AWS | Amazon Simple Storage Service (S3)

https://s3-eu-west-1.amazonaws.com

  • Les olives amères de Palestine
    https://visionscarto.net/les-olives-ameres-de-palestine

    Chaque année, aux mois d’octobre et de novembre, a lieu la récolte des olives en Palestine. À l’occasion de la cueillette, la violence de certains colons israéliens à l’égard des paysan·nes redouble d’intensité. Pour protéger un tant soit peu les familles de ces agressions, des bénévoles de la terre entière viennent les assister. Cette saison, la violence a eu pour cible les bénévoles mêmes. Voici quelques éléments pour tenter de comprendre une situation très problématique. par Johanna Schreiner L’olive en (...) #Billets

  • Faut-il changer de monnaie pour sauver le monde ?
    https://usbeketrica.com/article/faut-il-changer-monnaie-sauver-monde

    Puisque la monnaie n’est créée que par de la dette, si une banque crée 100 euros sous forme d’un crédit à un particulier et exige avec intérêt un remboursement total qui s’élèvera à 200 euros, les 100 euros supplémentaires devront pour être remboursés être générés… par la création d’une nouvelle dette, elle-même porteuse d’intérêts supplémentaires, engendrant une inflation monétaire sans fin.

    Ceci pose la question du lien entre création monétaire et croissance économique. Lorsque l’économie croît, il est nécessaire de produire plus de monnaie puisqu’il y a plus de biens et services à échanger. Mais le cercle infernal décrit ci-dessus sous-entend que la mécanique pourrait être inversée : la monnaie définie comme une dette avec taux d’intérêt rend indispensable la croissance économique pour rembourser une dette qui grossit inéluctablement. Dit autrement : la monnaie est aujourd’hui un pari sur la production de richesses futures, et son remboursement avec intérêts signifie que la création de plus de monnaie est donc un pari sur toujours plus de production de richesses.

    Le monopole laissé aux banques commerciales (...) a abouti à ce déséquilibre effarant : jusqu’à 98 % de l’argent existant ne sert pas l’économie réelle. Selon Ariane Tichit, seuls 2 % de la monnaie servirait à la consommation, à l’investissement ou à la production. « Tout le reste sert à l’accumulation de richesses, à travers notamment la spéculation, l’achat d’actions qui prennent de la valeur. C’est une sorte d’augmentation complètement artificielle et qui nous échappe », dénonce l’économiste dans sa vidéo TEDx.

    #économie #dette #monnaie #croissance #décroissance #écologie

  • Rekto:Verso | Racism and sexism in art education: a subjective mapping

    https://www.rektoverso.be/artikel/racism-and-sexism-in-art-education-a-subjective-mapping

    Higher art education offers students a challenging and safe environment in which they freely develop their artistic visions and capacities. At least that’s the idea. In practice, Flemish art schools still struggle with many forms of sexism and racism daily. This is evidenced by testimonies that Anissa Boujdaini and Ilse Ghekiere collected among students and teachers at various schools in recent months.

    #viol #harcèlement_sexuel #université

  • Se l’operaio alle dipendenze del cinese è pachistano

    Che ci fa un piccolo imprenditore cinese in ginocchio? Perché solleva davanti alle telecamere e ai giornalisti un artigianalissimo cartello che recita “Cobas Comanda #Prato, Aiuto Istituzioni”? Perché alcuni operai pachistani vengono picchiati e finiscono in ospedale insieme a un sindacalista?

    Benvenuti a Prato, città di frontiera, ieri come oggi, città dove il nuovo lavorativo e imprenditoriale si presenta prima che altrove. Nei decenni del “piccolo è bello” era stato il distretto industriale per eccellenza; dagli anni Novanta è stato il distretto che ha prima accolto e poi criminalizzato l’imprenditoria dei migranti cinesi; dal 2014 è stato il luogo dove la Regione ha introdotto controlli serrati sul lavoro in maniera esplicitamente discriminante: solo le ditte cinesi sarebbero state controllate a tappeto; negli ultimi tempi, gli imprenditori cinesi di Prato – adeguandosi a un modello già in uso tra gli italiani – sono stati i primi imprenditori migranti ad impiegare massicciamente manodopera immigrata non cinese.

    Oggi Prato è la nuova frontiera di quello che si sarebbe tentati di considerare un conflitto tutto etnico: la contrapposizione tra datori di lavoro cinesi e operai pachistani nell’industria tessile e dell’abbigliamento.

    Nel distretto di Prato i cinesi erano arrivati in sordina, alla fine degli anni Ottanta, proponendosi come terzisti nell’abbigliamento per ditte finali dislocate in diverse città del Centro Nord Italia. Come operai impiegavano solo connazionali, introducendo quindi un modello di etnicizzazione del lavoro che, anche grazie al laboratorio usato come luogo di vita e di lavoro insieme, ha permesso di ristrutturare gli spazi e i tempi del lavoro: gli operai cinesi pagati a cottimo, infatti, si spostavano da un laboratorio cinese all’altro seguendo le commesse in arrivo e il bisogno di evaderle urgentemente. A poco a poco una parte dei terzisti cinesi è riuscita a fare il grande balzo imprenditoriale e ad aprire le proprie ditte finali nel “pronto moda”. Nel frattempo e con gradualità, i cinesi sono riusciti anche ad acquisire da imprenditori pratesi le tintorie che tingono per il pronto moda, ricavandosi quindi uno spazio crescente anche nel settore tessile, appannaggio tradizionale dell’imprenditoria autoctona. Oggi ci sono a Prato circa 3.700 imprese cinesi nelle confezioni e 400 nel tessile.

    Negli ultimi anni, l’organizzazione del lavoro sta cambiando drasticamente nelle imprese cinesi. Gli operai non sono più solo cinesi, ma anche pachistani, bangladesi e africani, sia nelle tintorie che nei laboratori di confezioni. A spiegare questa evoluzione contribuisce la difficoltà crescente per gli imprenditori cinesi di trovare e trattenere presso di loro operai cinesi. Questo a sua volta scaturisce dalla fine degli arrivi di manodopera a basso costo dalla Cina, e dal fatto che i cinesi che vivono in Italia da decenni, se possono, cercano impiego fuori dal manifatturiero.

    Ma il processo di multi-etnicizzazione del lavoro non è solo una reazione a questo. Scaturisce anche dalla concreta possibilità per gli imprenditori di accrescere i propri profitti, impiegando una manodopera ancor più vantaggiosa di quella cinese. Se poi sono rifugiati – come lo sono buona parte dei migranti arrivati negli ultimi anni – gli operai diventano ancora più interessanti perché maggiormente vulnerabili.

