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  • « Io, poliziotto, dico : coi migranti Salvini si comporta da criminale »

    Intervista esclusiva a Orlando Amodeo, primo dirigente medico della Ps appena andato in pensione: «Il ministro specula sulle tragedie e costruisce la sua fortuna sulla morte. Impedire di attraccare nei porti o ostacolare il lavoro delle Ong significa fare vittime che nessuno conosce»

    Trent’anni da medico-poliziotto, venticinque passati con la divisa indosso e lo stetoscopio al collo, su e giù dalle navi, dentro e fuori palestre e centri d’accoglienza, più di centamila migranti ai quali ha guardato gli occhi, le mani e la lingua, una vita da giusto che adesso Orlando Amodeo, 61 anni, primo dirigente medico della Polizia di Stato fino a pochi mesi fa, scaglia dritta contro Matteo Salvini, tutta intera.

    L’avete visto mai un poliziotto che dà del criminale al suo ministro dell’Interno e si vergogna di essere italiano? Eccolo qua. L’Italia di oggi la racconta anche la rivolta di un uomo così. «Salvini specula da criminale sulla tragedia, costruisce la sua fortuna sulla morte. A me non importa chi sia, ma non sopporto la sofferenza inutile. Se qualcuno la crea per ricavarne un beneficio politico, non è altro che un criminale», dice con la fermezza a bassa frequenza dell’uomo mite.

    Siamo sul lungomare di Crotone. Il dottor Amodeo è una specie di monumento vivente, da queste parti. Ha cominciato a gestire gli sbarchi nel ’93, nel ’98 ha aperto a Crotone il primo centro d’accoglienza, il Sant’Anna, quando ancora nessuno sapeva come si facesse: «Facevo le mie sei ore e poi tutto il resto del tempo lo passavo lì, gratis. Non mi sono mai neanche segnato un’ora di straordinario». L’hanno spostato a Reggio Calabria nel 2005, ha continuato a occuparsi di sbarchi. Non ha mai imparato a nuotare, ma conosce le grandi navi della rotta turca, le barchette di legno, i gommoni dalla Libia, gli scafisti e i trafficanti, la terrificante calma apparente e coartata di adesso. Ha escogitato quelle che chiama «le invenzioni aggratis»: riciclare i guanti monouso in lattice, dopo averli passati nel sapone e varechina, «perché gonfiati, diventano dei meravigliosi palloncini per i bambini, per farli divertire dopo che sono sbarcati»; ma raccogliere tra gli studi medici «i campioni delle medicine mandate dalle case farmaceutiche, con quelli curavamo i migranti a costo zero».

    Sul lungomare di Crotone, monumento vivente, lo salutano tutti e lui risponde con calore, anche quando non sa chi siano. È abituato: i suoi social, i suoi indirizzi di posta e il suo telefonino strabordano di storie, persone, frammenti di vite intercettate in volo come stelle cadenti. La sua vita aderisce alle storie che racconta: non c’è scarto, non c’è distanza. Una volta, dopo una retata di prostitute nigeriane, i suoi colleghi hanno dovuto convocarlo in piena notte perché tutte le donne fermate avevano il suo numero di telefono, con nome e cognome, nemmeno fosse il più abituale dei clienti: «L’avevo dato a una di loro, sono medico le avevo detto, per qualsiasi cosa».

    Raccoglitore di funghi, coltivatore di pomodori, in casa può presentarsi tutt’ora con cassette di verdura o migranti, dipende. A casa sono abituati. Migranti ne ha ospitati nel suo appartamento e sulle scale che portano a casa: una volta ci stettero in 180 per tre giorni. Altre volte in cinque per mesi. «Era inverno, pioveva: non si può lasciare la gente per strada così senza motivo». In questi giorni capita ci sia a pranzo Tony, che è venuto dalla Nigeria: «Suo zio voleva ammazzarlo per prendergli la terra, dopo aver ammazzato suo padre: tu che avresti fatto? Lui è scappato per non morire, ma per questo governo è solo un migrante economico: un permesso non lo vedrà mai, ma senza lui non può lavorare. Così invio dei soldi giù a sua moglie, ogni settimana, e resto nella legalità».

    Andando sulle navi, il dottor Amodeo ha imparato che soltanto mettendosi in mezzo, fisicamente, facendo da esempio, si persuade qualcun altro: «I finanzieri, i volontari, gli uomini della Capitaneria di porto e i poliziotti magari temono di prendersi la scabbia, hanno paura ad avvicinarsi ai migranti. Poi mi vedono in mezzo a loro, si tranquillizzano, e vengono». « Ana tabib », sono un medico, «è la prima cosa che dico sempre quando salgo su una nave: è arabo, qualcuno mi capisce sempre». Con lo stesso spirito, par di capire, affronta Salvini: «Perché non si possa dire che non lo sapevamo. O che non c’erano altre risposte possibili». Ana Tabib.

    Il dottor Amodeo ha cominciato a battagliare con i politici, e in particolare con il ministero dell’Interno, almeno quindici anni fa. Quando lo vollero trasferire con una bella promozione, perché era diventato troppo ingombrante, «e andai a Roma a pregare che non volevo essere promosso, volevo solo continuare a fare il mio lavoro». O ancora prima, quando il ministero dell’Interno lo chiamò per spedirlo al Maurizio Costanzo Show.

    «Dopo il G8 di Genova gli serviva il “poliziotto buono”, per recuperare d’immagine. Sul Corriere della Sera era uscito un articolo in cui parlavo anche io, allora mi chiamò il dottor Sgalla, delle relazioni esterne del ministero: disse, vai da Costanzo ma prima passi da noi. Io da voi non ci passo, quindi da Costanzo non ci vado, gli risposi». Vinse lui: «Ci andai, da Costanzo, senza passare per il ministero. Alla fine della registrazione nemmeno mi ricordavo cosa avevo detto. La sera, quando riaccesi il telefonino, c’erano quaranta chiamate dal centralino del ministero. Era Sgalla. Disse: è andata bene, può stare in tv quanto vuole. Ma io alla fine della registrazione avevo sudato così tanto che mi son dovuto cambiare pure le mutande».

    Quei filmati circolano ancora in rete. Il colore politico, allora come ora, c’entra fino a un certo punto: «Anche Minniti, quando ha fatto accordi con i libici, l’ho mandato a quel paese, molto banalmente», dice Amodeo di taglio, per semplificare. Sulla sua pagina Facebook, del resto, non risponde a nessuno che tenti una polemica. «Ho presente i fatti, molto banalmente».

    A spiegare i perché, soccorre la vita. Circostanze, racconti, nessuna supposizione. «Tutti esagerano, quando raccontano qualcosa, lo so benissimo. Quando decido di riferirla è perché l’ho constatata di persona, oppure l’ho sentita raccontare identica, da persone diverse, in luoghi e tempi diversi: e allora è vera per forza». Lo sa perché c’era, lo dice perché ha verificato. Le cicatrici dei reni espiantati per pagarsi il viaggio, la disidratazione, le malattie, i morti per annegamento e per asfissia, l’assenza di una alternativa. Le ragioni elementari, quelle che servono a smontare le cattedrali babeliche della politica. «Nel 2014 arrivò qui una imbarcazione dalla Libia, che era stata programmata per affondare: a bordo quattrocento persone, imbarcava acqua sin dalla partenza. In questa nave in cui tutti dovevano morire, c’erano 40-50 eritree. Quando mi hanno visto si sono messe a gridare. Avevo la divisa indosso. Erano passate per Eritrea, Sudan, Libia. Gente in divisa le aveva trattate come cose, per mesi: seviziate, violentate, di tutto. Alla fine, le avevano lasciate andare via soltanto perché erano malate. Malattie come la gonorrea erano state la loro salvezza. Le avevano messe però su una nave destinata ad affondare. “E voi, che lo sapevate, perché avete accettato di partire?”, gli ho chiesto. “Lì saremmo morte in ogni caso, forse qui riusciamo a sopravvivere”. Molto banale: gente che destinata a morire che tenta di sopravvivere, forse. Allora Salvini di cosa parla? Prima gli italiani? Ma che c’entra?».

    «Uno le cose le impara parlando: ma se tu con questa gente non ci parli, non lo sai. Quando chiedevo: perché dal Kashmir venite qua? Mi dicevano: perché c’è una guerra tra musulmani e induisti, il Kashmir è in mezzo. Se sei musulmano ti ammazzano gli indiani, se sei indiano ti ammazzano i pakistani. E allora, chi voleva vivere è scappato dal Kashmir, punto. Non è che ci sia altro. C’era la guerra, sono scappati perché non volevano morire. Però quando parli con loro, poi con i rom kosovari, i curdi, gli eritrei, i somali, gli etiopi, i nigeriani, ti rendi conto che il mondo è pieno di guerre, fame, problemi. E allora impari, ti metti dall’altra parte. Se io fossi stato là e avessi voluto vivere, cosa avrei dovuto fare? Scappare, punto. O ti fai ammazzare o scappi. Questo è».

    Spesso, racconta il dottor Amodeo, i migranti neanche sanno di essere sbarcati in Italia. «Gli viene raccontato che sbarcheranno in Germania, in Belgio, in Svezia. E non ci vogliono neanche stare in Italia: cercano lavoro. E qui non ce n’è, è persino vietato senza un permesso di soggiorno. Altrove danno una casa, una chance. Noi li teniamo qui senza fare niente. Quando sono stato trasferito a Reggio Calabria, vedevo che stavano lì nelle palestre un mese, due mesi. A un certo punto domandai alla Questura: abbiamo fatto tutto come polizia? Tutto, mi risposero. Scoprii proprio allora, per caso, che c’era un treno notturno: partiva da Reggio Calabria alle 21.35, andava al nord. Milano, Torino. Ho chiesto ai migranti: tu dove vuoi andare? Frugavano, e da una cucitura delle mutande tiravano fuori un foglietto. C’era scritto il paese, o la città. Allora, sempre per caso, c’era un sacerdote della Caritas che aveva un pulmino da 20 posti, che passava proprio vicino alla palestra, la sera, e un gruppo di ragazzi che ne aveva un altro: anche loro passavano di là. Alle 19, ora del cambio della guardia, invitavo tutti agli agenti fumare: ci radunavamo su una sola delle quattro vie d’uscita. Sa quanto ci mettono cento persone a uscire da una palestra? La stazione non era poi così lontana. E, sempre per caso, qualcuno aveva suggerito al capostazione di aggiungere un paio di vetture. Insomma ogni quattro giorni svuotavo tutto. Il 99 per cento di loro voleva andare in Germania, Belgio, Francia, in Svezia. In sei-sette anni gliene ho mandati in giro per l’Europa 50-60 mila. Poi se ne è accorto un funzionario, un austriaco, ci hanno imposto le impronte digitali, non s’è potuto fare più. Prima glieli mandavo tutti. Da noi dove stavano, a fare che?».

    «Ma sono le nostre leggi a non funzionare. Siamo noi a renderli un peso. Metti un maschio adulto, con famiglia, a non fare niente, per mesi. Quello i soldi prima o poi li deve mandare a casa: finirà per fare la prima cosa che gli offrono, molto banalmente. Ma sei tu, politico, che hai creato il disagio: e poi ti autoproclami l’eroe chiamato a risolverlo? Fai leva su chi è in crisi e gli dici prima gli italiani? Bravo, molto bravo».

    «Adesso però invece che in Europa, li rimandiamo indietro in Libia. E nemmeno arriviamo a saperlo. Ma accade questo: cento che non partono, sono cento che muoiono. Mohamed, che era venuto dal Ghana anni fa, mi aveva raccontato che si erano fatti una foto alla partenza, e una foto all’arrivo: in Ghana erano 41, qui 19. Il 54 per cento è morto. Ma ora, sono cento su cento. Impedire di attraccare nei porti, ostacolare il lavoro delle Ong, significa fare morti che nessuno conosce. Anche perché adesso i gommoni, per esempio, non hanno bisogno nemmeno di uno scafista, che in fondo era una garanzia che la barca arrivasse. E la gente si riorganizza: i curdi sbarcati a Capo Rizzuto a fine luglio se l’erano comprata quella barca, dovevano solo arrivare qua, avevano già i parenti in Europa. Ma se fossero affondati tu non ne avresti saputo niente. E quante ne affondano di barche così? Chi te lo dice?»
    «Sai di Josefa perché quelli di Open Arms l’hanno soccorsa. Ma se al loro posto ci fosse stata la marina militare, o peggio i libici, tu sapevi che la sua famiglia era annegata? No. Se nel Mediterraneo ci fossero solamente navi militari, le notizie che tu sapresti sono quelle che i militari ti vogliono fare sapere. Di certo, non sapresti che sono morte ad oggi diecimila persone: ti direbbero delle persone soccorse. E ti posso garantire che avremmo detto: abbiamo soccorso tutti. Senza Ong, nessuno ti avrebbe mai detto che una nave italiana stava tornando in Libia, o che i libici sparano alle imbarcazioni se non si fermano: sono segreti di Stato, banalmente. Ecco perché sono sempre stato favorevole alla presenza di civili in mare. Un giorno mi chiama la capitaneria, c’è una nave ferma a venti miglia dalla costa. Vado col rimorchiatore, salgo: a bordo c’erano quattro finanzieri che cercavano di mettere in moto l’imbarcazione. Eravamo io e loro, nessun altro. Sembrava una nave fantasma. Poi sento gridare. E vedo che, sotto, c’era di tutto. 480 persone, in una stiva unica, impossibilitate a uscire. Gli scafisti avevano chiuso tutti i boccaporti con cavi d’acciaio. Mi sono incazzato coi finanzieri: ma scusate, pensate a sto cavolo di motore, mentre questi muoiono soffocati. Poi sono riuscito a entrare. Mi sentivo morire, non c’era aria. Ana Tabib, sono un medico. Mi prendono per mano, mi mi portano da qualcuno. Al buio sento un collo, non c’era battito. Metto una mano su naso e bocca, nessuna reazione. Era una donna, morta asfissiata. I finanzieri sopra continuavano a non voler far uscire nessuno. Con un grimaldello sono riuscito ad aprire qualche fessura. In porto li abbiamo liberati. Se in mare ci fossero stati solo militari, in porto di asfissiati ne avremmo trovati non uno, ma cento. Perché nessuno aveva in mente di farli respirare prima. Perché l’ordine, sacro, era: riportate la nave a terra. E non: fate vivere queste persone. Gli uomini di mare sono grandi uomini ma gli ordini sono ordini».

    Anche vent’anni fa, in tv, Maurizio Costanzo gli chiese: quale è la sua reazione, di fronte a tutto questo? «Mi indigno. Mi indigno sempre», risponde anche adesso Amodeo. «Però le persone che non si indignano io le capisco, perché queste cose non le sanno. La gente sa quello che gli dice la televisione, quindi non sa niente. Se sapesse cosa succede nel mondo, e nel mediterraneo. Non c’è un politico serio che lo spieghi: siamo in una migrazione perpetua, perenne, e bisogna affrontarla politicamente, in un modo serio. Adesso stai tamponando. Non hai risolto niente. E tra vent’anni quando sarai accusato di crimini contro l’umanità, non puoi dire “ah ma io non lo volevo”. La gente deve sapere. E se non lo sanno, bisogna dirlo: in Libia ci sono i lager, uccidono le persone, violentano, torturano. Spesso e volentieri, le persone vengono messe sui camion, portati tra Libia e Algeria e lasciati là. Sai cosa vuol dire se ti lasciano nel deserto? Che scompaiono le tue tracce: dopo due giorni sei morto di sete, e dopo altre 24 ore il deserto ti copre. Magari fra cinquant’anni verrà fuori il tuo scheletro. Non me lo ha detto una sola persona, me lo hanno detto in tanti. Chi è sopravvissuto lo ha detto anche all’Onu. E noi li mandiamo in Libia? Ma che stiamo facendo? Quale è il senso di ammazzare le persone?».

    «Ecco perché non sopporto Salvini, che parla sempre col sorriso. Ha capito che la Lega nord non avrebbe avuto un futuro, fondamentalmente sta imponendo la razza italiana, sa che manda la gente a morire. I miei amici dicono che sono un pazzo. Ma io so che ho avuto la fortuna di stare nel posto giusto, ho usato la mia divisa per aiutare gli altri e ho sempre rispetttato alla lettera le leggi italine. Non mi sento isolato, e neanche appoggiato. Non cerco alleanze, non me ne frega niente. Se qualcuno mi vuol ascoltare mi ascolta. Però oggi mi vergogno di essere italiano. E voglio campare da uomo libero. Comandi Salvini, Di Maio, o chiunque altro».

    http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/08/16/news/io-poliziotto-dico-coi-migranti-salvini-si-comporta-da-criminale
    #témoignage #police #migrations #Italie #asile #réfugiés

    Ajouté à la métaliste de témoignages de #forces_de_l'ordre, CRS, gardes-frontière, qui témoignent de leur métier. Pour dénoncer ce qu’ils/elles font et leurs collègues font, ou pas.
    https://seenthis.net/messages/723573

  • En Italie, la presse découvre que la campagne des Européennes de la Lega de Matteo Salvini est financée par Vladimir Poutine. Financement dissimulé derrière un petit trafic de gasoil.

    Esclusivo - La trattativa segreta per finanziare con soldi russi la Lega di Matteo Salvini - l’Espresso
    http://espresso.repubblica.it/inchieste/2019/02/20/news/esclusivo-lega-milioni-russia-1.331835

    Un affare a sei zeri per finanziare la Lega in vista delle elezioni europee. Un sostegno camuffato da compravendita di carburante. Soldi russi per i nazionalisti italiani del vicepremier Matteo Salvini. Lo stesso che ha dichiarato pubblicamente di non essere interessato ai denari di Vladimir Putin, ma di appoggiarlo per pura sintonia politica.

    La trattativa per finanziare la Lega è stata portata avanti in questi mesi nel più assoluto riserbo. Riunioni, viaggi, email, strette di mano e bozze di contratti milionari. Da un lato del tavolo uno dei fedelissimi di Salvini, dall’altro pezzi pregiati dell’establishment putiniano. Al centro, uno stock di carburante del tipo “Gasoil EN 590 standards Udsl”.
    Tre milioni per Salvini: la copertina del nuovo Espresso in edicola da domenica 24

    LEGGI L’INCHIESTA INTEGRALE IN ANTEPRIMA SU ESPRESSO+

    Almeno tre milioni di tonnellate di diesel, da cedere a un’azienda italiana da parte di una compagnia russa. Una compravendita grazie alla quale il Cremlino dovrebbe riuscire a rifocillare le casse del partito di Salvini alla vigilia delle europee del prossimo maggio. Il condizionale è d’obbligo, perché non sappiamo se l’affare è stato concluso. Possiamo però indicare con certezza diversi fatti che compongono questa trama internazionale ambientata tra Roma, Milano e Mosca. E soprattutto possiamo raccontare gli obiettivi dichiarati: sostenere segretamente il partito di Salvini.

  • Revue de presse de Claire Rodier sur l’affaire #Diciotti (via la mailing-list Migreurop), que je compile sur ce fil de discussion.

    Cette compilation est à mettre en lien avec les autres compilations et les autres documents en lien avec la question #ONG #sauvetage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #sauvetages #sauvetage

    Pour voir les compilations annexes :
    https://seenthis.net/messages/706177

    cc @isskein

    ps. je n’ai suivi que partiellement ce nouvel épisode tragique car j’étais en Asie du Sud-Est et pas toujours connectée lors des événements

    • Chronique reçu de Camille Richard via la mailing-list Migreurop, le 20.09.2018

      Août 2018
      L’Arci et le cabinet légal Giuliano de Syracuse ont présenté un recours au Tribunal civil de Catane et au Tribunal administratif régional sicilien de Catane : un recours d’urgence (art 200 du Code de Procédure Civile) pour la protection immédiate des droits primaires des 150 migrants détenus illégitimement sur le bateau de la Garde côtière italienne Diciotti ; et devant le tribunal administratif, un recours avec une demande conservatoire d’un pourvoi de la mesure du ministre de l’Intérieur illégitimement adoptée.
      L’Arci a également demandé l’application immédiate des lignes directrices de l’OIM, dont le non-respect constitue une violation grave du droit international, notamment l’article 3 de la Charte européenne des droits de l’Homme (traitements inhumains et dégradants).
      Le recours a également été transmis -pour information- à la Questura, à la Préfecture et à la Garde côtière.
      Avec cette action, l’Arci insiste sur le fait qu’il n’y aucune trace écrite de la mesure et que celle-ci a d’autres objectifs, au vu des négociations avec l’UE et la campagne électorale sans relâche de Matteo Salvini.
      https://www.arci.it/larci-presenta-un-ricorso-contro-il-governo-per-il-trattenimento-illegittimo-de

      Septembre 2018
      Tribunal des ministres1, Palerme : L’enquête est née du fait qu’un ordre formel n’a été donné pour le blocus du navire Diciotti ou pour le débarquement, après 10 jours, des migrants secourus dans les eaux territoriales maltaises.
      Le tribunal, présidé par Fabio Pilato, a commencé à se réunir de manière informelle pour fixer les lignes du procès contre Salvini. L’examen du dossier, qui a débuté le 8 septembre, sera bref : le cas doit être clos dans les 90 jours. La première question concerne la compétence territoriale.
      Il s’agit d’abord de déterminer le lieu d’où serait partie la conduite illicite présumée de Salvini : les eaux territoriales de Lampedusa, où les migrants ont été secourus, ou le port de Catane où la Diciotti est restée pendant des jours dans l’attente du débarquement. Dans le premier cas, l’enquête resterait dans les mains de la magistrature de Palerme, à qui le dossier fut transmis par Agrigente (qui a compétence pour l’enquête mais ne peut être le siège du tribunal des ministres). Dans l’autre cas, la compétence reviendrait à la magistrature de Catane.
      Afin de déterminer le lieu de l’infraction, il faut reconstruire la « chaîne de commandement » à l’aide des nombreux témoins, dont quelques uns ont déjà été écoutés (le commandant de la Diciotti, le capitaine Massimo Kothmeir). Seront prochainement écoutés le chef de cabinet Matteo Piantedosi (qui n’est plus considéré comme suspect mais comme témoin), les commandants de la capitainerie de Porto Empedocle et de Catane, le responsable du bureau maritime de Lampedusa, le chef de Département des libertés civiles, Gerarda Pantalone, et son vice-président Bruno Corda.
      Dans le cas où le Tribunal décide de procéder, il sera nécessaire d’obtenir l’autorisation de la part du Sénat pour prendre des mesures contre le Premier ministre. À ce jour, il ne reste qu’un chef d’accusation contre Salvini : la séquestration de personnes, aggravée.
      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/salvini-riceve-comunicazione-atti-indagine-diciotti
      https://www.corriere.it/politica/18_settembre_08/indagini-sequestro-persona-tribunale-ministri-cd4a9ea0-b2d9-11e8-af77-790d0

      Les réactions de Matteo Salvini
      "Mi sono semplicemente detto sorpreso che una procura siciliana, con tutti i problemi di mafia che ci sono in Sicilia, stia dedicando settimane di tempo a indagare me, ministro delll’interno, che ho fatto quello che ho sempre detto che avrei fatto e cioè bloccare le navi. È una decisione politica.’’
      « Je me suis simplement dit surpris qu’une magistrature sicilienne, avec tous les problèmes de mafia qui existent en Sicile, soit en train de dédier plusieurs semaines à enquêter sur moi, ministre de l’Intérieur, alors que j’ai fait ce que j’avais toujours dit que je ferais, c’est-à-dire bloquer les bâteaux. C’est une décision politique ».
      Matteo Salvini parle d’un complot politique (aussi pour la récente séquestration des fonds de son parti). Le premier ministre se concentre aujourd’hui sur les politiques de lutte contre l’immigration clandestine et a confirmé que d’ici l’automne, il conclura une série d’accords avec les pays africains et asiatiques pour les rapatriements et les expulsions.
      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/salvini-riceve-comunicazione-atti-indagine-diciotti

      La Cour des Comptes ouvre une enquête sur les « coûts supplémentaires » du blocus naval pour lequel le ministre Matteo Salvini est suspecté.
      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/diciotti-inchiesta-per-danno-erariale
      « Prendre ’en otage’ pendant 10 jours 177 demandeurs d’asile sur la Diciotti a coûté au moins 5 fois plus que de les accueillir dans un CAS -Centre extraordinaire d’accueil » (Avvenire, 29 août). Selon les premiers calculs, seulement pour la Diciotti, les caisses publiques devront débourser au moins 200,000 euros non prévus. Auxquels s’ajoutent les dépenses qui ont servi à couvrir l’accompagnement de l’Aquarius par la Garde côtière jusqu’en Espagne.
      La Cour des Comptes a ouvert un dossier d’enquête pour « préjudice financier » sur trois faits principaux : l’accompagnement de l’Aquarius jusqu’à Valence le 17 juin dernier ; le cas Diciotti du 13 juillet quand le gouvernement à envoyer le navire de la Garde côtière à Trapani ; et le cas Diciotti du mois d’août et la séquestration des migrants que l’embarcation (qui aurait coûté 10,000€ par jour).

      1 Le Tribunal est composé de trois magistrats choisis par tirage au sort tous les deux ans. À ce jour, le président est Fabio Pilato (ex- juge des tutelles du Tribunal de Palerme), avec deux autres juges : Filippo Serio (Commission de Révision) et Giuseppe Sidoti.

    • Diciotti, scontri al #sit-in di Catania: feriti un agente e un dimostrante

      In centinaia alla protesta per chiedere lo sbarco dei migranti. Tensioni fra manifestanti e polizia.

      In centinaia al presidio antirazzista sul molo due del porto di Catania, a pochi metri dalla nave Diciotti della Guardia costiera da giorni bloccata dal governo gialloverde con circa 130 migranti a bordo dopo lo sbarco di 17 persone per motivi sanitari. Ci sono le bandiere di Legambiente, dell’Arci, di Potere al popolo, della Cgil. Ci sono i volontari dei Briganti di Librino. Ci sono gli scout dell’Agesci. Ci sono i collettivi antirazzisti e i componenti dei centri sociali. La parola chiave è “Facciamoli scendere”.

      C’è stato un contatto tra forze dell’ordine e manifestanti che hanno tentato di forzare l’accesso al molo di Levante dove è ormeggiata la nave. Una decina di giovani con salvagenti e tavolette si sono lanciati a mare nel tentativo di raggiungere il pattugliatore della Guardia Costiera gridando ’libertà, libertà’. C’è stato uno scontro con le forze dell’ordine per evitare lo ’sfondamento’, e un poliziotto è rimasto ferito. L’agente è stato soccorso dai suoi colleghi e portato in un cellulare della polizia per le prime cure. Ferito anche un militante.

      In rappresentanza del Pd anche Antonio Rubino e l’ex deputato Giovanni Panepinto che avevano una bandiera dem. Quando è stata esposta i ragazzi di Potere al popolo hanno urlato e protestato creando un po’ di tensione, poi rientrata. Sul molo già centinaia di persone. Fra gli altri c’è il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, accompagnato dall’assessora Giovanna Marano: «Palermo e la Sicilia . dicono - sono in prima fila per ribadire che la cultura dell’accoglienza e la cultura della solidarietà rappresentano la vera cultura del popolo italiano. Una cultura e una prassi per altro sancite dalla nostra Costituzione e dalle leggi, cui il governo nazionale pensa di poter derogare a colpi di tweet e dirette Facebook mettendo a rischio la tenuta democratica del Paese».

      La manifestazione si è incrociata con il momento dello sbarco dei migranti scesi dalla nave Diciotti per motivi sanitari. Intanto la Sicilia si mobilita: i vescovi si dicono pronti allo sciopero della fame, mentre diversi militanti stanno inviando migliaia di e-mail al ministero degli Interni e a quello dei Trasporti per chiedere lo sbarco dei migranti. Si è intanto conclusa l’audizione di due funzionari del Viminale condotta dai pm di Agrigento.

      http://palermo.repubblica.it/cronaca/2018/08/25/news/scout_sinistra_volontari_ambientalisti_diciotti_a_catania_comincia_il_sit-in-204901986/?refresh_ce
      #Catane #résistance

    • Migrants : l’UE ne propose aucune solution pour les passagers du « Diciotti »

      Malgré la menace du gouvernement italien de suspendre sa participation au budget communautaire, aucun accord n’a été trouvé pour les 150 migrants bloqués à Catane.

      Bruxelles n’a pas cédé devant l’ultimatum formulé par Luigi Di Maio, le chef de file du Mouvement 5 étoiles (M5S, populiste) et vice-président du conseil italien : l’Union européenne (UE) n’a pas pris de décision, vendredi 24 août, sur l’accueil des 150 migrants toujours bloqués à bord du Diciotti et, plus généralement, sur la redistribution, en Europe, des candidats à l’asile.

      Jeudi, M. Di Maio avait pris le relais du ministre de l’intérieur et dirigeant de la Ligue (extrême droite), Matteo Salvini, en indiquant que, faute d’accord vendredi, son pays pourrait suspendre sa contribution au budget européen dès le début 2019. Soit 20 milliards d’euros, selon M. Di Maio. Aucun pays membre de l’UE n’a, jusqu’alors, refusé d’acquitter sa participation au budget communautaire.

      Une réunion de diplomates et d’experts avait été convoquée vendredi, à Bruxelles, par la Commission. Il s’agissait, au départ, de reparler de l’ensemble du dossier migratoire mais difficile, évidemment, de gommer la polémique actuelle avec Rome sur le Diciotti.

      Le navire des garde-côtes italien a secouru, dans la nuit du 15 au 16 août, 190 migrants. Treize d’entre eux ont été débarqués pour des raisons sanitaires à Lampedusa, puis le navire a accosté, le 20 août, à Catane, en Sicile. Depuis, les mineurs ont pu descendre mais le gouvernement italien exige que les autres rescapés soient envoyés ailleurs en Europe avant de les laisser débarquer.

      « Fixer des principes »

      Les menaces « ne servent à rien et ne mènent nulle part », a répliqué à M. Di Maio, vendredi midi, un porte-parole de la Commission. « Les commentaires peu constructifs n’aident pas et ne nous rapprochent pas d’une solution », a-t-il insisté. Bruxelles ne manque pas d’ajouter que si elle est désormais un contributeur net au budget européen – elle paie plus qu’elle reçoit en retour –, l’Italie perçoit quand même 10 milliards à 12 milliards par an en moyenne via des fonds structurels, d’investissements, d’aides à la recherche… Au total, elle a aussi reçu 650 millions pour la gestion des migrants arrivés sur son territoire – soit quelque 700 000 personnes depuis 2014.

      Selon l’un des participants, les représentants italiens à la discussion de vendredi n’ont pas réitéré la menace de M. Di Maio. « Mais elle planait », indique-t-il. Pas question, en tout cas, pour les autres pays présents (France, Allemagne, Espagne, Autriche, Grèce, Malte et les pays du Benelux) de donner l’impression de céder au chantage, tout en reconnaissant l’urgence d’une solution humanitaire.

      « Il s’agissait de tirer les leçons de ce qui s’est déroulé cet été et, surtout, de fixer des principes, des mécanismes durables pour l’accueil des bateaux, la répartition des migrants et le problème de leurs mouvements secondaires », souligne un diplomate. La recherche d’une garantie de solidarité entre les Etats membres, la question de l’aide financière à apporter aux pays d’accueil et celle des lieux de débarquement – en principe, le « port sûr le plus proche » selon le droit maritime international – sont d’autres thèmes de débats qui se poursuivront en septembre.

      Et le Diciotti ? « Pas le sujet du jour »,tranche l’un des participants. Il s’agissait pour les pays présents d’obtenir un engagement clair de l’Italie, « une définition de ses principes et une orientation quant à ce qu’elle fera à l’avenir ». « On ne se voit pas avoir une discussion bateau après bateau », insiste une autre source.

      La Commission affirme, de son côté, rester en contact avec Rome et d’autres capitales pour régler le sort des occupants du Diciotti. Vendredi, elle devait convenir qu’il restait incertain. En juillet, 450 migrants étaient restés trois jours à bord du même bateau, jusqu’à ce que l’Italie accepte leur débarquement, après avoir obtenu que d’autres pays européens en accueillent une partie.

      « Cotiser est un devoir légal »

      Dans une interview au Corriere della Sera, M. Salvini a ébauché à sa manière une solution à l’impasse. Elle consisterait en « un bel avion qui arrive d’une des capitales européennes à l’aéroport de Catane. Les Européens peuvent montrer qu’ils ont un grand cœur en embarquant tous les aspirants réfugiés. Nous avons joué notre rôle avec les jeunes », a-t-il déclaré. Annonçant une prochaine rencontre avec le premier ministre Viktor Orban, à Milan, il évoquait une modification des traités et des conventions qui régissent l’asile.

      Face à son allié, le M5S paraît divisé. Mais M. di Maio apporte son soutien à M. Salvini, qui a réagi vendredi soir à la non-décision de Bruxelles en déclarant « aujourd’hui, l’UE nous a encore prouvé qu’elle n’est qu’une entité abstraite ».

      A propos du Diciotti, M. Salvini a lancé : « Nous fournirons toute l’assistance nécessaire à bord du navire. Mais personne ne débarque. Un seul pays ne peut pas gérer tout ce qui se passe. Et un continent comme l’Afrique ne peut pas continuer de se vider. Avec 5 millions d’Italiens en état de pauvreté absolue, dont 1,2 million d’enfants, je pense d’abord aux Italiens. »

      Sur Facebook, M. Di Maio ne voulait pas rester en reste : « L’UE a décidé de nous tourner le dos, de se moquer des principes de solidarité et de responsabilité. (…) On ne va plus se laisser marcher dessus. » Et de confirmer sa menace d’un gel de la contribution italienne au budget européen.

      Sur Facebook toujours, le premier ministre Giuseppe Conte évoque « une belle occasion » perdue selon lui par l’Europe, qui aurait dû démontrer sa solidarité. Seul le ministre des affaires étrangères, Enzo Moavero, a fait entendre une autre petite musique. « Cotiser [au budget européen] est un devoir légal », a-t-il tenté de rappeler.

      https://abonnes.lemonde.fr/europe/article/2018/08/24/l-italie-pose-un-ultimatum-pour-trouver-une-solution-aux-migrants-du ?

    • L’Italie pose un ultimatum pour trouver une solution aux migrants du « Diciotti »

      Une réunion de la Commission européenne doit se tenir vendredi pour répartir dans plusieurs pays les migrants bloqués dans le port de Catane depuis lundi.
      LE MONDE | 24.08.2018 à 10h41 • Mis à jour le 24.08.2018 à 10h45

      Dix jours après avoir recueilli 190 migrants en mer, cinq jours après avoir pu accoster dans le port de Catane, en Sicile, le Diciotti, navire des gardes-côtes italiens, fait toujours l’objet d’un bras de fer entre l’Italie et les autres pays européens.
      Jeudi 23 août, le vice-président du conseil italien, Luigi Di Maio, a lancé un ultimatum à la Commission européenne, qui a annoncé travailler sur une solution similaire à celle trouvée la semaine dernière avec Malte pour les passagers de l’Aquarius. Il a sommé Bruxelles de trouver une solution vendredi, dans le cadre de la réunion du groupe PSDC (Politique de sécurité et de défense commune) de la Commission européenne. Faute de quoi son Mouvement 5 Etoiles, au pouvoir dans le cadre d’une coalition avec la Ligue, d’extrême droite, est prêt à suspendre la contribution italienne au budget de l’UE à compter de l’année prochaine.
      « Si rien ne sort de la réunion de la Commission européenne demain sur la répartition des migrants à bord du Diciotti, le Mouvement 5 Etoiles et moi-même ne serons plus disposés à verser chaque année 20 milliards d’euros à l’UE », a-t-il dit dans une vidéo postée jeudi soir sur Facebook.
      27 mineurs débarqués

      Mercredi, le ministre de l’intérieur italien, Matteo Salvini, avait confirmé qu’il n’autoriserait pas le débarquement des 177 migrants restant à bord. « Je ne donne aucune autorisation au débarquement. Si le président de la République veut le faire qu’il le fasse ; si le président du conseil [Giuseppe Conte, chef du gouvernement] veut le faire qu’il le fasse. Mais ils le feront sans l’accord du vice-premier ministre et du ministre de l’intérieur », a-t-il écrit sur Facebook.
      Plus tard, il a toutefois dû céder en ce qui concerne les mineurs non accompagnés, et 27 migrants, âgés de 14 à 16 ans, ont débarqué tard dans la nuit. Certains portaient encore les traces de leur séjour en Libye. « Un d’entre eux ne voit plus très bien, il a les pupilles dilatées, parce qu’il m’a raconté avoir été détenu dans le noir pendant un an », a raconté Nathalie Leiba, psychologue auprès de l’ONG Médecins sans frontières, qui a pu venir en aide à certains de ces jeunes migrants.
      Mais les adultes, eux, sont toujours bloqués à bord. La Libye a exclu de recueillir les passagers. Mohamed Siala, ministre des affaires étrangères du gouvernement d’union nationale (GNA), a estimé, mercredi, que ce retour serait une « mesure injuste et illégale » car la Libye compte déjà « plus de 700 000 migrants ».
      Le procureur sicilien d’Agrigente a ouvert une enquête pour « séquestration de personnes », mais le gouvernement italien fait la sourde oreille.

      https://abonnes.lemonde.fr/europe/article/2018/08/23/vent-de-fronde-parmi-les-gardes-cotes-italiens_5345376_3214.html ?

    • Vent de fronde parmi les gardes-côtes italiens contre la politique « zéro migrants » de Salvini

      Le ministre de l’intérieur, Matteo Salvini, prend pour cible les activités de sauvetage de migrants en Méditerranée.
      LE MONDE | 23.08.2018 à 11h51 • Mis à jour le 24.08.2018 à 10h22 | Par Margherita Nasi (Catane (Sicile), envoyée spéciale)

      C’est une institution centenaire et intrépide. Depuis 1865, la garde côtière italienne veille à l’application de la loi en mer, suivant le slogan : « Omnia vincit animus » (« le courage est toujours vainqueur »). Il faut de la témérité, en effet, pour lutter contre les trafics illicites et pratiquer des sauvetages en mer. Il en faut tout autant pour dénoncer la politique « zéro migrants » du ministre italien de l’intérieur, Matteo Salvini.
      Le 19 août, l’organisme est sorti de sa réserve pour dénoncer le traitement que le chef de la Ligue (ex-Ligue du Nord) impose au navire Diciotti. Le patrouilleur des gardes-côtes était coincé depuis plusieurs jours au large de Lampedusa, après avoir recueilli 177 migrants sur une embarcation qui prenait l’eau. M. Salvini a refusé de laisser accoster les marins italiens, intervenus sur un bateau relevant selon lui des autorités maltaises. Dans un entretien au Corriere della Sera, le lieutenant Antonello Ciavarelli s’est alarmé d’une situation « incompréhensible et même gênante ».
      Lire aussi : A Catane, les migrants du « Diciotti » patientent dans un silence irréel
      Le 20 août, le navire a finalement pu entrer dans le port de Catane, en Sicile. Mais ses passagers n’ont pas le droit de débarquer : M. Salvini menace même de les ramener en Libye si l’Union européenne n’accepte pas de prendre en charge les migrants. Escalade, le 22 août : entre un Tweet où il s’émeut du sort des centaines de milliers de bêtes égorgées par les musulmans pendant l’Aïd, et un autre où il promet la fermeture d’un camp de migrants, le très droitier ministre s’en prend aux gardes-côtes. « Le PD [Parti démocrate] et la gauche ont fait en sorte que le pays soit envahi par plus de 700 000 immigrés, et je serais “gênant” ?, fait-il mine de s’interroger. C’est du délire. Je ne lâche pas, les amis, je continue. »
      « Le phénomène migratoire a tellement augmenté que je considère que ce n’est plus du secours en mer ce que nous faisons », considère un garde-côtes qui souhaite ne pas être cité nommément
      Depuis, la direction des gardes-côtes italiens se refuse à tout commentaire. Dans leur bureau de Catane, on nous fait lanterner, puis on nous accompagne dans le bureau d’un responsable qui préfère ne pas être cité nommément. « On a reçu des ordres, on ne doit pas parler, et puis le Diciotti n’est pas sous notre responsabilité, on ne fait que fournir de l’assistance logistique. C’est le quartier général qui s’en occupe, indique le hiérarque. Le phénomène migratoire a tellement augmenté que je considère que ce n’est plus du secours en mer ce que nous faisons. J’espère qu’avec cette histoire, l’Europe va comprendre que l’immigration, c’est plus complexe que ce que l’on croit, et finira peut-être par remercier Salvini. »
      Pourtant, un vent de fronde souffle bien parmi les gardes-côtes italiens. Antonello Ciavarelli s’en fait le porte-voix : « Beaucoup de collègues m’écrivent pour exprimer leur malaise. On nous attaque sur les réseaux sociaux, on demande la destitution du commandant général, l’amiral Giovanni Pettorino. Le Diciotti est comparé au navire d’une ONG, notre action à celle des passeurs de clandestins. Ce sont des attaques injustes », témoigne le lieutenant au Corriere della Sera.
      M. Ciavarelli s’inquiète des conséquences de la politique de Matteo Salvini : « Pour l’heure, les 177 migrants sont sains et saufs et les collègues à bord m’écrivent sur WhatsApp pour me dire que tout va bien. Mais si ces mêmes personnes comprennent que nous voulons les ramener en Libye, ou les transborder dans un autre bateau direction la Libye, ils seraient prêts à tout, même au suicide (…). L’équipage reste serein, car il sait qu’il fait son travail dans le respect de la Constitution. »
      Problème légal et éthique

      Des propos en accord avec ceux du défenseur italien des droits des personnes détenues, Mauro Palma, qui estime que « la permanence prolongée des migrants à bord du bateau – ils doivent dormir sur le pont, ils sont exposés aux conditions météorologiques et sont en situation de surpopulation et de promiscuité – pourrait se révéler être un traitement inhumain et dégradant, violant la Constitution ». Le procureur d’Agrigente a évoqué le cas des 29 mineurs présents sur le navire, estimant qu’ils « avaient le droit d’être débarqués » en vertu des conventions internationales et de la loi italienne sur les mineurs non accompagnés. M. Salvini a déclaré qu’il ne s’y opposait pas pour les mineurs.
      Pour les gardes-côtes, le problème n’est pas seulement légal, il est d’abord éthique. « C’est obligation juridique, mais aussi morale : tous les marins, même lorsque les conventions n’existaient pas encore, ont secouru ceux qui se trouvaient en difficulté. On n’a jamais laissé personne seul en mer », déclarait déjà, le 26 juin, le patron des gardes-côtes italiens, l’amiral Giovanni Pettorino.
      « Si vraiment on ne veut plus sauver les gens, il faut changer les règles, et je veux voir si la personne qui s’en charge dormira bien la nuit. Et puis si c’est un bateau de croisière qui est en détresse, qu’est-ce qu’on fait ? Cela reviendrait à dire que toutes les vies n’ont pas la même valeur », s’emporte Vittorio Alessandro. Ce garde-côtes à la retraite déplore l’inefficacité de la stratégie de Matteo Salvini.
      Selon une enquête menée par la plate-forme indépendante EUobserver, l’Italie aurait déboursé sur fonds européens au moins 200 000 euros pour escorter en juin l’Aquarius et ses 600 passagers jusqu’à Valence, en Espagne, après lui avoir interdit d’accoster. « Une somme faramineuse pour un résultat ridicule ! On joue avec la souffrance des personnes pour obtenir sur le moment la répartition de quelques migrants. Depuis, je n’ai pas l’impression que les autres pays européens aient montré plus de disponibilité pour accueillir des migrants. »

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/08/23/vent-de-fronde-parmi-les-gardes-cotes-italiens_5345376_3214.html

    • La « prise d’otage » du Diciotti dénoncée, 29 mineurs autorisés à débarquer

      29 mineurs non accompagnés ont été autorisés à quitter le Diciotti dans le port de Catane la nuit dernière. Et c’est par un message sur les réseaux sociaux que le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini a finalement donné son feu vert à leur débarquement. Message qui disait ceci : « Il y à bord du Diciotti 29 enfants ? Ils peuvent descendre, maintenant, même si Bruxelles dort... »
      Le navire des gardes-côtes italiens est arrivé lundi en Sicile, avec interdiction du gouvernement de débarquer ses 177 migrants sauvés des eaux méditerranéennes.
      Rome dit espérer qu’une solution soit trouvée au plus vite, après son accrochage avec Malte et ses menaces de renvoyer les migrants en Libye.
      Le premier ministre lui même Giuseppe Conte s’est plaint sur Facebook qu’aucun Etat européen n’ait proposé son aide... La commission européenne a répondu qu’elle était toujours en négociation avec les Etats-membres pour résoudre cette question. 177 pour une population européenne de 500 millions, ce doit être possible, mais le bras de fer se poursuit...
      Et de plus en plus de voix s’élèvent pour dénoncer cette « prise d’otages », l’ONU qui rappelle que le droit d’asile est un « droit fondamental, pas un crime », mais aussi l’écrivain antimafia Roberto Saviano qui estime que « c’est un cas grave et illégal de séquestration de personnes ».
      Trois juridictions siciliennes ont d’ailleurs ouvert une enquête sur le Diciotti pour associations de malfaiteurs visant le trafic d’êtres humains et pour séquestration de personnes.
      En charge de cette dernière enquête, le procureur d’Agrigente était monté mercredi à bord du Diciotti. Il avait alors évoqué le cas des 29 mineurs présents sur le navire estimant qu’ils « avaient le droit d’être débarqués » en vertu des conventions internationales et de la loi italienne sur les mineurs non accompagnés.

      http://fr.euronews.com/2018/08/23/la-prise-d-otage-du-diciotti-denoncee-29-mineurs-autorises-a-debarquer

    • A Catane, les migrants du « Diciotti » patientent dans un silence irréel

      Une flottille de voiliers traverse le port de Catane, en Sicile. A en croire les cris du moniteur et la trajectoire zigzagante des Optimist, il s’agit de débutants. Avec nonchalance, ils dépassent le navire amarré, estampillé « Guardia Costiera ». Puis, prennent le large, narguant le grand bateau blanc, bloqué à quai.

      De fait, le Diciotti, patrouilleur des gardes-côtes italiens, est au cœur d’un imbroglio international depuis qu’il a sauvé 177 migrants qui se trouvaient sur une embarcation en Méditerranée, entre Malte et l’île italienne de Lampedusa, mi-août. Coincé cinq jours au large de Lampedusa, le navire a enfin pu accoster à Catane, le 20 août au soir. Mais ses passagers n’ont toujours pas le droit de débarquer.

      Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Salvini, résume ainsi les termes du chantage qu’il leur fait subir : « Soit l’Europe commence à agir sérieusement en défendant ses frontières et en répartissant les migrants, soit on les ramène dans les ports où ils sont partis, tweetait-il le 21 août. L’Italie a déjà joué son rôle, quand c’est trop, c’est trop. »
      « Creuses promesses »

      Saisie, la Commission européenne a assuré s’activer pour obtenir une répartition entre plusieurs pays, mais aucune solution n’était encore en vue mercredi 22 août au matin. Le chef de la Ligue (extrême droite) accuse dans le même temps Malte d’avoir « accompagné » l’embarcation des migrants « vers les eaux italiennes », au lieu de les sauver. « Avec ces gouvernants italiens, on ne peut plus avancer », contre-attaque le premier ministre maltais, Joseph Muscat. « Ces crises requièrent des actions concrètes et du sang froid, pas de creuses promesses et de la propagande », a-t-il écrit à la Commission européenne, d’après le quotidien italien La Stampa.

      A mille lieues de ce tapage, c’est dans un silence presque irréel que patiente le Diciotti. Sur le pont, les passagers s’abritent du soleil sous une grande bâche. Combinaisons blanches et masques de la même couleur, des hommes s’activent à leurs côtés ; ce sont probablement des membres de la guardia costiera, eux aussi interdits de descente. Impossible d’en avoir le cœur net, car l’accès au bateau est bloqué par deux voitures et quatre camionnettes – une de la police, deux des carabiniers, une des gardes-côtes. Elles sont aussi statiques que leurs occupants sont mutiques. De temps en temps, un hélicoptère survole les lieux.

      A l’entrée du port, des associations protestent contre le blocage du Diciotti : Welcome to Europe, Réseau antiraciste catanais, Città Felice, Ragnatela… Beaucoup de noms mais bien peu de monde en ce 21 août : une poignée de personnes, regroupées derrière deux maigres bannières, manifestent leur soutien aux migrants. « On est là depuis hier soir, on se relaie, et on ne lâche pas tant que la situation ne se sera pas débloquée », prévient le militant Giusi Milazzo.

      Climat xénophobe

      « Catane a toujours été une ville ouverte. Mais depuis l’été 2015, la ville héberge le siège italien de Frontex [l’agence européenne de gardes-frontières] et tout a changé, regrette Adolfo Di Stefano, le leader du Réseau antiraciste catanais. Avant, on pouvait accueillir les migrants à la sortie du bateau, on leur distribuait le règlement de Dublin [sur l’accueil des demandeurs d’asile]. Maintenant, on ne peut pas s’en approcher. »

      Le militant a du mal à comprendre les raisons du climat xénophobe qui s’est installé dans sa ville, dont le maire (Forza Italia, centre droit), élu en mai, a reçu l’onction de M. Salvini : « C’est de ce même port que partaient, au XXe siècle, les émigrés siciliens. Et aujourd’hui encore, les jeunes continuent de s’en aller. Ils sont 250 000 à avoir quitté le pays l’année dernière, contre 119 000 migrants qui sont arrivés. Ce n’est pas comme si on manquait de place. »

      En mai 2017, M. Di Stefano s’est interposé lorsque les activistes d’extrême droite de Generazione Identitaria ont tenté de bloquer l’Aquarius, le navire de sauvetage de l’ONG SOS Méditerranée. Cela lui a valu insultes et menaces, mais aussi quelques marques de sollicitude. « Les canotiers nous ont prêté des canoës, assure-t-il. Un bar du coin nous faisait des prix d’amis. »
      « L’Europe doit assumer »

      A Catane comme dans le reste du pays, la solidarité est cependant devenue une denrée rare. Depuis la société d’aviron du port, installé sur un rameur, Francesco surveille les militants avec méfiance. « J’en ai fait, des opérations en mer, j’en ai sauvé des gens, j’ai même vu beaucoup de morts. En fait, depuis 2017, je ne fais que ça, déplore ce fonctionnaire de la marine militaire. On fait des sacrifices, on est mal payés, on garde ces gens chez nous, alors qu’il n’y a pas de travail pour nos enfants. L’Europe doit assumer ses responsabilités. »

      Dans la minuscule pièce qui fait office de bureau pour la coopérative d’assistance aux bateaux, Giacomo Molini déroule les pages Facebook de Matteo Salvini et du ministre italien des transports, Danilo Toninelli. « Depuis que Salvini est là, on a de moins en moins de débarquements, et vous savez pourquoi ? Parce qu’il a raison : il faut avoir une poigne de fer avec les migrants », selon cet ancien pêcheur.

      « Il y a une propagande tellement forte sur les réseaux sociaux autour des débarquements que les Siciliens oublient les vrais problèmes : la Mafia, une santé publique déficiente, des autoroutes dans un état minable », se désole Lorenzo Urciullo, plus connu sous le nom de Colapesce. Début août, ce chanteur basé à Catane a participé à la campagne « Solo in Cartolina » (« en carte postale seulement ») : 10 000 cartes postales montrant des naufragés en détresse ont été envoyées à Matteo Salvini. Manière de répondre au ministre de l’intérieur qui, à la suite de la crise de l’Aquarius, avait affirmé : « Cet été, les ONG ne verront l’Italie qu’en carte postale. »


      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/08/22/a-catane-177-migrants-retenus-a-bord-du-diciotti_5344916_3214.html ?

    • Italie : des garde-côtes et 177 migrants bloqués depuis jeudi au large de Lampedusa

      Un navire des garde-côtes italiens est bloqué depuis jeudi 16 août au large de Lampedusa avec à bord 177 migrants secourus entre Malte et l’île italienne, alors qu’aucun pays ne souhaite les accueillir.

      Le ministre italien de l’intérieur, Matteo Salvini (extrême droite), avait critiqué l’initiative des garde-côtes italiens, qui sont intervenus sur un bateau relevant selon lui des autorités maltaises. L’embarcation avec au départ 190 migrants à bord est en effet passée mercredi par la zone de recherches et de secours (SAR) maltaise, mais selon La Valette, les personnes à bord ont refusé toute aide et poursuivi leur route vers Lampedusa.

      Ils ont ensuite été pris en charge dans la nuit de mercredi à jeudi par le navire Diciotti des garde-côtes italiens, qui ont évacué en urgence 13 personnes vers l’hôpital de Lampedusa mais attendent depuis jeudi soir au large de l’île italienne l’autorisation de débarquer les autres. Selon des médias italiens, le ministre des affaires étrangères, Enzo Moavero, a entamé des discussions avec d’autres pays européens pour trouver une solution.

      « Les partenaires européens comptent laisser l’Italie seule »

      Alors que M. Salvini refuse toujours que le bateau accoste en Italie, les services de son ministère ont choisi jeudi soir de faire planer la menace d’une nouvelle volte-face sur le dossier de l’Aquarius qui est arrivé le 15 août à Malte avec à son bord 141 migrants. Ces derniers ont ensuite été répartis entre la France, l’Allemagne, l’Italie, le Luxembourg, le Portugal et l’Espagne, grâce à un accord entre ces pays.

      Lire aussi : Entre deux Tweet xénophobes, Salvini accueille des migrants

      « Les partenaires européens comptent laisser l’Italie seule en lui imposant un bateau avec 170 personnes. Si c’est vraiment leurs intentions, Rome remettra en question la possibilité de participer à la redistribution des personnes qui étaient à bord de l’Aquarius, comme l’a annoncé Malte au cours des dernières heures », assure le ministère dans un communiqué

      En juillet, le Diciotti, envoyé surveiller de loin 450 migrants entassés sur une barque de pêche entre Lampedusa et Malte, les avait déjà recueillis alors que le gouvernement leur demandait d’attendre que Malte s’en charge.

      « Nous sommes des marins, des marins italiens. Nous avons 2 000 ans de civilité derrière nous et ces choses-là, nous les faisons », avait déclaré quelques jours plus tard le commandant des garde-côtes, l’amiral Giovanni Pettorino. Les 450 migrants étaient restés trois jours à bord du Diciotti, jusqu’à ce que M. Salvini les laisse débarquer en Sicile après avoir obtenu que d’autres Etats européens en accueillent une partie.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/08/18/italie-des-garde-cotes-et-177-migrants-bloques-depuis-jeudi-au-large-de-lamp

    • Les migrants du « Diciotti », bateau bloqué cinq jours à Catane, enfin autorisés à débarquer

      Les 150 migrants qui se trouvaient à bord du Diciotti, un bateau des garde-côtes italiens bloqué depuis cinq jours dans le port sicilien de Catane, avaient tous quitté le navire dimanche 26 août au matin, une solution ayant été trouvée la veille pour leur prise en charge.

      Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Salvini, avait annoncé, samedi 25 août, que les migrants qui étaient encore bloqués à bord du navire Diciotti depuis son arrivée lundi à Catane, en Sicile, seraient autorisés à débarquer « dans les prochaines heures ». « Une grande partie sera hébergée par l’Eglise italienne, par les évêques qui ont ouvert leurs portes, leur cœur et leur portefeuille », a-t-il déclaré au cours d’une réunion politique dans le nord de l’Italie.

      Le Diciotti, un navire des gardes-côtes italiens, avait procédé à une opération de sauvetage il y a une dizaine de jours. Dans un premier temps, les autorités sanitaires du port de Catane avaient autorisé le débarquement pour raison de santé de seize personnes – onze femmes et cinq hommes – auxquelles s’était ajouté un sixième homme, malade lui aussi, portant le total à dix-sept personnes. Plusieurs médecins et inspecteurs du ministère de la santé étaient montés à bord dans la matinée pour contrôler l’état de santé des rescapés.
      « Ils ne nous arrêteront pas »

      De son côté, la cour de justice de Palerme s’est saisie d’une enquête visant notamment M. Salvini pour « séquestration de personnes, arrestations illégales et abus de pouvoir » dans cette affaire, ont annoncé, samedi soir, les médias italiens. Le chef de cabinet du ministre, Matteo Piantedosi, est également visé.

      Comme la Constitution italienne interdit aux tribunaux habituels de se charger de ce type d’affaire, l’enquête a été transmise à un « tribunal des ministres », chargé depuis la cour de Palerme de traiter de potentiels délits commis par des membres du gouvernement sur la juridiction sicilienne.

      « Ils ne nous arrêteront pas. C’est une honte », a immédiatement réagi M. Salvini, par ailleurs chef de file du parti d’extrême droite La Ligue, depuis la ville de Pinzolo, où il tenait une réunion politique. « Ils peuvent m’arrêter moi, mais pas la volonté de 60 millions d’Italiens », a ajouté le ministre.
      Nombreuses critiques

      Luigi Patronaggio, le procureur du parquet d’Agrigente, avait d’abord ouvert, vendredi, une enquête de justice, cherchant à comprendre la chaîne de commandement ayant mené à l’interdiction du débarquement des 150 migrants secourus par les gardes-côtes.

      M. Salvini, tenant d’une ligne dure envers les migrants, avait réagi le jour même à l’annonce de cette première enquête, demandant au magistrat de l’interroger directement. « Il devrait m’interroger moi et non pas demander des éclaircissements à des fonctionnaires qui exécutent les directives données par le responsable, c’est-à-dire moi », avait déclaré le ministre.

      De nombreuses critiques, venant de tous bords, pleuvent depuis des jours sur M. Salvini. L’une des plus dures a été formulée par l’archevêque d’Agrigente, le cardinal Francesco Montenegro : « Parfois, il m’arrive de penser que s’il s’était agi d’animaux, on les aurait mieux traités », a-t-il déclaré samedi au quotidien La Stampa.
      « La solidarité européenne est importante »

      Depuis Genève, le Haut-Commissariat de l’ONU pour les réfugiés (HCR) a lancé, samedi, « un appel aux Etats membres de l’Union européenne [UE] pour qu’ils offrent d’urgence des places de réinstallation » aux migrants du Diciotti, exhortant Rome « à autoriser [leur] débarquement immédiat ».

      Le seul soutien de l’UE est venu samedi soir de l’Irlande, qui, par la voix de son ministre des affaires étrangères Simon Coveney, a offert de prendre en charge 20 à 25 migrants. « La solidarité européenne est importante », a souligné le chef de la diplomatie irlandaise.

      L’Albanie, un pays qui n’appartient pas à l’UE, a donné son accord pour en accueillir vingt. En début de soirée, le ministère des affaires étrangères italien, Enzo Moavero Milanesi, a remercié sur Twitter « l’Albanie pour sa décision d’accueillir vingt réfugiés du Diciotti, un signal de grande solidarité et de grande amitié ».

      Après avoir menacé, vendredi, l’UE « de payer moins » pour le budget communautaire en raison de l’absence de solidarité, ce dernier est revenu à la charge samedi en promettant que « l’Italie ne votera pas lorsqu’il faudra l’unanimité pour adopter le budget ».


      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/08/25/italie-douze-migrants-du-diciotti-autorises-a-debarquer-en-sicile-pour-raiso

    • Pour compléter la compilation, voici les liens envoyés par Sara Prestianni, toujours via la mailing-list Migreurop :
      – La Procure de Agrigento met sous enquête le Ministre Salvini et son chef de cabinet pour séquestration de personne, abus d’office et arrestation illegale dans le cas Diciotti. Les actes ont été transférés à la Procure de Palerme puisque puisse les envoyer au tribunal des ministres.
      en ENG -> https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/24/diciotti-il-report-della-guardia-costiera-una-nave-fantasma-maltese-ha-portato-il-barcone-verso-la-zona-sar-italiana/4578569

      – ici la reconstruction des operation de sauvetage et des tensions Malte/Italie sur le cas Diciotti : https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/24/diciotti-il-report-della-guardia-costiera-una-nave-fantasma-maltese-ha-portato-il-barcone-verso-la-zona-sar-italiana/4578569

      – Salvini annonce que les migrants seront “redistribué” entre Albanie, Irlande et plus de 100 seront pris en charge par la CEI (l’Eglise Catholique)
      https://www.corriere.it/politica/18_agosto_25/diciotti-salvini-se-ue-non-risolve-veto-bilancio-farnesina-l-albania-pronta
      Cette solution sonne surreale : tant le fait d’envoyer des erytréens en Albanie mais aussi pour la CEI qui, de fait se trouve en territoire italien ….
      Du moment que il se trouvent sur un bateau italien - donc en territoire italien - et surtout ceux qui seront pris en charge par l’église italiennes les réfugiés de la Diciotti ont le droit de demander l’asile en Italie et c’est l’Italie qui doit être responsable pour leur accueil.
      La menace de l’autre VicePresident du Conseil Di Maio pour la réponse negative de l’UE dans la redistribution des migrants de la Diciotti vue comme un chantage est celle de ne pas voter le bilan UE ...

      – Mardi prochain Salvini rencontre Orban à Milano. Ambiguïté pour une rencontre qui a été annoncé comme politique mais pas institutionnel mais qui surement se focalisera sur une alliance italo/hongrois sur la migration.
      La société civile italienne - qui a démontré sa capacité de mobilisation hier au port de Catane - a annoncé une manifestation pour mardi à Milano.
      http://www.adnkronos.com/fatti/politica/2018/08/25/salvini-orban-non-incontro-istituzionale_WalFIXn1NA6IzNX33puN9O.html

    • Salvini indagato per la «Diciotti», spunta sentenza Ue su caso simile

      La Corte europea dei diritti dell’uomo, due anni fa, si è pronunciata condannando l’Italia per il trattenimento illegale di tre migranti tunisini: la Procura di Agrigento ha allegato il verdetto agli atti dell’inchiesta sul leader della Lega trasmessi ai colleghi di Palermo.

      Le leggi italiane sul trattenimento dei migranti irregolari sono imprecise. E l’ambiguità legislativa che ne deriva «ha dato luogo a numerose situazioni di privazione della libertà». Il giudizio è netto e arriva dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che, due anni fa, si è pronunciata, condannando l’Italia, per il trattenimento illegale di tre migranti tunisini, prima nel centro di accoglienza di Lampedusa, poi a bordo di due navi. Un caso che, per i magistrati agrigentini, sarebbe una «fotocopia» di quello della nave Diciotti costato al ministro dell’Interno Matteo Salvini e al suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi le accuse di sequestro di persona, sequestro di persona a scopo di coazione, abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio e arresto illegale.

