire : "Le bon temps pour les clandestins est fini", affirme Matteo Salvini

      Des associations françaises, comme Tous migrants, redoutent, elles, un pic de départ vers les pays limitrophes de l’Italie. "On s’attend à des arrivées prochaines via les Alpes", a expliqué Michel Rousseau, porte-parole de l’association de Briançon, ville non loin de la frontière italienne. Un avis partagé par Rafael Flichman, de la Cimade. "Des personnes avec un titre humanitaire qui expire dans quelques jours ou quelques mois peuvent décider de partir et de prendre la route vers la France".

      Au total, entre les permis actuels qui ne seront pas renouvelés et ceux qui ne seront plus accordés, le chiffre de "100 000 clandestins en plus est une estimation basse", explique Valeria Carlini, porte-parole du Conseil italien pour les réfugiés (CIR).


      http://www.infomigrants.net/fr/post/13986/en-supprimant-les-titres-de-sejour-humanitaires-salvini-contraint-des-

    • Cambiamenti del “decreto sicurezza e immigrazione”

      Quali sono i cambiamenti principali del decreto sicurezza? Cosa cambierà nel mondo dell’accoglienza? Quali saranno le conseguenze? Le risposte nella nuova infografica di Carta di Roma.

      Approvato in via definitiva alle fine di novembre, il cosiddetto “decreto sicurezza” produce e produrrà i suoi effetti su tutta la filiera dell’immigrazione in Italia: dall’identificazione all’accoglienza, dalle procedure per la protezione internazionale all’integrazione. Nell’infografica che pubblichiamo oggi abbiamo riassunto alcuni punti fondamentali.

      Fine dell’“umanitaria”

      Senza addentrasi troppo nell’analisi della norma, alcuni punti importanti si possono segnalare. Fino all’autunno 2018 l’Italia poteva riconoscere 3 tipi di protezione a chi ne facesse richieste: status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria (qui ne abbiamo dato una sintetica descrizione). Distribuite così a fine novembre: 6467 status di rifugiato, 3888 protezione sussidiaria e 19841 protezione umanitaria. Oggi, la situazione è cambiata.

      Chi ha presentato domanda di protezione internazionale DOPO il 5 ottobre ha due esiti possibili davanti a sé: 1. Se viene riconosciuto il rischio di persecuzione, e gli altri requisiti per lo status di rifugiato, oppure tortura, trattamento inumano e degradante, pena di morte o rischi legati a violenza generalizzata, allora riceverà il permesso per protezione internazionale. 2. E chi godeva della protezione umanitaria in quella fatidica data? Da una parte potrà convertire il permesso in uno per lavoro, altrimenti dovrà tornare davanti a una commissione territoriale per venire valutato secondo la nuova norma. 3. Può ottenere un permesso per casi speciali, per esempio per calamità naturali, per valore civile, per cure mediche, ecc.

      Aumentano gli irregolari?

      Secondo molti osservatori, il cambiamento della normativa avrà l’effetto di aumentare il numero degli irregolari presenti in Italia. Secondo le stime di Matteo Villa, analista dell’Ispi, in due anni e mezzo questi potrebbero crescere fino a quasi 140mila, tra i cosiddetti “diniegati” – coloro che in virtù della nuova legge non hanno ricevuto alcun tipo di protezione – e coloro che non hanno ottenuto il rinnovo in virtù delle modifiche alla norma. In totale 137mila migranti che dal giugno 2018 al dicembre 2020 sarebbero a spasso in Italia in attesa di un rimpatrio che di fatto è impraticabile senza gli accordi necessari con i paesi di provenienza.

      «Il rischio di un’esplosione del numero degli irregolari è concreto, tuttavia io invito a essere molto cauti con le stime» nota Francesco Di Pietro, avvocato e membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. «La situazione è in evoluzione, leggiamo sui giornali di questi giorni di “stop alle espulsioni” e le cronache riportano i casi di famiglie lasciate per strada che devono essere tutelate e dovranno in qualche modo poter rientrare in qualche programma di protezione». È il caso dei migranti del Cara di Mineo o di Crotone e di molte famiglie ospitate in varie regioni italiane che sarebbero dovute uscire dalle strutture di accoglienza e che, per ora, hanno visto bloccato il provvedimento.

      C’è un altro aspetto che dovrebbe calmierare, almeno parzialmente, l’aumento di irregolari. Coloro che hanno in mano il permesso umanitario hanno diritto a convertire quel permesso in uno di lavoro. «Tuttavia – nota Di Pietro – il rischio molto concreto con la nuova normativa è che si possa creare un mercato di permessi di lavoro fittizi, finte occupazioni che garantirebbero la permanenza nel nostro paese».

      Cambiano gli Sprar

      Il sistema Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è stato in questi anni un fiore all’occhiello dell’accoglienza in Italia. Nel luglio 2018 aveva 35.881 posti assegnati (dai 25 in Valle d’Aosta agli oltre 4mila del Lazio e ai quasi 5mila della Sicilia) in 654 comuni italiani pari a 877 progetti in corso. Con la nuova norma firmata Salvini le cose cambiano. Con la scomparsa della protezione umanitaria, gli ospiti dei piccoli centri di accoglienza saranno solo i titolari di protezione internazionale (quindi asilo e sussidiaria) e i minori non accompagnati. Quindi niente più richiedenti asilo che rimarranno nei Cara e nei Cas fino alla decisione.

      https://www.cartadiroma.org/news/in-evidenza/cambiamenti-del-decreto-sicurezza-e-immigrazione/amp/?__twitter_impression=true

    • No way back: New law adds pressure on asylum seekers in Italy

      Over the last five years, some two million migrants and refugees have made it from the north coast of Africa by sea to the perceived promise and safety of Europe. Almost 650,000 people have survived the longest, most dangerous crossing via the central Mediterranean to Italy.
      Saidykhan fled difficult conditions in his home country in 2016, hoping to find a better life in Italy. But things have not been easy. The recent repeal of two-year “humanitarian protection” status for a broad class of asylum seekers leaves people like him even more vulnerable.
      From 2015 to 2017, almost 26,000 Gambians sought asylum in Italy. Under the old law, those who didn’t immediately qualify for asylum could still stay in Italy for a certain period and receive some social benefits. But the rules were tightened late last year to include only victims of human trafficking, domestic violence, and other very specific criteria.

      Prominent Italians, including the mayors of Milan and Naples, have publicly opposed the new measures on ethical grounds, while the governors of Tuscany and Piedmont have said they will challenge them in court.

      But dozens of migrants and asylum seekers have already been evicted from state-organised housing, and thousands more remain concerned. Unwilling to return home and unable to build a future in Italy, they fear they may end up on the street with no access to services or support.

      https://www.irinnews.org/video/2019/01/08/no-way-back-new-law-adds-pressure-asylum-seekers-italy

    • En supprimant les « titres de séjour humanitaires », Salvini contraint des réfugiés à retourner dans l’illégalité

      Depuis l’adoption du décret-loi durcissant la politique migratoire en Italie, des milliers de migrants devraient perdre leur statut de "protection humanitaire", qui leur permettait de rester légalement en Italie. Des milliers de personnes légales risquent de se retrouver à nouveau sans-papiers, sans travail.

      Le ministre de l’Intérieur et vice-Premier ministre Matteo Salvini, également à la tête de la Ligue (extrême droite) a fait adopter fin novembre, un décret-loi dont la principale mesure est d’abolir les permis de séjour humanitaires. Ce statut était jusque-là accordé aux personnes vulnérables, familles ou femmes seules avec enfants, victimes de traumatismes pendant leur périple vers l’Italie.

      Les conséquences sont graves, s’alarment les ONG d’aide aux migrants. Depuis 2008, plus de 120 000 personnes en ont bénéficié. "Et 40 000 personnes depuis deux ans", rappelle Marine de Haas de la Cimade. Ce statut était valable deux ans et renouvelable.

      Comment la suppression de ces titres de séjour va-t-elle fonctionner ? "C’est au moment de renouveler leur permis humanitaire que les migrants vont perdre leur ‘régularité’ », rappelle Marine de Haas. Les primo-arrivants, eux, n’en bénéficieront plus. "En perdant ce statut légal, beaucoup vont perdre leur logement" et leur accès au marché du travail.

      Ces dernières années et jusqu’en août, les commissions d’asile ont accordé en moyenne le permis humanitaire à 25% des demandeurs. Suite à des consignes de fermeté de Matteo Salvini, elles ont anticipé la fin des permis humanitaires, qui sont passés à 17% en septembre, 13% en octobre et 5% seulement en novembre.

      Expulsion des personnes en situation irrégulière

      Conséquence direct de la perte de ce statut : l’expulsion des centres d’accueil. Le 30 novembre, 24 migrants ont en effet été expulsés de leur structure d’hébergement d’urgence (CARA d’Isola Capo Rizzuto) à la demande de la préfecture de Crotone. "Les personnes qui avaient ce statut humanitaire perdent le droit d’aller dans les centres d’accueil. Elles repassent en situation irrégulière", explique Marine de Haas.

      >> À relire : "En Italie, des migrants hébergés en centre d’accueil jetés à la rue après le ’décret Salvini’"

      Matteo Salvini considère que ces personnes ne sont pas des ‘réfugiés’, "qu’elles doivent être expulsées", précise de son côté Eleonora Camilli, journaliste italienne, spécialiste de l’immigration, contactée par InfoMigrants.

      Pour rester légalement en Italie, les migrants devraient convertir leur "statut humanitaire" en d’autres titres de séjour (séjour pour motif de travail par exemple), une procédure particulièrement complexe. "Ils peuvent aussi demander l’asile, mais vu le contexte politique, peu de dossiers ont de chances d’aboutir", précise Eleonora Camilli, la journaliste italienne.

      La Cimade dénonce "l’hypocrisie" de Matteo Salvini

      La Cimade et la journaliste italienne sont sceptiques face aux résultats de cette politique migratoire. "Les personnes en situation irrégulière ne vont pas être toutes renvoyées" précise encore Eleonora Camilli. "L’Italie n’a pas toujours d’accords de rapatriement avec des pays tiers". En effet, l’Italie dispose d’accords bilatéraux avec 24 pays non-européens pour rapatrier les migrants, mais beaucoup refusent de les reconnaître comme leur concitoyens et refusent de les ré-accepter sur leur territoire. Conséquence : l’Italie n’a procédé qu’à 6 514 reconduites à la frontière en 2017 et il n’est pas garanti que ce chiffre soit atteint cette année.

      Les associations craignent donc une hausse de la clandestinité sur le sol italien. Beaucoup de migrants installés depuis plusieurs mois voire plusieurs années resteront sans doute en Italie, sans papiers. "Nous dénonçons l’hypocrisie de cette politique qui ‘invisibilise’ les migrants, qui les pousse à retourner dans la clandestinité, qui les pousse à se précariser durement", ajoute Marine de Haas.

      >> À relire : "Le bon temps pour les clandestins est fini", affirme Matteo Salvini

      Des associations françaises, comme Tous migrants, redoutent, elles, un pic de départ vers les pays limitrophes de l’Italie. "On s’attend à des arrivées prochaines via les Alpes", a expliqué Michel Rousseau, porte-parole de l’association de Briançon, ville non loin de la frontière italienne. Un avis partagé par Rafael Flichman, de la Cimade. "Des personnes avec un titre humanitaire qui expire dans quelques jours ou quelques mois peuvent décider de partir et de prendre la route vers la France".

      Au total, entre les permis actuels qui ne seront pas renouvelés et ceux qui ne seront plus accordés, le chiffre de "100 000 clandestins en plus est une estimation basse", explique Valeria Carlini, porte-parole du Conseil italien pour les réfugiés (CIR).

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13986/en-supprimant-les-titres-de-sejour-humanitaires-salvini-contraint-des-

    • GDB: Profughi, a #Brescia 1300 “in strada” e 250 giovani licenziati

      “Insieme a queste persone alle quali non verrà riconosciuta alcuna forma di protezione – il permesso umanitario, prima dell’entrata in vigore della legge, veniva rilasciato al 40% circa dei richiedenti – rimarranno senza lavoro anche 250 operatori dei Cas e degli Sprar. Italiani giovani e qualificati.
      Le 118 persone che vengono espulse in questi giorni dai Centri di accoglienza straordinaria sono in possesso di un permesso di soggiorno umanitario, che può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro. E proprio in questi giorni, come funghi, sono spuntati sedicenti datori di lavoro che, in ambio di denaro – dai 400 ai mille euro – stipulano falsi contratti di lavoro. La questura, tuttavia, per convertire il permesso, verifica che esista un contratto reale e, non trovandolo, ovviamente non procede alla conversione. Per i migranti, la beffa è doppia.
      Per “attenuare l’impatto sociale della legge sicurezza” alcuni rappresentanti delle realtà che nella nostra provincia in questi anni si sono occupati di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, sia nell’ambito dei progetti Sprar sia nella gestione dei Cas stanno valutando un coordinamento tra società civile ed enti locali.”

      http://www.adl-zavidovici.eu/profughi-brescia-strada

    • Italy evicts more than 500 people from refugee centre

      Move is first major eviction since rightwing government enacted hardline migration law.
      A further 75 were removed on Wednesday, with the remaining 430 to be evicted before the centre’s closure on 31 January.


      https://www.theguardian.com/world/2019/jan/23/italy-evicts-more-than-500-people-refugee-centre-near-rome

      #Castelnuovo_di_Porto

    • Uncertain future for refugees after Italy shuts asylum centre

      Funding cuts led to imminent closure of Italy’s second-largest centre for asylum seekers amid local protests.

      The eviction of refugees from Italy’s second-largest centre for asylum seekers has continued for a second day amid protests from locals and opposition politicians over the way the transfers are being carried out.

      The reception centre is located in Castelnuovo di Porto, a town near Rome, and the vast majority of the 540 people there are asylum seekers, including women and children.

      The centre, chosen by the pope in 2016 for the traditional Holy Thursday mass, in which the pontiff performs a foot-washing ceremony, is due to close by the end of the month following funding cuts.

      The evictions began on Tuesday when 30 people were taken away and another 75, including 10 women, were seen getting on buses on Wednesday without any knowledge of where they were headed.

      According to UN’s refugee agency, UNHCR, at least 10 people who hold “humanitarian protection” permits will be left without a roof over their heads.

      The recently passed “Salvini law” cracks down on asylum rights by abolishing such permits - issued to people who did not qualify for refugee status but were deemed as vulnerable - and barring those who hold them from receiving aid.

      The law is set to leave thousands of people undocumented and without rights in the next two years.

      Other centres across Italy are set to close in the coming months as well, including Italy’s largest in Mineo, Sicily.

      Observers have criticised the way the government decided to carry out the transfers by sending in the police and the army with barely 48 hours of notice, and without prior coordination with the local authorities or the cooperative running the centre.

      The transfers to other areas of the country will inevitably disrupt the lives of asylum seekers, some of whom have lived in Castelnuovo for over a year.

      They will also affect asylum applications that must be reviewed by local commissions.

      “Fourteen children will have to interrupt their school year,” UNHCR’s spokesperson for southern Europe, Carlotta Sami, told Al Jazeera.

      “There’s no clarity on where they will be taken and what will happen to hundreds of asylum applications that were being examined by the local commission.”

      More than 100 people, who were employed at the centre as language teachers or psychologists, are also set to lose their jobs.

      The centre had been open for over a decade, hosting at one stage up to 1,000 people.

      “The centre had become an integral part of Castelnuovo di Porto,” the town’s mayor, Riccardo Travaglini, told a local newspaper.

      “I’m not saying the centre shouldn’t be closed, but it should have been coordinated. Castelnuovo has been at the forefront of this emergency for 10 years, 8,000 people came through here. Some respect was due to a community that has done much not only for Italy, but for Europe as well.”

      Trade unions have scheduled protests to take place on Thursday. Some locals, including the town’s mayor, took part in a silent march on Tuesday to protest the closure of what many considered a model centre.

      Italy’s interior minister and Deputy Prime Minister Matteo Salvini defended the eviction, arguing that a drop in arrivals had freed places in other centres across the country.

      “It is a question of common sense and good administration that will save Italians six million euros a year, without taking away the rights of anyone,” Salvini told a local radio station.

      “All the guests who have the right to, will be transferred with as much generosity and with as many rights to other structures,” he said in a Facebook Live video.


      https://www.aljazeera.com/news/2019/01/uncertain-future-refugees-italy-shuts-asylum-centre-190123182046502.html

    • Chiusura del C.A.R.A. di Castelnuovo di Porto: il commento del Tavolo asilo

      Con un comunicato ufficiale le organizzazioni che compongono il Tavolo Asilo nazionale esprimono sconcerto e indignazione per la modalità con cui è gestita la chiusura del secondo centro più grande d’Italia.

      Tra i punti evidenziati nella nota stampa, il “brevissimo preavviso” dato agli oltre 300 persone ospiti del centro, tra cui 14 minorenni.

      I primi trasferimenti fuori regione, iniziati il 22 gennaio, non prevedono dei percorsi d’inclusione, scolastici, lavorativi e di formazione già intrapresi. Tra gli ospiti del centro, inoltre, ci sono uomini e donne ai quali, a causa del trasferimento, sarà impedito di proseguire i percorsi di riabilitazione e di cura per le violenze subite in Libia.

      Un altro punto critico legato alla decisione di chiudere il centro di Castelnuovo è legato all’accoglienza: sono circa 150 i titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari ai quali la legge non garantisce alcuna soluzione alternativa e che rischiano di finire nella marginalità, lasciati per strada, tra questi diversi vulnerabili. Spiace costatare che ancora una volta non è tenuto in alcuna considerazione l’interesse delle persone e delle comunità coinvolte.

      “Facciamo appello al Presidente del Consiglio, al Governo e al Parlamento, oltre che alle istituzioni locali – conclude il comunicato – affinché sia garantita a tutte le persone coinvolte una valutazione individuale dei percorsi di integrazione avviati ai fini del trasferimento in strutture nel territorio e non fuori regione; che sia garantita a tutti i minorenni iscritti a scuola la continuità del percorso di istruzione e che nessuno sia lasciato per strada“.

      Amnesty International Italia aderisce al Tavolo asilo nazionale insieme a: A Buon Diritto, ACLI, ActionAid, ARCI, ASGI, Associazione Papa Giovanni XXIII, Casa dei Diritti Sociali, Centro Astalli, CIR, CNCA, Comunità di Sant’Egidio, Emergency, Federazione Chiese Evangeliche in Italia, Intersos, Legambiente, Mèdicins du Monde Missione Italia, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Oxfam Italia, Save the Children, Senza Confine del Tavolo Asilo Nazionale.

      https://www.amnesty.it/chiusura-del-c-r-castelnuovo-porto-commento-del-tavolo-asilo

    • Castelnuovo di Porto, «non difendiamo i grandi centri, ma così è inumano»

      Secondo giorno di trasferimenti. Tensione nella mattinata quando la parlamentare Rossella Muroni ha bloccato uno dei pullman. Il sindaco: «Notizie solo dalla stampa, nessuna comunicazione ufficiale. Noi per primi abbiamo chiesto superamento del Cara ma non accettiamo queste modalità». Il parroco: «Poco dignitoso, si pensa ai soldi e non alle persone»

      ROMA - Lamin ha 24 anni e arriva dal Gambia. Da due anni vive nel Cara di Castelnuovo di Porto, ha frequentato un corso sui materiali edili a basso impatto ambientale e iniziato uno stage in una fabbrica a Roma. Domani un pullman, che lo porterà nelle Marche, interromperà questo percorso: “Non so niente di più, non mi hanno detto niente”, racconta da dietro la rete di recinzione che separa gli ospiti di Castelnuovo di Porto dai giornalisti, arrivati per raccontare il secondo giorno di trasferimenti voluti da Viminale, da uno dei Cara più grandi in Italia. Lamin, saluta gli amici che salgono sul pullman che partirà oggi con destinzaione Ancona, poi torna verso la rete: “Mi dispiace, eravamo diventati amici. E’ tutto molto triste”.

      I trasferimenti sono iniziati ieri e continueranno per tutta la settimana. Stamattina uno dei pullman con 30 persone a bordo è stato fermato dalla parlamentare di Leu, Rossella Muroni: “Voglio sapere dove vanno queste persone, se sono state prese in considerazione le loro esigenze”, ha detto mettendosi davanti il mezzo, poco dopo la partenza. Il pullman è rientrato nel centro, tra gli applausi delle persone presenti. Poi, dopo circa un’ora è ripartito. “Ho chiesto solo di sapere la destinazione delle persone: da quanto ci è stato detto alla cooperativa è stata fatta solo una suddivisione numerica, ma qui ci sono anche casi vulnerabili e famiglie. Non voglio discutere la legittimità dei trasferimenti - spiega - voglio che siano fatti da paese civile, nel rispetto delle persone. Su ogni pullman che parte ci sono delle storie, che vanno rispettate e tenute in considerazione”.

      Il terzo pullman parte intorno alle 12. Il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini dice di aver appreso della chiusura del centro, gestito dalla cooperativa Auxilium, dagli organi di stampa. “Non siamo stati avvisati ufficialmente né dal prefetto né dal ministero degli Interni - afferma -. Non c’è stato nessun passaggio formale, il ministro Salvini continua a dire che è una scelta che si basa sul risparmio dell’affitto, ma queste persone erano inserite nel tessuto sociale, non si può parlare solo di soldi ma si dovrebbe parlare di valore culturale e sociale, di integrazione. Noi per primi abbiamo detto che il Cara andava superato, non siamo qui a difendere i grandi centri, ma non accettiamo questo tipo di modalità che non tiene conto delle persone - aggiunge -. La scelta non è stata concertata con l’ente locale, noi avevamo fatto anche richiesta per lo Sprar e per un’accoglienza in piccoli numeri”. Anche secondo il parroco della chiesa di Santa Lucia, Josè Manuel Torres, quello che sta succedendo a Castelnuovo di Porto è “poco dignitoso”. “Si tronca un cammino di promozione umane e di integrazione - sottolinea -. Qualcuno di loro aveva iniziato a lavorare, un ragazzo la prossima settimana ha l’esame della patente, un altro mi ha chiesto di portare i documenti al suo avvocato perché non sa dove va a finire. Questo modo brusco non condivisibile, non c’è nessun dialogo. Si parla solo di soldi, non si pensa alle persone”.

      Davanti al centro in presidio anche diversi lavoratori che ora rischiano il posto di lavoro. Gli operatori mercoledì saranno in sit-in sotto il ministero dello Sviluppo economico. Rispetto agli ospiti presenti, per ora i trasferimenti riguardano circa 300 persone sulle 500 presenti. 20 persone in possesso della protezione umanitaria non verranno accolte “finiranno in strada - dicono gli operatori - le faranno uscire quando si saranno spente le telecamere. Delle altre 180 che resteranno nella struttura non sappiamo niente”. Dopo i primi trasferimenti, che hanno riguardato solo gli uomini, nei prossimi giorni verranno spostati anche i nuclei familiari. Le regioni di destinazione sono Albruzzo, Basilicata, Molise, Campania, Marche, Piemonte, Lombardia, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna. (Eleonora Camilli)

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/616619/Castelnuovo-di-Porto-non-difendiamo-i-grandi-centri-ma-cosi-e-inuma

    • The New Irregulars in Italy

      After the spike in irregular migration to Europe in 2014-2017, many Western European countries have started to restrict the rights they grant to asylum seekers. Sweden tightened its laws already in 2016. In early 2018, France also adopted restrictive asylum laws. And this December, news broke that Denmark is planning to confine rejected asylum seekers to a remote island.

      But what happens when a government lowers the level of protection for asylum seekers, especially if it is unable to increase returns of migrants to their countries of origin? The answer seems straightforward: an increase in undocumented migrants stuck in the country. That is precisely what is probably going to happen in Italy over the next two years.

      Long story short. Between June 2018 and December 2020, the number of irregulars in Italy will increased by at least 140,000. Part of this increase (about 25,000) has already happened over the past months. But much of it is expected to take place between today and end-2020.

      In a “baseline scenario” in which Italy retained its three layers of international protection (refugee status, subsidiary protection, and humanitarian protection), irregulars in Italy would rise by around 60,000. But an October 2018 decree-law (now converted into law) is estimated to add another 70,000 irregular migrants to the baseline scenario, more than doubling the number of new irregulars in Italy. At the current rate, returns of irregular migrants to their countries of origin will only marginally limit such an increase.

      This means that, by 2020, the number of irregular migrants in Italy may exceed 670,000. This is more than double the number of irregular migrants that were estimated to be in Italy just five years ago, which was lower than 300,000. It is also the second highest figure ever, second only to the 750,000 irregulars estimated to be present in the country in 2002.

      For a quick snapshot, see this figure:

      Still here? Great, then you are interested in the longer version. Here you go!

      In early October, the Italian government introduced a decree-law (Decreto-Legge n. 113, 4 October 2018) that was converted into law in early December (Legge n. 132, 1 December 2018). Among other things, the law does away with one of three layers of protection for asylum seekers in Italy.

      Before the decree-law entered into force, the Italian system of protection offered three layers of protection:

      a. Refugee status. Resulting directly from the 1951 Geneva Convention, the status is assigned to asylum seekers who can make the case they have a well-founded fear of being personally persecuted “for reasons of race, religion, nationality, membership of a particular social group or political opinion” (art. 1 of the Convention). To these, two EU Directives have added persecutions for reasons of gender and sexual orientation.

      b. Subsidiary protection. Resulting from EU legislation, it is a second, EU-wide layer of protection. It applies to people who, while not qualifying as refugees, “would face a real risk of suffering serious harm” if they returned to their country of origin. This includes the risk of death penalty or execution, the risk of torture or inhumane treatment, and the risk of threat of life by reasons of indiscriminate violence during an armed conflict.

      c. Humanitarian protection. This is the third layer of protection, legislated at national level. Many EU countries have alternative forms of protection after refugee and subsidiary protection, but they vary widely across Europe. In Italy, “humanitarian protection” is used as a residual category, and this protection was attributed for different and quite discretionary reasons, ranging from health issues to harsh economic conditions in the applicants’ country of origin. The maximum length of the residence permit tied to humanitarian protection is two years.

      The current Italian government has decided to abolish humanitarian protection. The rationale behind this change is that, the government believes, the humanitarian protection layer was too benevolent towards irregular migrants who filed an asylum application. In its place, the government introduced six “special cases” (see table below).

      Despite this seemingly vast range of cases, in practice the new “special cases” will probably be applicable to a very small minority of those who were granted humanitarian protection beforehand. On the one hand, it may take some time before the Italian protection system adjusts to a new context in which one layer of protection is almost entirely missing. On the other hand, provisional data seems to point to a scenario in which “special cases” will be very marginal. In the first two months of application of the decree law, humanitarian protection rates dropped from 25% in the previous months, to 12% in October and to just 5% in November.

      To assess the effect of the disappearance of humanitarian protection in Italy on the presence of irregular foreigners, I made some quick simulations.

      Clearly, I have to make some assumptions:

      1. No new irregular entries or overstays. I assume that, between today and December 2020, nobody else will enter Italy irregularly, either by sea, by land or by air, and will therefore not apply for asylum. Also, I assume that no one entering regularly in Italy will overstay their visa. This is highly unrealistic. To stick to asylum applications, this November around 3,800 people applied for asylum in Italy, and while this is a much lower number than the average 11,000 per month that applied for asylum in 2017, it would still amount to almost another 100,000 new asylum seekers between here and December 2020. However, as sea arrivals have remained very low in Italy since mid-July 2017, the volatility of such estimates would be tricky to incorporate into my simulations. Also, these persons would still need to have their asylum request processed before becoming irregulars, so that they may still be regularly residing in Italy as asylum seekers by end-2020. Ultimately, this assumption will lead me to underestimate the number of irregular migrants in Italy in the near future.

      2. No irregular migrant leaves Italy. This is an unrealistic assumption as well. But, again, it is hard to estimate how many irregular migrants would leave Italy in a two-year timeframe, especially as border countries in Europe continue to find ways to suspend Schengen rules and tightly control their borders. By official accounts, over the past year more migrants have been intercepted crossing from Austria into Italy than in the opposite direction. Despite this, we could say that this could lead to an overestimate of the number of irregular migrants in Italy in the near future.

      3. Protection rates remain the same as in recent past (bar the policy change eliminating humanitarian protection). This is realistic, as protection rates have remained remarkably stable in the past three years.

      4. Return rates do not improve substantially. This is realistic: despite electoral promises of rapidly increasing returns of irregulars to their countries of origin, in the first six months of the Conte government, returns have been 20% lower than during the same period of 2017.

      For this simulation, I first need to split the June 2018 – December 2020 period into two time windows: the first is the past, between June and end-October 2018. In this period, about 26,000 asylum seekers in Italy were denied protection, thus becoming irregulars. Meanwhile, just 2,165 persons were returned to their countries of origin. The result is that irregulars in Italy increased by almost 24,000.

      I can now turn to the present and future, during which humanitarian protection is being eliminated: November 2018 – December 2020. For my baseline scenario, recall that, in the past three years, about 55% of asylum applicants have been denied protection in Italy. In the face of this, as of October 2018, Italy had 107,500 pending asylum applications. This means that just short of 60,000 of these persons will likely become irregulars in the country, even before any policy change. Therefore, this estimate will act as my baseline.

      I can then contrast the baseline with the estimated effects of the policy change. The abolition of humanitarian protection will have two effects:

      a. Asylum seekers whose request is still pending will no more be able to receive a humanitarian protection, and will be at a higher risk of having their application denied, thus becoming irregulars;

      b. Current beneficiaries of humanitarian protection will not be able to renew their protection, thus becoming irregulars.

      With regards to (a), in the months before the start of the current government, about 28% received the humanitarian protection. So, out of the pending 107,500 cases, a bit more than 30,000 would have received a humanitarian protection in the baseline scenario, but will now see their application rejected, becoming irregulars.

      As to (b), it is not possible to know with certainty how many persons are currently benefitting from humanitarian protection. However, given that this protection usually lasted two years, and that it could be renewed, a conservative estimate is to consider as beneficiaries all those persons that were granted humanitarian protection over the past two years. They amount to just short of 40,000. All these persons will not be able to renew their humanitarian protection once it expires, and will therefore become irregulars in Italy within the next two years.

      By adding (a) and (b) together, I arrive at 69,751. Therefore, about 70,000 persons are at risk of becoming irregulars in Italy by end-2020 due to the elimination of humanitarian protection. Compared to my baseline estimate of 60,000 new irregulars by 2020, this is a more than doubling in numbers.

      Finally, to get to the full number of new irregulars in Italy by end-2020, I need to subtract those migrants that will be probably returned to their countries of origin. As stated above, in the first 6 months, returns under the current government have been 20% lower than the same period last year.

      The full picture is summarized here:

      To get a sense of what this means for the total number of irregulars in Italy, take a look at the figure below, which is based on estimates by ISMU. Irregular foreigners in Italy had been declining between 2010-2013, but the increase in sea arrivals and in (rejected) asylum applications have reversed the trend between 2013 and today. ISMU estimates that, on 1 January 2018, irregular foreigners in Italy were around 530,000.

      In the baseline scenario, the number of irregulars in Italy would increase again, to around 600,000 in two years. But the abolition of humanitarian protection will bring it to around 670,000 by 2020. The latter is equivalent to a 26% increase from 2018 numbers.

      In absolute terms, 670,000 is not a totally unprecedented number. Similar figures have been reached or exceeded in 2002, 2006, and 2008. When this happened, however, the Italian governments of the time decided to proceed with mass regularizations: in 2002-2003, about 700,000 foreigners were regularized; in 2006, regularizations hovered at around 350,000; and, in 2009, they numbered 300,000. The rationale behind regularizations is that irregular foreigners can only make it through the day by relying on illegal employment or criminal activities, and are also exposed to much higher levels of marginalization. This is also why irregularity is associated with very high crime rate proxies.

      It is time to ask: when will the next mass regularization in Italy take place?

      https://www.ispionline.it/en/publication/new-irregulars-italy-21813

      #statistiques #chiffres #renvois #expulsions

    • Rome veut définitivement faire disparaître le camp de San Ferdinando en Italie

      Le bidonville de San Ferdinando dans le sud de l’Italie a été démantelé à grands renforts de bulldozers mercredi 6 mars. Près d’un millier de personnes y avaient élu domicile. Le gouvernement veut à tout prix éviter que le campement se reforme comme c’est le cas régulièrement.

      Le campement de San Ferdinando, en Calabre dans l’extrême sud de l’Italie, est connu des autorités depuis des années. Régulièrement démantelé, il se reforme à chaque fois accueillant des migrants dans une extrême précarité dont beaucoup ont un travail saisonnier, parfois au noir, dans les exploitations agricoles de la région.

      Mais cette fois-ci, c’est la bonne, à en croire Matteo Salvini, le ministre italien de l’Intérieur et patron de la Ligue (extrême droite antimigrants). Près d’un millier de migrants ont ainsi été évacués mercredi matin dans le calme et leurs baraquements de fortune détruits par des bulldozers. "Comme promis [...] nous sommes passés des paroles aux actes", a réagi l’homme fort du gouvernement populiste italien précisant que 600 policiers et 18 autocars avaient été dépêchés sur place.

      Bien que Matteo Salvini ait promis le relogement des migrants dans des centres d’accueil, plusieurs d’entre eux interrogés mercredi après le démantèlement par les médias locaux ne semblaient pas savoir où ils seraient conduits et où ils passeraient la nuit. Le Premier ministre s’est contenté de répondre, toujours sur Twitter, qu’il se félicitait de parvenir à “soustraire [ces migrants] de la mafia et de la criminalité en les répartissant dans des structures plus petites et contrôlables, ainsi qu’en accroissant la transparence” de sa politique migratoire.

      Les problèmes sécuritaires étaient très courant dans le bidonville de San Ferdinando. Quatre migrants y ont trouvé la mort, assassinés ou morts dans des incendies accidentels ou volontaires, depuis un an, souligne l’association Médecins pour les droits de l’Homme, présente sur place depuis des années. C’est d’ailleurs la mort d’un Sénégalais de 29 ans, Moussa Ba, qui avait conduit les autorités italiennes à ordonner une nouvelle fois la démolition de ce bidonville.

      Une mesure qui ne répond pas au problème, selon les associations de défense. Médecins pour les droits de l’Homme estime que cette "énième" évacuation a été menée "sans prendre en considération ni les droits individuels de ces travailleurs migrants, ni les engagements pris par les institutions et associations régionales et locales en faveur d’actions à long terme destinées à favoriser (leur) insertion sociale".

      Sur les réseaux sociaux, de nombreux citoyens et militants ont aussi fait part de leur colère estimant que les bulldozers n’allaient rien changer au fait que ces migrants évacués étaient bien souvent exploités par des patrons du secteur agricole. "Se débarrasser du bidonville n’est pas la solution, mais plutôt le moyen le plus simple [pour le gouvernement] d’obtenir des votes. Et dans tout ça, personne ne combat les exploiteurs", dénonce ainsi Angelo, un militant actif sur Twitter, vidéo à l’appui.

      La préfecture de Reggio Calabria a assuré de son côté qu’elle prendrait toutes les mesures nécessaires pour empêcher la reconstruction de ce bidonville, qui certaines années a accueilli jusqu’à 5 000 personnes.

      Attirés par le travail saisonnier, des centaines de migrants ont pris l’habitude depuis des années de s’installer dans cette région agricole de la Calabre. La Coldiretti, principal syndicat agricole italien, a d’ailleurs lancé mardi un appel aux autorités pour qu’ils autorisent rapidement l’entrée de travailleurs étrangers en Italie, en raison de l’avancement de la date de certaines récoltes après des températures inhabituellement élevées.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/15573/rome-veut-definitivement-faire-disparaitre-le-camp-de-san-ferdinando-e

    • Il decreto sicurezza fa aumentare i migranti senza fissa dimora, minando la sicurezza di tutti, dei migranti e delle nostre città.

      Nessun supporto per chi aveva un permesso umanitario e ora deve lasciare i Centri. La situazione descritta nel terzo lavoro di monitoraggio dell’Osservatorio dell’associazione Naga, che garantisce assistenza a cittadini stranieri.

      L’impatto maggiore del decreto Salvini sulla sicurezza varato dallo scorso governo legastellato è quello dell’aumento dei senza fissa dimora. Sì, perché attraverso il taglio dei fondi ai progetti dei centri di accoglienza, ovvero passando dai tanto famigerati 35 euro a un massimo di 19- 26 euro, si risparmia tantissimo sugli alloggi. Nessun supporto è previsto per coloro che sono costretti a lasciare i centri, ad esempio le persone che avevano un permesso umanitario e che da un giorno all’altro si ritrovano senza più diritto all’accoglienza e quindi per strada.

      Questo meccanismo è fortemente patogeno: ritrovarsi per strada comporta i rischi e il degrado psico-fisico che ben si conoscono dagli studi sui senza fissa dimora, riscontrati anche tra i migranti nelle stesse condizioni. In generale, le persone che chiedono asilo arrivano in buona salute, fatte salve le conseguenze delle torture e delle privazioni subite durante i vari episodi di prigionia e lavoro forzato a cui sono stati sottoposti lungo il viaggio per arrivare in Italia.

      Ciò è conosciuto come il cosiddetto «healthy migrant effect»: partono le persone più sane, con più probabilità di farcela. Una volta arrivate si scontrano con quello che la ex primo ministro britannica Theresa May chiamò nel 2012 «hostile enviromnent», cioè condizioni che scoraggiano l’integrazione di una data popolazione in un determinato ambiente.

      Da qui le condizioni di alloggio spesso proibitive, i lavori precari, saltuari e senza forme di protezione, la salute che via via si deteriora. Senza contare l’impatto psicologico dato dall’isolamento e dalla mancanza dei legami familiari, le conseguenze fisiche ancora attuali e lo stress delle torture subite e l’incertezza per le lungaggini nell’ottenere un permesso di soggiorno pur non definitivo.

      Allo stato attuale, se un migrante è senza alloggio è un «senza fissa dimora» e dunque non può avere una residenza. Senza certificato di residenza non può trovare un lavoro regolare. Senza un lavoro regolare non può pensare di poter affittare regolarmente una casa, o nemmeno una stanza. È in una situazione senza vie d’uscita descritta dal terzo lavoro di monitoraggio e analisi compiuto dall’Osservatorio del Naga, un’associazione composta da numerosi volontari che garantiscono assistenza sanitaria, legale e sociale gratuita a cittadini stranieri irregolari e non, a rom, sinti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tortura, oltre a portare avanti attività di formazione, documentazione e lobbying sulle Istituzioni.

      Tale lavoro ha come obiettivo di comprendere i cambiamenti nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati con particolare attenzione all’area di Milano in cui il Naga opera dal 1987. E, infatti, proprio a Milano sarebbero almeno 2.608 i senza fissa dimora. I volontari e le volontarie del Naga hanno visitato nel corso della ricerca diverse tipologie di insediamenti informali (strutture coperte abbandonate, spazi all’aperto, palazzine abbandonate e giardini pubblici) per fornire un identikit delle persone fuori dal sistema di accoglienza e restituire una fotografia di queste marginalità.

      Le persone incontrate hanno provenienze diverse e status giuridici eterogenei: da stranieri in attesa o nell’iter di formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, a titolari di protezione, a stranieri con permesso di soggiorno in corso di validità, a cittadini italiani.

      Il minimo comune denominatore sembra essere l’instabilità abitativa, la precarietà occupazionale e salariale e la quasi totale assenza di tutele. Per quanto riguarda chi si trova al di fuori dell’accoglienza, il report descrive anche le risposte istituzionali, che si concretizzano prevalentemente in interventi numericamente insufficienti a favore dei senza fissa dimora e nella pratica costante degli sgomberi senza soluzioni alternative e giustificati dalla retorica della sicurezza e del decoro.

      https://www.diritti-umani.org/2019/12/il-decreto-sicurezza-fa-aumentare-i.html?m=1

    • Imposta l’estromissione dal sistema d’accoglienza dei titolari di protezione umanitaria

      Ieri, 19 dicembre, il Servizio Centrale Sipromi ha inviato una circolare agli enti locali titolari dei progetti Sprar in scadenza al 31/12 (MA prorogati al 30/06/2020) per “sollecitare” l’uscita dal sistema di accoglienza entro il 31 dicembre 2019 dei titolari di protezione umanitaria in accoglienza.