    Già qualche anno fa, nelle fasi iniziali del processo di multietnicizzazione, la stampa locale aveva mostrato come vi fosse una sorta di gerarchia degli stipendi dei diversi gruppi di immigrati: gli operai cinesi erano al top, con stipendi (perlopiù a cottimo) di circa 1.300 euro, quelli pachistani e bangladesi avevano salari più bassi di circa 300-400 euro, e gli africani guadagnavano ancora meno. Invece, i pochi italiani che lavoravano nelle tintorie cinesi – operai specializzati o consulenti, a volte ex proprietari – ricevevano compensi ben diversi. Differenze nei salari di operai cinesi e altri immigrati non cinesi sono emerse anche da uno studio che ha analizzato l’impiego di manodopera immigrata non cinese nei centri ingrosso gestiti da cinesi nel Veneto (G. D’Odorico e D. Sacchetto, Il commercio all’ingrosso cinese in Italia: prospettive storiche e presenti in un’ottica globale, in Cinesi tra le maglie del lavoro).

    La differenza fondamentale tra gli operai cinesi e gli altri operai immigrati non sta però principalmente nei divari salariali, quanto nel fatto che i gli operai cinesi, a differenza degli altri immigrati, godono di benefit tradizionalmente garantiti agli operai cinesi nelle imprese cinesi: vitto e alloggio a costo zero. Nelle interviste che abbiamo raccolto nel corso dell’estate, gli operai pachistani protestavano per questo trattamento differenziato a parità di mansioni e di ore lavorate, e facevano i calcoli su quanto si alzerebbero le loro entrate mensili se come i cinesi non dovessero pagarsi l’appartamento e il cibo.

    Inoltre, dal nostro recente lavoro sul campo, così come da una ricerca sullo sfruttamento lavorativo finanziata dal Comune di Prato (A. Cagione e G. Coccoloni, Forme di sfruttamento lavorativo a Prato), emerge il potere assoluto dei datori di lavoro cinesi che lasciano a casa all’istante gli operai pachistani o africani quando, da mesi privi di un solo giorno libero, decidono di rimanere a casa per un giorno e quando chiedono di avere un contratto di lavoro, indispensabile per ottenere il permesso di soggiorno per lavoro. Non era mai stata registrata prima tanta rigidità nei rapporti lavorativi; al contrario, un vantaggio molto apprezzato dagli operai cinesi negli ultimi anni era la maggior flessibilità dell’orario di lavoro garantita dai datori di lavoro cinesi rispetto a quelli italiani – seppur in un contesto di forte sfruttamento e auto-sfruttamento. Inoltre, mentre i contratti di lavoro degli operai cinesi sono perlopiù a tempo indeterminato o si adeguano alle esigenze dei lavoratori cinesi di rinnovare il permesso di soggiorno per lavoro o di accedere al ricongiungimento con i familiari, i contratti dei lavoratori immigrati non cinesi sono di breve durata, quando ci sono.

    Il processo di etnicizzazione gerarchizzata in atto permette di fare luce su alcuni importanti mutamenti nel mondo del lavoro. L’idea che gli immigranti facciano i lavori che gli italiani non vogliono fare è in un certo senso superata. Oggi, e sempre di più, sono i datori di lavoro stessi a cercare attivamente gli operai immigrati preferendoli ai cosiddetti autoctoni. Detto altrimenti, il processo di etnicizzazione del lavoro scaturisce (anche) da volontà imprenditoriali di sfruttare al meglio il lavoro dipendente, giocando su tutte le forme di vulnerabilità possibili. E secondo molti il processo di precarizzazione intacca prima le categorie più vulnerabili, come i migranti e i giovani, per poi estendersi a fasce sempre più vaste di lavoratori, inclusi quelli cosiddetti “di concetto”. Allo stesso tempo, questo processo di sfruttamento rapace risponde all’esigenza di contenere sempre più il costo del lavoro in settori dove la concorrenza è serrata e i margini di profitto per i terzisti sono in continuo ribasso.

    Oggi, guidati dai sindacalisti autoctoni di Si Cobas – il sindacato di base che ha condotto lotte di successo tra gli immigrati che lavorano nella logistica – i pachistani impiegati in alcune aziende tessili pratesi gestite da cinesi scendono in sciopero e bloccano la produzione. Chiedono di non lavorare 12 ore al giorno 7 giorni su 7; chiedono di non avere contratti da 2, 4 o 6, ore ma contratti adeguati al numero di ore effettivamente svolte. Gli imprenditori cinesi reagiscono male agli scioperi dei lavoratori. I sindacalisti ci raccontano di imprenditori cinesi increduli, che non sanno spiegarsi come mai gli operai possano scendere in sciopero e addirittura possano bloccare la produzione, ostacolando l’entrata e l’uscita delle merci. A fine giugno, alcuni operai pachistani in sciopero sono stati portati in ospedale perché picchiati da cinesi durante un picchetto davanti alla tintoria dove lavoravano.

    Se pensiamo alle repressioni degli scioperi in Cina e all’irregimentazione del lavoro in Asia, viene da chiedersi se questo sia un modello tutto cinese di gestione della conflittualità con gli operai.

    Ma pensare che si tratti di un modello cinese è una foglia di fico. Oggi a Prato c’è una manciata di imprenditori pachistani nel settore delle confezioni che dà lavoro a connazionali. I loro operai ci raccontano che non c’è differenza tra i datori di lavoro cinesi e quelli pachistani: i livelli di sfruttamento sono gli stessi. Inoltre, i laboratori terzisti pachistani cuciono vestiti per ditte finali cinesi e italiane. Questo permette di capire che quello che è in atto non è uno scontro etnico, ma un’evoluzione nello sfruttamento del lavoro dove ogni imprenditore sfrutta ogni occasione per massimizzare il profitto. Pensare che si tratti di un modello cinese, inoltre, serve solo a non vedere come nel nostro Paese, da anni ormai, la difesa dei diritti dei lavoratori abbia finito per essere inusuale, inaspettata e perfino demonizzata. Diverse ricerche hanno mostrato come un costante processo di normalizzazione del lavoro precario – con la giustificazione che avrebbe favorito la ripresa dell’occupazione – ha portato a una proliferazione del lavoro povero e sfruttato. Contratti finti, che dichiarano orari di lavoro ridicoli rispetto a quelli effettivi non sono tipicamente cinesi. Paghe sempre più basse, lontane da quelle contrattuali sono la regola anche tra i giovani e meno giovani autoctoni, e ferie, malattia, e maternità sono diventati vocaboli sempre più desueti nel nostro Paese in generale, e non solo tra i lavoratori migranti.