      Tanto la vicenda somiglia a quella dei profughi soccorsi dalla Guardia costiera il 16 agosto e costretti a restare per giorni a bordo della Diciotti, che la Procura di Agrigento ha allegato il verdetto Cedu agli atti dell’inchiesta sul leader della Lega trasmessi ai colleghi di Palermo. Il provvedimento della Corte di Strasburgo, emesso il 15 dicembre del 2016, è dunque ora a disposizione dei pm del capoluogo - il fascicolo è intestato al procuratore Francesco Lo Voi e all’aggiunto Marzia Sabella - che, con le loro deduzioni dovranno inviare le carte al Tribunale dei ministri visto il coinvolgimento di un esponente dell’esecutivo. I magistrati possono anche modificare i reati ipotizzati.

      La sentenza di Strasburgo, che nasce dal ricorso di tre tunisini soccorsi nel 2011 nel Canale di Sicilia, rimasti giorni nel Cpa di Lampedusa e poi, in attesa del rimpatrio, trattenuti sulle navi Audacia e Vincent, sembra «sposare» l’ipotesi, tra quelle formulate dai magistrati di Agrigento, del sequestro di persona, e non del sequestro di persona a scopo di coazione. Quest’ultima infatti, pure attualmente contestata agli indagati, richiederebbe un dolo specifico al momento non riscontrabile.

      «Il trattenimento in un Centro di accoglienza - dicono i giudici della Cedu che hanno riconosciuto ai tre tunisini 10 mila euro di risarcimento per la violazione dell’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo - sfugge al controllo dell’autorità giudiziaria, il che, anche nell’ambito di una crisi migratoria, non può conciliarsi con lo scopo della norma che prevede che nessuno sia privato della sua libertà in maniera arbitraria». «Le considerazioni sopra esposte - spiegano - bastano alla Corte per concludere che la privazione della libertà dei ricorrenti non soddisfaceva il principio generale della certezza del diritto e contrastava con lo scopo di proteggere l’individuo dall’arbitrarietà».

      Secondo la Cedu, «i ricorrenti non solo sono stati privati della libertà in assenza di base giuridica chiara ed accessibile, ma non hanno nemmeno potuto beneficiare delle garanzie fondamentali dell’habeas corpus, enunciate, ad esempio, nell’articolo 13 della Costituzione italiana che prevede che la restrizione della libertà personale deve fondarsi su un atto motivato dell’autorità giudiziaria, e le misure provvisorie adottate, in casi eccezionali di necessità e urgenza, dall’autorità di pubblica sicurezza, devono essere convalidate dall’autorità giudiziaria entro un termine di 48 ore».

      https://www.lasicilia.it/news/cronaca/185808/salvini-indagato-per-la-diciotti-spunta-sentenza-ue-su-caso-simile.html

    • Cei, migranti Diciotti nel centro di Ariccia/ Ultime notizie, don Maffeis “Non sia la soluzione al problema"

      Il centro #Auxilia della #CEI di #Ariccia accoglie 100 migranti Diciotti/ Ultime notizie: “Non guardiamo altrove", aveva confessato il numero uno della Conferenza Episcopale Italiana, Bassetti.

      Sono stati accolti nel centro Cei di Ariccia, cento dei migranti che fino a pochi giorni fa erano sulla nave Diciotti. A riguardo ha parlato don Ivan Maffeis, sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali, che all’agenzia dei vescovi italiani, la Sir, ha fatto capire di come questa sia una soluzione solo “tampone”: «Questa è una risposta di supplenza – ammette Maffeis - non è ‘la risposta’. La risposta di un Paese democratico matura attraverso ben altri processi. La Chiesa italiana – ha comunque fatto sapere Maffeis - è disposta a prendere tutti quelli che hanno necessità». Il dirigente della Cei ha poi voluto sottolineare come la Chiesa italiana accolga già oltre 26mila persone nelle sue strutture, e che a breve i migranti presenti nel centro di Ariccia verranno smistati nelle diocesi di Torino, Brescia, Bologna, Agrigento, Cassano all’Jonio, Rossano Calabro, e probabilmente altre se ne aggiungeranno. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
      IL CENTRO CEI DI ARICCIA NE ACCOGLIE 100

      Ben cento dei migranti presenti fino a poche ore fa sulla nave Diciotti della Guardia Costiera italiana, sono stati accolti dalla Chiesa e precisamente dal centro Auxilia delle CEI presente ad Ariccia, in provincia di Roma. Dopo che il governo italiano ha autorizzato lo sbarco, anche il Vaticano è voluto intervenire, ospitando parte dei profughi soccorsi dal pattugliatore. A breve verranno poi smistati presso le diocesi che hanno dato la loro disponibilità, dal nord al sud della nostra penisola. Una scelta decisamente condivisibile quella della chiesa, alla luce anche della nota di poco più di un mese fa, diffusa dal numero uno della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, che sul tema dell’immigrazione aveva spiegato: «Rispetto a quanto accade non intendiamo volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
      IL COMMENTO DEL VESCOVO RASPANTI

      Vicepresidente per il Sud della Conferenza episcopale Italiana, il vescovo di Acireale Antonino Raspanti è intervenuto ai microfoni di Avvenire per commentare il caso della Nave Diciotti, con la Cei che ospiterà 100 migranti a Rocca di Papa. Ecco le sue paroole: “Non c’è dubbio che la situazione sia complessa. Ma bisogna avere il coraggio di entrare nella complessità se vogliamo capire cosa sta accadendo davvero e quali principi siano in discussione. Non servono toni divisivi, ma capacità di ascolto e dialogo”. Il vescovo di Acireale ha poi analizzato il dibattito degli ultimi giorni: «Quello dell’immigrazione è un problema complesso che non si può affrontare con risposte banali e frasi fatte. È complesso sia all’interno, cioè in nel nostro amato Paese, come pure in Europa, perché richiede la capacità di soccorrere, di accogliere, ma anche di ascoltare i cittadini quando esprimono disagio. Occorre farlo con sapienza, perché non prevalga la reazione ideologica, aggressiva, che in fondo finisce (magari in modo non voluto) per alimentare divisioni. Ma è un problema complesso soprattutto all’esterno, penso in particolare all’Africa, da dove centinaia di migliaia di persone fuggono da conflitti, carestie, da un contesto nel quale la violenza e il sopruso, per interessi politici ed economici, sembrano talvolta non lasciare speranza. Si tratta di persone che provengono o attraversano “Paesi polveriera”, come sono la Libia, il Niger, il Sudan ed altri. Senza guardare alla globalità della questione, temo che finiremo per peggiorare le cose», invitando a «non strumentalizzare la vita umana». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
      UNHCR: «MA LA PROSSIMA VOLTA?»

      Il caso della Diciotti è ufficialmente chiuso: sia sul fronte politico, con la Procura di Agrigento che a passato gli atti al Tribunale dei Ministri dopo aver iscritto nel registro degli indagati il ministro Salvini; sia sul fronte sociale, con i migranti ripartiti tra la Cei (quasi tutti) l’Albania e l’Irlanda. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) Filippo Grandi commenta soddisfatto per la fine dell’emergenza a bordo della nave Diciotti, ma si chiede cosa potrà accadere la prossima volta, con la prossima nave. «L’agenzia Onu elogia i Paesi e le organizzazioni che hanno dimostrato solidarietà offrendo di accogliere coloro che erano rimasti a bordo, ma allo stesso tempo l’Unhcr continua ad incoraggiare la messa in atto di accordi prestabiliti e prevedibili per la gestione delle persone soccorse in mare nella regione mediterranea, e sollecita gli Stati ad accelerare gli sforzi per mettere in atto tali accordi». Solo nel 2018, spiega ancora l’agenzia Onu, sono morte più di 1600 persone nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste Ue: «La vita di rifugiati e richiedenti asilo è messa in pericolo mentre gli Stati sono impegnati in discussioni politiche per trovare soluzioni a lungo termine. La situazione della nave Diciotti è ora risolta, ma cosa succederà la prossima volta? Abbiamo bisogno di un approccio europeo collaborativo e prevedibile nei confronti delle persone soccorse in mare», conclude Grandi.
      PAPA FRANCESCO: “SARANNO INTEGRATI A ROCCA DI PAPA”

      Da alcune ore si è concluso l’incubo per i migranti a bordo della nave Diciotti, dopo giorni di attesa. Nella notte tra il 25 ed il 26 agosto sono finalmente sbarcati a Catania dopo essere rimasti cinque giorni a bordo dell’imbarcazione della Guardia costiera, ormeggiata al molo etneo. Dopo un estenuante braccio di ferro politico, però, la situazione si è finalmente sbloccata. Sono 143 i migranti condotti nell’hotspot di Messina e in attesa ora di essere trasferiti nelle strutture messe a disposizione dalla Chiesa. Gli altri, in un numero nettamente inferiore, saranno invece equamente distribuiti tra Albania e Irlanda. I migranti della Diciotti accolti dalla Chiesa saranno comunque «integrati»: lo ha fatto sapere Papa Francesco, nel corso della conferenza stampa che si è tenuta nelle passate ore sul volo di ritorno da Dublino. Bergoglio si è rivolto poi con una battuta ai giornalisti e, come riferisce RaiNews, ha aggiunto: «Io non ho messo lo zampino, lo zampino lo mette il diavolo». Quindi ha chiarito che il merito di ciò che è stato fatto con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, va attribuito a padre Aldo Buonaiuto e alla Conferenza Episcopale. Il Papa ha poi specificato quale sarà il destino dei migranti, i quali saranno accolti a Rocca di Papa presso «Mondo Migliore», Centro di Accoglienza Straordinaria (Cas), a sud della Capitale e che in passato era un centro congressi gestito dai padri oblati. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
      CHIESA SFIDA IL GOVERNO

      La Conferenza Episcopale Italiana ieri sera, nel pieno del caos per la vicenda dei migranti sulla nave Diciotti della Guardia Costiera (qui tutti i dettagli dei 137 migranti sbarcati nella notte a Catania), ha preso una decisione molto importante e dal forte significativo umanitario, prima di tutto, e poi anche politico. «La Chiesa italiana garantirà l’accoglienza a un centinaio di migranti della nave Diciotti. L’accordo con il Viminale è stato raggiunto per porre fine alle sofferenze di queste persone, in mare da giorni»: poco prima era stato lo stesso Ministro Salvini, che nelle scorse ore è stato indagato proprio per la gestione del caso Diciotti (arresto illegale, sequestro di persona e abuso di ufficio, ndr) aveva spiegato dal palco della Lega a Pinzolo «Gli immigrati a bordo della Diciotti sbarcheranno tutti nelle prossime ore», annuncia al suo arrivo alla festa della Lega a Pinzolo. E «gran parte saranno ospitati dalla Chiesa italiana, dai vescovi, che ringrazio». 100 di quei rifugiati verranno dunque accolti all’interno delle varie Diocesi italiane, mentre 20 andranno in Albania e gli ultimi 20 in Irlanda (dove ora è impegnato proprio Papa Francesco per il Meeting delle Famiglie).
      LA “SPINTA” DI PAPA FRANCESCO

      «Non si può fare politica sulla pelle dei poveri», ha spiegato a Sky Tg24 lo stesso Maffeis, quando poco prima il Presidente Bassetti aveva rilanciato il dover di accogliere persone disagiate e da tempo in mare dopo «gli orrori della guerra e della fame. L’Europa e l’Italia non possono essere lasciate sole nel gestire un’emergenza umanitaria del genere, ma detto questo quando si vedono persone in difficoltà come quelle sulla nave Diciotti il primo dovere è l’accoglienza». Secondo alcuni osservatori, una spinta decisa per l’accoglienza della Cei ai migranti - in aperta sfida al Governo gialloverde - potrebbe essere arrivata proprio da Dublino: secondo De Marchis su Repubblica, «Il Vaticano era pronto anche ad allestire un campo profughi. Nel suo territorio, a Santa Maria di Galeria, pochi chilometri da Roma, dove ci sono le antenne radio dismesse di Radio Vaticana. Poi, in una riunione convocata d’urgenza venerdì nella Santa Sede si è deciso che la collocazione degli immigrati della Diciotti sarebbe toccata alla Conferenza episcopale italiana, cioè ai vescovi e alle strutture delle diocesi sul territorio italiano». Il Papa ha dato il suo consenso e l’iter è scattato: risultato, ora i migranti sono tutti sbarcati e il “caso mediatico” per il momento almeno è terminato.

      http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2018/8/26/Cei-accoglie-100-migranti-della-Diciotti-Chiesa-sfida-il-Governo-non-si-fa-politica-sulla-pelle-dei-poveri-/836222

    • Diciotti, 50 migranti irreperibili. Tensione Chiesa-Governo, la Caritas: non sono detenuti

      Sono una cinquantina i migranti della Diciotti che si sono resi irreperibili. Alcuni casi sono stati segnalati già alle prefetture di competenza. Diversi si sono allontanati dal centro di Rocca di Papa individuato dalla Cei prima di partire verso le diocesi ospitanti, altri hanno fatto perdere le loro tracce una volta arrivati nei vari centri Caritas.

      Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha commentato: «Più di 50 degli immigrati sbarcati dalla Diciotti erano così ’bisognosi’ di avere protezione, vitto e alloggio, che hanno deciso di allontanarsi e sparire! Ma come, non li avevo sequestrati? È l’ennesima conferma che non tutti quelli che arrivano in Italia sono ’scheletrini che scappano dalla guerra e dalla fame’. Lavorerò ancora di più per cambiare leggi sbagliate e azzerare gli arrivi».

      Nel dettaglio, a quanto si apprende da fonti del Viminale, 6 si sono allontanati il primo giorno di trasferimento, cioè venerdì 31. A questi si aggiungono 2 eritrei destinati alla Diocesi di Firenze che sono si sono allontanati in data 2 settembre; altri 19 il cui allontanamento è stato riscontrato il 3 settembre, e 13 il cui allontanamento è stato riscontrato ieri ed erano destinati a varie Diocesi.

      A Bologna, per esempio, aspettavano oggi due giovani eritrei che non sono mai arrivati. A Frosinone erano invece già arrivati, ospiti della Caritas locale, e poi hanno scelto di non presentarsi più al centro di accoglienza. Il conto non sarebbe definitivo.

      Caritas Italiana conferma l’accaduto, ma ci tiene a sottolineare che «è stato allontanamento volontario, non una fuga. Si fugge da uno stato di detenzione e non è questo il caso, nessuno vuole rimanere in Italia, si sa», dice il direttore don Francesco Soddu.

      «Queste persone - spiega il sacerdote che in queste ore ha gestito per la Cei l’accoglienza - davanti ad una situazione di affidamento, o prima o dopo avrebbero potuto scegliere di allontanarsi volontariamente» perché la struttura che li accoglie non ha il compito di trattenerli. I migranti, ovunque verranno trovati, in Italia o anche all’estero, «potranno chiedere asilo - dice don Soddu - ricominciando quella procedura che era stata avviata nelle nostre strutture».

      I migranti che si sono allontanati si erano limitati a «manifestare l’interesse per formalizzare la domanda d’asilo», fanno sapere dal Viminale.

      Tutte le persone in questione erano state identificate con rilievi fotodattiloscopici e inserite in un sistema digitale europeo. Controlli anche sulla nazionalità di chi si è allontanato: almeno in 6 provengono dalle Isole Comore.

      Per la cronaca, oggi al centro Mondo Migliore di Rocca di Papa c’era stata una grande festa proprio per i migranti della Diciotti, soprattutto per quelli in partenza verso le varie strutture Caritas. A portare la benedizione di Papa Francesco era stato il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del pontefice, che si è fermato a pranzo portando per tutti gli ospiti presenti dei gelati.

      http://gds.it/2018/09/05/diciotti-50-migranti-irreperibili-tensione-chiesa-governo-la-caritas-non-sono-de
      #disparitions

    • Italie : Matteo #Salvini sous #enquête_judiciaire pour « #abus_de_pouvoir »

      La décision du parquet d’Agrigente est intervenue au moment où la situation des migrants du « Diciotti » trouvait une issue, notamment à cause des pressions du Mouvement des Cinq Etoiles.

      « C’est une honte. Ils peuvent m’arrêter mais ils n’arrêteront pas le changement. » En meeting samedi soir dans le nord de l’Italie, le leader de l’extrême droite Matteo Salvini a durement réagi à sa mise sous enquête par le parquet d’Agrigente. Pour avoir interdit pendant près d’une semaine à une centaine de migrants de débarquer dans le port de Catane alors qu’ils se trouvaient à bord du Diciotti, un navire des gardes-côtes italiens qui les avaient recueillis à proximité de Lampedusa, le ministre de l’Intérieur a en effet appris samedi qu’il était suspecté de « séquestration de personnes, arrestations illégales et abus de pouvoir ».

      En clair, Matteo Salvini et son chef de cabinet sont accusés d’avoir outrepassé leurs attributions et violé la loi. Les normes sur l’immigration prévoient en particulier qu’aucune décision ne peut être prise à l’encontre d’une personne avant que celle-ci n’ait été identifiée et mise dans les conditions de pouvoir déposer éventuellement une demande d’asile ou de protection humanitaire. Or sur le Diciotti figuraient de nombreux Erythréens ainsi que des Syriens, tous jugés de manière expéditive comme des « illégaux » par Matteo Salvini.

      Concrètement, la procédure judiciaire a peu de chances. L’éventuel renvoi devant la justice du ministre nécessite en effet son improbable levée de l’immunité parlementaire au Sénat. « Matteo Salvini ne cherchait que cela […] : se retrouver sous enquête est ce qu’il désirait », s’inquiète l’éditorialiste du quotidien La Stampa.
      « Matteo, ça suffit, trouve une solution »

      Ce qui est sûr, c’est que l’autorisation donnée par le ministre de l’Intérieur pour faire finalement débarquer dans la nuit de samedi à dimanche les migrants du Diciotti est passée au second plan. C’est un appel téléphonique du vice-premier ministre, Luigi Di Maio, du Mouvement des Cinq Etoiles (M5S), à son homologue de la Ligue qui aurait permis de débloquer la situation : « Matteo, ça suffit, trouve une solution. Je ne tiens plus mes troupes. »

      Si Luigi Di Maio soutient pleinement la ligne dure de Matteo Salvini, une partie des responsables des M5S, dont le président de la Chambre des députés, Roberto Fico, critiquent la politique intransigeante du leader d’extrême droite. Après l’annonce de la part de l’Albanie (rejointe par l’Irlande) que Tirana était prêt à accueillir 20 migrants du bateau, Salvini a donc donné son feu vert glissant au passage : « Je remercie le gouvernement albanais qui s’est montré plus sérieux que le gouvernement français. »

      Les autres passagers du Diciotti seront hébergés par l’Eglise catholique. Selon la presse italienne, le pape aurait même été disposé à les accueillir sur le territoire du Vatican mais ils seront finalement repartis dans les différents diocèses italiens. « L’Eglise ouvrira les portes, le cœur et le portefeuille », a résumé Matteo Salvini qui continue de défier l’UE : « C’est l’Europe qui a besoin de l’Italie et non l’inverse. »

      Le gouvernement de Giuseppe Conte menace toujours de ne pas verser sa contribution au budget de la Commission si elle n’obtient pas des concessions notamment sur la question migratoire. « Je pense que les hommes politiques de votre pays devraient comprendre que vous n’êtes pas seuls en ce moment, que l’Europe cherche à vous aider », a répliqué dans les colonnes du Corriere della Sera le commissaire européen à la Migration, Dimitris Avramópoulos. Et de mettre en garde : « Qui attaque l’UE se tire une balle dans le pied. »

      http://www.liberation.fr/planete/2018/08/26/italie-matteo-salvini-sous-enquete-judiciaire-pour-abus-de-pouvoir_167459

    • Processo penale e stato di diritto dopo i soccorsi in mare

      1.Le reazioni all’atto di accusa dei giudici di Agrigento sul caso del blocco in mare e del trattenimento prolungato dei naufraghi soccorsi il 16 agosto scorso dalla nave Diciotti della Guardia costiera italiana fanno chiaramente comprendere i rischi che corre lo stato di diritto nel nostro paese. Non ci riferiamo soltanto alle reazioni spesso scomposte dei media a supporto dell’azione del ministro dell’interno, ma anche a pareri giuridici apparentemente neutrali, riportati dai soliti giornali “bene informati”, magari a firma di qualche autorevole giurista, che tendono a colpire alle fondamenta l’impianto accusatorio del Procuratore di Agrigento che venerdì 31 agosto ha trasmesso il fascicolo d’indagine al Tribunale dei Ministri a Palermo. In arrivo ad Agrigento anche una ispezione decisa dal ministro della Giustizia, silente di fronte agli attacchi che sta subendo la magistratura inquirente, attacchi di cui si occuperà il Consiglio superiore della magistratura nella prossima seduta del 5 settembre, su richiesta di tutte le componenti. E potrebbe essere rimosso anche il capo della Guardia costiera, “reo” di avere consentito troppi soccorsi in acque internazionali.

      Da ultimo il Messaggero pubblica un sondaggio per confermare il supporto popolare a Salvini, senza neppure un accenno critico alla possibilità che il ministro, o altri, possano avere violato leggi e regolamenti. L’indipendenza della magistratura, dunque uno dei valori di base del patto costituzionale, alla mercè dei sondaggisti. Una domanda secca da quale parte schierarsi. La maggioranza degli italiani sembrerebbe scegliere la parte di chi fa ogni giorno una politica basata sull’odio e sugli abusi contro i migranti. Un altro passo verso il “fascismo democratico”, al quale sta contribuendo un apparato mediatico, la Bestia, in grado di controllare ed orientare la comunicazione sui social.

      Nelle posizioni più tecniche a difesa del ministero del’interno, si contesta alla Procura di Agrigento di avere voluto influire sulla linea politica del governo in carica nella attuazione di quello che, sui media è stato definito come “blocco dei porti”, ma che in realtà non è stato mai deciso formalmente da nessun ministro, risultando piuttosto effetto di decisioni trasmesse oralmente a mezzo facebook da Salvini, e da una precisa omissione nella indicazione di un porto di sbarco da parte del ministero dell’interno e del ministero delle infrastrutture. Come è precisato anche nei report periodici della guardia costiera, l’indicazione del porto di sbarco avviene da tempo su indicazione del ministero dell’interno in cordinamento con la Centrale operativa della stessa Guardia costiera (IMRCC).

      Chi oggi contesta che i verbali sull’inchiesta Diciotti sarebbero stati pubblicati impropriamente, circostanza che rimane tutta da dimostrare, potrebbe ricordare a sè, ad ai suoi lettori, che lo scorso anno le relazioni degli agenti infiltrati a bordo della nave Vos Hestia di Save the Children, che poi costituirono i principali testimoni di accusa nell’indagine che portò al sequestro della nave Juventa, ed a successive imputazioni individuali, furono “passate” con mesi di anticipo proprio a Matteo Salvini che le utilizzò per la sua campagna elettorale contro le ONG, rendendo noti elementi di indagine prima che la Procura di Trapani adottasse i provvedimenti di sequestro. Allora nessuno sollevò eccezioni per quella attività di indagine sotto copertura con informazioni riservate trasmesse ai politici, che contro le ONG era una prassi in corso da tempo. Mentre oggi, sia pure in presenza di una grande discrezione da parte delle autorità inquirenti, si cerca di scerditarle battendo sul tasto della pubblicità che sarebbe stata data agli atti di indagine relativi a responsabilità ministeriali. Evidentemente gli obblighi di riservatezza sono valutati in modo diverso a seconda degli imputati.

      Nessuno si interroga su quanto abbiano “influito sulla gestione politica dei controlli di frontiera” le diverse iniziative della magistratura che lo scorso anno mettevano sotto indagine le ONG e diversi operatori umanitari, che avevano salvato la vita a decine di miglliaia di vite di migranti fuggiti dalla Libia e che si trovavano sulle prime pagine dei giornali, prima ancora che negli atti giudiziari, indicati come complici dei trafficanti, taxi del mare, speculatori senza scrupoli su una situazione di bisogno. I magistrati che hanno fatto scattare la criminalizzazione della soldarietà sono stati portati come esempio da certa politica, quella stessa politica che oggi si indigna per accertanenti doverosi che altri magistrati stanno facendo sulla correttezza delle procedure seguite nel caso della nave Diciotti. Il principio di eguaglianza davanti alla legge dovrebbe essere il primo fondamento di uno stato di diritto.

      2 .I fatti a base delle accuse sul trattenimento indebito dei naufraghi sulla Diciotti non sono stati divulgati dalla Procura agrigentina ma sono documentati in due relazioni “informative” inviate alla stessa Procura dal Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, che ha inviato a bordo della nave una delegazione che ha accertato una prima parte dei fatti poi contestati al ministro Salvini. I risultati delle attività di indagine del Garante sono noti e consultabili on line, e su questi si è basata la successiva diffusione di notizie che si è poi attenuta scrupolosamente ai comunicati ufficiali emessi nel rispetto delle regole processuali dalla Procura di Agrigento. Altre visite di parlamentari ed organizzazioni umanitarie che hanno assistito le persone subito dopo lo sbarco, hanno confermato il trattenimento illegittimo a bordo della Diciotti e le pessime condizioni igieniche ed ambientali nelle quali i naufraghi, malgrado il prodigarsi degli uomini della Guardia costiera, sono stati costretti per quasi dieci giorni, per effetto della mancata autorizzazione allo sbarco.

      Come hanno ammesso in diverse occasioni i ministri dell’interno e delle infrastrutture,la libertà personale dei naufraghi soccorsi dalla nave Diciotti e trattenuti a bordo per quasi dieci gioni è stata limitata, anche sotto sorveglianza armata, in attesa che l’Unione Europea adottasse provvedimenti relativi alla loro successiva rilocazione in altri paesi UE, e non per ragioni attinenti alla loro condizione personale, anche perchè trovandosi già su nave italiana dopo una azione di soccorso, era doveroso il loro sbarco dopo i primi esami medici e le procedure di preidentificazione già svolti a bordo della nave.
      Per la Cassazione ( Sez. VI, sent. n. 23423 del 26.03.2010) “il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l’elemento materiale (consistente nella privazione della libertà di un soggetto), ma si differenziano per l’elemento soggettivo, che nel primo caso richiede la volontà dell’agente di tenere la persona offesa nella sfera del suo dominio, mentre nel secondo caso è diretto comunque a mettere la persona offesa a disposizione dell’autorità competente, sia pure privandola della libertà in maniera illegale. (Fattispecie in cui la S. C. ha escluso il meno grave reato di cui all’art. 606 cod. pen., ravvisando quello di sequestro di persona nell’indebito trattenimento di una persona, per alcune ore, presso un posto di polizia ferroviaria).

      Secondo la Cassazione Penale (sez V, sent. 25.07.2017, n. 36885) I pubblici ufficiali che trattengono una persona in caserma con la finalità di raccogliere le loro deposizioni rispondono di sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere (art. 605, co. 2, n. 2, c.p.) e non di arresto illegale (art. 606 c.p.).

      Come ha rilevato l’Unione delle Camere penali in una lettera al Presidente della Repubblica, in base all’art.289 ter del Codice Penale, “chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli 289-bis e 630, sequestra una persona o la tiene in suo potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi, una persona fisica o giuridica o una collettività di persone fisiche, a compiere un qualsiasi atto o ad astenersene, subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni”. L‘Unione delle Camere Penali ha anche osservato che nell’ultimo caso della nave Diciotti “si tratta di una violazione dei più elementari principi costituzionali e della normativa internazionale in materia di Diritti dell’Uomo, sia per la prolungata privazione di fatto della libertà personale delle persone forzatamente trattenute (art. 13 Cost., art. 5 CEDU), sia per le condizioni in cui la detenzione si esplica, costringendole a stazionare promiscuamente sul ponte della nave in condizioni assolutamente non dignitose (art. 3 CEDU)”.

      Se poi si contesta alla Procura di Agrigento di avere ricostruito una decisione riferibile al ministro dell’interno in assenza di un “atto formale e scritto”, si omette di considerare la rilevanza penale che possono assumere i provvedimenti amministrativi adottati attraverso gli ordini verbali, soprattutto se comunicati con mezzi informali, o in assenza dei provvedimenti formali ( indicazione di un porto di sbarco) che si dovevano adottare con la massima tempestività, come previsto dalla Procedura operativa standard (S.O.P.) adottata dal ministero dell’interno a partire dal dicembre 2015, a seguito di due decisioni del Consiglio europeo del settembre dello stesso anno (decisione 1523 del 14 settembre 2015 e 1601 del 22 settembre 2015) . Si dovrebbe poi considerare l’ipotesi che altri soggetti, funzionari, militari o in ipotesi altri ministri, abbiano concorso nei medesimi reati fin qui contestati dalla Procura di Agrigento, alla stregua dell’art. 110 del Codice penale. In queste circostanze anche la comunicazione verbale o a mezzo social media potrebbe assumere rilevanza.

      Non appare configurabile alcuna scriminante come quella che deriverebbe dall’art. 51 del Codice Penale, avere agito in adempimento di un dovere, “imposto da una norma giuridica o da un ordine legitimo di una autorità”. Appare ben strano che da una parte si escluda l’imputabilità del ministro per l’assenza di un provvedimento formale, e da un’altra parte si invochi in suo favore una causa di giustificazione che si basa proprio sulla ricorrenza di un “ordine legittimo di una autorità”. Le norme giuridiche vigenti imponevano ben altro nel caso delle persone soccorse dalla nave Diciotti, e nello stesso caso non vi è traccia di “ordini legittimi dell’autorità”. Si può invece dubitare proprio della legittimità degli ordini impartiti, anche in modo informale, dalle diverse autorità che hanno prima ritardato l’indicazione del porto di attracco e poi lo sbarco a terra dei naufraghi. Ma su questo saranno gli accertamenti della magistratura a fare chiarezza.

      Al termine della procedura operativa (S.O.P.) stabilita per i richiedenti asilo dopo lo sbarco in porto, il richiedente ammesso alla successiva fase di formalizzazione della richiesta ed alle misure di prima accoglienza, riacquista la sua libertà personale, circostanza che nel caso dei naufraghi soccorsi dalla nave Diciotti è stata differita di almeno una settimana. Una settimana di ingiusta privazione della libertà personale, anche nei confronti di donne già sottoposte in Libia a gravi abusi, e di minori non accompagnati, come tali non respingibili in frontiera e tutti aventi diritto quanto meno ad un permesso di soggiorno per minore età. Periodo di tempo che è decorso da quando la nave Diciotti è stata bloccata davanti all’isola di Lampedusa per diversi giorni, senza ricevere la indicazione di un porto di sbarco in Italia, ma con la minaccia addirittura, esternata dallo stesso ministro dell’interno, di procedere ad un respingimento collettivo verso la Libia, qualora l’Unione Europea, o il gruppo di stati dell’Unione, definito come “volenterosi”, non avesse ceduto sulla richiesta di una immediata redistribuzione dei naufraghi, dopo lo sbarco, in diversi paesi europei. Salvini, ha sfidato ancora una volta l’Europa minacciando, come ha riferito l’agenzia di stampa Ansa, di rimandare nuovamente in Libia le persone tratte in salvo dalla Diciotti, al suo quarto giorno di permanenza in rada davanti a Lampedusa. “O l’Europa decide seriamente di aiutare l’Italia in concreto, a partire ad esempio dai 180 immigrati a bordo della nave Diciotti, oppure saremo costretti a fare quello che stroncherà definitivamente il business degli scafisti. E cioè riaccompagnare in un porto libico le persone recuperate in mare”, “ha tuonato senza mezzi termini Salvini” ben prima che la nave arrivasse a Catania. Il reato di illecito trattenimento e di sequestro di persona che si potrebbe configurare in questa ipotesi è quindi caratterizzato dalla “continuità territoriale”. La competenza investigativa, dunque, rimane radicata alla procura che per prima ha aperto il fascicolo.

      Il ministro dell’interno, dopo la trasmissione del fasciclo di indagine al Tribunale dei ministri,, ha poi rinnovato il proposito di procedere nella stessa direzione, ove si dovessero verificare in futuro casi analoghi, magari con qualche respingimento collettivo, in violazione dell’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU, già oggetto di una condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, nel 2012, sul caso Hirsi.

      Le Procedure operative standard previste dopo lo sbarco in porto a seguito di azioni di salvataggio (SAR) non sono state mai recepite integralmente in un provvedimento di legge, ma vengono richiamate dall’art.10 ter del T.U. n.286 del 1998 come modificato nel 2017. Secondo questa norma “Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare e’ condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresi’ effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed e’ assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilita’ di ricorso al rimpatrio volontario assistito. 2. Le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico sono eseguite, in adempimento degli obblighi di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, anche nei confronti degli stranieri rintracciati in posizione di irregolarita’ sul territorio nazionale. 3. Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all’articolo 14. Il trattenimento e’ disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali e’ stato disposto. Si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 14, commi 2, 3 e 4. Se il trattenimento e’ disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e’ competente alla convalida il Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. 4. L’interessato e’ informato delle conseguenze del rifiuto di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2.”

      Se si intendeva adottare una diversa procedura operativa per impedire lo sbarco dei migranti fino ad una decisione dell’Unione europea favorevole alle richieste del governo, in difformità al passato, si sarebbe dovuta adottare almeno una circolare ed adottare un provvedimento formale coerente con gli indirizzi impartiti dall’Unione Europea e con gli obblighi di soccorso in mare sanciti da Convenzioni internazionali che l’Italia ha ratificato, e che dunque non sono derogabili per effetto di un ordine verbale.

      3. Secondo quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo – SAR del 1979 , gli obblighi degli Stati parti non si limitano al salvataggio delle persone in pericolo in mare, ma comprendono anche lo sbarco delle stesse in un “luogo sicuro” (place of safety), come conferma la definizione di soccorso: “[a]n operation to retrieve persons in distress, provide for their initial medical or other needs, and deliver them to a place of safety”. Appare, dunque, evidente che, una volta soccorse, le persone tratte in salvo, compresi i migranti irregolari, debbano essere trasportate e sbarcate in un porto qualificabile come “place of safety”. Questi obblighi riguardano le autorità nazionali di coordinamento e tutte le navi private o militari che battono bandiera dello stato e anche quelle straniere che sono coinvolte nelle operazioni di ricerca e salvataggio, siano operazioni delle ONG o missioni militari come Themis di Frontex o Sophia di Eunavfor Med.

      Nel 2004, l’urgente necessità di individuare un luogo sicuro in cui condurre le pesone soccorse in mare ha indotto il Comitato per la sicurezza marittima dell’IMO a chiarire le procedure esistenti ai fini della sua determinazione. Ciò è avvenuto attraverso l’adozione di due risoluzioni di emendamento, rispettivamente, alla Convenzione SAR e alla Convenzione SOLAS, entrate in vigore nel 2006 per tutti gli Stati parte alle medesime Convenzioni con la sola eccezione di Malta, aventi quali obbiettivi quello di garantire agli individui in pericolo l’assistenza necessaria e di minimizzare le possibili conseguenze negative per l’imbarcazione che presti soccorso. Si tratta di norme che si applicano innanzitutto alle navi private che sono coinvolte in attività SAR ( ricerca e salvataggio) ma gli standard operativi stabiliti a loro riguardo devono trovare applicazione a maggior ragione ai soccorsi operati da mezzi appartenenti alla Guardia costiera italiana.

      Occorre ricordare che al punto 3.1.9 (emendato) della Convenzione SAR del 1979 si dispone:

      «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile.”

      In termini sostanzialmente analoghi, sempre con riferimento alle navi private, l’emendato art. 4.1.1 della Convenzione SOLAS dispone che:
      “Contracting Governments shall co-ordinate and co-operate to ensure that masters of ships providing assistance by embarking persons in distress at sea are released from their obligations with minimum further deviation from the ships’ intended voyage, provided that releasing the master of the ship from the obligations under the current regulation does not further endanger the safety of life at sea. The Contracting Government responsible for the search and rescue region in which such assistance is rendered shall exercise primary responsibility for ensuring such coordination and co-operation occurs, so that survivors assisted are disembarked from the assisting ship and delivered to a place of safety, taking into account the particular circumstances of the case and guidelines developed by the Organisation. In these cases, the relevant Contracting Governments shall arrange for such disembarkation to be effective as soon as reasonably practicable”.

      Con l’entrata in vigore del suddetto emendamento, lo Stato responsabile della zona SAR risulta gravato di un più incisivo obbligo di risultato, e non solo di un obbligo di cooperazione e di condotta.Obbligo di risultato che va garantito innanzitutto attraverso l’impiego tempestivo dei mezzi della guardia costiera, cui spetta il compito di coordinamento degli interventi SAR. Nel caso di navi della guardia costiera la rapidità dello sbarco in un porto sicuro non è indicata espressamente dalle Convenzioni internazionali in quanto rientra nelle finalità istituzionali e nei compiti attuativi demandati ai mezzi del Corpo delle Capitanerie di porto nell’espletamento delle attività di ricerca e salvataggio /SAR).

      La Convenzione SAR 1979 trova rispondenza negli articoli del Codice della navigazione, ma soprattutto nella specifica normativa interna d’implementazione costituita dal D.P.R. 28 settembre 1994 n. 662. L’autorità responsabile per l’applicazione della Convenzione è il Ministro dei trasporti mentre l’organizzazione centrale e periferica è affidata al Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto ed ad relative strutture periferiche. Non si vede quali possano essere le competenze del ministero dell’interno nello svolgimento e nel coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio. Va dunque trovata la fonte degli ordini impartiti alla nave Diciotti nei dieci giorni intercorsi tra il soccorso dei naufraghi 17 miglia a sud di Lampedusa il 16 agosto e lo sbarco degli ultimi rimasti a bordo fino al 26 agosto.

      Il citato decreto 662/94 conferisce alle attuali 15 Direzioni Marittime ed all’Autorità Marittima dello Stretto (Messina) le funzioni di Centri Secondari di soccorso marittimo (M.R.S.C. – Maritime Rescue Sub Center) che assicurano il coordinamento delle operazioni marittime di ricerca e salvataggio, ciascuna nella propria giurisdizione, secondo le direttive specifiche o le deleghe del Centro Nazionale di coordinamento (I.M.R.C.C.).

      In base all’art. 2 del decreto, “l’autorita’ nazionale responsabile dell’esecuzione della convenzione e’ il Ministro dei trasporti e della navigazione”. In base all’art. 5 del decreto, “Il centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo (I.M.R.C.C.), i centri secondari di soccorso marittimo (M.R.S.C.) e le unita’ costiere di guardia (U.C.G.), secondo le rispettive competenze, coordinano o impiegano le unita’ di soccorso. L’I.M.R.C.C. e gli M.R.S.C. richiedono agli alti comandi competenti della Marina militare e dell’Aeronautica militare, in caso di necessita’, il concorso dei mezzi navali ed aerei appartenenti a tali amministrazioni dello Stato. Parimenti le U.C.G. richiedono alle altre amministrazioni dello Stato o a privati il concorso di mezzi navali ed aerei, ritenuti idonei per partecipare alle operazioni di soccorso marittimo secondo le procedure e le modalita’ previste dal decreto del Ministro della marina mercantile 1 giugno 1978,pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 174 del 27 giugno 1979.

      4. Quanto alla mancanza di un arresto illegale che non si sarebbe verificato a bordo della nave Diciotti, perchè… mancherebbe un provvedimento di arresto, altra contestazione opposta alla Procura di Agrigento, si ignora che l’art. 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, alla quale si è attribuita rilevanza immediata anche nell’ordinamento interno, prescrive che la limitazione della libertà personale in vista dell’espulsione o del respingimento si debba verificare sulla base di una previsione di legge, in conformità a quanto previsto dalla legge. E dunque non per effetto di una decisione informale o di una mera prassi fattuale, che limita la libertà della persona sottraendola peraltro alla tutela giurisdizionale, alla concreta possibilità di ricorrrere al giudice per impugnare il provvedimento limitativo della libertà personale. Ammettere che si possa limitare di fatto la libertà personale in assenza di un provvedimento amministrativo e di una specifica previsione di legge, equivale a riconoscere che nel nostro ordinamento esistono soggetti sottratti a qualsiasi giurisdizione, sia pure temporaneamente, esttamente quello che vieta l’art. 13 della Costituzione italiana.

      Come ha osservato il Sindacato Nazionale Forense, “la libertà personale tutelata dalla norma penale di cui all’art. 605 c.p. è un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 13 della Carta Costituzionale, a tenore del quale non è ammessa alcuna forma di restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. E’ evidente come la decisione dei Ministri Salvini e Toninelli nulla abbia a che vedere con un provvedimento dell’autorità giudiziaria ed, ancora una volta, il governo italiano mostra sprezzante il suo spregio per quell’assetto costituzionale che regge il nostro Stato di diritto, la fonte delle garanzie e dei diritti di tutti, che impedisce abusi e soprusi da parte di chiunque si vesta d’autorità per impedire l’esercizio di diritti fondamentali.”

      Il trattenimento del migrante irregolare è un istituto compatibile con quanto previsto dalla CEDU, poiché integra una delle ipotesi tassative che consentono una compressione del diritto alla libertà riconosciuto all’art. 5 CEDU. Nell’intento di evitare un ricorso abusivo alla detenzione dei migranti da parte degli Stati membri, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha elaborato alcuni parametri per valutare la legittimità di una misura detentiva. In ossequio al principio di legalità, la Corte di Strasburgo ha innanzi tutto richiesto che qualsiasi privazione della libertà abbia un fondamento giuridico nella normativa interna dello Stato, la quale deve fornire “adequate legal protection in domestic law against arbitrary interferences by public authorities with the rights safeguarded by the Convention”. Il principio di “regolarità” richiede, invece, che la privazione di libertà sia conforme allo scopo previsto e che via sia un nesso tra la motivazione di quest’ultima e il luogo e le condizioni della detenzione stessa. La legge italiana non prevede alcuna limitazione della libertà personale a bordo di navi militari dopo le operazioni di salvataggio in mare, una colta che siano esaurite le esigenze connesse al compimento delle attività SAR.

      Come ha affermato la Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Khlaifia,per il trattenimento irregolare nel Cpsa di Lampedusa, a prescindere dalla denominazione attribuita a una determinata misura al fine di valutarne la compatibilità con l’art. 5 CEDU, occorre esaminare il contenuto della stessa, la situazione concreta nel suo complesso e tenere conto di un insieme di criteri specifici del suo caso particolare come il genere, la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della misura considerata. Per un commento alla sentenza si veda GILIBERTO, La pronuncia della Grande Camera della Corte EDU sui trattenimenti (e i conseguenti respingimenti) a Lampedusa nel 2011, in Diritto penale contemporaneo, pubblicato il 23 dicembre 2016, disponibile al sito www.penalecontemporaneo.it/d/5123-la-pronu

      Il prolungato trattenimento a bordo della nave Diciotti con limitazione della libertà personale delle persone sottoposte peraltro a sorveglianza armata ha costituito di fatto un temporaneo respingimento in frontiera, paragonabile a quelli adottati nelle zone di transito degli aeroporti. Si ricorda al riguardo che in base all’articolo”19 § 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico illecito di migranti per via terrestre, aerea e marittima («Protocollo di Palermo) ,”Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo status dei Rifugiati e il principio di non respingimento ivi enunciato.” Le esigenze di contrasto dell’immigrazione irregolare non possono dunque prevalere sul rispetto dei diritti fondamentali della persona migrante, a maggior ragione dopo una operazione di salvataggio e nei confronti di persone duramente provate dalla loro permanenza in Libia.

      Particolarmente rilevante risulta il caso Medvedyev deciso nel 2008 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo. La Corte di Strasburgo decidendo in merito a quanto previsto all’art. 5, par. 1, CEDU, ha precisato che:

      “(…) where the ‘lawfulness’ of detention is in issue, including the question whether ‘a procedure prescribed by law’ has been followed, the Convention refers essentially to national law but also, where appropriate, to other applicable legal standards, including those which have their source in international law. In all cases it establishes the obligation to conform to the substantive and procedural rules of the laws concerned, but it also requires that any deprivation of liberty be compatible with the purpose of Article 5, namely, to protect the individual from arbitrariness (…)”. Aggiungendo poi che ” “(…) where deprivation of liberty is concerned it is particularly important that the general principle of legal certainty be satisfied. It is therefore essential that the conditions for deprivation of liberty under domestic and/or international law be clearly defined and that the law itself be foreseeable in its application, so that it meets the standard of “lawfulness” set by the Convention, a standard which requires that all law be sufficiently precise to avoid all risk of arbitrariness (…)

      In ogni caso andrebbe rispettato l’art. 13 del Regolamento 562 del 2006 (Codice Frontiere Schengen), norma direttamente precettiva in Italia, laddove si prescrive che “il respingimento può essere disposto solo con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise. Il provvedimento è adottato da un’autorità competente secondo la legislazione nazionale ed è d’applicazione immediata… le persone respinte hanno il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono disciplinati conformemente alla legislazione nazionale. Al cittadino di paese terzo sono altresì consegnate indicazioni scritte riguardanti punti di contatto in grado di fornire informazioni su rappresentanti competenti ad agire per conto del cittadino di paese terzo a norma della legislazione nazionale”.

      5. L’Habeas Corpus costituisce la base dello stato di diritto ed il suo riconoscimento non può essere piegato alle finalità politiche del governo. Successe già nel secolo scorso e succede oggi in tanti paesi del mondo governati da regimi dittatoriali, non può sucedere in Italia e la magistratura deve vigilare sul rigoroso rispetto di questo principio, sia riguardo icittadini, sia anche riguardo i cittadini stranieri, quale che sia la loro condizione giuridica (regolare o irregolare) se si trovano nel territorio dello stato ( art. 2 del Testo Unico n.286/98 sull’immigrazione).

      I difensori del ministro Salvini dimenticano poi che se è vero che l’attracco in porto può essere negato per ragioni di ordine pubblico questa decisione può essere adottata dal ministro delle infrastrutture e non dal ministro dell’interno, e che in ogni caso queste ragioni di ordine pubblico dovrebbero essere contenute in un provvedimento formale e motivato, e non ricollegarsi di certo ad una trattativa in corso con l’Unione europea sulla ricollocazione dei naufraghi in altri paesi. In base all’ art. 83 (Divieto di transito e di sosta) del Codice della Navigazione è infatti il Ministro dei trasporti e della navigazione e non il ministro dell’interno che puo’ “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”.

      Non è competenza del ministro dell’interno dunque decidere se uno sbarco sia “compatibile con l’ordine pubblico”, soprattutto nel caso in cui lo sbarco debba avvenire da una nave della Guardia costiera dopo una azione di soccorso in mare. Se lo stesso ministro dell’interno ravvisasse una ragione ostativa allo sbarco, ad esempio la presenza di presunti terroristi a bordo, dovrebbe adottare un provvedimento formale da trasmettere al Ministro delle infrastrutture per l’adozione del divieto di cui all’art. 83 della navigazione. Una nave della Guardia costiera italiana, come qualunque altra nave che abbia operato un soccorso, non può essere bloccata in alto mare, come è avvenuto al largo di Lampedusa, o utilizzata come nave prigione dopo l’attracco in porto, quando ormai ha cessato di essere quello che le Convenzioni internazionali definiscono “place of safety temporaneo”.

      Lo stato responsabile ha dunque l’onere di indicare un porto di sbarco sicuro (POS). Nella sentenza pronunciata dal Tribunale di Agrigento il 7 ottobre 2009 relativa al caso Cap Anamur, il collegio giudicante ha ritenuto di specificare che tale “peso” non si riferisce unicamente alle incombenze legate alla somministrazione del vitto e dell’assistenza medica, ma, soprattutto, va rapportato alla necessità di garantire ai naufraghi “il diritto universalmente riconosciuto di essere condotti sulla terraferma!”

      Se il ministro delle infrastrutture o il ministro dell’interno potrebbero anche avere un livello più elevato di discrezionalità nell’ammettere in porto una nave privata dopo una azione di soccorso, questa soglia di discrezionalità si riduce drasticamente quando a bordo della nave si trovano persone non respingibili, già identificate, e in molti casi vulnerabili, come donne in stato di gravidanza e minori non accompagnati- Oppure persone che, con qualunque mezzo, anche a gesti, manifestino la volontà di richiedere protezione, esattamente come si è verificato a bordo della Dicotti e come può essere confermato dalle numerose delegazioni che hanno avuto modo di salire sulla nave attraccata nel porto di Catania o che hanno visitato i migranti a Messina dopo lo sbarco.

      L’unico limite incontrato dalla discrezionalità statale nell’ammissione in porto di una nave privata è rappresentato dalla presenza tra i migranti irregolari soccorsi in mare di rifugiati o richiedenti asilo: lo Stato interveniente e lo Stato costiero devono, infatti, rispettare il principio di non refoulement anche nell’individuazione del luogo ove le operazioni di soccorso in mare possono essere considerate terminate. Appare evidente che nel caso di un soccorso operato da una nave della Guardia costiera, quali che siano le circostanze iniziali dell’intervento, una volta che la nave si trovi all’interno delle acque territoriali, addirittura in porto, nessuna discrezionalità può essere rimessa al ministro dell’interno o al ministro delle infrastrutture per impedire lo sbarco delle persone a terra. Ferma restando l’adozione delle possibili misure di internamento o di allontanamento forzato, se non di ammissione alle procedure di protezione ed al sistema di accoglienza, di competenza del ministero dell’interno nell’ambito del cd. approccio Hotspot e secondon quanto previsto dall’art.10 comma terzo del Testo Unico sull’immigrazione.

      Se il ministro dell’interno non ha adottato alcun provvedimento per ordine di chi ed a che titolo i migranti soccorsi dalla Diciotti sono stati trattenuti per dieci giorni a bordo della nave, mentre potevano essere sbarcati a Lampedusa dai primi due mezzi più piccoli della guardia costiera che li aveva soccorsi a sud dell’isola ? Se il ministero dell’interno ha imposto con un qualsiasi provvedimento anche verbale il blocco della Diciotti, e poi il trattenimento dei migranti a bordo della nave attraccata nel porto di Catania, per quello che è stato definito come uno “scalo tecnico”, come poteva e sulla base di quale norma ordinare tale blocco invadendo la competenza di un’altro ministro ? Una volta sbarcati a terra i migranti della Diciotti attraverso la procedura Hotspot e secondo quanto previsto dall’art. 10 del Testo Unico sull’immigrazione, avrebbero potuto essere ammessi alla procedura di asilo, ricollocati in altri paesi, oppure espulsi o respinti, come avvenuto in altre decine di migliaia di casi fino al mese di giugno di quest’anno, in conformità a leggi nazionali e Regolamenti europei.Perchè si è voluto attendere dieci giorni per lo sbarco ? Era legittima l’esigenza che questa attesa potesse incidere sulle richieste di burden sharing avanzate dall’Italia, i vista di un vertice a Buxelles peraltro privo di alcuna effettiva capacità deliberativa, non trattandosi di un Consiglio Europeo.

      La ricorrenza di un “abuso d’ufficio” o di una “omissione in atti d’ufficio” al di là della considerazione sulla valenza di questo reato che non ne elide la rilevanza penale, non può essere esclusa a priori per il ministro dell’interno, o per altri ministri, all’interno della catena di comando che si doveva occupate dell’attracco in porto e dello sbarco, in nome della discrezionalità che presiede alla indicazione ministeriale di un place of safety alle navi dopo il compimento di attività di salvataggio. Tale discrezionalità può essere esercitata per scegliere il porto di sbarco d’intesa con le prefetture per individuare le soluzioni più idonee di prima accoglienza. Ma non può tradursi nella mancata indicazione di un porto di sbarco ( insita nella indicazione di un porto come “scalo tecnico”) o peggio nell’indebito trattenimento a tempo indeterninato di migranti a bordo. E ricordiamo che in questo caso non si trattava di una nave delle tanto vituperate ONG, ma della nave di punta della nostra Guardia costiera, una nave che fino a due mesi fa ha salvato migliaia di persone soccorse in acque internazionali, sbarcandoie sollecitamente in Italia, come prescritto dal diritto interno e dal diritto internazionale.

      Ricordiamo anche la richiesta di sbarco formulata dalla Procura dei minori di Catania in favore dei minori non accompagnati indebiatamente trattenuti per nove giorni assieme agli adulti a bordo della nave Diciotti. Un trattenimento indebito a fronte dell’art.19 del Testo Unico sull’immigrazione, che non può essere cancellato dallo sbarco avvenuto il 25 agosto scorso solo a seguito della richiesta della magistratura.

      Inutile dire che appare del tutto improprio attribuire alla Procura di Agrigento una richiesta di dimissioni del ministro che non è stata mai formalizzata, essendo rimasta la stessa Procura nel solco della procedura prevista per i cosiddetti reati ministeriali, con la trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri del distretto di Palermo. Per quanto esposto sembra dunque del tutto infondata, anche se ne è chiaro l’intento di delegittimazione dell’operato dei procuratori agrigentini, l’accusa finale che questi avrebbero voluto intervenire su politiche migratorie avallate dal suo elettorato. Come se il ministro dell’interno dovesse rispondere al suo elettorato soltanto e non rispettare strettamente il principio di legalità ed il giuramento sulla Costituzione reso nelle mani del Presidente della Repubblica al momento dell’assunzione fomale del suo incarico. Il consenso popolare non può creare zone franche sottratte al controllo di legalità della magistratura.

      L’accusa-ammonimento finale rivolta al Procuratore di Agrigento di eccessivo “protagonismo” appare del tutto inifluente sugli argomenti giuridici a fondamento delle contestazioni relative al blocco della Diciotti ed al trattenimento illegitimo dei 177 naufraghi che erano rimasti a bordo dopo le prime evacuazioni. Quando le responsabilità possono essere tanto elevate e quando i politici creano la bolla mediatica è difficile che i magistrati possano lavorare con la dovuta discrezione. Certo la stessa accusa di protagonismo non era stata rivolta nei confronti di altri magistrati che lo scorso anno, campeggiavano nelle prime pagine dei giornali nelle inchieste contro le Organizzazoni non governative che salvavano vite in mare, con procedimenti che oggi sono stati archiviati, o fortemente ridimensionati, se non ancora privi di un qualunque sbocco processuale.

      Eppure sembra proprio che il colpo finale all’impianto accusatorio della Procura di Agrigento possa essere dato dagli specialisti delle questioni di competenza territoriale per la possibilità, che qualcuno già sta ventilando, che l’inchiesta possa essere trasferita da Agrigento a Catania, o a Palermo. Su queste scelte,e sulle successive fasi dei procedimenti, non meno che sui comportamenti delle autorità di governo nei confronti della magistratura, si misurerà quanto rimane ancora dello stato di diritto nel nostro paese.

      https://www.a-dif.org/2018/09/02/processo-penale-e-stato-di-diritto

    • Prima di parlare ascoltate John

      La guerra. La fuga. E un anno sotto terra, a desiderare la morte. Una storia come tante. Ma da conoscere, per restare umani.

      Rocca di Papa, centro di accoglienza Mondo Migliore. Massimiliano Coccia e Andrea Billau, giornalisti di Radio Radicale, intervistano John, profugo eritreo di 22 anni. John era sulla Diciotti, la nave della Guardia costiera italiana che per giorni è stata in mare, ostaggio del governo italiano che ha usato il suo carico umano per ricattare l’Europa. Alla fine di questa dolorosa vicenda, i migranti della Diciotti, in larga parte eritrei, sono stati accolti dalla Chiesa italiana, sul suolo italiano. Sono in Italia: li abbiamo dunque accolti.

      La conversazione tra Massimiliano Coccia e John ( si può ascoltare sul sito di Radio Radicale, e consiglio di farlo ) è semplice e permette di capire tanto. John in Eritrea studiava, ma non aveva ancora terminato la scuola quando viene prelevato per fare il servizio militare che, però, non aveva fine. Così John decide di lasciare l’Eritrea, dove sa di non avere un futuro. Dall’Eritrea alla Libia ha dovuto pagare la traversata del Sudan. Il viaggio è costato diciassettemila dollari che non erano i risparmi della famiglia, ma frutto di una colletta tra parenti e amici: si investe su una persona giovane per provare a farle avere un futuro altrove e per avere qualcuno che possa aiutare chi resta in patria. Arrivato in Libia, John viene preso subito in consegna da trafficanti che pretendono da lui 5 mila dollari senza però farlo partire per l’Europa: lo rinchiudono invece sotto terra, dove rimarrà per un anno. È stato il periodo più nero della sua vita. Sedici ragazze hanno partorito in quelle condizioni, sotto terra. E io penso all’espressione “venire alla luce”: John ha visto sedici bambini “venire alla luce” sotto terra, nel posto più lontano dalla luce che si possa immaginare. Nuove vite al buio di una detenzione illegale, forzata e inumana.

      I trafficanti estorcevano continuamente denaro e per spaventare usavano scariche elettriche. John non riesce a trovare le parole per descrivere l’inferno vissuto. Erano tutti libici gli aguzzini, senza divise, tutti armati. Armati anche quando portavano via le donne per violentarle senza che nessuno potesse reagire. C’erano più di quattrocento persone in quella condizione: quattrocento persone da torturare, a cui estorcere denaro. Quattrocento persone disperate e spaventate. Quattrocento persone che subivano senza poter reagire. Per uscire dal bunker si pagava: migliaia di dollari per pochi minuti di aria, mai di libertà. Venti minuti. Non di più. Da quella situazione nessuno pensava di poter uscire vivo. Non c’era cibo, non c’era acqua, non c’era luce e con le torture inferte l’unica speranza era che la fine (anche la morte) arrivasse prima possibile. Arriva la svolta: altri 2.500 euro per partire. Chi può pagare viene separato da chi non ha i soldi, per essere poi riuniti tutti e rivenduti a un nuovo trafficante che chiede altri millecinquecento euro perché inizi davvero il viaggio in mare. Gli spostamenti avvenivano tutti di notte perché i migranti non dovevano essere visibili, eppure al porto non c’era nessuno: né polizia, né Guardia costiera libica. Solo trafficanti.

      Quando comincia il viaggio in mare - dice John - sai che quel viaggio è l’ultimo: o arrivi vivo o resti in mare. Morirai magari in mare, ma ci provi. Il tempo durante la navigazione non è buono, il motore dell’imbarcazione si spegne, poi si riaccende. Poi si avvicina una barca che li rifornisce di acqua e cibo. Giunti nei pressi di Lampedusa, vengono presi in carico dalla Diciotti e lì, nonostante quello che noi abbiamo vissuto dalla terra ferma, nonostante l’indignazione e la rabbia per il “sequestro forzato”, per i migranti finisce l’inferno e ricomincia la speranza. Sulla Diciotti, racconta John, stavano benissimo. Il personale era pieno di umanità, c’era da mangiare e il comandante «è stato come un padre». Quando John è partito dall’Eritrea non credeva di avere scelta, ma non aveva idea dell’inferno libico. Ora vuole solo ricominciare ovunque ci sia pace ed è pieno di gratitudine, gratitudine verso l’Italia e gli abitanti di Catania. Dalla Diciotti guardando a terra, guardando il nostro Paese (mentre scrivo sono pieno di orgoglio) John vedeva persone che erano lì per loro, per difendere i loro diritti e per accoglierli. Dalla Diciotti guardava l’Italia e riusciva a leggere, distintamente, una parola semplice, una parola universale: WELCOME!


      http://espresso.repubblica.it/opinioni/l-antitaliano/2018/09/06/news/prima-di-parlare-ascoltate-john-1.326674?refresh_ce

    • L’Arci presenta un ricorso contro il governo per il trattenimento illegittimo dei 150 migranti della Diciotti

      In assenza di senso dello Stato da parte di chi governa, la legge, la magistratura con la sua autonomia, sono gli unici strumenti per salvaguardare la nostra Costituzione e la dignità dell’Italia

      Oggi l’Arci presenterà un ricorso in via cautelare al Tribunale Civile di Catania ed al TAR Catania, a tutela dei diritti dei 150 migranti, prevalentemente eritrei, privati senza titolo della libertà personale, contro i provvedimenti del governo per il loro trattenimento illegittimo.

      L’Arci ha avviato, con lo Studio Legale Giuliano di Siracusa, le azioni avanti il Tribunale Civile di Catania ed il TAR Sicilia Sez. di Catania: avanti il primo un ricorso d’urgenza (ex.art 700 del Codice di procedura Civile) per la immediata tutela dei diritti primari dei 150 migranti detenuti illegittimamente sulla nave della nostra Guardia Costiera “Diciotti”; ed avanti il TAR Sicilia Sez. Catania un ricorso con domanda cautelare di impugnativa del provvedimento del Ministro degli Interni illegittimamente adottato.

      L’Arci inoltre rivendicherà l’applicazione immediata delle linee guida IMO sul soccorso in mare, la cui inottemperanza da parte del Ministro Salvini comporta una gravissima violazione del diritto internazionale e invocherà la violazione dell’art. 3 della Convenzione CEDU contro i trattamenti inumani e degradanti.

      Il ricorso, inviato per conoscenza anche alla Questura, alla Prefettura e alla Guardia Costiera, è mirato a ripristinare la legalità violata con un provvedimento, di cui peraltro non c’è traccia scritta, usato con altri scopi, nelle trattative con l’UE e nella campagna elettorale senza sosta a cui il nuovo governo, e il Ministro Salvini, sottopongono il nostro Paese.

      Il conflitto aperto con l’UE, la vicinanza riaffermata con Orban e con il gruppo di Visegrad, è una evidente prova del contrasto aperto tra gli interessi dell’Italia (che dalla linea razzista e isolazionista del gruppo di Visegrad non può che trarne svantaggi) e la linea seguita dal nostro Ministro dell’Interno Salvini.

      In assenza di senso dello Stato da parte di chi governa, la legge, la magistratura con la sua autonomia, sono gli unici strumenti per salvaguardare la nostra Costituzione e la dignità dell’Italia.

      Oltre alle azioni giudiziarie possibili, l’Arci intende, con tutti i soggetti della società civile impegnati con noi in questo ambito, mobilitare tutte le sue forze per impedire che il governo trascini il nostro Paese verso il baratro.

      Le leggi e la Costituzione non possono essere piegate agli interessi di parte. Quando si viola la nostra Costituzione la democrazia muore e con essa le garanzie che valgono per tutte e tutti, non solo per chi decide di garantirle il governo di turno.