      Con una lettera il Centro Immigrazione Asilo Cooperazione onluns di Parma, ente che da 20 anni accoglie persone per i loro diritti e per i loro bisogni, denuncia una situazione ritenuta inaccettabile ed ingiusta.

      “Non possiamo e non vogliamo accettare questa ingiustizia che interrompe percorsi di vita, cura, studio, lavoro, relazione. Per i titolari di protezione umanitaria che sono ancora in accoglienza deve valere il principio per cui un atto amministrativo non può interrompere un percorso di vita”, dicono al CIAC.

      «Infatti - ribadisce la onlus - per i titolari di protezione umanitaria, tra cui donne, bambini, nuclei familiari, possibili vittime di tratta, persone con disagio mentale non è prevista nessuna altra possibilità di accoglienza. Uscendo dello Sprar, per una norma palesemente ingiusta e insensata, sono messi in strada, in pieno inverno, interrompendo tutela, cura, lavoro, formazione appunto».

      Secondo i dati forniti da CIAC solo in Emilia Romagna sono circa 300 le persone che dovrebbero essere fatte uscire dalle strutture di accoglienza a fine anno. Nella sola provincia di Parma più di 20 persone, tra cui 5 nuclei mamma-bambino.

      «Noi - afferma il CIAC - non applicheremo questa direttiva nelle nostre case, sulle persone con le quali abbiamo un patto di tutela e un dovere professionale e morale di accoglienza. Con loro, quale che sia il permesso di soggiorno, abbiamo contratto un patto che ci vincola – esattamente come lo chiediamo a loro - al rispetto del loro progetto individuale di accoglienza. Che questo potesse essere interrotto dall’interpretazione – ribadiamo una interpretazione - di un comma, di un articolo, di una legge palesemente volta a colpire le tutele dei rifugiati non era nelle regole iniziali. E noi i patti li rispettiamo, come dagli accolti ne esigiamo il rispetto».

      L’associazione spiega che non ci sono solo ragioni etiche, professionali e morali, ed elenca i punti sui quali si basa la volontà di non mettere in strada nessuno.

      Il primo è che «i progetti Sprar/siproimi attivi sono prorogati con decreto del ministro dell’Interno del 13/12/19 sino al giugno 2020 e quanto dice la circolare, giuridicamente è quanto meno opinabile: i progetti non possono dirsi cessati al 31/12/19».

      Il secondo è che la circolare «non considera che è appurata la non retroattività della legge 132/18».

      «Per tutte queste ragioni - conclude CIAC onlus - profondamente stupiti che l’ufficio che governa il sistema di protezione assecondi una interpretazione che nega i principi stessi sui quali l’accoglienza integrata e diffusa si regge (individualizzazione dei percorsi, emancipazione dall’accoglienza, patto di accoglienza), affermiamo con grande convinzione che, solleciti o non solleciti, a fronte di una crescente marginalità sui territori, a fronte di tanti posti vuoti nel sistema che per quella stessa legge che il Servizio Centrale Siproimi cita e che non possono dare sollievo, accoglienza e integrazione a chi in tutta Italia ne avrebbe bisogno».

      http://www.vita.it/it/article/2019/12/20/imposta-lestromissione-dal-sistema-daccoglienza-dei-titolari-di-protez/153674

    • Rapporto “La sicurezza dell’esclusione - Centri d’Italia 2019”

      Le prevedibili conseguenze della legge sicurezza: maggiore irregolarità e smantellamento del sistema d’accoglienza.

      https://www.meltingpot.org/local/cache-vignettes/L440xH542/arton24796-6a3c1.png?1578654230

      Aumento consistente del numero di cittadini stranieri irregolari e difficoltà nell’applicazione dei nuovi bandi per la gestione dei centri da parte delle Prefetture. È il quadro che emerge dal rapporto “La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019”, realizzato da Action Aid e Openpolis che offre una prima valutazione dell’impatto delle politiche migratorie del primo Governo Conte.

      Gran parte del lavoro di analisi, suddiviso in due parti, si sofferma sulle conseguenze che la legge sicurezza immigrazione sta producendo sul sistema d’accoglienza nel suo complesso, denunciando nel contempo quanto sia difficile raccogliere le informazioni necessarie per monitorare il sistema dell’accoglienza e le sue evoluzioni per un’assenza quasi totale di trasparenza.
      Indicazioni sul disfacimento complessivo di un sistema e delle tutele dei richiedenti asilo che già molti attivisti, enti del terzo settore e operatori coinvolti nel sistema d’accoglienza avevano ampiamente previsto e che i movimenti avevano cercato di contrastare con mobilitazioni territoriali e di carattere nazionale. Ma nonostante un ampio fermento sociale la legge Salvini è ancora lì a far danni, e, a oggi, la sua abrogazione non è tra le priorità del governo 5stelle-PD.

      «La soppressione della protezione umanitaria, la forma di protezione maggiormente diffusa per chi fino al decreto sicurezza chiedeva asilo in Italia, - si legge nella prima parte dell’inchiesta - espande sempre più la macchia degli stranieri irregolari, che diventa un’emergenza reale con i conseguenti costi umani, sociali e di illegalità diffusa. Un’emergenza per la quale, in assenza di un meccanismo di regolarizzazione, la soluzione dei rimpatri appare nel caso più ottimistico un’illusione».
      Secondo le stime del rapporto sono 40.000 le persone che si sono ritrovate irregolari nel 2019 a causa della soppressione della protezione umanitaria. E queste cifre sono inevitabilmente destinate ad aumentare nel 2020 poiché la legge ha generato una perversa stretta anche nelle procedure e nei responsi delle Commissioni territoriali, sempre più restìe a concedere una forma di protezione. Del resto i rimpatri, che non sono mai stati una reale soluzione ma un altro strumento di propaganda politica, sono stati nel 2018 circa 5.615. A questo ritmo si stima che per rimpatriare i 680mila cittadini stranieri irregolari servirebbero oltre 100 anni, senza contare il costo economico di una tale contestabile operazione.

      Il rapporto si sofferma ampiamente anche sulle conseguenze delle nuove regole delle gare di appalto per la gestione dei centri. Regole «volute per razionalizzare il sistema e tagliare i costi e i servizi di inclusione, si scontrano con la difficoltà, anche di natura politica, dei gestori di farvi fronte e delle prefetture di applicarle. Diversi i bandi deserti, quelli ripetuti o che non riescono a coprire il fabbisogno dei posti nei centri». E’ di fatto un ritorno alla logica dei grandi centri di parcheggio per richiedenti asilo, perlopiù dislocati in periferia, e il totale abbandono di un’idea di accoglienza diffusa non solo funzionale alla distribuzione dei richiedenti asilo su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto ad una loro inclusione sociale e una reciproca conoscenza con le comunità locali.
      «Un affare - continua l’inchiesta - che attrae i gestori a carattere industriale, grandi soggetti privati anche esteri in grado di realizzare economie di scala, e allontana i piccoli con vocazione sociale e personale qualificato». E - aggiungiamo noi - è anche un modello che attrae il malaffare e la criminalità organizzata, la quale è tranquillamente in grado di fare profitto nonostante la fetta di guadagno si sia a prima vista ridotta.

      Una totale assenza di programmazione. Il sistema di accoglienza sembra gestito giorno per giorno senza nessuna programmazione strategica.

      Nella seconda parte di «La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019» viene ulteriormente analizzato l’impatto dei nuovi capitolati di gara collegati al decreto sicurezza sul funzionamento della macchina dell’accoglienza. Sistema che al 31 dicembre 2019 accoglie in totale 91.424 persone, delle quali 66.958 con richiesta di protezione internazionale sono accolte nei CAS e 24.388, già riconosciute come titolari di protezione internazionale o protezione umanitaria, nei progetti ex SPRAR, rinominati dal decreto sicurezza SIPROIMI. Su questi ultimi, inoltre, si è abbattuta la scure della circolare del ministero dell’interno di Natale, che prevede la loro uscita forzata o tutt’al più il trasferimento in servizi di bassa soglia. Persone vulnerabili e famiglie che da un giorno all’altro si ritroveranno senza alloggio e assistenza, costretti a rivolgersi ai servizi sociali territoriali, senza trovare poi grandi risposte, o immediatamente a ingrossare le file dei senza tetto.
      Nella carrellata di numeri va infine ricordato che tra le conseguenze della legge ci sono anche i 5.000 posti di lavoro persi. Ma al governo Conte bis tutto ciò non sembra destare così grande preoccupazione.

      https://www.meltingpot.org/Rapporto-La-sicurezza-dell-esclusione-Centri-d-Italia-2019.html
      #rapport #Stefano_Bleggi

    • Les lois anti-migrants de Salvini sont toujours d’actualité en Italie

      Fin 2018, l’ancien ministre de l’Intérieur et chef de la Ligue, Matteo Salvini, a fait adopter des mesures anti-migrants très restrictives, parmi lesquelles l’abolition de la protection humanitaire qui représentait 28% des permis de séjour délivrés aux demandeurs d’asile. Ces mesures n’ont pas été modifiées par la coalition formée du Mouvement Cinq étoiles et du Parti démocrate, au pouvoir depuis cinq mois. Et c’est maintenant que leurs effets commencent à être visibles. Quelle est la situation actuelle des migrants qui ne peuvent plus bénéficier du permis de séjour humanitaire ?

      C’est une situation qui risque de devenir explosive. Les organisations non gouvernementales estiment à 70 000 le nombre demandeurs d’asile qui vont rejoindre les rangs des clandestins, soit environ 600 000 personnes. C’est en effet maintenant que l’on voit les effets des mesures sécuritaires adoptées il y a plus d’un an. Jusqu’alors, le permis de séjour humanitaire était délivré pour une durée de deux ans, renouvelable. Désormais, s’il arrive à échéance, cela implique le retour à la rue et à l’irrégularité, pour deux raisons : les migrants adultes doivent quitter les centres d’accueil institutionnels et ils n’ont plus accès au travail légal, car un employeur qui embauche, ou maintient à son poste, une personne qui n’a pas de papiers en règle risque des sanctions pénales.

      Concrètement, cela signifie donc que ceux qui avaient un contrat de travail en bonne et due forme doivent être licenciés ?

      On peut citer à titre d’exemple le cas d’une entreprise de Parme, en Émilie-Romagne, spécialisée dans la logistique, la Number 1 Logistics qui emploie 4 000 salariés. En 2017, elle avait recruté 120 personnes provenant du Ghana, du Nigéria, du Sénégal et du Venezuela et titulaires d’un permis de séjour humanitaire. L’entreprise les a formées, leur a offert un contrat de travail régulier avec une paie de 1 200 euros par mois, qui correspond à ce que perçoit un ouvrier non spécialisé. Mais elles ont dû être licenciées comme l’a récemment déploré le patron de Number 1 Logistics, lors d’une réunion de la Commission parlementaire chargée des affaires constitutionnelles.

      Un cas tristement exemplaire. Le nouveau gouvernement, formé il y a cinq mois, envisage-t-il d’abroger ou de modifier les décrets sécuritaires de Matteo Salvini ?

      En fait, les divergences entre le Mouvement Cinq étoiles et le Parti démocrate sur un dossier aussi important que celui des migrants cristallisent la situation. Certes, on en est plus à l’époque du Salvini tout puissant et des ports fermés. Mais concernant les politiques d’intégration, on ne note encore aucun changement. Cela dit, la ministre de l’Intérieur, Lucia Lamorgese, une technicienne soutenue par le centre gauche, a annoncé qu’elle voulait assouplir les conditions de régularisation, notamment pour les demandeurs d’asile obtenant un contrat de travail. Un projet en ce sens devrait être présenté devant le Parlement, après les élections régionales du 26 janvier en Émilie-Romagne et en Calabre.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/22186/les-lois-anti-migrants-de-salvini-sont-toujours-d-actualite-en-italie?

    • La sicurezza dell’esclusione

      Aumento consistente del numero di stranieri irregolari e difficoltà nell’applicazione dei nuovi bandi per la gestione dei centri da parte delle Prefetture. È il quadro che emerge dal rapporto “La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019”, che abbiamo realizzato con openpolis e che offre una prima valutazione dell’impatto delle politiche migratorie del primo Governo Conte.

      https://www.actionaid.it/app/uploads/2020/05/CentridItalia_2019.pdf

      Pour télécharger le #rapport:
      La sicurezza dell’esclusione


      https://www.actionaid.it/app/uploads/2020/05/CentridItalia_2019.pdf

    • Migranti, così i decreti Salvini hanno fatto scivolare 140 mila persone nell’irregolarità

      Anticipazione del Dossier statistico 2020. Per la prima volta dopo anni diminuiscono di ben 100 mila unità gli stranieri extra Ue regolarmente soggiornanti in Italia. Effetto in particolare del primo decreto sicurezza, oltre che della perdurante mancanza di programmazione degli ingressi stabili

      https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/migranti_cosi_i_decreti_salvini_hanno_fatto_scivolare_140mila_perso

    • Nell’ex fabbrica di penicillina, un #ghetto di Roma

      Oggi viene presentata la seconda edizione di “Fuori campo”, il rapporto di Medici Senza Frontiere sulla marginalità, secondo il quale “sono almeno 10.000 le persone escluse dall’accoglienza, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche”. Una cinquantina gli insediamenti mappati dall’organizzazione in tutta Italia, 3500 le persone che vivono in occupazioni, baracche e “ghetti” nella sola Roma. Open Migration è entrata dentro il “gran ghetto” della capitale: un’ex fabbrica di penicillina in cui le condizioni di vita sono estreme.

      Appena finisce di spaccare le cassette della frutta e il legname di recupero, Alecu Romel entra nella casa in cui vive con la moglie Maria. Nella stanza d’ingresso, una luce fioca illumina il fornello, collegato ad una bombola a gas. A destra, in un locale spoglio, la coppia tiene una bicicletta e dei passeggini, riadattati per raccogliere ferrivecchi e oggetti abbandonati per strada. Sulla sinistra, una porta rossa separa dalla zona notte: una camera con due letti, la televisione e stampe colorate appese alle pareti.

      “Viviamo in questo appartamento da cinque anni e cerchiamo di tenerlo sempre in ordine”, dice Maria. A cedere loro lo spazio, un altro cittadino della Romania, che dentro la Ex-Penicillina, una delle più grandi aree industriali dismesse di Roma, si era inventato un angolo di intimità arredando alcuni dei locali più piccoli, che un tempo erano probabilmente uffici. In cinque anni di vita fra i capannoni scrostati, Alecu e Maria hanno visto cambiare l’insediamento. “Prima eravamo più rumeni e ci sono state anche famiglie italiane”, continua la donna, “mentre adesso gli abitanti sono cresciuti, e quasi tutti sono africani”.

      Oggi, come allora, il sogno di ricongiungersi con i due figli, affidati ai nonni in Romania, appare lontano: “questo non è un posto per bambini, ci sono topi e sporcizia, non ci si sente sicuri, ma almeno quei pochi soldi che guadagnamo ci permettono di mantenerli a casa, di fargli fare una vita migliore della nostra”, conclude Maria, la voce rassegnata.
      Fra i capannoni del “grande ghetto”

      Sempre più sogni si infrangono dietro la facciata del complesso, che costeggia via Tiburtina, una delle arterie più trafficate della città. Qui i cantieri per il raddoppio della carreggiata vanno avanti da anni: “finite ‘sti lavori!! più che una consolare sembra una via Crucis” è l’urlo che i cittadini hanno affidato ai cartelli affissi sui muri. Siamo all’altezza della periferia operaia di San Basilio, oggi nota alle cronache anche come base per lo spaccio di stupefacenti.

      Rifugiati e richiedenti asilo, arrivati in Italia negli ultimi anni e usciti dal sistema d’accoglienza, hanno infatti trovato qui un riparo precario, aprendo un nuovo capitolo nella storia del complesso, un tempo orgoglio dell’industria italiana. Aperta come Leo – Industrie Chimiche Farmaceutiche Roma, la Ex-Penicillina è stata la prima fabbrica italiana a produrre antibiotici. Una storia complessa, intrecciata ai piani di investimento del secondo dopoguerra, supportati dagli Usa, e alle speculazioni edilizie che avrebbero cambiato il volto della capitale.

      All’inaugurazione dell’impianto, nel 1950, fu invitato lo stesso sir Alexander Fleming, scopritore della penicillina. Un graffito, nello scheletro esterno della struttura, lo ritrae pensieroso: “ti ricordi quando eravamo i più grandi?”, recita la scritta. Il quotidiano “L’Unità” aveva dedicato un paginone all’evento, col titolo “la più grande fabbrica di penicillina d’Europa inaugurata a Roma”. Dagli oltre 1300 operai degli anni Sessanta, si passò però presto a poche centinaia, fino all’abbandono totale dell’attività, alla fine degli anni Novanta. Un altro sogno, quello di una cordata di imprenditori, che volevano demolirla per fare spazio a un maxi-albergo di alta categoria, si infranse di fronte ai costi per lo smaltimento di rifiuti chimici e amianto, tuttora presenti nell’area.

      “Questo posto lo chiamano il grande ghetto”, ci dice Ahmad Al Rousan, coordinatore per Medici senza frontiere dell’intervento nei campi informali, mentre entriamo dentro uno degli stabilimenti con una torcia, perché qui manca tutto, anche l’elettricità. Camminiamo tra spazzatura, escrementi e resti della vecchia fabbrica: ampolle, fiale, scatole di medicinali su cui c’è ancora la bolla di accompagnamento. “C’è un posto qui vicino, il piccolo ghetto, qui ci sono circa 500 persone, lì 150”, aggiunge. “Non solo chiamano questi luoghi ghetti, ma chi ci vive si sente anche ghettizzato”.

      In questa area industriale abbandonata ci sono persone che arrivano da diverse parti del mondo: nord Africa, Sub Sahara, Pakistan, Afghanistan, Romania, e c’è anche un italiano. La maggior parte sono titolari di protezione internazionale, altri in attesa di essere ascoltati dalla commissione territoriale che dovrà decidere sulla richiesta d’asilo, altri ancora hanno il permesso di soggiorno scaduto. Tutti sono fuori dall’accoglienza per qualche motivo.
      Il rapporto di Medici Senza Frontiere

      Come denuncia “Fuori campo”, l’ultimo rapporto di Medici Senza Frontiere, in tutta Italia ci sono almeno 10 mila persone in questa condizione, alloggiate in insediamenti informali con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche. Nella capitale la maggior parte si concentra proprio qui, nella zona est, tra la Tiburtina e la Casilina, passando per Tor Cervara. Edifici abbandonati, ex fabbriche e capannoni, sono diventati la casa di centinaia tra migranti e rifugiati. Che ci vivono da invisibili in condizioni disumane, senza acqua, luce e gas, spesso a ridosso di discariche abusive.

      Da novembre 2017, l’Ong ha avviato un intervento con un’unità mobile composta da un medico, uno psicologo e un mediatore culturale, e da qualche settimana il camper è arrivato anche all’ex Leo. Quella di Msf è l’unica presenza esterna negli spazi dell’occupazione: gli operatori vengono qui una volta alla settimana, dal primo pomeriggio alla sera, per portare assistenza medica e psicologica agli abitanti. Un piccolo gazebo allestito nella parte esterna degli edifici fa da ambulatorio, la sala d’attesa è, invece, lo spazio antistante, un tavolino da campeggio, qualche sedia pieghevole e una lampada. Per chi abita qui questo momento è diventato un rito, c’è chi viene per la prima volta, chi torna per un controllo, chi viene solo per chiacchierare.

      Un ragazzo si avvicina con aria timida: “they rescued me”, ci dice, raccontando di aver riconosciuto il logo di Msf sul gazebo, lo stesso visto sulla pettorina delle persone che lo avevano soccorso nel mezzo del Mediterraneo, nel 2016. Ora, due anni dopo l’approdo in Italia, è sbarcato anche lui all’ex fabbrica della penicillina. Entra e inizia la sua prima visita: lamenta mal di testa frequenti. La dottoressa misura la pressione e compila una scheda.

      “I problemi di salute qui sono legati soprattutto alle condizioni di vita: non ci sono servizi igienici e c’è solo una presa d’acqua fredda, per centinaia di persone”, spiega Al Rousan. La patologia più comune, aggiunge “è quella respiratoria dovuta al freddo o all’aria che respirano; l’unico modo che hanno per scaldarsi è accendere il fuoco, con tutti i rischi connessi: qualche giorno fa abbiamo assistito una persona completamente ustionata, in modo grave. Ha aspettato il nostro arrivo, non ha voluto andare a farsi vedere in un ospedale”. Di incendi qui ce ne sono stati diversi, come rivelano i muri anneriti di interi spazi. L’ultimo, a fine gennaio 2018, ha richiesto l’intervento dei vigili del fuoco, dopo l’esplosione di una bombola del gas. Quando cala la sera, le luci dei fuochi accesi e le fiammelle delle candele spezzano il buio totale degli edifici.

      “Questo è un posto estremo, dove l’esclusione è totale”, sottolinea Al Rousan. Dopo aver subito vari traumi nel viaggio e poi in Libia, trovarsi in questa condizione significa vedere infranto il sogno di potersi integrare, di costruirsi una nuova vita. Lavoro da tanti anni in situazioni simili, ma non ho mai visto una cosa del genere. E non pensavo potesse esserci un posto così a Roma”.
      La normalità dell’esclusione

      La fabbrica è occupata da diversi anni, e come in tutti gli insediamenti informali, gli abitanti hanno ricostruito una parvenza di normalità. Lamin, che viene dal Gambia, gestisce un piccolo market all’ingresso di uno dei capannoni principali. I prodotti li acquista al mercato di piazza Vittorio, dove si trovano i cibi di tutto il mondo. Qui vende aranciata, farina, zucchero, fagioli, candele e i dadi marca Jumbo, indispensabili – ci dice – per preparare qualsiasi piatto africano.

      Ha poco più di vent’anni e prima di arrivare qui viveva a via Vannina, in un altro stabile occupato, poco lontano. Nel violento sgombero del giugno 2017, è volato giù dalle scale e ancora, dice, “ho dolori frequenti alle ossa”. La fabbrica è diventata la sua nuova casa.

      Victor, 23 anni, è arrivato invece all’ex Penicillina dopo un periodo trascorso in un centro di accoglienza a Lecce, mentre era in corso la sua domanda d’asilo. Ottenuto lo status di rifugiato ha deciso di spostarsi a Roma per cercare lavoro, ma non parla neanche una parola di italiano. Il suo sogno è fare il giornalista. Nel suo paese, la Nigeria, ha studiato Comunicazione: “sono grato al governo italiano per quanto ha fatto per me”, dice, “ma non pensavo che una volta arrivato in Italia mi sarei trovato in questa situazione: quando sono arrivato a Roma ho vissuto un periodo alla stazione Termini. Faceva freddo e la temperatura di notte arrivava quasi allo zero. Un connazionale mi ha parlato di questo posto, mi ha detto che qui almeno potevo farmi una doccia. Invece, una volta arrivato ho scoperto che c’era solo una fontanella per l’acqua”. Come tutti, spera di andarsene presto. “Questo luogo cambia le persone, rallenta ogni aspirazione e io, invece, il mio sogno lo vorrei realizzare”, ci dice con uno sguardo vivace.

      Nel reticolo di capannoni, corridoi e cortili, ci sono altri piccoli bar e negozi: l’ultimo è stato aperto pochi giorni fa. Sulla facciata troneggia la bandiera giallorossa della squadra di calcio della Roma. Raffigura la lupa capitolina che allatta Romolo e Remo: qui è quasi un paradosso, quell’immagine simbolo di mamma Roma, patria dell’accoglienza.


      http://openmigration.org/analisi/nellex-fabbrica-di-penicillina-il-grande-ghetto-di-roma
      #Rome

    • Il sistema di accoglienza italiano verso il default organizzativo e morale

      Sono pubblicate da tempo le relazioni della Commissione di inchiesta della Camera dei deputati sui Centri per stranieri. Relazioni che censuravano l’utilizzo degli Hotspot come strutture detentive e chiedevano la chiusura del mega CARA di Mineo. Ma il governo e le prefetture non hanno svolto quel lavoro di pulizia con la estromissione del marcio che risultava largamente diffuso da nord e sud. Una operazione che sarebbe stata doverosa per difendere i tanti operatori e gestori dell’accoglienza che fanno il proprio dovere e che avrebbe permesso di rintuzzare uno degli argomenti elettorali più in voga nella propaganda politica delle destre, appunto gli sprechi e gli abusi verificati da tutti ormai all’interno dei centri di accoglienza, soprattutto in quelli appaltati direttamente dalle prefetture, i Centri di accoglienza straordinaria (CAS), la parte più consistente del sistema di accoglienza italiano.

      https://www.a-dif.org/2018/02/27/il-sistema-di-accoglienza-italiano-verso-il-default-organizzativo-e-morale

    • Ventimiglia. Prima della neve. Un report del gruppo di medici volontari del 27 febbraio scorso tratto dal blog Parole sul Confine

      Sabato 27 febbraio è stata una giornata di lavoro intenso sotto al ponte di via Tenda.

      Avremmo fatto almeno 40 visite.

      Rispetto alla scorsa estate ci sono più persone che vivono sotto al ponte del cavalcavia lungo al fiume, con un numero senza precedenti di donne e bambini anche molto piccoli.

      L’insediamento sembra sempre più stabile, con baracche costruite con pezzi di legno e teli di plastica. Le persone che vivono lì sono prevalentemente eritree e sudanesi. Al momento, tutte le donne sole e le madri sono eritree.

      Le persone che abbiamo visitato erano giovanissime. Tantissime affette da scabbia. Spesso con sovra-infezioni molto importanti. Grazie alla nostra disponibilità di farmaci e grazie alle scorte di indumenti stivati presso l’infopoint Eufemia abbiamo potuto somministrare il trattamento anti scabbia a molte persone, dopo esserci assicurati che avessero compreso come eseguire correttamente tutta la procedura.

      http://www.meltingpot.org/local/cache-vignettes/L440xH294/parole-sul-confine-tende-ponte-roia-3ad5b.png?1520066845
      http://www.meltingpot.org/Ventimiglia-Prima-della-neve.html
      #froid #hiver

    • Purgatory on the Riviera

      Ventimiglia is idyllic. It sits just across the Italian border from the French Riviera. The piercingly blue waters of the Mediterranean churn against its rocky beaches, and its buildings, painted in earthy pastels, back up against the foothills of the Alps. On Fridays, the normally quiet streets are bustling with French tourists who cross the border by car, train, and bicycle to shop in its famous markets where artisans and farmers sell clothes, leather items, fresh produce, truffles, cheeses and decadent pastries. Families with young children and elderly couples stroll along the streets and sit at sidewalk cafes or eat in one of the many restaurants along the shore.


      https://www.irinnews.org/special-report/2017/12/04/purgatory-riviera

    • Ex Penicillina. Dall’evacuazione alla bonifica: 4 mosse per uscire dal ghetto

      La proposta degli abitanti per evitare lo sgombero coatto, più volte annunciato dal ministro Salvini. All’interno circa 200 persone, tra cui alcuni italiani. “Va data a tutti un’alternativa e la fabbrica bonificata e riconsegnata alla città”


      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/606113/Ex-Penicillina-Dall-evacuazione-alla-bonifica-4-mosse-per-uscire-da

    • Nell’ex fabbrica di penicillina, un ghetto di Roma

      Oggi viene presentata la seconda edizione di “Fuori campo”, il rapporto di Medici Senza Frontiere sulla marginalità, secondo il quale “sono almeno 10.000 le persone escluse dall’accoglienza, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche”. Una cinquantina gli insediamenti mappati dall’organizzazione in tutta Italia, 3500 le persone che vivono in occupazioni, baracche e “ghetti” nella sola Roma. Open Migration è entrata dentro il “gran ghetto” della capitale: un’ex fabbrica di penicillina in cui le condizioni di vita sono estreme.

      Appena finisce di spaccare le cassette della frutta e il legname di recupero, Alecu Romel entra nella casa in cui vive con la moglie Maria. Nella stanza d’ingresso, una luce fioca illumina il fornello, collegato ad una bombola a gas. A destra, in un locale spoglio, la coppia tiene una bicicletta e dei passeggini, riadattati per raccogliere ferrivecchi e oggetti abbandonati per strada. Sulla sinistra, una porta rossa separa dalla zona notte: una camera con due letti, la televisione e stampe colorate appese alle pareti.

      “Viviamo in questo appartamento da cinque anni e cerchiamo di tenerlo sempre in ordine”, dice Maria. A cedere loro lo spazio, un altro cittadino della Romania, che dentro la Ex-Penicillina, una delle più grandi aree industriali dismesse di Roma, si era inventato un angolo di intimità arredando alcuni dei locali più piccoli, che un tempo erano probabilmente uffici. In cinque anni di vita fra i capannoni scrostati, Alecu e Maria hanno visto cambiare l’insediamento. “Prima eravamo più rumeni e ci sono state anche famiglie italiane”, continua la donna, “mentre adesso gli abitanti sono cresciuti, e quasi tutti sono africani”.

      Oggi, come allora, il sogno di ricongiungersi con i due figli, affidati ai nonni in Romania, appare lontano: “questo non è un posto per bambini, ci sono topi e sporcizia, non ci si sente sicuri, ma almeno quei pochi soldi che guadagnamo ci permettono di mantenerli a casa, di fargli fare una vita migliore della nostra”, conclude Maria, la voce rassegnata.
      Fra i capannoni del “grande ghetto”

      Sempre più sogni si infrangono dietro la facciata del complesso, che costeggia via Tiburtina, una delle arterie più trafficate della città. Qui i cantieri per il raddoppio della carreggiata vanno avanti da anni: “finite ‘sti lavori!! più che una consolare sembra una via Crucis” è l’urlo che i cittadini hanno affidato ai cartelli affissi sui muri. Siamo all’altezza della periferia operaia di San Basilio, oggi nota alle cronache anche come base per lo spaccio di stupefacenti.

      Rifugiati e richiedenti asilo, arrivati in Italia negli ultimi anni e usciti dal sistema d’accoglienza, hanno infatti trovato qui un riparo precario, aprendo un nuovo capitolo nella storia del complesso, un tempo orgoglio dell’industria italiana. Aperta come Leo – Industrie Chimiche Farmaceutiche Roma, la Ex-Penicillina è stata la prima fabbrica italiana a produrre antibiotici. Una storia complessa, intrecciata ai piani di investimento del secondo dopoguerra, supportati dagli Usa, e alle speculazioni edilizie che avrebbero cambiato il volto della capitale.

      All’inaugurazione dell’impianto, nel 1950, fu invitato lo stesso sir Alexander Fleming, scopritore della penicillina. Un graffito, nello scheletro esterno della struttura, lo ritrae pensieroso: “ti ricordi quando eravamo i più grandi?”, recita la scritta. Il quotidiano “L’Unità” aveva dedicato un paginone all’evento, col titolo “la più grande fabbrica di penicillina d’Europa inaugurata a Roma”. Dagli oltre 1300 operai degli anni Sessanta, si passò però presto a poche centinaia, fino all’abbandono totale dell’attività, alla fine degli anni Novanta. Un altro sogno, quello di una cordata di imprenditori, che volevano demolirla per fare spazio a un maxi-albergo di alta categoria, si infranse di fronte ai costi per lo smaltimento di rifiuti chimici e amianto, tuttora presenti nell’area.

      “Questo posto lo chiamano il grande ghetto”, ci dice Ahmad Al Rousan, coordinatore per Medici senza frontiere dell’intervento nei campi informali, mentre entriamo dentro uno degli stabilimenti con una torcia, perché qui manca tutto, anche l’elettricità. Camminiamo tra spazzatura, escrementi e resti della vecchia fabbrica: ampolle, fiale, scatole di medicinali su cui c’è ancora la bolla di accompagnamento. “C’è un posto qui vicino, il piccolo ghetto, qui ci sono circa 500 persone, lì 150”, aggiunge. “Non solo chiamano questi luoghi ghetti, ma chi ci vive si sente anche ghettizzato”.

      In questa area industriale abbandonata ci sono persone che arrivano da diverse parti del mondo: nord Africa, Sub Sahara, Pakistan, Afghanistan, Romania, e c’è anche un italiano. La maggior parte sono titolari di protezione internazionale, altri in attesa di essere ascoltati dalla commissione territoriale che dovrà decidere sulla richiesta d’asilo, altri ancora hanno il permesso di soggiorno scaduto. Tutti sono fuori dall’accoglienza per qualche motivo.
      Il rapporto di Medici Senza Frontiere

      Come denuncia “Fuori campo”, l’ultimo rapporto di Medici Senza Frontiere, in tutta Italia ci sono almeno 10 mila persone in questa condizione, alloggiate in insediamenti informali con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche. Nella capitale la maggior parte si concentra proprio qui, nella zona est, tra la Tiburtina e la Casilina, passando per Tor Cervara. Edifici abbandonati, ex fabbriche e capannoni, sono diventati la casa di centinaia tra migranti e rifugiati. Che ci vivono da invisibili in condizioni disumane, senza acqua, luce e gas, spesso a ridosso di discariche abusive.

      Da novembre 2017, l’Ong ha avviato un intervento con un’unità mobile composta da un medico, uno psicologo e un mediatore culturale, e da qualche settimana il camper è arrivato anche all’ex Leo. Quella di Msf è l’unica presenza esterna negli spazi dell’occupazione: gli operatori vengono qui una volta alla settimana, dal primo pomeriggio alla sera, per portare assistenza medica e psicologica agli abitanti. Un piccolo gazebo allestito nella parte esterna degli edifici fa da ambulatorio, la sala d’attesa è, invece, lo spazio antistante, un tavolino da campeggio, qualche sedia pieghevole e una lampada. Per chi abita qui questo momento è diventato un rito, c’è chi viene per la prima volta, chi torna per un controllo, chi viene solo per chiacchierare.

      Un ragazzo si avvicina con aria timida: “they rescued me”, ci dice, raccontando di aver riconosciuto il logo di Msf sul gazebo, lo stesso visto sulla pettorina delle persone che lo avevano soccorso nel mezzo del Mediterraneo, nel 2016. Ora, due anni dopo l’approdo in Italia, è sbarcato anche lui all’ex fabbrica della penicillina. Entra e inizia la sua prima visita: lamenta mal di testa frequenti. La dottoressa misura la pressione e compila una scheda.

      “I problemi di salute qui sono legati soprattutto alle condizioni di vita: non ci sono servizi igienici e c’è solo una presa d’acqua fredda, per centinaia di persone”, spiega Al Rousan. La patologia più comune, aggiunge “è quella respiratoria dovuta al freddo o all’aria che respirano; l’unico modo che hanno per scaldarsi è accendere il fuoco, con tutti i rischi connessi: qualche giorno fa abbiamo assistito una persona completamente ustionata, in modo grave. Ha aspettato il nostro arrivo, non ha voluto andare a farsi vedere in un ospedale”. Di incendi qui ce ne sono stati diversi, come rivelano i muri anneriti di interi spazi. L’ultimo, a fine gennaio 2018, ha richiesto l’intervento dei vigili del fuoco, dopo l’esplosione di una bombola del gas. Quando cala la sera, le luci dei fuochi accesi e le fiammelle delle candele spezzano il buio totale degli edifici.

      “Questo è un posto estremo, dove l’esclusione è totale”, sottolinea Al Rousan. Dopo aver subito vari traumi nel viaggio e poi in Libia, trovarsi in questa condizione significa vedere infranto il sogno di potersi integrare, di costruirsi una nuova vita. Lavoro da tanti anni in situazioni simili, ma non ho mai visto una cosa del genere. E non pensavo potesse esserci un posto così a Roma”.
      La normalità dell’esclusione

      La fabbrica è occupata da diversi anni, e come in tutti gli insediamenti informali, gli abitanti hanno ricostruito una parvenza di normalità. Lamin, che viene dal Gambia, gestisce un piccolo market all’ingresso di uno dei capannoni principali. I prodotti li acquista al mercato di piazza Vittorio, dove si trovano i cibi di tutto il mondo. Qui vende aranciata, farina, zucchero, fagioli, candele e i dadi marca Jumbo, indispensabili – ci dice – per preparare qualsiasi piatto africano.

      Ha poco più di vent’anni e prima di arrivare qui viveva a via Vannina, in un altro stabile occupato, poco lontano. Nel violento sgombero del giugno 2017, è volato giù dalle scale e ancora, dice, “ho dolori frequenti alle ossa”. La fabbrica è diventata la sua nuova casa.

      Victor, 23 anni, è arrivato invece all’ex Penicillina dopo un periodo trascorso in un centro di accoglienza a Lecce, mentre era in corso la sua domanda d’asilo. Ottenuto lo status di rifugiato ha deciso di spostarsi a Roma per cercare lavoro, ma non parla neanche una parola di italiano. Il suo sogno è fare il giornalista. Nel suo paese, la Nigeria, ha studiato Comunicazione: “sono grato al governo italiano per quanto ha fatto per me”, dice, “ma non pensavo che una volta arrivato in Italia mi sarei trovato in questa situazione: quando sono arrivato a Roma ho vissuto un periodo alla stazione Termini. Faceva freddo e la temperatura di notte arrivava quasi allo zero. Un connazionale mi ha parlato di questo posto, mi ha detto che qui almeno potevo farmi una doccia. Invece, una volta arrivato ho scoperto che c’era solo una fontanella per l’acqua”. Come tutti, spera di andarsene presto. “Questo luogo cambia le persone, rallenta ogni aspirazione e io, invece, il mio sogno lo vorrei realizzare”, ci dice con uno sguardo vivace.

      Nel reticolo di capannoni, corridoi e cortili, ci sono altri piccoli bar e negozi: l’ultimo è stato aperto pochi giorni fa. Sulla facciata troneggia la bandiera giallorossa della squadra di calcio della Roma. Raffigura la lupa capitolina che allatta Romolo e Remo: qui è quasi un paradosso, quell’immagine simbolo di mamma Roma, patria dell’accoglienza.

      https://openmigration.org/analisi/nellex-fabbrica-di-penicillina-il-grande-ghetto-di-roma

  • Italian government pressures #Panama to stop #Aquarius rescues on world’s deadliest maritime route

    Central Mediterranean– SOS MEDITERRANEE and Médecins Sans Frontières (MSF) are reeling from the announcement by the Panama Maritime Authority (PMA) that it has been forced to revoke the registration of the search and rescue ship Aquarius, under blatant economic and political pressure from the Italian government. This announcement condemns hundreds of men, women and children who are desperate to reach safety to a watery grave, and deals a major blow to the life-saving humanitarian mission of the Aquarius, the only remaining non-governmental search and rescue vessel in the Central Mediterranean. Both organisations demand that European governments allow the Aquarius to continue its mission, by affirming to the Panamanian authorities that threats made by the Italian government are unfounded, or by immediately issuing a new flag under which the vessel can sail.

    On Saturday, 22 September, the Aquarius team was shocked to learn of an official communication from the Panamanian authorities stating that the Italian authorities had urged the PMA to take “immediate action” against the Aquarius. The PMA message explained that, “unfortunately, it is necessary that [the Aquarius] be excluded from our registry, because it implies a political problem against the Panamanian government and the Panamanian fleet that arrive to European port.” The message came despite the fact that Aquarius meets all maritime standards and is in full compliance with rigorous technical specifications as required under the Panama flag.

    SOS MEDITERRANEE and MSF strongly denounce the actions as further proof of the extent to which the Italian government is willing to go to, knowing that the only consequence is that people will continue to die at sea and that no witnesses will be present to count the dead.

    “European leaders appear to have no qualms implementing increasingly abusive and vicious tactics that serve their own political interests at the expense of human lives,” said Karline Kleijer, MSF’s Head of Emergencies. “For the past two years, European leaders have claimed that people should not die at sea, but at the same time they have pursued dangerous and ill-informed policies that have brought the humanitarian crisis in the Central Mediterranean and in Libya to new lows. This tragedy has to end, but that can only happen if EU governments allow the Aquarius and other search and rescue vessels to continue providing lifesaving assistance and bearing witness where it is so desperately needed.”