    I cinesi hanno imparato cosa si può fare in questo Paese, lo hanno imparato così bene da dire oggi a chiare lettere – con quel cartello “Istituzioni aiuto!” – che si aspettano che il governo (locale) faccia rispettare il patto (nazionale) secondo cui i sindacati devono restare immobili e gli operai devono essere grati per avere il lavoro, non importa quanto grave sia lo sfruttamento. La cartina tornasole di questo stato di cose sta in un’azione istituzionale preoccupante: il foglio di via che la questura di Prato ha presentato ai due sindacalisti di Si Cobas che mobilitano i lavoratori pachistani in sciopero per avere un lavoro (più) dignitoso.

    https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:4847
    #guerre_entre_pauvres #travail #exploitation #Italie #migrations #pakistanais #chinois #industrie_textile #ethnicisation_du_travail #textile #vulnérabilité #inégalités #salaire #ouvriers #précarisation #permis_de_séjour #etnicizzazione_gerarchizzata (#ethnicisation_hiéarchisée) #ethnicisation_du_travail #capitalisme #modèle_chinois #droits_des_travailleurs #working_poors #déportabilité

    ping @albertocampiphoto @wizo

  • Comment le black-out de 1977 à #New-York a fait exploser le #hip-hop

    3 700 personnes sous les verrous, 1 616 boutiques saccagées, 550 policiers blessés, 1037 incendies, et une révolution culturelle majeure.

    https://www.vice.com/fr/article/rk8dx9/black-out-1977-new-york-avenement-hip-hop

    South Bronx, 1973 : la naissance du hip-hop

    Au début des années 70, déserté par les Blancs et rongé par le chômage, la violence et la drogue, ce ghetto noir de New York voit l’émergence d’une nouvelle culture urbaine et contestataire, entre musique rap, breakdance et graffitis.

    https://www.franceculture.fr/emissions/metronomique/south-bronx-1973-la-naissance-du-hip-hop-r

    https://media.radiofrance-podcast.net/podcast09/16999-21.07.2018-ITEMA_21748825-0.mp3

    Du #Bronx au terrain vague de la Chapelle, le hip hop arrive en France

    Historiquement, le hip-hop est apparu il y a plus d’une trentaine d’années en France, et, approximativement quarante aux États-Unis. Cette culture n’a jamais bénéficié d’autant de succès et de visibilité, en France, que de nos jours. Pourtant son transfert culturel n’est pas allé de soi.

    https://www.franceculture.fr/emissions/la-fabrique-de-l-histoire/musiques-noires-24

    https://s3-eu-west-1.amazonaws.com/cruiser-production/static/culture/sons/2014/03/s12/NET_FC_30e4d930-4cc8-4d51-ac6a-6f844d532023.mp3

    #musique

  • Pakman, Alexis Leclef La langue des urnes !

    . . . . .
    Le seul droit politique de ce troupeau pompeusement appelé « Nation » que l’on convie aux urnes comme des bovins à l’abreuvoir, c’est de choisir la bouille de ceux qui, loin d’être leurs représentants, vont s’acquitter de cette besogne qui leur échoit dans tout êtat parlementaire bien réglé : Servir les puissants. La bouille des candidats, le bouillie de leurs discours, la couleur de leur parti aussi : Le bleu ou le rose, l’orange ou le vert, ou comme plan B le noir, le brun ou le merdoie. . . . . .

    _ Alexis Leclef - Le Batia Mourt Sou N° 80 - Heurs et malheurs de la conscience prolétarienne - Sortie le 24 Mai 2019 - Dans toutes les bonnes librairies de Belgique, s’il en reste. _

  • Comment #Big_Pharma pénalise-t-il le traitement de l’épidémie des opiacés ? - Actualité Houssenia Writing
    https://actualite.housseniawriting.com/sante/2017/08/09/comment-big-pharma-penalise-t-il-le-traitement-de-lepidemie-des-opiaces/23013

    Traduction d’un article de The Conversation par Robin Feldman, professeure de propriété intellectuelle à l’université de Californie.

    Les grandes entreprises pharmacologiques (Big Pharma) utilisent de nombreuses tactiques pour retarder l’arrivée des #génériques et on peut prendre l’exemple des traitements contre l’épidémie des #opiacés.

    • En 2015, 80 % de la croissance des bénéfices des 20 plus grandes entreprises technologiques provenaient de l’augmentation des prix. Et les médicaments aux États-Unis sont largement plus chers que dans d’autres pays. Par exemple, le Syprine, un médicament contre l’insuffisante hépatique, coute moins de 400 dollars pour un an de traitement dans de nombreux pays. Aux États-Unis, ce médicament coute 300 000 dollars. Sovaldi, le médicament contre l’hépatite C de Gilead, coute environ 1 000 dollars à l’étranger. Aux États-Unis, il coute 84 000 dollars.

      Il faudra un motif d’inculpation pour trainer les gens qui décident cela devant la justice. Un truc du genre crime contre l’humanité.

    • Un des aspects intéressants des câbles diplomatiques américains, publiés par Wikileaks, c’était justement qu’une des activités principales des ambassades ricaines dans monde consiste à défendre les intérêts des grands groupes pharmaceutiques américaines.

      Par exemple (quasiment au hasard), ce câble de 2005 à ce sujet au Brésil :
      https://wikileaks.org/plusd/cables/05BRASILIA1567_a.html

      1. (C) Summary. Ambassador Hugueney of Brazil’s Foreign Ministry (Itamaraty) told Ambassador June 6 that U.S. pharmaceutical companies should improve their offers on pricing and/or voluntary licenses for AIDS treatment drugs so as to avoid compulsory licensing by the Ministry of Health (MoH). Hugueney believed movement in the Chamber of Deputies of legislation that would deny patentability to AIDS drugs was likely intended to provide greater leverage to the Ministry of Health in its negotiations with the pharmaceutical companies. The bill’s broad political backing, he observed, makes a presidential veto unlikely should the legislation pass. On the WTO Doha Round of trade negotiations, Hugueney said Brazil will submit a “substantially improved” revised services offer the week of June 6. Hugueney expects to take up the post of Brazil’s Ambassador to the WTO by late August or early September. Hugueney confirmed Brazil’s plan to attend the June 21 to 22 US-EU International Conference on Iraq. End Summary.