      Noi continueremo a mobilitarci per difendere la democrazia, la libertà e i diritti umani: insieme all’Arci Sicilia, abbiamo aderito e parteciperemo al presidio convocato dai Comitati di base di Catania, che si svolgerà domani al porto a partire dalle ore 17.

      https://www.arci.it/larci-presenta-un-ricorso-contro-il-governo-per-il-trattenimento-illegittimo-de

    • Pour la première fois, l’Aquarius refuse d’obéir aux ordres des garde-côtes libyens

      Jeudi 20 septembre, l’Aquarius a refusé de transborder sur le bateau des garde-côtes libyens des migrants secourus par le navire humanitaire quelques heures plus tôt. Hors de question de renvoyer des naufragés dans un pays qui ne garantit pas leur sécurité, se justifient les militants.

      Pour la première fois depuis leur présence en Méditerranée, les membres du navire humanitaire Aquarius, affrété par SOS Méditerranée, ont refusé d’obéir aux ordres des garde-côtes libyens : ces derniers leur avaient demandé, le 20 septembre, de transborder sur leur bateau libyen des migrants que l’ONG avait secourus.

      « Conformément à la Convention SAR [zone de recherche et de sauvetage, ndlr], nous ne pouvons ni ne devons transférer des personnes secourues aux garde-côtes libyens », écrit l’Aquarius, dans un email envoyé aux autorités portuaires libyennes.

      L’ONG SOS Méditerranée répète inlassablement le même credo depuis des mois. « La Libye ne peut être considérée comme un port sûr. Nous ne ramènerons jamais les migrants secourus en Libye », a encore déclaré l’ONG, joint par InfoMigrants.

      Que s’est-il passé ? Dans la matinée du 20 septembre, l’Aquarius repère, au large des côtes libyennes, une embarcation en difficulté avec 11 personnes à bord. L’équipage suit alors la procédure officielle et contacte le centre de contrôle maritime libyen (JRCC). Depuis la mi-juin, les opérations de sauvetage dans la zone de détresse de la Méditerranée appelée « SAR zone », ne sont en effet plus gérées par le MRCC italien, sorte de tour de contrôle maritime chargée de coordonner les actions de secours en mer. Ces missions sont désormais gérées par Tripoli.

      Les autorités libyennes ne répondent pas. Sans réponse, l’Aquarius avertit alors les autorités italiennes que le navire s’apprête à procéder au sauvetage. Une fois les migrants en sécurité à bord, les humanitaires reçoivent finalement un email du JRCC libyen. « En tant qu’autorités libyennes, nous assurons la coordination des secours. Nous allons dépêcher un navire afin de récupérer les migrants », écrivent les autorités portuaires. « Nous vous ordonnons de vous diriger vers Zaouïa [ville côtière libyenne, NDLR] pour un rendez-vous avec la patrouille libyenne ».

      « Que l’Aquarius aille où il veut, mais pas en Italie »

      L’Aquarius refuse catégoriquement le transfert. « Nous avons toutes les raisons de croire qu’aucun des ports libyens ne constitue un lieu de sécurité pour les rescapés », fait savoir l’équipage du navire humanitaire aux autorités libyennes, italiennes et maltaises. « Nous avons également toutes les raisons de croire qu’une opération de transfert mettrait en danger la sécurité des personnes secourues et de mon équipage en raison de risque de panique ». La Libye a dit prendre note du refus de l’Aquarius.

      Sur Twitter, le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a déjà pris les devants. Il estime que l’Aquarius" a refusé de collaborer avec les garde-côtes libyens". « Maintenant il erre en Méditerranée. Je le dis et je le répète : qu’il aille où il veut mais pas en Italie, les ports sont fermés », a ajouté le ministre.

      Actuellement, le navire humanitaire reste dans la zone de sauvetage et ne cherche pas un port de débarquement. « Nous avons encore de la place à bord et nous savons que nous allons devoir procéder à d’autres sauvetages dans les jours qui viennent », précise à InfoMigrants Julie Bégin, porte-parole de SOS Méditerranée.

      Reste à savoir où seront débarqués les rescapés. « Nous ne savons pas, nous verrons au moment voulu », conclut-elle.

      Depuis plusieurs mois, les autorités italiennes et maltaises refusent d’ouvrir leurs ports aux navires humanitaires. Des refus qui ont entraîné des dissensions au sein de l’Union européenne – toujours aussi déchirée sur la politique à adopter pour faire face à l’afflux de migrants.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/12168/pour-la-premiere-fois-l-aquarius-refuse-d-obeir-aux-ordres-des-garde-c

    • Aquarius. Le Panama annonce qu’il retire son pavillon au navire humanitaire
      https://www.ouest-france.fr/monde/migrants/aquarius-le-panama-annonce-qu-il-retire-son-pavillon-au-navire-humanita

      « L’administration maritime panaméenne a entamé une procédure d’annulation officielle de l’immatriculation du navire Aquarius 2, ex-Aquarius […] après la réception de rapports internationaux indiquant que le navire ne respecte pas les procédures juridiques internationales concernant les migrants et les réfugiés pris en charge sur les côtes de la mer Méditerranée », indiquent les autorités dans un communiqué diffusé sur leur site.

      Selon le Panama, la principale plainte émane des autorités italiennes, selon lesquelles « le capitaine du navire a refusé de renvoyer des migrants et réfugiés pris en charge vers leur lieu d’origine ». Elle rappelle également que le navire s’est déjà vu retirer son pavillon par Gibraltar. Or, selon le communiqué, « l’exécution d’actes portant atteinte aux intérêts nationaux constitue une cause de radiation d’office de l’immatriculation des navires ».

    • Migranti. Inchiesta Diciotti, la Procura chiede l’archiviazione per Salvini

      La Procura di Catania ha formulato una richiesta di archiviazione nei confronti del ministro degli Interni per la vicenda del presunto «sequestro» di migranti a bordo della nave Diciotti.

      «Adesso prendo il caffè, infilo la giacca, spengo la tele, e da persona libera e non più indagata torno al mio lavoro. Grazie, grazie, grazie». Lo ha detto Matteo Salvini dopo aver dato lettura in diretta Facebook della lettera che lo informava della richiesta di archiviazione della procura di Catania per i fatti della nave Diciotti. «Il procuratore di Catania #Zuccaro chiede l’archiviazione. Gioia, soddisfazione. Ma il procuratore di Agrigento perché ha indagato? Quanto è costata l’inchiesta per un reato che non esisteva? Quanti uomini sono stati impiegati? Sono innocente, potevo e dovevo bloccare gli immigrati. È una buona notizia per me, i gufi dei centri sociali saranno abbacchiati. Richiesta motivata di archiviazione».

      In realtà non è debba ancora la parola «fine» sulla vicenda. Infatti il Tribunale dei ministri etneo (composto da tre giudici sorteggiati tra i magistrati del Distretto della Corte d’appello) ha ancora 90 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno la richiesta di archiviazione del procuratore Carmelo Zuccaro. Il ministro era stato indagato per vari reati, tra cui quello di sequestro di persona, per aver trattenuto la nave militare Diciotti alcuni di giorni attraccata al porto di Catania senza far sbarcare i 150 migranti a bordo. La vicenda si era poi sbloccata quando altri Stati dell’Unione europea, tra cui Irlanda e Albania e la Chiesa italiana, hanno dato disponibilità a partecipare alla redistribuzione dei rifugiati.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/18

    • Italie. #Salvini bientôt jugé pour #séquestration ?

      En août, le ministre de l’Intérieur italien avait refusé à 177 migrants de débarquer dans le port de Catane, en Sicile, les bloquant pendant six jours. Un tribunal de Palerme a recommandé, à la surprise générale, que Matteo Salvini soit jugé pour séquestration.


      https://www.courrierinternational.com/article/italie-salvini-bientot-juge-pour-sequestration

    • Caso Diciotti, ecco l’atto d’accusa del tribunale: “Il ministro Salvini ha agito fuori dalla legge”

      Per i giudici sono state violate norme internazionali e nazionali. «L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme finalizzate al contrasto dell’immigrazione irregolare»

      https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/01/24/news/caso_diciotti_ecco_l_atto_d_accusa_del_tribunale_il_ministro_salv

    • La richiesta di autorizzazione a procedere nel caso Diciotti

      Domanda di autorizzazione a procedere per il delitto di sequestro di persona aggravato a carico del Ministro dell’interno in carica, nonché leader di uno dei due partiti che governano il Paese con ampio sostegno popolare. Il provvedimento che qui si annota non può lasciare indifferenti: sta succedendo qualcosa di eccezionale quando un Tribunale della Repubblica chiede che il Ministro dell’interno venga processato per un reato che prevede la pena della reclusione da tre a quindici anni.

      E la situazione è ancora più anomala, se si considera che il fatto per cui la magistratura chiede ad una Camera di procedere (in questo caso il Senato, essendo il Ministro dell’interno anche senatore della Repubblica) non è un episodio corruttivo o comunque legato a fatti che l’indagato nega o sono discutibili. In questo caso il reato che si contesta risulta integrato da una condotta, la chiusura dei porti ai migranti provenienti dalla Libia, che il Ministro dell’interno continua tuttora a rivendicare come parte fondamentale del proprio programma politico e di governo. Il contrasto all’ingresso di stranieri irregolari in Italia viene attuato con la strategia dei “porti chiusi”, che riscuote, stando ai sondaggi, un larghissimo consenso nel corpo elettorale.

      Con questo provvedimento, i magistrati di Catania affermano che il Ministro, diretto responsabile della concreta attuazione di tale strategia politica, deve rispondere del gravissimo reato di sequestro di persona a carico di 177 migranti, e chiedono al Senato, secondo la procedura prevista per i reati ministeriale dalla legge cost. n. 1/1989, l’autorizzazione a procedere a suo carico. Il Tribunale di Catania sta esorbitando dalle proprie competenze, come afferma il Ministro parlando di «toghe di sinistra che invadono il campo della politica»? Avrebbe dovuto il Tribunale accogliere la richiesta della procura etnea di archiviare il procedimento, in quanto il principio di separazione dei poteri vieterebbe alla magistratura penale di valutare la legittimità di atti politici esplicitamente rivendicati dalle più alte autorità di governo? A noi pare che le 50 pagine che mettiamo qui a disposizione del lettore forniscano una risposta convincente del contrario, e cioè che la decisione presa dai giudici di Catania è corretta, e per quanto dirompente è l’unica risposta appropriata rispetto alla gravità dei fatti avvenuti, sotto gli occhi di tutti, la scorsa estate a Catania.

      Di seguito forniremo al lettore niente più che una “guida alla lettura” dell’articolato percorso argomentativo seguito dai giudici siciliani, per svolgere poi alcune riflessioni riguardo ai prossimi esiti cui può dare luogo la vicenda.

      Le motivazioni della richiesta di autorizzazione a procedere

      Gli eventi sono noti, e possono essere qui riassunti in termini molto sintetici. Il 14 agosto 2018 veniva segnalata un’imbarcazione con a bordo diverse decine di soggetti di varie nazionalità (in prevalenza eritrea e somala), proveniente dalla Libia, che versava in una situazione molto precaria. Nei giorni successivi all’avvistamento, insorgeva una controversia tra le autorità italiane e maltesi circa la responsabilità per il soccorso dei naufraghi, sino a che il precipitare della situazione induceva le motovedette della Guardia costiera italiana ad intervenire, trasferendo poi i 177 stranieri soccorsi sulla motonave Diciotti. Dopo tre giorni di stazionamento nei pressi di Lampedusa, dovuto al fatto che tra le autorità italiane e maltesi perdurava il contrasto circa l’individuazione del Paese responsabile dell’indicazione del Pos (place of safety), il 20 agosto la Diciotti riceveva l’autorizzazione ad entrare nel porto di Catania, ma non a sbarcare i migranti della nave. Il Ministro degli interni rifiutava, infatti, il rilascio del Pos (e quindi l’autorizzazione allo sbarco), sino a che non si fosse sbloccata la trattativa a livello europeo su quali Paesi fossero disponibili ad accogliere i migranti presenti sulla nave. In considerazione delle difficili condizioni in cui i migranti versavano, costretti a vivere da diversi giorni su un’imbarcazione inadatta ad accogliere un numero così elevato di ospiti, il 22 agosto, a seguito di esplicita richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minori di Catania, veniva autorizzato lo sbarco dei minori non accompagnati, mentre solo il 25 agosto venivano sbarcati tutti gli altri.

      Il Tribunale, che ripercorre giorno per giorno le vicende appena descritte, distingue due fasi temporali. La prima, dal 15/16 agosto, quando i migranti vengono tratti a bordo dalla Diciotti, sino all’ingresso nel porto di Catania del 20 agosto; e la seconda, da tale data sino al 25 agosto, durante la quale i migranti vengono trattenuti sulla Diciotti senza poter sbarcare.

      Per quanto riguarda la prima fase, il Tribunale etneo esclude la sussistenza di condotte costituenti reato da parte del Ministro, richiamandosi integralmente alle motivazioni sul punto del Tribunale dei ministri di Palermo, che peraltro non vengono neppure curiosamente riassunte, e che non sono note a chi scrive. Ci limitiamo qui a ricordare che la Procura di Agrigento aveva aperto il procedimento a carico del Ministro, trasferendo gli atti al competente Tribunale dei ministri di Palermo, sul presupposto che fosse penalmente rilevante già lo stazionamento forzato nelle acque di Lampedusa, mentre proprio una diversa valutazione di questa prima fase della vicenda aveva indotto i giudici palermitani a trasferire gli atti ai colleghi catanesi, reputando che solo in relazione al trattenimento nel porto etneo si potesse configurare un fatto penalmente illecito.

      Riguardo allora ai cinque giorni (dal 20 al 25 agosto) in cui gli stranieri sono stati bloccati sulla Diciotti nel porto di Catania, il Tribunale ritiene che sussistano gli estremi della fattispecie di cui all’art. 605, comma 3 (sequestro di persona aggravato dall’abuso della qualità di pubblico ufficiale e della minore età di alcune delle vittime).

      Il quadro probatorio su cui il Tribunale fonda le proprie conclusioni è ampio, visto in particolare che nella fase istruttoria condotta dal medesimo Tribunale è stata assunta la testimonianza di tutti i membri apicali della catena decisionale che ha condotto alla chiusura per 5 giorni del porto di Catania ai migranti della Diciotti: il Questore, il Prefetto e il Comandante della Capitaneria di porto di Catania, e il capo di gabinetto del Ministero dell’interno e il suo vice.

      Prima di analizzare i singoli elementi costitutivi del reato, la sentenza si impegna in una ricostruzione del «quadro normativo di riferimento del procedimento di sbarco e delle competenze amministrative» ad esso relative, con l’obiettivo di «chiarire quali siano i doveri degli Stati, le relative competenze e i limiti di discrezionalità esistenti nella gestione del fenomeno del soccorso in mare» (p. 6).

      La premessa da cui prende le mosse il Tribunale nella sua analisi del quadro sovranazionale è che «l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzione internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 Cost., non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica, assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna» (p. 7).

      Il provvedimento ricostruisce allora la normativa di riferimento, con particolare riferimento alla Convenzione Solas del 1974 e alla Convenzione Sar del 1979, così come emendate nel 2006. Un’analisi del concreto piano operativo predisposto dalle autorità italiane, in conformità agli obblighi internazionali in materia di soccorso in mare, mostra secondo il Tribunale come «ove l’attività di soccorso in mare sia stata effettuata materialmente da unità navali della Guardia costiere italiana, la richiesta di assegnazione del POS debba essere presentata da MRCC Roma (Maritime Rescue Coordination Center) al Centro nazionale di coordinamento (NCC), che poi provvederà all’inoltro della stessa al competente Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione del Ministero dell’interno, competente all’indicazione del POS ove operare lo sbarco» (p. 12).

      Molto importante è poi il passaggio in cui il Tribunale ricostruisce i caratteri essenziali del procedimento delineato per i reati ministeriali dalla legge cost. n. 1/1989, ove è necessario tenere distinta la «valutazione di tipo tecnico-giuridico» demandata al Tribunale, che deve decidere della sussistenza del reato secondo i canoni della legislazione penale comune, e la valutazione politica che l’art. 9 della legge affida al Parlamento quando prevede che l’assemblea della Camera di appartenenza «può, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo». Proprio tenendo a mente la peculiare scansione procedimentale prevista per i reati ministeriali, il Tribunale esclude di dover valutare i connotati politici della decisione di impedire lo sbarco dei migranti, richiamando puntualmente in senso conforme una decisione delle Sezioni unite della Cassazione, per cui «il carattere politico del reato, il movente che ha determinato il soggetto a delinquere, nonché il rapporto che può sussistere tra il reato commesso e l’interesse pubblico della funzione esercitata, proprio in conseguenza di quanto disposto dalla l. cost. n. 1/1989, sono criteri idonei a giustificare la concessione o negazione dell’autorizzazione a procedere da parte della Camera o del Senato, ma non sono certamente qualificabili come condizioni per la configurabilità dei reati ministeriali» (Cass., Sez. unite, n. 14/1994, citata a p. 14).

      Venendo ad analizzare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato, il Tribunale prende ovviamente le mosse dall’elemento oggettivo, e dedica particolare attenzione ad individuare il momento a partire dal quale gli uffici competenti del Ministero dell’interno avevano il dovere giuridico di assegnare un Pos ai migranti, e dunque la loro permanenza sulla Diciotti deve ritenersi illegittima. I giudici catanesi ripercorrono le concitate vicende dei giorni successivi all’avvistamento dell’imbarcazione e la controversia insorta tra autorità italiane e maltesi su chi fosse tenuto secondo la normativa internazionale a prestare soccorso (in un passaggio il Tribunale arriva a definire «moralmente censurabile» il comportamento della autorità maltesi). Una volta tuttavia constatata l’indisponibilità di Malta ad indicare un Pos per i migranti, ed una volta autorizzata la Diciotti a dirigersi verso le coste siciliane, le autorità italiane avevano assunto di fatto e di diritto la gestione dei soccorsi, e avevano secondo la normativa internazionale il dovere di indicare nel più breve tempo possibile un Pos ove i naufraghi potessero sbarcare. Per queste ragioni, conclude sul punto il Tribunale, «l’omessa indicazione del POS da parte del Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione, dietro precise direttive del MdI, ha determinato, dopo che alle ore 23.49 del 20 agosto l’unità navale Diciotti raggiungeva l’ormeggio presso il porto di Catania (così creando le condizioni oggettive per operare lo sbarco), una situazione di costrizione a bordo delle persone soccorse fino alle prime ore del 26 agosto (quando veniva avviata la procedura di sbarco a seguito dell’indicazione del POS nella tarda serata del 25 agosto dal competente Dipartimento, dietro nulla osta del Ministro), con conseguente apprezzabile limitazione della libertà di movimento dei migranti, integrante l’elemento oggettivo del reato contestato. Non vi è dubbio, invero, che la protratta presenza dei migranti per cinque giorni a bordo di una nave ormeggiata sotto il sole in piena estate dopo avere già affrontato un estenuante viaggio durato diversi giorni, la necessità di dormire sul ponte della nave, le condizioni di salute precaria di numerosi migranti, la presenza a bordo di donne e bambini, costituiscono circostanze che manifestano le condizioni di assoluto disagio psico-fisico sofferte dai migranti a causa di una situazione di “costrizione” a bordo non voluta e subita, sì da potersi qualificare come “apprezzabile”, e dunque, penalmente rilevante, l’arco temporale di privazione della libertà personale sofferto» (p. 24).

      Quanto all’elemento soggettivo del reato, il Tribunale ricorda anzitutto come l’art. 605 cp delinei una fattispecie a dolo generico, per la cui integrazione è sufficiente la consapevolezza di infliggere alla persona offesa una illegittima privazione della libertà personale, mentre risultano irrilevanti gli scopi ulteriori perseguiti dall’agente. Nel medesimo paragrafo del provvedimento in materia di elemento soggettivo il Tribunale affronta poi tre questioni attinenti a ben vedere non già all’elemento psicologico del reato, bensì alle diverse questioni (di natura in realtà oggettiva) della riferibilità del divieto di sbarco ad una condotta personale del Ministro, e della presenza di cause giustificazione: la «questione della riconducibilità dell’omessa indicazione del POS e del correlato divieto di sbarco ad una precisa direttiva del MdI», la questione dell’«accertamento del carattere illegittimo della privazione dell’altrui libertà, in quanto adottata contra legem», e infine la questione dell’«assenza di cause di giustificazione con valenza scriminante ex art. 51 c.p.».

      Nulla quaestio circa il primo profilo, relativo al personale e diretto coinvolgimento del Ministro degli interni nella decisione di non far sbarcare i migranti. Oltre al fatto che il Ministro in numerose occasioni pubbliche ha esplicitato come la decisione di non fare sbarcare i porti fosse a lui direttamente ascrivibile, tutti i vertici amministrativi sentiti in fase istruttoria hanno confermato il continuo e diretto coinvolgimento del Ministro nella gestione della vicenda, ed in particolare hanno chiarito come la mancata indicazione del Pos nei giorni in cui la Diciotti si trovava a Catania fosse unicamente ascrivibile alle chiare indicazioni in tal senso provenienti dal Ministro stesso.

      Nella motivazione segue poi un paragrafo intitolato «La consapevolezza della “illegittimità” della restrizione dell’altrui libertà», ove peraltro il Tribunale torna ad argomentare intorno alla questione della legittimità (oggettiva) del rifiuto di sbarco alla luce della normativa internazionale (ribadendo come il contenzioso con Malta circa la responsabilità per i soccorsi non può valere a giustificare il rifiuto di sbarcare i migranti una volta che questi erano arrivati in Italia, dietro indicazione della stessa autorità italiana), piuttosto che interrogarsi circa la consapevolezza da parte del Ministro di tale normativa. Tale consapevolezza, considerato il ruolo apicale nella catena decisionale rivestito dall’imputato e l’importanza della questione, viene in sostanza ritenuta implicita dal Tribunale. In effetti, ragionando altrimenti si tratterebbe di ritenere scusante l’eventuale ignoranza da parte del Ministro della normativa nazionale e sovranazionale relativa alle materie oggetto delle sue specifiche competenze istituzionali. Un’ipotesi che peraltro non trova alcun riscontro nell’istruttoria dibattimentale, ove al contrario è emerso come i collaboratori diretti del Ministro gli avessero riferito la richiesta di Pos della Diciotti ed il Ministro avesse opposto un deciso e consapevole rifiuto all’adempimento del dovere di sbarcare i migranti. Probabilmente sarebbe stato preferibile se il Tribunale avesse più chiaramente motivato le ragioni per cui riteneva con ragionevole certezza che il Ministro conoscesse i doveri internazionali connessi alle attività di salvataggio; ma non ci sembra che in effetti vi siano elementi per sostenere l’ignoranza incolpevole della disciplina normativa da parte del Ministro, che peraltro non ha mai sostenuto tale linea difensiva nelle accese reazioni social conseguenti alla richiesta di autorizzazione.

      L’ultimo profilo analizzato dal Tribunale in ordine agli elementi costitutivi del reato riguarda la configurabilità della scriminante di cui all’art. 51 cp. Il provvedimento in esame ne esclude gli estremi, in quanto il Ministro non ha agito in adempimento del suo dovere istituzionale di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica: «Lo sbarco di 177 cittadini stranieri non regolari non poteva costituire un problema cogente di “ordine pubblico” per diverse ragioni, ed in particolare: a) in concomitanza con il “caso Diciotti”, si era assistito ad altri numerosi sbarchi dove i migranti soccorsi non avevano ricevuto lo stesso trattamento; b) nessuno dei soggetti ascoltati da questo Tribunale ha riferito (come avvenuto invece per altri sbarchi) di informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di “persone pericolose” per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale» (p. 40).

      La sola ragione per cui per cinque giorni è stato impedito lo sbarco degli stranieri dalla Diciotti è stata secondo il Tribunale la volontà politica del Ministro di fornire un’immagine di fermezza nella trattativa in corso in sede europea circa i criteri per la ripartizione dei migranti che fuggono dalla Libia: «La decisione del Ministro non è stata adottata per problemi di ordine pubblico in senso stretto, bensì per la volontà meramente politica – “estranea” alla procedura amministrativa prescritta dalla normativa per il rilascio del POS – di affrontare il problema della gestione dei flussi migratori invocando, in base al principio di solidarietà, la ripartizione dei migranti a livello europeo tra tutti gli Stati membri» (ibidem).

      Il Tribunale ricorda le sentenze della Corte costituzionale (n. 105/2001) e della Corte Edu (Khlaifia, 2016) che hanno affermato l’applicabilità delle garanzie sul rispetto della libertà personale anche agli stranieri in situazione di ingresso o soggiorno irregolari, e conclude che l’estraneità della decisione di impedire lo sbarco a finalità proprie dell’ufficio ricoperto dall’inquisito, che era mosso da finalità politiche estranee ai suoi doveri istituzionali, impedisce il riconoscimento della scriminante di cui all’art. 51 cp.

      L’ultimo passaggio della motivazione riguarda proprio il rilievo giuridico da attribuire alla natura politica dell’atto contestato al Ministro; l’argomento della natura politica dell’atto, che alla luce del principio della separazione dei poteri ne avrebbe impedito la sindacabilità da parte dell’autorità giudiziaria, aveva condotto la Procura di Catania a chiedere l’archiviazione del procedimento, e il tema viene affrontato con particolare acribia dal Tribunale. I giudici catanesi affermano la necessità di distinguere tra «atto politico», insindacabile tout court dal giudice penale, e «atto amministrativo adottato sulla scorta di valutazioni politiche», che non si sottrae al vaglio di legalità del giudice penale. In ogni caso,

      «il dogma dell’intangibilità dell’atto politico è oggi presidiato da precisi contrappesi, caratterizzati dal “principio supremo di legalità”, dalla Carta costituzionale e dal rispetto dei diritti inviolabili in essa indicati, tra i quali spicca in primo luogo il diritto alla libertà personale. Segnatamente, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, i cui artt. 24 e 113 sanciscono l’indefettibilità ed effettività della tutela giurisdizionale, non è giuridicamente tollerabile l’esistenza di una particolare categoria di atti dell’esecutivo in relazione ai quali il sindacato giurisdizionale a tutela dei diritti individuali possa essere limitato o addirittura escluso» (p. 44).

      L’atto politico insindacabile dal potere giudiziario è solo quello che «afferisce a questioni di carattere generale che non presentino un’immediata e diretta capacità lesiva nei confronti delle sfere soggettive individuali» (il Tribunale cita a titolo esemplificativo l’adozione di decreti leggi e di decreti legislativi, o la stipula di un’intesa con una confessione religiosa ex art. 8, comma 3 Cost.). Nel caso di specie, il rifiuto del POS configura un atto amministrativo che, mosso da motivazioni politiche, è andato tuttavia pesantemente ad incidere sui diritti degli stranieri, in violazione della normativa interna e sovranazionale, e non può per questa ragione essere sottratto al controllo giurisdizionale.

      «L’atto del Ministro Sen. Matteo Salvini costituisce un atto amministrativo che, perseguendo finalità politiche ultronee rispetto a quelle prescritte dalla normativa di riferimento, ha determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, che hanno comportato l’intrinseca illegittimità dell’atto amministrativo censurata da questo Tribunale (…). Va dunque sgomberato il campo da un possibile equivoco e ribadito come questo Tribunale intenda censurare non già un atto politico dell’Esecutivo, bensì lo strumentale ed illegittimo utilizzo di una potestà ammnistrativa di cui era titolare il Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione, che costituisce articolazione del Ministero dell’interno presieduto dal Sen. Matteo Salvini» (p. 47).

      Quali siano e quale rilievo abbiano le motivazioni politiche dell’agire del Ministro, sono argomenti che dovrà tenere in considerazione il Senato per decidere se concedere o meno l’autorizzazione a procedere. Il Tribunale si arresta alla constatazione che nell’esercizio delle sue funzioni il Ministro, con la decisione di impedire lo sbarco dei migranti della Diciotti, ha realizzato un fatto tipico di reato, non coperto da alcuna causa di giustificazione; i senatori decideranno se il Ministro abbia agito «per il perseguimento di un preminente interesse pubblico», e se dunque per tale reato l’autorità giudiziaria possa o meno procedere.

      La correttezza della decisione del Tribunale di Catania e gli scenari prossimi-venturi

      Le articolate argomentazioni appena sintetizzate ci paiono convincenti, e risultano anche, se studiate con attenzione, capaci di rispondere a molte delle critiche mosse alla decisione dal diretto interessato e da molti dei suoi sostenitori.

      Il primo punto consiste nella conformità o meno alla normativa interna ed internazionale della scelta di negare l’autorizzazione allo sbarco quando i migranti a bordo della Diciotti si trovavano nel porto di Catania. Il provvedimento qui annotato ha mostrato in modo molto chiaro come il problema della responsabilità di Malta nel non adempiere al proprio obbligo di soccorso proprio nulla abbia a che vedere con la questione dello sbarco a Catania, che è l’unico frammento della vicenda ritenuto dal Tribunale di rilievo penale.

      Una volta che l’Italia aveva assunto la concreta gestione del soccorso e aveva accettato, di fronte all’ostinato silenzio delle autorità maltesi, di accogliere la Diciotti a Catania, era evidente che gli stranieri dovessero sbarcare a Catania. Il problema della distribuzione dei migranti anche in altri Paesi europei si sarebbe posto in un momento successivo; ma non serve essere esperti di diritto internazionale del mare per capire che i migranti presenti da giorni in condizioni precarie su una nave militare italiana ancorata in un porto italiano dovevano essere immediatamente sbarcati e soccorsi in territorio italiano. Invocare la responsabilità di Malta per negare il dovere di fornire un POS una volta che i naufraghi erano arrivati a Catania, significa semplicemente sviare il discorso, sovrapponendo il problema della distribuzione dei flussi migratori a livello europeo e dell’incapacità di Malta di far fronte ai propri obblighi in materia Sar, al dovere di fornire un luogo di sbarco sicuro a coloro che in un modo o nell’altro erano comunque stati soccorsi da una nave italiana, e si trovavano in un porto italiano.

      Insomma, la controversia con Malta o il problema della distribuzione dei migranti a livello europeo sono irrilevanti al fine di valutare la legittimità del trattenimento per diversi giorni sulla nave Diciotti di soggetti, che avevano secondo la normativa interna ed internazionale il diritto a ricevere al più presto l’indicazione di un luogo sicuro dove poter sbarcare e ricevere assistenza, quale che fosse poi il loro destino e la loro destinazione finale. Il Ministro ha consapevolmente deciso di trattenere senza alcuna base legale i migranti sulla nave Diciotti, per apparire più forte sullo scenario politico internazionale ad avere più peso nelle trattative in corso a livello europeo per una gestione condivisa dei flussi di migranti dalla Libia. Ma è evidente che tale scelta politica sia stata attuata fuori dalla cornice normativa in cui è disciplinata la privazione dello straniero comunque presente nel territorio dello Stato.

      Ammesso allora che la privazione della libertà c’è stata ed è stata illegale, si pone il problema più delicato, e che nel dibattito pubblico ha assunto un peso determinante. Il Tribunale ha travalicato le proprie competenze? I giudici di Catania si sono arrogati il potere di sindacare le scelte politiche assunte dal Governo con il consenso degli elettori, violando in questo modo il principio della separazione dei poteri? Anche in questo caso, le motivazioni del provvedimento indicano le ragioni per cui la richiesta di autorizzazione non comporta alcuna ingerenza del potere giudiziario nelle prerogative politiche dell’esecutivo.

      È sufficiente, per giungere a tale conclusione, prendere in considerazione l’insieme della procedura delineata dalla legge costituzionale del 1989 riguardo all’accertamento dei cd. reati ministeriali, da intendere ai sensi dell’art. 96 Cost. come quei reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni. Come correttamente ricorda il Tribunale, proprio la particolare natura politica degli atti ministeriali ha indotto il legislatore costituzionale a prevedere che la decisione di procedere all’accertamento di eventuali responsabilità penali conseguenti alla loro adozione non spetti solo alla magistratura penale, posto che il Parlamento può negare l’autorizzazione a procedere quando ritenga che le condotte integranti reato fossero volte al perseguimento di un «preminente interesse pubblico». Lo schema è molto chiaro: la magistratura penale accerta secondo i criteri del diritto penale comune se il Ministro abbia commesso un reato nell’esercizio del proprio potere di governo; il Parlamento può assumere la decisione politica di negare l’autorizzazione a procedere, se la commissione del reato era funzionale alla tutela di un più rilevante interesse pubblico.

      Ritenere allora, come ha fatto la Procura di Catania nella richiesta di archiviazione (della quale, peraltro, sono noti a chi scrive solo gli stralci pubblicati sulla stampa, e i brevi cenni contenuti nel provvedimento qui annotato), che la magistratura penale dovesse archiviare il procedimento in ragione delle finalità politiche che avevano mosso la decisione del Ministro, significa confondere le attribuzioni che il sistema costituzionale di accertamento dei reati ministeriali attribuisce rispettivamente al potere giudiziario e al Parlamento. I giudici devono valutare la commissione di un reato; nel caso di specie, valutare se la significativa privazione di libertà degli stranieri sulla Diciotti conseguente alla decisione del Ministro di vietare lo sbarco era stata disposta secondo la legge, configurandosi in caso contrario il delitto di sequestro di persona aggravato. Il Senato dovrà ora decidere se le finalità politiche addotte dal Ministro a giustificazione del proprio operato siano talmente pregnanti da imporre alla magistratura di arrestarsi nel procedimento di accertamento delle responsabilità.

      La separazione dei poteri, per concludere sul punto, non può comportare l’irragionevole conclusione che i membri del Governo sono immuni dalla giurisdizione penale ogniqualvolta esercitino le proprie funzioni politiche, che come ovvio devono invece sempre svolgersi nel quadro della legalità interna ed internazionale. Come tutti i cittadini, anche i Ministri, se nell’esercizio delle loro funzioni commettono dei reati, ne devono rispondere davanti alla giustizia penale, quali che siano i moventi politici che stanno a fondamento delle loro azioni. Il sistema costituzionale, proprio in ossequio al principio della separazione dei poteri, prevede tuttavia che il potere politico possa assumersi, mediante il voto del Parlamento, la responsabilità politica dell’azione del Ministro, che può venire ritenuta non meritevole di essere perseguita in quanto funzionale al raggiungimento di un più alto interesse pubblico. Ecco perché la magistratura non compie alcuna invasione di campo quando, constatata la commissione di un reato ad opera della condotta di un Ministro, non compie direttamente una valutazione circa la rilevanza politica di tale condotta, archiviando la notitia criminis perché connotata da motivi politici, ma correttamente chiede al Parlamento di decidere se dare o meno copertura politica all’operato del Ministro.

      La questione passa ora dunque nelle mani del Senato. Ai sensi dell’art. 9, comma 2, legge. cost. n. 1/1989, prima la Giunta competente per le autorizzazioni a procedere riferisce «con relazione scritta» all’assemblea, «dopo avere sentito i soggetti interessati ove lo ritenga opportuno o se questi lo richiedano»; entro sessanta giorni dalla trasmissione dalla richiesta al Senato (avvenuta il 23 gennaio), l’assemblea, a maggioranza assoluta dei suoi membri può «con valutazione insindacabile» negare l’autorizzazione a procedere quando ritiene che «l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo».

      Non rimane, dunque, che attendere lo svolgimento dell’attività della Giunta e l’esito della deliberazione che assumerà l’assemblea del Senato. Vogliamo ora in conclusione provare a svolgere qualche cursoria riflessione su due problemi che ci paiono in questo momento centrali: quello dei presupposti e dei limiti del potere discrezionale del Parlamento in ordine alla richiesta di autorizzazione a procedere; e quello dell’eventuale giustiziabilità della decisione del Parlamento di fronte alla Corte costituzionale.

      Quanto alla prima questione, dal testo della norma (di rango costituzionale) che disciplina l’autorizzazione a procedere si evincono in particolare due elementi che ci paiono meritevoli di considerazione.

      In primo luogo, la norma prevede il quorum della maggioranza assoluta dei componenti per negare l’autorizzazione a procedere, mostrando l’attenzione del legislatore costituzionale a bilanciare l’ampio potere discrezionale assegnato al Parlamento con il richiedere che ad assumersi la responsabilità di impedire per ragioni di interesse superiore alla magistratura penale di procedere all’accertamento dei reati sia una maggioranza qualificata dei componenti l’assemblea. Una sorta di favor per il proseguimento dell’azione penale, che conferma la natura eccezionale dei casi in cui il movente politico può rendere lecita la commissione di reati [1].

      Il secondo punto riguarda proprio l’ampiezza del potere discrezionale che la legge costituzionale attribuisce al Parlamento, non solo per la definizione molto ampia dei requisiti che legittimano il diniego dell’autorizzazione, ma in particolare per la precisazione che il Parlamento si esprime «con valutazione insindacabile». È chiara la volontà di sottolineare la natura politica, e non più tecnico-giuridica, del giudizio che il Parlamento è chiamato a svolgere. La sua diretta legittimazione democratica gli consente di dichiarare «insindacabilmente» non perseguibile una condotta che pur potrebbe costituire reato, quando la ritiene funzionale ad un interesse pubblico superiore.

      Nel caso che ci interessa, il problema ci pare presentarsi in questi termini: la tutela dei confini e la gestione dei flussi migratori, invocate dal Ministro a giustificazione della scelta di impedire lo sbarco dei migranti dalla Diciotti, rendono non perseguibile la privazione per 5 giorni della libertà personale di 177 persone, che sono state trattenute in violazione della normativa in materia interna ed internazionale? Ci auguriamo che su questo interrogativo, dai profondi risvolti etici oltre che giuridici, si voglia concentrare il dibattito politico e parlamentare, più che su vacui e inconferenti richiami alla presunzione di innocenza o alla separazione dei poteri. Il Parlamento è libero di fornire a tale domanda la risposta «insindacabile» che politicamente la maggioranza riterrà opportuna, ma almeno è auspicabile che la questione, molto seria, posta dal Tribunale di Catania venga affrontata nel suo reale contenuto, e non ricalcando stereotipi conflittuali tra magistratura e politica, che ottengono il solo risultato di impedire un reale confronto sul merito politico della questione.

      Si tratta, in effetti, di una questione che tocca da vicino i fondamenti stessi del sistema democratico e di tutela dei diritti fondamentali. La questione che al Parlamento è sottoposta porta infatti con sé il problema quanto mai delicato di fissare i limiti entro cui il potere governativo può legittimamente esplicare la propria volontà politica. Proprio la legge costituzionale sui reati ministeriali ci dice che, a differenza che per gli altri cittadini, per i Ministri il limite fissato dalla legge penale non è di per sé sempre invalicabile nell’ambito della loro attività funzionale, perché il Parlamento, con valutazione insindacabile, può ritenere la commissione di un reato ministeriale non perseguibile per ragioni politiche. A bene vedere, è la stessa previsione dell’istituto dell’autorizzazione a procedere a comportare che la legge penale non è di per sé sempre un limite all’azione politica di governo.

      Eppure, è ovvio che in un sistema costituzionale e democratico un limite all’agire politico ci deve essere. Nessuno può avere dubbi che il Parlamento non potrebbe ad esempio, pur invocando il proprio potere discrezionale, negare l’autorizzazione a procedere qualora la magistratura fornisse le prove ad esempio che una decisione di un Ministro ha provocato la morte di più persone. Nel dibattito relativo ai casi di chiusura dei porti, del resto, si considera come implicito, anche da parte dei sostenitori della linea più intransigente, che la vita dei profughi non possa essere messa a rischio dal divieto di sbarcare. La politica quindi, anche quando si esprime con le forme più dure, riconosce l’esistenza di un limite oltre il quale non può spingersi, e nel caso dei migranti nei porti il limite è stato individuato nella tutela della vita umana dei migranti. Ma questo limite, che fissa i termini entro cui neppure la più alta ragion di Stato può condurre a legittimare un fatto lesivo dei diritti fondamentali, può essere davvero nella libera e assoluta disponibilità del potere politico, o il sistema costituzionale e sovranazionale vigente pone dei vincoli alla sua fissazione?

      Nel sistema di tutela convenzionale dei diritti fondamentali, questo limite come noto è fissato in maniera molto netta all’art. 15 Cedu, secondo cui neppure nei casi estremi di urgenza, come «in caso di guerra o in caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione», lo Stato può derogare alla tutela dei diritti garantiti agli artt. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), 4 § 1 (divieto di schiavitù) e 7 (nullum crimen). Il sistema costituzionale non prevede, come noto, alcuna disposizione relativa alla possibile deroga ai diritti fondamentali determinata da ragioni eccezionali, ma l’indicazione convenzionale ci pare senz’altro da tenere in considerazione anche in prospettiva costituzionale, considerato il rilievo para-costituzionale che le disposizioni convenzionali assumono a livello interno per il tramite dell’art. 117 Cost.

      In questa prospettiva, il problema rispetto al caso della Diciotti sarebbe quello di valutare se il trattenimento dei migranti – sicuramente lesivo del diritto alla libertà personale riconosciuto dall’art. 13 Cost. e dall’art. 5 Cedu – sia altresì in contrasto con il divieto di trattamenti inumani e degradanti di cui all’art. 3 Cedu, cui le autorità italiane si sono convenzionalmente impegnate a non derogare neppure nei casi più estremi di pericolo per la Nazione. La questione non è stata oggetto di particolare attenzione da parte dei giudici catanesi, posto che il reato di sequestro di persona contestato al Ministro era configurabile a prescindere dalle condizioni in cui avveniva il trattenimento. E tuttavia, se si accoglie l’idea che i limiti all’inderogabilità dei diritti convenzionali fissino anche il perimetro entro cui può esercitarsi il potere di governo, proprio l’attenta valutazione delle condizioni in cui versavano i migranti dovrebbe risultare decisiva per decidere se i fatti commessi possano essere legittimamente dichiarati improcedibili da una discrezionale scelta politica del Parlamento.

      Accolta l’idea che sia necessario porre dei limiti non solo politici, ma anche giuridici, all’azione di governo, il successivo problema da risolvere risulta quello della giustiziabilità di tali limiti. Nel sistema convenzionale la risposta è chiara: lo Stato risponde sempre delle violazioni dei diritti inderogabili di cui all’art. 15 Cedu commessi dai suoi rappresentanti, quale che siano le ragioni politiche che ne giustifichino il compimento. In ambito interno, il problema si fa più arduo, anche perché mancano precedenti specifici. Qualora il Parlamento dovesse negare l’autorizzazione a procedere, ritenendo che la privazione di libertà e i trattamenti inumani e degradanti subiti dai migranti della Diciotti siano giustificati dalla necessità politica di tutelare i confini dello Stato, potrebbe il Tribunale di Catania sollevare un conflitto di attribuzione con il Senato di fronte alla Corte costituzionale, adducendo che il Senato ha ecceduto i poteri conferitigli dalla legge costituzionale del 1989?

      Il problema, inedito a quanto ci risulta nella giurisprudenza costituzionale, è stato poco indagato anche dalla dottrina, specie penalistica. Uno dei pochi contributi che prende specifica posizione sul punto ritiene di non escludere la possibilità che la Corte costituzionale censuri l’uso distorto del proprio potere discrezionale da parte del Parlamento, anche se il vaglio della Corte deve stare attento a non sindacare il merito delle scelte politiche attribuite in via esclusiva al Parlamento dalla legge costituzionale del 1989 [2]. A noi pare in effetti che sarebbe disarmonico rispetto al complessivo sistema costituzionale di bilanciamento tra i poteri, prevedere nel caso dei reati ministeriali che il Parlamento possa opporre al potere giudiziario un rifiuto del tutto sottratto al giudizio di legittimità della Corte costituzionale. La legge costituzionale è chiara nel prevedere che il potere dell’organo parlamentare si esercita sulla base di determinati presupposti, il cui rispetto non può essere sottratto al controllo della Corte costituzionale, pena un pericoloso sbilanciamento del sistema costituzionale di check and balance. Qualora dunque la Corte venisse investita della questione, dovrebbe certo astenersi dal valutare nel merito la legittimità politica della decisione del Parlamento, ma non dovrebbe invece astenersi dal valutare se il rifiuto opposto dal Parlamento all’autorità giudiziaria sia conforme al complessivo sistema normativo di valori che l’azione di ogni autorità pubblica, in uno Stato democratico, è tenuta a rispettare; ed in questo senso, lo ripetiamo, il catalogo di cui all’art. 15 Cedu delinea a nostro avviso in modo anche costituzionalmente significativo il perimetro di liceità delle azioni di governo, quale che sia il contesto in cui intervengono o la finalità che perseguono.

      La natura “a caldo” di queste righe non consente di soffermarci più a lungo sulle complesse questioni, penalistiche e costituzionalistiche, che abbiamo appena cercato di evidenziare. Ci permettiamo in conclusione di auspicare che nelle prossime settimane, che vedranno impegnato il Senato nella decisione demandatagli dal Tribunale di Catania, la comunità dei giuristi voglia fornire un contributo significativo al dibattito pubblico che si svilupperà in Senato. Al di là della decisione che il Parlamento sovranamente vorrà assumere, ci pare importante che l’opinione pubblica sia resa consapevole dell’importanza della decisione che il Senato è chiamato a prendere. Si tratta di capire sino a che punto l’attuazione di una pur legittima pretesa politica possa andare ad incidere sui diritti fondamentali delle persone, e su dove di conseguenza sia fissato il limite che in uno Stato democratico non può essere superato dall’azione di governo. Su un tema di tale portata, sarebbe fondamentale avere un’opinione pubblica capace di prendere posizione in modo consapevole. I limiti al potere politico devono trovare affermazione, se necessario, anche di fronte alle Corti supreme, italiane e europee; ma il vero fondamento dei valori affermati nelle Carte dei diritti fondamentali e nella Costituzione sta solo nella condivisione di tale valori da parte dei consociati, e la vicenda della Diciotti può essere una occasione preziosa per condurre il dibattito pubblico a riflettere seriamente sulla pericolosa direzione che sta prendendo, anche nelle ore in cui si scrive, la politica governativa in materia di soccorso e assistenza ai naufraghi provenienti dalla Libia.

      [1] In questo senso cfr. un recente lavoro monografico dedicato al tema dei reati ministeriali: M. Bellacosa, I profili penali del reato ministeriale, 2012, p. 72.

      [2] Così M. Bellacosa, cit., pp. 73 ss.: «Stante la fissazione legislativa di precisi criteri che l’Assemblea deve seguire onde pervenire al diniego di autorizzazione, non pare si possa escludere l’ammissibilità del ricorso proposto dal potere giudiziario avverso il rifiuto di autorizzazione motivato con riferimento ad interessi diversi da quelli indicati dall’art. 9 l. cost. 1/89 o, peggio, fondato solo su motivi di opportunità politica. Invero, considerati i margini ridotti entro i quali le Camere possono disporre il diniego di autorizzazione, la Corte costituzionale dovrebbe potersi spingere a sindacare quelle delibere che appaiano viziate dallo sviamento rispetto alle finalità considerate dalla legge di revisione (…) Rimarrebbe perciò precluso esclusivamente il sindacato sul merito delle valutazioni compiute dalle Assemblee, quando esse abbiano legittimamente individuato l’interesse costituzionalmente rilevante o preminente nella funzione di Governo, che prevale, a loro insindacabile giudizio, sull’interesse tutelato dalla norma incriminatrice violata dal ministro inquisito».

      http://questionegiustizia.it/articolo/la-richiesta-di-autorizzazione-a-procedere-nel-caso-diciotti_29-0

    • Gli eritrei della Diciotti: un po’ di storia per Salvini e i “portavoce” 5S

      Il Ministro del’Interno leghista li ha definiti “irregolari”. Mauro Coltorti, portavoce 5S, ha affermato che in Eritrea e in Etiopia “non si muore di fame e non si vive male”. Dietro la propaganda del governo, però, ci sono guerre, torture, leva a tempo indeterminato e affari di “imprenditori” italiani. Compreso qualche ex esponente leghista.

      https://www.dinamopress.it/news/gli-eritrei-della-diciotti-un-po-storia-salvini-portavoce-5s
      #réfugiés_érythréens #Erythrée #réfugiés_éthiopiens #Ethiopie

    • Il caso Diciotti tra Italia e Malta

      A Bruxelles il 24 agosto non si parlò del contenzioso tra Italia e Malta sul caso Diciotti. Lo rivela a Report un diplomatico presente alla riunione. In vista del dibattito in Senato sulle accuse al ministro dell’Interno Salvini, torna alla ribalta anche il caso dei minorenni bloccati a bordo della Sea Watch

      http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Il-caso-Diciotti-tra-Italia-e-Malta-39a16c1e-eea3-49a0-9674-d58762c6bd56.htm

    • Migrants : le Sénat italien doit se prononcer sur la levée de l’#immunité de #Salvini

      Ce mercredi 20 mars, à 13 heures, les sénateurs italiens voteront pour ou contre la poursuite de la procédure judiciaire lancée contre le ministre de l’intérieur Matteo Salvini. Cela fait suite au « cas #Diciotti » : en août dernier, 177 migrants ont été contraints de rester dix jours à bord du navire qui les avait secourus en Méditerranée.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/190319/migrants-le-senat-italien-doit-se-prononcer-sur-la-levee-de-l-immunite-de-
      #levée_de_l'immunité

    • I dubbi sulla capacità della Libia di soccorrere migranti

      Si torna a parlare del caso Diciotti, cioè del caso della nave della guardia costiera italiana bloccata per cinque giorni nel porto di Catania alla fine di agosto del 2018, senza che fosse concessa l’autorizzazione a far scendere l’equipaggio e le 177 persone soccorse qualche giorno prima, nelle acque internazionali tra l’Italia e Malta. Per questa vicenda il ministro dell’interno Matteo Salvini è stato accusato di sequestro di persona aggravato.

      Il senato il 20 marzo dovrà votare sull’autorizzazione a procedere, presentata dal tribunale dei ministri di Catania contro il ministro, mentre il 18 marzo Rai 3 trasmetterà un’inchiesta del giornalista Manuele Bonaccorsi sul caso. Nell’ambito di questo lavoro il giornalista Lorenzo Di Pietro ha intervistato Fred Kennedy, direttore degli affari legali dell’International maritime organization (Imo), che spiega perché anche se per altre organizzazioni delle Nazioni Unite– come l’Agenzia per i rifugiati, l’Unhcr – la Libia non è un paese sicuro in cui riportare i migranti intercettati in mare, Tripoli ha potuto in ogni caso dichiarare una zona di ricerca e soccorso libica nel giugno del 2018.

      In base alla Convenzione internazionale di ricerca e soccorso dell’International maritime organization (Imo) – l’agenzia delle Nazioni Unite per la sicurezza della navigazione – ogni paese membro determina la propria zona di ricerca e soccorso e ne decide l’ampiezza coordinandosi con gli stati confinanti. Anche nel caso della Libia è andata così: l’autorità marittima internazionale non ha valutato in maniera autonoma le capacità di Tripoli di agire nella propria area di competenza.

      https://www.internazionale.it/video/2019/03/18/imo-libia-sar-diciotti

    • Migrants : le Sénat italien doit se prononcer sur la levée de l’immunité de Salvini

      Ce mercredi 20 mars, à 13 heures, les sénateurs italiens voteront pour ou contre la poursuite de la procédure judiciaire lancée contre le ministre de l’intérieur Matteo Salvini. Cela fait suite au « cas Diciotti » : en août dernier, 177 migrants ont été contraints de rester dix jours à bord du navire qui les avait secourus en Méditerranée.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/190319/migrants-le-senat-italien-doit-se-prononcer-sur-la-levee-de-l-immunite-de-

  • ATTENTION :
    Les liens sur ce fil de discussion ne sont pas tous en ordre chronologique.
    Portez donc une attention particulière au date de publication de l’article original (et non pas de quand je l’ai posté sur seenthis, car j’ai fait dernièrement des copier-coller de post sur d’autres fils de discussion) !

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    Niger : Europe’s Migration Laboratory

    “We share an interest in managing migration in the best possible way, for both Europe and Africa,” Mogherini said at the time.

    Since then, she has referred to Niger as the “model” for how other transit countries should manage migration and the best performer of the five African nations who signed up to the E.U. #Partnership_Framework_on_Migration – the plan that made development aid conditional on cooperation in migration control. Niger is “an initial success story that we now want to replicate at regional level,” she said in a recent speech.

    Angela Merkel became the first German chancellor to visit the country in October 2016. Her trip followed a wave of arrests under Law 36 in the Agadez region. Merkel promised money and “opportunities” for those who had previously made their living out of migration.

    One of the main recipients of E.U. funding is the International Organization for Migration (IOM), which now occupies most of one street in Plateau. In a little over two years the IOM headcount has gone from 22 to more than 300 staff.

    Giuseppe Loprete, the head of mission, says the crackdown in northern Niger is about more than Europe closing the door on African migrants. The new law was needed as networks connecting drug smuggling and militant groups were threatening the country, and the conditions in which migrants were forced to travel were criminal.

    “Libya is hell and people who go there healthy lose their minds,” Loprete says.

    A side effect of the crackdown has been a sharp increase in business for IOM, whose main activity is a voluntary returns program. Some 7,000 African migrants were sent home from Niger last year, up from 1,400 in 2014. More than 2,000 returns in the first three months of 2018 suggest another record year.

    The European Development Fund awarded $731 million to Niger for the period 2014–20. A subsequent review boosted this by a further $108 million. Among the experiments this money bankrolls are the connection of remote border posts – where there was previously no electricity – to the internet under the German aid corporation, GIZ; a massive expansion of judges to hear smuggling and trafficking cases; and hundreds of flatbed trucks, off-road vehicles, motorcycles and satellite phones for Nigerien security forces.

    At least three E.U. states – #France, Italy and Germany – have troops on the ground in Niger. Their roles range from military advisers to medics and trainers. French forces and drone bases are present as part of the overlapping Barkhane and G5 Sahel counterinsurgency operations which includes forces from Burkina Faso, Chad, Mali and Mauritania. The U.S., meanwhile, has both troops and drone bases for its own regional fight against Islamic militants, the latest of which is being built outside Agadez at a cost of more than $100 million.

    https://www.newsdeeply.com/refugees/articles/2018/05/22/niger-europes-migration-laboratory
    #Niger #asile #migrations #réfugiés #laboratoire #agadez #frontières #externalisation #externalisation_des_frontières #modèle_nigérien #cartographie #visualisation
    #OIM #IOM #retours_volontaires #renvois #expulsions #Libye #développement #aide_au_développement #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #G5_sahel #Italie #Allemagne #IMF #FMI

    Intéressant de lire :

    ❝As one European ambassador said, “Niger is now the southern border of Europe.”
    #frontière_européenne #frontière_mobile

    Il y a quelques mois, la nouvelles frontière européenne était désignée comme étant la frontière de la #Libye, là, elle se déplace encore un peu plus au sud...
    –-> v. mon post sur seenthis :


    https://seenthis.net/messages/604039

    Voilà donc la nouvelle carte :

    • Europe Benefits by Bankrolling an Anti-Migrant Effort. Niger Pays a Price.

      Niger has been well paid for drastically reducing the number of African migrants using the country as a conduit to Europe. But the effort has hurt parts of the economy and raised security concerns.

      The heavily armed troops are positioned around oases in Niger’s vast northern desert, where temperatures routinely climb beyond 100 degrees.

      While both Al Qaeda and the Islamic State have branches operating in the area, the mission of the government forces here is not to combat jihadism.

      Instead, these Nigerien soldiers are battling human smugglers, who transport migrants across the harsh landscape, where hundreds of miles of dunes separate solitary trees.

      The migrants are hoping to reach neighboring Libya, and from there, try a treacherous, often deadly crossing of the Mediterranean to reach Europe.

      The toll of the military engagement is high. Some smugglers are armed, militants are rife and the terrain is unforgiving: Each mission, lasting two weeks, requires 50 new truck tires to replace the ones shredded in the blistering, rocky sand.

      But the operation has had an impact: Niger has drastically reduced the number of people moving north to Libya through its territory over the past two years.

      The country is being paid handsomely for its efforts, by a Europe eager to reduce the migrant flow. The European Union announced at the end of last year it would provide Niger with one billion euros, or about $1.16 billion, in development aid through 2020, with hundreds of millions of that earmarked for anti-migration projects. Germany, France and Italy also provide aid on their own.

      It is part of a much broader European Union strategy to keep migrants from its shores, including paying billions of euros to Turkey and more than $100 million to aid agencies in Sudan.

      Italy has been accused of paying off militias in Libya to keep migrants at bay. And here in Niger, some military officials angrily contend that France financed a former rebel leader who remains a threat, prioritizing its desire to stop migration over Niger’s national security interests.

      Since passing a law against human trafficking in 2015, Niger has directed its military to arrest and jail migrant smugglers, confiscate their vehicles and bring the migrants they traffic to the police or the International Organization for Migration, or I.O.M. The migrants are then given a choice whether to continue on their journey — and risk being detained again, or worse — or given a free ride back to their home country.

      The law’s effect has been significant. At the peak in 2015, there were 5,000 to 7,000 migrants a week traveling through Niger to Libya. The criminalization of smuggling has reduced those numbers to about 1,000 people a week now, according to I.O.M. figures.

      At the same time, more migrants are leaving Libya, fleeing the rampant insecurity and racist violence targeting sub-Saharan Africans there.

      As a result, the overall flow of people has now gone into a notable reverse: For the last two years, more African migrants have been leaving Libya to return to their homelands than entering the country from Niger, according to the I.O.M.

      One of Niger’s biggest bus companies, Rimbo, used to send four migrant-filled buses each day from the country’s capital in the south, Niamey, to the northern city of Agadez, a jumping off point for the trip to the Libyan border.

      Now, the company has signed a two-year contract with the I.O.M. to carry migrants the other way, so they can be repatriated.

      On a recent breezy evening in Niamey, a convoy of four Rimbo buses rolled through the dusty streets after an arduous 20-hour drive from Agadez, carrying 400 migrants. They were headed back home to countries across West Africa, including Guinea, Ivory Coast and Nigeria.

      For leaders in Europe, this change in migrant flows is welcome news, and a testament to Niger’s dedication to shared goals.

      “Niger really became one of our best allies in the region,” said Raul Mateus Paula, the bloc’s ambassador to Niger.

      But the country’s achievement has also come with considerable costs, including on those migrants still determined to make it to Libya, who take more risks than ever before. Drivers now take routes hundreds of miles away from water points and go through mined areas to avoid military patrols. When smugglers learn the military is in the area, they often abandon migrants in the desert to escape arrest.

      This has led to dozens of deaths by dehydration over the past two years, prompting Niger’s civil protection agency and the I.O.M. to launch weekly rescue patrols.

      The agency’s head, Adam Kamassi, said his team usually rescues between 20 to 50 people every time it goes out. On those trips, it nearly always finds three or four bodies.

      The crackdown on human smuggling has also been accompanied by economic decline and security concerns for Niger.

      The government’s closure of migrant routes has caused an increase in unemployment and an uptick in other criminal activity like drug smuggling and robbery, according to a Niger military intelligence document.

      “I know of about 20 people who have become bandits for lack of work,” said Mahamadou Issouf, who has been driving migrants from Agadez to southern Libya since 2005, but who no longer has work.

      Earlier this year, the army caught him driving 31 migrants near a spot in the desert called the Puit d’Espoir, or Well of Hope. While the army released him in this case, drivers who worked for him have been imprisoned and two of his trucks impounded.

      The military intelligence document also noted that since the crackdown, towns along the migrant route are having a hard time paying for essential services like schools and health clinics, which had relied on money from migration and the industries feeding it.

      For example, the health clinic in Dirkou, once a major migrant way station in northern Niger, now has fewer paying clients because the number of migrants seeking has dwindled. Store owners who relied on the steady flow of people traveling through have gone bankrupt.

      Hassan Mohammed is another former migrant smuggler who lost his livelihood in the crackdown.

      A native of Dirkou, Mr. Mohammed, 31, began driving migrants across the desert in 2002, earning enough in the process to buy two Toyota pickup trucks. The smuggling operation grew enough that he began employing his younger brothers to drive.

      Today, Mr. Mohammed’s brothers are in prison, serving the six-month sentences convicted smuggler drivers face. His two pickup trucks are gathering dust, along with a few dozen other confiscated vehicles, on a Niger army base. With no income, Mr. Mohammed now relies on the generosity of friends to survive.

      With Europe as a primary beneficiary of the smuggling crackdown, the European Union is eager to keep the effort in place, and some of the bloc’s aid finances a project to convert former smugglers into entrepreneurs. But the project is still in its pilot stage more than two years after the migrant crackdown began.

      Ibrahim Yacouba, the former foreign minister of Niger, who resigned earlier this year, said, “There are lots of announcements of millions of euros in funding, but in the lived reality of those who are in the industry, there has been no change.”

      The crackdown has also raised security concerns, as France has taken additional steps to stop migration along the Niger-Libya border that go beyond its asylum-processing center.

      From its military base in the northern Nigerien outpost of Madama, France funded last year an ethnic Toubou militia in southern Libya, with the goal of using the group to help stop smugglers, according to Nigerien security officials.

      This rankled the Nigerien military because the militia is headed by an ex-Nigerien rebel, Barka Sidimi, who is considered a major security risk by the country’s officials. To military leaders, this was an example of a European anti-migrant policy taking precedent over Niger’s own security.

      A French military spokesperson said, “We don’t have information about the collaboration you speak of.”

      Despite the country’s progress in reducing the flow of migrants, Nigerien officials know the problem of human smugglers using the country as a conduit is not going away.

      “The fight against clandestine migration is not winnable,’’ said Mohamed Bazoum, Niger’s interior minister.

      Even as Libya has experienced a net drop in migrants, new routes have opened up: More migrants are now entering Algeria and transiting to Morocco to attempt a Mediterranean crossing there, according to Giuseppe Loprete, who recently left his post after being the I.O.M.’s director in Niger for four years.

      But despite the drawbacks that come with it, the smuggling crackdown will continue, at least for now, according to Mr. Bazoum, the interior minister. Migrant smuggling and trafficking, he said, “creates a context of a criminal economy, and we are against all forms of economic crime to preserve the stability and security of our country.”

      For Mr. Mohammed, the former smuggler, the crackdown has left him idle and dejected, with no employment prospects.

      “There’s no project for any of us here,” he said. “There’s nothing going on. I only sleep and wake up.”


      https://www.nytimes.com/2018/08/25/world/africa/niger-migration-crisis.html#click=https://t.co/zSUbpbU3Kf

    • Le 25 Octobre 2018, le Chef de Mission de l’ OIM Niger, M. Martin Wyss, a remis à la Police Nationale-Niger ??️via son Directeur Général Adjoint, M. Oumarou Moussa, le premier prototype du poste frontière mobile, en présence du #Directeur_de_la_Surveillance_du_Territoire (#DST) des partenaires techniques et financiers.