    Since the beginning of the year, more than 1,250 people have drowned while attempting to cross the Central Mediterranean. Those that attempt the crossing are three times more likely to drown than those who made the same journey in 2015. The real number of deaths is likely much higher, as not all drownings are witnessed or recorded by authorities or U.N. agencies. This underreporting is represented in shipwrecks like the one in early September in which it is estimated that at least 100 people drowned.

    Meanwhile, the European-sponsored Libyan coastguard continues to make an increasing number of interceptions in international waters between Italy, Malta and Libya, while denying survivors their right to disembark in a place of safety as required by International Maritime and Refugee Law. Instead, these vulnerable people are returned to appalling conditions in Libyan detention centres, several of which are now affected by heavy fighting in Tripoli’s conflict zones.

    “Five years after the Lampedusa tragedy, when European leaders said ‘never again’ and Italy launched its first large scale search and rescue operation, people are still risking their lives to escape from Libya while the death rate on the Central Mediterranean is skyrocketing” said Sophie Beau, vice president of SOS MEDITERRANEE international. “Europe cannot afford to renounce its fundamental values.”

    News from the PMA arrived at the Aquarius while the team was engaged in an active search and rescue operation in the Central Mediterranean. Over the past three days, Aquarius has assisted two boats in distress and now has 58 survivors on board, several of whom are psychologically distressed and fatigued from their journeys at sea and experiences in Libya, and who must be disembarked urgently in a place of safety in accordance with international maritime law. Throughout its current operation and during all previous rescue operations, the Aquarius has maintained full transparency while operating under the instructions of all maritime coordination centres and following international maritime conventions.

    SOS MEDITERRANEE and MSF demand that European governments allow the Aquarius to continue its rescue mission by reassuring the Panama authorities that the threats made by the Government of Italy are unfounded, or by immediately issuing a new flag under which the vessel can sail.

    https://www.msf.org/italian-government-pressures-panama-stop-aquarius-rescues-worlds-deadliest-mari
    #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #ONG #sauvetage #pavillon

    • Le gouvernement italien fait pression sur le Panama pour stopper les opérations de sauvetage de l’Aquarius

      Les autorités maritimes du Panama ont annoncé à SOS Méditerranée et Médecins Sans Frontières (MSF) avoir été forcées de révoquer l’enregistrement du navire de secours en mer Aquarius. Cette révocation résulte de la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien et condamne des centaines d’hommes, de femmes et d’enfants en fuite à rejoindre le cimetière marin qu’est devenu la Méditerranée. Elle porte un coup violent à la mission humanitaire vitale de l’Aquarius, le seul navire de recherche et de sauvetage non gouvernemental encore présent en Méditerranée centrale. Nos deux organisations demandent aux gouvernements européens d’autoriser l’Aquarius à poursuivre sa mission en intercédant auprès des autorités panaméennes et en réaffirmant que les menaces de rétorsion formulées à leur égard par les autorités italiennes sont infondées, ou en lui délivrant immédiatement un nouveau pavillon sous lequel naviguer.

      Le samedi 22 septembre, l’équipe de l’Aquarius a été choquée d’apprendre qu’une communication officielle émanant des autorités panaméennes, indiquait que le gouvernement italien les avait exhorté à prendre des « mesures immédiates » contre l’Aquarius. Le message des autorités maritimes du Panama expliquait alors que « malheureusement, il faut qu’il [l’Aquarius] soit exclu de notre registre, car maintenir ce pavillon impliquerait de sérieuses difficultés politiques pour le gouvernement panaméen et pour la flotte panaméenne qui travaille dans les ports européens ». Cela intervient en dépit du fait que l’Aquarius répond à toutes les normes maritimes en vigueur et qu’il respecte scrupuleusement les spécifications techniques exigées par les autorités du Panama.

      Les deux organisations humanitaires dénoncent ces actions comme une preuve supplémentaire du jusqu’au-boutisme du gouvernement italien qui choisit sciemment de laisser les gens se noyer en mer Méditerranée, et cherche à se débarrasser des derniers témoins de ces naufrages.

      "Les dirigeants européens semblent n’avoir aucun scrupule à mettre en œuvre des tactiques de plus en plus violentes et sordides qui servent leurs propres intérêts politiques au détriment des vies humaines", a déclaré Karline Kleijer, responsable des urgences chez MSF. « Au cours des deux dernières années, les dirigeants européens ont affirmé que plus personne ne devait mourir en mer, mais elles ont parallèlement mis en place des politiques dangereuses qui n’ont fait que renforcer la crise humanitaire en Méditerranée et en Libye. Cette tragédie doit cesser, et pour cela, il faut que les gouvernements de l’Union européenne autorisent l’Aquarius et d’autres navires de recherche et de sauvetage à continuer à fournir une assistance, là où elle est nécessaire, pour sauver des vies et témoigner de ce qu’il se passe. »

      Depuis le début de l’année, plus de 1 250 personnes se sont noyées alors qu’elles essayaient de traverser la Méditerranée centrale. Ceux qui tentent la traversée à présent ont trois fois plus de risque de se noyer que ceux qui ont fait le même trajet en 2015. Le nombre réel de décès est probablement beaucoup plus élevé, les autorités ou les agences des Nations unies n’étant pas témoins de toutes les noyades. Cela a été clairement mis en évidence lors du naufrage survenu au début du mois de septembre au large des côtes libyennes, où plus de 100 personnes se sont noyées.

      Pendant ce temps, les garde-côtes libyens, soutenus par l’Europe, continuent d’intercepter dans les eaux internationales entre l’Italie, Malte et la Libye un nombre croissant de personnes fuyant la Libye, les privant de leur droit à débarquer dans un lieu sûr, comme l’exige le droit international maritime et le droit international relatif aux réfugiés. Ces personnes vulnérables sont renvoyées dans un dangereux système de détention en Libye, où plusieurs centres de détention sont d’ailleurs actuellement touchés par les violents combats qui se déroulent à Tripoli, la capitale.

      "Cinq ans après la tragédie de Lampedusa, lorsque les dirigeants européens ont déclaré ‘plus jamais ça’ et que l’Italie a lancé sa première opération de recherche et de sauvetage à grande échelle, les gens risquent toujours leur vie pour fuir la Libye tandis que le taux de mortalité en mer Méditerranée grimpe en flèche », a tancé Francis Vallat, président de SOS MEDITERRANEE France.

      L’annonce des autorités maritimes du Panama est parvenue à l’Aquarius alors que ses équipes étaient engagées dans une opération active de recherche et de sauvetage en Méditerranée. Au cours des trois derniers jours, l’Aquarius a porté assistance aux passagers de deux bateaux en détresse et compte maintenant 58 rescapés à son bord. Plusieurs d’entre eux sont dans un état de détresse psychologique, épuisés par les expériences traumatisantes vécues en mer et en Libye Ces rescapés doivent être rapidement débarqués dans un port sûr conformément au droit international maritime.

      Tout au long de son opération de sauvetage actuelle et au cours de toutes les opérations précédentes, l’Aquarius a maintenu une transparence totale sur ses actions, intervenant sous les instructions des centres de coordination maritimes et respectant les conventions maritimes internationales en vigueur.

      SOS Méditerranée et MSF insistent de nouveau sur le fait que l’Aquarius doit être autorisé à poursuivre sa mission de secours humanitaire. Elles exigent que les gouvernements européens lui attribuent un nouveau pavillon ou qu’ils intercèdent auprès des autorités panaméennes, leur confirmant que les menaces de rétorsion formulées par le gouvernement italien sont infondées.

      http://www.sosmediterranee.fr/journal-de-bord/CP23-09-2018-Panama

    • Migranti, Panama blocca la nave #Aquarius_2. Msf e Sos Méditerranée: «Pressioni dal governo italiano»

      Le autorità panamensi hanno revocato l’iscrizione dai propri registri navali, informando il proprietario della richiesta italiana di «azioni immediate». Il Viminale nega ogni intervento. Salvini: «Nessun Paese vuole essere identificato con una nave che intralcia i soccorsi in mare e attacca governi democratici»

      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/09/23/news/aquarius2-207151404

    • Pressioni italiane su Panama che cancellerà Aquarius dai registri navali, l’accusa è per non aver restituito alla Libia i migranti salvati

      SOS Méditerranée e Medici Senza Frontiere sono «sconvolte dall’annuncio dell’Autorità marittima di Panama di essere stata costretta a revocare l’iscrizione dell’Aquarius dal proprio registro navale sotto l’evidente pressione economica e politica delle autorità italiane.

      Questo provvedimento condanna centinaia di uomini, donne e bambini, alla disperata ricerca di sicurezza, ad annegare in mare e infligge un duro colpo alla missione umanitaria di Aquarius». Così in una nota le due organizzazioni umanitarie.

      SOS Mediterrannee e MSF chiedono all’Europa di permettere all’Aquarius di poter continuare ad operare nel Mediterraneo centrale e di far sapere alle autorità panamensi che «le minacce del governo italiano sono infondate o di garantire immediatamente una nuova bandiera per poter continuare a navigare».

      E’ quanto chiedono le due Ong in una nota nella quale è riportata anche una dichiarazione di Karline Kleijer, responsabile delle emergenze per Msf. «I leader europei - afferma Kleijer - sembrano non avere scrupoli nell’attuare tattiche sempre più offensive e crudeli che servono i propri interessi politici a scapito delle vite umane. Negli ultimi due anni, i leader europei hanno affermato che le persone non dovrebbero morire in mare, ma allo stesso tempo hanno perseguito politiche pericolose e male informate che hanno portato a nuovi minimi la crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale e in Libia. Questa tragedia deve finire, ma ciò può accadere solo se i governi dell’Ue permetteranno all’Aquarius e alle altre navi di ricerca e soccorso di continuare a fornire assistenza».

      Salvini,denuncerò ong che aiutano scafisti - «Denuncerò per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina chi aiuta gli scafisti». Lo afferma il Ministro dell’Interno Matteo Salvini che aggiunge: «Nelle ultime ore i trafficanti hanno ripreso a lavorare, riempiendo barchini e approfittando della collaborazione di qualche Ong. Tra queste c’è Aquarius 2, che poco fa ha recuperato 50 persone al largo di Zuara. Altri due gommoni, con a bordo 100 immigrati ciascuno, sarebbero in navigazione».

      Aquarius 2 recupera 50 persone,altre 100 in arrivo - Aquarius 2 ha recuperato 50 persone al largo della Libia, più precisamente al largo della città di Zuara. A renderlo noto è il Ministro dell’Interno Matteo Salvini.
      Salvini riferisce anche che Aquarius 2 sta per essere cancellata dai registri navali di Panama. La notizia era stata pubblicata due giorni fa dal quotidiano panamense La Prensa.

      "Per aver disatteso le procedure internazionali in materia di immigranti e rifugiati assistiti al largo delle coste nel Mediterraneo - si legge nell’articolo - l’amministrazione marittima panamense ha avviato l’iter per annullare d’ufficio la registrazione della nave «Aquarius 2», ex «Acquarius», con numero IMO 7600574. Questa nave ha registrato la prima immatricolazione in Germania e circa un mese fa è arrivata a Panama".

      «L’autorità marittima di Panama - riporta ancora la Prensa - ha riferito che la denuncia principale proviene dalle autorità italiane, che hanno riferito che il capitano della nave si è rifiutato di restituire gli immigranti e i rifugiati assistiti al loro luogo di origine».

      Nell’articolo si ricorda inoltre che già «l’amministrazione marittima di Gibilterra aveva negato il permesso di ’Aquarius’ di agire come un battello di emergenza e anche nel mese di giugno e luglio di quest’anno, ha chiesto formalmente che ’sospenda le sue operazioni’ e ritorni al suo stato di registrazione originale come ’nave oceanografica’».

      Galantino, strano parlare di migranti in dl sicurezza - «A me sembra strano che si parli di immigrati all’interno del decreto sicurezza. Inserirlo lì dentro significa giudicare già l’immigrato per una sua condizione», «per il suo essere immigrato e non per i comportamenti che può avere. E’ un brutto segnale sul piano culturale, perché si tratta di un tema sociale che va affrontato nel rispetto della legalità ma non possiamo considerare la condizione degli immigrati come una condizione di delinquenza». Lo ha detto a «Stanze Vaticane» di Tgcom24, Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale Cei.

      https://dirittiumani1.blogspot.com/2018/09/pressioni-italiane-su-panama-che.html

    • The Aquarius : Migrant rescue ship has registration revoked

      A rescue vessel operating in the central Mediterranean Sea has had its registration revoked, leaving its future operations in jeopardy.

      When the Aquarius next docks, it will have to remove its Panama maritime flag and cannot set sail without a new one.

      It is the last private rescue ship operating in the area used for crossings from Libya to Europe.

      The charities who run the vessel accuse the Italian government of pressuring Panama into deflagging the Aquarius.

      The two groups who lease it, Médecins Sans Frontières (MSF) and SOS Mediterranée, say they were notified of the decision by the Panama Maritime Authority (PMA) on Saturday.

      The authority is said to have described the ship as a “political problem” for the country’s government, and said Italian authorities had urged them to take “immediate action” against them, according to SOS Mediterranée.

      Italy’s Interior Minister Matteo Salvini, who has previously described the aid boats as a “taxi service” for migrants, denies his country put pressure on Panama.

      On Sunday, he tweeted he “didn’t even know” what prefix Panama has for telephone calls.

      https://www.bbc.com/news/world-europe-45622431

    • Dopo le accuse alle ong da oggi Mediterraneo senza presidi umanitari

      Oggi, 20 settembre 2018, uno degli obiettivi politici di molti governi europei sembra pienamente raggiunto: il Mediterraneo centrale è privo di presidi umanitari, di imbarcazioni destinate a prestare soccorso, di mezzi attrezzati e personale formato al fine di salvare vite umane.

      Dunque, con la sola eccezione della nave Aquarius, dove opera Medici Senza Frontiere, il Mediterraneo è stato, per così dire, sgomberato dalla presenza di tutti i soccorritori e i volontari. E di tutti gli operatori umanitari (medici, psicologi, mediatori e interpreti) – a partire dal 2015 – hanno realizzato centinaia di missioni e centinaia di salvataggi, risparmiando migliaia e migliaia di vittime, offrendo riparo e protezione ai fuggiaschi di tante guerre e di tante miserie. E riducendo il numero delle stragi che, non da ieri ma dai primi anni novanta (attenzione: dai primi anni novanta), si ripetono in quel tratto di mare. Ora lì operano, quando operano, solo navi e organismi degli stati europei, in genere indirizzati verso la difesa delle frontiere piuttosto che verso il soccorso dei naufraghi.

      E alcune guardie costiere prive di indirizzi politici univoci e le motovedette della Libia (meglio sarebbe dire: delle diverse milizie libiche). È ciò che alcuni governi europei, compreso quello italiano, si sono proposti da tempo: cancellare, o comunque ridurre al minimo, il ruolo delle organizzazioni non governative finalizzate al soccorso per lasciare campo libero all’attività di respingimento di migranti e profughi attraverso il blocco del Mediterraneo con la chiusura di porti, vie d’accesso, canali di fuga e rotte alternative. L’obiettivo è chiarissimo: attraverso l’esclusione delle Ong si persegue la mortificazione, fino all’annullamento, del diritto/dovere al soccorso.

      E per ottenere quest’ultimo scopo, nel corso degli ultimi due anni si è attuata una sequenza micidiale: prima una campagna di delegittimazione delle Ong tramite lo sfregio della loro identità e della loro immagine e l’indecente assimilazione dei soccorritori ai criminali («Le ong complici degli scafisti»); poi una successione di iniziative giudiziarie tendenti ad assimilare l’attività di soccorso a una fattispecie penale: ovvero il salvataggio come reato. Infine, un attacco politico fondato sulla rappresentazione di migranti e richiedenti asilo come nemici della stabilità e della sicurezza dell’Europa – e in particolare dell’Italia – e delle ong come loro complici e sicari.

      Oggi, a distanza di qualche anno da quando questa manovra politica è iniziata, sul piano giudiziario non c’è stato nemmeno un rinvio a giudizio per un solo membro di una sola ong e, all’opposto, si sono avute ordinanze e sentenze che riconoscevano la loro attività come fondamentale e pienamente rispettosa delle leggi e del diritto internazionale. Tuttavia, come si è detto, oggi nel Mar Mediterraneo i presidi umanitari sono ridotti al lumicino e le conseguenze materiali e il relativo carico di sofferenze è stato onerosissimo. Le navi delle Ong hanno dovuto percorrere molte miglia in più durante ciascuna missione e sono rimaste in mare per giorni senza l’indicazione di un porto di approdo sicuro – costringendo donne, uomini e bambini, già provati fisicamente e psicologicamente, ad affrontare lunghissime traversate, spesso in condizioni meteorologiche avverse. Non solo, quindi, le recenti politiche nazionali e internazionali hanno messo in pericolo la loro incolumità e quella degli equipaggi delle Ong, ma perfino la Guardia Costiera italiana, come è noto, ha dovuto attendere dieci giorni prima di poter sbarcare a Catania le persone salvate.

      Eppure la partita è tutt’altro che conclusa. I flussi di migranti e profughi continuano e le morti non si arrestano. E la riduzione delle cifre relative agli sbarchi corrisponde, in una certa misura, all’incremento del numero di quanti vengono rinchiusi nei centri di detenzione in Libia, e lì torturati, stuprati, uccisi. L’assenza di presidi umanitari nel Mediterraneo fa sì che sempre meno si sappia di quanto lì accade: ma se è vero, come è vero, che appena qualche giorno fa ben 184 persone sono sbarcate a Lampedusa, ciò significa che le fughe continuano ma che si sono fatte meno visibili e meno controllabili.

      Per tutte queste ragioni, ieri si è tenuta una conferenza stampa alla Camera dei Deputati dove Sandro Veronesi, i rappresentanti di Proactiva Open Arms, Sea Watch e Medici Senza Frontiere, Eleonora Forenza, Riccardo Magi e chi scrive, hanno ragionato intorno al tema «Mediterraneo. Mare loro». Si è ricordato che Proactiva Open Arms ha deciso di trasferire le sue missioni nel Mediterraneo Occidentale, in attesa di tornare il prima possibile a fare il suo lavoro: salvare vite umane. Altrettanto intendono fare Sea Watch e Medici Senza Frontiere, come hanno affermato Giorgia Linardi e Marco Bertotto, convinti che il diritto/dovere al soccorso costituisca una prerogativa fondamentale della civiltà umana.

      https://ilmanifesto.it/dopo-le-accuse-alle-ong-da-oggi-mediterraneo-senza-presidi-umanitari

      #ONG #Méditerranée #asile #migrations #Méditerranée_centrale #sauvetage #réfugiés

    • Le Panama retire son pavillon à l’“Aquarius 2”, le dernier bateau d’ONG en Méditerranée

      Les autorités panaméennes ont annoncé leur intention de retirer son pavillon au bateau Aquarius 2. SOS Méditerranée et Médecins sans frontières, qui affrètent le bateau, dénoncent des pressions du gouvernement italien.


      https://www.courrierinternational.com/article/le-panama-retire-son-pavillon-laquarius-2-le-dernier-bateau-d

    • L’Aquarius demande à accoster en France, Paris préfère une « solution européenne »

      Bientôt privé de pavillon, le navire humanitaire Aquarius était lundi « en route vers Marseille » après avoir demandé « à titre exceptionnel » à la France de pouvoir y débarquer les 58 migrants secourus à son bord. Mais Paris y semblait peu favorable, évoquant plutôt une « solution européenne ».

      « Aujourd’hui, nous faisons la demande solennelle et officielle aux autorités françaises » de donner, « de manière humanitaire, l’autorisation de débarquer » les rescapés, parmi lesquels 17 femmes et 18 mineurs, a indiqué le directeur des opérations de SOS Méditerranée, Frédéric Penard.

      Il est pour l’instant impossible de prévoir « quand le navire arrivera » sur les côtes françaises, a souligné M. Penard lors d’une conférence de presse à Paris, l’Aquarius étant « toujours susceptible d’être mobilisé » pour une opération de sauvetage.

      Mais il faudrait « environ quatre jours » au navire, qui se trouve actuellement au large de la Libye, pour gagner Marseille, a précisé Francis Vallat, le président de l’ONG en France.

      Depuis le début de la crise provoquée cet été par la fermeture des ports italiens aux migrants, la France n’a jamais accepté de laisser débarquer les navires humanitaires, arguant qu’en vertu du droit maritime les naufragés doivent être débarqués dans le « port sûr » le plus proche.

      « Nous avons alerté d’autres pays mais nous avons du mal à imaginer que la France puisse refuser, compte tenu de la situation humanitaire », a ajouté M. Vallat. Sans préjuger de la réponse, il a assuré qu’à aucun moment les autorités, qui ont été prévenues en amont, « ne nous ont dissuadés de monter vers Marseille ».

      Mais Paris semblait dans la soirée peu favorable à cette hypothèse. Contacté par l’AFP, Matignon a d’abord indiqué chercher « une solution européenne » selon le principe du « port sûr le plus proche ». « Et en l’occurrence ce n’est pas Marseille », a ensuite précisé le porte-parole du gouvernement, Benjamin Griveaux, sur Canal+.

      Pour SOS Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF), qui ont affrété le navire, la situation est également « extrêmement critique » parce que le navire risque de perdre le pavillon du Panama au moment de toucher terre, a fait valoir M. Penard. Regagner Marseille, port d’attache du navire et siège de SOS Méditerranée, est donc crucial pour « mener ce combat, qui va être difficile, pour repavilloner l’Aquarius ».

      – « Du jamais vu » -

      Les autorités maritimes panaméennes ont annoncé samedi qu’elles allaient retirer son pavillon à l’Aquarius, déjà privé en août de pavillon par Gibraltar, pour « non-respect » des « procédures juridiques internationales » concernant le sauvetage de migrants en mer Méditerranée.

      « Du jamais vu et en soi un scandale », selon M. Vallat, qui a demandé au Panama « de revenir sur sa décision » et sinon aux Etats européens de fournir un pavillon à l’Aquarius. « Nous ne voulons pas nous arrêter, nous ne cèderons qu’à la force ou à la contrainte », a-t-il lancé.

      Les deux ONG avaient précédemment dénoncé « la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien » sur les autorités panaméennes — allégation contestée par le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Aujourd’hui « l’Aquarius est le seul navire civil en Méditerranée centrale, qui est la route maritime la plus mortelle du monde », a fait valoir SOS Méditerranée, avec « plus de 1.250 noyés » depuis le début de l’année.

      Les autres navires humanitaires, qui étaient encore une dizaine il y a un peu plus d’un an au large de la Libye, ont quitté la zone pour des raisons diverses. Le Lifeline est bloqué à La Valette où les autorités ont ouvert une enquête administrative, tandis que le Iuventa, soupçonné de collusion avec des passeurs, a été saisi par les autorités italiennes en août 2017.

      « Non seulement les Européens ne mettent pas en place de mécanisme de sauvetage pérenne, mais ils essaient de détruire la capacité de la société civile à répondre à cette crise en Méditerranée », s’est indignée AssiBa Hadj-Sahraoui de MSF.

      Même si on est loin du pic des arrivées de 2015, la question migratoire divise encore profondément l’Europe, qui cherche à empêcher les départs clandestins.

      En juin, l’Aquarius avait déjà été au cœur d’une crise diplomatique, après avoir récupéré 630 migrants au large de la Libye, débarqués en Espagne après le refus de l’Italie et de Malte de les accepter. Le scénario s’était répété en août pour 141 migrants débarqués à Malte.

      https://www.liberation.fr/planete/2018/09/24/l-aquarius-demande-a-accoster-en-france-paris-prefere-une-solution-europe

    • La marine royale ouvre le feu sur un go-fast et fait 1 mort et 3 blessés

      Les personnes à bord étaient toutes marocaines, à l’exception du pilote, espagnol.

      Un bateau qui naviguait dans les eaux marocaines de la Méditerranée, a été, ce mardi 25 septembre, la cible de tirs d’une unité de la marine royale, annonce un communiqué de la préfecture de M’diq-Fnideq. L’embarcation avait refusé de se conformer aux avertissements qui lui avaient été adressés, poursuit le communiqué.

      Le bateau rapide de type “Go fast”, qui a été arrêté, était piloté par un citoyen espagnol et transportait des candidats à l’immigration clandestine, selon les données initiales rapportées par la préfecture. Les migrants à bord seraient quant à eux de nationalité marocaine, rapportent 2M.ma.

      La #fusillade a causé 4 blessés qui ont été transférés à l’hôpital régional de Fnideq pour recevoir les traitements nécessaires.

      Une première information rapportée par nos confrères de 2M, citant une source hospitalière dans un post sur Twitter, indiquait qu’une femme parmi les blessés avait succombé à ses blessures à l’hôpital. Ce post a été supprimé dans la soirée, avant de repartager l’info après 22h.

      https://www.huffpostmaghreb.com/entry/la-marine-royale-ouvre-le-feu-sur-un-go-fast-et-fait-un-mort-et-tro
      #Maroc

      Une des victimes:
      Una joven, víctima de los disparos de la Marina Real de Marruecos cuando huía a España


      https://elpais.com/politica/2018/09/26/actualidad/1537984724_391033.html?id_externo_rsoc=TW_CC

    • L’"Aquarius", un bateau pirate ? Quatre questions sur l’imbroglio juridique qui menace le navire humanitaire

      Le Panama a décidé de retirer le pavillon accordé cet été au bateau géré par l’ONG SOS Méditerranée, remettant en cause sa mission de sauvetage de migrants récupérés au large de la Libye.

      Les obstacles à la navigation de l’Aquarius s’accumulent. Le Panama a annoncé, samedi 22 septembre, qu’il allait retirer son pavillon au navire humanitaire, alors que celui-ci cherche un port pour débarquer 58 naufragés secourus au large de la Libye. L’Aquarius avait repris ses activités de sauvetage la semaine dernière après une escale forcée de 19 jours, faute de pavillon, et a annoncé qu’il faisait désormais route vers Marseille. Franceinfo fait le point sur cette décision et ses conséquences pour le navire humanitaire.

      Comment le Panama justifie-t-il cette décision ?

      Les autorités maritimes du Panama se sont fendues d’une explication de quelques lignes dans un communiqué diffusé sur leur site. « L’administration maritime panaméenne a entamé une procédure d’annulation officielle de l’immatriculation du navire Aquarius 2, ex-Aquarius (...) après la réception de rapports internationaux indiquant que le navire ne respecte pas les procédures juridiques internationales concernant les migrants et les réfugiés pris en charge sur les côtes de la mer Méditerranée », établit ce communiqué.

      Le Panama évoque également le fait que le navire s’est déjà vu retirer son pavillon par Gibraltar. En août, le gouvernement de Gibraltar avait révoqué le pavillon de l’Aquarius après lui avoir demandé de suspendre ses activités de sauvetage pour lesquelles il n’est pas enregistré dans le territoire britannique. Le bateau s’était alors tourné vers le Panama.

      L’"Aquarius" a-t-il enfreint le droit international ?

      A quelles « procédures juridiques internationales » le Panama fait-il référence ? L’Etat d’Amérique centrale indique que la principale plainte émane des autorités italiennes, selon lesquelles « le capitaine du navire a refusé de renvoyer des migrants et réfugiés pris en charge vers leur lieu d’origine ».

      Une référence, ici, au refus du navire de ramener en Libye des naufragés qui avaient pris la mer depuis les côtes libyennes, selon Alina Miron, professeure de droit international à l’université d’Angers et spécialisée dans le droit maritime, « puisque tous les naufragés secourus par l’Aquarius, depuis qu’il bat le pavillon panaméen, venaient de Libye », souligne-t-elle à franceinfo.

      Et « de ce point de vue-là, l’Aquarius ne contrevient nullement au droit international », explique Alina Miron. « L’Aquarius a surtout l’obligation de ne pas les ramener en Libye », fait-elle valoir. En effet, les conventions maritimes internationales prévoient que toute personne secourue en mer, quels que soient son statut et sa nationalité, soit débarquée dans un lieu sûr. Or, la Libye n’est pas considérée comme un lieu sûr de débarquement, comme l’a rappelé le Haut-Commissariat pour les réfugiés des Nations unies (HCR) en septembre.

      Quel est le rôle de l’Italie dans cette décision ?

      « Cette révocation résulte de la pression économique et politique flagrante exercée par le gouvernement italien » sur le Panama, ont déclaré les ONG Médecins sans frontières et SOS Méditerrannée, qui gèrent l’Aquarius, dans un communiqué.

      « Le communiqué du Panama établit que les autorités ont pris cette décision suite à une communication avec l’Italie. Cela veut bien dire que le Panama n’a pas pris cette décision de son propre chef, d’autant plus qu’il avait pris le temps de vérifier la situation de l’Aquarius avant de lui accorder son pavillon cet été », souligne de son côté Alina Miron.

      Le communiqué du Panama précise par ailleurs que « l’exécution d’actes portant atteinte aux intérêts nationaux constitue une cause de radiation d’office de l’immatriculation des navires ».

      Cela illustre les pressions de l’Italie qui ont conduit le Panama à prendre cette décision.Alina Miron, spécialiste du droit maritimeà franceinfo

      Qu’est-ce que cela change pour l’"Aquarius" ?

      Le retrait du pavillon panaméen n’est pas effectif immédiatement. Les conventions internationales établissent qu’aucun changement de pavillon ne peut intervenir au cours d’un voyage ou d’une escale. L’Aquarius conserve donc son pavillon pendant toute la durée de son voyage, jusqu’à ce qu’il rejoigne son port d’attache au Panama ou qu’il fasse une longue escale technique.

      « Ça, c’est en théorie, détaille Alina Miron, mais le Panama a créé une situation de confusion et certaines marines nationales, notamment la marine libyenne, vont utiliser cette confusion pour considérer l’Aquarius comme un navire sans nationalité. » Or, les marines nationales peuvent exercer des pouvoirs de police sur des navires sans nationalité en haute mer, ce qui est impossible sur un navire qui bat pavillon, développe la juriste. « Le risque le plus immédiat, pour l’Aquarius, c’est que la marine libyenne monte à bord pour opérer des vérifications, même sans accord du capitaine », explique Alina Miron.

      Face à cette situation, SOS Mediterrannée et Médecins sans frontières « demandent aux gouvernements européens d’autoriser l’Aquarius à poursuivre sa mission, en intercédant auprès des autorités panaméennes et en réaffirmant que les menaces de rétorsion formulées à leur égard par les autorités italiennes sont infondées, ou en lui délivrant immédiatement un nouveau pavillon sous lequel naviguer ».

      https://mobile.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/aquarius/l-aquarius-un-bateau-pirate-quatre-questions-sur-l-imbroglio-juridique-qui-menace-le-navire-humanitaire_2954663.html#xtref=http://m.facebook.com

    • Aquarius, "Stati Ue concedano bandiera”. E spunta l’ipotesi Vaticano

      Dopo le pressioni Panama cancella Aquarius II dal suo registro. Penard (Sos Mediterranée): “Stati che dicono di aderire a solidarietà propongano soluzione”. Lodesani (Msf): “Stanchi di menzogne e attacchi, nostro obiettivo salvare vite, a bordo anche famiglie libiche che scappano da inferno”

      Un appello a tutti gli Stati europei, in particolare a quelli che “ripetono di aderire a valori di solidarietà” perché consentano l’iscrizione della bandiera della nave Aquarius II, in uno dei loro registri nazionali. “L’unico gesto concreto per rendere ancora possibile il salvataggio in mare di persone in difficoltà all’ultima nave di ong rimasta nel Mediterraneo”. Lo hanno ribadito in una conferenza stampa oggi a Roma Frederic Penard, direttore delle operazioni Sos Mediterranee e Claudia Lodesani, presidente di Medici senza frontiere.

      Il caso politico diplomatico è noto: dopo gli ultimi salvataggi in mare operati da Aquarius II, a largo della Libia, e il rifiuto di riconsegnare le persone alla cosiddetta guardia costiera libica, Panama ha comunicato di voler ritirare la sua bandiera alla nave, per evitare di avere “problemi politici” con l’Italia. Ma l’assenza di una bandiera vuol dire di fatto fermare la nave. “Per noi è stato uno shock - spiega Penard - In questo momento siamo l’ultima nave a fare ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Per l’iscrizione al registro di Panama abbiamo fornito oltre 70 certificazioni alle autorità, siamo perfettamente in regola e abbiamo sempre agito nella legalità - aggiunge il responsabile di Sos Mediterranèe -. Abbiamo chiesto spiegazioni, anche per capire il perché di questo passo indietro”. Le due ong spiegano che in una nota riservata dell’autorità marittima panamense inviata all’ armatore di Aquarius, si dice esplicitamente che la nave deve essere esclusa dal registro perché la sua permanenza provocherebbe un “problema politico” con l’Italia. L’armatore di Aquarius ha parlato esplicitamente di “pressioni politiche” sul governo panamense.

      “La nostra richiesta è che Panama torni indietro sulla sua decisione, riconsiderandola - aggiunge Penard -. Inoltre chiediamo agli Stati europei di proporre una soluzione per Aquarius, e alla società civile di fare pressione sui propri governi per sostenere il nostro lavoro, il soccorso in mare non può essere criminalizzato”. In queste ore alcuni parlamentari si sono mossi in Svizzera per chiedere che il governo elvetico conceda la propria bandiera.

      Un appello dal basso, che inizia a circolare anche sui social, chiama in causa anche il Vaticano: “Non so se sia possibile, ma se lo fosse, sarebbe bello che il Vaticano offrisse la propria bandiera alla nave Aquarius - sottolinea don Luca Favarin, parroco di Padova su Facebook-. Una chiesa in acqua non farà mai acqua. Così limpidamente e semplicemente schierata dalla parte degli ultimi, sbilanciata sui diritti dei poveri”. Penard ha spiegato di non aver contattato direttamente nessuno stato, e che l’appello vale per tutti quindi semmai fosse offerto il registro Vaticano sarebbe accettato con favore, anche se “probabilmente quel registro, che esiste, non viene usato da secoli”.

      Intanto, le due organizzazioni non nascondono il malumore per i continui attacchi politici, e mediatici, nei confronti del loro operato. "Siamo stanchi di menzogne, attacchi e intimidazioni, di essere additati come quelli che violano le norme internazionali. È il momento di accusare chi sono i veri responsabili del business degli scafisti: le scellerate politiche europee” sottolinea Claudia Lodesani. “Siamo stati chiamati noi vicescafisti - aggiunge - ma oggi gli Stati europei non prendono neanche in considerazione l’ipotesi di pensare a vie legali di ingresso. Sono queste politiche che aiutano gli scafisti, non certo noi. Il nostro obiettivo è la salvaguardia della vita umana e in nome di questo operiamo salvataggi in mare”. Lodesani ricorda che dall’inizio dell’anno, pur a fronte di una diminuzione di arrivi dell’80 per cento, ci sono già stati 1260 morti in mare. “Siamo passati da 1 morto ogni 32 a 1 morto ogni 18 - Ostacolare il soccorso e l’azione umanitaria vuol dire solo eliminare testimoni scomodi dal Mediterraneo. La vita delle persone non è più al centro delle politiche, ma ora le persone sono usate come ostaggio dalla politica - aggiunge - . Questa situazione è responsabilità è di tutti i paesi europei, anche perché parlando di poche persone. Inoltre, bisogna ricordare che il salvataggio in mare va distinto dall’accoglienza ed è governato da leggi internazionali. Va assicurato il porto più sicuro e più vicino di sbarco. Poi - continua - come sempre abbiamo fatto, chiediamo la solidarietà europea nell’accoglienza”.

      Tra le 58 persone tratte in salvo da Aquarius II nel Mediterraneo ci sono anche 37 libici: “ si tratta di famiglie che scappano dall’Inferno della Libia, un paese attualmente in guerra. E che quindi non può essere considerato un luogo sicuro, le persone non possono essere respinte in Libia. Ci chiediamo se riportarle in quell’inferno sia etico e se sia legale”. “Tra le altre persone a bordo - aggiunge Mathilde Auvillain, di Sos Mediterranée, ci sono 18 minori, 17 donne, di cui una incinta. Ci siamo rifiutati di fare il trasbordo di queste persone sulle motovedette libiche, perché riportarle indietro è illegale”. Lo sbarco, dopo il rifiuto dell’Italia dovrebbe avvenire nei prossimi giorni a Malta, ma non si sa ancora quando. I migranti saranno poi accolti in 4 paesi: Francia, Portogallo, Spagna e Germania.

      “Il soccorso in mare è regolato da principi fondamentali e regole precise - spiega Lorenzo Trucco, presidente di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) - In particolare, dalla Convenzione Soas sulla salvaguardia in mare, dalla Convenzione Sar e dalla Convenzione europea sul soccorso in mare. Tutte queste convenzioni sono state ratificate con leggi in Italia e tutte dicono che il principio primario è la salvaguardia della persona, che va salvata e portata in un luogo sicuro. Per questo la questione libica non è un’opinione, è certificato che non si tratti un luogo sicuro, quello che accade nei centri di detenzione è stato denunciato a settembre anche da Unhcr. Il respingimento di persone in Libia è grave - afferma - La questione del soccorso non è solo diritto ma un obbligo sanzionato da tutte le nazioni. E’ paradossale, quindi, quello che sta succedendo”.

      Duro il commento anche di Filippo Miraglia di Arci sulle pressioni dell’Italia verso il governo panamense: “Msf e Sos Medierranée in questo momento rappresentano tutti noi in mare, mi fa accapponare la pelle pensare che il governo italiano abbia intimidito in maniera mafiosa il governo panamense - afferma - E’ un gesta che fa venire i brividi, come fa venire i brividi il combinato disposto tra la chiusura dei porti e il decreto Salvini. C’è da vergognarsi”.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/598417/Aquarius-Stati-Ue-concedano-bandiera-E-spunta-l-ipotesi-Vaticano
      #Vatican

    • Appel à donner le pavillon suisse à l’Aquarius : interview de Guillaume Barazzone

      Le Conseil fédéral doit accorder un pavillon suisse à l’Aquarius, ont demandé mercredi trois parlementaires. Depuis trois jours, ce navire qui porte secours aux migrants en mer Méditerranée, n’a plus de drapeau. Interview de Guillaume Barazzone (PDC/GE), l’un des auteurs de cette interpellation.

      https://www.rts.ch/play/radio/forum/audio/appel-a-donner-le-pavillon-suisse-a-laquarius-interview-de-guillaume-barazzone?i

    • Vive émotion au Maroc après les tirs meurtriers de la marine sur un bateau de migrants

      La jeune femme tuée tentait d’atteindre l’Espagne. Un trajet de plus en plus emprunté, sur fond de tension migratoire accrue dans le royaume.

      L’émotion était vive au Maroc, mercredi 26 septembre, au lendemain de la mort d’une femme de 22 ans, originaire de la ville de Tétouan, tuée alors qu’elle tentait d’émigrer vers l’Espagne. Selon les autorités locales, la marine a été « contrainte » d’ouvrir le feu alors qu’un « go fast » (une puissante embarcation à moteur) piloté par un Espagnol « refusait d’obtempérer » dans les eaux marocaines au large de M’diq-Fnideq (nord). Outre la jeune Marocaine décédée, trois autres migrants ont été blessés, a confirmé une source officielle à l’AFP.

      Le drame s’est produit dans un contexte de tension migratoire au Maroc, confronté à une forte hausse des tentatives d’émigration depuis ses côtes et autour des enclaves espagnoles de Ceuta et Melilla. Rabat a ainsi indiqué avoir empêché 54 000 tentatives de passage vers l’Union européenne depuis janvier. De son côté, le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) chiffre le nombre d’arrivées en Espagne à quelque 40 000 personnes depuis le début de l’année (contre 28 000 en 2017 et 14 000 en 2016).

      Rafles et éloignements forcés

      La route migratoire Maroc-Espagne, qui était très utilisée il y a une dizaine d’années, a connu une nouvelle hausse d’activité depuis le renforcement des contrôles sur la Libye et les témoignages d’extrême violence contre les migrants par les réseaux de passeurs dans ce pays. Mais le Maroc voit également augmenter le nombre de ses nationaux candidats au départ, poussés par l’absence de perspectives dans un pays où 27,5 % des 15-24 ans sont hors du système scolaire et sans emploi. Selon le HCR, les Marocains représentaient 17,4 % des arrivées en Espagne en 2017, la première nationalité devant les Guinéens et les Algériens.