      2. (SBU) On June 6, Ambassador met with Clodoaldo Hugueney, Itamaraty’s Under Secretary for Economic and Technological Affairs, to discuss a number of trade issues, principally, pending legislation that would render drugs to prevent and treat AIDS un-patentable, and the continuing threat of compulsory licensing facing the U.S. pharmaceutical companies Gilead Sciences, Abbott Laboratories, and Merck, Sharp & Dohme for their AIDS treatment drugs (ref A). Hugueney was accompanied by his assistant, Miguel Franco, and Otavio Brandelli, Chief of the Ministry’s IPR Division. Ecouns, Commoff, and Econoff accompanied Ambassador.

      AIDS Drugs - Compulsory License Threat and Patent Legislation

      3. (C) Hugueney, who had just returned from Doha negotiations in Geneva, said Itamaraty is following MoH negotiations with the pharmaceutical companies closely and described them as boiling down to issues of pricing or voluntary license/royalty payments. He noted the intense pressure the GoB is under from civil society, particularly NGOs, to issue compulsory licenses. Hugueney agreed the best outcome would be to avoid compulsory licenses, but opined that to do so would require improved offers on price or voluntary licensing from the companies. (Upon relaying this message to the companies, the Merck representative here told us his company was in the process of preparing a more detailed offer, although he did not say that it would be more forthcoming on prices. As for Gilead and Abbott, they have taken Hugueney’s suggestion “under advisement.”) Hugueney further advised the companies to maintain a dialog with the MoH to forestall precipitous, politically motivated action by that Ministry, and encouraged them to explain/present their proposals to a wide array of GoB interlocutors.

  • Nobel-Club Felix schließt in Mitte für immer seine Pforten – B.Z. Berlin
    https://www.bz-berlin.de/berlin/mitte/nobel-club-felix-schliesst-in-mitte-fuer-immer-seine-pforten

    5. Mai 2017

    Nach 13 Jahren Glanz und Glamour schließt der noble Mitte-Nachtclub. Hier feierten die Bayern ihren Pokalerfolg und Hollywood schaute auch gerne Mal vorbei. Am 13. Mai ist Schluss.

    Sehen und gesehen werden, schick essen gehen und tanzen zu den angesagtesten Beats. Dafür stand das Club-Restaurant „Felix“ in Mitte. Jetzt ist der angesagte Nachtclub Geschichte. Das Felix schließt nach 13 Jahren. Schlechte Geschäfte zwangen den Club in die Knie.

    Seit geraumer Zeit ging es mit dem Glamour-Club in Mitte rapide bergab: die Vip-Lounges wurden nicht mehr gebucht, unter der Woche tummelten sich gerade einmal noch 10 bis 20 Personen auf dem großen Dancefloor. An besucherstarken Sonnabenden kamen nur noch 300 Gäste – auch am Wochenende. Über 40 Mitarbeiter erhielten die Kündigung. Am 13. Mai schließen sich die Glitzer-Pforten für immer.

    Weiterer Flop für das Jagdfeld-Immobilien-Imperium
    Dabei begann die Geschichte des Felix so glamourös. 2004 eröffnete die Jagdfeld Gruppe den In-Club Felix auf der Rückseite des Adlon. Die Reichen und Schönen gingen dort ein und aus. Der FC Bayern feierte seinen Pokal Triumph. Hollywood schaute vorbei. Da knallten in der VIP-Lounge die Schampus-Korken für Daniel Craig und Christoph Waltz. Bei der „White House Down“ Premiere feierten hier Jamie Fox, Channing Tatum und Roland Emmerich.

    Jetzt ist Schluss mit Schampus. Dr. Christian Plöger, Sprecher der Jagdfeld-Gruppe zur B.Z.: „Das Felix war Trendsetter einer internationalen Nachtclub-Kultur, als es das in Berlin noch nicht gab. Die Entscheidung, endgültig den schwarzen Strich zu ziehen, ist uns nicht leicht gefallen.“

    Damit ist das noble Felix ein weiterer Flop des Jagdfeld-Immobilien-Imperiums. Auch das noble Grand Hotel Heiligendamm und der Departmentstore im Quartier 206 schlossen in den vergangenen Jahren. Ex-Clubmanager Daniel Kolenitchenko, der das Felix von 2010 bis 2012 geleitet hat: „Ich bin wirklich traurig! Ich habe dort das Handwerk des Clubmanagements gelernt.“

    Gerüchten zufolge trage er eine Mitschuld am Niedergang des Felix. Kolenitchenko sieht das anders: „In dieser Branche kann man nur sich selbst kaputt machen, es sind nicht die anderen.“ Wie es weitergeht, steht noch nicht fest. „Derzeit bestehen keine konkreten Nutzungspläne für die Räumlichkeiten“, so Plöger von der Jagdfeld-Gruppe.

    #wech_is_wech #Gastronomie #Club #Disco #Nachtleben #Berlin #Mitte #Behrenstraße

  • Pas facile de trouver des œuvres d’Édouard Vimont (1846-1930) sur le Web.
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Édouard_Vimont

    Il y a cette Jeune femme à la mandoline de 1889 vendue aux enchères :

    et une photo un peu rikiki de Les Sirènes, 1874, sur Wikipédia (tableau d’1,75 mètre de large sur 94 cm de haut qui serait visible au musée des Beaux-Arts d’Angers) :

  • Momper und Diepgen - Soll Berlin mehr Konkurrenz für das Taxigewerbe zulassen? – B.Z. Berlin
    https://www.bz-berlin.de/berlin/soll-berlin-mehr-konkurrenz-fuer-das-taxigewerbe-zulassen

    23. Februar 2019 15:10 - Sollte Personenbeförderungsgesetz aus dem Jahre 1961 liberalisiert und mehr Konkurrenz im Taxigewerbe zugelassen werden? Diese Frage beschäftigt Diepgen & Momper diese Woche

    Eberhard Diepgen: Ja, aber dabei bitte sachte vorangehen!
    Unter dem Stichwort der Digitalisierung entstehen neue Träume von Mobilität der Berlinerinnen und Berliner. „Wir wollen den Wechsel vom eigenen Auto zum Gemeinschaftsverkehr erleichtern“, sagt der BVG-Digitalvorstand.

    Die Absicht kann ich nur unterstützen. Mit dem Smartphone komplikationslos einen Shuttle herbeirufen, ein modernes und sauberes Fahrzeug mit wenigen anderen Fahrgästen teilen und kostengünstig zum Ziel kutschiert werden: Da kann das Auto zu Hause bleiben. Und bezahlen soll man auch ganz praktisch über das Handy. Das hört sich gut an.

    Einen Bedarf für ein zusätzliches Angebot sehe ich vor allem in den Außenbezirken. Teile von Zehlendorf oder Köpenick sind für den Verzicht auf ein Auto nicht ausreichend durch den öffentlichen Personennahverkehr (ÖPNV) angebunden.