      Ce camion aménagé avec deux bureaux et une salle d’attente, des climatiseurs et une connectivité satellitaire, est autonome en électricité grâce à des panneaux solaires amovibles et une turbine éolienne. Il aura pour fonction d’appuyer des postes de contrôle aux frontières, établir un poste frontalier temporaire ou venir en soutien de mouvements massifs de personnes à travers les frontières.

      Ce prototype unique au monde a été entièrement développé et conceptualisé par l’unité de #gestion_des_frontières de l’#OIM_Niger, pour l’adapter au mieux aux contraintes atmosphériques et topographiques du Niger.

      Il a été financé par le Canada’s International Development – Global Affairs Canada ??️

      Crédits photos : OIM Niger / Daniel Kouawo

      source : https://www.facebook.com/IBMNiger/posts/1230027903804111

      #OIM #IOM #frontière_mobile #Canada

    • Remise du système MIDAS et inauguration du parc de vaccination à Makalondi

      L’ OIM Niger a procédé à la remise du #système_MIDAS au niveau du poste de police de #Makalondi (Burkina Faso - Niger).

      MIDAS saisit automatiquement les informations biographiques et biométriques des voyageurs à partir de lecteurs de documents, d’#empreintes_digitales et de #webcams. Il est la propriété entière et souveraine du Gouvernement du Niger.

      Le sytème permet d’enregistrer pour mieux sécuriser et filtrer les individus mal intentionnés, mais aussi de mieux connaître les flux pour ensuite adapter les politiques de développement sur les axes d’échange.

      A la même occasion, le Gouverneur de Tillabéri et l’OIM ont inauguré un par de vaccination le long d’un couloir de transhumance de la CEDEAO.

      Ce projet a été réalisé grâce au don du peuple Japonais.

      https://www.facebook.com/IBMNiger/videos/483536085494618
      #surveillance #biométrie #MIDAS

    • Le mardi 28 aout 2018, s’est tenu la cérémonie de remise du système MIDAS au poste de police frontalier de Makalondi (frontière Burkina faso). Cette cérémonie organisée par l’OIM Niger dans le cadre du projet « #NICOLE – Renforcement de la coopération interservices pour la sécurité des frontières au Niger » sous financement du Ministry of Foreign Affairs of Japan a enregistré la remarquable participation du gouverneur de la région de Tillabéri, le directeur de la surveillance du Territoire (DST), les responsables régionaux, départementaux et communaux de la police Nationale et de l’élevage, les autorités locales et coutumières du département de #Torodi et de la commune rurale de #Makalondi ainsi que de l’#Eucap_Sahel_Niger. MIDAS (#Migration_Information_and_Data_Analysis_System) qui est un système d’information et de gestion des données migratoires développé par l’OIM en 2009 et opérationnel dans 19 pays est aujourd’hui également opérationnel au niveau du poste frontière de Makalondi. Cette cérémonie était aussi l’occasion d’inaugurer le parc de vaccination pour bétail réalisé dans le cadre du même projet par l’OIM afin de soutenir les capacités de résilience des communautés frontalières de la localité.
      toutes les autorités présentes à la cérémonie ont tenues à exprimer leur immense gratitute envers l’OIM pour son appui au gouvernement du Niger dans son combat pour la sécurisation des frontières.


      https://www.facebook.com/IBMNiger/posts/1197797207027181

    • Niger grapples with migration and its porous borders

      Europe has been grappling with the migration problem on its side of the Mediterranean for several years now with little sign of bringing the situation under control, but there is also an African frontline, on the edges of the Sahara, and the improverished nation of Niger is one of the hotspots. The situation here is similarly out of control, and EU funds have been made available to try and persude people smugglers to give up their business. However, much of the money has gone to waste, and the situation has in some ways evolved into something worse. Euronews’ Valerie Gauriat has just returned from Niger. This is her report.

      Scores of four-wheel drives have just arrived from Libya, at the checkpoint of the city of Agadez, in central Niger, Western Africa’s gateway to the Sahara.

      Every week, convoys like these travel both ways, crossing the thousand kilometers of desert that separate the two countries.

      Travelers are exhausted after a 5-day journey.

      Many are Nigerian workers, fleeing renewed violence in Libya, but many others are migrants from other western African countries.

      “When we get to Libya, they lock us up. And when we work we don’t get paid,” said one Senegalese man.

      “What happened, we can’t describe it. We can’t talk about everything that goes on, because it’s bad, it’s so bad !” said another, from Burkina Fasso.

      Many have already tried to cross the Mediterranean to reach Europe.

      “We paid for it, but we never went. They caught us and locked us up. I want to go home to Senegal now, that’s my hope,” said another man.

      Mohamed Tchiba organised this convoy. This former Touareg rebel is a well-known figure in Agadez’s migration business, which is a long-standing, flourishing activity despite a law against irregular migration which made it illegal two years ago.

      EU-funded reconversion projects were launched to offset the losses, but Mohamed refuses to give up his livelihood.

      “I’m a smuggler, even now I’m a smuggler! Because I’ve heard that in town they are giving us something to give up this job. But they did not give me anything. And I do not know any other work than this one,” he told us.

      We head to Agadez, where we find dozens of vehicles in a car park. They were confiscated from the smugglers who were arrested by the police, and are a slowly-rusting symbol of the fight against irregular immigration.

      But that didn’t go down well with the local population. The law hit the local economy hard

      Travelers departing for Libya were once Ibrahim’s main source of revenue, but now customers for his water cans are scarce. The layoffs of workers after the closure of gold mines in the area did not help.

      “Before, we sold 400 to 500 water cans every week to migrants, and cans were also sent to the mine. But they closed the road to Libya, they closed the mines, everything is closed. And these young people stay here without working or doing anything, without food. If they get up in the morning, and they go to bed at night, without eating anything, what will prevent them one day from going to steal something?” wonders trader Oumarou Chehou.

      Friday prayers are one of the few occasions when the city comes to life.

      We go to meet with the President of the so-called Association for former migration workers.

      He takes us to meet one of the former smugglers. After stopping their activity they have benefited from an EU-funded reconversion programme.

      Abdouramane Ghali received a stock of chairs, pots, and loudspeakers, which he rents out for celebrations. We ask him how business is going.

      "It depends on God ... I used to make much more money before; I could get up to 800 euros a week; now it’s barely 30 euros a week,” he says.

      Abdouramane is still among the luckiest. Out of 7000 people involved in the migration business, less than 400 have so far benefited from the reconversion package: about 2000 euros per project. That’s not enough to get by, says the president of the Former Smugglers’ Association, Bachir Amma.

      “We respected the law, we are no longer working, we stopped, and now it’s the State of Niger and the European Union which abandoned us. People are here, they have families, they have children, and they have nothing. We eat with our savings. The money we made before, that’s what feeds us now, you see. It’s really difficult, it’s very hard for us,” he says.

      We catch up with Abdouramane the next morning. He has just delivered his equipment to one of his customers, Abba Seidou, also a former smuggler, who is now a taxi driver. Abba is celebrating the birth of his first child, a rare opportunity to forget his worries.

      “Since it’s a very wonderful day, it strengthened my heart, to go and get chairs, so that people, even if there is nothing, they can sit down if they come to your house. The times are hard for immigration, now; but with the small funds we get, people can get by. It’s going to be okay,” the proud father says. Lots of other children gather round.

      “These kids are called the” talibe “, or street kids,” reports euronews’ Valerie Gauriat. "And the celebration is a chance for them to get some food. Since the anti-smuggling law was implemented, there are more and more of them in the streets of Agadez.”

      The European Union has committed to spending more than one billion euros on development aid in a country classified as one of the poorest in the world. Niger is also one of the main beneficiaries of the European emergency fund created in 2015 to address migration issues in Africa. But for the vice-president of the region of Agadez, these funds were only a bargaining chip for the law against irregular immigration, which in his eyes, only serves the interests of Europe.

      Valerie Gauriat:

      “Niger has received significant funding from the European Union. Do you believe these funds are not used properly?”

      Vice-President of the Agadez Regional Council, Aklou Sidi Sidi:

      “First of all the funding is insufficient. When we look at it, Turkey has received huge amounts of money, a lot more than Niger. And even armed groups in Libya received much more money than Niger. Today, we are sitting here, we are the abyss of asylum seekers, refugees, migrants, displaced people. Agadez is an abyss,” he sighs.

      In the heart of the Sahel region, Niger is home to some 300,000 displaced people and refugees. They are a less and less transitory presence, which weighs on the region of Agadez. One center managed by the International Office for Migration hosts migrants who have agreed to return to their countries of origin. But the procedures sometimes take months, and the center is saturated.

      “80 percent of the migrants do not have any identification, they do not have any documents. That means that after registration we have to go through the procedure of the travel authorisation, and we have to coordinate this with the embassies and consulates of each country. That is the main issue and the challenge that we are facing every day. We have around 1000 people in this area, an area that’s supposed to receive 400 or 500 people. We have mattresses piled up because people sleep outside here because we’re over our capacity. Many people are waiting on the other side. So we need to move these people as quickly as possible so we can let others come,” says the IOM’s transit centre manager, Lincoln Gaingar.

      Returning to their country is not an option for many who transit through Niger. Among them are several hundred Sudanese, supervised by the UNHCR. Many fled the Darfur conflict, and endured hell in Libyan detention centres. Some have been waiting for months for an answer to their asylum request.

      Badererdeen Abdul Kareem dreams of completing his veterinary studies in the West.

      “Since I finished my university life I lost almost half of my life because of the wars, traveling from Sudan to Libya. I don’t want to lose my life again. So it’s time to start my life, it’s time to work, it’s time to educate. Staying in Niger for nothing or staying in Niger for a long time, for me it’s not good.”

      But the only short-term perspective for these men is to escape the promiscuity of the reception center. Faced with the influx of asylum seekers, the UNHCR has opened another site outside the city.

      We meet Ibrahim Abulaye, also Sudanese, who spent years in refugee camps in Chad, and then Libya. He is 20 years old.

      “It was really very difficult, but thank God I’m alive. What I can really say is that since we cannot go back home, we are looking for a place that is more favourable to us, where we can be safe, and have a better chance in life.”

      Hope for a better life is closer for those who have been evacuated from Libyan prisons as part of an emergency rescue plan launched last year by the UNHCR. Welcomed in Niamey, the capital of Niger, they must be resettled in third countries.

      After fleeing their country, Somalia, these women were tortured in Libyan detention centers. They are waiting for resettlement in France.

      “There are many problems in my country, and I had my own. I have severe stomach injuries. The only reason I left my country was to escape from these problems, and find a safe place where I could find hope. People like me need hope,” said one of them.

      A dozen countries, most of them European, have pledged to welcome some 2,600 refugees evacuated from Libya to Niger. But less than 400 have so far been resettled.

      “The solidarity is there. There has to be a sense of urgency also to reinstall them, to welcome them in the countries that have been offering these places. It is important to avoid a long stay in Niger, and that they continue their journey onwards,” says the UNHCR’s Alessandra Morelli in Niamey.

      The slowness of the countries offering asylum to respect their commitments has disappointed the Niger government. But what Niger’s Interior minister Mohamed Bazoum most regrets is a lack of foresight in Europe, when it comes to stemming irregular immigration.

      “I am rather in favor of more control, but I am especially in favor of seeing European countries working together to promote another relationship with African countries. A relationship based on issuing visas on the basis of the needs that can be expressed by companies. It is because this work is not done properly, that we have finally accepted that the only possible migration is illegal migration,” he complains.

      Estimated from 5 to 7,000 per week in 2015, the number of migrants leaving for Libya has fallen tenfold, according to the Niger authorities. But the traficking continues, on increasingly dangerous routes.

      The desert, it is said in Agadez, has become more deadly than the Mediterranean.

      We meet another one of the smugglers who for lack of alternatives says he has resumed his activities, even if he faces years in prison.

      “This law is as if we had been gathered together and had knives put under our throats, to slit our throats. Some of us were locked up, others fled the country, others lost everything,” he says.

      He takes us to one of the former transit areas where migrants were gathered before leaving for Libya, when it was allowed. The building has since been destroyed. Customers are rarer, and the price of crossings has tripled. In addition to the risk of being stopped by the police and army patrols, travelers have to dodge attacks by arms and drug traffickers who roam the desert.

      “Often the military are on a mission, they don’t want to waste time, so sometimes they will tell you,’we can find an arrangement, what do you offer?’ We give them money to leave. We must also avoid bandits. There are armed people everywhere in the bush. We have to take byways to get around them. We know that it’s dangerous. But for us, the most dangerous thing is not to be able to feed your family! That’s the biggest danger!”

      We entered one of the so-called ghettos outside Agadez, where candidates for the trip to Europe through Libya hide out, until smugglers pick them up. We are led to a house where a group of young people are waiting for their trip to be organized by their smuggler.

      They have all have already tried to cross the desert, but were abandoned by their drivers, fleeing army patrols, and were saved in the nick of time. Several of their fellow travelers died of thirst and exhaustion.

      Mohamed Balde is an asylum seeker from Guinea.

      “The desert is a huge risk. There are many who have died, but people are not discouraged. Why are they coming? One should just ask the question!” he says. “All the time, there are meetings between West African leaders and the leaders of the European Union, to give out money, so that the migrants don’t get through. We say that’s a crime. It is their interests that they serve, not the interests of our continent. To stop immigration, they should invest in Africa, in companies, so that young people can work.”

      Drogba Sumaru is an asylum seeker from the Ivory Coast.

      “It’s no use giving money to people, or putting soldiers in the desert, or removing all the boats on the Mediterranean, to stop immigration! It won’t help, I will keep going on. There are thousands of young people in Africa, ready to go, always. Because there is nothing. There is nothing to keep them in their countries. When they think of the suffering of their families, when they think that they have no future. They will always be ready, ready for anything. They will always be ready to risk their lives,” he concludes.

      https://www.euronews.com/2018/10/26/niger-grapples-with-migration-and-its-porous-borders

    • Europe’s « Migrant Hunters »

      The checkpoint on the way out of the Saharan town of Agadez in Niger is nothing more than a long metal chain that stretches across the road. On a Monday afternoon in March, a handful of pickup trucks and lorries loaded with migrants mostly from southern Niger waited quietly at the barrier to embark on the long journey up through the Ténéré desert. An overweight officer inspected the vehicles and then invited the drivers to show him their paperwork inside a somber-looking shack on the side of the road, where money most likely changed hands.

      Every Monday afternoon a convoy, protected by an escort of three military pickups, two mounted with machine guns, begins its arduous journey toward Dirkou, 435 miles away, on the road to the Libyan border. Protection has long been needed against highwaymen—or, as they’re called locally, coupeurs de route. These disgruntled Tuareg youths and former rebels roam the foothills of the Aïr Mountains just beyond Agadez. If a vehicle slips out of view of the escort for even a moment, the coupeurs seize the opportunity, chasing and shooting at the overloaded vehicles to relieve the passengers of their money and phones—or sometimes even to take the cars. A cautious driver sticks close behind the soldiers, even if they are pitifully slow, stopping frequently to sleep, eat, drink tea, or extract bribes from drivers trying to avoid the checkpoints.

      The first 60 miles out of Agadez—a journey of about two hours through the mountains—were the most hazardous. But then we reached the dusty Ténéré plain. As darkness fell, lighter vehicles picked up speed, making good headway during the night as the cold hardened the sand. Sleepy migrants, legs dangling over the side of the tailboard, held on to branches attached to the frame of the vehicle to keep from falling off.

      The following day, there was a stop at Puits Espoir (“Hope’s Well”), midway between Agadez and Dirkou. It was dug 15 years ago to keep those whose transport had broken down in the desert from dying of thirst. But the well’s Arabic name, Bir Tawil, which means “the Deep Well,” is perhaps more apt. The well drops nearly 200 feet, and without a long enough rope to reach the water below, migrants and drivers can perish at its edge. The escort soldiers told me that the bodies of 11 who died in this way are buried in the sand inside a nearby enclosure built from car scraps. Travelers took a nap under its shade or beside the walls around the well, which were graffitied by those who had passed through. There was “Dec 2016 from Tanzania to Libya” or “Flavio—Solo from Guinea.” After Espoir, most vehicles abandon the slow convoy and go off on their own, risking attacks by coupeurs for a quicker journey toward Libya.

      PROXY BORDER GUARDS

      Before mid-2016, there were between 100 and 200 vehicles, mostly pickups, each filled with around 30 migrants heading for Libya, that were making such a journey every week. Since mid-2016, however, under pressure from the European Union, and with promises of financial support, the Niger government began cracking down on the northward flow of sub-Saharans, arresting drivers and confiscating cars, sometimes at the Agadez checkpoint itself. Now there are only a few cars transporting passengers, most of them Nigeriens who have managed to convince soldiers at the checkpoint—often with the help of a bribe—that they do not intend to go all the way to Europe but will end their journey in Libya.

      “To close Libya’s southern border is to close Europe’s southern border,” Marco Minniti, Italy’s interior minister, said in April at a meeting in Rome with representatives of three cross-border Saharan tribes, the Tubu, Awlad Suleiman Arabs, and Tuareg. The leaders agreed to form a border force to stop migrants entering Libya from traveling to Europe, reportedly at the demand of, and under the prospect of money from, the Italian government. All three communities are interested in resolving the deadly conflicts that have beset the country since the fall of Colonel Muammar al-Qaddafi in 2011 and hope Italy will compensate them monetarily for their casualties (in tribal conflicts, a payment is needed to end a fight) as well as fund reconstruction and development of neglected southern Libya. Italy, of course, is keen on halting the flow of migrants reaching its shores and sees these Saharan groups, which have the potential to intervene before migrants even get to Libya, as plausible proxies.

      Some tribal leaders in southern Libya—mostly Tubu and Tuareg—look favorably on Italy’s and Europe’s overtures and suggested that the EU should cooperate directly with local militias to secure the border. But their tribes largely benefit from smuggling migrants, and they also made clear this business will not stop unless development aid and compensation for the smugglers is provided. “The EU wants to use us against migrants and terrorism,” a Tubu militia leader told me, off-the-record, on the side of a meeting in the European Parliament last year. “But we have our own problems. What alternative can we propose to our youth, who live off trafficking?”

      With or without the EU, some of the newly armed groups in Libya are selling themselves as migrant hunters. “We arrested more than 18,000 migrants,” a militia chief told me, with a hauteur that reminded me of the anti-immigrant sentiment spreading across Europe. “We don’t want just to please the EU, we protect our youths and our territory!”

      It seems rather reckless, however, in a largely stateless stretch of the Sahara, for Europe to empower militias as proxy border guards, some of whom are the very smugglers whose operations the EU is trying to thwart. The precedent in Sudan is not encouraging. Last year, Khartoum received funding from the EU that was intended to help it restrict outward migration. The best the government could do was redeploy at the Sudanese-Libyan border the notorious Rapid Support Forces, recruited among Darfur’s Janjaweed militias, which have wreaked havoc in the province since 2003. In due course, their leader, Brigadier General Dagalo, also known as “Hemeti,” claimed to have arrested 20,000 migrants and then threatened to reopen the border if the EU did not pay an additional sum. The EU had already given Sudan and Niger 140 million euros each in 2016. And the Libyan rival factions are catching on, understanding well that the migrant crisis gives them a chance to blackmail European leaders worried about the success of far-right anti-immigrant groups in their elections. In February, with elections looming in the Netherlands and France, the EU made a deal to keep migrants in Libya, on the model of its March 2016 agreement with Turkey, with the Tripoli-based, internationally recognized Government of National Accord, despite the fact it has little control over the country. In August, the GNA’s main rival, eastern Libya’s strongman Khalifa Haftar, claimed that blocking migrants at Libya’s southern borders would cost one billion euros a year over 20 years and asked France, his closest ally in Europe, to provide him with military equipment such as helicopters, drones, armored vehicles, and night vision goggles. Needless to say, Haftar did not get the equipment.

      THE HUB

      Dirkou became a migrant hub about 25 years ago and remains a thriving market town whose residents make a living mostly off of road transport to and from Libya. Smuggling people across Libya’s southern borders became semiofficial practice in 1992, as Qaddafi sought to circumvent the UN’s air traffic embargo. This, in turn, opened up an opportunity for ambitious facilitators who could get their hands on a vehicle, a period that came to be known locally as “the Marlboro era.” Planes and trucks, contravening the embargo, delivered cigarettes to Dirkou, where there was already an airstrip long enough for cargo planes. They then sold their contraband to Libyan smugglers, who took them north with help from Nigerien authorities.

      Smuggling was possible at the time only if the government was involved, explained Bakri, one of the drivers I met in Dirkou (and who requested his name be changed). Gradually, cigarettes were replaced by Moroccan cannabis, which was driven down from around the Algerian border through Mali and Niger. Tuareg rebels, who had been involved in sporadic insurgencies against the governments of Mali and Niger, began to attack the convoys to steal their cargoes for reselling. The traffickers eventually enlisted them to serve as their protectors, guides, or drivers.

      That process began in the 1990s and 2000s when the Niger government and Tuareg rebels held regular peace talks and struck deals that allowed former insurgents to be integrated into the Niger armed forces. Hundreds of fighters who were left to fend for themselves, however, fell back on banditry or drug trafficking, and it wasn’t long before the authorities decided that they should be encouraged to transport migrants to Libya instead. Many now own vehicles that had been captured from the army in the course of the rebellion. These were cleared through customs at half the normal fee, and the Ministry of Transport awarded a great number of them licenses. It was decided that the new fleet of migrant facilitators would take passengers at the bus station in Agadez.

      In 2011, after the NATO-backed revolution in Libya had toppled Qaddafi, newly formed Tubu militias took control of most of the country’s arms stockpiles, as well as its southern borderlands. Many young Tubu men from Libya or Niger stole or, like Bakri, who dropped out of the university to become a smuggler, bought a good pickup truck for carrying passengers. The new wave of drivers who acquired their cars during the turmoil were known in Arabic as sawag NATO, or “NATO drivers.”

      “If the number of migrants increased,” Bakri told me, “it’s mostly because NATO overthrew Qaddafi.” Qaddafi was able to regulate the flow of migrants into Europe and used it as a bargaining chip. In 2008, he signed a friendship treaty with Italy, which was then led by Silvio Berlusconi. In exchange for Libya’s help to block the migrants, “Il Cavaliere” launched the construction of a $5 billion highway in Libya. Crucially, however, Qaddafi’s regime provided paid work for hundreds of thousands of sub-Saharans, who had no need to cross the Mediterranean. Since 2011, Libya has become a much more dangerous place, especially for migrants. They are held and often tortured by smugglers on the pretext that they owe money and used for slave labor and prostitution until their families can pay off the debt.

      In May 2015, under EU pressure, Niger adopted a law that made assistance to any foreigner illegal on the grounds that it constituted migrant trafficking. Critics noted that the legislation contradicts Niger’s membership in the visa-free ECOWAS (Economic Community of West African States), from which most migrants traveling between Niger and Libya hail (they numbered 400,000 in 2016). The law was not enforced until the middle of last year, when the police began arresting drivers and “coaxers”—the regional term for all intermediaries on the human-smuggling routes up through West Africa. They jailed about 100 of them and confiscated another 100 vehicles. Three months later, the EU congratulated itself for a spectacular drop in migrant flows from Niger to Libya. But the announcement was based on International Organization for Migration (IOM) data, which the UN agency has since acknowledged to be incorrect, owing to a “technical problem” with its database.

      Saddiq, whose name has also been changed, is a coaxer in Agadez. He told me that migrants were still arriving in the town in the hope of heading north. “The police are from southern Niger and they are not familiar with the desert,” he said. “For every car arrested, 20 get through.” The cars have gotten faster. One of Saddiq’s drivers traded his old one for a Toyota Tundra, which can reach 120 miles per hour on hard sand. Meanwhile, groups of migrants have gotten smaller and are thus lighter loads. New “roads” have already been pounded out through the desert. Drivers pick up migrants as far south as the Nigerien-Nigerian border, keeping clear of towns and checkpoints. “Tubu drivers have been going up with GPS to open new roads along the Niger-Algeria border,” said Saddiq. “They meet the drug traffickers and exchange food and advice.”

      On these new roads, risks are higher for drivers and passengers. Vehicles get lost, break down, and run out of fuel. Thirst is a constant danger, and, as drivers and the IOM warned, deaths increased during the 2017 dry season, which began in May. Drivers pursued by patrols are likely to aim for a high-speed getaway, which means abandoning their passengers in the desert. “Because we couldn’t take the main road, bandits attacked us,” Aji, a Gambian migrant, told me as he recounted his failed attempt to get to Libya last December. “Only 30 kilometers from Agadez, bandits shot at us, killed two drivers and injured 17 passengers, including myself.” They took everything he owned. He was brought back to the hospital in Agadez for treatment for his wounded leg. He was broke and his spirits were low. “I no longer want to go to Libya,” he said.

      New liabilities for the smugglers drive up their prices: the fare for a ride from Agadez to Libya before the Niger government decided to curtail the northward flow was around $250. Now it is $500 or more. People with enough money travel in small, elite groups of three to five for up to $1,700 per head. Migrants without enough cash can travel on credit, but they risk falling into debt bondage once in Libya. Even with the higher fees, smugglers’ revenues have not increased. Saddiq’s has fallen from $5,000 a month to around $2,000. Costs, including lavish bribes to Niger’s security forces, have risen sharply. Still, the pace of the trade remains brisk. “I have a brand-new vehicle ready for 22 passengers,” Saddiq told me. That evening, as he loaded up his passengers with their light luggage and jerry cans of water, a motorbike went ahead of it with its headlights off to make sure that the coast was clear.

      “Many won’t give up this work, but those who continue are stuntmen,” grumbled one of Saddiq’s colleagues, a Tuareg former rebel who has been driving migrants for more than 15 years. Feeling chased by the authorities, or forced to pay them bribes twice as much as before, Tuareg and Tubu drivers are increasingly angry with the Nigerien government and what they call “the diktat of Europe.” He thought there might be better money in other activities. “What should we do? Become terrorists?” he said, somewhat provocatively. “I should go up to Libya and enlist with Daesh [the Islamic State, or ISIS]. They’re the ones who offer the best pay.”

      https://www.foreignaffairs.com/articles/niger/2017-08-31/europes-migrant-hunters
      #Agadez #réfugiés #Niger #désert_du_Ténéré #passeurs #smugglers #smuggling #Dirkou #routes_migratoires #parcours_migratoires

    • Sfidare la morte per fuggire dal Niger

      In Niger i militari inseguono i migranti. Ordini dall’alto: quello che vuole l’Europa. Che per questo li paga. I profughi cercano così altri percorsi. Passano per il deserto, per piste più pericolose. Con il rischio di morire disidratati

      http://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.308980!/httpImage/image.JPG_gen/derivatives/gallery_990/image.JPG
      http://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.308979!/httpImage/image.JPG_gen/derivatives/gallery_990/image.JPG


      #photographie

    • A line in the sand

      In late 2016, Agadez made headlines when Niger became one of the European Union (EU)’s prime partners in the fight against irregular migration. The arrest of human smugglers and the confiscation of their 4x4 trucks resulted in a decrease in the number of migrants travelling through the region.

      Given Agadez’s economic dependence on the migration industry, Clingendael’s Conflict Research Unit investigated the costs of these measures for the local population, their authorities and regional security. We invite you to work with our data and explore our findings.


      https://www.clingendael.org/sustainable_migration_management_Agadez
      #économie #économie_locale

    • Quel lunedì che ha cambiato la migrazione in Niger

      Nella prima storia della sua trilogia sul Niger per Open Migration, Giacomo Zandonini ci raccontava com’è cambiata la vita di un ex passeur di migranti dopo l’applicazione delle misure restrittive da parte del governo. In questa seconda storia, sfida i pericoli del Sahara insieme ai migranti e racconta come la chiusura della rotta di Agadez abbia spinto la locale economia al dettaglio verso le mani di un sistema mafioso.

      http://openmigration.org/analisi/quel-lunedi-che-ha-cambiato-la-migrazione-in-niger
      #fermeture_des_frontières #mafia

      En anglais:
      http://openmigration.org/en/analyses/the-monday-that-changed-migration-in-niger

    • In Niger, Europe’s Empty Promises Hinder Efforts to Move Beyond Smuggling

      The story of one former desert driver and his struggle to escape the migration trade reveals the limits of an E.U. scheme to offer alternatives to the Sahara smugglers. Giacomo Zandonini reports from Agadez.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/articles/2018/01/03/europes-empty-promises-hinder-efforts-to-move-beyond-smuggling
      #reconversion

    • Agadez, aux portes du Sahara

      Dans la foulée de la ’crise des migrants’ de 2015, l’Union Européenne a signé une série d’accords avec des pays tiers. Parmi ceux-ci, un deal avec le Niger qui provoque des morts anonymes par centaines dans le désert du Sahara. Médecins du Monde est présente à Agadez pour soigner les migrants. Récit.

      https://spark.adobe.com/page/47HkbWVoG4nif

    • « A Agadez, on est passé de 350 migrants par jour à 100 par semaine »

      Journée spéciale sur RFI ce 23 mai. La radio mondiale propose des reportages et des interviews sur Agadez, la grande ville-carrefour du Nord-Niger, qui tente de tourner le dos à l’émigration clandestine. Notre reporter, Bineta Diagne essaie notamment de savoir si les quelque 5 000 à 6 000 passeurs, transporteurs et rabatteurs, qui vivent du trafic des migrants, sont en mesure de se reconvertir. Au Niger, Mohamed Bazoum est ministre d’Etat, ministre de l’Intérieur et de la Sécurité publique. En ligne de Niamey, il répond aux questions de Christophe Boisbouvier.

      http://www.rfi.fr/emission/20180523-agadez-on-est-passe-350-migrants-jour-100-semaine

      Des contacts sur place ont confirmé à Karine Gatelier (Modus Operandi, association grenobloise) et moi-même que les arrivées à Agadez baissent.
      La question reste :

      Les itinéraires changent : vers où ?

    • Niger: la difficile #reconversion d’Agadez

      Le Niger est un pays de transit et de départ de l’émigration irrégulière vers l’Europe. Depuis fin 2016, les autorités tentent de lutter contre ce phénomène. Les efforts des autorités se concentrent autour de la ville d’Agadez, dans le centre du pays. Située aux portes du désert du Ténéré et classée patrimoine mondial de l’Unesco, Agadez a, pendant plusieurs années, attiré énormément de touristes amoureux du désert. Mais l’insécurité a changé la donne de cette région, qui s’est progressivement développée autour d’une économie parallèle reposant sur la migration. Aujourd’hui encore, les habitants cherchent de nouveaux débouchés.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180523-niger-difficile-reconversion-agadez
      #tourisme

    • Au #Sahara, voyager devient un crime

      La France s’est émue lorsque Mamadou Gassama, un Malien de 22 ans, sans papiers, a sauvé un enfant de 4 ans d’une (probable) chute fatale à Paris. Une figure de « migrant extraordinaire » comme les médias savent régulièrement en créer, mais une figure qui ne devrait pas faire oublier tous les autres, « les statistiques, les sans-nom, les numéros. » Ni tous celles et ceux qui n’ont aucune intention de venir en Europe, mais qui sont néanmoins victimes des nouvelles politiques migratoires européennes et africaines mises en œuvre à l’abri des regards, à l’intérieur même du continent africain.

      Les migrations vers et à travers le Sahara ne constituent certes pas un phénomène nouveau. Mais à partir du début des années 2000, la focalisation des médias et des pouvoirs publics sur la seule minorité d’individus qui, après avoir traversé le Sahara, traversent également la Méditerranée, a favorisé l’assimilation de l’ensemble de ces circulations intra-africaines à des migrations économiques à destination de l’Europe.

      Ce point de vue, qui repose sur des représentations partielles et partiales des faits, éloignées des réalités de terrain observées par les chercheurs, sert depuis lors de base de légitimation à la mise en œuvre de politiques migratoires restrictives en Afrique.

      Le Sahara, zone de contrôle

      L’Europe (Union européenne et certains États), des organisations internationales (notamment l’Organisation internationale pour les migrations (OIM)) et des structures ad hoc (#Frontex, #EUCAP_Sahel_Niger), avec la coopération plus ou moins volontariste des autorités nationales des pays concernés, participent ainsi au durcissement législatif mis en place dans les pays du Maghreb au cours des années 2000, puis en Afrique de l’Ouest la décennie suivante, ainsi qu’au renforcement de la surveillance et du contrôle des espaces désertiques et des populations mobiles.

      Le Sahara est ainsi transformé en une vaste « #zone-frontière » où les migrants peuvent partout et en permanence être contrôlés, catégorisés, triés, incités à faire demi-tour voire être arrêtés.

      Cette nouvelle manière de « gérer » les #circulations_migratoires dans la région pose de nombreux problèmes, y compris juridiques. Ainsi, les ressortissants des États membres de la Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest (#CEDEAO), qui ont officiellement le droit de circuler librement au sein de l’#espace_communautaire, se font régulièrement arrêter lorsqu’ils se dirigent vers les frontières septentrionales du #Mali ou du #Niger.

      Le Niger, nouveau garde-frontière de l’Europe

      Dans ce pays, les migrations internationales n’étaient jusqu’à récemment pas considérées comme un problème à résoudre et ne faisaient pas l’objet d’une politique spécifique.

      Ces dernières années, tandis que le directeur général de l’OIM affirmait – sans chiffre à l’appui – qu’il y a dorénavant autant de décès de migrants au Sahara qu’en Méditerranée, l’UE continuait de mettre le gouvernement nigérien sous pression pour en finir avec « le modèle économique des passeurs ».

      Si des projets et programmes sont, depuis des années, mis en œuvre dans le pays pour y parvenir, les moyens financiers et matériels dédiés ont récemment été décuplés, à l’instar de l’ensemble des moyens destinés à lutter contre les migrations irrégulières supposées être à destination de l’Europe.

      Ainsi, le budget annuel de l’OIM a été multiplié par 7,5 en 20 ans (passant de 240 millions d’euros en 1998 à 1,8 milliard d’euros en 2018), celui de Frontex par 45 en 12 ans (passant de 6 millions d’euros en 2005 à 281 millions d’euros en 2017), celui d’EUCAP Sahel Niger par 2,5 en 5 ans (passant de moins de 10 millions d’euros en 2012 à 26 millions d’euros en 2017), tandis que depuis 2015 le Fonds fiduciaire d’urgence pour l’Afrique a été lancé par l’UE avec un budget de 2,5 milliards d’euros destinés à lutter contre les « causes profondes de la migration irrégulière » sur le continent, et notamment au Sahel.

      Ceci est particulièrement visible dans la région d’Agadez, dans le nord du pays, qui est plus que jamais considérée par les experts européens comme « le lieu où passe la plupart des flux de [migrants irréguliers] qui vont en Libye puis en Europe par la route de la Méditerranée centrale ».

      La migration criminalisée

      La mission européenne EUCAP Sahel Niger, lancée en 2012 et qui a ouvert une antenne permanente à Agadez en 2017, apparaît comme un des outils clés de la politique migratoire et sécuritaire européenne dans ce pays. Cette mission vise à « assister les autorités nigériennes locales et nationales, ainsi que les forces de sécurité, dans le développement de politiques, de techniques et de procédures permettant d’améliorer le contrôle et la lutte contre les migrations irrégulières », et d’articuler cela avec la « lutte anti-terroriste » et contre « les activités criminelles associées ».

      Outre cette imbrication officialisée des préoccupations migratoires et sécuritaires, EUCAP Sahel Niger et le nouveau Cadre de partenariat pour les migrations, mis en place par l’UE en juin 2016 en collaboration avec le gouvernement nigérien, visent directement à mettre en application la loi nigérienne n°2015-36 de mai 2015 sur le trafic de migrants, elle-même faite sur mesure pour s’accorder aux attentes européennes en la matière.

      Cette loi, qui vise à « prévenir et combattre le trafic illicite de migrants » dans le pays, définit comme trafiquant de migrants « toute personne qui, intentionnellement et pour en tirer, directement ou indirectement, un avantage financier ou un autre avantage matériel, assure l’entrée ou la sortie illégale au Niger » d’un ressortissant étranger.
      Jusqu’à 45 000 euros d’amende et 30 ans de prison

      Dans la région d’#Agadez frontalière de la Libye et de l’Algérie, les gens qui organisent les transports des passagers, tels les chauffeurs-guides en possession de véhicules pick-up tout-terrain leur permettant de transporter une trentaine de voyageurs, sont dorénavant accusés de participer à un « trafic illicite de migrants », et peuvent être arrêtés et condamnés.

      Transporter ou même simplement loger, dans le nord du Niger, des ressortissants étrangers (en situation irrégulière ou non) fait ainsi encourir des amendes allant jusqu’à 30 millions de francs CFA (45 000 euros) et des peines pouvant s’élever à 30 ans de prison.

      Et, cerise sur le gâteau de la répression aveugle, il est précisé que « la tentative des infractions prévue par la présente loi est punie des mêmes peines. » Nul besoin donc de franchir irrégulièrement une frontière internationale pour être incriminé.

      Résultat, à plusieurs centaines de kilomètres des frontières, des transporteurs, « passeurs » avérés ou supposés, requalifiés en « trafiquants », jugés sur leurs intentions et non leurs actes, peuvent dorénavant être arrêtés. Pour les autorités nationales, comme pour leurs homologues européens, il s’agit ainsi d’organiser le plus efficacement possible une lutte préventive contre « l’émigration irrégulière » à destination de l’Europe.

      Cette aberration juridique permet d’arrêter et de condamner des individus dans leur propre pays sur la seule base d’intentions supposées : c’est-à-dire sans qu’aucune infraction n’ait été commise, sur la simple supposition de l’intention d’entrer illégalement dans un autre pays.

      Cette mesure a été prise au mépris de la Charte africaine des droits de l’homme et des peuples (article 12.2) et de la Déclaration universelle des droits de l’homme (article 13.2), qui stipulent que « toute personne a le droit de quitter tout pays, y compris le sien ».

      Au mépris également du principe de présomption d’innocence, fondateur de tous les grands systèmes légaux. En somme, une suspension du droit et de la morale qui reflète toute la violence inique des logiques de lutte contre les migrations africaines supposées être à destination de l’Europe.
      Des « passeurs » sans « passages »

      La présomption de culpabilité a ainsi permis de nombreuses arrestations suivies de peines d’emprisonnement, particulièrement dans la région d’Agadez, perçue comme une région de transit pour celles et ceux qui souhaitent se rendre en Europe, tandis que les migrations vers le Sud ne font l’objet d’aucun contrôle de ce type.

      La loi de 2015 permet en effet aux forces de l’ordre et de sécurité du Niger d’arrêter des chauffeurs nigériens à l’intérieur même de leur pays, y compris lorsque leurs passagers sont en situation régulière au Niger. Cette loi a permis de créer juridiquement la catégorie de « passeur » sans qu’il y ait nécessairement passage de frontière.

      La question des migrations vers et à travers le Sahara semble ainsi dorénavant traitée par le gouvernement nigérien, et par ses partenaires internationaux, à travers des dispositifs dérivés du droit de la guerre, et particulièrement de la « guerre contre le terrorisme » et de l’institutionnalisation de lois d’exception qui va avec.

      Malgré cela, si le Niger est peu à peu devenu un pays cobaye des politiques antimigrations de l’Union européenne, nul doute pour autant qu’aucune police n’est en mesure d’empêcher totalement les gens de circuler, si ce n’est localement et temporairement – certainement pas dans la durée et à l’échelle du Sahara.

      Adapter le voyage

      Migrants et transporteurs s’adaptent et contournent désormais les principales villes et leurs #check-points, entraînant une hausse des tarifs de transport entre le Niger et l’Afrique du Nord. Ces #tarifs, qui ont toujours fortement varié selon les véhicules, les destinations et les périodes, sont passés d’environ 100 000 francs CFA (150 euros) en moyenne par personne vers 2010, à plusieurs centaines de milliers de francs CFA en 2017 (parfois plus de 500 euros). Les voyages à travers le Sahara sont ainsi plus onéreux et plus discrets, mais aussi plus difficiles et plus risqués qu’auparavant, car en prenant des routes inhabituelles, moins fréquentées, les transporteurs ne minimisent pas seulement les risques de se faire arrêter, mais aussi ceux de se faire secourir en cas de pannes ou d’attaques par des bandits.

      Comme le montre l’article Manufacturing Smugglers : From Irregular to Clandestine Mobility in the Sahara, cette « clandestinisation » (http://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/0002716217744529) généralisée du transport de migrants s’accompagne d’une diminution, voire d’une disparition, du contrôle social jusque-là exercé sur les différents acteurs, entre eux, mais aussi par leurs proches ou par les agents de l’État qui ponctionnaient illégalement leurs activités.

      Il était en effet aisé, jusqu’à récemment, de savoir qui était parti d’où, quel jour, avec combien de passagers, et de savoir si tous étaient arrivés à bon port. Ce qui incitait chacun à rester dans les limites morales de l’acceptable. Ces dernières années, entre les risques pris volontairement par les transporteurs et les migrants, et les abandons de passagers dans le désert, il ne serait pas étonnant que le nombre de morts sur les pistes sahariennes ait augmenté.
      Une vraie fausse réduction des flux

      Récemment, l’OIM a pu clamer une diminution des volumes des flux migratoires passant par le Niger, et des représentants de l’UE et de gouvernements sur les deux continents ont pu se féliciter de l’efficacité des mesures mises en œuvre, clamant unanimement la nécessité de poursuivre leur effort.

      Mais de l’accord même des agents de l’#OIM, seul organisme à produire des chiffres en la matière au Sahara, il ne s’agit en fait que d’une diminution du nombre de personnes passant par ses points de contrôle, ce qui ne nous dit finalement rien sur le volume global des flux à travers le pays. Or, malgré toutes les mesures sécuritaires mises en place, la toute petite partie de la population qui a décidé de voyager ainsi va sans doute continuer à le faire, quel qu’en soit le risque.

      https://theconversation.com/au-sahara-voyager-devient-un-crime-96825
      #Afrique_de_l'Ouest #mobilité #libre_circulation #frontières #externalisation #fermeture_des_frontières #migrations #asile #réfugiés #IOM #contrôles_frontaliers #déstructuration #passeurs #smugglers

    • Déclaration de fin de mission du Rapporteur Spécial des Nations Unies sur les droits de l’homme des migrants, Felipe González Morales, lors de sa visite au Niger (1-8 octobre, 2018)

      L’externalisation de la gestion de la migration du Niger par le biais de l’OIM

      En raison de ses capacités limitées, le gouvernement du Niger s’appuie depuis 2014 largement sur l’OIM pour répondre à la situation des personnes migrantes expulsées de l’Algérie ou forcées de revenir de pays voisins tels que la Libye et le Mali. À leur arrivée dans l’un des six centres de transit de l’OIM, et sous réserve qu’ils s’engagent à leur retour, l’OIM leur offre un abri, de la nourriture, une assistance médicale et psychosociale, des documents de voyage/d’identité et le transport vers leur pays d’origine. Depuis 2015, 11 936 migrants ont été rapatriés dans leur pays d’origine dans le cadre du programme d’AVR de l’OIM, la plupart en Guinée Conakry, au Mali et au Cameroun.

      Au cours de ma visite, j’ai eu l’occasion de m’entretenir avec de nombreux hommes, femmes et enfants vivant dans les centres de transit de l’OIM à Agadez et à Niamey, inscrits au programme d’AVR. Certains d’entre eux ont indiqué qu’ils ne pouvaient plus supporter les violations des droits de l’homme (ayant été victimes de discrimination raciale, d’arrestations arbitraires, de torture, d’expulsion collective, d’exploitation sexuelle et par le travail pendant leur migration) et de la situation difficile dans les centres de transit et souhaitaient retourner dans leur pays d’origine. D’autres ont indiqué qu’ils s’étaient inscrits au programme d’AVR parce que c’était la seule assistance qui leur était offerte, et beaucoup d’entre eux m’ont dit que dès leur retour dans leur pays d’origine, ils essaieraient de migrer à nouveau.

      En effet, quand le programme d’AVR est la seule option disponible pour ceux qui ont été expulsés ou forcés de rentrer, et qu’aucune autre alternative réelle n’est proposée à ceux qui ne veulent pas s’y inscrire, y compris ceux qui se trouvent dans une situation vulnérable et qui ont été victimes de multiples violations des droits de l’homme, des questions se posent quant à la véritable nature volontaire de ces retours si l’on considère l’ensemble du parcours qu’ils ont effectué. De plus, l’inscription à un programme d’AVR ne peut pas prévaloir sur le fait que la plupart de ces migrants sont à l’origine victimes d’expulsions illégales, en violation des principes fondamentaux du droit international.

      L’absence d’évaluations individuelles efficaces et fondées sur les droits de l’homme menées auprès des migrants rapatriés, faites dans le respect du principe fondamental de non-refoulement et des garanties d’une procédure régulière, est un autre sujet de préoccupation. Un grand nombre de personnes migrantes inscrites au programme d’AVR sont victimes de multiples violations des droits de l’homme (par exemple, subies au cours de leur migration et dans les pays de transit) et ont besoin d’une protection fondée sur le droit international. Cependant, très peu de personnes sont orientées vers une demande d’asile/procédure de détermination du statut de réfugié, et les autres sont traitées en vue de leur retour. L’objectif ultime des programmes d’AVR, à savoir le retour des migrants, ne peut pas prévaloir sur les considérations en lien avec les droits de l’homme pour chaque cas. Cela soulève également des préoccupations en termes de responsabilité, d’accès à la justice et de recours pour les migrants victimes de violations des droits de l’homme.

      Rôle des bailleurs de fonds internationaux et en particulier de l’UE

      Bien que les principaux responsables gouvernementaux ont souligné que l’objectif de réduction des migrations vers le nord était principalement une décision de politique nationale, il est nécessaire de souligner le rôle et la responsabilité de la communauté internationale et des bailleurs de fond à cet égard. En effet, plusieurs sources ont déclaré que la politique nigérienne en matière de migration est fortement influencée et principalement conduite selon les demandes de l’Union européenne et de ses États membres en matière de contrôle de la migration en échange d’un soutien financier. Par exemple, le fait que le Fonds fiduciaire de l’Union européenne apporte un soutien financier à l’OIM en grande partie pour sensibiliser et renvoyer les migrants dans leur pays d’origine, même lorsque le caractère volontaire est souvent discutable, compromet son approche fondée sur les droits dans la coopération pour le développement. De plus, d’après mes échanges avec l’Union européenne, aucun soutien n’est prévu pour les migrants qui ne sont ni des réfugiés ni pour ceux qui n’ont pas accepté d’être renvoyés volontairement dans leur pays d’origine. En outre, le rôle et le soutien de l’UE dans l’adoption et la mise en œuvre de la loi sur le trafic illicite de migrants remettent en question son principe de « ne pas nuire » compte tenu des préoccupations en matière de droits de l’homme liées à la mise en œuvre et exécution de la loi.

      https://www.ohchr.org/FR/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=23698&LangID=F
      #droits_humains #droits_de_l'homme_des_migrants #Niger #asile #migrations #réfugiés

    • African migration ’a trickle’ thanks to trafficking ban across the Sahara

      The number of migrants trying to cross the Mediterranean for Europe has been dropping and that is partly because of tougher measures introduced on the migrant routes, as Mike Thomson reports from Niger.

      In a small dusty courtyard near the centre of Agadez, a town on the fringes of the Sahara desert, Bachir Amma, eats lunch with his family.

      A line of plastic chairs, clinging to the shadow of the mud walls, are the only visible furniture.

      Mr Amma, a former people smuggler, dressed in a faded blue denim shirt and jeans, has clearly known better days.

      "I stopped trafficking migrants to the Libyan border when the new law came in.

      "It’s very, very strict. If you’re caught you get a long time in jail and they confiscate your vehicle.

      “If the law was eased I would go back to people trafficking, that’s for sure. It earned me as much as $6,000 (£4,700) a week, far more money than anything I can do now.”
      Traffickers jailed

      The law Mr Amma mentioned, which banned the transport of migrants through northern Niger, was brought in by the government in 2015 following pressure from European countries.

      Before then such work was entirely legal, as Niger is a member of the Economic Community of West African States (Ecowas) that permits the free movement of people.

      Police even provided armed escorts for the convoys involved. But since the law was passed many traffickers have been jailed and hundreds of their vehicles confiscated.

      Before 2015, the Agadez region was home to more than 6,000 people traffickers like Mr Amma, according to figures from the UN’s International Organization for Migration (IOM) .

      Collectively they transported around 340,000 Europe-bound migrants through the Sahara desert to Libya.
      Migration in reverse

      Since the clampdown this torrent has become a relative trickle.

      In fact, more African migrants, who have ended up in Niger and experienced or heard of the terrible dangers and difficulties of getting to Europe, have decided to return home.

      This year alone 16,000 have decided to accept offers from the IOM to fly them back.

      A large and boisterous IOM-run transit centre in Agadez is home to hundreds of weary, homesick migrants.

      In one large hut around 20 young men, from a variety of West African countries, attend a class on how to set up a small business when they get home.

      Among them is 27-year-old Umar Sankoh from Sierra Leone, who was dumped in the Sahara by a trafficker when he was unable to pay him more money.

      “The struggle is so hard in the desert, so difficult to find your way. You don’t have food, you don’t have nothing, even water you can’t drink. It’s so terrible,” he said.

      Now, Mr Sankoh has given up his dreams of a better life in Europe and only has one thought in mind: "I want to go home.

      "My family will be happy because it’s been a long time so they must believe I am dead.

      “If they see me now they’ll think, ’Oh my God, God is working!’”
      Coast guards intercept vessels

      Many thousands of migrants who make it to Libya are sold on by their traffickers to kidnappers who try and get thousands of dollars from their families back home.

      Those who cannot pay are often tortured, sometimes while being forced to ask relatives for money over the phone, and held in atrocious conditions for months.

      With much of the country in the grip of civil war, such gangs can operate there with impunity.

      In an effort to curb the number of migrants making for southern Europe by boat, thousands of whom have drowned on the way, coast guards trained by the European Union (EU) try and stop or intercept often flimsy vessels.

      Those on board are then taken to detention centres, where they are exposed to squalid, hugely overcrowded conditions and sometimes beatings and forced hard labour.
      Legal resettlement offers

      In November 2017, the EU funded a special programme to evacuate the most vulnerable refugees in centres like these.

      Under this scheme, which is run by the UN’s refugee agency (UNHCR), a little more than 2,200 people have since been flown to the comparative safety of neighbouring Niger.

      There, in a compound in the capital, Niamey, they wait for the chance to be resettled in a European country, including the UK, as well as Canada and the US.

      So far just under 1,000 have been resettled and 264 accepted for resettlement.

      The rest await news of their fate.

      https://www.bbc.com/news/world-africa-46802548
      #cartographie

      Commentaire de Alizée Daouchy via la mailing-list Migreurop:

      Rien de très nouveau dans cet article, il traite des routes migratoires dans le Sahara mais ne s’intéresse qu’au cas d’Agadez.
      L’auteur qualifie les « flux » dans le Sahara de « migration in reverse ». Alors qu’avant l’adoption de la loi contre le trafic de migrants (2015), 340 000 personnes traversaient le désert du Sahara vers la Libye (sans préciser pour quelle(s) année(s)), en 2018, 16 000 personnes ont été ’retournées’ dans leur pays d’origine par l’#OIM.

      Pour autant, des ’trafiquants’ continuent leurs activités en empruntant des routes plus dangereuses pour éviter les forces de l’ordre. A ce sujet la représentante de l’UNHCR au Niger rappelle que : la communauté internationale ("we, the international Community, the UNHCR") considère que pour chaque mort en Méditerranée, il y en aurait au moins deux dans le désert". Mais toujours pas de sources concernant ces chiffres.

      #migrations_inversées #migrations_inverses

    • After crackdown, what do people employed in migration market do?

      Thousands in Niger were employed as middlemen until the government, aided by the EU, targeted undocumented migration.

      A group of women are squeezed into a modest room, ready to take their class in a popular district of Agadez, the largest city in central Niger.

      A blackboard hangs on the wall and Mahaman Alkassoum, chalk in hand, is ready to begin.

      A former people smuggler, he is an unusual professor.

      His round face and shy expression clash with the image of the ruthless trafficker.

      “We’re here to help you organise your savings, so that your activities will become profitable,” Alkassoum tells the women, before drawing a timeline to illustrate the different stages of starting a business.

      Until mid-2016, both he and the women in the room were employed in Agadez’s huge migration market, which offered economic opportunities for thousands of people in an immense desert region, bordering with Algeria, Libya and Chad.

      Alkassoum used to pack his pick-up truck with up to 25 migrants at once, driving them across the Sahara from Agadez to the southern Libyan city of Sebha, earning up to 1,500 euros ($1,706) a month - five times the salary of a local policeman.

      All of us suffered with the end of migration in Agadez. We’re toasting peanuts every day and thinking of new ways to earn something.

      Habi Amaloze, former cook for migrants

      The women, his current students, were employed as cooks in the ghettos and yards where migrants were hosted during their stay in town.

      At times, they fed 100 people a day and earned about 200 euros ($227) a month.

      For decades, the passage of western African migrants heading to Libya, and eventually to Italian shores, happened in daylight, in full view - and in most cases with the complicity of Niger security forces.

      According to a 2016 study by the International Organization for Migration (IOM), migrants in transit had injected about 100 million euros ($113.8m) into the local economy,

      But the “golden age” of migration through Agadez ended abruptly in the summer of 2016 when the government of Niger launched a crackdown on people smuggling.

      More than 300 drivers, middlemen and managers of ghettos, have been arrested since then, convincing other colleagues - like Alkassoum and his students - to abandon their activity.

      The driver’s new career as a community organiser began right after, when most locals involved in the smuggling business realised they had to somehow reinvent their lives.

      At first, a few hundred men, former drivers or managers of ghettos, decided to set up an informal association, with the idea of raising funds between members to launch small commercial activities.

      But the project didn’t really work, Alkassoum recounts. In early 2018, the leader of the group, a renowned smuggler, disappeared with some of the funds.

      Alkassoum, at the time the association’s secretary, got discouraged.

      That was the moment when their female colleagues showed up.

      Most of them were wives or sisters of smugglers, who were cooking for the migrants inside ghettos and, all of a sudden, had also seen their source of income disappear.

      Resorting to an old experience as a youth leader, Alkassoum decided to help them launch new businesses, through lessons on community participation and bookkeeping.

      As of mid-2018, more than 70 women had joined.

      “At first we met to share our common suffering after losing our jobs, but soon we realised we needed to do more,” says Fatoumata Adiguini at the end of the class.

      They decided to launch small businesses, dividing themselves into subgroups, each one developing a specific idea.

      Habi Amaloze, a thin Tuareg woman, heads one of the groups: 17 women that called themselves “banda badantchi” - meaning “no difference” in Hausa - to share their common situation.

      The banda badantchi started with the cheapest possible activity, shelling and toasting peanuts to sell on the streets.

      Other groups collected small sums to buy a sheep, chicks or a sewing machine.

      “We started with what we had, which was almost nothing, but we dream to be able one day to open up a restaurant or a small farming activity,” explains Amaloze.

      While most men left Agadez to find opportunities elsewhere, the women never stopped meeting and built relations of trust.

      Besides raising their children, they have another motivation: working with migrants has freed them from marital control, something they are not willing or ready to lose.

      According to Rhissa Feltou, the mayor of Agadez, the crackdown on northbound migration responded to European requests more than to local needs.

      Since 2015, the European Union earmarked 230 million euros ($261.7m) from its Emergency Trust Fund of Africa for projects in Niger, making it the main beneficiary of a fund created to “address the root causes of migration”.

      Among the projects, the creation of a police investigative unit, where French and Spanish policemen helped their Nigerien counterparts to track and arrest smugglers.

      Another project, known under its acronym Paiera, aimed at relieving the effect of the migration crackdown in Agadez, included a compensation scheme for smugglers who left their old job. The eight million-euro ($9.2m) fund was managed by the High Authority for the Consolidation of Peace, a state office tasked with reducing conflicts in border areas.

      After endless negotiations between local authorities, EU representatives and a committee representing smugglers, a list of 6,550 smuggling actors operating in the region of Agadez, was finalised in 2017.

      But two years after the project’s launch, only 371 of them received small sums, about 2,300 euros ($2,616) per person, to start new activities.

      The High Authority for the Consolidation of Peace told Al Jazeera that an additional eight million-euro fund is available for a second phase of the project, to be launched in March 2019, allowing at least 600 more ex-smugglers to be funded.

      But Feltou, the city’s mayor, isn’t optimistic.

      “We waited too much and it’s still unclear when and how these new provisions will be delivered,” he explains.

      Finding viable job opportunities for thousands of drivers, managers of ghettos, middlemen, cooks or water can sellers, who lost their main source of income in a country the United Nations dubbed as the last in its human development index in 2018, is not an easy task.

      For the European Union, nonetheless, this cooperation has been a success. Northbound movements registered by the IOM along the main desert trail from Agadez to the Libyan border, dropped from 298,000 people a year in 2016 to about 50,000 in 2018.

      In a January 2019 report, the EU commission described such a cooperation with Niger as “constructive and fruitful”.

      Just like other women in her group, Habi Amaloze was disregarded by Brussels-funded programmes like Paiera.

      But the crackdown changed her life dramatically.

      Her brother, who helped her after her husband died years ago, was arrested in 2017, forcing the family to leave their rented house.

      With seven children, ranging from five to 13 years old, and a sick mother, they settled in a makeshift space used to store building material. Among piles of bricks, they built two shacks out of sticks, paperboard and plastic bags, to keep them safe from sand storms.

      “This is all we have now,” Amaloze says, pointing to a few burned pots and a mat.

      In seven years of work as a cook in her brother’s ghetto, she fed tens of thousands of migrants. Now she can hardly feed her family.

      “At that time I earned at least 35,000 [West African franc] a week [about $60], now it can be as low as 2,000 [$3.4], enough to cook macaroni once a day for the kids, but no sauce,” she says, her voice breaking.

      Only one of her children still attends school.

      Her experience is familiar among the women she meets weekly. “All of us suffered with the end of migration in Agadez,” she says.

      Through their groups, they found hope and solidarity. But their future is still uncertain.

      “We’re toasting peanuts every day and thinking of new ways to earn something,” Hamaloze says with a mix of bitterness and determination. “But, like all our former colleagues, we need real opportunities otherwise migration through Agadez and the Sahara will resume, in a more violent and painful way than before.”


      https://www.aljazeera.com/indepth/features/crackdown-people-employed-migration-market-190303114806258.html

    • "Pugni e calci contro i profughi": i fascisti di #Generazione_Identitaria preparano lo scontro

      L’organizzazione di estrema destra che aveva avviato la caccia alle Ong nel Mediterraneo organizza in una palestra romana sessioni di addestramento. «Per combattere la feccia puntiamo alla preparazione fisica»


      http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/02/07/news/pugni-calci-contro-profughi-generazione-identitaria-1.318002?ref
      #identitaires

    • Italie : démonstration de force de l’extrême droite et des antifascistes

      L’Italie a été parcourue de manifestations politiques parfois tendues samedi, à une semaine des législatives du 4 mars, avec une démonstration de force de Matteo Salvini (extrême droite) à Milan et des milliers de manifestants antifascistes à Rome.


      https://www.courrierinternational.com/depeche/italie-demonstration-de-force-de-lextreme-droite-et-des-antif

    • Grave atto intimidatorio contro il Centro accoglienza Casa ex Mercanti di Appiano

      Nella notte tra sabato 19 e domenica 20 maggio si è verificato un grave episodio d’intolleranza davanti al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Appiano ospitato nell’ex Caserma Mercanti all’inizio del paese. Nel corso della notte sconosciuti hanno fatto esplodere davanti al cancello d’entrata una carica che ha provocato una forte esplosione. Gli inquirenti stanno accertandone la natura. E’ stato inoltre lasciato un cartello con una svastica una croce celtica e scritte razziste contro gli ospiti del centro.

      L’Associazione Volontarius, che gestisce la struttura su incarico della Provincia, esprime la propria condanna del grave atto intimidatorio nei confronti delle persone richiedenti asilo e degli operatori. Si tratta di un atto criminale che evidentemente vuole minare gli sforzi messi in atto da parte della Provincia, del Comune di Appiano, dell’Associazione Volontarius e delle altre organizzazioni che operano in questo campo, per dare una risposta solidale e concreta all’inclusione nella nostra società di persone fuggite da situazioni di guerra, persecuzioni e minacce alla loro incolumità.

      Il Centro di accoglienza di Appiano, attivo da circa due anni, ospita, al momento, 39 richiedenti asilo e svolge un’intensa attività per rendere concreta l’accoglienza e l’inclusione sociale di queste persone, anche attraverso l’organizzazione di corsi di formazione e di lingue. 28 ospiti hanno contratti a tempo determinato ed altri 10 stanno svolgendo corsi di formazione per inserirsi nel settore turistico-alberghiero.

      Va sottolineato, a nostro avviso, che nel corso di questi mesi di attività vi è stata una proficua collaborazione con il Comune e la popolazione locale, testimoniata anche dalla presenza di volontari che dedicano con impegno il loro tempo ad assistere queste persone. Nel corso del pomeriggio di domenica il presidente dell’Associazione Volontarius, Claude Rotelli, ha fatto un sopralluogo al centro per portare la propria solidarietà agli operatori ed alle persone richiedenti asilo.

      “Volontarius” assicura il proprio sostegno alle indagini portate avanti dalle autorità inquirenti e garantisce che proseguirà con impegno la propria attività a favore delle persone richiedenti asilo.

      https://www.volontarius.it/2018/05/20/grave-atto-intimidatorio-contro-il-centro-accoglienza-casa-ex-mercanti-d

    • Warning of ’dangerous acceleration’ in attacks on immigrants in Italy

      Anti-racist groups in Italy have warned of a dangerous acceleration in attacks on immigrants after 12 shootings, two murders and 33 physical assaults were recorded in the two months since Matteo Salvini, leader of the far-right League party, entered government as interior minister.

      Opposition politicians have accused Salvini of creating a climate of hate following the attacks, which have coincided with an anti-migration drive that has included closing Italian ports to NGO rescue boats and a vow to expel non-Italian Roma.

      In one incident in July, a 13-month-old Roma girl was shot in the back with an airgun pellet. In at least two recent attacks on immigrants, the perpetrators have allegedly shouted Salvini’s name.

      “Propaganda around anti-migrant policies has clearly contributed to creating a climate of hostility and to legitimising racist violence,” said Grazia Naletto, the manager of migration policies and racial discrimination of the Lunaria association, which publishes quarterly reports on the number of racially motivated attacks in Italy.

      “We are facing a dangerous acceleration of episodes of violence against migrants,” Naletto said.