      Depuis 2015, le palais royal avait mis en avant une nouvelle politique migratoire avec deux campagnes de régularisation de 50 000 clandestins, principalement des Subsahariens. Mais ces derniers mois, le royaume a considérablement durci ses pratiques, multipliant les rafles et les éloignements forcés. Selon le Groupe antiraciste de défense et d’accompagnement des étrangers et migrants, une association marocaine, 6 500 personnes ont ainsi été arrêtées et déplacées du nord du pays vers des villes reculées du centre et du sud entre juillet et septembre.

      Le gouvernement a eu beau plaider que ces déplacements se font dans le « respect de la loi », les associations dénoncent des violences et l’absence de cadre légal concernant ces pratiques. Mi-août, deux migrants sont morts après avoir sauté du bus qui les éloignait de Tanger. Amnesty International a souligné une « répression choquante », « à la fois cruelle et illégale ». « Depuis fin juillet, la police marocaine ainsi que la gendarmerie royale et les forces auxiliaires procèdent à des raids majeurs dans les quartiers de plusieurs villes où vivent les réfugiés et les migrants, d’une intensité particulière dans les provinces du nord du pays de Tanger, Nador et Tétouan, qui bordent la frontière espagnole », écrit l’ONG. Les zones entourant les deux enclaves espagnoles en terre africaine, Ceuta et Melilla, sont traditionnellement le lieu de regroupement des migrants qui veulent tenter de rejoindre l’Europe.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/09/27/vive-emotion-au-maroc-apres-les-tirs-meurtriers-de-la-marine-sur-un-bateau-d

    • Migranti, la sfida delle associazioni italiane: una imbarcazione nel Mediterraneo per salvarli

      Ong e Onlus hanno organizzato un’imbarcazione battente la bandiera del nostro Paese per «un’azione di disobbedienza morale contro gli slogan delle destre nazionaliste e di obbedienza alle leggi del mare, del diritto internazionale e della Costituzione»

      A BORDO DELLA NAVE APPOGGIO BURLESQUE - Il rimorchiatore battente bandiera italiana “Mare Ionio” è partito nella notte di mercoledì dal porto di Augusta alla volta della costa Libica. Si tratta della prima missione in acque internazionali completamente organizzata in Italia ed è stata ribattezzata “Mediterranea”.
      Il progetto, promosso da varie associazioni (tra cui Arci nazionale, Ya Basta di Bologna, la Ong Sea-Watch, il magazine online I Diavoli e l’impresa sociale Moltivolti di Palermo) e sostenuto politicamente e finanziariamente da Nichi Vendola e tre parlamentari di Leu (Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto e Rossella Muroni). E’ stato avviato nello scorso luglio ed ha preso corpo nei mesi successivi. L’attività del “Mar Ionio” sarà ufficialmente circoscritta di “monitoraggio, testimonianza e denuncia”, spiegano gli organizzatori. Tuttavia tra le dotazioni a disposizione del “Mare Ionio” ci sono anche gli equipaggiamenti per il Sar, l’attività di search and rescue per la quale però non è abilitato.

      Nelle prossime ore l’imbarcazione, seguita dalla barca appoggio Burlesque (uno sloop Bavaria 50 battente bandiera spagnola con a bordo giornalisti nazionali e internazionali, attivisti e mediatori culturali), entrerà in azione nella stessa zona in cui da qualche giorno incrocia il veliero Astral dell’ong spagnola Open Arms, più volte definita dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, un “taxi del mare”.

      “Non potevamo più stare a guardare – dicono da bordo gli attivisti - bisognava agire e trovare il modo di contrastare il declino culturale e morale che abbiamo davanti. Quella di Mediterranea è un’azione di disobbedienza morale ed al contempo di obbedienza civile. Disobbediamo al prevalente del discorso pubblico delle destre nazionaliste obbedendo alle leggi del mare, del diritto internazionale e della nostra Costituzione che prevedono l’obbligatorietà del salvataggio di chi si trova in condizioni di pericolo”.


      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/04/news/migranti_una_nave_delle_ong_italiane_nel_mediterraneo_per_salvarli-208134

      –-> reçu par la mailing-list Migreurop, en commentaire de l’article italien:

      FR : Plusieurs ONG ont organisé un bateau battant le drapeau de l’Italie comme une « action de désobéissance morale contre les slogans des droites nationalistes et d’obéissance aux droits de la mer, au droit international et à la Constitution »
      Le remorqueur battant le drapeau italien « #Mare_Ionio » est parti dans la nuit de mercredi du port d’Auguste (Sicile) vers les côtes libyennes. C’est la première mission en eaux internationales entièrement organisée en Italie et a été nommée « #Mediterranea ».
      Le projet, à l’initiative de diverses associations (dont Arci, Ya Basta de Bologne, l’ONG Sea-Watch, la revue en ligne I Diavoli et Moltivolti de Palerme) est politiquement soutenue et financée par Nichi Velonda et trois autres parlementaires LeU (Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto e Rossella Muroni).
      Le projet a commencée en juillet dernier et a pris forme dans les mois suivants. L’activité de « Mare Ionio » sera officiellement circonscrite à celles de la « surveillance, le témoignage et la dénonciation », expliquent les organisateurs. Cependant, parmi les équipements et les dispositifs du « Mare Ionio », on retrouve des équipements Sar, l’activité de Search and Rescue pour laquelle il ne dispose pas d’habilitation.
      Dans les prochaines heures, l’embarcation, suivie par le bateau Burlesque (un voilier Bavaria 50 battant le drapeau espagnol, avec à bord des journalistes nationaux et internationaux, des activistes et des médiateurs culturels), entrera en action dans la même zone que le voilier Astral de l’ONG espagnole Open Arms, défini à plusieurs reprises comme un « taxi de la mer » par le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini.

    • New Italian-flagged migrant rescue ship heads into Mediterranean

      A new Italian-flagged migrant rescue ship was headed for the waters off Libya on Thursday, one of the aid groups running the boat said, after similar vessels were prevented from operating.

      “The #MareJonio is on its way!” Sea-Watch tweeted. “In cooperation with #Mediterranea we are back at sea, to keep a sharp lookout and to challenge the European policy of letting people drown.”

      The announcement came on the same day that the Aquarius rescue ship sailed into Marseille harbour and an uncertain fate after Panama pulled its flag, meaning it cannot leave port without a new flag.

      The Mare Jonio is a tug flying the Italian flag that left Augusta in Sicily on Wednesday evening, headed south, maritime tracking websites said. The 37-metre vessel – around half the length of the Aquarius – is not intended to rescue migrants and bring them to a safe port, but to spot and secure migrant-carrying boats that are in distress.

      It will also provide a civilian presence in an area where they say the Libyan coastguard and international military vessels are failing to rescue people, despite several shipwrecks in September. Spanish NGO Proactiva Open Arms sent the Astral sailboat to the area on a similar mission a few days ago.

      The Astral was off the coast of Lampedusa on Wednesday to commemorate the fifth anniversary of a shipwreck there in which 366 migrants died in 2013. The disaster pushed Italy to launch its Mare Nostrum military operation to rescue migrants making the perilous journey from North Africa to Europe.

      Since then European Union and NGO boats have joined in, although most of the aid group boats have now stopped work, some because of what they say are trumped-up administrative charges.

      The International Organisation for Migration says that around 15,000 migrants have drowned in the central Mediterranean since the Lampedusa disaster. During the same period Italy has received around 600,000 migrants on its coast, while other European nations have closed their borders.

      Italy’s former centre-left government tried to stem the flow of migrants by working with the Libyan authorities and limiting the NGO effort. Anti-immigrant Deputy Prime Minister Matteo Salvini, who came to power as part of a populist government in June, has since then closed Italian ports to civilian and military boats that have rescued migrants, saying Italy bears an unfair share of the migrant burden.


      https://www.thelocal.it/20181004/new-italian-flagged-migrant-rescue-ship-heads-into-mediterranean
      #Mare_Jonio

    • Tweet de Matteo Villa:

      Tutto sbagliato nella missione di #Mediterranea. Un disastro pronto per succedere, sotto tutti i punti di vista: tecnico, logistico, politico. Non è così che si fa salvataggio in mare. E non è così che si fa azione politica.
      Il problema è molteplice. Non si va in mare: (a) con gente impreparata; (b) con navi scassate e che contengono a malapena l’equipaggio; (c) con intenti solo politici, senza possibilità di salvare vite; (d) con lo scopo di forzare, portando violenza dove dovrebbe esserci soccorso.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1047886597071548416

    • Italian-flagged migrant rescue boat defies anti immigration minister

      Vessel Mare Jonio sets out towards Libya despite Matteo Salvini clampdown on rescued migrants entering Italian ports

      The first non-military, Italian-flagged, rescue boat to operate in the Mediterranean since the migration crisis began has left for waters off Libya, in a direct challenge to Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini.

      NGO rescue boats have all but disappeared from the main migration routes since Salvini announced soon after taking office this summer that he was closing Italian ports to non-Italian rescue vessels.

      The Italian flag on the 38-metre Mare Jonio will make it harder for Salvini to prevent it from docking, though he could still move to prevent people from disembarking. The boat has been bought and equipped by a coalition of leftwing politicians, anti-racist associations, intellectuals and figures in the arts, under the supervision of two NGOs. Its mission has been called Mediterranea.
      “We want to affirm a principle of humanity that rightwing policies seem to have forgotten,” Erasmo Palazzotto from the leftwing LeU (Free and Equal) party said.

      Anti-immigration policies by the Maltese and Italian governments, which have closed their ports to rescue vessels, have driven a sharp decrease in rescue missions. People seeking asylum are still attempting the risky crossing. But without the rescue boats, shipwrecks are likely to rise dramatically.
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      In August, Salvini refused a landing to 177 people saved in the central Mediterranean by an Italian coastguard ship. The vessel was authorised to dock at the port of Catania but the people on board were forced to remain on board for almost a week.

      ‘‘Should we expect Salvini to close the ports to us too? We are an Italian boat, flying the Italian flag. They will have to answer to this,” Palazzotto said. “If they then attempt to refuse to let the migrants disembark we will not remain silent and will give voice to them from the ship.”

      The ship has received support from the Spanish NGO Pro-Activa and the aid group Seawatch, as well as the writer Elena Stancanelli and the film director Paolo Virzì.

      “This is a moral disobedience mission but also a civil obedience one,” the Mediterranea mission’s press office said in a statement. “We will disobey nationalism and xenophobia. Instead we will obey our constitution, international law and the law of the sea, which includes saving lives.”

      The death toll in the central Mediterranean has fallen in the past year, but the number of those drowning as a proportion of arrivals in Italy has risen sharply in the past few months, with the possibility of dying during the crossing now three times higher. So far in 2018, 21,041 people have made the crossing and 1,260 have died.

      https://www.theguardian.com/world/2018/oct/04/italian-flagged-migrant-rescue-boat-mare-jonio-sets-sail-in-challenge-t

    • Giovedì 4 ottobre – ore 16.25 – Salvini: “Nave Mediterranea? In Italia non ci arrivate”. “Ho saputo che c’è una nave dei centri sociali che vaga per il Mediterraneo per una missione umanitaria e proverà a sbarcare migranti in Italia. Fate quello che volete, prendete il pedalò. Andate in Tunisia, Libia o Egitto, ma in Italia nisba”. Lo ha detto il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini in una diretta Facebook con riferimento alla nave italiana Mediterranea, salpata oggi per svolgere un’attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della situazione nel Mediterraneo.

      “Potete raccogliere chi volete però in Italia non ci arrivate”, ha aggiunto Salvini.

      https://www.tpi.it/2018/10/05/governo-ultime-news

    • *Perché la missione umanitaria «Mediterranea» rischia di diventare un boomerang*

      Mezzi inadeguati, personale non preparato, ricerca dello scontro diplomatico. «Politicizzare i salvataggi in mare rischia di non portare benefici», dice Matteo Villa dell’Ispi.

      Una piccola missione umanitaria nel Canale di Sicilia rischia di compromettere le operazioni di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, già rese complesse dalla politica dei respingimenti adottata dal governo italiano. Nella notte tra mercoledì e giovedì il piccolo rimorchiatore Mare Jonio è salpato dal porto di Augusta per dirigersi verso le acque sar (search and rescue) della Libia, nell’ambito dell’operazione denominata “Mediterranea”. La missione è stata preparata in gran segreto durante gli ultimi mesi e coinvolge ong (Sea Watch), associazioni (Ya Basta Bologna e Arci), e politici (Fratoianni, Palazzotto, Vendola e Muroni) che hanno raccolto i finanziamenti necessari. L’obiettivo – spiega il sito di “Mediterranea” – è quello di svolgere l’“essenziale funzione di testimonianza, documentazione e denuncia di ciò che accade in quelle acque, e che oggi nessuno è più messo nelle condizioni di svolgere”. Quasi un assist per il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che l’ha subito definita una «nave di scalcagnati dei centri sociali che va a prendere tre merluzzetti». «E’ una sentinella civica, benvenga», ha commentato invece l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, ribadendo la scarsa condivisione di vedute con la Lega in tema di immigrazione.

      Mare Jonio è un’imbarcazione datata – varata nel 1972 – e rimessa a nuovo per l’occasione, ma soprattutto piccola, con appena 35 metri di lunghezza e 9 di larghezza. E’ coadiuvata dal veliero Astral dell’ong Proactiva Open Arms, l’unica nave umanitaria ancora attiva nel Mediterraneo centrale (anch’essa con soli compiti di osservazione) e da una goletta con a bordo giornalisti e mediatori culturali. Degli 11 membri dell’equipaggio a bordo del Mare Jonio, fatta eccezione per due operatori dell’ong Sea Watch, nessuno ha esperienze di operazioni sar in mare. La nave è dotata di un solo Rhib (la sigla sta per Rigid Inflatable boats), uno dei piccoli motoscafi adatti a svolgere salvataggi, anche in condizioni difficili. Un container è stato invece adattato a ospedale di bordo, pronto a prestare soccorso in caso di emergenza.

      Nonostante la missione voglia essere una risposta delle ong alla campagna anti-migranti voluta dal governo gialloverde, le criticità sono diverse. “L’idea di fondo, quella di aumentare l’attenzione generale nel Mediterraneo, è giusta. Ma politicizzare i salvataggi in mare rischia di non portare benefici, soprattutto nel lungo periodo”, spiega al Foglio Matteo Villa dell’Ispi. Secondo il ricercatore, che da anni studia i flussi migratori attraverso il Mediterraneo, gli strumenti a disposizione di “Mediterranea” sono inadeguati rispetto all’obiettivo della missione: “Pensare di pattugliare una zona tanto vasta con una sola imbarcazione non ha senso, oltre a comportare un esborso eccessivo tra carburante e strumentazione. Se davvero l’attività principale è quella di monitorare, è molto più efficace usare gli aerei, come succede già con i ’Piloti volontari’, attivi con ottimi risultati da maggio”.

      Ma l’aspetto ancora più preoccupante riguarda i rischi cui saranno sottoposti sia i migranti sia l’equipaggio di “Mediterranea”. Dice Villa: “Le perplessità sono tante e sono condivise anche da molti altri operatori umanitari che con professionalità compiono attività sar. Sotto diversi punti di vista, sia logistici sia politici, la missione è pronta a trasformarsi in un disastro a causa della notevole approssimazione con cui è organizzata, dice il ricercatore dell’Ispi. Nella migliore delle ipotesi l’operazione potrebbe risolversi in una magra figura, come già successo un anno fa con ’Defend Europe’, la nave anti-ong partita per ostacolare le missioni umanitarie e poi finita in avaria”. Ma potrebbero crearsi anche circostanze più complesse. “In caso di identificazione di un barcone in emergenza non è chiaro come si comporterà Mare Jonio. Sulla base di quanto avviene già adesso, è probabile che contatterà il comando Mrcc di Roma che coordina le operazioni di salvataggio e che, a sua volta, contatterà le autorità libiche. Nel caso di intervento delle motovedette di Tripoli potrebbe succedere di tutto: il rimorchiatore come intende agire? Interverrà? Segnalerà l’emergenza e basta?”, si chiede Villa. Per non parlare delle difficoltà logistiche: “In quei momenti concitati i migranti, soprattutto alla vista delle motovedette libiche, sono presi dal panico, molti si gettano in acqua per paura di essere riportati indietro. A bordo del rimorchiatore pare possano essere raccolte poche persone, e certo non per lunghi periodi di tempo”. Andare a cercare lo scontro aperto o l’incidente diplomatico per riaccendere l’attenzione dei governi sui salvataggi in mare può trasformarsi in un boomerang per le ong. La mobilitazione è figlia senza dubbio della politica migratoria più stringente adottata dal governo italiano. “Ma affidare a gruppi antagonisti le operazioni di salvataggio, senza una preparazione e una visione di lungo periodo – conclude Villa – rischia di essere controproducente per chi ritiene i salvataggi in mare una questione molto seria”.

      https://www.ilfoglio.it/cronache/2018/10/05/news/perche-la-missione-umanitaria-mediterranea-rischia-di-diventare-un-boomeran

    • « On doit veiller à ce que ces gens ne se noient pas »

      L’Aquarius vient de perdre pour la deuxième fois son pavillon. Le navire de sauvetage fait route vers Malte avec 58 migrants à son bord. Sans pavillon, il devrait interrompre sa mission. Des parlementaires demandent qu’on lui donne le pavillon suisse.

      Avec les organisations d’entraide Médecins sans frontières (MSFLien externe) et SOS MéditerranéeLien externe, l’Aquarius sauve des migrants en détresse. Il est le dernier navire de sauvetage non gouvernemental en Méditerranée centrale. Depuis que l’Italie a fermé ses ports aux bateaux humanitaires, toutes les ONG se sont retirées du secteur.

      Le week-end dernier, le Panama a annoncé qu’il retirerait son pavillon à l’Aquarius, car celui-ci n’aurait pas respecté le droit international de la mer. En août, Gibraltar avait déjà biffé le navire de son registre maritime. Sans pavillon, l’Aquarius ne peut plus remplir ses missions de sauvetage.

      Cette semaine, trois parlementaires suisses ont demandé, par voie d’interpellation, un geste humanitaire de la Suisse, afin qu’elle accorde son pavillon à l’Aquarius. L’un d’eux est #Kurt_Fluri, conseiller national du Parti libéral-radical et maire de la ville de Soleure. Interview.

      swissinfo.ch : Vous avez la réputation d’être un politicien réaliste. Cette idée humanitaire a-t-elle des chances de passer ?

      Kurt Fluri : Ce qui nous émeut, ce sont les tragédies qui se jouent en Méditerranée. Et c’est peut-être une solution possible pour atténuer le problème. Je ne sais pas si c’est une illusion. C’est pourquoi nous posons la question au gouvernement.
      La Suisse n’a qu’une petite flotte marchande de 30 navires. Pourquoi devrait-elle précisément accorder son pavillon à un bateau de sauvetage ?

      Nous sommes tous d’accord qu’il s’agit d’une situation tout à fait exceptionnelle. Pour moi, cela ne change rien au fait que l’on devrait faire en sorte que ces gens n’essaient même pas de traverser la Méditerranée. Mais s’ils le font quand même, on doit veiller à ce qu’ils ne se noient pas et à ce qu’ils soient admis en Europe.
      Selon la loi, le pavillon suisse est réservé aux navires de commerce. S’il faut modifier la loi pour répondre à votre demande, cela va prendre beaucoup de temps pour que l’Aquarius puisse hisser le pavillon suisse. Or, il a besoin d’une solution rapide…

      Le sens de notre interpellation, c’est de clarifier à quelles conditions il serait possible d’arriver à quelque chose. Ce que nous allons faire concrètement dépendra de la réponse du gouvernement.
      Si l’Aquarius battait pavillon suisse, est-ce qu’il n’en résulterait pas automatiquement l’exigence que les migrants qu’il sauve soient conduits en Suisse ?

      Ici comme ailleurs, c’est le système de Dublin qui s’applique. Il définit quel pays est en charge de l’examen de la demande d’asile. Les requérants doivent demander l’asile dans le premier pays de l’UE ou pays signataire de l’accord, comme la Suisse, où ils arrivent. La répartition se fait ensuite.

      Toutefois, l’UE est invitée à décider d’une répartition plus équitable, afin de soulager le plus vite possible les pays méditerranéens, l’Italie, la Grèce et l’Espagne, des réfugiés qui arrivent chez eux.
      Avez-vous pleine confiance en les responsables de ce navire de sauvetage, auquel vous voulez accorder le pavillon suisse ?

      Oui, je fais confiance à ces responsables.
      Le Panama leur a pourtant retiré son pavillon au prétexte qu’ils auraient violé le droit maritime international…

      D’après moi, c’était pour se protéger. Le Panama veut se débarrasser de ce devoir, qui est apparemment devenu un fardeau pour lui.
      MSF et SOS Méditerranée disent que le Panama a retiré son pavillon sur pression de l’Italie. Ça vous paraît possible ?

      Il y a certainement eu des tentatives de pression.
      Cette pression ne pourrait-t-elle pas s’exercer sur la Suisse, si elle intervient ?

      C’est possible. Nous soutenons l’appel lancé à l’UE pour qu’elle décide d’une répartition plus équitable des réfugiés. L’Italie serait alors également satisfaite. Malheureusement, l’UE n’y arrive pas.

      https://www.swissinfo.ch/fre/pavillon-suisse-pour-l-aquarius-_-on-doit-veiller-%C3%A0-ce-que-ces-gens-ne-se-noient-pas-/44434264

    • Nous avons un navire !

      Dans un texte confié à Mediapart, le sociologue et activiste italien #Sandro_Mezzadra revient sur la mise à l’eau du « Mare-Ionio », ce navire battant pavillon italien, affrété jeudi par des activistes de la gauche italienne pour secourir des migrants en Méditerranée, en opposition aux politiques de l’extrême droite au pouvoir à Rome.

      Les noms des victimes résonnent les uns après les autres, des noms sans corps qui racontent une multitude de vies et d’histoires, brisées sur les frontières de l’Europe : le court-métrage de Dagmawi Yimer s’intitule Asmat-Nomi, une des œuvres les plus puissantes et évocatrices sur le naufrage du 3 octobre 2013 [visible ici : https://vimeo.com/114343040]

      . Au fond, l’anonymat est une des caractéristiques qui définissent les femmes, les hommes et les enfants en transit dans la mer Méditerranée — comme dans de nombreux autres espaces frontaliers. Réhabiliter la singularité irréductible d’une existence est le geste extrême de résistance que nous propose Asmat-Noms.

      Cinq ans après ce naufrage, alors que l’on continue de mourir en Méditerranée, nous avons mis un navire à la mer, le Mare-Ionio. Nous l’avons fait après un été marqué par un gouvernement italien qui a déclaré la guerre contre les migrations et contre les organisations non gouvernementales, en fermant les ports et en séquestrant sur un navire de la Garde côtière des dizaines de réfugié.e.s et de migrant.e.s. La criminalisation des opérations « humanitaires » a vidé la Méditerranée des présences gênantes, a repoussé les témoins et a réaffirmé l’anonymat de femmes et d’hommes en transit : à l’abri des regards indiscrets, la Garde côtière libyenne a pu renvoyer aux centres de détention, c’est-à-dire à la torture, à la violence et à l’esclavage, des centaines de personnes, tandis que d’autres ont fait naufrage. Et certains se réjouissent de cela, en criant victoire...

      Cela n’a pas été facile de réaliser la mise à l’eau du Mare-Ionio. La plateforme qui s’est appelée très simplement Operazione Mediterranea n’est pas une ONG : celles et ceux qui ont travaillé à la recherche et à la préparation de l’embarcation ces dernières semaines n’avaient aucune expérience de ce monde associatif. Mais sur les docks de nombreux ports, nous avons rencontré des gens qui nous ont aidé.e.s sur la base de rapports professionnels, mais aussi guidé.e.s par une solidarité instinctive et par l’élan de refus de plus en plus partagé par les gens de la mer, une réponse au mépris de la vie et du droit international — en particulier après l’affaire du navire Diciotti.

      L’expérience et la collaboration de diverses ONG actives ces dernières années dans la Méditerranée ont joué un rôle décisif dans la réalisation de notre projet. L’une d’entre elles (Sea-Watch) fait partie de la plateforme, tandis qu’Open Arms coordonnera ses activités avec les nôtres. D’autre part, l’opération que nous avons lancé affronte ouvertement la criminalisation actuelle des interventions « humanitaires ». Ils sont loin les jours où la « raison humanitaire » pouvait être analysée comme un élément appartenant à un système de gouvernance (des migrations, notamment) bien plus large. Le défi ne peut être que radicalement politique. Il s’agit d’investir en particulier cela : l’affirmation pratique du droit d’un ensemble de sujets non étatiques à intervenir politiquement dans une zone où les « autorités compétentes » violent de manière flagrante le devoir de préserver la vie des gens en transit.

      C’est autour de ce point que la plateforme Operazione Mediterranea : une plateforme ouverte à l’adhésion et à la participation de celles et ceux qui voudront nous soutenir dans les semaines à venir (notamment via un crowdfunding, ce qui est vraiment essentiel pour assurer la réalisation d’un projet ambitieux et prenant). Cet aspect est évidemment fondamental. Mais l’objectif est plus général : il s’agit d’ouvrir, à travers une pratique, un espace de débat, d’action et de conflit à propos des migrations en Italie et en Europe.

      Nous voudrions que notre navire fende la mer, comme la terre des mobilisations qui, sur la question migratoire, se sont déployées ces derniers mois, de Vintimille aux Pouilles, de Catane à Milan ; nous voudrions que le Mare-Ionio devienne une sorte de forum, que des milliers de femmes et d’hommes se l’approprient, qu’il soit présent sur les places et dans les rues, que de lui se propagent des récits d’une migration radicalement différente de celle incarnée par les menaces et les décrets de Salvini : nous voudrions que le navire soit un instrument pour proposer une Italie et une Europe autres.

      Nous ne sous-évaluons pas la difficulté de cette période. Nous savons que nous agissons en tant que minorité, que nous devons affronter une hégémonie qui nous est hostile concernant la migration ; nous savons que ces derniers mois l’équation entre le migrant et l’ennemi (à laquelle même des forces politiques qui ne se définissent pas de droite ont donné une contribution essentielle) a été exacerbée, autorisant et promouvant la diffusion en Italie d’un racisme de plus en plus agressif. Mais nous savons aussi que cette hégémonie peut et doit être renversée, en assumant les risques et le hasard qui sont inévitables. L’opération qui a commencé ce 3 octobre, date chargée d’une valeur symbolique, est une contribution qui va dans ce sens.

      Un navire, comme le disait C.L.R. James dans son grand livre sur Melville (écrit en 1952 dans une cellule d’Ellis Island, en attendant son expulsion des États-Unis pour « activité anti-américaine »), n’est au fond qu’un ensemble divers et varié des travaux et des activités à bord, qui littéralement le constituent. Voilà, notre navire ne serait rien sans la passion et l’engagement de centaines de femmes et d’hommes qui ont travaillé et qui travaillent pour le faire naviguer, mais aussi pour construire et démultiplier de nouvelles passerelles entre mer et terre. Un navire, comme le rajoutait James, « est une miniature du monde dans lequel nous vivons ». Dans notre cas, c’est une miniature du monde que nous nous engageons à construire. Et nous sommes certain.e.s que nous serons bientôt des milliers à partager cet engagement.

      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/061018/nous-avons-un-navire

    • L’Aquarius, sous pavillon suisse ? Carlo Sommaruga face à Hugues Hiltpod

      Trois parlementaires suisses - Ada Marra (PS/VD) Guillaume Barrazone (PDC/GE) et Kurt Fluri (PLR/SO) - ont déposé à Berne une interpellation pour que notre pays octroie le pavillon national à l’Aquarius. Le navire affrété par SOS Méditerranée, qui est en mer depuis 2016, a recueilli quelque 30 000 personnes en danger de mort. Sur change.org, près de 20 000 personnes ont signé une pétition dans ce sens. Carlo Sommaruga, conseiller national socialiste et Hugues Hiltpold, conseiller national PLR exposent leurs point de vue.

      Pour un pavillon suisse humanitaire

      Carlo Sommaruga, conseiller national socialiste

      La Suisse doit accorder le pavillon à l’Aquarius, le bateau humanitaire affrété par SOS Méditerranée, pour secourir les migrants en perdition en pleine mer. C’est une nécessité humanitaire destinée à sauver des milliers de vies. Un geste qui s’inscrit dans la tradition humanitaire de la Suisse. En cohérence tant avec la générosité de la population suisse pour les populations en difficulté qu’avec la position défendue jusqu’à aujourd’hui par notre pays sur la scène politique et diplomatique internationale. Le dernier rapport de l’Organisation internationale des migrations montre que les traversées de la Méditerranée par des hommes et des femmes de tout âge, accompagnés de leurs enfants, voire de nouveau-nés, ont commencé dès les années 70.

      La cause en est la fermeture progressive de la migration légale par les pays européens, qui ont rejeté les migrants sur les routes clandestines et dangereuses, notamment la Méditerranée. Or, ceux qui depuis des décennies empruntent ces routes ne le font pas par plaisir ou par goût de l’aventure. Comme les Suisses du XIXe siècle dont plus de 500 000 rejoignirent les USA ou les 29 millions d’Italiens qui quittèrent leur pays de 1860 à nos jours, les migrants d’aujourd’hui se mettent en marche pour les mêmes raisons. La croissance démographique et le manque d’opportunités de travail dans les campagnes et dans les villes.

      Aujourd’hui s’ajoutent les affres des dictatures, comme en Érythrée, des conflits civils, comme en Libye, et des guerres internationales, comme en Syrie. En 2013, suite au naufrage de 366 migrants au large des côtes italiennes, le premier ministre Enrico Letta lançait l’opération Mare Nostrum. La marine italienne sauvait plus de 150 000 êtres humains de la noyade en Méditerranée. L’opération fut close en raison de la lâcheté des pays européens qui refusaient de venir en appui à l’Italie. L’Union européenne remplaça le dispositif de sauvetage par un dispositif de défense des frontières géré par Frontex. Depuis lors, ce sont les organisations humanitaires et leurs bateaux qui assument l’immense et courageuse tâche de sauver les naufragés en Méditerranée.

      Les bateaux se nomment Sea-eye, Lifeline, Aquarius et, depuis peu, le Mare Jonio. Au cours des deux dernières années SOS Méditerranée, organisation créée et soutenue par des citoyens européens, par son navire l’Aquarius, a sauvé 29 600 personnes, soit l’équivalent de la population de Lancy. L’Aquarius comme les autres bateaux humanitaires doivent poursuivre leur mission aussi longtemps que les États se défaussent de leurs responsabilités.

      Il est inacceptable que l’Aquarius reste à quai sans pavillon alors que des personnes meurent en pleine Méditerranée. La Suisse neutre doit rester fidèle à ses engagements humanitaires, qu’elle a poursuivi en soutenant le CICR, le HCR et bien d’autres organisations. Elle doit accorder le pavillon. La loi le permet et cela ne coûte rien. Il faut saluer l’intervention de parlementaires du PLR, PDC, Verts et PS dans ce sens, tout comme la lettre adressée ce jour par des personnalités au Conseil fédéral. Refuser le pavillon à l’Aquarius, c’est un choix politique. Celui de mépris de la vie et du rejet de la solidarité humaine. Il faut tous espérer que Conseil fédéral ne s’inscrive pas dans cette logique.

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      Aquarius : le respect de la loi avant tout !

      Hugues Hiltpold, conseiller national PLR

      La crise des migrants en Méditerranée est terrible, personne ne peut le contester. Bon nombre de personnes sont attirées par l’Europe et se livrent à la merci de passeurs peu scrupuleux, avec à la clé de nombreux et épouvantables drames humains. Durant deux ans, le navire humanitaire Aquarius, ancien navire des gardes-côtes allemands battant pavillon panaméen, a secouru près de 30 000 personnes en détresse. Avec un certain succès il faut le reconnaître. Puis, sous pression internationale, il a cessé de battre pavillon panaméen, errant en mer quelque temps à la recherche d’un port d’accueil voulant bien l’accueillir.

      Ayant mouillé l’ancre aujourd’hui à Marseille, il attend de pouvoir naviguer à nouveau, mais a besoin pour ce faire qu’un pays accepte qu’il puisse battre son pavillon. Certains élus fédéraux estiment que ce navire humanitaire devrait battre pavillon suisse. Or, la loi suisse ne le permet tout simplement pas. L’article 3 de la loi fédérale sur la navigation maritime sous pavillon suisse stipule qu’un pavillon suisse ne peut être arboré que par des navires suisses. L’article 35 de cette même loi précise, s’agissant de la navigation non professionnelle, que des exceptions peuvent être autorisées par le Département fédéral des affaires étrangères pour inscrire, dans le registre des navires suisses, un bâtiment exploité par une société suisse ou ayant son siège en Suisse, à des fins notamment humanitaires.

      Cette dérogation doit faire l’objet d’une enquête minutieuse permettant de fixer les conditions de la dérogation, notamment eu égard aux intérêts pour la Suisse de justifier cette dérogation. Il convient de noter qu’une telle dérogation est exceptionnelle. On constate que la situation actuelle du navire humanitaire Aquarius n’est pas conforme à la loi.

      Il n’est pas contesté que l’association SOS Méditerranée, qui exploite l’Aquarius, n’est pas suisse, n’a pas son siège en Suisse et n’a aucune relation particulière avec notre pays.

      Dès lors, permettre à l’Aquarius de battre pavillon suisse reviendrait purement et simplement à bafouer la loi ! Ce faisant, nous violerions de surcroît les accords de Schengen et Dublin qui nous lient avec l’Union européenne, au respect desquels ceux qui voudraient accorder le pavillon Suisse à l’Aquarius sont notoirement attachés. Aussi terrible que soit cette catastrophe humanitaire, elle ne doit pas conduire notre pays à bafouer notre État de droit et le droit international. Il en va de notre crédibilité et du respect de nos institutions.

      https://www.tdg.ch/blog-wch/standard/aquarius-pavillon-suisse-carlo-sommaruga-face-hugues-hiltpod/story/31191020

    • Migrants : le hold-up de la Libye sur les sauvetages en mer

      Cet été, en Méditerranée, la Libye a créé en toute discrétion sa propre « zone de recherche et de secours », où ses garde-côtes sont devenus responsables de la coordination de tous les sauvetages, au grand dam de l’Aquarius et des ONG. Enquête sur une décision soutenue par l’Union européenne qui jette toujours plus de confusion en mer.

      Vu de loin, c’est un « détail ». Un simple ajout sur une carte maritime. Cet été, la Libye a tracé une ligne en travers de la Méditerranée, à 200 kilomètres environ au nord de Tripoli. En dessous, désormais, c’est sa zone SAR (dans le jargon), sa « zone de recherche et de secours ». Traduction ? À l’intérieur de ce gigantesque secteur, les garde-côtes libyens sont devenus responsables de l’organisation et de la coordination des secours – en lieu et place des Italiens.

      Pour les navires humanitaires, la création de cette « SAR » libyenne, opérée en toute discrétion, est tout sauf un « détail ». Il n’est pas un sauveteur de l’Aquarius, pas un soutier du Mare Jonio ni de l’Astral (partis relayer sur place le bateau de SOS Méditerranée) qui ne l’ait découvert avec stupeur. Car non seulement les garde-côtes libyens jettent leurs « rescapés » en détention dès qu’ils touchent la terre ferme, mais certaines de leurs unités sont soupçonnées de complicité avec des trafiquants et leurs violences sont régulièrement dénoncées.

      Pour les migrants qui s’élancent en rafiot de Sabratha ou Zaouïa, ce « détail » est surtout une trahison supplémentaire : l’Union européenne a budgété plus de 8 millions d’euros en 2017 pour aider Tripoli à créer cette zone « SAR » bien à elle. Alors que les vingt-huit ministres de l’intérieur doivent discuter vendredi 12 octobre du renforcement des frontières de l’UE, Mediapart a enquêté sur ces trois petites lettres qui mettent les humanitaires en colère et jettent la confusion en mer.

      Pour comprendre, il faut d’abord savoir que la Libye, comme n’importe quel État côtier, est souveraine dans ses « eaux territoriales ». Sur cette bande de 19 kilomètres, les garde-côtes de Tripoli ont toujours joué à domicile et jamais l’Aquarius n’y aventurerait sa quille. Mais au-delà, la Méditerranée se complique, elle se découpe en zones SAR : celle de l’Italie ici, celle de la Grèce là-bas, celles de Malte ou encore de l’Égypte, toutes déclarées auprès de l’Organisation maritime internationale (OMI), chacune associée à un « centre de coordination des secours » national (ou MRCC), qui reçoit l’ensemble des signaux de détresse émis dans sa zone, de même que les appels des navires humanitaires qui repèrent des migrants aux jumelles.

      Selon les conventions internationales, chaque MRCC, celui de Rome par exemple, a ensuite la responsabilité d’organiser les secours dans son secteur, de solliciter les navires les mieux placés (tankers et militaires compris), de dépêcher ses propres garde-côtes si nécessaire.

      Jusqu’ici, au large de ses eaux territoriales, la Libye n’avait pas déclaré de zone SAR, faute d’une flotte suffisante et surtout d’un « centre de coordination » en état de marche, capable de communiquer avec la haute mer par exemple. Pour éviter un « triangle des Bermudes » des secours, les Italiens s’y étaient donc collés ces dernières années, élargissant de fait – sinon en droit – leur champ d’activité. Puis le 28 juin dernier, sans prévenir, Tripoli a déclaré sa zone « SAR » et son « centre de coordination » auprès de l’OMI, officialisés du jour au lendemain. Les Italiens ont passé la main. Changement de régime.

      Depuis, dans l’esprit des Libyens, « aucun navire étranger n’a le droit d’accéder [à leur SAR] sauf demande expresse [de leur part] ». C’est ainsi, en tout cas, que le commandant de la base navale de Tripoli, Abdelhakim Bouhaliya, interprétait les choses en 2017 – quand les autorités avaient esquissé une première SAR avant de se rétracter. Dans leur viseur : « les ONG qui prétendent vouloir sauver les migrants clandestins et mener des actions humanitaires », selon les mots sans fard du général Ayoub Kacem, l’un des porte-parole de la marine à l’époque. Un an plus tard, la SAR est bel et bien là. Et il devient urgent que les garde-côtes ouvrent un manuel de droit.

      Car en principe, « la navigation dans leur SAR reste libre, décrypte Kiara Neri, spécialiste de droit maritime et maîtresse de conférences à l’université Jean-Moulin-Lyon-III. Ils n’ont absolument pas le pouvoir d’interdire leur SAR aux navires humanitaires, ce n’est pas devenu leur chasse gardée ». Dans les faits, pourtant, « ils font comme s’ils étaient souverains, s’indigne Nicola Stalla, coordinateur des sauvetages sur l’Aquarius. Ils étaient déjà agressifs avant, mais ils se comportent de plus en plus comme s’ils étaient dans leurs eaux territoriales. Ils ordonnent aux ONG de s’éloigner, ils menacent, par le passé ils ont déjà ouvert le feu plusieurs fois ».

      Concrètement, depuis cet été, « ce n’est plus Rome mais le MRCC de Tripoli qui reçoit les signaux d’alerte et désigne le navire le plus proche pour intervenir », insiste Kiara Neri. À supposer qu’ils répondent aux appels, déjà. « Le MRCC de Rome, lui, était efficace, regrette Nicola Stalla. Quand j’appelais, il y avait toujours un officier à qui parler. Là c’est tout le contraire : les garde-côtes libyens ne répondent pas, ou ne parlent pas bien anglais, ou ne répercutent pas les infos à tous les navires présents sur la zone… » Il y a quelques jours, l’association Pilotes volontaires, qui scrute la mer depuis le ciel à bord de son petit Colibri, s’est aussi arraché les cheveux. « On a repéré une embarcation avec une vingtaine de migrants, raconte un bénévole. On a vite appelé Rome, qui nous a renvoyés automatiquement sur Tripoli, qui n’a jamais répondu. » Ils ont fini par contacter, en direct, un tanker qui croisait à proximité. Du bricolage impensable jusqu’à cet été.