    Natürlich können Berlins Taxiunternehmen durch solche zusätzlichen Angebote Fahrgäste verlieren und wirtschaftlich in Schwierigkeiten kommen. Nicht nur die BVG und die Deutsche Bahn tummeln sich bereits auf diesem Geschäftsfeld. Das Taxi gehört zum öffentlichen Personennahverkehr, es unterliegt strengen Regeln und es besteht eine Beförderungspflicht. Es wird deswegen z.B. vor zu starkem Wettbewerb durch Mietwagen abgeschirmt.

    Veränderungen sollte es nur schrittweise geben. Was den Kumpeln im Kohlebergbau gut ist, sollte dem Taxifahrer billig sein. Wir stehen bei der erträumten Entwicklung am Anfang. Es kann auch ganz unerwünschte Auswirkungen geben. Bleibt der Bus wegen anderer Angebote leer? Ist der Bus dann in einzelnen Stadtteilen nicht mehr finanzierbar?

    Fahren immer mehr Berliner mit Mietwagen, könnte der Autoverkehr entgegen allen Wünschen zunehmen. Also dabei bitte sachte vorangehen. Sicher bin ich, dass Modellversuche eher nach Köpenick gehören als in die Stadtmitte.

    Walter Momper: Ja, denn die Zeiten haben sich geändert

    Das Personenbeförderungsgesetz aus dem Jahre 1961 ist veraltet und entspricht nicht mehr dem heutigen Standard. Das Gesetz muss geändert und den heutigen Bedürfnissen angepasst werden.

    Auch die von Bundesverkehrsminister Andreas Scheuer (CSU) in Aussicht genommenen Veränderungen sind nicht mehr zeitgemäß. Die Forderung von Uber und anderer Mobilitätsdiensten bleibt bestehen, die Regeländerungen konsequent zu Ende zu bringen.

    Die Carsharing-Firmen und Transportdienstleister wollen ein ganz neues Autoverkehrsgesetz haben, das den Anforderungen einer digitalen Gesellschaft entspricht.

    Auch die BVG bereitet einen umfassend neuen Fahrbetrieb in Berlin vor. Man soll Carsharing-Autos, Mieträder, Elektroroller, Kickscooter und Ride-Sharing-Fahrdienste in Kombination nutzen können.

    Auffällig dabei ist die App namens „Jelbi“ von der BVG, die sich mit dem Carsharing auf stationäre Angebote beschränken will. An zentralen Plätzen in der Stadt soll man von Bus und Bahn auf alle alle anderen Mobilitätsdienstleistungen umsteigen können.

    Auch in Kreuzberg will man die Nutzung von Alternativen auf eine andere Art und Weise erleichtern. Im Sommer soll in der Gitschiner Straße ein Umsteigeort eröffnet werden, weitere Umsteigeorte sollen am U-Bahnhof Jakob-Kaiser-Platz und an der Straßenbahnhaltestelle Landsberger Allee folgen.

    Man sieht also: Es gibt eine große neue Anzahl von Möglichkeiten und es lohnt sich, die Möglichkeiten auszuschöpfen. Welche sich davon wirklich als nützlich erweisen und welche davon in kurzer Zeit in der Versenkung verschwinden werden, ist zum gegenwärtigen Zeitpunkt noch nicht absehbar.

    Es ist eine spannende Entwicklung. Warten wir es ab.

    #Berlin #Poitik #Taxi

  • „Sexuelle Belästigung ist erst einmal ein Fakt und keine Diskussion“ – B.Z. Berlin
    https://www.bz-berlin.de/berlin/sexuelle-belaestigung-ist-erst-einmal-ein-fakt-und-keine-diskussion

    Na super! Nach dem hochoffiziellen Tagesspiegel mit tollen Verbindungen ins Eliteberlin folgt die Meldung im Prollorgan des Berliner Springer-Verlangs, der B.Z.

    Was ist passiert?

    Ein Taxikollege vergreift greift sich FDP-mäßig (Brüderle, allet klar?) im Ton, und schon ist das sexuelle Belästigung für eine etwas dünnhäutige junge Frau, da muss die Polizei ran, meint sie. Soweit so normal. Kommt täglich vor, nicht im Taxi aber überall, wo man oder frau sonst so hinsieht.

    Eine tolle Chance für die Mehrheitsmedien, ihre Lieblingsbotschaften unters Volk zu bringen:

    – Taxi muss besser werden (im Subtext meint das, für „modernere“ Transportangebote muss das Personenbeförderungegesetz „entschlackt“ werden.)

    – Die Polizei ist lieb und tut alles für junge Frauen, die sehen das nur nicht immer.

    – Wir stehen hinter der jüdischen Gemeinde, auch wenn das hier überhaupt keine Rolle spielt außer bei dem Umstand, dass die junge Frau es versteht, sich Gehör zu verschaffen.

    Was machen wir Kutscher nun daraus?

    Kollegenkritik:

    Haste dir nich mit Ruhm bekleckat, ooch wennde jetzt berühmt bist, werta Kolleje.

    Ein normaler Tag, eine normale Taxifahrt – nicht ganz, zumindest nicht für Dalia Grinfeld, Vorsitzende der Jüdischen Studierendenunion. Sie wurde nach eigener Aussage sexuell belästigt und ärgert sich über die Polizei.

    Grinfeld war am Dienstag zwischen zwei Terminen mit einem Taxi unterwegs, berichtet der Tagesspiegel.

    Demnach wäre sie bereits beim Einsteigen mit „Guten Morgen, Hübsche“ begrüßt worden. Sie habe dem Fahrer gesagt, dass sie das nicht gut finde. Doch der Mann hätte weiter gemacht. Sätze wie „Bei solch schönen Brüsten muss man einfach hinschauen“ wären gefallen, ihre mehrfachen Aufforderungen die Bemerkungen zu unterlassen, seien offenbar ungehört verklungen.

    Erst als die 24-Jährige den Mann schließlich aufgefordert hätte, das Taxi anzuhalten und sie aussteigen zu lassen, da sie ansonsten die Polizei rufen würde, lenkte der Mann ein und stoppte das Taxi.

    Nach der Taxifahrt meldete sich Grinfeld bei der Polizei. Fünf Minuten habe sie mit dem Notruf diskutiert. Der Polizist hätte sie gefragt, ob sie tatsächlich belästigt wurde oder ob es auch Komplimente gewesen seien können. Ob der Fahrer sie angefasst oder berührt hätte.

    Grinfeld: „Ich weiß, was sexuelle Belästigung ist.“ Der Beamte habe ihr dann erklärt, dass er keinen Fall sexueller Belästigung erkennen könne.