      The group recorded nine attacks on immigrants between 1 June and 1 August 2017, with no shootings and no deaths – less than a third for same period in 2018.
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      On Sunday, a Moroccan man in Aprilia, 17 miles outside Rome, was the latest to be killed. He was followed and beaten to death by two young Italians who claimed he was a thief.

      Three days earlier, in #Vicenza, in the north-east of Italy, a 33-year-old factory worker from Cape Verde was wounded by a single gunshot. The suspect is a 40-year-old Italian who opened fire from a window in his home.

      On Thursday night in Naples, Cissè Elhadji Diebel, 22, a street vendor from Senegal with a regular permit of stay, was wounded by a gunshot fired by two people on a scooter.

      In Naples in June, Konate Bouyagui, a 22-year-old Malian with legal residency, was struck by a bullet fired by two Italian boys. Nine days earlier, in Caserta, north of Naples, two Malians, Daby and Sekou, were riddled with airgun pellets fired in a driveby shooting from a black Fiat Panda. The aggressors, both Italian, shouted Salvini’s name.

      Two railway porters in Venice who in July beat an unlicensed African porter at the station, allegedly told him: “This is Salvini’s country.” A black Italian athlete, Daisy Osakue, suffered an eye injury when an egg was thrown at her in Turin.

      Salvini has claimed “the wave of racism is simply an invention of the left” and in response to rising criticism on Sunday tweeted “many enemies, much honour” – a reference to a quote from Benito Mussolini on what was also the anniversary of the fascist dictator’s birth.

      Salvini’s first move when he entered the interior ministry on 1 June was to say: “Good times are over for illegals.”

      That same evening, in #Rosarno, in the southern province of #Reggio_Calabria, a bullet struck the head of Soumalia Sacko, a 22-year-old Malian who was rummaging for metal sheets to repair his shack in one of the sprawling encampments that house the thousands of poorly paid immigrants who pick the region’s crops. The suspect is a middle-aged Italian man who was living near the encampment.

      “Statements against migrants, almost always coupled with fake news, seem to have legitimised the use of violence against asylum seekers, who are often cast as parasites and invaders,” said Yvan Sagnet, a Cameroonian anti-racism activist and president of the No Cap association, which fights to improve the rights of immigrant workers. “I have never seen anything like this before in this country and I don’t see an easy way out.’’

      There were hints of the violence to come when, on 3 February in Macerata, one month before national elections, #Luca_Traini opened fire on six immigrants, wounding all of them. Extreme rightwing paraphernalia was found in his home, including a copy of #Mein_Kampf. A year earlier, Traini had been a League candidate in local elections in #Corridonia.

      “The extreme right has found a party through which it can speak,” said Carla Nespolo, president of the National Association of Italian Partisans, a group founded by members of the second world war Italian resistance. “Migrants in Italy have taken the place of Jews during fascism. This is one of the most far-right governments since the end of fascism.”

      Mamadou Sall, the president of Florence’s Senegalese association and an Italian citizen who has lived in the country for more than 20 years, said he wanted to leave. “Every time you speak to an Italian you realise that there’s been a lot of impact on their mentality,” he said. “They seem to be closer to the world of fascism, speaking about the good things that fascism did during the war.”

      Advertisement

      Sall was on the frontline during protests against the Italian government after the death of Idy Diene, a street vendor from Senegal who was killed on 5 March, the day after the Italian elections. Diene was shot six times as he sold his wares on the Vespucci bridge in Florence.

      His killer was Roberto Pirrone, a 65-year-old Italian who told police he had planned to kill himself owing to his dire financial situation. He said that when he was unable to muster the courage to do this he had shot the first random target he could find. A racist motive was ruled out, prompting fury among the city’s Senegalese population.

      In a tragic twist, it was revealed that Diene, 54, was the cousin of Samb Modou, who was killed by Gianluca Casseri, a supporter of the fascist CasaPound party, when Casseri opened fire in two of Florence’s central markets in December 2011.

      While the Italian government seems to ignore the problem, the police are working to bring the perpetrators to justice and several arrests have been made across Italy in recent weeks.

      Two weeks ago, the Turin district attorney, Armando Spataro, unveiled measures to combat racially motivated crimes, targeting anyone who commits “crimes motivated by hatred and ethnic-religious discrimination”. The following day, he received insults and threats on social media from Salvini’s supporters.

      “There is no value for people with a different skin colour,” said Sall. “When a black person is killed there is always an excuse. But when a foreigner kills an Italian they only focus on the fact that [the assailant] was foreign and the skin colour.”


      https://www.theguardian.com/global/2018/aug/03/warning-of-dangerous-acceleration-in-attacks-on-immigrants-in-italy
      #Rome #Naples #Venise

    • Migranti: parte l’offensiva degli amministratori locali contro la deriva xenofoba e razzista del Governo

      Primo firmatario dell’appello «inclusione per una società aperta» Nicola Zingaretti; tra gli aderenti Sala, Pizzarotti e De Magistris.

      Trentatré episodi di aggressioni a sfondo razzista da quando il governo Salvini - Di Maio si è insediato, tre solo nelle ultime ore; porti chiusi e criminalizzazione delle Ong; ruspe sui campi rom e una narrazione costante e diffusa che parla di invasione, sostituzione etnica, pericolo immigrazione: qualcuno ha deciso di non restare in silenzio e mostrare che esiste anche un’Italia che rifiuta tutto questo, rivendica lo stato di diritto e sostiene l’inclusione sociale come valore assoluto.

      Per questo oggi stato lanciato - e ha già raccolto più di 200 adesioni in tutta Italia - il manifesto «Inclusione per una società aperta», ideato e promosso dai consiglieri regionali del Lazio Alessandro Capriccioli, Marta Bonafoni, Paolo Ciani, Mauro Buschini e Daniele Ognibene e rivolto a tutti gli amministratori locali che rifiutino «la retorica dell’invasione e della sostituzione etnica, messa in campo demagogicamente al solo scopo di ottenere consenso elettorale, dagli imprenditori della paura e dell’odio sociale; rifiutino il discorso pubblico di denigrazione e disprezzo del prossimo e l’incitamento all’odio, che nutrono una narrazione della disuguaglianza, giustificano e fanno aumentare episodi di intolleranza ed esplicito razzismo», col fine di costruire «una rete permanente che, dato l’attuale contesto politico, affronti il tema delle migrazioni e dell’accoglienza su scala nazionale a partire dalle esperienze e dalle politiche locali, con l’obiettivo di opporsi fattivamente alla deriva sovranista e xenofoba che sta investendo il nostro paese», come si legge nell’appello diffuso quest’oggi.

      «In Italia viviamo una situazione senza precedenti», ha spiegato Alessandro Capriccioli, capogruppo di +Europa Radicali durante la conferenza stampa di lancio dell’appello insieme ai colleghi Paolo Ciani, Marta Bonaforni e Marietta Tidei. «Attraverso una strategia quasi scientifica è stato imposto un racconto sull’immigrazione che alimenta l’odio e lo sfrutta per ottenere consensi. Questo manifesto si rivolge agli amministratori locali che affrontano sul campo il tema dell’immigrazione con risultati virtuosi che spesso smentiscono quel racconto, ed è uno strumento per formare una rete istituzionale che potrà diventare un interlocutore autorevole e credibile in primo luogo di questo Governo, dettando indicazioni, strategie e proposte».

      Paolo Ciani, capogruppo di Centro Solidale, ha sottolineato come «questa narrazione distorta sta portando a un imbarbarimento della nostra società. Gli episodi di questi giorni rappresentano solo la punta dell’iceberg di un atteggiamento diffuso: sappiamo tutti che esistono degli istinti bassi che appartengono a tutti gli esseri umani e che, se trovano una loro legittimazione nelle istituzioni, diventano un problema». Marietta Tidei, consigliera regionale del Pd ha posto l’attenzione sul fatto che «oggi viene raccontato solo il brutto dell’immigrazione, ma noi siamo qui per dire che c’è anche molto che ha funzionato: il programma Sprar è un esempio virutoso», mentre la capogruppo della Lista Civica Zingaretti Marta Bonafoni ha sottolineato come ciò che conta sia «la quantità e la pronta risposta che stiamo avendo: la distribuzione geografica ci dice che c’è un’altra italia, che con questo appello diventa una rete istituzionale che si pone come interlocutrice del Governo».

      Oltre al Presidente della regione Lazio hanno già sottoscritto l’appello Beppe Sala, sindaco di Milano, Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e più di 200 tra assessori e consiglieri regionali, sindaci, presidenti di municipi e consiglieri comunali e municipali da ogni parte d’Italia.

      http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2018/08/03/news/migranti_parte_l_offensiva_degli_amministratori_locali_contro_la_deriva_x
      #xénophobie #racisme #anti-racisme

    • Violenta aggressione a #Giugliano, immigrato picchiato in piazza e deriso dai presenti

      Violenta aggressione avvenuta poco fa ai danni di un africano in piazza Gramsci. La vittima è stata pestata a sangue da un gruppo composto da due, tre persone. È stato preso a calci e pugni e lasciato a terra esanime. Alcune persone presenti hanno allertato i soccorsi giunti dopo mezz’ora. Il ragazzo ha riportato un trauma cranico e contusioni in varie parti del corpo. Pare che a scatenare l’aggressione sia stato il gesto dell’uomo di prendere in braccio un bimbo e ciò avrebbe scatenato la violenza del branco. Altri invece sostengono che fosse ubriaco e che avesse dato fastidio a qualcuno, che poi si sarebbe vendicato picchiandolo selvaggiamente.

      Si tratta comunque solo di un’ipotesi ancora da confermare. Ciò che è certo è che dopo il pestaggio, un gruppo di ragazzi presenti in piazza invece di aiutare il ferito erano vicini a lui a ridere insultandolo e apostrofandolo come “nir e merd..”. Sul posto in questo momento i carabinieri stanno raccogliendo le informazioni per ricostruire la dinamica dei fatti.

      https://internapoli.it/violenta-aggressione-a-giugliano-immigrato-picchiato-in-piazza-e-deriso-

    • Jour après jour, voici la liste des agressions racistes en Italie

      Le 3 février 2018, un militant d’extrême droite et ex-candidat de la Ligue à des élections locales ouvrait le feu sur six migrants noirs à #Macerata, dans le centre de l’Italie. Depuis, onze autres attaques à caractère raciste – par le biais d’armes à feu, à air comprimé ou d’armes blanches – ont pris des personnes immigrées pour cible. Mediapart dresse cette liste vertigineuse, qui confirme la montée de la xénophobie dans la péninsule.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/090818/jour-apres-jour-voici-la-liste-des-agressions-racistes-en-italie

    • Di seguito aggressioni razziste in ordine di data. QUI la mappa (http://www.radicali.it/cronologia-aggressioni-razziste-da-inizio-giugno-ad-oggi/#mappa) con singole aggressioni e densità nei luoghi.

      3 giugno, San Calogero (Vibo Valentia): mentre raccolgono delle lamiere, tre migranti vengono sorpresi da quattro spari e rimane ucciso il bracciante maliano 29enne Sacko Soumaila.

      8 giugno, Sarno (Salerno): un giovane extracomunitario camerunense di 27 anni, mentre era in sella alla sua bici, viene picchiato brutalmente con una mazza da baseball da due giovani.

      10 giugno, Ventimiglia: i volontari della Croce Verde Intemelia hanno soccorso un extracomunitario aggredito nel pomeriggio. L’uomo, che si è rivolto anche ai carabinieri, aveva una ferita di striscio da arma da taglio e lamentava dolore al costato.

      11 giugno, Caserta: due ragazzi maliani, ospiti di un centro Sprar, vengono avvicinati da una Fiat Panda, a bordo della quale viaggiavano tre giovani italiani i quali hanno sparato alcuni colpi con una pistola ad aria compressa, al grido “Salvini, Salvini”.

      12 giugno, Napoli: algerino protesta contro un’auto che non si ferma sulle strisce pedonali e viene accoltellato da tre giovani napoletani.

      12 giugno, Sulmona (Aquila): due uomini armati di coltello hanno fatto irruzione ieri sera nel centro di accoglienza migranti di Sulmona. Un richiedente asilo di origine nigeriana, ospite del centro è stato aggredito e ferito a colpi di arma da taglio.

      16 giugno, Catania: aggredisce lavavetri perché insistente e lo insegue fin dentro a un supermercato minacciandolo con una spranga di ferro.

      17 giugno, Roma: tre ragazzi italiani, tutti minorenni hanno aggredito un gruppo di lavoratori indiani, con le loro famiglie, dapprima insultandoli con frasi razziste, poi lanciando degli sputi su donne e bambini presenti, poi picchiando un giovane indiano che cercava di capire le ragioni di quell’aggressione gratuita nei loro confronti.

      17 giugno, Erba (Como): Aggressione in piazza Padania a Erba. Un italiano ha picchiato uno straniero di 42 anni che è rimasto ferito alla testa.

      17 giugno, Palermo: tre migranti, un nigeriano di 32 anni, un ivoriano di 48 anni e un minorenne della Costa d’Avorio sono stati aggrediti al mercato Ballarò riportando varie ferite lacerocontuse alla testa e al volto.

      17 giugno, Cagliari: un giovane dominicano, fermatosi con il suo scooter prima delle strisce pedonali, è stato aggredito da tre ragazzi sardi che lo hanno malmenato perché straniero.

      20 giugno, Napoli: Bouyangui Konate, cuoco maliano di 21 anni, rifugiato, viene colpito da due ragazzi con un fucile a piombini e rimane ferito.

      22 giugno, Palermo: 21enne gambiano, a Palermo ormai da anni, dove studia al Commerciale e lavora come mediatore, viene colpito da pomodori da due sessantenni perché uno straniero non può sostare davanti a un portone.

      22 giugno, Sassuolo (Modena): tre italiani hanno aggredito un ragazzo straniero dopo una lite. Secondo alcune testimonianze, un membro del gruppetto di italiani avrebbe colpito in volto con un pugno il giovane straniero mentre un altro trattenendolo gli impediva di fuggire.

      23 giugno, Palermo: un branco di violenti si è accanito contro un ambulante di 33 anni originario del Bangladesh che viene picchiato fino a perdere i sensi.

      29 giugno, Torino: Ahmed, un giovane sudanese, rifugiato fuggito dalle persecuzioni nel Darfur, seduto su una panchina nel quartiere Mirafiori, viene aggredito da due uomini di mezza età, con insulti, botte, pugni e calci a raffica. Scappato il ragazzo le seguono nel ristorante dove si era rifugiato e continuano a picchiarlo, insultando e picchiando anche il titolare del ristorante e il cuoco, intervenuti a difesa della vittima.

      30 giugno, Trento: un lavoratore marocchino, che ha registrato le conversazioni col suo datore, viene minacciato di morte da quest’ultimo, che cita anche Salvini. Il principale, alla richiesta del lavoratore di poter prendere un giorno di malattia risponde “ti brucio vivo, brutto islamico”.

      2 luglio, Sassari: Una giovane nigeriana è stata aggredita, malmenata e insultata con frasi razziste da un uomo.

      3 luglio, Spotorno (Liguria): Aizzano il cane contro un ambulante nero e insultano la donna che lo difende insultandola e facendole delle intimidazioni su Facebook quando ha pubblicato il post per denunciare l’accaduto.

      3 luglio, Forlì: una donna nigeriana viene avvicinata da un motorino, con due persone a bordo, dal quale parte un colpo da una pistola ad aria compressa che la ferisce a un piede.

      4 luglio, Val di Susa: al rifugio autogestito di Chez Jesus sono arrivate 6-7 persone residenti di Claviere, poi raggiunte da altre, con lo scopo iniziale di far togliere le bandiere No Tav e No Borders, si sono imposti con violenza verbale, offendendo i presenti con insulti razzisti e sessisti quali “negra di merda”, “a voi non darei neanche venti euro sulla strada”, “avete solo bisogno di un po’ di cazzo”, “pompinari e zecche di merda”.

      5 luglio, Forlì: un uomo di 33 anni originario della Costa d’Avorio viene colpito all’addome con colpi esplosi da pistola ad aria compressa.

      10 luglio, Venezia: un porteur abusivo di origine ghanese viene picchiato dai colleghi “regolari” che gli gridano “Vai via brutto negro abusivo, ora qui c’è Salvini” Colpita anche la donna, spagnola, che da anni vive a Roma, a cui il porteur stava portando i bagagli.

      11 luglio, Latina: due uomini di origine nigeriana vengono raggiunti da proiettili di gomma esplosi da un’Alfa 155 nei pressi della fermata dell’autobus.

      17 luglio, Roma: una bambina rom di poco più di un anno, viene raggiunta da un colpo di pistola ad aria compressa. Rischia di rimanere paralizzata.

      22 luglio, Lercara Friddi (Palermo): un giovane ballerino di 23 anni, figlio di mauriziani ma nato in Italia e adottato dopo la nascita, è stato massacrato al grido di “Sporco negro vai via, non sei degno di stare con noi”.

      23 luglio, Atena Lucana (Salerno): un giovane raggiunge una struttura di accoglienza per cittadini extra-comunitari richiedenti asilo politico, in evidente stato di ebrezza, e aggredisce un ospite, neodiciottenne, di origini egiziane e un’operatrice del centro, provocando ad entrambi lesioni, accompagnando l’aggressione con insulti razzisti.

      24 luglio, Milano: un 42enne originario dello Sri Lanka è stato vittima di un brutale aggressione nella zona di Bruzzano. L’aggressore, un casertano di 55 anni, ha minacciato la vittima con un taglierino, prima di colpirlo ripetutamente al volto e alle braccia. La «colpa» del cingalese? Parlare al proprio cellulare non in italiano.

      26 luglio, Partinico: un richiedente asilo senegalese di 19 anni Khalifa Dieng viene aggredito e picchiato, mentre girava in bicicletta per le vie di Partinico. Così ben presto dagli insulti si è passati ai fatti. Il ragazzo è stato spintonato e poi preso a schiaffi e a pugni. che gli gridano: “Tornatene al tuo paese, sporco negro”.

      26 luglio, Vicenza: un operaio di origine capoverdiana che lavorava su un ponteggio viene colpito alle spalle dai colpi di una carabina sparati da un terrazzo. L’uomo che ha sparato si è giustificato dicendo di voler colpire un piccione.

      26 luglio, Aversa: un richiedente asilo della Guinea viene avvicinato da due ragazzi in moto, che gli sparano con un’arma ad aria compressa, colpendolo al volto.

      27 luglio, Torino: un ragazzo originario del Gabon, Hamed Musa, è stato aggredito e insultato come negro di merda da due uomini con un pitbull che ringhiava. Quando era serenamente seduto su una panchina, in zona Mirafiori.

      28 luglio, Napoli: due titolari di una pescheria hanno malmenato un nigeriano di 29 anni che chiedeva l’elemosina dinanzi al loro negozio

      28 luglio, Milano: un uomo di origine cingalese viene aggredito in un parco. L’aggressore pretendeva che parlasse in italiano al telefono e lo ha minacciato con un taglierino sulla gola davanti alla figlia terrorizzata.

      29 luglio, Moncalieri (Torino): In coda in un ufficio pubblico, squilla il telefono di un giovane arabo: è una preghiera musulmana. E una donna italiana lo aggredisce: “Quella suoneria è vietata, esci di qui e torna al tuo paese”.

      29 luglio, Aprilia: un uomo di origine marocchina viene picchiato a sangue da due uomini e muore, abbandonato sulla strada.

      29 luglio, Moncalieri (Torino): Daisy Osakue, nazionale di atletica leggera, aggredita a Moncalieri mentre rincasava: da un’auto in corsa le sono state lanciate contro delle uova. L’atleta è stata colpita a un occhio ed è stata operata per una lesione alla cornea.

      30 luglio, Roseto (Teramo): alla ASL un italo-senegalese viene respinto, con la frase: “Vai via, questo non è l’ufficio del veterinario”.

      30 luglio, Villaggio Mosé (Agrigento): un giovane diciottenne gambiano, Aggredito dal “branco” giovane migrante ospite di una comunità, ospite della comunità “La mano di Francesco”, viene aggredito mentre era sulla sua bici da un gruppo di ragazzi in scooter.

      2 agosto, Ficovaro (Pistoia): un migrante è stato preso di mira da due giovani italiani che al grido ‘negri di merda’ gli hanno sparato uno o due colpi di arma da fuoco. Fortunatamente è rimasto illeso.

      2 agosto, Napoli: un 22enne senegalese, venditore ambulante in Italia da diversi anni e con un regolare permesso di soggiorno, è stato ferito alla gamba da colpi di arma da fuoco che sarebbero stati esplosi da due persone. Il fatto è accaduto nel quartiere del Vasto. Non è in pericolo di vita: sarà sottoposto a un’operazione.

      3 agosto, Pistoia: Dei colpi di pistola, forse con una scacciacani secondo i primi accertamenti della polizia, sono stati esplosi contro Buba Ceesay, migrante di 24 anni del Gambia, ospite della parrocchia di Vicofaro. Gli spari sono stati accompagnati da insulti razzisti. Il giovane è rimasto illeso.

      14-15 agosto, spiaggia di Ciammarita a Trappeto (Palermo): viene attuato un pestaggio ai danni di sei minori stranieri non accompagnati. Le indagini coordinate dal pm e condotte dai carabinieri della compagnia di Partinico hanno portato all’arresto di sette persone, tra cui due donne. Gli indagati sono accusati di lesioni aggravate e violenza privata e di avere agito con la “finalità dell’odio etnico e razziale”.

      15 agosto, Partinico (Palermo): Quattro immigrati minorenni che erano in attesa del pulmino che li riportasse nella comunità che li ospita sono stati insultati e picchiati. Dopo gli insulti ai quattro immigrati, gli aggressori si sono scagliati contro due e poi sono fuggiti.

      16 agosto, Aprilia: Ferito a un piede da un piccolo proiettile di piombo mentre passeggiava nel centro di Aprilia, vicino Latina. Vittima un cittadino di nazionalità camerunense, che camminava a piedi in una zona del centro della località pontina. L’uomo è stato giudicato guaribile in 5 giorni.

      19 agosto, Terracina (Latina): Un cittadino indiano di 40 anni, mentre era in bicicletta sulla via Pontina, è stato colpito da tre pallini esplosi forse con un’arma ad aria compressa da uno sconosciuto a bordo di un’utilitaria. L’auto sarebbe poi fuggita.

      3 settembre, Raffadali (Agrigento): un ragazzo tunisino di sedici anni, preso a calci e pugni a Raffadali, è stato ricoverato in ospedale con contusioni e ferite su tutto il corpo. Come ricostruito dagli inquirenti, il giovane, che vive a Raffadali da un anno in una struttura che si occupa dell’accoglienza dei minori, ha prima ricevuto una sportellata da un minorenne e poi è stato picchiato con calci e pugni al grido di “torna nel tuo paese”.

      8 settembre, Bettola (Piacenza): In un crescendo di episodi di violenza nei confronti di un profugo, viene appiccato un incendio sul balcone della casa che ospita i richiedenti asilo nella cittadina. I carabinieri della compagnia di Bobbio, hanno deferito tre cittadini del paese della Valnure per violenza privata, danneggiamento a seguito di incendio, ingiuria e minacce aggravate da motivi razziali.

      9 settembre, Mortara (Pavia): un operaio africano, passato con un monopattino di fronte a un bar cittadino, viene insultato e picchiato dal titolare del bar e da due clienti, che sono stati indagati.

      11 settembre, Sassari: Un giovane guineano è stato aggredito durante la notte da cinque ragazzi. A fermare la furia del branco è stato un uomo che ha assistito al pestaggio ed è intervenuto facendo fuggire il gruppetto di razzisti.

      12 settembre, Francavilla Fontana (Brindisi): un giovane migrante, un diciassettenne proveniente dalla Guinea, ha subito un violento pestaggio da parte di alcuni coetanei.

      16 settembre, Piazza Armerina (Enna): un ragazzo gambiano di 23 anni, da due in Italia e ospite dall’associazione Don Bosco è stato pestato a sangue da tre ragazzi.

      17 settembre, Catania: molotov contro il centro per richiedenti asilo di Grammichele. Danneggiata la porta d’ingresso. La coop che lo gestisce: “Speriamo non sia razzismo, ma solo una ragazzata”.

      24 settembre, Castelfranco Emilia (Modena): Un 27enne pachistano che in quel momento stava camminando con alcuni amici, viene colpito da una pistola ad aria compressa da un’auto in corsa. Gli autori potrebbero essere indagati anche per odio razziale perché avrebbero esultato una volta colpito il ragazzo.

      26 settembre, Frosinone: Tre studenti universitari sono stati indagati e le loro abitazioni sono state perquisite dagli investigatori della Digos e della Squadra Mobile della questura di Frosinone. Secondo quanto emerso, i tre studenti, residenti a Ceprano, due di 22 e uno di 23 anni, avrebbero aggredito senza motivo richiedenti asilo politico in diverse regioni italiane e nel Frusinate, in particolare a Ceprano e Roccasecca. In otto mesi di indagini la polizia ha accertato almeno sette episodi di aggressione a sfondo razziale. Pesanti i capi di imputazione contestati ai tre: propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa, minacce, stalking, lesioni personali, danneggiamento. Nelle abitazioni sono stati ritrovati opuscoli di “Blocco studentesco”, organizzazione dell’ultradestra attiva nelle scuole e nelle università, mazze da baseball, sfollagente, due coltelli e materiale propagandistico sulla superiorità razziale.

      30 settembre, Roma: una donna nordafricana viene spinta e gettata a terra da un uomo italiano nei pressi di Piazza Bologna. All’origine dell’aggressione un diverbio per un parcheggio. La donna, infatti, occupava un posto auto in attesa del fratello, che stava arrivando in macchina. L’uomo, un cinquantenne romano, vedendo il posto vuoto le ha intimato di spostarsi immediatamente. Dopo una serie di offese a sfondo razzista come “tornatene al tuo paese”, la donna è stata colpita ed è caduta a terra.

      2 ottobre, Napoli: un passeggero di origini asiatiche, probabilmente pakistano, viene insultato e minacciato da un uomo italiano seduto accanto a lui: “Io sono italiano e tu mi fai schifo, ti taglio la testa, fammi vedere il biglietto, voi facce di m… ci avete rovinato, mi fai schifo a pelle, ti ammazzo di botte”. Interviene solo una signora chiedendo all’italiano di smetterla. A quel punto l’uomo minaccia anche lei: “Tu a Napoli non ci arrivi, se ti incontro sei morta”. Poi si arrende.

      4 ottobre, Montagnana (Padova): una coppia entrata in un ristorante, si è rivolta al cameriere di colore aggredendolo verbalmente e rifiutandosi di essere servita da lui. Una sua collega, Laura, ha difeso il ragazzo dicendo alla coppia: “Potete anche andare via – ha detto – qui noi non serviamo clienti razzisti”. Il fatto, segnalato su Facebook dalla stessa Laura, ha suscitato la solidarietà dei cittadini.

      7 ottobre, Venezia: una ragazza haitiana di colore, adottata da due veneti, viene respinta a un colloquio di lavoro per fare da cameriera in un ristorante dal proprietario che vedendola le dice “Ah, ma sei nera? Scusa, non è per cattiveria – ha detto l’uomo – ma io non voglio persone di colore nel ristorante, potrebbe far schifo ai miei clienti, potrebbe far schifo che tocchi i loro piatti”.

      12 ottobre, Lodi: la Sindaca leghista Sara Casanova, taglia fuori dal servizio mensa e scuolabus oltre 200 bambini tutti figli di stranieri, che sono così costretti a mangiare in stanze separate da quelle dei compagni e a percorrere ogni mattina molti chilometri a piedi per raggiungere la scuola.

      12 ottobre, hinterland di Bari: un gruppo di ragazzi aggredisce un ragazzo di colore loro conoscente, spruzzando su di lui della schiuma bianca dicendogli “sei nero, ora ti facciamo diventare bianco”.

      12 ottobre, Lucca: un ragazzo nato e cresciuto a Lucca da genitori dello Sri Lanka ha ricevuto insulti razzisti su un autobus della città toscana. Un autista della Città Toscana Nord prima avrebbe detto al ragazzo di stare in piedi perché non c’erano posti a sedere. Poi, quando il giovane ha trovato un sedile libero, è arrivato l’insulto: “Ma vieni dal cimitero? Puzzi di morto! C’è un tanfo di morto! Che cosa ti sei messo? Non ti puoi sedere, puzzi di morto”. Nessuno dei passeggeri è intervenuto. Secondo il ragazzo – che ha raccontato ai giornali locali l’episodio – “Forse non hanno sentito o forse hanno preferito far finta di niente. Una cosa del genere non mi era mai successa”.

      13 ottobre, Morbegno (Sondrio): un senegalese di 28 anni è stato avvicinato alle 2 di notte da un gruppo di ragazzi, mentre andava al panificio in cui lavora, e hanno iniziato ad insultarlo per il colore della pelle. Poi calci e pugni fino a mandarlo in ospedale.

      14 ottobre, Varese: Emanuel, ventottenne di origini nordafricane che da 10 anni vive in Italia, fa il cassiere in un supermercato. Durante il suo turno di lavoro, si trova di fronte una donna quarantenne che gli dice: «Non voglio essere servita da un negro». Il ragazzo invita la cliente a concludere i suoi acquisti, ma lei insiste e continua a insultarlo con frasi razziste. Quando sente che i colleghi stanno chiamando la polizia, gli lancia addosso anche una lattina di birra, danneggiando la cassa.

      16 ottobre: una giovane ragazza trentina denuncia su Facebook l’episodio di razzismo di cui è stata testimone su un autobus Flixbus diretto da Trento a Roma sul quale una donna italiana di circa 40 anni ha inveito contro un ragazzo senegalese di 25 anni impedendogli di sedersi nel posto assegnato, che era accanto al suo. “Qui no, vai via, vai in fondo, sei di un altro colore e di un’altra religione”. Davanti alle invettive della donna è scoppiato in lacrime dicendo: “Non faccio nulla di male. Non sono cattivo. Voglio solo sedermi e riposare perché sono stanco”.

      17 ottobre, Trento: uno studente indiano, che frequenta l’università (a breve si laureerà ingegneria meccatronica), è stato fatto cadere e poi colpito a calci nei dintorni della residenza dove abita. Gli aggressori si sono limitati a picchiarlo senza portargli via nulla. Il ragazzo ha informato del fatto l’università, raccontando che il movente dell’aggressione è di tipo razziale.

      19 ottobre, Castel Volturno (Caserta): un ragazzo ghanese di 29 anni si ritrova su una sedia a rotelle con gambe e braccia paralizzate a vita a seguito di un’aggressione di matrice razzista. È stato massacrato di botte mentre rientrava a casa dal lavoro come saldatore in autobus come ogni sera. L’aggressore, che non si spostava per farlo scendere, nonostante il ragazzo chiedesse di passare, ha sferrato un primo colpo, scagliando il giovane fuori dal pullman. Dopo essere caduto, il ragazzo ha subito un pestaggio da parte dell’uomo che lo ha costretto alla paralisi.

      19 ottobre, Brindisi: un ragazzo di 20 anni originario del Senegal è una delle due vittime delle altrettante aggressioni violente a sfondo razziale perpetrate prima contro di lui e poi contro Elia, segretario della comunità cittadina del Ghana. Un terzo raid razzista è stato sventato dall’intervento di un cittadino, che ha minacciato di chiamare la polizia. Si presume che i due violenti che hanno preso a bastonate, calci e pugni le gli immigrati, abbiano voluto ergersi a vendicatori prendendo di mira degli uomini di pelle scura, a seguito di due episodi avvenuti la mattina: prima il danneggiamento di un’auto da parte di un cittadino della Guinea e poi una presunta violenza sessuale su cui la polizia sta ancora cercando di far luce.

      21 ottobre, Milano: Shanti una 23enne italiana di origini indiane. Domenica sale sul Frecciarossa Milano-Trieste e si accomoda accanto a una signora, che prima le chiede se ha il biglietto, poi, ricevuta risposta affermativa, guardando la ragazza dice ad alta voce: “Se è così, io accanto a una negra non ci sto”. E cambia posto. A denunciare il gesto razzista, è stata la mamma della giovane, presidente del Ciai (Centro italiano aiuti all’infanzia, con un post su Facebook).


      http://www.radicali.it/cronologia-aggressioni-razziste-da-inizio-giugno-ad-oggi

    • Un’estate all’insegna del razzismo

      È stato pubblicato il dossier “Un’estate all’insegna del razzismo”, a cura di Lunaria, che analizza i casi di razzismo nel nostro Paese negli ultimi sei mesi. Dal razzismo quotidiano a quello istituzionale, ecco cosa c’è da sapere.

      Quella appena trascorsa è un’estate che difficilmente dimenticheremo. Da qualunque lato la si guardi – i comportamenti sociali, il dibattito pubblico, le scelte istituzionali – desta preoccupazioni profonde. E non sono (solo) i numeri a fondare le nostre ansie. 304 casi di discriminazione e di razzismo documentati in sei mesi, 488 dall’inizio dell’anno, sono molti. Ma come sempre colgono solo quello che si è reso visibile e documentabile grazie alle segnalazioni dirette e al monitoraggio dei media.

      No, non sono i numeri a cui guardiamo. Quello che ci preoccupa di più è altro.

      Sono quelle parole e quei comportamenti violenti che non raggiungono l’onore delle cronache e che non vengono denunciati, ma proliferano in ogni dove. Quello che ci preoccupa è che una bimba Rom di 15 mesi possa essere colpita alla schiena per strada e un lavoratore straniero sia colpito “per caso” mentre lavora. Sono le “goliardate” compiute da minori ai danni dei loro coetanei stranieri.

      È che lo Stato faccia tutto il possibile per impedire di mettere in salvo delle vite umane. È che chi ripropone il primato degli italiani in un asilo pubblico o per accedere a una casa popolare venga acclamato da un’ampia parte dell’opinione pubblica. È la separazione dei bambini a scuola nell’ora dei pasti o mentre devono vaccinarsi. È che un ministro della Repubblica possa permettersi anche solo di proporre in rete l’abrogazione della legge Mancino. È che possano ancora agire indisturbati movimenti che si ispirano al fascismo e al neonazismo. È l’approvazione del D.L. 113/2018, che cancella il permesso per motivi umanitari, affossa il sistema pubblico di accoglienza e amplia il sistema dei centri di detenzione. È la strumentalizzazione politica spudorata dei corpi delle donne violati, laddove l’aggressore è un cittadino straniero. È che una signora qualsiasi possa insultare e rifiutarsi di sedersi accanto a una ragazza italiana in treno solo perché il colore del suo volto non è bianco. È la censura da parte della televisione pubblica di un documentario prodotto da un suo giornalista che osa mostrare le condizioni di vita ingiuste e disumane dei bambini rifugiati a Lesbo. E infine, quello che ci preoccupa è l’attacco al sistema di accoglienza pubblico sferrato con l’arresto di Mimmo Lucano.

      Non siamo i soli ad essere allarmati.

      A scendere in campo contro i rischi di un’escalation di discriminazioni istituzionali, di xenofobia e di razzismo sono stati anche importanti esponenti delle istituzioni, a partire dal Presidente della Repubblica: «L’Italia non può somigliare a un Far West dove un tale compra un fucile e spara a una bambina di un anno rovinando la salute e il futuro. Questa è barbarie e deve suscitare indignazione». O dall’UNHCR, Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, che ha espresso “profonda preoccupazione per il crescente numero di attacchi nei confronti di migranti, richiedenti asilo, rifugiati e cittadini italiani di origine straniera che hanno caratterizzato questi ultimi mesi”.

      Sino ad arrivare all’annuncio dell’invio di “personale in Italia per valutare il riferito forte incremento di atti di violenza e di razzismo contro migranti, persone di discendenza africana e rom” da parte dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet. Persino il Parlamento Europeo è giunto ad approvare (tardivamente) una risoluzione che invita i Governi dei Paesi membri a mettere al bando le organizzazioni neo-naziste e neofasciste.

      In questo ultimo dossier raccontiamo tutto questo nel dettaglio.

      Partiamo come di consueto dai casi di ordinario razzismo, dedicando un approfondimento alla ricorrenza anomala di violenze fisiche che hanno colpito soprattutto persone nere. Riepiloghiamo le scelte compiute dal Governo a partire dal suo insediamento sino ad arrivare all’approvazione del pessimo Decreto Legge 113/2018 e le discriminazioni istituzionali compiute attraverso delibere comunali o leggi regionali.

      Le cronache giornalistiche hanno seguito con una particolare attenzione tutti questi eventi non rimanendo immuni da omissioni, enfatizzazioni e vere e proprie stigmatizzazioni che analizziamo nel quarto capitolo.
      L’estate è stata però attraversata anche da moltissime iniziative di solidarietà. Un vero e proprio risveglio della società civile ha attraversato il nostro Paese da Nord a Sud, coinvolgendo singoli e soggetti collettivi e ambienti del tutto diversi tra loro, agendo in molti casi in modo auto-organizzato. La mobilitazione straordinaria che ha fatto giungere a Lodi più di 165mila euro per consentire a tutti i bambini che ne erano stati esclusi di tornare ad accedere alla mensa scolastica, è forse quella più originale e innovativa.

      Di fronte alle decisioni sbagliate è possibile ribellarsi. Anche quando ci sono regole o leggi ingiuste, rassegnarsi non è inevitabile.

      E proprio a tutti coloro che non accettano la criminalizzazione della solidarietà e la praticano dal basso, è dedicato l’ultimo capitolo.


      https://www.cartadiroma.org/news/in-evidenza/unestate-allinsegna-del-razzismo

      v. le dossier ici:
      https://www.lunaria.org/wp-content/uploads/2018/10/FOCUS62018unestateallinsegnadelrazzismo.pdf

    • #Latina, Torino, Roma: le violenze razziste non si fermano

      Due fratelli di 14 e 15 anni, nati in Italia e originari del Congo, vengono aggrediti, a Latina, prima verbalmente con frasi razziste per il colore della loro pelle e poi fisicamente, subendo un brutale pestaggio da parte di un gruppo di giovanissimi, tutti italiani tra i 13 e i 15 anni. L’episodio è avvenuto il 1 dicembre, ma ne abbiamo avuto notizia solo oggi, quando la squadra mobile ha segnalato alla Procura presso il Tribunale per i minori di Roma ben tredici minorenni del capoluogo pontino. A forza di calci uno dei due fratelli è finito a terra, vittima di un trauma cranico e privo di conoscenza, mentre all’altro sono stati fratturati il naso e uno zigomo. I due fratelli, ricoverati in ospedale, con prognosi di venti e trenta giorni, sono fuori pericolo ma sotto choc. Secondo alcune indiscrezioni, gli aggressori apparterrebbero a “situazioni familiari disagiate e in alcuni casi sono figli di uomini con precedenti penali o con parentele pesanti nella criminalità organizzata della città”.

      Ci spostiamo vicino Torino. Pape Bassirou Tine, ventenne di origine senegalese residente ad Almese, giovane e promettente calciatore del San Maurizio Canavese (campionato di Promozione), viene aggredito davanti al Caffè Stazione di Avigliana (TO). Il fatto è accaduto lunedì 17 dicembre sera. «Mi hanno urlato ‘negro di m*…, torna a casa tua’, poi mi sono avvicinato per chiedere spiegazioni. Uno mi ha colpito con un pugno, un altro con un bicchiere di vetro». Secondo una prima ricostruzione, fatta grazie al racconto del ragazzo e dei testimoni presenti al momento dell’accaduto, gli aggressori sarebbero cinque-sei italiani, più o meno suoi coetanei. Pape, recatosi all’ospedale di Rivoli per farsi medicare, ha perso sangue a causa dei colpi ricevuti ma si rimetterà presto. Torino Today riporta le parole del giovane, che ora chiede giustizia: «Chiedo solo che giustizia sia fatta perché siamo nel 2018 e non permetto a nessuno di sottovalutarmi. Siamo tutti esseri umani. Sembra che siano solo gli stranieri a commettere crimini, ma non è così». Pape ha presentato una denuncia alla stazione dei carabinieri, che sono ora al lavoro per identificare gli autori dell’aggressione grazie anche ai filmati delle telecamere di sorveglianza della stazione.

      Da Torino torniamo a Roma. Ancora un’aggressione razzista nei confronti di una persona nera. Le vittime in questo caso sono due: una mamma e la sua bambina, a bordo del tram 19. A raccontare l’accaduto, ieri, sulla propria pagina Facebook, una testimone che ha assistito al fatto intorno alle 16:45 del pomeriggio. “Ad una fermata sale una donna di colore, con una bimba di un anno in passeggino. Un uomo, romano doc, sulla quarantina le dice: “E tu perché sei qua, cosa fai sul tram?!”. La donna risponde: “Che vuoi, che ti ho fatto?”. L’uomo innervosito dal fatto che una donna, per giunta “nera”, gli risponda, le ribatte: “Tu devi stà zitta, hai capito, devi stà zitta”. Alla fermata del tram, la donna cerca di scendere, ma l’uomo le tira una pacca sul sedere e tira due calci al passeggino e le sputa in faccia”. Nonostante l’intervento della testimone e di un altro ragazzo, l’uomo continua ad infierire e a insultare. Anche altri passeggeri, presenti all’aggressione, partecipano agli insulti generali. Il tram riparte. Nessuno chiede niente. Come se nulla fosse accaduto.

      Pochi giorni fa, aveva scosso e fatto il giro dei social l’episodio della donna rom e di sua figlia aggredite nella metro, raccontato alla giornalista Giorgia Rombolà, testimone dell’aggressione. Pochi giorni fa, avevamo ricevuto una segnalazione simile anche da una nostra lettrice (ne abbiamo parlato qui).

      Fatti con cadenza quotidiana estremamente gravi, e sempre più relegati alla pura cronaca. Fatti che non dovrebbero passare inosservati. E che dovrebbero far riflettere sul clima inquietante in cui siamo immersi e che sembra restringere ogni giorno i pochi interstizi di umanità che restano.


      http://www.cronachediordinariorazzismo.org/alatina-torino-roma-le-violenze-razziste-non-si-fermano
      #Turin #Rome

    • Ordina le pizze, brasiliana pestata a sangue. «Siamo in Friuli, devi parlare friulano per legge»

      Pestata in un locale pubblico perché non parla friulano. Accade fuori da una pizzeria da asporto, a #Mereto_di_Tomba. La donna, brasiliana, 47 anni, residente a Cavasso Nuovo nel Pordenonese, era entrata nel locale insieme ai figli, per ordinare delle pizze da portare a casa. Ha chiesto le pizze in buon italiano, ma ad un uomo presente nel locale, un camionista, non è bastato: «Qui siamo in Friuli e si deve parlare friulano per legge». La donna, per evitare liti, è uscita fuori, al freddo, per attendere le pizze. Ma l’uomo è uscito e nonostante il figlio della donna cercasse di difenderla, l’ha spintonata e colpita al volto. Col naso sanguinante e sotto choc la brasiliana è andata al pronto soccorso: ha numerosi traumi.

      https://www.ilmessaggero.it/italia/brasiliana_picchiata_pizzeria_udine_oggi-4222441.html

  • Torture, rape and slavery in Libya: why migrants must be able to leave this hell

    Rape, torture and slave labour are among the horrendous daily realities for people stuck in Libya who are desperately trying to escape war, persecution and poverty in African countries, according to a new report by Oxfam and Italian partners MEDU and Borderline Sicilia.

    The report features harrowing testimonies, gathered by Oxfam and its partners, from women and men who arrived in Sicily having made the dangerous crossing from Libya. Some revealed how gangs imprisoned them in underground cells, before calling their families to demand a ransom for their release. A teenager from Senegal told how he was kept in a cell which was full of dead bodies, before managing to escape. Others spoke of being regularly beaten and starved for months on end.

    Oxfam and its partners are calling on Italy and other European member states to stop pursuing migration policies that prevent people leaving Libya and the abuse they are suffering.

    158 testimonies, of 31 women and 127 men, gathered by Oxfam and MEDU in Sicily, paint a shocking picture of the conditions they endured in Libya:

    All but one woman said they had suffered from sexual violence
    74% of the refugees and other migrants said they had witnessed the murder and /or torture of a travelling companion
    84% said they had suffered inhuman or degrading treatment, extreme violence or torture in Libya
    80% said they had been regularly denied food and water during their stay in Libya
    70% said they had been tied up

    https://www.oxfam.org/en/pressroom/pressreleases/2017-08-09/torture-rape-and-slavery-libya-why-migrants-must-be-able-leave
    #torture #enlèvements #viols #Libye #asile #migrations #réfugiés #rapport

    • Lager Libia. I migranti raccontano l’indicibile

      Nel febbraio del 2017 l’Italia ha stipulato con la Libia un nuovo accordo sui migranti. Oggi si conoscono gli effetti di questo accordo: una drastica diminuzione degli sbarchi in Italia e centinaia di migliaia di migranti intrappolati nel paese nordafricano. Si tratta di persone provenienti sia dall’Africa occidentale che dal Corno d’Africa, in fuga da violenze, guerre, persecuzioni e miseria estrema. Cosa sia la Libia oggi lo raccontano migliaia di testimonianze dei migranti: un grande lager dove si consumano atrocità degne dei peggiori campi di sterminio del XX secolo. Le testimonianze di questo video sono state raccolte a Roma e in Sicilia nei progetti di Medici per i Diritti Umani a supporto delle vittime di tortura. Video di Noemi La Barbera/Medici per i Diritti Umani.

      https://www.youtube.com/watch?v=m93RBg8kCWA

      #viols #Libye #témoignages #vidéo

    • Inferno in Libia, «oggi vi ammazziamo tutti»: i migranti torturati e i video per chiedere il riscatto

      Plastica fusa sulla schiena, frustate su tutto il corpo: tutto ripreso con i cellulari e poi inviato ai parenti delle vittime. Il governo libico: «Catturati gli aguzzini autori delle torture»

      http://www.corriere.it/video-articoli/2018/01/24/inferno-libia-oggi-vi-ammazziamo-tutti-migranti-torturati-video-chiedere-riscatto/2a2dce8c-0144-11e8-b515-cd75c32c6722.shtml

    • Rapporto choc. Torture e stupri in Libia: l’ultima accusa dell’Onu

      Una strage occultata: migranti fucilati da militari libici in un centro di detenzione. Non ne avremmo saputo nulla se il segretario generale dell’Onu non ne avesse rivelato l’esistenza in un rapporto choc – visionato da Avvenire – trasmesso al Consiglio di sicurezza nel quale vengono riportati anche i soprusi della Guardia costiera e le crudeltà dei funzionari incaricati del contrasto all’immigrazione illegale. Nero su bianco Antonio Guterres smaschera la narrazione di una Libia in via di stabilizzazione, con i profughi finalmente trattati con più umanità. «I migranti sono stati sottoposti a detenzione arbitraria e torture, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale», scrive il segretario generale, basandosi sulle inchieste di Unsimil, la missione Onu a Tripoli. Indistintamente, nei centri governativi come nei lager clandestini, avvengono «rapimenti per estorsione, lavori forzati e uccisioni illegali» si legge nel documento consegnato al Consiglio di sicurezza il 12 febbraio.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/torture-e-stupri-in-libia-lultima-accusa-dellonu

    • Ecco come vengono torturati i migranti in Libia: i referti shock della «pacchia»

      Profughi in catene, ustionati e denutriti, aggrediti con acido, picchiati con martelli e tubi. Siamo in grado di farvi leggere i documenti medici sulle ferite delle persone che fuggono dall’Africa e la prova delle violenze nei luoghi di detenzione

      http://espresso.repubblica.it/inchieste/2018/06/27/news/ecco-come-vengono-torturati-i-migranti-in-libia-i-referti-shock-
      #viol

    • EU’s foreign policy chief demands closure of migrant shelters in Libya

      The EU’s foreign policy chief, Federica Mogherini demanded the closure of migrant shelters in Libya, on claims that their conditions of detention were unacceptable.

      “The European Commission is unable to act alone to eliminate the violent practices and violations of the rights of migrants and asylum seekers in shelters in Libya,” Mogherini said through her spokeswoman, Maja Kocijancic.

      Mogherini pointed out that the goal of the European Union is to secure safe spaces for asylum seekers, especially women, children and the marginalized groups, according to Italian Aki news agency.

      https://www.libyaobserver.ly/inbrief/eus-foreign-policy-chief-demands-closure-migrant-shelters-libya

      comme dit un collègue:

      Dans la série « Mogherini dit tout et n’importe quoi » : SI elle demande vraiment la fermeture des centres de détention (où les garde-côtes libyens sont censés envoyer tout migrant intercepter en mer), cela revient à demander l’arrêt des interceptions et retours des migrants en Libye par les garde-côtes libyens…

    • #IOM Statement: Protecting Migrants in Libya Must be our Primary Focus

      With regard to its activities in Libya, the International Organization for Migration (IOM) would like to clarify that we follow the UN position indicating that Libya cannot yet be considered a safe port.

      IOM in Libya is present at the disembarkation points to deliver primary assistance to migrants that have been rescued at sea. However, following their disembarkation, migrants are transferred to detention centres under the responsibility of the Libyan #Directorate_for_Combatting_Illegal_Migration (#DCIM) over which the Organization has no authority or oversight. The detention of men, women and children is arbitrary. The unacceptable and inhumane conditions in these detention centres are well documented, and IOM continues to call for alternative solutions to this systematic detention.

      The number of migrants returned to Libyan shores has reached over 16,000 since January 2018, and concern remains for their safety and security in Libya, due to the conditions in the detention centres.

      IOM only has access to centres to provide direct humanitarian assistance in the form of non-food items, health and protection assistance, as well as Voluntary Humanitarian Return support for migrants wishing to return to their countries of origin.

      IOM’s access to detention centres in Libya is part of the Organization’s efforts to alleviate the suffering of migrants but cannot guarantee their safety and protection from serious reported violations. IOM advocates for alternatives to detention including open centres and safe spaces for women, children and other vulnerable migrants. A change of policy is needed urgently as migrants returned to Libya should not be facing arbitrary detention.

      The security and humanitarian situations in the country remain dangerous, and IOM reiterates that Libya cannot be considered a safe port or haven for migrants.

      https://www.iom.int/news/iom-statement-protecting-migrants-libya-must-be-our-primary-focus
      #OIM

  • Migranti, vertice al Viminale dei ministri dell’Interno di Italia, Ciad, Libia e Niger

    Una cooperazione congiunta per il contrasto al terrorismo e alla tratta di esseri umani. Istituita una cabina di regia che opererà per monitorare sui temi oggetto dell’incontro


    http://www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-vertice-viminale-dei-ministri-dellinterno-italia-ciad-libia-e-n
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Tchad #Italie #Libye
    cc @i_s_

    • Parola d’ordine esternalizzare: soldi europei agli Stati africani per fermare il flusso dei migranti

      Il ministro degli Interni del Niger: «Chiediamo all’Ue infrastrutture militari». Ma il Mali non firma le riammissioni: «Le rimesse ci hanno portato 800 milioni di dollari nel 2016»

      http://www.lastampa.it/2017/05/24/esteri/speciali/divertedaid/parola-dordine-esternalizzare-soldi-europei-agli-stati-africani-per-fermare-il-flusso-dei-migranti-VKqfQ42Nr9TimSleQzT7XL/pagina.html?platform=hootsuite

    • Deploying Italian warships to police Libyan waters will expose refugees to horrific abuse

      Proposals to send warships to police Libyan territorial waters are a shameful attempt by the Italian authorities to circumvent their duty to rescue refugees and migrants at sea and to offer protection to those who need it, said Amnesty International, ahead of a vote in the Italian parliament tomorrow.

      https://www.amnestyusa.org/press-releases/deploying-italian-warships-to-police-libyan-waters-will-expose-refugees-

    • Missione navale: Italia pronta a destinare rifugiati e migranti verso orribili violenze

      Dopo il voto del parlamento italiano in favore dell’invio di navi da guerra nelle acque libiche per assistere la Guardia costiera della Libia a intercettare migranti e rifugiati e a riportarli a terra, la vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa Gauri Van Gulik ha rilasciato questa dichiarazione:

      https://www.amnesty.it/missione-navale-italia-pronta-destinare-rifugiati-migranti-verso-orribili-vi

    • "L’aiuto dell’Italia alla Guardia costiera libica rischia di tradursi in complicità negli abusi sui migranti"

      L’annuncio del supporto operativo delle navi della Marina Militare italiana al governo di Tripoli, nell’intercettazione di barconi di migranti in acque libiche, è stata criticata da Human Rights Watch: «Potrebbe coinvolgere l’Italia in violazioni dei diritti umani a danno dei migranti successivamente detenuti in Libia».

      http://www.huffingtonpost.it/2017/08/02/l-aiuto-dellitalia-alla-guardia-costiera-libica-rischia-di-tra_a_2306

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172

      #aide_au_développement

    • Italy Has a Controversial New Plan to Stop Migrants Crossing the Mediterranean Sea

      The Italian government initially hoped to send six ships to Libya’s territorial waters, but plans had to be scaled down following popular protests in Tripoli, Reuters reports. Libyans have reportedly been posting images of Omar al-Mukhtar, a national hero who battled Italian rule in the early 1900s, on social media in response to the Italian presence— reflecting the widespread unease over a former colonial power intervening on domestic affairs. Pinotti said that Italy had no intention of creating a blockade on Libya’s coast.

      http://time.com/4885415/italy-naval-mission-migrant-smuggling

    • LIBIA : IL SUCCESSO DEMOCRATICO

      C’è solo una cosa che avete perso: la dignità umana.
      Credo l’abbiate fatto consapevolmente, perché liberarvi della fatica di difendere la dignità umana era il peso più affrontabile per risolvere questo maledetto problema degli sbarchi.
      Creare in pubblico il reato umanitario, confermare e rafforzare le derive più xenofobe e pericolose della nostra società, abbandonare migliaia di persone al loro immobile destino di ingiustizia e povertà, non disturbare la chiusura dell’Europa ricca e respingente, consolidare poteri forti e corrotti in paesi di origine e di transito: questo avete fatto e con questo state vincendo.
      Complimenti.
      Abbiate almeno il coraggio di non chiamarvi più nemmeno democratici.

      http://andreasegre.blogspot.ch/2017/08/libia-il-successo-democratico.html
      #Andrea_Segre

      Avec un ps sur la Suisse :

      P.P.S. scrivo tutto ciò da Locarno (Svizzera), dove presenteremo domani il nuovo doc IBI. E non posso non guardarmi intorno. Questo è il cuore dell’Europa ricca che proteggendosi ha ottenuto ciò che le interessava: crescita interna altissima sulle spalle di un mondo esterno da sfruttare e tenere fuori (i corpi ovviamente, i soldi no, se vogliono quelli entrano subito e senza controlli). Il PIL procapite medio da queste parti è circa 80mila euro l’anno. Nei paesi da cui scappano gli invasori raggiunge al massimo 1000 euro. Ma qui non ci arrivano, perché anche qui, soprattutto qui, hanno vinto. Bravi!

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.

      https://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Libia, arrivano meno migranti che così finiscono nel lager di #Sabha

      Lo dicono i numeri delle ultime settimane: si assiste ad una drastica riduzione del flusso migratorio dalla Libia verso l’Italia. E’ l’effetto dell’accordo italo-libico, sostenuto dall’Unione Europea. Decine di migliaia di migranti subsahariani bloccati. Lo raccontano le duemila testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu)

      http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2017/08/08/news/libia-172648143/?ref=search

    • Libyan Coast Guard Faces Allegations of Corruption

      At the same time, conflict and corruption on the ground have called into question the EU’s plans to train the Libyan Coast Guard and return migrants to Libyan shores. In February, Libya’s UN-backed government in Tripoli agreed to direct its coast guard to return migrants to shore in exchange for training assistance and financial aid. On Monday, Libyan Prime Minister Fayez Serraj negotiated for an additional EU assistance package of $860 million in military equipment, including ships, vehicles, helicopters and communications gear.

      http://www.maritime-executive.com/article/libyan-coast-guard-faces-allegations-of-corruption
      #gardes-côtes #frontières #Libye #gardes-côtes_libyens #corruption #Libye

    • Supreme Court annuls verdict that suspended implementation of Italy-Libya MoU

      The Supreme Court in Libya annulled a previous verdict that suspended the implementation of the #memorandum_of_understanding (MoU) that was signed between Libya’s UN-proposed Presidential Council and Italy.


      https://www.libyaobserver.ly/news/supreme-court-annuls-verdict-suspended-implementation-italy-libya-mou

    • L’Italia esibisce in Europa gli accordi con Tripoli. Sotto attacco vittime e testimoni.

      Il governo italiano si presenta al vertice di Parigi esibendo, dietro il Codice di condotta per le ONG, autentico specchietto per le allodole, i risultati degli accordi con il premier libico Serraj e alcune tribù del Fezzan, come già prima con il Sudan di Bashir, con un abbattimento su base mensle, in agosto, del 70 per cento degli arrivi di migranti dalla Libia. Adesso si può davvero dire che le frontiere europee raggiungono il Fezzan, le attività di esternalizzazione dei controlli sono molto avanzate e numerosi contingenti militari sono già schierati sul territorio di confine tra Libia, Niger, Chad e Sudan. Poco importa a quale prezzo. Di fatto sono state proprio le milizie della zona di Sabratha, dalla quale si verificavano le partenze della maggior parte dei gommoni, ad intervenire per bloccare tutte le vie di fuga. Perchè di vie di fuga dalla Libia occorre parlare, oltre che di contrasto al traffico di esseri umani.

      http://www.a-dif.org/2017/08/28/litalia-esibisce-in-europa-gli-accordi-con-tripoli-sotto-attacco-vittime-e-te

    • DA TRAFFICANTE A COMANDANTE DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA

      In un’intervista a “La Stampa” Roberto Saviano racconta oggi che il capo dei trafficanti di #Zawija, base di tante partenze di migranti, a 40 km da Tripoli, è un ragazzo di nemmeno trent’anni, ricchissimo e spietato: #Abdurahman_Al_Milad_Aka_Bija, che tutti conoscono come #Al_Bija. Bene, anzi male: Al Bija è appena diventato il nuovo comandante della Guardia costiera libica della città. Insomma, il referente delle nostre navi militari.

      https://alganews.wordpress.com/2017/08/15/da-trafficante-a-comandante-della-guardia-costiera-libica

    • Tripoli. Accordo Italia-Libia, è giallo sui fondi per aiutare il Paese

      «Il governo non tratta con i trafficanti», asserisce la Farnesina. Non a torto, perché diverse fonti in Libia e tra la bene informata diaspora a Tunisi, dove risiedono molti membri del Consiglio presidenziale libico, confermano che gli stanziamenti italiani sono destinati alle istituzioni. «Però tutti sanno – aggiungono con sarcasmo – che autorità e contrabbandieri hanno madri diverse, ma lo stesso padre». Da Tripoli, ancora nessuna smentita ufficiale. Le conferme, al contrario, sono molteplici, non tutte anonime. Almeno cinque milioni di euro sono stati consegnati da Roma nelle settimane scorse sotto forma di denaro e medicamenti per le strutture sanitarie di Sabratha. Altri ’aiuti’, per importi analoghi, sono attesi dai sindaci-dignitari che hanno assicurato di voler cooperare con il premier Fayez al-Sarraj e l’Italia. Ci sono poi gli stanziamenti già destinati a Bengasi, nell’area controllata dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica (a est del Paese) ora in espansione anche nell’ovest del premier al-Sarraj.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/accordo-italia-libia-giallo-sui-fondi-per-aiutare-il-paese

    • I migranti come arma di ricatto tra lotte di potere, ritorsioni e nuovi equilibri in Libia. E i morti aumentano

      Nel week end tra il 15 e il 17 settembre sono arrivati in Italia dalla Libia più di 1.800 migranti su una quindicina di gommoni. Senza contare il flusso crescente di “barche fantasma”, pescherecci di varie dimensioni che, partendo dalla Tunisia, approdano in Sicilia, soprattutto sulle coste dell’Agrigentino. Dopo giorni di sbarchi in calo e di continue, “trionfanti” notizie di blocchi effettuati dalla Guardia Costiera libica lungo le coste africane, questo improvviso exploit di sbarchi ha destato non poca sorpresa, contraddicendo almeno in parte le dichiarazioni del Governo italiano sull’efficacia e sulla tenuta dei “muri” eretti nel Mediterraneo e nel Sahara con gli ultimi accordi stipulati da Roma con Tripoli. Non a caso, questo degli sbarchi, è stato uno dei temi guida del dibattito politico e del notiziario dei media nel fine settimana.

      http://www.a-dif.org/2017/09/22/i-migranti-come-arma-di-ricatto-tra-lotte-di-potere-ritorsioni-e-nuovi-equili

    • Italy claims it’s found a solution to Europe’s migrant problem. Here’s why Italy’s wrong.

      Motivating the Libyan militias’ newfound zeal for blocking migrant movement is a new policy spearheaded by the Italian government and embraced by the European Union. The approach relies on payment to militias willing to act as migrant deterrent forces. Italian government representatives use intermediaries such as mayors and other local leaders to negotiate terms of the agreements with the armed groups. They also build local support in the targeted areas by distributing humanitarian aid.

      https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2017/09/25/italy-claims-its-found-a-solution-to-europes-migrant-problem-heres-w

    • Libye: La manœuvre périlleuse de l’Italie

      Rome est accusée d’avoir financé des passeurs de Sabratha pour endiguer le flux de migrants. Avéré ou non, cet accord a déclenché une guerre entre milices, déstabilisant un peu plus le pays.

      Côté face, Marco Minniti, le ministre italien de l’Intérieur, se félicite d’être à l’origine de la chute du nombre de migrants partant de la Libye pour l’Europe : - 50 % en juillet et - 87 % en août par rapport à la même période en 2016. Côté pile, Minniti, ancien chef des services secrets, est aussi la principale causede la guerre actuelle qui se déroule à Sabratha, ville située à 80 kilomètres à l’ouest de Tripoli, depuis le 17 septembre. Les combats ont fait au moins 26 victimes et, près de 170 blessés, endommageant également le théâtre romain antique classé au Patrimoine mondial de l’Unesco. Là, des taches de sang et des centaines de douilles jonchent encore le sol. Le lieu, qui a survécu aux soubresauts de l’histoire libyenne, est aujourd’hui marqué jusque dans ses pierres par ce nouveau drame qui n’a rien de théâtral.

      Marco Minniti est accusé d’avoir passé un accord financier avec le chef de milice Ahmed Dabbashi, alias Al-Ammou (« l’Oncle »), pour qu’il mette fin à ses activités de baron du trafic des migrants et ainsi faire baisser le nombre d’arrivées sur les côtes italiennes. L’homme était un des passeurs les plus puissants de Sabratha, dont les plages sont les lieux de départ de la grande majorité des candidats à rejoindre l’Europe.