      À supposer qu’ils réagissent correctement, les Libyens peuvent aussi être tentés d’ignorer les humanitaires, de « privilégier » leurs garde-côtes pour les sauvetages, voire des navires marchands. Car ces derniers acceptent parfois de remettre aux Libyens les migrants qu’ils « repêchent », de les transborder en pleine mer pour s’en débarrasser sans trop se dérouter, sans égard pour le droit international qui impose de débarquer ses rescapés dans un « port sûr » où les droits de l’homme sont respectés – ce que la Libye n’est certainement pas, de l’avis même du HCR, l’agence des Nations unies pour les réfugiés. « Sans ONG pour témoigner, ces personnes sont perdues dans la narration », dénonce l’Italien Nicola Stalla, d’une formule presque poétique.

      Et si les humanitaires repèrent un pneumatique par eux-mêmes, peuvent-ils désormais être interdits de sauvetage ? « Il y a une subtilité, répond Kiara Neri. Dans leur SAR, les Libyens ont compétence pour coordonner les opérations. Donc s’ils approchent d’une embarcation en détresse [en même temps que l’Aquarius par exemple – ndlr], ils peuvent toujours dire : “On s’en occupe.” Mais ils n’ont certainement pas le droit de monter à bord, aucun pouvoir de police… » Dans les faits, la confusion est à son maximum.

      Ainsi, le 23 septembre, l’Aquarius et les garde-côtes libyens se sont disputés quarante-sept vies en pleine nuit, pendant des heures. Directement alerté par Alarm Phone (une sorte de « central téléphonique » associatif à disposition des migrants qui tentent la traversée), l’Aquarius a foncé vers le secteur indiqué tout en contactant le MRCC de Tripoli, conformément à ses obligations. Au début, pas de réponse. Puis un accord de principe. Puis un patrouilleur libyen arrivé sur le tard a voulu stopper le sauvetage entamé (des femmes et des enfants d’abord), pour reprendre l’affaire en mains. « Quittez la zone ! », ont hurlé les garde-côtes à la radio, selon une journaliste du Monde à bord. « Vous connaissez Tripoli ? Vous voulez venir faire une petite visite ? (…) Vous allez avoir de gros problèmes, on ne veut plus coopérer avec vous parce que vous nous désobéissez. » Le capitaine a tenu bon, mais l’Aquarius a quitté la zone à l’issue de l’opération – sa dernière à ce jour, puisque le Panama l’a privé de pavillon.

      « Le comble du cynisme »

      « Si nous trouvons une embarcation en détresse dans la SAR libyenne, nous ferons le sauvetage même si les garde-côtes demandent de ne pas intervenir », annonce aussi l’équipe de l’Aita Mari, un chalutier basque espagnol sur le point de prendre la route de la Méditerranée centrale, à l’initiative de deux ONG (Salvamento maritimo humanitario et Proem-Aid) soutenues par le gouvernement régional de centre-droit (qui a déboursé 400 000 euros), ainsi que de petites communes basques et andalouses. « La loi, c’est celle du port sûr. Peu importe que l’OMI ait dit “Oui” à la Libye », résume Daniel Rivas Pacheco, porte-parole du projet.

      D’ailleurs, comment une telle zone de « secours » a-t-elle pu être créée ? La Libye, membre de l’OMI (institution des Nations unies) et signataire des conventions internationales sur le secours en mer, a simplement déclaré les coordonnées géographiques de sa zone et de son MRCC. En fait, l’OMI ne « reconnaît » pas les SAR, elle les enregistre, sans audit préalable. N’a-t-elle pas le pouvoir de rejeter l’initiative d’un pays dénué de « port sûr » ? « L’OMI n’a pas le droit de décider si tel ou tel pays est un lieu sûr », nous répondent ses services. Elle peut toujours intervenir en cas de « coordonnée non valide » ou d’« erreur typographique ». Pour le reste…

      Ce processus de déclaration suppose tout de même une coordination préalable avec les pays voisins et des discussions préparatoires (Mediapart a retrouvé un point d’étape soumis à l’OMI en décembre 2017 par l’Italie, qui évoque le soutien de l’UE). Rome et l’Europe ont bien encouragé Tripoli à prendre ses « responsabilités ».

      Pour s’en convaincre, il faut se plonger dans les détails d’un vaste programme européen de soutien à la Libye datant de 2017, doté de 46 millions d’euros, qui vise tout à la fois le renforcement de ses frontières, la lutte contre son immigration illégale et l’amélioration de ses opérations de sauvetage en mer. On y découvre que l’UE a budgété plus de 6 millions d’euros, sur plusieurs années, rien que pour aider Tripoli à créer sa propre SAR et son MRCC « maison » – auxquels s’est ajouté 1,8 million via le Fonds pour la sécurité intérieure de l’Union.

      Les activités programmées ne peuvent être plus claires : « Assister les autorités libyennes pour qu’elles soient en capacité de déclarer une zone SAR », « Évaluations techniques pour la conception d’un véritable MRCC », « Formation pour le personnel opérationnel du MRCC », « Aider les garde-côtes à organiser leur unité SAR » ou encore « à développer des procédures SAR standard », etc.

      Jusqu’ici, on avait surtout entendu parler des fonds européens engagés pour former les garde-côtes (au droit international, au droit des réfugiés, etc.) ou de la fourniture d’équipements censés améliorer la qualité et l’efficacité de leurs opérations de « secours » (voir ici notre précédent article). Les ONG s’en étaient indignées, moult fois. Mais c’est encore autre chose que d’aider les Libyens à élargir leur périmètre d’action, à endosser la responsabilité des opérations au-delà même de leurs eaux territoriales.

      « L’idée n’est évidemment pas de les mettre en compétition avec les ONG et les autres acteurs, plaide-t-on à la Commission. C’est de lutter contre les trafiquants et de sauver des vies. » L’UE n’en démord pas.

      Les services de la Commission tiennent tout de même à préciser qu’à ce stade, sur les quelque 8 millions d’euros budgétés, seul 1,8 million a effectivement été déboursé pour une « étude de faisabilité » de la SAR libyenne. Rien d’autre n’aurait été mis en place avant que la Libye ne dégaine le 28 juin, plus vite que son ombre, aiguillonnée par l’Italie de Matteo Salvini.

      « Le secours n’est absolument pas la priorité de l’Union européenne, dénonce Charles Heller, chercheur associé à l’agence Forensic Architecture, collectif basé à l’université londonienne de Goldsmiths qui enquête sur les violations des droits humains, notamment en Méditerranée. Ce que font les garde-côtes libyens, ce sont des interceptions, de pures opérations de contrôle des frontières pour le compte de l’UE. »

      En 2012, rappelle-t-il, la Cour européenne des droits de l’homme avait condamné l’Italie pour ses pratiques de « refoulement direct » de migrants, après qu’un vaisseau de la marine nationale avait récupéré à son bord (soit sur le sol italien juridiquement) des Somaliens et des Érythréens, raccompagnés illico à Tripoli sans qu’ils aient pu exercer leur droit fondamental à demander l’asile. La nouvelle politique consiste donc « à opérer des “refoulements indirects”, à externaliser auprès des Libyens le contrôle de nos frontières », analyse Charles Heller. « Après une phase de criminalisation des ONG, après l’aide au rétablissement d’une institution de garde-côtes à peu près fonctionnelle, la déclaration d’une SAR libyenne était fondamentale pour donner à ces opérations un vernis humanitaire. Il fallait que les garde-côtes libyens aient tous les attributs : une SAR, un MRCC, etc. C’est la consécration d’un processus. Sachant que ces opérations de “secours” ont pour effet de ramener des gens sur un territoire où leurs droits sont systématiquement violés, c’est le comble du cynisme. »

      Sauvé le 21 juin dernier par le Lifeline, un exilé du Darfour a confié à Mediapart qu’il avait été intercepté trois fois en mer par les garde-côtes libyens, et ramené trois fois dans des centres de détention officiels où les gardiens « frappent tout le monde, tout le temps, avec des bâtons ». « On nettoyait, on lavait le linge, on faisait de la peinture sans être jamais payés », raconte Abazer, aujourd’hui réfugié en France, évoquant une forme d’« esclavage ». Ça, un port sûr ?

      « L’UE fait décidément preuve d’un grand courage, grince Patrick Chaumette, professeur de droit à l’université de Nantes. On laisse les Libyens menacer les ONG, tirer en l’air, confondre leur SAR avec leurs eaux territoriales, dire : “Vous devez nous obéir !”… On a des politiques qui trouvent des prétextes fallacieux pour poursuivre leur véritable objectif : aider la Libye à empêcher les départs en mer. Comme si le droit ne servait plus à rien. Pour nous, universitaires, c’est terrifiant. »

      D’après des chiffres provisoires compilés par Matteo Villa, chercheur pour un think tank italien (l’ISPI), 1 072 migrants se seraient lancés depuis la Libye en septembre, 713 auraient été interceptés, 125 auraient posé le pied en Europe, 234 auraient disparu. Soit un taux de mortalité de plus de 21 %, treize fois plus élevé qu’il y a un an, jamais atteint depuis des années.


      https://www.mediapart.fr/journal/international/111018/migrants-le-hold-de-la-libye-sur-les-sauvetages-en-mer
      #SAR #zone_SAR #cartographie #visualisation

    • Barcone in avaria con 70 persone al largo di Lampedusa: l’Italia prima dice no, poi interviene

      Dopo il braccio di ferro con la nave «Mare Jonio» che ha raccolto l’sos e si è diretta sul posto. E con Malta che non aveva mezzi per i soccorsi. Soddisfatti gli attivisti del progetto umanitario Mediterranea: «Siamo felici che tutti siano in salvo»

      Un barcone con 70 migranti partito dalla Libia venerdì mattina è stato scortato dalle motovedette della Guardia Costiera italiana fino al porto di Lampedusa dove ha attraccato in banchina intorno alle tre del mattino. Di lì a poco, è iniziato lo sbarco dei suoi passeggeri. E questa, già di per sé, è una notizia in epoca di porti chiusi, respingimenti e frontiere blindate. Ma lo è ancora di più se si considera che il gesto della Guardia Costiera è stato solo l’atto finale, la resa, di una lunga partita a scacchi giocata sin dalle sette del pomeriggio dal rimorchiatore Mare Jonio – la nave del progetto Mediterranea – contro le autorità, maltesi prima, e italiane poi.

      La Mare Jonio, giunta al suo ultimo giorno di missione nelle acque libiche, stava lentamente tornando verso l’Italia quando, poco dopo il tramonto, è stata raggiunta da un Navtext, un messaggio di allerta, inviato dalle autorità di La Valletta (l’Mrcc, maritime rescue coordination center): nel testo si segnalava “un gommone in avaria con 70 persone a bordo in acque maltesi”. L’imbarcazione, stando alle coordinate messe nero su bianco nel messaggio, si trovava sì in una zona di competenza maltese ma molto vicino all’isola di Lampedusa. Praticamente al confine. Il messaggio non dava altri elementi.

      La Mare Jonio si trovava, in quel momento, a 40 miglia di distanza dal gommone. Ci sarebbero volute almeno quattro ore buone. Dopo aver modificato la rotta, la plancia del rimorchiatore italiano ha così deciso di mettersi in contatto con Mrcc Malta per avere eventuali altre informazioni o, quanto meno, capire la fonte di quella notizia. I maltesi, però, non avevano altri elementi utili. E soprattutto non avevano mezzi a disposizione per arrivare “fino là” a vedere che cosa era capitato al gommone. Quanto alla fonte, era l’Alarmphone: un servizio dedicato che smista allarmi raccolti dalle varie imbarcazioni che incrociano nel Mediterraneo.

      La Mare Jonio ha così provato a tirare quel filo, ha chiamato Alarmphone e ha chiesto informazioni, scoprendo che di quell’allarme, loro, non sapevano nulla. Malta, dunque, aveva mentito.Mentre il rimorchiatore procedeva verso le coordinate impostate subito dopo l’arrivo del Navtext, gli italiani hanno quindi chiamato l’Mrcc di Roma. E’ vero che l’imbarcazione era in zona di competenza maltese, ma è vero anche che era in avaria e che, stando alle informazioni, la corrente la stava spingendo verso le acque italiane. E poi Malta aveva dichiaratamente rinunciato a intervenire. Il naufragio di quelle settanta anime, insomma, era un rischio più che concreto. La risposta delle autorità italiane è però stata piuttosto rigida. Burocratica. “In acque di competenza maltese coordina Malta. Non è un problema nostro, quando verranno in acque italiane, vedremo”.

      La situazione agli occhi degli attivisti cominciava a farsi preoccupante. Né La Valletta né Roma volevano intervenire e la Mar Jonio era a quattro ore di distanza. E’ cominciata così una lunga serie di telefonate tra il parlamentare di Sinistra Italiana, Erasmo Palazzotto – uno degli ideatori della Missione Mediterranea – la Guardia Costiera e il ministero delle Infrastrutture. Danilo Toninelli aveva il telefono staccato, e dunque il dossier era gestito dal capo di Gabinetto, Gino Scaccia. Il quale però non ha voluto andare oltre il concetto iniziale: “Acque maltesi-problema maltese”.

      Il comandante della Guardia Costiera di fronte alle insistenze di Palazzotto, “siamo una nave italiana e le segnaliamo un problema a due miglia dalle acque italiane”, ha spiegato che “nessuna nave italiana quando ha un problema in Brasile si sogna di chiamare la Guardia Costiera italiana”. Il resto della triangolazione è stato utile solamente per capire tre cose. Uno quello che inizialmente doveva essere un gommone era in realtà un barcone di legno. Due, l’avevano trovato due pescherecci tunisini (il Fauzi e l’Adamir) che però dopo aver dato l’allarme se ne erano andati. Tre, a distanza di quattro ore, il Mare Jonio continuava ad essere l’unica imbarcazione che si stava dirigendo verso il barcone per cercare di trarre in salvo le settanta persone che erano a bordo.

      Era l’una del mattino, ormai. E il rimorchiatore era quasi arrivato alla zona indicata dal primo allarme. Ma in mare non c’era nessuno. Dalla plancia hanno ricontattato sia Roma che La Valletta per avere coordinate più precise. Ma dai due Mrcc sono arrivate le indicazioni di due punti diversi. A distanza di dodici miglia l’uno dall’altro, più di un’ora di navigazione: mentre i maltesi davano l’imbarcazione in acque italiane, molto vicino a Lampedusa, secondo gli italiani il barcone si trovava ancora nel mare di Malta.

      A quel punto il rimorchiatore ha smesso di contare sugli aiuti via radio delle autorità che evidentemente stavano giocando a nascondere la barca più che a fargliela trovare e hanno cominciato a perlustrare la zona, partendo dalle coordinate fornite dall’Mrcc italiano. Dopo nemmeno mezz’ora, via radio, l’ultima comunicazione della nottata: “La Guardia Costiera italiana ha intercettato il barcone a 2,7 miglia da Lampedusa. E l’ha scortato in porto. I migranti stanno tutti bene”. Festeggiano quelli di Mediterranea: “Siamo felici di apprendere che dopo una notte di monitoraggi e segnalazioni queste persone siano in salvo, in Italia”.


      https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/12/news/gommone_con_70_persone_in_avaria_davanti_a_lampedusa_mare_jonio_chiede_in

    • Un jeune migrant marocain de 16 ans blessé par balles par la #Marine_royale

      La Marine royale a encore tiré à balles réelles sur des migrants. Après la mort de #Hayat, c’est cette fois-ci un jeune de 16 ans qui est blessé par balles à l’épaule lors de l’interception d’une barque transportant 50 migrants, tous marocains, qui tentaient de rejoindre illégalement l’Europe, selon 2M.ma citant une source sécuritaire et précisant sur Twitter qu’il s’agissait « de tirs de sommations d’usage en direction de l’embarcation ». L’adolescent blessé a d’ores et déjà été transporté vers l’hôpital de Tanger, précise la même source. L’embarcation interceptée tôt ce matin se trouvait entre Assilah et Larache, sur la façade Atlantique des côtes marocaines. Contactée par Le Desk, une source militaire autorisée confirme l’information précisant qu’un communiqué officiel est en cours de préparation.

      https://ledesk.ma/encontinu/un-jeune-migrant-marocain-de-16-ans-blesse-par-balles-par-la-marine-royale

    • Au Maroc, deux ans de prison pour avoir dénoncé sur #Facebook la mort d’une migrante

      La jeune femme originaire de Tétouan a été tuée fin septembre par des tirs de la marine royale alors qu’elle tentait de rejoindre clandestinement les côtes espagnoles.

      Un Marocain a été condamné à deux ans de prison ferme pour avoir protesté sur les réseaux sociaux contre la mort d’une jeune migrante tuée fin septembre par des tirs de la marine marocaine, a-t-on appris jeudi 18 octobre auprès de son avocat.

      #Soufiane_Al-Nguad, 32 ans, a été condamné dans la nuit de mercredi à jeudi par le tribunal de Tétouan, ville du nord du Maroc, pour « #outrage_au_drapeau_national », « #propagation_de_la_haine » et « #appel_à_l’insurrection_civile », selon son avocat Jabir Baba. Il avait été interpellé début octobre, après des troubles lors d’un match de football le 30 septembre à Tétouan.

      Selon son avocat, avant ce match, M. Al-Nguad avait appelé, à travers des publications sur sa page Facebook, le groupe des ultras Los Matadores du club de football local à « manifester et à porter des habits noirs de deuil » pour protester contre le décès de #Hayat_Belkacem.

      La mort de cette étudiante de 22 ans, tuée le 25 septembre par la marine marocaine alors qu’elle tentait de gagner clandestinement les côtes espagnoles en bateau, avait suscité la colère dans le pays. Les autorités marocaines avaient dit avoir visé l’embarcation en raison de ses « manœuvres hostiles ».

      « Venger Hayat »

      Dix-neuf supporters âgés de 14 à 23 ans sont également jugés à Tétouan pour « outrage au drapeau national », « manifestation non autorisée » et « destruction de biens publics et privés », pour avoir manifesté le soir du même match.

      Ces supporters avaient été arrêtés peu après pour avoir brandi des drapeaux espagnols et crié des slogans comme « Viva España » (« Vive l’Espagne ») lors du match. Ils avaient aussi manifesté sur le chemin du stade en appelant à « #venger_Hayat ».

      Ces dernières semaines, des dizaines de vidéos montrant des jeunes Marocains en route vers l’Espagne à bord de bateaux pneumatiques sont devenues virales sur les réseaux sociaux, dans un pays marqué par de grandes inégalités sociales sur fond de chômage élevé chez les jeunes.

      Depuis le début de l’année, l’Espagne est devenue la première porte d’entrée vers l’Europe, avec près de 43 000 arrivées par voie maritime et terrestre, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/10/18/au-maroc-deux-ans-de-prison-pour-avoir-denonce-sur-facebook-la-mort-d-une-mi
      #réseaux_sociaux #délit_de_solidarité #condamnation #résistance #manifestation

    • Avec l’équipage du « Mare Ionio », les anti-Salvini retrouvent de la voix en Italie

      Le Mare Ionio, parti des côtes italiennes le 4 octobre, sillonne la Méditerranée pour une mission de surveillance et de contrôle. Dans un pays gouverné par l’extrême droite, une myriade d’acteurs de la société civile a imaginé cette aventure, humanitaire mais aussi très politique.

      Palerme (Italie), correspondance.- Sur le mur de la cour du centre Santa Chiara, en plein cœur de la Palerme populaire, cinq visages s’affichent, vidéo-projetés dans l’obscurité. Tee-shirts blancs siglés du logo bleu et rouge de la plateforme civile Mediterranea, traits fatigués, les membre de l’équipage du Mare Ionio s’apprêtent à dresser un bilan de leur première semaine en mer.

      « Regardez, on peut dire qu’il y a du monde ce soir, vous les voyez ? » interroge Alessandra Sciurba, face aux mines circonspectes de l’équipage. Au moins 200 personnes sont venues écouter les cinq hommes. « Ça fait plaisir, on se sent parfois très seuls en mer », sourit Luca Casarini, un activiste italien connu pour sa participation au mouvement de désobéissance civile Tute Bianche (« Les Blouses blanches »), particulièrement actif de 1994 à 2001.

      Malgré la connexion parfois hésitante de l’équipage, qui se trouve à 35 miles de Khoms et de la côte libyenne, Erasmo Palazzotto se lance, en direct sur Skype : « Le climat est surréaliste ici. On n’a croisé personne d’autre, la radio est silencieuse. C’est comme si la mer était déserte. » Copropriétaire du bateau Mare Ionio, député palermitain de la Sinistra italiana (« Gauche italienne », à la gauche des sociaux-démocrates), il se réjouit : « On ne sait pas si c’est parce que nous sommes présents en mer mais Malte a effectué un sauvetage de deux embarcations de migrants. Ça faisait près d’un an que ce n’était pas arrivé. »

      La remarque sur le sauvetage de 220 personnes les 6 et 7 octobre au large des eaux maltaises n’est pas anodine. Depuis la formation du nouveau gouvernement italien et la nomination de Matteo Salvini au ministère de l’intérieur en juin, la Méditerranée centrale est devenue le terrain d’une véritable bataille navale. Les ONG évincées, les cartes sont redistribuées entre gardes-côtes italiens, maltais et libyens.

      Battant pavillon italien, composé d’un équipage italien, le Mare Ionio s’est donné pour mission de surveiller, contrôler et témoigner de ce qui se passe en Méditerranée centrale, dans ce tronçon de mer emprunté par les migrants pour rejoindre les côtes italiennes et déserté par les bateaux des ONG depuis quelques semaines. Il ne s’agit donc pas d’un bateau de sauvetage, même si l’équipage est paré à cette éventualité.

      Matteo Salvini a bien compris la portée politique de cette aventure. Quelques heures après l’annonce du départ de l’embarcation, le 4 octobre, il avait offert à ses sympathisants un direct Facebook plus exalté qu’à son habitude. « Prenez un pédalo, faites ce que vous voulez », a-t-il ironisé, mais hors de question d’amener des migrants en Italie, a-t-il poursuivi, ricanant au sujet de ce « bateau des centres sociaux qui erre en Méditerranée ».

      Parmi les protagonistes de la plateforme civile Mediterranea, personne ne s’aventure sur le terrain de la politique partisane. Comme si, d’une certaine manière, le paysage politique italien n’était pas à la hauteur des enjeux. « Attention, on n’est pas là pour reconstruire la gauche italienne », met en garde Fausto Melluso de l’Arci Porco Rosso, un local associatif particulièrement impliqué dans l’aide aux migrants.

      Même le député de Gauche italienne évite les joutes politiques et élude : « Je représente des milliers de personnes indignées par ce qui se passe et qui n’ont peut-être pas voté pour moi mais avaient besoin de savoir qu’une partie des institutions italiennes se trouve ici, au milieu de cette bataille historique entre barbarie et civilisation. » Une indignation qu’ils ont voulu « transformer en action », ajoute-t-il.

      « On discute de politique à terre, pas en mer. En mer, on ne laisse personne mourir, on amène les gens dans un port sûr et ensuite on discute de ce que vous voulez », tranche Giorgia Linardi, porte-parole en Italie de l’ONG allemande Sea Watch, qui est associée au projet Mediterranea.

      « C’est une mission d’obéissance civile et de désobéissance morale. On ne pouvait pas se résoudre à se dire que c’était la seule société possible », résume Alessandra Sciurba, l’une des membres de la plateforme Mediterranea et chercheuse à l’université de Palerme. Tous répètent à l’envi cette formule, énoncée par Marta Pastor, jeune diplômée de 26 ans qui s’est embarquée sur le bateau comme bénévole : « L’important, pour nous, c’est aussi de nous sauver nous-mêmes, de nous sauver des saletés qui se passent tous les jours sous nos yeux. »

      Pour Alessandra Sciurba, ce défi va bien au-delà de l’Italie : « Dans le débat politique, tout un monde n’est plus représenté, entre l’Europe démocratico-progressiste qui a accepté les plans économiques de la Troïka [FMI, BCE et Commission européenne – ndlr] et joué avec les politiques migratoires, et l’Europe de Visegrad [Hongrie, Pologne, Slovaquie, République tchèque – ndlr], souverainiste et nationaliste. Nous sommes convaincus qu’il existe une troisième Europe, et c’est surréaliste qu’il faille aller en mer pour lui redonner de la voix. »

      Ce projet européen doit « partir de la société civile, des citoyens et surtout des villes », défend l’équipage. Ce n’est pas un hasard, expliquent les membres de Mediterranea, si les deux drapeaux hissés sur le mât sont celui de l’Union européenne et celui de la ville de Palerme. Dans son habituel costume noir, entouré par quelques journalistes et par les membres de Mediterranea, Leoluca Orlando, le maire de la ville, a profité de la première escale technique du Mare Ionio sur le quai trapézoïdal de Palerme pour marteler, une fois encore, ce discours si singulier dans le reste de l’Italie : « Le port de Palerme sera toujours ouvert ! »

      Sur le pont du bateau, Claudio Arrestivo a moins l’habitude de ces raouts que son voisin. Il représente le Moltivolti, un espace de restauration et de coworking au cœur de Palerme, qui a rejoint la plateforme Mediterranea dès ses débuts, en juin : « On prend plus de risques à ne pas s’embarquer qu’à faire partie du projet. » Les entrepreneurs rêvent désormais de faire des émules à travers le reste du pays.

      C’est le défi majeur de la plateforme civile : réussir, à terre, à susciter l’adhésion. « Dans tout le pays, nous allons organiser une “via terra”, un parcours sur terre de Mediterranea en organisant des événements culturels qui nous permettront de recueillir des fonds », explique Evelina Santangelo, écrivaine palermitaine à la tête d’un groupement national d’artistes, écrivains et acteurs du monde de la culture qui soutiennent l’initiative.

      La tâche est grande : près de 195 000 euros ont déjà été récoltés grâce à une cagnotte participative soutenue par 1 892 personnes, sur un budget total estimé à 700 000 euros pour deux mois de mission en mer.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/221018/avec-l-equipage-du-mare-ionio-les-anti-salvini-retrouvent-de-la-voix-en-it

    • Migrant campaign ship confronts Italy in the Mediterranean

      A Mediterranean coalition of campaigners against Italy’s hardline migration policies have bought a ship in a crowdfunding appeal to shame authorities into rescuing stranded migrants off the North African coast.

      The group, Mediterranea Saving Humans, raised more than 250,000 euros in three weeks, to buy and launch the Italian-flagged Mare Jonio to raise the alarm about migrant boats in distress in the Mediterranean Sea.

      Its first mission launched on October 4 from the southern Italian island of Sicily and succeeded in pressuring the Italian Coast guard into rescuing 70 people aboard a dinghy eight days later, according to the group.

      “The presence of Mediterranea was fundamental in raising attention to what is really happening in the waters south of Sicily and to prevent our governments from turning their backs to tragedies that call upon human compassion,” the group wrote on its website.

      https://www.thenational.ae/world/europe/migrant-campaign-ship-confronts-italy-in-the-mediterranean-1.787355

    • E infine restò solo la Mediterranea a salvare le vite in mare

      Ormai, quelli della Mediterranea sono rimasti i soli a cercare di rendere meno amaro il bilancio delle morti di migranti in mare in questo terrificante 2018. Soltanto nel mese di settembre, il 20 per cento di chi è partito dalla Libia risulta morto o disperso. Si tratta di uno degli anni peggiori di sempre, da questo punto di vista. E poco importa che in Italia siano diminuiti gli sbarchi se ciò coincide con un tasso di mortalità maggiore nelle acque internazionali.

      Dopo le 13 di oggi, la nave è salpata dal porto di Palermo per la seconda missione di monitoraggio e denuncia nelle acque internazionali tra le coste italiane e la Libia. C’era stata, nei mesi scorsi, l’avvio della missione, iniziata lo scorso 4 ottobre e durata 12 giorni, aiutata anche dal parlamentare di Liberi e Uguali Erasmo Palazzotto.
      Mediterranea, il suo ruolo in mare per sorvegliare una frontiera letale

      In questi ultimi giorni, la nave italiana della piattaforma Mediterranea era all’ancora nel porto siciliano per una sosta tecnica e di rifornimento: si tratta dell’unica nave in navigazione nel Mediterraneo centrale con l’essenziale funzione di testimonianza e pronta a intervenire, qualora fosse necessario, in soccorso di imbarcazioni in difficoltà. Un vero e proprio baluardo ultimo per evitare quella che può a buon diritto essere considerata una tragedia del nostro secolo.

      Il fatto che non ci siano più imbarcazioni a monitorare le rotte dei migranti è una diretta conseguenza della campagna di criminalizzazione delle ONG e delle politiche di chiusura dei confini, portata avanti in maniera risoluta dalla Lega e dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Non dobbiamo dimenticarci, che il Mediterraneo è considerato la frontiera più letale al mondo e che nello scorso mese di settembre ha registrato il numero drammatico di una persona morta o dispersa su cinque, tra coloro che hanno tentato la traversata.
      L’importanza di Mediterranea nei giorni scorsi

      Il 12 ottobre scorso, la nave Mediterranea ha avuto un ruolo determinante nel sollecitare il salvataggio tempestivo di settanta persone in pericolo al largo di Lampedusa, dopo il rimpallo di responsabilità tra Malta e Italia. Non solo: ha tenuto accesa l’attenzione dell’opinione pubblica su quanto realmente accade nelle acque a sud della Sicilia.

      Alla missione iniziata oggi parteciperà anche Riccardo Gatti di Proactiva Open Arms e un team di soccorso in mare della Ong tedesca Sea-Watch partner del progetto.


      https://www.giornalettismo.com/archives/2682517/mediterranea-unica-nave-mare-migranti

    • Trois ONG lancent une opération de sauvetage au large de la Libye

      Plus aucun bateau d’ONG ne menait d’opération de sauvetage dans la zone depuis celle menée fin septembre par l’« Aquarius ».
      Trois ONG ont lancé une mission de sauvetage de migrants au large de la Libye, où il n’y avait plus de bateaux humanitaires depuis fin septembre. Les trois navires engagés dans cette mission, l’#Open-Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms, le #Sea-Watch3 de l’ONG allemande Sea-Watch et le Mare-Jonio de l’ONG italienne Mediterranea, naviguent depuis vendredi dans les eaux internationales entre l’Italie et la Libye.

      Le Mare-Jonio était déjà parti début octobre patrouiller dans la zone pour témoigner du drame des migrants. Plus aucun bateau d’ONG ne menait d’opération de sauvetage dans la zone depuis celle menée fin septembre par l’Aquarius. Ce navire, affrété par Médecins sans frontières et SOS Méditerranée, est à quai à Marseille dans l’attente d’un pavillon lui permettant de naviguer, après le retrait de ceux de Gibraltar puis du Panama. La justice italienne a par ailleurs demandé mardi son placement sous séquestre pour une affaire de traitement illégal de déchets.

      La mission n’avait pas été annoncée en amont pour « ne pas se retrouver bloquée par une quelconque ruse, comme cela a été le cas pour l’Aquarius », a dit le fondateur de Proactiva Open Arms, Oscar Camps. Plongée dans le chaos depuis la chute du dictateur Mouammar Kadhafi dans une insurrection soutenue par l’OTAN en 2011, la Libye est l’un des principaux pays de transit pour les migrants subsahariens tentant de rejoindre l’Europe à partir de ses côtes. L’Espagne est devenue cette année la première porte d’entrée des migrants en Europe devant l’Italie mais la route de la Méditerranée centrale reste la plus dangereuse avec 1 277 des 2 075 morts recensés cette année par l’Organisation internationale pour les migrations.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/11/23/trois-ong-lancent-une-operation-de-sauvetage-au-large-de-la-libye_5387774_32

    • What It Means for Migrants When Europe Blocks Sea Rescues

      With no NGO vessels to rescue migrants crossing the central Mediterranean, people are drowning. Dr. David Beversluis, physician onboard one of the last rescue ships in the Mediterranean, looks at what it means when Europe turns its back.

      There is no more tragic place to witness the consequences of populist politics and anti-immigrant fears than the central Mediterranean Sea, where people are dying trying to reach safety in Europe.

      Many flee violence and poverty in forgotten places across Africa and beyond, before being kidnapped by traffickers and horribly abused in Libya. In a final bid for freedom, they board crowded, flimsy rafts that launch from the Libyan shore into Mediterranean waters.

      This year alone, more than 1,200 men, women and children have died trying to make this journey to Europe, according to the International Organization for Migration’s Missing Migrants project. These are just the deaths we know about.

      This summer I served as the physician onboard the Aquarius, a search and rescue ship operated by the aid organizations Doctors Without Borders and SOS Mediterranee that has assisted nearly 30,000 people since it launched in 2016. It was one of the ship’s last missions before the Italian government pressured Panama to revoke its registration after months of blocking rescue ships from Italian ports. In its current predicament, the Aquarius is unable to conduct search and rescue operations. Currently, there are no NGO aid vessels to rescue people crossing the central Mediterranean, and because of this people are drowning.

      On missions, we rescue people from boats in distress, we pull drowning people from the water, and we give food, water and lifesaving medical care. After we stabilize our patients, we sit and talk to people and hear their stories.

      I spoke with a young man who told me his brothers were targeted and killed last year during a violent conflict in Cameroon. He decided to leave his wife and young son behind because he was being threatened himself, and he was hopeful that if he made it to Europe he could eventually build a better life for his child. I could feel the pain in his words; he had no choice but to leave his loved ones behind.

      Several Somali boys told me of the months they spent traveling from country to country, first across the sea to Yemen, then to Sudan and eventually through the Sahara to Libya. Each step was a gamble for a better life. Along the way they faced extortion, imprisonment and death.

      An Eritrean boy told me he was kidnapped in Sudan and spent more than a year in captivity in Libya, where countless men and women are imprisoned by human traffickers and subjected to torture, rape and death. Another soberly described how his brother was shot in the head next to him, his body left behind in the desert.

      Each person has horrific stories of their time in Libya. They pause and shake their heads as they remember, deciding how to replay their experiences for somebody who can’t even imagine. One Nigerian man told me, “My mouth can’t form the words to describe what happened to me in Libya.”

      But he slowly opened up about his months spent in captivity. He described extreme sexual violence – rapes and genital mutilation – stories we hear repeatedly from both men and women who are trafficked in Libya.

      A Somali teenager said he was held in Libya for seven months inside a small room with more than 300 people where they had one latrine, were never able to shower or change clothes and were given meager food and water.

      And they were lined up every day, beaten with sticks and shouted at for money they didn’t have. He showed me scars on his back and arms as he mimicked the daily beating motion. The violence he lived through is written permanently in these scars on his body.

      Libya is simply not a safe place for refugees and migrants. But instead of responding humanely through a dedicated search and rescue system in the Mediterranean, or by creating safe and legal ways to apply for asylum, the European Union has poured money into building up the Libyan coast guard, which intercepts thousands of migrants and refugees as they attempt to flee. They are returned to Libya and held in official detention centers in atrocious, inhumane conditions. And as conflict erupts again between warring militias in the capital, Tripoli, many of them are directly in the line of fire.

      The stories we hear on the Aquarius highlight how people are repeatedly stripped of their humanity and dignity. And while they also have flashes of hope for a brighter future, each person understands that their difficult journey is far from over.

      In today’s political climate, Doctors Without Borders and other organizations have had to fight to disembark each rescued person in a safe place where their human rights will be respected. We’ve had to take people as far away as Spain after closer countries such as Italy have repeatedly closed their ports and European governments have refused to find sustainable and humane solutions.

      These difficulties grow as narratives of fear and hate toward migrants and refugees are repeated over and over, from Europe to America and elsewhere around the world. People are being treated as pawns by politicians unwilling to take responsibility for human lives. Borders close, walls are built and people are left to suffer and die.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/11/19/what-it-means-for-migrants-when-europe-blocks-sea-rescues

    • Italy orders seizure of migrant rescue ship over ’HIV-contaminated’ clothes

      Prosecutors allege garments on Aquarius should have been labelled as ‘toxic waste’.

      Italian authorities have ordered the seizure of the migrant rescue ship Aquarius after claiming that discarded clothes worn by the migrants on their voyage from Libya to Italy could have been contaminated by HIV, meningitis and tuberculosis.

      Prosecutors from Catania, eastern Sicily, alleged that the waste was illegally labelled by the ship’s crew as “special waste” rather than “toxic waste”.

      The Aquarius is currently docked in Marseilles, France, where so far it is beyond the reach of the Italian authorities.

      The ship is operated by the charity Médecins Sans Frontières (MSF) and SOS Méditerranée. Prosecutors in Catania said: “If Aquarius would disembark to Italy, it will be immediately put under seizure.”

      Nevertheless, the Italian authorities have placed 24 people under investigation for ‘‘trafficking and the illegal management of waste,” including the captain of the Aquarius, Evgenii Talanin, and Michele Trainiti, deputy head of the Italy mission of MSF Belgium. The Sicilian prosecutors also fined MSF a total of €460,000 (£409,000) and froze some of its bank accounts based in Italy.

      A total of 24 tonnes of discarded material – including leftover food and medical materials as well as clothes – was being investigated.

      Aids campaigners criticised the prosecutors’ claims that clothing could have been contaminated with HIV. “Clothing categorically is not, and has never been, an HIV transmission risk,” said Deborah Gold, chief executive of the National AIDS Trust.

      “This would have stood out as ridiculous even amongst the misinformation of the 1980s, never mind in 2018. Migrants and people seeking asylum have historically been attacked using myths about HIV and infectious conditions, and we condemn this both for its stigmatising of people living with HIV and of migrants fleeing hardship.”

      The Aquarius has been stuck in Marseilles since the Panamanian authorities revoked its flag, after “complaints by the Italian authorities”. But the ship seemed to have reached an agreement with a country that would offer the NGO its flag and was ready to leave the French port in few days to reach the waters of Libya.

      Matteo Salvini, Italy’s far-right deputy prime minister, hailed the seizure order for the Aquarius, tweeting: “It seems I did well to close the Italian ports to the NGOs.”

      NGO rescue boats have almost all disappeared from the central Mediterranean since Salvini announced soon after taking office that he was closing Italian ports to non-Italian rescue vessels.

      The chief prosecutor of Catania, Carmelo Zuccaro, who is leading the investigation against the Aquarius and who is known for having launched several investigations against the rescue boats operated by aid groups, has recently dropped the charges for illegal detention and kidnapping against Salvini, after the minister of the interior was placed under investigation for preventing the disembarkation of migrants from the coastguard ship Ubaldo Diciotti, last August.

      In a statement released on Tuesday, MSF described the allegations against the Aquarius crew as “disproportionate and unfounded, purely aimed at further criminalising lifesaving medical-humanitarian action at sea’’.

      “After two years of defamatory and unfounded allegations of collusion with human traffickers against our humanitarian work, we are now accused of organised crime aimed at illicit waste trafficking. This latest attempt by the Italian authorities to stop humanitarian lifesaving search and rescue capacity at any cost is sinister” says Karline Kleijer, MSF’s head of emergencies.

      “This is another strike in the series of attacks criminalising humanitarian aid at sea. The tragic current situation is leading to an absence of humanitarian search and rescue vessels operating in the central Mediterranean, while the mortality rate is on the rise,” said Frédéric Penard, SOS Méditerranée’s head of operations.

      People seeking asylum are still attempting the risky crossing but, without the rescue boats, the number of shipwrecks is likely to rise dramatically.

      The death toll in the Mediterranean has fallen in the past year, but the number of those drowning as a proportion of arrivals in Italy has risen sharply in the past few months, with the possibility of dying during the crossing now three times higher.

      According to the International Organization for Migration, so far in 2018 more than 21,000 people have made the crossing and 2,054 have died.

      https://www.theguardian.com/world/2018/nov/20/italy-orders-seizure-aquarius-migrant-rescue-ship-hiv-clothes
      #maladies #contamination

      La réponse de MSF:
      Sequestro nave Aquarius. Inquietante e strumentale attacco per bloccare azione salvavita in mare
      https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/sequestro-nave-aquarius-inquietante-e-strumentale-attacco-per-b

      v. aussi:
      https://seenthis.net/messages/740369

    • L’Italie demande la mise sous séquestre de l’« Aquarius » à Marseille

      La justice italienne a demandé le placement sous séquestre de l’Aquarius, actuellement bloqué à Marseille, a annoncé, mardi 20 novembre, l’ONG Médecins sans frontières (MSF). Des comptes bancaires en Italie de MSF ont également été placés sous séquestre.