    _Dalia Grinfeld
    @DaliaGrinfeld
    Von der @polizeiberlin erwarte ich, dass sie mir #Hilfe leistet und ein Gefühl von #Sicherheit gibt bei #Sexuellebelästigung! #metoo #Berlin_

    _Dalia Grinfeld
    @DaliaGrinfeld
    .@polizeiberlin: Wenn ich ein Feuer melde, werde ich auch nicht gefragt, ob ich mir sicher bin und 5 min in Frage gestellt?! Das Gefühl von #Sexuellebelästigung ist erst einmal ein Fakt und keine Diskussion! #MeToo #aufstehen #mundauf_

    Von der Polizei hätte sich die Frau nicht ernstgenommen gefühlt. „Von der Polizei erwarte ich, dass sie mir Hilfe leistet und ein Gefühl von Sicherheit gibt“, twitterte Grinfeld. „Wenn ich ein Feuer melde, werde ich auch nicht gefragt, ob ich mir sicher bin und 5 min in Frage gestellt?!.“

    Die Polizei reagierte auf die Wut-Posts verwundert. Thilo Cablitz, Sprecher der Berliner Polizei, sagte dem Tagesspiegel, dass sich der Beamte fünf Minuten und 51 Sekunden Zeit für die Frau genommen habe, obwohl die Notrufzentrale der Polizei stets ausreichend zu tun hat.

    „Dargestellte Situation weicht nahezu in Gänze ab“
    Und ein Sprecher sagte zur B.Z.: „Wir haben den Vorwurf sehr ernst genommen und die Aufzeichnung des Notrufs unmittelbar ausgewertet. Die in einer Tageszeitung dargestellte Situation weicht nahezu in Gänze von derjenigen ab, die uns über den Notruf geschildert wurde“, sagte er. Und weiter: „Weder eine Notsituation, eine unmittelbare Gefahr noch ein strafrechtlich bewehrtes Verhalten ließen sich erfassen. Uns ist sehr wohl bewusst, dass Personen, die unter dem Eindruck eines Geschehens stehen, die im Stress sind, nicht sofort alles in Worte fassen können. Aus diesem Grund wurde angeboten, eine Einsatzwagenbesatzung zu entsenden, um in einem direkten Gespräch sämtliche Details zu klären.“

    _Dalia Grinfeld
    @DaliaGrinfeld
    .@polizeiberlin: Wenn ich ein Feuer melde, werde ich auch nicht gefragt, ob ich mir sicher bin und 5 min in Frage gestellt?! Das Gefühl von #Sexuellebelästigung ist erst einmal ein Fakt und keine Diskussion! #MeToo #aufstehen #mundauf_

    In dem Telefonat habe Grinfeld sogar Einsehen gezeigt, dass in ihrem Fall keine Straftat vorlag, sagte Calbitz.

    Doch Grinfeld sagte, dass sie dafür nun keine Zeit habe. Zeit hatte sie allerdings für eine Instagram-Story, ein Video und mehrere Tweets, was bei der Polizei wiederum für Verwunderung sorgte.

    Der Polizeisprecher gegenüber B.Z.: „Hätte die Situation sich, wie jetzt in der Tageszeitung geschildert, dargestellt, hätten wir sofort eine Einsatzwagenbesatzung entsandt und das Telefonat nicht über fast sechs Minuten geführt.“ Denn: Wer in Not ist, darf nicht warten!“

    Regelung zu Sexualdelikten

    Erst Ende 2016 waren die Regeln im Strafgesetzbuch zu Sexualdelikten verschärft worden. Das Problem: Werden Opfer nur verbal belästigt, ist es dennoch keine sexuelle Belästigung im Sinne des Gesetzes – sondern möglicherweise eine „sexuelle Beleidigung“.

    Erforderlich ist hier nach der Rechtsprechung oberster Gerichte, dass in dem Verhalten des Täters eine – von ihm beabsichtigte – sexuell herabsetzende Bewertung des Opfers zu sehen ist. Ob das im vorliegenden Fall zutrifft und wie sich das beweisen ließe, ist fraglich.

    #Berlin #Medien #Taxi #Frauen

  • « La gratuité est plus économe que le système actuel »
    https://usbeketrica.com/article/paul-aries-gratuite-decroissance-transports

    Entretien avec le politologue Paul Ariès, partisan d’une décroissance fondée sur le désir et la gratuité, notamment celle des transports en commun.

    « La #gratuité dans les #transports franciliens, la belle utopie que voilà ! », déclarait en octobre dernier la présidente du conseil général d’Ile-de-France, Valérie Pécresse. En effet, après sa mise en place à Dunkerque, Paris est en train d’étudier la gratuité des transports dans la capitale. Tandis que certains critiquent une mesure trop coûteuse, d’autres voix s’élèvent pour défendre la gratuité comme un modèle de société d’avenir, remettant en question la marchandisation et permettant de renouer avec le politique. Parmi ces voix, celle du politologue Paul Ariès, proche du réseau international des villes lentes, directeur de l’Observatoire de la gratuité et auteur de plusieurs ouvrages, dont Gratuité vs Capitalisme (Larousse, 2018).

    #mobilité #circulation #déplacements

  • On a visité une « prison ouverte » en Finlande
    https://usbeketrica.com/article/finlande-prison-ouverte-suomenlinna

    Cent hommes purgeant leur peine au milieu des visiteurs, des touristes et des oiseaux, en surplomb des eaux glaciales de la mer Baltique, à vingt minutes de bateau du centre d’Helsinki. Suomenlinna : une forteresse édifiée en 1748 sur un chapelet d’îlots rocailleux afin de protéger la capitale des invasions maritimes, devenue aujourd’hui l’adresse atypique du centre pénitentiaire ouvert le plus avant-gardiste du pays.

    Oui, ils se baladent à l’air libre, un boîtier GPS accroché à la cheville. Ils prennent le bateau quand bon leur semble, pour aller travailler, rendre visite à des proches ou faire quelques emplettes dans la capitale. Ils se mêlent au million de visiteurs parcourant chaque année cette île vedette du tourisme local, prisée aux beaux jours pour les pique-niques autant que pour les photos de mariage. Surtout, ce sont eux qui, revêtus de la doudoune jaune fluo des agents municipaux, ont pour mission de réparer les dégâts du temps passé sur les murailles de l’île – un monumental bastion classé au patrimoine mondial de l’Unesco.