      Dans les cafés de Sabratha, les habitués sourient lorsqu’on évoque le « repentir » d’Ahmed Dabbashi : « Il veut se donner une respectabilité, mais soyez certains qu’à 3 heures du matin, ses bateaux continuent de partir », assure Salah, qui préfère rester anonyme par crainte de représailles du chef mafieux, membre d’une importante famille de la cité antique. En septembre, plus de 3 000 migrants ont été secourus en mer, et un grand nombre d’entre eux était parti des plages de Sabratha. Si les départs ont ralenti, ils n’ont pas totalement disparu.

      Une aide italienne a minima

      Le conflit qui déchire Sabratha oppose les hommes d’Al-Ammou (alliés à la Brigade 48, dirigée par un frère d’Ahmed Dabbashi), à la Chambre des opérations (CDO) du ministre de la Défense, au Bureau de lutte contre la migration clandestine (BLMC) du ministre de l’Intérieur et à la milice salafiste Al-Wadi, également accusée de trafic humain. Tous se revendiquent d’une affiliation au gouvernement d’union nationale (GUN) de Faïez el-Serraj, soutenu par la communauté internationale. Mais ce dernier ne reconnaît que la CDO et le BLMC. Preuve, s’il en était, que la Libye, en proie au chaos, n’est qu’un camaïeu de gris.

      Bachir Ibrahim, le porte-parole du groupe d’Ahmed Dabbashi, a évoqué l’existence d’un accord verbal avec le gouvernement italien et le GUN de Faïez el-Serraj. Mais ces deux derniers démentent toute entente financière avec la milice. La rumeur ne s’est pas éteinte pour autant. Et les habitants de la ville rappellent les forts liens entre la milice de Dabbashi et l’Italie : c’est le groupe armé qui protège le site gazier de Mellitah, situé à l’ouest de Sabratha et géré par le géant italien ENI. D’ailleurs, la milice possède deux bateaux pneumatiques ultra-rapides qui appartenaient à la marine libyenne et dont l’un a été récupéré sur le site de Mellitah… Bassem al-Garabli, le responsable du BLMC, s’étonne, lui, que l’ambassadeur italien, Giuseppe Perrone, n’ait pas visité son unité lors de sa venue à Sabratha, le 10 septembre pour se féliciter de la chute du nombre de départs de migrants. L’ambassadeur italien à Tripoli n’a, de son côté, pas souhaité répondre à nos questions.

      « L’Italie a payé, en juillet, 5 millions d’euros à Al-Ammou pour trois mois de tranquillité, affirme sous couvert d’anonymat un membre de la CDO. L’échange s’est fait en haute mer. »Cette source rappelle le double jeu du chef de la milice, qui posséderait quatre hangars où des navires capables d’embarquer plusieurs centaines de migrants seraient restaurés. Pourtant, le 28 juillet, l’Union européenne a débloqué 46 millions d’euros à l’Italie afin qu’elle aide les autorités libyennes à renforcer sa capacité à gérer les flux migratoires et protéger ses frontières. Une somme que reflètent peu les résultats sur le terrain.

      A ce jour, seuls 136 marins libyens ont été formés en Italie à rechercher, secourir et perturber le trafic d’êtres humains. Les garde-côtes ont reçu cette année quatre bateaux, reliquats d’un contrat passé en 2008 et, qui plus est, anciens. « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants qui sont de plus en plus souvent escortées par des hommes armés sur des vedettes rapides. » La marine se montre davantage satisfaite par le « Code Minniti », qui a durci les conditions d’intervention des bateaux d’ONG présents pour secourir les migrants en détresse, au grand dam des organisations humanitaires. « Ces navires sont comme des taxis pour les clandestins, affirme Ayoub Gacem. Les passeurs ont compris qu’il suffit que les migrants atteignent les eaux internationales pour arriver en Europe. »

      Encore faut-il les atteindre. « Alors que nous étions au large de Sabratha, un bateau est arrivé, raconte Shaada, un Bangladais de 17 ans. Les hommes nous ont pris notre argent, nos téléphones portables, le téléphone satellite et le moteur avant de repartir. » Aujourd’hui au centre de rétention de Tripoli, Shaada décrit l’amplification de la piraterie à l’encontre des migrants, en mer comme dans le désert. Un phénomène qui explique aussi, en partie, la baisse des départs depuis la Libye.

      Boko Haram et l’état islamique

      Pour Ayman Dabbashi, cousin d’Al-Ammou mais également membre de la CDO, l’existence d’un « contrat » avec l’Italie ne fait aucun doute. Mais il ne comprend pas la logique italienne. « C’est incompréhensible, parce que mon cousin n’est pas quelqu’un d’éduqué, il sait à peine dire une phrase, affirme-t-il. Il a dit qu’il arrêterait les bateaux mais ce n’est pas vrai. Il va arrêter les bateaux des autres, mais pas les siens. »

      « Marco Minniti pousse le gouvernement d’union nationale à "intégrer" les milices comme celle d’Al-Ammou au sein du ministère de la Défense. Le ministre italien l’a reconnu lui-même. Cela est beaucoup plus grave pour la sécurité de la Libye, que l’existence ou non d’échange de valises de billets », prévient Jalel Harchaoui, qui prépare une thèse sur la dimension internationale du conflit libyen à l’université Paris-VIII. Même inquiétude du côté du général Omar Abdoul Jalil, responsable de la Chambre des opérations : « L’Europe doit faire attention avec qui elle négocie. Les passeurs n’ont aucun problème à introduire des terroristes dans des bateaux de migrants. » Il cite ainsi le cas de deux Camerounais récemment trouvés sur une embarcation et aussitôt envoyés en prison à Tripoli pour de forts soupçons d’appartenance à Boko Haram.

      Jusqu’en février 2016, des camps d’entrainement de l’Etat islamique étaient installés dans Sabratha, avant que les Américains ne bombardent un site. Le groupe terroriste était dirigé par Abdoullah Dabbashi, un parent d’Al-Ammou. Une accointance familiale qui pourrait servir de prétexte à Khalifa Haftar pour entrer dans la danse. L’homme fort de l’est du pays, bien qu’opposant au gouvernement de Faïez el-Serraj, pourrait envoyer des avions de sa base militaire d’Al-Watiya (à 80 kilomètres au sud-ouest de Sabratha) pour bombarder la milice d’Al-Ammou. Officiellement au nom de sa lutte contre le terrorisme. Officieusement, pour entrer de plain-pied dans la Tripolitaine, région ouest du pays. « Si Haftar intervient, l’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit le chercheur Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. »

      « c’est une fausse victoire »

      Le maréchal Haftar a d’ailleurs été reçu par Marco Minniti mardi dernier à Rome. La question de Sabratha a été abordée. Spécialiste de la Libye au Conseil européen des relations internationales, Mattia Toaldo ne croit pas à l’escalade : « Marco Minniti veut protéger sa politique antimigratoire en persuadant Khalifa Haftar de rester à l’écart. Ce dernier n’a d’ailleurs pas intérêt à intervenir, ce serait une mission kamikaze. »

      Que le conflit s’embrase ou non, le trafic des migrants ne disparaîtra pas, les réseaux s’adapteront. « En ce moment pour les trafiquants, c’est plus rentable de faire de la contrebande d’essence ou de nourriture que de transporter des hommes. Mais c’est une fausse victoire. Cela va reprendre », assure Choukri Ftis, qui a participé à un récent rapport de Altai Consulting intitulé « Partir de Libye, rapide aperçu des municipalités de départs ». Il pointe déjà la plage de Sidi Bilal, située à une vingtaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli, comme prochain centre d’embarquement. Ici, l’Al-Ammou local se nomme Saborto et dirige une milice de la tribu des Warshefanas, réputée pour ses enlèvements de riches Tripolitains et d’étrangers.

      http://www.liberation.fr/planete/2017/10/01/libye-la-manoeuvre-perilleuse-de-l-italie_1600209

    • European priorities, Libyan realities

      August 14 began calmly for Riccardo Gatti. On the first morning of a new search and rescue mission in the central Mediterranean, the former yachtsman turned activist walked the grayed wooden deck of the Golfo Azzurro, a trawler that has been stripped of its bulky fishing equipment to make space for life jackets and water bottles.

      http://issues.newsdeeply.com/central-mediterranean-european-priorities-libyan-realities

      cc @isskein

    • Le Commissaire demande des éclaircissements concernant les opérations maritimes italiennes dans les eaux territoriales libyennes

      Adressée au ministre italien de l’Intérieur, M. Marco Minniti, et publiée le 11 octobre 2017, le Commissaire sollicite des informations concernant les opérations maritimes menées par l’Italie dans les eaux territoriales libyennes à des fins de gestion des flux migratoires.

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/commissioner-seeks-clarifications-over-italy-s-maritime-operations-in-libyan-te

      La réponse de Minniti :
      https://rm.coe.int/reply-of-the-minister-of-interior-to-the-commissioner-s-letter-regardi/168075dd2d

    • «Ministro Minniti mi incontri, le racconto l’orrore»

      Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ong Sea Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio di ieri 6 novembre 2017: «Ho visto con i miei occhi il folle comportamento dei militari libici, che picchiavano chi voleva raggiungerci e ci lanciavano patate. L’Italia blocchi l’accordo con la Libia». Ecco il suo racconto senza filtri

      http://www.vita.it/it/article/2017/11/07/ministro-minniti-mi-incontri-le-racconto-lorrore/145020

    • « En Libye, le trafic de migrants va reprendre comme avant »

      Ces derniers mois, les traversées depuis la Libye ont diminué de façon spectaculaire. Mais, en concluant un accord secret avec une milice de Sabratha, l’Italie pourrait avoir encore un peu plus déstabilisé le pays.

      Entre deux dossiers, dans son bureau de Rome, le ministre de l’Intérieur, Marco Minniti, doit sûrement se demander : « Ai-je eu raison ? » L’ancien chef des services secrets italiens est accusé d’avoir passé, au printemps, un accord financier avec Ahmed Dabbashi alias al-Ammou (l’Oncle), chef d’un des plus importants réseaux de trafic d’êtres humains en Libye, pour que ce dernier arrête son commerce et celui de ses concurrents régionaux.

      L’« Oncle » opère depuis Sabratha, à 70 km à l’ouest de Tripoli, d’où partait l’écrasante majorité des candidats à l’exil. Cette alliance a été revendiquée sur les réseaux sociaux par la brigade de l’Oncle, appelée « Anas-Dabbashi », du nom d’un cousin d’Ahmed tué pendant la révolution de 2011.

      « L’Italie a promis de verser 5 millions d’euros par trimestre. Le premier échange s’est fait durant l’été sur un bateau dans les eaux internationales », assure, sous couvert d’anonymat, un responsable de la Chambre des opérations de Sabratha, dépendant du gouvernement d’union nationale de Tripoli (reconnu par la communauté internationale) et principal ennemi de Dabbashi.

      Une realpolitik qui a eu des résultats spectaculaires : les enregistrements de migrants en Italie en provenance de la Libye ont chuté de 50% en juillet et 87% en août. Seulement, outre l’aspect moral douteux de cette politique, elle a été la principale cause d’une guerre de trois semaines (17 septembre-6 octobre) qui a fait une trentaine de morts et quelque 170 blessés. Les combats ont également profondément endommagé le Théâtre antique romain, classé au patrimoine de l’Unesco. Ils opposaient des forces du gouvernement d’union nationale à Dabbashi et son allié, la brigade 48. Ahmed Dabbashi a été battu et a dû quitter Sabratha. Son réseau n’est plus opérationnel, mais le jeu en valait-il la chandelle ?
      Milice payée avec des fonds européens ?

      L’Union européenne, qui avait donné quasi carte blanche à l’Italie pour régler la question des migrants, va-t-elle sévir ? Bruxelles avait octroyé 53,3 millions de francs suisses à la Botte pour aider la Libye à protéger ses frontières. L’argent a-t-il servi à payer Dabbashi ? Sur le terrain, les acteurs libyens n’ont pas vu d’amélioration notable. Les garde-côtes n’ont reçu cette année que quatre bateaux qui ont déjà servi, et encore s’agissait-il du reliquat d’un contrat passé en 2008.

      « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants, qui sont maintenant de plus en plus escortés par des hommes armés sur des vedettes rapides. » Car, si Dabbashi est hors-jeu, d’autres réseaux ont pris le relais.

      Après les affrontements de Sabratha, près de 15 000 migrants, principalement d’Afrique subsaharienne, ont été retrouvés et emmenés dans des centres de détention officiels dans la région de Tripoli. Dans le pays, ils seraient plusieurs centaines de milliers à attendre l’opportunité de traverser la Méditerranée.
      « Une fausse victoire »

      Le 31 octobre, deux bateaux pneumatiques avec 299 migrants à leur bord ont été arrêtés par les autorités libyennes. Ils étaient partis des plages de Zliten à 180 km à l’est de Tripoli. « La victoire de Sabratha est une fausse victoire, le trafic va reprendre comme avant dès l’an prochain quand ce sera la saison [été-automne] », prédit Choukri Ftis, un chercheur qui a participé récemment à un rapport sur la migration illégale en Libye.

      Cet été, le président français, Emmanuel Macron, avait lancé l’idée de centres d’enregistrement basés dans le sud libyen pour filtrer en amont les migrants. Une idée difficilement réalisable sur un territoire aussi vaste (2000 km de frontière avec l’Algérie, le Niger, le Tchad, le Soudan et l’Egypte) et soumis continuellement aux tensions ethniques entre Arabes, Toubous et Touaregs, qui se partagent le pouvoir dans une zone où l’Etat est quasi absent.

      La stratégie de Minniti a donné un coup de pied dans la fourmilière des réseaux de trafic d’êtres humains mais n’a pas fait disparaître le phénomène. Par contre, elle pourrait avoir durablement chamboulé l’équilibre politique du pays. Parmi la coalition armée qui a chassé Dabbashi se trouvait une force d’appui : la brigade al-Wadi. De tendance salafiste, le groupe est un affidé de l’Armée nationale arabe libyenne de Khalifa Haftar. L’homme fort de l’est a donc ainsi pu se draper de la victoire à Sabratha contre Ahmed Dabbashi.
      Intérêts gaziers

      Le 25 septembre, en plein milieu de la guerre de Sabratha, le maréchal a d’ailleurs été accueilli pour la première fois, bien qu’en catimini, par Marco Minniti et la ministre de la Défense, Roberta Pinotti. Au menu : le contrôle des plages de Sabratha si Dabbashi venait à être vaincu et la sécurisation du complexe gazier de Mellitah tout proche. Le site géré par le géant italien ENI était jusqu’alors protégé par les hommes de l’« Oncle ». Si rien n’a filtré de ce rendez-vous, les craintes sont vives que Haftar, fort d’un possible soutien italien qui aurait retourné sa veste devant la fuite de Dabbashi, n’ait des visées expansionnistes.

      « L’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. » Marco Minniti, dans son bureau, y pense-t-il parfois ?

      https://www.letemps.ch/monde/2017/11/05/libye-trafic-migrants-va-reprendre

    • Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal c.d. Fondo Africa

      Supporto tecnico alle autorità libiche per la gestione delle frontiere con fondi destinati a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani. ASGI al TAR : E’ sviamento di potere.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/libia-italia-ricorso-fondi-cooperazione
      #Fonds_afrique

      –-> An English synthesis:

      Supporting Libyan Coast Guard is a misuse of the so-called “Africa Fund”. Italian Association ASGI brings Italian Foreign Ministry to Court.

      The Italian Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI) has recently brought legal proceedings before the Regional Administrative Tribunal (TAR) with regard to Decree 4110/47 by which the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation allocates 2,5 million euros to the Ministry of Interior to repair four vessels for Libyan authorities and train them. Such a disbursement is part of the “Africa Fund” (200 million euros) set up by the Italian Parliament to promote cooperation and dialogue with African countries. Being Libya a notoriously unsafe country for migrants and refugees in transit, the compatibility of such a massive allocation of money with the stated goals of the “Africa Fund” – however vague they are – should be questioned. Given that these vessels might be used by the Libyan Coast Guard to pull-back migrants and refugees rescued/intercepted at sea and retain them in appalling detention centers, the main argument before TAR is that this military equipment is a diversion of the funding allocated by the Italian Parliament to contribute to the resolution of the humanitarian crisis in Libya.

    • The Case for Italy’s Complicity in Libya Push-Backs

      When a boatload of migrants sets off from Libya in the direction of Italy, smugglers often tell those on board to get to international waters before raising the alarm. The migrants hope to be picked up by rescue boats run by humanitarian NGOs and taken on to Italy where they can apply for asylum. The alternative is interception at the hands of the Libyan coast guard and a return to Libya.

      http://souciant.com/2017/11/the-case-for-italys-complicity-in-libya-push-backs

    • The rest of the world has woken up, but migrants are still sleepwalking into Libya slave markets

      While the West has reacted with outrage to video evidence of Libyan slave markets, potential victims themselves remain unaware of the dangers they face

      The trade in human beings has risen sharpy since the Italian government began paying Libyan militant groups and smugglers to stem the flow of migrants over the sea earlier this year.

      http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/african-migrants-libya-slave-markets-aim-europe-refugees-human-traffi

    • La strategia italiana nel Mediterraneo

      http://www.ispionline.it/sites/default/files/media/img/rapporto_med_maeci_2017_internet_1.pdf

      Avec ce commentaire sur FB de Francesco Floris (07.12.2017):

      La Farnesina s’è desta.
      Il ministero degli esteri ci fa la cortesia di dirci cosa pensa della Libia. Dopo che Alfano ha speso gli ultimi 12 mesi a fungere da cartonato di Minniti e a implorare diversi magistrati siciliani (e non) di indagare sulle ong invece che sui centri d’accoglienza usati da Ncd come un’american express.
      Solo che appena parlano finiscono col confessare.

      A pagina 24 del doc. «La strategia italiana nel Mediterraneo» - pamphlet dalla prosa brillante pieno zeppo de «L’Italia ha prontamente reagito», «Roma si è immediatamente attivata», «la task force ha fermamente ribadito» che gli piacciono enormemente gli avverbi - si legge che dopo il 2 febbraio 2017, e su richiesta di Serraj, abbiamo inviato a Tripoli una nave-officina per riparare le unità navali libiche. Ma non solo per amore della meccanica a quanto pare, anche per «fornire un coordinamento alle operazioni di pattugliamento e salvataggio in mare».
      Coordinare le operazioni dei libici per riportare i migranti in una nazione che non sottoscrive la Convenzione di Ginevra e dove vige un regime di tortura. Lo scrivono loro. E sarebbe anche illegale qualora a questi manettari con i polsi degli altri interessasse qualcosa.
      Quindi ogni volta che sentite le autorità italiane o la Mogherini indignarsi e sbraitare «la Ue e l’Italia non hanno mai respinto nessuno» e altre cazzate fate loro due domande: Cosa ci fa allora una nave italiana a Tripoli a coordinare le operazioni?
      E due: ci state prendendo per il culo o cosa?
      La seconda è quella giornalisticamente più interessante.

    • Exclusive: Italy plans big handover of sea rescues to Libya coastguard

      ROME/TRIPOLI (Reuters) - Italy wants Libya’s coastguard to take responsibility within three years for intercepting migrants across about a tenth of the Mediterranean even as Libyan crews struggle to patrol their own coast and are accused of making deadly mistakes at sea.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-exclusive/exclusive-italy-plans-big-handover-of-sea-rescues-to-libya-coastguard-idUSK

    • Italy Strikes Back Again: A Push-back’s Firsthand Account

      Evidence is mounting about the Italian Navy’s involvement in facilitating the return of migrants to Libya. There have been alleged cooperation agreements between Italy and Libya to stem the flows to Europe, at the same time, as there have been accusations of pushbacks to Libya. In these cases, Italy stands accused of actively supporting the Libyan Coast Guard in committing unlawful acts, returning intercepted migrants to places where their lives or freedom would be threatened, or where they would face the risk of torture.

      https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2017/12/italy-strikes?platform=hootsuite

    • Vu sur twitter, le 15.02.2018 :

      Another patch of Libyan Coast Guards #LCG finished training in #Italy , certificates given during a ceremony in #Libya #Migration


      https://twitter.com/zakariyatz/status/963801317738209282

      Et avec ce commentaire de Gerry Simpson :

      A reassuring photo of the latest Libyan coastguards receiving certificates after Italy trained them to intercept refugees & migrants heading for the EU & return them to Libya to face guaranteed inhumane detention conditions and a real risk of torture

      https://twitter.com/GerrySimpsonHRW/status/963976898291355648

    • Italy Has Reportedly Delivered Further Vessels To Tripoli’s Coast Guard In Libya

      “Three further Italian patrol vessels have been delivered to the Libyan Coast Guard right in these days”, the Italian analyst Gerardo Pelosi has revealed on Il Sole 24 Ore while debating the military missions to Libya and Niger Rome approved last January.

      The news apparently echoes a similar one shared by the Libyan outlet Libya Observer‘s journalist Safa Al Harathy, who has written today an only vessel, the “106”, was delivered on February 22nd after being fixed in Tunisia:

      “the vessel 106 will join the vessels 109 and 111 at Khums port to contribute in securing the Libyan coast from Tajoura all along to Zlitan city in the east”,

      the Libya Observer reports.

      https://betweenlibyaanditaly.wordpress.com/2018/02/25/italy-has-reportedly-delivered-further-vessels-to-tr

    • Mancata ratifica parlamentare del memorandum Italia-Libia : al via il ricorso alla Corte Costituzionale

      Presentato un ricorso alla Consulta da alcuni parlamentari italiani contro il Governo che, non chiedendo la ratifica dell’ accordo, ha impedito loro di esercitare il diritto di discuterne e di votare, come stabilito dalla Costituzione . La scheda tecnica dell’ASGI sull’azione.

      https://www.asgi.it/primo-piano/mancata-ratifica-parlamento-memorandum-italia-libia-ricorso-corte-costituzional
      #memorandum

    • Italian work on Libya and migrants OK

      Italy’s work on migrants and Libya has been positive, Frontex chief #Fabrice_Leggeri told ANSA in an interview Tuesday.
      “Italy is working to use the resources allotted by the EU to find sustainable solutions for Libya” and the migrants held there, he said.
      "And for now it is going in the right direction, even though the conditions of the centres in Libya are not in line with our standards, and with basic humanitarian standards.
      “But that is not Italy’s fault, all the international community and not only the EU can help”.


      http://www.ansa.it/english/news/politics/2018/02/20/italian-work-on-libya-and-migrants-ok_1cfcf7d8-b477-452c-aedf-86c0cfd48b48.html
      #Frontex #Leggeri

    • Migranti, l’accordo Italia-Libia finisce davanti alla Corte costituzionale

      Era il 2 febbraio 2017 quando – alla vigilia di un importante vertice europeo a Malta in cui si sarebbe discusso anche di emergenza immigrazione – il Primo ministro Paolo Gentiloni siglava a Roma l’accordo col presidente del Governo di unità nazionale libico Fayez al-Serraj: un memorandum in cui l’Italia si impegnava nei confronti della Libia a fornire strumentazioni e sostegno militare, strategico e tecnologico, oltre a fondi per lo sviluppo, per bloccare le partenze dei migranti in fuga. Un accordo con un Paese, è bene ricordarlo, che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e nelle cui carceri i migranti sono quotidianamente oggetto di violenze e soprusi.

      https://left.it/2018/02/28/migranti-laccordo-italia-libia-finisce-davanti-alla-corte-costituzionale

    • Le patrouilleur 648 qui a menacé Open Arms, un cadeau de l’Italie à la Lybie.

      L’UE a entrainé l’équipage du bateau qui a joué un rôle dans plusieurs incidents avec des ONG de sauvatage.

      CRISTINA MAS Barcelona 25/03/2018 00:21

      Le bateau de patrouille des gardes-côtes libyens qui a menacé dans les eaux internationales les volontaires d’Open Arms le 15 mars afin qu’ils leur livrent les femmes et les enfants qu’ils étaient en train de secourir, était un cadeau de l’Italie à la Libye. La même embarcation, qui porte le numéro d’identification 648 et le nom de Ras al Jadar, a joué un rôle dans plusieurs autres incidents avec d’autres bateaux des ONG SeaWatch et SOS méditerranée, qui travaillent au sauvetage de naufragés en Méditerranée.

      Entre 2009 et 2010, le Premier ministre italien Silvio Berlusconi a alors accordé six patrouilles aux garde-côtes libyens dans le cadre de l’accord amical signé avec le dictateur libyen Mouammar Kadhafi. Le texte prévoyait la construction d’un système de radar dans le but de surveiller les frontières du désert et des patrouilles maritimes conjointes dans les eaux libyennes et internationales pour empêcher que des bateaux quittant la Libye arrivent en Italie.

      Mais la vie des six bateaux de patrouille donnés à Kadhafi – toutes du modèle Bigliani, qui étaient auparavant au service du corps militaire Guardia di Finanza - était aussi courte que la période à laquelle le dictateur a survécu au pouvoir. Le 17 février 2011, le printemps arabe atteint la Libye avec une révolte qui a déclenché une intervention de l’OTAN et s’est terminée avec la mort de Kadhafi huit mois plus tard. Deux des embarcations ont été détruites dans les combats, et les quatre autres, dont le 648, ont été réparés à l’usine navale de Fiamme Gialle de Miseno (Naples). En avril dernier, l’Italie les a rendue au gouvernement de Tripoli.

      L’incident du 15 mars avec Open Arms n’est pas le premier d’une ONG avec ce bateau de patrouille. Le 6 novembre, l’ONG allemande Sea Watch, travaillant dans la même région, a rapporté qu’à 30 miles de la côte libyenne la même patrouille a interféré dans un sauvetage.

      Les migrants à bord ont pris panique, le bateau des gardes-côtes les a rattrapé, certains naufragés ont pu grimper sur le bateau de patrouille sans que les agents ne les aident et, une fois à bord, comme on peut le voir sur la vidéo enregistrée par l’ONG, les gardes-côtes les ont frappés avec les amarres du bateau.

      Un jeune a tenté de descendre pour atteindre le bateau de l’ONG et est resté suspendu à l’échelle, au moment où le bateau libyen a accéléré et mis sa vie en danger. Au moins cinq migrants sont morts dans l’opération, des décès qui selon Sea Watch auraient pu être évités.

      Le 4 mars, le navire Aquarius, de l’ONG SOS Mediterranée, a également subi l’hostilité de la patrouille 648, qui s’est approchée d’eux au cours d’une collision sans répondre à leurs avertissements radio et finalement ils leur ont ordonné de quitter le site, à 17 milles au large de la côte, alors même s’ils étaient à la recherche d’un bateau.

      Un autre vaisseau d’Open Arms a eu, en août, un incident avec un autre bateau de patrouille donné par l’Italie, le 654, qui les a menacé avec deux rafales de balles tirée en l’air et une semaine plus tard les a forcés à naviguer pendant environ deux heures en direction de Tripoli en disant qu’ils étaient sous sa protection.

      Rome et l’ensemble de l’UE ont choisi l’un des trois gouvernements qui se disputet le pouvoir dans la guerre civile en Libye, celui dirigé par le Premier ministre Faiez al-Sarraj, qui a le soutien de l’UE et de l’ONU, mais ne contrôle seulement qu’un tiers du pays. La Libye est plongée dans un conflit sans front avec des centaines de milices armées.

      Le Premier ministre italien Paolo Gentiloni et Al-Sarraj ont signé le 2 février 2017 un protocole d’accord - dans le cadre de l’accord signé par Berlusconi et Kadhafi - qui établit une coopération bilatérale dans les domaines du développement, l’immigration illegale, le trafic d’êtres humains, la contrebande et le renforcement de la surveillance des frontières entre l’Italie et la Libye. L’Italie livrera à Tripoli six patrouilles supplémentaires totalement neuves.

      L’Espagne s’est proposé de former 100 garde-côtes libyens dans la base navale de Carthagène. Dans le cadre de l’opération Sophia de l’OTAN, le programme de formation de la Garde côtière libyenne financé par l’UE avec 46 millions d’euros a déjà formé 93 agents dans un navire italien et dans un autre navire néerlandais. 43 officiers supplémentaires ont été formés en Crète, à Malte et à Rome.

      Human Rights Watch lance un cri d’alarme : « Aider les autorités libyennes à capturer des immigrés en haute mer, sachant qu’ils les rendront à un traitement cruel, inhumain ou dégradant dans une détention arbitraire, expose l’Italie et d’autres pays de l’UE à participer à une violation grave des droits de l’homme ». Les accusations ne viennent pas seulement des ONG. Le groupe d’experts de l’ONU sur la Libye a rappelé que « les abus contre les migrants ont été largement collectés, y compris les exécutions, la torture ou la privation de nourriture, d’eau et de médicaments », et prévient que « le département contre l’immigration (libyen) et la garde côtière (italienne) sont directement impliqués dans ces graves violations des droits de l’homme. » Avec les accords d’externalisation du contrôle des frontières de l’UE, le témoignage des ONG en Méditerranée centrale devient de plus en plus gênant."

      Traduction, reçu via la mailing list de Migreurop, de cet article paru en catalan:
      La patrullera #648 que va amenaçar Open Arms, un regal d’Itàlia a Líbia

      La UE va entrenar la tripulació del vaixell que ha protagonitzat diversos incidents amb ONGs de rescat


      https://www.ara.cat/internacional/patrullera-amenacar-Open-Arms-Libia_0_1984601662.html
      #Open_arms

    • Texte publié par SOS Méditerranée, sur twitter (17.04.2018) :

      UPDATE while searching for the boat in distress, the #Aquarius was informed the Libyan coastguard took coordination over 2 boats in distress today. This means more people were taken back to a place where their safety is not guaranteed.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986294580097224705

      v. aussi :

      UPDATE The #Aquarius was alerted to a boat in distress earlier today. This afternoon, the crew of the #Aquarius found this empty and slashed rubber boat in international waters off the coast of #Libya.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986267126087503872

      #refoulement #push-back

    • Cercate i guardacoste libici? Telefonate a Roma: 06/…

      È un numero di telefono a rivelare il rapporto, forse un po’ troppo stretto, tra Roma e Tripoli. Una utenza che corrisponde a un interno della Marina militare italiana, stampato, come recapito del mittente, su un modulo di messaggi utilizzato dalla Guardia costiera libica. Il documento, di cui pubblichiamo il dettaglio, ha consultato porta la […]

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/cercate-i-guardacoste-libici-telefonate-a-roma-06

    • Sur le site de la Défense italienne...
      Un article de août 2017:
      Nave #Tremiti nel porto libico di #Abu_Sittah

      Dopo il pattugliatore Comandante Borsini che ha sbarcato nel porto militare di Tripoli (Abu Sittah) il personale italiano che opererà a supporto della Guardia costiera libica, è giunta ieri nel porto della nostra ex colonia Nave Tremiti, una delle 6 unità da 750 tonnellate per il trasporto costiero della Classe Gorgona.

      La nave è destinata a garantire supporto tecnico ai mezzi navali libici nell’ambito della cooperazione italo-libica e in applicazione dell’accordo tra i due Paesi del 2008 “riesumato” dal governo di Fayez al-Sarraj.


      http://www.analisidifesa.it/2017/08/nave-tremiti-nel-porto-libico-di-abu-sittah

      –-> j’aime bien l’expression «accordo riesumato» = «accord ressuscité»

      Et puis cette nouvelle, de 30 mars 2018:
      Missioni Militari: Nave #Caprera sostituisce la #Capri nella missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia

      È previsto nella giornata di oggi il “passaggio di consegne” tra Nave Capri e Nave Caprera nell’ambito della Missione Bilaterale di Assistenza e Supporto in Libia.

      In particolare, a questo assetto navale compete, prioritariamente, l’attività di supporto logistico e tecnico-manutentivo dei battelli della Marina e della Guardia Costiera libiche. Nave Caprera giungerà domani al porto di Tripoli, da dove comincerà la sua missione della durata di circa quattro mesi.

      Nave Capri aveva iniziato la sua attività a dicembre dello scorso anno, subentrando a Nave Tremiti, e nei suoi circa quattro mesi di missione ha svolto consulenza e formazione del personale militare libico della Marina e della Guardia Costiera nelle attività di manutenzione, riparazione e ripristino dell’efficienza delle unità navali libiche.

      L’operazione, inizialmente inquadrata nell’operazione “Mare Sicuro”, era stata avviata ad agosto dello scorso anno, in seguito alla richiesta di supporto avanzata dal Governo di Accordo Nazionale libico al Governo italiano. Per assolvere con efficacia i compiti assegnati, a bordo delle unità navali italiane della “classe Gorgona” – selezionate per alternarsi in questo specifico incarico di natura tecnico-logistica – è prevista la presenza di un container attrezzato a officina meccanica, oltre che di due ulteriori team di personale tecnico-specialistico.

      https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Libia_Missione_bilaterale_di_supporto_e_assistenza/notizie_teatro/Pagine/Nave_Caprera_sostituisce_la_Capri_nella_missione_bilaterale_di_assistenza_e_s

      #operazione_Mare_Sicuro

    • "Playing with Molecules": The Italian Approach to Libya

      Cette étude met en lumière la manière dont la politique étrangère italienne a choisi en Libye de traiter avec les divers éléments, ou « molécules », d’un pays entré en décomposition.
      La politique impulsée par le gouvernement Gentiloni, et en particulier le ministre de l’Intérieur Marco Minniti, a composé avec les différents acteurs pour « repriser » et stabiliser le terrain, afin de mieux gérer les flux de migrants et les activités illégales en Méditerranée, mais aussi de sécuriser l’approvisionnement énergétique de l’Italie. Cette approche « moléculaire » est à double tranchant : alors que les flux migratoires se sont réduits, que les relations économiques s’intensifient et que les coopérations informelles créent de nouveaux espaces de dialogue, le manque de vision stratégique dans la mise en avant de nouveaux acteurs pourrait nuire aux perspectives de paix et in fine, aux relations entre l’Italie et la Libye.


      https://www.ifri.org/fr/publications/etudes-de-lifri/playing-molecules-italian-approach-libya

    • Most Libyan militias involved in illegal migration activities nominally affiliated to official state security institutions: UN Libya Experts Panel report

      Most Libyan militias involved in illegal migration activities are nominally affiliated to official state security institutions, the UN Libya Experts Panel report states in its section on human trafficking and financing of armed groups.

      ‘‘Armed groups, which were party to larger political-military coalitions, have specialized in illegal smuggling activities, notably human smuggling and trafficking. The drastic rise in the numbers of migrants starting in 2014 indicates that illegal migration in Libya is not the preserve of isolated armed groups but of much larger coalitions. Most armed groups involved in these illegal activities were nominally affiliated to official security institutions. In 2014, the number of migrants that took the central Mediterranean route (great majority through Libya) was 170,664, compared to 45,298 and 15,151, respectively in 2013 and 2012.

      Role of SDF and links with smugglers

      The Special Deterrence Force (SDF) is an armed group affiliated to the Government of National Accord’s Ministry of Interior, with policing and security functions, including investigation of human traffickers and the arrest of illegal migrants.

      Testimonies of migrants, originating from Eritrea, reveal that when they reached Tripoli from Bani Walid in July 2016, they were arrested by SDF. They confirmed that, once arrested by SDF, they were handed over, against payment, to various migrant smuggling rings for onward journeys to Zawiyah and Sabratha.

      Some were handed over to the Mitiga detention centre, while others were taken to the Tajura and Abu Slim detention centres. These three centres are theoretically subordinated to the Ministry of Interior’s Department Combatting Illegal Migration (DCIM). The group detained in Mitiga had to pay the SDF between 300 and 400 USD each, for their release and transfer from Tripoli to Sabratha.

      Four Bangladeshis told the Panel that they landed in Tripoli from Dhaka on 15 July 2015, holding valid Libyan work visas. On arrival, SDF seized their passports and detained them for three months in Mitiga. They were subsequently transferred to Sabratha, and sent on boats against their will to Europe after being extorted of 300 USD paid in cash to the SDF elements.

      The Panel is assessing whether the SDF’s leadership was aware of collusion and trafficking being conducted within its ranks.

      Role of Eritrean smugglers

      In Tripoli, a well-structured network of smugglers coming from East Africa has operated since 2008. Multiple testimonies collected and corroborated by judicial authorities indicate that the leadership is composed of two Eritreans living in Tripoli, Ermias Ghermay and Abd al-Razzak Fitwi.

      They play a key role in organizing the smuggling from the migrants’ homeland to Italy against substantial payments. Interviewees claimed that Fitwi acts as a broker and receives up to 1,500 US dollars per person, to release the migrants held in the official detention centres in Tripoli and to send them to Sabratha.

      An armed group member from Tripoli, told the Panel that Fitwi and Ghermay paid substantial fees to prominent armed groups to pursue their activities and to guarantee their safety. They also have private detention camps in Tajura, Abu Slim and Gargaresh guarded by Africans. From there they transport migrants to Sabratha or Zawiyah.

      Use of State detention facilities for trafficking

      The Directorate Combatting Illegal Migration (DCIM) is responsible for 24 detention centres and employs 5,000 staff. Under Libyan legislation, the migrants are detained because they are considered as illegal aliens, subject to investigation by judicial authorities.

      According to international agencies, the DCIM has no control over its detention centres. The administration is almost non-existent, and records on the migrants, who have been detained, are poor. A minister of the GNA admitted in a discussion that the armed groups are stronger than the authorities in handling the flows of migrants. Several migrants also confirmed that the local armed group controlled the centres they stayed in.

      Smugglers in Sabratha

      Sabratha is the main departing point of migrants to Italy. The city is divided between two competing armed groups involved in migrant smuggling. The eastern zone is under control of Mosab Abu Grein al Wadi armed group. The western zone is held by Ahmad al-Dabbashi’s Martyr Anas al-Dabbashi Brigade.

      Anas al-Dabbashi Martyr Brigade

      The commander of Anas al-Dabbashi Martyr’s Brigade, Ahmad al-Dabbashi (alias al- ‘Amu), was the main smuggler in Sabratha from 2014 until he was ousted in October 2017. West African migrants rescued in Lampedusa in April 2017 testified in Italy on al-Dabbashi’s modus operandi.

      The interviewees were forced to call their families to transfer money to specific bank accounts located in Europe, Africa or the Middle East. From October 2016 to April 2017, they had to pay up to 2,000 USD each for their travel. The money was extorted by armed guards composed of Libyans, Nigerians and Gambians. The African guards work for three months to pay their own migration to Europe. The interviewees sailed, on 13 April 2017, with two of their former guards from Sabratha to Lampedusa.

      The Panel is investigating the GNA’s creation and financing of the anti-illegal migration unit, “Brigade 48”. Although it was supposedly under the Ministry of Defence and the Chief of Staff, sources stated that al-Amu’s brother, Mohamed al-Dabbashi, headed it. In summer 2017, al-Dabbashi’s brigade had apparently shifted from trafficking to policing migrants for the GNA’s account.

      Furthermore, several open sources reported an alleged deal with al-Dabbashi to contain the migration flows from Sabratha. Although the information was denied, it triggered violent clashes between competing armed groups involved in smuggling. Ahmad al-Dabbashi was defeated and escaped Sabratha on 6 October 2017. The PC dissolved the Brigade 48 on 16 November 2017.

      Role of Mos’ab Abu Grein

      Mos’ab Abu Grein (alias “The Doctor”), a leader of al-Wadi Brigade, operates in the eastern part of Sabratha. He is connected to a network of smugglers composed of Salafi armed groups in Tripoli, Sebha and Kufra. The Panel interviewed three different Eritrean migrants who reported that they were taken from SDF’s Mitiga detention centre to the Abu Grein facility in Sabratha in July 2016. They were detained in a hangar with African guards from where Abu Grein organizes departures on inflatable rubber boats to Italy.

      The interviewees said they paid Abu Grein 1,500 USD cash via a Nigerian broker to cross the Mediterranean. According to official sources, Mos’ab Abu Grein enjoys impunity for his activities in migrant smuggling because he collaborates with the SDF to counter drug traffickers, consumption of alcohol and combats alleged links of Sabratha and Zawiyah traffickers to listed entities such as ISIL.

      Abu Grein and Dabbashi have been in close competition, both seeking to monopolize the trafficking in Sabratha. From 21 September, Abu Grein supported the anti-ISIL Operation Room (AIOR) to combat the Brigade 48 armed group. The Panel notes that the warring parties, the AIOR and the Brigade 48, were officially financed by the GNA until the conflict broke out in Sabratha.

      Zawiyah

      Al Nasr Brigade and the Coast Guards

      Between Tripoli and Sabratha, Zawiyah port plays a distribution role. According to interviews of migrants and judicial reports, ‘Al Nasr Brigade’ 56, headed by Mohamed Koshlaf, and Zawiyah Coast Guards, was connected to Ahmad al-Dabbashi’s organization. Several migrants paid 100,000 to 150,000 Francs CFA57 to a Burkinabe broker operating between Koshlaf and the migrants.

      Other interviewees, who travelled in April 2017, asserted that their group left Zawiyah by night, crammed on a 10-meter inflatable rubber boat. While at sea, men with an official boat and wearing Coast Guard uniforms stopped them. They shot in the air and extorted the passengers’ money and valuables. When the boat arrived at calling distance off the Italian shores, the same official boat returned to seize the rubber boat’s engine. Similar incidents have been reported previously.

      Southern Region

      Brigade Subul al-Salam

      Eritrean and Ethiopian interviewees described their transfer, in January 2015, from the Sudanese border to Al Kufra. An Eritrean fixer, called Afra Waiki, transported and handed them over to an armed group, Brigade Subul al-Salam, affiliated with the LNA and under the command of Abd al Rahman Hashem from the Zway tribe in al-Kufra.

      The interviewees said they were put in a prison where the guards were dressed in police uniforms and driving official police cars. For their release, each migrant had to transfer up to 300 USD to a foreign bank account. In July 2015, they could continue their travel to Bani Walid driven by another Eritrean fixer known as Wadi Isaaq.

      Role of Tebu armed groups and Sudanese armed groups

      Sources indicated active involvement of Tebu and Darfuri armed groups, supported by Darfuri mercenaries in the south, in migrant smuggling. They operate particularly in the Tamassa region, in the south west of Jebel Arrush, Murzuq and al Kufra. The Tebu manage their own warehouses for migrants while Darfuri armed groups provide protection and escort to the traffickers.

      Recent developments have shown attempts to counter the groups involved in migrant smuggling. In September 2017, an armed group called the ‘Suqur al Sahara’ headed by the Tebu commander, Barka Shedimi, claimed the closure of the borders with Niger, Sudan and Chad to halt human trafficking. Similarly, a coalition of armed groups linked to Murzuq Municipality also created their own border protection force. The Panel is investigating these decisions, particularly the political and the financial motivations behind them”.

      https://www.libyaherald.com/2018/03/11/most-libyan-militias-involved-in-illegal-migration-activities-nominally
      signalé par @isskein via Fulvio Vassallo sur FB

    • Sauvetage de migrants : tensions entre gardes-côtes et ONG au large de la Libye

      Plusieurs associations dénoncent le traitement infligé aux migrants par les garde-côtes libyens. Ces derniers travaillent en coordination avec l’Italie.

      Toujours pas d’apaisement en Méditerranée entre ONG et gardes-côtes libyens. Ce week-end, plusieurs navires humanitaires souhaitant s’approcher d’embarcations de migrants en détresse se sont vus refuser l’accès.

      « Les Libyens agissent comme des pirates dans les eaux internationales, exigeant que leur soit reconnue une autorité. Ils agissent hors du droit et ils le font avec des moyens fournis par le gouvernement italien », a accusé sur Twitter le député italien de gauche Riccadro Magi. Samedi, il était à bord de l’Astral, un voilier appartenant à l’ONG Proactiva Open Arms, lorsqu’une vedette libyenne a ordonné au navire de s’éloigner.

      Bis repetita dimanche avec l’Aquarius. Ce bateau, affrété par SOS-Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF) avait été prévenu par les gardes-côtes italiens de la présence d’un canot surchargé au large de Tripoli. Mais Rome a aussi prévenu ses homologues libyens, qui ont pris la coordination de l’opération et interdit au navire de s’approcher. Leur a également été demandé de s’éloigner quand des migrants ont sauté à l’eau pour tenter d’éviter d’être reconduits en Libye. En début de soirée, la marine libyenne a annoncé avoir secouru plus de 300 migrants dans trois opérations distinctes, faisant état d’un mort et d’un disparu.

      Flou autour de l’identité de ces gardes-côtes

      Le porte-parole de la marine libyenne a prévenu que les tensions avec les ONG risquent de s’aggraver dans les prochains jours, les navires humanitaires « s’approchant de plus en plus » des eaux libyennes, selon M. Kacem. La Libye, qui accuse les ONG d’être liées aux réseaux de passeurs, est soutenue par l’Italie et l’Union européenne qui finance la formation de ces officiers dans cette région en proie aux tensions inter-tribales.

      « Certains ont des uniformes mais on ne sait pas qui ils sont vraiment, décrivait pour le Parisien Francis Vallat, président de SOS Méditerranée. Certains dépendent du gouvernement libyen reconnu internationalement, tandis que d’autres relèvent de chefs féodaux plus ou moins provinciaux. On ne sait pas si ces gens respectent le droit. En tout cas, ils ont une attitude qui permet d’en douter. »

      LIRE AUSSI >Des migrants « secourus » sur fond d’accusations de traitements inhumains

      Trois responsables de l’ONG Proactiva Open Arms font actuellement l’objet d’une enquête judiciaire en Italie pour avoir refusé de remettre des migrants aux Libyens lors d’une opération mi-mars. Même si un juge a estimé qu’ils avaient agi « en état de nécessité » compte tenu de l’insécurité pour les migrants en Libye.
      La crainte de l’« enfer libyen »

      Le pays fait régulièrement l’objet de critiques pour les traitements infligés aux migrants, notamment africains, qui passent sur son territoire dans l’espoir de rejoindre l’Europe pour une vie meilleure. En novembre, CNN révélait au monde abasourdi l’existence de ventes aux enchères d’hommes réduits aux rangs d’esclaves, dans une vidéo glaçante tournée près de Tripoli, la capitale libyenne.

      Cette semaine, MSF a dénoncé la situation dans un centre de détention libyen à Zouara (ouest), où ses équipes ont vu plus de 800 personnes tellement entassées qu’elles ont à peine la place de s’allonger, « sans un accès adéquat à l’eau et à la nourriture ».

      LIRE AUSSI >Esclavage en Libye : Ousmane a vécu six mois d’enfer dans les geôles libyennes

      La coordination entre Rome et Tripoli a fait chuter drastiquement les départs vers les côtes européennes. Selon les autorités italiennes, près de 9 500 migrants ont débarqué cette année, soit une baisse de 75 % par rapport à la même période en 2017. Dans le même temps, les gardes-côtes libyens ont secouru et ramené en Libye plus de 5 000 migrants, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), qui fait aussi état d’un bilan d’au moins 379 morts ou disparus au large de la Libye.

      http://www.leparisien.fr/international/sauvetage-de-migrants-tensions-entre-gardes-cotes-et-ong-au-large-de-la-l

    • Riportati dalla Guardia costiera in Libia, torturati e venduti : le associazioni fanno ricorso alla CEDU

      Ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani contro l’Italia per aver coordinato la Guardia Costiera libica nei respingimenti che hanno portato ad abusi e al decesso di migranti

      Il 6 Novembre 2017 l’ONG Sea-Watch è stata ostacolata dalla Guardia Costiera Libica durante un’operazione di salvataggio di 130 cittadini migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. Almeno venti dei migranti sono morti, tra cui due minori. L’intervento è stato coordinato a distanza dal Centro di Coordinamento Marittimo (MRCC) della Guardia Costiera italiana e la motovedetta libica coinvolta era stata donata dal governo italiano alcuni mesi prima. La Guardia Costiera libica ha poi riportato in Libia quarantasette dei sopravvissuti, che sono stati rinchiusi in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri. Due di loro sono stati successivamente “venduti” e torturati con elettrochoc. Nella conferenza stampa verrà illustrato il ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani e verrà presentato un rapporto audio-visivo prodotto da Forensic Oceanography/Forensic Architecture che ricostruisce questo ed altri casi di respingimento.

      https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/migranti-libia-guardia-costiera-cedu
      #CEDH

    • Un article d’avril 2017

      L’accordo tra Italia e Libia potrebbe favorire il traffico di migranti

      A Gaeta è una giornata di sole, i battaglioni della guardia di finanza sono schierati davanti al mare sulla terrazza della caserma Bausan, stretta tra il golfo e la cittadina fortificata. In mare le due motovedette che l’Italia restituirà alla guardia costiera libica si esibiscono in caroselli a sirene spiegate. Un elicottero sorveglia la parata. Il ministro dell’interno Marco Minniti è arrivato da Roma per assistere alla riconsegna alla guardia costiera libica di due motovedette. Erano state donate dall’Italia alla Libia nel 2009, ma erano state danneggiate nel 2011 durante la guerra in Libia, e restituite agli italiani nel 2012.

      “Entro l’anno ne saranno consegnate in tutto dieci”, dice il ministro, che nel suo discorso definisce la guardia costiera libica “la più importante struttura nel Nordafrica” per il controllo dell’immigrazione irregolare. Poco dopo, Minniti consegna i diplomi ai venti cadetti libici che hanno seguito un corso di addestramento a Gaeta per tre settimane. Altri diciannove saranno formati nelle prossime settimane dalla scuola nautica della guardia di finanza, per un totale di quattro equipaggi.

      L’obiettivo del governo italiano, espresso nel memorandum d’intesa con la Libia firmato il 2 febbraio, è affidare ai libici il pattugliamento delle coste e il recupero dei migranti che salpano ogni giorno dalle coste del paese africano a bordo d’imbarcazioni di fortuna. Dall’inizio del 2017 ne sono stati soccorsi più di 30mila, mentre quelli che hanno perso la vita durante la traversata sono stati più di mille. Il presidente del governo di unità nazionale (Gna) di Tripoli, Fayez al Sarraj, ha chiesto all’Italia di investire 800 milioni di euro nella cooperazione per fermare l’arrivo dei migranti.

      Adel, Hamza e Omar sono alcuni degli ufficiali della guardia costiera libica che partecipano alla cerimonia di Gaeta: maglione blu a coste e cappellino da baseball. “In Libia la situazione non è per niente tranquilla”, dice Adel, gli occhi verdi e il volto scavato, in un italiano stentato, dopo la fine della cerimonia, mentre mangia pasticcini insieme ai compagni sotto coperta, all’interno della motovedetta appena riconsegnata a cui è stato dato il nome di Sabratha. “La guerra non è proprio finita”, continua Adel sorridente.

      Alleati affidabili?
      Il governo italiano conosce bene la situazione drammatica in Libia e molte inchieste hanno denunciato casi di corruzione della guardia costiera del paese, eppure Roma sembra determinata a perseguire il suo progetto di cooperazione con Tripoli per fermare la partenza dei migranti, anche se il memorandum d’intesa è stato sospeso dalle autorità libiche, nell’attesa che un tribunale ne stabilisca la legittimità.

      “Fermeremo le imbarcazioni che partono dalla Libia”, ha detto Ahmed Safar, l’ambasciatore libico in Italia. “Quelli che saranno soccorsi saranno portati nei centri di detenzione più vicini”, ha assicurato durante la cerimonia di Gaeta. La rete televisiva tedesca Ard ha rivelato che il governo di Tripoli ha chiesto all’Unione europea di armare la guardia costiera libica con altre 130 imbarcazioni di vario tipo, alcune delle quali dotate anche di mitragliatrici per fermare la partenza dei migranti dalle coste.

      Molti esperti, tuttavia, hanno espresso il timore che i fondi stanziati dall’Italia e dall’Unione europea per finanziare la guardia costiera libica finiscano indirettamente nelle mani dei trafficanti. Un’inchiesta di Nancy Porsia per Trt World, infatti, ha mostrato che il capo della guardia costiera a Zawiya, Abdurahman Milad, è una delle figure chiave del traffico di esseri umani nella regione.

      Milad è accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. “Le mafie si sono infiltrate, ricattano molte delle unità di polizia, delle guardie costiere delle città e dei villaggi libici”, aveva detto una fonte della sicurezza italiana all’inviato del quotidiano italiano Repubblica in Libia Vincenzo Nigro.

      “In Libia non si può parlare di un’unica guardia costiera, ma di un’istituzione che rimane espressione delle realtà locali”, spiega Gabriele Iacovino, esperto di Libia del Centro di studi internazionali (CeSI). “Una cosa è la guardia costiera di Misurata, un’altra quella di Zawiya. In particolare, in questa regione della Libia, i poteri locali sono nemici delle milizie che controllano Tripoli”.

      Iacovino spiega che non si può escludere che in alcune zone “esponenti della guardia costiera libica si facciano pagare delle tangenti dai trafficanti per consentire alle imbarcazioni di lasciare la costa e giungere nelle acque internazionali”.

      Questa ipotesi è stata confermata da un rapporto dell’operazione navale europea EunavforMed, citato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che denuncia la collusione tra la guardia costiera di Zawiya e i trafficanti di esseri umani. In un articolo, pubblicato sull’Espresso, i giornalisti Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi hanno descritto un fenomeno simile: la guardia costiera libica vende le persone recuperate in mare alle milizie, che gestiscono dei centri di detenzione illegali.

      Nell’agosto del 2016 una nave dell’ong Medici senza frontiere, che soccorreva i migranti in mare, è stata attaccata da un’imbarcazione della guardia costiera libica; il 21 ottobre del 2016 una nave dell’ong tedesca Sea-watch ha denunciato che la guardia costiera libica ha picchiato i profughi imbarcati su un gommone al largo della Libia. Un video pubblicato dal Times nel febbraio del 2017 mostra, infine, percosse e maltrattamenti dei guardacoste libici ai migranti.

      Il mercato degli schiavi
      “I migranti spesso ci dicono che preferirebbero morire piuttosto che tornare in Libia”, racconta Riccardo Gatti dell’organizzazione non governativa spagnola Proactiva open arms, che effettua soccorsi in mare. “Mi ricordo di un ragazzo bangladese che aveva minacciato di buttarsi in mare quando un’imbarcazione della guardia costiera libica si era avvicinata alla nostra nave”. Dall’inizio del 2017 i guardacoste e i pescatori libici hanno recuperato circa quattromila migranti al largo della Libia, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, conferma: “I trafficanti dicono ai migranti di mettersi in mare prima di giugno, cioè prima che la guardia costiera libica sia di nuovo attiva e impedisca la partenza delle imbarcazioni”.

      Di Giacomo aggiunge: “Sappiamo che ci sono persone che collaborano con la guardia costiera e che in realtà sono trafficanti”. L’Oim ha recentemente denunciato un “mercato degli schiavi” in cui una persona può essere venduta per duecento dollari. “Da anni i migranti ci raccontano che in Libia vengono sequestrati da miliziani che chiedono un riscatto alle famiglie per liberarli oppure li vendono ad altri trafficanti”, racconta Di Giacomo.

      “Non appena passano il confine tra il Niger e la Libia e arrivano a Sabha, i migranti cadono nelle mani delle milizie. Sono rapinati, rapiti, reclusi nei centri di detenzione. A Sabha corrono il rischio di essere venduti in un vero e proprio mercato degli schiavi, come lo definiscono loro stessi, che si svolge nei parcheggi e nelle piazze”, spiega Flavio Di Giacomo.

      L’ambasciatore libico in Italia ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri per migranti

      L’Oim è una delle poche organizzazioni umanitarie ad avere accesso a una decina di campi di detenzione intorno alla capitale libica, Tripoli, dove sono rinchiuse circa seimila persone. In totale, secondo le Nazioni Unite, ci sono una cinquantina di campi in tutto il paese, ma i centri dove sono reclusi i migranti potrebbero essere molti di più. “Più lavoriamo in Libia, più ci rendiamo conto che è una valle di lacrime per i migranti. I centri sono prigioni, posti disumani”, spiega Di Giacomo. La sua denuncia è confermata da Arjan Hehenkamp, direttore generale di Medici senza frontiere, che ha visitato sette campi intorno a Tripoli e assicura che in Libia “tutti i campi di detenzione sono in mano alle milizie, non ci sono campi controllati dal governo”.

      Hehenkamp si è detto sconvolto da ciò che ha visto nei centri: “Persone che non hanno più dignità né autonomia, a completa disposizione dei carcerieri. Alcuni mi hanno raccontato di nascosto, sussurrando, gli abusi subiti: non possono parlare e sono terrorizzati dalle ritorsioni”.

      L’ambasciatore libico in Italia, Ahmed Safar, ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri, ma ne ha minimizzato l’importanza. “Le violazioni ci sono state e ce ne saranno ancora nei campi, ma non possiamo generalizzare”, ha detto il 21 aprile a Gaeta. “In Libia non ci sono nemmeno le leggi per regolarizzare la presenza di cittadini stranieri, perché la Libia è un paese di transito. Ci sono campi di detenzione, campi per il rimpatrio, campi dove si aspetta di essere espulsi. Il governo libico ha bisogno del sostegno dei partner europei per garantire una situazione migliore”, ha concluso.

      Una frontiera che non esiste
      Per fermare l’arrivo di migranti in Europa, l’Italia sta investendo anche sul controllo della frontiera meridionale libica, un’area di confine in mezzo al deserto, da secoli attraversata dalle rotte migratorie e controllata dai trafficanti. Il 31 marzo a Roma il governo italiano si è fatto garante di un accordo di pace firmato da una sessantina di gruppi tribali che vivono nel sud del paese e che dall’inizio della guerra civile se ne contendono il controllo. Dopo la firma dell’accordo di pace, il ministro Minniti ha precisato che “una guardia di frontiera libica pattuglierà i cinquemila chilometri della frontiera meridionale del paese”.

      Minniti ha ribadito che mettere in sicurezza quel confine significa “mettere in sicurezza la frontiera meridionale dell’Europa”. Molti hanno però sollevato dubbi sul fatto che questo accordo possa funzionare, sia per la vastità della zona da controllare sia per gli interessi in gioco. “Si tratta di zone desertiche, molto insicure, zone che da sempre sono lo scenario di traffici di armi, di droga e di esseri umani”, spiega Giuseppe Loprete dell’Oim, che è appena tornato da una missione al confine tra il Niger e la Libia.

      “Le popolazioni dei tubu e dei tuareg presenti in Libia sono presenti anche in Niger, la frontiera per loro non esiste. Tra il nord del Niger e il sud della Libia c’è un rapporto di continuità: è importante che le comunità locali siano coinvolte in qualsiasi tipo di negoziato”, dice Loprete che sottolinea un aspetto importante, ma sottovalutato: “L’immigrazione irregolare è una fonte di guadagno per le comunità locali”.

      Dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali

      Lo conferma Virginie Colombier, esperta di Libia e ricercatrice dell’Istituto universitario europeo di Fiesole: “Soprattutto dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali del sud e dell’ovest della Libia”. Questa regione è il principale punto d’ingresso in Libia dei migranti che arrivano dall’area del Sahel e, più in generale, dall’Africa subsahariana.

      Si tratta di una zona isolata, dove non ci sono infrastrutture, reti di comunicazione, strutture sanitarie. In quella regione, inoltre, sono in gioco importanti interessi economici internazionali: passano i principali traffici illeciti diretti in Europa e in Nordafrica (commercio di droga e di armi) e ci sono pozzi petroliferi. “L’Italia ha tutto l’interesse a ristabilire la sicurezza nel sud e nell’ovest del paese, perché in quel territorio sono presenti alcune grandi aziende italiane attive nel settore del petrolio e del gas”, spiega Colombier.

      Secondo la studiosa francese, il governo di AlSarraj non riesce ad assicurare il controllo del territorio e per questo Roma ha deciso di intraprendere azioni dirette come l’accordo tra i gruppi tribali del sud del paese. “Una delle questioni centrali è la situazione nella città di Sabha; il centro urbano più popoloso dell’area, conteso tra i diversi gruppi”, continua Colombier.

      Prima del 2011, alcuni accordi di pace informali avevano garantito al governo di Tripoli di controllare – almeno in parte – il confine, ma questi accordi sono falliti dopo la caduta di Muammar Gheddafi e diverse tribù hanno cominciato a contendersi il controllo delle principali rotte dei traffici illegali. L’Italia sta cercando d’intervenire e di ritagliarsi un ruolo di mediatrice, “un passo preliminare che potrebbe assicurare agli italiani un’influenza nella regione anche in futuro”. Tuttavia, secondo Colombier, “l’accordo difficilmente avrà effetti concreti nel breve periodo, né servirà a fermare l’immigrazione irregolare”.

      Per Gabriele Iacovino al momento una delle questioni problematiche è l’interesse che il generale Khalifa Haftar, in conflitto con il governo di Tripoli, ha manifestatoperalcuni impianti petroliferi nella regione di Sabha. Queste azioni militari non fanno altro che minacciare i fragili equilibri nella regione meridionale del paese. “Interrompere il cessate il fuoco tra tebu e tuareg, le due principali tribù nel sud del paese, può compromettere ulteriormente il processo di stabilizzazione del paese”, conclude Iacovino.

      Nel frattempo, però, la situazione in Libia è talmente disperata che sta aumentando il numero di persone disposte a tornare in Niger. Lo conferma l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che ha osservato il fenomeno nei suoi cinque centri per migranti in Niger. “Quelli che sono abbandonati nel deserto, quelli che non ce la fanno ad arrivare sulla costa, quelli che hanno finito i soldi, tornano spesso in Niger, nel nostro centro a Dirkou”, racconta Loprete. Quando tornano hanno storie disperate. Hanno fatto il viaggio, con tutte le difficoltà che comporta, ma non hanno ottenuto quello che speravano.

      https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/29/italia-libia-migranti-guardia-costiera

    • Meeting of Libyan, Italian officials revolve around illegal migration, southern borders security

      Libyan officials from different authorities met with the Italian ambassador to Libya, Giuseppe Perrone, and a delegation from the Italian defense and interior ministries as well as representatives of the Italian Prime Minister at the coast security department’s headquarters in Tripoli on Thursday.

      https://www.libyaobserver.ly/news/meeting-libyan-italian-officials-revolve-around-illegal-migration-sout

    • Libia-Italia: ministro Interno #Minniti atteso oggi a Tripoli

      Tripoli, 15 mag 09:35 - (Agenzia Nova) - Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, è atteso oggi a Tripoli per una visita a sorpresa. Lo hanno riferito ad “Agenzia Nova” fonti libiche secondo le quali il titolare del Viminale incontrerà funzionari del governo di accordo nazionale. Minniti dovrebbe tenere una conferenza stampa nel corso della giornata nella base navale di Abu Seta, vicino Tripoli. La scorsa settimana il coordinamento tra la Guardia costiera libica e italiana ha portato al primo salvataggio in mare di 498 migranti al largo delle coste di Sabrata, nella Libia occidentale. L’11 maggio si è tenuta nella capitale libica una riunione del Comitato misto per la lotta contro l’immigrazione illegale tra Italia e Libia, nel quale è stato fatto il punto sul programma di rafforzamento delle capacità della Guardia costiera e della Guardia di frontiera del paese nordafricano. Durante la riunione è stata espressa soddisfazione per l’operazione di salvataggio dei 500 migranti. L’Italia ha recentemente consegnato alla Guardia costiera libica due motovedette riparate nel nostro paese. Le due motovedette erano state inviate in Italia nel 2013 per essere riparate e sarebbero dovute rientrare in servizio nell’agosto del 2014.