      Le navire humanitaire affrété par les ONG SOS Méditerranée et MSF pour secourir les migrants au large de la Libye est soupçonné d’avoir fait passer vingt-quatre tonnes de déchets potentiellement toxiques pour des déchets classiques.

      L’enquête, coordonnée par le parquet de Catane (Sicile), porte sur le traitement des déchets à bord – restes alimentaires, vêtements des personnes secourues, déchets issus des activités médicales – dans les ports italiens où l’Aquarius débarque des milliers de migrants secourus en mer.

      « Empêcher les actions médicales et humanitaires »

      « Les opérations portuaires de nos navires de secours en mer ont toujours suivi les normes en vigueur, s’est défendu MSF dans un communiqué. Les autorités compétentes n’ont jamais questionné nos procédures ni identifié un quelconque risque pour la santé publique depuis que MSF a commencé ses opérations de secours. »

      La mise sous séquestre de l’Aquarius est « mise en œuvre dans l’unique but d’empêcher les actions médicales et humanitaires pour sauver des vies en mer en les criminalisant encore davantage », dénonce l’ONG.

      Depuis que le Panama a annoncé sa décision de retirer au bateau humanitaire son pavillon à la fin de septembre pour « non-respect » des « procédures juridiques internationales » concernant le sauvetage des migrants en mer, l’Aquarius est bloqué dans le port de Marseille.

      L’Aquarius est le dernier navire humanitaire à parcourir la Méditerranée pour secourir des migrants qui tentent la traversée clandestine vers l’Europe, fait valoir l’association. Depuis quatre ans, plus de 15 000 personnes sont mortes noyées en Méditerranée en tentant la traversée sur des embarcations de fortune, selon l’ONG. En deux ans et demi, SOS Méditerranée dit avoir secouru 29 523 personnes dont 23 % sont des mineurs.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/11/20/l-italie-demande-la-mise-sous-sequestre-de-l-aquarius-a-marseille_5385916_32

    • Migrants : la justice italienne demande la mise sous séquestre à Marseille de l’Aquarius

      La justice italienne a demandé le placement sous séquestre du navire humanitaire Aquarius à Marseille pour une affaire de traitement illégal de déchets, un nouveau coup dur pour les ONG qui se portent au secours des migrants en mer.

      L’ONG Médecins sans frontières (MSF), qui affrète l’Aquarius avec SOS Méditerranée depuis 2016, a réfuté toute malversation et dénoncé « une mesure disproportionnée et instrumentale, visant à criminaliser pour la énième fois l’action médico-humanitaire en mer ».

      A la demande du parquet de Catane (Sicile), la justice italienne « a ordonné le placement sous séquestre » du navire et de comptes bancaires de MSF, selon un communiqué du parquet. Mais MSF a annoncé son intention de faire appel.

      Interrogé par l’AFP, le procureur de la République de Marseille, Xavier Tarabeux, a déclaré n’avoir reçu « à ce jour » aucune demande des autorités italiennes concernant l’Aquarius.

      La mesure ne change de toute façon pas la donne au large de la Libye, où les ONG ont secouru plus de 120.000 migrants depuis 2014 mais sont désormais quasi-absentes après 18 mois d’incessantes attaques politiques — de gauche comme de droite —, judiciaires et administratives.

      Plusieurs ONG ont suspendu ou déplacé leurs activités, tandis que d’autres voient leur navire bloqué en Italie, à Malte ou en France, comme c’est le cas de l’Aquarius.

      L’Aquarius est amarré à Marseille depuis début octobre dans l’attente d’un pavillon lui permettant de naviguer après le retrait de ceux de Gibraltar puis du Panama.

      « J’ai bien fait de bloquer les navires des ONG », a réagi Matteo Salvini (extrême droite), ministre italien de l’Intérieur depuis juin. « J’ai arrêté non seulement le trafic des immigrés clandestins mais aussi celui des déchets toxiques ».

      Selon le parquet, l’Aquarius et le Vos Prudence, un autre navire affrété par MSF en 2017, sont soupçonnés d’avoir fait passer pour des déchets classiques un total de 24 tonnes de déchets présentant un risque sanitaire, économisant au total 460.000 euros.

      – « Aucune mise en garde » -

      L’enquête porte sur le traitement des vêtements trempés et souillés abandonnés par les migrants à bord, ainsi que des restes alimentaires et déchets sanitaires, que les deux navires ont confiés aux services des ordures des ports où ils débarquaient les migrants secourus en mer.

      Or, les équipes médicales de MSF à bord ont signalé parmi les migrants de nombreux cas de gale, HIV, méningites ou infections respiratoires comme la tuberculose et ne pouvaient ignorer le risque de transmission de virus ou d’agents pathogènes via leurs vieux vêtements, selon le parquet.

      « Nous avons suivi les procédures qui nous étaient indiquées. La preuve en est qu’en trois ans d’activité, dans un contexte très surveillé, nous n’avons reçu aucune mise en garde, aucune amende, aucune forme d’alerte préventive de la part des autorités », a déclaré Marco Bertotto, un responsable de MSF, lors d’une conférence de presse.

      « En ce moment, nos équipes travaillent avec le virus Ebola au Congo, le choléra au Congo également et dans d’autres pays d’Afrique Centrale. Donc le fait d’être accusés de comportement irresponsable (...) est ridicule », a dénoncé Gianfranco de Maio, médecin de MSF.

      En Italie, des voix se sont également élevées pour demander comment avaient été traités les déchets similaires sur les navires de la marine ou des garde-côtes italiens, qui ont secouru plus de 300.000 migrants depuis 2014.

      Pour l’instant, plusieurs comptes bancaires de MSF ont été placés sous séquestre dans le cadre de cette enquête, qui concerne aussi deux agents maritimes qui faisaient l’interface avec les autorités portuaires, les capitaines des navires et plusieurs responsables de MSF à bord.

      Mais pour Gabriele Eminente, directeur général de MSF en Italie, le « seul crime que nous voyons aujourd’hui en Méditerranée est le démantèlement total du système de recherches et de secours ».

      Grâce à des accords controversés conclus en Libye par le précédent gouvernement de centre gauche pour empêcher les migrants de prendre la mer, puis à la politique des ports fermés de M. Salvini, l’Italie a vu le nombre d’arrivées sur ses côtes chuter drastiquement à partir de l’été 2017.

      Cette année, l’Italie a enregistré 22.500 arrivées sur ses côtes, soit une baisse de plus de 80% par rapport aux années précédentes. Mais selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), faute de navires de secours, la traversée depuis la Libye a coûté la vie à au moins 1.267 migrants cette année.


      https://www.la-croix.com/Monde/Migrants-justice-italienne-demande-mise-sequestre-Marseille-Aquarius-2018-

    • How the Debate Over Flags Sidelined Europe’s Migrant-Rescue Ships

      Europe’s aggressive migration policy has seen Italy dive into the obscure world of national shipping flags to sabotage rescue missions. Researcher Hannah Markay argues that such moves undermine the international legal requirement to save human lives at sea.

      To deter migrants crossing the Mediterranean Sea, European authorities have seized upon a seemingly innocuous bit of international maritime law to block NGO-run rescue ships from their lifesaving work: the requirement that every vessel with seaward ambitions – from search-and-rescue vessel to pleasure boat – carry a national flag.

      The debate over whether NGO boats that rescue migrants are lifelines or “taxis of the sea” is old news. Lately, Italy and other European states have pursued a similar tactic to the one used by the United States in 1931 when it caught gangster Al Capone on charges of tax fraud: Unable to find legal issues with actual rescue missions, authorities are trying to sideline NGO vessels by diving into the minutiae of ships’ national registrations. Italian prosecutors got even more creative this week when they ordered the seizure of the rescue ship Aquarius, operated by Doctors Without Borders, over “illegal waste disposal.”

      Thus, debates over bureaucratic details have eclipsed another requirement of international law: the duty to save human lives at sea.

      Another way in which Italy has used bureaucracy to sabotage NGOs’ rescue missions is by asking them to sign a “code of conduct.” The 11-point code – aimed at stopping what Italy viewed as the groups’ facilitation of people-smuggling across the sea – barred them from entering Libyan territorial waters to undertake rescues; banned them from making calls or sending up flares to signal their location to migrant boats in distress; and threatened to bar access to Italian ports if groups did not sign or comply. Several NGO vessels refused to sign. In retaliation, Italy ordered some of them to be seized.

      These disputes have prevented ships with hundreds of just-rescued, vulnerable people aboard from disembarking in Europe. This happened recently with the Aquarius, the Lifeline and even the Diciotti, an Italian coast-guard ship barred from disembarking 177 refugees and migrants in Italy’s port of Catania for several days.

      Humanitarian groups have found ways around Europe’s bureaucratic obstacles. When Italian deputy prime minister Matteo Salvini threatened to close Italian ports to rescue vessels not bearing the country’s flag, a coalition of activists launched the first-ever Italian-flagged rescue ship, Mare Jonio, to conduct missions off Libya earlier this fall.

      But more often bureaucracy wins. Desperate migrants do not have the luxury of waiting for courts to rule on the legality of states’ actions. The bureaucratic games are directly responsible for the rising rate of deaths in the Mediterranean.
      A Game of Migrant ‘Hot Potato’

      Under international maritime law, every state must require any ship flying its flag – whether it’s a civilian, military or humanitarian vessel – to assist persons in distress at sea, without endangering the ship or crew. Coastal states must also render assistance in areas identified as their search-and-rescue (SAR) zones.

      In theory, the duty to assist applies to any ship able to hear a distress signal. Maritime rescue coordination centers around the world coordinate rescue missions in their respective zones and determine the national authority responsible for responding.

      But in reality this resembles a game of hot potato in the central Mediterranean, in which states quickly delegate or refuse responsibility.

      This was evident when Malta recently gave life-vests, petrol and a compass to a migrant boat in its SAR zone, then directed it to the shores of Lampedusa. European ships within reach of the distress signal are starting to preemptively avoid the waters near Libya altogether or are (illegally) turning around before acknowledging a migrant boat’s mayday signals.

      In this political climate, the few still-operational NGO rescue vessels are more important than ever. In their absence, rescues coordinated by European authorities end with migrants being returned to Libya, which may breach international laws around non-refoulement. With its ongoing civil war and record of detaining migrants, Libya is hardly a safe haven.

      This was the fate of 92 rescued refugees and migrants aboard a cargo ship docked in Libya’s port of Misrata who defiantly claimed they would rather die than return to Libya. The 10-day standoff ended when Libyan authorities used rubber bullets and tear gas to force disembarkation.

      Meanwhile, Libya is also playing the bureaucratic game. Under international law, territorial waters consist of the 12 nautical miles (13.8 miles/22.2km) off the coast of any state, but last year Libya declared its own SAR zone of 74 nautical miles. There is no legal basis for this expansion. Libyan authorities warned NGOs to stay out. Three European NGOs stopped sea rescue missions after Libya’s threats of violence.

      Martin Taminiau, a volunteer with the NGO vessel Sea-Watch, which Malta detained for months over its national registration, said NGO ships must weigh bureaucratic roadblocks against the need to help migrants in distress.

      “We have the right to enter these waters to save lives, but we also want to be able to operate long term,” he said.
      Responsibility to Save Lives ‘Lost at Sea’

      The legal and moral responsibility to save lives has been lost at sea, overshadowed by the technical debates over national flags, zones of responsibility, territorial waters and waste-disposal procedures.

      Watchdog and humanitarian groups must maintain pressure on the European Union to respond promptly to distress calls in their SAR zones and to communicate transparently with any boats prepared to make the rescue, in accordance with international law.

      The 1979 Search and Rescue Convention clearly designates areas of responsibility for responding to distress calls. This must translate into true responsibility and life-saving.

      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/11/22/how-the-debate-over-flags-sidelined-europes-migrant-rescue-ships

    • Che cosa può una nave?

      Si può fare!

      Era la metà di giugno quando ha cominciato a prendere forma quella che sarebbe poi divenuta la piattaforma “Mediterranea”. Salvini aveva da poco chiuso i porti italiani alla nave Aquarius, di “Medici Senza Frontiere” e “Sos Méditerranée”, definendo una “crociera” la lunga traversata che avrebbe portato in Spagna gli oltre novecento profughi e migranti che si trovavano a bordo. Era il coronamento di una vera e propria guerra alle ONG, avviata nell’aprile del 2017 dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e poi proseguita dal ministro Minniti – il coronamento e al tempo stesso un’intensificazione senza precedenti: se negli anni scorsi molti di noi avevano analizzato criticamente la svolta governamentale della “ragione umanitaria”, cioè l’incorporazione delle ONG nei dispositivi di governo dei confini e delle migrazioni, era evidente che ci trovavamo davanti a una brutale soluzione di continuità. L’intervento umanitario era ora direttamente criminalizzato, azzerando quelle reti di soccorso volontario che negli anni precedenti, spesso integrate con le operazioni SAR delle diverse guardie costiere e delle forze armate, erano state comunque dispiegate nel Mediterraneo.

      Che fare di fronte a questa svolta, evidentemente sintomatica di un atteggiamento destinato a improntare l’azione del governo per mare e per terra nei mesi successivi? La domanda non poteva essere aggirata, e ha cominciato a risuonare con insistenza nelle conversazioni tra compagni e compagne. La resistenza, certo: la denuncia di quanto stava accadendo, i presìdi di protesta, le iniziative di pressione per la riapertura dei porti. E il tentativo di comprendere il significato più profondo di quanto stava accadendo, di anticipare le mosse successive del governo definendo un quadro interpretativo generale della “fase”. Ma ci sembrava che tutto questo non fosse sufficiente, che si dovesse e si potesse fare di più: che fosse necessario mettere in campo una pratica, capace di determinare spiazzamento e quantomeno di alludere a una mossa “offensiva”, al di là del carattere necessariamente difensivo della resistenza – e per riqualificare il terreno su cui quest’ultima si determina. E allora, perché non agire direttamente nel vivo delle contraddizioni del dispositivo retorico e politico della campagna governativa? Perché non comprare e mettere in mare una nave? Una nave battente bandiera italiana, in modo che nessun governo potesse chiuderle i porti del nostro Paese…

      Nei mesi successivi abbiamo misurato a pieno il carattere quasi donchisciottesco dell’impresa in cui avevamo deciso – letteralmente – di imbarcarci: una scommessa, un azzardo in qualche modo al buio. Qualche compagno, con conoscenza professionale dei mondi che ruotano attorno alle navi, ci ha aiutato a orientarci. Per un po’ abbiamo accantonato la filosofia e la teoria politica, cercando di farci almeno un’idea del diritto della navigazione, dell’ingegneria navale e della scienza logistica applicata. Mentre la ricerca della nave proseguiva, abbiamo trovato molti complici e sodali, a volte inaspettati e spesso proprio in quei mondi dello shipping dove il principio per cui “ogni singola vita a rischio in mare deve essere messa al sicuro” appare profondamente radicato e viene ritenuto intangibile. E abbiamo incontrato la disponibilità di Banca Etica a sostenere il progetto dal punto di vista finanziario, aprendo una linea di credito dedicata.

      Dentro e contro i mondi della logistica e della finanza ha dunque cominciato a prendere corpo “Mediterranea”, mentre un insieme di soggetti collettivi di diversa provenienza e natura si aggregava a prefigurare un’originale piattaforma sociale e politica. Quando infine abbiamo trovato e siamo riusciti ad acquistare la nave (la “Mare Jonio”), abbiamo subito capito che il lavoro più importante – costruire la nostra nave – cominciava allora: si trattava intanto, letteralmente, di adeguarla alle operazioni di “ricerca e salvataggio” (un compito a cui si sono dedicati con entusiasmo decine di compagne e compagni, con l’essenziale collaborazione della ONG tedesca Sea Watch); e poi di preparare gli equipaggi e di tessere le reti di terra che avrebbero sostenuto e reso possibile l’azione in mare della “Mare Jonio”. Questo lavoro di costruzione collettiva è ben lungi dall’essere terminato. E tuttavia, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre, la nostra nave è salpata per la sua prima missione. Senza alcuna supponenza abbiamo pensato che un primo obiettivo era stato raggiunto. Avevamo dimostrato che si può fare.

      Per mare …

      Tra il 4 ottobre e il 4 dicembre scorsi la “Mare Jonio” ha percorso in tre distinte missioni più di 4.800 miglia marine, più o meno la distanza che separava i migranti italiani tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dall’agognato approdo a Ellis Island. Ci siamo mossi all’interno di quello che viene chiamato il Mediterraneo Centrale, entro un mare solcato e striato da tensioni geopolitiche che si traducono in confini elusivi, ma non per questo meno cogenti. Il caleidoscopio composto da acque territoriali, zone contigue, zone economiche esclusive, aree SAR (Search And Rescue) è come tagliato trasversalmente dalle linee di attrito tra Grecia e Turchia (che solcano il Mediterraneo Orientale), tra Marocco e Spagna (il Mediterraneo Occidentale) e tra Italia e Libia (appunto il Mediterraneo Centrale), con altri Paesi costieri a fare ciascuno il proprio gioco (dalla Tunisia a Malta, dall’Algeria all’Egitto).

      Non è affatto casuale che le aree marittime appena menzionate corrispondano anche alle tre principali “rotte” seguite dai flussi migratori verso l’Europa e che la maggiore o minore pressione lungo ciascuno di questi corridoi di transito rinvii, di volta in volta, a cangianti condizioni economiche, sociali e politiche nei Paesi di partenza e di arrivo; alle spinte soggettive che caratterizzano la propensione a migrare di questa o quella composizione; alle differenti e articolate strategie di gestione dei flussi, prima fra tutte la progressiva esternalizzazione dei confini dell’Unione Europea stessa, in un gioco di continui ridislocamenti che sembra ben lungi dall’aver trovato un suo punto di equilibrio. Basti pensare al ruolo che il Marocco si sta oggi preparando (nuovamente) a giocare sul terreno – mercantile! – degli accordi per il contenimento e il respingimento, entro un quadro in cui l’accordo tra UE e Turchia e i patti stretti da diversi governi italiani con tribù e milizie libiche hanno fatto, negli ultimi tre anni, da apripista. O, in quest’ultimo quadrante, ai tentativi di spostare più a sud, alla frontiera tra Niger e Libia, il “lavoro sporco” svolto in questi anni da apparati “formali e informali” in Tripolitania e Cirenaica.

      In questa cornice, di cui abbiamo potuto registrare le continue modificazioni perfino nel corso delle otto settimane delle nostre prime tre missioni, la presenza e l’attività della “Mare Jonio” hanno messo in tensione il regime SAR, costringendo più volte imbarcazioni della Guardia Costiera maltese e italiana a muoversi in soccorso dei migranti, e hanno svolto una rilevante funzione di inchiesta, facendo luce là dove si pretendeva (obiettivo essenziale dell’attacco alle ONG) che non ci fossero più testimoni attenti e consapevoli. L’Operazione Mediterranea ha conteso con successo alle “autorità competenti” il diritto a intervenire in aree di crisi e ha così aperto un campo in cui sono divenute visibili le trasformazioni già intervenute e in atto nel regime SAR, le cui aree di competenza funzionale sono state via via interpretate come veri e propri spazi di esercizio di sovranità nazionali, sostituendo nei fatti la logica del primato della concreta efficacia nel salvataggio in mare con quella mortifera della sclerotizzazione burocratica dei protocolli operativi nella gestione di rigide “frontiere” acquee. Abbiamo così disvelato e misurato nei fatti la ormai costitutiva inadeguatezza dell’attuale regime SAR a esercitare funzioni di soccorso in mare, ma anche una serie di elementi di cruciale importanza: il fatto che dalla Libia, al contrario di quanto affermato dalla propaganda del governo italiano, si continui a partire, seppure con modalità diverse rispetto al passato; le mutate geografie, i nuovi assetti logistici, la composizione variabile degli attraversamenti del Mediterraneo; la dipendenza dell’intervento sui flussi a monte, cioè sul territorio libico, dalla contingenza di complessi e tutt’altro che trasparenti giochi di potere, economico e politico (come si è visto in coincidenza con lo svolgimento a Palermo, nel novembre scorso, della Conferenza Internazionale sulla Libia); la continuità dell’intervento della “Guardia Costiera” libica (le virgolette sono d’obbligo, visto che al suo interno operano, sotto diretta supervisione del Viminale, soggetti che fino a pochi mesi fa sarebbero stati considerati “trafficanti di esseri umani”) nell’agire dentro e fuori le acque territoriali del Paese africano per operare veri e propri respingimenti collettivi; la resistenza, la formidabile determinazione delle donne e degli uomini in fuga dai campi di detenzione libici a non farsi ricondurre in quei luoghi di violenza e di sfruttamento (le due vicende della nave “Nivin” e del peschereccio “Nuestra Madre de Loreto” sono da questo punto di vista esemplari).

      A metà novembre il ministro dell’Interno italiano ha annunciato trionfalmente che il Mediterraneo era stato infine liberato dalla presenza delle navi delle ONG. “Mediterranea”, con la sua azione, ha al contrario determinato le condizioni di possibilità di un’alleanza transnazionale senza precedenti tra diverse ONG: nel corso di quella che è stata per noi la terza missione ci siamo coalizzati con Open Arms e Sea Watch, dando vita a United4Med e mettendo in mare un piccola flotta, sostenuta dal cielo da due velivoli da ricognizione. Indipendentemente dagli esiti di questa missione (caratterizzata dall’intervento a sostegno del peschereccio “Nuestra Madre de Loreto”), sono state poste le condizioni per un coordinamento operativo destinato a durare nel tempo e per ulteriori nuove alleanze nei prossimi mesi. Ma un momento di significativa importanza è stata anche la sosta di diversi giorni nel porto di Zarzis, in Tunisia, dove l’incontro con le associazioni dei pescatori – da sempre impegnati nelle operazioni di soccorso in mare, e per questo criminalizzati in Italia – e con gli attivisti del “Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali”, ci ha consentito di cominciare a gettare ponti con la terra non solo verso Nord, ma anche verso Sud.

      … e per terra.

      La costruzione di una forte e strutturale connessione tra “terra e mare” è stata per noi fin dall’inizio, del resto, uno degli obiettivi essenziali di “Mediterranea”. Abbiamo spesso affermato che non siamo una ONG, senza per questo mancare di riconoscere l’importanza fondamentale, per il nostro progetto, della collaborazione con Sea Watch e Open Arms, la straordinaria passione che anima molte volontarie e molti volontari delle ONG, e i risultati concreti ottenuti negli anni da queste ultime, in termini di vite umane strappate a morte certa. Quest’affermazione significa piuttosto che non consideriamo il nostro intervento semplicemente limitato ai luoghi in cui si produce l’emergenza “umanitaria”; che ne enfatizziamo il carattere politico e non semplicemente “tecnico” o “neutrale”; che rivendichiamo la possibilità di agire, laddove se ne determinino le condizioni, al di fuori dei quadri giuridici stabiliti, per alludere semmai alla fondazione conflittuale di nuovi diritti.

      È su queste basi che valutiamo l’indubbio successo che “Mediterranea” ha raccolto in terra (tra l’altro per i risultati, inediti per il contesto italiano, del crowdfunding, con quasi quattrocentomila euro raccolti in poco più di due mesi). Tanto nel corso delle iniziative organizzate da un gruppo di donne e uomini di cultura e spettacolo (la “Via di Terra”), quanto nelle decine e decine di assemblee che si sono tenute in tutta Italia (e in qualche città europea) abbiamo fatto esperienza di un entusiasmo e di una passione, di una partecipazione anche emotiva, di una curiosità e di un’adesione che da tempo non ricordavamo. Si badi: queste “tonalità emotive” non corrispondono in alcun modo a un’omogeneità politica. La nostra nave è stata appropriata e in qualche modo reinventata dalle posizioni più diverse, all’interno di centri sociali così come di parrocchie, di università e di scuole, di piccoli circoli di Paese e di assemblee metropolitane; mentre il 24 novembre, ci piace ricordarlo, sulla “Mare Jonio” la bandiera di “Mediterranea” ha sventolato accanto a quella del movimento più forte e radicale dei nostri giorni, “Non Una di Meno”. Ma è proprio questa eccedenza di significati attribuiti a “Mediterranea”, anche al di là delle intenzioni iniziali di questo progetto, a rappresentare per noi il dato più significativo. E a costituire la potenzialità più rilevante per l’immediato futuro.

      La situazione “in terra” è del resto anch’essa cambiata nei due mesi in cui la “Mare Jonio” ha effettuato le sue missioni nel Mediterraneo. Il consolidamento dell’egemonia di Salvini all’interno del governo “giallo-verde” e l’indubbio consenso che circonda la sua azione si sono coniugati con la conversione in legge del cosiddetto “Decreto sicurezza” (mentre un discorso a parte meriterebbe la vicenda della legge di Bilancio e lo “scontro” con la Commissione Europea). Non è questo il luogo per un’analisi nel dettaglio delle disposizioni di legge in esso contenute. Basti dire che il drastico ridimensionamento del sistema SPRAR punta a radicare ulteriormente nel tessuto sociale una logica emergenziale, producendo “illegalità” e rendendo sempre più fragile e insicura la condizione di migliaia di profughi e migranti. Mentre il sostanziale smantellamento della “protezione umanitaria” colpisce tra l’altro duramente, e in modo selettivo, le donne migranti, in particolare quelle in fuga da condizioni di violenza. Al tempo stesso, l’inasprimento delle sanzioni penali per blocchi stradali e occupazioni abitative colpisce in primo luogo ancora i e le migranti, protagonisti in questi anni di straordinarie lotte sul lavoro (si pensi ai blocchi dei magazzini della logistica) e per la casa.

      Siamo di fronte a un tendenziale azzeramento delle mediazioni, che si manifesta prima di tutto sul terreno della migrazione, ma che si indirizza selettivamente contro un insieme più ampio di soggetti. Come agire di fronte a questa rottura? “Mediterranea” non ha certo lezioni da impartire a chi quotidianamente pratica la resistenza. Ha forse però, a partire dalla sua parziale esperienza, almeno due indicazioni da proporre.

      In primo luogo, mostra l’importanza di accompagnare all’azione di resistenza la messa in campo di pratiche capaci di intervenire direttamente sui problemi che si presentano. Si può pensare che oggi queste pratiche possano e debbano dispiegarsi anche sul terreno della costruzione di infrastrutture, materiali e immateriali, una costruzione aperta e in divenire, come aperta e in divenire è stata ed è la costruzione della nostra nave. Proviamo a immaginare un’azione che combini, in modo aperto ed espansivo, la resistenza allo smantellamento del sistema SPRAR e della protezione umanitaria con la costruzione di infrastrutture alternative per l’ “accoglienza”, coinvolgendo il mondo degli operatori e delle operatrici e facendo tesoro dell’esperienza dei centri anti-violenza e delle case rifugio all’interno del movimento femminista. Non ne risulterebbe straordinariamente più forte la stessa resistenza?

      In secondo luogo, “Mediterranea” può offrire l’esperienza di quella che vorremmo chiamare una politica del diritto, ovvero di un tentativo di affermare (ancora una volta: con una pratica) la legittimità e la legalità di qualcosa di tanto elementare quanto il dovere di salvare i naufraghi in mare. In questo tentativo, ha “testato” l’intreccio tra molteplici sistemi giuridici (quelli nazionali, quello europeo, il “diritto internazionale del mare”), tentando di allargare le tensioni all’interno e tra di essi, aprendo varchi e scontrandosi con limiti. È un tentativo che bisogna continuare a fare (per mare così come per terra) con maggiore determinazione. E con la necessaria spregiudicatezza e radicalità, perché siamo convinti che di fronte ai limiti occorra forzare, sia cioè indispensabile praticare, dal nostro punto di vista, la rottura.

      To be continued.

      Che cosa può dunque una nave? Va da sé che c’è un tratto ironico in questa variazione sul tema di una celebre domanda deleuziana. Pur non disdegnando imprese donchisciottesche, cerchiamo di mantenere una qualche sobrietà. Indubbiamente, la nostra nave ha dimostrato di poter intervenire operativamente nel Mediterraneo, svolgendo tra le altre cose un’efficace funzione di inchiesta e denuncia sulle trasformazioni del regime SAR e delle dinamiche di attraversamento e rafforzamento del confine marittimo. Ha messo in collegamento le due sponde del Mediterraneo e ha prodotto straordinari effetti di risonanza in terra, aprendo spazi nuovi attraverso una molteplicità di incontri imprevisti. Ma una nave può essere soltanto uno dei molti dispositivi di cui dobbiamo dotarci nella lotta per costruire un mondo in cui sia possibile, tanto per cominciare, respirare più liberamente.

      In ogni caso, la nostra nave – lo abbiamo detto più volte – è in costruzione, ed è in fondo questo ininterrotto processo di costruzione collettiva che ci sembra prezioso. Che cosa diventerà “Mediterranea” nei prossimi mesi? È una domanda che deve rimanere aperta nelle sue linee generali. Certamente, proseguiremo le operazioni marittime. Questo richiederà un’ulteriore “professionalizzazione” del lavoro, un salto di qualità nella strutturazione dell’ “impresa per fare l’impresa”, una rinnovata cura per gli aspetti logistici e finanziari, la formazione di attivisti e attiviste auspicabilmente nel quadro di una cooperazione rafforzata con diverse ONG. È questo un aspetto fondamentale di “Mediterranea”, nata da un patto tra soggetti diversi che si sono riconosciuti uguali nella condivisione dell’urgenza dell’intervento di soccorso in mare.

      Al tempo stesso, sarà necessario riaffermare e riqualificare il significato della nostra affermazione secondo cui “non siamo una ONG”. Si tratterà cioè di riprendere gli elementi essenziali che abbiamo indicato in precedenza: il carattere politico del progetto, la moltiplicazione di ponti tra il mare e la terra, una “politica del diritto” certo consapevole dei quadri ordinamentali dati (e delle forzate interpretazioni consuetudinarie che i più recenti rapporti di forza politici hanno orientato), ma anche determinata nella capacità di praticare rotture. E occorrerà farlo allargando le relazioni e approfondendo il lavoro tanto sul piano sociale quanto nello spazio europeo, puntando in primo luogo al coinvolgimento delle tante città che si sono costituite, esplicitamente o implicitamente, come “città rifugio” negli ultimi anni.

      Sono questioni attorno a cui è aperto il confronto tra tutti coloro che partecipano al progetto. La nostra proposta è quella di lavorare – da qui alla primavera – alla costruzione di una sorta di “stati generali” di “Mediterranea”: non un evento, ma l’esito di un percorso di inchiesta e di discussione, che riprenda i fili delle molte risposte che “Mediterranea” ha raccolto e che ci permetta di avanzare sul terreno della costruzione collettiva. Ripartire dai territori in cui si sono svolte (e continuano a svolgersi) le iniziative di sostegno al progetto, valorizzare gli “incontri imprevisti” per quel che riguarda tanto eterogenee aree politiche e culturali quanto i diversi “mondi” che abbiamo attraversato in questi mesi (da quelli dello shipping ai medici e agli operatori del diritto con cui abbiamo collaborato, per fare solo qualche esempio particolarmente importante): questo ci sembra possa essere il metodo da seguire, per continuare a essere là dove è necessario essere e agire – per mare e per terra.


      http://www.euronomade.info/?p=11437

  • Minori non accompagnati, diritto al ricongiungimento familiare anche dopo i 18 anni

    Lo dice una sentenza della Corte europea di giustizia a partire dal caso di una ragazza eritrea arrivata da minorenne nei Paesi Bassi. Chiesto ricongiungimento con i familiari, ma la sua domanda era stata respinta perché nel frattempo è diventata maggiorenne. Il Tribunale dell’Aia sottopone questione pregiudiziale alla Corte: vale età di ingresso nel paese Ue, non età al momento del riconoscimento dell’asilo

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/573208/Minori-non-accompagnati-diritto-al-ricongiungimento-familiare-anche
    #MNA #âge #regroupement_familial #18_ans #mineurs #jurisprudence

  • Cambiamenti climatici: Europa paese di emigrazione per mancanza di cibo?

    E’ uno dei temi al centro del festival del giornalismo alimentare di Torino. Il legame tra cambiamenti climatici e migrazioni rischia di portare a nuovi fenomeni che potrebbero vedere quelli che oggi sono i Paesi di destinazione di migranti, come l’Europa, in luoghi da cui sarà necessario emigrare

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/567342/Cambiamenti-climatici-Europa-paese-di-emigrazione-per-mancanza-di-c
    #climat #changement_climatique #migrations #Europe #réfugiés_environnementaux #sécurité_alimentaire #migrations #asile #réfugiés

  • Il budget oscuro tra cooperazione e migrazione

    I fondi sulla carta destinati a promuovere lo sviluppo di paesi poveri in realtà rimangono in Italia, destinati all’accoglienza migranti. Parte delle spese utilizzate anche per l’esternalizzazione delle frontiere. La denuncia di Oxfam e Openpolis

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/562311/Il-budget-oscuro-tra-cooperazione-e-migrazione-Se-i-fondi-restano-i
    #Italie #aide_au_développement #développement #asile #migrations #réfugiés #coopération_au_développement #externalisation #accueil #fermeture_des_frontières #frontières

    • Il budget oscuro tra cooperazione e migrazione

      Accoglierli, come accoglierli, salvarli in mare, respingerli, rimpatriarli, fermare i flussi o governarli. Parole ed espressioni già ricorrenti nel dibattito pubblico che sicuramente saranno temi centrali della campagna elettorale. A maggior ragione diventa imprescindibile la sempre valida domanda: con quali costi? Seguire i soldi in questo caso vuol dire accostare due settori apparentemente distanti: la cooperazione internazionale allo sviluppo e la gestione del fenomeno migratorio.


      https://cooperazione.openpolis.it/minidossier/perche-confrontiamo-soldi-cooperazione-migranti

    • Coopération UE-Afrique sur les migrations. Chronique d’un chantage

      Alors que la communauté internationale fait mine de s’offusquer de la situation dramatique des personnes en migration en Libye, la Cimade, le collectif Loujna-Tounkaranké et le réseau Migreurop publient le rapport conjoint Coopération UE–Afrique, chronique d’un chantage. Outil de décryptage critique des mécanismes financiers et politiques de la coopération européenne sur les migrations avec les pays tiers, l’ouvrage appuie son analyse sur quatre pays africains : le Maroc, le Mali, le Sénégal et le Niger.

      http://www.lacimade.org/presse/cooperation-ue-afrique-migrations-chronique-dun-chantage
      #fonds_fiduciaire #fonds_fiduciaire_d’urgence #trust_fund

    • Aide au développement : les ONG réfutent le lien migration/développement

      « Nous, ONG, réfutons le lien entre #APD et politiques migratoires. L’APD doit réduire la pauvreté, c’est ça son objectif » a martelé avec conviction Bernard Pinaud du CCFD solidaire, suscitant de vifs applaudissements de l’ensemble des ONGs présentes.

      https://blogs.mediapart.fr/aide-et-action/blog/230218/aide-au-developpement-les-ong-refutent-le-lien-migrationdeveloppemen

    • Respect des engagements : adoption de nouveaux programmes sur la protection des migrants et l’aide au retour et à la réintégration en Afrique, d’un montant de 150 millions d’euros

      L’Union européenne adopte ce jour trois nouveaux programmes, d’une valeur supérieure à 150 millions d’euros, au titre du fonds fiduciaire d’urgence de l’Union européenne pour l’Afrique, faisant suite directement aux engagements pris par le groupe de travail commun Union africaine-Union européenne-Nations unies en vue de remédier à la situation des migrants en #Libye.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-1143_fr.htm

    • Aid and Migration : externalisation of Europe’s responsibilities

      European countries have seen over 3.8 million people seeking asylum in its territories between 2013 and 2016. In response, Europe has developed several plans, agreements and policy Frameworks on Migration. The EU has also established a number of cooperation agreements with third countries, highlighting the importance of “addressing the root causes behind irregular migration to non-EU countries”. On top, we notice EU Aid budgets being increasingly spent in favour of “migration management”.

      Development cooperation is more and more perceived by EU leaders as a tool to “control migration”, “manage migration” or “tackle the root causes of migration”. Why is that?


      https://concordeurope.org/2018/03/19/aid-migration-aidwatch-paper

      Pour télécharger le #rapport :
      https://concordeurope.org/wp-content/uploads/2018/03/CONCORD_AidWatchPaper_Aid_Migration_2018_online.pdf?7c2b17&7c2b17

    • Les partenariats entre l’Union européenne et les pays africains sur les migrations. Un enjeu commun, des intérêts contradictoires

      Pour atteindre ses objectifs, l’UE s’est dotée d’un instrument financier qui s’est rapidement imposé comme l’outil le plus visible de la politique de partenariat en matière de migration. Le #Fonds_fiduciaire_d’urgence_pour_l’Afrique (#FFU), adopté au cours du sommet de #la_Valette de novembre 2015, est devenu le signe d’une synergie renforcée, voire d’un alignement, entre les objectifs des politiques migratoires, de #sécurité et de #développement. Cependant, loin de répondre aux principes de partenariat et de responsabilité partagée, le FFU, comme les autres cadres de dialogue, reste entre les mains des Européens qui imposent leurs objectifs et contrôlent leur mise en œuvre. Les pays africains y trouvent peu d’espace dans lequel ils pourraient participer à la définition des objectifs et des moyens d’action.


      https://www.ifri.org/fr/publications/notes-de-lifri/partenariats-entre-lunion-europeenne-pays-africains-migrations-un-enjeu

    • The 2017 Annual Report of the EU Emergency Trust Fund for Africa is available

      The 2017 Annual report of the EU Emergency Trust Fund for Africa has been adopted by the Operational Comittee on 2 March 2018. It outlines the current state of affairs and the achievements of the Emergency Trust Fund for stability and addressing root causes of irregular migration and displaced persons in Africa (the EUTF for Africa) up to December 2017.

      The Report provides an overview of the strategic orientations, implementation and results achieved in each of the three regions of the EUTF for Africa.

      In 2017, the EUTF for Africa focused on deploying activities at country and regional level to address the compelling needs of African partner countries while further translating the Trust Fund’s strategic priorities into action. During the year, 40 new programmes have been approved in the three regions, bringing the total of approved programmes at the end of 2017 to 143 including three which operate across several regions. With EUR 900 million contracted, the implementation pace of the EUTF for Africa has significantly improved in 2017 bringing the overall amount of signed contracts to EUR 1.5 billion with implementing partners since the inception of the Trust Fund.

      Two years after its inception at the Valletta Summit on Migration, held in November 2015, the EUTF for Africa has further demonstrated its added value as a quick and effective implementing tool that facilitates political dialogue with partner countries, covers new sectors, allows innovative approaches, produces results, and pulls and attracts funding, expertise and experience from a variety of stakeholders and partners.

      Through its activities, the EUTF for Africa has been working actively in the three regions to limit the combined effects of worsened security conditions and long-lasting challenges such as demographic pressure, institutional weaknesses and extreme poverty.

      https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/all-news-and-stories/2017-annual-report_en
      #rapport

    • Protecting and supporting migrants and refugees: new actions worth €467 million under the EU Trust Fund for Africa

      European Commission - Press release

      Brussels, 29 May 2018

      The EU continues to deliver on its commitments to assist vulnerable migrants and refugees and address root causes of irregular migration. The new support measures in the Sahel/ Lake Chad region and the Horn of Africa will foster stability, jobs and growth, especially for young people and vulnerable groups.

      They complement ongoing bilateral and multilateral efforts, such as through the Joint African Union – European Union – United Nations Task Force. Today’s additional funds will allow for live-saving assistance to be taken forward, including accelerating resettlements of refugees from Niger as a priority.