    #prison #incarcération #taule

  • Chinesischer Konzern veralbert Berlin als Häufchen-Stadt – B.Z. Berlin
    https://www.bz-berlin.de/berlin/reinickendorf/chinesischer-konzern-veralbert-berlin-als-haeufchen-stadt


    Neben der TaxihalteIn in Tegel hängt ’ne neue Reklame, die et in sich hat.

    Vonne Chinesen verarschen lassen wa uns nich , tönt die B.Z. , den’ hamwat schon im Boxakriech jezeicht wo der Hammer hängt. Und uff unsre Wauwis lassen wa schon jarnüscht komm’ . Schöne Vorlage habta den Trump-Freunden und Transatlantikern jeliefat, um Stimmung jejen de Konkurrenz aus Fernost zu machen, könnte man der HUAWEI TECHNOLOGIES Deutschland GmbH sagen, imma schön rin inne Fettnäpfchen, wennse schonmal da sind, kamma ooch rinlatschen, spritzt so scheen.

    Ein Chinesen-Witz eines Telekommunikations-Riesen auf Plakaten empfängt die Passagiere am Flughafen Tegel.

    „Was wird in Berlin flächendeckender sein: 5G oder Hundehaufen?“ Diese Frage stellt sich eine Omi mit Hund im Ankunftsbereich und auf den Fluggastbrücken. 5G, das ist die nächste Generation des Mobilfunks und hier längst nicht flächendeckend in Sicht – anders, als Tretminen auf den Gehwegen.

    Der Absender der Werbung, Huawei aus Shenzhen (bringt 2019 das erste 5G-Smartphone heraus), rüstet auch Netzwerke aus. „Die Huawei-Werbung blickt mit einem Augenzwinkern auf die Hauptstadt“, sagt Flughafensprecher Daniel Tolksdorf. Nach B.Z.-Informationen zahlen die Chinesen für ihr Hauptstadt-Bashing mehr als 70.000 Euro.

    So jeht Denunziation. Knete hamse massich. Jeldjierich sinnse. Jeheime Technik hamse. Schade ditte Chinesen keene Juden sind, hätte man am 9. Novemba noch bessa an olle Tradition’ andocken könn’, oda?

    Jetzt mal im Ernst, wer die Internetadresse auf dem Werbeplakat öffnet, erfährt, worum es geht: Die größte deutsche Firma mit chinesischem Hintergrund möchte sich einen Ruf als fortschrittlicher Modernisierer aufbauen und von künftigen Großaufträgen profitieren. Diese Kampagne kann eine Zeitung aus dem konservativen, NATO-verbundenen Springer Verlag natürlich nicht einfach hinnehmen.

    Chinalobbying auf dem deutschen Hauptstadtflughafen, da geht der empörten Redaktöse der Hut hoch. Vielleicht hat Huawei auch keine Werbung in den Springermedien geschaltet. Prompt appelliert die Postille an die niedrigsten nationalistischen Gefühle, um die gelbe Gefahr auszubremsen.

    Das war schon in der Vergangenheit mit Nebenwirkungen verbunden. Wie dumm.

    Kriegsstimmung kann man mit dem nationalistischem und ausländerfeindlichem Gedöns schüren. Das hat immer schon gut funktioniert, das ist keine Nebenwirkung. Heute sollen Deutschlands Rüstungsausgaben massiv angehoben werden. Haupsache die Chinesen kriegen vom Geldsegen nichts ab , heißt die deutsche Devise.

    Mir doch egal, wer die Rüstungsprofite macht. Das einzige, was man gegen die Chinesen sagen kann, die kennen kein Trinkgeld. Reisende aus den USA haben da mehr Stil. Auch egal. Wir fahren sie alle. Zum amtlichen Preis. Das ist der Job. Willkommen in Berlin.

    Mission Statement - Huawei Digitales Hauptstadtbüro - Deutschland besser verbinden.
    http://huawei-dialog.de/mission-statement

    Huawei ist bereits seit 2001 in Deutschland aktiv und beschäftigt mehr als 2.200 Mitarbeiter an 18 Standorten. Damit ist Huawei das größte chinesische Unternehmen in Deutschland. In München befindet sich der Hauptsitz von Huaweis Europäischem Forschungszentrum (ERC), das insgesamt 18 Forschungseinrichtungen in ganz Europa umfasst:

    Das Unternehmen hat in Deutschland eine breite Kundenbasis, zu der u.a. die Deutsche Telekom, Vodafone und Telefónica zählen.
    Huawei ist Partner von Telekommunikationsunternehmen und Netzbetreibern beim LTE-Rollout und der Erschließung ländlicher Gebiete mit Internet. Mit seiner Technologie ist es ein wichtiger Partner bei der Umsetzung der Breitbandstrategie der Bundesregierung.
    Wir setzen auch in Deutschland einen Schwerpunkt auf die Forschungs- und Entwicklungsarbeit und sind mit zahlreichen Universitäten und Forschungsinstitutionen Kooperationen eingegangen – darunter die RWTH Aachen und Einrichtungen der Fraunhofer-Gesellschaft. Seit 2006 ist Huawei in Deutschland mehr als 30 Kooperationen bei Forschungsprojekten mit insgesamt 19 unterschiedlichen Institutionen eingegangen.
    Huawei ist engagierter Partner der deutschen Politik und Wirtschaft, u.a. durch aktive Teilnahme bei BITKOM (Bundesverband Informationswirtschaft, Telekommunikation und neue Medien e.V.), VATM (Verband der Anbieter von Telekommunikations- und Mehrwertdiensten e.V.), BREKO (Bundesverband Breitbandkommunikation e.V.), BUGLAS (Bundesverband Glasfaseranschluss e.V.), eco (Verband der deutschen Internetwirtschaft e.V.), der Deutsche Breitbandinitiative, der Allianz für Cyber-Sicherheit, dem Wirtschaftsrat Deutschland, dem IT-Gipfel, der Initiative D21, dem Münchener Kreis und der Deutschen Akademie für Technikwissenschaften (acatech).

    #Berlin #Reinickendorf #Tegel #Flughafen_Tegel #Werbung #Humor #Rüstung #NATO #China #Wirtschaft

  • Kiosk-Mord: Lynch-Justiz in Steglitz? – B.Z. Berlin
    https://www.bz-berlin.de/tatort/kiosk-mord-lynch-justiz-in-steglitz

    16. Februar 2014 05:21 - Der polizeibekannte Thomas W., der in seinem Laden erstochen wurde, könnte einem Racheakt zum Opfer gefallen sein.

    Zunächst sah alles nach einem Raubmord aus. Am Freitagabend wurde Thomas W. (50) tot in seinem kleinen Steglitzer Kiosk entdeckt. Die Polizei prüft nun, ob er möglicherweise aus Rache getötet wurde. Gegen das Opfer wurde bereits wegen sexuellen Missbrauchs von Kindern ermittelt.