      Lo scorso 2 febbraio il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, e il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, hanno firmato a Roma un memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e l’Italia. L’accordo prevede che la parte italiana si impegni “a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. Non solo: l’intesa prevede anche il “completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia”, “adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza”, “la formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza”, “sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia nel campo delle migrazioni a proseguire gli sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei propri paesi d’origine”. (Lit) © Agenzia Nova - Riproduzione riservata

      https://www.agenzianova.com/a/59195c42c137d4.06358231/1565108/2017-05-15/libia-italia-ministro-interno-minniti-atteso-oggi-a-tripoli/linked

    • Italy tries to bolster Libyan coast guard, despite humanitarian concern

      Italy gave the Libyan coast guard four repaired patrol boats on Monday to beef up Libya’s efforts to stop people smuggling, but the support worries humanitarian groups operating rescue ships near the Libyan coast.


      http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-idUSKCN18B2E5?feedType=RSS&feedName=worldNews
      cc @i_s_

    • L’Italie a signé un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger pour contenir l’afflux de migrants

      Selon le bilan diffusé lundi par le ministère de l’Intérieur italien, 50 041 migrants sont arrivés sur les côtes italiennes depuis le début de l’année. Un chiffre qui correspond à une hausse de plus de 45% par rapport à la même période l’an passé. Face à cet afflux, l’Italie a signé dimanche un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger.

      http://www.jeuneafrique.com/441266/societe/litalie-a-signe-accord-libye-tchad-niger-contenir-lafflux-de-migrants

    • Migranti: da vertice al Viminale con ministri Libia, Niger, Ciad centri accoglienza in paesi transito

      Centri di accoglienza per migranti rispondenti agli standard umanitari internazionali verranno costruiti in Ciad e Niger,due dei Paesi di transito delle migliaia di persone che dall’Africa sub sahariana raggiungono la Libia per poi imbarcarsi verso l’Italia. E’ uno dei risultati del vertice voluto dal ministro dell’Interno Minniti con i ministri dell’Interno di Libia, Niger e Ciad che si è tenuto al Viminale. I quattro ministri hanno siglato una dichiarazione congiunta.

      Secondo il Viminale si tratta di un punto di partenza per tentare di gestire il flusso di migliaia di senza speranza e spesso senza documenti che dall’Africa tenta di raggiungere l’Europa. Circa cinquemila uomini, donne e bambini diretti in Italia sono stati soccorsi al largo della Libia tra giovedì e sabato mattina dalle guardie costiere italiana e libica. Bisognerà vedere adesso se gli accordi messi nero su bianco nella dichiarazione congiunta troveranno applicazione nel deserto a sud della Libia, ma l’obiettivo e’ quello di arginare il fenomeno dove questo si origina e non in mare. Dalla Libia viene d’altronde il 90% di coloro che sbarcano in Italia e la quasi totalità è entrata nel paese nordafricano seguendo le rotte che dall’Africa occidentale portano ad Agades, in Niger, primo vero centro di smistamento di migliaia di esseri umani, o quelle che attraversano il deserto del Ciad e partono dall’Eritrea e dall’Etiopia.

      La strategia del Viminale si fonda su due pilastri: rafforzare la guardia costiera libica, mettendola in condizioni di operare per fermare i barconi – e in quest’ottica va la consegna entro giugno di 10 motovedette – e ristabilire il controllo sui cinquemila chilometri di confine sud che da anni sono in mano alle organizzazioni di trafficanti di esseri umani.

      Su quest’ultimo fronte il primo passo è stato il patto siglato il 2 aprile scorso sempre al Viminale con le principali tribù del Fezzan. Oggi, con la firma sulla dichiarazione da parte di Minniti, del ministro libico Aref Khoja e dei colleghi di Niger e Ciad, Mohamed Bazoum e Ahmat Mahamat Bachir e’stato fatto un altro passo per rafforzare i confini formando gli agenti e creando una “rete di contatto” tra tutte le forze di
      polizia della zona.

      L’Italia gioca una ruolo cruciale su questo aspetto visto che il Memorandum of understandig siglato il 2 gennaio a palazzo Chigi con la Libia prevede il completamento del sistema di controllo radar per il controllo dei confini al sud del paese già previsto dal trattato di Amicizia del 2008. Un sistema che dovrebbe realizzare Selex, del gruppo Leonardo-Finmeccanica, con una spesa prevista a carico dell’Italia di 150 milioni.

      http://www.onuitalia.com/2017/05/21/migranti-da-vertice-al-viminale-con-ministri-libia-niger-ciad-centri-acco
      #Tchad

    • Sempre più a Sud: Minniti ora vuole i Cie in Niger e in Ciad

      La foto ricordo scattata domenica scorsa al Viminale mostra una «storica» stretta di mano a quattro tra il nostro ministro dell’Interno Marco Minniti e i suoi omologhi di Ciad, Libia e Niger, dopo la firma di una dichiarazione congiunta per istituire una «cabina di regia» comune allo scopo di sigillare i confini a sud e evitare la partenza di migranti verso l’Italia e l’Europa.

      La dichiarazione impegna l’Italia a «sostenere la costruzione e la gestione, conformemente a strandard umanitari internazionali, di centri di accoglienza per migranti irregolari in Niger e in Ciad». Chi controlli la rispondenza di questi centri «di accoglienza» a standard di umanità internazionalmente riconosciuti non è chiaro, né chi li debba gestire e con quali fondi. E neanche è dato sapere in quale modo si intenda «promuovere lo sviluppo di una economia legale alternativa a quella legata ai traffici illeciti in particolare al traffico di esseri umani». Ma i quattro ministri sono immortalati con ampi sorrisi, che dovrebbero migliorare la «sicurezza percepita» a cui tiene tanto il titolare del Viminale.

      Per chi non si accontenta di sorrisi e annunci, la situazione in Libia e tra una frontiera e l’altra nel Sahara, lungo la rotta dei migranti, è sempre più incandescente. A Zawiya, città costiera dove è florido il business dei barconi, è esplosa ieri un’autobomba.

      Nel Fezzan il bilancio del truculento assalto della settimana scorsa alla base aerea di Brak al Shati, controllata dalle milizie del generale Haftar, è salito a 141 morti, tra i quali 15 civili. E si scopre – attraverso la Commissione nazionale diritti umani della Libia – che al seguito della Terza Forza, negli squadroni della città stato di Misurata che costituiscono l’ossatura delle milizie fedeli al governo Serraj di Tripoli, quello con cui l’Italia sta stringendo accordi per fermare i migranti, c’erano anche «foreign fighters provenienti dal Ciad e qaedisti delle Brigate di difesa di Bengasi».

      Serraj, per far vedere di non aver gradito l’assalto che ha violato la tregua con Haftar, ha sospeso il ministro della Difesa Al Barghouthi e il capo della Terza Forza, Jamal al Treiki, ma si tratta di un pro forma che neanche il suo ministro ha preso sul serio, infatti ha continuato a incontrare i capi misuratini per verificare «la presenza di cellule dell’ Isis» sopravvissute all’assedio di Sirte. Gli Usa intendono mantenere una presenza militare in Libia, ha detto il generale Waldhauser, proprio per combattere le cellule dell’Isis che stanno tentando di riorganizzarsi.

      Intanto l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, per la prima volta in visita ai centri di detenzione per migranti in Libia in queste ore, si è detto «scioccato» dalle condizioni in cui si trovano bambini, donne e uomini «che non dovrebbero sopportare tali difficoltà». Grandi fa presente che oltre ai profughi africani (1,1 milioni) in Libia ci sono 300 mila sfollati interni a causa del conflitto che dal 2011 non è mai finito.

      https://ilmanifesto.it/sempre-piu-a-sud-minniti-ora-vuole-i-cie-in-niger-e-in-ciad

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • Back to Old Tricks? Italian Responsibility for Returning People to Libya

      On 10/11 May 2017 various news outlets reported a maritime operation by the Libyan authorities, in coordination with the Italian Search and Rescue Authority, in which 500 individuals were intercepted in international waters and returned to Libya. This operation amounted to refoulment in breach of customary international law and several treaties (including the Geneva Refugee Convention and the European Convention on Human Rights), and an internationally wrongful act is one for which Italy bears international legal responsibility.

      https://www.ejiltalk.org/back-to-old-tricks-italian-responsibility-for-returning-people-to-libya

    • Tutto quello che c’è da sapere sull’accordo Italia – Libia

      Il memorandum d’intesa tra Italia e Libia è solo una tappa della articolata strategia di esternalizzazione delle frontiere perseguita tanto dal nostro governo quanto dall’Unione Europea. A tutti i costi, e mettendo in secondo piano il rispetto dei diritti fondamentali. Ecco cosa c’è che non va nell’accordo e quali sono le sue conseguenze.

      http://openmigration.org/analisi/tutto-quello-che-ce-da-sapere-sullaccordo-italia-libia/?platform=hootsuite

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172
      #aide_du_développement #coopération_au_développement #développement

    • commentaire reçu via la mailing-list migreurop (01.08.2017) :

      Elle a été déjà approuvée par le Conseil des Ministres Italiens. Demain le Président du Conseil en discutera aux commissions intéressées. Il s’agit d’une opération militaire italienne de soutien aux gardes cotes libyennes à l’intérieur des eaux territoriales libyennes suite à la demande de un des trois Gouvernement Libyen (celui de Al Serraj).
      L’Italie utiliserait donc – du 1 aout 2017 – deux bateaux militaires engagés aujourd’hui à l’extérieur des eaux libyennes dans l’opération Mare Sicuro (une opération qui a comme mission celle de la sécurité de la région, pas du tout celle de la migration). L’Italie ne prendra pas à bord des migrants, et si sera obligé à le faire les transbordera dans un bateau libyen avant de rejoindre le cotes libyennes.

      Il est évidente que de cette façon il y a un claire tentative de contourner le principe de non refoulement au quel l’Italie a l’obligation (et pour violation du quel a été déjà sanctionné). Il est intéressante aussi de voir que dans le Code de Conduit que le Gouvernement veut imposer aux Ong qui interviennent en mer, il y a interdiction de transborde. Mais si c’est l’Italie qui doit le faire pour contourner l’accusation de refoulement, alors cela semble accepté.

      L’opération devrait partir très rapidement, le 1 aout. Les bateaux sont prêtes, mais semble irréalisable la partie du “projet” italien qui prévoit des centres d’accueil à l’arrivés aux ports libyens gérés par l’UNHCR e OIM. Semblerait donc naturel que seront les camps d’enfermement la suite des opérations d’interception que l’Italie aurait aidé à mener dans les eaux libyennes.

      L’Italie – et les institutions européennes qui soutiennent l’opération – semble ne pas se préoccuper de l’effet boomerang sur un processus de stabilisation d’un pays déjà très fragile. Ce n’est pas au hasard que Serraj aurait d’abord nié d’avoir demandé à l’Italie d’intervenir pour ensuite le confirmer et que Haftar vient de faire circuler une note où dénonce cet accord et menace de considérer toute intervention militaire de l’Italie dans les eaux territoriale libyennes comme une violation de la souveraineté du pays.

      Une partie de la mission sera financé avec les fonds déjà alloués à l’opération Mare Sicuro et en partie seront surement financé par les 46 millions de Fonds Fiduciaires que la Commission Européenne a annoncé le même jour de l’annonce de la mission.

    • Libya’s eastern commander vows to destroy Italian warships if sailed to Libyan water

      The Libyan eastern commander of Dignity Operation forces, Khalifa Haftar, has ordered to bombard any warships sailing into the Libyan waters, in a U-turn that could see escalations between eastern Libya and the UN-proposed government’s bodies in western Libya get tense.

      http://www.libyaobserver.ly/news/libyas-eastern-commander-vows-destroy-italian-warships-if-sailed-libya

    • Des navires de guerre italiens pour repousser les réfugiés au lieu de les protéger

      En proposant de déployer des navires de guerre pour patrouiller dans les eaux territoriales libyennes, les autorités italiennes cherchent à se soustraire à leur obligation de secourir les réfugiés et les migrants en mer et d’offrir une protection à ceux qui en ont besoin.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/des-navires-de-guerre-italiens-pour-repousser-les-refugies-au-lieu-de-les-pr

    • Respingimenti collettivi ed omissione di soccorso nel contrasto dell’immigrazione irregolare

      L’esternalizzazione dei controlli di frontiera, che assume adesso una dimensione operativa dopo gli accordi ed i protocolli operativi stipulati dall’Italia con la Libia, la Tunisia e l’Algeria, la chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo con i respingimenti collettivi in mare ed alle frontiere marittime, e le retate operate con “pattuglie miste” delle polizie presenti nei paesi di transito, come la Libia e la Grecia, ai danni dei migranti irregolari, spesso donne e minori, o altri potenziali richiedenti asilo, stanno aggravando gli effetti devastanti delle politiche proibizioniste adottate da tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in fuga dalle guerre, dai conflitti interni e dalla devastazione economica ed ambientale dei loro paesi. Quanto sta avvenendo in questi mesi in Grecia ed in Libia aumenta le responsabilità già gravissime del governo italiano nelle pratiche informali di respingimento “informale” dai porti dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari) verso Patrasso e Igoumenitsa e scopre tutte le ipocrisie di chi afferma di riconoscere i diritti dei rifugiati e poi rimane inerte ad assistere allo scempio del diritto di asilo, di persone che avrebbero titolo ad ottenere protezione ma sono arrestate, respinte o espulse.

      http://www.meltingpot.org/Respingimenti-collettivi-ed-omissione-di-soccorso-nel.html

    • ASGI : C’è il rischio di riaprire la stagione buia dei respingimenti già condannati dalla CEDU

      Sulle nuove iniziative del Governo italiano per contrastare l’arrivo dei rifugiati dalla Libia l’ ASGI lancia l’allarme: “C’è il rischio di gravissime violazioni del diritto internazionale che riportino la stagione buia dei respingimenti per i quali l’Italia era stata già condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo”.

      https://seenthis.net/recherche?recherche=%23libye+%23externalisation+%23italie
      #refoulement #push-back

    • Cooperazione: kit di primo soccorso inviati in Libia grazie a collaborazione tra Esteri e Difesa

      L’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, e l’addetto per la Difesa, capitano di vascello Patrizio Rapalino, hanno consegnato al sindaco di #Zwara, 5.000 kit igienico-sanitari e di primo soccorso per migranti per le esigenze della municipalità.

      http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2017/08/cooperazione-kit-di-primo-soccorso.html

    • Accordo Italia e milizie in Libia, qualcosa c’è ma non si dice

      Cosa è realmente accaduto in Libia tra Italia (sia chi sia ad aver trattato) e le milizie di Sabratha che prima gestivano la mafia dei traffici di persone e ora la contrastano in nome del governo Sarray? Ora anche la stampa ‘tradizionale’ s’accorge del problema. Il Manifesto, «Accordo tra l’Italia e le milizie per fermare i migranti in Libia». Il Fatto quotidiano, Migranti, Ap: «Italia ha trattato direttamente con le milizie libiche per bloccare gli sbarchi”. Farnesina: ‘Falso’».

      https://www.remocontro.it/2017/08/31/accordo-italia-milizie-libia-qualcosa-ce-non-si-dice

    • L’Italie finance-t-elle des groupes armés libyens pour bloquer l’arrivée de migrants ?

      De moins en moins de migrants débarquent en Italie. Comment l’expliquer ? D’après l’agence Associated Press, derrière les explications officielles, la véritable raison de cette diminution s’expliquerait par le fait que l’Italie financerait des groupes armés libyens. Valérie Dupont, correspondante pour la RTBF à Rome, fait le point.

      https://www.rtbf.be/info/monde/detail_l-italie-finance-t-elle-des-groupes-armes-libyens-pour-bloquer-l-arrivee

    • Migrants en Libye : le #pacte pourri entre Rome, les garde-côtes et les trafiquants

      Alors que l’Union européenne finance, à hauteur de dizaines de millions d’euros, les garde-côtes libyens, il est établi que certains de ses membres sont compromis dans le trafic de migrants. Rome, de son côté, est accusé de négocier directement avec les milices de #Sabratha pour empêcher le départ des embarcations.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020917/migrants-en-libye-le-pacte-pourri-entre-rome-les-garde-cotes-et-les-trafiq

    • E l’Italia contribuisce alla costruzione della mafia in Libia. Conversazione con Nancy Porsia

      «Negli ultimi 3 mesi c’è stata l’implementazione del piano messo a punto già prima di allora. Lo scorso autunno fu lanciata la campagna di criminalizzazione da parte delle autorità italiane e libiche verso le Ong che operano Ricerca e Soccorso in mare, e mentre nell’inverno e nella primavere seguenti questa campagna di delegittimazione e criminalizzazione veniva portata avanti, gli italiani e gli europei addestravano le autorità Libiche e le loro forze militari per il pattugliamento dei confini e quindi anche del mare e delle coste libiche. Questa era una sorta di fase preparatoria che poi si è andata finalizzando negli ultimi tre mesi. Quindi gli italiani hanno di fatto consegnato i mezzi alla Guardia costiera libica, mezzi che risalgono agli accordi fra Berlusconi e Gheddafi del 2008 e che sono stati riconsegnati solo oggi dopo il lavoro diplomatico massiccio delle Nazioni Unite, Europa e in prima fila Italia, e che ha portato alla legittimazione dell’entourage di Serraj come Governo di unità nazionale. Quindi quello che resta delle autorità libiche è stato assunto come interlocutore legittimo, nonostante i grandi dubbi che ci sono circa la loro stessa legittimità. I libici hanno iniziato a pattugliare la costa reclamando tale compito come loro “dovere / diritto” e insinuando come “ingerenza” le operazioni svolte dalle Ong. Si è andati un pezzettino avanti rispetto alla criminalizzazione delle stesse Ong che poi come sappiamo sono state vessate dalla magistratura italiana, dalla campagna di discredito a mezzo stampa, in Italia e in Europa, ed esposte in maniera sempre più frequente al pericolo del fuoco libico tanto che hanno dovuto fare un passo indietro. Quindi di fatto il piano che era in cantiere da oramai un anno e mezzo fra l’Italia, l’Europa e la Libia è entrato nella sua fase finale. Il risultato è che le coste vengono pattugliate dai libici, oggi in grado di fermare la maggior parte dei barconi carichi di migranti. Dove è la critica di senso rispetto alla nuova situazione? Quelli che oggi bloccano i migranti sono gli stessi che ieri li trafficavano, e quindi il “piano Minniti” ha portato ad una istituzionalizzazione degli stessi trafficanti. Siamo di fronte ad una politica di cooperazione che interloquisce con trafficanti istituzionalizzatie e alcuni ufficiali della Guardia costiera corrotti. Su alcuni di questi c’è anche un procedimento della Corte penale dell’Aia piuttosto che un fascicolo lungo non so quante pagine all’interno del rapporto del panel di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, pubblicato lo scorso giugno. Quindi negli ultimi mesi il piano Minniti ha proceduto a gamba tesa nell’istituzionalizzazione delle milizie e dei maggiori trafficanti in Libia oltreché alla connivenza con le stesse guardie corrotte, anzi più che corrotte io le definirei in odore di mafia, in quanto parte integrante di un sistema mafioso che trafficava i migranti. Tutto questo per ridurre il numero dei migranti nel più breve tempo possibile».

      http://www.a-dif.org/2017/09/04/e-litalia-contribuisce-alla-costruzione-della-mafia-in-libia-conversazione-co

    • I campi dei migranti in Libia sotto il controllo delle Ong

      Coinvolgere le Ong nei campi libici per evitare di «condannare i migranti all’inferno». L’idea è venuta al ministero degli Esteri, e più precisamente al vice con delega alla cooperazione internazionale, Mario Giro: dopo aver lanciato l’allarme un mese fa sulle condizioni infernali dei campi, nel pieno della discussione sulla missione italiana autorizzata a Tripoli, nei giorni scorsi ha rivolto un invito alla galassia delle Organizzazioni non governative, proponendo un incontro a chi è interessato a lavorare in Libia. Hanno risposto in una ventina, di orientamento laico e cattolico, molte delle quali già impegnate in varie zone del grande Paese nordafricano con compiti di protezione dell’infanzia e nel settore della sanità, da Medici senza Frontiere all’Arci a Save the children, da Intersos a Terre des hommes fino a Elis, legata all’Opus Dei: ieri pomeriggio la riunione, alla Farnesina, per prendere i primi contatti. Con l’idea però di accelerare e intervenire al più presto: il bando è già pronto, sono stanziati sei milioni di euro.

      http://www.lastampa.it/2017/09/08/esteri/i-campi-dei-migranti-in-libia-sotto-il-controllo-delle-ong-y0jOMmVk6gVG49hdon0gZJ/pagina.html

    • Centri di detenzione in Libia: “(Forse) è ora di pensare alle ‘condizioni umanitarie’”…

      I nuovi propositi di attenzione del governo italiano alle «condizioni umanitarie» nei centri di detenzione per migranti e rifugiati in Libia arrivano dopo mesi di silenzi e di iniziative tutte mirate al loro “contenimento” in quel Paese.

      «Le condizioni di quelli che rimangono in Libia, posso garantirvi, sono il mio assillo ed è l’assillo del Governo italiano», ha detto venerdì a Torino il ministro dell’Interno Marco Minniti, dopo averlo già affermato ad agosto ma aggiungendo: «La prossima settimana insieme con la Farnesina incontreremo le ONG italiane. Ragioneremo con loro se è possibile, accanto alle operazioni di salvataggio in mare, che naturalmente continuano, costruire un’iniziativa delle ONG direttamente in Libia per affrontare quel tema dei diritti umani e delle condizioni di vita».

      http://viedifuga.org/centri-detenzione-libia-forse-ora-pensare-alle-condizioni-umanitarie
      #ONG

    • Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare.

      Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare. E Serraj non controlla neppure tutta Tripoli, cosa può garantire all’Italia ed all’Europa ?

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/08/il-governo-di-tripoli-vuole-cinque.html

    • Migrants: Italian FM wants more EU efforts on Libya route

      MILAN - The Italian government wants the EU to exert greater efforts concerning the central Mediterranean migrant route, which runs from Libya to Italy, Foreign Minister Paolo Gentiloni said Friday. The minister was replying to journalists’ questions after his speech at a conference on immigration, refugees and asylum policies at the Bocconi University in Milan, where he discussed the ’Migration Compact’. Gentiloni called for investment in African countries to be stepped up, ’’with new instruments like ’Africa bonds’’’, and said that the countries receiving the investment should be required to put forth serious efforts to limit migration flows. He added that repatriation of migrants to safe countries should be ’’ever more European’’, but that migrants should not be repatriated to Libya. ’’On these issues,’’ he concluded, ’’the Italian government is asking Europe for commitment similar to what it showed on the (migration, Ed.) route running from Turkey to Greece and the Balkans.’’

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2016/04/22/migrants-italian-fm-wants-more-eu-efforts-on-libya-route_f8c9e906-3729-44b

    • Migranti, il Gruppo di contatto per la rotta del Mediterraneo centrale diventa stabile

      «Oggi abbiamo fatto un passo importante, abbiamo messo in comune la volontà di governare l’immigrazione; l’esito della riunione è stato particolarmente fruttuoso». E’ questa la convinzione espressa dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, oggi al termine dell’incontro conclusivo con ministri e rappresentanti di Paesi della Ue e del Nord Africa che fanno parte del «Gruppo di contatto per la rotta migratoria del Mediterraneo centrale», presso la scuola Superiore di Polizia, in via Pier della Francesca a Roma.


      www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-gruppo-contatto-rotta-mediterraneo-centrale-diventa-stabile

    • signalé par Fulvio Vassallo sur FB avec ce commentaire (19.04.2017) :

      Ci volevano i giapponesi per dire quali sono le ragioni vere della partenze di massa della Libia. Altro che le navi umanitarie come fattore di attrazione. L’Italia sta consegnando altre motovedette alla Guardia Costiera libica per aggirare il divieto di respingimenti collettivi per cui nel 2012 veniva condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

      Facing threat of patrols, thousands of migrants fleeing Libya ; 28 found dead

      Warm weather and calm seas usually spur smugglers to send migrants across the Mediterranean come spring. But aid groups say another timetable might be behind a weekend spike: the looming start of beefed-up Libyan coast guard patrols designed to prevent migrants from reaching Europe.


      http://www.japantimes.co.jp/news/2017/04/19/world/social-issues-world/facing-threat-patrols-thousands-migrants-fleeing-libya-28-found-dead

      #fermeture_des_frontières #militarisation_des_frontières #mourir_en_mer #morts #mourir_en_méditerranée #décès #facteurs_push #attractivité #push_factors #push-factors

    • Migranti: l’Italia consegna 10 motovedette alla Libia

      La scena si è già vista il 14 maggio 2009 ed il 10 febbraio 2010, sempre nel porto di Gaeta (Latina): sei motovedette hanno ammainato la bandiera italiana ed alzato quella libica per andare a pattugliare le acque davanti al Paese nordafricano con il compito di bloccare le partenze dei migranti. L’attività è però durata poco, fino all’intervento della coalizione internazionale contro Muhammar Gheddafi, nel 2011.

      Ora Italia e Libia ci riprovano: domani a Gaeta,alla presenza del ministro dell’Interno, Marco Minniti – quattro di quelle motovedette (le altre due sono andate distrutte) saranno nuovamente riconsegnate alla Marina ed alla Guardia costiera libiche. Seguiranno altre sei nelle settimane successive, con la speranza che siano in grado di frenare il flusso gestito dai trafficanti di uomini, che nel 2017 ha già portato sulle coste italiane oltre 35mila persone, il 40% in più del 2016, anno record per gli sbarchi.

      http://www.imolaoggi.it/2017/04/20/migranti-litalia-consegna-10-motovedette-alla-libia

    • G.Costiera Libia soccorre migranti, riportati a Tripoli

      ROMA - Primi effetti degli accordi di collaborazione sottoscritti di recente tra Italia e Libia in materia di migranti: oggi la Guardia Costiera libica, alla quale l’Italia ha donato anche alcune unità navali, ha soccorso in acque internazionali e riportato nel porto di Tripoli un barcone in navigazione verso l’Italia, a bordo del quale vi erano circa 300 migranti. I migranti avevano inviato una richiesta di soccorso alla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera italiana. Il barcone, inoltre, era stato avvistato ancora in acque libiche da alcuni mezzi aerei impegnati sul Mediterraneo centrale.
      Ricevute le due segnalazioni, la centrale operativa di Roma della Guardia costiera ha allertato la Guardia costiera libica che - diversamente rispetto a quanto accaduto in passato - ha preso il comando delle operazioni di soccorso. Alcune motovedette di Tripoli sono salpate in direzione del barcone, che è stato raggiunto in acque internazionali. Alcuni uomini della Guardia costiera libica hanno preso il comando dell’unità, che, invertita la rotta, è stata riportata nel porto di Tripoli.

      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/10/g.costiera-libia-soccorre-migranti-riportati-a-tripoli_df5b95ff-4921-4f05-

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.


      http://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Migrants: Tripoli thanks Italy but wants help in maintenance

      Thanking Italian authorities for cooperating in the fight against human trafficking, the operations chief of Libyan coast guards, Colonel Massoud Abdelsamad, called on Italy to send spare parts and maintenance support soon for cutters given to Tripoli to fight traffickers through ’’joint operations’’ carried out by Italy and Libya.
      ’’I would like to thank very much Italian authorities and especially the Italian coast guard: we have a good cooperation between us’’, the colonel said, commenting recent gunfire between his personnel and traffickers. ’’We are in contact 24 hours a day and sometimes carry out joint operations’’, added Abdelsamad in a phone interview with ANSA.
      ’’Our boats however need spare parts and maintenance. We would like to have in Libya, as soon as possible, the finance police team that has been working closely with us since 2010’’, also said the colonel, referring to a unit that should take care of maintenance in case of problems.
      ’’We were promised that the group would come to Libya and we are now waiting for it so it can support us’’, stated Abdelsamad. ’’We can carry out joint operations with the Libyan coast guard, finance police and Italian coast guard’’ and ’’this would help us a lot’’, he concluded, recalling that traffickers are heavily armed and have fast motor boats.

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/generalnews/2017/05/31/migrants-tripoli-thanks-italy-but-wants-help-in-maintenance_3d2f7ffa-42d4-

    • Migranti: Tripoli, grazie Italia ma aiutateci per manutenzione
      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/31/migrantitripoligrazie-italia-ma-aiutateci-per-manutenzione_e874ccee-bba3-4

      Avec ce commentaire de Fulvio Vassallo:

      I libici ammettono che la guardia costiera italiana collabora nei respingimenti collettivi, illegali se si svolgono, come si svolgono, in acque internazionali. E chiedono pure pezzi di ricambio. Tra poco chiederanno anche gli equipaggi. Se Minniti non ha gia’ provveduto con i cd. Agenti di collegamento.Naturalmente chi viene riportato in Libia non ha molte chance di fare ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

    • Bloccati in Libia. I migranti e le (nostre) responsabilità politiche

      Le corrispondenze dal caos libico che ci invia Nancy Porsia sono pressoché uniche nel campo del giornalismo in occidente, sicuramente le uniche in Italia. Pubblichiamo questo suo articolo in cui si riprende il testo dell’ accordo italo – libico firmato ieri dal Primo Ministro Gentiloni e dal “Capo del Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia”, Fayez Mustafà Serraj. Un accordo, secondo l’autrice, siglato forse troppo in fretta e in base tanto alle esigenze economiche italiane quanto alla necessità di rendere più complesse le vie di fuga per coloro che, fuggendo da guerre, crisi ambientali o economiche, transitano in Libia per entrare in Europa. Alcune voci si sono levate contro l’accordo. Dal parlamento europeo, oltre 40 parlamentari, guidati da Barbara Spinelli (GUE/NGL) ma afferenti a diversi gruppi politici, anche il Partito Popolare Europeo, hanno preso una dura posizione con una interrogazione scritta in cui si parla espressamente di pericoli derivanti dall’accordo UE- Libia. Durissimo anche il comunicato di Amnesty International, in cui si denuncia che i “piani per “chiudere” la frontiera marittima rischiano di intrappolare rifugiati e migranti in condizioni orrende in Libia”, mentre l’ambasciata tedesca in Niger, ha paragonato i campi di detenzione libici, espressamente a dei lager.

      http://www.a-dif.org/2017/02/03/bloccati-in-libia-i-migranti-e-le-nostre-responsabilita-politiche

    • Migranti: accordo Italia-Libia, il testo del memorandum

      Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana Il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia e il Governo della Repubblica Italiana qui di seguito denominate ’Le Parti’


      http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/02/news/migranti_accordo_italia-libia_ecco_cosa_contiene_in_memorandum-157464439

      Le texte en anglais:
      http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/02/ITALY-LIBYA-MEMORANDUM-02.02.2017.pdf

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Tripoli Appeals Court to rule on Italy-Presidential Council MoU

      A number of Libyan citizens lodged an appeal at the Judiciary Division of the Tripoli Appeals Court against the signing of a #Memorandum_of_Understanding (MoU) between the UN-proposed government’s Presidential Council’s Head Fayez Al-Sirraj and the Italian Prime Minister, Paolo Gentiloni.


      https://www.libyaobserver.ly/news/tripoli-appeals-court-rule-italy-presidential-council-mou

    • Perché l’accordo tra l’Italia e la Libia sui migranti potrebbe essere illegale

      Il memorandum d’intesa sui migranti firmato il 2 febbraio dall’Italia e dalla Libia potrebbe essere illegale. A sostenerlo è un gruppo di giuristi, ex politici e intellettuali libici che il 14 febbraio ha presentato un ricorso di 23 pagine alla corte d’appello di Tripoli. I sei libici, tra cui diversi ex ministri, sostengono che il memorandum sia incostituzionale. Innanzitutto perché, prima di essere firmato dal primo ministro Fayez al Sarraj a Roma, non è stato approvato dal parlamento libico e dal governo all’unanimità. Al Sarraj non ha ottenuto la fiducia dei parlamentari libici che si sono ritirati a Tobruk nel 2014. Inoltre l’accordo implicherebbe impegni onerosi da parte di Tripoli, che non erano contenuti nel trattato di amicizia tra Italia e Libia stipulato nel 2008, a cui il memorandum s’ispira.

      http://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/02/20/italia-libia-migranti-accordo-illegale

    • Così Italia e Libia argineranno il flusso dei migranti

      Ambulanze, gommoni, mute, satellitari e bombole.

      L’accordo bilaterale prevede «l’addestramento, l’equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera libica». Per questo l’elenco delle forniture è lungo e costoso. L’obiettivo è di completare il piano di consegna in 24 mesi, anche se alcuni punti dovranno essere ritoccati. In particolare sono state chieste 10 navi per la ricerca e il soccorso (alcune da oltre trenta metri) e 10 motovedette che devono essere utilizzate per i controlli sotto costa in modo da impedire alle “carrette” dei trafficanti di salpare. Le prime tre imbarcazioni potrebbero essere consegnate già agli inizi di giugno, prevedendo una dilatazione dei tempi per quelle più grandi. E poi quattro elicotteri che dovranno “guidare” le operazioni contro le organizzazioni che gestiscono i viaggi della speranza, ma anche coadiuvare il recupero in mare. Nell’elenco sono stati poi inseriti

      24 gommoni
      10 ambulanze
      30 jeep
      15 automobili
      30 telefoni satellitari Turaya
      mute da sub
      bombole per l’ossigeno
      binocoli diurni e notturni

      Saranno le forze dell’ordine italiane a dover addestrare i poliziotti locali e gli uomini della Guardia costiera. Su questo c’è già l’intesa con l’Ue che finanzierà la missione della Capitaneria di Porto che partirà entro due mesi.

      http://www.agi.it/cronaca/2017/03/20/news/cos_italia_e_libia_argineranno_il_flusso_dei_migranti-1602473
      #accord_bilatéral #contrôles_frontaliers #militarisation_de_la_frontière #frontières

    • Migranti, 12 unità navali alla Libia: via libera del governo

      Roma cede «a titolo gratuito» a Tripoli dieci motovedette della Guardia costiera e due unità della Gdf. C’è poi un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale

      ARRIVERANNO presto i nuovi mezzi navali che il governo italiano ha promesso al governo libico di accordo nazionale di Tripoli. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera all’invio di 12 unità navali e a un programma di addestramento del personale per il loro utilizzo. Un impegno economico, ha precisato il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli, «che sfiora 1,5 milioni, a fronte di un costo complessivo del provvedimento pari a circa 2,5 milioni».

      «Siamo consapevoli che questo non può bastare e che bisogna lavorare per stabilizzare lo scenario, rafforzare lo stato di diritto e la tutela della dignità delle persone sul suolo del nascente Stato libico. Ecco perché stiamo via via intensificando la cooperazione con organizzazioni come l’Unhcr e l’Oim, che sono presenti a Tripoli. In attesa che l’Europa si faccia carico in modo solidale del fenomeno migrazioni - ha concluso Toninelli - il governo italiano e questo ministero lavorano in modo fattivo per debellare i naufragi di migranti in mezzo al Mediterraneo».

      Alla Libia saranno date «a titolo gratuito» 10 motovedette «Classe 500» della Guardia costiera e due unità costiere «Classe Corrubia» della Guardia di Finanza. Assieme alle navi, l’Italia fornirà un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale che possa rafforzare la Marina e la Guardia costiera libiche.

      Le «Classe 500» sono delle piccole vedette costiere che in Italia sono state usate da Carabinieri e Guardia Costiera, e saranno utili di sicuro soprattutto per il pattugliamento lungo le coste libiche. Hanno una autonomia di 200 miglia e una velocità massima di 35 nodi, vengono utilizzate in un raggio di azione di una ventina di miglia dalla costa e hanno un equipaggio composto da tre persone. Le «Corrubia» sono invece piccoli pattugliatori di 27 metri che possono raggiungere i 43 nodi e hanno un’autonomia di 800 miglia. Con un equipaggio di 14 persone, queste navi possono operare anche a parecchie miglia dalle coste.

      Assieme alle navi arriverà un programma di formazione dei marinai libici. Addestramento che si svolgerà sia in Italia sia in Libia e partirà entro una decina di giorni. Le vedette invece dovrebbero essere trasferite tutte nel porto militare di Augusta, da dove poi saranno trasportate con una nave della Marina militare fino a Tripoli.

      A Tripoli si è tenuta una riunione del Comitato tecnico italo-libico che riunisce Guardia costiera, marina, polizia marittima, polizia di frontiera libica con i corrispondenti enti italiani. In discussione oltre ai provvedimenti per la Guardia costiera anche la situazione nel Sud della Libia, dove la polizia di frontiera non ha la possibilità di controllare uno spazio così immenso come le migliaia di chilometri che segnarono i confini con Algeria, Niger e Ciad.

      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/02/news/la_promessa_del_governo_italiano_alla_libia_in_arrivo_dodici_motovedette-

    • Un decreto legge per la Guardia costiera della Libia che non esiste. La pianificazione della strage.

      Nell’ultima seduta del Consiglio dei ministri il Governo ha adottato un decreto legge che prevede “la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera del Ministero della Difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell’Interno libici”.

      Analizzando il contenuto del decreto si nota subito che le unità fornite sono molto piccole (in prevalenza CP classe 500) e sono più indicate per intercettare i barconi carichi di migranti, e magari bloccarli, sotto minaccia delle armi, piuttosto che procedere a operazioni di salvataggio che garantiscano la riconduzione dei naufraghi, perchè di questo si tratta, verso un porto di sbarco sicuro, porto che la Libia oggi non può offrire. Come hanno rilevato le Nazioni Unite nei loro più revcenti rapporti sulla Libia ed i giudici di Ragusa e Palermo, nelle loro sentenze, nelle quali si esclude che la Libia offrisse porti sicuri di sbarco e si ritiene legittimo e conforme alle Convenzioni internazionali il comportamento delle ONG.

      Il provvedimento del governo italiano, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, non fa alcuna menzione alla situazione provvisoria, e assai precaria anche dal punto della legittimità, del governo di Tripoli sostenuto dalle Nazioni Unite, ma privo di continuità politica con la Libia di Gehddafi, che pure si cita nel provvedimento. Nessun riferimento al rispetto delle Convenzioni internazionali. La Libia non ha mai sottosctitto, peraltro, la Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

      l richiamo ai precedenti accordi stipulati dall’Italia con la Libia nel 2008 non costituisce alcuna legittima base del decreto, considerando che il governo italiano, che nel maggio del 2009 aveva messo in esecuzione quegli accordi, con i respingimenti collettivi illegali esegiti dalla Guardia di Finanza verso Tripoli, è stato condannato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( Sentenza 23 febbraio 2012- Caso Hirsi),

      Dopo l’allontanamento dell’Aquarius e il calvario inflitto alla Lifeline, con il sequestro della nave di Sea Watch a Malta e le indagini penali avviate a carico del comandante della Lifeline, sembra avere successo la strategia di Salvini per la eliminazione totale delle ONG dal Mediteraneo centrale. Una campagna avviata lo scorso anno da Frontex e da Minniti, sorretta da blogger che hanno diffuso una valanga di notizie false ma tanto condivise da valere più della verità, poi sfociata in indagini della magistratura che, prima ancora delle sentenze, hanno prodotto la condanna mediatica del soccorso umanitario in acque internazionali.

      Sono invece Minniti prima e Salvini poi che hanno fatto accordi con le milizie che coprono i trafficanti, e poi insinuano che le Ong siano colluse con gli scafisti. Quando il rovesciamento della realtà raggiunge questa dimensione, e su questo si aggrega il consenso, si può dire che lo stato di diritto e’ sconfitto dallo strapotere dell’esecutivo. Dunque responsabilità sempre più gravi incombono sulla magistratura. Non solo in Italia.

      Diverse iniziative giudiziarie, da ultimo a Malta, hanno portato al sequestro o all’allontanamento delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative che costituivano l’ultima possibilità di salvezza sulla rotta del Mediteraneo centrale, dopo il ritiro, o la scomparsa dai radar, delle navi militari di Frontex e di Eunavfor Med (Operazione Sophia), che in passato avevano soccorso decine di migliaia di persone. I recenti piani dell’Unione Europea di creare in Libia e nei paesi del Sahel centri di contenimento (piattaforme di sbarco) dei migranti, per impedire loro di raggiungere le coste del Mediterraneo, appaiono impraticabili sul piano politico e militare, oltre che umanamente inaccettabili, anche se si dovesse ottenere l’avallo dellOIM e dell’UNHCR. Sono piani che non elimineranno mai l’esigenza assoluta di operazioni di soccorso umanitario nel mar libico.

      Le stragi di questi ultimi giorni dimostrano che la Guardia costiera libica non ha i mezzi e gli assetti organizzativi per salvaguardare effettivamente la vita umana in mare. I mezzi trasferiti a titolo gratuito dall’Italia al governo di Tripoli, per le loro ridotte dimensioni, non garantiscono alcun effettivo incremento delle capacità di soccorso della Guardia costiera che si definisce “libica”, ma che in realtà corrisponde solo alle milizie che controllano la Tripolitania. Milizie sulle quali pesano gravi sospetti di collusione con i trafficanti di esseri umani. Le unità più grosse, (nel massimo di due !) cedute ai libici, ed attualmente in uso alla Guardia di finanza, non sono lunghe più di 25 metri, e possono soccorerre al massimo 100 persone, in condizioni di mare calmo.

      Malgrado la pomposa titolazione del decreto legge, la capacità di ricerca e salvataggio della Guardia costiera di Tripoli resterà molto al di sotto degli standard internazionali imposti dalle Convenzioni e dal Regolamento IMO. Non basterà certo la istituzione di una Zona Sar “libica”, inserita persino nei dati dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare), in assenza di una effettiva capacità di coordinamento e di intervento della sedicente Guardia costiera “libica” che in realtà controlla soltanto alcuni porti della Tripolitania. Il riconoscimento di una zona SAR libica non comporta poi la qualifica automatica, come place of safety, e dunque legittimi porti di sbarco, dei porti di Tripoli, Zawia, Khoms, o di Sabratha o ancora di Zuwara.

      Chi ha coordinato davvero le ultime operazioni di soccorso, a partire dal 28 giugno, quando veniva resta nota la istituzione di una zona SAR libica ? Da quel giorno ad oggi sono morte o risultano disperse nel Mediterraneo centrale centinaia di persone, quasi un naufragio al giorno, per quanto tempo continuerà così?

      Malgrado la istituzione di una zona SAR di loro competenza, I libici continuano a confermare che le attività di ricerca e soccorso (SAR), in realtà vere e proprie intercettazioni in acque internazionali, avvengono da tempo sotto il coordinamento delle autorità italiane. “Rome provides Libya’s coastguard with logistical support via its “Joint Rescue Co-ordination Centre”, locating migrant boats to intercept or rescue, as well as providing basic maintenance. Come era stato chiaramente affermato anche dal Giudice delle indagini preliminari di Catania, nel caso del sequestro della nave Open Arms.

      Il decreto legge proposto dal governo italiano, al pari della chiusura informale dei porti e del blocco immotivato di tre battelli umanitarie a Malta, crea le condizioni oggettive perchè le stragi, al largo delle coste libiche, si ripetano con frequenza sempre maggiore. Non saranno certo i mezzi che l’Italia si appresta a trasferire alla Guardia costiera di Tripoli che potranno ridurre il numero delle vittime. Gli appelli dell’Alto Commissariato per i rifugiati, dopo le ultime stragi nel mar libico, non ricevono ancora risposta.

      Ancora oggi, dopo interventi della Guardia costiera libica, ormai padrona assoluta della vastissima zona SAR che si è voluta attribuire alle motovedette di Tripoli e Zawia, si contano morti e dispersi. E tante altre persone, bloccate in alto mare, vengono ricondotte in centri di detenzione nei quali si soffrono condizioni disumane e degradanti. Queste vite negate, quei corpi martoriati, che vediamo anche noi, quando riescono a fuggire ancora una volta dall’inferno libico, saranno davanti alla coscienza di quei parlamentari che nelle prossime settimane dovranno approvare il decreto legge proposto ieri dal governo Salvini-Di Maio. La mobilitazione nel paese, in difesa della vita e dei diritti umani, contro le politiche dell’odio e della rimozione, sarà sempre più forte. Siamo in tanti, colpevoli di solidarietà, che ci vengano a prendere.

      https://www.a-dif.org/2018/07/03/un-decreto-legge-per-la-guardia-costiera-della-libia-che-non-esiste-la-pianif

    • Guardie e ladri: i trafficanti colpiti dalle sanzioni Onu e l’effetto italiano sulle rivalità in Libia

      In Libia sono quattro, appartengono a schieramenti mutevoli e aspettano che passi la tempesta delle sanzioni Onu, mentre le iniezioni di denaro dell’accordo italiano per fermare i migranti continuano a modificare alleanze ed equilibri sul campo. Nancy Porsia, che per prima ha reso note queste figure, ci racconta com’è la situazione oggi, molto più complessa di come la vorrebbe descrivere il governo italiano.

      Uno risulta sospeso dal servizio e l’altro risulta latitante, e insieme aspettano che i riflettori si spengano su di loro in un compound al centro della città di Zawiya, sulla costa occidentale della Libia.

      Il primo è il capo della Guardia Costiera di Zawiya, Abdul Rahman Milad, noto con il nom de guerre “Al Bija”, mentre il suo compagno di sventura è il noto trafficante di esseri umani della città di Sabrata Ahmed Dabbashi, meglio conosciuto come “Al Ammu”.

      Lo scorso mese, i due uomini che per circa tre anni hanno giocato a “guardie e ladri” davanti alle coste libiche sono finiti nella lista nera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite insieme ad altri due cittadini libici: il capo della Brigata Martiri Al Nasser di Zawiya, Mohamed Khushlaf, e il trafficante Mus’ab Abu Qarin, di Sabrata, meglio noto come Dottor Musab per i tanti anni di esperienza nel traffico. Oltre ai quattro libici, sono stati colpiti dalle sanzioni Onu anche due cittadini eritrei, Ermias Ghermay e Fitiwi Abdelrazak, perché accusati di essere leader di una rete attiva nella tratta di migranti, in particolare di decine di migliaia di persone provenienti dal Corno d’Africa.

      Per i sei uomini sono scattati il congelamento degli assets bancari e il divieto di viaggio. È la prima volta che le Nazioni Unite emettono sanzioni individuali contro i trafficanti di essere umani in Libia, una decisione presa a fronte delle molteplici testimonianze contro i sei uomini, tant’è che già nel report annuale delle Nazioni Unite nel 2017 i quattro libici venivano citati come i principali attori del traffico di esseri umani in Libia.

      Gli uomini sotto sanzione: rivalità e alleanze

      Musab Abu Qarin è capo della Brigata Al Wadi; mentre Al Ammu è a capo della Brigata Anas Dabbashi. Sono entrambi miliziani che sulla pelle dei migranti hanno costruito il proprio impero.

      Concorrenti in affari, nel campo politico-militare i due sono nemici giurati. Musab è schierato con la frangia reazionaria della Libia rappresentata dal Generale Khalifa Haftar, da sempre sostenuto da Egitto e Emirati Arabi Uniti con l’avallo della Francia. Sebbene non sia ufficiale, il Dottor Musab è la longa manus della brigata Al Wadi, al servizio dei salafiti madkhali di cui fa parte anche Haftar e della coalizione formata sotto l’egida dell’operazione “Al Karama”, dignità in arabo, lanciata nel 2014 dal generale contro la lobby islamista dei Fratelli Musulmani. Dabbashi invece fa parte della fazione opposta, “Fajr Libya”, che in arabo significa Alba della Libia, sostenuta principalmente da Qatar e Turchia, e in maniera più discreta dall’Italia. Oltre ad Al Ammu, fanno parte della stessa lobby politico-militare anche il capo dei Guardiacoste di Zawiya Milad e Mohamed Khushlaf.

      Un dettaglio non da poco se si vuole comprendere il gioco politico che si sta consumando in Libia sulla pelle della popolazione locale e dei migranti che da lì transitano in rotta verso l’Europa. Infatti ai tempi del sodalizio tra Unione Europea e istituzioni libiche garantito dal Fondo Fiduciario europeo per l’Africa tra il 2016 e l’inizio del 2017, il governo di Serraj rappresentava ancora una sorta di corpo estraneo al paese senza identità né appartenenza. E attraverso la formula della delega a scatole cinesi, i soldi inviati da Bruxelles o da Roma verso Tripoli venivano poi equamente redistribuiti tra i vari potentati locali.
      Porticciolo di Sabrata - uno dei punti di partenza dei barconi di migranti verso l’Europa (foto: Nancy Porsia)

      A maggio del 2017, il capo dei guardiacoste di Zawiya, Milad, veniva ricevuto in Italia come membro della delegazione libica su invito dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Oim) in collaborazione con Operazione Eunavfor Med – Sophia. Come ci raccontarono loro stessi all’epoca dei fatti, alcuni uomini di Zawiya, richiedenti asilo in Italia che si trovavano nei centri di accoglienza visitati dal comandante Milad nel corso del tour siciliano, rimasero increduli davanti all’arrivo di colui che conoscevano come “Al Bija” in quello che pensavano fosse un luogo sicuro. Questo mentre sulla sponda sud del Mediterraneo Dabbashi e il Dottor Musab godevano entrambi di ampi spazi di manovra per i loro affari. Infatti nel braccio di costa di 70 chilometri tra Sabrata e Al Mutrud, un villaggio a ovest di Zawiya, si concentrava la quasi totalità delle partenze delle carrette del mare dalla Libia verso l’Europa.

      Ma nell’estate del 2017, l’allora Ministro degli Interni italiano Marco Minniti, con la firma del Memorandum of Understanding, giocoforza ha dato prevalentemente spazio ad alcuni gruppi della coalizione Fajr Libya, attraverso il sostegno indiretto alla Brigata 48 a guida Dabbashi, che proprio in quel periodo si era lanciata sul fronte del contrasto alla migrazione irregolare, e alla Guardia Costiera di Zawiya.
      La guerra di Sabrata

      Mentre Minniti si compiaceva dell’improvviso calo degli arrivi dalla Libia sulla sponda italiana, a ovest di Tripoli la controparte rimasta fuori dai giochi internazionali dichiarava guerra al nemico, e a settembre dello scorso anno si scatenava una guerra senza precedenti tra fazioni opposte. La sala operativa di Zawiya, testa d’ariete della brigata Al Wadi e dei salafiti madkhali nella regione ovest, ha sferrato un attacco massiccio contro Dabbashi. Durante quella che passerà alla storia come la “guerra di Sabrata”, migliaia di migranti venivano messi in mare dai Dabbashi così come dal Dottor Musab, mentre altrettante persone venivano scacciate dalla città via terra. In due giorni la città vicina di Zuwara ne ha accolti tremila.

      In quel frangente Dabbashi trovava riparo da Al Bija, suo fratello in armi dai tempi della Rivoluzione nel 2011. La conferma di questo sodalizio politico-militare ha portato, per un effetto domino, a un altro cambio della guardia importante: i salafiti madkhali a Tripoli, le Forze Speciali Rada, sconfinavano da quello che era il loro campo di competenza, la lotta al terrorismo, e si univano alle forze impegnate sul fronte anti-traffico.
      Le trasformazioni di Ben Khalifa

      A settembre dello scorso anno, le Forze Rada hanno annunciato in pompa magna l’arresto del trafficante Fahmi Ben Khalifa, dichiarando di aver preso il capo della rete del traffico dei migranti e incassando il plauso della comunità internazionale. Tuttavia, Fahmi Ben Khalifa era un noto passatore di migranti all’epoca del regime di Gheddafi. Grazie ai suoi ottimi rapporti con alcuni uomini d’affari a Malta, riusciva a far arrivare in Europa centinaia di migranti. Sempre in quel periodo, Ben Khalifa trafficava droga a livello internazionale sfruttando la posizione strategica della sua città, Zuwara, al confine con la Tunisia e a un tiro di schioppo da Malta e dall’Italia via mare.

      Ma all’indomani della caduta del regime, Ben Khalifa ha capitalizzato i suoi contatti a Malta e reinvestito sul traffico del diesel, dove la linea di demarcazione tra legalità e illegalità è meno definita. Già nel 2014 Ben Khalifa risultava essere il principale contrabbandiere di diesel in Libia. Tuttavia, secondo fonti di sicurezza della città di Zuwara, Ben Khalifa non aveva più nulla a che fare con il traffico di droga e di esseri umani. Eppure le Forze Rada lo hanno dato in pasto all’opinione pubblica europea come il principale attore del business sui migranti in Libia, proprio mentre l’Europa negoziava il consenso politico sul fronte anti-immigrazione, incurante degli introiti che la mafia incassa attraverso il traffico di diesel.

      Tra l’altro, anche nel campo del contrabbando degli idrocarburi, l’attore principale è Mohamed Khushlaf, il quale con la sua brigata Al Nasser controlla la raffineria di Zawiya, unica fonte di tutto il diesel trafficato dalla Libia. Non c’è litro di diesel che esca dalla principale raffineria in funzione nel paese senza il suo consenso. Ma all’epoca dell’arresto e delle foto segnaletiche di Ben Khalifa fatte circolare dalle Forze Rada sul web, i madkhali di Tripoli tentavano ancora di tenere in piedi la strategia doppio-giochista tra le forze Fajr Libya e Al Karama, e quindi Ben Khalifa era un ottimo alibi per coprire il più potente Mohamed Khushlaf.

      Con lo schieramento della comunità internazionale al fianco di Haftar a Parigi lo scorso maggio, la Russia che da sempre sostiene il Generale, il quale ha già il controllo dell’intero est del paese, ha ritirato il veto posto alla proposta di sanzioni dall’Olanda al Consiglio delle Nazioni Unite. Infatti le sanzioni Onu non hanno spostato di un millimetro l’attuale posizione delle forze madkhali sul campo, e il Dottor Musab diventa la sola vittima sacrificale.
      Cosa dice Milad delle sanzioni

      Sul fronte opposto, all’indomani dell’entrata in vigore delle sanzioni, il generale Milad è stato formalmente sospeso dal suo incarico per quattro mesi, in attesa di prove alle accuse mosse dal Consiglio di Sicurezza. Secondo quanto enunciato dall’Onu, “Milad e altri membri della guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni di migranti, attraverso l’utilizzo di armi da fuoco. Al-Milad collabora con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf (anch’esso oggetto delle stesse sanzioni) che, secondo alcune fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite relative al traffico di migranti. Diversi testimoni di alcune indagini hanno dichiarato di essere stati prelevati in mare da uomini armati e trasbordati sulla nave della Guardia costiera ‘Tallil’, utilizzata dal comandante Milad, e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a percosse”.

      Qualche ora dopo l’annuncio delle sanzioni Onu, sul suo profilo Facebook Milad scriveva: “Ho lavorato tanto contro il contrabbando di diesel permesso dai politici libici corrotti, e per il contrasto nelle nostre acque alle Ong, che altro non rappresentano se non i servizi segreti stranieri e operano con il beneplacito del governo Al Serraj a Tripoli così come quello di Al Thinni nell’est. Abbiamo rinunciato a tangenti cospicue da funzionari di alto rango che chiedevano di lasciare lavorare le Ong. E per quanto le sanzioni siano un duro colpo, noi passeremo alla storia come quelli leali al paese. E solo Dio sa quanto abbiamo sofferto per questo paese”.

      Prendendo le distanze dal Governo Serraj, anche il comando centrale dei Guardiacoste a Tripoli difende a spada tratta il proprio uomo, tanto che l’Ammiraglio Abdallah Toumia ha criticato fortemente la decisione del Consiglio di Sicurezza Onu, e ha commentato in tv: “Questo non è comprensibile dopo gli sforzi profusi dal nostro comandante sequestrando sei petroliere e salvando ben 17 mila migranti davanti alle coste libiche”.

      Tra quelli sanzionati dall’Onu, dunque, solo Dabbashi risulta fuori gioco. E secondo fonti della sicurezza a ovest di Tripoli, oggi l’ex re del traffico dei migranti di Sabrata è sotto l’ala protettiva del generale Milad.

      http://openmigration.org/analisi/guardie-e-ladri-i-trafficanti-colpiti-dalle-sanzioni-onu-e-leffetto-i

    • Immigration : Rome et Tripoli veulent réactiver leur #traité_d’amitié

      L’Italie et la Libye ont convenu samedi de réactiver leur traité d’amitié signé en 2008, qui permet le refoulement de migrants en territoire libyen, à l’occasion de la première visite à Tripoli du chef de la diplomatie italienne Enzo Moavero Milanesi.

      Le traité signé par les ex-dirigeants des deux pays, Mouammar Kadhafi, renversé par une révolte populaire et tué en 2011, et Silvio Berlusconi, avait marqué la fin de 40 ans de relations tumultueuses entre la Libye et son ancien colonisateur. Mais il avait été suspendu en février 2011 après le début de la révolte libyenne.

      Il prévoit des investissements italiens en Libye de cinq milliards de dollars en compensation de la période coloniale. En contrepartie, la Libye s’engage à limiter l’immigration clandestine depuis ses côtes. Le traité permettait notamment le refoulement en Libye des migrants partis de ce pays, une clause dénoncée par les défenseurs des droits de l’Homme.

      « Nous nous sommes mis d’accord sur la réactivation du traité d’amitié italo-libyen de 2008 », a déclaré le ministre libyen des Affaires étrangères Mohamad Siala lors d’une conférence de presse conjointe avec son homologue italien dans la capitale libyenne Tripoli.

      M. Milanesi a lui jugé ce traité « important et prometteur ».

      Les deux ministres n’ont pas précisé si le texte allait être amendé ou réactivé tel quel.

      Selon le ministre italien, avec ce pacte, « toutes les conditions sont réunies pour travailler main dans la main en vue d’appuyer le processus de stabilisation, la sécurité et l’unité de la Libye ».

      Il a ajouté que la Libye « partageait avec l’Union européenne la responsabilité et le devoir de faire face aux flux de migrants ». « La coopération entre la Libye, l’Italie et l’UE est essentielle pour résoudre la question de l’immigration et éviter des drames humains » en Méditerranée, qui se sont multipliés ces dernières semaines au large de la Libye.

      M. Milanesi a jugé « essentiel d’oeuvrer dans les pays d’origine » des migrants pour les dissuader de tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Italie, tout en soulignant l’importance d’aider la Libye à sécuriser ses frontières maritime et terrestre dans le Sud.

      Du temps de Kadhafi, des milliers de migrants traversaient les frontières sud longues de 5.000 km, notamment pour tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Europe.

      La situation a empiré après la chute du dictateur, les passeurs profitant du chaos en Libye pour envoyer chaque année des dizaines de milliers de migrants à destination de l’Italie.


      http://www.liberation.fr/planete/2018/07/07/immigration-rome-et-tripoli-veulent-reactiver-leur-traite-d-amitie_166490

      #traité_d'amitié_bis

    • Migrants : l’Italie et la Libye exhument un accord vieux d’il y a dix ans

      L’Italie cherche à fermer ses frontières. Dans ce sens, le nouveau gouvernement vient de réactiver un traité d’amitié signé avec la Libye en 2008. A l’époque, le texte avait permis à Silvio Berlusconi et Mouammar Kadhafi de mettre fin à 40 ans de relations tumultueuses, mais le début de la révolte libyenne, en février 2011, avait enterré l’accord. Le nouveau chef de la diplomatie italienne l’a ressorti lors de sa première visite à Tripoli le week-end dernier, car il permet le refoulement des migrants partis de Libye.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180709-migrants-italie-libye-exhument-accord-vieux-il-y-dix-ans

    • Migranti, prezzi aumentati e rotte modificate: così in Libia i trafficanti sono tornati a lavoro

      Il “tappo” sta saltando - Da Zwara a Garabulli, i capibanda libici stanno riattivando i punti di partenza bloccati un anno fa, sfidando i mandati di arresto

      È passato circa un anno da quando alcuni trafficanti di esseri umani, insieme a pezzi della Guardia Costiera corrotta a ovest di Tripoli, accettarono di sbarrare il passaggio ai migranti. I trafficanti di esseri umani si trasformarono in guardie, e le guardie tornarono a fare le guardie. Quel tratto di costa per due anni era stato il principale trampolino di lancio per le persone che cercavano un passaggio verso l’Europa.

      All’epoca, Roma “mandò a dire” alle controparti libiche che se non si fossero allineati sarebbero state scovate e arrestate dalle autorità internazionali. Molti degli interlocutori libici decisero di adeguarsi alle nuove regole del gioco. E il meccanismo oramai oliato si ruppe portando alla cosiddetta ‘guerra di Sabrata’ tra i principali trafficanti della città, Ahmed Dabbashi e Mus’ab Abu Qarin.

      Nel frattempo le istituzioni libiche sono state affiancate e sospinte dall’Europa a mettere in cima alle proprie priorità il flusso migratorio irregolare, ovviamente in cambio di legittimità e denari. E dunque anche le meno operative unità di Guardia Costiera o altri gruppi armati sono tornati in prima linea. Lo scorso giugno il Consiglio di sicurezza Onu ha inserito Dabbashi e Abu Qarin nella propria lista nera insieme al capo della Guardia Costiera Abdul Rahaman Milad e il responsabile della raffineria della città di Zawiya, 30 chilometri a est di Sabrata.

      “Con la stretta delle forze di sicurezza sul traffico degli esseri umani, i prezzi del mercato sono aumentati molto. E i grandi pesci sono tornati a lavorare con le vecchi modalità”, ha detto al Fatto una fonte di Zawiya. E giovedì, dalle coste libiche, è partito il barcone in legno con a bordo 450 migranti.