      High Representative/Vice-President Federica Mogherini said: "We continue working to save lives, provide safe and dignified returns and legal avenues, and tackle the root causes of migration, by creating jobs and growth. With the UNHCR, we have evacuated 1,287 refugees from Libya to Niger, who need to be resettled swiftly now. With the IOM, we helped 22,000 people to return home and provide reintegration assistance. Today’s additional commitments will further consolidate our work towards managing human mobility - in a humane, secure and dignified way together with our partners.”

      Commissioner for International Cooperation and Development, Neven Mimica, said: “The majority of today’s €467 million assistance package will be dedicated towards improving employment opportunities, especially for young people. But challenges remain, and the Trust Fund’s resources are running out. If we want to continue our live-saving assistance, additional contributions by EU member states’ and other donors will be crucial.”

      Measures adopted today focus on the following areas:

      Protection and assistance for people on the move

      The European Union’s work with the UNHCR has so far allowed for 1,287 refugees to be evacuated from Libya to Niger through the Emergency Transit Mechanism, with 108 people having been further resettled to Europe. In parallel, together with the International Organisation for Migration, 22,000 migrants stranded along the routes have been assisted to voluntarily return home, where they receive reintegration support. Today, the EU mobilises an additional €70 million, of which €10 million will support accelerating resettlements under the UNHCR’s Emergency Transit Mechanism and €60 million ensure that voluntary return and reintegration assistance can be continuously provided by the IOM. In Kenya, an innovative approach to piloting private sector development will promote better economic integration of refugees and supports the implementation of the Comprehensive Refugee Response Framework. Additional €20 million in regional support will help countries in the Horn of Africa, in developing and implementing sustainable and rights-based return and reintegration policies.

      Increase stability, resilience of local populations and improve migration management

      Increasing stability and supporting the resilience of local populations is one of the pillars of the EU’s integrated approach. In central Mali, activities worth €10 million will address the rapidly degrading security situation, to increase trust between Malian security forces and local populations. Further new activities will promote conflict prevention, foster food security in South Sudan or improve knowledge on malnutrition in Sudan. In Sudan, support will also enable humanitarian and development actors to access hard-to-reach areas. In Cape Verde and Guinea Bissau new measureswill help to set up a reliable civil identification registration and document issuance system, to allow the population to benefit from enhanced mobility, document security and better access to rights.

      Economic opportunities for young people

      Providing sustainable employment opportunities for young people is key to tackle the root causes of irregular migration. New actions will support the skills development and vocational training of young people to help create better employment opportunities, for example in Ethiopia, Nigeria or The Gambia. In Sudan, a new support project, will strengthen the job skills of young people and support them through training to establish and grow businesses. This project will target disadvantaged groups, such as refugees and internally displaced people and, like all EU assistance in Sudan, will be realised through trusted implementing partners.

      In order to ensure continuous monitoring of the effectiveness of Trust Fund for Africa programmes, the funding of the dedicated monitoring and learning system has been doubled from €2 million to €4 million.

      Background

      The EU Emergency Trust Fund for Africa was established in 2015 in order to address the root causes of instability, irregular migration and forced displacement. Resources currently allocated to this Trust Fund are €3.4 billion from EU institutions, European Member States and other donors.

      Today’s assistance adds to the 147 programmes that were already previously approved across the three regions (North of Africa, Sahel and Lake Chad region and Horn of Africa) worth a total of €2,594 million, which was divided as follows: Sahel/Lake Chad €1,293 million (79 programmes), Horn of Africa €820.3 million (50 programmes), North of Africa €335 million (14 programmes). This amount also includes 4 cross-region programmes (€145.1 million).

      https://reliefweb.int/report/world/protecting-and-supporting-migrants-and-refugees-new-actions-worth-467-mil

    • Protection et aide pour les migrants et les réfugiés : nouvelles mesures d’un montant de 467 millions d’euros au titre du fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique

      L’Union européenne adopte ce jour des nouveaux programmes et projets pour un montant total de 467 millions d’euros au titre du fonds fiduciaire d’urgence pour l’Afrique.

      L’UE continue de tenir les engagements qu’elle a pris de venir en aide aux migrants et réfugiés vulnérables et de lutter contre les causes profondes de la migration irrégulière. Les nouvelles mesures d’aide en faveur de la région du Sahel/du bassin du Lac Tchad et de la Corne de l’Afrique favoriseront la stabilité, l’emploi et la croissance, en particulier pour les jeunes et les groupes vulnérables.

      Ces mesures viennent compléter les efforts actuellement déployés dans des cadres bilatéraux et multilatéraux, notamment par l’intermédiaire du groupe de travail conjoint de l’Union africaine, de l’Union européenne et des Nations unies. Les ressources financières supplémentaires débloquées ce jour permettront de poursuivre l’aide vitale, y compris d’accélérer en priorité les réinstallations de réfugiés en provenance du Niger.

      Mme Federica Mogherini, haute représentante/vice-présidente, s’est exprimée dans les termes suivants : « Nous continuons à œuvrer pour sauver des vies, assurer le retour des réfugiés et des migrants en toute sécurité et dans la dignité, mettre en place des voies d’entrée légales et lutter contre les causes profondes de la migration en créant des emplois et de la croissance. Avec le HCR, nous avons procédé à l’évacuation de 1 287 réfugiés de la Libye vers le Niger, qu’il convient de réinstaller dans les plus brefs délais. Avec l’OIM, nous avons aidé 22 000 personnes à rentrer dans leur pays et avons fourni une aide à leur réintégration. Avec les nouveaux engagements pris ce jour, nous continuerons à consolider nos travaux pour gérer, conjointement avec nos partenaires, la mobilité des personnes de façon humaine, sûre et digne. »

      M. Neven Mimica, commissaire chargé de la coopération internationale et du développement a, quant à lui, fait la déclaration suivante : « La majeure partie du programme d’aide de 467 millions d’euros annoncé ce jour visera à améliorer les possibilités d’emploi, en particulier pour les jeunes. Mais des problèmes subsistent et les ressources du fonds fiduciaire s’épuisent. Il est essentiel que les États membres de l’UE et d’autres bailleurs de fonds fournissent des contributions supplémentaires si nous voulons continuer à apporter une aide vitale. »

      Les mesures adoptées aujourd’hui se concentrent sur les domaines suivants :

      Protection et assistance pour les populations en déplacement

      Grâce à la coopération entre l’Union européenne et le HCR, 1 287 réfugiés ont jusqu’à présent pu être évacués de Libye vers le Niger par l’intermédiaire du mécanisme de transit d’urgence ; 108 personnes ont en outre été réinstallées en Europe. En parallèle, 22 000 migrants bloqués le long des routes migratoires ont bénéficié d’une aide au retour volontaire vers leur pays d’origine, où ils ont reçu une aide à la réintégration, fournie conjointement avec l’Organisation internationale pour les migrations. L’UE mobilise ce jour un montant supplémentaire de 70 millions d’euros ; sur cette somme, 10 millions d’euros seront consacrés à accélérer les réinstallations dans le cadre du mécanisme de transit d’urgence du HCR et 60 millions d’euros permettront de garantir que la continuité de l’aide au retour volontaire et à la réintégration apportée par l’OIM. Au #Kenya, une approche innovante pour conduire le développement du secteur privé favorisera une meilleure intégration économique des réfugiés et soutiendra la mise en œuvre du cadre d’action global pour les réfugiés. Un soutien régional supplémentaire de 20 millions d’euros aidera les pays de la #Corne_de_l'Afrique à élaborer et à mettre en œuvre des #politiques_de_retour et de #réintégration durables et fondées sur les droits.

      Renforcement de la stabilité et de la résilience des populations locales et amélioration de la gestion de la migration

      Le renforcement de la stabilité et le soutien à la résilience des populations locales sont l’un des piliers de l’approche adoptée par l’UE. Dans le centre du #Mali, des mesures, dotées d’un budget de 10 millions d’euros, seront destinées à remédier à la situation en matière de sécurité, qui se détériore rapidement, afin d’accroître la confiance entre les forces de sécurité maliennes et les populations locales. En outre, des activités nouvelles favoriseront la prévention des conflits, encourageront la #sécurité_alimentaire au #Soudan_du_Sud ou amélioreront les connaissances sur la malnutrition au #Soudan. Au Soudan, l’aide permettra également aux acteurs de l’aide humanitaire et à ceux du développement de se rendre dans des zones difficiles d’accès. Au #Cap-Vert et en #Guinée-Bissau, les nouvelles mesures contribueront à mettre en place un système fiable d’état civil et de délivrance de documents pour permettre à la population de bénéficier d’une mobilité accrue, de la sécurité des documents et d’un meilleur accès aux droits.

      Des perspectives économiques pour les jeunes

      Il est essentiel d’offrir des possibilités d’emploi durable aux jeunes pour lutter contre les causes profondes de la migration irrégulière. Les nouvelles actions soutiendront le développement des compétences et la #formation_professionnelle des jeunes pour contribuer à améliorer les possibilités d’#emploi, par exemple en #Éthiopie, au #Nigeria ou en #Gambie. Au Soudan, un nouveau programme d’aide renforcera les compétences professionnelles des jeunes et les aidera à créer et à développer des entreprises grâce à des actions de #formation. Ce projet ciblera les groupes défavorisés, comme les réfugiés et les personnes déplacées à l’intérieur du pays et, à l’instar de tous les programmes d’assistance de l’UE au Soudan, sera mis en œuvre par des partenaires de confiance.

      Les ressources financières du système spécifique de suivi et d’apprentissage ont été doublées et sont passées de 2 millions à 4 millions d’euros afin de garantir le suivi permanent de l’efficacité des programmes financés par le fonds fiduciaire pour l’Afrique.

      Contexte

      Le fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique a été créé en 2015 en vue de remédier aux causes profondes de l’instabilité, de la migration irrégulière et des déplacements forcés. Ce fonds fiduciaire est actuellement doté d’un budget de 3,4 milliards d’euros provenant des institutions de l’UE, des États membres ainsi que d’autres bailleurs de fonds.

      L’aide annoncée ce jour vient s’ajouter aux 147 programmes approuvés précédemment en faveur de trois régions (Afrique du Nord, région du Sahel/bassin du lac Tchad et Corne de l’Afrique) pour un montant total de 2 594 millions d’euros, répartis de la façon suivante : 1 293 millions d’euros pour la région du Sahel/le bassin du Lac Tchad (79 programmes) ; 820,3 millions d’euros pour la Corne de l’Afrique (50 programmes) et 335 millions d’euros pour l’Afrique du Nord (14 programmes). Ce montant inclut également quatre programmes multi-volets (145,1 millions d’euros).

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3968_fr.htm
      #développement

    • Instrumentalisation de l’aide publique au développement

      L’Union européenne utilise les financements de l’#Aide_publique_au_développement (#APD) pour contrôler les flux migratoires, comme avec le #Centre_d’Information_et_de_Gestion_des_Migrations (#CIGEM) inauguré en octobre 2008 à #Bamako au #Mali par exemple4. Ainsi, le 10e #Fonds_européen_de_développement (#FED) finance, en #Mauritanie, la #formation de la #police_aux_frontières. Pour atteindre les objectifs qu’ils se sont eux mêmes fixés (allouer 0,7 % du revenu national brut à l’APD), certains États membres de l’UE comptabilisent dans l’APD des dépenses qui n’en sont clairement pas. Malgré les réticences des États membres à harmoniser leurs politiques migratoires internes, ils arrivent à se coordonner pour leur gestion extérieure.

      https://www.lautrequotidien.fr/articles/lesprofiteurs

  • Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione
    http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2017/11/Atti-del-convegno-FLM-2017.pdf
    #statistiques #chiffres #Italie #migrations #économie #réfugiés #asile #rapport

    –-

    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »...
    https://seenthis.net/messages/971875

    • Per la sicurezza conviene garantire un lavoro ai migranti

      La politica del governo sugli immigrati sembra orientata a colpire i bersagli deboli. Ma al di là degli slogan, un rapporto positivo tra immigrazione e sicurezza si costruisce solo promuovendo il lavoro dei migranti nell’economia legale del nostro paese.

      Così si colpiscono i più deboli

      In queste settimane la questione dell’immigrazione continua ad avere un ruolo di primo piano. Appena prima della vicenda della nave Aquarius, c’era stata quella della tragica morte di Sacko Soumali, il giovane maliano sindacalista dei braccianti di San Calogero. Le due questioni sono legate fra loro.

      La controversia sull’Aquarius è molto più che un braccio di ferro sull’onere dell’accoglienza. Rifiutando l’approdo della nave, polemizzando con Malta e poi con la Francia e la Spagna, rilanciando l’allarme sugli sbarchi, il nostro governo ripropone un’impostazione delle relazioni internazionali che guarda al passato. È l’immagine di un mondo di confini di stato almeno apparentemente blindati, di interessi nazionali contrapposti, di bandiere da issare e difendere. Un mondo in cui non c’è posto per i diritti umani universali, ma solo per quelli filtrati dalla sovranità nazionale o dai suoi simulacri.

      Subito dopo aver respinto l’Aquarius, condannando a giorni di navigazione in mare agitato persone già provate da molte vicissitudini, tra cui donne incinte e minori, il governo italiano ha accolto oltre 900 richiedenti asilo salvati dalla marina militare e dalla guardia costiera italiana e altri 40 tratti a bordo dalla marina statunitense. I naufraghi salvati dai militari che innalzano la nostra bandiera sono tollerati e così pure quelli imbarcati dal potente alleato. Il nemico, come nell’Ungheria di Viktor Orban e nella Russia di Vladimir Putin, sono le organizzazioni non governative con base all’estero: i difensori dei diritti umani universali che non arretrano di fronte ai confini nazionali.

      La linea governativa sembra tracciata. Mentre sarà difficile attuare le impegnative promesse elettorali di carattere sociale (reddito di garanzia, sviluppo del Mezzogiorno e controriforma pensionistica), la coalizione a trazione leghista investe su bersagli deboli, e quindi facili da colpire: gli attori umanitari, gli operatori dell’accoglienza e naturalmente i richiedenti asilo, oggetto di un linguaggio ingiusto e irriguardoso.

      Matteo Salvini ha parlato di gente in crociera nel Mediterraneo, malgrado i morti in mare dei recenti naufragi. A quanto risulta dai sondaggi, raccoglie consenso, come in genere avviene a chi eccita sentimenti nazionalisti, ma dà eco ai sentimenti peggiori della pancia del nostro paese e li fomenta. Che i numeri siano drasticamente calati dopo gli accordi con la Libia di Marco Minniti è irrilevante: 15.568 persone sbarcate nel 2018 fino al 15 giugno, contro 65.498 nel 2017 e 55.596 nel 2016 alla stessa data. Gli sbarchi stanno invece crescendo verso Grecia e Spagna, ma anche questo non conta. La retorica della chiusura nazionalista ha bisogno di qualche centinaio di malcapitati a cui chiudere la porta in faccia, additandoli come profittatori e criminalizzando le Ong che li hanno tratti in salvo.

      La tragedia di Sacko Soumali, invece, ha riportato alla ribalta una questione annosa e sempre rimossa, dopo le fiammate di attenzione dovute a qualche drammatico evento: lo sfruttamento degli immigrati nelle campagne meridionali, e non solo. Non necessariamente clandestini, né sbarcati negli ultimi anni, e neppure africani. La periodica ricostruzione delle vergognose baraccopoli mostra un volto inquietante di una componente dell’agricoltura italiana: per reggere sul mercato, ha bisogno di ricorrere al lavoro sottopagato degli immigrati e di farli vivere in condizioni inaccettabili.

      Il lavoro degli immigrati, per fortuna, è anche altro: 2,4 milioni di occupati regolari, tra cui 570 mila titolari di attività economiche. Un gettito fiscale e contributivo che supera ampiamente i costi dell’accoglienza dei rifugiati e dei servizi richiesti dalle famiglie arrivate dall’estero. Ma rimane in gran parte lavoro povero, subalterno. Il lavoro delle “cinque p”: precario, pesante, pericoloso, poco pagato, penalizzato socialmente.

      Tre proposte

      Di tutto questo nel contratto di governo non c’è traccia, come abbiamo già rilevato su lavoce.info. L’immigrazione è declinata soltanto come peso e minaccia per il nostro paese.

      Volendo credere che il confronto con la realtà possa avere la meglio sugli slogan propagandistici, vorrei avanzare tre modeste proposte in tema di immigrazione e lavoro, che investono anche la questione dei rifugiati e richiedenti asilo, pur ricordando che si tratta attualmente di 174 mila persone in accoglienza su 5,5 milioni di immigrati residenti in Italia. Una piccola minoranza, sistematicamente scambiata con l’immigrazione in generale. Senza dimenticare che circa il 40 per cento dei richiedenti riceve una forma di protezione internazionale da parte delle commissioni governative, mentre altri (non si sa quanti, ma si stima circa la metà dei ricorrenti) ottengono ragione in tribunale. Non è vero, quindi, che si tratti per la maggior parte di falsi rifugiati.

      La prima proposta deriva dai fatti di San Calogero: mandare un folto gruppo di ispettori del lavoro, scortati dalle forze dell’ordine, a identificare e denunciare i datori di lavori che sfruttano i braccianti immigrati. Non dovrebbe essere difficile: basta seguire le campagne di raccolta dei prodotti agricoli, vedere dove sorgono le baraccopoli, seguire i pullmini che li portano al lavoro. Eventualmente con i droni. Un governo che promette il carcere agli evasori fiscali dovrebbe dispiegare una severità ancora maggiore con chi calpesta la dignità dei lavoratori.

      La seconda proposta riguarda la riduzione del carico dei richiedenti asilo per le casse dello stato: come in Germania e in Svezia, chi trova un lavoro dovrebbe ricevere un permesso di soggiorno, inizialmente di un anno, ponendo fine alle controversie sulla fondatezza della domanda di asilo. Potrebbe così cominciare una vita autonoma, uscendo dal sistema dell’accoglienza. Non ha senso, come invece avviene oggi, buttare per strada un richiedente asilo che ha trovato lavoro, ma poi si vede negata la domanda di protezione internazionale.

      Infine, per decongestionare il canale dell’asilo e istituire un’alternativa ai rischiosi viaggi attraverso la Libia e poi per mare, oltre a corridoi umanitari più ampi degli attuali, si dovrebbero allargare le possibilità di immigrazione per lavoro stagionale, già previste dalle nostre leggi e dai decreti flussi annuali. Gli Stati Uniti hanno ridotto l’immigrazione non autorizzata dal Messico proprio riaprendo un canale d’immigrazione legale, stagionale, per l’agricoltura. Se le persone potranno entrare, lavorare e tornare al loro paese per ripresentarsi l’anno successivo, saranno meno disposte a rischiare la vita nei viaggi della speranza.
      Al di là degli slogan propagandistici, un rapporto positivo tra immigrazione e sicurezza verrà costruito solo promuovendo il lavoro degli immigrati nell’ambito dell’economia legale del nostro paese.

      http://www.lavoce.info/archives/53685/sicurezza-e-anche-garantire-un-lavoro-legale-ai-migranti

    • Ci rubano il lavoro ? Ecco il rapporto tra immigrazione e occupazione

      La fotografia della situazione in Italia e in Europa nel secondo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni. I paesi con una forza lavoro più qualificata attraggono anche immigrati con maggiore istruzione. Italia maglia nera. A parità di occupazione il divario salariale è persistente negli anni.

      I paesi con una forza lavoro più qualificata attraggono anche immigrati con maggiore istruzione. Al contrario, paesi come l’Italia, che hanno una forza lavoro autoctona con il tasso di istruzione universitaria tra i più bassi in Europa (19 per cento nel nostro paese), hanno anche il più basso tasso di istruzione universitaria tra gli immigrati fra tutti paesi Ue (14 per cento). A sottolinearlo è il secondo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni “L’integrazione degli immigrati in Italia e in Europa”, promosso dal centro studi Luca d’Agliano e dal collegio Carlo Alberto. Secondo il report l’Italia oggi non è un Eldorado per chi si muove per motivi di lavoro, e in particolare per chi spera in un’occupazione qualificata.

      Nello specifico, lo studio sottolinea come in Ue l’immigrazione oggi sia ancora un fenomeno fortemente intraeuropeo. Nonostante l’attenzione mediatica, specialmente nel nostro paese, sia focalizzata sugli arrivi via mare, gli immigrati residenti in Europa sono in maggioranza di origine europea. Su 51 milioni totali (il 10 per cento di tutta la popolazione): il 38 per cento è originario di un paese dell’Unione e il 17 per cento di un paese europeo fuori dall’Ue. Mentre il 23 per cento dei migranti è nato in Africa o Medio Oriente, il 12 per cento in Asia e l’11 per cento in America o Oceania.

      l’Italia si contraddistingue anche per altre peculiarità. Innanzitutto il livello di istruzione degli immigrati è il più basso tra quelli riscontrati nei paesi europei, un dato che riflette anche quello dei nativi.

      il divario nel tasso di occupazione tra immigrati e nativi è superiore a 40 punti percentuali per gli immigrati appena arrivati in Italia, ma si azzera entro il sesto anno di residenza. L’assimilazione occupazionale è, dunque, abbastanza rapida. Nonostante questo, però, in media nel 2017, i redditi netti mensili degli immigrati sono inferiori del 26 per cento rispetto a quelli degli italiani, il divario salariale persiste anche a parità di occupazione.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/568293/Ci-rubano-il-lavoro-Ecco-il-rapporto-tra-immigrazione-e-occupazione

      Lien vers le rapport :

      http://dagliano.unimi.it/wp-content/uploads/2018/02/OssMg_2_Report.pdf

      Le rapport contient notamment ces graphiques :


      #statistiques #chiffres #éducation #niveau_d'éducation #marché_du_travail #salaire #inégalités

      Le rapport contient aussi une carte sur la présence de #femmes migrantes en Italie (plus nombreuses que les hommes) :

    • Integrare i rifugiati: è più complesso (e costoso) rispetto agli altri migranti?

      La più recente EU Labour Force Survey (EU LFS), pubblicata nel 2014, mostra che per molti anni dal loro primo ingresso in Europa il tasso di occupazione dei migranti giunti nei paesi europei per motivi umanitari resta molto basso: nei primi cinque anni dall’arrivo quest’ultimo raggiunge appena il 26%. Come è lecito attendersi, invece, i migranti non comunitari giunti in Europa per motivi di lavoro (e che dunque in larga maggioranza hanno già un’offerta di lavoro al loro arrivo) hanno un tasso di occupazione medio del 79% nei primi cinque anni dall’ingresso.

      Con il passare del tempo il tasso di occupazione dei rifugiati tende ad aumentare, convergendo verso quello dei migranti “economici”, ma ci vogliono comunque circa 15 anni prima che superi il 60%. Queste differenze non dipendono solo dalle diverse capacità, qualifiche e predisposizioni dei migranti, ma anche dalle politiche pubbliche dei paesi di arrivo (che spesso pongono limiti legali alla possibilità dei richiedenti asilo di cercare lavoro) e dalla propensione dei datori di lavoro nazionali a utilizzare i richiedenti asilo come manodopera.

      D’altra parte, un migrante umanitario ha diritto a un’accoglienza e a un’assistenza dignitosa, che allo Stato italiano costa circa 11.000 euro l’anno; un costo che prosegue per tutto il periodo di permanenza all’interno del sistema di accoglienza. Anche per questo motivo risulta importante investire in integrazione: diversi studi confermano che il tempo durante il quale un migrante umanitario resta un costo netto per le finanze statali si allunga o si accorcia in funzione della capacità del sistema-paese di integrare gli stranieri legalmente residenti.


      https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415
      #intégration #travail #migrants_économiques #réfugiés #taux_d'occupation

    • Macroeconomic evidence suggests that asylum seekers are not a “burden” for Western European countries

      This paper aims to evaluate the economic and fiscal effects of inflows of asylum seekers into Western Europe from 1985 to 2015. It relies on an empirical methodology that is widely used to estimate the macroeconomic effects of structural shocks and policies. It shows that inflows of asylum seekers do not deteriorate host countries’ economic performance or fiscal balance because the increase in public spending induced by asylum seekers is more than compensated for by an increase in tax revenues net of transfers. As asylum seekers become permanent residents, their macroeconomic impacts become positive.

      http://advances.sciencemag.org/content/4/6/eaaq0883.full
      #Europe

    • De l’effet bénéfique des migrations sur l’économie

      Une nouvelle étude macroéconomique révèle que les flux migratoires ont eu un effet positif sur l’économie au cours des trente dernières années en Europe. Plus encore, les demandeurs d’asile ne pèseraient pas sur les finances publiques des pays qui les accueillent. Explications avec l’économiste Hippolyte d’Albis, l’un des auteurs de cette étude.

      https://lejournal.cnrs.fr/articles/de-leffet-benefique-des-migrations-sur-leconomie
      #Europe

    • Rapporto Immigrazione 2017-2018: straniera l’8,5% della popolazione residente

      Ci troviamo di fronte ad una “emergenza culturale” che richiede un intervento strutturato e di lungo periodo. È necessario mettere in campo tutte le risorse educative capaci di stimolare, da un lato, il necessario approfondimento rispetto a temi che sono ormai cruciali, e dall’altro lato di accompagnare le nostre comunità verso l’acquisizione di una nuova “grammatica della comunicazione” che sia innanzitutto aderente ai fatti e rispettosa delle persone. Papa Francesco non ha mancato di sottolineare che «la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento». In tale contesto “emergenziale” i due organismi della CEI, Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, hanno voluto confermare il loro impegno anche attraverso la pubblicazione dell’annuale Rapporto Immigrazione che da oltre 25 anni analizza il fenomeno migratorio nelle sue molteplici dimensioni. L’edizione 2017-2018 presenta molte novità, a partire da una nuova veste grafica che vuole essere più aderente al mutato contesto culturale, in conseguenza del quale la narrazione del fenomeno migratorio è cambiata nello stile e nella forma.

      Italia

      L’Italia, con 5.144.440 immigrati regolarmente residenti sul proprio territorio (8,5% della popolazione totale residente in Italia) si colloca al 5° posto in Europa e all’11° nel mondo. Secondo l’UNHCR tra il 1° gennaio e il 31 agosto 2018 è sbarcato in Italia l’80% di migranti in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Le comunità straniere più consistenti sono quella romena (1.190.091 persone, pari al 23,1% degli immigrati totali), quella albanese (440.465, 8,6% del totale) e quella marocchina (416.531, 8,1%). I cittadini stranieri risultano risiedere soprattutto nel Nord-Ovest della Penisola (33,6%) e a diminuire nel Centro (25,7%), nel Nord-Est (23,8%), nel Sud (12,1%) e nelle Isole (4,8%). Le regioni nelle quali risiede il maggior numero di cittadini stranieri sono la Lombardia (1.153.835 cittadini stranieri residenti, pari all’11,5% della popolazione totale residente), il Lazio (679.474, 11,5%), l’Emilia-Romagna (535.974, 12%), il Veneto (487.893, 10%) e il Piemonte (423.506, 9,7%). Le province nelle quali risiede il maggior numero di cittadini stranieri sono Roma (556.794, 12,8%), Milano (459.109, 14,2%), Torino (220.403, 9,7%), Brescia (156.068, 12,4%) e Napoli (131.757, 4,3%).
      Il lavoro

      Dai microdati Rcfl-ISTAT al primo semestre 2017 la popolazione immigrata in età da lavoro è di 4.100.826 persone con 15 anni di età ed oltre, delle quali il 59,3% sono occupate e il 30,6% inattive. In particolare, gli occupati stranieri risultano 2.430.409, aumentati rispetto al primo semestre 2016 del +0,9%. Di questi, 1.635.300 sono di nazionalità non-UE (67,3% degli occupati stranieri) e 795.100 lavoratori comunitari (32,7% degli occupati stranieri). Gli stranieri in cerca di occupazione sono 415.229 (10,1% del totale degli stranieri), di cui 283.837 di nazionalità non-UE (67,3% del totale degli stranieri in cerca di occupazione) e 131.392 di nazionalità UE (33,1%). Gli inattivi stranieri sono 1.255.187 (30,6% degli occupati stranieri), di cui 897.411 non-UE (71,5% degli inattivi stranieri) e 333.093 UE (28,5%). Se si considera il periodo che va dal primo semestre 2016 al primo semestre 2017, si osserva un aumento dell’occupazione sia tra gli stranieri (+0,9%) sia tra gli italiani (+0,6%). La quota del lavoro non qualificato negli immigrati è del 35,4%, contro l’8,2% negli occupati italiani. Secondo i dati UnionCamere, le imprese di cittadini nati in un Paese extra-UE al 31 dicembre 2016 sono 366.426, in aumento rispetto al 2015 (+3,5%). La regione con il maggior numero di queste imprese è la Lombardia (69.625, 19,0% del totale nazionale), seguita da Lazio (41.849, 11,4%), Toscana (35.891, 9,8%), Campania (32.931, 9,0%) ed Emilia Romagna (32.418, 8,8%). La Campania è la regione nella quale si registra l’aumento più cospicuo (+11,1%).
      La scuola

      Nell’anno scolastico 2016-2017 gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 826.091 (di cui 502.963 nati in Italia, pari al 60,9%), in aumento rispetto all’anno scolastico 2015-2016 di 11.240 unità (+1,4%). Nell’anno scolastico 2016-2017, la scuola primaria accoglie la maggiore quota di alunni stranieri: 302.122, il 36,6% del totale. L’incidenza degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica varia in modo significativo in ragione del fatto che alcune regioni e province hanno una spiccata capacità attrattiva nei confronti di immigrati che vogliono insediarsi stabilmente con la propria famiglia. Le maggiori incidenze si riscontrano nelle regioni del Nord, con il valore massimo in Emilia Romagna (15,8%), significativamente maggiore del valore nazionale (9,4%), seguita da Lombardia (14,7%) e Umbria (13,8%). Nelle regioni del Centro-Nord il valore non scende al di sotto del 10%, con la sola eccezione del Lazio (9,5%). Decisamente inferiori i dati relativi alle regioni del Sud.
      Famiglia e cittadinanza

      Nel corso del 2016 sono stati celebrati 25.611 matrimoni con almeno uno dei coniugi straniero (12,6% del totale dei matrimoni), in leggero aumento rispetto al 2015 (+0,2%). Nel 56,4% dei casi si tratta dell’unione fra uno sposo italiano e una sposa straniera. A fine 2017 i bambini nati da genitori entrambi stranieri risultano 67.933 (14,8% del totale delle nascite). Diminuisce il numero medio di figli delle cittadine straniere, pur mantenendosi su livelli decisamente più elevati di quelli delle cittadine italiane (1,95 rispetto a 1,27 secondo le stime nel 2017). I dati ISTAT relativi al bilancio demografico nazionale confermano l’aumento dei nuovi cittadini italiani già rilevato negli anni precedenti e che ha condotto l’Italia nel 2015 e nel 2016 ad essere al primo posto tra i Paesi UE per numero di acquisizioni di cittadinanza. Al 31 dicembre 2017, su un totale di 146.605 acquisizioni di cittadinanza di stranieri residenti, il 50,9% riguarda donne. Tali acquisizioni, rispetto alla stessa data del 2016, sono diminuite (-27,3%). Nelle regioni del Nord Italia si registrano tassi di acquisizione di cittadinanza ben al di sopra della media nazionale. Si notino, in particolare, i casi della Valle d’Aosta, del Trentino Alto Adige e del Veneto, ma risulta interessante segnalare tassi di acquisizione superiori alla media nazionale anche in regioni del Centro (Marche) e del Sud (Abruzzo). Riferendosi sempre al 2016, le modalità di accesso alla cittadinanza restano differenti tra uomini e donne. Per gli uomini la modalità più frequente è la residenza (56% dei casi nel 2015), mentre il matrimonio è una modalità residuale (meno del 3%). Nel 2016, diversamente da quanto avveniva in passato, anche per le donne le acquisizioni di cittadinanza per residenza sono state le più numerose (43,9%), superando, seppur di poco, le acquisizioni per trasmissione/elezione (39,3%). Si riduce ulteriormente, anche per le donne, la quota di procedimenti avviati a seguito del matrimonio: nel 2016 questi risultano il 16,8% del totale, mentre nel 2014 risultavano il 25%.
      La religione

      Secondo le più recenti stime della Fondazione ISMU, su un totale di 5.144.440 stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2018, i musulmani sono poco meno di 1 milione e mezzo, pari al 28,2% del totale degli stranieri. I cristiani complessivamente sono il doppio, quasi 3 milioni, in aumento di circa 50 mila unità negli ultimi due anni. Ne consegue che, nel complesso, il 57,7% dei cittadini stranieri residente in Italia è cristiano. Si tratta in maggioranza di ortodossi (1,6 milioni, dei quali quasi 1 milione romeni) e 1,1 milioni di cattolici (tra coloro che migrano dall’Est Europa soprattutto albanesi, una minoranza di romeni e polacchi, filippini tra coloro che migrano dall’Asia, ecuadoriani e peruviani fra i latinoamericani). Fra le nazionalità delle principali comunità religiose locali, il gruppo marocchino è il principale di religione musulmana nelle tre regioni con più cittadini stranieri con tale appartenenza religiosa – Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Per quanto riguarda la nazionalità dei cattolici stranieri, con riferimento alle sole due regioni con oltre 100 mila stranieri residenti con tale appartenenza religiosa – Lombardia e Lazio – al primo posto si collocano i filippini, sia in Lombardia sia nel Lazio, seguiti dai latinoamericani di Perù ed Ecuador in Lombardia e dagli europei comunitari di Romania e Polonia nel Lazio.


      http://www.vita.it/it/article/2018/09/28/rapporto-immigrazione-2017-2018-straniera-l85-della-popolazione-reside/149179
      #école #famille #travail #éducation

      Synthèse du #rapport:
      http://www.caritasitaliana.it/caritasitaliana/allegati/7824/Sintesi%20per%20giornalisti.pdf
      http://www.caritasitaliana.it/pls/caritasitaliana/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=7824&rifi=guest&rifp=g

  • "A Natale vietato dare latte caldo ai senza dimora": la rabbia dei volontari

    Da sette anni ogni mattina il «Gruppo della colazione» offre bevande calde alle persone che vivono sotto i portici dell’ex Chiesa di San Francesco a Como. Ma da ieri non possono più farlo. Lo vieta un’ordinanza del sindaco, per la «tutela della vivibilità e del decoro del centro urbano»

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/560206/A-Natale-vietato-dare-latte-caldo-ai-senza-dimora-la-rabbia-dei-vol

    #it_has_begun #Côme #SDF #solidarité #sans-abri #urban_matter #villes #espace_public #anti-pauvres #honte

  • Roma. Le notti in strada dei profughi (in regola) sgomberati. «Dove andremo?» (VIDEO)

    L’operazione di sgombero compiuta senza predisporre ricoveri alternativi. Molti bambini e diversi anziani invalidi. Sono tutte persone accolte in Italia come rifugiati e con i documenti


    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/roma-le-notti-in-strada-dei-profughi-le-ong-a-comune-e-governo-serve-soluzi
    #logement #hébergement #asile #migrations #réfugiés #SDF #sans-abri #Rome #vidéo #clochardisation #expulsion

    Lien vers la vidéo:
    https://www.youtube.com/watch?v=3_uudBfC8Zo

  • Rifugiati, quei traumi che complicano integrazione e percorsi di accoglienza

    Sono sempre più numerosi i profughi che, per via delle violenze subite in viaggio, riportano sintomi di depressione e disturbo da stress post-traumatico. Se n’è discusso a Torino, in un convegno che ha messo a confronto operatori della salute mentale che lavorano a interventi di supporto ai migranti

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/536285/Rifugiati-quei-traumi-che-complicano-integrazione-e-percorsi-di-acc
    #trauma #traumatisme #asile #migrations #réfugiés #intégration #santé_mentale

  • Gabriele Del Grande, journaliste italien, réalisateur du film #Io_Sto_con_la_sposa (qui a gagné le Grand Prix au Festival des droits de l’homme à Genève il y a 2 ans) a été arrêté il y a 10 jours en Turquie.
    Il travaillait à son nouveau projet : un livre sur la naissance de l’ISIS. Son livre, #Un_partigiano_mi_disse, a été, comme le film Io sto con la sposa, produit via crowdfunding.

    Je vais mettre ici les nouvelles concernant son cas. Elles ne sont pas bonnes pour l’instant.
    Il y a quelques jours les autorités turques l’ont déplacé et mis dans une autre prison, et il a été placé en isolement. Il n’a pas eu la possibilité d’avoir de contacts ni avec la famille ni avec le consul italien en Turquie. Les turcs ne lui ont pas donné la possibilité de voir un avocat.
    Hier il a finalement pu appeler sa compagne, selon la presse italienne, où il a dit qu’il commençait une grève de la faim...


    –-> vu sur FB le 19.04.2017
    #Gabriele_Del_Grande #Turquie #arrestation #journalisme #médias

    Je vais mettre ci-dessous les nouvelles que je trouve sur Gabriele.
    cc @albertocampiphoto

    • “What the European Union is experiencing at the moment is a lack of trust”. A chat with MEP Elly Schlein on the reform of the Dublin Regulation

      On May 4th 2016, the European Commission issued a legislative proposal to reform the current Dublin III Regulation, which establishes the mechanism for determining the Member States responsible for assessing asylum applications. The new “Dublin IV” proposal adds some important features to the original legal framework, which have attracted the attention and the critique of many legal experts on migration. Today, the reform is being assessed at the European Parliament and Asylum Corner has interviewed MEP Elly Schlein (S&D) to understand more clearly her position on the Dublin system and the highlights of the new proposal.

      http://www.asylumcorner.eu/what-the-european-union-is-experiencing-at-the-moment-is-a-lack-of-trus

    • Come cambierà il regolamento di Dublino sul diritto d’asilo europeo

      Sono tre i principali obiettivi della riforma del regolamento di Dublino presentata dalla Commissione. Il primo è semplificare (o rendere meno flessibile, a seconda dei punti di vista) l’individuazione dello stato responsabile dell’esame di una richiesta di asilo, riducendo le possibilità che questa responsabilità passi da uno stato all’altro.

      Il secondo è stabilire un meccanismo correttivo di ridistribuzione dei richiedenti asilo (spartiti in quote calcolate sulla base della popolazione e del pil dei vari stati membri), che scatterebbe solo quando la capacità di accoglienza di uno stato abbia superato la soglia del 150 per cento. Il terzo è scoraggiare attraverso delle sanzioni i cosiddetti movimenti secondari dei richiedenti asilo che provano a raggiungere un paese diverso da quello in cui sono tenuti a presentare la loro domanda.

      Tra le altre novità proposte dalla Commissione c’è il controllo di ammissibilità delle domande di asilo, che nel caso spetterebbe al primo paese d’ingresso in Europa. Se si valuta che il richiedente proviene da un paese terzo considerato sicuro dall’Unione europea (per esempio un profugo siriano proveniente dalla Turchia, che è indicata come paese sicuro), dovrà essere adottata la procedura di asilo accelerata.