    Am Freitag, um 18.53 Uhr, betritt ein Pärchen den Kiosk in der Kniephofstraße. Direkt im Eingangsbereich lag Thomas W. Er wurde mit mehreren Messerstichen getötet, einer traf ihn direkt ins Herz. Der Laden selbst ist verwüstet. Ein Ermittler: „Wir gehen davon aus, dass es einen heftigen Kampf gab.“

    Für die Fahnder deutete alles auf einen Raubmord kurz vor Feierabend hin – doch schon nach den ersten Zeugenbefragungen zeichnet sich den Beamten ein anderes Bild. Anwohner berichten von einer Auseinandersetzung, die eine Woche vor dem Mord stattgefunden haben soll.

    „Zwei Männer, einer um die 30 der andere um die 40, waren im Kiosk, haben den Besitzer bedroht“, erzählt eine Anwohnerin. „Sie sagten, dass sie ihn töten würden. Auch das Wort ‚Kinderschänder‘ ist gefallen. Der ältere hat den jüngeren zurückgehalten“, so die Frau weiter zur B.Z. Der Mord, ein Fall von Selbstjustiz? Martin Steltner, Sprecher der Staatsanwaltschaft: „Wir prüfen die Vorwürfe.“

    Fest steht: Im Jahr 2002 wurde wegen des Verdachts des sexuellen Missbrauchs von Kindern gegen Mordopfer Thomas W. ermittelt. In der Nachbarschaft redet man seit Langem über den Ladenbesitzer. „Ich habe meinen Kindern verboten, in den Kiosk zu gehen. Ich wusste, dass er kleine Jungs mit Lollis gelockt hat“, behauptet eine Anwohnerin. Das erzählt man sich dort im Viertel.

    Thomas W. übernahm das Geschäft (Zeitungen, Zigaretten, Kaugummis, Lottoannahmestelle) vor drei Jahren von einem Freund. Zuvor hatte Peter K. (57, Name geändert) den Kiosk geführt. „Ich bin zweimal überfallen worden. Einmal haben sie mir eine Pistole an den Kopf gehalten, beim zweiten Mal lag ich danach auf der Intensivstation.“

    Er war froh, dass er den Laden weitergeben konnte. „Ich habe ihn aufgegeben und mit Thomas einen Untermietvertrag gemacht.“ Zu den Missbrauchs-Vorwürfen möchte sich Peter K. eigentlich nicht äußern. „Gehört habe ich so etwas auch“, sagt er dann aber.

    Thomas W. soll keine Familie mehr haben, er gilt im Kiez als Eigenbrödler. Er war einmal verheiratet. Ein Freund: „Mit einer Thailänderin. Die wollte aber nur den Aufenthaltsstatus, hat ihn danach sofort verlassen.“

    Noch fehlt vom Mörder, möglich sind auch mehrere Täter, noch jede Spur. Am Samstag war die Spurensicherung erneut am Tatort. Ob die Überwachungskamera im Kiosk die Tat und den Killer aufgezeichnet hat, wird noch geprüft. Parallel wurden Anwohner befragt, ein nahe liegender Park und ein Friedhof nach der Tatwaffe abgesucht – bislang ohne Erfolg.

    Die Mordkommission erbittet Hinweise: Tel: 4664 911 555.

    #Berlin #Steglitz #Göttinger_Straße #Friedrichsruher_Straße #Kriminalität

    • Kiosk-Raubmord: Knapp 6 Jahre Haft für Messerstecher – B.Z. Berlin
      https://www.bz-berlin.de/tatort/menschen-vor-gericht/kiosk-raubmord-knapp-6-jahre-haft-fuer-messerstecher

      2. Juli 2015 16:31 - Nach dem Raubmord an Kiosk-Besitzer Thomas W. in Steglitz im Februar 2014 fiel nun das Urteil. Schüler Khalil B. (16) hatte die Tat gestanden.

      Grausames Verbrechen im Kiosk: Thomas „Steini“ W. (50) liegt am Valentinstag 2014 erstochen in seinem Zeitungsladen in der Steglitzer Kniephofstraße. Der Täter: Schüler Khalil B., 16 Jahre alt, polizeibekannt.

      Die Kiezbewohner glaubten zunächst an einen Racheakt. Das Opfer stand unter Verdacht, Kinder sexuell belästigt zu haben und soll deswegen auch bedroht worden sein. Doch schon bald stellte sich heraus: Es war Raubmord.

      Zehn Monate später hatte man den mutmaßlichen Täter – einen damals gerade mal 16-jährigen Schüler aus Charlottenburg. Ein DNA-Abgleich hatte die Ermittler auf seine Spur geführt. Er wurde im Dezember 2014 mitten aus einem anderen Prozess am Amtsgericht verhaftet. Für Staatsanwältin Silke Sweringen tötete er aus Habgier und zur Verdeckung einer Straftat.

      Im Jahre 2002 hatte Thomas W, wegen seines ursprünglichen Berufes (Steinmetz) „Steini“ gerufen, den Laden (Zeitungen, Zigaretten, Kaugummis, Lottoannahme) in der Kniephofstraße von einem Freund übernommen, der nach zwei brutalen Überfällen aufgegeben hatte.

      Am Valentinstag, dem 14. Februar 2014 kurz vor Ladenschluss ereilte auch Thomas W. dieses Schicksal. Die Aufzeichnung der Videoakamera zeigt, wie der bullige, kräftige Mann sich einem erheblich kleineren Täter mit ausgebreiteten Armen in den Weg stellte, mit ihm rang. Das war sein Todesurteil. Der Täter stach zu, immer wieder in den Oberkörper. Ein Stich soll das Herz getroffen haben.

      Kunden haben Thomas W. in seinem Blut liegend unweit der Eingangstür vorgefunden. Der herbeigerufene Notarzt konnte nur noch seinen Tod feststellen.

      Zeugen hatten einen jungen Mann wegrennen sehen. In dessen Hand eine helle Plastiktüte. Die Beute wird auf um die 800 Euro, Alkohol und Zigaretten beziffert.

      Der Angeklagte hatte die Tat gestanden. Er will aber nicht die Absicht gehabt haben, den Mann zu töten, stellt es eher als ein aus dem Ruder gelaufenen Raubüberfall dar.

      Nun das Urteil: 5 Jahre und 10 Monate Jugendstrafe wegen Totschlags. Die Staatsanwaltschaft hatte 7 Jahre wegen Mordes beantragt.