      Anche le rotte su territorio libico cambiano assetto. A Ovest di Tripoli, Sabrata e Zawiya hanno ceduto il passo a Zuwara, la città che per vent’anni è stata il principale snodo per la traversata del Mediterraneo e che negli ultimi tre anni ha visto le forze locali stringere in una morsa i trafficanti locali. “Le autorità locali da sole non possono reggere ancora a lungo. E i trafficanti stanno tornando alle loro postazioni”, spiega al Fatto una fonte di Zuwara. Secondo la Guardia Costiera di Tripoli, il barcone sarebbe partito proprio da Zuwara. A est della Capitale si estende la costa da cui partono l’80% delle imbarcazioni cariche di migranti, secondo una fonte vicina alla intelligence libica. Garabulli, 50 chilometri a oriente di Tripoli, è il principale punto di imbarco insieme alla città di Al Khoms, 50 chilometri più a est.

      Già ai tempi di Gheddafi, a Garabulli erano diverse le famiglie che lavoravano nel business del trasporto dei migranti: le bianche spiagge rendono quel tratto di costa idoneo per le partenze delle carrette del mare. Le dune scoscese lungo la costa sono un reticolo di sentieri che portano alla battigia. “Quei sentieri sono stati costruiti con escavatori dagli stessi trafficanti”, spiegava tempo fa un membro della Guardia Costiera durante uno dei giri di perlustrazione.

      Garabulli torna oggi a essere un importante punto di imbarco. Non solo per via dello sbarramento a ovest di Tripoli, ma anche perché, pochi chilometri a sud, a Bani Walid, si trova il principale punto di transito per i migranti tra il deserto e la costa.

      Dalla nascita dello Stato Islamico a Sirte nel 2015, il punto di smistamento tra sud e nord si è spostato dalla città natale di Gheddafi, Sirte, a Bani Walid. A Garabulli, inoltre, da più di due anni non esiste una struttura, seppure minima, di forze di sicurezza.

      Nel 2016 pesanti scontri a fuoco tra le milizie locali e quelle della vicina città di Misurata, portarono al fuggi fuggi generale dei gruppi armati incaricati della sicurezza.

      A sud, nel Fezzan, la situazione resta completamente fuori controllo.

      Bande di ladroni senza appartenenza politica si moltiplicano nel vuoto di controllo da parte del governo del premier Serraj, di base a Tripoli, e del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est del Paese.

      Dal Niger i migranti continuano ad arrivare in migliaia, anche se battendo sentieri più pericolosi in seguito alle attività di controllo al confine con la Libia. Nel deserto la città-oasi di Saba, la principale nella regione del Fezzan, resta il punto di passaggio principale. Proprio alla periferia di Saba, una prigione nuova di zecca e mai utilizzata dalle autorità locali, da un paio di anni funge da magazzino per i principali trafficanti della zona.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-ricatto-dei-ras-della-costa-nuovi-accordi-o-piu-migranti

    • L’Italia delega i respingimenti dei migranti in mare alla Libia. Violando i diritti umani

      Il protagonismo delle autorità libiche nelle operazioni di “soccorso” nel Mediterraneo consente al nostro Paese di non rispondere direttamente delle condotte sui migranti. Un escamotage per non finire di nuovo dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2012 aveva duramente condannato l’Italia per i fatti del 2009. Intervista ad Anton Giulio Lana, l’avvocato di quei migranti respinti che hanno vinto la causa a Strasburgo.

      La strategia dell’Italia di delegare i respingimenti dei migranti in mare alle autorità della Libia vìola i diritti umani. Ed è un sostanziale aggiramento della sentenza della Corte europea dei diritti umani che nel 2012 aveva condannato il nostro Paese per aver espulso collettivamente 200 naufraghi intercettati a 35 miglia a Sud di Lampedusa nel maggio 2009. L’avvocato Anton Giulio Lana ha rappresentato 24 di quei respinti a Tripoli dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 2012 ha pronunciato la storica sentenza sul caso “Hirsi Jamaa e altri c. Italia”. Il comportamento italiano fu ritenuto una grave violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti (Art. 3), nonché le espulsioni collettive (Protocollo n. 4) e la mancata possibilità di richiedere la protezione internazionale (Art. 13).
      A nove anni dalla stagione dei respingimenti e a sei dalla sentenza Cedu, il giudizio di Lana sull’approccio dell’Italia è amaro. Navi dei soccorritori bloccate al largo, annunci di porti chiusi, arresti minacciati. E ancora naufragi.

      Avvocato, anche oggi i diritti umani sono violati nel Mediterraneo?
      AGL Sulla scorta della giurisprudenza che è stata adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi, che come noto ha stigmatizzato la violazione da parte del nostro Paese del principio di non refoulement (principio di non respingimento), anche eventuali azioni che dovessero inibire l’accesso delle imbarcazioni che salvano persone in mare contrasterebbe con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E con una serie di disposizioni di carattere internazionale come la Convenzione Montego Bay del 1982 delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) del 1974 e alla Convenzione internazionale del 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimi (SAR) che prevedono che gli sbarchi di persone salvate in mare debbano essere operati nel luogo sicuro più vicino. C’è quindi un contesto di diritto del mare e di diritto internazionale dei diritti umani che prescrive da un lato il divieto di respingimenti e dall’altro l’obbligo di salvare le persone che si trovano in difficoltà su queste “carrette del mare”. Indiscusso il ruolo meritorio che hanno svolto negli anni la Marina italiana e la Capitaneria di porto di Roma per il salvataggio di vite nel mar Mediterraneo, quello che oggi preoccupa sono le nuove iniziative promosse dal governo: chiusura dei porti alle ONG e, anche -almeno nelle intenzioni- alle navi militari straniere che fanno capo all’operazione Sophia.

      Nelle ultime settimane sono stati operati dei respingimenti o comunque azioni che contrastano con le Convenzioni internazionali che ha menzionato?
      AGL Quello che è stato posto in essere, in particolare dal ministro dell’Interno, è una prassi innovativa di annunci via social media. Che è una modalità abbastanza anomala di esercitare il potere e il ruolo per un governo e in particolare per un ministro dell’Interno. Normalmente in un Paese democratico basato sullo Stato di diritto i ministri esercitano il loro ruolo attraverso provvedimenti di varia natura. I quali poi possono anche essere vagliati -in un sistema dove c’è una ripartizione dei poteri- da parte di un’autorità giudiziaria, nella specie da un giudice amministrativo, che potrà valutare validità, fondatezza e motivazioni che hanno indotto ad adottare il provvedimento.

      Annunci a parte, in queste settimane è stata formalmente dichiarata una zona SAR libica e forniti degli estremi di un presunto centro di coordinamento a Tripoli, con il decisivo sostegno italiano e finanziamenti comunitari. È sufficiente questa condizione puramente formale per delegare le operazioni di intercettazione delle imbarcazioni e di successivo trasporto verso le coste libiche per manlevare l’Italia rispetto a quelle situazioni critiche?
      AGL Come militante dei diritti umani, studioso della materia e avvocato posso porre delle domande. E solitamente le pongo a una giurisdizione interna o internazionale, come la Corte di Strasburgo. Quindi non ho risposte. Certo, mi domando se i finanziamenti che vengono dati attraverso modalità varie -anche mediante la fornitura di imbarcazioni alle autorità libiche, piuttosto che la formazione agli operatori libici o altre modalità di supporto- possano concretizzare una corresponsabilità italiana sul piano del diritto internazionale nelle azioni di intercettazione, limitazione e controllo che le forze dell’ordine libiche -se così possiamo definirle- pongono in essere. Io qualche perplessità sul punto ce l’ho.
      Bisognerebbe perciò sottoporre questa questione all’attenzione di un giudice internazionale. So di iniziative dinanzi alla Corte EDU che sono state adottate proprio per mettere in discussione già la politica adottata dal ministro Minniti, figuriamoci quella del ministro Salvini.

      Si può definire la strategia italiana -trasversale in termini di esecutivi- di stipulare di accordi con un Paese come la Libia per fermare i migranti, una sorta di aggiramento del pronunciamento della Cedu a cui lei ha in maniera decisiva contribuito? È cioè un modo per delegare i respingimenti ai libici quello adottato dall’Italia dopo la sentenza sul caso Hirsi?
      AGL Io credo di sì. Stiamo però parlando di una giurisdizione che ragiona sui fatti. Indubbiamente non ha molto senso con riferimento a questi problemi delicati, complicati e drammatici ragionare in linea teorica, bisognerebbe analizzare un singolo episodio, conoscerlo e valutarlo alla luce del diritto internazionale e del diritto del mare. In linea di principio, e quindi con tutti i limiti che ho detto, questa sorta di outsourcing che è stata ideata mi sembra che contrasti con il diritto internazionale dei diritti umani.

      Nel caso Hirsi ci fu un ricorso. Che tipo di iniziativa occorrerebbe per poter far prendere in esame il comportamento dell’Italia dalla Corte?
      AGL All’epoca del ricorso Hirsi, e siamo nel 2009, un rappresentante di un’organizzazione non governativa si recò in Libia, in questi centri, a raccogliere le procure di alcune delle persone respinte, 24, e sulla base di quelle procure fui in condizione di predisporre il ricorso alla Corte EDU. Quindi analogamente occorrerebbe che delle persone che hanno subito una violazione dei diritti fondamentali, ad esempio un’espulsione collettiva – come fu stigmatizzata nella sentenza del 2012 “Hirsi contro Italia”- presentino un ricorso alla Corte, del tutto analogo. Bisognerebbe insomma che si materializzi un’espulsione collettiva e che le vittime di questa espulsione conferiscano incarico per adire alla Corte.

      In queste settimane gli annunci e le chiusure hanno avuto conseguenze drammatiche sulle vite delle persone. Esistono strumenti immediati per ricorrere alla Corte e inibire questa o quella condotta di uno Stato?
      AGL Sì. L’articolo 39 del regolamento di procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo contempla proprio l’ipotesi di cui lei sta parlando, cioè la possibilità in via d’urgenza di richiedere una misura provvisoria, cautelare, per inibire una determinata condotta da parte di uno Stato. Si potrebbe perciò ottenere un ordine di non respingere in violazione della Cedu, ai sensi dell’articolo 3 laddove le persone una volta respinte fossero sottoposte al rischio concreto di subire torture o trattamenti inumani o degradanti.

      Poniamo che naufraghi alla deriva nelle acque SAR libiche chiamino il centro di coordinamento di Roma per i soccorsi e che questo deleghi “per competenza” a Tripoli le operazioni. L’iniziale contatto con l’MRCC italiano potrebbe essere già un elemento di corresponsabilità in grado di far scattare la giurisdizione della Corte europea?
      AGL Non lo so, dovrei rifletterci con più attenzione. La Corte europea si pronuncia nei confronti dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. Si potrebbe immediatamente ravvisare una responsabilità italiana nel momento in cui su un’imbarcazione delle forze dell’ordine libiche, o della guardia costiera libica, fornite magari dall’Italia alla Libia, vi fossero dei militari o comunque degli esponenti delle forze dell’ordine italiane. Presenti lì per coadiuvare o contribuire alla formazione, o per qualsiasi motivo.
      Il semplice avviso al nostro centro di coordinamento è un’ipotesi su cui dovrei riflettere attentamente, bisognerebbe vedere il caso concreto. Ripeto, è difficile parlare di questioni così delicate, anche umanamente complesse e drammatiche, senza ragionare sulla singola fattispecie ma in teoria.

      A proposito della Libia. Per quel che lei ha avuto modo di seguire rispetto all’evoluzione del Paese dai fatti dei respingimenti del 2009 in avanti, è un Paese che ha superato le gravi problematiche fotografate dalla Corte europea di Strasburgo in termini di sicurezza e diritti umani?
      AGL Purtroppo non credo affatto. Tanto è vero che laddove nel caso concreto fossero operati dei respingimenti verso la Libia, si potrebbe a mio avviso sostenere che quelle persone non solo rischiano di essere rimandate nel Paese di origine, e dunque eventualmente sottoposte a violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), ma prima ancora la violazione consisterebbe nel respingimento verso la Libia in quanto tale, dove queste persone -come ahimè tristemente noto- vengono seviziate, le donne sono stuprate, torturate. La situazione in Libia, come noto dai rapporti delle Ong più autorevoli, è molto articolata e molto complessa e il governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite non ha certamente il controllo del territorio di tutto il Paese.

      Come valuta il fatto che dalla sentenza Hirsi in avanti gli esecutivi -riprendendo la strategia degli accordi bilaterali del 2007, 2008 e 2009- abbiano sostanzialmente individuato nella Libia e nelle presunte autorità del Paese un mezzo per non effettuare dei respingimenti direttamente ma per delegarli?
      AGL In modo molto critico. Penso che siamo in presenza di un fenomeno strutturale, sottovalutato dall’Italia in particolare e dall’Europa in generale da vent’anni a questa parte. Non si tratta di un’emergenza, non è un fenomeno che può indurre una paura o una preoccupazione nei confronti di una popolazione di 500 milioni di abitanti per qualche centinaio di migliaia di persone che prova a migliorare le proprie condizioni di vita o a rifuggire da situazioni di guerra, di tortura o di violazioni di diritti umani. Per cui credo che questo problema doveva e ancora oggi deve essere affrontato in maniera radicalmente diversa. Con un impegno sistemico dell’Italia e dell’Europa intera.

      https://altreconomia.it/italia-libia-respingimenti-diritti-lana

    • Salvini: «Cambiare le norme e considerare quelli libici porti sicuri». Ma da Bruxelles arriva un secco No

      «Dobbiamo cambiare la normativa e rendere i porti libici porti sicuri. C’è questa ipocrisia di fondo in Europa in base alla quale si danno soldi ai libici, si forniscono le motovedette e si addestra la Guardia Costiera ma poi si ritiene la Libia un porto non sicuro». Lo dice il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini in una conferenza stampa a Mosca indicando quale sarà l’obiettivo dell’Italia nell’incontro di dopodomani per ridiscutere la missione Sophia. «E’ un bipolarismo europeo che va superato» aggiunge.

      Per arginare il traffico di esseri umani, secondo Salvini, l’unica soluzione «è il blocco delle partenze, aiutando Tunisia, Marocco, Libia ed Egitto a controllare mari, porti e confini». Dobbiamo «soccorrere tutti ma anche riaccompagnarli tutti da dove sono partiti - aggiunge il ministro dell’Interno - E vanno creati canali per l’asilo politico dall’altra parte del Mediterraneo: non far partire più alcuna persona e non far sbarcare più alcuna persona in Italia, e dunque, in Europa, è l’obiettivo. L’Ue deve convincersi che questa è l’unica soluzione per risolvere la questione».

      Il titolare del Viminale è poi tornato a chiedere a Bruxelles «soldi veri» per interventi in Africa e ha ribadito che per le navi delle Ong i porti italiani resteranno chiusi. E quanto ai respingimenti, vietati dalle norme internazionali, Salvini ha sottolineato che «qualcosa che è vietato oggi può diventare normalità domani. Perché qui non parliamo di naufraghi ma di tratta di esseri umani, di un business organizzato dalle mafie dei due continenti».

      Secco no alla richiesta di Salvini da Bruxelles. «Nessuna operazione europea e nessuna imbarcazione europea» riporta i migranti salvati in mare in Libia, perchè «non consideriamo che sia un paese sicuro». Lo dice la portavoce della Commissione, Natasha Bertaud, rispondendo ai giornalisti che chiedevano un commento della Commissione sulle parole del ministro degli Interni, Matteo Salvini, che ha detto che chiederà alla Ue di riconoscere i porti libici come sicuri.

      A stretto giro la controreplica di Salvini. «L’Unione Europea vuole continuare ad agevolare lo sporco lavoro degli scafisti? Non lo farà in mio nome, o si cambia o saremo costretti a muoverci da soli». Così il ministro dell’Interno su Twitter.

      https://www.huffingtonpost.it/2018/07/16/salvini-cambiare-le-norme-e-considerare-quelli-libici-porti-sicuri-ma

    • Lo “scatolone di sabbia”: un anno di inchieste sulla Libia

      Nell’ultimo anno, nella convinzione che conoscere la complessità della Libia aiutasse a leggere più correttamente gli accordi siglati dall’Italia e il loro impatto sui migranti che attraversano il Mediterraneo, abbiamo pian piano costruito una mappa di indagini e storie. In questa estate di nuove e spesso pericolose semplificazioni, ve le proponiamo qui tutte insieme in ordine cronologico.

      http://openmigration.org/analisi/lo-scatolone-di-sabbia-un-anno-di-inchieste-sulla-libia

    • The first Italian vessel promised to the Libyan Coast Guard has just been delivered. Even later than forecast. Unlikely to make a difference for a fragmented, undertrained, understaffed, underequipped Libyan Coast Guard.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1054032047818317824

      «#658_Fezzan», 14 membri di equipaggio. In foto, il primo dei due pattugliatori ’classe Corrubia’ - ex GDF, previsto dal c.d. decreto motovedette - appena arrivato a Tripoli e consegnato dal governo italiano alle milizie libiche.


      https://twitter.com/scandura/status/1054021643440455680
      –-> et ce lien vers un site en arabe : https://almarsad.co/2018/10/21/%D8%A8%D8%A7%D9%84%D8%B5%D9%88%D8%B1-%D9%82%D9%88%D8%A7%D8%AA-%D8%A7%D9%84%

    • Tripoli-based Coast Guard: Italy has provided old boats and is not intended for rescue

      Spokesman of the Tripoli-based Libyan Coast Guard, Ayoub Qassem, said in media statements on Friday that Italy has provided old boats and is not intended for rescue.

      He also accused the international non-governmental organizations of seeking to reap huge profits through illegal flights to and from Libya.

      Qassem revealed that the number of migrant victims reaches 120 thousand annually, because of smugglers’ use for old boats crowded with immigrants. He also said that there are many who drowned in the sea and no one knows about them.

      Qassem demanded Europe to “pay billions annually to us” without which he says “the Coast Guard would not play its role properly against the waves of migration coming from Africa”. He added that Libya is not defending Europe, but defending its sovereignty.

      http://www.addresslibya.com/en/archives/35784

    • L’Italia affida i migranti agli stessi che fa arrestare per contrabbando

      La Guardia costiera di #Zawiya è un’organizzazione criminale. Secondo le Nazioni Unite, fa parte di una milizia coinvolta in numerosi traffici di esseri umani. Secondo carte lette in questi giorni dall’AFP, l’Onu vuole proporre sanzioni contro sei trafficanti, fra i quali al Bija e Mohammed Koshlaf di cui leggerete in questo articolo. Intanto, secondo la Procura di Catania, la stessa Guardia costiera di Zawiya è coinvolta anche nel furto e contrabbando di petrolio, che costa alla Libia 750 milioni di dollari all’anno. Eppure per l’Italia è un’alleata nella lotta all’immigrazione irregolare.

      Zawiya, Libia, 28 giugno 2016. La petroliera Temeteron naviga a 11 miglia dalla costa. È una nave imponente: un tanker di 110 metri di lunghezza che può contenere fino a 4.600 tonnellate; uno di quei giganti, lunghi e piatti, che attraversano le autostrade del mare a basse velocità e per lunghissimi periodi.

      Nel 2016, la Temeteron viaggiava spesso da quelle parti: un andirivieni continuo dalle acque del Mediterraneo davanti alla Libia, fino al porto di Odessa, in Ucraina, o ai porti russi affacciati sul Mar Nero. Il 28 giugno 2016, però, appena prima che uscisse dal territorio nazionale libico, ossia le acque che si allungano fino a 12 miglia dalla costa, è stata intercettata dalla Guardia Costiera di Zawiya. Anzi, come la definiscono i due ricercatori Mark Micallef e Tuesday Reitano in questa ricerca, dalla “Guardia costiera della raffineria di Zawiya”. Il legame tra l’autorità costiera e il polo industriale della città è infatti indissolubile: quei guardacoste, dotati di due unità navali, sono gli stessi che tra gennaio e giugno 2017, secondo la ricerca di Reitano e Micallef, intercetteranno 5.707 migranti sui 10.989 fermati in tutto dalla Guardia costiera libica.

      Torniamo al 28 giugno 2016: la Guardia costiera di Zawiya scorta la Temeteron fino al porto di Tripoli, dove la lascia nelle mani della Marina militare libica. Temeteron si ormeggia: è in stato di fermo e con lei anche l’equipaggio. L’indomani, durante una conferenza stampa, il portavoce della Marina libica Ayoub Qasim sostiene che i suoi uomini abbiano trovato a bordo della petroliera 5.227 tonnellate di gasolio di contrabbando, rubato dalla raffineria di Zawiya. Il dato, riportato su diversi media, sembra scorretto, perché supera il tonnellaggio della nave. Non ci sono però altre versioni. Il fermo è stato certamente convalidato: l’equipaggio – cinque ucraini, tre russi e un greco – è rimasto nelle carceri libiche fino al 2 marzo 2017.

      Navi come la Temeteron, con gli stessi presunti carichi illeciti, passano spesso al largo di Zawiya. Eppure i controlli delle autorità locali sono sporadici. Il motivo è semplice: la Guardia costiera della città è parte di un’organizzazione criminale che contrabbanda gasolio. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, quella stessa Guardia costiera è coinvolta anche nel traffico di esseri umani. Migranti e gasolio, insieme al greggio, sono i pochi “beni di esportazione” della Libia: controllare questi mercati, di fatto, significa avere le mani sull’export del paese.
      La raffineria protetta dalla Guardia costiera

      La Azzawiya Oil Refinery Company è una raffineria di proprietà statale, aperta nel 1974. È la più grossa della Libia, con una capacità massima di 120 mila barili di greggio al giorno. La controlla la National Oil Company (Noc), l’azienda statale che gestisce gas e petrolio. È socia alla pari della nostra Eni nella Mellitah Oil & Gas, joint venture italo-libica che sorge sempre nella striscia di costa libica famosa come luogo di partenza degli sbarchi.

      La Noc è l’unica autorità del paese nordafricano che può approvare le esportazioni all’estero. Da maggio del 2014 a guidarla è Mustafa Sanalla, manager risoluto, consapevole di occupare il vertice dell’unica istituzione del paese capace, almeno in un immediato futuro, di dare un’economia alla Libia. Il 18 aprile, durante il convegno Oil & Fuel Theft a Ginevra, Sanalla ha affermato che la Libia ogni anno perde 750 milioni di dollari: il 30-40 per cento del gasolio e del greggio importati o prodotti dalla Libia “viene rubato”, ha detto. In altre parole, viene esportato senza un’autentica autorizzazione della Noc, e quindi senza che la compagnia statale libica possa incassare un centesimo di tasse da questa compravendita.

      Gli unici a guadagnare, così, sono i criminali che appartengono al cartello che ha portato il prodotto fuori dalla Libia. Gli acquirenti, che pagano il prodotto in media un terzo del prezzo di mercato, sono soprattutto italiani, spagnoli, tunisini, turchi e russi. A febbraio, la Procura generale di Tripoli ha spiccato 144 mandati d’arresto per traffico di gasolio nell’ovest della Libia. Non sono ancora noti né i nomi dei ricercati, né quanti di loro siano stati effettivamente portati in carcere.
      La mafia libica dei Koshlaf e di al-Bija

      La storia della Temeteron fa parte dell’inchiesta Dirty Oil, lavoro della procura di Catania che ha indagato sulla parte di prodotto che finisce nelle raffinerie italiane, portando in carcere sette persone. Il petrolio tracciato dall’operazione – 82 mila di tonnellate in un anno – rappresenta un trecentesimo del mercato italiano, secondo la stima dell’associazione dei petrolieri Assopetroli.

      Per camuffare i carichi di contrabbando, i gruppi di trafficanti – rivela l’inchiesta – falsificano i certificati d’origine del gasolio, oppure applicano finti timbri d’autorizzazione della Noc. In questo modo, i documenti sono validi per lo scarico in qualunque raffineria europea.

      Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese assassinata con un’autobomba il 16 ottobre, si era resa conto del fiorire di questo contrabbando sulla sua isola: Malta è il centro dove si svolge la maggior parte di queste contraffazioni. Il centro di giornalismo investigativo IRPI ha proseguito il suo lavoro, investigando sui protagonisti di questi traffici che partono da Malta. L’inchiesta di IRPI è stata pubblicata con il Daphne Project, progetto di giornalismo collettivo nato allo scopo di proseguire ciò che aveva scoperto o intuito la giornalista assassinata.

      Una pista investigativa porta da Malta alla Libia, dove sta una parte dell’organizzazione criminale arrestata a seguito dell’inchiesta Dirty Oil. In larga misura, i membri del gruppo libico sono ancora liberi. Almeno per tutto il 2016-17, la loro organizzazione è stata tra le più potenti della striscia costiera di 150 chilometri che dal confine con la Tunisia corre fino a Zuwara. Al suo vertice, Walid Koshlaf e Mohammed Koshlaf (detto al-Qasseb): secondo l’Onu, fratelli, e secondo un articolo determinante di Nancy Porsia su Trt, cugini. Uno dei loro luogotenenti è una vecchia conoscenza dell’Italia: la scorsa estate è stato accusato da Washington Post e Middle East Eye di essere a capo della Guardia costiera pagata e addestrata dal governo italiano per fermare i migranti. Il suo nome è Abdurahman al-Milad, detto al-Bija.

      Come si legge nel rapporto Onu del 1 giugno 2017, al-Bija con altri guardacoste “è direttamente coinvolto nell’affondamento delle navi dei migranti a colpi di armi da fuoco”. Dal rapporto Onu sappiamo anche che i Koshlaf dentro la raffineria di Zawiya “hanno aperto un rudimentale centro di detenzione dei migranti”(di cui in questo rapporto di Amnesty si vede una foto satellitare a pag.28). Una parte dei migranti “salvati” da al-Bija viene spesso condotta al centro di detenzione dei Koshlaf. Dal marzo 2016, la prigione risulta accreditata come centro sotto la direzione del Dipartimento per la lotta all’immigrazione irregolare (Dcim) del Governo di Tripoli. A dicembre 2016, la missione Onu in Libia (Unsmil), insieme all’Alto commissariato Onu per i diritti umani, ha pubblicato un rapporto in cui elencava le violazioni compiute in quelle strutture, compresa quella di Zawiya. L’Unicef riporta che per uscire da questi centri è necessario pagare una sorta di riscatto alle guardie carcerarie (cioè alle milizie).

      La tribù dei Koshlaf, gli Awlad Bu Hmeira, a cui appartiene anche al-Bija, controlla stabilmente la raffineria dal 2014. Quella che durante la guerra civile era una milizia tribale, oggi è una forza “regolare”, ufficializzata come corpo di guardia all’esterno del compound della raffineria di Zawiya: sono le Petroleum Facility Guard (Pfg), divisione di Zawiya, titolari di un contratto con la Noc. Prima del 2016 era la Brigata al-Nasr, una milizia pro-islamista che nel 2014 ha fatto parte della coalizione Libya Dawn, prima dell’avvento del governo sponsorizzato dalla Nazioni Unite guidato da Fayez Serraj. Secondo i rapporti Onu, la brigata è la prima responsabile dei furti di petrolio alle raffinerie, tanto che a gennaio 2017 Sanalla l’aveva formalmente deposta, arrivando a definire “terroristi” i suoi componenti. Nell’ultimo rapporto della Chatham House di Londra, però, si riporta che già il 16 ottobre 2017 i Koshlaf sono tornati a capo della milizia a difesa della raffineria di Zawiya.
      Perché la Temeteron è stata fermata?

      Tutte le operazioni che hanno portato a intercettare navi cariche di gasolio di contrabbando, secondo l’inchiesta Dirty Oil, sono avvenute nella zona tra Abu Kammash e Zuwara, vicino al confine libico-tunisino, zona di competenza della Guardia costiera di Zawiya.

      Eppure i suoi guardacoste non sono sempre efficienti e zelanti. La Temeteron, che ha un curriculum di contrabbando alle spalle (sigarette nel 2004 e poi gasolio nel 2015, per il quale venne fermata in Grecia), prima di quella data non era mai stata fermata dai libici. Secondo gli inquirenti, però, si era già dedicata al traffico di gasolio. Allora cos’è successo di diverso, il 28 giugno 2016?

      La risposta ce l’ha Fahmi Ben Khalifa, l’uomo che per conto dei Koshlaf gestiva le partite di gasolio di contrabbando dirette prima a Malta e poi in Italia. Un altro “affiliato” alla loro associazione a delinquere. Ben Khalifa aveva anche una società di trading e una nave, Tiuboda, battezzata con il nome di una città berbera ormai scomparsa sott’acqua.

      Ben Khalifa, alias il Malem, il capo, faceva affari insieme a due maltesi, Darren e Gordon Debono (che non sono parenti) e a un siciliano legato a Cosa Nostra, Nicola Orazio Romeo. Questi è in carcere dall’agosto del 2017, arrestato dalle Rada, le forze speciali del Ministero dell’Interno. I suoi partner sono in carcere in Italia da ottobre 2017, quando è scattata l’inchiesta Dirty Oil. Secondo un rapporto Onu ancora inedito che abbiamo consultato, gli interessi di Ben Khalifa ora sarebbero curati dai fratelli, proprietari di una stazione di benzina di contrabbando a Marsa Tiboda, vicino Abu Kammash.
      La scalata per la Temeteron

      Il cartello internazionale, a differenza della branca libica dell’organizzazione, non ha legami di clan. Non c’è nulla, se non il profitto, a tenere insieme contrabbandieri e fornitori. Tra i due Debono non correva nemmeno buon sangue: Darren era il più legato a Ben Khalifa – il fornitore libico – e a Romeo – l’uomo che gli mette a disposizione gli acquirenti in Italia. Ma Gordon Debono disponeva, grazie ai suoi contatti, di importanti compagnie di trasporto marittimo che vanno dalla Spagna all’Ucraina. La sua esperienza da broker era la più longeva.

      Nel momento in cui il rapporto fra Darren e Gordon si logora, Darren e Ben Khalifa provano a impossessarsi della Temeteron, che è una nave di dimensioni paragonabili a quelle a disposizione di Gordon. Vogliono trovare un modo per fare a meno di lui. La scalata per la Temeteron, però, fallisce, alla fine Gordon riesce a soffiare loro l’affare e comprarsi la nave. Intercettati dalla Guardia di Finanza di Catania durante una telefonata, due acquirenti italiani vicini a Darren hanno raccontato che è stato il libico ad aver segnalato alle autorità libiche il carico illecito a bordo della Temeteron e – a pochi giorni distanza – della San Gwann, altra petroliera riconducibile a Gordon Debono. Questa ipotesi, come si desume da vari dettagli delle carte dell’inchiesta Dirty Oil, è accreditata anche dagli investigatori.

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia. Se lo scopo della lotta ai trafficanti ha anche l’obiettivo di stabilizzare la Libia, come detto in più occasioni pubbliche dal Ministro dell’Interno Marco Minniti, allora la strategia è da rivedere. L’Italia ha legittimato l’esistenza di questa Guardia costiera, lasciandole, in sostanza, la possibilità di arricchirsi, oltre che con i migranti, anche con il traffico di gasolio. I nostri inquirenti si trovano così nella situazione di dover arrestare componenti di quel cartello con cui il Viminale ha in realtà siglato un accordo di collaborazione.

      https://openmigration.org/analisi/litalia-affida-i-migranti-agli-stessi-che-fa-arrestare-per-contrabban
      #milice #Temeteron #Azzawiya_Oil_Refinery_Company #raffinerie #National_Oil_Company (#Noc) #Eni #Mellitah_Oil_&_Gas #Mustafa_Sanalla #Dirty_Oil #contrebande #pétrole #Walid_Koshlaf #Mohammed_Koshlaf #al-Qasseb #Abdurahman_al-Milad #al-Bija #Awlad_Bu_Hmeira #Petroleum_Facility_Guard #Libya_Dawn #Fayez_Serraj #Abu_Kammash #Zuwara #Tiuboda #Malem #Darren_Debono #Gordon_Debono #Cosa_Nostra #mafia #Nicola_Orazio_Romeo #Marsa_Tiboda

      En bref:

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia.

      #trafic_de_pétrole #trafic_d'êtres_humains

    • Départ de migrants vers l’Europe : l’Italie aurait négocié avec un trafiquant d’êtres humains libyen

      #Abd_al-Rahman_Milad, surnommé #Bija, est un militaire libyen accusé par l’ONU d’être l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains. L’homme est également sous le coup d’une enquête de la Cour pénale internationale. Pourtant, selon le média catholique italien Avvenire, Bija a participé à une réunion en Sicile au mois de mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens à propos des traversées des migrants vers l’Europe.

      C’est une information qui embarrasse l’Italie. Dans une enquête publiée vendredi 4 octobre, le média catholique italien Avvenire assure que l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains en Libye, également commandant des garde-côte libyens, a participé à une réunion organisée en Sicile en mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens.

      Le but de cette réunion était de discuter du contrôle des flux de migrants depuis les côtes libyennes.

      Enquête de la CPI

      Abd al-Rahman Milad, surnommé Bija, est notamment accusé par l’ONU d’être responsable d’une fusillade en plein mer contre des navires humanitaires mais également contre les bateaux de pêcheurs qui pourraient transporter des migrants. Il serait aussi à la tête d’une mafia insérée dans la classe politique et économique installée dans la région de Zaouia, dans le nord-ouest de la Libye.

      Depuis l’été dernier, Bija fait l’objet de sanctions de la part du Conseil de sécurité des Nations unies et ne peut plus sortir de Libye. La #Cour_pénale_internationale (#CPI) enquête également sur ses activités.

      Selon Avvenire qui publie des photos de la réunion, Bija a obtenu un laissez-passer pour entrer en Italie et assister aux discussions. Le trafiquant s’est présenté comme « un commandant des garde-côtes libyens ». Il aurait alors demandé aux Italiens des fonds pour gérer l’accueil des migrants en Libye.

      Lors d’une visite au centre d’accueil de Mineo, en Sicile, à l’invitation des autorités italiennes, Bija a été reconnu par un migrant libyen. « Mafia Libya, mafia Libya » s’est exclamé l’homme en voyant le trafiquant.

      En février 2017, le Times a diffusé une vidéo dans laquelle on voit un homme en tenue de camouflage frapper violemment un groupe de migrants sur une embarcation de fortune. Le milicien apparaît avec un handicap à la main droite, tout comme Bija qui a perdu des doigts lors des combats anti-Kadhafi de 2011.

      « C’est un homme violent et armé »

      En septembre, une enquête en Sicile a permis l’arrestation de trois trafiquants présumés qui s’étaient cachés parmi les migrants dans un hotspot de l’île. Ils sont accusés de torture, d’enlèvement et de traite d’êtres humains dans le centre de détention de Zaouia, contrôlé par ce même Bija. Plusieurs migrants interrogés ont alors déclaré aux policiers que cet homme "était chargé du transfert des migrants vers la plage. « C’est un homme violent et armé, nous le craignions tous », a insisté l’un d’entre eux.

      En février 2017, le ministre italien de l’Intérieur, Marco Minniti, a signé un accord avec le chef du gouvernement libyen d’union nationale, Fayez al-Sarraj, afin de déléguer la responsabilité des secours en mer aux autorités libyennes. Un accord controversé, les ONG assurant que la Libye n’était pas un pays sûr.

      La polémique vise aussi l’Union européenne, critiquée pour avoir financé la formation des garde-côtes libyens et leur avoir fourni des navires. Un de ces bateaux a notamment été confié aux troupes de Bija pour intercepter les migrants en mer et les empêcher d’atteindre l’Europe, selon un document de la CPI.

      Bija aurait donc en fait une double casquette selon Avvenire : celui de garde-côte et de passeur. D’un côté, il intercepte des migrants en mer pour les ramener en Libye et de l’autre, il organise leur traversée vers l’Europe.

      Le journal italien précise qu’un mois après la visite de Bija en Sicile, les départs de migrants depuis les côtes libyennes ont diminué de 50%.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/20076/depart-de-migrants-vers-l-europe-l-italie-aurait-negocie-avec-un-trafi
      #gardes-côtes_libyens

      –--------

      Bija apparaît sur seenthis déjà en 2017, dans ce même fil de discussion : https://seenthis.net/messages/600874#message625178
      Et ici : https://seenthis.net/messages/576747

    • Human trafficker was at meeting in Italy to discuss Libya migration

      #Abd_al-Rahman_Milad attended 2017 talks between intelligence officials and Libyan coastguard.

      One of the world’s most notorious human traffickers attended a meeting in Sicily with Italian intelligence officials to discuss controls on migrant flows from Libya.

      Abd al-Rahman Milad, known as #Bija, took part in a meeting with Italian officials and a delegation from the Libyan coastguard at Cara di Mineo, in Catania, one of the biggest migrant reception centres in Europe, on 11 May 2017.

      Bija’s presence was documented by the Italian newspaper Avvenire, which on Friday published an extensive investigation into the meeting.

      A UN security report published in June 2017 described Bija as a bloodthirsty human trafficker responsible for shootings at sea and suspected of drowning dozens of people. He is considered to be the leader of a criminal organisation operating in the Zawyah area in north-west Libya, about 28 miles west of Tripoli.

      https://i.guim.co.uk/img/media/6820513c9e08340e261337ba4c483ed098cf1be0/0_0_1000_1250/master/1000.jpg?width=380&quality=85&auto=format&fit=max&s=87be32c7882ff9ce055395

      In February 2017, the then Italian interior minister, Marco Minniti, signed a memorandum with the leader of Libya’s UN-recognised government, Fayez al-Sarraj, introducing a new level of cooperation between the Libyan coastguard and the Italians, including the provision of four patrol vessels.

      The controversial deal has empowered the Libyan coastguard to intercept migrant dinghies at sea and bring them back to Libya, where aid agencies say the migrants and refugees suffer torture and abuse. The deal, which entailed Italy providing funds and equipment, was made by Minniti, a former communist with deep connections to Italian intelligence and the levers of the Italian state, in an attempt to stem the flow of migrants to its shores.

      The agreement was recently reinforced by Italy’s interior minister, Luciana Lamorgese, at a meeting in Malta with his counterparts from France, Germany and Malta.

      According to Avvenire, which obtained the photos from a source present at the meeting, Bija obtained a pass to enter Italy and take part in the meeting, which was also attended by north African delegates from a handful of international humanitarian agencies. Bija was presented at the meeting as “a commander of the Libyan coastguard”.

      Bija had already been recognised by a number of migrants in Cara di Mineo on the day of the meeting.

      According to the Italian newspaper’s source, Bija that day asked the Italian authorities for funds to manage the reception of migrants in Libya.

      “There had always been suspicions about the agreement between the Libyan coastguard and the Italian government,” Nello Scavo, who wrote the Avvenire story, told the Guardian. “In the past, there had already been talk of the suspected involvement of traffickers in the Libyan coastguard. But now we have the evidence. It seems really strange that Italian intelligence was not aware of Bija’s identity. It is difficult to believe they were distracted.”

      Last September, detectives in Sicily arrested three men who allegedly raped and tortured dozens of migrants in a detention centre in the north-west of Libya.

      Prosecutors in Agrigento have collected testimonies from numerous asylum seekers from north Africa, who allegedly recognised their former captors at a migrant registration centre in Messina, Sicily.

      The three alleged captors, a 27-year-old Guinean man and two Egyptians, 24 and 26, are accused of torture, kidnapping and human trafficking, operated in Zawiya detention centre, the same centre where Bija operated.

      In some of the migrants’ testimonies, contained in the survey documents seen by the Guardian, asylum seekers talk about a man who called himself “Abdou Rahman, who was in charge of transferring migrants to the beach. It was he who, in the end, decided who could embark or not. He was a violent man and armed. We all feared him.”

      Friday’s development came as the Italian foreign minister, Luigi Di Maio, presented a new decree regarding asylum seekers, which he said would cut the time it took for a decision on whether a migrant should be repatriated to four months.

      https://www.theguardian.com/world/2019/oct/04/human-trafficker-at-meeting-italy-libya-migration-abd-al-rahman-milad
      #Minniti

    • La trattativa nascosta. Dalla Libia a #Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss

      Le foto dell’incontro nel 2017 tra il numero uno dei trafficanti di esseri umani, Bija, e delegati inviati dal governo.

      Quando il minibus coi vetri oscurati entra nel Cara di Mineo, solo in pochi conoscono la composizione della misteriosa delegazione da Tripoli. È l’11 maggio 2017. L’Italia sta negoziando con le autorità libiche il blocco delle partenze di profughi e migranti. Oggi sappiamo che quel giorno, senza lasciare traccia nei registri d’ingresso, alla riunione partecipò anche Abd al-Rahman al-Milad, il famigerato Bija. (IL PROFILO)

      Le numerose immagini ottenute da Avvenire attraverso una fonte ufficiale, documentano quella mattinata rimasta nel segreto. Accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawyah, aveva ottenuto un lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità italiane a studiare «il modello Mineo», da dove in questi anni sono passati oltre 30mila migranti. Accordi indicibili che proseguono anche adesso, nonostante le reiterate denunce delle Nazioni Unite.

      All’incontro, partecipavano anche delegati nordafricani di alcune agenzie umanitarie internazionali, probabilmente ignari di trovarsi seduti a fianco di un signore della guerra dedito alle peggiori violazioni dei diritti umani. Non deve essere un caso se, pochi giorni dopo, le Nazioni Unite in un durissimo rapporto del Consiglio di sicurezza denunciavano: «Abd al-Rahman Milad (alias Bija) e altri membri della Guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni migranti utilizzando armi da fuoco». Si chiede il congelamento dei beni e il divieto di viaggio di Bija al di fuori della Libia. Nel dossier quel nome viene citato per sei volte: «È il capo del ramo di Zawiyah della Guardia costiera. Ha ottenuto questa posizione grazie al supporto di Mohammad Koshlaf e Walid Koshlaf». Questi erano a capo della “Petroleum Facilities Guard”, controllavano la locale raffineria disponendo di una milizia di almeno duemila uomini.
      Sembra impossibile che le autorità italiane non sapessero chi era l’uomo seduto al tavolo dello strano convegno.

      Diversi mesi prima del suo arrivo in Italia, Bija era finito nel mirino di una raffica di inchieste giornalistiche e investigazioni internazionali. Il 14 febbraio 2017 The Times diffonde un video nel quale si vede un uomo in divisa mimetica picchiare selvaggiamente un gruppo di migranti su un gommone. Ripreso di spalle, il miliziano appare con una menomazione alla mano destra. Proprio come Bija, che durante i combattimenti anti Gheddafi del 2011 aveva perso alcune dita. Il 20 febbraio la giornalista italiana Nancy Porsia pubblica un approfondito reportage in inglese per Trt World, proseguendo un’inchiesta apparsa già il 6 gennaio in italiano su The Post Internazionale, nel quale spiega che «Bija lavora sotto la protezione di Al Qasseb, nom de guerre di Mohamed Khushlaf, che è a capo del dipartimento di sicurezza della raffineria di Zawiyah. Supportato da suo cugino e avvocato Walid Khushlaf, Al Qasseb esercita il controllo totale sulla raffineria e sul porto di Zawiyah. I cugini Khushlaf fanno parte della potente tribù Abu Hamyra, così come Al Bija». Poi arriveranno articoli pubblicati da Il Messaggero, Il Mattino, la Repubblica e l’Espresso. L’anno prima, siamo nel 2016, erano stati anche Panorama e Il Giornale a indicare Abdou Rahman quale uomo chiave del traffico di esseri umani. Numerose e ininterrotte da anni sono le inchieste di Francesca Mannocchi per l’Espresso e svariati altri media, di Sergio Scandura per Radio Radicale, oltre che di alcune tra le principali testate del mondo.


      Nonostante la grande mole di informazioni, Bija viene accompagnato in Italia e presentato come «uno dei comandanti della Guardia costiera della Libia», racconta una fonte ufficiale presente al meeting di Mineo. Quel giorno però accade un imprevisto. Un migrante libico ospitato nel Cara finisce per errore nei pressi del prefabbricato dove erano attesi Bija, alcuni delegati del premier Serraj e del Ministero dell’Interno tripolino. Quando dal minibus di una azienda di servizi turistici della provincia di Catania sbarcano i libici (almeno sei), l’immigrato si allontana spaventato: «Mafia Libia, Mafia Libia», dice in italiano.

      Le immagini che oggi pubblichiamo parzialmente per proteggere l’identità di diversi funzionari italiani presenti a vario titolo, mostrano Abdou Rahman seduto accanto a due suoi connazionali, un uomo e una donna. Ascolta senza mai proferire parola. Prende nota e ogni tanto fa cenno all’emissario del ministro dell’Interno del governo riconosciuto di intervenire. I libici fanno domande precise: «Quanto vi paga il governo italiano per ospitare ogni migrante qui? Quanto costa annualmente il Cara di Mineo». Poi, racconta la fonte di Avvenire, in modo neanche troppo diplomatico «fanno capire che in fondo il “modello Mineo” si può esportare in Libia e che l’Italia potrebbe finanziare la realizzazione di strutture per migranti in tutto il Paese, risparmiandosi denaro e problemi». Da lì a poco parte l’assedio alle Ong e vengono annunciati interventi dell’Italia e dell’Europa per aprire campi di raccolta nel Paese nordafricano.

      In realtà, ha spiegato l’inviato del Tg1 Amedeo Ricucci nel corso di uno speciale mandato in onda dopo essersi recato di persona a Zawyah per intervistare proprio Bija appena dopo il viaggio in Sicilia, «è come se giocassero a guardie e ladri, ma in salsa libica: con i ruoli degli uni e degli altri che si invertono di continuo a seconda delle convenienze».

      La trattativa deve essere andata a vantaggio dei trafficanti, se Bija è ancora in servizio. E anche i governi che si sono susseguiti hanno continuato a sostenere indirettamente ma consapevolmente le attività dei boss libici. Diversi testimoni in indagini penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia costiera chiamata Tallil (usata da Bija, ndr) e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture».

      Queste informazioni hanno avuto un inatteso riscontro proprio nei giorni scorsi. Mentre gli investigatori di Agrigento e Palermo indagavano per arrestate i tre presunti torturatori camuffati tra i migranti dell’hotspot di Messina, alcune delle vittime hanno raccontato che a decidere chi imbarcare sui gommoni era «un uomo libico, forse di nome “Bingi” (fonetico), al quale mancavano due falangi della mano destra». Secondo un altro migrante l’uomo era soprannominato “Bengi”, e «si occupava di trasferire i migranti sulla spiaggia; era lui, che alla fine, decideva chi doveva imbarcarsi; egli era uno violento ed era armato; tutti avevamo timore di lui». Quando gli chiedono se qualche volta avesse sentito il suo vero nome, il migrante risponde con sicurezza: «Lo chiamavano Abdou Rahman». (1-Continua)

      Una motovedetta del boss scafista mentre recupera un motore da un gommone in alto mare per riutilizzarlo nel traffico dei migranti

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/dalla-libia-al-mineo-negoziato-boss-libico

    • Il trafficante libico Bija in Italia: ecco la lettera ufficiale di invito

      Una missiva protocollata da un’agenzia Onu. Destinatario: il consolato italiano a Tunisi. E il “comandante Bija”, considerato un potente boss degli scafisti, è venuto nel nostro Paese per incontri istituzionali.

      Come mai il libico Abd Raman al Milan, detto “comandante Bija”, ex capo della Guardia costiera accusato dalle Nazioni Unite di essere uno dei più potenti trafficanti di esseri umani, nel 2017 è stato invitato a una serie di incontri ufficiali in Italia? Chi lo ha davvero invitato? E chi ha concesso e protocollato i documenti?

      La questione, esplosa dopo un’inchiesta del reporter Nello Scavo sul quotidiano Avvenire , è ora al centro di polemiche, indagini e interrogazioni parlamentari nel nostro Paese.

      L’Espresso è in grado di mostrare in esclusiva un documento fondamentale della vicenda: la lettera con cui il 3 aprile di due anni fa l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, chiedeva all’ufficio consolare italiano di base a Tunisi l’emissione dei visti per la delegazione libica di cui faceva parte anche Bija.

      Abd Raman al Milan è poi effettivamente venuto in Italia il maggio successivo: sia in Sicilia sia a Roma, dove ha avuto anche colloqui con «autorità italiane», così come anticipava la stessa lettera dell’Oim.

      L’Oim è un’agenzia delle Nazioni Unite con sede centrale a Ginevra e uffici anche in Italia. Il suo presidente è il portoghese Antonio Vitorino, ex commissario Ue. L’Onu stessa ritiene che il “comandante Bija” sia un signore della guerra tra i principali boss del traffico di esseri umani. Nel 2018 il Consiglio di sicurezza ha ordinato il congelamento dei suoi beni e gli ha imposto il divieto d’espatrio.

      Secondo la versione ufficiale delle autorità italiane, il nostro consolato sarebbe stato ingannato da “documenti probabilmente falsi” presentati da Bija. Lo stesso boss libico, ex capo della guardia costiera di Zawhia, ha smentito questa tesi sostenendo di essere arrivato in Italia con il suo vero nome e i suoi regolari documenti, facendo seguito a un invito ufficiale. Le domande sull’incontro a Mineo, dunque, restano ancora aperte. Le versioni troppe e troppo discordanti.

      http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/10/18/news/trafficante-libico-bija-in-italia-lettera-ufficiale-1.340124

  • L’OIM découvre des « marchés aux esclaves » qui mettent en péril la vie des migrants en Afrique du Nord
    http://asile.ch/2017/05/15/loim-decouvre-marches-aux-esclaves-mettent-peril-vie-migrants-afrique-nord

    Le week-end dernier, le personnel de l’OIM au Niger et en Libye a relaté des événements choquants sur les itinéraires migratoires d’Afrique du Nord, qu’il a décrit comme des « marchés aux esclaves » qui touchent des centaines de jeunes Africains en route vers la Libye.

  • ’Ndrangheta, arrestati i ras dell’accoglienza migranti

    Retata in Calabria contro il clan #Arena, che gestiva di fatto il centro per migranti tra i più grandi d’Europa. Arrestati per associazione mafiosa anche il governatore della #Misericordia di #Isola_Capo_Rizzuto e il parroco fondatore della sezione locale della confraternita


    http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/05/15/news/ndrangheta-arrestati-i-ras-dell-accoglienza-migranti-1.301446
    #Eglise #Calabre #asile #migrations #réfugiés #mafia #ndrangheta #Italie #accueil #logement #hébergement #Italie #Isola_Capo_Rizzuto #business #cara #Leonardo_Sacco
    cc @albertocampiphoto

  • Garian, viaggio al termine dell’umanità

    Siamo entrati in uno dei 30 centri allestiti in Libia per rinchiudere i clandestini. Gabbie di lamiera in cui vivono 1.400 migranti trattati come animali. «Fateci uscire di qui, stiamo morendo»?
    http://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.295641.1487342772!/httpImage/image.JPG_gen/derivatives/articolo_648/image.JPG
    http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/02/17/news/nel-centro-lager-di-garian-dove-finisce-l-umanita-1.295644
    #Garian #camps_de_réfugiés

  • Sette giorni all’inferno: diario di un finto rifugiato nel ghetto di Stato

    Dormitori stracolmi. Dove la legge non esiste. Fabrizio Gatti è entrato, clandestino, nel Cara di Foggia. Dove oltre mille esseri umani sono tenuti come bestie. E per ciascuno le coop prendono 22 euro al giorno


    http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/09/12/news/sette-giorni-all-inferno-diario-di-un-finto-rifugiato-nel-ghetto

    #Foggia #asile #migrations #réfugiés #Italie #hébergement #logement #cara

  • Richard Stallman e il compagno smartphone - l’Espresso
    http://espresso.repubblica.it/visioni/tecnologia/2016/08/08/news/richard-stallman-e-il-compagno-smartphone-1.279873?ref=HEF_RULLO

    A tutti gli agenti dell’#Nsa e dell’Fbi impegnati a leggere questa mail: in nome della Costituzione americana mi appello a voi affinché seguiate l’esempio di #Edward_Snowden». L’originale inciso in capo alla mail rivela le attitudini politiche e comunicative di Richard Stallman, attivista e intellettuale newyorkese capofila del movimento per il software libero: «Ci troviamo tutti implicati nostro malgrado in un perfetto panopticon tecnologico», spiega il padre del copyleft: «La sorveglianza digitale di massa è ormai un fenomeno globale».

    Stallman, una laurea in fisica ad Harvard e altre nove “honoris” causa sparse per il globo, persegue con tenace coerenza la sua filosofia: l’unica opposizione efficace alla violazione dei diritti nel Web è il ricorso a programmi non proprietari, liberi di essere studiati, modificati, copiati e ridistribuiti. «Laddove tutto questo è vietato», sostiene il presidente della Free Software Foundation, «siamo di fronte a software in grado di reperire informazioni dal nostro computer e dalla nostra vita privata».

    Assistiamo a una mediatizzazione sempre più pervasiva delle nostre esistenze. Da un lato smartphone e computer hanno rotto il monopolio dei mezzi unidirezionali come la televisione, dall’altro sembrano diventati imprescindibili per le nostre esistenze.
    «La democrazia e le libertà individuali sono a repentaglio ugualmente. Avere un cellulare oggi significa essere costantemente sotto la minaccia della tracciabilità. E non solo. Ogni dispositivo ha una backdoor universale comandabile da remoto che può trasformare in qualsiasi momento il nostro microfono in un registratore permanente. Anche se non stiamo parlando al telefono o ad apparecchio spento. È quello che ho chiamato “ #Stalin’s_dream ”, il sogno di Stalin. L’unica soluzione è usarli il meno possibile. Una democrazia che si rispetti sa tutelare i suoi cittadini, a partire dai suoi dissidenti».

    Lei si è apertamente schierato contro i più grandi colossi dell’hi-tech come #Apple e #Microsoft. Che cosa imputa a queste compagnie?
    «Innanzitutto impediscono l’accesso ai codici sorgenti dei loro programmi ostacolando qualsiasi cambiamento. Per me i prodotti Apple si dovrebbero chiamare tutti “ #iPrison ”, in quanto minano alla base le libertà informatiche dal momento che accettano solo programmi sviluppati esclusivamente dalla compagnia. Ogni foto o video prodotto su un dispositivo Apple finisce immediatamente sui server della compagnia. Il livello di censura è allarmante: una applicazione di nome Metadata+ che svelava informazioni sugli attacchi nel mondo da parte dei droni statunitensi è stata bloccata per ben cinque volte. Lo stesso avviene su servizi che riguardano il diritto all’aborto o l’occupazione dei Territori palestinesi. La Microsoft ha inserito intenzionalmente su Windows dei bug e backdoor per modifiche unilaterali a distanza. Per non parlare del controllo che esercita: #Windows 10 ha per esempio tredici schermate di opzioni sulla sorveglianza di difficilissima disattivazione. Ognuna di queste compagnie produce #software intenzionati a captare informazioni ai propri utenti. Ricorrere ai software liberi è sempre più urgente».

    Le sue critiche non hanno risparmiato neanche #Amazon e la tecnologia e-book.
    «I #Kindle sono diventati un buon indice del livello toccato da queste compagnie che in nome dei principi neoliberisti hanno perso ogni scrupolo. Se per usufruire di un libro non avevi bisogno di alcuna tecnologia segreta, né firmare alcun contratto, né essere identificato o dare informazioni su quali sono le tue letture, con gli e-book s il mondo si è rovesciato. Non puoi prestare un file né tanto meno rivenderne uno “usato”. Ma soprattutto sei costretto ad usare carta di credito e pertanto a essere tracciato. Come su Amazon e nell’e-commerce in genere».

    Esistono delle contromisure per garantire la propria privacy?
    «Innanzitutto non dare mai informazioni e dati personali a siti Web. Non uso la carta di credito se non per acquistare biglietti aerei, sempre su browser liberi come Tor in grado di rispettare l’anonimato. Accetto solo cookies temporanei e i siti che non rispettano le mie condizioni, semplicemente li evito. Come del resto Facebook: la sua unica funzione è quella di raccogliere dati sulla nostra vita e le persone che ci circondano. Il sogno di ogni agenzia di spionaggio. Scoraggio chiunque a postare foto mie e di altre persone, è il modo più semplice per rintracciarne la posizione. Non ricorro mai al cloud computing (immagazzinamenti on line della memoria, ndr). Anche se detesto questa terminologia, non affido a nessuno la mia memoria elettronica: consegnarla ad un esterno significa consentirne l’accesso perenne».

    Veniamo alla politica. In Italia c’è il Movimento 5 Stelle che nasce dalla Rete inseguendo il sogno di una democrazia diretta basata sul voto on line. Che cosa ne pensa?
    «Non affiderei per nessuna ragione al mondo qualsiasi consultazione elettorale a un computer o a software informatici. Negli Usa questa tentazione sta prendendo piede e ne sono fondamentalmente preoccupato. Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle ho criticato con veemenza il ricorso a programmi proprietari come Meetup e l’uso di tablet delle grandi compagnie. Se vuoi batterti seriamente per la libertà, il primo passo per un partito sviluppatosi attraverso Internet è la coerenza negli strumenti a cui ricorri».

    Nelle scorse settimane gli Stati Uniti sono stati scossi dal ritorno di un acceso scontro razziale. L’ennesimo assassinio di un afroamericano trasmesso in diretta su Facebook, l’attentato di Dallas e infine le proteste del gruppo Black Lives Matter con arresti di massa tra i manifestanti...
    «È paradossale che da un prodotto come #Facebook per cui nutro un profondo disaccordo nasca una denuncia così costruttiva. Credo che questa però sia una battaglia tutta politica, una guerra alla povertà. Non è solo razzismo, abbiamo una parte consistente di poliziotti violenti che si protegge credendosi al di sopra della legge. Credo che oggi essere un poliziotto inteso come pubblico ufficiale negli States sia eroico. In Italia dovreste ricordare quanto successo al G8 di Genova. Solo un’esigua minoranza denuncia i soprusi. A questa violenza repressiva di sistema si aggiunge una discriminazione politica. Seguendo le politiche neocon di non tassazione dei ricchi, si mira a colpire i più deboli. Che in molti casi non hanno accesso al voto dal momento che l’id card (la carta d’identità che garantisce l’accesso al voto, ndr) ha costi in termini di tempo e denaro inaccessibili per molti. Infine la presenza massiccia di armi acuisce la gravità degli abusi e delle reazioni di protesta. Condanno nel modo più totale le risposte violente e gli omicidi di poliziotti, ma l’equazione tra violenza della repressione e violenza dell’oppresso resta per me inaccettabile».

    Tutto questo potrebbe avere una ricaduta sulle elezioni di novembre in un contesto internazionale incandescente, tra guerre, terrorismo globale e fenomeni d’immigrazione che suscitano reazioni di chiusura.
    «Ero un acceso sostenitore di Bernie Sanders. Hillary Clinton e Donald Trump, come del resto Obama, appartengono alla stessa categoria. Siamo in piena plutocrazia, comandano i miliardari. Basti pensare al disastro della guerra in Iraq e all’alleanza ingiustificabile con quella che io chiamo “Arabia Salafita” (Arabia Saudita, ndr) che propaga la Sharia, senza rispetto per i diritti umani. Obama, nonostante abbia evitato guerre aperte, ha perseverato nell’usare i droni che fanno molte vittime civili; sarebbe più intelligente bombardare Daesh in campo aperto sovvenzionando le forze locali. Ah, smettiamo di chiamarlo “Stato Islamico”, non rappresenta in alcun modo il variegato mondo musulmano, prima vera vittima del terrorismo. Per il futuro sono molto pessimista: in qualche decade, tra guerre e riscaldamento globale, non so ipotizzare quali saranno le conseguenze di fronte ai milioni di rifugiati in fuga alla ricerca delle più banali forme di sopravvivenza».

    #Richard_Stallman #open_source #privacy

  • Noi, i ragazzi dello zoo di Roma

    Alla stazione Termini si aggirano pedofili a caccia di minorenni. Piccoli immigrati senza famiglia, costretti a vivere nei cunicoli sottoterra e a prostituirsi per mangiare. Reportage dalle viscere della capitale


    http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2016/02/17/news/noi-i-ragazzi-dello-zoo-di-roma-1.250764
    #gare #Rome #MNA #mineurs_non_accompagnés #prostitution #traite #asile #migrations #Italie #réfugiés #pédophilie

  • Ammassati nello scantinato senza finestre: così si accolgono i rifugiati ...

    Il #business umanitario fa sempre più gola. E così si arriva a casi come quello dei profughi alloggiati in precarie condizioni igieniche nello scantinato senza finestre di un vecchio ristorante di montagna sperduto tra i boschi della #Sila. La replica dei gestori: «Vorrebbero stare qui come turisti»


    http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/08/17/news/se-l-accoglienza-ai-rifugiati-si-fa-nel-sottoscala-del-ristorant
    #asile #migrations #accueil #logement #hébergement #réfugiés #Italie #Cosenza #hotel

  • Fra i migranti le prostitute schiave. Così dalla Libia aumentano le vittime

    Per loro lo sbarco in Italia è l’inizio di un nuovo incubo: la prostituzione forzata. Accade a migliaia di donne africane. Da mesi i trafficanti approfittano dell’esodo dei profughi. Sfruttando l’emergenza. Mentre il governo non si muove


    http://espresso.repubblica.it/inchieste/2015/07/09/news/fra-i-migranti-le-prostitute-schiave-dalla-libia-aumentano-le-vi
    #migration #asile #réfugiés #femmes #prostitution #traite_d'êtres_humains #Libye #Italie #traite

  • *Migranti, parla con i pm il trafficante ’pentito’: “Ecco perché anche la loro morte è un affare”*

    “Facciamo partire relitti troppo carichi. Perché le stragi spingono i soccorsi 
ad avvicinarsi. Così aumentiamo i guadagni”. Le rivelazioni di uno scafista agli investigatori palermitani. Che servono anche a fare i conti sul business dei clan: già 50 milioni di euro di incasso dall’inizio dell’anno


    http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/05/27/news/migranti-parla-il-trafficante-pentito-ecco-perche-anche-la-loro-
    #passeurs #business #migration #asile #réfugiés #Méditerranée #smugglers

  • La strage dei migranti: «Ci riempiono di botte fino a quando non troviamo i soldi per partire»

    Mentre il paese annaspa nell’anarchia della guerra civile, i migranti, almeno due milioni, che per anni sono rimasti a lavorare, scappano. Centinaia di uomini armati, che abbondano nel paese dalla fine della rivoluzione del 2011, s’improvvisano nuovi Caronte aprendo le porte a migliaia di disperati provenienti dall’Africa Sub Sahariana, dal Corno d’Africa, dall’Asia e anche dalla Siria


    http://espresso.repubblica.it/internazionale/2015/04/21/news/libia-nel-caos-ecco-chi-lucra-sulla-disperazione-1.208991
    #Libye #asile #violence #migration #réfugiés