      Sono previste inoltre la limitazione del diritto a presentare ricorso per i richiedenti asilo, la possibilità per gli stati dell’Unione di non partecipare al sistema correttivo di ridistribuzione versando 250mila euro per ogni richiedente asilo che rifiutano di accogliere e, tra i pochi punti positivi, l’estensione della definizione di parente anche ai fratelli e alle sorelle dei richiedenti asilo (punto, questo, che giocherebbe a favore di Ali).

      http://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/03/10/regolamento-di-dublino-diritto-d-asilo
      #procédure_accélérée

    • Migranti, cambia il regolamento di Dublino. «Rivoluzione copernicana»

      Passa in Commissione Libe la revisione del Regolamento: non più l’obbligo di domanda di asilo nel primo Paese di approdo, sostituito da un meccanismo di ricollocamento. Resta lo scoglio del Consiglio, dove pesa il muro dei Paesi anti-immigrati. Wikstrom: “Abbiamo rimediato a debolezze sistema asilo”

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/551672/Migranti-cambia-il-regolamento-di-Dublino-Rivoluzione-copernicana

    • Regolamento Dublino, Strasburgo propone…

      Al centro del testo si trova (la proposta di) un radicale mutamento di prospettiva: il primo Paese di arrivo non è più automaticamente responsabile dell’esame e dell’accoglienza dei richiedenti asilo. L’attribuzione della responsabilità sarebbe invece basata sui “reali legami” della persona con uno Stato membro, quali la presenza di famigliari, l’avervi già vissuto in precedenza o avervi fatto gli studi.

      http://viedifuga.org/regolamento-dublino-la-proposta-di-strasburgo-e-tutto-il-resto

    • La fortification juridique de l’asile en Europe

      La réforme du régime d’asile européen commun proposée par la Commission européenne et saluée par Emmanuel Macron dans son discours sur l’Europe du 26 septembre 2017 va mener à une #restructuration complète des régimes d’asile de tous les États membres et très probablement rendre contraignante une application du droit d’asile plus restrictive encore qu’aujourd’hui. La réforme porte sur l’ensemble du droit d’asile, tant sur les questions de compétence et de procédure relatives à l’examen des demandes d’asile que sur les questions de fond. Elle concerne également les conditions d’accueil des demandeurs d’asile et la réinstallation de réfugiés provenant de pays tiers. Il ne s’agit pas d’une réforme purement technique qui se bornerait à systématiser les règles existantes, mais bien d’une réforme qui aboutirait à un durcissement des textes applicables au détriment des droits des personnes concernées. Et pourtant, la #réforme n’a pas encore reçu l’attention qu’elle mérite.

      https://revdh.revues.org/3351

    • Come potrebbe cambiare il Regolamento di Dublino

      Prosegue il dibattito sulla riforma di Dublino III. La riunione del Consiglio Europeo di metà dicembre ha confermato che l’Unione è divisa in due: chi per il principio di solidarietà chiede la ripartizione di richiedenti asilo e rifugiati fra tutti i paesi secondo un sistema di quote; e i fautori della linea dura, che invece puntano sull’esternalizzazione delle frontiere e un coinvolgimento dei paesi soltanto finanziario. Francesca Romana Genoviva analizza il percorso verso la riforma del regolamento.

      http://openmigration.org/analisi/come-potrebbe-cambiare-il-regolamento-di-dublino/?platform=hootsuite

    • Il futuro dell’Europa passa dal sistema di Dublino

      “La crisi dell’Europa di oggi non è ‘la crisi di Schengen’ ma è la ‘crisi di Dublino’. Intervista con #Gianfranco_Schiavone presidente dell’ICS.

      Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà e vicepresidente dell’Associazione per gli studi Giuridici sull’immigrazione, è di recente rientrato da Skopje, dove ha partecipato ad un evento del programma Migralona, promosso dalla Central European Initiative in collaborazione con l’Associazione delle Municipalità del sud-est Europa (NALAS). Migralona consiste in una serie di seminari tenuti nei sei paesi dei Balcani occidentali candidati all’ingresso nell’Unione europea, per proporre agli amministratori locali di acquisire i metodi e le finalità del progetto Sprar - Sistema per i richiedenti asilo e rifugiati. Lo abbiamo intervistato a Bologna, al termine di una riunione del coordinamento EuropAsilo, la rete nazionale per il diritto d’asilo.

      Com’è andato l’evento Migralona?

      Confesso che all’inizio ero po’ scettico poiché durante i primi incontri c’era una percezione palpabile negli interlocutori di estraneità alla questione. Poi le cose sono cambiate e si è visto un interesse crescente. Certo, c’è ancora molto lavoro da fare: molti dei paesi dei Balcani occidentali ritengono di non c’entrare molto con la migrazione ovvero continuano a percepirsi come paesi di solo transito nei quali nessuno vuole rimanere. Si fatica a vedere come la realtà si stia modificando e, con velocità e modalità diverse tra i vari paesi, un certo numero di rifugiati, all’inizio molto piccolo, inizierà a scegliere i paesi del Balcani occidentali non più come paese di transito ma come paese di insediamento.

      Parimenti ho avuto modo di toccare con mano quanto sia difficile comprendere che è necessario creare un sistema di accoglienza per i rifugiati che sia quanto più possibile diverso da quello dei campi profughi che producono - come d’altronde è avvenuto in Italia per molti anni e accade ancora - fenomeni gravi quali disagio sociale, ghettizzazione, sperpero di risorse pubbliche, concentrazione di potere (e di denaro) nelle mani di pochi enti gestori, infiltrazioni della criminalità organizzata

      Però, nonostante le difficoltà, mi pare stia maturando una consapevolezza evidenziata anche dalle conclusioni finali del progetto alle quali siamo giunti a Skopje. I rappresentanti istituzionali dei diversi paesi dei Balcani occidentali hanno riconosciuto la necessità di avviare dei nuovi progetti sperimentali - anche se in fase iniziale, di dimensioni contenute - di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati attraverso il coinvolgimento delle comunità locali, seguendo - con i necessari adattamenti - un approccio che in Italia chiameremmo di “accoglienza diffusa” finalizzato a permettere ai richiedenti asilo di vivere in contesti abitativi e sociali normali e in condizioni di libertà di circolazione fin dal loro arrivo.

      Qual è invece la situazione attuale del Sistema europeo comune di asilo?

      Il Sistema europeo comune di asilo è un processo politico-normativo in atto da molto tempo nell’Unione Europea il cui obiettivo è quello di arrivare dalla progressiva armonizzazione delle discipline nazionali in materia di qualifiche, procedure ed accoglienza, ad un unico sistema di asilo in tutti i paesi.

      Ovviamente non è possibile - e forse neppure opportuno - arrivare a un’uniformità assoluta, perché ogni paese europeo ha storie, tradizioni, sistemi giuridici e sensibilità verso le migrazioni forzate molto diverse; la storia non si cancella e non si uniforma in pochi anni. Tuttavia se l’Europa, come prevede il Trattato di Lisbona, si pone l’obiettivo della creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, le differenze, in termini di politiche normative sul diritto d’asilo debbono ridursi drasticamente. L’esperienza dell’ultimo decennio evidenzia come questa strada sia ancora lunga.

      Ancora oggi ci sono diversità così marcate che, per fare un esempio, una stessa richiesta di protezione internazionale può essere quasi sicuramente accolta in un paese dell’UE e quasi sicuramente respinta in un altro, evidenziando in modo lampante come l’armonizzazione sostanziale è ben lontana dall’essere stata raggiunta. Dimostrazione che questa armonizzazione di fondo non è avvenuta.

      Le profonde differenze nei criteri e nelle procedure per riconoscere o meno il diritto ad una delle due forme delle protezione internazionale unito alle ancora maggiori differenze nell’organizzazione dei sistemi di accoglienza ed integrazione sociale dei rifugiati rappresenta chiaramente il motore principale dei cosiddetti “movimenti secondari” all’interno dell’Europa: le persone vanno dove hanno più probabilità di vedere accolta la propria domanda e dove hanno maggiore assistenza e maggiori opportunità di integrazione sociale.

      Per esempio? Germania, Svezia...?

      Dipende dalla tipologia di richiedente asilo, dalla nazionalità. Anche l’Italia adesso è interessata da flussi di richiedenti asilo che vi si recano perché la loro domanda viene esaminata più favorevolmente. È il caso di afghani, pakistani, iracheni... Nonostante l’Italia non offra altri tipi di servizi e abbia bassi standard sull’asilo, le domande di questi cittadini vengono accolte con maggior favore. Queste persone potrebbero fare domanda in altri paesi dove arrivano, invece vengono a farla in Italia.

      Non sto dicendo che qui vada meglio o peggio che altrove, perché magari c’è un trattamento più critico di altre nazionalità.

      Il peso degli orientamenti nazionali, che sono evidentemente anche orientamenti politici, delle tradizioni, delle normative interne, ovvero un insieme di dati giuridici e non, incidono moltissimo su una differenziazione che, a rigore, le direttive europee impedirebbero o non giustificherebbero in questa misura. E parliamo di differenze di accoglimento di richieste con scarti tra un 10% e un 90% di richieste accolte, una differenza che fa sembrare che le direttive in materia non esistano nemmeno. La direttiva dà dunque dei criteri, ma questi sono declinati nella normativa interna con grandi differenze.

      Quindi poi i tribunali locali fanno la differenza?

      Prima dei tribunali sono proprio le autorità amministrative che ricevono la richiesta d’asilo a fare la differenza. Il tribunale viene adito solo se vi è un rigetto.

      Continuano a permanere forti differenze anche sulle “procedure”, ovvero su come vengono esaminate le domande: se ad esempio utilizzare o meno il criterio della domanda “manifestamente infondata”, la procedura “accelerata”, la procedura “prioritaria” oppure sull’applicazione del concetto di “paese terzo” di origine, del concetto della “zona sicura” all’interno del paese di origine.

      Emerge che abbiamo una babele di istituti giuridici che fanno sì che le modalità con le quali le domande vengono esaminate siano molto diverse tra di loro, e di conseguenza i tassi di accoglimento sono molto diversi.

      Vi sono paesi in cui si è molto rigidi nell’accoglimento delle domande d’asilo...

      In Lettonia le domande di asilo sono praticamente inesistenti, ed è conseguenza di un meccanismo perverso di gioco al ribasso: ci sono molti stati con numero molto basso di richieste di asilo che mettono in atto misure per non essere attrattivi, ad esempio mantenendo criteri particolarmente rigidi nell’esame delle domande. In questo si può individuare un’intenzionalità politica malevola.

      È il caso ad esempio della Slovenia dove la maggior parte delle domande, che in Italia sarebbero facilmente accolte, viene respinta. Ci sono respingimenti di siriani, iracheni, afghani, nazionalità che in Italia hanno il riconoscimento al 100%. È uno stratagemma per non essere attrattivi e viene attuato su vari fronti: le domande vengono respinte, l’accoglienza avviene in centri chiusi ed isolati con pochi programmi di integrazione e poi si applica il criterio di “zona sicura” - località del paese d’origine in cui si afferma che il richiedente asilo avrebbe potuto trovare riparo - creando l’alibi per il respingimento delle domande. Un criterio, quest’ultimo, che in Italia meritoriamente non viene applicato.

      Questo concetto giuridico, che era facoltativo nella disciplina prevista dalla direttiva europea, in Italia non l’abbiamo recepito, quindi consideriamo il paese come un insieme, non rifiutiamo l’asilo con la scusa della zona sicura.

      E si parla ancora di sistema di asilo comune...

      Oggi siamo lontanissimi da un sistema di asilo comune perché di fatto non l’abbiamo mai voluto. Sono prevalsi gli egoismi nazionali, che hanno anche preso strade opposte.

      La Commissione europea se ne sta occupando, ma le politiche nazionali non più di tanto. Se così non fosse avremmo un sistema di asilo armonico e saremmo stati in grado di fare dei passi avanti che non abbiamo fatto, a cominciare dalla più clamorosa delle mancanze che è quella sul regolamento di Dublino, l’ultimo elemento che chiude il cerchio del mancato sistema europeo di asilo.

      Noi viviamo un sistema nel quale il richiedente asilo non entra nell’Ue ma entra in un paese specifico ed entra - ovviamente - dove può, in una condizione di fuga. È in quel paese che secondo Dublino deve essere esaminata la sua domanda.

      Il regolamento di Dublino a differenza delle direttive è ineludibile...

      Cominciamo dalla conclusione: il Regolamento di Dublino oggi è l’ostacolo principale a un sistema di asilo unico. Come si può avere un sistema di asilo unico con un meccanismo per cui la competenza a esaminare la richiesta viene assegnata con un criterio casuale, geografico, legato all’arrivo delle persone?

      Dublino non ha costruito un sistema di asilo, ma tanti sistemi nazionali. Se si fosse pensato fin dall’inizio che le persone entravano nell’Ue e che c’era un meccanismo di ridistribuzione, questo avrebbe fatto sì che la Lettonia avrebbe ricevuto una quota parte di rifugiati, anche se fossero tutti sbarcati in Sicilia, quindi avrebbe avuto meno interesse a sabotare l’integrazione del sistema e a rifiutare le domande, perché alla fine la sua quota l’avrebbe presa lo stesso. Avrebbe dovuto invece organizzarsi per governare la situazione.

      Invece adesso il discorso è che le persone entrano in un determinato paese, e sono fatti suoi. Gli altri se ne lavano le mani.

      Perché quindi i paesi rifiutano le quote? Perché le quote, partendo dal principio che il luogo di ingresso sia irrilevante, comportano un’assunzione di responsabilità per tutti: la distribuzione verrebbe effettuata in base a criteri sui quali si potrebbe non essere d’accordo, su cui si può contrattare, ma che sarebbero oggettivi: popolazione, PIL, numero di rifugiati già presenti, numero di reinsediamenti...

      Il cambiamento del Regolamento di Dublino è la chiave di volta per cambiare questo sistema. Deve prima passare il concetto che i rifugiati arrivano a tutti, e in questo modo cominciamo a parlare di armonizzare, standardizzare il sistema.

      Un paese come l’Ungheria avrebbe interesse a introdurre le quote, perché molti arrivano lì, ma non è così...

      Se adottiamo un approccio razionale un paese che ha frontiere esterne dell’Unione e che si trova su una “via di fuga” dovrebbe spingere senza dubbio verso una riforma che preveda il meccanismo delle quote obbligatorie. Ma non è sempre così perché il calcolo politico può essere più spregiudicato. Il neopopulismo autoritario magiaro ha costruito tutta la sua fortuna politica sull’immagine di una nazione eroica che lotta senza posa per impedire l’accesso dei rifugiati invasori all’Europa e salvarne così la storia e l’identità. Ricordiamoci infatti cosa dice incessantemente la propaganda di Orban: “Noi stiamo salvando l’Europa dall’invasione musulmana”. Quindi anche se un approccio politico razionale e democratico dovrebbe portare l’Ungheria ad essere tra i fautori della distribuzione dei rifugiati in Europa, proprio un simile eventuale esito rappresenta per la politica ungherese la peggiore delle soluzioni possibili perché minerebbe alla radice l’identità politica neo populista. Non a caso l’Ungheria si è opposta sdegnosamente al timido programma di relocation dall’Italia e dalla Grecia che era stato offerto anche all’Ungheria.

      Stessa cosa dovrebbe valere per l’Italia, che è un paese di arrivo?

      La situazione italiana, per quanto logorata, non è paragonabile a quella dell’Ungheria sotto il profilo della gravità della crisi dello stato di diritto; ciò premesso sul nostro paese pesano comunque gravi responsabilità: pur essendo uno dei più importanti paesi dell’Unione ha mantenuto finora una politica alquanto incerta - e temo anche ambigua - sul processo di modifica del Regolamento Dublino III.

      L’obiettivo della riforma Dublino non ha mai costituito un cavallo di battaglia della politica italiana, neppure quando - come nel 2016 e parte del 2017 - gli arrivi dei richiedenti asilo in Italia hanno avuto un incremento così forte da fare parlare tutte le forze politiche, in modo trasversale, di insostenibilità di tale situazione sul medio-lungo periodo.

      La battaglia democratica capace di tenere insieme la tutela del diritto d’asilo e il superamento degli egoismi nazionali dei singoli stati europei è stata abbandonata del tutto per essere sostituita da una politica disperata che ha tentato e sta tentando ogni strada per bloccare gli arrivi dei rifugiati verso l’Europa. È facile condannare il muro di Orban perché è di una semplice brutalità mentre gli oscuri rapporti dell’Italia con la Libia e con altri stati africani di transito - in particolare il Niger - sono di una brutalità e di una violenza meno evidente ma entrambe le politiche rispondono alla medesima spregiudicata logica.

      Nel fare le proprie scelte in modo pressoché corale l’esangue centro-sinistra italiano ha alimentato e fatto proprio un approccio politico culturale che non appartiene neppure alle categorie politiche della destra, bensì a tutti gli effetti a quelle dell’estrema-destra. La sinistra italiana, da anni incapace di produrre un pensiero politico sulla gestione delle migrazioni internazionali, ha così alla fine cannibalizzato se stessa dando uno spettacolo orrendo. Non si tratta di un errore tattico e neppure di un serio errore strategico: è qualcosa di molto più grave e profondo con conseguenze infauste nel lungo periodo.

      L’ASGI, di cui è vice presidente ha, assieme ad altri, redatto una proposta di riforma del Regolamento di Dublino. Ce la può descrivere nei suoi elementi essenziali?

      La nostra proposta - che è stata costruita con la condivisione di pressoché tutte le principali organizzazioni italiane che si occupano di diritto d’asilo - si fonda su due pilastri.

      Il primo è rappresentato dall’abrogazione dell’anacronistico principio che lega la competenza all’esame della domanda di asilo al primo paese nel quale il richiedente fa ingresso sostituendolo con il principio delle quote-paese come misura ordinaria e non emergenziale.

      La Commissione Europea nella sua proposta di riforma del Regolamento Dublino III avanzata già nel maggio 2016 aveva riconosciuto la necessità di modificare l’attuale situazione ma lo ha fatto proponendo l’applicazione del principio delle quote-paese solo come meccanismo correttivo da far scattare in caso di crisi, ovvero quando lo stato competente di primo ingresso abbia raggiunto un numero di domande di asilo che supera del 150% il numero teoricamente assegnato a tale base dalla “chiave di riferimento”, conteggio effettuato sulla base del PIL e della popolazione.

      A prima vista la proposta della Commissione può apparire come un primo passo verso una riforma condivisibile ma a ben guardare mantenere ancora il legame tra competenza e paese di primo ingresso mantiene quell’approccio errato che ha causato le gravi distorsioni nel sistema europeo d’asilo.

      A seguito di un profondo dibattito e confronto che ha stupito anche il sottoscritto (e che evidenzia come sono ancora possibili processi di rinnovamento del pensiero politico in Europa) la Commissione LIBE del Parlamento Europeo (e poi l’Aula in prima lettura) ha approvato un coraggioso testo di riforma che imporrebbe invece agli stati il principio della distribuzione secondo quote.

      Il secondo pilastro della proposta è ancora più innovativo in quanto rappresenta un approccio che la Commissione aveva sempre rifiutato con tenacia: quello di prevedere che i “legami significativi” del richiedente asilo con un dato paese dell’Unione costituissero a tutti gli effetti dei criteri in base al quale stabilire la competenza all’esame della domanda.

      Nella nuova impostazione assumono quindi rilievo sia legami di tipo familiare che parentale, ovvero precedenti soggiorni del richiedente protezione in uno dei Paesi dell’area Dublino per ragioni di studio, formazione o di lavoro.

      I due principi sopraesposti non sono scindibili tra loro ma sono parte della medesima impostazione giuridica finalizzata a trovare un bilanciamento tra l’assegnazione della competenza all’esame della domanda di protezione sulla base del principio di obbligatoria allocazione/ripartizione tra i paesi membri e il progetto migratorio del richiedente riconoscendo rilevanza all’esistenza di legami significativi. Il solo principio della distribuzione per quote paese, se “cieco” non può infatti produrre da sé alcuna vera riforma perché è destinato ad essere travolto da un numero incontrollabile di movimenti secondari dei richiedenti asilo che, comprensibilmente, continueranno a tentare di andare e rimanere nel paese nel quale hanno un legame forte. In genere riuscendoci salvo che non si decida di pagare il prezzo, altissimo in termini economici e democratici, di trasformare l’Europa in una sorta di grande campo di prigionia utilizzando forme di detenzione amministrativa da applicare a centinaia di migliaia di persone.

      Così, la proposta che vi ha visto coinvolti è stata positivamente recepita e votata dal Parlamento europeo?

      Come dicevo, la Commissione LIBE a metà ottobre 2017, con una netta maggioranza trasversale ha votato il testo proposto dalla relatrice, la eurodeputata svedese C. Wikstrom, ma profondamente modificato rispetto alle sue prime versioni grazie in modo particolare all’incessante lavoro della eurodeputata italiana Elly Schlein. Subito dopo il voto da parte della Commissione LIBE un folto gruppo di eurodeputati - afferenti soprattutto ai paesi del cosiddetto Gruppo di Visegrad – probabilmente spinti dai rispettivi governi - ha cercato di affossare la riforma portando il testo nella sessione dell’aula plenaria a Strasburgo, procedura non necessaria nella fase che precede il confronto con il Consiglio Europeo. La riforma ha però resistito e con l’approvazione dell’aula anziché affossarla è stata rafforzata a dispetto delle intenzioni di chi aveva tentato il colpo.

      Il confronto tra Consiglio, Commissione e Parlamento per trovare un compromesso è stato di fatto sospeso subito dopo il suo avvio proprio in ragione delle profonde divergenze precedenti, accresciute dal fatto che il testo di riforma uscito dal Parlamento Europeo, ha spiazzato sia la Commissione che il Consiglio per il suo approccio innovativo. Non si prevedono sviluppi prima della fine dell’attuale semestre di presidenza bulgara (giugno 2018) e dell’avvio del prossimo semestre di presidenza austriaca. La seconda metà del 2018 sarà probabilmente il momento decisivo. In questo quadro colpisce il silenzio della politica italiana, distratta ed impreparata a ragionare sui grandi temi di prospettiva per la vita dell’Europa e del nostro stesso paese, fino all’autolesionismo.

      Cosa succederà allora alla riforma?

      Per concludere il processo di riforma bisogna giungere a una co-decisione tra il Consiglio e il Parlamento. Al momento non mi è possibile fare delle previsioni ragionevoli; posso solo dire che il quadro politico europeo, in progressivo logoramento dopo l’esito delle elezioni italiane e la rinnovata vittoria di Orban in Ungheria induce a un ragionato pessimismo sulla possibilità che il testo votato dal Parlamento possa imporsi. Vedo più probabile un compromesso al ribasso che stralci le parti più significative della riforma, come quella dei legami significativi.

      Paesi di arrivo come Italia, Grecia, Spagna, Ungheria, dovrebbero avere l’interesse di spingere...

      Sì in teoria, ma come ho spiegato prima in relazione all’Ungheria, le ragioni politiche interne nei diversi Paesi possono produrre effetti opposti.

      Si tratta quindi di una questione che va al cuore della visione di Europa, tra chi la vede più integrata e i sovranisti...

      È proprio così. La riforma del Regolamento Dublino viene costantemente vista dalla società civile come un tema tecnico e noioso da lasciare ai burocrati e non si comprende invece la sua portata politica.

      La crisi dell’Europa di oggi, intesa come spazio di libera circolazione, non è “la crisi di Schengen” come si legge nella stampa, ma è la “crisi di Dublino”. L’opinione pubblica, gli organi di informazione - non solo italiani - e persino gli ambienti accademici non riescono a comprendere che la scelta su quale debba essere la riforma del Regolamento Dublino III non riguarda solo il diritto d’asilo ma l’assetto stesso dell’Unione Europea.

      Come si fa a far breccia nell’opinione pubblica? Qual è il futuro della riforma?

      Dovremmo superare il tecnicismo tipico della comunicazione di questa tematica facendone emergere la sua dimensione politico-culturale con l’obiettivo di creare un vasto movimento di opinione in tutti i paesi dell’Europa che difenda il risultato raggiunto dal Parlamento Europeo e semmai spinga per migliorare il testo. Nella consapevolezza che non è in gioco solo il diritto d’asilo ma l’involuzione dell’Europa nel suo complesso.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Europa/Il-futuro-dell-Europa-passa-dal-sistema-di-Dublino-186969

    • ECRE | La réforme de Dublin vue par le Sud de l’Europe

      Chypre, la Grèce, l’Italie, Malte et l’Espagne ont rédigé une proposition commune dans le cadre de la réforme de Dublin. Ces pays aspirent notamment à une meilleure répartition des réfugiés entre les pays européens et un assouplissement du regroupement familial. En 13 points, ils amènent des propositions face aux évolution des accords de Dublin envisagés par l’Union européenne. Tout l’enjeu réside à trouver un compromis d’ici au mois de juin.

      https://asile.ch/2018/05/07/ecre-la-reforme-de-dublin-vue-par-le-sud-de-leurope

    • Southern rim rebels against EU migration proposal

      The pushback from Italy, Spain, Greece, Cyprus and Malta — laid out in a three-page position paper obtained by POLITICO — comes as Bulgaria, which currently holds the rotating presidency of the Council of the EU, is pushing a proposal aimed at revising the so-called Dublin Regulation and ending one of the bloc’s most bitter policy fights.

      Their hard position comes on top of the longstanding opposition by the Visegrad countries — Czech Republic, Hungary, Poland and Slovakia — to any effort by Brussels to force countries to accept refugees, or to set new restrictions on how asylum seekers might be returned to the first EU country they entered.

      https://www.politico.eu/article/eu-migration-crisis-italy-spain-rebels-bulgaria-dublin-quotas-proposal

  • Minori stranieri soli e cittadinanza: le leggi “dimenticate” (anche) nel 2016

    IL SOCIALE NEL 2016. L’anno si chiude con un nulla di fatto per due provvedimenti tanto attesi: fermi al Senato il ddl di riforma della legge 91/92 e la legge sui minori non accompagnati. Italiani senza cittadinanza: “Pronti a incatenarci a Palazzo Madama”. Save the children: “Sempre più giovani i ragazzi che arrivano soli, la loro tutela è più che mai urgente”

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/523843/Minori-stranieri-soli-e-cittadinanza-le-leggi-dimenticate-anche-nel

    #MNA #mineurs #mineurs_non_accompagnés #lois #Italie #asile #migrations #réfugiés #droit

    • Il pomodoro? Troppo spesso è sfruttamento

      “Spolpati”, il report dell’associazione onlus Terra!, accusa: ogni anno in Italia sono prodotte cinque milioni di tonnellate di pomodori su soli 70mila ettari. Ma gli effetti negativi sull’ambiente, sul sociale e sulla qualità dei prodotti porteranno grandi guai

      http://www.lastampa.it/2017/05/26/scienza/ambiente/il-caso/il-pomodoro-troppo-spesso-sfruttamento-xfVstgIbdDzpIXtAXfAC8M/pagina.html

      Lien pour télécharger le #rapport:
      http://www.filierasporca.org/wp-content/uploads/2016/11/Terzo-Rapporto-Filierasporca_WEB1.pdf

    • Caporalato, a un anno dalla legge «non è cambiato quasi nulla»

      La lotta allo sfruttamento del lavoro agricolo fatica a raccogliere risultati nonostante ci sia una legge, un protocollo nazionale e una rete del lavoro agricolo di qualità. Preoccupa la situazione in provincia di Foggia: nuovi ghetti e pochi controlli. La denuncia di Giovanni Mininni (Flai Cgil): “Buona legge ma inapplicata. Una sconfitta per lo stato”

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/545527/Caporalato-a-un-anno-dalla-legge-non-e-cambiato-quasi-nulla

    • Nei ghetti foggiani è calato il silenzio sui nuovi schiavi

      Il ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, è imponente. Oggi, la pista dell’ex aeroporto militare, a ridosso del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (#Cara), ospita circa 3 mila migranti. Secondo le forze dell’ordine, forse, molti di più. A riguardo, non esistono dati ufficiali. Non ci sono numeri, censimenti, registri. È una situazione al limite, che le istituzioni, a vari livelli, non riescono a gestire.


      http://www.terredifrontiera.info/ghetto-borgo-mezzanone

    • Lavoratrici romene sfruttate in Sicilia: nulla è cambiato

      Sono trascorsi mesi dalle denunce di Observer e Guardian sullo stato di semi-schiavitù di centinaia di lavoratrici romene in Sicilia. Da allora qualcosa si è mosso, nulla è però cambiato.

      Sono passati cinque mesi dalle rivelazioni dell’Observer e del Guardian in cui emergeva l’avvilente e cruda realtà di migliaia di donne romene sfruttate nei campi siciliani e spesso vittime di abusi da parte dei datori di lavoro. Cinque mesi in cui si sono succeduti clamore, sdegno, incontri, visite d’urgenza, operazioni di polizia e contatti Roma-Bucarest sia a livello politico che associativo. Cinque mesi in cui, però, la situazione sul campo sembra essere rimasta quasi invariata. Resta il timore di denunciare, resta il bisogno di lavorare e di mandare più soldi possibile a casa, resta la mancanza di una vera e propria task force o di un punto di riferimento per coloro che pur a fatica ne volessero uscire.
      Accordi

      Alcuni passi, però, sono stati fatti. Tra questi collaborazione diretta tra gli Ispettorati del lavoro di Romania e Italia, dialogo tra ministeri, uno sportello informativo per i romeni presso il centro polifunzionale del comune di Vittoria, una campagna informativa e di prevenzione già in campo e che è in procinto di essere ampliata. Lo ha spiegato l’ambasciatore romeno in Italia George Bologan, che è stato in visita a Catania e Ragusa a metà luglio. “La tutela della dignità umana come valore universale è interesse comune dei nostri stati – ha dichiarato dopo la visita - ho incontrato le autorità pubbliche e i rappresentanti della società civile e potrei affermare che qualcosa si è fatto e sono fiducioso in quello che di positivo si fa. Ho incontrato anche cittadini romeni e italiani che lavorano insieme senza problemi, con regolare contratto di lavoro e hanno tutti i benefici previsti dalla legge. Sono buoni esempi da seguire. Il lavoro nero, lo sfruttamento, sono come una cancrena che deve essere eliminata per salvaguardare l’intero corpo sociale”.

      Le migliaia di lavoratrici impiegate nei campi e nelle serre, però, restano sostanzialmente nella stessa situazione. Anche se subito dopo le notizie apparse sui giornali il governo romeno aveva raggiunto un’intesa per collaborare con le autorità italiane per fermare abusi e sfruttamenti tra Ragusa e Vittoria, non è ancora chiaro quale sia in Romania il ministero incaricato di trovare soluzioni e spingere le autorità italiane ad avviare strategie per interrompere il circolo vizioso in atto. Complice una breve crisi di governo in Romania, in cui il premier Sorin Grindeanu è stato sconfessato dal suo stesso partito, resta in sospeso la decisione su chi abbia il budget per avviare i progetti, se il ministero per i Romeni all’estero, se la Giustizia o gli Interni. Grindeanu, infatti, aveva chiesto subito dopo le rivelazioni stampa, che venisse redatto un piano sulla situazione con dati e suggerimenti e che successivamente si sarebbe provveduto a decidere il ministero competente. Ma la scelta resta ancora in sospeso.
      Una comunità d’accoglienza

      Secondo i dati emersi dalle indagini della stampa britannica delle circa 5.000 donne che lavorano nel settore agricolo nel ragusano, un terzo è duramente sfruttato e spesso vittima di abusi sessuali da parte dei datori di lavoro, con il tacito assenso di mariti che vivono alle spalle della moglie. Don Beniamino Sacco, che da anni denuncia quanto avviene nelle campagne della zona, ha le idee ben precise su cosa non rompe questo circolo e su cosa potrebbe, invece, essere d’aiuto. “Quello che succede nelle campagne è un mondo sommerso. Come al solito quando esplode una notizia c’è stato clamore, ma poi tutto torna nel dimenticatoio. Negli incontri con le autorità il mio suggerimento è stato quello di costruire una comunità, un punto di appoggio, di riferimento che possa fare da parafulmine per coloro che vogliono uscire da questa situazione – ha dichiarato Don Sacco – la Chiesa ortodossa potrebbe avere questo ruolo.

      "Fino ad ora è stata la Chiesa cattolica ad accogliere i pochi disperati che hanno voluto denunciare - continua Don Sacco - ma i romeni non sono uniti e non c’è chi li tiene uniti per risolvere questo problema. Le romene, che hanno sostituito i tunisini nei campi, sono costrette a lavorare, a guadagnare, per poter mandare il denaro ai figli lasciati a casa. Spesso hanno accanto un marito violento e che non le difende dalle aggressioni del datore di lavoro. Un andazzo che mortifica la dignità della persona. E in questo caso c’è chi non si pone il problema e chi difficoltosamente denuncia”. Nel concreto “con padre Nicolae (il giovane prete ortodosso che gira per le campagne per sostenere la comunità) stiamo cercando di acquistare un terreno per creare un punto di raccolta per la comunità. Sarebbe un passo importante”.
      20 euro al giorno

      Secondo le stime della polizia italiana nel settore agricolo siciliano lavorano oltre 7.500 donne, la maggior parte romene, e moltissime sono in condizioni di sfruttamento.

      Le ragioni di questa presenza massiccia dipendono da un lato dalla necessità dei datori di lavoro di assumere forza lavoro comunitaria, dall’altro, da parte delle lavoratrici, dalla chimera di una paga 56 euro al giorno per otto ore, come previsto dalla legge. Ma la realtà è ben diversa e le lavoratrici percepiscono, nonostante quanto sia stato accordato sulla carta, al massimo 20 euro al giorno, sotto continue minacce e violenze.


      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Lavoratrici-romene-sfruttate-in-Sicilia-nulla-e-cambiato-181825
      #Roumanie #femmes

    • Le “schiave” romene dietro ai pomodori di Ragusa

      Nelle campagne della Sicilia vi sono centinaia di donne emigrate dalla Romania per lavoro e ridotte in una sorta di «schiavitù» contemporanea. La vicenda è approdata al Parlamento europeo, dove diversi deputati vogliono spingere l’Ue a intervenire.

      Silvia Dumitrache mi mette in guardia: “Spero che lei abbia un bel po’ di tempo per ascoltare” la storia di quello che è successo negli ultimi undici anni in Italia, paese membro dell’Unione europea.

      Alla fine chiedo il permesso di abbassare il telefono: avevo ascoltato non una storia da incubo, ma la quotidianità di molte donne romene emigrate. La schiavitù esiste ancora. Ed è tanto più terribile in quanto, molto spesso, è accettata.

      “Tutto comincia in Romania”, racconta Dumitrache, presidente dell’Associazione delle donne romene in Italia” (Adri), “a Botosani, in una delle zone più arretrate del paese, da dove le donne hanno cominciato a emigrare nel 2007. L’esodo non si è mai interrotto. Vanno a raccogliere i pomodori in Italia, a Ragusa. E spesso partono senza sapere a cosa vanno incontro. Quello che è più triste è che anche quando qualcuna di loro riesce a scappare da quell’inferno, finisce sempre per tornarci, obbligata in qualche modo dalla spirale dei debiti, dai vicini a cui ha chiesto un prestito, e che la spingono a partire di nuovo per riavere i loro soldi”.

      Il filo del racconto si dipana, sempre più terrificante, come se fosse tratto dai vecchi romanzi che parlano di schiavi. Lo scandalo non è nuovo, riemerge periodicamente e si gonfia come una bolla di sapone. Ci sono le retate della polizia, le visite delle autorità, e a volte si intravede qualche barlume di speranza.
      Un sordida vicenda alle porte dell’Europa

      Gli ingredienti di questa brutta storia proprio davanti alla nostra porta? In Sicilia? Il banale affare della produzione dei pomodori a Ragusa, che con il tempo è diventata la più grande esportatrice di pomodori italiani in Europa, è anche una delle più sordide vicende del nostro continente.

      All’inizio c’è stata l’adesione della Romania all’Unione europea, nel 2007. E un’ondata massiccia di forza lavoro è arrivata sui mercati d’Italia, Spagna, Francia e Gran Bretagna. Donne partite per lavorare, ma che una volta arrivate a Ragusa vengono obbligate a prestare servizi sessuali ai padroni per poter conservare il proprio posto di lavoro. “La forza lavoro che arrivava dalla Romania era più la accomodante, la più disposta ad accettare compromessi”, spiega Silvia Dumitrache.

      “Le donne romene sono già tenute in una sorta di stato di schiavitù dai loro uomini, vengono picchiate… Molte di loro se ne vanno dalla Romania proprio per sfuggire a queste violenze. Raccontano che, anche se sono sfruttate, almeno in Italia guadagnano qualche soldo. Poi c’è un altro aspetto: in questo tipo di lavoro, se accettano le richieste di favori sessuali da parte dei padroni, possono tenersi vicini i figli, mentre se dovessero fare le badanti non sarebbe possibile”. Ma il lavoro nei campi, sotto la soffocante sorveglianza dei padroni? E gli anni in cui un osservatore attento avrebbe potuto farsi delle domande sul numero abnorme di aborti compiuti all’ospedale di Vittoria?

      Poi sono arrivati gli articoli. Prima pubblicati sulla stampa italiana, poi dal Guardian. È uscito un libro, Voi li chiamate clandestini , e i fatti sono stati raccontati dall’ong italiana Proxima.

      Di questa storia sono al corrente sia la polizia sia la procura, ma senza grandi risultati, perché in Italia le risorse di queste istituzioni sono piuttosto ridotte. Come racconta Silvia Dumitrache, per sollevare il problema c’è stato bisogno – per ironia della sorte – delle proteste di alcuni padroni, preoccupati perché sul mercato internazionale i prodotti etichettati Ragusa venivano boicottati a causa dallo scandalo scoppiato. “Le loro pressioni, che si sono concretizzate in un opera di lobbismo a livello europeo, hanno smosso le cose. Da allora sono cominciati gli arresti, a danno della mafia, che di fatto controlla questa situazione. Ma non basta ancora”.

      Gli eventi, finiti più volte sotto i riflettori dei mezzi d’informazione europei, hanno catturato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e, soprattutto, delle istituzioni europee. In qualche modo era prevedibile, dato che la legislazione in questo settore esiste ma non è sufficientemente applicata.

      Su richiesta di alcuni deputati europei, la commissione del parlamento europeo per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, Femm – di cui ha fatto parte anche l’attuale premier romena, Viorica Dancila, deputa europea fino al gennaio del 2018 – ha intrapreso una visita a Ragusa . Molti eurodeputati hanno presentato un’interpellanza alla Commissione europea e i governi romeno e italiano hanno avviato un tavolo di lavoro bilaterale sul tema.

      Sul piano politico europeo sono seguite risoluzioni, gruppi di lavoro, interpellanze; a livello locale, invece, ci sono stati arresti e retate. Le visite bilaterali italo-romene si sono intensificate e, nel mese di maggio, il governo romeno ha lanciato il programma “Parti informato!”, che punta a dare informazioni a chi desidera emigrare. “Inoltre”, osserva il deputato europeo Emilian Pavel , “il ministero del Lavoro e romeno e il ministero romeno per la Diaspora hanno adottato provvedimenti congiunti con il ministero del Lavoro italiano”. Emilian Pavel, membro del Gruppo dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici al Parlamento europeo è solo uno dei deputati che dall’autunno scorso continuano a battersi per mettere fine ai casi di schiavitù che sopravvivono in pieno XXI secolo.
      Boicottaggio paneuropeo contro i prodotti che provengono da Ragusa?

      “Certe rivelazioni producono necessariamente reazioni forti, e i deputati del Parlamento europeo sono estremamente sensibili e attenti a questioni del genere. Non è ancora troppo tardi per pensare di organizzare un boicottaggio paneuropeo contro i prodotti che arrivano da luoghi dove si pratica la schiavitù o che sono il frutto di tali pratiche. Tenere un essere umano, una donna, in schiavitù, è un’umiliazione per ogni essere umano”, dice Emilian Pavel.

      “Le istituzioni europee possono e devono agire conformemente alla loro missione e ai trattati. Sicuramente ci sono cose che possono essere fatte a livello europeo, come monitorare l’applicazione della legislazione europea attualmente in vigore, fare pressioni per accelerare l’implementazione di tutti gli accordi internazionali. Ma soprattutto bisogna dare appoggio concreto alle vittime! Questi fatti devono arrivare davanti ai giudici. Purtroppo è un traguardo difficile, e possiamo comprendere a livello umano che le vittime di schiavitù, dopo anni di umiliazioni, difficilmente avranno la forza per cercare di portare i colpevoli davanti alla giustizia. Io faccio parte della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del parlamento europeo; lottiamo contro le discriminazioni di genere e facciamo pressioni sugli stati affinché applichino la Convenzione di Istanbul, approvata nel 2011 dal Consiglio d’Europa, sulla prevenzione e la lotta alle violenze domestiche e contro le donne”.

      Secondo l’eurodeputato Pavel, tuttavia, una delle cause che più hanno contribuito a creare un simile problema è l’esistenza stessa del lavoro nero. Molte donne si sono ritrovate in questa situazione perché le autorità italiane non sono riuscite a combattere con successo il lavoro nero. “Il principio è semplice. È tanto semplice in via di principio quanto è terribile nella vita reale. Il lavoro in nero porta agli abusi, fa crescere le disuguaglianze, è causa di tragedie. Dobbiamo essere tutti molto più determinati nel combatterlo”, afferma.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Le-schiave-romene-dietro-ai-pomodori-di-Ragusa-187940